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Salmo 126 Il Salmo 126 è un salmo di gioia e di esultanza per un incredibile evento di grazia e di salvezza che il Signore ha concesso al suo popolo. Il popolo di Giuda era da molti anni esule a Babilonia; gli abitanti di Gerusalemme erano stati deportati in massa in terra straniera dal re Nabuccodonosor (597 e 587 a.C.) ed avevano sofferto moltissimo lontano dalla patria, con l’impressione di essere stati abbandonati da Dio. Ma all’improvviso l’ascesa al trono di Babilonia del re persiano Ciro (538 a.C.) diede loro la libertà di tornare a casa e permise loro il rimpatrio. L’avvenimento fu per gli esuli un evento straordinario, insperato; essi avevano perso ormai ogni speranza di poter tornare, e si sentivano un popolo morto che non avrebbe mai più avuto un futuro, nonostante che i profeti dell’esilio, Ezechiele e il Deuteroisaia, continuassero a preannunciare loro il ritorno (Ez 37,1-14; 34,11-16; Is 49,8-26). Si organizzarono allora carovane di esuli che tornarono in patria, in mezzo a tripudi, a feste e a canti di gioia. La gente rimasta a Gerusalemme e in terra di Giuda sentiva con grande sofferenza il distacco dai propri cari lontani, e nutriva gli stessi sentimenti di scoraggiamento e di sfiducia degli esuli, nonostante che i profeti annunciassero anche ad essa un futuro di salvezza e di ricostruzione (Is 60; 62); la gente di Gerusalemme e di Giuda, triste e sconsolata, non riusciva ad attendersi più nulla di positivo riguardo ai propri cari lontani. Ma all’improvviso si vide i deportati tornare, e allora scoppiò in un incontenibile grido di gioia di fronte a questo evento che aveva l’aspetto di un incredibile e straordinario sogno: “Quando il Signore ricondusse i deportati di Sion, ci sembrava di sognare! Allora la nostra bocca si aprì al sorriso, la nostra lingua si sciolse in canti di gioia” (vv 1-2). Tale avvenimento fu così grande e impensato che destò la meraviglia e lo stupore perfino dei popoli pagani, oltre che - naturalmente- riempire di esultanza e di gioia il cuore degli esuli e di tutta la gente di Gerusalemme e di Giuda: “Allora si diceva tra i popoli: ‘Il Signore ha fatto grandi cose per loro’. Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha colmati di gioia” (vv 2-3). Il salmo, dopo lo scoppio di gioia, diventa però improvvisamente, per un momento, pensoso e serio: si fa preghiera. Gli esuli tornati non sono tutti, ma solo una parte di essi; c’è ancora chi si trova in terra lontana e straniera; ecco allora che il salmista chiede: “Riconduci, Signore, i nostri prigionieri, come i torrenti del 114

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Salmo 126

Il Salmo 126 è un salmo di gioia e di esultanza per un incredibile evento di grazia e di salvezza che il Signore ha concesso al suo popolo.

Il popolo di Giuda era da molti anni esule a Babilonia; gli abitanti di Gerusalemme erano stati deportati in massa in terra straniera dal re Nabuccodonosor (597 e 587 a.C.) ed avevano sofferto moltissimo lontano dalla patria, con l’impressione di essere stati abbandonati da Dio. Ma all’improvviso l’ascesa al trono di Babilonia del re persiano Ciro (538 a.C.) diede loro la libertà di tornare a casa e permise loro il rimpatrio. L’avvenimento fu per gli esuli un evento straordinario, insperato; essi avevano perso ormai ogni speranza di poter tornare, e si sentivano un popolo morto che non avrebbe mai più avuto un futuro, nonostante che i profeti dell’esilio, Ezechiele e il Deuteroisaia, continuassero a preannunciare loro il ritorno (Ez 37,1-14; 34,11-16; Is 49,8-26). Si organizzarono allora carovane di esuli che tornarono in patria, in mezzo a tripudi, a feste e a canti di gioia.

La gente rimasta a Gerusalemme e in terra di Giuda sentiva con grande sofferenza il distacco dai propri cari lontani, e nutriva gli stessi sentimenti di scoraggiamento e di sfiducia degli esuli, nonostante che i profeti annunciassero anche ad essa un futuro di salvezza e di ricostruzione (Is 60; 62); la gente di Gerusalemme e di Giuda, triste e sconsolata, non riusciva ad attendersi più nulla di positivo riguardo ai propri cari lontani.

Ma all’improvviso si vide i deportati tornare, e allora scoppiò in un incontenibile grido di gioia di fronte a questo evento che aveva l’aspetto di un incredibile e straordinario sogno: “Quando il Signore ricondusse i deportati di Sion, ci sembrava di sognare! Allora la nostra bocca si aprì al sorriso, la nostra lingua si sciolse in canti di gioia” (vv 1-2).

Tale avvenimento fu così grande e impensato che destò la meraviglia e lo stupore perfino dei popoli pagani, oltre che -naturalmente- riempire di esultanza e di gioia il cuore degli esuli e di tutta la gente di Gerusalemme e di Giuda: “Allora si diceva tra i popoli: ‘Il Signore ha fatto grandi cose per loro’. Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha colmati di gioia” (vv 2-3).

Il salmo, dopo lo scoppio di gioia, diventa però improvvisamente, per un momento, pensoso e serio: si fa preghiera. Gli esuli tornati non sono tutti, ma solo una parte di essi; c’è ancora chi si trova in terra lontana e straniera; ecco allora che il salmista chiede: “Riconduci, Signore, i nostri prigionieri, come i torrenti del Negheb” (v 4); riconduci a casa, o Signore, e fa tornare anche quelli che ancora non sono tornati; fa’ che tornino tutti, in gran numero, in massa, così come sono abbondanti e gonfie le acque dei torrenti del Negheb (il deserto a sud della Palestina) quando le piogge che scendono scroscianti dal cielo riempiono le profonde e strette valli di torrenti improvvisi e impetuosi.

Gli ultimi due versetti del salmo sono una considerazione e una lettura di speranza circa gli avvenimenti accaduti e vissuti: “Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo. Nell’andare se ne va e piange portando la semente da gettare, ma nel tornare viene con giubilo portando i suoi covoni” (vv 5-6). Il momento della deportazione e dell’esilio, momento terribile e di sofferenza, viene avvicinato, con immagine agreste, al momento della semina del grano, quando il seminatore semina e seppellisce nella terra i chicchi che gli potrebbero servire da cibo e diventare pane per il suo nutrimento: è un momento di privazione, quello della semina, ma esso viene poi compensato da un futuro più ricco, da una messe feconda e abbondante. Così furono la deportazione e l’esilio: momenti dolorosi e sofferti, vissuti nelle lacrime e nel pianto, ma ora il rimpatrio e il ritorno degli esuli è una realtà così bella e così esaltante che compensa in abbondanza ogni sofferenza e ogni dolore provato allora.

