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Albumina da rimpiazzo volemico a farmaco Guida pratica all’utilizzo dell’albumina in terapia Salvador Dalì, Metamorfosi di Narciso, 1937

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Albuminada rimpiazzo volemico a farmacoGuida pratica all’utilizzo dell’albumina in terapia

Salvador Dalì, Metamorfosi di Narciso, 1937

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Questo volume è stato realizzatograzie ad un contributo educazionale diAlpha Therapeutic Italia, Baxter Italia,Grifols Italia, Kedrion e CSL Behring

Finito di stampare nel mese di luglio 2007dalle Arti Grafiche Tris, Via delle Case Rosse 23, 00131 RomaTel. 0641294630, Fax 0641234750

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INDICE

PREFAZIONE

Pier Mannuccio Mannucci

INTRODUZIONE

I Sessione

FISIOPATOLOGIA

CAPITOLO 1

L’IPOTESI UNIFICANTE SULLA REGOLAZIONE

DEL VOLUME DEI FLUIDI CORPOREI.

FISIOLOGIA E FISIOPATOLOGIA DELL’OMEOSTASI IDROSALINA,

CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLO SCOMPENSO CARDIACO

E ALLA CIRROSI EPATICA

Mauro Bernardi, Ernesto Gelonesi

CAPITOLO 2

L’ALBUMINA 60 ANNI DOPO:

EVIDENZE E PROSPETTIVE.

DALLA FISIOLOGIA ALLA CLINICA

Luigi Bolondi, Gabriele Donati, Fabio Piscaglia,

Luigi Colì, Sergio Stefoni

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II Sessione

L’ALBUMINA NEGLI STATI ACUTI

CAPITOLO 3

L’ALBUMINA NEGLI STATI ACUTI:

ESPANSORE DI VOLUME O FARMACO?

Luciano Gattinoni, Eleonora Carlesso, Pietro Caironi

CAPITOLO 4

RIPRISTINO DEL VOLUME CIRCOLANTE

E DISTURBI DELLA COAGULAZIONE

Marcel Levi, Evert de Jonge

III Sessione

L’ALBUMINA NEGLI STATI CRONICI

CAPITOLO 5

L’ASCITE NEL PAZIENTE CIRROTICO

Angelo Gatta, Paolo Angeli

CAPITOLO 6

ALBUMINA NEL PAZIENTE CIRROTICO:

RAZIONALE E INDICAZIONI CLINICHE

Paolo Angeli, Angelo Gatta

CAPITOLO 7

TERAPIA DOMICILIARE DELL’ALBUMINA:

RAZIONALI CLINICI E ASPETTI ORGANIZZATIVI

Antonio Ascione, Massimo De Luca, Giovan Giuseppe Di Costanzo

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AUTORI

Paolo Angeli

Dipartimento di Medicina Clinica

e Sperimentale

Università degli Studi di Padova

Antonio Ascione

U.O.S.C. di Epatologia

Dipartimento di Gastroenterologia

A.O. Antonio Cardarelli di Napoli

Mauro Bernardi

Unità di Semeiotica Medica

Dipartimento di Medicina Interna,

Cardioangiologia, Epatologia

“Alma Mater Studiorum”

Università degli Studi di Bologna

Luigi Bolondi

Unità Operativa di Medicina Interna

Università degli Studi di Bologna

Angelo Gatta

Dipartimento di Medicina Clinica

e Sperimentale

Università degli Studi di Padova

Luciano Gattinoni

Istituto di Anestesia e Rianimazione

Università degli Studi

Ospedale Policlinico IRCCS di Milano

Marcel Levi

Dipartimento di Medicina Vascolare/

Medicina Interna

Centro Medico Universitario

Università degli Studi di Amsterdam,

Olanda

Pier Mannuccio Mannucci

Cattedra di Medicina Interna

Centro Emofilia e Trombosi

Università degli Studi di Milano

AUTORI

Pietro Caironi

Istituto di Anestesia e Rianimazione

Università degli Studi

Ospedale Policlinico IRCCS di Milano

Eleonora Carlesso

Istituto di Anestesia e Rianimazione

Università degli Studi

Ospedale Policlinico IRCCS di Milano

Luigi Colì

Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi

Centro Trapianti di Rene

Policlinico S. Orsola-Malpighi

di Bologna

CO-AUTORI

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Evert de Jonge

Dipartimento di Terapia Intensiva

Centro Medico Universitario

Università degli Studi di Amsterdam,

Olanda

Gabriele Donati

Unità Operativa di Medicina Interna

Università degli Studi di Bologna

Ernesto Gelonesi

Unità di Semeiotica Medica

Dipartimento di Medicina Interna,

Cardioangiologia, Epatologia

“Alma Mater Studiorum”

Università degli Studi di Bologna

Fabio Piscaglia

Unità Operativa di Medicina Interna

Università degli Studi di Bologna

Sergio Stefoni

Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi

Centro Trapianti di Rene

Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna

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PREFAZIONE

A sessant’anni dall’introduzio-ne in clinica dell’albumina,nell’ambito dei suoi CongressiNazionali la Società Italianadi Medicina Interna ha volu-to definirne e discuterne i mol-teplici ruoli terapeutici attra-verso un ciclo di approfondi-menti di cui questo volume ri-produce i testi e le conclusioni.

La separazione dell’albuminadal plasma umano, nata daun’esigenza “bellica” (disporredi un rimpiazzo volemico at-to ad essere trasportato e im-piegato sui campi di battaglia)

apre la strada ad una straordinaria avventura farmaceutica: il frazionamento industriale delplasma.

Questo processo nell’arco di pochi anni ha offerto alla medicina la possibilità di usufruire diproteine plasmatiche purificate stabili e trattate per l’impiego parenterale, mettendo a dispo-sizione del medico nuove e importanti opportunità di cura: dalla terapia sostitutiva dell’emo-filia e delle immunodeficienze primitive alla prevenzione dell’isoimmunizzazione materno-fetale, dalla cura di gravi malattie autoimmuni alla profilassi delle complicanze infettive deltrapianto, in una lista che sembra destinata ad allungarsi col tempo.

Il professor Edwin Cohn annuncia la messa a punto del proces-

so di purificazione dell’albumina dal frazionamento del plasma

umano (Harvard, 1941).

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L’albumina è la proteina pla-smatica più presente nell’orga-nismo umano, da sola costitui-sce circa il 55% del contenu-to proteico totale plasmatico edè responsabile dell’80% dellapressione oncotica. Deve la sualongevità come farmaco allasua consistente e persistente ri-sposta terapeutica e all’identi-ficazione progressiva di nuoveindicazioni cliniche. Al ruoloprimario di sostituto del volu-me plasmatico, destinato qua-si esclusivamente alla praticachirurgica e rianimativa, si af-fianca presto l’utilizzo in me-

dicina interna, dove il razionale per la terapia con albumina prende le mosse dal riconosci-mento dei molteplici ruoli fisiologici di questa proteina essenziale e dalla costante associazio-ne tra ipoalbuminemia e prognosi sfavorevole in molte condizioni patologiche, sia acute checroniche. Si deve proprio ad una branca della medicina interna, l’epatologia, l’avere identi-ficato oltre agli effetti volemici e a quelli oncotici, una serie di effetti biologici di questa spe-cialità, la cui applicazione agli stati acuti (sepsi, insufficienza respiratoria) è oggi al centro diimportanti studi.

Questa visione prospettica del farmaco si scontra a volte con posizioni di tipo diverso, spessonon pronte a riconoscere gli importanti progressi conseguiti in materia di efficacia e sicurezzadel farmaco.

In questo contesto la Società Italiana di Medicina Interna, in collaborazione con un panelmultidisciplinare di esperti, ha dato ospitalità nell’ambito dei propri eventi scientifici a di-battiti e confronti orientati a definire l’uso appropriato dell’albumina, spesso confinato in in-dicazioni superate e in dosaggi inadeguati anche dalle linee guida delle autorità sanitarie cen-trali e locali.

Questo volume, che completa l’iniziativa, si rivolge al medico nella sua triplice veste di clini-co, fornendo una panoramica chiara e dettagliata dei protocolli terapeutici e del profilo di ef-ficacia e sicurezza del farmaco, di decisore, chiarendo per ogni indicazione i livelli di eviden-

Pier Mannuccio Mannucci

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Rimpiazzo volemico con albumina al fronte, durante la secon-

da guerra mondiale.

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za oggi raggiunti anche in un’ottica di rapporto costo/beneficio, e di ricercatore, con una vi-sione il più possibile ampia sugli studi in corso e le prospettive di sviluppo indicate dalla ri-cerca internazionale.

L’auspicio è quindi quello di produrre un volume di riferimento clinico e di ausilio pratico ri-guardante un farmaco di vasto utilizzo su cui da tempo si avverte la mancanza di un’orga-nizzazione sistematica e aggiornata delle conoscenze scientifiche.

Pier Mannuccio Mannucci

Past-President

Società Italiana di Medicina Interna

Prefazione

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INTRODUZIONE

L’ALBUMINA 60 ANNI DOPO:EVIDENZE E PROSPETTIVE

ALBUMINA: DA PROTEINA PLASMATICA A FARMACO

L’albumina è una delle proteine plasmatiche più importanti, costituendo da sola circa il55% del contenuto proteico plasmatico e rappresentando la proteina plasmatica più ab-bondante dell’organismo umano e la principale proteina prodotta dal fegato.Il suo ruolo fondamentale di stabilizzazione della circolazione, regolazione della pressio-ne oncotica e dell’equilibrio acido-base è noto da tempo. Numerose altre funzioni, chetrascendono il ruolo di regolazione della pressione oncotica, sono peraltro state ricono-sciute in tempi più recenti, come quella di trasporto di sostanze esogene ed endogene, glieffetti sulla coagulazione e quelli antiossidanti.I livelli sierici dell’albumina possono variare in differenti condizioni patologiche, per lapresenza o associazione di gravi alterazioni fisiopatologiche, con un’evidente e costanteassociazione dose-dipendente tra ipoalbuminemia e mortalità nei più vari scenari clinici.In particolare, nel paziente critico l’ipoalbuminemia assume un forte valore prognosticorispetto alla mortalità (rischio aumentato del 137% per ogni 10 g/L di diminuzione delvalore plasmatico), alla morbilità e alla lunghezza della degenza ospedaliera.L’albumina è stata la prima proteina ad essere purificata dal plasma e impiegata come pre-parazione farmaceutica, generando un processo industriale, il frazionamento del plasma,dal quale sarebbero poi state ottenute numerose altre proteine plasmatiche purificate perl’uso terapeutico.

L’ALBUMINA NEL PAZIENTE CRITICO

La purificazione dell’albumina dal plasma di donatori sani prende le mosse dalla secon-da guerra mondiale. Il farmaco viene usato per la prima volta nel 1941 in 7 pazienti ustio-nati durante l’attacco giapponese a Pearl Harbour diventando il principale presidio di-

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sponibile per il trattamento di trauma ed emorragia. Per questo sin dal primo dopoguer-ra l’albumina è stata largamente usata da chirurghi, nutrizionisti e intensivisti, con un’in-dicazione principale di rimpiazzo volemico o di correzione dell’ipoalbuminemia. La revisione dell’impiego dell’albumina nel paziente critico comincia negli anni ’90, perculminare nel 1998 con la pubblicazione del rapporto Cochrane, che tramite una meta-nalisi di 32 trial randomizzati e controllati giungeva alla conclusione che nel paziente cri-tico il trattamento con albumina può associarsi ad un maggior rischio di mortalità. L’im-patto del rapporto Cochrane sulla comunità scientifica è stato dirompente, suscitandoreazioni e critiche sulla metodologia e sui criteri di selezione dei lavori, ritenuti eteroge-nei, per la maggior parte poco consistenti numericamente e aventi solo in pochi casi co-me obiettivo la mortalità. Una seconda metanalisi del 2001 (55 trial, 3504 pazienti) con-cludeva che la somministrazione di albumina era sicura anche se ininfluente sulla morta-lità complessiva, mentre nel 2003 una terza metanalisi condotta con l’obiettivo di testa-re l’efficacia dell’albumina sul miglioramento delle varie funzioni d’organo osservava unforte trend a favore dell’albumina e una significativa correlazione tra complicanze e livel-li di albuminemia raggiunti.Per chiarire i risultati contrastanti delle metanalisi e il problema della sicurezza dell’im-piego clinico dell’albumina è stato condotto uno studio prospettico randomizzato in dop-pio cieco (studio SAFE) che ha confrontato il rimpiazzo volemico con albumina verso fi-siologica in 7000 pazienti consecutivi ricoverati in Terapia Intensiva.Lo studio ha dimostrato un’assoluta equivalenza in termini di mortalità tra i due braccioffrendo nell’analisi dei sottogruppi numerosi e importanti spunti di riflessione. In par-ticolare, l’osservazione che i pazienti con sepsi grave trattati con albumina tendevano aduna migliore sopravvivenza (p = 0.09), mentre quelli con trauma cranico tendevano a unamortalità più elevata (p = 0.06) fa pensare che la tipologia di pazienti sia cruciale nellascelta dei liquidi di rimpiazzo, come sottolineato da una recente ampia revisione criticache ha analizzato i possibili benefici clinici dell’albumina rispetto ad altri fluidi di rim-piazzo in pazienti acuti affetti da specifiche patologie. Se oggi non si possono trarre conclusioni definitive sull’uso appropriato dell’albumina nelpaziente critico, lo si deve anche al fatto che sfortunatamente l’albumina è stata studiataprevalentemente come sostituto plasmatico per il rimpiazzo volemico. Ovviamente l’ef-fetto volumetrico, a parità di incremento di volume intravascolare, è identico per albu-mina, colloidi e cristalloidi. Tuttavia bisogna tener conto che dalla proprietà dei compo-sti infusi dipendono complicazioni e vantaggi che possono essere rilevanti in alcune si-tuazioni specifiche. Per quanto riguarda i cristalloidi, i possibili svantaggi sono rappresen-tati dalla maggiore quantità di liquidi da infondere per raggiungere lo stesso “effetto vo-lume”: ciò comporta un maggior rischio di edema che è da guardare con attenzione in si-tuazioni cliniche caratterizzate da una ritenzione idrosalina. I colloidi non proteici pos-

Introduzione

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sono indurre rispetto all’albumina maggiori alterazioni della coagulazione, un aspetto ri-levante qualora il rimpiazzo volemico sia indicato dopo emorragie, come in caso di inter-venti maggiori e in cardiochirurgia. Oltre ai possibili vantaggi derivanti dalle minori com-plicazioni, l’impiego dell’albumina può comportare vantaggi “farmacologici” legati allesue funzioni non oncotiche, quali la capacità tampone dell’albumina sul turnover dell’os-sido nitrico e la sua azione antiossidante. Queste possono giocare un ruolo rilevante in al-cuni stati acuti, quali la sepsi, in cui sia lo studio SAFE che alcune metanalisi indicanoun trend favorevole nell’uso dell’albumina.

L’ALBUMINA IN MEDICINA INTERNA E NELL’ASCITE

Il trattamento della cirrosi ascitica e delle sue complicanze rappresenta l’indicazione pre-valente dell’albumina in ambito internistico. Inoltre, l’evoluzione della terapia con albu-mina in questa indicazione è paradigmatica di un cambio di visione nell’impiego del far-maco, seguito all’avanzamento delle conoscenze sulla fisiopatologia di questa condizionemorbosa. Negli anni ’50 il razionale per l’introduzione dell’albumina nel trattamento del-la cirrosi epatica con ascite veniva identificato nella necessità di aumentare la pressioneoncotica e ripristinare l’equilibrio tra le forze di Starling. Questo orientamento riflettevala teoria tradizionale che vedeva nella rottura di questo equilibrio e nell’ipoonchia pla-smatica gli eventi fisiopatologici determinanti per l’accumulo dell’ascite. Ne conseguivache l’impiego dell’albumina nei pazienti affetti da cirrosi fosse principalmente regolatosul ripristino della concentrazione plasmatica, identificando un valore di albuminemia<2-2.5 mg/dL come “potenzialmente” edemigeno.Il successivo avvento della teoria dell’underfilling, che vede nella riduzione del volume ema-tico centrale e nella conseguente ritenzione renale di sodio il meccanismo principale dimantenimento del versamento ascitico, ha spostato l’obiettivo della terapia con albumina.Dalla correzione dell’ipoonchia plasmatica si è passati al miglioramento del volume circo-lante efficace sovvertendo così l’indicazione originale che legava la terapia con albuminaal valore della sua concentrazione plasmatica. Il risultato più tangibile è l’impiego dell’al-bumina in situazioni cliniche che si associano ad una compromissione grave del volumecircolante, quali la prevenzione della disfunzione circolatoria post-paracentesi e della sin-drome epatorenale in corso di peritonite batterica spontanea, e il trattamento della sindro-me epatorenale in cui la terapia con albumina in associazione a vasocostrittori si è dimo-strata molto efficace incrementando significativamente la sopravvivenza dei pazienti.Alla luce di studi più recenti, questi risultati clinici si prestano ad una doppia interpreta-zione. Se l’albumina viene considerata solo un espansore del volume plasmatico si puòipotizzare che questi effetti siano semplicemente legati ad un incremento del precarico e

Introduzione

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quindi ad una compensazione della riduzione della portata cardiaca. Se invece si conside-ra l’ampio spettro di azioni biologiche e in particolare la capacità di legame per sostanzeche notoriamente svolgono un’azione inotropa negativa (quali citochine, ossido nitrico esali biliari) non si può escludere che essa possa potenziare l’azione dei vasocostrittori e chepossa portare anche ad un incremento della portata cardiaca attraverso un’azione direttasulla contrattilità. In questo senso il tema dell’impiego dell’albumina in corso di ascite ap-pare destinato ad arricchirsi di nuove e stimolanti ricerche scientifiche ed essere ridisegna-to come già avvenuto nel recente passato.

IL TRATTAMENTO DOMICILIARE CON ALBUMINA

Il trattamento domiciliare con albumina è stato oggetto di studio in particolare nel pa-ziente con cirrosi epatica e ascite. Una Consensus Conference effettuata presso i Centridi Epatologia Italiani con il metodo Delphi è giunta alle conclusioni che il trattamentodomiciliare è utile nel migliorare il senso di benessere del paziente (86% dei Centri con-sultati) e nel ridurne la necessità di riospedalizzazione o di ammissione al day-hospital perascite (77% dei Centri consultati). Questo studio ha costituto la base per un’analisi far-macoeconomica che, basandosi sul minore ricorso al ricovero ospedaliero e la minore du-rata dell’ospedalizzazione, conclude che l’accesso alla terapia domiciliare con albumina sitraduce in un consistente risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale. Il dato più solido in favore dell’uso dell’albumina a lungo termine nel paziente con cir-rosi e ascite viene da uno studio randomizzato in aperto che dimostra un vantaggio signi-ficativo sulla sopravvivenza mediana (108 vs 36 mesi; p <0.007) e una riduzione delle re-cidive di ascite (38.8 vs 84.7%; p <0.0001) nel gruppo di pazienti ai quali alla terapia diu-retica veniva aggiunta l’albumina. Un ulteriore studio dimostra che il trattamento domi-ciliare con albumina nei pazienti ascitici riduce l’insorgenza dei crampi che possono ma-nifestarsi in conseguenza di trattamento a lungo termine con diuretici. La prescrizione dell’albumina a domicilio in Italia è regolata dalla Nota 15, che nella sua for-mulazione originaria poneva un livello di albuminemia <2.5 g/dL come unica condizioneper la rimborsabilità dell’albumina in contesto extraospedaliero. Gran parte dei Centri Epa-tologici Italiani converge (71% dei consultati) nel giudicare l’ipoalbuminemia come una con-dizione non necessaria né sufficiente per iniziare la terapia con albumina, ed esistono variesituazioni in cui questa terapia può essere vantaggiosa anche in presenza di valori plasmati-ci normali. Ciò ha contribuito a far sì che la Nota venisse modificata e che nella stesura cor-rente la prescrizione venisse consentita sulla base di una valutazione clinica generale, dopola paracentesi evacuativa nella cirrosi epatica e in stati di grave ritenzione idrosalina, quali siverificano in corso di cirrosi, sindrome nefrosica o nelle sindromi da malassorbimento.

Introduzione

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Un ulteriore aspetto di miglioramento della Nota riguarda le motivazioni e i criteri ap-plicativi.Innanzitutto le conclusioni sulla sicurezza, dove il giudizio di una “tendenza netta anchese non significativa all’aumento della mortalità dopo trattamento con albumina nei pa-zienti chirurgici o traumatizzati ...” fa riferimento a metanalisi pubblicate prima o nel cor-so del 2001, ignorando lo studio SAFE. Questo trial, ad oggi il punto di riferimento sul-l’argomento, ha difatti dimostrato che la somministrazione di albumina non è associataad alcun incremento di mortalità.In riferimento all’impiego dell’albumina nel trattamento della cirrosi ascitica, la conclu-sione che “l’uso dell’albumina senza paracentesi dovrebbe essere evitato” (estrapolata dauna Consensus Conference statunitense del 2000) appare in contrasto con le conclusio-ni di una più recente Consensus Conference eseguita con la stessa metodologia tra i mag-giori Centri Epatologici Italiani e superata da numerosi studi clinici che ne dimostranol’efficacia nella prevenzione e nel trattamento della sindrome epatorenale.

RIMPIAZZO VOLEMICO O FARMACO?

L’albumina è probabilmente la prima e più studiata tra le proteine umane. Le sue diver-se e molteplici funzioni hanno attratto l’interesse degli scienziati per generazioni. Al mar-zo 2005 PubMed alla voce “albumin” riporta 144 456 voci bibliografiche a fronte delle116 308 voci riportate per l’emoglobina. Recentemente questo farmaco è stato oggetto di un vivace dibattito scientifico, tra revi-sioni critiche e nuovi importanti studi, che ne hanno ridisegnato il ruolo aprendo affasci-nanti prospettive di ricerca. In questo contesto gli autori di questo articolo, in collabora-zione con altri esperti in varie discipline mediche specialistiche, hanno coordinato un la-voro di approfondimento scientifico sull’impiego dell’albumina in clinica di cui questovolume rappresenta una sintesi.La scienza medica ha offerto vari esempi di farmaci “discussi” successivamente rivalutatiin base a nuovi studi eseguiti in coorti di pazienti con caratteristiche specifiche e tenen-do conto di protocolli di cura mirati. Per l’albumina, uno dei più longevi farmaci dispo-nibili, sembra meritatamente arrivato il momento perché esso sia impiegato in clinica nonpiù solo come rimpiazzo volemico, ma come farmaco con precise caratteristiche di utili-tà terapeutica.

Introduzione

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CAPITOLO 6

ALBUMINA NEL CIRROTICO:RAZIONALE E INDICAZIONI CLINICHE

Paolo Angeli, Angelo Gatta

L’EVOLUZIONE DEL RAZIONALE DELL’IMPIEGO DELL’ALBUMINAIN CORSO DI CIRROSI

Negli anni ’50 la teoria tradizionale relativa alla formazione dell’ascite in corso di cir-rosi identificava nella rottura dell’equilibrio tra le forze di Starling nel circolo splanc-nico, legata all’ipertensione portale e all’ipoalbuminemia, l’evento fisiopatologico de-terminante1 (Figura 1). Data la mancanza di farmaci attivi sull’ipertensione portale, ilrazionale per l’introduzione dell’albumina nel trattamento della cirrosi epatica con asci-te veniva allora identificato nella necessità di aumentare la pressione oncotica e di ri-pristinare l’equilibrio tra le forze di Starling nel circolo splancnico. Non deve, quindi,sorprendere il fatto che tra gli anni ’50 e gli anni ’70 l’impiego dell’albumina nei pa-zienti affetti da cirrosi si sia molto sviluppato e sia stato principalmente regolato sullabase della concentrazione plasmatica di albumina, dato che un valore <2-2.5 mg/dLveniva considerato in tali pazienti come “potenzialmente” edemigeno2. Il successivo av-vento della teoria dell’underfilling, dell’overflow e della teoria della vasodilatazione ar-teriosa periferica, supportato da numerose evidenze cliniche e sperimentali, ha com-pletamente modificato sia il razionale sia le indicazioni all’uso dell’albumina in corsodi cirrosi. La teoria dell’underfilling ha identificato nella ritenzione renale di sodio ilmeccanismo principale di mantenimento del versamento ascitico1. La ridotta elimina-zione renale di sodio è legata inizialmente non ad una riduzione del filtrato glomeru-lare, ma ad un incremento del riassorbimento di sodio e acqua a livello del tubulo re-nale indotto dall’attivazione del sistema renina-angiotensina, del sistema nervoso sim-patico e della secrezione per via non osmotica della vasopressina3. Solo nelle fasi piùavanzate della malattia epatica la ritenzione renale di sodio si associa ad una riduzionedel filtrato glomerulare (sindrome epatorenale, HRS) espressione di una più marcataattivazione degli stessi sistemi. La teoria dell’underfilling ha identificato nell’ipovole-mia, cioè in una riduzione del volume plasmatico, la causa determinante dell’attivazio-ne di tali sistemi. Il riscontro di aumentati livelli di attività reninica plasmatica e delle

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concentrazioni plasmatiche di aldosterone, noradrenalina e vasopressina ben si accor-davano con questa teoria. Tuttavia, le osservazioni relative al fatto che il volume pla-smatico e la portata cardiaca nei pazienti cirrotici con ascite non solo non sono ridot-ti, ma sono addirittura aumentati rispetto ai pazienti cirrotici senza ascite, hanno rap-presentato la base principale della successiva teoria dell’overflow che ha identificato nel-la ritenzione renale di sodio e di acqua l’evento primario della sequenza fisiopatologi-ca responsabile della formazione dell’ascite4. Tale evento doveva essere legato ad un ri-flesso epatorenale indotto dall’ipertensione portale o da una ridotta sintesi epatica diun ipotetico ormone natriuretico5. Solo nel 1988 l’apparente contraddizione tra il ri-scontro di aumentati livelli di attività reninica plasmatica e aumentate concentrazioniplasmatiche di aldosterone, noradrenalina e vasopressina da un lato e il riscontro di au-mentati valori di volume plasmatici e portata cardiaca dall’altro è stata ricomposta nel-

Paolo Angeli, Angelo Gatta

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Figura 1. Teoria della vasodilatazione arteriosa.

Ipertensione portale/insufficienza epatica

Vasodilatazione arteriosa splancnica

Riduzione del volume circolante efficace

Attivazione dei sistemi vasocostrittori endogeni

Alterazioni funzionali renali

Aumentato rilascio di

ossido nitrico, monossido

di carbonio e altri

vasodilatatori endogeni

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la teoria della vasodilatazione arteriosa periferica. In accordo con questa teoria la vaso-dilatazione arteriosa splancnica, indotta dall’ipertensione portale, rappresenta l’eventoprimario della sequenza fisiopatologica responsabile della formazione dell’ascite in cor-so di cirrosi6. La vasodilatazione arteriosa splancnica determina una riduzione delle re-sistenze vascolari periferiche e un pooling del volume ematico in ambito splancnico.Ciò comporta una riduzione del volume ematico centrale cioè del volume ematico con-tenuto nelle cavità cardiache, nel circolo polmonare e nell’aorta e un accorciamento deltempo di circolo dall’atrio destro all’aorta a definire un quadro di circolazione iperdi-namica7. Quando la riduzione del volume ematico centrale è tale da indurre una sti-molazione dei recettori di volume e quindi un’attivazione dei sistemi renina-angioten-sina-aldosterone e nervoso simpatico e della secrezione per via non osmotica della va-sopressina, definendo così un quadro di riduzione del volume circolante efficace, vie-ne indotta una ritenzione renale di sodio che determina la comparsa dell’ascite. La va-sodilatazione arteriosa splancnica contribuisce alla formazione dell’ascite anche diret-tamente e cioè attraverso il contributo che essa svolge nel mantenimento dell’iperten-sione portale (Tabella 1). L’evoluzione della teoria relativa alla formazione dell’ascite ha quindi progressivamentespostato l’obiettivo dell’approccio terapeutico legato all’albumina. Il suo impiego non èpiù oggi focalizzato alla correzione di una iponchia plasmatica, bensì al miglioramentodel volume circolante efficace. A ciò hanno inoltre contribuito altri tre fattori: a) l’intro-duzione di farmaci diuretici e la razionalizzazione del loro impiego nel trattamento del-l’ascite in corso di cirrosi8-10; b) l’introduzione di farmaci vasoattivi in grado di aumen-tare le resistenze vascolari nel distretto arterioso splancnico11 e la reintroduzione nellapratica clinica della paracentesi evacuativa per il trattamento dell’ascite tesa o refratta-ria12. Il risultato più tangibile di questa modificazione dell’impiego dell’albumina in cor-so di cirrosi in fase di scompenso ascitico sta nel fatto che, attualmente, l’albumina è im-piegata in situazioni cliniche che, per definizione, sottendono o possono determinareuna compromissione grave del volume circolante efficace quali la prevenzione della dis-funzione circolatoria post-paracentesi, la prevenzione dell’HRS e il trattamento del-l’HRS.

