Saggio Sull'Origine Del Linguaggio Umano. Herder

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JOHANN GOTTFRIED HERDER SAGGIO SULL'ORIGINE DEL LINGUAGGIO A cura di Agnese Paola Amicone Uipartimento dl Inventario no 11111 101111111111 1111111111111 1111111 PRATICHE p EDITRICE ISBN 118 7160• I /O-6 '2 Nuova PI 4 tkilC Edivrq Parmv 1995 Tuvd i dirlui riservati.

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Saggio Sull'Origine Del Linguaggio Umano

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JOHANN GOTTFRIED HERDER

SAGGIO SULL'ORIGINEDEL LINGUAGGIO

A cura di Agnese Paola Amicone

Uipartimento dl

Inventario no

11111 101111111111 1111111111111 1111111

PRATICHE p EDITRICE

ISBN 118 7160• I /O-6

'2 Nuova PI 4 tkilC Edivrq Parmv 1995 Tuvd i dirlui riservati.

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Introduzione

Titolo originale: Abhandhing uber dea Unprung der Sprache roelche dee uonder KOnigl. Academie der Wusenschaften f ur dm Jahr 1770 gesezien Press ohal-ten hai. Von Herm liERDER. Auf Befehl dm Academie heransgegeben.

Traduzione di Agnese Paola Amicone

1. Il Saggio sull'origine del linguaggio segna la conclusionedi un periodo di grande inquietudine e incertezza vocazio-nale nella vita di Johann Gottfried Herder, periodo carat-terizzato, al di là dell'attività ufficiale di predicatore aRiga, da una continua ricerca di contatti intellettuali, am-pie letture di sorprendente varietà tematica e da un'assi-dua attività di recensore e saggista.

Non è un caso che Herder lo abbia scritto, nonostante lecondizioni obiettivamente sfavorevoli, durante il viaggioche, avvicinandolo agli ambienti dell'Encyclopédie, valse adisancorarlo dal provincialismo tedesco e ad assicurargliuna decisiva esperienza culturale di respiro europeo. Unarco di tempo che vide maturare anche i suoi ambiziosiprogetti culturali e pedagogici — fedelmente registrati nelReisejoumal (1769) e nel fittissimo epistolario — per con-cludersi nel 1771 con il ritiro a Biickeburg, un vero e pro-prio esilio vissuto in grande isolamento'.

Accingendosi a lasciare Riga nel giugno del 1769, Her-der aveva avuto l'accortezza di annotarsi il titolo del temaposto a concorso quell'anno dall'Accademia delle scienzedi Berlino: En supposant les hommes abandonnés à leurs fa-cultés naturelles, sont-ils en Sat d'inventer le langage? Et parquels moyens parviendront-ils à cette invention? Ori demandeune hypothèse qui explique la chose clairement et qui satisfaità toutes les difficultés — chez Mr. Formey Sécretaire perpé-tuel jusque à ler Janvier 1771. Le jugement 31 Mai 17712.

Nel Reisejoumal [SWS IV:405], in margine a un polemi-co attacco all'istituzione fridericiana egemonizzata dai filo-

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soli francesi, Herder fa solo un accenno all'importanza diquest'ultima apprezzabile iniziativa accademica in campolinguistico; ma all'amico Hartknock comunica di accarez-zare il progetto di entrare in competizione su «un proble-ma eccellente, cospicuo, di schietta natura filosofica, chesembra studiato apposta per me» [Br. 1:168 — a Hartk-nock, ottobre 1769].

In viaggio Herder si applicò a più riprese allo sviluppodel tema, ma probabilmente non sarebbe riuscito a portar-lo a compimento se un fastidioso intervento oculistico nonlo avesse trattenuto oltre il previsto a Strasburgo: qui sulfinire del 1770 approfittò della convalescenza per affronta-re una rielaborazione del testo. Incoraggiato anche dal gio-vane Goethe, da poco conosciuto', Herder concluse «ingran fretta» [Br. 11:130 — a Nicolai, febbraio 17721 il la-voro, che fu spedito anonimo, appena in tempo per essereaccettato.

2. Per Herder il concorso si presentava innanzituttocome l'occasione per sistemare in una trattazione organicale sue indagini linguistiche, fino allora ricorrenti in analisidominate da una preoccupazione filologica più che filosofi-ca, annodandole a quel problema dell'origine del linguag-gio, di fronte al quale si era dovuto arrendere negli scrittiprecedenti'. La specificità del quesito, rispondente alla ge-nerale ambizione speculativa settecentesca di risalire allematrici di ogni istituzione o fenomeno culturale [Aarsleff1974:104 sgg.; Simone 1990:319 sg.], costituiva per Her-der una sfida stimolante perché lo obbligava a misurare lapropria capacità teoretica in relazione a nodi problematiciora ineludibili. Analizzare l'interazione fra pensiero e lin-guaggio significava far luce su un aspetto della teoria dellaconoscenza; non si poteva attribuire un carattere arbitrarioo naturale ai segni senza addentrarsi in questioni di semio-tica; eretto a criterio distintivo dell'uomo rispetto agli ani-mali, il linguaggio poneva poi il grande interrogativo antro-

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pologico del posto dell'uomo nell'universo, con scabroseimplicazioni di ordine teologico e giusnaturalistico [Proti1978], e insieme quello della natura umana e del ruolo inessa svolto dai sensi e dalla ragione. Inoltre Herder sapevadi dover affrontare altri temi di repertorio intersecati dallaquestione dell'origine: il vacillante postulato di una linguaprimeva perfetta comportava, per esempio, l'eventualità diuna classificazione gerarchica delle lingue storiche, l'accer-tamento delle cause del mutamento linguistico, la valuta-zione dell'etimologia; l'intrinseca imperfezione del linguag-gio legittimava la possibilità del suo emendamento; si im-poneva un'opzione tra l'assunto monogenetico e quello po-ligenetico; occorreva definire il ruolo dell'insegnamentonell'apprendimento linguistico e del linguaggio nella tra-smissione culturale; bisognava altresì ipotizzare un'origineper i segni scritturali e compendiare le caratteristiche co-stanti e universali delle lingue.

Sottoponendo al vaglio di un organismo culturale presti-gioso le proprie conclusioni, il giovane poligrafo potevaaspirare a entrare ufficialmente nel dibattito sul linguaggioche negli ultimi decenni aveva assunto dimensioni europee.Sia il quesito che il Saggio, impensabili al di fuori dellatemperie iâuministica', si situano nel contesto delle rela-zioni intercorrenti tra i membri delle diverse accademie. Inparticolare, in quella berlinese si era stabilita una impor-tante tradizione di studi linguistici grazie a Maupertuis.Presentando la problematica del linguaggio come prope-deutica a ogni altra perché radicata in un più ampio terre-no epistemologico, lo studioso francese aveva coinvolto ac-cademici delle classi sia umanistiche sia scientifiche in quelprogramma di interventi e concorsi che connota il periodo1750-70 come il più produttivo per gli studi di filosofia dellinguaggio in Germania'.

In seno all'Accademia prussiana la discussione sull'origi-ne del linguaggio si era sviluppata passando dalle tre solu-zioni canoniche (creazionistica: il linguaggio è dato da Dio;

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convenzionalista: esso è il risultato di un'istituzione umana;naturalistica: la sua nascita è spontanea) a una contrapposi-zione tra la soluzione teologica e le varianti naturalistico--convenzionali della teoria sensista di Condillac'. In questeultime si riproponeva sostanzialmente la tesi epicurea di unagenesi distinta in due fasi e si giustificava il passaggio dallinguaggio naturale a quello astratto, da Condillac posto altermine di un complesso processo di trasformazione dei cds

des passions e dei gesti espressivi animali, distinguendo ilpiano psicologico da quello storico: soltanto associandosi gliuomini avrebbero avvertito la necessità di accordarsi su unsignificato convenzionale da dare ai segni naturali. Ciò nonbastava tuttavia a chiarire né come l'esperienza sensibile po-tesse diventare conoscenza concettuale, né come i segni na-turali potessero convertirsi in segni linguistici. Sotto questoprofilo la risposta risolutiva era offerta proprio da chi, con-siderando il linguaggio un dono divino preternaturale, vede-va in esso uno strumento perfetto per l'esercizio della ragio-ne e nei suoi segni i segni naturali e congrui delle cose. I re-dattori del quesito del 1769 di fatto preclusero uno sviluppocosì semplicistico del problema, optando per una formula-zione in termini naturalistici, non disgiunti dalla prospetti-va convenzionalista, sottesa all'uso del termine «in-venter»'.

Pur mirando da tempo a confutare la tesi teologica, chein ambito accademico era stata sostenuta da SiiSmilch,Herder fa leva proprio sull'incompatibilità tra elementi na-turalistici e convenzionali per contrapporsi anche alle altreposizioni, e costruire dialetticamente la propria tesi'. Que-sta viene così a configurarsi fin dall'inizio come una dimo-strazione della contraddizione intrinseca al quesito'.

È infatti indicativo che, omettendo di tradurre «en sup-posant», Herder di fatto ignori il suggerimento di simulareuno stato di natura" preistorico, per non ricadere in unaulteriore soluzione ipotetica («On demande une hypothè-se»), pur sempre discutibile, e si impegni invece in una

nuova definizione della «natura» dell'uomo. L'adozione deltermine «inventer» risulta poi del tutto «formale» 113iichsel1963:16], dal momento che Herder intende esautorare laconcezione che fa del linguaggio uno strumento «inventa-bile», un fenomeno quindi culturale, stabilendo una precisa«connessione ontologica» [Irmscher 1966:164] fra linguag-gio e natura dell'uomo. Su questo criterio Herder reimpo-sta il quesito, fondato sulla consueta opposizione naturaartificio, e lo radicalizza proponendosi di dimostrare che lapossibilità di «inventare» il linguaggio fa parte della naturadell'uomo (genesi interna: prima parte), e che l'attuazionedi tale «invenzione» si conforma a «leggi fondamentali del-la natura e della specie umana» (p. 111) (genesi esterna: se-conda parte).

Secondo Herder la differenza esteriore fra uomo e ani-male, concordemente ravvisata nel linguaggio, rimanda peranalogia a una differenza interiore che, implicando una di-scontinuità nella catena animale, va ricercata sul piano filo-genetico. Unicamente questa differenza potrà considerarsil'elemento fondante la specie «anthropos» e quindi la ra-gione genetica di quel linguaggio che fa dell'uomo il solo«animale parlante» (p. 69).

Innanzitutto, facendo propria la concezione di Condil-lac, Herder riconosce che l'uomo condivide con gli animalila natura sensitiva, ma esclude che dall'oscura fascia dellasensibilità, attentamente esplorata dal filosofo sensista,possa mai emergere una differenza. Di qui si genera invecequel linguaggio sintomatico che accomuna l'uomo alle altrecreature: un sistema di segni naturali spiegabile mediante ilmeccanismo stimolo-risposta («il linguaggio naturale», p.33). Perfettamente adeguato a esprimere sensazioni e statid'animo elementari, tale linguaggio universale non ha, se-condo Herder, ragione di evolversi. Esso rimane una com-ponente del linguaggio umano, con una funzione espressivairriducibilmente lontana da quella semantico-conoscitivadella parola".

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In secondo luogo Ilerder trova suffragato dagli studietologici" l'argomento dell'inferiorità dell'uomo rispettoagli animali: nella natura umana non esistono né «attitudi-ni e istinti tecnici innati» (p. 46), né una «sensibilità orga-nica» (p. 47) sviluppata quanto quella animale. Sulla scortadi tali conferme empiriche, Herder sviluppa la sua analisifino a concludere che soltanto interagendo con l'ambienteassegnato alla specie questi elementi genetici, congiunti aun'embrionale capacità rappresentativa, determinano lacomparsa di quel codice linguistico operativo che è il «lin-guaggio animale» (p. 48). Tale sistema comunicativo è fina-lizzato alla sfera ambientale specifica e quindi si riduceman mano che questa si riduce mentre, in «proporzione in-versa» (p. 46), aumenta l'infallibilità degli istinti e degliautomatismi animali. Se «con l'uomo la scena cambia radi-calmente» (p. 48), e questi spazia in una vasta sfera senzaavere un linguaggio teleologico innato, è perché in lui man-cano sia gli elementi genetici sia il legame con una sferacircoscritta caratterizzanti la natura animale. Di qui dun-que, se «lacune e carenze non possono essere certo caratte-re della sua specie» (p. 51), deve emergere l'elemento posi-tivo che sarà il tratto distintivo della natura umana. Il clas-sico topos della human imbecillitas, su cui si era modellataanche l'immagine rousseauiana dell'«animal depravé», tra-dizionalmente inteso come lo stato da cui l'uomo era uscitoassociandosi e quindi comunicando «per mezzo» del lin-guaggio, è riproposto da Herder che lo sostanzia di un con-tenuto scientifico concreto interpretandolo come limitebiologico [Gehlen (1940) 1990:60] per il quale occorre,dunque, una compensazione a livello genetico. L'insuffi-cienza costituzionale e l'assenza di automatismi è surrogatanell'uomo da un nuovo elemento che gli consente la massi-ma libertà dai condizionamenti istintuali e ambientali deglianimali, elemento che è «il suo carattere ontologico distin-tivo» (p. 111): la «sensatezza» (p. 55)".

Come proprietà emergente la sensatezza distingue «qua-

litativamente» l'uomo dagli animali, prima ancora di quellinguaggio di cui è il necessario «fondamento genetico» (p.52). L'uomo nasce con questa «predisposizione a forgiarsiun linguaggio» (p. 111), e ciò è comprovato, per Herder,dal fatto che essa permane allo stadio latente anche quan-do l'uomo si trovi in condizioni «contro natura» (p. 65) oin «stati patologici» (p. 116). «Animale non istintivo» (p.55), perché la sua natura «sensitiva e cognitiva, cognitiva evolitiva» (p. 53) è amministrata dalla sensatezza, l'uomo inquesta trova il «suo centro di gravità» (p. 112), il punto diequilibrio tra il sistema della sensibilità e quello della ra-zionalità nella sua «anima indivisa» (p. 54). A differenzadell'animale, l'uomo non è coinvolto in una sfera determi-nata grazie alla sensatezza che gli consente di avvertire larealtà fenomenica come altro da sé e di distaccarsene og-gettivandola. Soltanto l'approccio umano alla realtà, esteti-co e conoscitivo, rende possibile il passaggio dalle impres-sioni dell'anima sensitiva, subite dall'esterno, alle opera-zioni intenzionali della riflessione, provenienti dall'inter-no. Radicando nel senso il «carattere specifico» (p. 53) del-l'uomo, Herder ha dato così il necessario fondamento sen-sibile alla riflessione e una specificità umana al linguaggioche si genera dall'attività riflessiva.

Per ricostruire la dinamica del formarsi del linguaggio,Herder si sposta nel campo della' fenomenologia della per-.cezione. E la riflessione, intesa come esercizio della sensa-tezza, che consente di inserirsi in un continuo indifferen-ziato con un atto individuante. Per ottenere la prima per-cezione distinta occorre che l'esperienza sensoriale sinteti-ca sia scomposta in segni discreti (funzione selettiva svoltadai sensi) e che la tensione conoscitiva dell'uomo si con-centri su un solo dato come se tutto il resto fosse un «alo-ne» di disturbo [Gehlen (1940) 1990:2951. Il dato sensibileconoscitivo, una volta diventato segno riconoscitivo dellacosa, secondo Herder è già linguaggio virtuale; così il pri-mo atto linguistico, privo di ogni implicazione fonica, si

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consuma nell'ambito interiore. Se come contrassegno sen-sibile della coscienza questa «parola dell'anima» (p. 59) ri-sponde in primo luogo a un'esigenza gnoseologica, comevocabolo interiore individuante assolve già una funzionemnesica e, là dove sia esternata, anche alla finalità comuni-cativa. Nato dalla necessità di fissare e richiamare una con-quista conoscitiva, il nome è frutto di un tacito accordo si-glato dall'anima con se stessa, di una «convenzione» chenon rientra nella dimensione sociale, ma che è parte inte-grante del pensiero concettuale [Gaier 1988:113].