Il salmo 126 invita alla speranza. Spesso le situazioni dell’uomo e dei popoli sembrano irrimediabilmente compromesse e senza futuro; spesso le risorse umane sembrano esaurite e le parole che istintivamente affiorano sulle labbra dell’uomo sono: “Non c’è più nulla da fare”. Ma non di rado Dio ha ancora una parola di salvezza da pronunciare sulle vicende dell’uomo e sa

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portare futuro là dove futuro sembra non esserci più. Così fu per Abramo (Gen 15,1-6; 22,1-19); per il re Ezechia (Is 28,1-8); per il popolo esule a Babilonia; per gli apostoli in pericolo sul lago (Mc 4,35-41); per l’emorroissa (Mc 5,25-34); per Gesù stesso, ucciso dagli uomini ma risuscitato dal Padre (At 2,22-24). Così è, misteriosamente, anche per ciascuno di noi. Dio ha cura di ciascuno (Lc 12,7; 1Pt 5,7). Anche il peccato e la morte, i nemici più terribili e più temibili, verranno vinti e superati dalla potenza e dall’amore di Dio (Mi 7,18-20; Mt 9,2; 1Cor 15,12-22; 1Cor 15,54-55).

Spesso le situazioni dolorose e difficili contengono un germe di bene e portano, a distanza, frutti positivi. Spesso la sofferenza e la preoccupazione si mutano in sollievo, in serenità e in gioia. Il seminare con sacrificio, con generosità e con gratuità, porta certamente il suo frutto (Gv 12,24-25). Magari “uno è colui che semina e un altro è colui che miete”, come dice Gesù (Gv 4,37); ma seminare il bene porta sempre, e certamente, frutto.

Salmo 127

Il salmo 127 unisce insieme l’incapacità dell’uomo a costruire se stesso e la propria felicità e la generosità di Dio che largamente dona e aiuta.

L’incapacità dell’uomo è espressa mediante l’immagine di una casa da costruire (l’uomo con le sue forze non è capace di costruirla); con l’immagine di una città da difendere e da custodire (l’uomo con le sue forze non è capace di difenderla e custodirla); con l’immagine del lavoro da svolgere e da compiere (l’uomo con le sue forze non è capace di svolgerlo e compierlo). E’ necessario l’aiuto e l’intervento di Dio: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode. Invano vi alzate di buon mattino, tardi andate a riposare e mangiate pane di sudore: il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno” (vv 1-2).

Il Signore però è generoso e costruisce la casa, custodisce la città, rende fecondo il lavoro dell’uomo. In particolare arricchisce l’uomo di figli: “Ecco, dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo” (v 3). E il salmo fa l’elogio della famiglia numerosa: i molti figli sono ricchezza e forza della famiglia: “Come frecce in mano a un eroe sono i figli della giovinezza. Beato l’uomo che ne ha piena la faretra: non resterà confuso quando verrà a trattare alla porta con i propri nemici” (vv 4-5). L’uomo che aveva molti figli poteva trovare sostegno in loro quando si fosse trovato a dover discutere con persone avverse, e a dover sostenere contradditòri alla porta della città, luogo ove si trattavano gli affari e le liti.

Il salmo ricorda che l’uomo da solo non può nulla, ha bisogno dell’aiuto di Dio: “Senza di me non potete fare nulla”, dice Gesù (Gv 15,5). E insieme assicura che Dio il suo aiuto lo concede e lo dona, per cui l’uomo può sperare ed essere fiducioso.Il salmo ricorda che i figli sono un ‘dono’ di Dio e che l’uomo non ha ‘diritto’ al figlio. Insieme invita la famiglia ad essere generosa nel generare.

Salmo 128

Il salmo 128 canta la felicità dell’uomo devoto e fedele al Signore: godrà del frutto del suo lavoro, avrà una vita familiare serena: “Beato l’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie. Vivrai del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai d’ogni bene. La tua sposa come vite feconda

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nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa” (vv 1-3). Il Signore benedice la famiglia dell’uomo virtuoso. L’augurio del salmista è che egli possa godere della prosperità di Gerusalemme e di una numerosa discendenza: “Ti benedica il Signore da Sion! Possa tu vedere la prosperità di Gerusalemme; possa tu vedere i figli dei tuoi figli” (vv 5-6).La prospettiva è quella della retribuzione terrena, propria dei tempi antichi di Israele, quando, non essendo ancora chiara l’idea di una retribuzione nell’al di là, si pensava che Dio dovesse premiare l’uomo giusto qui sulla terra.

Il salmo invita a costruire la propria famiglia secondo il Signore, e le assicura la benedizione e l’aiuto di Dio.

Salmo 129

Il salmo 129 è un canto nazionale: la nazione di Israele, impersonata in un singolo uomo, guarda alla propria storia passata, e la vede segnata da sofferenze e oppressioni. Tali sofferenze e oppressioni sono espresse con l’immagine di lunghi solchi scavati con flagelli sul dorso di un uomo: “Sul mio dorso hanno arato gli aratori, hanno fatto lunghi solchi” (v 3); furono oppressioni assai dolorose. Israele ebbe a soffrire fin dagli inizi della sua esistenza: “Dalla giovinezza molto mi hanno perseguitato” (v 1): il riferimento è al soggiorno di Israele in Egitto. Ma il Signore ha soccorso il suo popolo e non ha permesso che i nemici lo annientassero: “Il Signore è giusto, ha spezzato il giogo degli empi” (v 4).

Il salmo poi guarda in avanti, e chiede al Signore che il futuro sia sicuro e sereno: “Siano confusi e volgano le spalle quanti odiano Sion” (v 5). La richiesta è che i nemici rinsecchiscano e perdano vitalità e vigore come rinsecchisce l’erba che germoglia tra il terriccio dei tetti e viene strappata, e che su di essi non abbia a scendere la benedizione del Signore: “I passanti non possono dire: La benedizione del Signore sia su di voi, vi benediciamo nel nome del Signore” (v 8).

Il salmo può essere applicato alla Chiesa, che fin dagli inizi e sempre, lungo la storia, ebbe a soffrire e fu perseguitata. Ma Dio sempre l’ha soccorsa e liberata. Il salmo può prestarsi a pregare per la Chiesa perché possa godere tempi sereni e tranquilli, pur non invocando punizione e castighi sui suoi persecutori.

Salmo 130

Il salmo 130 è la preghiera accorata ma fiduciosa di un uomo che si percepisce profondamente peccatore e lontano da Dio, e si rivolge a lui. La causa del suo mal stare non è una malattia, o il pericolo di morte, o le aggressioni di violenti persecutori che lo tormentano, come in altri salmi, ma è il peccato che egli ha commesso. Il peccato commesso lo ha gettato in un abisso, in un “profondo” da cui egli non sa più risalire: solo la sua voce riesce ancora a salire da quel “profondo”: “Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce” (v 1).