Albumina nel cirrotico: razionale e indicazioni cliniche

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Tabella 1. Fattori determinanti la riduzione del volume circolante efficace nella cirrosi.

• Ridotte resistenze vascolari periferiche (per vasodilatazione arteriosa splancnica)

• Aumentato pooling ematico in ambito splancnico

• Aumentata compliance vascolare totale

• Ridotta portata cardiaca (in corso di peritonite batterica spontanea)

• Aumentata compliance arteriosa

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L’IMPIEGO DELL’ALBUMINA NELLA PREVENZIONE DELLADISFUNZIONE CIRCOLATORIA POST-PARACENTESI

La reintroduzione della paracentesi evacuativa completa nel trattamento dell’ascite tesa odell’ascite refrattaria ha rappresentato uno dei maggiori progressi nel trattamento dellacirrosi epatica in fase avanzata nell’arco degli ultimi 20 anni. Essa è stata resa possibiledalla pubblicazione dei risultati di numerosi studi clinici controllati che hanno dimostra-to che: a) la paracentesi evacuativa, se associata ad un’espansione del volume plasmatico12,è superiore sia in termini di efficacia sia di tollerabilità alla terapia diuretica nel trattamen-to dell’ascite massiva13-16; b) procedure invasive nel trattamento dell’ascite refrattaria qua-li lo shunt peritoneo-giugulare17,18 o lo shunt porto-sistemico intraepatico posizionatoper via transgiugulare19-23 non sembrano offrire alcun sostanziale vantaggio in termini disopravvivenza o di qualità di vita rispetto alla paracentesi evacuativa. Dal punto di vistadell’emodinamica, nella cirrosi con ascite la paracentesi evacuativa e l’espansione del vo-lume plasmatico associata ad essa hanno delle conseguenze che possono essere distinte indue fasi. In una prima fase si assiste ad un miglioramento del volume circolante efficacecon conseguente riduzione del grado di attivazione del sistema renina-angiotensina-aldo-sterone e del sistema nervoso simpatico; successivamente, subentra una contrazione delvolume circolante efficace24 che può determinare, attraverso un’abnorme attivazione ditali sistemi, lo sviluppo di un’HRS e/o lo sviluppo di un’iponatremia. La contrazione delvolume circolante efficace dopo paracentesi evacuativa non è spontaneamente reversibi-le25; essa, infatti, è espressione di un peggioramento della vasodilatazione splancnica: vie-ne pertanto indicata con l’espressione di disfunzione circolatoria post-paracentesi26,27. Aconferma di ciò, osservazioni preliminari suggeriscono la possibilità di prevenire la disfun-zione circolatoria post-paracentesi con farmaci vasocostrittori28. Al momento attuale, tut-tavia, l’unico provvedimento efficace nel prevenire la disfunzione circolatoria post-para-centesi è considerata l’espansione del volume plasmatico. In uno studio clinico control-lato a carattere multicentrico, l’albumina, impiegata alla dose di 8 g/L di ascite evacuata,si è dimostrata più efficace del destrano 70 e della poligelina nel prevenire la disfunzionecircolatoria post-paracentesi allorché con la paracentesi venga rimosso un volume di li-quido ascitico >5 L26 (Figura 2). I risultati di questo studio si sono recentemente tradot-ti in una linea guida dell’International Ascites Club29. La superiorità dell’albumina rispet-to agli espansori plasmatici di sintesi è verosimilmente legata alla sua più lunga emivitanel compartimento plasmatico, ma andranno meglio analizzati in questo contesto anchealcuni potenziali effetti biologici dell’albumina quali le sue capacità di legame verso so-stanze vasodilatatrici quali l’ossido nitrico o verso radicali liberi o le sue capacità di inte-ragire con il rilascio e/o l’azione di citochine proinfiammatorie30. La superiorità dell’al-bumina rispetto agli espansori plasmatici di sintesi nella prevenzione della disfunzione

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Albumina nel cirrotico: razionale e indicazioni cliniche

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circolatoria post-paracentesi non si è tradotta, negli studi sino ad ora condotti, in un van-taggio reale in termini di sopravvivenza. Ulteriori studi controllati a carattere multicentrico su campioni di popolazione più vastisaranno probabilmente necessari per dimostrare che la superiorità dell’albumina rispettoagli espansori plasmatici di sintesi nel prevenire la disfunzione circolatoria post-paracen-tesi si traduce anche in un vantaggio in termini di sopravvivenza nei pazienti cirrotici conascite. Analogamente, i promettenti risultati raggiunti con alcuni studi pilota e valorizza-ti da una recente Consensus nazionale31 relativi alla somministrazione cronica di albumi-na in pazienti cirrotici con ascite in termini sia di risposta32 sia di tollerabilità33 alla tera-pia diuretica andranno ulteriormente confermati.

L’IMPIEGO DELL’ALBUMINA NELLA PREVENZIONEDELLA SINDROME EPATORENALE IN CORSO DI PERITONITEBATTERICA SPONTANEA

L’infusione di albumina si è dimostrata efficace non solo nel prevenire l’HRS e/o l’ipo-natremia indotte dalla paracentesi, ma anche nel prevenire l’HRS precipitata dalla pe-

Figura 2. Disfunzione circolatoria post-paracentesi ed espansori plasmatici: studio randomizzato.

La disfunzione circolatoria post-paracentesi è prevenuta meglio dall’albumina rispetto a destrano

70/poligelina. Da Gines et al.25.

0

20

40

60

< 5 L 5-9 L > 9 L

Incid

en

za

(%

di

pa

zie

nti

)

1/7 4/24

29/52

5/21

11/64

*

35/112

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ritonite batterica spontanea (SBP). L’infezione spontanea del liquido ascitico nei pa-zienti affetti da cirrosi e ascite, verosimilmente legata alla traslocazione batterica, è og-gi considerata, infatti, il fattore precipitante più frequente dell’HRS34. Lo sviluppo diun’insufficienza renale di tipo funzionale complica nel 30-35% dei casi il decorso diuna SBP, assume in più di un terzo dei essi un carattere progressivo (HRS di tipo 1) erappresenta un importante fattore predittivo della mortalità legata alla complicanza in-fettiva35. La presenza di un’insufficienza renale prima dello sviluppo della SBP rappre-senta un fattore di rischio importante per lo sviluppo di un’HRS di tipo 1 a seguito del-la SBP36. Lo sviluppo di un’HRS a seguito di una SBP è legato ad un marcato rilasciodi citochine, quali il fattore di necrosi tumorale-�, al frequente sviluppo di una sindro-me da risposta infiammatoria sistemica e ad un peggioramento del quadro dell’emodi-namica splancnica e sistemica caratterizzato da un ulteriore incremento della pressioneportale e da una riduzione della portata cardiaca. Non viene invece segnalata nei pa-zienti che sviluppano un’HRS a seguito di una SBP un’ulteriore riduzione delle resi-stenze vascolari periferiche. La riduzione della portata cardiaca appare, quindi, il fatto-re principale nel determinare in tali pazienti una contrazione del volume circolante ef-ficace e dunque un’estrema attivazione dei sistemi vasocostrittori endogeni che vieneconsiderata il meccanismo effettore della vasocostrizione renale37. L’efficacia dell’albu-mina in questo contesto clinico è stata dimostrata in uno studio prospettico e control-lato nel quale i pazienti sono stati randomizzati a ricevere la sola terapia antibiotica ola terapia antibiotica associata all’infusione e.v. di albumina alla dose di 1.5 g/kg di pe-so corporeo al momento della diagnosi dell’infezione e 1 g/kg di peso corporeo 2 gior-ni dopo37. I risultati di questo studio hanno dimostrato che l’infusione di albumina èin grado di prevenire la riduzione del volume circolante efficace indotta dalla SBP e at-traverso questo meccanismo è in grado di ridurre di circa il 20% la prevalenza dell’in-sufficienza renale funzionale indotta dalla SBP. I risultati di questo studio hanno dimo-strato soprattutto che l’infusione di albumina aumenta in modo significativo la soprav-vivenza a 3 mesi nei pazienti cirrotici con ascite che sviluppano una SBP (78 vs 59%)(Tabella 2)37. La definizione dei meccanismi attraverso cui l’infusione di albumina pre-viene lo sviluppo dell’HRS nei pazienti cirrotici con ascite che sviluppano una SBP rap-presenta un affascinante campo per le ricerche future. Infatti, alla luce di quanto pre-cedentemente discusso, se l’albumina viene considerata un espansore del volume pla-smatico si può ipotizzare che la prevenzione dell’HRS sia semplicemente legata ad unincremento del precarico cardiaco e quindi ad una compensazione della riduzione del-la portata cardiaca indotta dall’infezione. Tuttavia, considerato da un lato l’ampio spet-tro delle azioni biologiche dell’albumina e in particolare le sue capacità di legame persostanze che notoriamente svolgono un’azione inotropa negativa quali citochine, ossi-do nitrico e sali biliari38 e dall’altro le evidenze di un deterioramento della funzione car-

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diaca legato alla cirrosi39, non si può escludere l’ipotesi che l’albumina possa portareanche ad un incremento della portata cardiaca attraverso un’azione diretta sulla con-trattilità cardiaca.

L’IMPIEGO DELL’ALBUMINA NEL TRATTAMENTO DELLA SINDROMEEPATORENALE

L’HRS è caratterizzata da: a) una marcata vasocostrizione renale con conseguente riduzio-ne del flusso ematico renale e del filtrato glomerulare; b) l’assenza di alterazioni di tipo isto-logico a carico del nefrone e c) una funzione tubulare renale conservata. Insorge nel con-testo di un’epatopatia cronica complicata da ipertensione portale e, più raramente, nel-l’ambito di un’insufficienza epatica acuta. Sul piano fisiopatologico è riconducibile ad un’e-strema alterazione dell’emodinamica splancnica e sistemica caratterizzata da una riduzio-ne della volemia efficace legata ad una marcata vasodilatazione splancnica. L’attivazione dimeccanismi endogeni vasocostrittori (sistema renina-angiotensina, sistema nervoso sim-patico, secrezione per via non osmotica della vasopressina, secrezione di endotelina) chene consegue è ritenuta responsabile della vasocostrizione renale che sta alla base del-l’HRS6,34,40. I pazienti affetti da cirrosi epatica con ascite hanno una prevalenza di HRSpari al 18% ad 1 anno e pari al 39% a 5 anni. In circa la metà dei casi di HRS è possibileindividuare uno o più possibili fattori precipitanti tra cui le infezioni batteriche, l’emorra-gia gastrointestinale, la paracentesi evacuativa completa41. La prognosi nei pazienti cirro-tici che sviluppano HRS è severa, ma varia in relazione alle caratteristiche cliniche del-l’HRS. Nel 1994 l’International Ascites Club ha distinto due tipi di HRS: il tipo 1 è ca-ratterizzato da un’evoluzione rapidamente progressiva dell’insufficienza renale con una so-pravvivenza media di 1.7 settimane; il tipo 2 è caratterizzato da un quadro di compromis-sione stabile della funzione renale associata ad un’ascite refrattaria con una sopravvivenza

Albumina nel cirrotico: razionale e indicazioni cliniche

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Tabella 2. Peritonite batterica spontanea. Studio controllato randomizzato in cieco: il trattamen-

to con albumina in aggiunta alla terapia antibiotica riduce la mortalità, prevenendo l’insufficienza

renale.

Outcome Cefotaxime Cefotaxime + albumina p

(n=63) (n=63)

Insufficienza renale 21 (33%) 6 (11%) <0.002

Mortalità ospedaliera 18 (29%) 6 (10%) <0.01

Mortalità a 3 mesi 26 (41%) 14 (22%) <0.03

Da Sort et al.37, modificata.

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media di 6-12 mesi40,41. Sino alla fine degli anni ’90 lo sviluppo dell’HRS di tipo 1 eraconsiderato un evento terminale nei pazienti cirrotici con ascite. Il trapianto di fegato èstata la prima opzione terapeutica che ha cambiato la prognosi nei pazienti cirrotici conascite e HRS. La sopravvivenza a 5 anni dal trapianto nei pazienti cirrotici con HRS al mo-mento del trapianto è risultata solo lievemente ridotta rispetto a quella dei pazienti cirro-tici con funzione renale normale (60 vs 68%). Tuttavia, la presenza di un’HRS al momen-to del trapianto si traduce in un minore recupero della funzione renale, in un più frequen-te ricorso alla terapia dialitica (35 vs 5%), in un incremento della morbilità, della degen-za in terapia intensiva e della degenza ospedaliera ordinaria dopo il trapianto42. Il proble-ma principale del trapianto di fegato nel paziente con cirrosi, ascite e HRS tipo 1, tutta-

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Diagnosi di sindrome epatorenale (HRS)

Criteri maggiori

• Diagnosi di epatopatia cronica con grave insufficienza epatica ed ipertensione portale

• Ridotta velocità di filtrazione glomerulare come indicato da una creatininemia <1.5 mg/dL o

da una clearance della creatinina <40 mL/min

• Assenza di shock, infezione batterica in atto (paziente con segni clinici, bioumorali o colturali di

infezione nonostante un’adeguata terapia antibiotica in atto), recente trattamento con farmaci ne-

frotossici, perdite gastrointestinali o renali di liquidi (per esempio, perdite di peso >500 g/die per

diversi giorni in pazienti con ascite e senza edemi e >1000 g/die in pazienti con ascite ed edemi)

• Nessun miglioramento della funzione renale (riduzione della creatininemia a 1.5 mg/dL o au-

mento della clearance della creatinina a 40 o più mL/min) dopo sospensione dei diuretici ed

espansione del volume plasmatico con 1.5 L di soluzione salina isotonica

• Proteinuria <500 mg/dL senza evidenza ecografica di un’uropatia ostruttiva o di una nefro-

patia parenchimale

Criteri minori

• Volume urinario <500 mL/die

• Escrezione sodica <10 mmol/L

• Rapporto osmolalità urinaria/osmolalità plasmatica >1

• Sedimento urinario non significativo

• Sodiemia <130 mmol/L

Tipi di HRS

• HRS di tipo 1: progressiva e rapida compromissione della funzione renale definita da un in-

cremento del 100% della creatininemia basale con un livello finale >2.5 mg/dL o una riduzio-

ne del 50% della clearance della creatinina basale con un livello finale <20 mL/min in meno

di 2 settimane

• Quadro clinico: insufficienza renale acuta

• HRS di tipo 2: insufficienza renale non rapidamente progressiva

• Quadro clinico: ascite refrattaria

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via, sta nel fatto che la rapida evoluzione dell’insufficienza renale acuta rende assai pocoprobabile l’eventualità che il paziente possa giungere al trapianto. Alla fine degli anni ’90sono stati proposti due tipi innovativi di approccio al trattamento dell’HRS: a) shunt por-tosistemico intraepatico posizionato per via transgiugulare43 e b) nuove terapie farmacolo-giche44-50. Tutti i nuovi approcci di tipo farmacologico, introdotti nell’ambito di studi pi-lota non controllati, si basano sulla somministrazione di farmaci vasocostrittori e di albu-mina avendo come razionale quello di aumentare il volume circolante efficace attraversoun’azione vasocostrittrice a livello del circolo arterioso splancnico e l’espansione del volu-me plasmatico centrale. Sono stati impiegati diversi vasocostrittori e in particolare deriva-ti della vasopressina, quali ornipressina44,45 e glipressina46,47 e farmaci �-adrenergici qualinoradrenalina48 e midodrina49,50, questi ultimi impiegati da soli (noradrenalina) o in asso-ciazione ad un inibitore del rilascio di vasodilatatori endogeni (midodrina plusoctreotide).Con poche eccezioni45, l’albumina è stata invece impiegata in modo protratto ad una do-se media di 20-40 g/die, regolata nella maggior parte degli studi sulla base della misura-zione della pressione venosa centrale. Questi studi pilota hanno complessivamente dimo-strato che: 1) l’impiego protratto di vasocostrittori in associazione ad un’espansione pro-lungata del volume plasmatico mediante albumina è in grado di risolvere l’HRS nel 50-75% dei casi; 2) il recupero della funzione renale richiede diversi giorni risultando rara-mente completo se valutato attraverso una misurazione accurata del filtrato glomerulare;3) alla sospensione del trattamento la funzione renale si mantiene in oltre 80% dei pazien-ti trattati e 4) in caso di recidiva dell’HRS dopo la sospensione del trattamento lo stessopuò essere ripetuto efficacemente in molti casi. Entrando nel merito delle singole osserva-zioni, è necessario sottolineare che l’ornipressina non è più raccomandata nel trattamentodell’HRS perché il suo impiego si è associato in circa il 30-50% dei casi a gravi effetti col-laterali di tipo ischemico44. Terlipressina, noradrenalina e midodrina appaiono molto piùtollerati anche se il loro impiego va valutato attentamente in presenza di cardiopatia ische-mica o grave arteriopatia periferica. L’importanza del ruolo dell’albumina nell’ambito deinuovi approcci farmacologici al trattamento dell’HRS è evidenziata dal fatto che sia l’en-tità del miglioramento del volume circolante efficace sia la probabilità di recuperare la fun-zione renale risultano nettamente superiori nei pazienti trattati con albumina e terlipres-sina piuttosto che nei pazienti trattati con la sola terlipressina (Figura 3)46. Questi risulta-ti si prestano ancora una volta ad una doppia interpretazione. Possono essere, infatti, espres-sione del fatto che gli effetti sul volume circolante efficace dell’infusione di albumina, diper sé inefficaci nel trattamento dell’HRS di tipo 149, sono enormemente potenziati dallacontemporanea somministrazione di un vasocostrittore in grado di ridurre l’esagerata com-pliance vascolare propria del paziente cirrotico con ascite. Tali risultati possono altresì es-sere espressione del fatto che l’albumina potenzia l’azione dei vasocostrittori sottraendo,grazie alla sua capacità di legame, molecole vasodilatatrici quali l’ossido nitrico30,38,51.

Albumina nel cirrotico: razionale e indicazioni cliniche

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Nonostante i promettenti risultati ottenuti dai nuovi approcci farmacologici in terminidi recupero della funzione renale, gli effetti di tali trattamenti sulla prognosi dell’HRS ein particolare dell’HRS di tipo 1 sono ancora dibattuti. In studi retrospettivi è stato in-fatti osservato che nonostante l’impiego dei nuovi approcci farmacologici la sopravviven-za media nei pazienti con HRS di tipo 1 rimane compresa tra 21 e 24 giorni47,52. Studiprospettici hanno invece evidenziato una sopravvivenza media tra 6-12 settimane. I fat-tori predittivi di una sopravvivenza più lunga nei pazienti trattati per un’HRS sono risul-tati l’impiego di albumina e uno score di Child-Pugh <11. È stato infine osservato che iltrattamento dell’HRS con terlipressina e albumina prima del trapianto di fegato ha unimpatto positivo sui risultati del trapianto in termini di mortalità a medio termine, diqualità di vita e di costi53. L’osservazione che le probabilità di sopravvivenza nei pazientitrattati con vasocostrittori e albumina dipendono dal grado di compromissione della fun-zione epatica, ha aperto la strada all’impiego di procedure di supporto della funzione epa-tica e in particolare all’impiego del “molecular adsorbent recirculating system” (MARS)nel trattamento dell’HRS. Il MARS rappresenta un sistema depurativo assimilabile aduna procedura emodialitica tradizionale in cui gli scambi, modulati da una membrana adalta permeabilità idraulica e ad un elevato cut-off (<54 000 D), avvengono tra plasma-san-

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Figura 3. Sindrome epatorenale. Studio controllato in aperto. Il trattamento con albumina e terli-

pressina (linea continua) migliora la probabilità di sopravvivenza rispetto alla sola terlipressina (li-

nea tratteggiata). Da Ortega et al.46.

PR

OB

AB

ILIT

À Terlipressina + albumina

Terlipressina

GIORNI

1.0

0.8

0.6

0.4

0.2

0.00 30 60 90

p<0.03

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gue del paziente e una soluzione di albumina ad alta concentrazione. La soluzione dializ-zante, che funge da veicolo di tossici epatici diffusibili, viene rigenerata attraverso una se-rie di passaggi successivi in un dializzatore, in una cartuccia dicarbone uncoated e in unaresina a scambio ionico. In uno studio controllato l’impiego del MARS nel trattamentodell’HRS ha determinato, rispetto a trattamenti medici tradizionali, un recupero dellafunzione renale associato ad un miglioramento di alcuni parametri di funzione epaticaquali l’attività protrombinica e la bilirubinemia e ad un miglioramento dell’emodinami-ca sistemica54. A tali miglioramenti del quadro clinico si è associato un effetto positivo,anche se modesto, sulla sopravvivenza a 30 giorni.

LE PROSPETTIVE FUTURE NELL’IMPIEGO DELL’ALBUMINAIN CORSO DI CIRROSI

Dagli anni ’50 ad oggi l’evoluzione delle conoscenze relative alla patogenesi delle alterazio-ni della funzione renale in corso di cirrosi ha valorizzato il ruolo patogenetico centrale svol-to dalla riduzione del volume circolante efficace conseguente alla vasodilatazione arterio-sa splancnica. Per contro è stato del tutto ridimensionato il ruolo patogenetico ipotizzatoinizialmente per l’iponchia plasmatica legata all’ipoalbuminemia. Ciò ha radicalmente mo-dificato il modo di impiegare l’albumina nel paziente cirrotico con ascite sovvertendo inogni sede le prime indicazioni legate al valore della concentrazione plasmatica dell’albumi-na. In numerose Aziende Ospedaliere sono state modificate le linee guida per l’impiego dialbumina proprio sulla base delle osservazioni sopra riportate (Tabella 3). L’impressione è che molto cammino debba essere ancora fatto, non solo nell’acquisizio-ne di nuove conoscenze nella patogenesi delle alterazioni funzionali renali in corso di cir-rosi, ma anche e soprattutto nell’identificazione degli effetti biologici dell’albumina in ge-nerale e nel paziente cirrotico in particolare. Sempre più numerose evidenze indicano, in-

Albumina nel cirrotico: razionale e indicazioni cliniche

91

Tabella 3. Linee guida relative all’impiego di albumina umana nei pazienti cirrotici con ascite at-

tualmente in uso presso il Complesso Azienda Ospedaliera-Università degli Studi di Padova.

• Pazienti con ascite massiva o refrattaria sottoposti a paracentesi evacuativa completa > 5 L

• Pazienti cirrotici con ascite e peritonite batterica spontanea

• Pazienti con HRS in associazione a farmaci vasocostrittori

• Pazienti cirrotici ascitici con ascite non trattabile con procedure invasive (per ascite saccata o per

controindicazioni a paracentesi, TIPS e shunt peritoneo-giugulare) e con grave intolleranza alla te-

rapia diuretica (crampi muscolari, iponatremia, insufficienza renale da diuretici)

HRS = sindrome epatorenale; TIPS = shunt portosistemico intraepatico posizionato per via transgiu-

gulare.

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fatti, che tali effetti non sono legati solo alla funzione di espansore plasmatico svolta dal-l’albumina, ma anche alle sue capacità di legame e di trasporto, alla sua attività antiossi-dante, alla sua capacità di modulare la permeabilità capillare, l’attività dei leucociti poli-morfonucleati, l’emostasi e i processi di trascrizione a livello cellulare30,38,51. È quindi fa-cilmente ipotizzabile che il ruolo terapeutico dell’albumina nel paziente cirrotico, dopol’iniziale trasformazione da fattore oncotico ad espansore plasmatico, verrà ridisegnato nelprossimo futuro con la trasformazione dell’albumina da semplice espansore plasmatico asostanza dotata anche di specifiche attività biologiche. Molte delle informazioni oggi man-canti sulle funzioni biologiche dell’albumina potranno in particolare giungere dell’usocronico dell’albumina nei pazienti con HRS di tipo 2 e ascite refrattaria e dall’applicazio-ne del MARS nel trattamento dell’HRS sia in pazienti che pur rispondendo ai nuovi trat-tamenti farmacologici presentano una grave insufficienza epatica sia in pazienti che si di-mostrano resistenti ai nuovi trattamenti farmacologici in termini di recupero della fun-zione renale.

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CAPITOLO 5

L’ASCITE NEL PAZIENTE CIRROTICO

Angelo Gatta, Paolo Angeli

L’ascite rappresenta una frequente complicanza della cirrosi epatica, che si verifica in piùdel 50% dei pazienti entro 10 anni dalla diagnosi della malattia epatica. La comparsa diascite in pazienti con cirrosi è associata ad un peggioramento della prognosi e della qua-lità di vita. La probabilità di sopravvivenza ad 1 e a 5 anni dopo la comparsa di ascite èdel 50 e del 20%, rispettivamente1. Il valore prognostico negativo della presenza di asci-te in pazienti con cirrosi è, almeno in parte, un epifenomeno dell’andamento progressi-vo della patologia epatica, poiché è la conseguenza sia del peggioramento della funzioneepatica sia dell’emodinamica portale e sistemica2. Tuttavia, l’ascite stessa può essere cau-sa di complicanze, essendo, per esempio, la conditio sine qua non per lo sviluppo della pe-ritonite batterica spontanea (PBS)3. L’ascite può, inoltre, favorire il sanguinamento da va-rici esofagee o la rottura di un’ernia addominale. Infine, il disagio associato ad altri pos-sibili effetti collaterali4, dovuti all’accumulo di liquido ascitico, influisce notevolmentesulla qualità di vita dei pazienti con patologia epatica cronica. Tali osservazioni rappre-sentano il razionale per la terapia dell’ascite, che ha registrato nel corso degli ultimi anniimportanti sviluppi, legati ad una migliore definizione dei meccanismi fisiopatologici sot-tesi a tale complicanza.

