Salvo Mastellone - Mazzini

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{TER-1-1506-3} Sat Jun 14 21:27:30 2003 N el giugno 1839, il Tait’s Edinburgh Magazine, pub- blica l’articolo di Mazzini On De- mocracy, nel quale l’esule geno- vese ne sottolinea l’importanza (“dalla democrazia dipende la salvezza di intere generazioni”) e l’urgenza e af- fermava che “la democrazia, an- cora poco tem- po fa bollata come la parola d’ordine di al- cuni fanatici, oggi si presenta come il fulcro di tutte le questio- ni, come l’argo- mento favorito di tutti gli scrit- tori politici”. Dal 1831 al 1836 - ovvero dalla fondazio- ne in Francia della Giovine Italia alla fonda- zione della Jeu- ne Suisse in Svizzera - Mazzini insiste molto sulla repubblica. Se nello scritto, in francese, Fede e avvenire (1835), esprime qualche per- plessità sulla parola democrazia, intesa dai vecchi giacobini come sistema di lotta e pensiero di ri- bellione, una volta giunto in In- ghilterra all’inizio del 1837 ri- pensa da capo il significato da dare alla parola. Eguaglianza, questa la sua ri- flessione, signi- fica democra- zia, ma anche la libertà è un ele- mento essen- ziale della de- mocrazia; la re- pubblica è una forma demo- cratica di go- verno, ma an- che un governo repubblicano può non rispetta- re nell’esercizio del potere i princìpi democratici. Poiché la parola democrazia era popolare in Inghilterra, Mazzini decide di precisare in inglese il suo pensiero politico, scrivendo un lungo saggio - Si- smondi’s Studies of Free Constitu- tions (1838) - in cui sostiene che una costituzione non deve di- fendere una “singola classe”, né riflettere gli interessi di un “par- tito dominante”, ma mirare al- l’unità del popolo perché “il po- polo è la nazione”. E comunque l’esule nei suoi scritti in italiano si rivolge agli Italiani per esor- tarli all’indipendenza e all’amor di patria, mentre negli scritti in inglese cerca di spiegare agli In- glesi le finalità politiche e sociali del suo programma per convin- cerli ad appoggiare la sua azio- ne contro il dispotismo assoluti- stico. Mazzini scrittore politi- co diventa an- che un leader democratico e un caso nazio- nale (molti fu- rono i resoconti a lui favorevoli dei giornali lon- dinesi e Carlyle scrisse una let- tera al Times il 15 giugno 1844) quando in Parlamento, in seguito all’a- pertura di lette- re a lui indiriz- zate, si discute delle sue accuse al governo in- glese: l’esule ritiene gli inglesi responsabili di aver comunicato notizie sulla spedizione dei fra- telli Bandiera al governo au- striaco, il quale le avrebbe poi trasmesse al governo napoleta- no. Desta molta impressione nel mondo culturale londinese an- che il lungo articolo su Mazzini, pubblicato nel 1844 nella pre- stigiosa We- stminster Re- view, dal titolo Mazzini and the Etics of Politi- cians: da allora all’etica dei po- litici venne con- trapposta l’etica di Mazzini, elo- giato in Parla- mento da John Bowring per il suo “alto intel- letto e la sua insospettata mora- lità”. Ma è negli anni successivi che Mazzini torna a precisare me- glio cosa intenda per “demo- cracy”: tra il 1846 e il 1947 scri- ve alcuni articoli, espressamen- te rivolti ai lettori inglesi, che il People’s Journal pubblicò con il titolo Thoughts upon Demo- cracy in Europe (Pensieri sulla democrazia in Europa), articoli che furono discussi e commen- tati a Londra negli ambienti del- le Società democratiche e che costituiscono un punto cardine delle sue riflessioni. Benchè questi primi sei arti- coli dei Pensieri e la traduzione in italiano, rimaneggiata dallo stesso autore, siano stati inseriti nell’edizione nazionale degli scritti mazziniani del 1922, il testo originale inglese è stato sempre ignorato dagli studiosi e solo grazie alla mia traduzione (Pensieri sulla democrazia in Eu- ropa, Feltrinelli 1997) è stato reso disponibile al pubblico ita- liano. Il primo dei sei articoli di Mazzini, pubblicato il 28 agosto 1846 nel n. 35 del People’s Jour- nal, ha un carattere introduttivo e spiega il significato generale di una dottrina politica che, non essendo ancora in Europa una forma di governo, restava un movimento di opinione da in- terpretare e definire. L’articolo, che inizia sottolineando come la tendenza democratica non fos- se più “un sogno utopico, né un’incerta previsione”, afferma a chiare lettere che la democra- zia, non è “la vana fantasia” d’uno scrittore politico, ma piuttosto un fenomeno europeo che mette sotto accusa “l’esi- stente classe politica, formata da una ristretta minoranza di privilegiati”. Pagina, questa, di una tale intensità programmati- ca da porre Mazzini tra gli scrit- tori democratici dell’Ottocento