La profondità per gli Ebrei non era generalmente un elemento positivo, come invece lo è, per lo più, nella nostra cultura: noi parliamo di “profondità interiore”, di “sentimenti profondi”, di “approfondire un problema”; invece gli Ebrei mettevano l’idea di profondità in relazione piuttosto a

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concetti negativi, a ciò che è “inaccessibile” all’uomo, alle profondità della terra che l’uomo non riesce a scandagliare, allo Sheol, il regno dei morti, pozzo da cui l’uomo non può più risalire.

Il salmo parte da una situazione poco meno che disperata: dall’abisso in cui il salmista si trova solo la sua voce può e riesce ad uscire. Questo abisso è stato scavato dal peccato dell’uomo (Is 59,2). E tuttavia quest’uomo, che è come perduto, ha ancora la forza, per sua fortuna, di alzare il suo grido fino a Dio e di sperare nella sua misericordia.

Un midràsh giudaico dice che il grido del peccatore pentito e confidente fa passare JHWH dal trono della giustizia al trono della misericordia. Il salmista va oltre e più in là: egli ritiene che Dio non abbia due troni, ma ne abbia uno solo, quello della misericordia, e sia stabilmente seduto su quello: “Presso di te è il perdono, presso il Signore è la misericordia” (v 4. 7). Dio è solo misericordia nei confronti del peccatore pentito; ciò che gli è più proprio -pensa il salmista- è la misericordia, il perdono, la redenzione (v 4. 7).

Questa qualità di Dio, che il salmista riconosce in lui come qualità essenziale, è ciò che gli dà la forza e il coraggio di gridare dal suo “profondo” e di sperare (con speranza che è certezza) che Dio lo accoglierà e lo perdonerà. Tale speranza sicura è espressa con un paragone: “L’anima mia attende il Signore più che le sentinelle l’aurora”(v 6). Le sentinelle sono sicure, sicurissime, che dopo la notte verrà l’aurora, e così altrettanto, anzi di più, il salmista peccatore è sicuro che Dio lo perdonerà. E non solo perdonerà lui; ma il salmista allarga la misericordia di Dio e la redenzione a tutto il popolo, a tutto Israele (v 8), ad ogni uomo, perché ogni uomo è peccatore davanti a Dio, e se Dio non fosse misericordioso, “chi potrebbe sussistere davanti a lui?” (v 3).

L’amore di Dio che perdona fa sì che il salmista senta rafforzarsi in sé il desiderio di stringere un’amicizia ancora più profonda con Dio e un rapporto di obbedienza ancora più fedele a lui: questo è il senso dell’espressione: “e avremo il tuo timore” (v 4) (“timore” qui non vuol dire paura; sarebbe del tutto fuori contesto).

Il Salmo 130 è il salmo della confidenza piena in Dio, dell’appello al suo amore assolutamente gratuito; è l’espressione e la rivelazione del tratto più autentico e più proprio del volto del Dio della Bibbia: la misericordia.

Salmo 131Il Salmo 131 è un salmo che invita all’umiltà e alla fiducia. L’uomo è facilmente tentato di

superbia, di credere di bastare a se stesso. Il contrario del superbo è il bambino. Il bambino si sente dipendente dalla madre, sente il bisogno assoluto di lei; anche se svezzato (e nell’antico Israele un bambino veniva svezzato dopo i due anni, cioè quando era già grandicello), egli sente ancora il bisogno di essere preso in braccio dalla mamma, e trova la sua sicurezza nel contatto col seno di lei. Appoggiato al seno della mamma, egli si sente sicuro, si sente tranquillo e felice; egli attinge la propria sicurezza dalla mamma, e non da se stesso: “Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia” (vv 1-2).

Il salmista dice di voler essere così, come un bambino in braccio a Dio; non un superbo che si inorgoglisce e fa progetti e programmi più grandi di sé sopravalutando le proprie forze e le proprie capacità: “Non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze” (v 1); ma vuole essere come un bambino piccolo che sa conservare il senso della propria dipendenza, della propria debolezza e fragilità, del proprio limite e del proprio bisogno di Dio e degli altri.

L’invito finale, rivolto a tutto il popolo, è a “sperare” nel Signore, a riporre la propria fiducia in lui e non in se stesso: “Speri Israele nel Signore, ora e sempre” (v 3).

La Bibbia invita più volte a confidare in Dio e non nelle proprie forze (Ger 17,5-8); invita all’umiltà (1Pt 5,5-7) perché da soli non siamo capaci di fare nulla (Gv 15,4-5); ci ricorda che Dio ama

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l’umile ma resiste al superbo (Lc 1,51-53); il tentativo orgoglioso di costruirsi da sé è destinato a fallire (Gen 11,1-9); chi invece si affida e si appoggia al Signore trova in lui sicurezza, serenità e pace (Sal 27,1-6; Sal 31,1-9) e alla fine si trova da Dio costruito e arricchito di doni (Lc 1,46-49).Il salmo 131 ci invita a imitare l’atteggiamento dell’apostolo Giovanni durante l’ultima cena: tenere il nostro capo appoggiato sul petto di Gesù (Gv 13,25).

Salmo 132

Il salmo 132 ha come sfondo storico due eventi precisi: il primo, il recupero dell’arca dell’alleanza da parte del re Davide; e, il secondo, l’introduzione dell’arca nel tempio di Gerusalemme da parte del re Salomone.

L’arca dell’alleanza era stata strappata agli Ebrei dai Filistei in battaglia, e Davide la recuperò portandola a Gerusalemme e sistemandola accanto alla sua reggia; successivamente, Salomone, il figlio di Davide, quando ebbe costruito il tempio di Gerusalemme, la introdusse nel tempio.

Il salmo si divide chiaramente in due parti: la prima parte descrive i due momenti sopraddetti, segno dell’amore di Davide e di Salomone per l’arca del Signore (vv 1-10); e la seconda parte presenta la risposta del Signore alla cura di Davide e di Salomone per l’arca (vv 11-18).

Davide abitava già da tempo nella sua reggia a Gerusalemme, reggia che egli si era costruito dopo aver conquistato la città; ma l’arca dell’alleanza, luogo della presenza di Dio, era rimasta in una località di nessun conto. Davide esclama: “Non entrerò sotto il tetto della mia casa, non mi stenderò sul mio giaciglio, non concederò sonno ai miei occhi né riposo alle mie palpebre, finché non trovi una sede per il Signore, una dimora per il Potente di Giacobbe” (vv 3-5). Davide non poteva accettare il fatto di abitare lui in una reggia e che l’arca del Signore restasse in un luogo di nessun conto, trascurata e dimenticata; per cui la andò a recuperare: “Abbiamo sentito che era in Efrata, l’abbiamo trovata nei campi di Iaar” (v 6); Efrata e i campi di Iaar erano località della zona attorno a Betlemme. Davide ci andò, recuperò l’arca, e la portò a Gerusalemme (cfr 2 Sam 5,17 – 6,15).