Se per Herder il formarsi del pensiero è il risultato delmeccanismo percettivo, il processo conoscitivo non può es-sere un'operazione solamente intellettuale, ma piuttostoun'esperienza «estetica» (cognitio sensitiva) elaborata lingui-sticamente dall'uomo. Il linguaggio umano è così stretta-mente connesso alla conoscenza che la prima operazioneconoscitiva si dà come primo atto linguistico; ciò significache l'origine del linguaggio si rinnova, secondo Herder, aogni esperienza conoscitiva [Irmscher 1966:164]. Tuttaviala conoscenza umana, mediata da segni delimitanti, inquanto non corrispondono alla natura stessa delle cose, mane designano solo l'aspetto sensibile da noi esperito, è de-stinata a restare limitata e relativa. Lo stesso concetto si ri-trova limpidamente formulato nelle Ideen [SWS XIII:358]:«Nessuna lingua esprime cose, ma soltanto nomi e quindinessuna ragione umana conosce cose, ma soltanto dei ca-ratteri esterni, che essa designa con parole» [trad. it.1971:222]"

È nel suono che si evidenzia appieno come un segno«naturale» della cosa possa essere insieme segno linguistico«arbitrario». Rispetto a tutti gli altri dati sensibili che re-stano incorporati nella cosa, è il suono infatti che sfugge aessa strappandole un ultimo residuo di materialità, dunqueun suo elemento essenziale, che può essere fissato con la ri-produzione mimetica. Nella scomposizione della realtà i«suoni della vivente natura» (p. 73), per la successione

temporale in cui si offrono e per le caratteristiche di eventieffimeri e riproducibili, si impongono come simboli lingui-stici privilegiati. Perciò nella teoria di Herder le prime pa-role, che colgono, archiviano nella memoria e restituisconorappresentazioni acustiche, sono necessariamente onoma-topeiche; ma anche qualunque altra forma di percezionenon si tradurrebbe in parola senza il medium dell'udito: diqui, per Herder, la natura acustica del linguaggio.

Se Herder può profilare una «storia naturale» dellagrammatica è perché questa inizialmente si presenta comeun «calco dell'anima umana e della sua logica naturale» (p.132), fatto che, a suo avviso, è dimostrato empiricamentedalla comparazione fra quei codici manifestamente imper-fetti che sono gli idiomi originari. In questi, lessico, morfo-logia e sintassi non si formano mai seguendo quel rigorosoordine logico invocato da Siillmilch a sostegno dell'originedivina del linguaggio. A Herder la lingua appare invece co-me un organismo proteiforme e sfuggente a qualunque clas-sificazione: il suo lento cammino, da un impianto sintetico-metaforico a uno analitico-concettuale, rispecchia il rappor-to più o meno calibrato fra sensi e ragione. Infatti, a misuradell'impoverirsi dell'universo emotivo dell'uomo nella lin-gua aumenta l'astrazione, e là dove essa guadagna in effica-cia come strumento della ragione, scema in forza espressivae poietica.

Col definire l'atto conoscitivo il luogo ove si stabilisceuna perfetta identità tra ragione e linguaggio, Herder risol-ve anche l'arduo problema della loro interrelazione e spezzail circolo vizioso che si instaura per attribuire una priorità al-l'una o all'altro: il linguaggio non è semplice strumento dellaragione, ma suo «organo naturale» (p. 70), a sua volta la ra-gione si sviluppa «in forza» del linguaggio (p. 99) ed entram-bi risultano poi intimamente connessi al sentimento: «l'uo-mo sente con l'intelletto e parla in quanto pensa» (p. 117).

Proprio in quel contesto storico che aveva consideratoirrilevante al fine di stabilire il momento genetico del lin-

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guaggio, I lerder vede attuarsi il superamento della fasemonologica della creatività linguistica. Gli atti linguisticiaccadono, infatti, nel tempo e nella dimensione sociale: èqui che i significati riconosciuti dalla comunità si diffondo-no e tramandano ed è qui che il linguaggio si arricchisce,non certo in seguito a un programma sistematico degli stu-diosi, bensì con «l'uso sempre più spedito e sapiente dellasensatezza» (p. 117).

Con questa «dote naturale» (p. 112) nel proprio corredosomatico, l'uomo intraprende nella libertà il suo incerto erischioso itinerario che lo separa dal circuito della pura na-totalità per farlo entrare in quello variegato dellacultura'. E così, «destinato a soccombere ovvero a domi-nare su tutto» (p. 119), l'uomo entra in un processo diestraniamento dalla natura per cui arriva a modificarla eassoggettarla, dandole un assetto linguistico parallelo aquello ontologico. Mentre il linguaggio operativo degli ani-mali è frutto del loro coinvolgimento nell'ambiente, il lin-guaggio umano si sviluppa infatti dal rapporto conflittualedell'uomo con la natura (che lo «attacca per liberarne leforze e i sensi», p. 113) e dalla «necessità» di organizzare lapropria sfera culturale che non ha limiti di spazio e di tem-po e che in lui sta in luogo dell'ambiente naturale [Gehlen(1940) 1990:109]. Abbandonata l'ottimistica visione di unprogresso rettilineo inarrestabile propria dell'età dei lumi,Herder disegna in un grande quadro, sostenuto da una ro-busta intelaiatura storico-filosofica, le tappe obbligate dellacrescita «organica» del linguaggio Queste risultano infattisottoposte alle medesime leggi naturali che governano losviluppo della società e delle istituzioni umane.

Interrogandosi sulle radici antropologiche della pluralitàdelle lingue, Herder sottolinea quindi la grande incidenzadei fattori di mutamento storico-sociali accanto a quelliambientali e geografici universalmente ammessi. Dopoaver motivato il suo scetticismo riguardo ai tentativi di ri-costruire una genealogia fra le lingue, con dubbi strumenti

di archeologia linguistica, per risalire a un capostipite co-mune, Herder si preoccupa piuttosto di stabilire il princi-pio della pari dignità di tutte le lingue e culture. È su que-sto principio, rinsaldato dalla sua concezione monogeneticadel linguaggio e dei segni scritturali, che il riconoscimentodi un pluralismo linguistico e culturale, ovvero l'identifica-zione di ogni nazione con la propria lingua, non implica ilparticolarismo nazionale: nella visione herderiana la linguaè infatti il veicolo di quella trasmissione culturale fra popo-li e generazioni che garantisce il superamento di ogni fron-tiera spazio-temporale. Nell'economia globale della storiagli eventi si affermano e resistono in virtù del linguaggio:su questo dunque riposa l'intero dinamismo del processostorico. Con la sua dottrina del linguaggio Herder ha cosìgettato le basi per la sua futura filosofia della storia (cfr.Auch eine Philosophie..., 1774).

3. Rispetto ai lavori anche di notevole livello degli altritrentuno concorrenti'', il Saggio si distinse per «la force deraisonnement» del giovane autore che ottenne il lusinghie-ro riconoscimento di essere associato dal consesso accade-mico ai filosofi che lo avevano preceduto, malgrado nonavesse «voulu construire d'hypoyheses»'8.

Imprevedibilmente Herder reagì tanto all'assegnazionedel premio quanto alla pubblicazione del Saggio dichiaran-dosi ripetutamente insoddisfatto: si rammaricava di averecceduto nel tono, ironico fino all'irriverenza nei confrontidel destinatario [Br. 11:141 — a Schaumberg-Lippe, 24febbraio 1772]; riteneva poco scupolosa l'edizione e, mes-so «nero su bianco», Io scritto gli sembrava «disastroso»[Br. 11:129 — a Nicolai, febbraio 1772]. In fondo non di.sperava che col tempo il Saggio avrebbe dato «i suoi frutti»[Br. 11:132 — a Cardine Flachsland 10, febbraio 1772],ma lo sgomentava la prospettiva immediata di «una grossabattaglia» [Br. 11:58 — a Hartknock, metà agosto 1771] e,più di ogni altra cosa, la reazione di Hamann. In effetti

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ntico maestro, nelle sue impietose recensioni parodisti-e (1771-72), lo accusò di essere sceso a patti con lo Zeit-st illuministico e inoltre di aver abbandonato la dottrina:azionistica e messa in dubbio l'alterità dell'uomo rispet-agli animali. Il timore di aver compromesso irrimediabil-:nte l'amicizia indusse Herder a una Precipitosa ritrat-:ione [Br. 11:209 sgg. — a Hamann, l° agosto 1772],:entita dal fatto che l'edizione del 1789 non comportòssuna apprezzabile modifica".La convinzione con cui Herder porta avanti la sua «di-ístrazione» (p. 106; p. 155) imprime a questo scritto —finito da lui stesso il «ritratto della mia anima» [Br.136 — a Heyne, 21 agosto 1772] — un certo carattereperformance oratoria" che certo contribuì a suscitare eener desto l'interesse degli studiosi". Ultima sua eco al-aterno dell'Accademia fu la replica di Jacob Grimm (Ile-

den Ursprung..., 1851) all'intervento di Friedrich Wil-Im Schelling (Vorbemerkungen..., 1850). Questi avevalevato nei confronti della tesi del Saggio le stesse obie-mi che erano state di Hamann e proposto di riprenderediscussione sul problema dell'origine, a suo avviso nonpostato filosoficamente da Herder. La risposta di:imm è storicamente interessante perché la questionell'origine viene affrontata per la prima volta con gli stru-:nti della linguistica comparata [Bachsel 1963:1031, marisolve in un discorso empirico sulla ricerca della «linguaiginaria» [Irmscher 1966:172 sg.]. Tuttavia la valutazio-positiva di Grimm dimostra come questo studioso anco-riconoscesse il debito della linguistica scientifica versoella filosofica settecentesca, mentre nel Positivismo lartuna del Saggio declinò, proprio perché legata al temall'origine, ritenuto così poco scientifico da essere escluso366) dallo statuto stesso della Société de Linguistique.L'interesse per il Saggio, risvegliatosi negli ultimi decen-sia in Europa che in America, viene a coincidere con

adirizzo prevalentemente speculativo degli attuali studi

di linguistica, che oggi, come nel Settecento, sono indiriz-zati in senso interdisciplinare Così Herder, «spesso sac-cheggiato, ma poco citato» 1Dietze 1978:531 nei testi diquesta disciplina, torna a essere annoverato fra i grandiprecursori". La tendenza di Herder a cercare continua-mente un punto di conciliazione fra tutte le teorie, salvan-done aspetti che integra nella propria, alimenta ancora lapolemica fra chi ne fa un epigono eclettico dalla discutibileversatilità e chi un antesignano. Indubbiamente Herderseppe nutrirsi di tutti i fermenti della cultura dell'epoca[Bahner 1978:101], utilizzando abilmente e rielaborandoin maniera propria e originale le molte ed etereogene lettu-re alle quali era spinto da una curiosità inesauribile, comeè attestato dalle ricerche sulle fonti [Pénisson 1984:883sgg.]. Ma se è vero che il Saggio condivide con altre teoriecoeve l'attenzione ai temi emergenti attraversati dalla que-stione principale, se ne diversifica per un approccio decisa-mente antropologico al tema, approccio che, alla luce delnuovo statuto acquistato dall'antropologia negli studi dilinguistica, può considerarsi davvero anticipatore". Per ilsuo carattere filosofico il Saggio rientra a buon diritto nellatradizione «alta» [Simone 1990:321] delle teorie sull'origi-ne del linguaggio. A fronte degli altri scritti giovanili diHerder, la prospettiva risulta in esso spostata dalla funzio-ne alla natura del linguaggio e la posizione qui raggiunta,nonostante le contraddizioni e fluttuazioni successive, re-sterà «paradigmatica» [Farsi 1988:223] fino alla tarda Me-takritik (1799), dove riceverà un definitivo assetto in ter-mini più rigorosamente filosofici ma sostanzialmenteimmutati". A conclusione dell'itinerario fin qui tracciato,si deve ricordare almeno che con questo lavoro Herder —in un'epoca nella quale ancora nessuno dubitava che il lin-guaggio appartenesse alla dimensione pragmatica della co-municazione — apre la strada allo studio dei condiziona-menti della coscienza attraverso le forme linguistiche; ela-bora un concetto di «cultura», come sistema derivato dal

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torso modo di organizzare linguisticamente i contenutid'esperienza, che si affermerà in tempi recenti come)otesi Sapir-Whorf»"; individua l'aspetto geneticamenteterminato del linguaggio e con ciò la dialettica tra desto-icazione dell'origine e storicità degli atti linguistici. Nelz,gio inoltre trova conferma come sia impossibile traccia-una linea di demarcazione fra interessi storico-politici eguistico-antropologici nella produzione di Herderliitze 1983:60 sg.]. Se l'analisi linguistica si rivela ine-icabile dalle ricognizioni nei tanti campi del sapere neiali la sua complessa ricerca intellettuale trovava alimen-, qui in particolare si realizza quel felice incontro tra spe-lazione filosofica e documentazione relativa alla ricercaerimentale che accredita Herder come il «filosofo di graniga più scientifico» [Apel 1963:76].

Il taglio di questa presentazione non consente una rasse-a nemmeno sommaria dell'attuale condizione degli studi.elle note al testo si è comunque cercato di segnalare viaa i problemi più dibattuti mentre la relativa bibliografial'O fornire un'utile indicazione per ulteriori possibili let-re.

Agnese Paola Amicone

Nlohrungeo (oggi Morag, Polonia), suo luogo di nascita, Johann Con-ed Eluder (1744-1803) riceve dal padre Johann, maestro e insieme canto-e campanaro, un'educazione pietistica e una prima istruzione, che in se-ito integra frequentando la scuola comunale. Più tardi (1761), assuntonie amanuense dal diacono Sebastian Friedrich Trescho, il giovane happortunità di imparare il francese e di servirsi della ricca biblioteca do-:stica per conoscere gli autori classici greci e latini e per tenersi aggiornatoRe ultime pubblicazioni teologiche e letterarie. Invogliato da un chirurgosso di stanza a Mohrungen, nel 1762 Herder si trasferisce con lui a Kb-;sberg per studiare medicina, ma ben presto abbandona l'intento per de.

dicarsi agli studi di teologia e filosofia. Frequenta le lezioni di Kant che lointroducono all'antropologia e alla lettura dei filosofi moderni; inizia l'ami-cizia con Johann Georg Hamann (1730-88) che lo sprona a impadronirsi del-la lingua inglese e a leggere Shakespeare. Nel frattempo Herder non trascu-ra di documentarsi metodicamente sulla letteratura scientifica e si mantieneagli studi lavorando come istruttore presso il Collegium Fridericianum ecome recensore per le «Kiinigsbergische Gelehrte und Politische Zeitun-gen». Per la scuola compone il discorso Ober dei: FleiK.. Nel novembre 1764è chiamato a insegnare alla Domschule di Riga. Nell'antica città anseatica,allora sotto la sovranità russa, il giovane trova un clima politico e culturalepiù aperto e stimolante e ha modo di coltivare numerose amicizie. Nel 1765ottiene l'ufficio di predicatore della chiesa luterana; elabora lber die Ode eWie die Philosophie... che restano frammenti; collabora assiduamente alla«Allgemeine Deutsche Bibliothek» mentre, grazie all'amicizia stretta conl'editore Friedrich Hartknock, vedono la luce anonimamente le tre raccoltedi frammenti Gher die neuere deutsehe Litteratur (1766-68); Uber Thome,~te.. (1768); Kritisehe /Rader (1768). 11 3 giugno 1769 intraprende il lun-go viaggio, in parte finanziato dallo stesso Hanknock, che lo porterà attra-verso Danimarca, Francia, Olanda e Belgio. Oltre ai Philosopbes, a Parigiincontra diversi membri della Akademie Franvaise e frequenta assiduamentebiblioteche e teatri; abbozza una prima Plastik (1770). In una sosta ad Am-burgo (febbraio-marzo 1770) conosce Lessing e Johann Bernhard Basedowed entra in amicizia con Matthias Claudius. Nel marzo assume a Eutin l'in-carico di precettore del principe ereditario di Holstein-Gottorp, col quale sirimette in viaggio attraverso la Germania. A Darmstadt conosce la futuramoglie Karoline Flachsland e nel settembre dello stesso anno si reca a Stra-sburgo dove, rescisso il contratto che lo legava al principe, può finalmentededicarsi allo studio. Qui ha luogo R storico incontro con Goethe, determi-nante per la nascita dello Sturm und Drang.

