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Edit by Anto ^_^ “sei ryoku zen‘ yo” www.diversalento.it SCIENZA DELLE FINANZE CAP.1 Scienza delle finanze e ruolo dello Stato La scienza delle finanze si occupa delle politiche tributarie e di spesa pubblica adottate dallo Stato e dei loro effetti sull’allocazione delle risorse e sulla distribuzione del reddito. A questo proposito si è soliti distinguere tra analisi positiva e normativa. La prima ha come obiettivo quello di individuare i nessi causali tra le variabili economiche (es. effetto della riduzione di un’imposta sule reddito da lavoro sull’offerta di lavoro). L’analisi normativa, invece, cerca di fornire indicazioni circa la relazione tra strumenti specifici (es. tassazione reddito e specifici obiettivi, come la distribuzione del reddito). Le diverse posizioni sull’intervento dello stato in economia è riassunto nei due principali orientamenti: la concezione organicistica e quella meccanicistica. Secondo la concezione organicistica gli individui hanno valore solo in quanto contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi della collettività, obiettivi che sono fissati dallo Stato. Secondo la concezione meccanicistica lo Stato è un artificio creato con il solo scopo di consentire la realizzazione degli obiettivi individuali. CAP.3 Gli strumenti dell’analisi positiva Uno degli obiettivi della finanza pubblica è stimare in che modo diverse politiche incidono sul comportamento degli individui. Un’impostante finalità del lavoro empirico in finanza pubblica è stimare la relazione causale tra una politica e un tipo di comportamento. Per dedurre una relazione causale fra un programma e un risultato devono verificarsi tre condizioni: 1) Il programma deve precedere il risultato; 2) Programma e risultato devono essere correlati; 3) Devono essere eliminate altre spiegazioni della correlazione osservata. Gli studi sperimentali assegnano in modo casuale i soggetti a un gruppo sperimentale o di controllo. L’assegnazione casuale riduce la probabilità che fattori esterni portino il ricercatore a confondere la correlazione la causalità. Questi studi offrono un modo attendibile per valutare l’impatto dei programmi di Governo, ma non sono infallibili. In particolar modo i ricercatori devono assicurarsi che l’assegnazione casuale rimanga tale nel corso del tempo e devono prestare attenzione nel generalizzare i risultati. L’econometria è l’uso delle scienze statistiche per stimare relazioni causali. Un importante strumento è rappresentato dall’analisi di regressione, che stima la relazione fra due variabili mantenendo altri fattori costanti. I dati osservati possono essere cross section, in serie storica oppure panel. In un quasi esperimento vengono utilizzati i dati raccolti, ma ci si basa su circostanze esterne per riprodurre un esperimento randomizzato. CAP.4 Gli strumenti dell’analisi normativa L’economia del benessere studia come confrontare allocazioni delle risorse alternative. Uno strumento utilizzato per illustrare le possibili distribuzioni di due beni tra due soggetti è la scatola di Edgeworth. La base della scatola Os rappresenta la quantità di un bene, mentre l’altezza Or rappresenta l’ammontare totale dell’altro bene; in corrispondenza del punto v Adamo consuma una quantità Ou del primo bene e Ox dell’altro, mentre Eva consuma O’y del secondo e O’w del

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SCIENZA DELLE FINANZE

CAP.1

Scienza delle finanze e ruolo dello Stato

La scienza delle finanze si occupa delle politiche tributarie e di spesa pubblica adottate dallo Stato e dei loro

effetti sull’allocazione delle risorse e sulla distribuzione del reddito. A questo proposito si è soliti

distinguere tra analisi positiva e normativa. La prima ha come obiettivo quello di individuare i nessi causali

tra le variabili economiche (es. effetto della riduzione di un’imposta sule reddito da lavoro sull’offerta di

lavoro). L’analisi normativa, invece, cerca di fornire indicazioni circa la relazione tra strumenti specifici (es.

tassazione reddito e specifici obiettivi, come la distribuzione del reddito).

Le diverse posizioni sull’intervento dello stato in economia è riassunto nei due principali orientamenti: la

concezione organicistica e quella meccanicistica. Secondo la concezione organicistica gli individui hanno

valore solo in quanto contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi della collettività, obiettivi che sono

fissati dallo Stato. Secondo la concezione meccanicistica lo Stato è un artificio creato con il solo scopo di

consentire la realizzazione degli obiettivi individuali.

CAP.3

Gli strumenti dell’analisi positiva

Uno degli obiettivi della finanza pubblica è stimare in che modo diverse politiche incidono sul

comportamento degli individui. Un’impostante finalità del lavoro empirico in finanza pubblica è stimare la

relazione causale tra una politica e un tipo di comportamento. Per dedurre una relazione causale fra un

programma e un risultato devono verificarsi tre condizioni:

1) Il programma deve precedere il risultato;

2) Programma e risultato devono essere correlati;

3) Devono essere eliminate altre spiegazioni della correlazione osservata.

Gli studi sperimentali assegnano in modo casuale i soggetti a un gruppo sperimentale o di controllo.

L’assegnazione casuale riduce la probabilità che fattori esterni portino il ricercatore a confondere la

correlazione la causalità. Questi studi offrono un modo attendibile per valutare l’impatto dei programmi di

Governo, ma non sono infallibili. In particolar modo i ricercatori devono assicurarsi che l’assegnazione

casuale rimanga tale nel corso del tempo e devono prestare attenzione nel generalizzare i risultati.

L’econometria è l’uso delle scienze statistiche per stimare relazioni causali. Un importante strumento è

rappresentato dall’analisi di regressione, che stima la relazione fra due variabili mantenendo altri fattori

costanti. I dati osservati possono essere cross section, in serie storica oppure panel. In un quasi

esperimento vengono utilizzati i dati raccolti, ma ci si basa su circostanze esterne per riprodurre un

esperimento randomizzato.

CAP.4

Gli strumenti dell’analisi normativa

L’economia del benessere studia come confrontare allocazioni

delle risorse alternative. Uno strumento utilizzato per

illustrare le possibili distribuzioni di due beni tra due soggetti è

la scatola di Edgeworth. La base della scatola Os rappresenta

la quantità di un bene, mentre l’altezza Or rappresenta

l’ammontare totale dell’altro bene; in corrispondenza del

punto v Adamo consuma una quantità Ou del primo bene e Ox

dell’altro, mentre Eva consuma O’y del secondo e O’w del

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primo. Ma come fare a capire se è possibile migliorare la condizione di uno dei due senza peggiorare quella

dell’altro? Inseriamo allora all’interno della scatola delle curve

di indifferenza che rappresentano le preferenze relative al

primo ed al secondo bene (Adamo accresce la sua condizione

quanto più di sposta a destra della scatola, Eva al contrario

quanto più di sposta in basso a sinistra).

Il punto h è migliore rispetto al punto g per Adamo, perché

passa su una curva di indifferenza superiore, ma il punto p è

anche pareto efficiente perché non si può andare oltre quel

punto perché si andrebbe a peggiorare la condizione di Eva.

Un’allocazione Pareto efficiente si ha quando non è possibile migliorare la condizione di un individuo senza

peggiorare quella di un’altra persona. Una condizione necessaria per l’efficienza paretiana è che il saggio

marginale di sostituzione tra due beni sia uguale al saggio marginale di trasformazione.

Il procedimento può essere ripetuto con tutte le

combinazioni possibili di curve di indifferenza, fino ad

arrivare a costruire la curva mn, detta curva dei contratti,

che è una curva che collega ciascun punto nella scatola di

Edgeworth nel quale la curva di indifferenza di Adamo è

tangente a quella di Eva rilevando così tutti i punti pareto

efficienti.

Il valore assoluto della pendenza della curva d’indifferenza

indica il rapporto al quale l’individuo è disposto a

scambiare un bene per una quantità aggiuntiva dell’altro

ed è detto saggio marginale di sostituzione MRS tra i due beni. l’efficienza pareti vana richiede quindi

l’uguaglianza dei saggi marginali di sostituzione per tutti i consumatori.

Dal lato della produzione invece possiamo studiare la frontiere delle possibilità produttive, che indica le

possibili combinazioni di produzione di due beni; se gli input sono utilizzati

in modo efficiente, un aumento della produzione del primo bene comporta

una diminuzione della produzione del secondo e viceversa. Il saggio al quale

l’economia può “trasformare” il primo bene nel secondo prende il nome di

saggio marginale di trasformazione MRT e corrisponde alla pendenza della

frontiera delle possibilità produttive. L’MRT può anche essere espresso in

termini di costo marginale MC, cioè il costo aggiuntivo di produzione di una

i più unità di output. La distanza xz o wy indicano il costo dell’incremento

della produzione del dato bene.

Il primo teorema fondamentale dell’economia del benessere

Se ipotizziamo che tutti i consumatori e produttori agiscono da concorrenti perfetti, ovvero nessuno di loro

ha potere di mercato e se esiste un mercato per tutti i beni, allora le risorse vengono allocate in maniera

Pareto efficiente. Cioè un’economia concorrenziale alloca automaticamente le risorse in modo efficiente

senza alcun bisogno di intervento esterno.

Il secondo teorema fondamentale dell’economia del benessere

Quale sarebbe il ruolo dello stato in tutto questo? Finora abbiamo ipotizzato che l’allocazione pareto

efficiente sia l’unica, ma questo non vuole dire che sia effettivamente quella desiderabile. Un punto

efficiente può anche non essere equo e la collettività potrebbe quindi gradire un punto magari più equo e

meno efficiente come in figura.

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Il punto ps è efficiente mentre il punto q non lo è tuttavia q

potrebbe essere preferito dalla società. Questo può essere

spiegato anche attraverso la curva UU che è la frontiera delle

utilità possibili, che deriva dalla curva dei contratti e indica

l’utilità massima che ciascun individuo può raggiungere data

l’utilità dell’altro. I punti sulla curva sono pareto efficienti quelli

fuori non lo sono, se invece si trovano sotto la curva sono

raggiungibili se si trovano al di sopra sono non raggiungibili.

Qual è quindi l’allocazione migliore? Si risponde postulando l’esistenza di una funzione del benessere

sociale, questa funzione è una rappresentazione delle preferenze

della società sulla distribuzione delle utilità tra Adamo ed Eva. Quindi

il benessere sociale W (welfare) è una qualche funzione F dell’utilità

di ciascun individuo: W=F(UAdamo, UEva)

Possiamo quindi concludere che, anche quando il sistema economico

determina un’allocazione delle risorse Pareto efficiente, può essere

necessario l’intervento pubblico per ottenere una distribuzione equa

delle risorse. Il secondo teorema dell’economia del benessere

stabilisce che l’allocazione delle risorse preferibile deve essere

realizzata con imposte e sussidi in forma fissa, cioè in modo da non

alterare il comportamento dei consumatori e produttori.

I fallimenti di mercato

Una seconda ragione a sostegno dell’intervento pubblico nel sistema economico sono i fallimenti del

mercato che si verificano nei casi in cui c’è potere di mercato o assenza di questo. Se alcuni consumatori o

produttori non sono price taker, ma hanno facoltà di influire sui prezzi, in generale l’allocazione delle

risorse sarà inefficiente.

Inoltre la dimostrazione dei teoremi fondamentali si basi sull’ipotesi che esista un mercato per ogni bene,

se però non esistesse non sarebbe assicurata la loro allocazione efficiente. Il mercato può non esistere a

causa di un problema di informazione asimmetrica, cioè nel caso in cui una delle parti coinvolte nella

transazione ha delle informazioni che la controparte non ha. Un altro tipo di inefficienza può derivare dalle

esternalità, cioè situazioni in cui il comportamento di un individuo influisce sul benessere di un altro in

modi che non si riflettono sui prezzi dei mercati esistenti.

CAP.5

I beni pubblici

Il bene pubblico è un bene il cui consumo è non rivale e non escludibile, cioè:

- Una volta che il bene pubblico è fornito, il costo marginale del consumo da parte di un individuo

aggiuntivo è nullo, ovvero il consumo è non rivale;

- Escludere qualcuno dal consumo di un bene è o molto costoso o impossibile ovvero il consumo è

non escludibile.

Anche se tutti però consumano la stessa quantità di un bene pubblico, ciò non significa che tale consumo

debba essere valutato da tutti allo stesso modo (es. missili). Inoltre la natura di un bene pubblico non è

assoluta, ma dipende dalle condizioni di mercato e dai livelli tecnologici raggiunti, arrivando così alla

definizione di bene pubblico impuro, che è quel bene caratterizzato da diversi gradi di non rivalità e non

escludibilità nel consumo (es. le strade).

Per capire come costruire la curva di domanda per i beni pubblici e capirne il livello di fornitura efficiente,

partiamo da quella per i beni privati, che si ottiene facendo la somma orizzontale, cioè aggregando le

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domande individuali, ottenuta sommando le quantità domandate dai singoli per ogni livello di prezzo, in

questo caso il mercato sarà in equilibrio quando domanda e offerta si eguagliano.

Per fornire la quantità efficiente di un bene pubblico è necessario che la somma delle disponibilità dei

cittadini a pagare per un’ulteriore unità sia uguale al suo costo marginale. Come determinare quindi questa

disponibilità complessiva a pagare per un bene pubblico? Per i beni pubblici invece bisognerà effettuare

una somma verticale, cioè aggregare le domande individuali, ed è ottenuta sommando le disponibilità a

pagare dei singoli per quantità date di beni. Quindi la quantità efficiente di un bene pubblico è quella in

corrispondenza del punto in cui la disponibilità a pagare un’unità in più di Adamo ed Eva è pari al costo

marginale per produrre quell’unità.

C’è quindi una simmetria tra beni pubblici e beni privati. Nel caso di un bene privato, tutti presentano il

medesimo MRS, ma ciascuno può consumare quantità diverse. Nel caso di un bene pubblico, invece, tutti

consumano la sessa quantità, anche se ciascuno ha un suo MRS.

Problema del Free Rider

Quando un bene privato è scambiato su un mercato concorrenziale, l’individuo non ha alcuno motivo di

mentire sul valore che attribuisce a quel bene. Quando si tratta di un bene pubblico non escludibile, però,

le persone possono essere incentivate a nascondere le loro vere preferenze, in modo da ottenere una

riduzione del prezzo. Questo comportamento opportunista, consistente nel godere benefici di un bene per

cui altri hanno pagato il prezzo, è definito problema dell’opportunismo o free rider. In questo caso è molto

probabile che il mercato fornirà una quantità del bene pubblico inferiore a quella efficiente. La soluzione a

questo problema sarebbe la perfetta discriminazione di prezzo, cioè quella situazione in cui un produttore

fa pagare a ciascun individuo il prezzo massimo che il singolo è disposto a pagare per quel bene, ma questa

soluzione presuppone la conoscenza delle preferenze di ogni singolo individuo.