Salomone, poi, la introdusse nel tempio di Gerusalemme nel corso di una solenne cerimonia (cfr 1Re cap. 8): “Entriamo nella sua dimora (=il tempio), prostriamoci allo sgabello dei suoi piedi ( = l’arca, sentita come il luogo della presenza di Dio). Alzati, Signore, verso il luogo del tuo riposo ( =il tempio), tu e l’arca della tua potenza. I tuoi sacerdoti si vestano di giustizia, i tuoi fedeli cantino di gioia” (vv 7-9).

Alla cura e all’amore di Davide e di Salomone per l’arca dell’alleanza del Signore, il Signore risponde con un cumulo di doni. Promette a Davide una discendenza stabile e perenne: “Il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono. Se i tuoi figli custodiranno la mia alleanza e i precetti che io insegnerò ad essi, anche i loro figli per sempre sederanno sul suo trono” (vv 11-12). Promette di abitare sempre in Gerusalemme: “Il Signore ha scelto Sion, questo è il mio riposo per sempre, qui abiterò perché l’ho desiderato” (vv 13-14). Promette prosperità economica al popolo: “Benedirò tutti i suoi raccolti, sazierò di pane i suoi poveri” (v 15). Promette grazie ai sacerdoti e gioia ai fedeli: “Rivestirò di salvezza i suoi sacerdoti, esulteranno di gioia i suoi fedeli” (v 16). Promette difesa e sicurezza dai nemici: “Coprirò di vergogna i suoi nemici, ma su di lui splenderà la corona” (v 18).

Il salmo è un invito a curare gli ‘interessi’ del Signore. Il libro del profeta Aggeo racconta degli ebrei che, tornati dall’esilio a Babilonia, per prima cosa si diedero a ricostruire le proprie case, senza curarsi di ricostruire il tempio del Signore distrutto. Il profeta li richiama e li rimprovera; dice: “Se voi pensate solo a voi stessi e non alle cose del Signore, come potrete attendervi da lui soccorso e benefici? (cfr Ag 1,1-11). E Gesù dice: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto vi sarà dato in aggiunta” (Mt 6,33).

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Salmo 133Il salmo 133 canta ed esalta la bellezza e la gioia del vivere uniti in comunione e in

fraternità: “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme” (v 1).Il salmista ricorre a due immagini: il vivere uniti in fraternità è qualcosa di gradevole, ha il

profumo di un prezioso aroma. E’ richiamato l’aroma prezioso e profumato usato nella consacrazione sacerdotale di Aronne, il sommo sacerdote, e dei sommi sacerdoti suoi successori; aroma fatto di mirra, cinnamomo, cannella profumata e cassia diluiti in olio. E’ il profumo più profumato! Il profumo di tale aroma si spande in tutto l’ambiente, impregna l’intera vita comunitaria dei fratelli, delle persone che vivono insieme, così come l’olio della consacrazione dal capo di Aronne scese lungo la sua barba fino ad impregnare le sue vesti: “E’ come olio profumato sul capo, che scende sulla barba, sulla barba di Aronne, che scende sull’orlo delle sue vesti” (v 2).

La seconda immagine è tolta dal mondo geografico e della natura: il vivere uniti in fraternità è qualcosa che rinfresca e che ristora. E’ simile al ristoro che la rugiada reca ad un terreno secco ed arso. Come nella prima immagine il salmista era ricorso al profumo più profumato, così ora, in questa seconda immagine, egli ricorre alla rugiada più rinfrescante, la rugiada che scende dal monte più alto di tutta la regione, l’Ermon, che raggiungente i 2760 metri di altitudine, e che è ricco di nevi e di acqua. La fraternità è una rugiada ristorantissima! “E’ come rugiada dell’Ermon, che scende sui monti di Sion” (v 3a).

Là -dice il salmo- cioè nel vivere uniti in fraternità, si sperimenta la benedizione del Signore: “Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre” (v 3b).

Il salmo è un invito a vivere in comunione d’amore con i fratelli. “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”, dice Gesù (Gv 13,34); e san Paolo dice: “Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti” (Rm 12,18).

Salmo 134Il salmo 134 è un dialogo tra un pellegrino che ha partecipato ad una celebrazione al tempio

di Gerusalemme, e i sacerdoti del tempio. Si è fatta sera, la notte sta per arrivare, e il pellegrino si allontana dal tempio col rimpianto di non potervisi fermare oltre a lodare il Signore anche nelle ore notturne; per cui incarica i sacerdoti, che non si allontanano mai dal tempio, a continuare a lodare il Signore lungo la notte anche a nome suo: “Ecco, benedite il Signore, voi tutti, servi del Signore; voi che state nella casa del Signore durante le notti. Alzate le mani verso il tempio e benedite il Signore” (vv 1-2).

A questa richiesta del pellegrino i sacerdoti rispondono positivamente, lasciando intendere implicitamente che avrebbero assolto all’incarico ricevuto, e assicurandogli la benedizione del Signore: “Da Sion ti benedica il Signore, che ha fatto cielo e terra” (v3).

Il salmo esprime bene il desiderio del fedele che ama il Signore di poterlo lodare sempre, giorno e notte; e ricorda la richiesta che le persone spesso fanno al sacerdote di pregare per loro. Il sacerdote ha, tra i primi suoi compiti, quello di pregare per i propri fedeli, per la Chiesa e per il mondo intero.

Salmo 135Il salmo 135 è un inno di lode e di ringraziamento al Signore. La lode apre il salmo: “Lodate

il nome del Signore, lodatelo, servi del Signore, voi che state nella casa del Signore, negli atri della casa del nostro Dio. (l’invito è rivolto ai sacerdoti del tempio di Gerusalemme) Lodate il Signore: il Signore è buono; cantate inni al suo nome perché è amabile” (vv 1-3). E il salmo termina con un

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grande ringraziamento: “Benedici il Signore, casa di Israele; benedici il Signore, casa di Aronne; benedici il Signore, casa di Levi; voi che temete il Signore, benedite il Signore. Da Sion sia benedetto il Signore che abita a Gerusalemme” (vv 19-21).

La lode si riferisce alla prima parte del salmo (vv 5-7) e il ringraziamento alla seconda parte (vv 8-18). La prima parte del salmo celebra la grandezza di Dio che lo pone al di sopra di ogni altro dio, ed esalta la sua potenza che può operare nel mondo e nella natura quanto è nella sua volontà: “Io so che grande è il Signore, il nostro Dio sopra tutti gli dèi. Tutto ciò che vuole il Signore, egli lo compie in cielo e sulla terra, nei mari e in tutti gli abissi. Fa salire le nubi dall’estremità della terra, produce le folgori per la pioggia, dalle sue riserve libera i venti” (vv 5-7). Il Signore è il Signore della natura, del creato; merita di essere lodato.

