San Giuseppe e i pittori - ancoralibri.it nostro... · durante la fuga in Egitto, è qui del tutto...

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arte Domenica 17 Marzo 2013 19 | Sguardi | Un libro corregge un pregiudizio culturale: che il marito della Vergine Maria non abbia interessato gli artisti San Giuseppe e i pittori Piero Viotto Ad uno sguardo frettoloso può sembrare che san Giuseppe abbia interessato solo marginalmente i maestri della storia dell’arte e sia stato oggetto solo di immagi- ni devozionali o di icone. Ma ora Zaira Zuffetti, che da anni lavora sull’arte sacra, in un libro dal tito- lo provocatorio «L’uomo dei sette silenzi» (Ancora, Milano 2012) ricostruisce con un’ampia docu- mentazione la presenza di questo santo fin dall’alto Medioevo in nu- merose opere che ci permettono di conoscere meglio la sua vita a cui i Vangeli canonici fanno solo qualche raro cenno. Si parte da un ciclo di affreschi attribuibili a maestranze bizantine al servizio di committenze longo- barde che operano tra il VI e il IX secolo nella chiesa di Santa Maria Foris Porta di Castelseprio, non lontano da Varese, per giungere alla basilica della Sagrada Famiglia progettata ed in parte realizzata da Gaudì (1852-1926), il più significa- tivo rappresentante del moderni- smo catalano, inaugurata nel 2010 da Benedetto XVI. Negli affreschi di Castelseprio e nelle sculture della facciata della Natività nella Basilica di Barcellona sono narrati episodi dell’infanzia di Gesù, nei quali san Giuseppe è protagonista: e poi lo sposalizio con la Vergine, la nascita di Gesù, la fuga in Egit- to, lo smarrimento nel tempo di Gerusalemme. Nel Santuario di Loreto la decorazione della cap- pella spagnola, opera di Modesto Faustini (1839-1891) è dedicata alla vita di san Giuseppe, e l’artista in uno stile neogotico, tra il fiabe- sco e il realistico, rappresenta la morte del santo assistito da Maria e da Gesù. La Zuffetti ha rintracciato a Bre- scia, nella chiesa di Sant’Ales- sandro, un grande quadro di Lorenzo Lotto (1480-1556) che rappresentando il «Compianto sul Cristo morto» inserisce anche san Giuseppe «solo, sulla destra della scena, sostenuto dal suo robusto bastone, è un personaggio gran- dioso e tragico pur nella sua defi- lata umiltà». La rappresentazione del Lotto non è un falso, Giuseppe nella sua vita ha percepito oscura- mente che suo figlio sarebbe do- vuto morire per salvare l’umanità ed ha vissuto questa “mia ora” di Gesù in un’attesa inquietante. L’a- bito rosso con cui l’artista lo veste, la testa piegata sulla spalla, le dita delle mani intrecciate manifesta- no questa sofferta accettazione della volontà di Dio. San Giuseppe, secondo il teologo Marie Dominique Philippe, in- sieme a san Pietro è uno dei due pilastri della Chiesa. Gesù nomi- na Pietro come suo vicario, ma, prima di lui, Giuseppe governa la piccola Chiesa di Nazareth, germe della Chiesa universale. Questo vo- lume sviluppa la ricerca anche nel campo della letteratura e della sto- ria. Rileva come Dante nell’ultimo canto del «Paradiso», proprio nel- la preghiera di san Bernardo alla Vergine, abbia costruito con le ini- ziali di sette terzine l’acrostico Io- sep.av, cioè un «salve Giuseppe», per sottolineare la sua importanza nel piano della redenzione. Anche i francescani hanno valorizzato la figura di questo santo, iniziando la tradizione del «Presepe». Nel 1129 a Bologna viene benedetta la prima chiesa dedicata a san Giu- seppe; nel 1562 santa Teresa d’Avi- la dedica a lui il primo monastero carmelitano riformato; nel 1850 i Gesuiti lo scelgono come Patrono della loro rivista «La Civiltà Catto- lica», finalmente nel 1870 Pio IX lo proclama Patrono della Chiesa universale. Ma torniamo alla storia dell’ar- te perché Giotto (1267-1337) nel grande ciclo di affreschi agli Scrovegni di Padova, quasi in una “rappresentazione cinematogra- fica” dipinge in un susseguirsi di scene l’incontro di Giuseppe e Maria, secondo la narrazione dei Vangeli apocrifi: alcuni uomini vengono al Tempio, per chiedere in sposa Maria, il sacerdote conse- gna loro dei ramoscelli; tutti pre- gano e fiorisce il ramoscello dal più vecchio; allo sposalizio sul ra- moscello di Giuseppe si posa una colomba; corteo nuziale. Nasce di qui la tradizionale figura di san Giuseppe, come uomo vecchio, che persiste per molto tempo nel- la storia dell’arte, sulla base del pregiudizio che un uomo giova- ne non avrebbe saputo rispettare il voto di castità di Maria. Questa tradizione viene interrotta dalla tela «Lo sposalizio della Ver- gine», che Raffaello nel 1504 di- pinge per la chiesa di San France- sco a Città di Castello, recuperan- do lo schema compositivo del qua- dro che in quegli anni il Perugino dipingeva per il Duomo della sua città. Quando