LA FISIOPATOLOGIA DELL’ASCITE

La ritenzione renale di sodio, la ridotta capacità di produrre e/o eliminare acqua libera ela riduzione del filtrato glomerulare rappresentano lo spettro delle alterazioni funzionalirenali che possono insorgere nella cirrosi epatica. In sequenza temporale, i pazienti affet-ti da cirrosi sviluppano, dapprima, la ritenzione renale di sodio, che ha come equivalen-te clinico l’ascite. Ad essa può far seguito la ridotta capacità di produrre e/o eliminare ac-qua libera, che ha come equivalente clinico l’iponatremia. Infine, nelle fasi più avanzatedella malattia epatica può insorgere quella particolare forma di insufficienza renale fun-zionale nota come sindrome epatorenale (HRS)5.I dati clinici e sperimentali relativi alle alterazioni funzionali renali, acquisiti negli ultimidecenni, sembrano ora trovare un’organica collocazione in una teoria unificante, quelladella “vasodilatazione arteriosa periferica”2. Questa teoria appare, infatti, in grado di spie-gare l’apparente paradosso fisiopatologico proprio della cirrosi epatica in fase ascitica, va-

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le a dire la contemporanea presenza di un’espansione del volume plasmatico e di un’atti-vazione dei sistemi vasocostrittori e sodio-ritentivi (sistema nervoso simpatico, sistema re-nina-angiotensina-aldosterone, secrezione non osmotica di vasopressina) che sono tutteespressione di una riduzione del volume circolante efficace. È stato, infatti, ipotizzato chel’assenza di una relazione tra volume ematico e volume circolante efficace in questa con-dizione clinica sia legata ad una vasodilatazione arteriosa periferica. L’aumento della por-tata cardiaca e la riduzione della pressione arteriosa media ben si conciliano con l’ipotesidi una vasodilatazione arteriosa periferica6. Nel corso degli ultimi anni si è via via preci-sato che la riduzione delle resistenze vascolari periferiche interessa prevalentemente, senon esclusivamente, il distretto splancnico7,8. A conferma della validità della teoria della vasodilatazione arteriosa splancnica è stato os-servato che in pazienti cirrotici con ascite e senza insufficienza renale la somministrazio-ne acuta per via orale di un vasocostrittore come la midodrina ha determinato, in asso-ciazione all’incremento della pressione arteriosa media e alla riduzione della frequenzacardiaca, una riduzione dell’attività reninica plasmatica e dei livelli plasmatici di vasopres-sina e un incremento del flusso plasmatico renale, del filtrato glomerulare e dell’escrezio-ne urinaria di sodio9. Ma i risultati più eclatanti in tal senso sono quelli che sono stati ot-tenuti con la somministrazione cronica di midodrina, octreotide e albumina10 o di terli-pressina e albumina11,12 nel trattamento della HRS rapidamente progressiva. Ricercandoun miglioramento del volume circolante efficace attraverso un effetto vasocostrittore emi-nentemente splancnico e un’espansione sostenuta del volume plasmatico è stato infattipossibile dimostrare che si può ottenere un significativo miglioramento del quadro del-l’emodinamica sistemica e con esso una disattivazione dei sistemi vasocostrittori e sodio-ritentivi sistemici. A ciò è corrisposto un significativo miglioramento della perfusione edella funzione renale e talora anche un incremento dell’escrezione sodica9.Le cause della vasodilatazione splancnica restano, invece, tuttora da definire, anche se sem-brano correlate allo sviluppo dell’ipertensione portale e/o al grado dell’insufficienza epa-tica. La formazione di circoli collaterali con conseguente apertura di shunt portosistemi-ci, legata all’ipertensione portale, potrebbe attraverso una riduzione delle resistenze a li-vello del territorio venoso portale, causare una vasodilatazione arteriolare splancnica. L’i-pertensione portale e/o l’insufficienza epatica determinano, tuttavia, anche un’aumenta-ta disponibilità di numerose sostanze vasodilatatrici che sono state via via implicate nel-la patogenesi della vasodilatazione splancnica tra cui l’ossido nitrico (NO)13-16, il monos-sido di carbonio16, il glucagone17 e la prostaciclina18. Nel corso degli ultimi 10 anni so-no stati condotti numerosi studi sul ruolo che tali sostanze, e in particolare l’NO, hannonella patogenesi delle alterazioni emodinamiche in corso di cirrosi e, in alcuni di essi, so-no stati valutati anche gli effetti renali dell’inibizione del rilascio di NO19-21. In studi spe-rimentali19-21, ma non in studi clinici22, la somministrazione di un inibitore del rilascio

Angelo Gatta, Paolo Angeli

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di NO ha determinato, attraverso la normalizzazione del circolo sistemico, anche un sen-sibile incremento dell’escrezione urinaria di sodio. Nel loro complesso, gli studi riportati provano la validità della teoria della “vasodilatazio-ne arteriosa periferica” nella ricostruzione della sequenza patogenetica delle alterazionifunzionali renali in corso di cirrosi. Tuttavia sarebbe riduttivo legare il miglioramento del-la funzione renale alla sola disattivazione dei sistemi vasocostrittori e sodio-ritentivi, ot-tenuto attraverso il miglioramento dell’emodinamica sistemica indotto dai vasocostritto-ri. Nel caso particolare degli inibitori dell’NO, i meccanismi responsabili della loro azio-ne natriuretica potrebbero essere più complessi ed articolati della semplice disattivazionedel sistema renina-angiotensina-aldosterone, del sistema simpatico e della secrezione nonosmotica di vasopressina. L’inibizione del rilascio dell’NO è, infatti, in grado di sviluppare, nel ratto cirrotico con asci-te, un’azione natriuretica direttamente a livello renale, attraverso un incremento della pres-sione interstiziale, un effetto tubulare diretto, un incremento della sintesi renale di prosta-glandina E2, o un potenziamento della sensibilità renale all’azione dei peptidi natriureticiendogeni (ENP). La stessa interpretazione della resistenza renale agli ENP, riscontrata incorso di cirrosi con ascite, potrebbe quindi essere completamente modificata alla luce dellenuove acquisizioni. Comunemente, tale resistenza viene attribuita all’azione antagonista deisistemi vasocostrittori e antinatriuretici e associata ad una riduzione del delivery di sodio alsito di azione degli ENP, il dotto collettore23. Alla luce delle più recenti acquisizioni a taleresistenza potrebbe contribuire una ridotta attività della guanilato-ciclasi particolata, l’enzi-ma associato ai recettori di membrana degli ENP, indotta dall’eccesso di NO24. La stessa in-terazione tra sistemi vasocostrittori e antinatriuretici da un lato ed ENP dall’altro sembraesprimersi a livelli più complessi rispetto a quello di un semplice antagonismo d’azione, co-me sin qui ipotizzato. È stato dimostrato che nel tessuto renale dei ratti cirrotici con asciteesiste un’aumentata attività della guanosin monofosfato ciclico-fosfodiesterasi (cGMP-PDE),l’enzima preposto al catabolismo del cGMP che rappresenta il secondo messaggero degliENP. L’incremento dell’attività della cGMP-PDE potrebbe essere legato agli alti livelli diangiotensina II. La somministrazione di un inibitore specifico della cGMP-PDE è in gra-do di incrementare significativamente la perfusione renale di sodio, il filtrato glomerulare el’escrezione renale di sodio nei ratti cirrotici con ascite25. Considerato anche l’effetto iniben-te che tale inibitore manifesta sull’attività reninica plasmatica, si può ipotizzare che il con-fronto tra sostanze antinatriuretiche e sostanze natriuretiche nella cirrosi con ascite avven-ga “a tutto campo”, dalla regolazione del tono vascolare nel distretto arterioso splancnico,alla regolazione del tono vascolare nel distretto arterioso renale, alla regolazione del riassor-bimento tubulare di sodio. I termini di tale confronto appaiono certamente complessi e inparte ancora da definire, ma le più recenti acquisizioni hanno aperto prospettive terapeuti-che fino a qualche anno fa certamente inimmaginabili (Figura 1)26.

L’ascite nel paziente cirrotico

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Angelo Gatta, Paolo Angeli

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LA VALUTAZIONE DEL PAZIENTE CIRROTICO CON ASCITE

La valutazione clinica del paziente cirrotico con ascite deve prevedere, in particolare: unaquantificazione, sia pure approssimata, dell’entità del versamento, una valutazione dellesue eventuali ripercussioni sullo stato di tensione della parete addominale, sulla funzionerespiratoria e, infine, la definizione di altre manifestazioni cliniche legate alla ritenzioneidrosalina quali la presenza di edemi declivi e/o di un versamento pleurico. Tale valuta-zione dovrebbe essere poi completata non solo dai dati laboratoristici relativi alla funzio-ne epatica, ma anche da quelli relativi alla funzione renale (azotemia, creatininemia, io-nemia, diuresi e sodiuria delle 24 ore). Infine, tutti i pazienti cirrotici con ascite ospeda-

Figura 1. Patogenesi dell’ascite nel paziente cirrotico. Da Gines et al.26, modificata.

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L’ascite nel paziente cirrotico

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lizzati per una qualsiasi complicanza dovrebbero essere sottoposti ad una paracentesi esplo-rativa al fine di escludere una PBS, attraverso la determinazione della conta dei leucocitipolimorfonucleati. Solo in questo modo è possibile stabilire se l’ascite è non complicatao complicata, cioè, associata ad iponatremia e/o HRS, e/o a PBS e/o a refrattarietà al trat-tamento medico convenzionale e quindi stabilire la strategia terapeutica più adeguata. Va inoltre sempre considerato che i pazienti cirrotici con ascite sono ad alto rischio, nonsolo per le complicanze ascite-correlate, ma anche per altre complicanze della cirrosi, qua-li l’emorragia digestiva e l’encefalopatia epatica. In questi pazienti andrebbero, quindi,adottate tutte le misure preventive volte a ridurre morbilità e mortalità quali la preven-zione della PBS, della HRS e dell’emorragia digestiva. Infine, tutti i pazienti cirrotici con ascite che per età e condizioni generali sono potenzial-mente candidabili ad un trapianto di fegato, dovrebbero essere sottoposti ad una valuta-zione mirata presso un centro specialistico, dal momento che la presenza di ascite è asso-ciata ad una bassa sopravvivenza a 5 anni rispetto a quella dei soggetti trapiantati (70-80% a 5 anni)26.

IL TRATTAMENTO DELL’ASCITE NON COMPLICATA

Nel paziente cirrotico con ascite non complicata la strategia terapeutica dipende dall’en-tità del versamento. Stabilito che il paziente con ascite minima non deve essere trattato,vanno considerate due possibilità: il paziente con ascite moderata e il paziente con ascitemassiva27.

Paziente con ascite moderataLo scopo del trattamento medico per l’ascite in pazienti con cirrosi è quello di mobilizza-re il versamento addominale inducendo un bilancio sodico negativo. Nel 10-20% dei ca-si ciò può essere ottenuto, semplicemente, con il riposo a letto e riducendo l’assunzione disodio con la dieta28-32. Nonostante i risultati controversi di alcuni trial clinici circa il ruo-lo della dieta iposodica33-36, è opinione corrente che, in pazienti cirrotici che richiedonouna terapia diuretica per raggiungere un bilancio sodico negativo, la restrizione dell’appor-to dietetico di sodio aumenti l’efficacia dei diuretici e contribuisca a ridurne, conseguen-temente, le posologie5,26,37. Nella pratica clinica è, quindi, opportuno prescrivere ai pazien-ti cirrotici con ascite una dieta a basso contenuto di sodio (80-90 mEq/die). Una riduzio-ne più marcata del contenuto di sodio nella dieta non sembra essere né necessaria, né con-sigliabile in tutti i pazienti cirrotici con ascite37,38, ma potrebbe essere considerata in casiparticolari che presentano una scarsa risposta alla terapia diuretica. Va comunque conside-rato, dato il valore prognostico negativo che la malnutrizione ha nei pazienti cirrotici39,

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che una dieta con un adeguato apporto calorico dovrebbe avere la priorità su una dietamarcatamente iposodica nei pazienti malnutriti anche in presenza di un’ascite resistente al-la terapia diuretica. Il razionale della terapia diuretica in pazienti con cirrosi e ascite si basa sulla comprensio-ne dei siti e dei meccanismi d’azione dei diuretici da un lato e sulle alterazioni del riassor-bimento renale di sodio dall’altro. I diuretici dell’ansa, in particolare la furosemide, e idiuretici risparmiatori di potassio, in particolare gli antagonisti dell’aldosterone, sono ifarmaci più comunemente usati nel trattamento dell’ascite in pazienti con cirrosi26,38,40.I diuretici dell’ansa sono acidi organici che raggiungono il lume tubulare renale venendosecreti attivamente attraverso la via del trasporto degli acidi organici nel segmento rettodel tubulo prossimale41. Raggiunto il lume tubulare, i diuretici dell’ansa vengono traspor-tati alla branca sottile ascendente dell’ansa di Henle, dove la loro azione principale è quel-la di bloccare la via che media il trasporto degli ioni Na+-K+-2Cl- attraverso la membra-na luminale delle cellule epiteliali42. La farmacocinetica dei diuretici dell’ansa in pazien-ti con cirrosi somiglia a quella dei soggetti normali. I diuretici antialdosteronici preven-gono il riassorbimento del Na+ e la secrezione del K+ indotta dall’aldosterone stesso a li-vello del dotto collettore, che si sviluppa primariamente a livello di un recettore citosoli-co localizzato sul versante ematico della cellula, seguito da una seconda interazione conun recettore a localizzazione nucleare. La sintesi RNA-mediata di una proteina aldoste-rone-indotta è infine responsabile della stimolazione sia del riassorbimento di sodio sul-la membrana luminale sia dell’incremento dell’attività della pompa Na+-K+ ATPasi sullamembrana basolaterale delle cellule principali43. Lo spironolattone e altri antialdostero-nici inibiscono competitivamente il legame dell’aldosterone a specifici recettori proteicisituati nel citoplasma, bloccando la sintesi della proteina aldosterone-indotta43. La rela-tiva lunga emivita della proteina indotta dall’aldosterone è responsabile del ritardo di 2-4 giorni tra l’inizio della somministrazione di questo farmaco e il raggiungimento dell’ef-fetto natriuretico e, analogamente, tra la sospensione del farmaco e la scomparsa del suoeffetto. Nei pazienti cirrotici esistono dati controversi sulla farmacocinetica dello spiro-nolattone e dei suoi metaboliti, essendo stati descritti un metabolismo ed un’escrezionesia normali sia alterati44. Un approccio razionale di terapia diuretica in pazienti cirrotici ascitici deve tenere contonon solo dei siti e dei meccanismi di azione dei diuretici, ma anche delle marcate altera-zioni nella secrezione renale di sodio che caratterizzano questa particolare condizione cli-nica. La ritenzione renale di sodio nei pazienti cirrotici con ascite è dovuta più ad un au-mentato riassorbimento tubulare di sodio, che non ad una diminuzione del carico di so-dio filtrato a livello glomerulare. Meno univoci sono invece i dati relativi al sito tubularerenale principalmente coinvolto45. Studi clinici, che hanno valutato il riassorbimento tubulare di sodio mediante tecniche

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di clearance durante diuresi idrica massimale, hanno dato importanza alternativamenteal tubulo prossimale, al segmento diluente o al tubulo distale46-48. Il ruolo principale deisiti tubulari distali rispetto al tubulo prossimale è stato indicato, oltre che da studi spe-rimentali49, anche da studi clinici basati sulla clearance del fosfato, impiegata come mar-ker del delivery distale di sodio50,51. Studi basati sulla clearance del litio52,53, oggi consi-derato il marker più affidabile come indice del delivery distale di sodio, hanno eviden-ziato nei pazienti cirrotici con ascite, rispetto ai controlli, un aumento del riassorbimen-to di sodio a livello del tubulo prossimale54,55. Va comunque sottolineato che, anche intali studi, il riassorbimento distale di sodio, valutato come percentuale del delivery dista-le di sodio, è risultato elevato. Le cause dell’aumento del riassorbimento tubulare pros-simale di sodio sono state identificate nell’aumentato rilascio di angiotensina II e nel-l’attivazione del sistema nervoso simpatico, mentre l’aumentato assorbimento di sodiolungo il tubulo distale nei pazienti cirrotici ascitici è strettamente correlato agli aumen-tati livelli plasmatici di aldosterone56. Non sorprende, quindi, il fatto che la sommini-strazione di antialdosteronici a pazienti cirrotici con ascite senza insufficienza renale siaseguita da una buona risposta natriuretica nella maggior parte dei casi, mentre la som-ministrazione di dosi standard di un diuretico dell’ansa risulti assai meno efficace57. Al-lo stesso modo una spiegazione farmacodinamica giustifica la maggior efficacia degli an-tialdosteronici verso altri diuretici del dotto collettore in questo contesto clinico58. Iltrattamento più razionale da seguire in pazienti con cirrosi e ascite sembra essere, per-tanto, la somministrazione orale di un antialdosteronico, partendo da una posologia ini-ziale di 100-200 mg/die in somministrazione unica e raggiungendo, gradualmente, laposologia di 400 mg/die. Considerata la farmacocinetica degli antagonisti dell’aldoste-rone, il dosaggio di questi farmaci dovrebbe essere aumentato ogni 3-5 giorni. Tale ap-proccio terapeutico è in grado di determinare la mobilizzazione dell’ascite nel 60-80%dei pazienti cirrotici ascitici senza insufficienza renale26,59. L’amiloride può rappresenta-re un’opzione terapeutica nei pazienti con intolleranza agli antialdosteronici, specialmen-te in presenza di livelli di attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone normali osolo modestamente aumentati26,54. Se, nonostante la posologia massimale, l’antialdoste-ronico non determina una risposta natriuretica adeguata, va introdotta la furosemide peros alla dose iniziale di 25-50 mg/die da aumentare, eventualmente e in modo graduale,fino a 160 mg/die. Dosi più elevate in un cirrotico non sono giustificate dai dati farma-cocinetici relativi ai diuretici dell’ansa e non appaiono quindi consigliabili. Va comun-que osservato che spesso in pazienti cirrotici con ascite il raggiungimento di una buonarisposta natriuretica, con la terapia diuretica sequenziale sopra indicata, può richiederetempi lunghi. Il trattamento diuretico dell’ascite attuato in molti centri prevede, quin-di, la somministrazione combinata, fin dall’inizio, di un antialdosteronico e di un diu-retico dell’ansa. A questo proposito va osservato che, a differenza di quanto osservato in

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un recente trial clinico spagnolo60, i risultati preliminari di uno studio clinico control-lato, da noi coordinato, sembrano dimostrare che la terapia diuretica combinata ab ini-tio consente di raggiungere uno step di terapia diuretica efficace e di mobilizzare il ver-samento ascitico in tempi decisamente più rapidi rispetto alla terapia diuretica sequen-ziale, risultando nel contempo meglio tollerata. La simultanea somministrazione di unantialdosteronico e di un diuretico dell’ansa riduce, infatti, l’incidenza di iperkaliemia,complicanza che, invece, insorge spesso durante la monoterapia con diuretici antialdo-steronici nell’ambito del trattamento sequenziale61. Considerando che il riassorbimento dell’ascite inteso come passaggio netto di liquido asci-tico nel compartimento intravascolare, è un processo che, a differenza di quello degli ede-mi declivi, è quantitativamente limitato, raggiungendo mediamente 500 mL/die62, l’o-biettivo della terapia diuretica è quello di raggiungere una perdita di peso di circa 300-500 g/die, evitando così le complicanze elettrolitiche e renali legate ad un’eccessiva con-trazione del volume circolante efficace. Perdite di peso superiori, fino a 1000-2000 g/die,possono essere invece perseguite nei pazienti cirrotici che, oltre all’ascite, hanno ancheedemi declivi26. Sulla base di queste considerazioni, va da sé che l’efficacia della terapiadiuretica nel mobilizzare il versamento ascitico nel paziente cirrotico deve essere control-lata attraverso uno stretto monitoraggio del peso corporeo e con ripetute valutazioni deilivelli plasmatici di urea, creatinina, sodio e potassio. Una volta che l’ascite è stata mobi-lizzata, la terapia diuretica dovrebbe essere aggiustata ad un livello tale da prevenire la re-cidiva del versamento ascitico evitando nel contempo l’insorgenza delle complicanze del-la terapia diuretica stessa.

Paziente con ascite massiva La reintroduzione della paracentesi evacuativa completa nel trattamento dell’ascite tesa odell’ascite refrattaria ha rappresentato uno dei maggiori progressi nel trattamento dellacirrosi epatica in fase avanzata nell’arco degli ultimi 20 anni. Essa è stata resa possibiledalla pubblicazione dei risultati di numerosi studi clinici controllati, i quali hanno dimo-strato che la paracentesi evacuativa completa, se associata ad un’espansione del volumeplasmatico63, è superiore, sia in termini di efficacia sia di tollerabilità, alla terapia diure-tica nel trattamento dell’ascite massiva64-67. Va inoltre sottolineato che nonostante la para-centesi, rispetto al trattamento con diuretici, comporti una riduzione della capacità op-sonizzante e della concentrazione del complemento nell’ascite68,69 e, quindi, una poten-ziale azione favorente la PBS70, l’eventualità di una maggiore incidenza di PBS nei pa-zienti cirrotici ascitici trattati con paracentesi ripetute non è stata finora ancora confer-mata dagli studi prospettici71. Dal momento che oltre il 50% dei pazienti sottoposti aparacentesi evacuativa completa e, successivamente, non trattati con diuretici sviluppa

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un’importante recidiva del versamento ascitico entro 2 settimane, il trattamento diureti-co va iniziato subito dopo la procedura secondo le linee guida precedentemente esposteallo scopo di prevenire o comunque rallentare il riaccumulo di ascite72. Le conseguenze che una paracentesi evacuativa associata ad un’espansione del volume pla-smatico ha sull’emodinamica nella cirrosi con ascite, possono essere distinte in due fasi.In una prima fase si verifica un miglioramento del volume circolante efficace con conse-guente riduzione del grado di attivazione dei sistemi renina-angiotensina-aldosterone enervoso simpatico, ma, successivamente, subentra una contrazione del volume circolan-te efficace73 che può determinare, attraverso un’abnorme attivazione di tali sistemi, lo svi-luppo di una HRS e/o lo sviluppo di un’iponatremia. La contrazione del volume circo-lante efficace dopo paracentesi evacuativa non è spontaneamente reversibile74; avvienesenza che vi sia una riduzione sostanziale del volume plasmatico essendo, invece, espres-sione di un peggioramento della vasodilatazione splancnica e viene indicato come disfun-zione circolatoria post-paracentesi75,76. A conferma di ciò, osservazioni preliminari sug-geriscono la possibilità di prevenire la disfunzione circolatoria post-paracentesi con far-maci vasocostrittori77. Al momento attuale, tuttavia, l’unico provvedimento efficace nelprevenire la disfunzione circolatoria post-paracentesi è considerata l’espansione del volu-me plasmatico. In uno studio clinico controllato a carattere multicentrico, l’albumina,impiegata alla dose di 8 g/L di ascite evacuata, si è dimostrata più efficace del destrano70

e della poligelina nel prevenire la disfunzione circolatoria post-paracentesi, allorché conla paracentesi venga rimosso un volume di liquido ascitico >5 L74. I risultati di questo stu-dio si sono recentemente tradotti in una linea guida dell’International Ascites Club26. Lasuperiorità dell’albumina rispetto ai plasma expanders di sintesi è verosimilmente legataalla sua più lunga emivita nel compartimento plasmatico, ma andranno meglio analizza-ti in questo contesto anche alcuni potenziali effetti biologici dell’albumina, quali le suecapacità di legame con sostanze vasodilatatrici o con radicali liberi e le sue capacità di in-teragire con il rilascio e/o l’azione di citochine proinfiammatorie78. La superiorità dell’al-bumina rispetto ai plasma expanders di sintesi nella prevenzione della disfunzione circo-latoria post-paracentesi non si è tradotta, negli studi sino ad ora condotti, in un vantag-gio reale in termini di sopravvivenza. Saranno probabilmente necessari ulteriori studi con-trollati a carattere multicentrico su campioni di popolazione più vasti, per dimostrare chela superiorità dell’albumina, rispetto ai plasma expanders di sintesi, nel prevenire la disfun-zione circolatoria post-paracentesi, si traduce anche in un vantaggio in termini di soprav-vivenza nei pazienti cirrotici con ascite massiva. I recenti risultati di uno studio pilota inpazienti cirrotici con ascite non refrattaria indicano che è possibile ridurre i ricoveri lega-ti alle recidive del versamento ascitico con l’uso cronico domiciliare dell’albumina79. Que-sti risultati, valorizzati da una recente Consensus nazionale80, andranno verificati anchee soprattutto nei pazienti con ascite refrattaria.

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IL TRATTAMENTO DELL’ASCITE COMPLICATA

In questo contesto verrà considerata solo l’ascite refrattaria dal momento che la HRS, laPBS e l’iponatremia richiedono, per la loro complessità, delle trattazioni separate.L’ascite refrattaria si osserva nel 5-10% dei pazienti cirrotici con ascite e comporta un ul-teriore aggravamento della prognosi81. È definita, nella sua variante clinica “resistente”,come la mancata risposta alla dieta iposodica e a dosi elevate di diuretici (400 mg/die diun antialdosteronico e a 160 mg/die di furosemide). Accanto alla variabile resistente, sidistingue quella “intrattabile”, caratterizzata dallo sviluppo di effetti collaterali (insuffi-cienza renale, iponatremia, encefalopatia, crampi muscolari) già quando i diuretici ven-gono impiegati a posologie inferiori a quelle sopra indicate82. L’ascite refrattaria è carat-terizzata, sul piano fisiopatologico, da una più severa contrazione del volume circolanteefficace83-86 e, su quello clinico, dal fatto che la maggior parte dei pazienti presentanoun’insufficienza renale che ha un carattere funzionale, non associandosi cioè a dati bio-umorali e/o istologici di danno glomerulare e/o tubulare, e che non risponde all’espan-sione del volume plasmatico, caratterizzandosi quindi come HRS.Prima di definire l’ascite come resistente ai diuretici, bisogna tuttavia escludere tutti queifattori che possono interferire con l’azione dei diuretici stessi quali una mancata com-pliance nei confronti della dieta iposodica, un’inadeguata attività fisica, infezioni batteri-che in atto (in particolare la PBS). La simultanea somministrazione di farmaci antinfiam-matori non steroidei può essere un’altra causa della resistenza ai diuretici visto che com-porta una riduzione della risposta natriuretica alla furosemide e allo spironolattone83,85.Il passo iniziale nella valutazione di un’ascite resistente dovrebbe quindi consistere, oltreche in un’anamnesi e in un esame clinico adeguati, anche nella misurazione dell’escrezio-ne urinaria di sodio26. Nei pazienti con ascite refrattaria la paracentesi evacuativa com-pleta seguita dall’espansione del volume plasmatico rappresenta l’approccio terapeuticodi prima scelta. La paracentesi, benché assicuri un rapido sollievo al paziente, non rap-presenta però un trattamento risolutivo dal momento che non modifica la ritenzione re-nale di sodio. L’ascite recidiva, quindi, in tutti i pazienti, anche se con velocità molto va-riabile da caso a caso. La dieta iposodica e la prosecuzione della terapia diuretica a dosag-gi tali da non indurre effetti avversi, può rallentare la recidiva del versamento. Se la reci-diva del versamento ascitico assume un carattere massivo solo dopo un certo lasso di tem-po (>3-4 settimane), la ripetizione della paracentesi in regime di day-hospital o ambula-toriale resta il trattamento preferibile. Se, invece, la recidiva assume un carattere massivogià entro 1-2 settimane, le paracentesi ripetute diventano troppo frequenti, così da com-promettere la qualità della vita del paziente. In linea di massima, quando si rendono ne-cessarie più di 3 paracentesi/mese è opportuno prendere in considerazione opzioni tera-peutiche alternative26,27. L’impiego di uno shunt portosistemico intraepatico posizionato

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per via transgiugulare (TIPS) è in grado di ridurre significativamente l’ipertensione por-tale, riducendo il grado di attivazione dei sistemi vasocostrittori e sodio-ritentivi. Il TIPSha, perciò, effetti favorevoli sulla perfusione renale e sull’escrezione renale di sodio, ral-lentandola produzione di ascite e migliorando la risposta alla terapia diuretica. Sinora so-no stati pubblicati cinque studi clinici controllati che hanno confrontato l’efficacia delTIPS rispetto alla paracentesi evacuativa, quattro dei quali condotti su larghe casistiche87-91.In tutti gli studi il TIPS si è dimostrato più efficace della paracentesi nel controllare il ver-samento ascitico, mentre gli effetti sulla sopravvivenza sono invece risultati contradditto-ri. Nello studio francese, il primo in ordine di tempo, la mortalità di pazienti appartenen-ti alla classe C di Child-Pugh è risultata più elevata dopo TIPS, ma va sottolineato che ilnumero di pazienti arruolato in quello studio era modesto, tale da poter comportare unerrore statistico di secondo tipo87. In tre studi la sopravvivenza è risultata sovrapponibilenei casi trattati con TIPS rispetto a quelli trattati con paracentesi88-90. Nello studio italia-no, invece, è stato osservato un effetto positivo del TIPS sulla sopravvivenza91.La qualità della vita assicurata dalle due opzioni terapeutiche è stata analizzata in un uni-co studio e non è risultata significativamente diversa, mentre un possibile vantaggio delTIPS sulla paracentesi sembra essere un effetto preventivo sullo sviluppo della HRS89,92.L’impiego del TIPS non ostacola un eventuale trapianto di fegato, ma può talora aumen-tarne le difficoltà tecniche in rapporto allo sviluppo di complicanze26. Fra le complican-ze più frequenti vi è la stenosi da iperplasia della neointima o l’occlusione completa pertrombosi dello stent che si verifica nel 70% dei casi per anno. Dati recenti, tuttavia, di-mostrano una netta riduzione del tasso di stenosi utilizzando stent ricoperti da politetra-fluoroetilene. Un’ulteriore complicanza del TIPS è la comparsa o il peggioramento del-l’encefalopatia epatica, specie nei pazienti che già presentavano questa manifestazione incondizioni di base e in quelli di età >60 anni. L’impiego del TIPS92 è associato ad unamaggiore incidenza di encefalopatia moderata-grave in alcuni degli studi condotti in pa-zienti con ascite refrattaria89-91, ma non in altri88. Il TIPS aumenta bruscamente il preca-rico cardiaco e può precipitare un’insufficienza cardiaca in pazienti con cardiopatia e/ofrazione di eiezione <60%. I pazienti con cirrosi in stadio avanzato sono a rischio di arit-mia cardiaca, come suggerito dal fatto che spesso presentano un allungamento dell’inter-vallo elettrocardiografico Q-T. È stato osservato che l’inserzione di un TIPS comporta unulteriore prolungamento di tale intervallo; è consigliabile, pertanto, che i pazienti chehanno presentato eventi aritmici (soprattutto aritmie ipercinetiche ventricolari), raggiun-gano una stabilizzazione farmacologica prima dell’inserzione del TIPS. Infine, la diver-sione del sangue portale può accelerare la progressione dell’insufficienza epatica fino al-l’exitus. Per le ragioni sopra esposte il TIPS non può ancora essere considerato un’opzio-ne terapeutica di primo livello nel trattamento dell’ascite refrattaria ed è opportuno chela sua applicazione avvenga in centri con provata esperienza27. Le più importanti con-

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troindicazioni al suo impiego sono rappresentate da: encefalopatia epatica; età >70 anni;preesistente patologia cardiorespiratoria; punteggio di Child-Pugh >11. Le sonde peritoneo-venose permettono di ridurre la dose dei diuretici e di abbreviare l’o-spedalizzazione dei pazienti con ascite refrattaria. Tuttavia, l’elevata frequenza con la qua-le la sonda si occlude, il rischio di frequenti e gravi complicazioni (fibrosi peritoneale, co-agulazione intravascolare disseminata, infezioni batteriche) limitano il significato di que-sti effetti positivi sulla qualità di vita dei pazienti. A ciò si aggiunge il fatto che le sondeperitoneo-venose non offrono alcun vantaggio sia in termini di prevalenza della HRS, siain termini di sopravvivenza rispetto alla terapia medica o alla paracentesi evacuativa93,94.Sulla base di queste osservazioni, l’impiego delle sonde peritoneo-venose è stato progres-sivamente abbandonato. Ciò vale in particolare per i pazienti candidati al trapianto di fe-gato nei quali lo sviluppo di una fibrosi peritoneale indotto dall’estremità peritoneale del-la sonda può gravemente ostacolare un eventuale trapianto di fegato. L’impiego di questesonde è quindi oggi limitato ai pazienti non candidabili a trapianto di fegato o al TIPS eche non tollerano paracentesi troppo frequenti.