La seconda parte del salmo richiama gli interventi di Dio a favore del popolo di Israele: le piaghe d’Egitto: “Egli percosse i primogeniti d’Egitto, dagli uomini fino al bestiame. Mandò segni e prodigi in mezzo a te, Egitto, contro il faraone e tutti i suoi ministri” , e l’aiuto nella conquista della terra promessa: “Colpì numerose nazioni e uccise re potenti: Seon, re degli Amorrei, Og, re di Basan, e tutti i regni di Canaan. Diede la loro terra in eredità a Israele, in eredità a Israele suo popolo” (vv 8-12). Dio ha operato grandi cose a favore del suo popolo, il suo nome è eccelso; davanti a lui gli idoli non possono sostenere il confronto, sono un nulla: “Gli idoli dei popoli sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono; non c’è respiro nella loro bocca” (vv 15-17). Chi li adora diventa vanità e vuoto come sono gli idoli stessi: “Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida” (v 18). Dio va lodato e ringraziato.

Il salmo si presta alla lode e al ringraziamento del cristiano che ammira la potenza di Dio nel creato e che ricorda i benefici da lui ricevuti nel corso della propria vita.

Salmo 136Il salmo 136 è un salmo in forma litanica, con identica risposta ad ogni invocazione. E’ un

salmo di lode e di ringraziamento insieme. Il verbo ebraico “jadàh”, che apre il salmo e lo chiude, vuol dire sia ‘lodare’ che ‘ringraziare’: certe edizioni della Bibbia infatti hanno: “Lodate il Signore perché è buono” ed altre hanno: “Ringraziate il Signore perché è buono” (vv 1-3. 26). Il salmo 136, dunque, è una lode grata e riconoscente a Dio.

I motivi della lode e del ringraziamento sono tre: ciò che Dio ha creato; le gesta di salvezza operate da Dio nella storia di Israele; il suo soccorso provvidente in momenti particolari di difficoltà.

Nel celebrare l’opera della creazione il salmo riprende e ripercorre, in sintesi, il racconto del primo capitolo della Genesi: ricorda la creazione del cielo, del mare, della terra, del sole, della luna, delle stelle (vv 4-9). Ad ogni opera della creazione viene ripetuto il ritornello “perché eterna è la sua misericordia”. L’opera della creazione è sentita come un gesto di misericordia e di bontà da parte di Dio nei confronti dell’uomo.

Le opere di salvezza operate da Dio nella storia di Israele (secondo motivo di lode e di ringraziamento) sono le classiche opere di salvezza più volte ricordate e cantate nei salmi: le piaghe d’Egitto, il passaggio del mar Rosso, la guida lungo il deserto, la vittoria su vari popoli nemici, l’ingresso nella Terra promessa (vv 10-22). Anche qui, al ricordo di ciascuna opera di salvezza, viene ripetuto il ritornello: “perché eterna è la sua misericordia”. La storia del popolo viene sentita come tutta punteggiata di misericordia di Dio.

Infine, nel riandare ad alcuni momenti particolari di difficoltà, che possiamo ipotizzare essere i momenti di invasione di nemici al tempo dei Giudici (secolo XI a.C.), ritorna ancora il “perché eterna è la sua misericordia”(vv 23-25).

Anche il cristiano, se rivà alla sua storia personale e alla storia della Chiesa, non può fare a meno di ripetere a viva voce: “eterna è la sua misericordia”!

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Salmo 137Il salmo 137 fu composto all’indomani dell’esilio a Babilonia da un ebreo che vi era stato

esule e che era ritornato in patria. Egli rievoca con accenti appassionati la situazione di grande dolore degli esuli: “Sui fiumi di Babilonia sedevamo piangendo al ricordo di Sion” (v 1). Degli esuli i babilonesi si facevano beffe: “Ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, canzoni di gioia i nostri oppressori: Cantateci i canti di Sion” (v 3). La sofferenza degli esuli era grandissima, tale da impedire loro nel modo più assoluto di cantare i canti religiosi che si cantavano a Gerusalemme: “Come cantare i canti del Signore in terra straniera?. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre” (vv 4. 2).

Negli esuli il ricordo di Gerusalemme era impresso in modo indelebile: “Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia” (vv 5-6).

Quando nel 597 a.C. la città di Gerusalemme era stata conquistata dall’esercito di Nabucodonosor, il popolo degli Idumei aveva fatto causa comune con i babilonesi assedianti; per questo il salmista chiede a Dio di ricordarsi in termini di castigo di quel popolo: “Ricordati, Signore, dei figli di Edom, che nel giorno di Gerusalemme dicevano: Distruggete, distruggete anche le sue fondamenta” (v 7). Ed esce poi in una terribile invettiva, che sa di vendetta, contro Babilonia che tanto aveva fatto soffrire lui e il suo popolo: “Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la pietra” (vv 8-9).

Il salmo può essere pregato da chi si sentisse come in esilio, lontano da quel bene e da quella gioia di cui avverte il bisogno; da chi si sentisse vittima di ingiustizia e oppressione. Col cuore che resta fisso in Dio, la vera Sion, la vera Gerusalemme. Senza però cadere nel desiderio di vendetta.

Salmo 138Il salmo 138 è un salmo di ringraziamento al Signore; inizia con grande slancio: “Ti rendo

grazie, Signore, con tutto il cuore” (v 1a); “A te voglio cantare davanti agli angeli” (v 1c); “Rendo grazie al tuo nome” (v 2).

I motivi del ringraziamento sono molteplici: Dio ha ascoltato la preghiera del salmista (v 1b); gli si è mostrato fedele e misericordioso (v 2c); gli ha dato forza (v 3); lo ha soccorso nel giorno della difficoltà e della sventura (v 7).

Nella parte centrale del salmo il ringraziamento si fa, da individuale, corale: “Ti loderanno, Signore, tutti i re della terra; canteranno le vie del Signore, perché grande è la gloria del Signore” (vv 4-5). Il Signore merita di essere ringraziato non solo dal salmista, ma da tutta l’umanità.

La parte finale contiene un atto di fiducia, un atto di fede e una supplica: la fiducia che il Signore non lascerà incompiuta l’opera di salvezza iniziata a favore del salmista, ma la porterà a compimento: “Il Signore completerà per me l’opera sua” (v 8a); la fede che la bontà del Signore non verrà mai meno: “Signore, la tua bontà dura per sempre” (v 8b); e la richiesta al Signore di non essere da lui mai abbandonato: “Non abbandonare l’opera delle tue mani” (v 8c).

Il salmo si presta bene alla nostra preghiera.

Salmo 139Il salmo 139 canta la piena e assoluta conoscenza dell’uomo da parte di Dio. Dio conosce

l’uomo in tutto ciò che l’uomo è e fa; lo conosce nei suoi pensieri: “Tu penetri da lontano i miei pensieri” (v 2); lo conosce nelle sue azioni: “Mi scruti quando cammino e quando riposo, ti sono

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note tutte le mie vie” (v 3), lo conosce nelle sue parole: “La mia parola non è ancora sulla lingua e tu, Signore, già la conosci tutta” (v 4). I versetti 1-5 sottolineano la piena conoscenza dell’uomo da parte di Dio per mezzo di alcune espressioni ‘polari’, espressioni che mettono l’uno a fianco all’altro i due estremi di una realtà, così che tutta la realtà ne sia compresa: “Tu sai quando mi seggo e quando mi alzo; mi scuti quando cammino e quando riposo; alle spalle e di fronte mi circondi”.