Le inf ormazioni più accurate per questi anni si possono trovare nella bio-grafia, documentatissima, 0880-853 dì Rudolf Haym [1954 E 17-4800.

2 Fondata nel 1700 da Leibniz, la Akademie der Wnsenschaiten prussiananon si era mantenuta al livello delle consorelle europee, finché Federico IInon ne ebbe affidata la riorganizzazione a Pierre-Louis Moreau de Mauper-tuis (1698-1759), chiamato a presiederla nel 1746. La lingua ufficiale del-l'Accademia era il francese-

'Dalla lettura del manoscritto, che Herder gli passava in fascicoli, Goethefu indotto a riflettere perla prima volta sulla questione che a tutta prima gliera parsa «oziosa». Nonostante il successivo raffreddamento dei loro rappor-ti, nel X libro di Dichtung und Wahrheit (1811-14), Goethe conserva con no.stalgia il ricordo dell'insolita figura dello studioso che gli aveva spalancatoun nuovo orizzon te sulla poesia ebraica e popolare [ed. 1955, IX:402-15].Primo risultato della loro proficua collaborazione fu l'operetta Vort deutscherAri unsi Kunst (1773). Cfr. Shichiji [1987].

3 Cfr. specialmente Venue!, eirzer Geschichte... (1764) ISWS XXXI1,85

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22 Agnese Paola Amicone huroduzione

23

semi]; il frammento Von den Lebensaltern einer Sprache (1768) [SWS 11:61

188 . 1; la tesi di dottorato De Spiritu Sanato_- (1767) ISWS XXX111:291. Peril tema dell'origine, centrale nella riflessione di Herder, si rinvia a Lie-brucks [1964:51 sgg.]; Salmon [1969]; Grob [1976]; Kastinger Riley [19791;Heizmann [1981:3 sg.]; Schatze [1983:11 sg.]; Fink [19821; Bùchsel [1988];Gaier [1988:84 sgg.]; Pizer [1988]; Weissberg [1989]; Detleff [1989]; Liitt-gens [19911.

5 La posizione di Herder rispetto all'Illuminismo si presta a possibilità in-terpretative molto differenziate che riflettono le contraddizioni ideologichein cui egli stesso si dibatteva. In proposito si possono utilmente consultare:Cassirer [1932]; Rauche [1944:8 sgg.1; Venturi [1981 (1951)1; Harich11952;7 1861; Stolpe [19551; Bernard [1965]; Berlin [1965]; Adler [1968];Dietze [1968:17 sgg.]; Merker [1968; 19731; Verra [19711; Mega! [1974];Bahner [1978]; Fùrst [1988:62 sgg.1; Norton (19911.

6 Per k Rétlexions philosophiques... (1748) e la Dissertatimi... (1754) di Mau-pertuis, cfr. Formigari [1971]; Aarsleff [1974:123 sgg.]. La situazione deldibattito è riepilogata in: Biichsel [1963: 15 sgg.1; Formigari [19721; Aarsleff[1974]; Megill [1974]; Pupi [1977:13 sggl; Bahner [1978]; [HV. II: 895sgg.]; Simone [1990:375 sgg.].

7 A lungo sottovalutato, l'influsso del pensiero di Condillac (Essai, 1746)sulla teoria di Herder è da considerarsi invece determinante. In proposito,cfr. Irmscher [1966:140 sgg.]; Merker [1973:18 su]; Aarsleff [1974:94sgg.1; Bahner [1978:96 sgg.]; Wells [19851; Trabanr [1990:360 sgg.]; Norton[1991]; Barnard [19921.

/ La domanda infatti è una rielaborazione, in senso più decisamente natura-lista, del quesito proposto da Michaelis: Comment le langage peutil prendrenaissance chez des honnnes qui en sont more déponwus, & par quel& degrés y

pesak pervenir à la perjection où nous ]e voyons? L'orientalista Johann DavidMichaelis (171791) era risultato vincitore del concorso del 1759 con il sag-gio De Fintluence„ (1762). AI riguardo, cfr. Formigari [1972:89-107]; Aar-sleff 11974:134 sg.]; [HV II 907 sgg.].

1 «Avrei proprio voglia di dire anch'io un paio di cose ufficialmente», com-mentava klerder [Br. 1:92 — a Scheffner, 31 ottobre 1767] dopo la letturadel saggio di Stibmilch (Versuch eines Beweises..., 1766), pubblicato diecianni dopo essere apparso nei Mémoires accademici. Johann Peter Siibmilch(170767) — una vera autorità nel campo della statistica demografica —aveva difeso la sua tesi appoggiandosi alla logica razionalista di Wolff e ri-nunciando al sussidio di testimonianze storiche e bibliche. Diventato nellaversione b del Saggio l'antagonista per antonomasia, StiBmilch era già statoattaccato da Herder nella seconda redazione dei Fragmente [SWS 11:66 sgg.l.Cfr. Merker [1973:14 sgg]; Aarsleff (1974:131 san Bahner [1978:94 sg.];Kieffer [19781. La prassi frequente in Herder di avvalersi degli spunti pole-mici esterni in funzione speculativa segnerebbe anche il limite della sua for-za teoretica [Heintel 1964:XV111).

10 Cosi Clark 11955:132] e Pallus [1966:X1].

11 Uno dei numerosi punti sui quali Herder si confronta a distanza conJeangacques Rousseau è proprio la nozione di «stato di natura» come para-digma ideale dal quale l'uomo associandosi si sarebbe irreversibilmente al-lontanato. Come pioniere della dialettica natura e civiltà e sostenitore dellaforza dinamica del sentimento e delle passioni, il filosofo del Discours...(1754) rimane l'interlocutore di fondo di tutti i passaggi della dissertazioneherderiana. In proposito, cfr. Harich [1953:60 sgg.]; Blackall [1961]; Mal-son [1964:8 sg.]; Irmscher [1966:141 sgg.1; Adler [1968:112 sgg.]; Landucci[1972:93 sgg.;377 sgg.]; Heizmann [1981:106 sgg.]; Wells [1985]; Barnard[1992:31 sggli

12 All'uso formalizzato del linguaggio del pathos, di incontestabile rilevanzasul piano estetico, è affidato tuttavia il rinnovamento della lingua poetica el'efficacia del messaggio verbale dell'oratore. È questa una delle numerosesuggestioni del «profetico maestro» Johann Georg Hamann (1730-88), accol-ta e munita da Herder di un solido supporto argomentativo. Per il discussorapporto di dipendenza di Herder da Hamann, cfr. Haym [(1880) 1954, l:71 sgg.]; Heintel [1960:XVII sgg.]; Apel [1963:75 s gg. 1; Bnchsel [1963];Berlin [1965:65 sgg.;1976:151 sul; Merker [1968:276 sgg.; 1973:9s9ggmtFormigari [1977a]; Pupi [1977); Reckermann [1979); Heizmann [1Fiirst [1988]; Gaier 11988:141 sgg.; 1990]; Detleff [1989].

1 ' Fonte dell'excursus ecologico di Herder è il trattato Allgemeine Betrach-tungen... (1760) di Hermann Samuel Reimarus (1694-1768). Sulla singolarefigura del filosofo e scienziato amburghese, cfr. Merker [1968:349 sgg.];Kempski [1982].

"Per segnalare anche a livello linguistico la soglia di transizione dalla fun-zione organica della sensibilità ai più complessi processi della coscienza, lascelta di Herder cade su un vocabolo del lessico pietisca Besonnenheit, di cuifa un termine tecnico e, in tal senso, un neologismo (il «neologisches Kun-stwort» su cui ironizza Hamann [ed. 1963:2511). Col doppio valore di «sen-so» e «senno» annidato nell'etimo (Si,,,,), Besonnenheit trova, a mio avvisa,nell'italiano «sensatezza» un corrispondente sufficientemente adeguato chepartecipa della stessa duplicità semantica; rispetta le accezioni dell'uso tede-sco corrente, appartenenti ad ambiti di significato contigui («circospezione»,«attenzione della mente», «discernimento», «presenza di spirito», «controllodi sé», «pacatezza»); mantiene quella distinzione da «riflessione» che, inalte-rata nella traduzione di Merian («poni/0U de réfléchir» [ed. 1977:190]) si èvanificata nelle successive (Netto 1954: «riflessione»; Gode-Moran 1966:«reflection»; Pénisson 1977: «réflexion», «attention», «circonspection»;Pupi 1977: «intenzione consapevole»). Fra le interpretazioni, cfr. Kiintzel[1936:61 sgg.]; Konrad [1937:20 sgg.]; GeMen [(1940)1990:111 sgg.]; Clark[1955:137]; Irmscher [1966:156); Krtiger [1967:2 sgg.]; Grob [1976:27sgg.]; Proli [1978:123]; Heizmann [1981:70 sgg.]; Morton [1982:48]; Schen-ze [1983:99 sgg.]; Gaier [1988:102 sgg.]; Pizer [1988]; Fùrst [1988:229sggb.

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cavi Paola Amicone

Introduzione 25

' soluzione del problema conoscitivo in Herder è discussa soprattutton. Tassirer [11925) 1983:100 sgg.1, Verra [1957:688 sgg.]; Liebrucks1964]; Schnehli-Schwegler [1965:99 sgg 1; Irmscher 119661; Grob [1976:9

811 - ]i M888 14 [ 197058 "86.]; Morton [1982:49 sgg]; Heizmann [1981:65gg.1; Seeba [19821; Scharze [1983:112 sgg.]; Gaier [1987; 1988]; Helfer19901; Menges [1990). Sulla modalità primariamente estetica dell'approccionano insiste particolarmente Fiirst [1988]. Anche Herder opterebbe infinewr una soluzione strumentale, ma di ben diversa portata: è il linguaggio cheonsente all'uomo «il perfetto affrancamento dalla situazione concreta neluo contenuto contingente e occasionale» [Gehlen (1940)1990:291].

" È la visione della libertà umana che si salda per Herder alla lettura seccoarizzata del passo biblico di Gen 3 — già da lui enunciata in una lettera a-Iamann [Br. 1:97 sg. - aprile 1768): il peccato originale segna l'ingresso del-'uomo nella storia con il rischio del fallimento che questo comporta. Per!l'esca interpretazione, cfr. Heintel [1960:LV sgg.]; Beichsel [1963:90 sgg.];rmscher [1966:147 sgg.]; [11V II 910 sgg.; 1027 sgg.].

7 Per un esempio si veda, nell'edizione moderna curata da Hannelore Pal-us [1966], l'importante lavoro di Johann Nicolaus Tetens, liber den Ur-prung des Sprachen und dei . Schrift, Biitzov und Wismar 1772, parzialmenteradotto in italiano [Formigari 1972:309-24].

" Così [ed. 1977:2781 nell'estratto (Mémoires, 1771) dell'estesa analisi lettaI 6 giugno 1771 da Johann Bernhard Merian (1723-1807). Pubblicata perntero a distanza di dieci anni (Mémoires 1781), l'analisi dì Merian si conclu-leva ribadendo: «la reponse est plus complète et plus péremptoire que nousre l'avions éxigée, parce qu'elle n'est pas simplement hypothérique» [ed.1977:224],

' Temporaneo e parziale [Formigari 1977412] è da considerarsi anche il.uccessivo riavvicinarsi alla tesi teologica di Hamann (cfr. Die alteste Urkun-le..., 1774-761. Per la reazione di Hamann e Io scambio epistolare fra i due,fr. Haym [(1880)1954:1, 523 sgg.]; Biichsel [1963]; Adler [1968]; Pupi19771; Gaier 11990].

9 Il Saggio si sostiene suuna irrinunciabile tensione argomentativi che.pesco assume anche una forma virtualmente dialogica. Altrimenti la prosali Herder, ad eccezione di rare metafore, per lo più tolte alle scienze dellasita [Schick 1971:1271, risulta singolarmente povera di immagini [Sanner1960:651, Per forgiarsi uno stile inconfondibile, nella redazione definitiva-Ierder barocchizzò il testo rendendone alcuni passaggi quasi impenetrabiliAnonimo ed.1984:120 sg.] Sul metodo di scrittura di Herder, cfr. Haym(1880) 1954 1:147 sgg.]; Sanner 11960]; Blackall [1961]; Meggle [1970];eleischer [1978] Grolle [1978], Heizmann [1981:15 sgg.]; Pénisson1984:869 sgg.]; Gaier [1987; 19901; Owren [1990]; Trabant [1990]; Vanter Laan [19901-

A un aspetto dell'argomentazione herderiana è dedicata la preoccupata

attenzione teologica (Setrachtung..., 1773) del giovane accademico FriedrichHeinrich Jacobi (1748-1819); elogiativo, malgrado qualche riserva sullo sii-le, è il giudizio del recensore anonimo della ADI3 (1773). Il teologo JohannAugust Dathe (1731-91) nella Praefatio (1777) riserva un encomio alla pro-fondità e dottrina dell'argomentazione herderiana che «in nulla contraddicela storia sacra» [ed. Pro& 1978:223].

22 Su Herder anticipatore misconosciuto di attuali indirizzi della linguisti-ca, cfr. Harich [1952:8 sgg.]; Penn [1972]: Dietze [1978:53 sgg.]; Grosse[1978:78]; Koepke [1982; 1987]; Marchand [1982]; Becker [1987:216 sgg.]:Trabant [1990:345 sgg.].

21 Mai trattata in maniera sistematica, la problematica antropologica per-corre tuttavia per intero lo sviluppo del pensiero herderiano fino a dispie-garsi nelle Ideen. Cfr. Gehlen [(1940) 1990:59 sgg.]; Rouché [ 1940]; Wilson[1941); Harich [1952:20 sgg.]; Stolpe [1964]; Berlin [1965:67 sgg.]; Salmo][1969]; Irmscher [1966:148 sgg.]; Verra [1971]; Formigari [1972]; Dreike[1973]; Herrmann [1978]; Imhoff [1944].

24 Sulla tesi impostasi con i critici neokantiani (Haym 1(1880) 1954,1:146sgg ]; Heintel [1960:XXXIII sgg.]; Liebrucks [1964]) della mancanza di si-stematicità nelle opere di Herder prevale oggi l'orientamento a coglierneuna personale e «interna». Cfr. Irmscher [1966:151 sgg.]; Meggle [1970:52sgg.]: Bahner [1978:93]; Heizmann [1981:135 sgg.]; Schùrze [1983:11 sgg.];Pénisson [1984:883 sgg.]; Becker [1987]; Koepke [1987]; Morton [1987:59sgg.]; Gaier [1988:80 sgg.].

2 " De Mauro [1965:62]; Penn [1972]; Marchand [1982].