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CAPITOLO 4

RIPRISTINO DEL VOLUME CIRCOLANTEE DISTURBI DELLA COAGULAZIONE

Marcel Levi, Evert de Jonge

La terapia con soluzioni colloidali o cristalloidali per il ripristino del volume circolanteviene frequentemente utilizzata nei pazienti con emorragia o nelle situazioni con alto ri-schio di sanguinamento, quali i traumi o gli interventi chirurgici. Vi sono molti dati chedimostrano come queste sostanze possono interferire con la coagulazione sanguigna e conla funzionalità piastrinica1, sebbene alcuni autori, riferendosi a studi tromboelastografi-ci, abbiano suggerito che l’emodiluizione di per sé esiti in uno stato ipercoagulativo2. Tut-tavia, questi dati sono ancora oggetto di discussione. In particolare, tutte e tre le classi di-stinte di colloidi (ad esempio, destrani, amidi idrossietilici e le gelatine) sono state asso-ciate a disturbi del sistema emostatico, sebbene il significato clinico di questi disturbi siamateria di discussione3. In questo lavoro ci soffermeremo sugli effetti di diversi tipi di li-quidi utilizzati per il ripristino del volume circolante sulla funzionalità piastrinica e sullacoagulazione del sangue.

SOLUZIONI A BASE DI GELATINE

Le gelatine sono composte da polipeptidi polidispersi prodotti dalla degradazione del col-lagene bovino. Vi sono due forme distinte di soluzioni gelatinose: le gelatine succinilate(modificate), nelle quali i gruppi NH3 sono stati sostituiti da gruppi COO– grazie allareazione del peptide basico con l’anidrasi acida succinica, e le poligeline, formate da po-lipetidi cross-linked tramite legami ureici. Sebbene per lungo tempo si sia pensato che legelatine non influenzassero la coagulazione sanguigna, salvo che per l’aspetto legato all’e-modiluizione4, attualmente vi sono sempre più dati che esse sono in grado di influenza-re sia la coagulazione sia la funzionalità piastrinica. Usando la tromboelastografia e il mi-croscopio elettronico a scansione è stata studiata in vitro la coagulazione in presenza digelatine. I coaguli prodotti in presenza di gelatina avevano un peso e una forza diminui-te e mostravano la perdita del normale reticolo di fibrina5. Sebbene questi risultati po-trebbero non essere confermati da un altro studio che utilizzi la tromboelastografia, tut-

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tavia questo studio ha anche dimostrato una diminuzione della resistenza del coagulo do-po diluizione con gelatina rispetto a una diluizione con soluzione fisiologica6. Altri autori hanno studiato in vitro gli effetti della diluizione del sangue sull’aggregazio-ne piastrinica. È stato rilevato che la gelatina peggiora l’aggregazione indotta da ristoce-tina e polibrene7. I test di agglutinazione indotta da ristocetina e polibrene sono specifi-ci per il legame del fattore di von Willebrand (vWF) al recettore piastrinico glicoprotei-co (GP) Ib. Questi dati sono supportati dall’osservazione che la somministrazione in vi-vo di 1 L di espansori del volume plasmatico a base di gelatina a soggetti sani induce unasindrome simil von Willebrand, con allungamento del tempo di sanguinamento, peggio-ramento dell’aggregazione piastrinica indotta da ristocetina e diminuzione dei livelli pla-smatici di vWF. È stato suggerito che vWF si leghi alla gelatina attraverso il suo sito di le-game per il collagene. Inoltre, è stata osservata una diminuita produzione di trombina,misurata tramite la valutazione dei complessi trombina-antitrombina e del frammentoF1+2 della protrombina, dopo somministrazione di gelatina, probabilmente a causa del-l’emodiluizione8. La rilevanza clinica del peggioramento dell’emostasi dopo infusione digelatina è incerta. Vi è un solo lavoro che abbia suggerito un sanguinamento eccessivo aseguito di un intervento cardiochirurgico quando è stata utilizzata nel periodo preopera-torio gelatina invece che albumina7. Tuttavia, altri studi che hanno confrontato gelatinavs amidi idrossietilici (HES) o HES vs albumina non hanno evidenziato alcuna differen-za o, in alcuni casi, persino un miglioramento del sanguinamento postoperatorio quan-do veniva somministrata la gelatina9.

SOLUZIONI A BASE DI DESTRANO

I destrani sono polimeri polidispersi di glucosio prodotti da batteri che crescono su ter-reni contenenti sucrosio. Oltre alle loro proprietà di espansori del volume plasmatico, es-si esercitano anche un effetto anticoagulante. Infatti, i destrani si sono dimostrati effica-ci per la prevenzione della trombosi venosa postoperatoria e per l’embolia polmonare10.L’infusione di destrano provoca una diminuzione del livello del vWF e del fattore VIIIassociato (FVIII:c), effetto che è superiore a quello che ci si potrebbe attendere dal suosolo effetto diluente11. Il vWF è il ligando tra il recettore proteico GPIb presente sulla su-perficie piastrinica e il collagene subendoteliale, giocando un ruolo fondamentale per l’a-desione piastrinica alla parete del vaso. Di conseguenza, diminuiti livelli di vWF posso-no portare a un peggioramento dell’emostasi primaria. Infatti, sia negli animali da espe-rimento12 sia nell’uomo13, i tempi di sanguinamento prolungati venivano rilevati dopoinfusione di destrano. Il prolungamento del tempo di sanguinamento scompariva in tut-ti i casi dopo l’aumento dei livelli di vWF ottenuto con la somministrazione endovenosa

Marcel Levi, Evert de Jonge

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di desmopressina (1-desamino-8-d-arginina vasopressina)14. Oltre ai loro effetti sul com-plesso FVIII/vWF, i destrani favoriscono anche la fibrinolisi15. È stato dimostrato che lafibrinolisi può essere favorita dopo infusione di destrano tramite l’aumento delle concen-trazioni plasmatiche dell’attivatore del plasminogeno di tipo tessutale (t-PA) e la diminu-zione delle concentrazioni dell’inibitore fisiologico della fibrinolisi, dell’inibitore dell’at-tivatore del plasminogeno di tipo 1 (PAI-1). Le prime comunicazioni riferivano che la fi-brinolisi fosse aumentata dalla formazione di complessi costituiti da destrano, fibrina eattivatori del plasminogeno. Infatti, i coaguli formati in presenza di destrano erano rela-tivamente voluminosi, mostravano una minore forza tensiva e sembravano più facilmen-te distruggibili16. Dopo la sua somministrazione, gli effetti antiemostatici del destrano sulFVIII/vWF e sulla fibrinolisi possono far aumentare la tendenza a un maggiore sangui-namento. Negli studi clinici sulla profilassi contro la tromboembolia venosa, comparati-vi tra il destrano e l’eparina ultrafrazionata, quella a basso peso molecolare o l’eparinoideOrgaran, l’infusione di destrano ha provocato un aumento del sanguinamento postope-ratorio dopo prostatectomia per via transuretrale o dopo interventi chirurgici di caratte-re ortopedico, e ha fatto aumentare la necessità di trasfusioni sanguigne dopo interventochirurgico per frattura di anca17,18. In uno studio, che paragonava l’uso intraoperatoriodi destrano vs albumina al 4% nei pazienti chirurgici ortopedici, quelli trattati con de-strano hanno avuto maggiore necessità di trasfusioni sanguigne19.

SOLUZIONI A BASE DI AMINO IDROSSIETILICO

Gli amino idrossietilici naturali non possono essere utilizzati come sostituti del plasmaperché vengono rapidamente degradati dalle amilasi circolanti e perché sono insolubili apH neutro. Gli HES sono polimeri di unità di glucosio derivati dall’amilopectina e mo-dificati dalla sostituzione dei gruppi idrossietil con gruppi idrossil sulle molecole di glu-cosio. Questa sostituzione esita in una degradazione rallentata e in un notevole aumentodella solubilità. Sebbene HES venga generalmente considerato un sostituto del plasma ef-ficace e sicuro, l’uso di questo espansore del volume plasmatico è stato associato a com-plicanze emorragiche in diverse situazioni cliniche. Sono stati pubblicati molti casi dicomplicanze emorragiche dopo somministrazione di HES ad alto peso molecolare (HMW-HES)20,21. Inoltre, l’HMW-HES (Hetastarch), che è l’unica soluzione a base di HES ap-provata negli Stati Uniti quali espansori del volume plasmatico, è stata associata ad au-mentato sanguinamento postoperatorio dopo interventi neurochirurgici e cardiochirur-gici22. È stato suggerito che non tutte le soluzioni a base di HES abbiano effetti negativisulla coagulazione, ma che questi effetti dipendano dalla media del peso molecolare del-le molecole di HES e dalla loro cinetica di eliminazione. Le HES sono soluzioni molto

Ripristino del volume circolante e disturbi della coagulazione

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Marcel Levi, Evert de Jonge

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polidisperse di molecole con un’ampia gamma di pesi molecolari, da molto piccoli a di-verse centinaia di migliaia di Dalton. Dopo somministrazione di HES, la frazione a bas-so peso molecolare viene rapidamente eliminata per via renale, mentre le molecole piùgrandi vengono progressivamente idrolizzate, con il risultato che in vivo il peso moleco-lare medio è significativamente inferiore rispetto a quello del liquido infuso. Il tasso alquale avviene la degradazione delle molecole HES dipende dal grado di sostituzione, cheè la proporzione di unità di glucosio che hanno il gruppo idrossietil sostituito dal grup-po idrossil. Il tasso di degradazione e di eliminazione è maggiore (e di conseguenza si han-no minori effetti sulla coagulazione) con bassi valori di grado di sostituzione3.Gli studi in volontari sani hanno dimostrato che i livelli circolanti di FVIII e vWF dimi-nuivano significativamente dopo infusione di 0.5-1 l di HMW-HES o di HES con pesomolecolare medio (MMW-HES)23,24. Simili riduzioni di questi due fattori sono state os-servate non solo nei volontari sani, ma anche in diversi studi clinici20,25. Dati significati-vi sull’influenza di HES sulla coagulazione derivano dalle osservazioni di Treib et al.26. Indiversi esperimenti di emodiluizione condotti per 10 giorni su pazienti, questi autori han-no evidenziato che una diminuzione di vWF e FVIII si osservava solo quando veniva som-ministrata MMW-HES, che era lentamente degradabile (con un alto grado di sostituzio-ne). Quelle infusioni portavano a un accumulo di molecole HES con pesi molecolari mag-giori. È stato concluso che l’effetto negativo sull’emostasi dipendesse dal peso molecola-re in vivo che la terapia con HES a basso peso molecolare o con MMW-HES facilmentedegradabile non influenzava la coagulazione. Tuttavia, noi abbiamo osservato una dimi-nuzione del 33% del vWF e del 28% del FVIII dopo somministrazione a volontari sanidi 1 L di HES rapidamente degradabile27. Queste diminuzioni non potevano essere spie-gate solo dalla diluizione plasmatica indotta da HES. In accordo con la diminuzione deilivelli di vWF, l’adesione delle piastrine, valutata tramite l’analizzatore di funzionalità pia-strinica PFA-100 (Dabe Behring, Marburg, Germania), era significativamente prolunga-ta dopo somministrazione di HES rispetto all’albumina al 4%, il che è compatibile conuna sindrome di von Willebrand acquisita REF. Una possibile spiegazione per questi da-ti discordanti tra i volontari sani e i pazienti arruolati negli studi potrebbe essere che ilvWF è una proteina della fase acuta, che aumenta durante la malattia acuta e che può,quindi, potenzialmente mascherare una concomitante diminuzione HES-indotta. Inol-tre, durante gli esperimenti di emodiluizione erano state somministrate quantità relativa-mente basse di HES (1000 o 500 mL/die)26. Nei casi dove vengono somministrati gran-di volumi di HES in poco tempo (ad esempio, pazienti sanguinanti con shock emorragi-co), HES potrebbe potenzialmente indurre un difetto della coagulazione clinicamente ri-levante. Inoltre, non vi è certezza sull’effetto clinico sulla coagulazione della somministra-zione di HES in pazienti che già hanno bassi livelli circolanti di vWF (Figura 1).Le riduzioni delle concentrazioni di altri fattori plasmatici della coagulazione, che potreb-

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Ripristino del volume circolante e disturbi della coagulazione

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bero essere pienamente attribuite alla diluizione del plasma dopo somministrazione diHES, sono state più volte descritte28,29. Il tempo di protrombina, dopo somministrazio-ne di HES, viene solo leggermente allungato, probabilmente a causa della diluizione deifattori plasmatici2,23. Gli effetti di HES sul tempo di tromboplastina parziale attivata(aPTT) dipendono dal suo peso molecolare e dalla cinetica di eliminazione. Un prolun-gamento significativo dell’aPTT, sino al 40%, è stato descritto dopo infusione ripetuta diMMW-HES lentamente degradabile. Al contrario, dopo infusione di HES a basso pesomolecolare (LMW-HES) o di MMW-HES facilmente degradabile si è osservato solo unprolungamento minimo. Gli effetti di HES su aPTT possono essere facilmente spiegatidalla diminuzione specifica del FVIII, probabilmente in combinazione con una certa di-luizione di altri fattori plasmatici. HMW-HES è stato associato ad aumento della fibri-nolisi. L’infusione di 500 ml di MMW-HES in volontari sani non ha provocato variazio-ni dei livelli plasmatici di t-PA, di attivatore dell’urochinasi-plasminogeno, del PAI, dei

Figura 1. In alto: Concentrazioni plasmatiche di vWF:ag dopo infusione endovenosa di HES (cerchi)

o albumina (triangoli). In basso: Concentrazioni plasmatiche di vWFF:ag dopo correzione per il fat-

tore di diluizione D. La significatività statistica è relativa alla differenza tra il trattamento con HES

o albumina all’analisi multipla della varianza. vWF = fattore von Willebrand.

vWF:agcorrezione per diluizionep<0.05

vWF:agp<0.01

100

80

60

40

100

80

60

40

0 30 60 120 240 360

%

%

luciolli
Note
proto: inserire "Da de Jonge et al.27, con il permesso dell'Editore".
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complessi plasmina-antiplasmina o del D-dimero, se paragonata con l’infusione di albu-mina al 5%. Gli effetti di HES sulla coagulazione e la fibrinolisi sono anche stati studia-ti utilizzando la tromboelastografia, che ha fornito risultati che puntano nella stessa dire-zione. Gli studi in vitro hanno suggerito un prolungamento del tempo di formazione delcoagulo e un aumento della sua lisi dopo marcata emodiluizione con HES30. Infine, HESpotrebbe influenzare la funzionalità piastrinica. Il volume piastrinico diminuisce dopo in-fusione di HES, probabilmente a causa di una contrazione delle piastrine provocata dal-l’aumentata pressione colloidale osmotica plasmatica23. Comunque, tuttora non si è an-cora capito se la diminuzione del volume piastrinico dopo somministrazione di HES in-fluenzi la funzionalità piastrinica e il tempo di sanguinamento. Tempi di sanguinamentoprolungati sono stati descritti dopo somministrazione di HMW-HES, e l’infusione diMMW-HES è stata associata a tempi di sanguinamento normali, così come prolungati1.Al contrario, in un altro studio, che paragonava l’influenza di MMW-HES e dell’albu-mina sull’aggregazione piastrinica, non è stata evidenziata alcuna differenza31.

ALBUMINA

L’albumina viene generalmente considerata non in grado di alterare la coagulazione ed es-sa viene spesso utilizzata come controllo negli studi che valutano gli effetti di altri colloi-di. Infatti, abbiamo osservato che l’infusione a volontari sani di 1 L di albumina al 4%provocava solo una piccola diminuzione dei livelli di fibrinogeno e dei fattori V, VII, VIII:ce vWF27. Queste diminuzioni potrebbero essere pienamente spiegate dall’emodiluizione.Vi sono alcuni lavori che affermano che l’albumina induce un peggioramento dell’aggre-gazione piastrinica e un prolungamento del tempo di sanguinamento, ma questi effettisono molto modesti e hanno una rilevanza clinica non chiara31. Non vi sono comunica-zioni cliniche sulla tendenza a un aumentato tempo di sanguinamento a seguito di infu-sione di albumina.

EFFETTI ANTICOAGULANTI: CONFRONTO TRA DIVERSI ESPANSORIDEL VOLUME PLASMATICO

I confronti diretti tra i diversi colloidi, tenendo conto dei marcatori di laboratorio dellacoagulazione, sono difficili da fare, di conseguenza tutti gli studi differiscono circa i so-stituti del plasma utilizzati, la quantità di colloidi infusi e la popolazione studiata. Inol-tre, alcuni studi sono indirizzati a valutare gli effetti a breve termine (ad esempio, duran-te intervento chirurgico), altri cercano gli effetti su cicli di emodiluizione di 10 giorni.

Marcel Levi, Evert de Jonge

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Comunque, si possono trarre alcune conclusioni di carattere generale. Primo, gli effet-ti di HES sulla coagulazione sembrano dipendere dal suo peso molecolare e dal suo tas-so di degradazione in vivo. Indubbiamente HMW-HES influenza la coagulazione, per-sino se somministrato per periodi limitati di tempo. Anche MMW-HES lentamentedegradabile eHES con un alto grado di sostituzione influenzano la coagulazione doposomministrazioni ripetute, probabilmente a causa dell’accumulo delle macromolecole.Al contrario, la maggior parte degli studi attribuisce a MMW-HES facilmente degra-dabile (con un basso grado di sostituzione) o LMW-HES nessuna, o minima, influen-za sulla coagulazione se paragonati all’albumina. Gli effetti delle soluzioni gelatinosemodificate sembravano essere simili a quelli di MMW-HES facilmente degradabile edell’albumina. In accordo con le osservazioni relative ai marcatori di laboratorio della coagulazione, lasomministrazione di HMW-HES può favorire l’aumentata perdita di sangue. Nessunostudio comparativo con l’albumina ha documentato un aumento della tendenza al san-guinamento dopo somministrazione di MMW-HES a basso grado di sostituzione, sug-gerendo che MMW-HES rapidamente degradabile può essere utilizzato in sicurezza du-rante gli interventi chirurgici. È stato pubblicato un unico studio che paragonava MMW-HES lentamente degradabile con l’albumina nei pazienti ortopedici. In questo piccolostudio non è stata evidenziata alcuna differenza per quanto riguarda il sanguinamento post-operatorio. Gli studi che confrontano la gelatina con l’albumina o con MMW-HES nonhanno evidenziato differenze, eccetto che in uno di questi, dove si è avuto un minore san-guinamento dopo somministrazione di gelatina rispetto a MMW-HES e in un altro do-ve si è avuto un incremento del sanguinamento rispetto all’albumina, ma solo nel sotto-gruppo trattato anche con aprotinina7,32. Di conseguenza, sembra che il destrano e l’HMW-HES possano indurre un’aumentata tendenza al sanguinamento, mentre MMW-HES ra-pidamente degradabile e la gelatina siano probabilmente sicuri riguardo a questo aspet-to. Vi sono, tuttavia, due limitazioni importanti a queste conclusioni. Primo, non è sta-to eseguito alcuno studio che valutasse il rischio di sanguinamento dopo somministrazio-ne ripetuta di colloidi. Teoricamente, essa potrebbe facilmente aumentare il rischio di san-guinamento, specialmente nel caso di infusioni con HES lentamente degradabile. Secon-do, queste conclusioni sono probabilmente valide solo in soggetti con livelli normali oaddirittura aumentati di vWF, questi ultimi dovuti alla risposta alla fase acuta in pazien-ti acutamente ammalati. Dal momento che tutti i colloidi artificiali possono favorire unadiminuzione dei livelli del vWF, essi dovrebbero essere somministrati con cautela ai pa-zienti noti per avere una forma anche lieve di malattia di von Willebrand. In tali pazien-ti, specialmente quando stanno sanguinando, si dovrebbero prendere in considerazionele soluzioni cristalloidali o alternative quali plasma o albumina, sebbene associate ad al-tre gravi complicanze.

Ripristino del volume circolante e disturbi della coagulazione

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Ripristino del volume circolante e disturbi della coagulazione

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CAPITOLO 3

ALBUMINA NEGLI STATI ACUTI:.ESPANSORE DI VOLUME O FARMACO?

Luciano Gattinoni, Eleonora Carlesso, Pietro Caironi

INTRODUZIONE

L’albumina è probabilmente la prima e più studiata proteina umana. Alla voce “albumin”,a settembre 2004, PubMed riporta 126 903 voci bibliografiche, a fronte delle 103 050riguardanti l’emoglobina. La storia dell’albumina è affascinante ed è stata recentementerivista in dettaglio1. L’albumina è stata usata per la prima volta nel 1941 in 7 pazientiustionati dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour. Durante la Seconda Guerra Mon-diale vi è stato un incredibile sforzo per la produzione di albumina umana, unico presi-dio disponibile per il trattamento di trauma ed emorragia. Nel dopoguerra l’albumina èstata largamente usata da chirurghi, nutrizionisti e intensivisti. L’indicazione principale èsempre stata di rimpiazzo volemico o di correzione dell’ipoalbuminemia. Solo negli anni’90, a seguito di una crescente attenzione per i costi/benefici dei trattamenti medici, l’u-so dell’albumina è stato rivisto criticamente. Il rapporto Cochrane2, in una metanalisi chesuggeriva potenziali effetti dannosi dell’albumina rispetto ad altre forme di rimpiazzo vo-lemico (colloidi e cristalloidi), ha scatenato un acceso dibattito e stimolato numerosi la-vori di confronto. Per una migliore comprensione dei vari lavori prodotti riteniamo op-portuno premettere alcune note sulla biochimica e sul metabolismo dell’albumina sotto-lineando gli aspetti che riteniamo più rilevanti per il paziente critico.

ALBUMINA

L’albumina è una proteina costituita da un singolo peptide di 585 aminoacidi, con pesomolecolare di 66 500 Da. In condizioni normali l’albumina costituisce circa il 50% del-le proteine plasmatiche (40 g/L o 0.601 mmol/L) ed è responsabile dell’80% della pres-sione oncotica plasmatica3. La sua struttura terziaria consiste in tre domini determinatidalla presenza di 17 legami S-S tra i residui di cisteina. L’architettura finale, in vivo, ricor-da quella di tre sfere impacchettate in una struttura cilindrica4. La conformazione è taleda creare nicchie idrofobiche e da esporre una serie di residui aminoacidici che condizio-nano le proprietà non oncotiche dell’albumina5. Tre caratteristiche strutturali hanno par-ticolare rilevanza nel malato critico:

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• la cisteina in posizione 34 espone un gruppo -SH (tiolo), che è il principale antiossi-dante extracellulare6. La somministrazione di albumina nel paziente critico aumenta ilivelli di tioli nel plasma7. Il gruppo -SH lega, inoltre, l’ossido nitrico (NO), con for-mazione di S-nitrosotioli8;

• i domini I e II dell’albumina sono responsabili del trasporto di numerose molecole, siaendogene (acidi grassi, metalli) sia esogene (benzodiazepine, tiopentone, warfarina)9

per alcune delle quali esiste una competitività di legame. Queste proprietà sono rile-vanti nel paziente critico in quanto i farmaci legati non sono attivi;

• l’albumina è una molecola altamente ionizzata, condizione che ne facilita la solubilitàin acqua. I gruppi ionizzabili possono essere presenti come dissociati (ionizzati) o in-dissociati (non ionizzati) e sono i residui termi-nali dei vari aminoacidi. Il grado di io-nizzazione dipende dal pK dei vari gruppi:

pH = pK + log (dissociato/non dissociato)A pH compatibile con la vita i residui -NH2 di arginina e lisina (pK ≈ 10-12) sono sem-pre presenti nella forma indissociata -NH3

+ (carica positiva), mentre i residui carbossili-ci -COOH di aspartato e glutammato (pK 4.4) sono sempre presenti in forma dissocia-ta -COO- (carica negativa)10. Dalla composizione della molecola risulta che la carica net-ta fissa dovuta ai gruppi -COO- sempre dissociati e quelli -NH3

+ sempre indissociati è-21 Eq/mol, in quanto prevalgono i gruppi -COO- sui gruppi -NH3

+11,12. Questa caricanetta è indipendente dal pH. Quello che rende l’albumina un “tampone” è la presenza di16 residui imidazolici dell’istidina, il cui pK medio è di 6.75213. Questo fa sì che 16 equi-valenti di istidina per mole di albumina agiscano da “tampone” in quanto cedono o lega-no H+ a seconda del pH. Questa azione tampone è verosimilmente molto importante nel-lo spazio extravascolare.