Fornitura e produzione: pubblica contro privata

In alcuni casi le imprese pubbliche forniscono servizi che si possono ottenere anche privatamente (es.

protezione) ma qual è la corretta combinazione tra pubblico e privato? Bisogna fare alcune considerazioni:

la scelta del settore può dipendere dal salario relativo e dai costi delle materie prime, quindi la scelta cadrà

sul settore meno costoso; bisognerà considerare i costi amministrativi, che di solito nelle amministrazioni

pubbliche sono minori perché spalmanti su una collettività maggiore; bisognerà tener conto dei gusti, e più

questi sono differenziati più è considerato efficiente il servizio fornito dal settore privato; in ultimo

bisognerà tener conto dei problemi distributivi, tornando al concetto di equità, che, così come sostenuto da

Tobin, richiede che alcuni beni economici siano disponibili per tutti.

Dal lato della produzione invece i sostenitori della privatizzazione affermano che i dirigenti del settore

pubblico, al contrario di quelli privati, non avendo come obiettivo la massimizzazione del profitto né

temendo il fallimento, non abbiano alcun incentivo a tenere sotto controllo l’attività della loro impresa. Chi

al contrario sostiene l’opportunità della produzione pubblica e si oppone alle privatizzazioni ritiene che non

vi siano prove a sostegno dell’inefficienza della produzione pubblica, e considerano l’aspetto del livello

qualitativo delle forniture, che paiono essere di livello inferiore in caso di appaltatori privati.

CAP.6

Le esternalità

Un’esternalità si ha quando l’attività di un soggetto influisce su quella di un altro senza modificare i prezzi di

mercato. In genere, le esternalità si hanno in assenza di diritti di proprietà. Fintantoché la risorsa è di

proprietà di qualcuno, il prezzo ne riflette il calore per usi alternativi e la risorsa viene impiegata in modo

efficiente. Al contrario, le risorse di proprietà comune vengono utilizzate in maniera non efficiente perché

nessuno è incentivato a economizzare il loro uso.

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Supponiamo che Alberto gestisca una fabbrica che scarica rifiuti in un corso d’acqua di proprietà pubblica,

che Lisa utilizza per guadagnarsi da vivere pescando. In figura si misura sull’asse orizzontale la quantità di

output Q, prodotta dalla fabbrica di Alberto, mentre su quello verticale si indica il prezzo del bene da lui

prodotto. La curva MB (Marginal Benefit) rappresenta il beneficio marginale di Alberto per ciascun livello di

produzione, che si suppone diminuisca all’aumentare dell’output. A ciascun livello di produzione è inoltre

associato un qualche costo marginale privato, MPC (Marginal Private Cost) che riflette i pagamenti

effettuati da Alberto per gli input e che in questo caso si suppone aumenti proporzionalmente all’output.

Quale effetto secondario, la fabbrica produce inquinamento, peggiorando le condizioni di Lisa. Supponendo

che la crescita dell’inquinamento sia proporzionale a quella della produzione della fabbrica. Il danno

marginale causato a Lisa in seguito all’inquinamento per ogni volume di output è indicato da MD (Marginal

Damage) con pendenza positiva. Dal punto di vista di Alberto, dovrà produrre tutte le unità di output per le

quali il beneficio marginale è superiore al costo marginale che deve sostenere, pertanto fino a Q1,

l’intersezione di MPC ed MB. Dal punto di vista della

collettività dovrebbe produrre fino a quando il

beneficio marginale per la società supera il costo

marginale per la società. Il costo marginale sociale

presenta due componenti: gli input acquistati da

Alberto, il cui valore è MPC e il danno marginale

inflitto a Lisa, rappresentato da MD, quindi il costo

marginale sociale MSC=MPC+MD. L’efficienza sociale

richiede che siano prodotte solo le unità di output per

cui MB supera MSN cioè il punto Q*. Quando l’output

diminuisce passando da Q1 a Q*, Alberto perde

l’equivalente dell’area dcg in profitti, e Lisa aumenta il

suo benessere per l’equivalente area cdhg, quindi il

beneficio netto per la collettività è l’area dhg.

Correzione delle esternalità: soluzione privata

• Teorema di Coase

All’origine delle esternalità c’è l’assenza di diritti di proprietà; ne consegue che un modo semplice per

risolvere il problema sembrerebbe quello di assegnare ai privati la proprietà delle risorse in questione. Se

per esempio i diritti di proprietà del fiume fossero ceduti ad Alberto, Lisa sarà disposta a versare ad Alberto

una somma superiore al profitto che questi perde, viceversa se fosse Lisa ad avere i diritti di proprietà,

Alberto dovrà pagarla per avere il permesso di inquinare, e Lisa accetterà una quantità di inquinamento in

cambio di una cifra superiore al danno marginale MD che deve sopportare, Alberto pagherà finché

produrre la cifra da pagare per produrre un’unità in più sarà inferiore al valore di MB-MPC. In conclusione,

l’allocazione efficiente verrà raggiunta indipendentemente da chi detiene i diritti di proprietà, a patto che la

risorsa appartenga a qualcuno. Il teorema di Coase si basa però su due assunzioni: i costi della

contrattazione non devono essere tali da scoraggiare le parti ed inoltre il teorema presuppone che i

proprietari delle risorse possano identificare i danni e prevenirli legalmente. Quindi è valido solo nei casi in

cui sono coinvolti pochi individui e le fonti delle esternalità sono ben definite.

• Fusioni: Un modo per affrontare le esternalità consiste nell’internalizzarle fondendo le imprese coinvolte:

ordinando le attività il profitto ricavato dalla comune impresa sarebbe più elevato della somma dei profitti

ottenuti singolarmente.

Correzione delle esternalità: soluzione pubblica

Nei casi in cui gli individui non riescano a raggiungere una soluzione efficiente, lo Stato può intervenire e

può farlo in vari modi:

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• Imposta Pigouviana

Suggerita dall’economista Pigou, consiste nel far pagare a chi

inquina un’imposta che compensi il prezzo troppo basso di alcuni

input. Un’imposta pigouviana è un’imposta che grava su ogni unità

prodotta da chi inquina o comunque da chi provoca un’esternalità

negativa, il cui ammontare è pari al danno marginale che l’impresa

provoca in corrispondenza del volume efficiente di output. Il danno

marginale in corrispondenza dell’output efficiente Q* è dato dalla

distanza cd e l’imposta pigouviana dovrebbe essere pari a questa

distanza. Così facendo sposta verso l’alto la curva del costo

marginale privato per una distanza pari al danno esterno marginale

in corrispondenza dell’output efficiente, cd.

• Sussidi

Supponendo che il numero di imprese inquinanti sia fisso, si può ottenere il volume efficiente di produzione

pagando chi inquina perché non lo faccia. Il sussidio per non inquinare è semplicemente un modo diverso

per aumentare il costo di produzione effettivo di chi inquina. Se lo stato pagasse ad Alberto un sussidio cd

per ogni unità di output che questi decide di non produrre, il costo marginale per produrre Q1 è la somma

dell’importo che Alberto paga per i suoi input (MPC) più il sussidio a cui rinuncia effettuando la produzione;

la curva del costo marginale diventa quindi nuovamente MPC+cd e il volume di produzione Q1 supera il

beneficio marginale. Sicché ad Alberto converrà ridurre la produzione ed accettare il sussidio.

• Imposte sulle emissioni e sistemi di regolamentazione per incentivi

Diminuire la produzione non è l’unico metodo per ridurre le emissioni. Alberto potrebbe istallare una nuova

tecnologia per ridurre l’inquinamento, ma perché dovrebbe farlo se comunque paga un’imposta sulla

quantità di output prodotta? La soluzione sta nel far pagare ad Alberto un’imposta pigouviana su ciascuna

unità di emissioni e non su ciascuna unità di output, da qui il nome di imposta sulle emissioni. Alberto però

non è incentivato a ridurre l’inquinamento, per questo il settore pubblico deve intervenire per consentire di

raggiungere la quantità efficiente di riduzione dell’inquinamento. Gli approcci possibili sono 3: l’imposta

sulle emissioni, il sistema di regolamentazione cap-and-trade e le norme di command-and-control.

○ Imposta sulle emissioni

In questo caso viene fatta pagare un’imposta su ciascuna unità di sostanza inquinante emessa piuttosto che

su ciascuna unità di output. Ipotizziamo che l’autorità pubblica applichi un’imposta sulle emissioni, facendo

pagare f* per ciascuna unità di sostanza inquinante emessa, dal momento che f* è il beneficio marginale

sociale di riduzione dell’inquinamento a un livello efficiente e*. Come risponderà Alberto? Alberto sostiene

un costo mari a MC per ciascuna unità di emissioni che riduce. Tuttavia, in presenza dell’imposta sulle

emissioni, le imposte da pagare scendo di f* per ciascuna unità di sostanza inquinante non emessa. Se la

somma che Alberto risparmia in imposte per unità supera il costo di riduzione dell’inquinamento per unità,

inquinerà meno. In termini matematici, se f*> MC, egli riduce l’inquinamento.

Quando vi è più di un soggetto inquinante il costo totale della riduzione

delle emissioni risulta minimizzato soltanto quando i costi marginali sono

uguali per tutti i soggetti inquinanti (efficienza in termini di costo) e non

quando sono ripartiti in maniera uguale. Il vantaggio principale di

un’imposta sulle emissioni è che consente di ottenere la riduzione

dell’inquinamento al minor costo possibile. Questo sistema: non risponde

bene all’inflazione se l’imposta non viene corretta ed è preferibile

quando i benefici marginali sociali sono elastici e i costi sono incerti.

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○ Sistema di cap-and-trade

Una soluzione alternativa potrebbe essere che il settore pubblico imponga ad Alberto e Matteo di

presentare un’autorizzazione emessa dall’autorità stessa per ciascuna unità di inquinamento che essi

emettono in un anno. Da un punto di vista di efficienza, la distribuzione iniziale delle autorizzazioni fra i

soggetti inquinanti non ha alcuna importanza (incide solo a livello di reddito). Fin tanto che Alberto e

Matteo hanno la possibilità di vendersi a vicenda le autorizzazioni, l’allocazione finale è efficiente in termini

di costi. Il numero delle autorizzazioni da emettere viene stabilito in base al livello desiderato di

inquinamento. Il soggetto con eccesso di autorizzazioni continuerà a venderle finche la somma ricevuta in

cambio sarà tale da coprire i costi di riduzione dell’unità inquinante supplementare. Questo sistema è

preferibile quando i benefici marginali sociali sono anelastici e i costi sono incerti.

○ Norme di tipo command-and-control

Le imposte sulle emissioni e i sistemi di cap-and-trade sono considerati delle forme di regolamentazione

per incentivi, in quanto forniscono ai soggetti inquinanti degli incentivi di mercato a ridurre l’inquinamento.

In linea di massima fanno aumentare il costo opportunità dell’inquinamento, costringendo i soggetti

inquinanti a tener conto dei danni marginali esterni associati al loro comportamento. Le regolamentazioni

per incentivi lasciano ai soggetti inquinanti grande flessibilità su come ridurre le emissioni.

Le norme di tipo command-and-control invece sono politiche volte a raggiungere una data riduzione

dell’inquinamento con poca o nessuna flessibilità riguardo alle modalità per ottenerla. Uno standard

tecnologico è una norma di questo tipo che impone ai soggetti inquinanti di istallare una determinata

tecnologia per lo smaltimento delle emissioni. Questo tipo di standard, a differenza delle regolamentazioni

basate sugli incentivi, non incentiva le imprese a cerare modalità nuove e più economiche per ridurre

l’inquinamento, pertanto è poco probabile che gli standard tecnologici siano efficienti in termini di costi.

Uno standard di performance è una norma di tipo command-and-control che stabilisce un obiettivo in

termini di emissioni per ciascun soggetto inquinante. Si da così la possibilità di scegliere la tecnologia da

usare, migliorando l’efficienza in termini di costi. Questo tipo di politiche può essere preferito quando non

è possibile misurare con precisione le emissioni e quindi lo Stato non è in grado di far pagare un’imposta

sulle emissioni per unità.

Esternalità positive

Le esternalità positive in generale portano a un livello di attività inferiore a quello efficiente. Un sussidio

può risolvere il problema. L’anili di questo caso è uguale a quello delle esternalità negative.

CAP.7

La teoria delle scelte collettive

Applicazione dei principi economici all’analisi del processo decisionale politico.

Democrazia diretta

• Il voto all’unanimità

Lindahl propose un modello per decidere all’unanimità quanto bene pubblico produrre e come finanziarlo,

nell’ipotesi che ciascuno dichiari correttamente le proprie preferenze. Supponendo che esistano due

individui, Adamo ed Eva ed un solo bene pubblico (r) e che ad Adamo venga detto che deve partecipare al

costo per la fornitura del bene per il 30% quindi dovrà pagare 0,30xPr (prezzo bene). Dato questo prezzo

esiste una quantità di bene che Adamo vorrà consumare. All’aumentare del suo contributo, ovvero del

prezzo del bene a suo carico, Adamo chiederà una quanti minore del bene. Nel grafico, sull’asse orizzontale

viene misurata la quantità di bene, mentre la quota di contributo da lui pagata, o prezzo di Lindahl, è

misurata dalla distanza verticale dal punto O. La curva DrA mostra come la domanda di bene da parte di

Adamo, decresca all’aumentare della quota a suo carico. Analogamente, definendo SE la quota di

partecipazione di Eva al costo del bene, al suo aumentare la quantità domandata diminuisce. L’equilibrio è

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dato da un insieme di prezzi di Lindahl tale per cui ogni individuo vota per la stessa quantità di bene

pubblico. Il processo di allocazione è così Pareto efficiente. Il procedimento ha però due limiti: assume che

gli individui esprimano sinceramente le loro preferenze ed inoltre è probabile che ci voglia molto tempo per

trovare il prezzo-imposta che soddisfi entrambi.

