Scheda di lettura: la colonna nel tempo · preferita anche nel Rinascimento). Prende le mosse dal...
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Appunti di Storia Dell’arte – ISTITUTO MAGISTRALE STATALE “C. ALVARO” – Palmi
Disegno e Storia Dell’arte Prof. Antonio MAIO
Scheda di lettura: la colonna nel tempo
La colonna
In principio era la colonna. Un fusto di legno issato dall’uomo per sostenere una trave che reggeva un cielo basso e
piatto.
Ma la colonna e la trave si univano in maniera troppo netta e sgraziata. Allora l’uomo inventò il capitello. E appena
vide che era una cosa buona si divertì a fabbricarne decine e decine. Tutti diversi.
Dunque, non solo dorico-ionico-corinzio come abbiamo imparato … anche perché i primi capitelli non sono quelli
greci. Le civiltà dei grandi fiumi (Egizi e popoli mesopotamici) avevano già creato i loro fantasiosi esemplari.
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Di quelli persiani restano pochi pezzi ma già molto originali: a forma di doppio toro o grifone, sorreggevano la trave
attraverso una mensola trasversale passante tra i due animali. Appartengono all’Apadana, la grande sala ipòstila del
palazzo di Dario il Grande a Persepoli.
A confronto quelli egizi sono strutture minimali e delicate. D’altra parte sono ispirati alle piante del Nilo e non a colossi
di ispirazione animale. Nei grandi templi dell’antico Egitto si può osservare, tra i tanti, il capitello a papiro chiuso
o aperto, a fiore di loto e anche a foglie di palma. La colonna e il suo capitello vengono concepiti, dunque, come una
versione pietrificata delle forme naturali.
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Completamente diversi sono i capitelli minoici. Quelli del palazzo di Cnosso a Creta, sebbene ampiamente restaurati
dall’archeologo Arthur Evans nel primo Novecento, sono curiosamente bombati e sormontati da una lastra quadrata
(esatto, come l’echìno e l’àbaco del famoso capitello dorico…).
La colonna, rarissimo caso nella storia dell’architettura, è rastremata verso il basso, cioè il suo diametro diminuisce alla
base. Forse questa caratteristica deriva dall’iniziale uso di tronchi d’albero come colonne, montati capovolti per evitare
che germogliassero e quindi più sottili alla base. Qualche studioso ipotizza invece che questa forma rimandi alla
sagoma del corpo maschile (che si allarga in alto verso le spalle). Inizierebbe da qui l’idea di far corrispondere le
proporzioni delle colonne a quelle della figura umana.
Dal capitello minoico a quello
dorico il passo è brevissimo.
Ma anche il più diffuso capitello
greco ha una sua intima
evoluzione: l’echino floscio e
ampio dei templi più arcaici
diventa in età classica sempre più
stretto e turgido (con
conseguente rimpicciolimento
anche del soprastante abaco).
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Naturalmente, assieme alle proporzioni del capitello, cambiano anche quelle dell’intera colonna e del tempio. Gli ordini
architettonici, d’altra parte, erano proprio questo: un sistema di relazioni numeriche tra le parti che doveva garantire,
appunto, l’ordine e l’armonia complessiva.
Nel passaggio all’architettura romana il capitello dorico subisce un’ulteriore evoluzione: l’echino, non più a forma di
tronco di cono rovescio, assume una sagoma toroidale ed è separato dal fusto da un doppio collarino. È l’ordine
tuscanico, una versione del dorico di origine etrusca con la colonna a fusto liscio posta sopra una base (sarà quella
preferita anche nel Rinascimento).
Prende le mosse dal capitello dorico anche quello ionico. Non varia la sequenza collarino-echino-abaco ma tra gli ultimi
due c’è un cuscino a volute che lo rende molto più aggraziato.
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Apparso nel VII secolo a.C. in Asia Minore ebbe grande fortuna dal V secolo in poi differenziandosi in una sterminata
quantità di varianti. Ciò che resta fisso sono le due spirali laterali, elementi di ispirazione vegetale disegnati, però, con
grande rigore geometrico.
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Quello ionico è un elemento architettonico talmente riconoscibile che nella segnaletica stradale per le zone
archeologiche (non solo per i siti magnogreci) c’è proprio un pittogramma con il capitello a volute.
Eppure non è un oggetto tanto semplice. Quando si trova ad angolo, ad esempio, ha sempre dato parecchie rogne agli
architetti greci. Perché le volute sono concepite per una visione solo frontale dato che il lato è un elemento cilindrico (il
rocchetto). La soluzione angolare, prevede dunque una voluta disposta a 45° in modo che entrambe le facce esterne del
capitello si presentino con la doppia spirale.
I Romani, invece, con il loro tipico pragmatismo, hanno creato per queste situazioni un capitello ionico senza rocchetti e
con le volute tutte a 45°.
L’origine del terzo capitello greco – ma il meno diffuso in Grecia – è legata a una leggenda. Si narra, infatti, che lo
scultore Callimaco abbia inventato il capitello corinzio ispirandosi alla tomba di una giovane fanciulla sulla quale
stava un cesto pieno dei suoi oggetti più cari avvolto dall’acanto, una pianta spontanea dalle grandi foglie frastagliate.
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In realtà il capitello corinzio è una derivazione del capitello egizio a fiore di loto. Composto da un nucleo avvolto da
due file di otto foglie, è coronato in alto da quattro caulicoli, sottili steli ripiegati a voluta nei quattro angoli. È fastoso e
imponente; e per questo motivo sarà il capitello più utilizzato nell’antica Roma.