europeo. Nel tracciare un quadro stori- co del movimento democratico europeo dai tempi della Rivolu- zione francese, Mazzini osserva che la democrazia per alcuni è un fatto politico, per altri un fat- to economico, per altri un fatto sociale; però, se essa tende a mi- gliorare la società, deve avere una finalità morale: l’oggetto della democrazia è di carattere morale, in quanto è con la pos- sibilità di comunicare con gli al- tri che si realizza “il progresso umano e sociale” ed è solo ele- vando in tutti il livello educati- vo che si dà democraticamente a tutti la possibilità di comuni- care. Ma è con l’articolo sul comu- nismo del 17 aprile 1847 che Mazzini tocca - sempre nei Pen- sieri sulla democrazia in Europa - uno dei punti tuttora più inte- ressanti : il patriota genovese sostiene che nella società co- munista si sarebbe creata una frattura sociale tra classe diri- gente e classe lavoratrice. Nella sua Defence of Communism, in- viata al People’s Journal, Good- win Barmby risponde che è fal- so che i comunisti vogliono “il potere per imporre non la de- mocrazia, ma la dittatura tiran- nica”. Mazzini nella sua risposta ribadisce invece che a suo pare- re il comunismo porta con sé “una centralizzazione con una gerarchia arbitraria di capi con l’intera disponibilità della pro- prietà comune, con il potere di decidere circa il lavoro, la capa- cità, i bisogni di ciascuno”. Una condizione, insomma, simile a quella dei “padroni di schiavi degli antichi tempi”, una sorta di “dittatura (dictatorship) delle antiche caste”. Come furono intesi, al tempo, dalle associazioni londinesi i Pensieri di Mazzini? I Fraternal Democrats intese- ro i Pensieri come il Manifesto dei repubblicani italiani che pensavano più al problema po- litico delle nazionalità che al problema sociale delle "classi lavoratrici". A parer mio, penso che, con- trariamente all’opinione di mol- ti, nel Manifesto del Partito co- munista di Marx ed Engels, pubblicato a Londra nel febbra- io 1848, siano da vedere riferi- menti precisi ai Pensieri di Maz- zini, non solo perché il secondo capitolo del Manifesto comuni- sta contiene “un breve esame polemico delle principali accuse rivolte dai partiti borghesi ai co- munisti”, ma anche perché ad alcune accuse di Mazzini, espresse nei Pensieri, corrispon- dono nella stessa successione le risposte nel secondo capitolo dell’opera di Marx ed Engels. I Thoughts upon Democracy in Europe sono la proposta più me- ditata e più articolata di demo- crazia formulata da uno scritto- re politico italiano nella prima metà dell’Ottocento. SALVO MASTELLONE CULTURA & SPETTACOLI 14 15 giugno 2003, Domenica FINESTRA SUL RISORGIMENTO Quando gli scritti di Mazzini misero in crisi Marx e Engels Con i suoi “Pensieri sulla democrazia in Europa”, pubblicati tra il 1846 e il 1847, Mazzini diventa uno dei maggiori pensatori politici dell’epoca Uno dei saggi dei “Pensieri” è una critica al comunismo. Marx ed Engels ne tengono conto quando scrivono il Manifesto del Partito Comunista Mazzini ha scritto in inglese su molte riviste pubblicate a Londra Karl Marx Il comunismo, scrive il genovese, comporta “una gerarchia arbitraria di capi con il potere di decidere circa il lavoro, la capacità, i bisogni di ciascuno” Q uesta che riproduciamo è una delle imma- gini di Giuseppe Mazzini (nella foto) poco rassomigliante al vero. Non è l’unica delle tante che circolavano dell’esule genovese ricercato dalla polizia, ma questa, tratta da un dagherroti- po di sua madre nel 1847, ha una storia parti- colare giunta fino a noi. Nel catalogo del Mu- seo del Risorgimento pubblicato nel 1987, leg- giamo che furono le amiche della madre a volerla far stampare e diffondere traendola da un ritratto. E una di loro, Fanny Balbi Senare- ga, ricevette una censura dalla polizia piemon- tese. In proposito scriveva Mazzini il 24 aprile 1847: «Capperi! Fanno onore al mio ritratto. Un Governo così forte, così fondato sull’amore del popolo, aver paura di un ritratto! Oibò! se aves- simo l’adempimento dei nostri voti, noi lasce- remmo circolare quanti ritratti di Carlo Alberto piacesse agli amici suoi. del resto ho piacere che la signora fanny abbia mantenuto contegno dignitoso...; L’IMMAGINE CENSURATA DALLA POLIZIA PIEMONTESE «Capperi! Un Governo così forte, fondato sull’amore del popolo, aver paura di un ritratto!». Firmato Mazzini Nel suo esilio londinese, Mazzini riflette sulla repubblica come forma di governo e sulla democrazia. I suoi scritti fanno scalpore e molti pensatori gli rispondono Il nuovo pamphlet di Lorenzo del Boca contesta la versione ufficiale del Risorgimento, ma non convince “Indietro Savoia”, una storia controcorrente