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Nota editoriale

Della Abbandiungtiber der Ussprung der Spracbe esistono due edizioni pub-blicate vivente l'Amore. La prima (A) fu stampata nel 1772 per i tipi diVog su ordine dell'Accademia berlinese. Priva della revisione finale di Iterder, A contiene molti errori, alcuni sfuggiti al copista, altri imputabili allastampa. Per tale ragione, Herder si prefisse di far uscire una seconda edizio-ne che vide la luce solo nel 1799 (0) e che sostanzialmente non diverge dallaprima se non per lo stile più composto e classico ma, nel complesso, menofelice. Fra i manoscritti inediti di Herder (conservati nella SulaubibliothekStiitung Preuflischer Kukurbesitz, la storica Biblioteca regia berlinese] ben treredazioni autografe documentano le fasi preparatorie della copia inviata alconcorso La redazione a, un primo abbozzo tracciato probabilmente a Nanites, tocca già lutti i punti essenziali e presenta la materia disposta nell'ordi-ne che resterà definitivo. Accanto ad argomenti appena accennati, quelli ini-ziali e finali appaiono decisamente ben sviluppati. Il secondo manoscritto bne è n rifacimento in uno stile più controllato, con rinvii più frequenti allefonti.

u Si tratta di una redazione molto accurata (probabilmente la stessa let-

ta da Goethe in fascicoli), divisa in due parti, la seconda delle quali è andataperduta. La redazione successiva fa), approntata da l'arder saldando un ter-zo rifacimento della prima parte con la seconda parte di b appena ritoccata,risulta impreziosita da uno stile reso volutamente inconsueto e caratterizza-ta da un'interpunzione molto personale. Fu questa la stesura che, rimaneg-giata ancora una volta, trascritta dal copista e revisionata in gran fretta daI lerder, pervenne alla segreteria del concorso come copia ufficiale (R). Con-siderata a lungo smarrita, R fu ritrovata da Werner Krauss e pubblicata nel1959 da Claus Tràger; oggi si conserva nello Aschiu der desascben Akadentieder Wissensebajten di Berlino.

La presente traduzione è stata condotta sul testo stabilito da ReinholdSteig (1891) per i Samtlicbc Werke di Suphan (SW5 V:1-154). Come baseper la sua edizione critica, non disponendo di R, Steig scelse A, la primaedizione a stampa. Per l'interpunzione e il corsivo si è tenuto conio anchedell'edizione 'misi:ber 1966.

Le note che corredano il testo, contrassegnate da un asterisco, documen-tano come il concetto di autorità fosse del tutto «estraneo» a Herder Wénis-son 1984, 883]. Si è perciò preferito lasciarle inalterate anche là dove le

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28 d. iMpag»

sommai nidledzioni Inbliograliche isultnio lasunore nitc, provveden-

do a compiei:1 t le e ceneggef le nelle note di commento aler

testo Un elenco

delle fonti alle quali Ilerder ha attinto per ln stesura del 5a ggio apre L bl-

bliogrufiu-

PRIMA PARTE

Abbandonatialle loro capacità naturali,

gli esseri umanihanno potuto

inventarsi il linguaggio?

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Primo capitolo

Vocabula sunt notae rerum.

Cicerone'

Già in quanto animale l'uomo ha un linguaggio'. Tutte lesensazioni fisiche violente e, tra queste, le più violente inassoluto, quelle dolorose, tutte le forti passioni dell'animaumana si manifestano immediatamente in grida, in voci, insuoni inarticolati e selvaggi: l'animale che soffre, così comel'eroe Filottete, ad ogni accesso di dolore gemerà, si lagne-rà, anche se abbandonato su un'isola deserta senza parven-za o traccia, senza alcuna avvisaglia di un proprio similepronto ad aiutarlo'. Gli sembrerà di respirare più libera-

( mente sprigionando il fiato riarso e affannato, e si illuderàdi alleggerirsi un po' del suo dolore, o almeno di assorbiredalla vuota atmosfera nuove energie per sopportarlo, gon-fiando di gemiti i sordi venti. Tanto poco la natura ci hacreati come rocce isolate o egoistiche monadi'! Persino lecorde più sottili della sensibilità animale (devo servirmi diquesta similitudine non conoscendone di migliori per lameccanica dei corpi senzienti)', quelle corde che né risuo-nano né si tendono certo in seguito ad una scelta voluta oad una lenta ponderazione, la natura delle quali, anzi, tut-tora sfugge ad ogni indagine razionale, in tutto il loro con-gegno sono regolate per rivolgersi ad altri esseri, pur senzaaver nozione di una simpatia esterna. La corda toccata ese-gue il suo innato dovere: vibra, chiama un'eco simpatetica,anche se questa non c'è, anche se essa né spera, né siaspetta risposta alcuna.

Se mai la fisiologia dovesse arrivare a comprovare la psi-cologia, cosa della quale fortemente dubito, essa, movendodalla dissezione del tessuto nervoso, potrebbe gettare sul

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33

fenomeno in questione qualche sprazzo di luce, ma rischie-rebbe anche di scomporlo in singoli legamenti troppo breviz apatici'. Per il momento, quindi, assumiamo il fenome-no nel suo complesso come una chiara legge di natura: eccoun essere sensitivo incapace di contenere qualunque forte sen-sazione e costretto invece a esternarla a voce non appena ne èsopraffatto pur senza averlo intenzionalmente deciso. Fu, per:osì dire, con un ultimo tocco materno che la mano dell'ar-tefice natura' impresse in tutti, all'atto della nascita, lalegge: «Non tenere per te ciò che provi: esprimi in voci iltuo sentire». E poiché quest'ultima impronta modellatricefu comune a tutti gli individui di una stessa specie, ne ri-sultò una provvida legge: «La voce del tuo sentire sia co-mune a tutta la tua specie, così da essere intesa e condivisala tutti e da ciascuno». Non si tocchi, dunque, -un tale es-sere fragile e sensitivo: sebbene, infatti, possa sembrarelel tutto solo ed esposto a ogni assalto ostile dell'universo,solo non è: anzi è in lega con tutta la natura. Nelle delicate:orde di cui è munito sono riposte note che, non appenasuscitate e avvivate, a loro volta possono destare creatureli struttura altrettanto delicata e, come attraverso una in-visibile catena, comunicare a un cuore lontano scintille dillmpatia per questa creatura non vista'. Questi sospiri, que-ti suoni sono linguaggio. Esiste dunque un linguaggio affetti-)0 che è immediata legge di natura.

Che in origine l'uomo Io avesse in comune con i Imiti oggi'; provato, indubbiamente, piuttosto da alcune sopravvi-enze che da piene manifestazioni e, tuttavia, tali soprav-iverize sono inoppugnabili. Per quanto il nostro linguag-

;io artefatto possa avere spodestato quello naturale, perguanto il saper vivere e le buone regole della convivenza?ossano avere arginato, prosciugato o deviato il flusso dila-gante delle passioni, il momento più intenso di un senti-mento, laddove e sebbene di rado lo si raggiunga, riaffer-ma sempre i suoi diritti e vibra negli accenti immediati del-la lingua materna. L'impeto montante di una passione;

l'improvviso scoppio di gioia o di allegrezza; il dolore el'angoscia che scavano profondi solchi nell'animo; un indo-mito sentimento di vendetta, disperazione, collera, paura,orrore, tutti si annunciano e ciascuno in modo suo peculia-re. Tanti sono i generi di sensibilità recettiva sopiti nellanostra natura, altrettante le tonalità. E, dunque, rilevo chequanto meno siamo costituzionalmente affini a una specieanimale, quanto meno le somigliamo nella struttura nervo-sa, tanto meno ne intendiamo il linguaggio naturale. Inquanto animali terrestri comprendiamo meglio questi diquelli acquatici e, tra gli animali terrestri, meglio quelli chevivono in gregge di quelli selvatici; infine, fra gli animaligregari, meglio di tutti quelli a noi più vicini. Ma, indub-biamente, anche per questi ultimi molto dipende dalla di-mestichezza che abbiamo con loro. È naturale che l'arabo,che è tutt'uno con il suo cavallo, lo capisca meglio di chi lomonta per la prima volta, quasi altrettanto bene di Ettoreche, con i propri sapeva parlare. 'Il beduinodel deserto, che attorno a sé di vivente non ha che il pro-prio cammello e forse uno stormo di uccelli volteggianti,capirà l'indole di quello e presumerà di intendere le stridadi questi meglio di chi, come noi, vive in alloggi. Un figliodella foresta qual è il cacciatore capisce la voce del cervo,il lappone quella della renna, ma si tratta pur sempre dicasi spiegabili o eccezionali. Di fatto, tale linguaggio natu-rale rimane un gergo per gli individui della stessa specie ecosì anche l'uomo ha il proprio. Ora, indubbiamente, talisuoni sono molto semplici: quindi, una volta articolati e tra-sferiti sulla carta come sillabe interiettive, le sensazioni piùcontrastanti vi assumono un'espressione pressoché identi-ca. Il fievole «ah» sarà l'accento dell'amore struggente, maanche della disperazione profonda; nel focoso «oh» pro-rompe la gioia improvvisa come l'empito della collera, lostupore crescente come l'onda della compassione. Ma, infi-ne, queste note sono poi fatte per figurare sulla carta comeinteriezioni? La lacrima che vela un occhio turbato, spen-

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34 Saggioco ll'origine del linguaggio

to, implorante conforto, in un ritratto del volto stesso del-l'afflizione è, sì, commovente; ma, presa da sola, è unafredda goccia d'acqua, né voglio sapere che aspetto assumase messa sotto un microscopio. Provate a separare dagli al-tri vivaci sintomi concomitanti il soffio estenuato, il toc-cante sospiro che si spezza sulle labbra contratte dalla sof-ferenza, ed esso non resta che un vano alitare. Può esserealtrimenti per le voci del nostro sentire? Nel loro contestovitale, nel quadro globale di una natura in azione, accom-pagnate da tanti altri fenomeni, esse sono eloquenti ed ef-ficaci; ma separate dal resto, sradicate, mortificate, nonrestano altro che cifre. La voce della natura si riduce cosìad arbitrario simbolo alfabetico. Pochi sono questi suonivocali, è vero: ma la natura sensitiva, finché soffre solomeccanicamente, ha anche meno varietà di sensazioni diquante non ne attribuiscano o, meglio, non ne imputinoall'anima le nostre scienze psicologiche col nome di passio-ni. Bisogna dire che, a questo stadio, ogni sentimento co-stituisce un vincolo tanto più tenace quanto meno è scom-posto nelle sue fibre elementari. I suoni non parlano mol-to, ma con veemenza. Il pianto poteva lamentare le feritedell'anima o del corpo, il grido sfuggire per paura o perdolore il languido «ah» imprimersi sul petto dell'amatacon un bacio o con una lacrima: tutte distinzioni alle qualiun linguaggio siffatto non era tenuto'. Esso doveva soloevocare l'immagine e questa avrebbe ben parlato da sola.Suo compito era farsi suono, non descrizione! Dopotutto,secondo la favola di Socrate, dolore e piacere si toccano":nella sensazione la natura ha congiunto i suoi estremi e,dunque, il linguaggio affettivo non può fare altro che indi-care questi punti di contatto. Mi sia consentito ora passareai casi concreti.

In tutte le lingue originarie vibrano ancora echi di questiaccenti naturali, ma certo non sono essi l'orditura del lin-guaggio umano, non essi ne costituiscono le radici vere eproprie, ma piuttosto la linfa che quelle radici alimenta.

Pnwo Capitolo

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\ Si prenda una lingua culta, metafisica, di tarda forma-zione, che rispetto alla primeva incondita madrelingua delgenere umano rappresenti una varietà, poniamo, di quartogrado, e che, dopo lunghi millenni di corruzione, a sua vol-ta si sia affinata, ingentilita, umanizzata nel corso plurise-colare della sua esistenza: ebbene, una lingua siffatta, crea-tura della ragione e della società, può non serbare che pocao nessuna memoria dell'infanzia della sua progenitrice, lad-dove gli idiomi antichi o incolti più vicini sono alla loroorigine, più ne recano tracce vistose. Non potendo ancoraparlare di una organizzazione umana benché minima dellinguaggio, mi limiterò a prendere in esame grezzi docu-menti. Per me non esiste ancora la parola, ma soltanto suo-ni per dar voce alla sensazione. Eppure, osservate quantiechi di tali suoni restano catturati nelle lingue suddette,nelle loro interiezioni, nelle radici dei loro nomina e verbo.Le lingue orientali più antiche sono intessute di esclamazio-ni alle quali noi, popoli di più recente cultura, spesso noncontrapponiamo che lacune o un'ottusa e sorda interpreta-zione. Nelle loro elegie vibrano, continua interiezione dellinguaggio naturale, le stesse lugubri note di pianto deiselvaggi" sulle loro tombe. Nei loro salmi di lode echeggia-no le stesse grida di giubilo e i reiterati alleluia intonati dal-le lamentatrici, come spiega Shaw 11 , che per noi spesso nonson altro che solenni insulsaggini. Nei ritmi, nell'aire deiloro poemi, nei canti di altri antichi popoli freme l'accentoche ancor oggi anima le danze di guerra e rituali, i canti dilutto e di gioia di tutti i primitivi, abitino essi ai piedi dellaCordigliera o tra le nevi degli Irochesi u, in Brasile o neiCaraibi. E, finalmente, le radici dei loro verbi arcaici, quel-li più elementari e icastici, non sono altro che quelle primeesclamazioni naturali, che furono modulate solo più tardi;ed è perciò che in questa loro segreta, vibrante intonazione,le lingue di tutte le genti antiche e selvagge per gli stranieriresteranno per sempre impronunciabili.

Solo più avanti potrò spiegare la maggior parte di tali fe-

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nomeni nel loro contesto. Basti, per ora, una cosa. Fra i so-stenitori dell'origine divina del linguaggio, c'è unostudioso* che vede un mirabile esempio di ordine divinonel fatto che tutti i suoni delle lingue a noi note si possanoridurre ad una ventina di caratteri alfabetici. Se già l'affer-mazione è sbagliata, ancor più lo è la conclusione. Non esi-ste lingua parlata vivente che si possa rendere fedelmentein lettere alfabetiche, né tanto meno in venti soli caratteri:lo dimostrano senza eccezione tutte le lingue. Le articola-zioni dei nostri organi vocali sono tanto numerose, ciascunsuono può essere pronunziato in modi tanto diversi, cheLambert, per esempio, nella seconda parte del suoOrganon" ha potuto a buon diritto dimostrare come il nu-mero delle nostre lettere sia di gran lunga inferiore a quellodei nostri suoni e come ogni trascrizione sia, di conseguen-za, destinata a restare approssimativa. E lo ha dimostratoservendosi soltanto del tedesco, lingua che finora nemme-no ha accolto per iscritto la dovizia e la varietà di accentidei suoi dialetti. La sproporzione aumenta nel caso di unalingua che, nel suo insieme, altro non sia che un simile vi-vente dialetto. Da dove derivano tutte le peculiarità e lebizzarrie dell'ortografia, se non dall'impaccio di dover scri-vere come si parla? La pronuncia di quale lingua viva sipuò imparare dall'alfabeto scritto, o quale lingua mortapuò essere richiamata in vita, grazie a esso?

Allora: quanto più viva è una lingua, quanto meno si èatteso a fissarla in segni grafici, quanto più spontaneamen-te essa rimonta alla piena e compatta sonorità naturale,tanto meno facile sarà trascriverla, e men che mai in ventilettere; spesso, anzi, gli stranieri non riusciranno nemmenoa pronunciarla. Padre Rasles'`, che è rimasto per ben diecianni fra gli Abnaki" del Nordamerica, si rammarica mol-tissimo di avere spesso dovuto lasciare a mezzo le parole,

= SaiSmilels. Dimostrazione dell'origine divina del linguaggio umano, Ber.lin 1766, p. 21'.