• Il voto a maggioranza

Poiché l’unanimità è difficile da raggiungere, sono preferibili i sistemi che non la richiedono, come la

votazione a maggioranza. In questo sistema, una proposta viene approvata se si pronuncia a favore la metà

più uno dei votanti. Ma questo tipo di votazione non danno sempre risultati così netti. Anche se le

preferenze di ogni singolo votante sono coerenti, quelle della comunità non lo sono; questo fenomeno

prende il nome di paradosso del voto. Il risultato finale dipende dall’ordine in cui si mettono ai voti le

alternative. Se la prima votazione è tra le proposte A e B, la proposta vincente (A) deve essere messa

successivamente a confronto con C, quindi C è la scelta finale. In circostanze simili, la capacità di controllare

l’ordine di votazione (l’ordine del giorno) diviene uno strumento di enorme potere e si definisce

manipolazione dell’ordine del giorno quel processo mediante il quale si organizza l’ordine di votazione per

avere un ceto risultato. Un altro problema che si verifica in queste circostanze è che la collettività può

andare avanti all’infinito senza che venga presa una decisione definitiva. In questo caso si parla di ciclicità

del voto. Definiamo un picco nelle preferenze di un individuo, quel punto che si trova più in alto rispetto a

tutti i punti adiacenti. Si dice che un individuo ha preferenze unimodali se, man mano che si allontana

dall’esito che preferisce, il suo beneficio cala costantemente; ha invece preferenze bimodali se,

allontanandosi dalla soluzione che preferisce, il suo beneficio prima cala e poi aumenta di nuovo. Le

preferenze multimodali possono essere un elemento di distorsione delle votazioni a maggioranza.

• Il teorema dell’elettore mediano

L’elettore mediano è l’individuo le cui preferenze occupano la posizione intermedia nell’insieme ordinato

delle preferenze di tutto il gruppo. Il teorema dell’elettore mediano afferma che se tutte le preferenze sono

uno modali, il risultato di una votazione a maggioranza rifletterà la preferenza espresse dall’elettore

mediano.

• Lo scambio dei voti (logrolling)

Un limite del sistema di votazione a maggioranza semplice è che non consente agli individui di esprimere

quanto stia loro a cuore un certo problema. Con lo scambio dei voti è possibile però che i votanti riescano a

esprimere quanto tengono a una certa proposta. Il sistema dello scambio dei voti suscita pareri

contrastanti. I suoi sostenitori ritengono che, facendo emergere la reale intensità delle preferenze degli

elettori, esso conduca a una fornitura dei beni pubblici efficiente. D’altra parte, chi è contrario sostiene che

questo sistema facilita il prevalere di interessi particolari e l’approvazione di progetti privi di benefici per la

collettività e spesso molto costosi.

• Il teorema dell’impossibilità di Arrow

Il premio Nobel Arrow, ha sostenuto che, in una società democratica, il metodo di scelta collettiva debba

soddisfare i seguenti criteri:

1) Deve portare a una decisione, qualunque sia la configurazione delle preferenze dei votanti, non

deve quindi fallire in caso di preferenze multimodali;

2) Deve essere in grado di stabilire una graduatoria tra tutti gli esiti possibili;

3) Deve riflettere le preferenze individuali, cioè se gli individui preferiscono A a B, l’ordine di

preferenza della società deve essere lo stesso;

4) Deve essere coerente nel senso che se la proposta A è giudicata preferibile alla proposta B e la

proposta B è giudicata preferibile a C, allora la proposta A deve essere preferita alla proposta C;

5) L’ordine di preferenza che la società assegna alle alternative A e B deve dipendere esclusivamente

dalle preferenze dei votanti riguardo A e B (indipendenza delle alternative irrilevanti);

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6) Non è ammessa la dittatura, nel senso che le preferenze della società non devono riflettere solo

quelle di un singolo individuo.

Nel loro complesso questi criteri sembrano abbastanza ragionevoli, ma la sorprendente conclusione a cui

giunge Arrow è che, in generale è impossibile trovare un metodo che li soddisfi tutti. Mette coì in dubbio

che i sistemi democratici possano funzionale. La conclusione è che se si rinuncia a una qualsiasi delle 6

condizioni, è possibile trovare un sistema di votazione che soddisfi le altre5.

Democrazia rappresentativa

Il punto di partenza è una visione dello Stato poca realista: lo Stato non ha un interesse proprio, è neutrale

e benevolente. In realtà lo Stato è fatto di individui (politici, burocrati) e un modello realistico di decisione

collettiva deve studiare gli obiettivi e i comportamenti di chi ha il compito di governare.

• I politici

Il politico che intende massimizzare i voti adotta il programma preferito dall’elettore mediano perché

prenderà la metà dei voti più un'altra porzione che va da quella metà alla posizione del candidato

concorrente. Questo modello ha due conseguenze: primo, i sistemi bipolari tendono ad essere stabili, nel

senso che entrambi i poli tendono verso il “centro”; secondo, sostituire l’elezione diretta con un sistema

rappresentativo non ha effetti sui risultati, entrambi riflettono le preferenze dell’elettore mediano. Inoltre,

l’ipotesi che le decisione dei votanti dipendano solo dal tema in oggetto non è del tutto realistica, perché

conta anche la personalità del candidato, così come l’ideologia. Bisogna tener presente che gli elettori

possono anche subire l’influenza dei politici stessi. Infine, si presume che tutti gli aventi diritto al voto lo

esercitino, ma se le posizioni dei candidati sono troppo vicine gli elettori con idee estreme rinunceranno ad

esprimere la loro preferenza.

• I funzionari pubblici

È ingenuo pensare che il solo fine della burocrazia sia interpretare i desideri dell’elettorato e dei suoi

rappresentanti. Niskanen ha sostenuto che nel settore privato un individuo che voglia rendere più

redditizia la sua azienda è incentivato a farlo perché ha come ricompensa un salario più elevato, mentre

l’interesse dei burocrati è focalizzato sulla reputazione, sul potere, sul clientelismo, dal momento che le

opportunità di miglioramenti salariali sono minime. Secondo Niskanen il potere e lo status sono in relazione

diretta con la dimensione del bilancio a disposizione del funzionario il quale, quindi, mira a massimizzarlo.

Sapendo quindi il burocrate, che il legislatore accetterà qualunque progetto la cui utilità totale superi costi

totali, proporrà progetti che non sono efficienti, ma che invece massimizzino le dotazione di bilancio del

suo ufficio.

• I gruppi di pressione

I cittadini che cercano una posizione di rendita formano gruppi di pressione per condizionare l’attività di

governo. L’interesse può nascere sulla base della fonte di reddito, della sua dimensione del settore

produttivo in cui operano, della regione o di molte altre caratteristiche individuali.. spesso dispongono di

ingenti risorse, grazie alle quali sono in grado di influire sulle campagne elettorali e/o raggiungere i propri

obiettivi pagando tangenti. L’interazione tra gruppi di pressione, burocrati e rappresentanti prende il nome

di triangolo di ferro e condiziona la maggior parte delle scelte politiche delle democrazie occidentali.

Le spiegazione dell’aumento dell’intervento statale in economia e il consentimento della spesa

L’intervento dello Stato in economica è aumentato molto rapidamente. Questo fenomeno può essere

spiegato in diversi modi tra cui:

- I cittadini vogliono un maggiore intervento dello Stato;

- Il settore pubblico deve espandersi per assorbire l’eccessiva produzione del settore privato;

- Eventi casuali (guerra) aumentano l’intervento dello Stato in economia, ma a evento concluso

l’inerzia impedisce di tornare ai livelli precedenti;

- Alcuni gruppi utilizzano lo Stato per ridistribuire il reddito a loro favore.

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Tra le proposte per controllare il crescente aumento dell’intervento dello Stato ci sono: quella di

incentivare la concorrenza con il settore privato, la riforma dei processi di determinazione del Bilancio

statale e possibili norme costituzionali.

CAP.8

La ridistribuzione del reddito

La distribuzione del reddito e l’interpretazione dei dati

Nel valutare gli interventi che potrebbero diminuire la povertà potrebbe essere utile sapere quando al di

sotto della linea di demarcazione si trova la popolazione indigente. Il divario di povertà misura quanto

reddito si dovrebbe trasferire alla popolazione povera per elevare il reddito di ciascuna famiglia fino a

raggiungere la linea di povertà (livello di reddito considerato sufficiente a garantire i mezzi per soddisfare i

bisogni essenziali). Il problema di stabilire perché esistano notevoli disuguaglianze di reddito è da tempo un

tema discusso, alcuni ritengano che dipende dall’incremento del rendimento economico dell’istruzione ma

non è certo.

Molto importante nell’analisi e capire quali e come vengono utilizzati i dati. In genere, il reddito consiste

solo nelle entrate in denaro delle famiglie; una definizione minima di reddito di un individuo in un dato

periodo è la somma di quanto consumato e risparmiato in quel periodo. Il reddito di una famiglia però

consiste non solo delle entrate in denaro, ma anche di quelle in natura, ossia del consumo di beni e servizi.

Inoltre le cifre ufficiali ignorano le imposte, non tenendo così conto del fatto che il sistema delle imposte sul

reddito assorbe una quota maggiore del reddito delle famiglie ad alto reddito rispetto a quelle a basso

reddito. Poi vi è il dubbio sull’arco di tempo da considerare per la misurazione del reddito. Generalmente

viene utilizzato l’anno, anche se non è detto che la base annua rifletta correttamente la situazione

economica di un individuo. Infine esistono problemi nella definizione dell’unità minima da osservare, quindi

se il singolo o la famiglia.

Le ragioni della ridistribuzione del reddito

Cosa bisogna intendere per equo? Come lo Stato dovrebbe ridistribuire il reddito in questa maniera?

Semplice utilitarismo

L’economia del benessere assume che il benessere della società dipenda dal benessere degli individui che la

compongono. Formalmente, se una società è composta da n individui e l’utilità dell’i-esimo individuo è Ui

con i=1,…,n, il benessere sociale W, sarà una funzione delle utilità

individuali: W=F(U1, U2,…,Un). Questa equazione viene chiama funzione

del benessere sociale utilitaristica. Secondo gli utilitaristi la

ridistribuzione del reddito da parte dello Stato va fatta a condizione

che W aumenti. Considerando l’equazione W=U1+U2+…+Un, cioè la

funzione del benessere sociale additiva (che definisce il benessere

sociale come la somma delle utilità individuali); se l’obiettivo dello

Stato è quello di massimizzare il valore di W, può ottenerlo

aumentando le risorse di uno qualsiasi degli individui coinvolti, non

necessariamente del più povero. Questa funzione è neutrale dal punto

di vista distributivo. Graficamente può essere rappresentata con curve di indifferenza sociali lineari.

Questa funzione del benessere sociale ci consente di ottenere risultati non neutrali da un punto di vista

distributivo solo se introduciamo alcune assunzioni ulteriori. In particolare se assumiamo che:

- Tutti gli individui hanno funzioni di utilità identiche che dipendono soltanto dal loro reddito;

- Queste funzioni di utilità presentano un’utilità marginale del reddito decrescente, ossia man mano

che il reddito di un individuo aumenta, il suo benessere cresce, ma in misura sempre minore;

- La quantità totale del reddito disponibile è fissa.

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Per massimizzare una funzione del benessere sociale additiva, lo Stato dovrebbe ridistribuire il reddito in

modo tale da raggiungere la perfetta uguaglianza, come possiamo notare dal grafico:

Se Pietro e Paolo hanno funzioni di utilità identiche,

che dipendono unicamente dai loro redditi, con utilità

marginali decrescenti e se il reddito totale è fisso, la

somma dell’utilità è maggiore quando il reddito è

suddiviso in parti esattamente uguali. L’obiettivo

dell’intervento pubblico dovrebbe, quindi, essere

l’assoluta uguaglianza di reddito tra i cittadini.

Però è impossibile stabile se persone diverse hanno

funzioni di utilità uguali. Non si può sapere se individui

diversi ricavano lo stesso piacere dal consumo del

medesimo paniere di beni, perché non è possibile

misurare oggettivamente la soddisfazione. Inoltre non

è molto plausibile che l’utilità marginale del reddito sia

decrescente. Infine il modello tiene conto solo del reddito, ma anche il tempo libero è importante.

Il criterio del Maxmin

Si consideri questa equazione: W=minimo(U1,U2,…,Un) . in base a questa

equazione il benessere della società dipende unicamente dall’utilità

dell’individuo che sta peggio di tutti. In questo caso l’obiettivo è quello di

massimizzare l’utilità dell’individuo con il minimo livello di utilità.

In questo caso il miglioramento del benessere collettivo si avrebbe

passando dall’allocazione A alla C, mantenendo l’utilità di Pietro (ricco)

invariata, mentre aumenta quella di Paolo (povero). L’adozione di tale

criterio implica che bisogna perseguire la perfetta uguaglianza nella

distribuzione del reddito, accettando le disparità che servono ad

accrescere l’utilità delle persone che stanno peggio.

Una ridistribuzione del reddito Pareto efficiente

Finora abbiamo ipotizzato ridistribuzioni del reddito che migliorino le condizioni di alcuni a scapito di altri.

Questo però dipende dall’ipotesi che l’utilità di ciascun individuo dipenda unicamente dal sul livello di

reddito. Se invece supponessimo che le persone ricche sono altruiste e che traggono un’utilità dal donare e

che quindi l’utilità non dipenda più solo dal reddito potremmo avere un miglioramento paretiano.

Punti di vista non individualistici

Secondo altre correnti di pensiero, il problema si dovrebbe affrontare specificando le caratteristiche della

distribuzione del reddito a prescindere dai gusti individuali. Tobin ha proposto che fossero distribuiti

equamente solo alcuni beni, una posizione definita egualitarismo dei beni, idea secondo la quale tutti

devono avere una certa disponibilità di alcuni specifici beni (generi alimentari, istruzione minima).

Altri sostengono che un’equa distribuzione del reddito dipenda sostanzialmente dal processo che la

determina.

L’incidenza della spesa pubblica sulla distribuzione del reddito

Lo Stato influisce sulla distribuzione del reddito sia con l’imposizione fiscale sia con le politiche della spesa.

L’incidenza della spesa misura gli effetti delle politiche di spesa sulla distribuzione del reddito. Qualsiasi

intervento pubblico innesca una serie di variazioni di prezzo che influiscono sul reddito degli individui sia in

quanto consumatori di beni sia in quanto fornitori di input. A parità di altre condizioni, un programma di

spesa che aumenta il prezzo relativo di un bene che consumiamo intensamente peggiora le nostre

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condizioni, mentre un programma che aumenta il prezzo relativo di un fatto che forniamo, le migliore. È

difficile però valutare l’impatto delle politiche.