MetabolismoL’albumina, esclusivamente prodotta nel fegato14,15, è una proteina a singola catena, per-ciò segue la regola “un gene/una proteina”. Entrambi gli alleli del singolo gene sul cromo-soma 4 sono trascritti in un mRNA precursore che, una volta maturo, lascia il nucleo eviene tradotto in una catena peptidica da una stringa di ribosomi nel citoplasma16. L’al-bumina nascente passa rapidamente nelle cisterne dei canali secretori, dove assume la suaconfigurazione terziaria mediante la formazione di 17 legami sulfurei4. L’albumina vieneimmediatamente secreta dalla cellula senza essere immagazzinata1. La durata dell’interoprocesso è di circa 30 min17-19. La produzione di albumina è di circa 13 g/die in un adul-to normale e può al massimo raddoppiare, dato che già in condizioni normali il 50% del-l’attività epatocitica è preposta alla sua produzione20. Una volta in circolo, il 4.5%/ora di albumina21,22 passa nello spazio interstiziale con ve-locità differenti nei diversi distretti. Il processo di filtrazione è passivo nei distretti che pre-

Luciano Gattinoni et al.

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sentano ampie “finestre” fra le cellule endoteliali23 e attivo nei distretti con endotelio nonfenestrato24. In questo caso è necessaria la presenza di recettori specifici (albondine)25. Lamancanza di albondine in alcuni distretti, quali quello cerebrale, rende conto della scar-sità di albumina nel liquido cefalo-rachidiano26. La circolazione di albumina tra gli spa-zi intracellulari ed extracellulari è continua, con ritorno agli spazi intravascolari median-te drenaggio linfatico. L’emivita di circolo è di circa 16-18 ore. La degradazione dell’al-bumina è ubiquitaria. Essa avviene, previo legame con recettori glicoproteici delle mem-brane cellulari endoteliali, all’interno dei lisosomi con produzione di piccoli peptidi. Ipeptidi entrano nel citoplasma dove vengono metabolizzati ad aminoacidi liberi, che siequilibrano in pochi minuti con il plasma. In un individuo sano l’emivita è di circa 19giorni27. Uno schema della sintesi e degradazione dell’albumina in condizioni normali èriassunto in Figura 1. La velocità di produzione e di degradazione può essere regolata adiversi livelli. La sintesi richiede mRNA, un adeguato rifornimento di aminoacidi attiva-ti mediante legame con tRNA, complessi ribosomici per l’assemblaggio ed energia suffi-ciente (ATP). La pressione colloido-osmotica dovrebbe rappresentare il più semplice mec-canismo di controllo. La ricerca delle basi fisiologiche di questo meccanismo tuttavia èstata elusiva28-30. I fattori responsabili per la regolazione della sintesi di albumina e per lasua degradazione sono riassunti in Tabella 129-62. Per quanto riguarda in particolare il pa-ziente critico è importante ricordare che trauma, infezioni o qualsiasi condizione che im-

Albumina negli stati acuti. Espansore di volume o farmaco?

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Figura 1. Metabolismo dell’albumina. La produzione, stimolata dal sistema neuroendocrino (vedi

anche Tabella 1), in condizioni fisiologiche, è pari alla degradazione (9/13 g/die). L’elevata fuga trans-

scapillare condiziona un continuo ricircolo di albumina fra spazio vascolare e interstiziale (18 ore).

Sistemaneuroendocrino

Feedback pressionecolloido-osmotica

Fegato

Catabolismo

Velocità di fugatrans-capillare

7 g/h

Spazio

interstiziale 180 g

Spaziointravascolare 140 g

+

9-13 g/die

9-13 g/die

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Luciano Gattinoni et al.

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Tabella 1. Fattori regolanti la biosintesi dell’albumina.

EGF = fattore di crescita epidermico; GH = ormone della crescita; GM-CSF = granulocyte-macropha-

ge colony-stimulating factor; HGF = fattore di crescita epatocitario; IGF = insulin-like growth factor;

IL-6 = interleuchina-6; TGF-� = transforming growth factor-�; TNF-� = fattore di necrosi tumorale-�.

Effetti sulla fase biosintetica

Trascrizione (gene→mRNA)

Diminuzione della trascrizione

Aumento della trascrizione

Traduzione (mRNA→proteina)

Diminuzione della traduzione

Degradazione (mRNA)

Aumento della degradazione

Fattori causanti

Elevata pressione colloido-

osmotica

Reazione di fase acuta

IL-6

TNF-�

Diabete mellito

GM-CSF

Carenza di aminoacidi

Ipoalbuminemia

Insulina

GH

Corticosteroidi

(in presenza di aminoacidi

disponibili)

Ormoni tiroidei

Acido butirrico

HGF, EGF

IGF, TGF-�

Deplezione proteica

Carenza di aminoacidi

GH

Carenza di aminoacidi

Estrogeni

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Albumina negli stati acuti: espansore di volume o farmaco?

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plichi un’attivazione dell’infiammazione deprimono la sintesi di albumina. In particola-re interleuchina-6 e fattore di necrosi tumorale-� causano una profonda depressione del-la trascrizione dell’mRNA38-40.

FunzioniL’albumina possiede numerose funzioni, la più nota delle quali è ovviamente la stabiliz-zazione dei volumi intravascolari.L’albumina, che ha una forte carica negativa, è in grado di legare in modo debole e rever-sibile sia cationi sia anioni. Funziona, quindi, come trasportatore e deposito di numero-si metaboliti. Uno schema delle funzioni di trasporto è mostrato in Figura 2. Nel malatocritico con elevato stress ossidativo una funzione rilevante dell’albumina è la neutralizza-zione di composti tossici quali i radicali dell’ossigeno e i perossinitriti, in quanto l’albu-mina è la maggiore fonte extracellulare dei gruppi sulfidrilici (-SH) antiossidanti, in gra-

Figura 2. Principali molecole endogene trasportate dall’albumina: ormoni (steroidi e tiroidei), ioni

(calcio-Ca2+; rame-Cu2+), bilirubina, acidi grassi a catena lunga, fosfolipidi e aminoacidi (cisteina-

Cys; triptofano-Trp).

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do anche di legare l’NO63. Questo composto, largamente prodotto durante l’infiamma-zione, provoca vasodilatazione e incrementa la produzione di radicali dell’ossigeno. Poi-ché la molecola agisce solo allo stato gassoso, il legame con l’albumina SH-NO è fonda-mentale, sia per la sua neutralizzazione sia, putativamente, per il suo rilascio. L’interazio-ne albumina-NO è quindi di notevole importanza nella regolazione del tono vascolare,sia in condizioni fisiologiche sia in condizioni di sepsi o di aumentata produzione distret-tuale di NO (sindrome epatorenale)64. L’albumina sembra inoltre partecipare alla regolazione della permeabilità endoteliale invitro65,66, anche se manca un’evidenza di questi effetti nell’uomo67. La concentrazione di albumina è importante quando si somministrino farmaci ad eleva-ta affinità di legame. In presenza di ipoalbuminemia68 si è osservata tossicità da farmaci. L’azione tampone dell’albumina, legata ai 16 residui imidazolici dell’istidina, è verosimil-mente molto importante nello spazio extravascolare. Ciò che è importante non è tanto ilvalore di pH in assoluto, ma la velocità di variazione nel tempo. È possibile che questafunzione dell’albumina, peraltro unica proteina nello spazio extravascolare con azione di“tampone”, contribuisca a minimizzare effetti potenzialmente dannosi di riduzione di pHin tutte le condizioni in cui deficit energetici cellulari, con acidosi lattica, si possono ve-rificare (sepsi, insufficienza cardiaca, ecc.).

REGOLAZIONE DEL VOLUME DEI FLUIDI CORPOREI

La regolazione dei volumi è un processo essenziale per il mantenimento del milieu inte-rieur, come riconosciuto da Claude Bernard a metà dell’800. Le variabili indipendentiche possono perturbare il sistema sono tre: variazioni della forza contrattile e frequenzacardiaca, variazioni delle resistenze vascolari arteriose o venose, totali/distrettuali, varia-zioni di volume intravascolare. Esempi paradigmatici di queste condizioni sono, rispetti-vamente, l’insufficienza cardiaca, la sepsi severa e la sindrome epatorenale e infine ipovo-lemia ed emorragia. La risposta omeostatica è tipica dei sistemi “caotici” caratterizzati daridondanza della risposta, da un cross-talking fra i vari mediatori e da differenti rispostenel tempo e nello spazio69. Il quadro concettuale è simile alla risposta infiammatoria “cao-tica” a seguito di sepsi70.

Stimoli, segnali e rispostaInsufficienza cardiaca, diminuzione di resistenze vascolari e ipovolemia (variabili indipen-denti) causano una diminuzione di pressione (variabile dipendente) che attiva i barocet-tori centrali. Questi innescano la risposta omeostatica atta a ristabilire pressione e volu-me (Figura 3).

Luciano Gattinoni et al.

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Sistema caotico: ridondanza della rispostaLa risposta è mediata da quattro principali vie. La prima è quella della vasopressina71.Questo ormone è sintetizzato nei neuroni magnocellulari dei nuclei sopraottico e para-ventricolare dell’ipotalamo e trasportato nell’ipofisi posteriore dove viene accumulato.

Albumina negli stati acuti: espansore di volume o farmaco?

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Figura 3. Rappresentazione schematica della regolazione dei fluidi corporei riadattata e ampliata

da Schrier e Ecder80. Evidenziati, nei vari passaggi, i possibili interventi farmacologici di “correzio-

ne”. NO = ossido nitrico. Per dettagli vedi testo.

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Viene quindi rilasciato in risposta alla stimolazione dei barocettori (diminuita pressioneo diminuito volume) e, mediante legame con i recettori V1 sulle cellule muscolari vasco-lari lisce, esercita una potente azione vasocostrittrice. È importante notare che la vasopres-sina, nota anche come ormone antidiuretico, viene rilasciata a seguito di minime varia-zioni dell’osmolarità plasmatica (1-2 mOsmoli). In questo caso la vasopressina, agendosui recettori V2 dei tubuli collettori renali, stimola il riassorbimento di acqua libera. La stimolazione di barocettori induce anche una stimolazione del sistema simpatico conrilascio, da parte dei neuroni, di noradrenalina con potente azione vasocostrittrice. La sti-molazione simpatica e l’eventuale ipotensione arteriosa renale stimolano il rilascio di re-nina da parte del rene72. La renina agisce su una proteina circolante di produzione epati-ca, l’angiotensinogeno, con produzione del decapeptide angiotensina 1. L’enzima di con-versione, presente principalmente nell’endotelio polmonare, degrada l’angiotensina 1 al-l’octopeptide angiotensina 2. Questa ha una potente azione vasopressoria e stimola il ri-lascio di aldosterone dalla corteccia surrenale. L’aldosterone, a sua volta, massimizza il ri-assorbimento di sodio nei tubuli renali. L’insufficienza cardiaca, lo shock emorragico e lo shock settico inducono l’attivazione diun altro potente vasocostrittore, l’endotelina. Questo peptide vasoattivo viene sintetizza-to principalmente nelle cellule endoteliali, immagazzinato in vescicole e rilasciato in di-verse condizioni di stress, fra cui ipossia, forze di attrito vascolari e angiotensina 2. L’en-dotelina, su base molare, è un vasocostrittore 100 volte più potente della noradrenalina e10 volte più potente dell’angiotensina 273. La “ridondanza” della risposta è evidente: vasopressina, noradrenalina, angiotensina 2 edendotelina hanno, complessivamente, la stessa azione sulle resistenze vascolari.È inoltre da notare che contemporaneamente al rilascio di vasocostrittori viene incremen-tato il rilascio di anticostrittori, quali dopamina, prostaglandina e NO. Tuttavia il bilan-cio complessivo è quello di una vasocostrizione associata a ritenzione di acqua (vasopres-sina) e di sodio.

Sistema caotico: cross-talkingPer cross-talking si intende l’interazione fra i vari mediatori implicati nella risposta. La va-sopressina, ad esempio, potenzia la sensibilità della vascolatura ad altri vasopressori, qua-li la noradrenalina74. L’angiotensina 2 stimola il rilascio di vasopressina e facilita il rilasciodi noradrenalina dalle terminazioni nervose simpatiche inibendone il re-uptake. Essa sti-mola, inoltre, la produzione di endotelina. L’NO, a sua volta, inibisce l’espressione di en-dotelina75 ma, d’altro canto, media alcuni effetti paradossi della vasopressina (azione va-sodilatatrice in alcuni distretti)76,77. Tuttavia, è necessario osservare che molti dei dati di-sponibili sulle varie interazioni sono stati ottenuti o in culture cellulari o in preparazionianimali ad hoc con risultati non immediatamente trasferibili all’uomo.

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Sistema caotico: effetti nel tempo e nel luogoGli effetti nel tempo possono essere diversi. La vasopressina, immagazzinata in vescicole,viene immediatamente rilasciata e la sua concentrazione risulta molto elevata negli stadiiniziali di perturbazione del sistema e tende successivamente a normalizzarsi, come osser-vato in caso di sepsi78. Analoga osservazione può essere fatta per l’endotelina. Il tipo di recettori e la loro distri-buzione nei vari distretti condizionano enormemente la risposta omeostatica. Ad esem-pio l’angiotensina 2 produce effetti differenti e a volte opposti a seconda del recettore acui si lega, AT1 o AT2

79. Pur con tutti i limiti insiti nello studio di un sistema caotico l’ipotesi unificante descrit-ta da Schrier e Ecder80, per quanto riguarda l’insufficienza cardiaca e la cirrosi, può esse-re estesa a tutti gli stati in cui vengano attivati in modo acuto o cronico i barocettori (Fi-gura 3). In sostanza la risposta omeostatica tende al reintegro di pressione (vasocostritto-ri) e volume (ritenzione di acqua e sodio). Delle varie condizioni che attivano la risposta omeostatica di regolazione del volume, duesono particolarmente frequenti nel paziente critico: l’ipovolemia assoluta (emorragie inter-ne o esterne, trauma, interventi chirurgici maggiori) e relativa (sepsi severa e shock settico).

Rimpiazzo volemicoPer rimpiazzo volemico si intende il “di più” di volume necessario a compensare un’ipo-volemia assoluta o relativa. I possibili liquidi di rimpiazzo si possono dividere in due gran-di categorie: cristalloidi e colloidi. Il cristalloide classico è la soluzione “salina” 150 mEqdi sodio e 150 mEq di cloro, in cui la differenza in ioni forti Na+ e Cl- è uguale a zero.Esistono soluzioni saline con differenza in ioni forti più simili a quelle del plasma (40-42mEq/L) che, a differenza della soluzione fisiologica, non producono acidosi se infuse inquantità >1/1.5 L81. Fra i colloidi disponibili vi sono:

• i destrani, polimeri di glucosio prodotti da batteri che crescono in medio contenentesucrosio, peso molecolare 40-70 kDa;

• le gelatine, polipeptidi prodotti dalla degradazione del collagene bovino;

• idrossietilamidi, polimeri di glucosio in cui i gruppi idrossidi, legati al carbonio 2 e 6del glucosio, vengono sostituiti da gruppi idrossietilenici. Più elevato è il peso moleco-lare, la quantità dei gruppi idrossietilici e la dislocazione in C2 e in C6, più lenta la de-gradazione del polimero da parte dell’amilasi plasmatica;

• fra le soluzioni colloidali per rimpiazzo volemico è considerata l’albumina al 4%.Per quanto riguarda l’efficacia del rimpiazzo è da notare che per litro di cristalloidi infu-si solo circa un terzo rimane in circolo. Per quanto riguarda i destrani, le gelatine, gli idros-sietilamidi il rapporto fra infusione e permanenza in circolo è circa 1/1, mentre pare leg-germente superiore per quanto riguarda l’albumina al 4%. La differenza di distribuzione

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intra/extravascolare tra cristalloidi e colloidi è ovviamente legata al differente potere on-cotico. Inoltre è opportuno sottolineare che l’albumina, come precedentemente descrit-to, non ha semplicemente funzioni oncotiche, ma numerose altre funzioni fisiologiche,di potenziale rilevanza nella risposta omeostatica alla riduzione di volume assoluta o re-lativa, e alla risposta infiammatoria spesso ad essa associata. Abbiamo considerato finora i liquidi usati per “rimpiazzo” volemico. Per quanto riguar-da i colloidi, a seconda della loro concentrazione, possono essere considerati anche come“espansori di plasma”. In questo caso l’aumento di pressione colloido-osmotica plasma-tica induce un richiamo di acqua dal compartimento interstiziale e intracellulare con con-seguente espansione del volume plasmatico, osservabile anche in pazienti settici82. Nel-l’analisi di differenti lavori che riguardano l’uso di albumina, sia come rimpiazzo volemi-co sia come “espansore di plasma” è importante considerare le concentrazioni di albumi-na usate e i tempi di somministrazione. L’infusione di albumina al 5% o al 25%, con osenza soluzione fisiologica, non sono facilmente paragonabili, sia per quanto riguarda iloro effetti colloido-osmotici sia i potenziali effetti “farmacologici”.

USO CLINICO DELL’ALBUMINA

Ipoalbuminemia e prognosiLa ragione principale per il largo impiego di albumina è stata l’evidente e forte associa-zione fra ipoalbuminemia e mortalità nei più vari scenari clinici, in malati acuti e croni-ci, giovani e anziani3,83,84. In una recente metanalisi l’associazione fra ipoalbuminemia (albumina <34 g/L) e mor-talità è stata analizzata in 90 studi osservazionali di coorte che includevano complessiva-mente 291 433 pazienti critici85. L’ipoalbuminemia è risultata un indipendente preditto-re di mortalità, dose-dipendente. Il rischio relativo di mortalità (odds ratio) per ogni 10g/L di diminuzione della concentrazione di albumina aumentava del 137%. Non solo lamortalità, ma anche la morbilità (89%), la lunghezza di degenza in Terapia Intensiva(28%) e la permanenza in ospedale (71%), aumentavano al diminuire delle concentra-zioni di albumina. Quindi, è comprensibile come l’albumina sia stata ampiamente usatae perché i medici siano riluttanti a negarne la somministrazione in caso di grave ipoalbu-minemia. Peraltro non è sorprendente la forte associazione fra mortalità e ipoalbumine-mia, in quanto questa si osserva generalmente in patologie di notevole gravità. L’ipoalbu-minemia, infatti, deriva dalla presenza o dall’associazione di gravi alterazioni fisiopatolo-giche: 1) deficit di produzione, 2) ritenzione di acqua-elettroliti (tutte le condizioni ca-ratterizzate da diminuito volume circolante effettivo), 3) alterata permeabilità endotelia-le (quale nella sepsi).

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Somministrazione di albumina e prognosiIl vero problema è se il rapporto ipoalbuminemia e mortalità sia semplicemente un’asso-ciazione o un rapporto causa/effetto. In tal caso, la somministrazione di albumina dovreb-be migliorare la sopravvivenza. La revisione critica sull’uso di albumina è iniziata dopo la pubblicazione del rapporto delgruppo Cochrane sul British Medical Journal nel 19982. Tale metanalisi (32 trial, 1419pazienti) esaminava gli effetti dell’albumina sulla mortalità in pazienti critici, arruolati instudi randomizzati e controllati, rispetto ai cristalloidi e al trattamento privo di albumi-na o con albumina a basse dosi. In tale metanalisi non si sono osservate differenze di mor-talità nei trial in cui l’albumina veniva somministrata in caso di ipovolemia da chirurgiao trauma, mentre la mortalità era significativamente superiore nei pazienti ustionati trat-tati con albumina. Raggruppando le tre indicazioni il risultato complessivo indicava unamortalità significativamente superiore nel gruppo trattato con albumina. L’impatto diquesta metanalisi sulla comunità di Terapia Intensiva è stato dirompente e, particolar-mente in alcuni paesi, l’uso di albumina è stato drasticamente ridotto86. La rassegna Coch-rane ha, d’altro canto, suscitato reazioni e critiche, sostanzialmente basate sui criteri di se-lezione dei lavori (alcuni “a favore” dell’albumina non sono stati considerati), l’eteroge-neità dei pazienti studiati, e il limitato numero di trial di numerosità consistente (solo trestudi analizzati includevano più di 100 pazienti). Per di più, solo 6 trial su 32 avevanocome obiettivo la mortalità. Il trattamento con albumina era notevolmente variabile (cri-teri di somministrazione, concentrazione, durata) e i gruppi controllo venivano trattaticon differenti soluzioni (diversi tipi di colloidi e/o cristalloidi). Usando gli stessi “ampi criteri di selezione”, cioè selezionando i lavori indipendentemen-te dalla popolazione dei malati e dall’obiettivo finale, una successiva metanalisi del 2001(55 trial, 3504 pazienti) concludeva che la somministrazione di albumina era sicura an-che se ininfluente sulla mortalità complessiva87. Le due metanalisi erano concettualmen-te simili come impostazione e metodo, ma le conclusioni differenti. Dato che in ogni me-tanalisi i trial sono selezionati con criteri in parte arbitrari è difficile cancellare la sensa-zione che i risultati finali riflettano più i “desideri” degli autori che la realtà. Questa, d’al-tronde, è tanto complessa e gli studi talmente disparati che è difficile accettare le meta-nalisi come strumento che provveda “certezze”. Nel 2003 un’ulteriore metanalisi analizzava 9 trial prospettici randomizzati in pazienticritici ipoalbuminemici (535 pazienti), con l’obiettivo di testare l’efficacia dell’albuminasul miglioramento delle varie funzioni d’organo85. Un forte trend è stato osservato a fa-vore dell’albumina (odds ratio 0.74) che, tuttavia, non raggiungeva la significatività. Tut-tavia si è osservata una significativa correlazione tra complicanze e livelli di albumina rag-giunti (livelli di albumina riportati in 8 su 9 trial analizzati). Nei 5 studi in cui il livellodi albumina era >30 g/L le complicanze erano meno frequenti nei trattati che nei con-

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trolli, il contrario nei 3 studi in cui il livello di albumina era <30 g/L. Tuttavia questa me-tanalisi, come le precedenti, soffre dei medesimi limiti di eterogeneità della popolazionee di criteri di selezione. In sommario, delle più importanti metanalisi pubblicate sull’uso clinico dell’albumina,sostanzialmente la prima era a sfavore, la seconda neutra e la terza a favore. Interessantile conclusioni testuali degli autori. La prima2: “Non esiste evidenza che la somministra-zione di albumina riduca la mortalità nei pazienti critici con ipovolemia, ustioni, ipoal-buminemia, ma una forte indicazione che aumenti la mortalità”. Per la seconda rassegna87

la conclusione era: “I nostri risultati supportano la sicurezza dell’albumina”; per la terza85:“Al momento non vi è ragione per non somministrare albumina se clinicamente appro-priato”. Tre differenti conclusioni basate sull’analisi di lavori, in buona parte, comuni.Per chiarire i risultati contraddittori delle metanalisi, 16 Terapie Intensive (Australia, Nuo-va Zelanda) hanno condotto uno studio prospettico randomizzato (SAFE) in doppio cie-co di confronto fra albumina 4% e fisiologica (NaCl 0.9%) nel rimpiazzo/espansione vo-lemica di pazienti critici ricoverati in Terapia Intensiva (7000 pazienti consecutivi)88.Obiettivo primario era quello di verificare se vi fossero differenze di mortalità a 28 gior-ni fra trattati e controlli. La popolazione studiata è stata, quindi, “generale”, con pazien-ti “medici” e “chirurgici”. Le quantità infuse e la velocità di somministrazione venivanodecisi dai curanti secondo il quadro clinico e la risposta al trattamento. I fluidi sommini-strati per compensare le perdite tramite sudorazione, evaporazione, ecc., venivano calco-lati separatamente. La mortalità a 28 giorni è stata inoltre esaminata in sei sottogruppipredefiniti in base alla presenza o assenza di trauma, sepsi o sindrome da disturbi respi-ratori. Nei primi 2 giorni nel gruppo controllo sono stati infusi più liquidi, il bilancioidrico è stato più positivo, mentre la pressione venosa centrale è stata superiore e la con-centrazione di albumina più elevata nel gruppo trattato con albumina. Mortalità, lun-ghezza di degenza, insufficienza di organo sono risultate equivalenti fra i due gruppi. Que-sto studio, quindi, ha inequivocabilmente dimostrato che l’albumina 4%, in una popo-lazione “generale” di Terapia Intensiva, usata per rimpiazzo/espansore volemico non pre-senta vantaggi rispetto alla soluzione fisiologica. Lo studio SAFE supera alcuni dei problemi presenti nella metanalisi, quali adeguato nu-mero di pazienti, accurata randomizzazione, uniformità di dosaggio e di somministrazio-ne. Sfortunatamente, alcuni problemi sostanziali non sono stati risolti. La popolazione èeterogenea, la gravità dei pazienti modesta (più del 55% non presentavano insufficienzadi organo e il 30% una sola insufficienza di organo). La quantità di liquidi di rimpiazzoè stata modesta (1-1.5 l in prima giornata, inferiore nelle giornate successive). Per di piùsono stati esclusi pazienti in cui il trattamento di albumina è ritenuto efficace, quali gliustionati, i pazienti in cardiochirurgia e i pazienti post-trapianto epatico. L’analisi dei sot-togruppi, peraltro, offre spunti di riflessione. I pazienti con sepsi grave trattati con albu-

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mina tendevano ad una migliore sopravvivenza (p = 0.09), mentre quelli con trauma, inparticolare con trauma cranico, tendevano a una mortalità più elevata (p = 0.06). Quin-di, è molto probabile che la tipologia di pazienti sia cruciale nella scelta dei liquidi di rim-piazzo. Questo è sottolineato da una recente ampia revisione critica (non una metanalisiquantitativa) che ha analizzato i possibili benefici clinici dell’albumina rispetto ad altrifluidi di rimpiazzo in pazienti acuti affetti da specifiche patologie89. Sono stati identificati 79 trial randomizzati e controllati, in cui l’albumina veniva con-frontata con cristalloidi, colloidi o albumina a basse dosi in diverse situazioni cliniche. Irisultati sono riassunti in Tabella 2.

ALBUMINA, RIMPIAZZO VOLEMICO O FARMACO?

Crediamo sia impossibile, allo stato attuale, trarre conclusioni definitive sull’uso dell’al-bumina. Vi sono tuttavia alcuni dati che possiamo considerare certi. L’albumina è la pro-teina maggiormente prodotta dal fegato, con funzioni che trascendono il potere oncoti-co. L’ipoalbuminemia è associata in modo dose-dipendente con la mortalità. Sfortunata-mente, l’albumina è stata prevalentemente studiata nell’uomo come sostituto plasmaticoper il rimpiazzo volemico. Ovviamente l’effetto volume, per sé, a parità di incremento di

Albumina negli stati acuti: espansore di volume o farmaco?

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Tabella 2. Revisione critica dei vantaggi della somministrazione di albumina89.

Scenario N. N. Range Vantaggi dell’albumina

clinico trial pazienti

Cardiochirurgia 31 1559 14-105 Minor richiesta di fluidi intra-post-operatori, mi-

glior gradiente fra COP e WP

Ascite 10 942 18-289 Albumina con paracentesi diminuisce complica-

zioni, attivazione sistema renina-angiotensina.

Migliore emodinamica post-paracentesi. Diminu-

zione degenza/costi. Riduzione mortalità (con ce-

fotaxime) in pazienti con peritonite spontanea

Sepsi 4 104 12-46 Riduzione edema polmonare. Migliore coagula-

zione

Ustioni 4 197 19-79 Riduzione complicazioni

Sistema nervoso 4 418 18-300 Riduzione disabilità, riduzione edema

centrale cerebrale in neonati asfittici. Attenzione nel trau-

ma con ipertensione cronica

COP = pressione colloido-osmotica; WP = pressione polmonare di incuneamento.