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Come quello ionico, anche il capitello corinzio è il tipico soggetto per esercizi di disegno. E in questo caso è ancora più
difficile, perché la geometria può aiutarci poco. Ma è un ottimo allenamento per imparare ad osservare i dettagli e
cogliere le proporzioni complessive.
Eppure per i Romani doveva apparire ancora troppo sobrio se hanno deciso di crearne uno nuovo, il composito,
sommando le foglie del corinzio e le volute dello ionico.
La corrispondenza tra le proporzioni degli ordini classici e quelle del corpo umano, già accennata per la colonna
cretese, è stata studiata scientificamente da Vitruvio, l’architetto romano del I secolo a.C.
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Nel suo trattato De Architectura vede nell’ordine dorico virilis corporis proportionem et firmitatem et venustatem
(proporzioni, solidità e bellezza del corpo marchile), nello ionico muliebri subtilitate (snellezza femminile) e nel
corinzio virginalis gracilitas imitationem (ad imitazione di un sottile corpo virgineo). Dunque anche le colonne, e i loro
capitelli, hanno un sesso. Il dorico è maschio, ionico e corinzio femmine.
Con il passaggio all’architettura paleocristiana non ci sono grandi stravolgimenti. Il capitello, questo oggetto capace
di raccordare armonicamente l’orizzontale e la verticale, il muro e la colonna, è ancora quello classico. E in alcuni casi
lo è in senso letterale dato che in tante chiese primitive venivano utilizzati materiali sottratti direttamente ai templi
pagani.
È in età bizantina che si trovano i primi capitelli del tutto differenti. A forma di tronco di piramide rovesciata, sono
spesso sormontati da un secondo elemento, della stessa forma, detto pulvino. Il capitello presenta decorazioni di
ispirazione vegetale ma in questo caso non sono foglie scolpite in bassorilievo ma tralci geometrici forati col trapano.
L’effetto complessivo è quello di delicato ricamo applicato ad un oggetto tozzo e massiccio. Un vero ossimoro di
pietra.
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Qualcosa di nuovo stava cominciando ad apparire anche nell’architettura islamica. Accanto ai capitelli compositi di
spoglio ne appaiono altri di forma squadrata dalla superficie animata di nicchie e decorazioni a traforo. È la stessa
matrice orientale visibile nei capitelli bizantini.
Ma i capitelli più fantasiosi in assoluto sono probabilmente quelli romanici. Mostri, animali, personaggi biblici:
dall’anno 1000 in poi in cima a una colonna si può trovare di tutto!
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Tutta quest’esuberanza subisce una botta d’arresto con il Gotico: capitelli così ricchi e robusti avrebbero interrotto le
linee verticali che dai pilastri a fascio si diramano verso le volte. Si torna, così, a capitelli più semplici, di ispirazione
corinzia giusto per dare un segnale visivo nel passaggio dal pilastrino alla nervatura.
Nel Rinascimento c’è un recupero scientifico degli ordini classici. I trattatisti si buttano a capofitto nella misurazione e
catalogazione di colonne e capitelli. Serlio, Scamozzi, Vignola e Palladio codificarono i cinque ordini con uno zelo che
nemmeno Vitruvio…
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Niente di sostanzialmente nuovo nemmeno in età barocca: come sappiamo gli ordini classici sono ripresi nelle loro
forme più pompose. Dunque colonne tortili e capitelli compositi diventano il tratto distintivo dell’architettura più
scenografica della storia dell’arte.
Per trovare di nuovo alcuni aspetti innovativi occorre aspettare l’Art Nouveau e il suo gusto per le forme organiche.
Tra Gaudì, Horta e gli altri architetti dell’epoca, assistiamo a un’evoluzione improvvisa del capitello: diventa giunto,
nodo che raccorda elementi diversi senza opporre angoli retti. Ne viene fuori quel senso di fioritura spontanea delle
forme come piante in libera crescita che è tipico del Liberty.
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Ma lo sbocciare dei capitelli ha breve vita. Con l’arrivo del Razionalismo tutto si riduce a scheletro essenziale. Ogni
elemento non strettamente funzionale è abolito. La colonna è un cilindro che sostiene un solaio senza alcuna
mediazione.
Il capitello è morto? Parrebbe di sì.
Eppure anche Le Corbusier, autore di alcune tra le più asettiche architetture del Novecento, sembra volerlo recuperare
(anche per motivi statici…). Negli edifici che progetta per Chandigarh, in India, il pilastro è sormontato da un tronco di
cono rovesciato. Un capitello allo stadio zero.
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L’altro filone del XX secolo, quello dell’architettura organicista, è altrettanto minimale. Alvar Aalto, addirittura, crea
un anti-capitello: la colonna, rastremata verso il basso come quella minoica, si arresta prima dell’incontro col
solaio lasciando a nudo la sua anima metallica. Anche una strozzatura, dunque, diventa capitello!
E oggi? Tra forme decostruite e nuovi organicismi il capitello sembra aver fatto il suo tempo. I sostegni si fondono con
la copertura senza soluzione di continuità.
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Eppure… anche nell’architettura contemporanea il capitello risulta essere necessario. Certo, asimmetrico e
tecnologico. Ma se accompagna la colonna nell’innesto con il soffitto è pur sempre un capitello.