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SALMO 111

Il salmo 111 è un salmo alfabetico come i salmi 25, 34, 37. E’ un salmo che celebra il glorioso e benefico agire di Dio. Unisce insieme doni di Dio storici, come la liberazione dall’Egitto; “Mandò a liberare il suo popolo” (v 9a), il dono dell’alleanza al Sinai: “stabilì la sua alleanza per sempre” (v 9b), l’introduzione di Israele nella Terra promessa: “Mostrò al suo popolo la potenza delle sue opere, gli diede l’eredità delle genti” (v 6), con doni più generali e continui: “Egli dà il cibo a chi lo teme” (v 5a), “si ricorda sempre della sua alleanza” (v 5b).

Il salmista mostra d’avere un animo capace di contemplare Dio e il suo agire: “Pietà e tenerezza è il Signore” (v 4); “santo e terribile è il suo nome” (v 10); “la sua giustizia dura per sempre” (v 3b); “stabili sono tutti i suoi comandi, immutabili nei secoli, per sempre” (vv 7b-8a); “grandi le opere del Signore, sono splendore di bellezza” (vv 2-3); “le opere delle sue mani sono verità e giustizia” (v 7a).

L’animo contemplativo del salmista lo porta a lodare e a ringraziare il Signore: “Renderò grazie al Signore con tutto il cuore” (v 1), “la lode del Signore è senza fine” (v 10).Questo salmo spinge ad uscire da se stessi per fissarsi in Dio.

SALMO 112

Il salmo 112 è un salmo alfabetico come il salmo precedente, ed è l’esaltazione dell’uomo giusto. L’uomo descritto dal salmo è un uomo che “teme il Signore e che trova grande gioia nei suoi comandamenti” (v 1); è un uomo “buono, misericordioso e giusto, che dà in prestito e amministra i suoi beni con giustizia” (vv 4-5); è un uomo che “dona largamente ai poveri” (v 9).

Quest’uomo è “beato” (v 1), è “felice” (v 5), gode di grandi benefici: “Onore e ricchezza nella sua casa” (v 3); “potente sulla terra sarà la sua stirpe” (v 2); “egli non vacillerà in eterno, il giusto sarà sempre ricordato” (v 6); “non temerà annunzio di sventura” (v 7); “sicuro è il suo cuore, non teme” (v 8); “la sua potenza s’innalza nella gloria” (v 9).

Un tale uomo è invidiato dall’empio, ma l’empio non potrà fargli alcun male: “L’empio vede e si adira, digrigna i denti e si consuma; ma il desiderio degli empi fallisce” (v 10).

Questo salmo è uno specchio di virtù, in cui il credente che lo prega può specchiarsi alimentando il desiderio di assomigliare all’uomo descritto nel salmo. Il salmo indica la via della felicità, della gioia, della beatitudine; inizia con la parola “beato l’uomo” (v 1), e più avanti dice: “felice l’uomo…” (v 5). Chi vive e si comporta come l’uomo del salmo trova gioia e felicità.

SALMO 113

Il salmo 113 è una lode al nome di Dio, cioè a Dio, e al suo modo straordinario di agire. Il salmo, nei primi tre versetti, esalta tre volte il nome del Signore “Lodate, servi del Signore, lodate il nome del Signore. Sia benedetto il nome del Signore ora e sempre. Dal sorgere del sole al suo tramonto sia lodato il nome del Signore” (vv 1-3). Nella cultura ebraica il nome stava a indicare la persona; il nome del Signore, dunque, è il Signore stesso. Si noti la dimensione temporale e spaziale della lode che al nome del Signore dev’essere tributata: “ora e sempre” - “dal sorgere del sole al suo tramonto”: una lode piena, che deve estendersi a tutto il tempo e a tutto lo spazio.

Nella seconda parte del salmo (vv 4-9) il salmista dice ‘chi’ sia Dio e ‘come’ egli agisca nei confronti degli uomini. Dio è eccelso sopra tutti i popoli, possiede una gloria immensa, siede in alto,

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non ha pari né rivali, e dall’alto si china a guardare sulla terra (vv 4-6). Chinandosi a guardare sulla terra, egli cambia e trasforma radicalmente la situazione degli uomini; dà dignità a chi era nella povertà e nel disonore: “Solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia (il testo dice propriamente ‘dallo sterco’) rialza il povero, per farlo sedere tra i prìncipi, tra i prìincipi del suo popolo” (vv 7-8); dà fecondità a chi era infecondo e sterile: “Fa abitare la sterile nella sua casa quale madre gioiosa di figli” (v 9). Il richiamo è facilmente ravvisabile a Sara (Gn 18,10-12); ad Anna (1Sam 1,5).

Il salmo, nella perfetta tradizione biblica proclama le due dimensioni essenziali di Dio: la sua trascendenza e la sua immanenza: Dio è il Dio ‘lontano’ e il Dio ‘vicino’; è il Dio ‘nei cieli’ e il Dio ‘sulla terra’. La sua opera è capace di trasformare e di capovolgere totalmente le cose, portando salvezza e vita la dove c’è rovina e morte(cfr 1Sam 2,5-8; Lc 1,52-53).

Questo salmo è posto dalla Liturgia ai primi Vesperi della solennità del Natale. Dal cielo il Signore guardò sulla terra, e non solo agì dal cielo, ma dal cielo scese sulla terra. In un certo senso, guardando dal cielo sulla terra, fu colto come da vertigini e perse l’equilibrio… cadde sulla terra, si incarnò, per dare dignità all’uomo che l’aveva perduta, per rendere l’uomo fecondo di bene, sterile e peccatore com’era diventato.

SALMO 114

Il salmo 114 è un inno gioioso e stupito sgorgato dal cuore del salmista, che celebra il grande evento dell’uscita dall’Egitto e dell’ingresso di Israele nella Terra promessa. Tale evento è il fatto fondante la storia e la spiritualità del popolo di Israele.