Una buona parte della spesa è destinata al finanziamento dei beni pubblici, ma se i consumatori non

rivelano effettivamente quanto valutano i beni pubblici, come possiamo stabilirne l’effetto sulla

distribuzione del reddito?

Altro punto è che non è semplice stabilire se siano più opportuni i trasferimenti in denaro o in natura.

Quelli in denaro possono sembrare più allettanti per chi li riceve, ma potrebbero indurre comportamenti

opportunistici da parte dei più abbienti, e comunque dipende sempre dalle curve d indifferenza.

CAP.9

La spesa sanitaria e gli interventi in caso di disoccupazione

Le assicurazioni

L’assicurazione sanitaria funziona in questo modo: l’acquirente versa una somma di denaro, che prende il

nome di premio assicurativo, alla compagnia di assicurazione, la quale accetta di erogare una somma di

denaro all’assicurato qualora dovesse verificarsi un evento sfavorevole che interessa la sua salute, come nel

caso di una malattia. A parità di condizioni, maggiore è il premio assicurativo, più numerosi sono gli eventi

per cui l’acquirente della polizza riceve il rimborso. La sottoscrizione delle polizze assicurative derive

dall’avversità al rischio delle persone, per cui l’utilità associata alla somma certa è superiore; tant’è che

quanto più un soggetto è avverso al rischio, tanto più sarà disposto a pagare in cambio di un’assicurazione

completa, per minimizzare il rischio.

Molto importante nel processo assicurativo è la somma dei rischi individuali: più sono le persone in un

grippo di assicurati, più gli esborsi da parte della compagnia sono prevedibili. Una maggiore prevedibilità

consente alla compagnia di calcolare un premio da far pagare ai suoi assicurati tale per cui con buone

probabilità coprirà i suoi esborsi, riducendo il suo rischio.

Cos’ha di speciale questo mercato? Perché c’è bisogno dell’intervento del settore pubblico? Il problema

nasce da un fallimento di mercato, ossia l’informazione asimmetrica, che si produce quando una delle parti

coinvolte in una transazione dispone di informazioni che l’altra non possiede. Se la compagnia assicurativa

sapesse quali sono gli individui con rischio elevato, potrebbe far pagare loro un premio maggiore e coprire i

suoi costi; il problema p che non lo sa, pertanto l’assicuratore non ha altra scelta se non quella di far pagare

a tutti lo stesso premio. Si verificherà così un altro problema noto come selezione avversa, che si verifica

quando un assicuratore stabilisce un premio sulla base del rischio medio della popolazione, ma gli individui

con rischio basso non acquistano la polizza assicurativa, con la conseguenza che l’assicuratore perde

denaro. Le compagnie assicurative possono superare il problema dell’asimmetria informativa acquisendo

più informazioni possibili, stabilendo dei profili di rischio specifici per ogni singolo cliente e facendo pagare

loro un premio differenziato. Eppure se l’asimmetria informativa venisse completamente superata alcune

persone potrebbero anche non essere assicurate a causa magari di patologie genetiche o malattie gravi o

dover pagare un premio eccessivamente alto. Per questo si rende necessario l’intervento pubblico, perché

può risolvere il problema, fornendo una copertura assicurativa sanitaria per l’intera popolazione o

rendendo la sottoscrizione obbligatoria e stabilendo dei premi uniformi.

L’assicurazione può avere anche effetti discorsivi sul comportamento individuale. Se gli individui sanno di

poter contare su una copertura assicurativa, possono non prendere le precauzioni necessaria a evitare i

rischi. La conseguenza è che gli assicurati possono decidere di condurre uno stile di vita meno salubre

perché l’assicurazione riduce le conseguenze negative associate a questo tipo di comportamento. Allo

stesso modo, gli individui hanno un incentivo a consumare una quantità eccessiva di cure sanitarie, perché

l’assicurazione compre, almeno in parte, i relativi costo. Questi problemi di incentivo sono chiamati azzardo

morale ed è un altro fallimento del mercato assicurativo sanitario. L’azzardo morale può portare a una

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spesa per l’assistenza sanitaria molto elevata, se i pazienti non sopportano direttamente il costo dei servizi

che acquistano. Quanto più generosa è la polizza, tanto maggiore è la protezione, ma tanto maggiore è

anche l’azzardo morale. Un’assicurazione efficiente bilancia i guadagni derivanti dalla riduzione del rischio

con le perdite associate all’azzardo morale, richiedendo esborsi elevati a carico dell’assicurato per i servizi

medici a basso costo e coperture più generose per i servizi costosi.

Un altro problema del mercato dell’assistenza sanitaria è che gli individui potrebbero non essere ben

informati sui servizi che acquistano. Capire qual è la cura migliore è un’operazione molto complessa. Al

paziente non resta dunque che affidarsi all’esperienza del proprio medico. Il problema si complica se al

paziente mancano anche buone informazione sull’effettiva competenza del medico. Una soluzione a questo

problema è quella di creare, come in Italia, un albo in cui i medici possano iscriversi solo però a seguito di

un determinato percorso di studi, così da assicurare la competenza del medico al paziente. Il problema è

che questo metodo è stato utilizzato per controllare la quantità di professionisti sul mercato facendo

aumentare le retribuzioni dei medici al di sopra del livello concorrenziale, il che è inefficiente.

L’acquisto di servizi medici può creare delle esternalità, sia positive sia negative. Facendosi un vaccino per

esempio, si evita la trasmissione della malattia, quindi crea un’esternalità positiva. Viceversa, facendo un

uso eccessivo di antibiotici si potrebbero rafforzare i ceppi di batteri immuni, generando esternalità

negative.

La sanità pubblica viene vista come un intervento equo. Chi sostiene l’intervento pubblico nella produzione

e/o fornitura di beni sanitari, ritiene che il diritto alla cura rientri tra i diritti di cittadinanza e che vada

quindi garantito a tutti.

Il sistema sanitario in Italia

Il servizio sanitario nazionale SSN è stato introdotto in Italia nel 1978. L’obiettivo era quello di adottare un

servizio universale, ossia diretto a tutti indipendentemente dal livello di reddito, dalla condizione

occupazionale e professionale. Il SSN doveva essere finanziato con la fiscalità generale e per l’utente finale

le prestazioni dovevano essere gratuite. Nel corso degli anni, sono stati introdotti i cosiddetti ticket, somme

di entità inferiore rispetto al costo della prestazione, ma finalizzate a responsabilizzare gli utenti nella

domanda di viste e farmaci, e a limitare il fenomeno di azzardo morale e di crescita della spesa.

Il finanziamento del SSN adottato nel anni ’80 e primi anni ’90 in Italia è un tipo esempio di sistema che non

incentiva comportamenti responsabili da parte degli amministratori: le risorse erano gestite localmente

dalle USL mentre le responsabilità di reperirle era degli amministratori centrali. Da un lato, quindi, i

funzionari delle USL non erano incentivati a un controllo rigoroso della spesa, perché l’onere politico di

reperire il finanziamento non era a carico loro. D’altra parte, gli stanziamenti del Fondo Sanitario Nazionale

FSN decisi dagli amministratori centrali non sempre erano adeguati. Così si formavano deviti presso i

fornitori e le banche che lo Stato ripianava solo a posteriori. Nel 1993 gli stanziamenti del FSN e la loro

ripartizione tra le Regioni italiane sono stati stabiliti in base alla quota capitaria, ossia una quota pro capite

uniforme su tutto il territorio nazionale, tale quota veniva corretta per tener conto della spesa storia di

ciascuna Regione e dei cosiddetti trasferimenti interregionali. Nel biennio 1999-2000 è stato abolito il FSN

(nell’ambito del federalismo fiscale) ed è stato stabilito che le regioni siano finanziate con:

- Tributi propri: ovvero l’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive) e l’addizionale all’IRPEF

(pari ad un massimo di un punto percentuale sull’aliquota base del 3,9%);

- Una compartecipazione al gettito dell’IVA, peraltro non vincolata alla spesa sanitaria.

Dal punto di vista della gestione, è stato introdotto il principio della separazione tra chi fornisce la

prestazione e chi l’acquista. La separazione di queste due fasi dovrebbe allargare gli spazi della concorrenza

tra fornitori, aumentare e diversificare l’offerta. Questo obiettivo è stato perseguito sostituendo le vecchie

USL con le ASL, aziende dotate di personalità giuridica e con autonomia gestionale e finanziaria. In

sostanza, le ASL possono fornire direttamente il servizio oppure decidere di acquistare le prestazioni da

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privati. Le prestazioni fornite dalle strutture ospedaliere e da quelle private vengono pagate dalle ASL in

base ai DRG. Con i DRG (Diagnostic Related Group) il pagamento avviene in base alla diagnosi che viene

formulata all’inizio della cura; ogni diagnosi colloca le cure in un certo gruppo al quale corrisponde

l’importo che la struttura a diritto a percepire.

L’assicurazione contro la disoccupazione

Le pensioni che assolvono la funzione assistenziale hanno come obiettivo quello di assicurare a tutti,

indipendentemente dalle capacità lavorative, un reddito minimo. Si tratta delle pensioni di invalidità e dei

sussidi per i disoccupati. L’obiettivo dell’assicurazione contro la disoccupazione è reintegrare il reddito

perso dal lavoratore che rimane disoccupato. Perché questa dovrebbe essere fornita dallo Stato? Perché in

presenza di disoccupazione i mercati privati non forniscono la quantità efficiente di assicurazione a causa di

selezione avversa e azzardo morale. Un programma assicurativo pubblico obbligatorio evita il problema

della selezione avversa ma non elimina l’azzardo morale.

I sostenitori del reddito generalizzato argomento che questo avrebbe il pregio di rendere meno penosi i

processi di mobilità e qualificazione, inoltre dando del tempo al disoccupato di cercare un lavoro più

confacente alle sue caratteristiche si aumenterebbe inoltre l’efficienza. Di contro però si potrebbe

sostenere che, partendo dal problema dell’azzardo morale, gli individui con bassi salari potrebbero essere

disincentivatati a lavorare, facendo aumentare il prelievo sui più abbienti, facendo calare poi l’offerta di

lavoro; simmetricamente si potrebbe avere un aumento del lavoro nero.

I sussidi di disoccupazione e gli incentivi al lavoro

In che modo un programma di assistenza temporanea incide sulle scelte relative al lavoro dei soggetti

interessati? Le due variabili principali che caratterizzano questo programma sono: l’ammontare del sussidio

di base che l’individuo riceve se non lavora G, mentre la seconda è il tasso al quale tale sussidio viene

ridotto quando l’interessato comincia a lavorare e a guadagnare, t.

Il vincolo di bilancio per un soggetto, indica il suo trade off tra ore di tempo libero e reddito. In assenza di

un programma di welfare, se il soggetto non lavora affatto, il suo reddito è zero (il punto T). Per ciascuna

ora che lavora, riceve il salario orario di w euro (che anche la pendenza della curva). W rappresenta anche il

costo opportunità per ora di tempo libero, le varie combinazioni tra lavoro e tempo libero ci danno la retta

DT. Le preferenze sono come sempre espresse dalle curve di indifferenza.

Se il soggetto dovesse avere i requisiti per partecipare al programma di welfare, come verrà modificato il

suo comportamento? In presenza del sussidio, un’opzione è rappresentata dal punto Q, in corrispondenza

del quale non viene offerto lavoro ma si riceve comunque il sussidio. Man mano che si inizia a lavorare

questo viene ridotto a seconda della percentuale dell’aliquota implicita sulle ore lavorate fino ad annullarsi

quando si lavora VT ore, ossia quando il suo reddito è abbastanza elevato per cui non riceve più alcun

sussidio. Il nuovo vincolo di bilancio sarà quindi la retta spezzata QSD. La decisione finale lavorativa dipende

dalle forme delle curve di indifferenza individuali. Stando alla figura il soggetto lavora meno di quanto

facesse in assenza del programma di sussidi.

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L’analisi fin qui condotta assume che il destinatario del programma di welfare possa scegliere quante ore

lavorare e che possa fruire del programma se scegli di non lavorare affatto. Un programma alternativo è il

cosiddetto workfare: gli individui idonei all’impiego ricevono i sussidi soltanto se accettano un impiego

qualora gli venga offerto. Una delle caratteristiche comuni di questo tipo di programmi adottati nei diversi

Paesi sono i limiti temporali.

Gli interventi in caso di disoccupazione in Italia

In Italia esistono diversi interventi che possono essere definiti assicurazione contro la disoccupazione. I due

interventi più importanti sono gestiti dall’INPS; sono l’indennità ordinaria di disoccupazione e la cassa

integrazione guadagni. La prima spetta ai lavoratori che si sono licenziati e che abbiano almeno due anni di

contribuzione per l’assicurazione per la disoccupazione involontaria, o almeno 52 contributi settimanali nel

biennio precedente la data di cessazione del rapporto di lavoro. Ha durata 6 mesi ed è corrisposta nella

misura del 40% della retribuzione percepita nei tre mesi precedenti la cessazione del lavoro, nei limiti di un

importo massimo mensile. La cassa integrazione guadagni è un intervento a sostegno delle imprese in

difficoltà che garantisce al lavoratore un reddito sostituivo della retribuzione. Spetta agli operai, impiegati e

quadri delle aziende industriali in caso di sospensione o riduzione dell’attività produttiva dovuta a eventi

temporanei non imputabili all’imprenditore o ai lavoratori. È pari all’80% della retribuzione e viene

corrisposta per un massimo di 13 settimana, prorogabili a 12 mesi e, in determinati casi, fino a 24.

Critiche all’intervento pubblico

Negli ultimi anni il sistema del welfare state è stato messo in discussione. La crescita economica ha

cominciato a rallentare e la popolazione ad invecchiare, questa minor crescita ha reso il problema della

disoccupazione particolarmente serio e tutti i meccanismi di disincentivo al lavoro sono stati messi sotto

esame. La tassazione sul reddito, con cui si finanzia la spesa sociale, è stato uno degli aspetti più discussi. Le

critiche più frequenti hanno riguardato:

- L’efficienza nell’impiego delle risorse: perché non sempre riescono a soddisfare la domanda dei

cittadini, a causa anche dell’alta qualità dei servizi domandati, derivanti dal maggiore reddito;

- La spesa crescente sostenuta dalla collettività: l’insoddisfazione cresce perché ad una domanda non

sempre soddisfatta corrispondo però sempre maggiori oneri per il finanziamento di questi servizi;

- Gli effetti distributivi non sempre coerenti che ne sono derivati.

