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    Sam EastlandL'OCCHIO DELLO ZAR

    Da oggi in poi sarai noto come l'Occhio di smeraldo. Godrai di un'autorit

    incondizionata nell'assolvimento dei tuoi doveri. Niente potr esserti celato.Non vi saranno documenti che non potrai chiedere di controllare. Nessuna portache non potrai varcare.

    Pekkala era l'uomo di fiducia dello zar Nicolaj Romanov.L'Occhio di smeraldo con il compito di proteggere la famiglia imperiale e di

    garantire la sicurezza del paese. Dopo la Rivoluzione solamente un numero: ilprigioniero 4745-P nel campo di lavoro di Borodok, in Siberia. Dopo dieci anni dilavori forzati la visita del giovane tenente Kirov lo richiama alla vita: ora Stalin ha

    bisogno della sua leggendaria abilit investigativa per scoprire la verit sullamorte dei Romanov e sulla scomparsa del loro tesoro. Affiancato dall'ingenuotenente-chef Kirov e dal fratello Anton, arruolato nell'Armata rossa, con il qualeha un rapporto ostile, Pekkala si confronter con realt che lo porteranno adaffrontare il suo passato. La donna amata lo attende ancora? Il giovane Aleksej scampato all'esecuzione?

    Sam Eastland lo pseudonimo di uno scrittore inglese. Vive negli Stati Uniti.Il Saggiatore ha pubblicato nell'autunno 2011 il secondo volume della serie diPekkala, La bara rossa.

    Cotton Coulson/Getty ImagesISBN 978-885650287-9www.saggiatore.it (sito & eStore)Twitter @ilSaggiatoreEdFacebook il Saggiatore editore Sam Eastland, 2010 il Saggiatore S.p.A., Milano 2011

    Prima edizione: il Saggiatore, Milano 2010Titolo originale: Eye of the Red Tsar

    L'occhio dello zar

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    Con gli occhi velati dal sangue lo zar guard l'uomo ricaricare la pistola. Ibossoli vuoti caddero dal tamburo della rivoltella, seguiti dai loro paracadute difumo, e atterrarono con un ticchettio metallico sul pavimento su cui lo zar erasteso. Quando respir, sent il fremito delle bolle che sfuggivano dai polmoni

    perforati.Adesso l'assassino gli si era inginocchiato accanto. Lo vedi? L'uomo lo afferrper il mento e gli gir la testa. Lo vedi che cos'hai ottenuto? Lo zar nonvedeva nulla, era accecato dal velo di sangue sugli occhi, ma sapeva che l intornogiaceva la sua famiglia. Sua moglie. I suoi figli.Avanti disse all'uomo. Finiscimi. Sent una mano che gli dava un lieve

    schiaffetto, le dita umide del suo stesso sangue.Sei gi finito disse l'assassino. Ci fu un leggero clic mentre l'uomo inseriva

    nuove pallottole nel tamburo.Poi lo zar ud altre detonazioni, assordanti nello spazio ristretto della stanza. La

    mia famiglia cerc di gridare, ma riusc soltanto a tossire fra i conati di vomito.Non poteva fare nulla per aiutarli. Non riusciva nemmeno a sollevare un braccioper proteggersi.

    Ora lo stavano trascinando sul pavimento.L'assassino grugn mentre trasportava il corpo lungo una rampa di scale,

    bestemmiando perch i tacchi degli stivali si incastravano a tutti i gradini.Fuori era buio.Lo zar sent la pioggia sul viso. Poco dopo ud i tonfi dei corpi gettati accanto a

    s. Le loro teste prive di vita sbattute sul terreno sassoso.Fu avviato un motore. Un veicolo. Stridio di freni, poi il colpo secco di una

    sponda posteriore abbassata. Uno dopo l'altro, i cadaveri furono issati sul retro diun camion. Poi anche lo zar, gettato sul mucchio di corpi. La sponda si chiuse dicolpo.Quando il camion part, il dolore al petto crebbe. Ogni scossone nella strada

    piena di buche diventava una nuova ferita, le fitte esplodevano come tanti lampinel buio impenetrabile che lo attorniava.D'un tratto il dolore cominci a placarsi. L'oscurit parve colare attraverso gli

    occhi come un liquido, e spense tutte le paure, le ambizioni, i ricordi, fino a

    quando rimase solo un vuoto sussultante, in cui non sapeva pi nulla...Siberia 1929 Si sollev con un rantolo.

    Era solo nella foresta.Il sogno l'aveva svegliato un'altra volta.Scost la vecchia coperta da cavallo. Era umida di rugiada.Si rimise in piedi sulle gambe anchilosate e scrut la nebbia del mattino e i raggi

    di sole che filtravano obliqui tra gli alberi. Riavvolse la coperta e ne leg i capicon una correggia, poi si pass il rotolo sopra la testa, in modo da averlo atracolla. Infine estrasse di tasca un brandello rinsecchito di carne di cervo

    affumicata, che mastic adagio, concedendosi qualche pausa per cogliere i rumoridei topi che si azzuffavano sotto il tappeto di foglie secche, degli uccelli che

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    rimbrottavano dai rami sopra la sua testa e del vento che frusciava tra le cime deipini.

    Era alto, con le spalle larghe, il naso dritto e i denti bianchi e sani. Gli occhierano castani con una sfumatura di verde e iridi dallo strano riflesso argenteo, che

    gli altri notavano soltanto quando li guardava dritto in faccia.Tra i capelli neri e lunghi correvano alcune strie di grigio prematuro, e la barbacresceva folta sulle guance segnate dal vento. L'uomo non aveva pi un nome.Ormai era noto solo come Detenuto 4745-P nel campo di lavoro di Borodok.Dopo qualche secondo si avvi per attraversare un boschetto di pini su un lieve

    pendio che scendeva verso un ruscello. Camminava aiutandosi con un grossobastone, la cui impugnatura, una radice nodosa, era irta di chiodi da cavallo dallatesta quadrata. L'unica altra cosa che si portava dietro era un secchio pieno dellavernice rossa con cui contrassegnava gli alberi che dovevano essere tagliati daglialtri detenuti del campo, deputato al disboscamento della foresta diKrasnagolyana. Invece di usare un pennello, l'uomo immergeva le dita nellavernice scarlatta e poi lasciava la propria impronta sui tronchi. Questi segni eranol'unica sua traccia che quasi tutti gli altri detenuti avrebbero mai visto.La vita media dei marca-alberi nella foresta di Krasnagolyana era intorno ai sei

    mesi. Lavorando da soli, senza alcuna possibilit di evadere e lontani da qualsiasicontatto con altri esseri umani, questi detenuti morivano di inedia, assideramentoe solitudine. Quelli che si perdevano, o che cadevano e si rompevano una gamba,finivano di solito divorati dai lupi. Girava voce che la marcatura degli alberi fossel'unico incarico a Borodok peggiore di una condanna a morte.Arrivato al nono anno della pena di trent'anni per crimini contro lo stato, il

    Detenuto 4745-P era durato pi di ogni altro marca-alberi in tutto il sistema deiGulag. Poco dopo il suo arrivo a Borodok il direttore del campo l'aveva speditonella foresta, temendo che gli altri reclusi potessero scoprire la sua vera identit.Tutti quanti davano per scontato che sarebbe morto nel giro di un anno.Ogni quattro mesi gli lasciavano i rifornimenti all'imbocco di una pista per

    taglialegna. Cherosene. Scatolette di carne. Chiodi. Per il resto doveva arrangiarsi.Le squadre di taglialegna che venivano ad abbattere gli alberi lo incrociavano dirado, e vedevano solo una creatura che a stento poteva definirsi umana. Con

    quella crosta di vernice rossa che copriva l'uniforme da detenuto e i capelli lunghiche gli nascondevano il volto, sembrava una bestia scarnificata e lasciata l amorire, ma che in qualche modo era riuscita a sopravvivere.Giravano le dicerie pi folli su di lui, che mangiasse carne umana, che indossasseuna corazza fatta con le ossa di coloro che erano scomparsi nella foresta, che

    portasse in testa un berretto di scalpi intrecciati.Lo chiamavano l'uomo dalle mani sporche di sangue. Nessuno, a parte il

    comandante di Borodok, sapeva da dove veniva il detenuto o chi fosse stato primadel suo arrivo.

    Le stesse persone che temevano di incrociare i suoi passi non immaginavano chesi trattasse di Pekkala, il cui nome avevano un tempo invocato come i loroantenati invocavano gli dei.

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    Guad il torrente, poi usc dall'acqua gelida che arrivava sino alla cintola escompar nella macchia di betulle bianche sull'altra sponda. L in mezzo,semisepolta nel terreno, c'era una di quelle capanne note come zemljanka.L'aveva costruita Pekkala con le sue mani, ed era l che superava gli inverni

    siberiani, la cui cosa peggiore non era il freddo ma il silenzio, talmente assolutoda avere un proprio suono, un rumore sibilante, come di qualcosa che scorre,quasi fosse quello del pianeta che sfreccia nello spazio.Nei pressi della capanna, Pekkala si ferm ad annusare l'aria. Qualcosa nel suoistinto palpit. Rimase immobile, come un airone sull'acqua, i piedi nudi cheaffondavano nel terreno coperto di muschio.Il respiro gli si blocc in gola.In un angolo della radura c'era un uomo seduto su un ceppo, girato di schiena.

    Indossava un'uniforme militare verde oliva, con alti stivali neri che gli arrivavanosino alle ginocchia. Non era un soldato normale. Il tessuto della giacca aveva lalucentezza del gabardine, non era la rozza tela da coperte usata dagli uomini dellaguarnigione locale che ogni tanto si avventuravano di pattuglia sinoall'imboccatura del sentiero, ma non si addentravano mai tanto nella foresta.Non sembrava essersi perso. E non aveva armi, da quel che poteva vederePekkala. L'unica cosa che aveva con s era una valigetta. Era di buona fattura, conlucide cerniere di ottone che sembravano follemente incongrue nella foresta.L'uomo sembrava in attesa di qualcosa.Nelle ore seguenti, mentre il sole saliva sopra gli alberi e nell'aria aleggiaval'odore della resina calda, Pekkala studi lo sconosciuto, prese notadell'angolazione del capo, di come accavallava e scavallava le gambe, di come sischiariva la gola dal polline. A un certo punto l'uomo scatt in piedi e fece il girodella radura, agitando frenetico le mani contro gli sciami di zanzare.Quando si volt, Pekkala vide le guance rosee di un ragazzo che aveva appenaraggiunto la ventina. Era di corporatura esile, con mani delicate e polpacci sottili.Non pot fare a meno di confrontarle con le proprie mani callose, con la pelledelle nocche screpolata e piena di croste, e con le sue gambe gonfie di muscoli,come serpenti avvolti intorno alle ossa.Pekkala not le due stelle rosse cucite sulle maniche della giubba gymnastiorka,

    portata alla maniera contadina, fuori dai pantaloni e lunga fino a met coscia.Dalle stelle rosse cap che quell'uomo era arrivato al rango di commissario del

    popolo, l'ufficiale politico dell'Armata rossa.Il commissario attese tutto il giorno nella radura, tormentato dagli insetti, finch

    l'ultimo debole barlume di luce spar. Al crepuscolo estrasse una pipa dal cannellolungo e la riemp con il tabacco preso da un sacchetto appeso al collo. L'accesecon un accendino d'ottone e tir soddisfatto, tenendo alla larga le zanzare.Pekkala inspir adagio. L'odore muschiato del tabacco gli inond i sensi. Not

    come il giovane si toglieva spesso la pipa di bocca per studiarla, e come stringeva

    la canna tra i denti, producendo un piccolo scatto, simile a quello di una chiavegirata nella toppa.