Vengono messi in parallelo il passaggio del Mar Rosso e il passaggio del Giordano, l’uno all’uscita dall’Egitto, l’altro all’ingresso nella Terra promessa: “Il mare vide e si ritrasse, il Giordano si volse indietro; che hai tu, mare, per fuggire, e tu, Giordano, perché torni indietro? ” (vv 3. 5). L’acqua, che si poneva ad ostacolo del cammino del popolo, fu vinta da Dio (cfr Es 14,15-31; Gios 3,14-17). Il tutto viene celebrato in uno scenario cosmico: l’intero pianeta partecipa esultante a questi avvenimenti: “I monti saltellarono come arieti, le colline come agnelli di un gregge. Perché voi monti saltellate come arieti, e voi colline come agnelli di un gregge?” (vv 4. 6). Tutto deve gioire ed esultare!

Dio operò prodigi nel deserto facendo sgorgare acqua dalla roccia: “mutò la rupe in un lago, la roccia in sorgenti d’acqua” (v 8), e operò prodigi anche nel popolo di Israele, lo legò a sé con più stretti legami, lo rese sua particolare e santa proprietà: “Quando Israele uscì dall’Egitto, la casa di Giacobbe da un popolo barbaro, Giuda divenne il suo santuario, Israele il suo dominio” (vv 1-2).

Il salmo, che parla di un’ “uscita” e di un “ingresso”, può essere cantato da noi a lode di Dio che ci ha fatti uscire dalla schiavitù del peccato, del male e della morte, per farci entrare nel Regno di Cristo, regno di luce, di grazia e di salvezza: “E’ lui (il Padre) infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione d ei peccati” (Col 1,13-14). Non finiremo mai di lodare e di ringraziare il Signore!

SALMO 115

Il salmo 115 è una forte e ironizzante contestazione del mondo idolatrico pagano e una forte professione di fede in Dio. Il salmo, con tutta probabilità, fu composto durante l’esilio del popolo di

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Israele a Babilonia, quando Israele si trovava in mezzo ai babilonesi, pagani, che adoravano una moltitudine di divinità. I babilonesi potevano mostrare templi e statue di idoli, mentre gli israeliti non potevano mostrare né tempio, che era stato distrutto, né idoli, perché non era loro lecito possederne, a causa del divieto del secondo comandamento: “Non ti farai idolo né immagine di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra” (Es 20,4). Perciò i babilonesi avevano buon gioco nel rivolgersi agli israeliti con ironia e dire loro: “Dov’è il vostro Dio?” (v 2). Ma a tale provocazione gli israeliti potevano rispondere con fierezza: “Il nostro Dio è nei cieli, egli opera tutto ciò che vuole” (v 3).

La prima parte del salmo (vv 4-8) è una forte contestazione da parte del salmista del panteon babilonese, fatta con ironia e quasi con disprezzo: “Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono. Hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla gola non emettono suoni” (vv 4-7). Nella loro fede gli israeliti potevano dire:‘Il nostro Dio sta in cielo e ha fatto cielo e terra, i vostri dèi stanno sulla terra e sono stati fatti dagli uomini; il nostro Dio ha volere e potere, mentre i vostri dèi sono inerti’. Si veda il testo di Is 40,18-26, che mette a confronto Dio e gli idoli pagani, e i testi di Is 44,9-20 e Sap 15,7-8, che contestano con ironia l’idolatria.

Molto forte è il v 8 che chiude la prima parte del salmo; lì è detto: “Sia come loro (come gli idoli) chi li fabbrica e chiunque in essi confida”. L’uomo che si crea degli idoli diventa conforme all’opera che si costruisce; si deforma, perde la forma in cui Dio l’ha creato. Ger 2,5 dice: “Essi seguirono ciò che è vano (= l’idolo), e diventarono essi stessi vanità”. Con un’espressione moderna Alonso Schoekel dice: “L’uomo abbacinato dalla tecnologia, diventa egli stesso un robot o un computer”.

Nella seconda parte del salmo (vv 9-16) il salmista afferma e proclama la fede di Israele nel vero Dio: “Israele confida nel Signore; confida nel Signore la casa di Aronne; confida nel Signore chiunque lo teme” (vv 9-11). Alla fede di Israele Dio risponde con la sua benedizione: “Il Signore si ricorda di noi e ci benedice, benedice la casa d’Israele, benedice la casa di Aronne. Il Signore benedice quelli che lo temono, piccoli e grandi” (vv 12-13). La benedizione di Dio dona vita e fecondità: “Vi renda fecondi il Signore, voi e i vostri figli” (v 14).

Il salmo termina con una lode rivolta al Signore: “Non i morti lodano il Signore, né quanti scendono nella tomba. Ma noi, i viventi, benediciamo il Signore ora e sempre” (vv 17-18); versetti finali del salmo, che fanno da ripresa del versetto con cui il salmo si apre: “Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria, per la tua fedeltà, per la tua grazia” (v 1).

Anche il cristiano d’oggi si trova a vivere in mezzo ad un mondo idolatra, in mezzo ad un mondo che adora tanti idoli (il denaro, il potere, l’affermazione di sé, il piacere, la libertà sfrenata, la tecnica e il progresso sganciati da ogni etica…) e non il vero Dio. Occorre rimanere fedeli al Signore, perché solo da lui vengono la benedizione, la fecondità e la vita.

SALMO 116

Il salmo 116 è un inno di ringraziamento a Dio ricco di pathos e di sentimento. Inizia con la bella affermazione: “Amo il Signore perché ascolta il grido della mia preghiera. Verso di me ha teso l’orecchio nel giorno in cui lo invocavo” (v 1). Il salmista è venuto a trovarsi in situazioni di grave difficoltà: in pericolo di morte: “Mi stringevano funi di morte, ero preso nei lacci degli inferi” (v 3a); in situazione di grande sofferenza e angoscia: “Mi opprimevano tristezza e angoscia” (v 3b); in situazione di relazioni difficili e deludenti con il prossimo: “Ho detto con sgomento: ogni uomo è inganno” (v 11).

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Ma in tutte queste situazioni il salmista ha sperimentato l’intervento e l’aiuto del Signore. Al Signore egli ha gridato e il Signore gli è venuto in soccorso: “Ho invocato il nome del Signore: ‘Ti prego, Signore, salvami’, ed egli mi ha sottratto dalla morte, ha liberato i miei occhi dalle lacrime, ha preservato i miei piedi dalla caduta” (vv 4. 8).