Primo capitolo

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nonostante tutto il suo impegno, esponendosi al ridicolo;ma ancor più ridicolo si sarebbe reso se avesse usato i sim-boli dell'alfabeto francese. Padre Chaumonot' 8 , pur aven-do trascorso cinquant'anni tra gli Uroni' 9 , cimentandosiperfino in una grammatica della loro lingua, continua a de-plorare le loro gutturali e i loro impronunciabili accenti: asuo dire, è un caso frequente che due vocaboli, formatiesattamente dalle stesse lettere, abbiano significati diver-sissimi. Garcilaso de Vega' lamenta che gli Spagnoli ab-biano storpiato, mutilato e corrotto i suoni della lingua delPerù a tal punto da attribuire ai Peruviani ogni nefandezzaunicamente sulla base dei propri stravolgimenti. A proposi-to di una piccola popolazione del Rio delle Amazzoni, de laCondamine" afferma che «una parte del loro lessico nonpotrebbe essere trascritta, neppure in maniera molto som-maria. Bisognerebbe adoperare nove o dieci sillabe là doveessi sembrano pronunciarne a malapena tre». La Loubère"a proposito del linguaggio del Siam: «Di dieci parole pro-nunciate da un europeo l'indigeno siamese non ne afferra,forse, nemmeno una, per quanto ci si sforzi a rendere laloro lingua con le nostre lettere». E non c'è bisogno di sco-modare popoli di angoli tanto remoti della terra! Nella no-stra stessa Europa, le poche popolazioni primitive supersti-ti (Estoni, Lapponi e altre ancora) hanno spesso suoni se-miarticolati e non trascrivibili, proprio come Urani e Peru-viani. Russi e Polacchi, sebbene le loro lingue siano scrittee letterarie, continuano ad avere tante aspirate che è im-possibile riprodurre fedelmente il loro sistema di suoni me-diante lettere alfabetiche. Come si arrovellano gli Inglesiper trascrivere i loro suoni, e quanto poco chi pur capiscal'inglese scritto può dire di saperlo parlare! Sia i Francesi,che hanno ben pochi suoni gutturali, sia gli Italiani, questisemigreci che sembrano parlare in una regione superioredel cavo orale, in uno spazio etereo più sottile, hanno sem-pre conservato un'intonazione vivace, a patto che i lorosuoni rimangano là dove gli organi li modulano, perché

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fatt& ndfongine dei linguaggio Mune capitolo

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come simboli alfabetici, per quanto il lungo uso della scrit-tura possa averli resi agili e armoniosi, non sono altro chesimulacri.

Il fatto, dunque, è falso; e ancor più falsa è la conclusio-ne che, lungi dal rimandare ad una origine divina, ne pre-suppone, viceversa, proprio una animale. Prendiamo la co-siddetta prima lingua divina, l'ebraica", dalla quale lamaggior parte del mondo ha ereditato l'alfabeto. Che ini-zialmente fosse una lingua di grande esuberanza sonora edi difficile trascrizione, tanto che si riuscì a porla periscritto solo in modo assai approssimativo, è inequivocabil-mente attestato da tutta la sua struttura grammaticale, daifrequenti scambi tra lettere simili e, soprattutto, dalla tota-le assenza di vocali. Come spiegare la singolarità del fattoche le sue lettere sono tutte consonanti, mentre proprioquegli elementi del vocabolo dai quali tutto dipende, le vo-cali appunto, originariamente non erano scritte affatto? Untale sistema di scrittura — registrare il superfluo e omette-re l'essenziale — è talmente in contrasto col procedimentodella sana ragione che dovrebbe risultare inspiegabile aigrammatici, ove mai costoro fossero avvezzi a spiegarequalcosa. Per noi le vocali sono gli elementi essenziali e vi-tali, i cardini stessi della lingua: gli Ebrei nemmeno le scri-vevano. Perché mai? Perché non potevano essere scritte.La loro pronunzia era così animata e così sottilmente orga-nizzata, così immateriale ed etereo ne era l'afflato, chesfuggiva senza lasciarsi catturare in lettere. Soltanto con iGreci queste aspirazioni viventi furono formalmente fissa-te in una serie di vocali che, a loro volta, dovettero ricorre-re a spiriti e altri sussidi, perché per gli orientali l'eloquioera quasi interamente spirito, anelito continuo, animo fat-to voce, come del resto essi tanto spesso lo chiamano nelleloro immaginifiche poesie. Pneuma divino, alito d'aria eraquel che l'orecchio afferrava, mentre le morte lettere daessi tracciate non erano che la spoglia inanimata cui la let-tura avrebbe dovuto infondere il soffio vitale. Non è que-

sta la sede per discutere quanto tutto ciò influisca sullacomprensione della loro lingua: è però evidente che tale es-senza spirante' ne tradisce l'origine. Quale cosa si prestaalla trascrizione meno dei suoni naturali inarticolati? E seè vero che quanto più la lingua è vicina ai primordi tantopiù è inarticolata, ne consegue che di certo non è stata in-ventata da un essere superiore per i ventiquattro caratterialfabetici; né questi sono stati inventati insieme a essa, marappresentano invece un tentativo più tardo, e solo imper-fetto, di darsi alcuni segnali mnemonici, mentre la linguanon è nata dall'alfabeto della grammatica divina, ma dasuoni inconditi di organi liberi*. Sarebbe altrimenti davve-ro singolare che proprio quelle lettere dalle quali e per lequali Dio avrebbe inventato il linguaggio, col sussidio dellequali lo avrebbe insegnato ai primi uomini, fossero le piùdifettose del mondo, nulla rivelando dello spirito della lin-gua, anzi denunciando ampiamente — con tutta la lorostruttura — di non volerne rivelare nulla.

Per quel che vale, questa ipotesi sull'alfabeto non meri-terebbe più che un cenno; ma, essendosi ormai divulgatasotto molteplici travestimenti, mi correva l'obbligo dismantellarla e, al tempo stesso, illustrarla, perché almeno ame non risulta che sia stato mai fatto. Ma torniamo al no-stro tema.

Essendo le nostre voci naturali destinate ad esprimere gli al-letti, è ovvio che esse diventino anche componenti essenzialidi ogni moto dell'animo. Chi è che ai sussulti e ai lamentidel torturato, ai rantoli di un moribondo, al mugolio diuna semplice bestia che soffre con tutta la sua macchina",non si senta trafiggere il cuore? Chi è quell'impassibile bar-baro? Anche per gli animali, quando più armoniosamente

" naturae & scriptutue concordia°, lido., 1752, è lo scritto mi-gliore su questa materia, in parte ancora inesploram. Si distingue dalle fan-tasticherie di Kircher e di tanti altri come la storia antica si distingue dallefavolen.

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Saggio sull'origine del linguaggio P171110 capitolo 41

le corde del loro delicato istrumento si accordano con quel-le di altri animali, tanto più essi sentono all'unisono*. I loronervi raggiungono una stessa tensione e le loro anime sen-sitive la consonanza: a livello meccanico essi, di fatto, sof-frono concordemente. Quale fibra di acciaio, quale ecce-zionale capacità di bloccare tutti i varchi della propria sen-sibilità organica occorrerebbero perché un uomo di frontea ciò restasse imperturbabile e sordo! Secondo Diderot*,un cieco nato ai gemiti di una bestia sofferente dovrebbeessere più insensibile di colui che vede e invece, in alcunicasi, io credo vero il contrario. Certo, al cieco resta com-pletamente nascosto lo straziante spettacolo di quel poveroessere palpitante, ma tutti gli esempi attestano che, pro-prio per via di quel velame, l'udito si fa meno distratto,più vigile e di gran lunga più fino. Immaginiamo allora cheil cieco, nella tenebra e nel silenzio della sua notte perpe-tua, tenda l'orecchio: ogni nota di lamento gli penetrerànell'intimo del cuore ancor più acuminata, come una frec-cia. Supponiamo ora che egli si aiuti anche con il lentoesplorare del tatto fino a tastare quei moti convulsi, a sen-tire il trauma di quella macchina sofferente. Un fremito diorrore gli percorre le ossa, l'intima fibra dei suoi nervi par-tecipa di quel trauma e di quella devastazione: si leva lavoce della morte. Ecco il vincolo di questo linguaggio di na-tura!

Indipendentemente dal loro grado di cultura, gli Euro-pei sono stati dovunque profondamente commossi dalle in-genue lamentazioni degli indigeni. Léry" racconta come,in Brasile, i suoi uomini fossero inteneriti fino alle lacrimedalle sincere e spontanee grida di simpatia e di cordialità diquegli americani. Charlevoix' e altri non trovano paroleper esprimere efficacemente la sinistra impressione che in-cutono i canti guerreschi e magici dei Nordamericani. Se,in seguito, avremo occasione di osservare quanta vitalità

suo !n3 accugles à l'usage de C CUI: qu; p asco: etc

questi toni naturali abbiano infuso nella poesia e nella mu-sica della antichità, potremo anche spiegarci in modo piùfilosofico la suggestione che si sprigiona dalla poesia grecaarcaica, dalla danza e dall'antico teatro greco, e quella chetuttora musica, danza e poesia in genere esercitano su tuttii primitivi. E, del resto, anche presso di noi, pur avendo laragione spesso spodestato la sensibilità e l'artefatto lin-guaggio del consorzio umano soppiantato gli accenti natu-rali, a questo idioma della natura ci si accosta ancora difrequente, imitandolo nei tonanti accenti dell'oratoria, nel-le più robuste cadenze dell'arte poetica, nei magici mo-menti dell'azione". Che cosa mai opera miracoli tra la fol-la, trapassa i cuori, sovverte gli animi? Sono forse i discorsiaulici e astratti, forse le similitudini e le figure retoriche, latecnica e la fredda persuasione? Certo, questi sono stru-menti che, se non si mira a scatenare un delirio, possonomolto, ma non tutto. Come ottenere proprio questo culmi-ne del cieco delirio? Con tutt'altra forza! Quegli accenti,quei gesti, quei semplici sviluppi della melodia, quel turba-mento improvviso, quella voce che si smorza, che più?emanano sui fanciulli, i sensitivi, le donne, le persone daldelicato sentire, i malati, gli spiriti solitari e inquieti, unasuggestione mille volte maggiore di quella della stessa veri-tà se, con la sua dolce voce, soavemente si annunziasse dalcielo. Le parole, il tono, l'andamento di una ballata che in-cute paura e così via, quando li udimmo per la prima voltanella nostra infanzia, ci giunsero fino all'anima scortati danon so quale schiera di idee accessorie' quali il raccapric-cio, la solennità, il terrore, il timore, la gioia. All'eco diquella parola, come un corteo di spettri eccole ora levarsitutte insieme dal sepolcro dell'anima nella loro tetra mae-stà e offuscare il senso puro e trasparente della parola, chesolo in loro assenza poteva essere inteso. Scomparsa la pa-rola, al suo posto vibra la voce della sensazione. Un ignotosentimento si impossessa di noi: anche un superficiale rab-brividisce d'orrore, non per i concetti ma per le sillabe, le

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voci dell'infanzia; ed è stato il magico potere dell'oratore,del poeta, a farci tornare bambini. Sulla ponderazione, sul-la riflessione, ha prevalso nell'intimo la sola legge di natu-ra: la voce della sensazione deve trasportare la creatura simpa-tetica sullo stesso registro.

Se proprio vogliamo chiamare linguaggio questi accentiimmediati della sensazione, a me pare, dunque, che l'originedi esso sia affatto naturale. Non soltanto essa non è sovruma-na, ma è innegabilmente animale, in quanto legge naturale diuna )macchina sensitivaj

Ma non posso nascondere la mia meraviglia per il fattoche ad alcuni filosofi, vale a dire gente alla ricerca di con-cetti chiari, sia potuto saltare in mente di spiegare l'originedel linguaggio muovendo da questi gridi della sensazione,come se non balzasse agli occhi che esso è tutt'altro. All'in-fuori dei pesci, tutti gli animali dan voce alle loro sensazio-n: nondimeno, però, nessun animale, neanche il più per-:etto, possiede il benché minimo rudimento di un linguag-;io umano vero e proprio. Anche a voler educare tali versimimaleschi modulandoli e organizzandoli, se non intervie-ne l'intelletto a servirsene intenzionalmente, non vedo:ome, nel rispetto della suddetta legge di natura, essi pos-ano mai tradursi in un linguaggio umano intenzionale. Al'ari delle bestie, anche i bambini esprimono vocalmente le,ensazioni, ma la lingua che apprendono dagli adulti non è,orse, tutt'altra lingua?

Del novero fa parte anche l'abate Condillac*. Questilava forse per scontato tutto l'argomento linguaggio già'rima di accingersi a scrivere il suo libro, se ad ogni paginaM imbatto in cose che non potrebbero assolutamente veri-icarsi nell'ordine di una lingua in formazione. A fonda-unto della sua ipotesi, egli pone «due bambini in un deser-o, prima ancora che conoscano l'uso di qualsiasi segno».'erché mai ponga tutte queste condizioni: «due bambini», i

* Essai sur des connoissences humaines. V ol.11'2.

quali dunque non possono che morire o abbrutirsi; «in undeserto», dove sostentarsi e inventare alcunché diventa an-cor più problematico; «prima di aver l'uso, anzi, la nozionestessa di qualsiasi segno naturale» (della quale, invece, giàa poche ore dalla nascita nessun lattante è privo); perché,dico, a fondamento di una ipotesi che si propone di inda-gare il corso naturale della conoscenza umana si debbanoporre condizioni così innaturali e contraddittorie, lo sapràCondillac; ma che su questi dati non si costruisca nessunainterpretazione dell'origine del linguaggio, oso dimostrarloio. I suoi due bambini, senza conoscere segno alcuno, si ri-trovano assieme; ed ecco, fin dal primo momento ($ 2) en-trano in reciproco rapporto: epperò solo per via di questomutuo rapporto, imparano «ad associare alle grida dellesensazioni quei pensieri dei quali esse sono i segni natura-li». Possono imparare i segni naturali della sensazione permezzo dello scambio, imparare quali pensieri" a quei se-gni vadano abbinati, e intanto, fin dal primo momento del-l'incontro, ancor prima di conoscere ciò che la bestia piùstolida conosce, possono immediatamente instaurare unmutuo commercio e apprendere quali sono i pensieri chevanno collegati a determinati segni: non capisco nulla.«Col ripresentarsi di condizioni analoghe (S 3), essi si av-vezzano a collegare i pensieri con le espressioni sonore del-la sensazione e con i diversi segnali del corpo. Già la loromemoria si viene esercitando. Eccoli ormai in grado dicontrollare le loro rappresentazioni, e già capaci di fare conla riflessione ciò che dianzi facevano solamente per istinto»(e che tuttavia, come si è visto, prima di entrare in relazio-ne, non sapevano fare). Continuo a non capirci nulla.«L'uso di tali segni dilata le operazioni dell'anima ($ 4) equeste perfezionano i segni: sono state le grida della sensa-zione, dunque ($ 5), a sviluppare le forze psichiche, le gri-da della sensazione a dar loro l'abitudine di collegare leidee con segni convenzionali ($ 6), le grida della sensazionea servir loro da modello per crearsi un nuovo linguaggio,

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Saggio sultongine dei linguaggio Primo rapitolo 45

articolare nuovi suoni, avvezzarsi a designare le cose connomi». Ripeto tutte queste ripetizioni senza capirci nulla.Infine — dopo avere edificato su questa puerile origine dellinguaggio l'intera prosodia, oratoria, musica, danza e poe-sia delle lingue antiche", e sparso qua e là anche buoneosservazioni che però non servono al nostro assunto —l'autore così riprende il filo: «per comprendere (§ 80) comegli uomini si siano accordati fra loro sul significato delleprime parole che intendevano adoperare, basti considerareche essi le pronunziavano in circostanze nelle quali ognunoera necessitato a collegarle alle medesime idee" ecc.».Riassumendo, le parole nacquero perché altre ne esisteva-no prima di esse: mi sembra che non valga la pena di segui-re oltre il filo del nostro interprete, visto che non mettezapo a nulla.