Aneddoti, pettegolezzi, caricature: da Carlo Alberto a Garibaldi, non si salva nessuno I generi sono sempre esistiti, a teatro, nel cinema, in lette- ratura. Forti dei loro specifici canovacci e codificate modalità espressive hanno dato vita ad opere di grande impatto popo- lare. Considerazioni queste che si addicono pienamente al pamphlet, cimento letterario nel segno della polemica e del sarcasmo di cui non sono certo mancati illustri esempi. Un genere, al pari di ogni al- tro, apprezzabile, purché non debordi, andando ad invadere altrui territori. Indietro Savoia! (Piemme, pag. 281, 15,90), ul- tima fatica di Lorenzo Del Boca - da non confondersi con Ange- lo, maggior storico del colonia- lismo italiano -, appartiene per l’appunto a questa categoria, in cui la vis polemica si coniuga con una scrittura al vetriolo. Il "recidivo" Del Boca, giorna- lista di professione, torna anco- ra una volta a infierire sul suo bersaglio preferito, allargando però ulteriormente il campo: dopo Maledetti Savoia, libro dal titolo programmatico, ecco ora questo dirompente pamphlet teso a svelare quella “storia controcorrente del Risorgimen- to” in irrimediabile contrasto con gli edificanti miti ufficiali e le apologetiche biografie dei Padri della Patria. Nessuno si salva dalle borda- te alzo zero dell’autore: dal “re Tentenna” Carlo Alberto allo zotico e “tardo di cervello” Vit- torio Emanuele II, dall’affarista Cavour, antesignano dei “con- flitti di interesse”, all’artritico Garibaldi, ladro di cavalli, schia- vista e “Robin Hood degli sfiga- ti”, l’autore smonta, con esplici- to compiacimento, quella agio- grafia che, a suo dire, avrebbe completamente falsato la realtà effettuale. Patria, libertà, unità? Lorenzo Del Boca sbeffeggia gli altiso- nanti ideali della vulgata risor- gimentale per mettere a nudo quell’intrico di meschinità, cu- pidigia, interessi, corruzione, atrocità che avrebbe contrasse- gnato nella sua interezza il Ri- sorgimento italiano. Un libro a senso unico, le cui verità con- trocorrente troverebbero fon- damento e legittimità storio- grafica nelle fonti bibliografiche e documentali citate dall’auto- re, in aperta rotta di collisione con la comunità degli storici. E qui sorgono problemi di non poco conto, stante la prete- sa dell’autore di accreditare il suo pamphlet, accattivante e documentato quanto si voglia, quale rigoroso libro di storia, soggetto invece a ben altre pro- cedure e statuti epistemologici. Che ci sia stato in passato un eccesso di retorica e ufficialità a proposito del Risorgimento, nessuno lo nega. Ma non si pre- suma, come fa Del Boca, di po- ter ristabilire la compromessa verità storica a forza di aneddo- ti e polemiche e in virtù di una spumeggiante verve letteraria. Il revisionismo sarà pure di gran moda (e oltremodo fun- zionale a certa politica), ma non per questo diventa accettabile un’operazione che, tra banaliz- zazioni e distorsioni caricatura- li, trancia sommari giudizi sui libri di testo (ma a quali si rife- risce Del Boca? Forse a quelli del suo tempo?) e sulle opere dei più accreditati studiosi. Perché la storia richiede ben altri approcci che non la “diplo- mazia delle mutande” (pag. 147), in grado, secondo l’autore, di far luce sulle vicende della politica (“è risaputo, quanto a risultati, che le lenzuola valgo- no dieci, cento e, forse, mille co- lazioni di lavoro”), la psicologia da rotocalco, le sensazionalisti- che comparazioni - Vittorio Emanuele accostato a Hitler, i soldati piemontesi nel Sud a “SS dell’Ottocento”, i campi sabaudi per prigionieri di guerra ai lager nazisti -, le arbitrarie semplifi- cazioni, le anacronistiche riabi- litazioni (come si viveva bene sotto il Papa e i Borboni), i giu- dizi privi di contestualizzazione storica. In un testo in cui ai contributi dei più importanti storici ven- gono sovente preferiti i libri di- vulgativi dei giornalisti-scrittori di successo e in cui gli opinioni- sti dei quotidiani hanno più voce in capitolo di Della Peruta, Mack Smith, Romeo, Candeloro (alcuni dei quali mai citati), an- che i richiami ad aspetti colpe- volmente rimossi e miscono- sciuti del passato risorgimenta- le - dagli interessi economici in ballo al bombardamento di Ge- nova del 1849, dalle efferate re- pressioni al Sud all’istituzione di campi concentrazionari sa- baudi - finiscono con il perdere peso e autorevolezza nel globa- le impianto del volume. I pam- phlet sono una cosa, i libri di storia un’altra: non si chieda a questi ultimi l’effervescenza dei primi ma, parimenti, non si pretenda dai primi la scientifi- cità e il rigore dei secondi. PAOLO BATTIFORA Vittorio Emanuele II in un olio di Niccolò Barabino datato 1862