Il salmista sente forte il bisogno di lodare e di ringraziare il Signore: “Buono e giusto è il Signore, il nostro Dio è misericordioso. Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?” (vv 5, 12). E desidera lodare e ringraziare il Signore non solo con una preghiera personale, ma anche per mezzo di una celebrazione rituale, comunitaria e pubblica al tempio di Gerusalemme: “Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore. A te offrirò sacrifici di lode e invocherò il nome del Signore. Adempirò i miei voti al Signore davanti a tutto il suo popolo, negli atri della casa del Signore, in mezzo a te, Gerusalemme” (vv 13. 17-19). Il Signore merita un culto grande, ufficiale e pubblico, e insieme merita l’impegno di una vita vissuta alla sua presenza in atteggiamento di servizio a lui : “Camminerò alla presenza del Signore sulla terra dei viventi. Sì, io sono il tuo servo, Signore, io sono tuo servo, figlio della tua ancella” (vv 9. 16).Molto bello è il v 7: “Ritorna, anima mia, alla tua pace”, che è un invito a ritrovare e a ricuperare la pace una volta che, per i motivi più vari, l’avessimo perduta.

Questo salmo esprime ed insieme educa al sentimento della gratitudine e della riconoscenza a Dio, sentimento tanto giusto e doveroso.

SALMO 117

Il Salmo 117 è il salmo più breve di tutto il Salterio (due soli versetti), ed è un bellissimo inno che proclama ed esalta la bontà di Dio e la sua fedeltà nei confronti dell’uomo.

Dio si è impegnato a favore dell’uomo; e non si saprebbe dire il perché. Se ci domandiamo il perché, non troviamo altro perché all’infuori del suo amore generoso e assolutamente gratuito. Dio ci ha amati con libero e gratuito amore perché così ha sovranamente deciso. La parola “amore” del v 2 traduce l’ebraico “chèsed”, che significa e indica l’amore di chi si è impegnato con libero patto a favore di un altro. Ci viene da pensare a Deut 7,7-8: “Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti non perchè siete più numerosi di tutti gli altri popoli -siete infatti il più piccolo di tutti i popoli-, ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri”.

Dio si è impegnato con libero patto d’amore con noi, e fedelmente lo mantiene nella storia per sempre; il v 3 dice: “la fedeltà del Signore dura in eterno”. Il Signore ha pensato un piano di salvezza per l’umanità, e lo porta avanti con fedeltà, con fermezza, con forza e potenza, nel tempo e lungo il volgere dei secoli; fino al suo compimento.

Per questo tutti i popoli della terra e tutti gli uomini sono invitati dal salmista a lodare il Signore, a dargli gloria e ad esaltare il suo nome per sempre.

San Paolo in Rom 8,28-30 e in Ef 1,3-14 ci presenta in sintesi il piano straordinario di salvezza di Dio. La lode al Signore non dovrebbe mai fermarsi sulle labbra dell’uomo, per i tanti e immensi doni che Dio gli ha fatto e continuamente gli fa (Sal 146,1-2; Ef 5,20; 1Tess 5,18).

SALMO 118

il salmo 118 è un inno di ringraziamento a Dio sgorgato dal cuore di un pio israelita che si è trovato in seria difficoltà, e che nella difficoltà ha sperimentato l'aiuto e il soccorso del Signore. Ora

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egli è al tempio di Gerusalemme e sta cantando il suo grazie a Dio all'interno di una celebrazione pubblica. Non è solo: c'è tutto un popolo attorno a lui, riunito in assemblea (probabilmente nel corso di una delle feste ebraiche più importanti); e all'interno di questo popolo riunito in assemblea per una solenne celebrazione, egli innalza a Dio il suo ringraziamento e la sua lode. Tutto il popolo partecipa e prende parte al suo grazie: lo accoglie, lo conferma, lo amplifica, lo sviluppa, lo estende ad altre situazioni di vita.

E' un coro a due, dunque, quello che si fa sentire nel salmo: c'è la voce dell’orante (da noi scritta in grassetto), e c'è la voce dell'assemblea (da noi scritta in corsivo); un coro a due voci che si intrecciano e che costituiscono una trama interessante e piacevole. Anzi, c'è una terza voce che si inserisce in questo coro, tanto che esso da "duetto" si trasforma in "terzetto"; ed è la voce del maestro di cerimonie (da noi scritta in caratteri più piccoli), che in momenti diversi della celebrazione dà le sue indicazioni e i suoi ordini per il corretto svolgimento della celebrazione stessa. Come nelle nostre celebrazioni in chiesa, a un certo punto, il cerimoniere dice: "In piedi", "in ginocchio", "seduti"; oppure sul messale sono riportate in rosso le rubrìche (= le indicazioni da osservarsi lungo il rito), ad esempio: "I celebranti avanzano al centro, si fermano e fanno la genuflessione davanti all'altare, poi prendono posto in presbiterio", oppure "Tutto il popolo acclama Amen, alleluja"; così nel salmo ci sono frasi che suonano come indicazioni del cerimoniere: "Dica Israele che egli è buono; lo dica la casa di Aronne; lo dica chi teme Dio (sono le indicazioni del maestro di cerimonia che dà l'ordine di intervento nella preghiera ora all'uno ora all'altro gruppo dell'assemblea). Così pure: "Ordinate il corteo con rami frondosi fino ai lati dell'altare": è il cerimoniere che dà ordine di mettersi in processione e formare un corteo con rami d'ulivo in mano e avanzare in direzione dell'altare. Questa terza voce che entra nello spartito del salmo, questo elemento cerimoniale, è qualcosa di caratteristico e di proprio di questo salmo; non si trova in altri salmi, quindi in un certo modo lo caratterizza.

La solennità della celebrazione (con grande concorso di popolo, con acclamazioni e interventi di tutti i presenti, con tanto di cerimoniere) fa pensare che il personaggio che viene al tempio per ringraziare il Signore non sia un uomo qualsiasi del popolo, un uomo qualunque venuto al tempio di Gerusalemme da uno dei tanti villaggi della Palestina, ma sia un personaggio importante (il re stesso, o un notabile influente, o un personaggio riconosciuto e stimato da tutta la comunità). Il suo caso viene ritenuto degno di essere celebrato da tutti, in una celebrazione ufficiale. Costui ha superato una difficoltà grave e pericolosa, ed ora, al tempio, ringrazia Dio: tutto il popolo si unisce a lui nel rendimento di grazie e nella lode.