E noto che, con la sua vacua interpretazione dell'originelel linguaggio, Condillac fornì a Rousseau* il pretesto perigitare di bel nuovo la questione, ai nostri giorni, nelnodo a lui più congeniale, vale a dire: avanzando dubbi iniroposito. Per trovare sospetta l'interpretazione di Condii-ac non era certo necessario un Rousseau, ma per negareol per questo all'uomo ogni possibilità di invenzione delinguaggio occorreva senz'altro un po' dello slancio o, se simole, dell'estro rousseauiano. Giacché Condillac avevanal risolto la questione, allora essa era forse del tutto inso-ubile. Giacché dai suoni incomposti della sensazione maiiotrebbe formarsi una lingua umana, se ne inferisce forsete essa non può formarsi da nessun'altra parte?

E che, in effetti, sia solo questo velato sofisma a fuor-'iare Rousseau, risulta evidente dalla sua stessa imposta-ione**: «ma, infine, se il linguaggio doveva comunque na-cere per via umana, quale doveva essere questa via?».:ome il suo predecessore, egli si rifà ai gridi naturali dai

s Su» linagnIzté panni les hommes ecc. Pari. 1.

Ibidem.

quali si formerebbe il linguaggio umano. Non so proprio inche modo sarebbe potuto succedere, e mi chiedo come l'a-cume di un Rousseau abbia per un momento potuto am-mettere una tale origine.

Non ho sotto mano il breve saggio di Maupertuis'; ma,se posso fidarmi del compendio di uno studioso* che haavuto, tra gli altri, il non trascurabile merito della fedeltàe dell'esattezza, nemmeno lui ha ben distinto l'origine dellinguaggio da questi versi animali, e imbocca così la stessastrada dei precedenti.

E, finalmente, Diodoro e Vitruvio", che per giunta cre-dono nell'origine umana del linguaggio più per fede cheper deduzione, son quelli che hanno screditato la tesi nelmodo più clamoroso, lasciando che gli uomini prima vagas-sero per millenni fra i boschi a mo' di fiere ululanti e poisi inventassero il linguaggio, Dio sa per quali vie e a qualescopo.

E, dunque, poiché la maggior parte dei sostenitori del-l'origine umana del linguaggio combatte da una posizionetanto vacillante e da altri, Sillimilch per esempio, tanto abuon diritto osteggiata, l'Accademia ha inteso mettere unavolta per tutte fuori discussione un problema fino a oggiancora irrisolto e sul quale già in passato alcuni suoi mem-bri, ormai scomparsi', ebbero a dividersi.

Dal momento, poi, che questo grosso tema apre tanteprospettive in campi quali la psicologia e l'ordinamento na-turale del genere umano, la filosofia del linguaggio e tuttele conoscenze col linguaggio acquisibili, chi non vorrebbecimentarvisi?

Inoltre, essendo gli uomini le sole creature parlanti a noinote — proprio per la parola differenziandosi, anzi, da tut-ti gli altri animali — quale avvio più sicuro, per questa in-dagine, degli esperimenti relativi alla differenza fra l'uomoe le bestie? Sull'origine del linguaggio, Condillac e Rous-

%limi/eh, Dimostrazione della divinità, Appendice 3 ecc., p. 110.

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Saggio sull'origine del linguaggio

seau non potevano non sbagliare, proprio perché su taledifferenza entrambi — in modo tanto notorio e discordan-te — avevano sbagliato: il primo* trattando le bestie dauomini, il secondo** gli uomini da bestie. A me tocca,quindi, rifarmi da lontano.

Che l'uomo, quanto a forza e sicurezza di istinti, sia digran lunga inferiore agli animali; che, anzi, non possegga affat-to quelle che noi, riferendoci a tante specie animali, chiamia-mo attitudini e istinti tecnici innati è un fatto assodato. Macome finora gli studiosi, e di recente ancora un rigorosopensatore tedesco***, per Io più hanno fallito nell'intentodi spiegare tali istinti tecnici, così nemmeno si è potuta farluce sulla vera causa della loro assenza dalla natura umana.A me pare che sia stato trascurato un punto di vista essen-ziale, muovendo dal quale sono possibili, se non interpreta-zioni esaurienti, almeno alcune osservazioni sulla naturadegli animali che, come spero di fare in altra sede valgonoa illuminare molto la psicologia umana. Questo punto di i ,vista è la sfera degli animali'.

Ogni animale ha il suo ambiente al quale è destinato findalla nascita, nel quale subito entra, resta tutta la vita emuore. E però singolare il fatto che quanto più fini sono isensi degli animali, forti e sicuri i loro istinti, prodigiosa laloro opera, tanto più limitato è il loro ambiente, tanto piùspecifica la loro produzione. Ho voluto controllare questorapporto, e trovo ovunque mirabilmente rispettata unaproporzione inversa fra quello che è la minima estensioneloro assegnata per spostarsi, vivere, nutrirsi, conservarsi,accoppiarsi, allevar prole, associarsi, e quelli che sono iloro istinti e le loro tecniche. Nella sua arnia l'ape costrui-sce con una sapienza che Egeria non riuscì a comunicare al

Traité sta les animaux.

"* Sta l'origine de l'inégalité ecc.

"' Reimarus, Sugli istinti tecnici degli animali. Vedi alcune considerazionin proposito nelle Lettere concernenti la letteratura più recente ecc.”.

Primo capitolo

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suo Numa; tuttavia, al di là delle celle e dell'occupazioneche in queste le è assegnata, essa non è poi nulla. Il ragnotesse con la maestria di Minerva, ma tutta la sua arte siesaurisce nell'angusto spazio della tela: questo è il suo uni-verso. Tanto portentoso l'insetto, altrettanto ristretto ilcampo della sua attività.

E viceversa: quanto più differenziati sono funzioni e com-piti degli animali, quanto più la loro attenzione si disperde Iravari oggetti, quanto più instabile è il loro comportamento, in-somma: quanto più grande e articolata è la loro sfera, tantopiù vediamo scomporsi e affievolirsi la loro capacità sensoria-le. Non posso, in questa sede prefiggermi di suffragarecon esempi la grande relazione che corre attraverso la cate-na degli esseri viventi": lascio ad altri la prova o la riman-do a una prossima occasione e concludo:

- Secondo le leggi della probabilità e dell'analogia", tutti gliistinti e le attitudini tecniche si possono spiegare con le forzedi rappresentazione degli animali, senza per questo doverammettere quelle cieche determinazioni che lo stesso Rei-marus ancora ammette e che, invece, guastano ogni filoso-fia. Quale forza di penetrazione non avranno certi sensiestremamente affinati se si concentrano in un ambito ri-stretto, sullo stesso obiettivo, senza nozione alcuna di tut-to il resto del mondo- che cosa non realizzeranno certe for-ze di rappresentazione, una volta circoscritte in un ambitoridotto e dotate di una analoga capacità sensoriale; e, final-mente, da quei sensi e da quelle rappresentazioni tese ver-so un unico obiettivo, che altro può scaturire se non l'istin-to? Con essi si spiegano dunque la sensibilità organica, leattitudini e gli istinti degli animali a seconda della specie edella classe.

Posso quindi ammettere il principio: la sensibilità organi-ca, le attitudini e gli istinti tecnici degli animali aumentano diforza e di intensità in ragione inversa alla estensione e alla dif-ferenziazione del loro raggio d'azione. Ora invece:— l'uomo non ha una sfera così uniforme e angusta dove lo

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Saggio ndronmee del linguaggio Pnmo capitolo

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attenda un solo lavoro: un mondo intero di occupazioni edi finalità lo circonda.

I suoi sensi e la sua conformazione organica non sono ap-puntati su un solo obiettivo: egli ha sensi adatti a tutto equindi, come è ovvio, sensi più deboli e torpidi per il sin-golo particolare.

Le sue energie psichiche spaziano per l'universo, le sue rap-presentazioni non seguono un indirizzo univoco e quindiegli non possiede né istinti tecnici né maestria pratica e, cosache qui più ci interessa, nemmeno un linguaggio animale.

Ma allora, a parte le summenzionate manifestazioni so-nore della macchina senziente, ciò che per alcune specienoi chiamiamo linguaggio animale che altro è se non il risul-tato delle osservazioni che fin qui ho elencato? Un oscurosegnale di intesa fra individui della stessa specie animale sulloro compito nell'ambito della loro attività.

E perciò, col restringersi della loro sfera, scema neglianimali l'esigenza di un linguaggio. Quanto più precisisono i loro sensi, quanto più le loro rappresentazioni si in-dirizzano su un obiettivo unico, quanto più imperiosi i loroistinti, tanto più concisa è l'intesa dei loro eventuali segna-li acustici, mimici ed espressivi. Meccanismo vivente, istin-to egemone è quello che in tal caso parla e percepisce. Habisogno di parlare ben poco per essere perdepito.

Gli animali della sfera più angusta, quindi, sono addirit-ara privi di udito. Rispetto al loro mondo essi sono solo:atto, odorato o vista: del tutto uniforme l'aspetto, la tecolenza, l'attività; essi hanno dunque un linguaggio essenzia-e o addirittura non ne hanno.

Ma con l'ampliarsi dell'ambiente degli animali, col dif fe-.enziarsi dei loro sensi... insomma: a che pro ripetere? Con"uomo la scena cambia radicalmente. A che vale per la suaifera d'azione, sia pure al più modesto livello, lo scilingua-;nolo animale più articolato e più sciolto? A che vale per iiuoi volubili appetiti, per la sua attenzione distratta, per imoi sensi più svogliati l'astrusa loquela degli animali tutti?

Per lui non è né ricca né chiara; è inadeguata e alla realtàoggettiva e ai suoi organi: insomma assolutamente non è ilsuo linguaggio. Infatti, se non vogliamo giocare con le pa-role, che significa linguaggio specifico di una creatura senon quello adatto alla sua sfera di bisogni e di occupazioni,all'organizzazione dei suoi sensi, all'indirizzo delle sue rap-presentazioni e all'intensità dei suoi impulsi? E quale lin-guaggio animale è tale, per l'uomo?

Ma la questione stessa è oziosa: all'infuori di quello mec-canico summenzionato, l'uomo quale linguaggio possiedeistintivamente, così come ogni specie animale, all'interno e inconformità della propria specie, possiede il proprio? La rispostaè netta: nessuno. E proprio questa netta risposta è decisiva.

Per ogni animale, come si è visto, il linguaggio è l'estrin-secazione di rappresentazioni sensoriali così intense da tra-

• dursi in istinti, vale a dire: il linguaggio — come i sensi, lerappresentazioni, gli istinti — nell'animale è innato e a luiimmediatamente connaturale. L'ape ronza come sugge, l'uc-cello canta come nidifica, ma come parla l'uomo per natu-ra? Non parla affatto, come — del resto — poco o nulla facon l'istinto assoluto, come semplice bruto. A parte i grididel suo meccanismo sensitivo, il neonato è muto. Nonesterna per mezzo di suoni, né rappresentazioni né impul-si: come invece, a modo suo, fa ogni animale. Esposto allebestie feroci esso è dunque, fra tutti i cuccioli della natu-ra, proprio il più derelitto. Spoglio e indifeso, debole e bi-sognoso, timido e inerme e, per colmo di sventura, defrau-dato di tutte le guide dell'esistenza. Nato con una capacitàsensoriale così disorientata e fiacca, attitudini così generi-che e sonnolente, impulsi così discordi e stremati visibil-mente esposto a mille bisogni, destinato a un vasto spazio,eppure abbandonato a tal punto da non disporre nemmenodi un linguaggio per denunciare le sue carenze... No, unatale incongruenza non è nell'economia della natura. Invecedegli istinti, devono celarsi in lui altre forze in letargo.Nato muto, ma...

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Secondo capitolo

Ma non voglio far salti'. Non attribuisco di punto inbianco all'uomo nuove energie né, come un'arbitraria qua-litas occulta, la capacità di creare un linguaggio. Continuosolo a frugare nelle lacune e nelle carenze notate in prece-denza.

Eppure, lacune e carenze non possono di certo essere il ca-rattere della sua specie, altrimenti la natura sarebbe statanei suoi confronti la più spietata delle matrigne mentre,con ogni insetto, è stata la più premurosa delle madri. Aogni insetto essa ha elargito tutto ciò che gli occorre: sensicapaci di rappresentazioni e rappresentazioni che si sonointensificate fino a diventare istinti', organi necessari peril linguaggio e organi atti a comprenderlo. Nell'uomo, in-vece, fra sensi e necessità, energie e raggio d'azione a luidestinato, organi e linguaggio, regna la massima spropor-zione. Deve, dunque, mancarci un qualche termine medioper calcolare questi termini del rapporto così distanti fraloro.

Se mai lo trovassimo, allora, secondo le leggi dell'analo-gia della natura, questo elemento compensatore sarebbe lasua peculiarità, il carattere del genere umano, mentre ragioneed equità esigerebbero di valutare tale reperto per quel cheè: una dote naturale, essenziale per l'uomo come l'istintoper gli animali.

Se poi trovassimo proprio in questo carattere la ragione diquelle carenze e proprio nel cuore di esse, nel grande vuotolasciato dalla privazione di istinti tecnici, il germe per surro-garli, allora questa coincidenza sarebbe la prova genetica

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Saggio io origine del linguaggio Secondo capitolo

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che qui è riposto l'autentico orientamento dell'umanità eche la superiorità dell'uomo sugli animali non si fonda su dif-ferenze di grado bensì di genere.

E se in questa caratteristica umana appena scoperta tro-vassimo addirittura il fondamento genetico giustificante lanascita di un linguaggio per questo nuovo genere di creature,come negli istinti degli animali avevamo trovato il fonda-mento immediato del linguaggio di ogni singola specie, al-lora saremmo davvero alla meta. In tal caso il linguaggio di-venterebbe essenziale all'uomo quanto il suo essere uomo.Come si può notare, nel procedimento mi avvalgo di forzeassunte non arbitrariamente o per convenzione, bensì dallagenerale economia animale.

E, quindi, se l'uomo ha sensi che, applicati a un lembodi terra, al lavoro e al godimento di una spanna del suoloterrestre, non possono competere in precisione con i sensidell'animale che in quello spazio vive, proprio per ciò essiguadagnano la prerogativa della libertà. Proprio perché nondestinati a un solo obiettivo, essi sono i sensi più incondi-zionati dell'universo.

Se l'uomo ha forze di rappresentazione non circoscrittealla costruzione di una celletta di miele o di una ragnatelae che risultano, quindi senz'altro inferiori alle attitudinitecniche degli animali di quell'ambiente, è proprio in gra-zia di ciò che esse acquistano un più ampio orizzonte. L'uo-mo non ha un lavoro unico eseguibile, dunque, in manieraperfetta; in compenso ha spazio a volontà per attendere amolte cose e così continuare a perfezionarsi. Ogni suo pen-siero non è opera immediata della natura: appunto per que-sto può diventare opera sua personale.