Franz Liszt, durante il suo soggiorno milanese vide a Brera il quadro di Raffaello, scris- se su questo tema una delle sue migliori composizioni pianistiche. Ma è Rosso Fiorentino a dipingere nel 1523 una tela, «Lo sposalizio della Vergine», per San Lorenzo a Firenze, nel quale i due sposi sono rappresentati come due giovani, e la cosa suscitò molto scandalo a quel tempo. Purtroppo questa im- magine non è riportata nel volu- metto, che si diffonde ad illustrare altri momenti della vita di Giusep- pe con opere che vanno da Pieter Bruegel a Murillo, da Mantegna al Bergognone. Mi soffermo sull’opera di Georges de La Tour (1593-1652) perché quest’artista francese ha dedicato diversi quadri a san Giuseppe, nei quali lavorando sulle luci e sulle ombre crea volti di una grande bellezza che escono dal buio e coinvolgono lo spettatore. Nella tela che rappresenta Giuseppe e Gesù al lavoro nella bottega di fale- gnameria «è la candela l’elemento principale della narrazione, per- ché la sua luce, schermata dalla mano trasparente del bambino, trae dall’ombra solo i particolari indispensabili alla comprensione della scena, con tocchi di strug- gente poesia». Georges de La Tour gioca le sue rappresentazioni tutte sui primi piani in un “a tu per tu” dei protagonisti, invece, un artista inglese, John Everett Millais (1828- 1896), uno dei pittori preraffaelliti impegnati nel recupero della reli- giosità medioevale, costruisce nel- la bottega di Giuseppe un gruppo di lavoro, in un grande spazio, con molti protagonisti ciascuno ben individuato, pur in una narrazio- ne continua. Al centro, in basso, Maria consola il bambino che si è ferito alla mano Al grande banco- ne un robusto san Giuseppe, con un garzone; e c’è anche posto per Elisabetta e per il suo piccolo Gio- vanni che porta una ciotola d’ac- qua per lavare la mano ferita. Dal- la finestra si vede «un gregge nel recinto, allusione di quel gregge di cui Gesù sarà il Pastore, mentre in primo piano spicca il rosso di una rosa, simbolo di quel sangue che per quel gregge Gesù sarà disposto a versare». I Preraffaelliti inglesi anticipano i modi espressivi del simbolismo francese che verrà poco dopo. Merita una segnalazione particola- re il quadro di Orazio Gentileschi (1563-1639) «Riposo durante la fuga in Egitto», perché rompe gli schemi compositivi tradizionali (pensiamo al famoso quadro del Caravaggio) isolando le singole fi- gure dei protagonisti. Da una par- te, Maria che con tenerezza allatta il Bambino, dalla parte opposta un san Giuseppe spossato rovesciato su di un sacco; al centro, dietro un muro sbreccato, compare la testa dell’asino. Commenta la Zuffetti: «L’originalità di questa tela consi- ste anche nel fatto che il paesag- gio, in genere parte integrante, nelle rappresentazioni del riposo durante la fuga in Egitto, è qui del tutto assente. Il muro dietro le figure è quasi una quinta che le separa da ogni cosa: dal mon- do, dagli eventi, dal tempo, dallo spazio. Le figure occupano in modo assoluto tutto il primo pia- no, contro la bicromia del muro, e solo il testone dell’asino allude a un luogo al di là di loro. Le due teste divergenti e lontane di Giu- seppe e di Maria, le loro posizioni antitetiche, l’allusione all’alto e al basso nelle dimensioni del muro, danno vita a una rappresentazio- ne fortemente simbolica, pur nel suo grande realismo, in questo anomalo dipinto». Qui il simboli- smo diventa metafisica, è il tempo immerso nell’eternità. Chiudo con alcune riflessioni di Jean Paul Sartre, riportate all’i- nizio del volume, un filosofo che dopo avere visitato la Scuola Gran- de di San Rocco a Venezia, nella quale il Tintoretto (1512-1594) dipinge una «Natività» su due pia- ni, in alto la Sacra Famiglia sulla paglia, in basso gli animali, annota in un saggio monografico sull’ar- tista: «E Giuseppe? Giuseppe, non lo dipingerei. Non mostrerei che un’ombra in fondo al pagliaio e due occhi brillanti. Poiché non so cosa dire di Giuseppe e Giuseppe non sa che dire di se stesso. Ado- ra ed è felice di adorare e si sente un po’ in esilio. Credo che soffra senza confessarselo. Soffre perché vede quanto la donna che ama as- somigli a Dio, quanto già sia vici- na a Dio. Poiché Dio è scoppiato come una bomba nell’intimità di questa famiglia. Giuseppe e Maria sono separati per sempre da que- sto incendio di luce. E tutta la vita di Giuseppe, immagino, sarà per imparare ad accettare». Un filo- sofo ateo che fa teologia, ma com- prende bene che Giuseppe vive il suo amore per Gesù e per Maria in silenziosa e beata adorazione. Da Giotto al Perugino fino al Caravaggio e altri, anche moderni, emerge la persona più vicina per anni a Gesù «Riposo durante la fuga in Egitto» olio su tela di Orazio Gentileschi Sotto, il san Giuseppe di Millais