Ricostruiamo la scena che il salmo ci lascia intravedere. Ci sono vari cori, vari gruppi distinti: ci sono gli Israeliti in genere; i Leviti discendenti di Aronne che fanno gruppo a sé (sono i sacerdoti); ci sono coloro "che temono Dio" (forse un gruppo particolare di persone caratterizzate da uno speciale modo di vita più profondamente religioso); il personaggio avanza nel mezzo, si ferma e parla ad alta voce accennando alla difficoltà avuta e all'aiuto ricevuto dal Signore; gli astanti gli fanno coro; il personaggio avanza ancora e si ferma davanti a una grande porta dove si svolge un breve dialogo; vengono disposte le fila di una processione con le persone che agitano rami verdi d'ulivo in mano mentre il maestro di cerimonie invita: "Celebrate il Signore perché eterna è la sua misericordia".

Il nome di JHWH ricorre 27 volte: 3x3x3. Il numero non è casuale: è il cubo di 3.La situazione di problema e di difficoltà da cui l'orante, che rende grazie a Dio, è stato salvato fu qualcosa di veramente grave. Al v 5 si parla di "angoscia" quale sentimento e stato d'animo provato in quel frangente. Ai vv 10-13 si parla di popoli che hanno accerchiato l'orante, l'hanno circondato nell'intento di farlo morire; ai vv 17 e 18 si parla proprio di morte (forse un assalto in battaglia? forse un'imboscata? forse un attentato? Se l'orante è un re o un notabile, ciò può essere verosimile).

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Si è trattato comunque di un pericolo mortale. L'orante si è trovato come in un vespaio, come in mezzo a un rovo in fiamme (v 12), e sarebbe perito se Dio non lo avesse soccorso (vv 13b-14). Per questo egli sente il dovere di rendere immensamente grazie al suo Salvatore (v 21. 28).

Il coro, cioè l'assemblea, sottolinea e riprende, amplificandoli, i sentimenti espressi dall'orante. Ai vv 8-9 ribadisce che è realmente vero che il Signore è un salvatore potente, più di ogni uomo. Viene in mente Ger 17,5-8. Ai vv 15-16 l'assemblea si associa al canto dell'orante e glorifica la mano di Dio che è intervenuta compiendo prodigi.Ai vv 22-24 l'assemblea riflette sulla vicenda dell'orante e ne dà una lettura, per così dire, teologica: quella che poteva essere una completa rovina e una situazione mortale si è cambiata invece in una situazione di vita e di salvezza, apportatrice di gioia. Questo mutamento è stato fatto dal Signore. L'immagine usata è quella di una costruzione: nella costruzione di un edificio una pietra particolare viene in un primo momento scartata perché ritenuta inutile o non adatta alla costruzione (i costruttori la lasciano da parte, la dimenticano). Ma poi in un secondo momento quella pietra viene ripresa in mano e proprio essa viene ritenuta adatta a completare la costruzione e ad essere posta come chiave di volta (o come pietra di fondamento). La situazione di pericolo per l'orante è stata trasformata da Dio in qualcosa di molto importante e significativo per lui e per la sua vita. Il giorno dell'intervento salvifico di Dio in suo favore fu davvero un giorno "fatto dal Signore", un giorno particolarmente grande e straordinario. L'assemblea chiede che Dio continui ancora e sempre a donare vittoria e salvezza (v 25).

Questo salmo è il salmo che chiude il gruppo dei salmi costituenti il cosiddetto Hallèl (=lode), i salmi da 113 a 118. Questi salmi venivano cantati, e vengono tuttora cantati o recitati, durante la cena pasquale degli Ebrei. Questo salmo è quindi un salmo eminentemente pasquale; e dalla liturgia cristiana dei primi tempi venne continuato ad essere usato quale salmo di Pasqua. Tuttora esso viene assegnato come salmo di ciascuna domenica dell'anno (o alle Lodi o all'Ora media), essendo la domenica “la Pasqua della settimana”. In questo nuovo orizzonte (della Pasqua cristiana) l'orante che ringrazia Dio è l'uomo che ha corso il pericolo mortale di perdersi per sempre, per l'eternità, e che è stato salvato dal sacrificio di Cristo che è morto e risorto per lui.

"La pietra scartata dai costruttori diventata testata d'angolo" è Cristo stesso, rifiutato e rigettato dagli uomini ma reso dal Padre pietra angolare del nuovo edificio della salvezza su cui tutti noi ci possiamo porre come pietre vive (1Pt 2,4-10). Già Gesù in Mt 21,42 aveva applicato a sé questo versetto del Salmo 118."Il giorno fatto dal Signore " del v 24 è per eccellenza il giorno di Pasqua, il giorno in cui Cristo è risorto dai morti ed è entrato nella gloria del Padre aprendo il varco anche per tutti noi che potremo, dietro a lui, arrivare fino al Padre e celebrare in eterno la festa della salvezza definitiva.

Questo salmo si adatta anche a ciascuna liberazione dalla sofferenza e dalla prova, dalla difficoltà e dalla tribolazione che Dio, nella sua misericordia, ci dona in questa vita.

ALLELUJA

CELEBRATE IL SIGNORE PERCHE’ E’ BUONO,PERCHE’ ETERNA E’ LA SUA MISERICORDIA.

Dica Israele che egli è buono: eterna è la sua misericordia.Lo dica la casa di Aronne: eterna è la sua misericordia.Lo dica chi teme Dio: eterna è la sua misericordia.

Nell'angoscia ho gridato al Signore, mi ha risposto il Signore, e mi ha tratto in salvo.Il Signore è con me, non ho timore; che cosa può farmi l'uomo?Il Signore è con me, è mio aiuto, sfiderò i miei nemici.

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E' meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nell'uomo.E' meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti.

Tutti i popoli mi hanno circondato, ma nel nome del Signore li ho sconfitti.Mi hanno circondato, mi hanno accerchiato, ma nel nome del Signore li ho sconfitti.Mi hanno circondato come api, come fuoco che divampa tra le spine, ma nel nome del Signore

li ho sconfitti.Mi avevano spinto con forza per farmi cadere, ma il Signore è stato il mio aiuto.Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza.

Grida di giubilo e di vittoria, nelle tende dei giusti:la destra del Signore ha fatto meraviglie, la destra del Signore si è innalzata,la destra del Signore ha fatto meraviglie.