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{TER-1-1506-3} Sat Jun 14 21:27:30 2003

Nel giugno 1839, ilTait’s EdinburghMagazine, pub-blica l’articolo diMazzini On De-

mocracy, nel quale l’esule geno-vese ne sottolinea l’importanza(“dalla democrazia dipende lasalvezza di intere generazioni”)e l’urgenza e af-fermava che “lademocrazia, an-cora poco tem-po fa bollatacome la parolad’ordine di al-cuni fanatici,oggi si presentacome il fulcro ditutte le questio-ni, come l’argo-mento favoritodi tutti gli scrit-tori politici”.

Dal 1831 al1836 - ovverodalla fondazio-ne in Franciadella GiovineItalia alla fonda-zione della Jeu-ne Suisse inSvizzera - Mazzini insiste moltosulla repubblica. Se nello scritto,in francese, Fede e avvenire(1835), esprime qualche per-plessità sulla parola democrazia,intesa dai vecchi giacobini comesistema di lotta e pensiero di ri-bellione, una volta giunto in In-ghilterra all’inizio del 1837 ri-pensa da capo il significato dadare alla parola. Eguaglianza,questa la sua ri-flessione, signi-fica democra-zia, ma anche lalibertà è un ele-mento essen-ziale della de-mocrazia; la re-pubblica è unaforma demo-cratica di go-verno, ma an-che un governorepubblicano può non rispetta-re nell’esercizio del potere iprincìpi democratici.

Poiché la parola democraziaera popolare in Inghilterra,Mazzini decide di precisare ininglese il suo pensiero politico,scrivendo un lungo saggio - Si-smondi’s Studies of Free Constitu-tions (1838) - in cui sostiene cheuna costituzione non deve di-fendere una “singola classe”, nériflettere gli interessi di un “par-tito dominante”, ma mirare al-l’unità del popolo perché “il po-

polo è la nazione”. E comunquel’esule nei suoi scritti in italianosi rivolge agli Italiani per esor-tarli all’indipendenza e all’amordi patria, mentre negli scritti ininglese cerca di spiegare agli In-glesi le finalità politiche e socialidel suo programma per convin-cerli ad appoggiare la sua azio-ne contro il dispotismo assoluti-stico.