CAP.10

La spesa previdenziale

Le scelte di risparmio

Il punto di partenza per la maggior parte degli studi sulla previdenza sociale e sul risparmio è la teoria del

ciclo vitale del risparmio, secondo la quale le decisioni di consumo e risparmio da parte degli individui si

basano su considerazioni riguardanti la loro vita intera: durante la vita lavorativa, gli individui risparmiano

parte del loro reddito per accumulare i fondi dai quale potranno attingere per finanziare il consumo

durante il periodo in cui saranno in pensione. L’introduzione del sistema previdenziale può notevolmente

alterare la quantità di risparmio nel corso della vita; tali variazioni sono la conseguenza di tre effetti:

1) L’effetto sostituzione della ricchezza: secondo questa teoria, i lavoratori sono consapevoli che, in

cambio dei contributi versati alla previdenza sociale, riceveranno una data pensione. Se

considerano i contributi della previdenza sociale un mezzo per “risparmiare” in funzione di questi

benefici futuri, tenderanno a risparmiare meno per conto loro. Analizziamo il modello del ciclo di

vita, se un soggetto prevedere di vivere in due periodo, ora (periodo 0) e il futuro (periodo 1), egli

ha un reddito pario a I0 euro ora e sa che sarà I1 euro in futuro. Il suo problema è decidere quanto

consumare in ciascun periodo. Nel momento in cui decide quanto consumare, stabilisce anche

quanto risparmiare o prendere in prestito. Il primo passo consiste nel rappresentare le

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combinazioni possibili di consumo presente e

futuro che si hanno a disposizione, ossia il vincolo

di bilancio. Il “paniere delle dotazioni iniziali” è

rappresentato con il punto A dove sono risparmia

né si prende in prestito. Se si decide di risparmiare

S euro, questi possono essere investiti in attività

con un tasso di interesse di r, questo porterà un

aumento del consumo futuro di (1+r)S, ossia la

quota capitale risparmiata più gli interessi. In

alternativa si può consumare più di I0 e ricorrere al

prestito, in questo caso dovrà invece restituire

degli interessi pari a r e quindi il suo consumo

futuro diminuirà di (1+r)B. Ripetendo questo

procedimento per tutti i valori di S e B, possiamo

determinare quanto consumo futuro è associabile

a ciascuna quantità di consumo attuale, tracciamo così la retta MN, che passa per il paniere delle

dotazioni iniziali A e ha un’inclinazione in valore assoluto di 1+r. Dal momento che MN indica il

trade off tra consumo presente e futuro, prende il nome di

vincolo di bilancio intertemporale. Per determinare la scelta

lungo MN si introdurranno poi le curve di indifferenza. Come

incide l’introduzione della previdenza sociale sul risparmio?

Il contributo per la previdenza sociale fa spostare il soggetto

di C unità verso sinistra: il consumo attuale risulta ridotto dal

contributo. Ma allo stesso tempo il programma di previdenza

sociale lo fa spostare verso l’alto di una distanza pari a

(1+r)C, in quanto il suo consumo futuro aumenterà di quella

cifra. R ha sostituito A come punto di dotazione iniziale, il

vincolo di bilancio è sempre MN, quindi ora risparmierà

meno, cioè soltanto I0C-c*0 . Egli considera i contributi versati

alla previdenza come parte dei suoi risparmi;

2) L’effetto anticipo dell’età del pensionamento: la previdenza sociale potrebbe indurre a risparmiare

di più per finanziare un periodo di pensionamento più lungo, dovuto all’incentivo da parte della

previdenza sociale ad andare in pensione prima;

3) L’effetto eredità: le persone aumentano il risparmio per compensare l’impatto della previdenza

sociale sui redditi dei propri figli.

Sistemi pensionistici a capitalizzazione e a ripartizione

A proposito delle modalità di finanziamento, le entrate degli istituti previdenziali pubblici sono i contributi

versati da lavoratori e datori di lavoro che possono esser impiegati in maniera diversa a seconda che il

sistema di finanziamento sia a ripartizione o a capitalizzazione.

Nei sistemi a ripartizione il gettito contributivo riscosso in ogni periodo è destinato al finanziamento delle

prestazioni erogate in quello stesso periodo; detto altrimenti, la generazione che lavora paga le pensioni di

coloro che hanno cessato di lavorare. Nei sistemi a capitalizzazione i contributi versati dai lavoratori sono

investiti nel mercato dei capitali e, al momento del pensionamento, la pensione è parti ai contributi versati

aumentati del tasso di rendimento ottenuto dal loro impiego.

Se si assume che la popolazione cresce a un tasso n; i giovani nell’intera vita lavorativa percepiscono un

salario e pagano un’aliquota contributiva pari a c. Assumiamo, inoltre, che la produttività del lavoro cresca

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a un tasso di crescita costante m, che si riflette interamente sui salari. In questo modello il tasso di

interesse reale r è costante per tutto il periodo. Nt è il numero di individui appartenenti alla generazione

degli anziani, mentre Nt+1 sono i giovani. Al tempo t il monte salari sarà pari a StNt e il monte contributivo a

cStNt.

Nei sistemi a ripartizione, al tempo t+1 il monte contributivo serve per pagare le pensioni degli anziani, la

cui pensione pro capite sarà quindi pari al rapporto tra i contributi che stanno versando i giovani (cSt+1Nt+1)

e il numero di anziani (Nt) che hanno diritto alla pensione, ossia:

𝑃𝑟𝑖𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 =𝑐𝑆𝑡+1 ∙ 𝑁𝑡+1

𝑁𝑡= 𝑐𝑆𝑡 1 +𝑚 (1 + 𝑛)

Nel sistema a capitalizzazione, invece, il monte contributivo versato dagli anziani (cStNt) nel primo periodo

verrà impiegato al tasso r e utilizzato nel secondo periodo per pagare le pensioni, il cui importo pro capite

sarà:

𝑃𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 =𝑐𝑆𝑡𝑁𝑡(1 + 𝑟)

𝑁𝑡= 𝑐𝑆𝑡 1 + 𝑟

Una delle giustificazioni all’intervento dello Stato nel settore previdenziale è la necessità di garantire le

pensioni in termini reali, assicurando i lavoratori contro il rischio del deprezzamento della moneta dovuto

all’inflazione. In origine il sistema previdenziale italiano era a capitalizzazione, ma i significativi tassi di

inflazione registrati nel corso degli anni ’70 hanno favorito il passaggio a un sistema a ripartizione. Al

momento dell’introduzione del sistema a ripartizione, l’alto numero di lavoratori produceva una massa

salariale e contributiva in grado di coprire la spese per le pensioni. Successivamente però, l’invecchiamento

della popolazione (n si è ridotto) e la riduzione dell’occupazione (anche m è più contenuto) hanno fatto si

che il tasso di crescita del monte contributivo non è più stato sufficiente a coprire le prestazioni

previdenziali che lo Stato si era impegnato a garantire. Da qui la formazione del debito previdenziale e la

necessità di ulteriori interventi di riforma.

Sistemi contributivi e retributivi

I sistemi pensionistici si possono distinguere anche a seconda del criterio utilizzato per definire

l’ammontare della pensione, che può essere calcolata facendo riferimento, alternativamente,

all’ammontare del salario del lavoratore o ai contributi versati. Nel primo caso, si parla di sistema

retributivo e il salario considerato per definire la pensione può essere quello dell’ultimo periodo

dell’attività lavorativa o una media di quanto guadagnato nell’intera vita lavorativa. Nel secondo caso il

sistema è definito di tipo contributivo e l’intervento pubblico mira a vincolare i singoli a un risparmio

forzoso in vista del periodo di inattività; e la pensione è calcolata in base ai contributi versati dal lavoratore

durante la sua carriera.

In Italia, fino agli inizi degli anni ’90, il sistema previdenziale era a ripartizione di tipo retributivo e

caratterizzato da un imponente debito previdenziale e marcate differenziazioni di trattamento tra categorie

di lavori e tra settori dell’economia. Le pensioni di anzianità e quelle di invalidità sono state a lungo

utilizzate per gestire le fasi negative del ciclo economico e i processi di trasformazione della produzione al

posto dei sussidi alla disoccupazione. La riforma Dini nel ’96 ha trasformato il sistema da retributivo a

contributivo (a ripartizione). Successive riforme da parte dei governi Prodi e Berlusconi hanno innalzato

l’età pensionabile sia per gli uomini che per le donne, seguendo quando imposto dalla corte di giustizia

europea, a 65 anni, creato una serie di “scalini” con l’obiettivo di allungare l’età pensionabile per

raggiungere l’obiettivo dell’UE.

CAP.11

L’analisi costi – benefici

Serie di procedure che aiutano a prendere decisioni di spesa pubblica.

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Il valore attuale

Di solito l’analisi di un progetto richiede il confronto dei costi e dei benefici in periodi di tempo diversi. Se si

invetono I euro per T anni a un tasso di interesse i, trascorsi T anni la somma sarà diventata I x (1+i)T euro.

Questa formula consente di determinare il valore futuro di una somma di denaro investita oggi. Quindi il

valore attuale di 100 euro pagabili tra un anno è inferiore a 100 euro disponibili oggi. Il valore attuale di

una somma di denaro disponibile in futuro è la cifra massima che sareste disposti a pagare oggi per avere il

diritto a riscuotere quella somma in futuro. Quando il tasso di interesse è i, il valore attuale di una

promessa a pagare R euro allo scadere di T anni è semplicemente R/(1+i)T euro. Perciò il valore di un euro

disponibile in futuro è inferiore a quello di un euro disponibile oggi e deve essere “scontato” per una

somma che dipende dal tasso di interesse e dal tempo che dovrà trascorrere prima che la somma sia

esigibile. Per questa ragione spesso i viene definito tasso di sconto e (1+i)T fattore di sconto. Più sarà

lontana la data in cui il prestito sarà esigibile (cioè quanto più è grande T) minore sarà il valore attuale. Il

procedimento corretto per analizzare il valore attuale di una somma disponibile tra più anni sarà la

seguente, e consiste nell’attualizzare ciascuna delle cifre e poi sommarle:

𝑉𝑎 = 𝑅0𝑅1

(1 + 𝑟)+

𝑅2(1 + 𝑟)2

+⋯+𝑅𝑇

(1 + 𝑟)𝑇

Inflazione

Come si modifica questo calcolo in caso di inflazione? Quando si prevede un aumento dei prezzi, chi presta

denaro non presterà più al tasso di interesse i prevalente quando i prezzi erano stabili, perché sa che il

denaro che gli verrà restituito avrà un minor valore, perché dovrà considerare l’inflazione e quindi dovrà

scontarla anche per (1+π). Analogamente si dovrò comportare per la somma restituita il secondo anno

calcolando (1+π)2 e così via. Quindi bisognerà moltiplicare tutti i membri (sia nominatore che

denominatore) nella formula del Va per (1+π), però questo equivale alla formula del Va stesso perché si

annullano a vicenda. Quindi sia usando grandezze reali (somma valutata tenendo conto della variazione del

livello generale dei prezzi) sia usando grandezze nominali (somma valutata a libello di prezzi dell’anno in cui

la somma è scambiata) si ottiene lo stesso valore attuale.

Analisi di un progetto privato

Un buon punto di partenza può essere quello di considerare lo stesso problema dal punto di vista di

un’azienda privata. Supponiamo che un’azienda stai valutando due progetti alternativi, X e Y. I costi e i

benefici reali del progetto X li indichiamo con CX e BX, e quelli del progetto Y con CY e BY e ipotizziamo che

entrambi i progetti si possano realizzare immediatamente. L’aziende deve rispondere a due domande: è

opportuno realizzare questi progetti, ossia sono ammissibili? Se entrai i progetti sono ammissibili, qual è il

migliore? Un progetto è ammissibile solo se il suo rendimento netto è positivo, cioè se i benefici sono

maggiori dei costi. Se entrambi i progetti sono ammissibili bisognerà scegliere il migliore. I benefici, i costi e

i rendimenti reali di quasi tutti i progetti non si realizzano immediatamente, ma si producono come somme

di flussi temporali. Supponiamo che i costi e i benefici iniziali del progetto X siano B0X e C0

X e che alla fine del

primo anno siano B1X e C1

X e alla fine dell’ultimo anno siano BTX e CT

X, possiamo definire il progetto X come

flusso di rendimenti netti: (B0X-C0

X),(B1X-C1

X),(B2X-C2

X),…,(BTX-CT

X). Il valore attuale di questo flusso di utili è:

𝑉𝑎𝑋 = 𝐵0𝑋 − 𝐶0

𝑋 +𝐵1

𝑋−𝐶1𝑋

1+𝑖+

𝐵2𝑋−𝐶2

𝑋

(1+𝑖)2+⋯+

𝐵𝑇𝑋−𝐶𝑇

𝑋

(1+𝑖)𝑇 dove i è il tasso di sconto “adeguato” a un progetto del

settore privato. Analogamente per il progetto Y. Il tasso di sconto è un elemento chiave dell’analisi. Se si

sceglie un tasso di sconto troppo alto, si discriminano negativamente i progetti con rendite concentrate in

un futuro relativamente lontano e viceversa.

Tasso interno di rendimento

Se un progetto rende un flusso di benefici (B) e comporta dei costi (C) nel periodo T, il tasso interno di

rendimento ρ è definito dal valore di ρ che risolve questa equazione:

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𝐵0 − 𝐶0 +𝐵1−𝐶1

1+ρ+

𝐵2−𝐶2

(1+ρ)2+⋯+

𝐵𝑟−𝐶𝑟

(1+ρ)𝑟= 0 il tasso di rendimento è il tasso di sconto che renderebbe il

valore attuale del progetto pari a 0, ovvero quello che consente di recuperare al tempo T il valore

dell’investimento iniziale. Ne deriva che un progetto è ammissibile se ρ supera il costo opportunità

dell’investimento, i. Per esempio, se il progetto ha un tasso di rendimento del 4% mentre con altri

investimenti l’azienda può ottenere solo il 3%, il progetto dovrebbe essere realizzato. D’altra parte, volendo

comparare due progetti alternativi, ma entrambi ammissibili, si deve scegliere quello il valore di ρ più alto.