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    Pekkala si disse che quell'uomo non fumava la pipa da molto. L'aveva preferitaalle sigarette perch riteneva che lo facesse sembrare pi maturo.Ogni tanto il commissario lanciava un'occhiata alle stelle rosse cucite sugli

    avambracci, come se fosse stupito della loro presenza. Da quel gesto Pekkala cap

    che il giovanotto era stato promosso da poco.Per pi cose imparava su di lui, meno capiva che cosa fosse venuto a fare nellaforesta. Non poteva fare a meno di provare una riluttante ammirazione perquell'uomo che non era entrato nella capanna, preferendo restare sul duro sedile diun ceppo d'albero.Quando scese la notte Pekkala accost le dita alla bocca e soffi aria calda nel

    cavo delle mani. Si appisol appoggiato a un albero, ma poco dopo si svegli disoprassalto. Era circondato dalla nebbia che sapeva di terra e foglie morte e giravain tondo come un predatore incuriosito.Girandosi verso la capanna, vide che il commissario non s'era mosso. Se ne stava

    seduto a braccia conserte, il mento sul petto. Nella radura echeggiava il suosommesso russare.Entro domattina sar sparito pens Pekkala, poi richiuse gli occhi dopo essersi

    sollevato il colletto logoro del giaccone.Ma all'alba rimase stupito nel vedere che il commissario era ancora l. Era

    caduto dal ceppo e ora era steso sulla schiena, una gamba ancora sul monconed'albero, come una statua in posa trionfale crollata dal piedistallo.Finalmente il commissario sbuff e si sollev a sedere, guardandosi intorno

    come se si fosse dimenticato dov'era.Adesso rinsavir e mi lascer in pace si disse Pekkala.Il commissario si alz e appoggi le mani sul fondoschiena con una smorfia.

    Dalle sue labbra usc un gemito. Poi si gir di scatto verso il punto in cui eranascosto Pekkala. Allora, ti decidi a uscire? chiese.Quelle parole colpirono Pekkala come una manciata di sabbia negli occhi. A

    quel punto usc controvoglia da dietro l'albero, appoggiandosi al bastone con latesta chiodata. Che vuoi? Parlava tanto di rado che la sua voce suonava strana

    persino a lui.La faccia del commissario era coperta di bolle rosse nei punti in cui le zanzare

    avevano banchettato. Devi venire con me disse il giovanotto.Perch? Perch quando sentirai quel che ho da dirti sarai d'accordo anche

    tu. Commissario, sei troppo ottimista. La gente che mi ha mandato aprenderti... Chi ti ha mandato? Lo saprai abbastanza presto. E questagente ti ha spiegato chi sono io? Il giovane commissario del popolo si strinsenelle spalle. So solo che ti chiami Pekkala e che altrove hanno bisogno delle tuedoti, quali che siano. Si guard intorno nella lugubre radura. Pensavo cheavresti colto al volo l'opportunit di lasciare questo posto dimenticato da Dio.Siete voi che avete dimenticato Dio. Il commissario sorrise. Me l'avevano

    detto che sei un tipo difficile. A quanto pare mi conoscono, chiunque sianoribatt Pekkala.

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    E mi hanno anche detto che se fossi venuto armato probabilmente mi avrestiammazzato ancor prima che riuscissi a metterti gli occhi addosso aggiunse ilcommissario. Poi sollev le mani. Come vedi, ho accettato il loro consiglio.Pekkala usc nella radura. Cos coperto di stracci rappezzati, incombeva come un

    gigante preistorico sul lindo commissario. Per la prima volta da anni fuconsapevole dell'odore del proprio corpo non lavato. Come ti chiami? chiese.Kirov. Il giovanotto drizz la schiena. Tenente Kirov. Da quant' che sei

    tenente? Un mese e due giorni. Poi il giovane aggiunse a voce pi bassa:Compreso oggi. E quanti anni hai? Quasi venti. Devi aver rotto

    parecchio le scatole a qualcuno, tenente Kirov, se ti hanno affidato l'incarico divenire a scovarmi. Il commissario si gratt le punture delle zanzare. Eimmagino che anche tu abbia rotto parecchio se sei finito in Siberia.D'accordo, tenente Kirov. Hai consegnato il tuo messaggio. Adesso puoi tornarenel posto da cui sei venuto e lasciarmi in pace. Mi hanno detto di dartiquesta. Kirov sollev la valigetta posata accanto al ceppo.Che c' l dentro? Non ne ho la minima idea. Pekkala afferr la maniglia

    coperta di pelle. Era pi pesante del previsto.Con la valigetta in mano, sembrava un incrocio tra uno spaventapasseri e unuomo d'affari in attesa del treno. Il giovane commissario si gir per andarsene.Hai fino al tramonto di domani.Ci sar un'automobile ad aspettarti all'inizio del sentiero. Pekkala guard Kirovche tornava per la strada da cui era arrivato. Gli schiocchi dei rametti spezzatisegnalarono a lungo il suo passaggio nella foresta. Alla fine anche quel rumore sispense e Pekkala si trov di nuovo solo.Entr nella capanna e si sedette sui sacchi imbottiti di aghi di pino che gli

    facevano da letto, con la valigetta sulle ginocchia. Il suo contenuto sbattevapesante all'interno. Fece scattare le serrature d'ottone con la punta dei pollici.

    Quando sollev il coperchio, gli sal alle narici un odore di muffa.All'interno trov un pesante cinturone di cuoio avvolto intorno a una fondina

    marrone scuro che conteneva una rivoltella. Dopo aver srotolato il cinturone,estrasse la pistola: un revolver Webley di fabbricazione inglese. Era la normaledotazione militare, a parte un dettaglio: il calcio era di ottone e non di legno.

    Pekkala sfil la pistola e l'impugn a braccio teso, prendendo la mira. Il metallobluastro brill nella luce fioca della capanna.

    In un angolo della valigia c'era una scatola di cartone con le munizioni, conscritte in inglese. Lacer la confezione sbrindellata e caric la Webley, aprendo la

    pistola in modo che la canna s'inclinasse in avanti su un cardine per portare alloscoperto le sei camere. I proiettili erano vecchi quanto la pistola, e Pekkala li pul

    prima di inserirli nel tamburo.Trov anche un libro spiegazzato. Sul dorso rovinato si leggeva un'unica parola:

    Kalevala.

    Mentre metteva da parte questi oggetti, scorse un'altra cosa all'interno dellavaligetta. Era un sacchettino di cotone chiuso da una cordicella di cuoio. Lasciolse e svuot il sacchetto.

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    Rimase senza fiato quando vide che cosa conteneva.Era un pesante disco d'oro, largo quanto era lungo il suo mignolo, attraversato al

    centro da una striscia a intarsio di smalto bianco, che cominciava appuntita, siallargava fino a occupare met medaglione e di nuovo si riduceva a punta

    dall'altra parte. In mezzo alla striscia di smalto era incastonato un grosso smeraldorotondo. Nel complesso lo smalto bianco, l'oro e lo smeraldo formavanol'inconfondibile sagoma di un occhio. Pekkala fece scivolare un polpastrello suldisco, tastando la sporgenza liscia della gemma, come un cieco che legge inBraille.Adesso sapeva chi l'aveva mandato a cercare, e sapeva che era una convocazione

    a cui non poteva dire di no. Non aveva mai immaginato di poter rivedere ungiorno quegli oggetti. Fino a pochi istanti prima era convinto che appartenessero aun mondo che non esisteva pi.

    Era nato in Finlandia, quando era ancora una colonia russa, ed era cresciuto inmezzo alle fitte foreste e all'infinit di laghi presso la cittadina di Lappeenranta.Suo padre faceva l'impresario di pompe funebri, l'unico della regione. La gente

    gli portava i suoi morti da chilometri di distanza, sballottandoli lungo i sentieriforestali a bordo di carretti sconquassati oppure, in inverno, con la slitta suilaghetti ghiacciati, e cos all'arrivo le salme erano dure come sassi.Nell'armadio di suo padre erano appese tre giacche nere identiche, e tre paia di

    pantaloni neri. Persino i fazzoletti erano neri. Non voleva il luccichio del metallosulla sua persona. I bottoni d'ottone delle giacche erano stati rimpiazzati da

    bottoni d'ebano. Il padre di Pekkala sorrideva di rado, e quando lo faceva sicopriva la bocca come uno che si vergogna dei propri denti. La sobriet era unadote che coltivava con la massima cura, consapevole del fatto che era il suolavoro a esigerla.Sua madre era una lappone di Rovaniemi. C'era in lei un'irrequietudine

    insopprimibile, forse un ricordo delle regioni artiche della sua infanzia.Pekkala aveva anche un fratello maggiore, Anton. Per volere del padre, a

    diciott'anni Anton part alla volta di Pietrogrado per andare ad arruolarsi nelReggimento finlandese dello zar. Per il padre di Pekkala non poteva esistere onore

    pi grande di quello di servire in quel corpo scelto, la guardia personale

    dell'imperatore.Quando Anton sal sul treno suo padre piangeva per la fierezza e si asciugava gli

    occhi con un fazzoletto nero. Sua madre sembrava soltanto stordita, incapace difarsi una ragione di quel figlio spedito tanto lontano.Anton si sporse dal finestrino del vagone, i capelli in perfetto ordine. Sul suo

    volto si poteva leggere il disorientamento di chi vorrebbe restare ma sa che devepartire.

    Pekkala, che aveva solo sedici anni ed era accanto ai genitori sulla piattaformadella stazione, sent l'assenza del fratello come se il treno fosse partito da ore.

    Quando il convoglio scomparve, il padre di Pekkala mise un braccio intorno allespalle della moglie e del figlio. Oggi un gran giorno disse, gli occhi rossi dalpianto. Un gran giorno per la nostra famiglia. Nei giorni seguenti, mentre

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    faceva i suoi giri in citt, non dimentic mai una volta di ricordare che tra pocoAnton sarebbe diventato un membro del Reggimento.Pekkala, in quanto figlio pi piccolo, aveva sempre saputo di essere destinato a

    restare al paese per fare l'apprendista in bottega. Alla fine avrebbe rilevato

    l'attivit di famiglia. La pacata riservatezza del genitore divent anche quella diPekkala man mano che lo aiutava nel suo lavoro. Drenare i fluidi dai cadaveri persostituirli con i liquidi conservanti, vestirli e acconciare i capelli, conficcare glispilli nel viso per ottenere un'espressione rilassata e pacifica, tutte questeoperazioni diventarono gesti spontanei mentre imparava il mestiere del genitore.Suo padre dedicava la massima cura proprio alle espressioni del viso. Il morto

    doveva essere avvolto da un'aura di serenit, come se fosse contento di questonuovo stadio della sua esistenza. La faccia di un cadavere lavorato male potevarisultare ansiosa o timorosa, o ancor peggio, rischiava di non somigliare in nulla e

    per nulla a quella persona.Pekkala leggeva affascinato nelle mani e nei volti dei defunti come avevano

    trascorso la vita. I loro corpi rivelavano i segreti dell'attenzione o dell'incuria,quasi fossero un guardaroba. Quando reggeva la mano di un insegnante sentiva lanodosit sull'indice nel punto in cui teneva la stilografica, con un piccolo solconell'osso. Le mani di un pescatore erano piene di calli e vecchie ferite da coltello,che irruvidivano la pelle come fosse un foglio accartocciato. Le rughe intorno agliocchi e alla bocca gli raccontavano se i giorni di quella persona erano statigovernati dall'ottimismo o dal pessimismo. I morti non gli facevano orrore, eranosolo un grande mistero insolubile.Il lavoro dell'impresario di pompe funebri non era piacevole, non era il tipo di

    mestiere che potevi sostenere di amare. Per gli piaceva che fosse cosimportante. Non potevano farlo tutti, eppure andava fatto. Era necessario, nontanto per i morti quanto per la memoria dei vivi.Sua madre la pensava in maniera diversa. Lei non scendeva mai nello scantinato

    in cui preparavano le salme. Si fermava a met scala per lanciare un messaggio oper chiamarli a tavola. Pekkala si abitu alla visione delle sue gambe sugli scalini,alla rotonda morbidezza di quelle ginocchia mentre il resto del corpo restavainvisibile. Memorizz il suono della sua voce soffocata dal fazzoletto alla lavanda

    che teneva premuto sul viso ogni volta che entrava nello scantinato. Sembravaquasi che temesse la formaldeide, come se rischiasse di filtrare nei polmoni perstrapparle l'anima.Sua madre credeva a quel genere di cose. L'infanzia vissuta nella tundra desolata

    le aveva insegnato a trovare un significato persino nel fumo che saliva da un fal.Pekkala non avrebbe mai scordato le sue descrizioni di come la pernice biancariusciva a mimetizzarsi tra le rocce coperte di licheni, o delle pietre annerite di unfuoco da campo le cui braci s'erano spente mille anni prima, o della lievedepressione nel terreno, visibile solo grazie alle ombre della sera, che segnalava la

    presenza di una tomba.

