Download - Salvo Mastellone - Mazzini

Transcript
Page 1: Salvo Mastellone - Mazzini

{TER-1-1506-3} Sat Jun 14 21:27:30 2003

Nel giugno 1839, ilTait’s EdinburghMagazine, pub-blica l’articolo diMazzini On De-

mocracy, nel quale l’esule geno-vese ne sottolinea l’importanza(“dalla democrazia dipende lasalvezza di intere generazioni”)e l’urgenza e af-fermava che “lademocrazia, an-cora poco tem-po fa bollatacome la parolad’ordine di al-cuni fanatici,oggi si presentacome il fulcro ditutte le questio-ni, come l’argo-mento favoritodi tutti gli scrit-tori politici”.

Dal 1831 al1836 - ovverodalla fondazio-ne in Franciadella GiovineItalia alla fonda-zione della Jeu-ne Suisse inSvizzera - Mazzini insiste moltosulla repubblica. Se nello scritto,in francese, Fede e avvenire(1835), esprime qualche per-plessità sulla parola democrazia,intesa dai vecchi giacobini comesistema di lotta e pensiero di ri-bellione, una volta giunto in In-ghilterra all’inizio del 1837 ri-pensa da capo il significato dadare alla parola. Eguaglianza,questa la sua ri-flessione, signi-fica democra-zia, ma anche lalibertà è un ele-mento essen-ziale della de-mocrazia; la re-pubblica è unaforma demo-cratica di go-verno, ma an-che un governorepubblicano può non rispetta-re nell’esercizio del potere iprincìpi democratici.

Poiché la parola democraziaera popolare in Inghilterra,Mazzini decide di precisare ininglese il suo pensiero politico,scrivendo un lungo saggio - Si-smondi’s Studies of Free Constitu-tions (1838) - in cui sostiene cheuna costituzione non deve di-fendere una “singola classe”, nériflettere gli interessi di un “par-tito dominante”, ma mirare al-l’unità del popolo perché “il po-

polo è la nazione”. E comunquel’esule nei suoi scritti in italianosi rivolge agli Italiani per esor-tarli all’indipendenza e all’amordi patria, mentre negli scritti ininglese cerca di spiegare agli In-glesi le finalità politiche e socialidel suo programma per convin-cerli ad appoggiare la sua azio-ne contro il dispotismo assoluti-stico.

M a z z i n iscrittore politi-co diventa an-che un leaderdemocratico eun caso nazio-nale (molti fu-rono i resocontia lui favorevolidei giornali lon-dinesi e Carlylescrisse una let-tera al Times il15 giugno1844) quandoin Parlamento,in seguito all’a-pertura di lette-re a lui indiriz-zate, si discutedelle sue accuseal governo in-

glese: l’esule ritiene gli inglesiresponsabili di aver comunicatonotizie sulla spedizione dei fra-telli Bandiera al governo au-striaco, il quale le avrebbe poitrasmesse al governo napoleta-no.

Desta molta impressione nelmondo culturale londinese an-che il lungo articolo su Mazzini,pubblicato nel 1844 nella pre-

stigiosa We-stminster Re-view, dal titoloMazzini and theEtics of Politi-cians: da alloraall’etica dei po-litici venne con-trapposta l’eticadi Mazzini, elo-giato in Parla-mento da JohnBowring per ilsuo “alto intel-

letto e la sua insospettata mora-lità”.

Ma è negli anni successivi cheMazzini torna a precisare me-glio cosa intenda per “demo-cracy”: tra il 1846 e il 1947 scri-ve alcuni articoli, espressamen-te rivolti ai lettori inglesi, che ilPeople’s Journal pubblicò con iltitolo Thoughts upon Demo-cracy in Europe (Pensieri sullademocrazia in Europa), articoliche furono discussi e commen-tati a Londra negli ambienti del-le Società democratiche e che

costituiscono un punto cardinedelle sue riflessioni.