Nei versetti 7-12 è affermata l’impossibilità assoluta dell’uomo di sottrarsi allo sguardo di Dio: “Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? (v 7). Non c’è luogo in cui l’uomo si possa nascondere da Dio: non nel cielo, non negli inferi sotto terra, non al di là del mare; Dio è dappertutto! “ Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti (cielo – inferi, espressione polare). Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra (vv 8-10). E non c’è notte così tenebrosa, non c’è oscurità così buia che possa sottrarre l’uomo alla vista di Dio. Dio squarcia ogni notte perché per lui la notte è chiara come il giorno: “Se dico:‘Almeno l’oscurità mi copra e intorno a me sia la notte’, nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come luce” (vv 11-12).

Il salmista poi rivolge la sua riflessione all’uomo quando l’uomo è ancora embrione; Dio già lo vede, già lo conosce; Dio lo forma e lo costruisce nell’utero della madre. Dio già delinea i giorni della sua vita: “Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno” (vv 13-16).

Il salmista esce in un’esclamazione di meraviglia e di stupore adorante di fronte alla grandezza e all’onniscienza di Dio: “Quanto profondi per me i tuoi pensieri, quanto grande il loro numero, o Dio; se li conto sono più della sabbia, se li credo finiti, con te sono ancora” (vv 17-18).

Gli ultimi versetti del salmo (vv 19-24) sono una protesta di fedeltà a Dio da parte del salmista, il quale afferma di voler prendere nel modo più assoluto le distanze dai nemici di Dio, da coloro che vivono ribelli a lui e lo odiano: “Allontanatevi da me, uomini sanguinari. Non odio, forse, Signore, quelli che ti odiano e non detesto i tuoi nemici? Li detesto con odio implacabile come se fossero miei nemici” (vv 19-22). E il salmo si conclude con una richiesta: “Signore, vedi se percorro una via di menzogna e guidami sulla via della vita” (v 24).

Il salmo 139 ci richiama al senso di responsabilità delle nostre azioni, ci ricorda che noi siamo continuamente sotto lo sguardo di Dio (Sir 16,16-17; At 17,28); tutto egli vede, sia il bene (Mt 6,1-6. 16-18) che il male (Sal 44,21-22; Sir 23,18-21). Nulla possiamo fare che sfugga a Dio.

Lo sguardo di Dio ci ha visti prima ancora che noi venissimo alla luce, ci ha formati con la sua divina sapienza (Ger 1,4; Ef 1,4-5); egli conosce la nostra vocazione e ce la svela nel corso della vita (Mc 1,16-20; 2,13-17).

Il nostro compito è di “servire Dio senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni”( Lc 1,74), secondo il comando di Dio ad Abramo: “Cammina davanti a me e sii integro” (Gen 17,1).

Salmo 140Il salmo 140 è la supplica di un uomo fatto oggetto di cattiveria da parte di gente superba e

violenta: “Salvami, Signore, dal malvagio, proteggimi dall’uomo violento. I superbi mi tendono lacci e stendono funi come una rete, pongono agguati sul mio cammino (vv 2. 6).

Il salmista ha fiducia nel Signore e ricorre a lui con confidenza: “Io dico al Signore: ‘Tu sei il mio Dio’. Signore, mio Dio, forza della mia salvezza, proteggi il mio capo nel giorno della lotta” (vv 7-8). E, come in altri salmi simili, il salmista chiede a Dio il castigo dei suoi persecutori: “Fa’

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piovere su di loro carboni ardenti, gettali nel baratro e più non si rialzino. Il maldicente non duri sulla terra, il male spinga il violento alla rovina” (vv 11-12).

Epurato della richiesta di castigo dei nemici, il salmo può essere pregato in situazioni di oppressione e di persecuzione.

Salmo 141Il salmo 141 è la supplica rivolta a Dio da un uomo che è circuito da gente malvagia la quale

lo vuole attrarre e irretire nei propri progetti iniqui. I malvagi cercano di sedurre il salmista invitandolo ai propri banchetti e trattandolo con segni di amicizia e di onore; lo si intuisce dalle parole del salmista che dice: “Che io non gusti i loro cibi deliziosi; l’olio dell’empio non profumi il mio capo” (vv 4-5).

Il salmista si sente in pericolo perché pressato dalle proposte di male che gli vengono fatte, per cui chiede aiuto al Signore: “Signore, a te grido, accori in mio aiuto; non lasciare che il mio cuore si pieghi al male e compia azioni inique con i peccatori. Preservami dai lacci che mi tendono, dagli agguati dei malfattori” (vv 1, 4, 9). Lo aiuta e lo sostiene la preghiera: “Come incenso salga a te la mia preghiera, le mie mani alzate come sacrificio della sera; tra le loro malvagità continui la mia preghiera” (vv 2. 5c). E lo aiuta il tenere lo sguardo rivolto al Signore per riceverne forza: “A te, Signore mio Dio, sono rivolti i miei occhi, in te mi rifugio, proteggi la mia vita” (v 8).

Non mancano, anche in questo salmo, parole invocanti il castigo dei malvagi: “Siano scaraventati sulle rocce i loro capi, le loro ossa siano disperse alla bocca degli inferi. I malvagi cadano nelle loro reti” (vv 6-7. 10).

Il salmo richiama la triste realtà di persone perverse che tentano di aggregare a sé nuovi adepti che si facciano complici dei loro progetti malvagi, e invita a resistere ai loro inviti e alle loro lusinghe. Il libro del Siracide dice: “Ascolta, figlio mio, l’istruzione di tuo padre e non disprezzare l’insegnamento di tua madre. Se i peccatori ti vogliono traviare, non acconsentire. Se ti dicono: ‘Vieni con noi, complottiamo per spargere sangue, insidiamo impunemente l’innocente, troveremo ogni specie di beni preziosi, riempiremo di bottino le nostre case, una sola borsa avremo in comune’, figlio mio, non andare per la loro strada, tieni lontano i piedi dai loro sentieri! I loro passi infatti corrono verso il male” (Sir 1,8-16). E’ importante evitare le cattive compagnie, e circondarsi invece di amici buoni.

Salmo 142Il salmo 142 è la accorata supplica a Dio di un uomo perseguitato che soffre intensamente:

“Con la mia voce al Signore grido aiuto, davanti a lui effondo il mio lamento, al suo cospetto sfogo la mia angoscia” (vv 2-3). I suoi avversari sono forti: “Salvami dai miei persecutori perché sono di me più forti” (v 7). Il salmista si sente solo, con ogni via di scampo sbarrata: “Non c’è per me via di scampo, nessuno ha cura della mia vita”(v 5). Egli allora cerca aiuto e soccorso in Dio, l’unico che gli resta a cui aggrapparsi: “Io grido a te, Signore, dico: Sei tu il mio rifugio, sei tu la mia sorte nella terra dei viventi” (v 6).