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    Da sua madre Pekkala impar a cogliere i minimi dettagli, persino quelli che nonvedeva ma che incamerava a livello subliminale, e a ricordarli. Da suo padreapprese la pazienza e la capacit di sentirsi a suo agio in compagnia dei defunti.Era il mondo in cui Pekkala pensava di vivere per sempre, i cui confini erano

    tracciati dai nomi delle strade familiari, dai laghi colore del t che riflettevano ilcielo azzurrino e l'orizzonte a denti di sega dei pini nella foresta.Ma non and cos.Il mattino dopo la visita del commissario, Pekkala incendi la sua capanna.Mentre il fumo nero saliva verso il cielo, rimase a guardare nella radura, le

    orecchie invase dagli schiocchi e dai sibili del rogo. Le faville gli si posavano suivestiti, ma lui le toglieva subito con uno scatto delle dita. I secchi di verniceammassati di fianco alla capanna eruttarono lingue di fiamma giallo sporcoquando le sostanze all'interno presero fuoco. Vide crollare il tetto sul letto rifatto esulla sedia e sul tavolo, che erano stati i suoi soli compagni tanto a lungo cheormai il mondo l fuori sembrava pi sogno che realt.L'unico oggetto che aveva salvato dal rogo era una sacca colorata, di pelle di

    alce, chiusa con un bottone di corno. Conteneva la pistola nella sua fondina, illibro e l'impassibile occhio di smeraldo.Quando rimase soltanto un mucchio di braci fumanti, Pekkala si volt per andare

    all'imboccatura del sentiero. Un attimo dopo era scomparso tra gli alberi,silenzioso come un fantasma.Qualche ora pi tardi sbuc dalla foresta vergine su una pista per taglialegna. Gli

    alberi abbattuti erano raggruppati a mucchi di dieci, pronti per essere portati allasegheria del Gulag. Il terreno era disseminato di strisce di corteccia e l'aria eraimpregnata del sentore acre del legno fresco.Pekkala vide l'automobile, proprio come gli aveva garantito il commissario.

    Era un modello che non aveva mai visto. Con quei parafanghi sfondati, il piccoloparabrezza e il radiatore inarcato come un sopracciglio, sembrava quasi arrogante.Uno scudetto bianco e azzurro sulla griglia del radiatore la identificava come unaEmka.Gli sportelli erano spalancati. Il tenente Kirov stava dormendo sul sedile di

    dietro, gli stinchi sospesi nel vuoto.

    Pekkala afferr un piede di Kirov e lo scroll.Il tenente lanci un urletto, poi usc di scatto dall'auto. La sua prima reazione fu

    di allontanarsi dallo straccione irsuto che gli si parava di fronte.Mi hai spaventato! Mi riporti al campo? chiese Pekkala.No. Non al campo. I tuoi giorni da detenuto sono finiti. Kirov fece segno a

    Pekkala di salire in macchina. Almeno per ora. Fece inversione con una seriedi manovre disordinate e inizi il lungo viaggio verso l'insediamento di Oreshek.Dopo un'ora di scossoni e sbandate sulla strada sconnessa, uscirono dalla forestain una campagna disboscata, la cui immensit riemp Pekkala di un'angoscia

    senza nome.

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    Per gran parte del viaggio Kirov non apr bocca, ma si limit a sbirciare l'altronello specchietto retrovisore, come un tassista che si sta chiedendo se il

    passeggero pagher la corsa.Attraversarono le rovine di un villaggio. I tetti di canne delle izbe erano curvi

    come la groppa di un cavallo sfiancato. Dal vetusto intonaco di calce delle paretispuntava qua e l la terra nuda. Le imposte penzolavano dai cardini e il suolo eracostellato dalle impronte di animali al pascolo. Tutto intorno i campi eranoincolti. I girasoli selvatici svettavano sul terreno soffocato dalle sterpaglie.Che successo a questo posto? chiese Pekkala.Opera dei controrivoluzionari e degli approfittatori della cosiddetta American

    Relief Administration che si sono infiltrati dall'Occidente per sabotare la NuovaPolitica Economica. La risposta schizz dalla bocca di Kirov come se nonconoscesse l'uso della punteggiatura.Ma che cos' successo? ripet Pekkala.Adesso abitano tutti a Oreshek. Quando arrivarono a Oreshek, Pekkala

    osserv a lungo le baracche improvvisate lungo la strada. Anche se sembravanonuove, i tetti di carta catramata si stavano gi staccando. In gran parte eranodisabitate, eppure aveva l'impressione che l'unica attivit in corso fosse lacostruzione di ulteriori baracche. I manovali, maschi e femmine, si fermarono aguardare l'auto che passava. Le mani e il volto erano coperti da una maschera difango. Qualcuno spingeva una carriola. Altri reggevano quello che sembrava unciclopico badile pieno di mattoni.Nei campi crescevano il frumento e l'orzo, ma dovevano essere stati piantatitroppo tardi. Le pianticelle che ormai dovevano arrivare al ginocchioraggiungevano a stento la caviglia.L'automobile accost davanti a una piccola stazione di polizia. Era l'unico

    edificio in muratura, provvisto di finestrelle con le sbarre simili agli occhietti diun maiale e di un pesante portone di legno rinforzato da listelli metallici.Kirov spense il motore. Siamo arrivati annunci.Mentre Pekkala smontava dalla macchina alcune persone gli lanciarono

    un'occhiata, ma distolsero immediatamente lo sguardo, come se il solo averloriconosciuto rischiasse di tradirli.

    Pekkala sal i tre gradini di legno fino all'ingresso, poi si fece da parte perch untale in uniforme nera con le mostrine della Polizia di sicurezza interna stavauscendo di gran carriera trascinando un vecchietto per la collottola. Il vecchioaveva ai piedi i sandali di corteccia di betulla meglio noti come lavti. L'agente lospinse gi per i gradini, spedendolo lungo nel terriccio in una nube di polverecolor zafferano. Dal pugno del vecchio cadde una manciata di semi di mais.Quando il poveretto li raccolse, Pekkala cap che in realt erano i suoi dentispezzati.Il vecchio si rimise in piedi a fatica e guard torvo l'agente, ammutolito dalla

    rabbia e dal terrore.Kirov pos una mano sulla schiena di Pekkala e lo spinse gentilmente verso lescale.

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    Un altro? tuon il poliziotto, poi afferr un braccio di Pekkala, affondandoglile dita in un bicipite. E questo dove l'hanno scovato? Sei mesi dopo la

    partenza del fratello di Pekkala per il Reggimento, arriv un telegramma daPietrogrado. Era indirizzato al padre di Pekkala e firmato dal comandante della

    guarnigione finlandese. Conteneva solo sei parole: pekkala anton in sospensivacadetti guardia.Quando il padre di Pekkala lesse lo striminzito foglietto, sul suo volto non

    traspar la minima emozione. Poi consegn il telegramma alla moglie.Ma che significa? Sospensiva? una parola che non ho mai sentito disse la

    donna. Il telegramma tremava fra le sue dita.Significa che stato cacciato dal Reggimento rispose il marito. Adesso

    torner a casa. Il giorno dopo Pekkala attacc un cavallo di famiglia a uncalesse da due, and alla stazione e attese l'arrivo del treno. Fece altrettanto ilgiorno dopo e il giorno dopo ancora. Pass un'intera settimana facendo avanti eindietro fra casa e stazione, controllando i passeggeri che scendevano dai vagoni,scrutando la folla e poi rimanendo solo sulla piattaforma dopo la partenza deltreno.Durante quei giorni di attesa not un cambiamento irreversibile in suo padre.

    Sembrava un orologio il cui meccanismo si fosse rotto all'improvviso.All'esterno non sembrava cambiato granch, ma dentro era a pezzi. Non gliinteressava il motivo per cui Anton non tornava. Il semplice fatto che l'avesserocacciato aveva cambiato per sempre la rotta che quell'uomo aveva tracciato contanta diligenza per la propria famiglia.Dopo due settimane senza una parola da parte di Anton, Pekkala smise di andare

    tutti i giorni alla stazione ad aspettarlo.Dopo un mese, era ormai chiaro che Anton non sarebbe tornato.Il padre di Pekkala sped un cablogramma alla Guarnigione finlandese per avere

    notizie del figlio.Gli risposero, stavolta per lettera, che il tal giorno Anton era stato accompagnato

    ai cancelli della caserma con un biglietto del treno per tornare a casa e la diariaper i pasti, e da allora non l'avevano pi visto.

    Un altro cablogramma che chiedeva il motivo della cacciata di Anton non

    ottenne risposta.A quel punto il padre di Pekkala si era ormai chiuso in se stesso, sembrava solo

    il guscio di un uomo. Nel frattempo la madre continuava imperturbabile a ripetereche Anton sarebbe tornato appena si fosse sentito pronto, ma la fatica della difesadi questa teoria la stava logorando, come un pezzo di vetro ridotto a nulla dalmoto delle onde sulla battigia.Un giorno, quasi tre mesi dopo la partenza di Anton, Pekkala e il genitore

    stavano dando gli ultimi ritocchi a un cadavere prenotato per la camera ardente.Suo padre era chino in avanti ad accarezzare meticoloso le ciglia del defunto con i

    polpastrelli. Pekkala lo sent trattenere il fiato, poi vide la schiena irrigidirsi comeper un crampo. Devi partire disse suo padre.Per dove? chiese Pekkala.

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    Per Pietrogrado. Per entrare nel Reggimento finlandese. Ho gi compilato imoduli per l'arruolamento. Tra dieci giorni ti presenterai alla guarnigione.Prenderai il suo posto. Ormai non riusciva nemmeno a chiamare Anton pernome.

    E l'apprendistato? E l'impresa? Tutto a posto, ragazzo. Non c' nulla dadiscutere. Una settimana dopo Pekkala era affacciato al finestrino di un treno inpartenza verso est, a salutare i genitori fino a quando le loro facce si ridussero adue piccole lingue di gatto in lontananza e le schiere dei pini si chiusero intornoalla piccola stazione.

    Pekkala guard l'agente dritto negli occhi.L'uomo esit. Si stava chiedendo come mai un detenuto osava sostenere il suo

    sguardo. I muscoli della mandibola si contrassero. ora che impari a mostrareun po' di rispetto sussurr. sotto la protezione dell'Ufficio operazioni speciali intervenne Kirov.Protezione? sghignazz l'agente. Questo vagabondo? Come si chiama?