Tasso di sconto nel settore pubblico

Nel settore pubblico costi, benefici e tassi di sconto devono essere calcolati in modo diverso dal settore

privato. Le possibilità sono:

- Usare tassi basati sui rendimenti del settore privato, quindi il costo opportunità del progetto

pubblico è pari al tasso di rendimento dell’investimento del settore privato;

- Usare il tasso sociale di sconto, che sarebbe il valore che la società attribuisce al consumo

sacrificato per finanziare un dato progetto.

Una soluzione alternativa sarebbe quella di calcolare il valore attuale di un progetto rispetto a una serie di

tassi di sconto e vedere se rimane positivo per tutti i valori ammissibili di i o meno; se il valore attuale è

sempre positivo, è probabile che la conclusione non sia sensibile al tasso di sconto utilizzato.

Calcolo dei costi e dei benefici

Il calcolo di costi e benefici dei progetti pubblici deve tenere conto di diversi aspetti:

- I prezzi di mercato sono un valido riferimento quando vi siano fondate ragioni per credere che

derivino dai costi marginali;

- I prezzi ombra adeguano i prezzi di mercato correggendo le deviazioni dai costi sociali marginali

dovuti alle imperfezioni del mercato;

- Se la manodopera è disoccupata e rimarrà tale per tutta la durata del progetto il costo opportunità

è basso, ma prevedere la disoccupazione è difficile;

- Se progetti statali di vasta portata mutano i prezzi di equilibrio, si può ricorrere al surplus del

consumatore per misurarne gli effetti sugli individui (vedi grafico);

- Per i beni le cui ragioni di scambio non sono definite dal mercato, il loro valore può essere dedotto

osservando il comportamento delle persone. Due esempi sono il calcolo dei benefici nel risparmio

di tempo e i benefici nel ridurre le probabilità di morte.

Alcuni errori

L’analisi costi-benefici è talvolta soggetta ad alcuni tranelli:

- Il tranello della reazione a catena: si calcolo benefici secondari per rendere la proposta più

appetibile senza includere i corrispondenti costi secondari;

- Il tranello della manodopera: si calcolano i salari come benefici e non come costi del progetto;

- Il tranello del doppio conteggio: i benefici vengono conteggiati, erroneamente, due volte.

Considerazioni sulla distribuzione del reddito

Esistono opinioni discordi riguardanti l’opportunità o meno di inserire nell’analisi costi-benefici

considerazioni di tipo distributivo. Alcuni analisti ritengono che il denaro abbia il medesimo valore per tutti,

mentre altri applicano pesi diversi per favorire i progetti destinati a certi gruppi. Date rilevanti implicazioni

politiche di questo tipo di considerazioni, i pesi distributivi devono essere introdotti nell’analisi in modo

esplicito. Secondo il criterio Hicks-Kaldor, per valutare un progetto bisogna verificare se vi sia o meno un

potenziale miglioramento paretiano; un progetto dovrebbe essere realizzato soltanto se presenta un valore

attuale netto positivo, indipendentemente dalle conseguenze in termini di distribuzione.

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Il problema dell’incertezza

Nelle situazioni di incertezza, a parità di condizioni, gli individui tendono a scartare i progetti rischiosi. In

generali i costi-benefici di progetti incerti devono essere corretti tenendo conto di questo. Questo è anche

il motivo per cui nel caso in cui i benefici o i costi di un progetto siano a rischio devono essere convertiti in

equivalenti certi, ossia nella somma certa che gli individui sono disposti a scambiare con un flusso di esiti

incerti generati da un progetto. Per calcolare l’equivalente certo è necessario raccogliere informazioni sia

sulla distribuzione dei rendimenti del progetto sia su quanto siano avverse al rischio le persone interessate.

CAP.12

Tassazione e distribuzione del reddito

L’incidenza legale indica il soggetto che è giuridicamente tenuto al pagamento dell’imposta. Al contrario,

l’incidenza economica dell’imposta rappresenta la variazione nella distribuzione del reddito determinata

dalla sua introduzione, ovvero chi ne sopporta effettivamente l’onere. La traslazione dell’imposta

determina la differenza tra incidenza legale e incidenza economica.

L’incidenza dell’imposta

L’analisi dei modi in cui le imposte influiscono sulla distribuzione del reddito dovrebbero tener conto che:

solo le persone fisiche possono pagare le imposte, per l’economista solo le persone sopportano il carico

fiscale; si dovrebbero considerare sia le fonti sia gli impieghi del reddito, perché l’incidenza globale dipende

dai modi in cui vengono colpite le fonti e gli impieghi del reddito; l’incidenza dipende dalle modalità di

determinazione dei prezzi; e dipende anche dalla destinazione del gettito fiscale.

La progressività dell’imposta

In base all’incidenza economica l’imposta viene poi definita:proporzionale, progressiva o regressiva. Un

metodo per individuare una definizione consiste nell’utilizzare il concetto di aliquota media, ossia il

rapporto tra le imposte versate e il reddito. Se l’aliquota media è costante, indipendentemente dal livello

del reddito, l’imposta è proporzionale. Se l’aliquota media aumenta al crescere del reddito, il sistema

impositivo è progressivo, se scende, è regressivo.

Modelli di equilibrio parziale

Sono modelli che considerano unicamente ciò che avviene in un mercato ignorando i possibili effetti su altri

mercati.

Imposte specifiche sui beni di consumo

Esaminiamo l’incidenza di un’imposta specifica, denominata in questo modo perché applicata come

ammontare fisso su ogni unità di bene venduto. Supponiamo ora che venda introdotta un’imposta specifica

pari a u euro al litro e che l’incidenza legale sia a carico

dei consumatori. In presenza di un’imposta, il prezzo

pagato dai consumatori differisce dal prezzo ricevuto

dai produttori. Dopo l’introduzione dell’imposta

specifica u, il massimo che le persone sarebbero

disposte a spendere per Qa è ancora Pa. Non c’è motivo

di ritenere che l’imposta influisca su come gli individui

valutano lo champagne. Tuttavia, quando i consumatori

pagano Pa al litro, chi lo vende non riceve più l’intero

importo, ma solo Pa-u. la nuova curva di domanda si

trova esattamente u euro al di sotto della vecchia.

Il passo successivo consiste nell’individuare il nuovo

prezzo di equilibrio. In realtà i prezzi sono due: quello ricevuto dai produttori e quello pagato dai

consumatori. Il primo si trova nel punto di intersezione tra la curva di domanda e di offerta effettive, il

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punto Pn. Il prezzo pagato dai consumatori è Pn+u, l’imposta specifica. Dopo l’applicazione dell’imposta

specifica ai consumatori la nuova quantità di equilibrio è Q1. In seguito all’introduzione dell’imposta il

benessere dei consumatori peggiora perché Pg, il nuovo prezzo, è superiore a quello originale P0. Tuttavia,

il prezzo dei consumatori non aumenta dell’importo totale dell’imposta: Pg-P0 è inferiore a u. anche i

produttori pagano una parte dell’imposta pari al prezzo inferiore ottenuto per litro venduto. Adesso

ricevono solo Pn, mentre prima dell’imposta ottenevano P0. Pertanto, l’imposta peggiora il benessere sia

dei produttori sia dei consumatori. Per definizione, il gettito è il prodotto del numero di unità acquistate,

Q1, per l’imposta specifica, u. Geometricamente, Q1 è la base del rettangolo kfhn e u l’altezza, quindi il

gettito è dato dall’area del rettangolo kfhn.

Questa analisi ha due importanti implicazioni:

- L’incidenza di un’imposta specifica è indipendente dal fatto che sia attribuita ai consumatori o ai

produttori. Un’imposta specifica legalmente a carico dei produttori sposta verso l’alto la curva

dell’offerta per la sua entità. La quantità di equilibrio, il prezzo ai consumatori e quello ai fornitori

sono gli stessi di quando l’incidenza legale è sui consumatori. Conta l’entità del divario che

l’imposta crea tra il prezzo versato dai consumatori e quello ricevuto dai produttori e non il lato del

mercato in cui viene introdotta. La differenza prodotta dall’imposta tra il prezzo pagato dai

consumatori e quello ricevuto dai produttori viene definita cuneo fiscale.

- L’incidenza di un’imposta specifica dipende dalle elasticità della domanda e dell’offerta. Più è

elastica la curva di domanda, minore è l’imposta che grava sui consumatori, a parità di condizioni.

Analogamente, più è elastica la curva di offerta, minore è l’imposta che grava sui produttori.

Le imposte ad valorem

Sono imposte con aliquota proporzionale al prezzo. L’analisi è simile a quelle

delle imposte specifiche. Tuttavia, invece di spostare la curva verso il basso di

uno stesso importo assoluto per ciascuna quantità, l’imposta ad valore la fa

scendere della stessa percentuale.

Le imposte sui fattori di produzione

L’imposta sul salario: in numerose legislazioni sono previste due aliquote contributive, una a carico dei

lavoratori e una a carico dei datori di lavoro, di modo che l’onere dell’imposta sia ripartito equamente.

L’incidenza economica è determinata solo dalla differenza che l’imposta crea tra la somma ricevuta dai

dipendenti e quella pagata dai datori di lavoro e che dipende dall’elasticità di domanda e offerta. Se

l’offerta di lavoro è perfettamente anelastica, un’imposta sul salario fa si che il salario ricevuto dai

lavoratori scenda dell’esatto ammontare dell’imposta.

La tassazione del capitale in un’economia globale: la strategia di analisi è la stessa di un’imposta sul lavoro:

si tracciano le curva di domanda e di offerta, si trasla la curva interessata di una somma che dipende

dall’entità dell’imposta e si raffronta l’equilibrio dopo l’imposta quello originale. In un’economia chiusa p

verosimile ipotizzare che la curva di domanda abbia pendenza negativa e quella di offerta abbia pendenza

positiva, in questo caso i detentori del capitale sopportano parte dell’once dell’imposta e l’importa dipende

dall’elasticità di domanda e offerta. Se il capitale invece è perfettamente mobile tra i Paesi l’offerta diventa

perfettamente elastica, sicché il prezzo dell’imposta pagato dagli utilizzatori del capitale sale di un importo

esattamente uguale all’imposta e i fornitori del capitale non sopportano alcun onere.

Le imposte sui beni in mancanza di concorrenza

Monopolio. Si utilizza lo stesso approccio, anche in questo caso, con l’introduzione dell’imposta, la quantità

domandata dai consumatori scende, anche e proprio perché se sale il prezzo da loro pagato, portando ad

un minor guadagno il monopolista, che quindi sopporterà parte dell’onere pur godendo di ampio potere di

mercato.

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Oligopolio. Non esiste una teoria univoca dell’incidenza dell’imposta in un mercato oligopolistico. Dal

punto di vista delle imprese la situazione ideale sarebbe la collusione, ovvero la realizzazione congiunta del

prodotto che massimizza i profitti dell’intera industria. Questo livello di output viene denominato soluzione

di cartello. Il problema è che una volta raggiunto l’accordo su quanto si dovrebbe produrre singolarmente,

ciascuna impresa è incentivata a barare, cioè a sfruttare il prezzo più elevato e produrre una quota

maggiore di quella assegnatale.

Le imposte sui profitti

Le imprese possono essere tassate anche sul profitto, definito come la differenza tra i ricavi totali e i costi

dei fattori utilizzati nella produzione. Un’imposta con una data aliquota sui profitti non modifica né i costi

marginali né i ricavi marginali, quindi nessuna impresa è incentivata a cambiare la sua decisione di

produzione. Poiché il livello di prodotto non varia, non cambia neppure il prezzo pagato dai consumatori,

che perciò non vedono ridurre il loro benessere. L’imposta è tutta assorbita dalle imprese. Però

nell’equilibrio concorrenziale di lungo periodo un’imposta sui profitti non produce gettito, i profitti sono

pari a zero, cioè sono annullati dalla concorrenza.

L’incidenza delle imposte e la capitalizzazione

I problemi posti dalla tassazione dei terreni sono anch’essi piuttosto specifici. La caratteristica distintiva

della terra è il fatto che è un bene fisso e durevole. Nel momento in cui viene introdotto l’imposta, il prezzo

della terra scende del valore attuale di tutti i futuri versamenti di imposte. Il processo mediante il quale un

flusso di imposte viene incluso nel prezzo di un’attività viene denominato capitalizzazione. A causa della

capitalizzazione, la persona che sopporta l’intero onere dell’imposta è colui che possiede la terra

nell’istante in cui viene introdotta l’imposta. È indubbio che i proprietari successivi verseranno imposte al

fisco, ma questi pagamenti non sono un vero onere perché sono stati compensati dal prezzo inferiore

pagato al momento dell’acquisto. La capitalizzazione complica i tentativi di valutazione dell’incidenza di

un’imposta su un bene durevole la cui offerta è rigida.

Modelli di equilibrio generale

Quando si introduce un’imposta in un settore di dimensioni relativamente grandi rispetto all’economia,

considerare solo gli effetti su quel mercato può non essere sufficiente. L’analisi di equilibrio generale

prende i considerazione i modi in cui i mercati sono connessi tra loro, quest’analisi viene spesso effettuata

utilizzando un modello che prevede due settori e due fattori. Questo quadro di riferimento consente di

studiare nove imposte possibili e di dimostrare che alcune combinazioni di imposte sono equivalenti ad

altre. In un modello di equilibrio generale l’imposta su un singolo fattore introdotta in un particolare

settore può finire per influenzare i rendimenti di tutti i fattori in tutte le industrie.

CAP.15

Analisi delle imposte

Le imposte sul reddito delle persone fisiche influiscono su molte decisioni economiche tra cui l’offerta di

lavoro, il risparmio, l’acquisto della casa di abitazione e le modalità di investimento del capitale.

Offerta di lavoro

Ercole deve decidere quanto tempo dedicare ogni settimana al lavoro e quanto al tempo libero. Nel grafico

definiamo dotazione di tempo il numero di ore dedicate a occupazioni remunerate più il numero di ore

dedicate a occupazioni non remunerate (il tempo libero) e graficamente rappresentiamola con la distanza

OT sull’asse orizzontale. Supponiamo che tutto il tempo sottratto al tempo libero sia dedicato al lavoro

remunerato. Le combinazioni di tempo libero e di reddito disponibili per un individuo, dato il salario, sono

rappresentate graficamente dalla retta TD che è il vincolo di bilancio. Se il salario di Ercole è s euro all’ora, il

suo vincolo di bilancio è una linea retta con pendenza pari a s. il punto scelto sul vincolo di bilancio dipende

dalle preferenze individuali e noi supponiamo che le preferenze per tempo libero e reddito si possano

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rappresentare con curve di indifferenza normali convesse, indicate con i, ii e iii. Ercole massimizza la sua

utilità quando si trova nel punto E1 in cui dedica OF ore al tempo libero e FT ore al lavoro, ottenendo un

reddito OG.