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arte Domenica 17 Marzo 2013 19

| Sguardi | Un libro corregge un pregiudizio culturale: che il marito della Vergine Maria non abbia interessato gli artisti

San Giuseppe e i pittoriPiero Viotto

Ad uno sguardo frettoloso può sembrare che san Giuseppe abbia interessato solo marginalmente i maestri della storia dell’arte e sia stato oggetto solo di immagi-ni devozionali o di icone. Ma ora Zaira Zuffetti, che da anni lavora sull’arte sacra, in un libro dal tito-lo provocatorio «L’uomo dei sette silenzi» (Ancora, Milano 2012) ricostruisce con un’ampia docu-mentazione la presenza di questo santo fin dall’alto Medioevo in nu-merose opere che ci permettono di conoscere meglio la sua vita a cui i Vangeli canonici fanno solo qualche raro cenno. Si parte da un ciclo di affreschi attribuibili a maestranze bizantine al servizio di committenze longo-barde che operano tra il VI e il IX secolo nella chiesa di Santa Maria Foris Porta di Castelseprio, non lontano da Varese, per giungere alla basilica della Sagrada Famiglia progettata ed in parte realizzata da Gaudì (1852-1926), il più significa-tivo rappresentante del moderni-smo catalano, inaugurata nel 2010 da Benedetto XVI. Negli affreschi di Castelseprio e nelle sculture della facciata della Natività nella Basilica di Barcellona sono narrati episodi dell’infanzia di Gesù, nei quali san Giuseppe è protagonista: e poi lo sposalizio con la Vergine, la nascita di Gesù, la fuga in Egit-to, lo smarrimento nel tempo di Gerusalemme. Nel Santuario di Loreto la decorazione della cap-pella spagnola, opera di Modesto Faustini (1839-1891) è dedicata alla vita di san Giuseppe, e l’artista in uno stile neogotico, tra il fiabe-sco e il realistico, rappresenta la morte del santo assistito da Maria e da Gesù. La Zuffetti ha rintracciato a Bre-scia, nella chiesa di Sant’Ales-sandro, un grande quadro di Lorenzo Lotto (1480-1556) che rappresentando il «Compianto sul Cristo morto» inserisce anche san Giuseppe «solo, sulla destra della scena, sostenuto dal suo robusto bastone, è un personaggio gran-dioso e tragico pur nella sua defi-lata umiltà». La rappresentazione del Lotto non è un falso, Giuseppe nella sua vita ha percepito oscura-mente che suo figlio sarebbe do-vuto morire per salvare l’umanità ed ha vissuto questa “mia ora” di Gesù in un’attesa inquietante. L’a-bito rosso con cui l’artista lo veste, la testa piegata sulla spalla, le dita delle mani intrecciate manifesta-no questa sofferta accettazione della volontà di Dio.