Non morirò, resterò in vita e annunzierò le opere del Signore.Il Signore mi ha provato duramente, ma non mi ha consegnato alla morte.Apritemi le porte della giustizia: voglio entrarvi e rendere grazie al Signore.

E' questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti.

Ti rendo grazie perché mi hai esaudito, perché sei stato la mia salvezza.

La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d'angolo;ecco l'opera del Signore: è una meraviglia ai nostri occhi.Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso.Dona, Signore, la tua salvezza, dona, Signore, la tua vittoria!Benedetto colui che viene nel nome del Signore; Dio, il Signore, è nostra luce.

Ordinate il corteo con rami frondosi fino ai lati dell'altare.

Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie, sei il mio Dio e ti esalto.

CELEBRATE IL SIGNORE PERCHE’ E’ BUONO,PERCHE’ ETERNA E’ LA SUA MISERICORDIA.

Salmo 119

Il Salmo 119 è il salmo più lungo di tutto il Salterio; è un salmo alfabetico, consta di 176 versetti distribuiti in ventidue strofe, tante quante sono le lettere dell’alfabeto ebraico. Ciascuna strofa è formata da otto versetti che iniziano ciascuno con la medesima lettera, in ordine (i versetti della prima strofa cominciano tutti con la prima lettera dell’alfabeto, i versetti della seconda strofa cominciano tutti con la seconda lettera dell’alfabeto, e così via). Per tale artificio letterario il salmo è chiamato “alfabetico” (ci sono altri salmi alfabetici nel Salterio: i salmi 25, 34, 111, 112, 145. ‘Alfabetiche’ sono pure le prime quattro Lamentazioni).

L’autore del salmo 119 è con tutta probabilità un sacerdote o un levita del tempio di Gerusalemme che esprime e canta la sua devozione e il suo amore per la Legge di Dio. Che si tratti di un sacerdote o di un levita lo si può arguire, oltre che dall’argomento del salmo e dall’amore che

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l’autore mostra di nutrire per la Legge del Signore che è il punto gravitazionale di tutta la sua esistenza, anche dalle espressioni dei vv 57 e 111 in cui il salmista dice di avere come sua “sorte” e sua “eredità” la Legge di Dio (tutte le tribù di Israele avevano ottenuto in “sorte” e quale propria “eredità”, al momento della spartizione della Terra promessa, una porzione della terra stessa, mentre la tribù sacerdotale di Levi aveva ricevuto in “sorte”, e come propria “eredità”, il Signore, il culto, la Legge; cfr Num 18,20; Deut 10,9). Anche il v 139 fa pensare ad un sacerdote o a un levita addetto al tempio, per l’amore che il salmista esprime in quel versetto nei confronti della “casa” di Dio: “Mi divora lo zelo della tua casa”. Tale sacerdote o levita doveva essere di giovane età, perché al v 100 egli dice: “Ho più senno degli anziani, perché osservo i tuoi precetti”.

Nel salmo egli tesse l’elogio della Legge, la “toràh”, che nel senso pieno del termine significa “indicazione, istruzione, insegnamento di vita attraverso la Parola di Dio” (questo è il senso pieno della parola ebraica “toràh”, che per gli Ebrei indica l’intero Pentateuco, e che solitamente viene tradotta in italiano con la parola “legge”, termine che rende solo in parte il senso ampio della parola “toràh”).

La parola “toràh” dunque, nel senso di “Parola di Dio”, di “insegnamento” e di “volontà del Signore emergente dal Libro sacro”, è la parola fondamentale del salmo e in esso vi ricorre ventidue volte. Ci sono altre otto parole che le fanno corona e che ne esprimono il contenuto e il concetto, a mo’ di sinonimi; sono le parole:

“ ‘edùt ” = insegnamento (ricorre 22 volte)“piqqùd” = precetto (ricorre 21 volte)“hòq” = decreto (ricorre 19 volte)“miswàh” = comando (ricorre 22 volte)“mispàt” = giudizio, giusta sentenza di Dio (ricorre 23 volte)“dabàr” = parola di Dio indicante il comportamento da tenere(ricorre 23 volte)“ ’imràh” = promessa di Dio (ricorre 19 volte)“dèrek” =via di Dio, norma da seguire (ricorre 7volte);per un totale di 178 volte; per 178 volte, dunque, nel salmo si presenta e si ripresenta, come realtà fondamentale, la realtà della Legge di Dio, espressa o con la parola “toràh” o con uno dei suoi sinonimi. Il salmo 119 è un grande canto e un inno entusiasta alla Legge di Dio; è una estensione estrema -possiamo così considerarlo- di quanto dice l’autore del Salmo 56: “Lodo la parola di Dio, lodo la parola del Signore” (Sal 56,11).

Il salmista loda la Parola del Signore perché essa-è luce alla sua strada nel cammino della vita (vv 105. 130)-gli è fonte di pace interiore (v 165)-gli offre tranquillità di coscienza (v 6)-gli dà gioia e serenità (vv 1. 2. 14. 16. 24. 47. 117. 162)-gli dona sicurezza nel pellegrinaggio della vita (v 45)-gli è motivo di consolazione e di speranza (vv 49. 50. 52. 54. 76. 77. 114)-lo rende profondamente saggio e sapiente (vv 98. 99. 100. 104)-lo corregge nel modo di vivere (vv 67. 71. 75)-gli è dolce più del miele (v 103)-gli è preziosa più dell’oro e dell’argento (vv 72. 127).-la Parola di Dio è stabile come il cielo e non viene mai meno, di essa ci si può fidare (v 89)-è vera e ha come sorgente la stessa verità (vv 160. 172)-è la “sorte” e l’ “eredità” del salmista, cioè è il bene a lui più caro (vv 57. 111)-è la sorgente della ricompensa di chi la osserva e la vive (v 112).

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Ci sono nemici e persone che perseguitano il salmista, e ci sono prove e sofferenze che lo affliggono; ma egli tra energia e forza per sopportare e superare tutto dalla meditazione assidua della Legge del Signore (vv 23. 25. 28. 61. 69. 109).