Quali sono gli effetti della tassazione? Supponiamo che

il Governo decida di imporre un’imposta sul reddito da

lavoro a un’aliquota t, che perciò riduce la

remunerazione da s euro a (1-t)s euro per ogni ora

lavorata. Se Ercole dedica un’ora in più al tempo

libero, adesso non rinuncia più a s, ma a (1-t)s euro; il

altre parole, l’imposta riduce il costo opportunità di

un’ora di tempo libero. Il nuovo vincolo di bilancio ora

è la retta TH, la cui pendenza è (1-t)s. Ercole deve

scegliere un nuovo punto lungo il nuovo vincolo di

bilancio e scegli il punto E2 dove dedica OI ore al

tempo libero e IT ore al lavoro ottenendo un reddito

lordo di OG’. L’imposta ha avuto l’effetto di ridurre la

sua offerta di lavoro da FT a IT ore. Dobbiamo quindi

concludere che un individuo razionale riduce sempre l ‘offerta di lavoro se viene introdotto un’imposta

proporzionale? Ercole potrebbe anche preferire lavorare di più per mantenere lo stesso reddito che aveva

prima. Questa apparente ambiguità deriva dal conflitto tra due effetti provocati dall’imposta: l’effetto

sostituzione e l’effetto reddito. Quando l’imposta riduce il salario netto, il costo opportunità del tempo

libero diminuisce e quindi si tende a sostituire il lavoro con il tempo libero. Questo è il cosiddetto effetto

sostituzione, che porta a una riduzione dell’offerta di lavoro. Contemporaneamente, qualunque sia il

numero di ore lavorate, l’imposta riduce il reddito individuale e, se il tempo libero è un bene normale,

questa perdita di reddito porta a una riduzione del consumo di tempo libero, ceteris paribus.

Offerta di lavoro e gettito tributario

Il gettito tributario varia al variare all’aliquota. Consideriamo la curva

dell’offerta di lavoro OL. Essa rappresenta la quantità ottimale di lavoro

per ciascun livello di salario netto nel caso in cui prevalga l’effetto

sostituzione. Il salario netto (o pre-imposta), s, è associato a L0 ore di

lavoro. Se l’aliquota è nulla, il gettito è 0. Ora supponiamo che venga

stabilita un’imposta proporzionale con aliquota t1, il salario netto ora è (1-

t)s e l’offerta di lavoro è di L1 ore. Il gettito è uguale all’imposta per ora di

lavoro (ab) per il numero di ore lavorate (ac), ossia il rettangolo abdc. Con

lo stesso ragionamento si può stabilire la portata dell’aliquota t2, che

produce un getti pari a eakf che è maggiore di abdc. Però non è detto che

aumentando l’aliquota aumenti il gettito. Per esempio con l’aliquota t3, le

entrate tributarie rappresentate dall’area haji sono inferiori a quelle

derivanti dall’aliquota t2. Infatti, anche se le entrate tributarie per ogni

ora con un’aliquota t3 sono molto alte, il numero di ore si riduce talmente

da far diminuire il prodotto dell’aliquota fiscale per le ore di lavoro.

Quanto l’aliquota d’imposta è molto bassa, le entrate fiscali sono basse,

aumentando l’aliquota le entrate aumentano. Questo si verifica fino

all’aliquota tA, oltrepassando questo punto il gettito fiscale diminuisce

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progressivamente fino ad annullasi. Fu proprio Laffer a studiare la relazione tra aliquote ed entrate

tributarie e a delinea la curva di Laffer, che è un grafico che rappresenta la relazione tra aliquota d’imposta

ed entrate tributarie.

Decisioni sul risparmio

Un altro tipo di comportamento che può essere influenzato dal sistema tributario è la propensione al

risparmio. Gli studi si basano sul modello del ciclo vitale, secondo il quale gli individui pianificano anno dopo

anno le loro decisioni sul consumo e sul risparmio considerando tutta la loro vita, quindi ciò che si risparmia

ogni anno non dipende soltanto dal reddito di quell’anno, ma anche dal reddito che si prevede di avere in

futuro e da quello ottenuto in passato. La base di partenza sarà la stessa discussa nel capitolo delle scelte

previdenziali. Analizziamo ora come vai l’ammontare di risparmio se viene introdotto un’imposta sul

reddito da capitale. In questo contesto è importante sapere se gli interessi sui prestiti sono deducibili o

meno.

Se gli interessi sono tassati e gli interessi passivi sono deducibili, il vincolo di bilancio passa da MN a PQ che

è una retta posta più in basso e più inclinata dell’originario vincolo di bilancio MN. La tassazione del reddito

da capitale può aumentare o diminuire il risparmio e ciò dipende dalle preferenze di ciascun individuo.

L’ambiguità nasce dal conflitto tra due effetti. Da un lato, la tassazione del reddito da capitale riduce il

costo opportunità del consumo presente e quindi lo fa crescere facendo diminuire il risparmio, e questo è

l’effetto sostituzione. D’altra parte, il fatto che il reddito da capitale sia tassato rende più difficile

raggiungere qualunque obiettivo di consumo futuro: si ha cioè un effetto reddito dovuto al fatto che

l’imposta riduce il reddito complessivo.

Se gli interessi sono tassati e gli interessi passivi invece non sono deducibili il vincolo di bilancio passa da

MN a PAM, che è una linea spezzata il cui punto d’angolo coincide con il paniere delle dotazioni. A sinistra

del paniere delle dotazioni la pendenza del vincolo di bilancio è (1+(1-t)i), mentre a destra di tale punto è

(1-i). quindi se il soggetto era un risparmiatore la sua scelta di consumo presente e di consumo futuro dovrà

cambiare, non essendo più raggiungibile nessun punto sul segmento NA, viceversa se era debitore non

cambierà nulla.

Decisioni riguardanti l’edilizia abitativa

Un’altra forma molto importante di capitale sono le abitazioni occupate dai proprietari. Se ipotizziamo che

Marcello possiede una casa e decide di darla in affitto, qual è il suo reddito netto? Riceve il canone di affitto

dai suoi affittuari, ma deve anche sostenere delle spese di manutenzione. Con R indichiamo il canone

d’affitto meno queste spese. Supponiamo che Marcello abbia effettuato un mutuo per acquistare la casa, e

che gli interessi che deve pagare all’anno siano I. Questi interessi rappresentano una spesa e devono quindi

essere sottratti da R per ottenere il reddito netto. Infine supponiamo che l’abitazione acquisti valore nel

corso dell’anno in ragione di ΔV: si tratta di una plusvalenza, che è anch’essa una componente del reddito.

Mettendo insieme tutti questi elementi, il reddito netto di Marcello in quanto proprietario dell’abitazione

è: Rnetto= R – I + ΔV. Secondo un sistema tributario basato sui tradizionali principi di Haig-Simons, Rnetto deve

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essere aggiunto al reddito imponibile. Supponiamo ora che Marcello, invece di affittare, decida di andarci a

vivere. Per il fatto di vivere nell’abitazione, ricevono un beneficio pari al valore locativo di mercato di essa,

ossia ricevono un affitto netto figurativo sull’abitazione pari a Rnetto. Tuttavia in molti paesi l’affitto implicito

non è incluso nella base imponibile dell’imposta del reddito ed escludendolo il sistema discale di fatto

sovvenziona l’occupazione delle abitazioni da parte dei loro proprietari.

Composizione del portafoglio

Gli effetti teorici dell’imposta sulla composizione del portafoglio sono ambigui. Le imposte riducono il

rendimento atteso di un’attività rischiosa, ma allo stesso tempo possono diminuirne la rischiosità (se la

perdita è deducibile dal reddito imponibile). L’effetto finale di queste tendenze opposte non è stato

empiricamente definito.

CAP.16

L’imposta personale sul reddito

Criteri di classificazione

Per classificare le entrate, si può considerare la loro maggiore o minore vicinanza con i prezzi di mercato, la

frequenza con cui vengono riscosse, il riferimento alle caratteristiche del contribuente o meno e il criterio

utilizzato per la loro applicazione.

Le imposte sono generalmente distinte in imposte dirette e indirette; sono imposte dirette quelle che sono

riscosse periodicamente mediante ruoli nominativi, mentre sono indirette quelle riscosse in occasione di

determinati atti compiuti anche occasionalmente dal contribuente. Le entrate tributarie possono essere

ordinarie, se sono riscosse a ogni esercizio e attingendo alla produzione corrente, o straordinarie, se sono

riscosse saltuariamente e attingendo al patrimonio della collettività. Un criterio per distinguere le imposte è

quello di considerare se l’imponibile è definito con riferimento alle caratteristiche del contribuente o meno:

così sono imposte reali quelle che si riferiscono in modo esclusivo a un oggetto imponibile, mentre sono

imposte personali quelle che colpiscono un oggetto imponibile non in quanto tale, ma riferendolo alla

situazione personale del contribuente. Infine i tributi si possono classificare a seconda del criterio utilizzato

per la loro applicazione: il principio del beneficio e della capacità contributiva. Se si applica il criterio del

beneficio, il tributo deve essere correlato al consumo di un bene o servizio che assicura all’individuo un

certo beneficio a cui dovrebbe esser commisurato il corrispettivo pagato. Se si fa riferimento alla capacità

contributiva, il tributo deve essere commisurato a qualche indicatore della situazione economica del

contribuente.

L’imposta sul reddito delle persone fisiche

I soggetti passivi dell’IRPEF sono sia le persone fisiche residenti sia quelle non residenti, limitatamente al

reddito conseguito nel territorio dello Stato. L’imposta dovuta si calcola sottraendo dal reddito complessivo

le deduzioni e ottenendo così il reddito imponibile (cioè quello su cui applicare le aliquote). Al reddito

imponibile si applica la scala delle aliquote e il risultato è l’imposta lorda da cui si devono ancora sottrarre

le detrazioni. L’importo così calcolato è detto imposta netta.

L’imposta personale sul reddito è un’imposta diretta che si applica in base al principio della capacità

contributiva. Le nozioni di reddito comunemente discusse come punto di riferimento per la normativa

fiscale sono:

- Reddito-prodotto: comprende tutte le remunerazioni derivanti dall’esercizio di un’attività

produttiva, da cui sono escluse donazioni e plusvalenze patrimoniali;

- Reddito-entrata: la somma che un individuo può consumare in un arco di tempo definito senza

ridurre il calore del suo patrimonio iniziale, includendo le plusvalenze patrimoniali;

- Reddito-consumo: base imponibile che coincide con il consumo del contribuente in certo arco di

tempo, normalmente l’anno.

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La base imponibile dell’IRPEF

La nozioni di reddito adottata per l’IRPEF è una mediazione tra il concetto di reddito-prodotto e quello di

reddito-entrata. Il reddito complessivo è dato dalla somma delle seguenti categorie di entrate:

- I redditi fondiari: comprendono i redditi dominicali, agrari e da fabbricati. Per i redditi dominicali

(derivanti dal possesso del terreno) e agrari (profitto dell’imprenditore agricolo) la base imponibile

è identificata con le risultanze catastali. Per quanto riguarda i redditi da fabbricati, se è utilizzato

dal proprietario il reddito è dato dalla rendita catastale rivalutata e se è utilizzato come abitazione

principale dal proprietario è deducibile dal reddito complessivo; se è locato a terzi l’imponibile è

l’affitto percepito dal proprietario;

- I redditi da capitale: sono costituiti dai proventi derivanti da rapporti aventi ad oggetto l’impiego

del capitale (es.: interessi su mutui e prestiti, da depositi e conti correnti e obbligazioni);

- I redditi da lavoro dipendente: si considerano redditi da lavoro dipendente i compensi ricevuti per

prestazioni di lavoro subordinato. In caso di lavoro dipendente, i datori di lavoro svolgono il ruolo di

sostituti di imposta e trattengono mensilmente una ritenuta a titolo di acconto IRPEF che versano

direttamente all’erario;

- I redditi da lavoro autonomo: sono classificati in questo modo i proventi derivanti dall’esercizio di

arti e professioni e dalla cessione dei diritti d’autore. In questo caso il reddito imponibile è dato

dalla differenza tra i ricavi e i costi sostenuti nel periodo di esercizio.

- I redditi d’impresa: rientrano in questa categoria i redditi percepiti nell’esercizio di imprese

individuali o di società di persone, mentre i redditi delle società di capitali sono tassati con l’IRES;

- Redditi diversi: rientrano in questa categoria le plusvalenze realizzate con: lottizzazioni o vendita di

terreni e fabbricati, mediante la cessione di immobili acquistati da meno da 5 anni e non derivanti

da donazioni o adibiti ad abitazione principale, derivanti da cessioni di partecipazioni sociali

qualificate e non e infine i redditi da contratti derivati (swap,future,option).

Aliquote, dedizioni e detrazioni dell’IRPEF

Attualmente, con la finanziaria per il 2007, l’imposta personale sul reddito è basata su 5 scaglioni, e le

detrazioni di imposta sono usate per ottenere la progressività. In generale, per calcolare il reddito

imponibile e prima di applicare le aliquote è necessario sottrarre dal reddito complessivo le deduzioni. Con

la legislazione vigente sono deducibili:

- I contributi previdenziali e assistenziali versati per obbligo di legge;

- La rendita catastale dell’immobile adibito ad abitazione principale;

- Le spese mediche per l’assistenza a portatori di handicap; gli assegni corrisposti al coniuge, quelli

alimentari e le erogazioni liberali;

- I contributi sanitari obbligatori per l’assistenza erogata nell’ambito del servizio sanitario nazionale.