    Pekkala rispose Kirov.Pekkala? Il poliziotto lo lasci andare come se fosse un pezzo di metallo

    incandescente. Che intendi? Quel Pekkala? Il vecchio, ancora in ginocchio,stava seguendo lo scambio di battute sulla soglia del posto di polizia. Vattene!strill l'agente.Il vecchio non si mosse, ma sussurr: Pekkala. Mentre lo diceva il sangue col

    dagli angoli della bocca.Ho detto via di qui, accidenti! grid il poliziotto paonazzo.Il vecchio si rimise in piedi e si incammin. Ogni tanti passi si gir a guardare

    Pekkala.Kirov e Pekkala superarono l'agente ed entrarono in un corridoio rischiarato solo

    dalla plumbea luce che penetrava dalle finestrelle con le sbarre, prive di vetri.Kirov si gir verso Pekkala senza fermarsi. Chi diavolo sei? gli chiese.Pekkala non rispose, ma segu il giovane commissario sino a una porta in fondo

    al corridoio. Era socchiusa.Kirov si fece da parte.Pekkala entr nella stanza.

    Vide un uomo seduto dietro una scrivania in un angolo, l'unico mobile a parte lasedia. Sulla giacca dell'uomo spiccavano i gradi di comandante dell'Armata rossa.I capelli scuri erano in perfetto ordine, pettinati all'indietro con una rigidascriminatura che correva lungo la cute, simile a una ferita da coltello.Il militare teneva le mani diligentemente intrecciate sul ripiano, in posa come sestesse aspettando che gli scattassero una fotografia.Anton! disse Pekkala con un filo di voce.Bentornato. Pekkala guard a bocca aperta il fratello, che gli restitu paziente

    lo sguardo. Quando finalmente si convinse che non si trattava di uno scherzo che

    gli giocavano gli occhi, Pekkala gir sui tacchi e usc dalla stanza.Dove vai? domand Kirov mentre lo raggiungeva di corsa.

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    Ovunque ma non qui rispose Pekkala. Potevi avere la decenza diavvertirmi. Avvertirti? La voce del commissario era diventata stridula perl'irritazione.Il poliziotto, ancora fermo all'ingresso, stava guardando nervoso per strada.

    Kirov pos una mano sulla spalla di Pekkala. Non hai nemmeno parlato con ilcomandante Starek. Si fa chiamare cos, adesso? Adesso? La faccia delcommissario mostr tutta la sua confusione.Pekkala si volt verso di lui. Starek non il suo vero nome. Se l' inventato.

    Come Lenin! E Stalin! Non cambia un accidente, per suona meglio di Ulyanov oDzugasvili. Potrei farti fucilare solo per averlo detto, lo sai tuon ilcommissario.Trova piuttosto qualcosa per cui non puoi farmi fucilare. Sarebbe pi

    impressionante. O ancor meglio, lascia che ci pensi mio fratello. Tuofratello? Kirov rimase a bocca aperta. Il comandante Starek tuo fratello? Inquel momento Anton usc dall'ufficio.Non me l'avevi detto. Dovevo essere informato gli disse Kirov.Te lo dico adesso. Anton si gir verso Pekkala.Non lui, vero? chiese l'agente. Mi state prendendo in giro, vero? Tent,

    senza riuscirci, di sorridere. Questo qua non pu essere l'Occhio di smeraldo. morto da anni. Ho sentito dire che non nemmeno mai esistito, che solo unaleggenda. Anton si pieg per sussurrargli qualcosa all'orecchio.L'agente toss. Ma che ho fatto? Lo domand anche a Pekkala. Cosa ho

    fatto? Potremmo chiederlo al tipo che hai gettato per strada rispose Pekkala.L'agente si spost verso la soglia. Ma questo il mio posto di polizia. Qui

    comando io sussurr prima di girarsi verso Anton, chiedendogli tacitamenteaiuto.Invece il volto di Anton rimase inespressivo. Ti consiglio di toglierti dai piedi

    finch puoi disse tranquillo.Il poliziotto svan, come se fosse solo l'ombra di un essere umano.Anton indic con un cenno l'ufficio in fondo al corridoio, senza staccare gli

    occhi da Pekkala. Fratello, venuto il momento di fare due chiacchiere disse.Erano passati dieci anni dall'ultima volta che si erano visti, su una desolata

    piattaforma gelida riservata al trasporto dei prigionieri in Siberia.Pekkala, con la testa rasata e ancora vestito con il leggero pigiama di cotone

    beige che gli avevano assegnato in carcere, era insieme agli altri detenuti cheaspettavano l'arrivo del convoglio etap-61. Nessuno fiatava. A mano a mano chearrivavano, i nuovi detenuti si sistemavano sulla piattaforma, appiccicandosi allamassa di uomini congelati come se fossero le pellicine di una cipolla.Il sole era gi calato. Dal tetto della piccola stazione pendevano ghiaccioli lunghi

    quanto una gamba. Il vento spazzava i binari sollevando mulinelli di neve. Aentrambi i capi della piattaforma, le guardie con il fucile a tracolla si erano

    radunate intorno ai bidoni di benzina in cui era stato acceso un fuocherello. Lefaville svolazzanti dei fal illuminavano le facce dei militari.

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    Il treno arriv a tarda notte. Ogni sportello aperto aveva due guardie appostate ailati. Mentre saliva a bordo, Pekkala si gir per caso a guardare la piccola stazionee vide alla luce del fal di un bidone di benzina un soldato che tendeva le maniarrossate verso le fiamme.

    I loro sguardi si incrociarono.Fece appena in tempo a capire che era Anton, prima che una guardia lospingesse nelle tenebre del vagone incrostato di brina.

    Pekkala rimase immobile, con il rasoio a mano libera accanto alla guanciairsuta. Si stava chiedendo da dove cominciare.Un tempo si radeva una volta al mese, ma un bel giorno il vecchio rasoio di cui

    aveva tanta cura si era spezzato in due mentre lo affilava contro la faccia internadel cinturone. Ed era stato anni prima.In seguito si era accorciato qualche volta i capelli con il coltello, segandoli a

    intere ciocche per volta, seduto nudo nell'acqua gelida del ruscello sotto lacapanna. Ma adesso, nel bagno del posto di polizia, un paio di forbici in una manoe il rasoio nell'altra, gli sembrava un'impresa impossibile.Per quasi un'ora amput e gratt, stringendo i denti per il dolore e strofinandosi

    la faccia con la sbarra sabbiosa di sapone da bucato che gli avevano prestatoinsieme al rasoio. Cerc di non respirare il puzzo acre di orina mal indirizzata, ilfumo stantio di tabacco che impregnava la malta fra le piastrelle azzurre e il fetoremedicinale della carta igienica di stato.Un pezzetto per volta cominci a spuntare nello specchio una faccia che Pekkala

    riconosceva a malapena. Quando alla fine la barba spar, aveva rivoli di sangueche colavano dal mento e dal labbro superiore e poco sotto le orecchie.Stacc alcune ragnatele da un angolo pieno di polvere e se le premette sulle ferite

    per bloccare l'emorragia.Uscito dal bagno, si accorse che erano scomparsi i suoi stracci sporchi di

    vernice. Al loro posto c'erano altri vestiti, diversi. Stranamente, erano gli stessiche indossava quando era stato arrestato la prima volta. Persino quelli avevanoconservato. Infil la camicia grigia senza colletto, i pesanti pantaloni di fustagnonero e il panciotto di lana nera a quattro tasche. Sotto la sedia c'erano i pesantiscarponi alti, con le fasce portyanki diligentemente riavvolte all'interno.

    Si fece passare la cintura della fondina sopra la spalla e l'affibbi sull'addome,aggiustandola in modo che il calcio si trovasse subito sotto la met sinistra dellagabbia toracica, per poter estrarre la Webley e sparare senza spezzare la fluiditdel gesto, una tecnica che gli aveva salvato la vita in pi di un'occasione.L'ultimo capo di vestiario era un soprabito attillato della medesima lana del

    panciotto, un doppiopetto che arrivava sino al fianco sinistro, solo che i bottonirestavano nascosti. Scendeva un palmo sotto le ginocchia e aveva il collettostretto, diverso dall'enorme bavero del classico pastrano dell'esercito russo. Allafine Pekkala agganci l'occhio di smeraldo sotto il bavero.

    Si guard di nuovo allo specchio, sfiorando con i polpastrelli ruvidi la pellebruciata dal vento sotto gli occhi, come se non capisse chi era quel tipo che lostava guardando.

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    Poi torn all'ufficio del fratello. La porta era chiusa. Buss. Avanti! fu lasecca risposta.Anton stava fumando una sigaretta con i tacchi sulla scrivania.Il posacenere era pressoch pieno. Molti mozziconi fumavano ancora. Nella

    stanza aleggiava una nube di fumo azzurrino.Non c'erano sedie oltre quella di suo fratello, perci Pekkala rimase in piedi.Meglio disse Anton, appoggiando di nuovo i piedi per terra. Ma non tanto.

    Pos le mani intrecciate sulla scrivania. Lo sai chi che t'ha mandato achiamare. Il compagno Stalin disse Pekkala.Anton fece segno di s. vero che la gente lo chiama lo Zar rosso? chiese Pekkala.Non in sua presenza, se ci tengono alla pelle. Se lui il motivo della mia

    presenza, permettimi di farci due chiacchiere. Anton scoppi a ridere. Non sichiede di parlare con il compagno Stalin! Aspetti che sia lui a chiedere di parlarecon te, e se per caso succede avrai il tuo colloquio. Nel frattempo abbiamo dafare. Sai bene cosa mi successo nel carcere della Butyrka. S. Ilresponsabile Stalin. Il diretto responsabile. Da allora ha fatto cose grandiose

    per questo paese. Anche tu ne sei responsabile ribatt Pekkala.Le mani intrecciate di Anton si contrassero in un groviglio di carne e ossa.

    Puoi vederla in una maniera differente. Forse intendi la differenza tra chi torturato e chi tortura. Anton si schiar la voce mentre si sforzava di restarecalmo. Intendo che abbiamo imboccato strade diverse, tu e io. La mia mi ha

    portato da questo lato della scrivania. Buss sul legno per sottolineare ilconcetto. E la tua ti ha portato l, in piedi davanti a me. Adesso sono un ufficialedelle Operazioni speciali. Che cosa volete da me? Anton si alz per andarea chiudere la porta. Vogliamo che indaghi su un delitto. Hanno finito gliinvestigatori, in questo paese? di te che abbiamo bisogno. Si tratta di unomicidio? Qualche persona scomparsa? chiese Pekkala.Forse rispose Anton, ancora girato verso la porta, a bassa voce. Forse no.

    Devo risolvere i tuoi indovinelli prima di risolvere il caso? Finalmente Antonsi volt verso il fratello. Sto parlando dei Romanov. Lo zar. Sua moglie. I suoifigli. Tutti. Sentendo quei nomi, Pekkala sent risvegliarsi i vecchi incubi. Ma

    sono stati fucilati. Il caso stato chiuso anni fa. Il governo rivoluzionario se n'addirittura assunto il merito! Dalla finestra aperta entr una folata di vento che

    portava l'odore acre della pioggia imminente.Mi stai dicendo che non sapete dove sono i corpi? Anton annu. Esatto.

    Quindi si tratta di un caso di persone scomparse? Mi stai dicendo che lo zarpotrebbe essere ancora vivo? Il senso di colpa per avere abbandonato i Romanoval loro destino era ancora annidato nel suo petto come una pallottola.