Benchè questi primi sei arti-coli dei Pensieri e la traduzionein italiano, rimaneggiata dallostesso autore, siano stati inseritinell’edizione nazionale degliscritti mazziniani del 1922, iltesto originale inglese è statosempre ignorato dagli studiosie solo grazie alla mia traduzione(Pensieri sulla democrazia in Eu-ropa, Feltrinelli 1997) è statoreso disponibile al pubblico ita-liano.

Il primo dei sei articoli diMazzini, pubblicato il 28 agosto1846 nel n. 35 del People’s Jour-nal, ha un carattere introduttivoe spiega il significato generaledi una dottrina politica che, nonessendo ancora in Europa unaforma di governo, restava unmovimento di opinione da in-terpretare e definire. L’articolo,che inizia sottolineando come latendenza democratica non fos-

se più “un sogno utopico, néun’incerta previsione”, affermaa chiare lettere che la democra-zia, non è “la vana fantasia”d’uno scrittore politico, mapiuttosto un fenomeno europeoche mette sotto accusa “l’esi-stente classe politica, formatada una ristretta minoranza diprivilegiati”. Pagina, questa, diuna tale intensità programmati-ca da porre Mazzini tra gli scrit-tori democratici dell’Ottocentoeuropeo.

Nel tracciare un quadro stori-co del movimento democraticoeuropeo dai tempi della Rivolu-zione francese, Mazzini osservache la democrazia per alcuni èun fatto politico, per altri un fat-to economico, per altri un fattosociale; però, se essa tende a mi-gliorare la società, deve avereuna finalità morale: l’oggettodella democrazia è di caratteremorale, in quanto è con la pos-sibilità di comunicare con gli al-

tri che si realizza “il progressoumano e sociale” ed è solo ele-vando in tutti il livello educati-vo che si dà democraticamentea tutti la possibilità di comuni-care.

Ma è con l’articolo sul comu-nismo del 17 aprile 1847 cheMazzini tocca - sempre nei Pen-sieri sulla democrazia in Europa- uno dei punti tuttora più inte-ressanti : il patriota genovesesostiene che nella società co-munista si sarebbe creata unafrattura sociale tra classe diri-gente e classe lavoratrice. Nellasua Defence of Communism, in-viata al People’s Journal, Good-win Barmby risponde che è fal-so che i comunisti vogliono “ilpotere per imporre non la de-mocrazia, ma la dittatura tiran-nica”. Mazzini nella sua rispostaribadisce invece che a suo pare-re il comunismo porta con sé“una centralizzazione con unagerarchia arbitraria di capi con

l’intera disponibilità della pro-prietà comune, con il potere didecidere circa il lavoro, la capa-cità, i bisogni di ciascuno”. Unacondizione, insomma, simile aquella dei “padroni di schiavidegli antichi tempi”, una sortadi “dittatura (dictatorship) delleantiche caste”.

Come furono intesi, al tempo,dalle associazioni londinesi iPensieri di Mazzini?

I Fraternal Democrats intese-ro i Pensieri come il Manifestodei repubblicani italiani chepensavano più al problema po-

litico delle nazionalità che alproblema sociale delle "classilavoratrici".

A parer mio, penso che, con-trariamente all’opinione di mol-ti, nel Manifesto del Partito co-munista di Marx ed Engels,pubblicato a Londra nel febbra-io 1848, siano da vedere riferi-menti precisi ai Pensieri di Maz-zini, non solo perché il secondocapitolo del Manifesto comuni-sta contiene “un breve esamepolemico delle principali accuserivolte dai partiti borghesi ai co-munisti”, ma anche perché adalcune accuse di Mazzini,espresse nei Pensieri, corrispon-dono nella stessa successione lerisposte nel secondo capitolodell’opera di Marx ed Engels.