M a z z i n iscrittore politi-co diventa an-che un leaderdemocratico eun caso nazio-nale (molti fu-rono i resocontia lui favorevolidei giornali lon-dinesi e Carlylescrisse una let-tera al Times il15 giugno1844) quandoin Parlamento,in seguito all’a-pertura di lette-re a lui indiriz-zate, si discutedelle sue accuseal governo in-

glese: l’esule ritiene gli inglesiresponsabili di aver comunicatonotizie sulla spedizione dei fra-telli Bandiera al governo au-striaco, il quale le avrebbe poitrasmesse al governo napoleta-no.

Desta molta impressione nelmondo culturale londinese an-che il lungo articolo su Mazzini,pubblicato nel 1844 nella pre-

stigiosa We-stminster Re-view, dal titoloMazzini and theEtics of Politi-cians: da alloraall’etica dei po-litici venne con-trapposta l’eticadi Mazzini, elo-giato in Parla-mento da JohnBowring per ilsuo “alto intel-

letto e la sua insospettata mora-lità”.

Ma è negli anni successivi cheMazzini torna a precisare me-glio cosa intenda per “demo-cracy”: tra il 1846 e il 1947 scri-ve alcuni articoli, espressamen-te rivolti ai lettori inglesi, che ilPeople’s Journal pubblicò con iltitolo Thoughts upon Demo-cracy in Europe (Pensieri sullademocrazia in Europa), articoliche furono discussi e commen-tati a Londra negli ambienti del-le Società democratiche e che

costituiscono un punto cardinedelle sue riflessioni.

Benchè questi primi sei arti-coli dei Pensieri e la traduzionein italiano, rimaneggiata dallostesso autore, siano stati inseritinell’edizione nazionale degliscritti mazziniani del 1922, iltesto originale inglese è statosempre ignorato dagli studiosie solo grazie alla mia traduzione(Pensieri sulla democrazia in Eu-ropa, Feltrinelli 1997) è statoreso disponibile al pubblico ita-liano.

Il primo dei sei articoli diMazzini, pubblicato il 28 agosto1846 nel n. 35 del People’s Jour-nal, ha un carattere introduttivoe spiega il significato generaledi una dottrina politica che, nonessendo ancora in Europa unaforma di governo, restava unmovimento di opinione da in-terpretare e definire. L’articolo,che inizia sottolineando come latendenza democratica non fos-

se più “un sogno utopico, néun’incerta previsione”, affermaa chiare lettere che la democra-zia, non è “la vana fantasia”d’uno scrittore politico, mapiuttosto un fenomeno europeoche mette sotto accusa “l’esi-stente classe politica, formatada una ristretta minoranza diprivilegiati”. Pagina, questa, diuna tale intensità programmati-ca da porre Mazzini tra gli scrit-tori democratici dell’Ottocentoeuropeo.

Nel tracciare un quadro stori-co del movimento democraticoeuropeo dai tempi della Rivolu-zione francese, Mazzini osservache la democrazia per alcuni èun fatto politico, per altri un fat-to economico, per altri un fattosociale; però, se essa tende a mi-gliorare la società, deve avereuna finalità morale: l’oggettodella democrazia è di caratteremorale, in quanto è con la pos-sibilità di comunicare con gli al-

tri che si realizza “il progressoumano e sociale” ed è solo ele-vando in tutti il livello educati-vo che si dà democraticamentea tutti la possibilità di comuni-care.

Ma è con l’articolo sul comu-nismo del 17 aprile 1847 cheMazzini tocca - sempre nei Pen-sieri sulla democrazia in Europa- uno dei punti tuttora più inte-ressanti : il patriota genovesesostiene che nella società co-munista si sarebbe creata unafrattura sociale tra classe diri-gente e classe lavoratrice. Nellasua Defence of Communism, in-viata al People’s Journal, Good-win Barmby risponde che è fal-so che i comunisti vogliono “ilpotere per imporre non la de-mocrazia, ma la dittatura tiran-nica”. Mazzini nella sua rispostaribadisce invece che a suo pare-re il comunismo porta con sé“una centralizzazione con unagerarchia arbitraria di capi con

l’intera disponibilità della pro-prietà comune, con il potere didecidere circa il lavoro, la capa-cità, i bisogni di ciascuno”. Unacondizione, insomma, simile aquella dei “padroni di schiavidegli antichi tempi”, una sortadi “dittatura (dictatorship) delleantiche caste”.