    Nonostante quello che aveva sentito sulle esecuzioni, i suoi dubbi non erano maispariti del tutto. Per sentirli uscire dalla bocca di un soldato dell'Armata rossa era

    una cosa che non si sarebbe mai aspettato.Anton si guard intorno nervoso, quasi si aspettasse di vedere materializzarsiuna spia dall'aria piena di fumo. Si alz e and alla finestra per guardare nel

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    vicolo che correva accanto all'edificio, poi chiuse le imposte. La stanza sprofondin una penombra violacea che ricordava quella del crepuscolo. Lo zar e la suafamiglia erano stati trasferiti nella cittadina di Ekaterinburg, oggi nota comeSverdlovsk. A pochi giorni di auto da qui. S. Era stata scelta Sverdlovsk

    perch era lontana da tutto. L non c'era alcun pericolo che qualcuno cercasse diliberarli. Per lo meno quello che pensammo allora. Quando arrivarono, lialloggiammo nella casa di un mercante del posto, un certo Ipat'ev. Che cosa

    pensavate di farci? Non era chiaro. I Romanov diventarono un peso nelmomento stesso in cui furono arrestati a Pietrogrado. Finch era vivo, lo zar eraun simbolo per quelli che combattevano contro la Rivoluzione. D'altro canto, se cifossimo semplicemente sbarazzati di loro, correvamo il rischio che l'opinione

    pubblica mondiale ci si rivoltasse contro. Si decise che i Romanov dovevanoessere tenuti in vita fino a quando il nuovo governo non fosse stato ben saldo insella. Poi lo zar sarebbe potuto andare sotto processo. Sarebbero arrivati i giudicida Mosca, e tutto sarebbe stato il pi possibile alla luce del sole. I giornali neavrebbero parlato. In tutte le zone di campagna i commissari di distretto sarebberostati a disposizione della gente per spiegare la procedura legale. E lo zarsarebbe stato condannato. Anton agit una mano come per accantonare l'idea.Certo, per un processo avrebbe legittimato le nostre decisioni. E che cosa

    progettavate di fargli? Fucilarlo, forse. O impiccarlo. I dettagli non erano statiancora decisi. E sua moglie? Le quattro figlie? Il figlio? Avreste impiccatoanche loro? No! Se fossimo stati intenzionati ad ammazzarli non ci saremmomai presi la briga di portare i Romanov fino a Sverdlovsk. L'ultima cosa chevolevamo era trasformare i bambini in altrettanti martiri. Il senso della faccendaera dimostrare che la Rivoluzione non era guidata da barbari. Allora che cosa

    pensavate di fare al resto della famiglia? Consegnarli ai britannici in cambiodel loro appoggio ufficiale al nuovo governo. Pekkala pens che a Lenindoveva essere sembrato un piano semplice. Purtroppo sono sempre quelli che nonfunzionano. E invece com' andata? Anton fece un lungo sospiro. Non losappiamo di preciso. Nel maggio 1918, quando il nuovo governo le avevaordinato di deporre le armi, s'era ammutinata un'intera divisione, la Legionececoslovacca. Erano soprattutto disertori dell'esercito austroungarico passati dalla

    nostra parte durante i primi mesi di guerra. Avevano combattuto al fronte per annie adesso non erano tanto disposti a mollare i fucili per entrare nell'Armata rossa.Invece formarono un corpo separato che si alle con l'Armata bianca. I

    bianchi disse Pekkala. Negli anni successivi alla Rivoluzione i campi del Gulags'erano riempiti di migliaia di ex ufficiali dell'Armata bianca, tutti selezionati peril trattamento pi crudele. Pochi di loro riuscivano a sopravvivere al primoinverno.Essendo disertori non potevano tornare nel loro paese prosegu Anton. E cos

    decisero di attraversare l'intera Russia seguendo la Transiberiana. A Vladivostok

    si sarebbero imbarcati per fare il giro del mondo sino alla Francia e riprendere acombattere con gli Alleati. Erano ben equipaggiati. La disciplina militare erarimasta intatta. Non potevamo fare nulla per fermarli. In tutti i paesi che

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    attraversavano nella loro marcia verso est lungo i binari, le guarnigionidell'Armata rossa o battevano in ritirata oppure venivano fatte a pezzi. Laferrovia passa poco a sud di Sverdlovsk. Ora Pekkala cominciava a capire dovesi era inceppato il piano.

    S. I bianchi avrebbero conquistato la cittadina e liberato i Romanov.Quindi Lenin ordin di ammazzarli? Avrebbe potuto, ma non lo fece.Anton sembrava schiacciato dagli eventi che stava raccontando. Persinoconoscere un segreto del genere metteva a repentaglio la vita di una persona.Parlarne ad alta voce equivaleva a un suicidio. Ci furono tanti falsi allarmi, unitdell'Armata rossa scambiate per i bianchi, mandrie di bestiame scambiate perreparti di cavalleria, tuoni scambiati per salve di cannone. Lenin non voleva che,ordinando l'eventuale esecuzione, gli uomini di guardia ai Romanov si facessero

    prendere dal panico e fucilassero lo zar e la sua famiglia anche se i cecoslovacchinon avessero tentato di liberarli. Anton si nascose la faccia tra le mani,

    premendo i polpastrelli sulle palpebre abbassate. Alla fine non cont. Cos'successo? chiese Pekkala.Stava piovendo. Le gocce di pioggia tamburellavano sulle imposte.Nella casa in cui alloggiavano i Romanov arriv una telefonata. Un uomo che

    si identific come un ufficiale dell'Armata rossa annunci che i bianchi eranoarrivati alla periferia della citt e ordin alle guardie di allestire un posto di

    blocco, lasciando solo due uomini armati di guardia alla casa. Non avevano alcunmotivo di dubitare di quell'ordine. Lo sapevano tutti che i bianchi erano vicini.Perci piazzarono un posto di blocco in periferia, come gli era stato ordinato. Soloche i bianchi non arrivarono mai. La chiamata era falsa. Quando i soldatidell'Armata rossa tornarono a casa Ipat'ev scoprirono che i Romanov eranoscomparsi. Le due guardie rimaste sul posto furono trovate in cantina, ammazzatea colpi d'arma da fuoco. E tu come fai a saperlo? chiese Pekkala. Come faia sapere che non solo una storiella per indirizzare sulla pista sbagliata?Perch c'ero! rispose Anton, esasperato, come se fosse un segreto che avrebbe

    preferito mantenere. Ero da due anni nella Polizia interna. La Ceka, si dissePekkala. Formata nei primi giorni della Rivoluzione agli ordini di un assassino

    polacco, Feliks Dzerzinskij, la Ceka era diventata subito nota come squadrone

    della morte, responsabile di omicidi, torture e sparizioni.Da allora, come Lenin e Stalin, aveva cambiato nome, diventando prima la gpu,

    poi la ogpu, ma i suoi metodi sanguinari erano rimasti identici. Molti dei suoimembri originari erano stati inghiottiti dalle celle sotterranee in cui gli aguzzinisvolgevano il loro lugubre lavoro.Due mesi prima che sparissero i Romanov, ricevetti l'ordine di accompagnare a

    Sverdlovsk un ufficiale, un certo Yurovskij. L alcuni di noi subentrarono all'unitdella milizia locale che stava facendo la guardia ai Romanov. Da quel giornofummo responsabili noi dello zar e della sua famiglia. La sera che sparirono io

    non ero di servizio. Ero in osteria quando seppi della telefonata, perci corsisubito al posto di blocco. Quando tornammo a casa Ipat'ev i Romanov erano gispariti e le due guardie rimaste sul posto erano morte. Avete svolto

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    un'indagine? Non avemmo il tempo. I bianchi stavano avanzando. Dovevamoscappare di corsa.Due giorni dopo arriv l'Armata bianca e ci pensarono loro a condurre le indagini.Ma non trovarono mai i Romanov, vivi o morti. Quando i bianchi se ne andarono

    e finalmente riconquistammo Sverdlovsk, ormai la pista era fredda.L'intera famiglia dello zar era svanita nel nulla. Cos, invece di ammettere cheerano scappati, Lenin prefer comunicare che i Romanov erano stati uccisi.Anton rispose con un cenno stanco di assenso. Ma poi cominciarono a girarevoci di avvistamenti in tutto il mondo, in particolare dei bambini. Ogni volta chesaltava fuori una novit, anche se ci sembrava incredibile, mandavamo sul postoun agente a indagare. Ma ci pensi? Ne abbiamo spedito perfino uno a Tahiti

    perch un capitano di nave sosteneva di aver visto una tizia identica allaprincipessa Marija. Comunque tutte quelle voci si rivelarono false. Cosaspettammo. Giorno dopo giorno attendevamo la notizia della ricomparsa deiRomanov in Cina o a Parigi o a Londra. Sembrava solo questione di tempo.Invece passarono gli anni, e gli avvistamenti si diradarono. Fino ad azzerarsi.Cominciammo a illuderci che non avremmo mai pi sentito parlare dei Romanov.Poi, due settimane fa, sono stato convocato dall'Ufficio operazioni speciali.Volevano segnalarmi che s'era appena saputo di un tale convinto che i cadaveridei Romanov fossero stati gettati nel pozzo di una miniera abbandonata nonlontano da Sverdlovsk. Secondo quell'uomo, quella notte era presente anchePekkala. E dove sarebbe costui? Stava piovendo pi forte, il temporale eraun boato costante sul tetto, come se stesse passando un treno sopra le loro teste.In un posto chiamato Vodovenko, un noto manicomio criminale. Un

    manicomio criminale? grugn Pekkala. E la miniera esiste sul serio? S. stata localizzata. E i cadaveri? Li hanno trovati? Pekkala fu scosso da un

    brivido mentre pensava agli scheletri sparpagliati in fondo al pozzo. Avevasognato tante volte quella strage, ma l'incubo finiva sempre nell'istante dellamorte. Finora non era mai stato tormentato dall'immagine delle loro ossainsepolte.Il pozzo della miniera stato sigillato appena arrivata la soffiata all'Ufficio.

    Per quel che ne sappiamo, la scena del crimine intatta. Ancora non capisco

    come mai hanno bisogno di me disse Pekkala.Sei l'unica persona viva che conosceva personalmente i Romanov ed

    addestrata al lavoro d'indagine. Puoi identificare i corpi. Non abbiamo il minimomargine di errore. Pekkala esit un istante prima di ribattere: Questo spiega

    perch Stalin vuole me, ma non che cosa ci fai tu qui.Anton spalanc le mani, poi le riaccost adagio. L'Ufficio riteneva che sarebbe

    stato meglio se fosse stata una faccia nota a farti l'offerta. Offerta? Qualeofferta? Al completamento positivo delle indagini, la tua condanna al Gulagsar commutata. Ti garantiscono la libert. Potrai uscire dal paese. Andare dove ti

    pare. La prima reazione istintiva di Pekkala fu l'incredulit. Gli avevanoraccontato troppe menzogne per poter prendere sul serio questa nuova offerta. Etu che ci ricavi? La mia ricompensa questa promozione rispose Anton. Da

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    quando sono scomparsi i Romanov mi sono sempre passati avanti tutti, per quantosgobbassi, per quanto mi dimostrassi leale. Fino alla settimana scorsa ero un

    povero caporale in un ufficio di Mosca senza finestre, assegnato ad aprire con ilvapore le lettere e ricopiare tutto quello che sembrasse una critica al governo.