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volume intravascolare, è identico per albumina, colloidi e cristalloidi. Sia complicazionisia vantaggi, a parità di volume intravascolare, dipendono dalle proprietà dei compostiinfusi. Per quanto riguarda i cristalloidi i possibili svantaggi sono rappresentati dalla mag-giore quantità di liquidi da infondere per raggiungere un effetto volume pari all’albumi-na o ai colloidi artificiali.Quindi maggior edema e guadagno di peso. In particolari situazioni cliniche (ritenzionedi acqua e sodio) gli effetti possono essere clinicamente rilevanti. La quantità di colloidida infondere per raggiungere un certo riempimento vascolare sono simili fra albumina ecolloidi. Questi ultimi, a differenza dell’albumina, possono indurre alterazioni della co-agulazione, principalmente a causa dell’assorbimento del complesso fattore VIII/fattoredi von Willebrand con successiva alterazione dell’aggregazione piastrinica. Gli effetti deivari colloidi sulla coagulazione sono stati rivisti recentemente90. Giova ricordare che inmolte occasioni il rimpiazzo volemico è necessario dopo emorragie in interventi maggio-ri, in particolare in cardiochirurgia. In queste condizioni particolare attenzione va ovvia-mente posta al mantenimento di una normale coagulazione. Fra i colloidi l’albumina ap-pare più sicura per questo aspetto91. Quindi i possibili vantaggi dell’albumina risiedono non tanto nell’effetto volume, ma nel-le minori complicazioni (edema, coagulazione) e in vantaggi “farmacologici”, non legatialle sue funzioni oncotiche. Negli studi umani questi possono essere ipotizzati indiretta-mente, in quanto l’albumina è stata studiata per il suo effetto volume. È tuttavia signifi-cativo che, ad esempio nei pazienti cirrotici/ascitici, dopo paracentesi, l’albumina sia ri-sultata significativamente migliore rispetto ai colloidi artificiali92,93. La capacità tamponedell’albumina sul turnover dell’NO deve essere indagata. Nella sepsi le funzioni non on-cotiche dell’albumina possono giocare un ruolo rilevante, sia nel metabolismo dell’NO,sia nell’equilibrio acido-base, sia nell’azione antiossidante. Sia lo studio SAFE, che alcu-ne metanalisi indicano un trend favorevole nell’uso dell’albumina nella sepsi. Sfortuna-tamente questi studi “suggeriscono” soltanto, in quanto disegnati per altri scopi (rimpiaz-zo volemico). Peraltro, quando l’albumina è stata studiata in culture cellulari o in model-li animali per i suoi effetti “non oncotici”, i risultati sono stati più che incoraggianti. L’al-bumina è apparsa di beneficio nella diminuzione del burst ossidativo94, permeabilità en-doteliale66 e prevenzione di danni di riperfusione83,95. Nell’era dell’evidenza clinica possiamo affermare che per un normale rimpiazzo volemi-co, in malati moderatamente critici, l’albumina non è necessaria. Ma altre situazioni spe-cifiche meritano un approfondimento. Occorre ricordare altri esempi in cui un farmaco“bandito” è stato successivamente pienamente rivalutato: il cortisone nello shock settico,la noradrenalina, il trattamento dei malati critici con l’obiettivo di normalizzare la satu-razione venosa mista di ossigeno al 70%. Applicati alla popolazione “generale”, a tempidifferenti, questi approcci risultavano inutili96,97. Negli ultimi anni, in base a studi più

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specifici che tenevano in conto le caratteristiche specifiche dei pazienti e i tempi di som-ministrazione, sono divenuti parte integrante del trattamento clinico98,99. Per l’albumina,uno dei più “vecchi” farmaci disponibili, è probabilmente necessario lo stesso processo.Non solo volume, ma farmaco.

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CAPITOLO 2

L’ALBUMINA 60 ANNI DOPO:EVIDENZE E PROSPETTIVE.

DALLA FISIOLOGIA ALLA CLINICA

Luigi Bolondi, Gabriele Donati, Fabio Piscaglia, Luigi Colì, Sergio Stefoni

INTRODUZIONE

L’albumina è la proteina plasmatica più abbondante dell’organismo umano costituendo dasola circa il 55% del contenuto proteico totale plasmatico1. Essa è formata da una singola ca-tena polipeptidica di 585 aminoacidi con un peso molecolare di 66 500 Da (Figura 1), sin-tetizzata interamente dal fegato e secreta direttamente in circolo senza essere immagazzina-ta, per una quantità totale di circa 12-25 g/die2. Il contenuto totale di albumina è di 3.5-5.0g/kg-1 (250-350 g per un adulto sano di 70 kg) di cui circa il 42% si trova nel compartimen-to intravascolare3.Ogni molecola di albumina ha una vita media di 27 giorni e in questo lasso di tempo effet-tua circa 15 000 passaggi nella circolazione, durante i quali esplica le sue funzioni di regola-zione della pressione oncotica plasmatica e dell’equilibrio acido-base, di trasporto e di sca-venger, accumulando progressive alterazioni in parte dovute a ligandi che resistono alla rimo-zione (Tabella 1).La sintesi dell’albumina avviene pressoché esclusivamente ad opera degli epatociti per tra-scrizione di un unico gene specifico localizzato a livello del cromosoma 4.Numerose sostanze esplicano una funzione di controllo a livello trascrizionale: tra esse,alcune citochine caratteristiche della reazione di fase acuta, come l’interleuchina-6 e il fat-tore di necrosi tumorale-� (TNF-�), inducono una down-regulation, mentre alcune so-stanze ormonali, come l’insulina, l’ormone della crescita, il fattore di crescita epatocita-rio e il fattore di crescita epidermico inducono una up-regulation.Il precursore intracellulare dell’albumina è denominato proalbumina per la presenza diun peptide terminale (propeptide) composto di 6 aminoacidi che viene rimosso dall’en-zima convertasi prima della dismissione dell’albumina matura dall’epatocita.

FUNZIONI DELL’ALBUMINA

Regolazione della pressione oncoticaLo scambio dei liquidi tra compartimento intravascolare ed extravascolare è sostanzial-

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mente regolato dal livello di pressione idrostatica e oncotica e dal grado di permeabilitàdella membrana dei capillari.L’albumina gioca un ruolo fondamentale in questo equilibrio in quanto è normalmenteresponsabile di circa l’80% della pressione oncotica plasmatica (25-33 mmHg) in virtù

Luigi Bolondi et al.

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Figura 1. Struttura molecolare dell’albumina. Sono evidenziati i differenti domini. Fonte sito web

NIH.

Tabella 1. Le principali funzioni fisiologiche dell’albumina.

• Regolazione della pressione oncotica del plasma

• Regolazione dell’equilibrio acido-base

• Trasporto di composti organici, metabolici e farmaci

• Protezione da tossine esogene

• Regolazione della coagulazione

• Azione sull’integrità del microcircolo e permeabilità capillare

• Azione antiossidante

• Reservoir extracellulare gruppi sulfidrilici

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del suo elevato peso molecolare e della sua alta concentrazione4, nonostante il suo pesomolecolare sia inferiore rispetto alla maggioranza delle proteine sieriche (66.5 kDa rispet-to ad una media delle globuline sieriche di 170 kDa).Due terzi di questa pressione sono dovuti ad un effetto osmotico diretto, mentre la re-stante parte è dovuta alla carica negativa netta propria delle proteine plasmatiche che ten-de a ritenere nel comparto intravascolare le molecole con carica positiva (effetto di Gibbs-Donnan)5.

Regolazione dell’equilibrio acido-baseL’albumina contiene numerosi residui di istidina che possiede una costante di dissocia-zione acida (pKa) di circa 7.4 e quindi molto simile al pH plasmatico. Ciò la rende unottimo tampone plasmatico potendo donare cariche positive in caso di alcalosi e carichenegative in caso di acidosi. L’albumina condivide la capacità di regolazione dell’equilibrioacido-base con l’emoglobina, anche se quest’ultima sembra essere più efficiente6.In condizioni fisiologiche circa il 60% degli anioni plasmatici non misurabili (anion gap)è costituito dalle proteine plasmatiche e di questo la metà è imputabile all’albumina. Incaso di ipoalbuminemia vi sarà quindi una riduzione dell’anion gap con la comparsa diun’alcalosi metabolica. Si calcola che per ogni riduzione dell’albumina di 1 g/dL l’aniongap diminuisca di 3 mEq/L e i bicarbonati plasmatici aumentino di 3.5 mM/dL7.È molto importante considerare il livello di albumina in un paziente con acidosi meta-bolica in quanto un’ipoalbuminemia potrebbe mascherare un aumento dell’anion gap e,quindi, portare a non considerare situazioni estremamente gravi come, ad esempio, l’aci-dosi lattica (tipica acidosi con anion gap aumentato).

Trasporto e protezione da tossine esogeneL’albumina è in grado di legare e trasportare una grande quantità di sostanze endogeneed esogene, esplicando anche funzioni protettive con il sequestro di sostanze tossiche. Trale sostanze più fortemente legate vi sono alcuni anioni organici idrofobici come gli acidigrassi a catena lunga, la bilirubina e l’ematina5. La bilirubina viene legata a livello dei si-ti di degradazione dell’emoglobina e viene trasportata al fegato per la successiva coniuga-zione ed escrezione biliare. Il legame con la bilirubina è proporzionale alle sue concentra-zioni. Tra le sostanze tossiche esogene sequestrate dall’albumina e rese innocue si possono cita-re il benzene, l’�-tossina G e il carcinogeno epatico N-sulfoxi-2-acetaminofluorene. Altri composti organici che sono trasportati dall’albumina sono gli acidi biliari, gli acidieicosanoidi, il rame, lo zinco, l’acido folico e l’ossido nitrico (NO)5. Per molti ormoni e vitamine (ad esempio tiroxina, vitamina D) esistono delle proteinecarrier specifiche e l’albumina funge solo da carrier secondario e terziario anche se, vista

L’albumina 60 anni dopo: evidenze e prospettive. Dalla fisiologia alla clinica

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Luigi Bolondi et al.

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la sua abbondanza, essa possiede comunque un’elevata capacità di trasporto. L’albumina,inoltre, sviluppa con queste molecole dei legami più deboli che ne permettono un rila-scio periferico più immediato. Una grande quantità di farmaci con caratteristiche molto diverse può essere trasportatadall’albumina grazie alla sua flessibilità e alla grande disponibilità dei siti di legame. Inparticolare il sito I è quello con maggiore affinità per diversi farmaci fra i quali il warfa-rin, i salicilati, la furosemide, la fenitoina, la clorpropamide e alcune penicilline. Il sito IIpresenta invece un’alta affinità per il triptofano, la tiroxina, le benzodiazepine e altri far-maci antinfiammatori non steroidei come l’ibuprofene e il ketoprofene8. Le proteine pla-smatiche, mediante i loro siti di legame, controllano la frazione libera dei farmaci e quin-di possono influenzarne in maniera importante la distribuzione, l’eliminazione, la farma-codinamica e la tossicità. Fattori che possono contribuire a modificare il legame farma-co-albumina sono l’età, la temperatura, il pH9 e la presenza di altre sostanze esogene oendogene che possono determinare uno spiazzamento del farmaco stesso.

Regolazione della coagulazioneSi suppone che l’albumina possieda, in certe condizioni ancora non ben definite, capaci-tà antitrombotica e anticoagulante. La prima sembra esplicarsi attraverso il legame conl’NO inibendone la rapida inattivazione e prolungandone l’effetto antiaggregante sullepiastrine10. La seconda sembra dovuta ad un’azione simil-eparina in virtù di una simila-rità nella struttura delle due molecole11.

Azione sull’integrità del microcircoloIniziali evidenze sperimentali supportano il ruolo dell’albumina nel mantenimento della nor-male permeabilità capillare. Mentre è ormai chiaro che l’albumina è essenziale in questo ti-po di funzione, i meccanismi con i quali essa si esplica non sono ancora stati elucidati.Sembra che l’albumina abbia un ruolo nel limitare l’aumento della permeabilità capilla-re in corso di infiammazione. La sua carica fortemente negativa potrebbe fungere da ele-mento respingente altre molecole cariche negativamente oppure potrebbe avere una fun-zione “occupazione spazio” riducendo così le dimensioni dei canali endoteliali12.

Azione antiossidanteIn condizioni fisiologiche l’albumina possiede un alto potere antiossidante in quanto es-sa è la maggiore fonte extracellulare dei gruppi sulfidrilici che sono avidi sequestratori diradicali liberi. L’albumina può, inoltre, limitare la produzione di radicali liberi in manie-ra indiretta legando il rame libero che è particolarmente importante nell’accelerare la pro-duzione di queste specie reattive10,13 o mediante il legame con la bilirubina che agisce pro-teggendo l’�-tocoferolo dal danno ossidativo.

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L’albumina 60 anni dopo: evidenze e prospettive. Dalla fisiologia alla clinica

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In cuori di ratti perfusi l’infusione di albumina diminuisce i livelli di perossido di idro-geno14. Essa può inoltre proteggere l’acido linolenico dal danno perossidativo14. Quinlan et al.15 hanno dimostrato che la somministrazione di albumina in pazienti consepsi aumenta in maniera significativa sia i livelli di albumina sia di gruppi sulfidrilici, maquesti ultimi rimangono a concentrazione plasmatica elevata più a lungo suggerendo cheessi possano essere scambiati dall’albumina con il plasma e che ciò possa influenzare mag-giormente lo stress ossidativo. Sembra, inoltre, che i gruppi sulfidrilici possano avere unruolo nella regolazione del potere antiossidante a livello trascrizionale16.

L’ALBUMINA IN MEDICINA

Cenni clinici

Albumina e malnutrizioneData la sua emivita relativamente lunga (27 giorni) l’albumina non è un buon marker dicambiamenti rapidi nello status nutrizionale, ma riflette molto bene uno stato di denu-trizione cronica. Inoltre, un diminuito apporto aminoacidico determina una ridotta sin-tesi di albumina che non si traduce immediatamente in un abbassamento dei livelli cir-colanti visto il concomitante richiamo nel comparto intravascolare dell’albumina extra-vascolare e del rallentamento della sua degradazione3. Oltre al deficit aminoacidico, l’ipoalbuminemia è dovuta anche alla diminuzione dell’ap-porto calorico che determina un’inibizione della secrezione insulinica con conseguenteeffetto catabolico sulle proteine plasmatiche per aumentare la disponibilità di aminoaci-di come fonte energetica3.Il kwashiorkor è considerato la forma più severa di malnutrizione proteica ed è tipico deipaesi in via di sviluppo in cui l’apporto aminoacidico è minimo. In questi pazienti è sta-to dimostrato che livelli di albumina particolarmente bassi sono il fattore predittivo dimorte più accurato rispetto al peso, allo spessore della plica tricipitale e alla presenza diedema.

Albumina e diabeteLa somministrazione di insulina aumenta l’uptake intracellulare di aminoacidi, stimolala trascrizione e la traduzione dell’acido ribonucleico e incrementa l’espressione dei geniper l’albumina e per altre proteine17. Come per altre proteine anche l’albumina è coinvolta nel processo di glicosilazione nonenzimatica, che consiste in un accoppiamento spontaneo del glucosio circolante alle pro-teine plasmatiche. Questo fenomeno varia in funzione della quantità di glucosio plasma-

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tico e del tempo di esposizione delle proteine ad esso. Può essere dimostrato in vitro conuna lunga incubazione dell’albumina (7-28 giorni) a 37°C ad alte concentrazioni di glu-cosio18. L’albumina glicosilata presenta un’emivita lievemente aumentata e sembra nonvariare le proprie caratteristiche fisiologiche, anche se alcuni studi hanno mostrato unaminore affinità per molecole quali la bilirubina e il triptofano. L’albuminuria che si viene lentamente ad instaurare nel paziente diabetico sembra esseredovuta alla glicosilazione dei glicosaminoglicani della membrana basale dei glomeruli re-nali i quali perdono parte della loro carica negativa e quindi riescono con più difficoltà acontrastare il passaggio dell’albumina19. La normale escrezione di albumina è <20 µg/min;per livelli compresi tra 20 e 200 µg/min si parla di microalbuminuria mentre a valori >200µg/min è presente una macroproteinuria. I pazienti con diabete mellito di tipo 2 con mi-croalbuminuria hanno una probabilità del 25% di sviluppare una nefropatia nel giro di15 anni ed un rischio di morte soprattutto per malattie cardiovascolari 7 volte maggiorerispetto ai soggetti normali20.

Albumina e neoplasieLa causa più importante di ipoalbuminemia nel paziente neoplastico è l’inibizione speci-fica dell’acido ribonucleico messaggero per l’albumina da parte del TNF-�21 che ne au-menta anche il passaggio transendoteliale diminuendone ulteriormente la concentrazio-ne plasmatica. Un altro importante fattore è la diminuita emivita, in quanto la neoplasia utilizza l’albu-mina, così come altre proteine plasmatiche, per la propria nutrizione22.

Albumina ed epatopatieNella maggior parte dei pazienti con cirrosi è presente un’ipoalbuminemia di diverso gra-do, anche se vi è una scarsa correlazione con la severità della malattia23. Oltre al deficit di sintesi epatica, che in qualche caso può essere minimo o addiritturaininfluente, possono indurre ipoalbuminemia l’espansione del compartimento intra- edextravascolare dovuta alla ritenzione idrosodica o il passaggio dell’albumina direttamen-te nella linfa drenata dallo spazio di Disse o nel liquido ascitico a causa delle caratteristi-che alterazioni microvascolari tipiche di questa malattia. Nella cirrosi alcolica sembra vi sia un effetto inibente diretto dell’alcol sulla secrezionedell’albumina24 e una diminuzione della sintesi da imputare prevalentemente al deficit diintroito calorico25.

Albumina e nefropatieCome già accennato, il glomerulo renale diviene più permeabile all’albumina in corso didiabete mellito. Una perdita massiva di proteine attraverso il glomerulo renale definisce

Luigi Bolondi et al.

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la sindrome nefrosica. In questa condizione la perdita giornaliera di albumina può varia-re da 10 mg ad oltre 10 g. Alla perdita si aggiunge anche un aumentato catabolismo al-l’interno dei tubuli renali che determina una significativa riduzione dell’emivita dell’al-bumina circolante. Il fegato non è in grado di compensare questa situazione e i livelli dialbumina circolante diminuiscono notevolmente (7-25 g/L). L’edema generalizzato è lamanifestazione clinica più comune.In corso di insufficienza renale cronica, con la progressiva diminuzione della filtrazioneglomerulare le proteine non vengono perse in grande quantità e i livelli sierici di albumi-na sono solo lievemente inferiori alla norma.

Aspetti prognosticiUna recente metanalisi condotta su 90 studi per un totale di 291 433 pazienti ha messoin evidenza il forte valore prognostico dell’ipoalbuminemia nel paziente acuto26. Infatti è stato visto che in presenza di patologie acute che richiedono trattamenti inten-sivi, ogni diminuzione della concentrazione di albumina di 10 g/L aumenta la probabi-lità di morte del 137%, la morbilità dell’89%, prolunga la durata del ricovero in terapiaintensiva e in ospedale rispettivamente del 28% e del 71% e aumenta il dispendio di ri-sorse economiche del 66%. L’associazione tra ipoalbuminemia e sfavorevole outcome èrisultato indipendente dallo stato nutrizionale e infiammatorio (Figura 2)26. Anche in studi condotti su pazienti non critici l’albumina ha confermato il suo elevatovalore prognostico. Gillum e Makuc27 hanno riportato un’incidenza doppia di malattiacoronarica in pazienti maschi con livelli di albumina <44 g/L. In uno studio condotto su2300 pazienti di età >50 anni per ogni diminuzione del livello di albuminemia di 3.5 g/L(1 DS) la probabilità relativa di morte aumentava del 24% anche correggendo l’analisiper fattori come il fumo, il consumo di alcol e l’esercizio fisico3.Altri studi di tipo prognostico si sono concentrati su malattie specifiche non acute. Lamortalità e la morbilità sono fortemente predette dai livelli di albuminemia in pazientiambulatoriali affetti da linfoma di Hodgkin28, cirrosi biliare primitiva3, melanoma mali-gno29 o in dialisi peritoneale30.

IMPIEGO DELL’ALBUMINA NELLA PRATICA CLINICA

Sulla base dei principi fisiologici precedentemente descritti, l’albumina viene utilizzata indue gruppi di condizioni cliniche:

• condizioni acute in cui è necessaria un’espansione del volume e il mantenimento dellaportata: emorragie, ustioni, interventi chirurgici maggiori, traumi;

L’albumina 60 anni dopo: evidenze e prospettive. Dalla fisiologia alla clinica

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Luigi Bolondi et al.

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Figura 2. Ipoalbuminemia e mortalità nel paziente acuto. Questa metanalisi di 90 studi mette in

evidenza il forte valore prognostico indipendente dell’ipoalbuminemia in diverse condizioni clini-

che. IC = intervallo di confidenza; OR = odds ratio; PCR = proteina C reattiva; UTIC = unità di tera-

pia intensiva coronarica. Da Vincent et al.26, con il permesso dell’Editore.

Ospedalizzazione

Agarwal et al., 1988 Mortalità ospedaliera Entro 24 h dal ricovero 1.30 1.06-1.58 2.7

Biadé et al., 1989 Mortalità Diagnosi 1.37 1.01-1.85 2.5

Cherng et al., 1991 Mortalità a 2 anni Pre-trattamento 2.58 1.47-4.52 1.8

Hermann et al., 1992 Mortalità Entro 48 h dall’ospedalizzazione 3.70 3.19-4.30 2.8

Ferguson et al., 1993 Mortalità a 90 gg 3-6 gg dopo il ricovero 5.90 2.39-14.6 1.1

Espinosa et al., 1995 Mortalità Basale 3.17 1.60-6.32 1.5

McCluskey et al., 1996 Mortalità in UTIC Ricovero in UTIC 1.06 1.01-1.11 2.9

Gariballa et al., 1998 Mortalità Durante l’ospedalizzazione 2.57 1.13-5.84 1.3

Incalzi et al., 1998 Mortalità Ricovero 1.79 1.09-2.96 2.0

Axdorph et al., 2000 Morte per malattia di Hodgkin Pre-trattamento 2.84 1.06-7.65 1.0

Rozzini et al., 2001 Mortalità a 6 mesi 1 g dopo il ricovero 1.43 0.51-4.00 0.9

Walter et al., 2001 Mortalità a 1 anno Ricovero 1.74 1.64-1.84 2.9

Totale 2.02 1.52-2.70 23.5

Chirurgia cardiaca

Rady et al., 1997 Mortalità ospedaliera Preoperatoria 2.30 1.19-4.44 1.6

Ryan et al., 1997 Mortalità ospedaliera Dopo 14 gg in UTIC 2.59 1.58-4.25 2.0

Rady et al., 1998 Mortalità Preoperatoria 6.01 1.84-19.6 0.8

Engelman et al., 1999 Mortalità a 30 gg Preoperatoria 1.32 1.06-1.64 2.7

Bashour et al., 2000 Mortalità postoperatoria Preoperatoria 2.24 1.74-2.87 2.6

Totale 2.16 1.47-3.16 9.7

Chirurgia non cardiaca

Altomare et al., 1990 Mortalità Non specificato 2.16 0.96-4.85 1.3

Guijarro et al., 1996 Mortalità Media durante il periodo di studio 3.85 2.32-6.38 2.0

Pacelli et al., 1996 Mortalità Preoperatoria 4.11 1.76-9.59 1.2

Hedstrom et al., 1998 Mortalità a 1 anno Ricovero 4.03 1.76-9.23 1.2

Becker et al., 1999 Mortalità Post-trapianto 5.56 0.43-72.4 0.2

Gibbs et al., 1999 Mortalità a 30 gg Preoperatoria 2.27 2.10-2.46 2.9

Scott et al., 2001 Mortalità a 28 gg Preoperatoria 2.94 1.55-5.59 1.6

Totale 2.80 2.18-3.58 10.4

Disfunzione renale

Lowrie e Lew, 1990 Mortalità Media durante il trattamento 5.87 4.93-6.99 2.8

USRDS, 1992 Mortalità All’inizio dello studio 1.33 1.20-1.46 2.9

Goldwasser et al., 1993 Mortalità Basale 7.69 4.30-13.8 1.8

Owen et al., 1993 Mortalità Media per 4 mesi prima dello studio 3.26 2.71-3.93 2.8

Collins et al., 1994 Mortalità Media 3.35 2.01-5.59 1.9

Avram et al., 1995 Mortalità Basale 1.78 0.57-5.49 0.8

Lowrie et al., 1995 Mortalità <3 mesi prima e durante lo studio 4.27 1.80-10.2 1.2

Avram et al., 1996 Mortalità Arruolamento 8.09 5.73-11.4 2.4

Foley et al., 1996 Mortalità da ogni causa Basale 1.35 1.02-1.80 2.5

Iseki et al., 1996 Mortalità Iniziale 1.73 1.21-2.49 2.3

Bologa et al., 1998 Mortalità a 30 mesi All’inizio dello studio 3.06 1.34-7.06 1.2

Chertow et al., 1998 Mortalità a 60 gg Basale 1.37 0.96-1.96 2.4

Ifudu et al., 1998 Mortalità a 3 anni Basale 1.96 1.26-3.03 2.1

Leavey et al., 1998 Mortalità Entro 1 mese dall’inizio dello studio 1.48 1.34-1.65 2.9

Owen et al., 1998 Mortalità Media a 3 mesi prima dello studio 5.36 4.37-6.56 2.7

Owen e Lowrie, 1998 Mortalità a 6 mesi Basale 2.94 1.21-7.16 1.1

Obialo et al., 1999 Mortalità Ricovero 3.20 0.91-11.3 0.7

Ohashi et al., 1999 Mortalità All’inizio della CAPD 1.46 0.35-5.98 0.6

Zimmermann et al., 1999 Mortalità da ogni causa a 2 anni Basale 2.56 1.16-5.67 1.3

Chung et al., 2000 Mortalità All’inizio della CAPD 1.67 1.04-2.69 2.0

Sharma et al., 2000 Mortalità Primi 4 mesi di CAPD 4.18 1.54-11.4 1.0

Tanna et al., 2000 Mortalità Basale 1.67 1.23-2.26 2.5

Yeun et al., 2000 Mortalità da ogni causa Media a 3 mesi pre-misurazione PCR 1.15 0.58-2.29 1.5

Cueto-Manzano et al., 2001 Mortalità 1 settimana prima della CAPD 1.30 1.01-1.67 2.6

Kalantar-Zadeh et al., 2001 Mortalità a 12 mesi Pre-dialisi 7.21 2.47-21.0 0.9

Klassen et al., 2002 Mortalità a 1 anno Media a 3 mesi prima dello studio 3.03 2.81-3.27 2.9

Sezer et al., 2002 Mortalità Valutazione iniziale 4.17 1.41-12.3 0.9

Stefoni et al., 2002 Mortalità cardiovascolare Basale 2.19 2.17-2.21 2.9

Wong et al., 2002 Mortalità 45 gg prima dell’inizio della dialisi 1.47 1.16-1.86 2.6

Totale 2.48 2.11-2.91 56.4

Totale 2.37 2.10-2.68 100.0

Albumina elevata Albumina bassa

Studio Outcome Misurazione albuminuria OR IC Peso (%)

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• condizioni croniche caratterizzate da bassa albuminemia: cirrosi epatica in fase avanza-ta, sindrome nefrosica, denutrizione.

In entrambi questi gruppi di condizioni cliniche il razionale per l’uso dell’albumina è co-stituito essenzialmente dalla sua azione sulla pressione oncotica e sull’espansione volume-trica e dalla sua funzione regolatoria sull’equilibrio acido-base. Tali impieghi terapeutici so-no stati oggetto di numerosi studi e revisioni che, se nell’ambito delle patologie acute nonhanno ancora portato a posizioni unanimemente condivise31-34, nel caso delle complican-ze della cirrosi, e in particolare nella prevenzione della disfunzione circolatoria post-para-centesi35-37 e nel trattamento della sindrome epatorenale38 e della peritonite batterica spon-tanea39, hanno confermato il ruolo insostituibile della somministrazione di albumina. La capacità dell’albumina di agire come espansore plasmatico non è però probabilmentesufficiente a spiegare questa molteplicità di effetti positivi per cui sempre maggiore im-portanza si sta attribuendo alle funzioni di trasporto e di scavenger dell’albumina.