Il salmo richiama la bella preghiera della regina Ester ( Est 4,17k-t), ed è la preghiera di chi, sofferente, non può confidare che in Dio solo.

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Salmo 143Il salmo 143 è un’ intensa supplica al Signore. Il salmista è perseguitato da nemici: “Il

nemico mi perseguita, calpesta a terra la mia vita” (v 3); soffre molto: “In me languisce il mio spirito, si agghiaccia il mio cuore” (v 4); e chiede liberazione: “Libarmi dall’angoscia, per la tua giustizia, per la tua fedeltà disperdi i miei nemici” (vv 12-13).

Accanto a questa preghiera di liberazione il salmista chiede varie altre grazie: -che il Signore non lo chiami in giudizio, dato che nessun uomo resisterebbe al suo giudizio (v 2)-che il Signore non gli tenga nascosto il suo volto , ma gli si riveli (v 7) -che il Signore gli faccia conoscere la strada da percorrere nella vita (v 8)-che il Signore gli insegni a compiere la sua volontà (v 10)

Il salmo si presta molto bene ad essere pregato.

Salmo 144Il salmo 144 è un salmo messo in bocca a un re di Israele, che potrebbe essere Davide,

nominato al v 10, o anche un suo discendente. Il salmo si apre con una benedizione, cioè con un’esclamazione di lode rivolta al Signore, celebrato con una breve litania di titoli salvifici: egli è la roccia sicura e stabile, è la grazia amorosa, è la fortezza protetta, il rifugio difensivo, la liberazione, lo scudo che tiene lontano ogni assalto: “Benedetto il Signore, mia roccia, mia grazia e mia fortezza, mio rifugio e mia liberazione, mio scudo in cui confido” (vv 1-2). C’è anche l’immagine marziale del Dio che addestra alla lotta il suo fedele così che sappia affrontare le ostilità e gli assalti nemici: “Benedetto il Signore, che addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia; colui che mi assoggetta i popoli” (vv 1-2).

Davanti al Signore onnipotente il re, pur nella sua dignità di sovrano, si sente debole e fragile. Egli emette, allora, una professione di umiltà, riconosce di essere un soffio, qualcosa di passeggero, di esile e d’inconsistente come un’ombra: “Signore, che cos’è un uomo perché te ne curi?’ un figlio d’uomo perché ne dia pensiero? L’uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa” (vv 3-4).

L’orante allora chiede aiuto a Dio perché intervenga a soccorrerlo, con un intervento forte, grande, espresso per mezzo di immagini cosmiche: monti che fumano in eruzioni vulcaniche, folgori che sono simili a saette che disperdono i malvagi, le acque dell’oceano: “Signore, piega il tuo cielo e scendi, tocca i monti ed essi fumeranno. Le tue folgori disperdano i nemici, lancia frecce, sconvolgili. Stendi dall’alto la tua mano, scampami e salvami dalle grandi acque” (vv 5-7).

E per questo intervento l’orante ringrazia il Signore: “Mio Dio, ti canterò un canto nuovo, suonerò per te sull’arpa a dieci corde; a te che dai vittoria ai re, che liberi Davide tuo servo” (vv 9-10).

Nella seconda parte del salmo l’orante, il re, chiede a Dio benessere e prosperità per il suo popolo: chiede che la gioventù cresca vigorosa e forte, che le annate siano ricche di frutti, che le greggi e gli armenti siano numerosi, che la popolazione viva al sicuro da ogni assalto e invasione nemica: “I nostri figli siano come piante cresciute nella loro giovinezza; le nostre figlie come colonne d’angolo nella costruzione del tempio. I nostri granai siano pieni, trabocchino di frutti d’ogni specie, siano a migliaia i nostri greggi, a miriadi nelle nostre campagne; siano carichi i nostri buoi. Nessuna breccia, nessuna incursione, nessun gemito nelle nostre piazze (vv 12-14).

E l’affermazione finale è una professione di fede: “Beato il popolo che possiede questi beni: beato il popolo il cui Dio è il Signore” (v 15), come a dire che è il Signore la fonte di ogni bene.

Il salmo si presta ad essere pregato per chiedere a Dio la forza di combattere la battaglia dello spirito contro le forze del male, e per chiedere salvezza per il popolo, per la Chiesa e per l’umanità.

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Salmo 145

Il salmo 145 è un salmo alfabetico, come i salmi 25, 34, 111, 112, 119. Il salmista benedice e loda il Signore per i suoi prodigi (vv 4. 5. 12), ma più ancora per quello che egli è, per le sue meravigliose qualità: la sua grandezza (vv 3. 6), il suo splendore (v 5), la sua gloria (vv 5. 11), la sua potenza (vv 6. 11), la sua pazienza (v 8), la sua bontà (v 9), la sua misericordia (v 8), la sua giustizia (v 17), la sua santità (v 17), la sua tenerezza (v 9), la sua vicinanza all’uomo (v 18), il suo soccorso a chi vacilla e a chi fosse caduto (v 14), la sua capacità di riempire il cuore dell’uomo (v 19).

Il salmo 145 è il salmo uscito dal cuore e dalla penna di un contemplativo, e aiuta alla contemplazione di Dio.

Salmo 146

Il salmo 146 è una lode a Dio e insieme è l’invito a confidare in lui, e in lui solo. Il salmo inizia dicendo: “Loda il Signore, anima mai, loderò il Signore per tutta la mia vita, finché vivo canterò inni al mio Dio” (vv 1-2).

Ma poi il salmo si fa subito esortazione e orientamento spirituale: “Non confidate nei potenti, in un uomo che non può salvare. Esala lo spirito e ritorna alla terra; in quei giorni svaniscono tutti i suoi disegni” (vv 3-4). L’uomo è creatura fragile, mortale, non totalmente affidabile. Geremia dice: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno e il cui cuore si allontana dal Signore. Egli sarà come un tamerisco nella steppa, quando viene il bene non lo vede; dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia. Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, verso la sorgente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell’anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti” (Ger 175-8).

Il salmista porta i motivi per confidare nel Signore: “Egli è il creatore del cielo e della terra, del mare e di quanto contiene. Egli è fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati” (vv 6-7). E continua nell’elenco di una serie di azioni buone e di salvezza che il Signore compie nei confronti dell’uomo: “Il Signore libera i prigionieri, ridona la vista ai ciechi, rialza chi è caduto, protegge lo straniero, sostiene l’orfano e la vedova” (vv 7-9). Dio è pienamente affidabile.

Il salmo ricorda che nessuna creatura è tale da assicurare gioia e risposta piena ed esauriente al cuore dell’uomo e alle sue infinite aspirazioni. Dice sant’Agostino: “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (Confessioni, 1,1,1).