    Pareva che non potessi pretendere di pi. Poi ha chiamato l'Ufficio. Anton siappoggi allo schienale della sedia. Se l'indagine ha successo, avremo tutti e dueuna seconda occasione. E se non ha successo? Tu sarai rimandato aBorodok, e io ad aprire le lettere con il vapore. E il commissario? Che ci faqui? chiese Pekkala.Kirov? solo un bambino. Studiava da cuoco quando gli hanno chiuso la

    scuola e l'hanno trasferito all'accademia politica. E il suo primo incarico.Ufficialmente Kirov il nostro collegamento politico, ma per ora non sanemmeno di quale indagine si tratti. Quando pensavi di dirglielo? Appenaavrai accettato di darci una mano. Ufficiale di collegamento politico ripetPekkala. A quanto pare, il tuo Ufficio non si fida di nessuno di noi due. Mi cisono abituato. Nessuno si fida pi di nessuno. Pekkala scosse incredulo la testa.Congratulazioni. Per cosa? Per come avete ridotto questo paese. Antonsi alz in piedi facendo scivolare la sedia sul piantito. Lo zar ha avuto quello chesi meritava, e anche tu. Si fronteggiarono, la scrivania una barricata tra i duefratelli.Pap sarebbe stato fiero di te disse Pekkala, incapace di nascondere il

    disgusto.L'accenno al genitore fece scattare qualcosa in Anton, che si slanci oltre il

    ripiano e sferr un pugno, centrando il fratello alla tempia.Pekkala vide un lampo dietro l'occhio colpito. Barcoll, ma si rimise subito in

    equilibrio.Anton fece il giro della scrivania e lo colp di nuovo, centrandolo al petto.Pekkala vacill. Poi, con un ruggito, blocc Anton per le spalle, inchiodandogli

    le braccia contro i fianchi.I due crollarono all'indietro, andando a sbattere contro la porta dell'ufficio, che

    cedette con lo schianto del legno fragile quando si sfascia.Caddero in mezzo allo stretto corridoio. Fu Anton il primo a toccare terra.

    Pekkala gli si abbatt addosso.Per un attimo rimasero entrambi storditi.Poi Anton afferr Pekkala alla gola.I due fratelli si fissarono, gli occhi pieni di odio.Hai detto che le cose erano cambiate, ma ti sbagliavi. Non cambiato nulla fra

    noi disse Pekkala.Anton, incapace di trattenere la rabbia, sfil la pistola dalla cintura e punt la

    canna alla tempia del fratello.Il giorno stesso del suo arrivo a Pietrogrado, Pekkala fu arruolato come cadetto

    nel Reggimento finlandese delle Guardie imperiali.Impar molto presto il motivo della cacciata di Anton dal corpo.

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    L'avevano accusato di avere sottratto dei soldi dall'armadietto di un'altra recluta.All'inizio aveva negato tutto. Non c'erano prove contro di lui, a parte la stranacoincidenza di avere d'un tratto soldi da spendere proprio quando erano sparite leriserve di un collega. Poi, una sera, mentre raccontava il guaio alla recluta della

    cuccetta accanto, il derubato not un particolare sul suo baule accanto al letto. Eraseduto sul bordo della cuccetta, piegato in avanti per poter discutere sottovoce.Perci mentre parlava il suo fiato sfiorava la superficie liscia del baule, facendospuntare una tremolante impronta fantasma. Non era della sua mano, e nonapparteneva a nessuno degli altri sei cadetti che dormivano in quella stanza.Chiamarono il sergente, che ordin il confronto fra la mano di Anton e l'improntasul baule.Quando verificarono che combaciavano, Anton confess, ma si difese dicendo

    che erano solo pochi spiccioli.La cifra non contava. Secondo il regolamento delle Guardie finlandesi, entro le

    pareti di quella caserma non esistevano chiavi e porte chiuse a doppia mandata, epertanto ogni furto era punito con la cacciata dai ranghi. Allorch Anton torn dalcolloquio con il comandante del Reggimento, i suoi bagagli erano gi pronti.Due ufficiali l'accompagnarono fino ai cancelli della caserma. Poi, senza una

    parola di commiato, gli diedero la schiena e rientrarono nel complesso. I cancellifurono chiusi e sprangati.Durante il suo primo vero giorno da cadetto, Pekkala fu convocato nell'ufficio

    del comandante. Non sapeva ancora come ci si presentava a un ufficiale o sifaceva il saluto. Era a questo che pensava mentre attraversava il piazzale delle

    parate. Plotoni di nuove reclute gli passarono accanto strascicando i piedi mentreimparavano a marciare, affiancati dai sergenti istruttori che maledivano striduliloro e le loro famiglie sin dall'alba dei tempi.In sala d'aspetto lo attendeva una guardia alta e inappuntabile. La sua uniforme

    era pi chiara di quella delle reclute. Sopra la giacca portava una cintura dallapesante fibbia di ottone con l'aquila bicipite dello zar. Il viso era in parte nascostoda un berretto dalla visiera corta.Quando il soldato sollev la testa e lo guard negli occhi, Pekkala si sent come

    se gli avessero puntato un faro in piena faccia.

    Con una voce che era poco pi di un bisbiglio, la guardia ricord a Pekkala ditenere la schiena dritta e i tacchi uniti quando si trovava di fronte al comandante.Vediamo come lo fai disse.Pekkala fece del suo meglio.Non chinarti in avanti gli disse la guardia.Pekkala non ci riusciva. I muscoli erano talmente contratti che riusciva a stento a

    muoversi.Il soldato afferr il tessuto grigio sulla punta delle spalle di Pekkala per

    raddrizzare la giubba di ruvida lana. Quando il comandante ti parla non devi

    rispondere "sissignore". Di' solo "signore". Se invece la risposta negativa, puoidire "nossignore". Capito? Signore. La guardia scosse la testa. Nonchiamarmi signore. Non sono un ufficiale. Le regole di quello strano mondo

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    stavano roteando nella testa di Pekkala come uno sciame di api stanate da unalveare. Gli sembrava impossibile riuscire a padroneggiarle. Se in quel momentogli avessero offerto la possibilit di tornare al paese, avrebbe accettato. Come senon bastasse, era angustiato dal motivo della convocazione del comandante.

    La guardia sembrava capire che cosa stava pensando. Non hai nulla da temeregli disse, poi si volt e buss alla porta dell'ufficio del comandante. Senzaaspettare una risposta, apr e indic con uno scatto del mento a Pekkala chedoveva entrare.Il comandante si chiamava Parainen. Era alto e magro, con gli zigomi e la

    mandibola talmente spigolosi che sembrava una testa fatta di cocci di vetro.Sei il fratello di Anton Pekkala? Signore. L'hai sentito di recente?

    Non di recente, signore. Il comandante si gratt il collo. Doveva rientrare unmese fa. Rientrare? ripet Pekkala. Pensavo fosse stato cacciato! Noncacciato. Sospeso. Non la stessa cosa. Che cosa significa? chiese Pekkala.Poi aggiunse: Signore. solo un allontanamento temporaneo. Se dovesse succedere di nuovo,

    l'espulsione sarebbe permanente, ma alla prima infrazione di un cadetto tendiamoa dimostrarci clementi spieg Parainen.Allora perch non tornato? Il comandante si strinse nelle spalle. Forse ha

    deciso che questa vita non faceva per lui. Non pu essere, signore. Era la cosache desiderava di pi al mondo. La gente cambia. E poi adesso ci sei tu asostituirlo. Il comandante si alz in piedi e and alla finestra, che dava sullacittadina oltre la caserma. Il plumbeo grigiore del pomeriggio invernale glirischiar il volto. Voglio che tu sappia che non sarai ritenuto responsabile diquanto ha combinato tuo fratello.Avrai le stesse possibilit degli altri. Cos se fallirai, come succede a tanti, sarsolo colpa tua. E se te la caverai sar per quello che hai fatto e null'altro. Tisembra giusto? Sissignore rispose Pekkala. S. Nelle settimane seguentiPekkala impar a marciare e a sparare e a vivere in un posto privo di qualsiasiforma di intimit, a parte i pensieri che teneva ben chiusi in testa. Entro i confinidella caserma del Reggimento finlandese, insieme ad altri giovanotti arrivati daHelsinki, Kauhava e Turku, era quasi possibile dimenticarsi di aver lasciato il

    paese natale. Molti di loro non avevano mai sognato una vita diversa dallaGuardia finlandese. Per certuni era una tradizione di famiglia da generazioni.Ogni tanto gli sembrava di essersi appena svegliato dentro la pelle di un'altra

    persona. L'uomo che era stato stava scivolando nel buio, come i defunti il cuiultimo viaggio aveva preparato quando era a casa.Un giorno, tutto cambi.Pekkala, con la canna della pistola di Anton piantata nella tempia, abbass

    adagio le palpebre. Il suo volto non tradiva il minimo terrore, esprimeva solo unaspecie di serena attesa, come se stesse aspettando quel momento da tanto tempo.

    Fai sussurr.Risuonarono dei passi in corridoio. Era Kirov, il giovane commissario.

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    L'agente scappato disse. Si ferm quando vide la pistola di Anton puntata allatesta di Pekkala.Anton allent la presa alla gola del fratello lanciando un'imprecazione

    incomprensibile.

    Pekkala rotol di lato, semisoffocato.Kirov li stava guardando stupefatto. Comandante, quando avete finito di fare lalotta, dispiacerebbe a uno di voi spiegarmi perch diavolo suo fratello rende tutticos nervosi? disse ad Anton.

    La carriera di Pekkala cominci con un cavallo.A met dell'addestramento, i cadetti venivano portati nelle scuderie per le lezioni

    di equitazione.Anche se Pekkala sapeva gestire un cavallo attaccato al carro del padre, non era

    mai salito in sella.La cosa non lo turbava. Si diceva: Infondo prima del mio arrivo non sapevo un

    accidente di tiro o di marcia, e non sono stati pi difficili per me che per gli altri.La prima parte dell'addestramento, quella in cui le reclute imparavano a sellare il

    cavallo, a montare e smontare e a guidare l'animale lungo una serie di barili, filliscio. I cavalli conoscevano talmente bene la trafila che a Pekkala bastava nonfarsi disarcionare.Il passo successivo fu superare a cavallo un ostacolo nel grande anello coperto. Il

    sergente istruttore di quell'esercizio, nuovo per l'incarico, aveva ordinato disistemare sopra l'ostacolo parecchi giri di filo spinato, inchiodati per le dueestremit ai pali. Stavolta non bastava tenersi aggrappati al cavallo mentrel'animale eseguiva manovre che avrebbe completato facilmente anche senzacavaliere, come spieg il sottufficiale ai cadetti riuniti.Occorre instaurare un legame tra cavallo e cavaliere disse, lieto di ascoltare

    l'eco della propria voce nello spazio coperto della pista. Finch non me lodimostrate, non vi permetter di diventare membri del Reggimento. Appena icavalli videro il riflesso del filo spinato sopra la barriera s'innervosirono,iniziarono a adombrarsi e a scartare e a far tintinnare il morso con i denti. Alcunisi rifiutarono di saltare, impennandosi davanti al filo e gettando a terra i cadettiche avevano in groppa. Il cavallo di Pekkala scart, andando a sbattere con il

    fianco contro la barriera e spedendo il cavaliere dall'altra parte. Pekkala atterr suuna spalla prima di rotolare sul terreno calpestato. Quando si rimise in piedi,coperto di fili di paglia secca, il sergente stava gi prendendo appunti sultaccuino.La prima volta ce la fecero pochissimi animali. Quasi tutti rimasero feriti dal filo

    spinato, alle zampe anteriori o all'addome.Il sergente ordin ai cadetti di ritentare.Un'ora e vari tentativi pi tardi, soltanto met della classe era riuscita a

    convincere l'animale a saltare l'ostacolo. Il terreno era spruzzato di sangue, come

    se ci avessero rovesciato sopra una scatola di bottoni di vetro rosso.I cadetti erano sull'attenti e reggevano le redini dei cavalli tremanti.

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    A quel punto il sergente aveva capito il proprio errore, ma non poteva rinunciaresenza perdere la faccia. Aveva la voce rotta dalle troppe urla e adesso, quandostrillava, il tono stridulo non era pi quello dell'uomo al comando, ma quello diuna persona sull'orlo di una crisi isterica.