Impiego clinico delle funzioni di trasporto e scavenging dell’albuminaUn importante apporto all’approfondimento di queste funzioni dell’albumina e alla loroapplicazione nella pratica clinica sta venendo dal recente sviluppo di un sistema di emo-depurazione extracorporea chiamato “molecular adsorbent recirculating system” (MARS)che, grazie all’uso di una dialisi con albumina, è in grado di rimuovere sia le sostanze tos-siche legate ad essa sia quelle idrosolubili (Tabella 2). Il sistema è basato su un circuito in cui scorre albumina umana al 20% che permette didepurare, mediante il trasporto per gradiente di concentrazione attraverso una membra-na a piccoli pori, l’albumina plasmatica dalle sostanze che si vengono ad accumulare incorso di insufficienza epatica acuta.

L’albumina 60 anni dopo: evidenze e prospettive. Dalla fisiologia alla clinica

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Tabella 2. Sostanze rimosse mediante il “molecular adsorbent recirculating system”.

• Bilirubina*

• Ammonio

• Acidi biliari*

• Aminoacidi aromatici*

• Acidi grassi a catena corta e media*

• Rame

• Creatinina

• Urea

• Diazepam

• Interleuchina-6*

• Fattore di necrosi tumorale-�

* sostanze legate all’albumina.

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Il sistema MARS si è dimostrato attivo sulla depurazione di molte molecole, tra cui la bi-lirubina, gli acidi biliari, l’ammonio, l’NO e alcune citochine40,41. Attualmente esistono tre trial randomizzati42-44 che hanno testato l’efficacia di que-sto sistema di emodepurazione extracorporea nei pazienti con insufficienza epaticaacuta. Nel primo42 in 13 pazienti con sindrome epatorenale di tipo 1 è stata dimostrata una mor-talità significativamente inferiore nei pazienti sottoposti a MARS (100 vs 62.5% a 7 gior-ni e 75% a 30 giorni, p <0.01) rispetto ai casi trattati convenzionalmente. Nel secondo studio43 in cui erano stati arruolati 24 pazienti con insufficienza epatica acu-ta su epatopatia cronica la sopravvivenza a 30 giorni è risultata significativamente miglio-rata nei pazienti sottoposti a MARS (11/12 vs 6/11, p <0.05).Nel terzo44 si è vista la sostanziale stabilità del quadro emodinamico sistemico nei pazien-ti sottoposti a MARS indipendentemente dai fattori che si verificano durante una dialisiquali l’ipotermia. Le indicazioni attualmente accettate per la terapia con MARS sono le seguenti:

• insufficienza epatica fulminante;

• insufficienza epatica acuta su epatopatia cronica;

• “primary graft nonfunction”;

• insufficienza epatica post-resezione;

• prurito intrattabile.L’applicazione della terapia MARS è controindicata tutte le volte in cui vi sia l’impossi-bilità di sottoporre il paziente ad una circolazione ematica extracorporea a causa di emor-ragie in atto, coagulopatie o trombocitopenia severe, pressione arteriosa media <55 mmHg,sepsi severa che causa un’instabilità emodinamica. Il trattamento è, inoltre, controindi-cato allorché vi siano delle condizioni di comorbilità a prognosi infausta come neoplasie,pancreatite necrotizzante, insufficienza cardiopolmonare. Nella nostra esperienza il sistema MARS è efficace nella rimozione sia di tossine idroso-lubili sia legate alle proteine in pazienti con insufficienza epatica acuta. La capacità detossificante del sistema per le tossine legate all’albumina sembra essere mas-sima nelle prime ore di trattamento per poi progressivamente decadere fino a diventareprobabilmente insignificante dopo le 5 ore (Figura 3). Non vi sono spiegazioni certe perquesto fenomeno che però potrebbe essere ricondotto al tipo di legami con i quali le tos-sine sono legate all’albumina. Prendendo come esempio la bilirubina, sappiamo che essaè legata all’albumina mediante legami di tipo covalente e non covalente. Circa il 60-80%della bilirubina è legata mediante legami di tipo covalente. Sebbene la dialisi con albumi-na riesca abbastanza rapidamente ad eliminare la bilirubina libera e quella legata tramitelegami non covalenti essa probabilmente non riesce a depurare la bilirubina legata cova-lentemente. Ciò, insieme alle caratteristiche di saturazione del carbone attivo e delle re-

Luigi Bolondi et al.

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sine a scambio ionico e ad una possibile ridistribuzione della bilirubina da altri compar-timenti, potrebbe spiegare il fenomeno sopra citato. Il miglioramento dell’emodinamica sistemica è senza dubbio uno degli aspetti più inte-ressanti della terapia con MARS sia dal punto di vista fisiopatologico sia terapeutico. Studi precedenti hanno mostrato come varie sostanze siano chiamate in causa nel deter-minismo della circolazione iperdinamica; fra queste ricordiamo il TNF-�, l’interleuchi-na-6 e l’NO, i metaboliti dell’acido arachidonico che sono tutte sostanze ad effetto vaso-dilatante45. La depurazione di tali sostanze potrebbe contribuire ad una minore vasodila-tazione e diminuzione della portata cardiaca. Questo, almeno in linea teorica, potrebbe essere uno dei motivi alla base della dimostra-ta efficacia del MARS nel migliorare la sopravvivenza nei pazienti con sindrome epatore-nale di tipo 142.Seguendo tale ipotesi la terapia con MARS potrebbe anche portare ad un miglioramen-to seppur di breve durata dell’ipertensione portale mediante una riduzione dell’iperafflus-so portale con interessanti implicazioni dal punto di vista terapeutico. Al momento attuale, comunque, le informazioni che possediamo su questa nuova meto-dica di depurazione extracorporea provengono da studi condotti su piccole casistiche econ popolazioni spesso eterogenee. Gli unici trial effettuati hanno compreso pazienti coninsufficienza epatica su base alcolica, per cui rimane difficile estendere i loro risultati an-che a casi con diversa eziologia.

L’albumina 60 anni dopo: evidenze e prospettive. Dalla fisiologia alla clinica

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Figura 3. Valori intradialitici delle tossine epatiche (esperienze del Policlinico S. Orsola-Malpighi

di Bologna).

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L’albumina 60 anni dopo: evidenze e prospettive. Dalla fisiologia alla clinica

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38. Ortega R, Gines P, Uriz J, et al. Terlipressin therapy with and without albumin for patients with hepa-torenal syndrome: results of a prospective, nonrandomized study. Hepatology 2002; 36 (Part 1): 941-8.

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Luigi Bolondi et al.

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CAPITOLO 1

L’IPOTESI UNIFICANTE SULLA REGOLAZIONEDEL VOLUME DEI FLUIDI CORPOREI.

FISIOLOGIA E FISIOPATOLOGIADELL’OMEOSTASI IDROSALINA, CON

PARTICOLARE RIGUARDO ALLO SCOMPENSOCARDIACO E ALLA CIRROSI EPATICA

Mauro Bernardi, E. Gelonesi

Claude Bernard (1813-1878) intuì per primo l’importanza dell’omeostasi dei fluidi cor-porei (milieu interieur), considerandola essenziale per la sopravvivenza degli esseri viven-ti. In questo contesto divenne successivamente evidente che il rene gioca un ruolo fonda-mentale, essendo in grado di modificare sostanzialmente il proprio assetto funzionale co-sì da soddisfare le esigenze che derivano dalla necessità dell’organismo di adattarsi a mu-tevoli condizioni ambientali e nutrizionali. Se il rene assume grande importanza nell’o-meostasi dei fluidi corporei in ambito fisiologico, altrettanto importante è il suo ruolonella patogenesi di condizioni edemigene, quali la cirrosi epatica, lo scompenso cardiaco,la sindrome nefrosica e la gravidanza, attraverso la ritenzione di sodio e acqua. Al fine dicomprendere cause e meccanismi che portano a un tale eccessivo riassorbimento idrosa-lino, numerosi ricercatori hanno studiato il sistema di regolazione dell’omeostasi dei flui-di corporei per decenni, senza giungere, tuttavia, a interpretazioni convincenti e, soprat-tutto, in grado di spiegare in modo persuasivo le caratteristiche cliniche e laboratoristi-che delle sindromi edemigene. Abbandonata la convinzione che un ruolo fisiopatologicocentrale fosse sostenuto da presunti meccanismi intrinseci al rene, grazie anche alla dispo-nibilità di metodologie di indagine sempre più raffinate, si affermò il concetto che il re-ne, funzionalmente indenne, tratteneva sodio e acqua coerentemente a stimoli sistemicidi natura neuro-ormonale, a loro volta regolati dalle modificazioni del volume del liqui-do extracellulare.Concentrando l’attenzione sullo scompenso cardiaco e la cirrosi epatica, l’interpretazio-ne fisiopatologica tradizionale identificava, rispettivamente, nella riduzione della gittatacardiaca1 e nella contrazione del volume ematico secondaria a sequestro di fluidi nel ca-vo peritoneale2, i fattori afferenti iniziali. La conseguente riduzione della velocità di fil-trazione glomerulare rappresentava il principale fattore efferente, responsabile della con-trazione della diuresi e, in particolare, della natriuresi. Tuttavia, non si poteva ignorarel’esistenza di situazioni nelle quali lo scompenso cardiaco è caratterizzato da un incremen-

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to della gittata cardiaca, quali la tirotossicosi, le fistole arterovenose, il beri-beri, e, no-nostante ciò, anch’esse associate a ritenzione renale di sodio e acqua; altre condizioni ede-migene caratterizzate da un incremento della gittata cardiaca sono la gravidanza e la cir-rosi epatica3. D’altra parte, divenne ben chiaro e indiscutibile il fatto che, nei pazienti af-fetti da cirrosi epatica, il volume ematico è espanso in tutti gli stadi evolutivi della malat-tia di circa il 20% rispetto ai soggetti sani4,5. Nonostante ciò, la cirrosi con ascite è carat-terizzata da un bilancio di fluidi positivo. Analoga considerazione può essere fatta a pro-posito dello scompenso cardiaco, anch’esso contraddistinto dall’espansione del volumeematico totale6. Incertezze emergevano anche dall’analisi dei meccanismi efferenti. Infatti, sia i modellisperimentali7, sia gli studi clinici8 hanno dimostrato chiaramente che, nello scompensocardiaco, la velocità di filtrazione glomerulare è conservata fino a che non si raggiungo-no gli stadi più avanzati della malattia, con grave compromissione dell’emodinamica si-stemica. Analogamente, i pazienti cirrotici che sviluppano ascite per la prima volta e il cuibilancio dei fluidi è nettamente positivo, hanno, di regola, velocità di filtrazione glome-rulare conservata e solo nel decorso successivo della storia naturale della malattia essa de-clina sostanzialmente9.Alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, Robert Schrier10,11 pubblicò un saggio nel qua-le presentò un’interpretazione unitaria della fisiopatologia delle malattie edemigene, fon-damento della sua ipotesi unificante sull’omeostasi dei fluidi corporei, che rivisitò a piùriprese nel corso di una decina di anni12-14. Questa ipotesi è molto importante perché hapermesso il superamento dell’apparente contraddizione, fino allora non compiutamenterisolta, che consiste nel persistere di una “spinta edemigena”, rappresentata dalla ritenzio-ne renale di sodio e di acqua, a fronte di un’espansione della volemia totale e/o di un in-cremento della gittata cardiaca. Oltre a ciò, la pubblicazione dell’ipotesi ha costituito unpotentissimo stimolo all’attività di ricerca di base e clinica, i cui risultati hanno avuto im-portanti ricadute nella pratica clinica quotidiana.

IPOTESI UNIFICANTE SULLA REGOLAZIONE DEL VOLUMEDEI FLUIDI CORPOREI

La maggior parte (circa l’85%) del volume ematico è contenuto nel versante venoso del-la circolazione. D’altra parte, i sistemi barorecettoriali sensibili allo stato di replezione del-l’albero vascolare sono per larga parte localizzati sul versante arterioso (arco aortico, arte-rie carotidi, apparato iuxtaglomerulare). Ne deriva che i sistemi deputati alla difesa delvolume del liquido extracellulare sono eminentemente influenzati dalla distribuzione delvolume ematico in questo distretto. È così possibile la coesistenza di un’espansione volu-

Mauro Bernardi, E Gelonesi

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metrica, compartimentalizzata a livello venoso e di un ridotto riempimento della circola-zione arteriosa, in grado di promuovere ritenzione renale di sodio e acqua. Questa nozio-ne è alla base del concetto di “volemia efficace”, intesa come quella porzione, non diret-tamente misurabile, del volume ematico in grado di perfondere i tessuti periferici15.Sul piano fisiologico, l’ipotesi unificante sulla regolazione del volume dei fluidi corporeiidentifica nell’interazione fra gittata cardiaca e resistenza vascolari periferiche l’elementofondamentale, dal quale discende l’integrità della circolazione arteriosa. In particolare,gittata cardiaca e resistenze vascolari periferiche si influenzano vicendevolmente, in ma-niera diretta o mediata, attraverso gli effetti di fattori fisici (pressione idrostatica) e di si-stemi neuro-ormonali vasoattivi sistemici e autacoidi, quali il sistema nervoso autonomo,il sistema renina-angiotensina-aldosterone, l’ormone antidiuretico (ADH), le endoteline,i fattori natriuretici, l’ossido nitrico, l’ossido di carbonio, le prostaglandine e gli endocan-nabinoidi. Da tale interazione scaturiscono stimoli afferenti al rene, in buona parte vei-colati dagli stessi mediatori, in base ai quali si modifica il metabolismo renale dell’acquae degli elettroliti, assicurando così la più opportuna regolazione del volume dei fluidi ex-tracellulari e l’integrità della circolazione arteriosa.Sul piano fisiopatologico, l’ipotesi unificante sulla regolazione del volume dei fluidi cor-porei permette la comprensione del fatto che quadri clinici differenti, come lo scompen-so cardiaco ad alta gittata, lo scompenso cardiaco a bassa gittata, la cirrosi epatica, la sin-drome nefrosica e la gravidanza, che riconoscono sicuramente cause e meccanismi pato-genetici iniziali diversi, sono caratterizzati da momenti fisiopatologici comuni. Questi ul-timi evocano risposte compensatorie neuro-ormonali del tutto simili, cui conseguono ri-tenzione idrosalina ed espansione del volume plasmatico. L’elemento comune a questedifferenti condizioni patologiche è rappresentato dallo stato di deplezione volumetricadell’albero vascolare arterioso (arterial underfilling), che deriva da un’alterata interazionetra gittata cardiaca e resistenze vascolari periferiche. In conclusione, sebbene l’ipovolemiaefficace (o arteriosa) possa dipendere da cause e meccanismi differenti, le successive rispo-ste fisiopatologiche a significato compensatorio sono sovrapponibili (Figura 1).

Meccanismi ed eventi che inducono ipovolemia efficace(meccanismi fisiopatologici afferenti)

Scompenso cardiacoIl fattore patogenetico iniziale nello scompenso cardiaco a bassa gittata è, appunto, rap-presentato dalla riduzione della gittata cardiaca che deriva dal difetto della funzione dipompa. La conseguente ipovolemia arteriosa evoca l’attivazione di sistemi neuro-ormo-nali che inducono, da un lato, vasocostrizione arteriosa, con aumento delle resistenze va-scolari periferiche, e, dall’altro, ritenzione renale di sodio e acqua, con conseguente espan-

L’ipotesi unificante sulla regolazione del volume dei fluidi corporei

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Mauro Bernardi, E Gelonesi

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sione del volume ematico. Nelle fasi di compenso, l’integrazione di questi elementi (ri-dotta gittata cardiaca, incremento delle resistenze vascolari periferiche, espansione del vo-lume ematico totale), permette di ripristinare e mantenere l’integrità della circolazionearteriosa, che viene meno nella fase di scompenso, quando il ruolo vicariante giocato dal-le resistenze vascolari periferiche e dalla volemia non è più sufficiente a compensare la ca-duta della gittata cardiaca. Nello scompenso cardiaco ad alta gittata, l’evento patogeneti-co primario è, invece, rappresentato dalla riduzione delle resistenze vascolari periferiche.In questo contesto, l’incremento della gittata cardiaca rappresenta una risposta compen-

Figura 1. L’ipotesi unificante sulla regolazione del volume dei fluidi corporei individua nella de-

plezione volumetrica dell’albero vascolare arterioso (ipovolemia efficace) l’elemento comune a

differenti condizioni patologiche (scompenso cardiaco a bassa ed elevata gittata; cirrosi epati-

ca) che riconoscono cause e meccanismi patogenetici iniziali diversi. La riduzione della volemia

efficace deriva da un’alterata interazione tra gittata cardiaca e resistenze vascolari periferiche

ed evoca risposte neuro-ormonali del tutto simili, cui consegue ritenzione idrosalina ed espan-

sione del volume plasmatico. L’attivazione di sostanze ad azione vasocostrittrice e in grado di

influenzare la funzione cardiaca (aumento della forza contrattile; tachicardia) contribuisce in mo-

do diretto o mediato alla modulazione delle resistenze vascolari periferiche e della gittata car-

diaca. Espansione volumetrica e incremento della gittata cardiaca o delle resistenze vascolari

sono gli elementi che permettono il ripristino dell’integrità della circolazione arteriosa. ADH =

ormone antidiuretico; RAAs = sistema renina-angiotensina-aldosterone; SNS = sistema nervoso

simpatico.

RESISTENZE VASCOLARI GITTATA CARDIACA

RESISTENZE VASCOLARI GITTATA CARDIACA

VOLEMIAEFFICACE

RIPRISTINO DELL’INTEGRITÀDELLA CIRCOLAZIONE ARTERIOSA

RITENZIONERENALENa+/H2O

RAAs, SNS, ADH

VOLUME EMATICO

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L’ipotesi unificante sulla regolazione del volume dei fluidi corporei

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Figura 2. L’integrità della circolazione arteriosa è assicurata dal mantenimento della volemia ef-

ficace. Ciò avviene grazie all’interazione fra la gittata cardiaca e le resistenze vascolari periferi-

che, che si influenzano vicendevolmente attraverso fattori fisici quali la pressione idrostatica, che

influenza sistemi barorecettoriali localizzati a livello della circolazione centrale (atrii cardiaci, ar-

teria polmonare, arco aortico, arterie carotidi) e periferica (apparato iuxtaglomerulare) e neuro-

umorali sistemici (sistema nervoso autonomo, sistema renina-angiotensina-aldosterone, ormone

antidiuretico, fattori natriuretici) e autacoidi (endoteline, prostaglandine, nitrossido, ossido di car-

bonio, endocannabinoidi). Da tale interazione scaturiscono stimoli afferenti al rene, in buona par-

te veicolati dagli stessi mediatori, che regolano il metabolismo renale dell’acqua e degli elettroliti

e, quindi, il volume dei fluidi extracellulari. La volemia efficace è così determinata dall’influenza in-

tegrata di gittata cardiaca, resistenze vascolari periferiche e volume ematico totale. ADH = ormo-

ne antidiuretico; ANP = peptide natriuretico atriale.

INTEGRITÀ DELLA CIRCOLAZIONE ARTERIOSA

VOLUME EMATICO

VOLEMIA EFFICACE

mmHg, NE, ATII, ADHANP, NO, CO, PG, ET-1, ECb

satoria necessaria alla preservazione dell’integrità della circolazione arteriosa, alla qualecontribuisce anche l’incremento della volemia totale assicurato dalla ritenzione renale disodio e di acqua. Negli stadi più avanzati, specie nei contesti clinici nei quali si realizzauna compromissione della contrattilità cardiaca (ad esempio, in corso di ipertiroidismo),il grado di compenso assicurato dell’aumentata gittata cardiaca viene progressivamentemeno.

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Mauro Bernardi, E Gelonesi

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Figura 3. Scompenso cardiaco a bassa gittata. A: Fase di compenso. 1) Il primo evento fisiopatolo-

gico è rappresentato dalla riduzione della gittata cardiaca, cui segue 2) l’incremento compensato-

rio delle resistenze vascolari periferiche e 3) l’attivazione di stimoli afferenti al rene tali da indur-

re ritenzione di sodio ed acqua. Ne consegue 4) l’espansione del volume ematico totale. Grazie al-

la vasocostrizione periferica e all’ipervolemia, la volemia efficace è conservata e si assicura così

l’integrità della circolazione arteriosa. B: Fase di scompenso. 1) L’ulteriore riduzione della gittata

cardiaca è tale che il mantenimento della volemia efficace non può più essere assicurato dai mec-

canismi compensatori, quali 2) la vasocostrizione periferica e 3) l’ipervolemia. Si manifesta così il

quadro clinico dello scompenso cardiaco.

INSUFFICIENZA CARDIACA COMPENSATA

VOLEMIA EFFICACE

)2)1

3)

VOLUME EMATICO

4)

SCOMPENSO CARDIACO

VOLEMIA EFFICACE

)2)1

3)

VOLUME EMATICO

4)

A

B

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L’ipotesi unificante sulla regolazione del volume dei fluidi corporei

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Cirrosi epaticaAnche in questo contesto, l’evento patogenetico iniziale è rappresentato dalla caduta del-le resistenze periferiche, intuizione che ha portato all’elaborazione dell’ipotesi della vaso-dilatazione arteriosa periferica16. In questo contesto, la difesa del volume extracellulare èaffidata all’incremento della gittata cardiaca e, ancora una volta, alla capacità del rene ditrattenere sodio e acqua. Nella fase preascitica della cirrosi, l’integrità della circolazionearteriosa è assicurata dalla gittata cardiaca aumentata e dall’ipervolemia. Il superamentodi tale capacità di compenso coincide con la comparsa di ascite e, più tardi, con la com-promissione della perfusione renale. In conclusione, i sistemi deputati alla difesa del volume extracellulare sono sensibili al-l’interazione fra volume ematico, ampiezza del letto vascolare e pressione di riempimen-to. Quando questa si riduce o il letto vascolare si espande, pur in presenza di un volumeematico aumentato, i barocettori dell’area circolatoria centrale percepiscono, per così di-re, una condizione di insufficiente riempimento e riducono la loro frequenza di scarica.Ne conseguono l’attivazione del sistema nervoso simpatico e la secrezione non osmoticadi ADH. In periferia, l’attivazione dell’apparato iuxtaglomerulare porta ad un’aumenta-ta generazione di angiotensina II e, conseguentemente, iperaldosteronismo secondario.

Sistemi neuro-ormonali compensatori e risposte renali Coerentemente con gli assunti dell’ipotesi, nel corso della storia naturale della cirrosi edello scompenso cardiaco, si può osservare una progressiva attivazione del sistema reni-na-angiotensina-aldosterone e del sistema nervoso simpatico. Infatti, i pazienti affetti dascompenso cardiaco congestizio sono caratterizzati da un aumentato tono del sistema ner-voso simpatico, come testimoniano gli elevati livelli circolanti di noradrenalina, che cor-relano direttamente con il grado di disfunzione contrattile17. Analogo significato ha il ri-scontro di elevati livelli di attività reninica plasmatica associata a iperaldosteronismo se-condario17,18. Nel corso della storia naturale della cirrosi epatica si assiste, in modo assaisimile, a una progressiva attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone19 e delsistema nervoso simpatico20. Il ruolo compensatorio ai fini del mantenimento dell’integrità della circolazione arterio-sa è indirettamente evidente anche negli stadi iniziali della storia naturale di queste affe-zioni, quando è possibile riscontrare normali livelli plasmatici di renina, aldosterone e no-radrenalina. Infatti, in queste fasi, la volemia totale è già aumentata, il che dovrebbe in-durre una soppressione dell’attività di questi sistemi.L’ipovolemia efficace è responsabile anche dell’aumentata secrezione di ADH da partedell’ipofisi posteriore. Infatti, i pazienti con cirrosi epatica21 e scompenso cardiaco22 sonocaratterizzati da elevati livelli circolanti di ADH anche in presenza di un’osmolarità del

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Mauro Bernardi, E Gelonesi

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Figura 4. Cirrosi epatica. A: Fase di compenso. 1) Il primo evento fisiopatologico è rappresentato dal-

la riduzione delle resistenze vascolari periferiche, cui segue 2) l’incremento compensatorio della git-

tata cardiaca e 3) l’attivazione di stimoli afferenti al rene tali da indurre ritenzione di sodio e acqua.

Ne consegue 4) l’espansione del volume ematico totale. Grazie all’incremento della gittata cardiaca

e all’ipervolemia, la volemia efficace è conservata e si assicura così l’integrità della circolazione ar-

teriosa. B: Fase di scompenso. 1) L’ulteriore riduzione delle resistenze vascolari periferiche è tale che

il mantenimento della volemia efficace non può più essere assicurato dai meccanismi compensatori,

quali 2) l’incremento della gittata cardiaca e 3) l’ipervolemia. Si manifesta così il quadro clinico della

cirrosi scompensata, con versamento ascitico, ipotensione arteriosa e insufficienza renale.

CIRROSI SCOMPENSATA

VOLEMIA EFFICACE

)1)2

3)

VOLUME EMATICO

4)

CIRROSI COMPENSATA

VOLEMIA EFFICACE

)1)2

3)

VOLUME EMATICO

4)

A

B

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liquido extracellulare normale o addirittura ridotta. Questi rilievi dimostrano che in par-ticolari condizioni (cirrosi, scompenso cardiaco, sindrome nefrosica, ipotiroidismo, ecc.)le alterazioni dell’emodinamica sistemica possono diventare lo stimolo principale per ilrilascio di ADH, prevalendo sugli effetti dell’osmolarità del liquido extracellulare, che rap-presenta, invece, il principale meccanismo di controllo in condizioni fisiologiche (rilascionon osmotico dell’ADH). Infatti, in questo contesto, manovre in grado di aumentare lavolemia efficace, ma non il carico idrico, sono in grado di sopprimere gli elevati livelli diADH22-24. Contestualmente, l’escrezione renale di acqua si va normalizzando, il che sot-tolinea l’importante ruolo patogenetico dell’ormone nelle alterazioni del metabolismoidrico e nella conseguente genesi dell’iponatremia da diluizione nella cirrosi e nello scom-penso cardiaco. A fronte dell’attivazione dei sistemi citati sopra, il rene funzionalmente indenne sviluppariposte coerenti promovendo un bilancio positivo di sodio e di acqua. Negli stadi inizia-li della cirrosi e dell’insufficienza cardiaca, quando la velocità di filtrazione glomerulare èsostanzialmente conservata, la ritenzione idrosodica avviene attraverso un esaltato riassor-bimento tubulare25. Ciò avviene sia a livello del nefrone distale, conseguentemente all’a-zione dell’iperaldosteronismo secondario, sia a livello del tubulo contorto prossimale, sen-sibile all’azione dell’angiotensina II e della noradrenalina. Successivamente, negli stadi piùavanzati, la grave contrazione della volemia efficace influenza negativamente la velocitàdi filtrazione glomerulare, la cui compromissione assume un ruolo patogenetico semprepiù rilevante, promuovendo ritenzione renale a livello del nefrone prossimale26. L’esalta-to riassorbimento idrosodico prossimale comporta la riduzione del carico di sodio e ac-qua che giunge ai segmenti distali del nefrone, ove agisce il fattore natriuretico atriale. Sispiega così, almeno in parte, l’incapacità dei pazienti affetti da cirrosi epatica o insuffi-cienza cardiaca di sviluppare una fuga natriuretica dagli effetti dell’aldosterone e la lororesistenza all’azione del fattore natriuretico atriale27-29.