Come furono intesi, al tempo,dalle associazioni londinesi iPensieri di Mazzini?

I Fraternal Democrats intese-ro i Pensieri come il Manifestodei repubblicani italiani chepensavano più al problema po-

litico delle nazionalità che alproblema sociale delle "classilavoratrici".

A parer mio, penso che, con-trariamente all’opinione di mol-ti, nel Manifesto del Partito co-munista di Marx ed Engels,pubblicato a Londra nel febbra-io 1848, siano da vedere riferi-menti precisi ai Pensieri di Maz-zini, non solo perché il secondocapitolo del Manifesto comuni-sta contiene “un breve esamepolemico delle principali accuserivolte dai partiti borghesi ai co-munisti”, ma anche perché adalcune accuse di Mazzini,espresse nei Pensieri, corrispon-dono nella stessa successione lerisposte nel secondo capitolodell’opera di Marx ed Engels.

I Thoughts upon Democracy inEurope sono la proposta più me-ditata e più articolata di demo-crazia formulata da uno scritto-re politico italiano nella primametà dell’Ottocento.

SALVO MASTELLONE

CULTURA&SPETTACOLI14 � 15 giugno 2003, Domenica

FINESTRA SUL RISORGIMENTO

Quando gli scritti di Mazzinimisero in crisi Marx e Engels

Con i suoi “Pensierisulla democrazia in

Europa”, pubblicati trail 1846 e il 1847,

Mazzini diventa unodei maggiori pensatori

politici dell’epoca

Uno dei saggi dei“Pensieri” è una criticaal comunismo. Marxed Engels ne tengono

conto quandoscrivono il Manifestodel Partito Comunista

Mazzini ha scritto in inglese su molte riviste pubblicate a Londra

Karl Marx

Il comunismo, scrive ilgenovese, comporta

“una gerarchiaarbitraria di capi con ilpotere di decidere circail lavoro, la capacità, ibisogni di ciascuno”

Q uesta che riproduciamo è una delle imma-gini di Giuseppe Mazzini (nella foto) poco

rassomigliante al vero. Non è l’unica delle tanteche circolavano dell’esule genovese ricercatodalla polizia, ma questa, tratta da un dagherroti-po di sua madre nel 1847, ha una storia parti-colare giunta fino a noi. Nel catalogo del Mu-seo del Risorgimento pubblicato nel 1987, leg-giamo che furono le amiche della madre avolerla far stampare e diffondere traendola da

un ritratto. E una di loro, Fanny Balbi Senare-ga, ricevette una censura dalla polizia piemon-tese. In proposito scriveva Mazzini il 24 aprile1847: «Capperi! Fanno onore al mio ritratto. UnGoverno così forte, così fondato sull’amore delpopolo, aver paura di un ritratto! Oibò! se aves-simo l’adempimento dei nostri voti, noi lasce-remmo circolare quanti ritratti di Carlo Albertopiacesse agli amici suoi. del resto ho piacereche la signora fanny abbia mantenuto contegnodignitoso...;

L’IMMAGINE CENSURATA DALLA POLIZIA PIEMONTESE

«Capperi! Un Governo così forte, fondato sull’amoredel popolo, aver paura di un ritratto!». Firmato Mazzini

Nel suo esilio londinese,Mazzini riflette sulla

repubblica come forma digoverno e sulla

democrazia. I suoi scrittifanno scalpore e molti

pensatori gli rispondono

Il nuovo pamphlet di Lorenzo del Boca contesta la versione ufficiale del Risorgimento, ma non convince

“Indietro Savoia”, una storia controcorrenteAneddoti, pettegolezzi, caricature: da Carlo Alberto a Garibaldi, non si salva nessuno

I generi sono sempre esistiti,a teatro, nel cinema, in lette-

ratura. Forti dei loro specificicanovacci e codificate modalitàespressive hanno dato vita adopere di grande impatto popo-lare. Considerazioni queste chesi addicono pienamente alpamphlet, cimento letterarionel segno della polemica e delsarcasmo di cui non sono certomancati illustri esempi.

Un genere, al pari di ogni al-tro, apprezzabile, purché nondebordi, andando ad invaderealtrui territori. Indietro Savoia!(Piemme, pag. 281, € 15,90), ul-tima fatica di Lorenzo Del Boca- da non confondersi con Ange-lo, maggior storico del colonia-lismo italiano -, appartiene perl’appunto a questa categoria, incui la vis polemica si coniugacon una scrittura al vetriolo.