San Giuseppe, secondo il teologo Marie Dominique Philippe, in-sieme a san Pietro è uno dei due pilastri della Chiesa. Gesù nomi-na Pietro come suo vicario, ma, prima di lui, Giuseppe governa la piccola Chiesa di Nazareth, germe della Chiesa universale. Questo vo-lume sviluppa la ricerca anche nel

campo della letteratura e della sto-ria. Rileva come Dante nell’ultimo canto del «Paradiso», proprio nel-la preghiera di san Bernardo alla Vergine, abbia costruito con le ini-ziali di sette terzine l’acrostico Io-sep.av, cioè un «salve Giuseppe», per sottolineare la sua importanza nel piano della redenzione. Anche i francescani hanno valorizzato la figura di questo santo, iniziando la tradizione del «Presepe». Nel 1129 a Bologna viene benedetta la prima chiesa dedicata a san Giu-seppe; nel 1562 santa Teresa d’Avi-la dedica a lui il primo monastero carmelitano riformato; nel 1850 i

Gesuiti lo scelgono come Patrono della loro rivista «La Civiltà Catto-lica», finalmente nel 1870 Pio IX lo proclama Patrono della Chiesa universale.Ma torniamo alla storia dell’ar-te perché Giotto (1267-1337) nel grande ciclo di affreschi agli Scrovegni di Padova, quasi in una “rappresentazione cinematogra-fica” dipinge in un susseguirsi di scene l’incontro di Giuseppe e Maria, secondo la narrazione dei Vangeli apocrifi: alcuni uomini vengono al Tempio, per chiedere

in sposa Maria, il sacerdote conse-gna loro dei ramoscelli; tutti pre-gano e fiorisce il ramoscello dal più vecchio; allo sposalizio sul ra-moscello di Giuseppe si posa una colomba; corteo nuziale. Nasce di qui la tradizionale figura di san Giuseppe, come uomo vecchio, che persiste per molto tempo nel-la storia dell’arte, sulla base del pregiudizio che un uomo giova-ne non avrebbe saputo rispettare il voto di castità di Maria.Questa tradizione viene interrotta dalla tela «Lo sposalizio della Ver-gine», che Raffaello nel 1504 di-pinge per la chiesa di San France-

sco a Città di Castello, recuperan-do lo schema compositivo del qua-dro che in quegli anni il Perugino dipingeva per il Duomo della sua città. Quando Franz Liszt, durante il suo soggiorno milanese vide a Brera il quadro di Raffaello, scris-se su questo tema una delle sue migliori composizioni pianistiche. Ma è Rosso Fiorentino a dipingere nel 1523 una tela, «Lo sposalizio della Vergine», per San Lorenzo a Firenze, nel quale i due sposi sono rappresentati come due giovani, e la cosa suscitò molto scandalo a quel tempo. Purtroppo questa im-magine non è riportata nel volu-metto, che si diffonde ad illustrare altri momenti della vita di Giusep-pe con opere che vanno da Pieter Bruegel a Murillo, da Mantegna al Bergognone. Mi soffermo sull’opera di Georges de La Tour (1593-1652) perché quest’artista francese ha dedicato diversi quadri a san Giuseppe, nei