Il salmista chiede al Signore di conoscere sempre meglio la sua Legge, la sua volontà (v 12. 18. 19. 26. 27. 33. 43. 64. 73. 125. 135), perché è intenzionato a meditarla senza posa (vv 15. 97) e perché la desidera con tutte le sue forze (vv 20. 81. 123); intende impegnarsi ad osservarla alla perfezione (vv 8. 17. 30. 31. 32. 40. 60. 80. 93. 106. 167. 168), ma sente insieme il bisogno di chiedere aiuto a Dio per poterla vivere ed osservare, perché da solo, e con le sole proprie forze, non riuscirebbe mai a farlo (vv 5. 10. 29. 33. 34. 35. 36. 37).

L’autore del Salmo 119 conosceva solo l’Antico Testamento e, forse, neppure tutto l’Antico Testamento, perché probabilmente l’Antico Testamento non era stato ancora composto per intero al suo tempo; eppure egli nutre una così grande stima, un così grande affetto e una così profonda venerazione per la Parola di Dio! Noi possediamo, oltre all’Antico Testamento, anche il Nuovo Testamento. Quanta consolazione, quanta luce, quanta speranza e serenità, quanti orientamenti giusti e di verità, quanta pace e quanti stimoli al bene abbiamo attinto e continuamente possiamo attingere dal Nuovo Testamento, e, in genere, dalla Parola di Dio! Dobbiamo veramente essere grati al Signore per questo suo immenso dono, e utilizzare al massimo le ricchezze straordinarie della sua Parola!

Non possiamo infine non ricordare che la Parola di Dio, il Verbo eterno del Padre, si è fatto uomo in mezzo a noi ed è diventato “Parola fatta carne”. La Parola di Dio assoluta e definitiva è dunque una Persona, è Gesù di Nazareth nato, morto e risorto per noi; egli è la Parola viva che ci salva; è “la via, la verità e la vita” di tutti noi (Gv 14,6); è “la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo” (Gv 1,9); “fuori di lui non c’è salvezza per alcuno” (At 4,12). Il rapporto con la Parola di Dio è ormai, per noi uomini, il rapporto con una Persona! Nella Parola di Dio noi veniamo in contatto, incontriamo, tocchiamo una Persona: la Persona di Gesù.

Salmo 120

Il salmo 120 è la supplica di un uomo che si trova lontano dalla sua terra, in terra di Siria (Mosoch) e d’Arabia (Kedar), ed è insultato e calunniato: “Signore, libera la mia vita dalle labbra di menzogna, dalla lingua ingannatrice” (v 2). Egli è uomo di pace, uomo che ama la pace e che vorrebbe vivere in pace con tutti, ma le persone che ha intorno sono persone che non amano la pace: “Troppo io ho dimorato con chi detesta la pace. Io sono per la pace, ma quando ne parlo, essi vogliono la guerra” (vv 6-7). La condizione di vita del salmista, quindi, è dura e dolorosa. Ma il Signore ha ascoltato la sua preghiera e l’ha soccorso: “Nella mia angoscia ho gridato al Signore ed egli mi ha risposto” (v 1). A chi gli vuole male il salmista augura il castigo, augura di essere colpito da frecce e da essere scottato da carboni ardenti: “Frecce acute di un prode, con carboni di ginepro” (v 4).

Il salmo è un invito ad essere persone di pace. San Paolo esorta: “Se possibile, per quanto questo dipenda da voi, vivete in pace con tutti” (Rm 12,18).

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Salmo 121

Il Salmo 121 è un'espressione di fiducia in Dio e insieme un'esortazione alla fiducia in Dio. Contiene una parola che è particolarmente presente e ripetuta, e che indica il tema fondamentale del salmo: il verbo ebraico “shamàr” = custodire, che ricorre per ben sei volte (ai vv 3. 4. 5 è reso dalla traduzione CEI con il sostantivo "custode"). Dio è il protettore che “custodisce” l’uomo.

Alle sei volte del verbo “custodire”, il salmista aggiunge la parola “ombra”:“Il Signore è come ombra che ti copre” (v 5); anche l’ombra contiene in sé l’idea del custodire, del custodire dal caldo il viandante che cammina sotto il sole. Le sei volte del verbo “custodire” più l’una volta del sostantivo “ombra” danno il numero sette, numero della perfezione; in questo modo il salmista vuole presentare Dio come “il perfetto” custode dell’uomo. Si noti, poi, che l’ombra copre il salmista pellegrino stando alla sua destra: “sta alla tua destra” (v 5). Il lato destro del salmista indica simbolicamente il mezzogiorno, il sud (perché l'uomo antico per fissare i punti cardinali si volgeva con la faccia ad est, e quindi il sud gli restava alla destra). Il sud è la zona dell’orizzonte da dove il sole batte con più forza e con più persistenza. Il salmo dunque è il salmo della piena protezione da parte di Dio nei confronti dell’uomo.

Possiamo domandarci quale sia la situazione esistenziale che ha originato il salmo. Il salmo non lascia trapelare una situazione precisa e concreta, ma solo la situazione generale di un uomo nel bisogno o in pericolo che cerca aiuto e lo trova in Dio. In base al titolo "Canto delle ascensioni" si può ipotizzare che il salmo sia stato composto per il pellegrino che, dopo aver celebrato a Gerusalemme la festa di pellegrinaggio, dalla spianata del tempio alzava gli occhi verso i monti attorno a Gerusalemme e si chiedeva da dove gli sarebbe venuto l'aiuto e la protezione per il viaggio di ritorno che stava per iniziare: "Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l'aiuto?" (v 1). Il viaggio di ritorno, come ogni viaggio a quei tempi, poteva presentare pericoli, insidie e aggressioni (cfr la parabola del buon samaritano).

A tale domanda egli si dà una risposta, quasi sdoppiandosi in se stesso e come parlando tra sé e sé: "Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra" (v 2). E' una risposta di fede; una fede che egli ha approfondito e rafforzato nei giorni di permanenza a Gerusalemme, frequentando il tempio.

I vv 3-8 introducono una seconda voce; sono pronunciati da un'altra persona, diversa dal salmista pellegrino; essa infatti si rivolge al pellegrino con il "tu". Potrebbe essere la voce di un sacerdote al tempio, che assicura, in una sorta di liturgia di commiato e di benedizione, che il Signore accompagnerà fedelmente il suo devoto, il pellegrino, nel suo ritorno a casa. Il Signore è un custode sicuro; custode sicuro di cui ci si può fidare perché egli non patisce sonno e non si addormenta mai: "Non lascerà vacillare il tuo piede, non si addormenterà il tuo custode. Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode di Israele" ( vv 3-4).