RICADUTE DELL’IPOTESI UNIFICANTE SULLA REGOLAZIONEDEL VOLUME DEI FLUIDI CORPOREI

Aspetti fisiopatologici della cirrosi epaticaLa pubblicazione dell’ipotesi unificante sulla regolazione del volume dei fluidi corpo-rei ha rappresentato un potentissimo impulso all’attività di ricerca. In campo epatolo-gico, gli studi condotti su modelli animali di cirrosi e sull’uomo allo scopo di identifi-care la patogenesi della vasodilatazione arteriosa e della ridotta reattività vascolare aglistimoli vasocostrittori che caratterizza la cirrosi in fase avanzata30 sono stati numerosis-simi. Anche se i meccanismi attraverso i quali si instaura la vasodilatazione non sono

L’ipotesi unificante sulla regolazione del volume dei fluidi corporei

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Mauro Bernardi, E Gelonesi

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Figura 5. Ricadute cliniche dell’ipotesi unificante sulla regolazione del volume dei fluidi corporei: te-

rapia dello scompenso cardiaco. A: Contesto fisiopatologico. L’insufficienza contrattile è responsabi-

le di una riduzione della volemia efficace, nonostante l’incremento compensatorio delle resistenze va-

scolari periferiche. Ne conseguono l’attivazione del sistema nervoso simpatico e del sistema renina-

angiotensina-aldosterone, l’aumentata increzione di ormone antidiuretico e la riduzione della perfu-

sione renale. I meccanismi di compenso sono a loro volta responsabili di un’ulteriore compromissio-

ne della funzione contrattile del cuore. B: Approccio terapeutico. Il moderno approccio terapeutico

dello scompenso cardiaco si fonda anche sulla somministrazione di farmaci in grado di contrastare

gli effetti negativi della vasocostrizione (farmaci vasodilatatori) e dell’attivazione dei sistemi vasoat-

tivi (inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina [ACE], �-bloccanti). ADH = ormone antidiu-

retico; RAAs = sistema renina-angiotensina-aldosterone; SNS = sistema nervoso simpatico.

INSUFFICIENZACONTRATTILE

VASO-COSTRIZIONE

VOLEMIA EFFICACE

RAAsSNSADH

RITENZIONE DI Na+

RITENZIONE DI H2ORIDOTTA PERFUSIONE

INSUFFICIENZACONTRATTILE

VOLEMIA EFFICACE

RITENZIONE DI Na+

RITENZIONE DI H2ORIDOTTA PERFUSIONE

VASODILATATORI

ACE INIBITORIβ-BLOCCANTI

A

B

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L’ipotesi unificante sulla regolazione del volume dei fluidi corporei

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Figura 6. Ricadute cliniche dell’ipotesi unificante sulla regolazione del volume dei fluidi corporei:

cirrosi epatica. A: Contesto fisiopatologico. La vasodilatazione periferica e, forse, nelle vasi più avan-

zate della malattia, un’inadeguata performance cardiaca (cardiomiopatia cirrotica) sono responsa-

bili di una riduzione della volemia efficace. Ne conseguono l’attivazione del sistema nervoso simpa-

tico e del sistema renina-angiotensina-aldosterone, l’aumentata increzione di ormone antidiuretico

e la riduzione della perfusione renale. B: Approccio terapeutico. Il moderno approccio terapeutico

di alcune complicanze della cirrosi in stadio avanzato si fonda anche sull’espansione plasmatica me-

diante albumina umana (prevenzione della disfunzione circolatoria post-paracentesi; prevenzione

dell’insufficienza renale indotta dalla peritonite batterica spontanea) o sulla somministrazione di

farmaci vasocostrittori (glipressina, midodrina) associata ad espansione plasmatica (trattamento

della sindrome epatorenale). ADH = ormone antidiuretico; RAAs = sistema renina-angiotensina-al-

dosterone; SNS = sistema nervoso simpatico.

? CARDIOPATIACIRROTICA

RAAsSNSADH

RITENZIONE DI Na+

RITENZIONE DI H2ORIDOTTA PERFUSIONE

VASOCOSTRITTORI

ESPANSIONE PLASMATICA

VASODILATAZIONESPLANCNICA

? CARDIOPATIACIRROTICA

RAAsSNSADH

RITENZIONE DI Na+

RITENZIONE DI H2ORIDOTTA PERFUSIONE

VOLEMIA EFFICACE

A

B

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stati definitivamente chiariti, è pressoché certo che un ruolo di fondamentale impor-tanza sia giocato dall’aumentata produzione endoteliale di sostanze ad azione vasodila-tatrice, che condizionano una ridotta reattività vascolare agli stimoli vasocostrittori eun’esaltazione dello shear stress vascolare, quali l’ossido nitrico, il monossido di carbo-nio e la prostaciclina31-33. Inoltre, studi recenti indicano in un’aumentata produzionedi endocannabinoidi un altro meccanismo che può contribuire in modo non seconda-rio alla vasodilatazione. Queste sostanze interagiscono con il recettore periferico CB1,espresso sia da cellule endoteliali e muscolari lisce vascolari, sia dalle terminazioni ner-vose avventiziali, inducendo effetti variabili in differenti distretti vascolari34. Ad esem-pio, nella cirrosi sperimentale indotta nel ratto, si osserva un’esaltata vasodilatazioneindotta dagli endocannabinoidi nel distretto mesenterico, ma non a carico dell’arteriafemorale35. Lo studio della funzione cardiaca dei pazienti con cirrosi è oggetto di crescente interesse.Da tempo sono state descritte alterazioni della funzione sistolica e, più frequentemente,diastolica, indipendentemente dall’eziologia dell’epatopatia. Questi rilievi hanno portatoall’adozione del termine cardiomiopatia cirrotica, per il quale, tuttavia, non si è ancoragiunti ad una compiuta definizione universalmente accettata36,37, così come non è chiaroquanto le alterazioni della funzionalità cardiaca contribuiscano alla riduzione della vole-mia efficace. In genere, le anomalie della contrattilità cardiaca sono subcliniche, ma pos-sono slatentizzarsi in particolari circostanze, quali l’esercizio fisico38, l’applicazione di shuntportocavale transgiugulare intraepatico39 e nella fase postoperatoria del trapianto di fega-to40. L’interesse per le alterazioni cardiovascolari della cirrosi è legato al fatto che esse rappre-sentano il substrato patogenetico di numerose e gravi manifestazioni cliniche della cirro-si avanzata, quali la ritenzione renale di sodio e acqua e la sindrome epatorenale16, la sin-drome epatopolmonare e l’aumentata suscettibilità allo shock ipovolemico o distributi-vo41. Inoltre, accanto all’incremento delle resistenze intraepatiche (componente retrogra-da), l’incremento del flusso arterioso splancnico dovuto alla vasodilatazione contribuiscein modo rilevante alla comparsa e al mantenimento dell’ipertensione portale quale com-ponente anterograda42. La paracentesi terapeutica può essere seguita da un’intensa attivazione dell’asse renina-an-giotensina-aldosterone, segnale indiretto ma attendibile di compromissione della volemiaefficace, a sua volta responsabile di ipotensione arteriosa, peggioramento della perfusio-ne renale ed iponatremia43; inoltre la comparsa di queste alterazioni si associa a una ri-dotta sopravvivenza44. Si è a lungo pensato che questi eventi conseguissero ad una bruscacompartimentalizzazione del volume ematico causata dal rapido riformarsi di ascite. Tut-tavia, la paracentesi non porta a modificazioni del volume plasmatico, né del tasso di tra-sporto transvascolare di albumina, indipendentemente dal fatto che si realizzi o no que-

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sta complicanza45, che è piuttosto da attribuire a modificazioni emodinamiche. Infatti,l’ipotensione arteriosa si associa, da un lato, all’incapacità di aumentare ulteriormente git-tata e frequenza cardiaca e, dall’altro, ad una ulteriore sostanziale caduta delle resistenzevascolari periferiche46. A questa complicanza è stato, quindi, dato il nome di disfunzionecircolatoria post-paracentesi. Il progressivo deterioramento dell’assetto cardiovascolare rappresenta il contesto nel qua-le si instaura la sindrome epatorenale47, non di rado precipitata da infezioni batteriche in-tercorrenti, prima fra tutte la peritonite batterica spontanea48. Infatti, le infezioni, attra-verso la liberazione di tossine quali i lipopolissaccaridi, da parte dei germi Gram-, e di-peptidoglicani/lipopeptidi, da parte dei germi Gram+, evocano cascate citochiniche (fat-tore di necrosi tumorale-� [TNF-�], interleuchina [IL]-2, IL-6, ecc.) in grado di inter-ferire con numerosi sistemi vasoattivi, molti dei quali implicati nella genesi delle altera-zioni emodinamiche descritte sopra. In particolare, queste sostanze sono in grado di au-mentare la sintesi di ossido nitrico e di endocannabinoidi34,49. Inoltre, dati recenti sem-brano indicare un ruolo di importanza non secondaria giocato dalla cardiomiopatia cir-rotica, poiché i pazienti che sviluppano insufficienza renale in corso di peritonite batte-rica spontanea sono caratterizzati non tanto da una caduta delle resistenze periferiche,quanto da una riduzione della gittata cardiaca, alla quale dà un contributo sostanzialeun’evidente incompetenza cronotropica50. Sotto questo profilo, va ricordato che citochi-ne quali il TNF-� e IL-1� e le endotossine sono in grado di deprimere la funzione mio-cardica51.

Aspetti cliniciIl progresso delle conoscenze fisiopatologiche promosso dall’interesse suscitato dalla pub-blicazione dell’ipotesi unificante sulla regolazione del volume dei fluidi corporei ha avu-to importanti riflessi in clinica. Possiamo, infatti, comprendere perché la terapia diuretica, che impieghiamo comune-mente nel trattamento sia dello scompenso cardiaco sia della cirrosi scompensata, possaavere effetti sostanzialmente diversi in questi due contesti clinici. Abbiamo visto come ildifetto di pompa sia responsabile della ritenzione renale idrosodica e della conseguenteespansione plasmatica nello scompenso cardiaco. Se quest’ultima rappresenta indubbia-mente una risposta compensatoria, può divenire un elemento che contribuisce all’insuf-ficienza di pompa attraverso l’incremento del precarico. Si innesta così un circolo vizio-so che può essere interrotto da una vigorosa terapia diuretica che contribuisce in questomodo a ripristinare il compenso. L’unico fattore limitante è rappresentato da un’eccessi-va contrazione del volume ematico e del precarico, tale da influenzare negativamente lagittata cardiaca e indurre la comparsa di insufficienza renale. Nella cirrosi, la vasodilata-

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zione periferica è l’evento iniziale responsabile dell’incremento compensatorio della git-tata cardiaca e della ritenzione renale di sodio. La conseguente ipervolemia totale è an-ch’essa fattore compensatorio e contribuisce alla comparsa di ascite ed edemi. In questocontesto, la terapia diuretica ha un ruolo più sintomatico e meno patogenetico rispetto aquanto abbiamo visto per lo scompenso cardiaco. Infatti, la contrazione del volume pla-smatico provocata dalla diuresi iatrogena, specie se questa è indotta bruscamente, miglio-ra l’edema, ma peggiora la volemia efficace, tenendo conto della scarsa reattività vascola-re agli stimoli vasocostrittori che caratterizza la cirrosi in stadio avanzato30. Per questo mo-tivo, la terapia diuretica della cirrosi scompensata deve essere attuata con cautela, penal’induzione di insufficienza renale prerenale52. L’ipotesi unificante sulla regolazione del volume dei fluidi corporei rende ragione anchedell’evoluzione dell’approccio terapeutico allo scompenso cardiaco. Abbiamo già visto chela caduta della gittata è responsabile dell’ipovolemia efficace e della ritenzione renale disodio e di acqua. In questo contesto, l’incremento delle resistenze vascolari periferichegioca un ruolo compensatorio, ma aumenta al tempo stesso il postcarico, fino a diventa-re un elemento di aggravamento dello scompenso, così come elementi aggravanti sonofattori neuro-ormonali come catecolamine e angiotensina II. Oggi rispondiamo a questi meccanismi patogenetici utilizzando inibitori dell’enzima diconversione dell’angiotensina53 e �-bloccanti54, che si sono dimostrati in grado non solodi migliorare la sintomatologia, ma anche di influenzare positivamente la sopravvivenza. La vasodilatazione arteriosa è la principale responsabile dell’ipovolemia efficace nella cir-rosi ed è alla base di gravi complicanze della malattia. Oggi, in particolari contesti clini-ci, affrontiamo queste problematiche mediante l’espansione plasmatica e la somministra-zione di vasocostrittori. Fra gli espansori plasmatici, un ruolo preminente è giocato dal-l’albumina umana, il cui impiego è formalmente indicato per la prevenzione della disfun-zione circolatoria post-paracentesi dopo la rimozione di più di 5 L di ascite44 e dell’insuf-ficienza renale precipitata dalla peritonite batterica spontanea55, il che ha portato a unariduzione significativa dell’incidenza di queste complicanze44,55 e a un miglioramento del-la sopravvivenza55. Fra i vasocostrittori sono particolarmente impiegati quelli, come la ter-lipressina, in grado di agire prevalentemente a livello splancnico, là dove la vasodilatazio-ne è più marcata. Il trattamento della sindrome epatorenale con albumina umana e terli-pressina56 o midodrina, octreotide e albumina umana57 ha conseguito successi terapeuti-ci impensabili fino a non molti anni fa.

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CAPITOLO 7

TERAPIA DOMICILIARE DELL’ALBUMINA:ASPETTI CLINICI E

ASPETTI ORGANIZZATIVI

Antonio Ascione

L’albumina è un presidio farmacologico sul quale vi sono sempre state opinioni discor-danti per vari motivi ma, soprattutto, per il costo e per la mancanza di studi ampi e ac-curati capaci di dimostrarne le molteplici possibilità terapeutiche. Nel contesto extra-ospedaliero, l’uso dell’albumina è uno dei campi più controversi, sebbene la pratica cli-nica suggerisca che l’uso di tale emoderivato, in pazienti che devono essere continua-mente trattati con diuretici, soprattutto a dosi elevate, fornisca un aiuto al buon funzio-namento della terapia diuretica stessa. Tuttavia è chiaro che, in epoca di evidence-basedmedicine, l’impiego di qualsiasi farmaco, che non abbia alle spalle trial randomizzati con-trollati, sia sempre accettato con qualche riserva. Peraltro, pur essendo l’albumina un far-maco in uso da esattamente 60 anni1, le “antiche” diffidenze verso gli emoderivati in ge-nerale non sono mai completamente sopite. Dalla fine degli anni ’60, prima, a causa delfamigerato “antigene Australia” (epatite B), negli anni ’80, poi, a causa della scopertadell’HIV e dell’HCV, è sempre stato evidente un certo “timore” nella somministrazionedegli emoderivati, anche se non c’è alcun dubbio che l’albumina, dal punto di vista del-la sicurezza, non provochi alcun rischio e che le attuali procedure introdotte nel proces-so di frazionamento dei farmaci plasmaderivati assicurino un livello di sicurezza eleva-tissimo.Tuttavia, poiché per moltissimi anni, da parte della scienza medica, l’albumina è stata vi-sta unicamente come un presidio atto a ripristinare l’iponchia – determinata dalla caren-za di albumina a seguito di un fegato malato incapace di sintetizzarla in modo tale damantenerne la concentrazione plasmatica entro i livelli normali – risulta assai difficile con-vincere i medici che i livelli plasmatici della sostanza forniscono solo una tenue guida perdefinirne l’utilità di somministrazione nella pratica clinica e che, comunque, non costi-tuiscono affatto il miglior parametro da utilizzare.Come è chiaramente dimostrato da evidenze ormai consolidate, l’uso dell’albumina nel-la pratica clinica, obbedisce oggi ad un intero corpus dottrinario che vede fortemente ri-

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dimensionato il suo ruolo di semplice componente del plasma che, essendo quantitativa-mente carente, va rimpiazzato su basi puramente quantitative. È stato, quindi, rivalutatoil ruolo dell’albumina e molte indicazioni, oltre all’ipoonchia, sono state ormai ben codi-ficate, anche a livello di linee guida di Associazioni Scientifiche nazionali e internaziona-li.L’albumina ha assunto ruoli ben precisi: a) come espansore plasmatico ai fini della corre-zione della volemia efficace; b) come profilassi della sindrome da disfunzione circolatoriapost-paracentesi evacuativa2; c) nel trattamento della peritonite batterica spontanea3; d)sorretta da convincenti dati, viene ora proposta nel trattamento della sindrome epatore-nale4.Tutto ciò che è stato finora affermato è largamente accettato dalla maggioranza degli esper-ti per la somministrazione in acuto. Può, però, l’uso dell’albumina proporsi nel tratta-mento “cronico” e, più specificatamente, in quello a domicilio, una volta che il pazienteè stato dimesso dall’ospedale, dopo aver raggiunto un discreto equilibrio?Il contesto al quale specificamente è rivolta questa nota è il paziente con cirrosi epati-ca scompensata a causa dell’ascite, che ha bisogno di un trattamento continuo con diu-retici. Il problema principale che tali pazienti devono affrontare è rappresentato dallarecidiva dell’ascite, causa di frequenti ospedalizzazioni con costi notevoli in termini diqualità di vita per i pazienti, economici per la società. È opinione corrente, espressa dauna larga parte degli epatologi italiani attraverso uno studio effettuato con il metodoDelphi5, che il trattamento domiciliare sia utile nel migliorare il senso di benessere delpaziente (86%), mentre l’8% non è d’accordo e il 6% non si pronuncia né a favore nécontro. Per quel che riguarda la necessità di riospedalizzazione o di ammissione al day-hospital, il risultato di questo studio mostra che il 77% degli intervistati ritiene che iltrattamento domiciliare con albumina riduce il numero di ospedalizzazioni, mentrel’11% non è d’accordo e il 12% o non ha una chiara opinione in materia o non rispon-de (Tabella 1). Ovviamente, poiché il metodo Delphi si basa esclusivamente sull’opi-nione espressa da clinici specialisti della materia, esso non può assumere l’evidenza diun trial terapeutico, esso, però, rappresenta pur sempre ciò che nella pratica clinicaognuno fa, sebbene non esista una documentata evidenza scientifica derivante da stu-di controllati randomizzati. Tuttavia questo studio, oltre a fornire evidenze sulla pra-tica corrente in Italia, ha permesso, sulla base delle assunzioni provenienti dalle rispo-ste ottenute, ad un gruppo di esperti economisti sanitari di fare delle proiezioni sui co-sti e, quindi, sugli eventuali risparmi che può comportare la non ospedalizzazione deicirrotici per il ritrattamento della recidiva della complicanza ascitica6. Dall’analisi deidati, si può rilevare che l’utilizzo dell’albumina domiciliare, riducendo il numero diospedalizzazioni, potrebbe far risparmiare al Servizio Sanitario Nazionale una cifra dicirca 1.5 milioni di vecchie lire per paziente, se riospedalizzato una sola volta in 1 an-

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no (stima fatta su costi del 1999). Se si rapportano questi dati al numero di cirroticiricoverati annualmente in Italia (DRG 202), si conclude che molti miliardi di spesapotrebbero essere risparmiati (Tabella 2). Si tratta di una cifra notevole che, se potes-se essere confermata da studi disegnati ad hoc, rappresenterebbe un risparmio non in-differente per lo stato italiano. Questo studio di farmacoeconomia, pur considerando

Terapia domiciliare dell’albumina: razionali clinici e aspetti organizzativi

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Tabella 1. Studio Delphi italiano sull’uso razionale dell’albumina nel paziente cirrotico con ascite. Ele-

menti sui quali è stato raggiunto il consenso (% sul totale di intervistati).

Concorda Non concorda

• Appropriatezza del trattamento con albumina

La somministrazione di albumina in ospedale riduce 77 9

la durata della degenza

• Trattamento domiciliare

Per la prescrizione a domicilio non è sufficiente un 71 17

limite di albuminemia <2.5 g/dL, ma è necessaria una

valutazione clinica più approfondita

La terapia a domicilio migliora lo stato di salute 86 9

diminuendo l’incidenza di recidive, coadiuvando la terapia

con diuretici, e in generale migliorando la qualità di vita

La somministrazione di albumina a domicilio può ridurre 77 11

il ricorso all’ospedalizzazione

• Criteri per iniziare la terapia con albumina

• Il lLivello di albuminemia non può essere il solo criterio 66 29

nel paziente cirrotico con ascite

Esistono almeno tre criteri importanti:

- le condizioni cliniche generali del paziente

- segni di ipovolemia

- ascite non responsiva a diuretici 80 8

Da Gentilini et al.5, modificata.

Condizioni per la rimbosabilità dell’albumina prescritta a domicilio

• Dopo paracentesi evacuativa nella cirrosi epatica

• Grave ritenzione idrosalina nella cirrosi ascitica, nella sindrome nefrosica o nelle sindromi di

malassorbimento (ad esempio, intestino corto post-chirurgico o da proteino-dispersione), non

responsiva a un trattamento diuretico appropriato, specie se associata ad ipoalbuminemia e

in particolare a segni clinici di ipovolemia

Fonte: AIFA.

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Antonio Ascione

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Tabella 2. Confronti dei costi complessivi (in euro) del trattamento del paziente cirrotico con asci-

te, con somministrazione di albumina o senza somministrazione di albumina. Proiezione ad 1 an-

no, su una stima di 6108 pazienti. Costi riferiti all’anno 2000.

Strategia Parametro Costo/ Risparmio/ Previsione di

valutata sensibile paziente paziente risparmio complessiva

ALB+ ALB-

Trattamento Durata della 1358.26 761.85 596.41 3 642 969.04

in ospedale degenza

Prosecuzione Durata della 855.08 479.62 375.46 22 293 395.27

a domicilio degenza

N. accessi 3551.88 1992.27 1559.61 1 015 311.47

ospedalieri

ALB+ = ospedalizzazione convenzionale con restrizione all’impiego di albumina; ALB- = ospedalizza-

zione o trattamento a domicilio con somministrazione di albumina in associazione a normale tratta-

mento diuretico. Da Fattore e Lazzaro6, modificata.

il bias che le assunzioni sono state fatte su opinioni di esperti, fornisce un dato sul qua-le sarebbe estremamente remunerativo indagare, vista la grande diffusione della cirro-si in Italia7.Tuttavia, opinioni a parte, esistono evidenze scientificamente documentate da potersi uti-lizzare a sostegno dell’utilità pratica dell’uso dell’albumina nella terapia domiciliare delcirrotico con ascite (Tabella 3).Il primo pezzo di informazione che bisogna considerare è che, da tempo, sussistono evi-denze che l’escrezione renale del sodio migliora se al trattamento diuretico viene aggiun-ta albumina8,9.Il sopraccitato studio Delphi non è l’unica fonte che afferma che l’uso dell’albumina nelcirrotico ascitico migliora il senso di benessere, autorevolissimi epatologi già decenni faerano di questa opinione10. Inoltre il ricorso all’albumina è in grado di ridurre fastidio-sissimi crampi, spesso presenti nei cirrotici trattati a lungo termine con diuretici11. In que-sto studio l’albumina fu somministrata al dosaggio di 25 g/settimana e mostrò, controplacebo, una significativa efficacia nel ridurre la frequenza dei crampi.Tuttavia il dato più consistente in favore dell’utilizzo dell’albumina a lungo termine, al difuori del contesto del ricovero ospedaliero, viene da uno studio da poco pubblicato inestenso12 e che ha seguito una metodologia adeguata. È uno studio randomizzato, non incieco, che dimostra un vantaggio statisticamente significativo in termini di sopravviven-za e di recidiva dell’ascite, a favore del gruppo nel quale alla terapia diuretica è stata ag-giunta l’albumina umana. Più in dettaglio, i cirrotici arruolati in questo studio erano tut-

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Terapia domiciliare dell’albumina: razionali clinici e aspetti organizzativi

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ti pazienti al loro primo episodio di scompenso ascitico, i quali, risolta l’ascite, sono sta-ti divisi in due gruppi. Al primo gruppo (54 pazienti) venivano somministrati diureticipiù albumina umana alla dose di 25 g endovena una volta la settimana nel primo anno eogni 2 settimane nel secondo anno di follow-up (gruppo albumina); mentre nel secondogruppo (46 pazienti) venivano somministrati solo diuretici (gruppo diuretici solo). Ilquantitativo di diuretici da somministrare non era fisso, ma veniva calcolato sui bisognidei singoli pazienti. I due gruppi erano comparabili per tutte le variabili considerate (età,sesso, eziologia, parametri bioumorali), eccetto che per lo score di Child-Turcotte-Pughstatisticamente più elevato nel gruppo albumina. I risultati hanno mostrato, con un fol-low-up mediano di 84 mesi, che il gruppo senza albumina andava incontro ad un mag-gior numero di recidive dell’ascite (94 vs 51%, p <0.0001); mentre la sopravvivenza me-diana era di 108 mesi nel gruppo albumina e di 36 in quello trattato solo con diuretici (p<0.007) (Figura 1)12. Le sopravvivenze in termini percentuali erano per il gruppo albu-mina 75% a 24 mesi, 69% a 48 mesi, 62% a 60 mesi e 4% a 120 mesi; nel gruppo diu-retici solo, le sopravvivenze riferite agli stessi intervalli di tempo erano 68, 29, 26 e 8%.All’analisi univariata, i fattori che correlavano con la migliore sopravvivenza erano l’esse-

Tabella 3. Studi che hanno valutato l’impiego di albumina a lungo termine e/o in trattamento domi-

ciliare nella cirrosi ascitica.

Autore Disegno Indicazione Dosaggio Controllo Esito

clinica (g/settimana)

Angeli Caso Crampi 50 Placebo Riduzione

et al.11, 1996 controllo (<3/settimana) sostanziale

dei crampi

Gentilini Randomizzato Ascite 50 Trattamento Riduzione

et al.8, 1999 ricorrente (in aggiunta standard delle recidive

a diuretici) (diuretici) di ascite

In aperto Riduzione

dei ricoveri

ospedalieri

Trotter Singolo Ascite 50 ND Riduzione

et al.13, 2005 braccio refrattaria dell’ascite

Romanelli Randomizzato Ascite 25-50 Trattamento Migliore

et al.12, 2006 ricorrente (in aggiunta standard sopravvivenza

a diuretici) (diuretici)

In aperto Migliore

score CTP

CTP, Child-Turcotte-Pugh; ND, non disponibile.

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re nel gruppo trattato con albumina (p <0.005) e avere un miglior score Child-Turcotte-Pugh (p <0.02).Atteso che la somministrazione cronica di albumina ha un suo ruolo, anche se gli studicon sufficiente campionamento sono pochi, uno dei problemi non risolti è quello delloschema di somministrazione da utilizzare. Nello studio con il più lungo follow-up sopra-riportato12, il dosaggio è stato di 25 g/settimana per il primo anno, con dimezzamentodella dose dal secondo anno. Tuttavia, in letteratura, sono riportati altri schemi posolo-gici: 20 g/settimana11; 50 g/settimana13 oppure 40 g/settimana divisi in due somministra-zioni14. Questo dato andrebbe ulteriormente approfondito.In conclusione, c’è il razionale sufficiente per raccomandare l’uso dell’albumina in am-biente extraospedaliero. La pratica clinica lo suggerisce e ora cominciano a esserci anchesolide evidenze che tale utilizzo sia utile per i pazienti e che il suo costo-beneficio potreb-be essere positivo anche per l’economia del Servizio Sanitario Nazionale. Su questo ulti-mo aspetto sarebbe di grande utilità pratica programmare uno studio che rispondesse spe-cificatamente a tale quesito.

Antonio Ascione

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Figura 1. Sopravvivenza cumulativa in pazienti cirrotici con ascite sottoposti a terapia diuretica

con (gruppo 1) o senza (gruppo 2) associazione di albumina a domicilio. Il gruppo 1 ha mostrato una

maggiore sopravvivenza cumulativa (mediana 108 mesi) rispetto al gruppo 2 (mediana 36 mesi,

Breslow test, p = 0.079). Da Romanelli et al.12.

0

20

40

60

80

100

0 12 24 36 48 60 72 84 96 108 120

Sopravvivenza (mesi)

Sopra

vviv

enza c

um

ula

tiva (

%) Gruppo 1

Gruppo 2

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Terapia domiciliare dell’albumina: razionali clinici e aspetti organizzativi

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