Se ciò comporta il venir meno di quell'istinto scaturitodalla sola organizzazione dei sensi e dalla cerchia delle rap-presentazioni, pur non essendo cieca determinazione, pro-prio per questo l'uomo acquista una maggiore chiarezza.Giacché non cade in nessun punto a sua insaputa, né a suainsaputa vi rimane, egli diventa indipendente, può cercarsi

una sfera di rispecchiamento, può rispecchiarsi in sé. Nonpiù macchina infallibile in mano alla natura, diventa eglistesso scopo finale del proprio travaglio.

Comunque si voglia chiamare questa disposizione com-plessiva delle sue forze: intelletto, ragione, coscienza, se conqueste denominazioni non si intendono energie isolate omeri potenziamenti graduali delle forze animali, per me vabene'. È la complessiva disposizione di tutte le energie del-l'uomo: l'intera gestione della sua natura sensitiva e cognitiva,cognitiva e volitiva, o meglio: è la sola forza positiva del pen-siero che, associata a mia determinata organizzazione fisica,

lknell'uomo si chiamerà ragione)mentre neg ' animali diven-tai attitudine tecnica; in lui si chiama libertà) in essi si falisiinioThlon si tratta di forze supplementari o di diverso gra-Nekr-bensì di forze che si sviluppano con un orientamentocompletamente diverso. Si sia seguaci di Leibniz o di Locke,si sia dei Search o dei Knowall*, si sia idealisti o materiali-sti, una volta d'accordo sui termini, e in conseguenza diquanto si è detto in precedenza, si deve ammettere un ca-rattere specifico dell'umanità consistente in questo e in nien-t'altro.

Tutti coloro che hanno sollevato obiezioni in propositosono stati ingannati da false idee e da concetti confusi. Siè immaginato che la ragione fosse calata nell'anima dell'uo-mo come una forza aggiuntiva, del tutto a sé stante. Essagli apparterrebbe come un supplemento rispetto agli altrianimali, e dovrebbe, dunque, esser considerata separata-mente, come il quarto gradino di una scala dopo i tre sot-tostanti. Ora, questo è senz'altro un assurdo filosofico, pergrandi che siano i filosofi che lo sostengono. Tutte le forzedell'anima umana e animale non sono che astrazioni meta-fisiche, operazioni. E opportuno scomporle perché la no-stra debole mente non potrebbe considerarle simultanea-

* Binomio adottato inuna recente opera metafisica di Search, Light o/Nature pursucd, Lond. 684.

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Saggio starci:gole del impaggzo

Secondo capitolo

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mente; sono distinte in capitoli, certo non già perché innatura esse operino in tal guisa, ma perché è probabile checosì un principiante ne segua meglio Io sviluppo. Che poi sisiano ricondotte alcune loro funzioni sotto certe designa-zioni generiche come ingegno, perspicacia, fantasia, razio-cinio, ciò non significa che possa darsi anche una minimaazione dello spirito nella quale l'ingegno o il raziocinio agi-scano da soli, ma soltanto che in quella azione, per esem-pio un raffronto o una precisazione di idee si scorge unapreponderanza dell'astrazione detta ingegno o raziocinio.Dappertutto, invece, opera tutta l'anima indivisa. Semmaiun uomo potesse compiere una singola azione pensando intutto e per tutto come un bruto, egli cesserebbe di essereun uomo, né sarebbe più capace di azione umana. Rimastoanche per un solo attimo privo di intendimento, non socome potrebbe mai più pensare secondo ragione, o se nonera piuttosto cambiata l'intera sua anima, l'intera econo-mia della sua natura.

5, , Secondo concetti più rigorosi, la razionalità dell'uomo,suo carattere specifico, è altra cosa, vale a dire: la desti-nazione complessiva della Tona del suo pensiero in rappor-to ai suoi sensi e impulsi. Avvalendoci di tutte le prece-denti analogie, sarà allora necessario concludere comesegue:— se l'uomo avesse avuto gli istinti degli animali, nonavrebbe potuto avere quel che in lui adesso si chiama ra-gione. Infatti, proprio quegli istinti avrebbero così oscura-mente trascinato le sue energie verso un solo punto che alui non sarebbe più rimasta una libera sfera di coscienza.Necessariamente:— se l'uomo avesse avuto i sensi degli animali, non avreb-be avuto la ragione. Infatti, proprio la forte eccitabilità deisuoi sensi, proprio le rappresentazioni incalzanti con pre-potenza attraverso di essi, avrebbero dovuto soffocare ognifredda sensatezza. Viceversa, in virtù di queste stesse leggidi interrelazione della provvida natura:

— venuti a mancare i sensi animali con la loro concentra-zione su un punto solo, era indispensabile la comparsa diun nuovo essere la cui forza positiva si dispiegasse più niti-damente in uno spazio più vasto, secondo un'organizzazio-ne più elaborata. Un essere indipendente e libero, il qualenon solo conosce, vuole e opera, ma sa pure di conoscere,volere e operare. Questa creatura è l'uomo; e tutta questadisposizione della sua indole, onde evitare confusioni conle sue facoltà intellettive, la chiameremo sensatezza. Giac-ché i termini senso, istinto, fantasia, ragione altro nonsono che definizioni di una forza unica nella quale le con-traddizioni reciprocamente si elidono, proprio da questeregole di interrelazione consegue che:— se l'uomo doveva essere un animale non istintivo, egli —in virtù della forza positiva del suo animo liberamente ope-rante — doveva essere necessariamente una creatura sen-sata.

Basterà che io aggiunga alcuni anelli alla catena di que-ste deduzioni per trovarmi in notevole vantaggio rispetto asuccessive obiezioni.

Se, infatti, la ragione non è un'energia a sé stante cheopera per conto proprio, ma è invece un indirizzo di tuttele energie peculiare al genere umano, allora essa spetta al-l'uomo fin dallo stadio iniziale del suo essere uomo. Nel pri-mo pensiero del bambino già deve manifestarsi una talesensatezza, come nell'insetto il fatto di essere insetto. Piùdi uno studioso non è riuscito ad afferrare tale concetto,tanto che la materia in questione è infarcita delle più gros-solane e stucchevoli obiezioni, incapacità che però dipendeda un malinteso. Pensare razionalmente vuol forse direpensare con il perfetto uso di ragione? Affermare che il lat-tante pensa sensatamente vuol forse dire che disquisiscecome un sofista in cattedra o come uno statista nel suo stu-dio? Tre volte fortunato, lui che ancora nulla sa di questaestenuante farragine di sottigliezze! Non ci si avvede, allo-ra, che l'obiezione nega soltanto un simile uso, un uso più

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Saggio sull ungine io,/ linguaggio Secondo capitolo

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o meno sapiente delle energie dell'anima, e per nulla affat-to la positività di un'energia psichica in sé e per sé? E chisarà tanto stolto da sostenere che l'uomo, fin dal primo at-timo di vita, ragioni come dopo un esercizio pluriennale?A meno che non si voglia anche negare la crescita di tuttele forze psichiche, con ciò stesso ammettendo di essere an-cora un bambino. Poiché, invece, sulla terra questa crescitanon può significare altro che un uso più agile, più sicuro,più articolato, non deve già sussistere ciò che sarà poi usa-to? Ciò che è destinato a crescere non deve già esistere ingerme? Nel seme non è forse contenuto l'intero albero'?Se il bambino non ha né gli artigli dell'avvoltoio né la cri-niera del leone, tantomeno penserà come l'avvoltoio o illeone. Se pensa umanamente, allora la sensatezza, vale adire la misura di tutte le energie in vista di questo orienta-mento primario, è il suo destino fin dal primo momento elo sarà fino all'ultimo. Al di sotto dei sensi, la ragione simanifesta in forma già tanto efficace che l'Onnisciente,creando quest'anima, intravide fin dallo stadio iniziale l'in-tero tessuto di azioni della sua esistenza, come un matema-tico, data la classe, da un solo termine della progressionericostruisce tutto il rapporto.

L'eccezione sollevata, che a quello stadio la ragione fos-se da considerarsi piuttosto una facoltà razionale (réf lexionen puissance)` che una forza in atto, non ha alcun senso.Una facoltà pura e semplice che, anche quando non le sifrappongano ostacoli, non sia una forza ma resti una facol-tà è un suono vuoto come forme plastiche' che diano for-ma senza essere esse stesse forme. Quando assieme alla fa-coltà non si dia il minimo indizio positivo per una tenden-za, allora non esiste nulla, allora il termine è pura astrazio-ne scolastica. Il filosofo francese contemporaneo" che tan-to ha gonfiato questo pseudoconcetto di ré/lexion en puis-sance, altro non ha fatto, come vedremo, che gonfiare una

* Rousseau, Sull'ineguaglianza ecc.

bolla di sapone e spingerla davanti a sé finché, cammin fa-cendo, non gli è scoppiata inopinatamente in mano. Se lafacoltà non contiene già qualcosa, da dove questo qualcosapotrà mai introdursi nell'anima? Se nell'anima fin dallostadio iniziale non esiste alcun barlume di ragione, comepotrebbe questa tradursi in atto, negli innumerevoli stadisuccessivi> È un cavillo affermare che l'uso potrebbe tra-sformare una facoltà in forza, rendere attuale qualcosa cheè solo possibile: se una forza non c'è, non può certo esserené usata né applicata. Aggiungiamo pure che una facoltà euna forza razionale ben distinte nell'anima sono dueespressioni del pari incomprensibili. Situate l'essere umanocosì com'è, proprio con quel grado di sensibilità e di orga-nizzazione, nell'universo: da ogni parte e attraverso tutti isensi questo si riverserà su di lui sotto forma di sensazioni,ma pur sempre attraverso sensi umani e a misura d'uomo;dunque, questo essere pensante non ne sarà totalmentesommerso come gli animali bruti, ma avrà spazio per di-spiegare con maggior libertà la sua energia, condizionequesta che definiamo razionalità. Come si può, allora, par-lare di una facoltà pura e semplice, di una forza razionalea sé stante? In questa disposizione razionale opera l'unicaforza positiva dell'anima: quanto più essa resta sul pianosensitivo tanto meno è razionale; quanto più si fa raziona-le, tanto meno sarà vitale; quanto più è perspicua, tantomeno è oscura. Tutto risulta così evidente! Ma mentre nel-l'uomo anche lo stadio più sensuoso era pur sempre uma-no, e dunque in lui continuava ad agire la sensatezza ben-ché in misura meno rilevante, negli animali lo stadio menosensuoso era pur sempre animale e dunque, per chiari chefossere i loro pensieri, mai vi operava la sensatezza di unconcetto umano. Ma non continuiamo a trastullarci con leparole.

Rimpiango di aver perso tanto tempo solo per definire eclassificare semplici concetti: perdita del resto necessaria,giacché tutto questo campo della psicologia negli ultimi

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58 Saggio xull ongme del linguaggio Secondo capitolo

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tempi versa in un deplorevole stato di abbandono. Infatti ifilosofi francesi, per via di alcune apparenti anomalie dellanatura umana e animale, lo hanno sconvolto totalmente,mentre quelli tedeschi classificano la maggior parte di taliconcetti piuttosto in funzione del loro sistema e secondo illoro angolo visuale, che allo scopo di evitare disorienta.menti nelle vedute della mentalità comune. Nel mettereordine fra tali concetti, poi, non ho nemmeno allungato lastrada: anzi, eccoci ormai alla meta. Vale a dire che:

posto nello stato di sensatezza che gli è proprio, e tale sen-satezza (riflessione) per la prima volta operando liberamente,l'uomo inventò il linguaggio'. Infatti, che cos'è la riflessio-ne e che cos'è il linguaggio?

Questa sensatezza è un carattere peculiare dell'uomo, es-senziale al suo genere: altrettanto lo sono il linguaggio el'invenzione personale del linguaggio.

Inventare il linguaggio è dunque, per lui, un fatto naturalequanto l'essere uomo. Sviluppiamo pure entrambi i concet-ti: riflessione e linguaggio.

L'uomo dimostra riflessione quando la forza della suaanima opera con tale libertà che, nella piena di sensazioniche lo stordisce investendo tutti i sensi, è in grado di isola-re — se così si può dire — un'onda unica, fermarla, rivol-gere su di essa l'attenzione, nella consapevolezza di farlo.Egli dimostra riflessione quando, dall'intero flusso oniricodi immagini che sfiorano fuggevolmente i suoi sensi, saraccogliersi in un attimo di veglia, indugiare deliberata-mente su una sola immagine, considerarla con pacata luci-dità, isolando per sé quei contrassegni che rendono incon-fondibile l'oggetto. Egli, dunque, dimostra riflessionequando non solamente è in grado di conoscere' pronta-mente e con chiarezza le proprietà tutte, ma anche di rico-noscere dentro di sé una o più di esse come proprietà diffe-renzianti. Il primo atto di questo riconoscimento* produce

Uno dei più bei trattati per mettere in luce la natura dell'appercezio-

un concetto chiaro: è il primo giudizio dell'anima.Come si è dato il processo di riconoscimento? Mediante

un contrassegno che l'uomo ha dovuto isolare e che comecontrassegno della coscienza si è impresso distintamente inlui. Suvvia, acclamiamolo con un ebínica! Questo primocontrassegno della coscienza è parola dell'anima. Con esso illinguaggio umano è inventato!

Lasciate che davanti agli occhi dell'uomo passi l'immagi-ne di un'agnella": nessun altro animale reagirà come lui.Né il lupo, che la fiuta famelico, né l'insaziabile leone; en-trambi all'olfatto già ne pregustano il sapore: i sensi li do-minano, l'istinto li spinge ad avventarsi su di essa. Nécome l'uomo reagisce il montone smanioso, che sente l'a-gnella soltanto come oggetto della sua bramosia e anch'es-so, dunque, è sopraffatto dai sensi e spinto dall'istinto. Enemmeno come qualunque altro animale al quale essa siaindifferente e che la lascia passare inosservata perché il suoistinto segue altri richiami. Non così reagisce l'uomo. Mos-so dal bisogno di conoscerla, non c'è impulso che lo intralciné senso alcuno che lo trascini troppo vicino o lo allontani.Eccola, proprio tal quale si manifesta ai suoi sensi: bianca,morbida, lanosa. L'anima dell'uomo, che si esercita a di-ventare sensata, cerca un contrassegno. L'agnella bela: e ilcontrassegno è trovato. Ora entra in azione il senso inter-no. Proprio il belato, che sull'anima produce l'impressionepiù forte e che, svincolatosi da tutte le altre proprietà visi-ve e tattili, balza fuori e penetra più nel profondo, è quelloche in essa permane. L'agnella ricompare: bianca, morbida,lanosa. L'anima osserva, tasta, prende coscienza, cerca uncontrassegno. Al belato la riconosce: «Ecco — sente inte-riormente — tu sei la creatura che bela». È un conoscereumano, perché l'anima conosce e nomina l'oggetto in ma-

ne (Appenecion) partendo da esperimemi fisici — che ben di rado spieganola metafisica dell'anima — si trova negli scritti della Accademia berlinesedel 1764'°.

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60 Saggio tull cingine del linguaggio t Secondo capitolo

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niera distinta, vale a dire con un contrassegno. Se fossestato più indistinto, nemmeno sarebbe stato percepito dal-l'anima, che non ha né sensi né impulsi verso l'agnella attia surrogare il difetto di chiarezza con una più viva niti-dezza. E se fosse stato immediatamente distinto, ma sen-za alcun contrassegno? Nessuna creatura sensitiva puòpercepire così al di fuori di sé, giacché deve comprimere,annullare oserei dire, sensazioni sempre diverse e ricono-scere la differenza fra due elementi solo mediante un ter-zo. Con un contrassegno, allora, e quale altro poteva esse-re se non un vocabolo caratteristico interiore? Il verso delbelato, percepito dall'anima umana come segno di ricono-scimento dell'agnella, in forza di tale consapevolezza di-venta nomi' dell'agnella stessa, anche se la lingua nem-meno avesse provato a balbettarlo. L'uomo ha riconosciu-to l'agnella dal belato; si tratta di aver carpito un segno,in presenza del quale l'anima richiama alla mente un'ideadistinta: non è forse questa la parola? E il linguaggio uma-no che altro è se non una collezione di tali parole? Quan-d'anche mai gli avvenisse di partecipare quest'idea ad al-tre creature e, quindi, di volere e potere ripetere a qualcu-no con le labbra quel belato, quel contrassegno della co-scienza, la sua anima ha, per così dire, intimamente bela-to: una prima volta scegliendo il verso come segno memo-rativo, una seconda volta riconoscendo, a quel segno, l'a-nimale. Ecco inventato il linguaggio, e inventato in una ma-niera altrettanto naturale e necessaria all'uomo quanto il suoessere uomo.