Salmo 147Il salmo 147 fu composto dopo il ritorno degli ebrei dall’esilio di Babilonia. Gerusalemme è

stata ricostruita e rinforzata con mura, porte e sbarre, e sta godendo un momento di relativa tranquillità: “Glorifica il Signore, Gerusalemme, loda il tuo Dio, Sion, perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte, in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli. Egli ha messo pace nei tuoi confini e ti sazia con fior di frumento” (vv 13-14). Un accenno all’esilio a Babilonia, pur già alle spalle, può

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essere intravvisto al v 4 che dice: “Egli (Dio) conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome”: sembra essere un riferimento polemico al culto degli astri praticato a Babilonia.

La prima parte del salmo (vv 1-6) è una lode a Dio che ha ricostruito Gerusalemme, ha riportato a casa gli esuli, si occupa con bontà dei bisognosi: “Il Signore ricostruisce Gerusalemme, raduna i dispersi di Israele. Risana i cuori affranti e fascia le loro ferite. Il Signore sostiene gli umili” (vv 2-3. 6).

Segue una seconda parte (vv 7-20) che è di ringraziamento e di glorificazione a Dio per il suo prendersi cura del suo popolo attraverso la creazione: “Egli copre il cielo di nubi, prepara la pioggia per la terra, fa germogliare l’erba sui monti. Provvede il cibo al bestiame, ai piccoli del corvo che gridano a lui” (vv 8-9); e per il suo prendersi cura anche nella stagione più inclemente, l’inverno: “Fa scendere la neve come lana, come polvere sparge la brina. Getta come briciole la grandine, di fronte al suo gelo chi resiste? Manda una sua parola ed ecco si scioglie, fa soffiare il vento e scorrono le acque” (vv 16-18). Davanti a Dio non hanno importanza le capacità dell’uomo, quanto piuttosto un buon rapporto con lui: “Non fa conto del vigore del cavallo, non apprezza l’agile corsa dell’uomo. Il Signore si compiace di chi lo teme, di chi spera nella sua grazia” (vv 10-11).

Il salmista conclude il salmo con un’esclamazione gioiosa, venata da una punta di orgoglio e di compiacimento: “Così non ha fatto con nessun altro popolo, non ha manifestato ad altri i suoi precetti” (v 20).

La Gerusalemme del salmo è segno della Chiesa, il popolo di Dio, che il Signore continuamente ricostruisce e di cui continuamente si prende cura. Per questo il Signore va lodato e ringraziato.

Salmo 148Il salmo 148 è un inno di lode a Dio. Il salmista invita a lodare Dio tutte le creature esistenti:

anzitutto gli angeli, poi gli astri del cielo, gli esseri della terra, i mari, la neve, la nebbia, i monti, le colline, gli alberi da frutto; poi gli animali, e infine gli uomini. Tutto il creato deve lodare il Signore, perché “il suo nome è sublime” (v 13).

La lode a Dio deve fiorire sulle labbra dell’uomo, chiamato a dare voce di lode a tutte le creature (cfr Dan 3,57-90). Il creato è davvero bello, Dio lo ha fatto bello! meraviglioso! Segno della sua infinita bellezza!

Salmo 149Il salmo 149 è un canto nazionale. Israele deve lodare Dio e insieme combattere contro i

nemici, deve celebrare il Signore in assemblea di preghiera e insieme tenere in mano la spada per difendersi dagli oppressori: “Cantate al Signore un canto nuovo, la sua lode nell’assemblea dei fedeli. Lodino il suo nome con danze, con timpani e cetre gli cantino inni. Le lodi di Dio sulla loro bocca e la spada a due tagli nelle loro mani, per compiere la vendetta tra i popoli e punire le genti” (vv 1. 3. 6-7).

Il salmo esprime la condizione del cristiano che da un lato è chiamato a pregare incessantemente (cfr Lc 18,1; Rm 12,12; 1Tes 5,17) e dall’altro è chiamato a lottare di continuo contro le proprie cattive passioni e contro le insidie d Satana (cfr Ef 6,10-20).

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Salmo 150Il salmo 150 conclude il Salterio. E’ un inno di lode a Dio a tutta orchestra. I motivi della

lode sono racchiusi in un solo versetto: “Lodate Dio per i suoi prodigi, lodatelo per la sua immensa grandezza” (v 2), mentre tutto il salmo è occupato dall’invito a lodare il Signore (per dieci volte ritorna l’imperativo ‘lodate’), e dagli strumenti che devono accompagnare la lode: sono strumenti a fiato, a corde, e a percussione: “Lodate Dio con squilli di tromba, lodatelo con arpa e cetra; lodatelo con timpani e danze, lodatelo sulle corde e sui flauti. Lodatelo con cembali sonori, lodatelo con cembali squillanti” (vv 3-5).

Dio merita di essere sommamente lodato, con arte e con tutta la capacità espressiva dell’uomo.

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Preghiera di papa Clemente XI( papa dal 1700 al 1721)

Credo, Signore, ma che io creda più fermamente; spero, ma che io speri con più sicurezza; amo, ma che io ami con maggior ardore; mi pento, ma che mi penta con maggior dolore.

Ti adoro come primo principio, ti desidero come ultimo fine, ti lodo come eterno benefattore, ti invoco come propizio difensore.

Guidami con la tua sapienza, reggimi con la tua santità, consolami con la tua clemenza, proteggimi con la tua potenza.

Ti offro, o Signore, i miei pensieri perché siano rivolti a te, le mie parole perché parlino di te, le mie azioni perché siano secondo te, le avversità che devo sopportare perché siano sopportate per te.

Voglio ciò che tu vuoi, lo voglio perché tu lo vuoi, lo voglio come tu lo vuoi, lo voglio finché tu lo vuoi.

Ti prego, Signore, illumina l’intelletto, infiamma la volontà, purificami il cuore, santifica la mia anima.

Che io pianga le colpe passate, che rifiuti le future tentazioni, che corregga le mie cattive inclinazioni, che coltivi le virtù necessarie.

Concedimi, o Dio buono, l’amore a te, il saper rinnegare me stesso, lo zelo verso il prossimo, il rifiuto di tutto ciò che è mondano.

Che io mi sforzi di obbedire ai superiori, di aiutare gli inferiori, di essere di sostegno agli amici, di perdonare ai nemici.

Che io vinca i piaceri con l’austerità, l’attaccamento alle cose con la generosità, l’ira con al mitezza, la tiepidezza col fervore.

Rendimi prudente nel consigliare, forte nei pericoli, capace di sopportare le cose avverse, umile nel successo.

Fa che nella preghiera sia attento, nel cibo sobrio, nei miei doveri àlacre, nei propositi fermo.

Che io mi sforzi di conservare l’innocenza interiore, la modestia esteriore, u modo di fare esemplare, una vita ordinata.

Che io vigili assiduamente nel domare la natura, nel corrispondere alla grazia, nell’osservare la legge, nel camminare verso la salvezza.

Che io impari da te quanto è fragile ciò che è terreno, quanto è grande ciò che è divino, quanto è breve ciò che è temporaneo, quanto è duraturo ciò che è eterno.

Dammi di prepararmi alla morte, di non sottovalutare il giudizio, di sfuggire all’inferno, di ottenere il paradiso. Amen

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