I Thoughts upon Democracy inEurope sono la proposta più me-ditata e più articolata di demo-crazia formulata da uno scritto-re politico italiano nella primametà dell’Ottocento.

SALVO MASTELLONE

CULTURA&SPETTACOLI14 � 15 giugno 2003, Domenica

FINESTRA SUL RISORGIMENTO

Quando gli scritti di Mazzinimisero in crisi Marx e Engels

Con i suoi “Pensierisulla democrazia in

Europa”, pubblicati trail 1846 e il 1847,

Mazzini diventa unodei maggiori pensatori

politici dell’epoca

Uno dei saggi dei“Pensieri” è una criticaal comunismo. Marxed Engels ne tengono

conto quandoscrivono il Manifestodel Partito Comunista

Mazzini ha scritto in inglese su molte riviste pubblicate a Londra

Karl Marx

Il comunismo, scrive ilgenovese, comporta

“una gerarchiaarbitraria di capi con ilpotere di decidere circail lavoro, la capacità, ibisogni di ciascuno”

Q uesta che riproduciamo è una delle imma-gini di Giuseppe Mazzini (nella foto) poco

rassomigliante al vero. Non è l’unica delle tanteche circolavano dell’esule genovese ricercatodalla polizia, ma questa, tratta da un dagherroti-po di sua madre nel 1847, ha una storia parti-colare giunta fino a noi. Nel catalogo del Mu-seo del Risorgimento pubblicato nel 1987, leg-giamo che furono le amiche della madre avolerla far stampare e diffondere traendola da

un ritratto. E una di loro, Fanny Balbi Senare-ga, ricevette una censura dalla polizia piemon-tese. In proposito scriveva Mazzini il 24 aprile1847: «Capperi! Fanno onore al mio ritratto. UnGoverno così forte, così fondato sull’amore delpopolo, aver paura di un ritratto! Oibò! se aves-simo l’adempimento dei nostri voti, noi lasce-remmo circolare quanti ritratti di Carlo Albertopiacesse agli amici suoi. del resto ho piacereche la signora fanny abbia mantenuto contegnodignitoso...;

L’IMMAGINE CENSURATA DALLA POLIZIA PIEMONTESE

«Capperi! Un Governo così forte, fondato sull’amoredel popolo, aver paura di un ritratto!». Firmato Mazzini

Nel suo esilio londinese,Mazzini riflette sulla

repubblica come forma digoverno e sulla

democrazia. I suoi scrittifanno scalpore e molti

pensatori gli rispondono

Il nuovo pamphlet di Lorenzo del Boca contesta la versione ufficiale del Risorgimento, ma non convince

“Indietro Savoia”, una storia controcorrenteAneddoti, pettegolezzi, caricature: da Carlo Alberto a Garibaldi, non si salva nessuno

I generi sono sempre esistiti,a teatro, nel cinema, in lette-

ratura. Forti dei loro specificicanovacci e codificate modalitàespressive hanno dato vita adopere di grande impatto popo-lare. Considerazioni queste chesi addicono pienamente alpamphlet, cimento letterarionel segno della polemica e delsarcasmo di cui non sono certomancati illustri esempi.

Un genere, al pari di ogni al-tro, apprezzabile, purché nondebordi, andando ad invaderealtrui territori. Indietro Savoia!(Piemme, pag. 281, € 15,90), ul-tima fatica di Lorenzo Del Boca- da non confondersi con Ange-lo, maggior storico del colonia-lismo italiano -, appartiene perl’appunto a questa categoria, incui la vis polemica si coniugacon una scrittura al vetriolo.