    Ogni volta che un cavallo andava a sbattere contro la barriera e il sordo boato delfianco dell'animale contro le assi di legno, lo scalpiccio degli zoccoli e il gemitodel cavaliere caduto malamente echeggiavano, gli altri cavalli e cadetti trasalivanoall'unisono, come se il loro corpo fosse stato attraversato da una scarica elettrica.Un giovanotto stava piangendo in silenzio mentre aspettava il suo turno. Sarebbestato il suo sesto tentativo. Come Pekkala, non aveva ancora superato l'ostacolo.Quando venne il momento del nuovo tentativo, Pekkala balz in sella e studi

    oltre la testa del cavallo la distanza che li separava dalla barriera. Not le tacchenelle assi inferiori, nei punti in cui gli zoccoli avevano sbattuto contro il legno.Il sergente aspettava da un lato, il taccuino pronto.Pekkala stava per affondare i tacchi nel fianco del cavallo per un'altra corsa

    verso l'ostacolo. Era sicuro che sarebbe stato disarcionato, ma sembravarassegnato al suo destino. Era pronto, poi d'un tratto non fu pi pronto a lanciare ilcavallo verso la barriera con la sua ghirlanda di filo spinato insanguinato. Con lamedesima agilit con cui era montato in sella, ne scese.Torna in sella ordin il sergente.No rispose Pekkala. Con la coda dell'occhio vide sulle facce degli altri cadetti

    un'espressione che gli parve di sollievo. Sollievo perch non poteva pi andareavanti cos, e perch non potevano esserne ritenuti responsabili.Stavolta il sergente non url e non maled come aveva fatto tutto il giorno.

    Chiuse il libretto con la massima calma e lo infil nel taschino della giacca, poi,con le mani dietro la schiena, and da Pekkala. I loro volti quasi si toccarono. Tido un'ultima possibilit disse, la voce stanca ridotta a poco pi di un bisbiglio.No ripet Pekkala.Ora il sergente era vicinissimo, le sue labbra sfioravano l'orecchio del cadetto.

    Senti, ti chiedo solo di tentare. Se non ce la fai non te lo far pesare. Anzi, dopoil tuo salto per oggi finita. Per adesso tu risali su quel cavallo e fai quello che tiviene detto, oppure far in modo che tu sia espulso dai cadetti. Ti accompagner

    di persona alla porta e te la chiuder a chiave alle spalle, come hanno fatto contuo fratello. per questo che mi sar facile, Pekkala. Perch gli altri si aspettanoche tu non ce la faccia. In quel momento Pekkala fu scosso da un fremito.Sembrava quasi l'on da d'urto di un colpo d'arma da fuoco, a parte l'assenza dirumore. Era la sensazione pi strana che avesse mai provato, e non fu l'unico asentirla.Pekkala e il sergente si voltarono all'unisono. C'era un uomo fermo nell'ombra,

    accanto all'accesso delle scuderie. Indossava una giubba verde scuro e pantaloniazzurri con una riga rossa di lato. Era un'uniforme semplice, eppure i suoi colori

    sembravano vibrare nell'aria immobile. Quell'uomo non aveva il cappello in testa.Da questo dettaglio capirono che era lo zar in persona.Nel camino dell'ufficio del capo della polizia crepitava un fuocherello.

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    Investigatore? Kirov stava facendo su e gi per la stanza, levando ogni tanto lemani e facendole ricadere immediatamente. Mi stai dicendo che tuo fratellolavorava per la polizia segreta dello zar? Pekkala era seduto alla scrivania aleggere il dossier marrone con una striscia rossa che tagliava in diagonale la

    copertina. Sulla striscia spiccava la scritta in nero segretissimo. La sempliceparola "segreto" non aveva pi alcun significato. Oggigiorno tutto era segreto.Stava girando le pagine con attenzione, la faccia ad appena un palmo dallascrivania, talmente perso nei suoi pensieri che sembrava non essersi nemmenoaccorto della sfuriata del commissario.No. Non lavorava per l'Ochrana. Anton era seduto accanto al fuoco, le mani

    allungate verso le fiamme. Allora per chi lavorava? Te l'ho detto. Lavoravaper lo zar. Parlavano di Pekkala come se non fosse presente.

    In quale dipartimento? chiese Kirov.Era lui il dipartimento spieg Anton. Lo zar ha creato un investigatore unico,

    un uomo dall'autorit indiscussa, che rispondeva solo a se stesso.Persino l'Ochrana non poteva metterlo in discussione. Lo chiamavano l'Occhiodello zar e non poteva essere corrotto o comprato o minacciato. Non importavachi eri, quanto eri ammanicato o danaroso. Nessuno era superiore all'Occhio dismeraldo, nemmeno lo zar. Pekkala sollev gli occhi dal fascicolo e borbott:Basta.Invece suo fratello prosegu. Ha una memoria eccezionale! Ricorda le facce di

    tutte le persone che ha incontrato. stato lui a sbattere al fresco quel diabolicoGrodek. Ha ammazzato l'assassina Marija Balka! Anton allung le mani versoPekkala. Ti presento l'Occhio dello zar! Mai sentito disse Kirov.Non mi risulta che spieghino le tecniche d'indagine criminale ai cuochi.

    Chef! lo corresse Kirov. Studiavo da chef, non da cuoco. C' qualchedifferenza? S, se fai lo chef, cosa che sarei adesso se non avessero chiuso lascuola. Bene, allora, compagno quasi-chef, non sai nulla di lui perch la suaesistenza stata cancellata dopo la Rivoluzione. Non volevamo che la gente sichiedesse che ne era stato dell'Occhio dello zar. Comunque non importa. D'ora in

    poi puoi chiamarlo semplicemente l'Occhio dello zar rosso. Ho detto basta!ringhi Pekkala.

    Anton sorrise ed espulse adagio il fiato, soddisfatto dei risultati delle suepunzecchiature. Mio fratello aveva quel tipo di potere che trovi una volta ognimille anni. Per ha buttato via tutto. Vero, fratellino? Vai all'inferno dissePekkala.

    Il sergente scatt sull'attenti.I cadetti sbatterono i tacchi come un sol uomo. Il rumore echeggi come una

    fucilata nella pista di equitazione.Persino i cavalli rimasero stranamente immobili, mentre lo zar attraversava

    l'anello di terra battuta fino al punto in cui si trovavano gli altri.

    Era la prima volta che Pekkala lo incontrava. Di solito le reclute in fase diaddestramento non arrivavano al suo cospetto fino al giorno del diploma, quando

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    sfilavano davanti alla famiglia Romanov nelle loro nuove uniformi grigie diottimo taglio. Fino a quel momento lo zar restava una presenza remota.E invece eccolo l, senza le solite guardie del corpo, senza il codazzo di ufficiali

    del Reggimento, un uomo di media statura, con le spalle strette e la falcata rigida,

    che calava un piede direttamente davanti all'altro mentre camminava. Avevaun'ampia fronte liscia, la barba curata e scolpita sul mento in modo da farlosembrare pi squadrato. Gli occhi socchiusi erano difficili da interpretare. Nonaveva un'espressione ostile, ma nemmeno amichevole. Sembrava sospeso tral'appagamento e il desiderio di essere altrove. ? Pi una maschera che unafaccia pens Pekkala.Sapeva che non doveva guardarlo dritto in faccia. Eppure non riusc a non

    fissarlo. Sembrava quasi di vedere un quadro prendere vita, un'immaginebidimensionale che emergeva d'un tratto nelle tre dimensioni dei vivi.

    Lo zar si ferm davanti al sergente e gli fece un saluto distratto.Il sergente glielo restitu.Poi Nikolaj si rivolse a Pekkala. Sembra che il tuo cavallo sanguini. Non alz

    la voce, che ugualmente parve propagarsi in tutto l'ampio spazio della pista daaddestramento.S, Eccellenza. Mi pare che quasi tutti gli animali stiano sanguinando.

    L'imperatore si gir verso il sergente. Perch i miei cavalli sanguinano? Faparte dell'addestramento, Eccellenza rispose affannato il sergente.

    I cavalli sono gi addestrati ribatt lo zar.Il sergente disse alla terra battuta, dato che non osava alzare la testa:

    L'addestramento delle reclute, Eccellenza.Per le reclute non sanguinano. Lo zar si pass le dita nella barba. Il pesante

    anello con sigillo spunt dai peli, simile a un tirapugni d'oro.No, Eccellenza. E quale sarebbe il problema di questa recluta? chiese lo

    zar, lanciando un'occhiata a Pekkala. Si rifiuta di saltare. Lo zar si gir versoPekkala. vero? Ti rifiuti di superare quell'ostacolo? No, Eccellenza. Iosuperer quell'ostacolo, ma non con questo cavallo. Gli occhi dello zar sispalancarono per un istante, poi le palpebre scesero a mezz'asta come al solito.Non credo sia questo che intende il sergente. Eccellenza, non continuer a

    infliggere ferite a questo cavallo solo per dimostrare che sono capace di farlo.Lo zar prese un lungo respiro, come se si stesse preparando a immergersi.Allora mi dispiace che ti trovi di fronte a questo dilemma. Senza aggiungerealtro, super Pekkala e risal la fila di cavalli e cavalieri sull'attenti.L'unico rumore era quello dei suoi passi.Appena lo zar gli diede la schiena, il sergente sollev la testa per guardare

    Pekkala dritto in faccia. Uno sguardo di odio allo stato puro.Lo zar continu oltre l'ostacolo, davanti al quale si sofferm a studiare il filo

    spinato insanguinato.

    Arrivato infondo all'anello gir sui tacchi e si volt di nuovo verso i soldati.Questa esercitazione finita disse. Poi torn nel tratto in ombra e spar.

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    Il sergente si avvent immediatamente su Pekkala. Sai cos'altro finito? La tuavita come membro di questo Reggimento. Adesso torna nelle stalle, striglia il tuocavallo, strofina la sella, piega la coperta e togliti dai piedi. Mentre Pekkala

    portava via il suo cavallo, nella pista echeggiarono gli striduli ordini del sergente

    agli altri cadetti.Accompagn l'animale nelle stalle. Il cavallo entr docile nel suo recinto, dovePekkala sganci la sella e tolse i finimenti, poi lo strigli, ammirando i muscoliche fremevano sotto il serico manto marrone. Stava uscendo per andare a

    prendere un secchio d'acqua e un po' di tela per fasciare gli anteriori feriti quandointravide la sagoma di un uomo all'estremit opposta delle scuderie, nel punto incui si aprivano sui piazzali della caserma.Era lo zar. Era tornato. O forse non se n'era mai andato.Pekkala vedeva soltanto una silhouette scura, come se lo zar fosse ridiventato

    l'immagine bidimensionale che s'era sempre raffigurato. stato un gesto costoso. Il sergente ti far cacciare disse lo zar.S, Eccellenza. Se fossi stato al tuo posto anch'io mi sarei rifiutato.