quali lavorando sulle luci e sulle ombre crea volti di una grande bellezza che escono dal buio e coinvolgono lo spettatore. Nella tela che rappresenta Giuseppe e Gesù al lavoro nella bottega di fale-gnameria «è la candela l’elemento principale della narrazione, per-ché la sua luce, schermata dalla mano trasparente del bambino, trae dall’ombra solo i particolari indispensabili alla comprensione della scena, con tocchi di strug-gente poesia». Georges de La Tour gioca le sue rappresentazioni tutte sui primi piani in un “a tu per tu” dei protagonisti, invece, un artista

inglese, John Everett Millais (1828-1896), uno dei pittori preraffaelliti impegnati nel recupero della reli-giosità medioevale, costruisce nel-la bottega di Giuseppe un gruppo di lavoro, in un grande spazio, con molti protagonisti ciascuno ben individuato, pur in una narrazio-ne continua. Al centro, in basso, Maria consola il bambino che si è ferito alla mano Al grande banco-ne un robusto san Giuseppe, con un garzone; e c’è anche posto per Elisabetta e per il suo piccolo Gio-vanni che porta una ciotola d’ac-qua per lavare la mano ferita. Dal-la finestra si vede «un gregge nel recinto, allusione di quel gregge di cui Gesù sarà il Pastore, mentre in primo piano spicca il rosso di una rosa, simbolo di quel sangue che per quel gregge Gesù sarà disposto a versare». I Preraffaelliti inglesi anticipano i modi espressivi del simbolismo francese che verrà poco dopo.Merita una segnalazione particola-re il quadro di Orazio Gentileschi (1563-1639) «Riposo durante la fuga in Egitto», perché rompe gli schemi compositivi tradizionali (pensiamo al famoso quadro del Caravaggio) isolando le singole fi-gure dei protagonisti. Da una par-te, Maria che con tenerezza allatta il Bambino, dalla parte opposta un san Giuseppe spossato rovesciato su di un sacco; al centro, dietro un muro sbreccato, compare la testa dell’asino. Commenta la Zuffetti: «L’originalità di questa tela consi-ste anche nel fatto che il paesag-gio, in genere parte integrante, nelle rappresentazioni del riposo durante la fuga in Egitto, è qui del tutto assente. Il muro dietro le figure è quasi una quinta che le separa da ogni cosa: dal mon-do, dagli eventi, dal tempo, dallo spazio. Le figure occupano in modo assoluto tutto il primo pia-no, contro la bicromia del muro, e solo il testone dell’asino allude a un luogo al di là di loro. Le due teste divergenti e lontane di Giu-seppe e di Maria, le loro posizioni antitetiche, l’allusione all’alto e al basso nelle dimensioni del muro, danno vita a una rappresentazio-ne fortemente simbolica, pur nel suo grande realismo, in questo anomalo dipinto». Qui il simboli-smo diventa metafisica, è il tempo immerso nell’eternità.Chiudo con alcune riflessioni di Jean Paul Sartre, riportate all’i-nizio del volume, un filosofo che dopo avere visitato la Scuola Gran-de di San Rocco a Venezia, nella quale il Tintoretto (1512-1594) dipinge una «Natività» su due pia-ni, in alto la Sacra Famiglia sulla paglia, in basso gli animali, annota in un saggio monografico sull’ar-tista: «E Giuseppe? Giuseppe, non lo dipingerei. Non mostrerei che un’ombra in fondo al pagliaio e due occhi brillanti. Poiché non so cosa dire di Giuseppe e Giuseppe non sa che dire di se stesso. Ado-ra ed è felice di adorare e si sente un po’ in esilio. Credo che soffra senza confessarselo. Soffre perché vede quanto la donna che ama as-somigli a Dio, quanto già sia vici-na a Dio. Poiché Dio è scoppiato come una bomba nell’intimità di questa famiglia. Giuseppe e Maria sono separati per sempre da que-sto incendio di luce. E tutta la vita di Giuseppe, immagino, sarà per imparare ad accettare». Un filo-sofo ateo che fa teologia, ma com-prende bene che Giuseppe vive il suo amore per Gesù e per Maria in silenziosa e beata adorazione.

Da Giotto al Perugino fino al Caravaggio e altri, anche moderni, emerge la personapiù vicina per anni a Gesù

«Riposo durante la fuga in Egitto» olio su tela di Orazio GentileschiSotto, il san Giuseppe di Millais