Il "recidivo" Del Boca, giorna-lista di professione, torna anco-ra una volta a infierire sul suobersaglio preferito, allargandoperò ulteriormente il campo:dopo Maledetti Savoia, libro daltitolo programmatico, ecco oraquesto dirompente pamphletteso a svelare quella “storiacontrocorrente del Risorgimen-to” in irrimediabile contrastocon gli edificanti miti ufficiali ele apologetiche biografie dei

Padri della Patria.Nessuno si salva dalle borda-

te alzo zero dell’autore: dal “reTentenna” Carlo Alberto allozotico e “tardo di cervello” Vit-torio Emanuele II, dall’affaristaCavour, antesignano dei “con-flitti di interesse”, all’artriticoGaribaldi, ladro di cavalli, schia-vista e “Robin Hood degli sfiga-ti”, l’autore smonta, con esplici-to compiacimento, quella agio-grafia che, a suo dire, avrebbecompletamente falsato la realtà

effettuale.Patria, libertà, unità? Lorenzo

Del Boca sbeffeggia gli altiso-nanti ideali della vulgata risor-gimentale per mettere a nudoquell’intrico di meschinità, cu-pidigia, interessi, corruzione,atrocità che avrebbe contrasse-gnato nella sua interezza il Ri-sorgimento italiano. Un libro asenso unico, le cui verità con-trocorrente troverebbero fon-damento e legittimità storio-grafica nelle fonti bibliografiche

e documentali citate dall’auto-re, in aperta rotta di collisionecon la comunità degli storici.

E qui sorgono problemi dinon poco conto, stante la prete-sa dell’autore di accreditare ilsuo pamphlet, accattivante edocumentato quanto si voglia,quale rigoroso libro di storia,soggetto invece a ben altre pro-cedure e statuti epistemologici.

Che ci sia stato in passato uneccesso di retorica e ufficialitàa proposito del Risorgimento,nessuno lo nega. Ma non si pre-suma, come fa Del Boca, di po-ter ristabilire la compromessaverità storica a forza di aneddo-ti e polemiche e in virtù di unaspumeggiante verve letteraria.

Il revisionismo sarà pure digran moda (e oltremodo fun-zionale a certa politica), ma nonper questo diventa accettabileun’operazione che, tra banaliz-zazioni e distorsioni caricatura-li, trancia sommari giudizi suilibri di testo (ma a quali si rife-risce Del Boca? Forse a quellidel suo tempo?) e sulle operedei più accreditati studiosi.

Perché la storia richiede benaltri approcci che non la “diplo-mazia delle mutande” (pag.147), in grado, secondo l’autore,di far luce sulle vicende dellapolitica (“è risaputo, quanto arisultati, che le lenzuola valgo-no dieci, cento e, forse, mille co-

lazioni di lavoro”), la psicologiada rotocalco, le sensazionalisti-che comparazioni - VittorioEmanuele accostato a Hitler, isoldati piemontesi nel Sud a “SSdell’Ottocento”, i campi sabaudiper prigionieri di guerra ai lagernazisti -, le arbitrarie semplifi-cazioni, le anacronistiche riabi-litazioni (come si viveva benesotto il Papa e i Borboni), i giu-dizi privi di contestualizzazionestorica.

In un testo in cui ai contributidei più importanti storici ven-gono sovente preferiti i libri di-vulgativi dei giornalisti-scrittoridi successo e in cui gli opinioni-sti dei quotidiani hanno piùvoce in capitolo di Della Peruta,Mack Smith, Romeo, Candeloro(alcuni dei quali mai citati), an-che i richiami ad aspetti colpe-volmente rimossi e miscono-sciuti del passato risorgimenta-le - dagli interessi economici inballo al bombardamento di Ge-nova del 1849, dalle efferate re-pressioni al Sud all’istituzionedi campi concentrazionari sa-baudi - finiscono con il perderepeso e autorevolezza nel globa-le impianto del volume. I pam-phlet sono una cosa, i libri distoria un’altra: non si chieda aquesti ultimi l’effervescenza deiprimi ma, parimenti, non sipretenda dai primi la scientifi-cità e il rigore dei secondi.

PAOLO BATTIFORA

Vittorio Emanuele II in un olio di Niccolò Barabino datato 1862