Il "recidivo" Del Boca, giorna-lista di professione, torna anco-ra una volta a infierire sul suobersaglio preferito, allargandoperò ulteriormente il campo:dopo Maledetti Savoia, libro daltitolo programmatico, ecco oraquesto dirompente pamphletteso a svelare quella “storiacontrocorrente del Risorgimen-to” in irrimediabile contrastocon gli edificanti miti ufficiali ele apologetiche biografie dei

Padri della Patria.Nessuno si salva dalle borda-

te alzo zero dell’autore: dal “reTentenna” Carlo Alberto allozotico e “tardo di cervello” Vit-torio Emanuele II, dall’affaristaCavour, antesignano dei “con-flitti di interesse”, all’artriticoGaribaldi, ladro di cavalli, schia-vista e “Robin Hood degli sfiga-ti”, l’autore smonta, con esplici-to compiacimento, quella agio-grafia che, a suo dire, avrebbecompletamente falsato la realtà

effettuale.Patria, libertà, unità? Lorenzo

Del Boca sbeffeggia gli altiso-nanti ideali della vulgata risor-gimentale per mettere a nudoquell’intrico di meschinità, cu-pidigia, interessi, corruzione,atrocità che avrebbe contrasse-gnato nella sua interezza il Ri-sorgimento italiano. Un libro asenso unico, le cui verità con-trocorrente troverebbero fon-damento e legittimità storio-grafica nelle fonti bibliografiche

e documentali citate dall’auto-re, in aperta rotta di collisionecon la comunità degli storici.

E qui sorgono problemi dinon poco conto, stante la prete-sa dell’autore di accreditare ilsuo pamphlet, accattivante edocumentato quanto si voglia,quale rigoroso libro di storia,soggetto invece a ben altre pro-cedure e statuti epistemologici.

Che ci sia stato in passato uneccesso di retorica e ufficialitàa proposito del Risorgimento,nessuno lo nega. Ma non si pre-suma, come fa Del Boca, di po-ter ristabilire la compromessaverità storica a forza di aneddo-ti e polemiche e in virtù di unaspumeggiante verve letteraria.

Il revisionismo sarà pure digran moda (e oltremodo fun-zionale a certa politica), ma nonper questo diventa accettabileun’operazione che, tra banaliz-zazioni e distorsioni caricatura-li, trancia sommari giudizi suilibri di testo (ma a quali si rife-risce Del Boca? Forse a quellidel suo tempo?) e sulle operedei più accreditati studiosi.

Perché la storia richiede benaltri approcci che non la “diplo-mazia delle mutande” (pag.147), in grado, secondo l’autore,di far luce sulle vicende dellapolitica (“è risaputo, quanto arisultati, che le lenzuola valgo-no dieci, cento e, forse, mille co-

lazioni di lavoro”), la psicologiada rotocalco, le sensazionalisti-che comparazioni - VittorioEmanuele accostato a Hitler, isoldati piemontesi nel Sud a “SSdell’Ottocento”, i campi sabaudiper prigionieri di guerra ai lagernazisti -, le arbitrarie semplifi-cazioni, le anacronistiche riabi-litazioni (come si viveva benesotto il Papa e i Borboni), i giu-dizi privi di contestualizzazionestorica.

In un testo in cui ai contributidei più importanti storici ven-gono sovente preferiti i libri di-vulgativi dei giornalisti-scrittoridi successo e in cui gli opinioni-sti dei quotidiani hanno piùvoce in capitolo di Della Peruta,Mack Smith, Romeo, Candeloro(alcuni dei quali mai citati), an-che i richiami ad aspetti colpe-volmente rimossi e miscono-sciuti del passato risorgimenta-le - dagli interessi economici inballo al bombardamento di Ge-nova del 1849, dalle efferate re-pressioni al Sud all’istituzionedi campi concentrazionari sa-baudi - finiscono con il perderepeso e autorevolezza nel globa-le impianto del volume. I pam-phlet sono una cosa, i libri distoria un’altra: non si chieda aquesti ultimi l’effervescenza deiprimi ma, parimenti, non sipretenda dai primi la scientifi-cità e il rigore dei secondi.

PAOLO BATTIFORA

Vittorio Emanuele II in un olio di Niccolò Barabino datato 1862