Calcolato il reddito imponibile e applicate le aliquote, si ottiene l’imposta lorda, dalla quale devono essere

ancora sottratte le detrazioni. Le principali detrazioni previste nel nostro ordinamento sono:

- Quelle per carichi familiari: la finanziaria 2007 ha stabilito una detrazione per il coniuge a carico che

varia tra 0 e 800 euro in relazione al reddito lordo del contribuente; le detrazioni per i figli a carico

sono apri a 800 euro per ciascun figlio, aumentate in caso di handicap a 1020 euro e per i figli

minori di tre anni a 900 euro. È previsto inoltre che l’ammontare di tali detrazioni aumenti di 200

ero per i nuclei in cui ci sono più di tre figli;

- Le deduzioni da lavoro e da pensione: per effetto di tali detrazioni, l’imposta netta è nulla per i

pensionati che hanno un reddito pari o inferiore a 7500 euro per i lavoratori dipendenti che hanno

redditi inferiori a 8000 euro e per i lavoratori autonomi che si collocano sotto i 4800 euro di

reddito;

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- Le detrazioni riguardanti gli oneri personali al 19%: questa detrazione consente di personalizzare

l’imposta sul reddito tenendo conto di alcune caratteristiche del contribuente che ne modificano la

capacità contributiva. L’elenco delle spese detraibili al 19% è piuttosto lungo;

- Detrazioni con finalità incentivanti: spese per affitto, se il reddito complessivo è inferiore a una

certa soglia, le spese legate alla mobilità del lavoratore dipendete e quelle per le ristrutturazioni.

La scelta dell’unità impositiva: individuo o famiglia

La progressività dell’imposta personale sul reddito pone un problema di non facile soluzione: tassare il

reddito individuale o quello familiare? In Italia il sistema di tassazione è individuale e le detrazioni per

familiari a carico rappresentano lo strumento adottato per tener conto delle caratteristiche della famiglia di

appartenenza del contribuente; in particolare, le detrazioni sono articolate in modo da considerare la

numerosità del nucleo familiare e il numero di precettori di reddito.

Imposte e inflazione

Fiscal drag è il termine con cui si indicano le distorsioni nella tassazione dovute all’inflazione. I fattori che

determinano l’aumento del carico fiscale in presenza di inflazione sono lo slittamento degli scaglioni e il

fatto che aumentando il reddito nominale una quota maggiore del reddito viene tassata all’aliquota

marginale a cui sono soggetti i contribuenti.

CAP.17

Le imposte sulle società di capitali

In Italia la tassazione del reddito d’impresa è distinta a seconda della forma giuridica adottata: il reddito

prodotto dalle imprese individuali e dalle società di persone è tassato con l’imposta personale sul reddito

IRPEF, mentre il reddito delle società di capitali è tassato con l’imposta sui redditi delle società l’IRES.

Integrazione della tassazione personale e societaria

I tre sistemi più diffusi di integrazione della tassazione personale con quella societaria sono:

- Il sistema classico, adottato negli Stati Uniti, e prevede una tassazione di tutti gli utili con l’aliquota

dell’imposta societaria e applicazione dell’aliquota sul reddito personale ai soli utili distribuiti;

questo sistema non può però essere considerato neutrale, perché l’onere tributario aumenta al

crescere della quota di utili distribuiti, in pratica i dividendi sono tassati due volte;

- Il sistema dell’integrazione completa, adottato in Italia per i redditi delle società di persone, qui

l’utile d’impresa rientra nella base imponibile del reddito personale ed è tassato con l’aliquota

dell’imposta personale; questo sistema è perfettamente neutrale;

- Il sistema del credito d’imposta totale, adottato in Italia fino al 2004 per il reddito delle società di

capitali, era un sistema secondo il quale l’imposta pagata sui redditi societari costituisce un credito

d’imposta per il calcolo dell’imposta personale sul reddito (denominata IRPEG). Con la riforma

Tremonti del 2004 e l’introduzione dell’IRES si è abbandonata l’idea di integrare l’imposta. Oggi gli

utili (distribuiti e non) sono tassati in capo alla società con l’aliquota dell’IRES e quelli distribuiti

sono tassati in capo agli individui con una cedolare secca, pari al 18,5%, mentre entrano, per un

importo pari al 40% nella base imponibile dell’IRPEF se si tratta di partecipazioni qualificate.

Un’altra importante novità introdotta dalla riforma è il regime di esenzione da partecipazione. L’adozione di

questo regime è motivata dalla necessità di considerare il fatto che le società di capitali partecipano al

capitale di altre società e quindi derivano da queste dividendi, plusvalenze e minusvalenze. In sintesi, la

norma adottata prevede che le plusvalenze siano esentate, ance se parzialmente.

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I soggetti passivi e la base imponibile dell’IRES

I soggetti passivi dell’IRES sono le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità

limitata, le società cooperative e di mutua assicurazione, gli enti pubblici e privati diversi dalle società, le

società e gli altri enti non residenti sul territorio dello Stato ma che operano stabilmente in esso.

La base imponibile è data dal reddito d’impresa, definito come l’utile netto risultante dal conto economico.

Nel calcolo dell’utile netto le poste positive sono:

- I ricavi;

- Le variazioni delle rimanenze, ossia le scorte;

- Le plusvalenze patrimoniali;

- Le sopravvenienze attive;

- I dividendi e gli utili derivanti da partecipazioni in altre società.

Sono invece componenti negative, quindi da sottrarre:

- I costi di esercizio;

- Le minusvalenze;

- Le sopravvenienze passive;

- Gli interessi passivi*1;

- Una deduzione forfettaria pari al 10% dell’IRAP pagata su interessi passivi e spese per personale

dipendente;

- Gli ammortamenti*2.

*1In assenza di imposte e presupponendo una completa certezza sugli esiti di un investimento per le

imprese, è irrilevante se si ricorre all’indebitamento o all’emissione di nuovi titoli azionari. È chiaro che se,

come previsto dalla normativa italiana, le imprese possono dedurre gli interessi passivi dal loro reddito

imponibile, ma non possono fare altrettanto con i dividendi, si sta favorendo il finanziamento con

indebitamento. Per evitare la sottocapitalizzazione delle imprese, ovvero il massiccio ricorso

all’indebitamento per finanziarsi, la riforma Tremonti del 2004 ha introdotto alcune norme antielusive, che

limitano i casi in cui gli interessi passivi sono deducibili.

*2Il sistema fiscale può influire sulle scelte di investimento tramite la definizione delle quote di

ammortamento fiscalmente annesse: nella legislazione italiana l’ammortamento è previsto a rate costanti,

il costo ammortizzabile è quello storico, mentre il periodo di ammortamento varia a seconda di una

classificazione dei beni definita dal Ministero delle Finanze. La legge prevede anche la possibilità di un

ammortamento accelerato e anticipato.

I modelli che spiegano le decisioni di investimento sono: il modello dell’investimento con acceleratore, il

modello neoclassico e il modello del cash flow.

CAP.18

Le imposte sui consumi

Le imposte generali sulle vendite e l’imposta sul valore aggiunto

Le imposte generali sulle vendite possono colpire l’intero valore di un bene o l’incremento di valore che si

registra in una determinata fase della produzione o dello scambio e possono essere applicate in diversi

momenti del ciclo produttivo e distributivo. In base a questi due criteri si possono distinguere:

- Le imposte monofase sul valore pieno, che colpiscono una sola fase del processo produttivo e di

scambio e sono commisurate al valore pieno del bene in quella fase (USA);

- Le imposte plurifase sul valore pieno, che colpiscono tutte le fasi del processo produttivo e dello

scambio ogni volta sul valore pieno del bene (in Italia prima dell’iva, detta ige);

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- Le imposte plurifase sul valore aggiunto (o non cumulative), che sono imposte che colpiscono tutte

le fasi della produzione e degli scambi ma ogni volta interessano solo il valore aggiunto realizzato in

quel particolare stadio.

In Italia nel 1973 è stata introdotto l’IVA, un’imposta plurifase sul valore aggiunto.

Modalità di calcolo del valore aggiunto

Per individuare l’incremento di valore verificatosi in ciascuna fase si possono adottare due criteri:

- Il metodo base da base: l’imposta dovuta si calcola applicando l’aliquota alla differenza tra il valore

delle vendite e quello degli acquisto degli input necessari alla produzione;

- Il metodo imposta da imposta: il tributo si applica al valore pieno di ciascun acquisto e di ciascuna

vendita, ma il contribuente paga al fisco solo al differenza tra l’imposta riscossa dal cliente a cui ha

venduto il bene o servizio (l’IVA a debito) e l’IVA pagata per i suoi acquisti (IVA a credito).

I due metodi di calcolo danno lo stesso risultato in un unico caso, ossia se l’aliquota è unica per tutti i veni e

servizi scambiati. Generalmente si utilizza il metodo imposta da imposta, in questo modo i diversi beni sono

tassati con le aliquote prescelte a prescindere dalle aliquote applicate in ciascuna fase.

Operazioni imponibili, non imponibili ed esenti

Con questo tipo di imposta si possono prevedere casi di detraibilità dell’IVA sugli acquisti o ammettere

regimi speciali; per fare ciò si distinguono le operazioni di scambio nelle seguenti categorie:

- Operazioni imponibili, ossia le operazioni assoggettate all’imposta sull’intero loro valore secondo le

aliquote specificate dalla legge;

- Operazioni non imponibili, ossia le operazioni per cui l’aliquota è pari a zero e l’imposta pagata negli

stadi precedenti è rimborsata (es.: esportazioni, con principio del paese di destinazione);

- Operazioni esenti, ossia le operazioni per non si applica l’IVA, ma l’imposta pagata sugli stadi

predenti non è rimborsata.

La struttura delle aliquote, il commercio internazionale e la normativa italiana

La normativa europea prevede due aliquote, una al 10% e una al 20%, mentre in Italia vigono tre aliquote:

due ridotte, al 4% e al 10%, e una ordinaria al 20%.

Dal punto di vista del commercio internazionale, un’imposta plurifase sul valore aggiunto ha dei vantaggi

rispetto all’imposta plurifase sul valore pieno. In effetti, se si applica il principio di destinazione (utilizzato

nell’UE e contrapposto a quello di origine), il prezzo del bene che viene esportato deve essere depurato di

quanto pagato fino a quella fase, operazione che risulta particolarmente difficile per le imposte che si

cumulano, perché l’ammontare da restituire dipende dal numero di fasi attraversate prima di essere

esportato. Con un’imposta plurifase sul valore aggiunto è sufficiente rendere non imponibili le operazioni

relative alle esportazioni e rimborsare l’impresa esportatrice dell’IVA pagata sugli acquisti.

Con il decreto n.56/2000 è stato stabilito che una quota del gettito dell’IVA debba essere considerata una

compartecipazione regionale.

Il consumo di prodotti energetici è tassata in Italia anche con una serie di accise erariali (imposte in valore

per unità di prodotto) e relative addizionali regionali o comunali.

CAP.21

Il debito italiano e i vincoli europei

Per capire la formazione debito pubblico italiano è necessario distinguere tre periodo: il primo dall’inizio

degli anni ’80 fino al 1992, il secondo dal 1992 al 2005 e il terzo dal 2005 ad oggi. Gli anni ’80 sono stati

caratterizzati da un saldo primario costantemente negativo e dalla continua crescita della spesa per

interessi. Il decennio ’90 è stato segnato dalla firma del Trattato di Maastricht e dalle politiche adottate per

accedere all’Unione Monetaria Europea (UME). L’inversione di tendenza avvenuta nel 1992 ha permesso al

rapporto debito pubblico/pil di ridursi costantemente in tutto il decennio 1996-2005. L’effetto più

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importante per l’Italia dell’adesione all’Unione Monetaria è la riduzione della spesa per interessi sul debito

pubblico. Nel 2005 il saldo primario è tornato a zero, e l’anno successivo il rapporto debito pubblico/PIL ha

cominciato a risalire. Infine, nonostante la parziale correzione avvenuta tra il 2006 e il 2007, nell’ultimo

biennio la crisi economica internazionale ha definitivamente allontanato la finanza pubblica italiana dai

parametri europei.

Il trattato di Maastricht e il Patto di Stabilità e Crescita

L’Unione Europea ha un suo proprio Bilancio che, se da un lato è una delle manifestazioni più importanti

dell’esistenza di un’autorità sopranazionale europea, d’altra parte non può ancora essere considerato un

vero e proprio strumento di politica fiscale europea. Questo a causa delle sue dimensioni ridotte e del

numero circoscritto di politiche cui è finalizzato (agricola e gestione fondi strutturali). Dato l’avvio della

moneta unica, le ancora ridotte dimensioni del Bilancio europeo e le lentezze del processo costituente, il

Trattato di Maastricht e il Patto di Stabilità e Crescita rappresentano il principale strumento con cui gli Stati

membri dell’Unione Monetaria hanno disciplinato le condizioni per accedere all’Unione stessa prima, e poi

vincolato le proprie politiche fiscali nel tentativo di renderle coerenti. Le disposizioni del Trattato di

Maastricht sono:

- Un tasso di inflazione non superiore a 1,5 punti al tasso medio dei tre Paesi più virtuosi;

- Tassi di interesse a lungo termine non superiori a due punti percentuali rispetto al Paese con

l’inflazione più bassa;

- Un tasso di cambio che negli ultimi due anni non abbia avuto oscillazioni superiori a quelle previste

per lo SME;

- Un indebitamento della PA non superiore al 3% del PIL;

- Un rapporto debito pubblico/PIL non superiore al 60%.

Questi ultimi due parametri sono richiamati anche dal Patto di Stabilità e vincolano le finanze pubbliche dei

Paesi membri anche dopo il loro ingresso. Tra il Trattato di Maastricht e il Patto di Stabilità e Crescita ci

sono però alcune differenze. In particolare, il secondo è articolato in una parte preventiva e una repressiva.

La prima prevede uno scambio di informazioni con la Commissione finalizzata a evitare che i Paesi membri

incorrano in disavanzi eccessivi; la seconda indica le sanzioni da adottare in questa eventualità. Nella parte

preventiva si stabilisce che i Paesi membri presentino alla Commissione un Programma di stabilità entro il

1° marzo di ogni anno. In questi documenti i Paesi indicano lo stato della finanza pubblica nell’anno appena

concluso e le previsioni per il triennio successivo, specificando come intendono raggiungere il saldo di

bilancio di medio termine in pareggio, se sono in disavanzo, o mantenerlo se sono in avanzo o in pareggio.

Per disavanzi eccessivi si intendo quelli superiori al 3% del PIL. A proposito dell’inadempienza di un Paese,

invece, una clausola di non salvataggio è stata espressamente prevista nel Trattato di Maastricht.