Dio non s'addormenta neanche di notte, a differenza degli dèi pagani che pativano sonno: s'addormentavano d'inverno per poi risvegliarsi a primavera, con la natura; Dio invece veglia sempre. C'è, sottintesa, una sottile polemica contro la religione cananea, religione naturalista (1Re 18,27).

La vigilanza protettrice di Dio nei confronti del pellegrino, e dell'uomo in generale, è continua e assoluta: ciò è detto anche per mezzo di alcune espressioni "polari": sole-luna; giorno-notte; entrare-uscire; ora-sempre (vv 6-8). Espressioni “polari” sono quelle espressioni che accostano e mettono a confronto diretto due realtà che si trovano agli antipodi (ai poli) tra di loro, e che quindi -essendo agli estremi opposti- contengono tutte le realtà intermedie. “Giorno e notte” contengono tutto il tempo, perché o è giorno o è notte; “ora e sempre” pure, perché o è “ora” (il momento presente) o è “sempre” (i momenti futuri); anche l’espressione “sole e luna” indica la totalità del tempo, perché nel cielo o brilla il sole o splende la luna; così l’espressione “entrare ed uscire” contiene ogni altro movimento, perché o si esce di casa o si entra in casa. Con tali espressioni

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“polari”il salmista vuole affermare che Dio custodisce l’uomo in ogni momento e in ogni suo movimento.

Molte volte l’Antico Testamento presenta Dio custode del suo popolo (Es 14,19-20; Sal 23,4; Is 43,1-4); e così pure il Nuovo Testamento. Gesù è il buon pastore che si prende cura del suo gregge (Gv 10,28; Gv 17,11; 1Pt 2,25); Dio ha cura di ciascuno di noi (Mt 6,25-34; Mt 10,30; 1Pt 5,7).

Possiamo, dunque, e dobbiamo stare tranquilli. La nostra fiducia e pace nelle difficoltà sarà una grande testimonianza per i nostri fratelli che non hanno la fede o che l’hanno debole; sarà per loro un vero annuncio di Vangelo.

Salmo 122

Il salmo 122 canta e prega per la città di Gerusalemme. Inizia esprimendo la gioia del pio israelita all’annuncio del pellegrinaggio a cui egli avrebbe preso parte, e poi la sua gioia d’essere arrivato alla città santa: “Quale gioia quando mi dissero: ‘Andremo alla casa del Signore’. E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme” (vv 1-2).

Dopo questa introduzione il salmo celebra la bellezza e la possanza di Gerusalemme: “Gerusalemme è costruita come città salda e compatta” (v 3). Gerusalemme è bella nel suo impianto urbanistico che la rende solida e unita in se stessa. Gerusalemme è la capitale religiosa e politica di Israele: a Gerusalemme sorge il tempio di JHWH, a cui le tribù di Israele periodicamente pellegrinano per incontrare il Signore; e a Gerusalemme vive il re che giudica e amministra la giustizia: “Là salgono insieme le tribù, le tribù del Signore, secondo la legge di Israele, per lodare il nome dl Signore. Là sono posti i seggi del giudizio, i seggi della casa di Davide” (vv 4-5).

Il salmo poi continua con una preghiera per Gerusalemme, in cui il salmista chiede per la città il bene della pace; la chiede per gli abitanti di Gerusalemme, che chiama fratelli, e per gli addetti al culto al tempio: “Domandate pace per Gerusalemme, sia pace a coloro che ti amano, sia pace sulle tue mura, sicurezza nei tuoi baluardi. Per i miei fratelli e i miei amici io dirò:‘Su di te sia pace’; per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene” (vv 6-9).

Il salmo può essere applicato alla Chiesa. La Chiesa è la città del Signore, una città forte, stabile, che non verrà mai meno. E’ gioia poter ‘pellegrinare’ alla Chiesa, abitarvi, incontrare il Signore che in essa è presente. Per la Chiesa va continuamente chiesto il dono della pace, della concordia e dell’unità.

Salmo 123

Il salmo 123 è una supplica al Signore innalzatagli da una comunità che si sente disprezzata e derisa; la comunità si trova nella fatica e nella difficoltà, e viene fatta oggetto di scherno e di beffe dai popoli vicini: “Pietà di noi, Signore, pietà di noi, già troppo ci hanno colmato di scherni, noi siamo troppo sazi degli scherni dei gaudenti, del disprezzo dei superbi” (vv 3-4).

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Il salmo potrebbe essere stato composto da Israele una volta tornato dall’esilio di Babilonia, quando iniziò la ricostruzione di Gerusalemme e della nazione; nel libro di Neemia è scritto: “Quando Sanballat seppe che noi edificavamo le mura, si adirò, si indignò molto, si fece beffe dei Giudei e disse: ‘Che vogliono fare questi miserabili Giudei? Rifarsi le mura e farvi subito sacrifici? Vogliono far rivivere pietre sepolte sotto mucchi di polvere e consumate dal fuoco? Edifichino pure! Se una volpe vi salta su, farà crollare il loro muro di pietra’” (Ne 3,33-35).

Il salmista guarda al Signore per ottenere pietà e aiuto, con la fiducia con cui i servi e gli schiavi guardano alle mani dei loro padroni: “A te levo i miei occhi, a te che abiti nei cieli. Ecco, come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni; come gli occhi della schiava alla mano della sua padrona, così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio, finché abbia pietà di noi” (vv 1-2). Solitamente gli occhi dei servi e degli schiavi sono rivolti alle mani dei loro padroni per ricevere ordini e comandi, più raramente per sperare da loro benefici e doni. Chi è nella prova e nella sofferenza, invece, può guardare alle mani di Dio con fiducia e speranza: Dio aprirà loro le mani in soccorso.

Il salmo può essere pregato con fiducia da chi fosse fatto oggetto di derisione, scherno e disprezzo.