    Purtroppo, non sta a me discutere i metodi di addestramento. Se dovessi rifarlo,tenteresti di far superare l'ostacolo al tuo cavallo? No, Eccellenza. Per tu

    personalmente lo affronteresti. S. Lo zar si schiar la voce. Non vedo l'oradi raccontare questo aneddoto. Come ti chiami, cadetto? Pekkala. Ah, s.Sei venuto a prendere il posto di tuo fratello nel Reggimento. Ho letto il tuofascicolo. Segnalavano che hai un'ottima memoria. Mi viene naturale,Eccellenza. Non merito mio. Ugualmente stato segnalato. Bene, Pekkala.Mi dispiace che il nostro incontro sia stato tanto breve. Lo zar fece perandarsene. Il sole balugin sui bottoni della sua giacca. Ma invece di allontanarsi,lo zar fece il giro completo, tornando nella parte in ombra delle scuderie.Pekkala? S, Eccellenza? Quanti bottoni ci sono nella mia giacca?Dodici. Dodici. Hai tirato a indovinare, per... Lo zar non fin la frase. Lasagoma indistinta mut, perch aveva abbassato deluso la testa. Bene,arrivederci, cadetto Pekkala. Non ho tirato a indovinare, Eccellenza. Ci sonododici bottoni nella sua giacca, se contiamo quelli delle maniche. La testascatt all'ins. Santo cielo, hai ragione! E che cosa c' sopra questi bottoni,

    Pekkala? Che simbolo hai visto? Nessun simbolo, Eccellenza. Sono lisci.Ah! Lo zar si addentr nelle scuderie. Di nuovo esatto! Ora i due uomini

    potevano toccarsi.Pekkala riconobbe qualcosa di familiare nell'espressione dello zar, una sua

    caratteristica permanente quanto il colore degli occhi. Poi cap che, come lui,quell'uomo stava seguendo una strada che non aveva scelto ma aveva imparato adaccettare. Guardando quel viso, ebbe l'impressione di scorgere un riflesso del suoio futuro.Lo zar parve intuire questa affinit e sembr per un attimo sconcertato, ma si

    ricompose immediatamente. E il mio anello? chiese. Hai per caso notato...?Un uccello dal collo lungo. Forse un cigno. Una gru borbott lo zar. Era dimio nonno. Cristiano IX di Danimarca. La gru era il suo sigillo personale.

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    Eccellenza, perch mi fa queste domande? Perch credo che tutto sommato iltuo futuro sar con noi rispose lo zar.

    Anton ricominci a fissare il fuoco. Mio fratello ha rinunciato a tutto quelloche aveva, eppure non ha rinunciato a tutto. Che significa? chiese Kirov.

    Corre voce che sia l'ultimo uomo ancora vivo a sapere dove si trovano leriserve auree segrete dello zar. Non una voce. una tavoletta dissePekkala.Quali riserve auree? Kirov sembrava pi confuso che mai. A scuola mi

    hanno insegnato che tutte le propriet dello zar sono state confiscate. Soloquelle su cui hanno potuto mettere le mani disse Anton.Di quanto oro stiamo parlando? Sembra che non lo sappia nessuno con

    esattezza. Alcuni parlano di pi di diecimila lingotti. Kirov si gir versoPekkala. E tu sai dove si trova? Pekkala si lasci andare contro lo schienale.Sembrava esasperato. Credi pure quel che ti pare, ma io sono sincero. Non sodove si trova. Be', non sono qui per supervisionare una caccia al tesoro disseKirov, cercando di infondere un po' di autorit nella voce.Ispettore Pekkala, sono qui per obbedire ai protocolli. Protocolli? S, e setu non lo fai sono autorizzato a usare la forza, anche letale. Forza letale ripetPekkala. Hai mai sparato a qualcuno? No. Ma ho sparato con la pistola al

    poligono. E i bersagli di che cos'erano fatti? Non lo so. Di carta,immagino sbott il commissario.Non altrettanto facile quando il bersaglio in carne e ossa. Pekkala fece

    scivolare il fascicolo sulla scrivania verso il giovane commissario. Leggi questorapporto, e dopo, se avrai ancora voglia di spararmi... estrasse da sotto la giubbala Webley e la pos sul ripiano a Kirov, ...posso prestarti questa. Per ordinedello zar, Pekkala inizi a lavorare con la polizia locale di Pietrogrado, passando

    poi alla polizia di Stato, nota come Gendarmeria, per finire negli ufficidell'Ochrana in via Fontanka.All'Ochrana era agli ordini del maggiore Vassileev, un tipo gioviale dalla faccia

    tonda che dieci anni prima aveva perso la parte inferiore del braccio destro e dellagamba sinistra in un attentato dinamitardo. Vassileev non camminava ma

    barcollava, sembrava sempre sul punto di cadere, tuttavia sempre si drizzava un

    attimo prima di crollare al suolo. La gamba artificiale gli causava forti dolori almoncherino del ginocchio, perci spesso, quando era in ufficio, si toglieva la

    protesi. Pekkala si era ormai abituato alla visione dell'arto finto, completo discarpa e calzino, appoggiato al muro accanto al bastone da passeggio eall'ombrello. La finta mano destra era di legno con i cardini di ottone, perch ilmaggiore potesse adattarla con la sinistra prima dell'eventuale utilizzo, pi chealtro per reggere la sigaretta. Fumava le Markov, una marca dalla scatola rosso eoro. Vassileev ne aveva uno scaffale pieno dietro la scrivania.Sulla stessa parete, in una scatola nera, c'era un rasoio a mano libera aperto in

    modo da formare una V. il rasoio di Occam spieg un giorno Vassileev.

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    Pekkala si sentiva uno sciocco, ma doveva ammettere di non aver mai sentitonominare questo Occam, forse un pericoloso criminale finito al fresco grazie alleindagini del suo capo.Vassileev scoppi a ridere quando l'allievo glielo confess. Non il vero rasoio

    di Occam. Il rasoio solo un concetto. Notando lo sconcerto di Pekkala,prosegu la spiegazione. Nel Medioevo un monaco francescano, Guglielmo diOccam, ha formulato uno dei principi fondamentali del lavoro d'indagine, cioche la spiegazione pi semplice che coincide con i fatti di solito quella giusta.Ma perch si chiama il rasoio di Occam? chiese Pekkala.Non lo so. Forse perch affonda dritto fino alla verit, una cosa che devi

    imparare a fare se vuoi sopravvivere come investigatore. Vassileev si divertivaa mettere alla prova Pekkala mandandolo in citt con la consegna di seguire undato percorso. In precedenza aveva piazzato alcune persone lungo il tragitto,aveva annotato le pubblicit attaccate ai muri, i titoli dei quotidiani urlati daglistrilloni dal capello floscio agli angoli delle strade. Non c'erano dettagli troppoinfimi per lui. Al ritorno di Pekkala, Vassileev lo interrogava su tutto quantoaveva visto. Il senso di tutto ci, a sentir lui, era che avevi troppi dettagli daannotare, soprattutto quando non sapevi che cosa cercare. Quell'esercizio servivaa addestrare la mente di Pekkala a catalogare tutto, per poi lasciare che fosse ilsubconscio a selezionare le informazioni. Alla fine, sempre secondo Vassileev,l'allievo si sarebbe affidato esclusivamente all'istinto per decidere se c'eraqualcosa di stonato.Certe altre volte ordinava a Pekkala di evitare di farsi catturare mentre viaggiava

    camuffato per la citt, braccato da pi agenti. Il suo allievo impar cos a fingersitassista, prete e barista.Studi gli effetti dei veleni, come si disattivavano gli ordigni, come si uccideva

    con un coltello.Oltre a insegnare a Pekkala come sparare con pi armi, che doveva smontare,

    rimontare e caricare bendato, Vassileev gli insegn a riconoscere il suono dellepistole di diverso calibro e persino i rumori prodotti dai diversi modelli delmedesimo calibro. Pekkala stava seduto dietro una parete di mattoni mentreVassileev, appollaiato su una sedia dall'altra parte, sparava con pi pistole e

    chiedeva all'allievo di identificarle una per una. Durante queste sedute Vassileevaveva quasi sempre una sigaretta incastrata fra le dita di legno.Pekkala si abitu a tener d'occhio il sottile filo di fumo grigio che saliva da dietrola parete, e le sue oscillazioni quando Vassileev addentava la sigaretta poco primadi premere il grilletto.All'inizio del terzo anno di addestramento Vassileev convoc Pekkala nel suo

    ufficio. La gamba artificiale era appoggiata sulla scrivania, e il suo proprietarioaveva cominciato a scavare con uno scalpello il blocco di solido legno checorrispondeva al polpaccio della protesi.

    Che cosa fa? gli chiese Pekkala.Mah, non sai mai quando pu venirti utile un nascondiglio per gli oggettipreziosi. E poi questo dannato aggeggio troppo pesante. Vassileev pos lo

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    scalpello e raccolse con attenzione i trucioli nel palmo della mano. Sai perch lozar ha scelto te per questo lavoro? Non gliel'ho mai chiesto. Mi haspiegato di averti scelto perch tu hai la cosa pi vicina a una memoria perfettache abbia mai visto. E anche perch sei finlandese. A noi russi i finlandesi non

    sono mai sembrati veri esseri umani. Esseri umani? Piuttosto stregoni.Fattucchiere. Maghi spieg Vassileev. Ma lo sai che tanti russi sono ancoraconvinti che i finlandesi possano gettare il malocchio? per questo che Nikolaj attorniato da un intero Reggimento di guardie finlandesi. E che ha scelto te. Pernoi sappiamo entrambi che non sei un mago. Non ho mai sostenuto di esserlodisse Pekkala.Ugualmente probabile che tu sia ritenuto tale, persino dallo zar. Non devi mai

    dimenticare la differenza fra chi sei e chi la gente crede che tu sia. Lo zar habisogno di te, ancor pi di quel che immagini. Pekkala, stanno arrivando tempibui. Quando sono saltato in aria i lestofanti svaligiavano ancora le banche. Adessohanno imparato a rubare l'intera banca. Tra non molto governeranno l'intero

    paese. Se glielo lasciamo fare, Pekkala, un giorno tu e io ci sveglieremo escopriremo di essere noi i criminali. E allora per restare vivo ti servir ci che tiho insegnato. Il giorno dopo, mentre le rosse stelle filanti dell'alba solcavano ilcielo, Pekkala, Kirov e Anton salirono a bordo della Emka di servizio.Le case tutto intorno erano sbarrate, gli inquilini ancora all'interno. Le persiane

    chiuse regalavano un'aria addormentata agli edifici, eppure c'era qualcosa disinistro in quelle finestre. I tre uomini avevano l'impressione di essere spiati.Kirov si mise al volante. Essendo rimasto alzato tutta la notte a leggere il dossier

    segreto, sembrava in stato comatoso.Pekkala aveva deciso di andare direttamente alla miniera in cui erano stati

    scaricati i cadaveri. Secondo Anton, che aveva segnato il punto esatto sulla carta,si trovava nei pressi di Sverdlovsk, a circa due giornate di automobile.Erano partiti da pochi minuti quando videro una persona uscire barcollando da

    una casa abbandonata alla periferia della citt. Era il poliziotto del giorno prima. Isuoi vestiti erano sporchi perch aveva dormito all'addiaccio.La Emka inchiod.L'agente si ferm in una pozzanghera in mezzo alla strada, con l'acqua che gli

    arrivava alle caviglie. Vacillava come se si trovasse sul ponte di una naveincappata in una burrasca. Non mi frega niente se l'Occhio di smeraldo!Portatemi con voi grid. Poi barcoll verso l'auto, estrasse la rivoltellad'ordinanza e batt con la canna sul finestrino.Fuori tutti disse sottovoce Anton.I tre scesero nella strada fangosa.Dobbiamo andarcene di qui grid il poliziotto. Tutto il paese dice che

    Pekkala mi sta indagando! Punt la pistola verso i tetti del villaggio. Ma nonaspetteranno che succeda. Abbiamo cose pi importanti da fare che indagare

    te disse Anton, senza staccare gli occhi dalla pistola.Non importa pi un accidente, ormai! Se torno in paese la gente mi far apezzi! protest l'agente.

  • 5/22/2018 Sam Eastland - L Occhio.dello.zar

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    Dovevi pensarci prima di iniziare a tirar gi i denti a calci ai vecchietti.Il tuo dovere consiste nello stare al tuo posto. Adesso togliti dai piedi e torna allavoro. Non posso. L'indice del poliziotto scivol nel ponticello della pistola.Gli sarebbe bastato contrarre il dito per far partire il colpo. Dalla faccia che aveva,

    era molto probabile che succedesse anche involontariamente. Non lascer che miabbandoniate qui! Disertare non migliorer la tua situazione ribatt Anton.Io non sto disertando! La voce dell'uomo si disperse nell'immobile aria del