SALMO 124

Il Salmo 124 è un salmo di ringraziamento per un grande intervento di salvezza e di liberazione che Dio ha compiuto a favore del suo popolo. Il salmista fin da principio, con grande efficacia ed emozione, lascia intendere che senza tale intervento divino Israele sarebbe totalmente perito: “Se il Signore non fosse stato con noi -lo dica Israele- quando uomini ci assalirono, ci avrebbero inghiottiti vivi nel furore della loro ira; le acque ci avrebbero travolti, un torrente ci avrebbe sommersi, ci avrebbero travolti acque impetuose” (vv 1-5). Il pericolo da cui Israele fu liberato era davvero un pericolo mortale.

Il salmista parla e si esprime con la stessa intensità psicologica con cui si esprime una persona appena uscita da un grave choc emotivo. Immaginiamo, ai nostri giorni, una persona che sia stata vittima di un grave incidente stradale da cui è uscita inaspettatamente illesa, e che, dopo l’incidente, riavutasi dallo choc, racconti il terribile fatto accadutole e dica: se non ci fosse stato il gard-rail…, se non avessi frenato in tempo…, se non fosse arrivata subito l’ambulanza…, sarei morto!

Non ci è possibile ricostruire con sicurezza la situazione drammatica a cui il salmista si riferisce; potrebbe trattarsi dell’assedio di Gerusalemme ad opera del re assiro Sennacherib (701 a.C.), assedio che improvvisamente e misteriosamente fu tolto per intervento di Dio, lasciando Gerusalemme incolume (2Re 19,35-36); oppure potrebbe trattarsi della duplice disfatta di Gerusalemme e del Regno di Giuda ad opera del re babilonese Nabuccodonosor (597 e 587 a.C.) con le relative deportazioni e l’esilio, che però non portarono il popolo ad una totale e completa distruzione per l’intervento benevolo di Dio. Possiamo dunque immaginare che il salmista si riferisca all’una o all’altra situazione, e con grande emozione e riconoscenza a Dio egli esclama: Se il Signore non fosse stato con noi e non ci avesse difesi e liberati da quell’estremo pericolo, noi saremmo periti tutti!

La tragicità della situazione è descritta per mezzo di tre immagini poetiche e fortemente espressive:

-l’immagine di una belva che ha le fauci spalancate e che sta per ingoiare la preda facendone un solo boccone e stritolandola tra i denti: “Ci avrebbero inghiottiti vivi, in preda ai loro denti” (v 3. 6);

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-l’immagine di acque impetuose e travolgenti che portano via con sé e spingono nell’abisso, facendolo perire, tutto quanto trovano sul loro percorso: “Le acque ci avrebbero travolti, un torrente ci avrebbe sommersi” (v 4);

-l’immagine della rete dell’uccellatore che cattura senza possibilità di scampo ogni incauto uccello che vi si impiglia: “Siamo stati liberati come un uccello dal laccio dei cacciatori, il laccio si è spezzato e noi siamo scampati” (v 7).

Dio è intervenuto e ha salvato il suo popolo; ha spiegato la propria potenza e la propria forza, forza di un Dio “che ha fatto cielo e terra” (v 8), di un Dio cioè che è creatore e Signore di tutto quanto esiste. Il salmista scorge, con fede, la mano di Dio che ha operato salvezza e liberazione, e per questo benedice fortemente il Signore: Sia benedetto il Signore che ci ha liberati e soccorsi (v 6); “Il nostro aiuto è nel nome del Signore!” (v 8).

Ogni uomo, nel corso della sua vita, ha sperimentato qualche momento e qualche situazione grave e terribile che lo ha spaventato e da cui non sarebbe riuscito ad uscire incolume da solo; nella quale ha sperimentato l’intervento liberatore e salvifico di Dio. Ogni uomo in qualche circostanza ha sentito vere le parole di Dio in Is 43, 1-4; Deut 1,30-31. Ciascun uomo, dunque, può servirsi di questo salmo per ringraziare e per lodare il Signore. Il cristiano, poi, sente di dover dire grazie anche per altri motivi: Se tu non ti fossi incarnato, o Dio; se tu non avessi preso su di te le mie colpe; se tu non ti fossi fatto incontrare da me…, la mia vita sarebbe stata povera e triste; io sarei preda di paure e di angosce, di disperazione; e io sarei un essere perduto.

Salmo 125Il Salmo 125 ha sullo sfondo una situazione precisa, quella di un potere straniero pagano

che sta fortemente premendo perché il popolo di Israele si allontani da Dio e abbandoni la sua fede. Tale situazione appare al v 3, nel quale versetto si dice però subito che il Signore “non lascerà pesare lo scettro degli empi sul possesso dei giusti”.

La pressione verso l’idolatria spinge molti a cedere e a piegarsi ai culti pagani; potrebbe succedere che i “giusti stendano le mani a compiere il male” (v 3). L’uomo è sempre debole e in pericolo di fronte alla tentazione e alla persecuzione, specialmente quando essa è violenta, insistente e pressante. Tale situazione storica può essere ravvisata nella persecuzione del re pagano Antioco IV Epìfane (170 –165 a.C.), che tentò di sradicare la fede dal cuore del popolo di Israele, e di cui ci parla 1Macc 1,10-15. 41-64.

Ma il Signore è attento e pronto a difendere i suoi fedeli. Come Gerusalemme è circondata dai monti, allo stesso modo il popolo di Dio è circondato dalla premura del Signore (v 2). I fedeli che confidano nell’aiuto di Dio sono al sicuro, sono stabili e fermi come le montagne; addirittura come il monte Sion, che è il monte del tempio del Signore e dell’abitazione di Dio. Chi confida e si fonda su di lui non deve temere alcun cedimento, perché Dio è rupe che non vacilla e non crolla (Sal 18,1-4. 32-35; Giuda 1,24; Mt 7,24-25). Quelli però che cedono e si allontanano dal Signore (“vanno per vie tortuose”, v 5) dovranno essere considerati da Dio come conniventi col male e partecipi della sorte dei malvagi (v 5). Le ultime parole del salmo sono un’invocazione e una preghiera, una richiesta di pace e di tranquillità per il popolo finalmente liberato dalla prova: “Pace si Israele!” (v 5).

Il popolo cristiano è sempre soggetto alla tentazione e alla persecuzione; ora persecuzione cruenta (con martirio e sangue), ora incruenta (per la mentalità antievangelica del mondo che tenta di allontanarlo da Dio). Occorre stringersi al Signore per poter resistere e perseverare (Rom 12,2; 2Cor 6,14-18; Gv 17,15).

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