La maggior parte di coloro che hanno scritto sull'originedel linguaggio non l'ha cercata proprio nell'unico punto incui la si poteva trovare: è per questo che nella mente dimolti si è affacciato il sospetto che fosse possibile rintrac.ciarla in questa o quella sede dell'anima umana. La si è cer-cata nella più perfetta articolazione degli organi vocali,come se l'orango, munito dei medesimi organi avesse maiinventato un linguaggio; negli accenti passionali, quasi non

fossero comuni a tutti gli animali, e qualcuno di loro neavesse mai tratto il linguaggio; c'è anche chi ha sostenutoun principio di imitazione della natura, quindi anche dellesue voci, come se con una simile cieca imitazione si arri-vasse a pensare qualcosa e come se la scimmia, con la stes-sa propensione, o il merlo, che sa contraffare così bene isuoni, avessero mai inventato il linguaggio. I più, infine,hanno ammesso una pura convenzione, un accordo, e con-tro questi più veemente si leva la voce di Rousseau. Unaconvenzione naturale del linguaggio è, infatti, un'espres-sione quant'altre mai oscura e involuta. Proprio le molte-plici, insostenibili asserzioni errate sull'origine del linguag-gio hanno finito per rendere pressoché imperante l'opinio-ne opposta, ma voglio augurarmi che non continui così. Afare il linguaggio non è certo l'organizzazione vocale, per-chécne anche nell'anima di chi restasse muto per sempre,purché sia stato uomo e abbia acquistato coscienza, hacertamente trovato posto il linguaggio. Qui non si trattadi gridi della sensazione, perché il linguaggio non è statoinventato da un automa che respira, bensì da una creaturacosciente. Nemmeno è il principio mimetico insito nell'a-nima, l'eventuale imitazione della natura altro non essen-do che uno strumento per quel solo e unico scopo che quisi intende illustrare. Men che mai si tratta, poi, di un'in-tesa, un'arbitraria convenzione sociale: anche un primiti-vo, un individuo solo e inselvatichito avrebbe dovuto in-ventarlo per sé, pur senza mai parlarlo, il linguaggio es-sendo un'intesa dell'anima con se stessa, un'intesa neces-saria all'uomo quanto il suo essere uomo. Se per altri è in-comprensibile come l'anima umana abbia potuto inventareil linguaggio, per me è incomprensibile come l'anima uma-na potrebbe essere qual è senza, appunto per ciò, doveviinventare il linguaggio, pur non avendo né bocca né inter-locutori.

Nulla potrà spiegare questa origine meglio delle obiezio-ni degli avversari. L'assertore più radicale e scrupoloso del-

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agivi& bulforigine del lingu n iggeu Secondo capitolo

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l'origine divina', proprio per essersi spinto oltre quella su-perficie appena sfiorata dagli altri, diventa quasi il paladi-no della vera origine: quella umana. Egli si è arrestato pro-prio alla soglia della dimostrazione; con un'esposizione ap-pena più corretta, il suo argomento principale si ritorcereb-be contro di lui assurgendo a prova dell'argomento contra-rio, vale a dire della possibilità per l'uomo di darsi un lin-guaggio. Egli ritiene di aver dimostrato che «l'uso della lin-gua è indispensabile all'uso della ragione». Se lo avesse fat-to, non so che cos'altro avrebbe con ciò dimostrato, se nonche, «essendo per l'uomo l'uso della ragione connaturale,altrettanto dovrebbe esserlo quello della lingua». Sfortuna-tamente, però, non ha dimostrato il suo assunto, ma si èsolo affannato a provare come operazioni tanto raffinate eintrecciate quali l'attenzione, la riflessione, l'astrazioneecc., non potrebbero adeguatamente compiersi senza queisegni sui quali l'anima si puntella. E tuttavia questo nonadeguatamente, difficilmente, improbabilmente non esauriscel'argomento. Così come noi, con le nostre scarse capacitàdi astrazione, possiamo pensare ben poco in astratto, senzacioè ricorrere a segni concreti, così altri esseri potrebberopensare molto di più facendo a meno di essi. Quantomeno, non se ne deve inferire che un'astrazione priva disegni sensibili sia di per se stessa impossibile. Ho dimostratocome l'uso della ragione sia non solo adeguato, ma come an-che il minimo uso della ragione, il più semplice e chiaroatto di riconoscimento, il più elementare giudizio dell'uma-na sensatezza siano impossibili senza un contrassegno. Ladifferenza fra due elementi si apprezza, infatti, solo attra-verso un terzo, e proprio questo terzo elemento, questocontrassegno, diventa perciò vocabolo caratteristico inte-riore; e dunque il linguaggio è la conseguenza del tutto na-turale del primo atto della ragione. Siilimilch t * pretende

op. cit, cap. 11.

"Ibidern, p. 49.

di dimostrare che le applicazioni superiori dell'intellettonon potrebbero darsi senza il linguaggio; e, a tal fine, citale parole di Wolff", che però si limita a parlare del casosolo come probabilità. In effetti, il caso in questione è deltutto irrilevante, dal momento che le applicazioni superioridel giudizio, quali si verificano nelle scienze speculative,non erano certo indispensabili per porre la pietra angolaredell'edificio linguaggio. Eppure, anche un assunto di cosìTacile dimostrazione, Samilch si accontenta di esporlo,laddove a me sembra di aver dimostrato che finanche laprima banalissima applicazione del giudizio senza linguag-gio non poteva darsi. Pure, quando egli conclude che nes-sun uomo ha potuto inventarsi il linguaggio perché già perinventarlo occorre la ragione, e di conseguenza il linguag-gio doveva esistere anteriormente alla ragione, io fermoquesta trottola in moto perpetuo, la esamino attentamenteed ecco che dice tutt'altro: ratio et oratio! Se all'uomo eraimpossibile l'uso della ragione senza il linguaggio, alloral'invenzione del linguaggio è stata per lui qualcosa di al-trettanto naturale, remoto, primordiale e caratteristicoquanto l'uso della ragione".

Ho definito la maniera di argomentare di SiiBmikh unatrottola in eterno movimento, infatti posso volgerla controdi lui come lui contro di me: il giocattolo continua a ruota-re senza posa. Senza linguaggio l'uomo non ha la ragione,senza ragione non ha il linguaggio. Senza linguaggio e sen-za ragione egli non può seguire l'insegnamento divino ep-però, senza questo, non ha né ragione né linguaggio: madove si va a parare? Come può l'uomo apprendere il lin-guaggio per mezzo dell'insegnamento divino se non ha laragione? E lui, senza il linguaggio, non ha nemmeno unbarlume di ragione. Deve, dunque, avere il linguaggio pri-ma di avere o di poter avere la ragione? O poter diventareragionevole senza fare il minimo uso proprio della ragione?Per capire la prima sillaba dell'insegnamento divino dove-va, ammette lo stesso StifSmilch, essere ormai uomo, vale a

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64 Sego >all'origine del linguaggio

dire: doveva già pensare in modo intelligibile. Ma fin dalprimo pensiero intelligibile nella sua anima esisteva il lin-guaggio, inventato dunque con i propri mezzi e non certomediante l'insegnamento divino.

So bene che cosa si intenda comunemente per insegna-mento divino: l'insegnamento linguistico dei genitori aipropri figli; ma rendiamoci conto che i genitori non inse-gnano mai 14 lingua ai bambini senza che questi stessi nonconcorrano a inventarla. Essi si limitano a far notare ai fi-gli le differenze fra le cose per mezzo di certi segni verbalie così facendo lungi dal sostituire in loro mediante il lin-guaggio l'uso della ragione, lo favoriscono e lo promuovo-no. Se poi si vogliono presumere per motivi diversi agevo-lazioni soprannaturali di tal fatta, ciò non riguarda il mioassunto. Comunque il linguaggio non è affatto un ritrovatodivino per gli uomini, mentre sono gli uomini che agendosempre con le proprie forze — quand'anche sotto una con-duzione superiore — hanno dovuto trovarsi il proprio lin-guaggio.

Per poter ricevere, sia pur dalla bocca di Dio, la primaparola come parola, cioè come segno caratteristico della ra-gione, occorreva la ragione; e l'uomo, per poter capire taleparola come parola, avrebbe dovuto applicare lo stesso in-tendimento necessario a concepirla di sana pianta. Tutte learmi del mio avversario si ritorcono, dunque, contro di lui:per apprendere il linguaggio divino bisognava che l'uomoavesse l'effettivo uso di ragione, uso che del resto possiedeanche il bambino alle prime armi, a meno di non fargli ri-petere le parole senza pensare, come un pappagallo. Mapoi, potrebbero gli uomini dirsi degni alunni di Dio se im-parassero così? E se da sempre avessero imparato senza ra-gionare, da dove mai proverrebbe il nostro linguaggio ra-zionale?

Oso pensare che, se fosse ancora in vita, il mio illustreavversario riconoscerebbe che la sua obiezione, precisataappena un po' meglio, potrebbe anche diventare la prova

Secondo capitolo

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più valida contro di lui e che egli stesso, dunque, nel suo li-bro ha inconsapevolmente apportato la documentazioneper essere confutato. Non si nasconderebbe dietro l'espres-sione «potenzianti razionale, che però ancora non è mini-mamente ragione», perché, comunque la si giri, non ne na-scono che contraddizioni. Una creatura ragionevole senzail minimo uso di ragione, o una creatura che usa la ragionesenza... il linguaggio. Una creatura irragionevole, alla qualel'insegnamento può conferire la ragione, o una creaturaistruibile, ma priva di ragione; un essere senza un barlumedi ragione e pur sempre un uomo; un essere che con le sueforze naturali non sa usare la ragione ma che, alla scuolasoprannaturale, ha appreso a farne un uso naturale; un lin-guaggio umano che umano non è affatto, vale a dire chenon è potuto nascere in virtù di forze umane, eppure uma-no a tal punto che nessuna delle forze intrinseche dell'uo-mo può estrinsecarsi senza di esso. Una cosa concreta,mancando la quale non era uomo, eppure una condizione,se era uomo pur senza possederla; qualcosa che, dunque,esisteva prima ancora di esistere, si doveva esternare primaancora di poterlo fare e via di questo passo. Tutte contrad-dizioni che diventano palesi se uomo, ragione e linguaggiosi prendono per ciò che effettivamente sono e si svela l'as-surdità del termine fittizio «facoltà» (facoltà umana, razio-nale, linguistica).

«Ma i ragazzi selvaggi vissuti tra gli orsi avevano forse illinguaggio? e non erano uomini?»*. Senza dubbio! Ma, inprimo luogo, erano uomini in una condizione contro natu-ra, uomini degenerati". Una pietra messa su una pianta lafarà crescere storta, nondimeno per sua natura è una pian-ta che tende verso l'alto. E questa sua spinta verticale nonsi è manifestata persino nel suo avvinghiarsi intorno allapietra? In secondo luogo, poi, la possibilità stessa di unatale degenerazione è una spia della natura umana. Proprio

* 88888114h, p. 48.

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66 Sudo coll'origine del linguaggio Secondo capiiolo

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per non avere gli istinti sfrenati dei bruti, proprio per esse-re versatile in tante cose ma maldestro in tutto; insomma,proprio per il fatto di essere umano, l'uomo può abbrutirsi.Avrebbe mai potuto imparare ad imitare il bramito e l'an-datura degli orsi, se non avesse avuto organi e membra ar-rendevoli? Un altro animale qualsiasi, una scimmia, un asi-no sarebbe arrivato a tanto? Non è stata allora la sua natu-ra umana a concorrere efficacemente a che egli potessesnaturarsi a tal punto? In terzo luogo, la sua natura rimase,nonostante tutto, umana; infatti è certo che il suo modo dibramire, brancolare, mangiare, fiutare non fu mai quello diun orso o sarebbe senz'altro rimasto per sempre un uomo-orso, goffo e balbettante, e dunque una creatura ibrida eimperfetta. Tanto poco, infatti, gli si alterarono pelle, vol-to, piedi e lingua, degenerando in fattezze orsine, altret-tanto poco, è fuor di dubbio, poté farlo la natura della suaanima. La sua ragione, pur sepolta sotto il peso dei sensi edegli istinti ferini, continuò a essere ragione umana, maiquegli istinti essendosi in tutto conformati a quelli degliorsi. E che sia stato proprio così lo dimostra, infine, lo svi-luppo dell'intero episodio: una volta abbattuti gli ostacoli,una volta rientrati tra i propri simili, questi uomini-orsi ap-presero a camminare eretti e a parlare con naturalezzamaggiore di quanto non avessero appreso l'andatura bran-colante e il bramito, sempre contro natura; azioni, queste,che avevano continuato a fare a mo' di orsi, mentre le pri-me, in breve tempo, impararono a farle da veri uomini. Equale dei loro precedenti compagni selvatici aveva saputoapprenderle assieme a loro? Il fatto che nessun orso ci fos-se riuscito, non avendo la complessione fisica e psichicaadatta, non significa forse che l'uomo-orso l'aveva invecemantenuta anche in quello stato di abbrutimento? Infatti,se gliel'avessero data solo l'ammaestramento e l'abitudine,perché non anche all'orso?

Che significa, infine, trasmettere la ragione e l'umanitàmediante l'insegnamento a qualcuno che già non le posseg-

ga? Si dovrebbe dunque presumere che a dare all'occhio lacapacità visiva, dopo averne rimosso la cataratta, sia statol'ago chirurgico. Quale conseguenza trarre, allora, dall'epi-sodio più innaturale della natura? Una volta ammesso chesi tratta di un caso innaturale, ebbene- esso conferma lanatura!

Tutta l'ipotesi di Rousseau sull'ineguaglianza fra gli uo-mini si fonda, notoriamente, su simili esempi di degenera-zione e i suoi dubbi a proposito del carattere umano dellinguaggio si riferiscono o a concezioni erronee sull'originedi esso o alla difficoltà summenzionata che per inventare illinguaggio occorresse già la ragione. Giustificati nel primocaso, nel secondo i dubbi sono risolti, e anzi risolvibili perbocca dello stesso Rousseau. La sua chimera è l'uomo dinatura: è questa la creatura degenerata che egli da un latoappaga con la facoltà razionale e, dall'altro, investe dellaperfettibilità, perfettibilità intesa addirittura come suaproprietà caratteristica, e di un livello così elevato che,grazie a essa, l'uomo potrebbe imparare da tutte le specieanimali. E che cosa mai Rousseau non elargisce all'uomo!Più di quanto questi non voglia o non gli occorra. Già ilprimo pensiero: «Ecco, la caratteristica delle bestie: il lupoulula, l'orso bramisce» (opportunamente studiato in mododa potersi collegare al successivo: «io non la possiedo») èvera e propria riflessione. Passiamo al terzo e al quarto:«Ebbene! Potrebbe adattarsi anche alla mia natura. Potreiimitarlo. Voglio imitarlo. Con questo mezzo la mia speciesi perfezionerà». Che serie di riflessioni davvero sottili econsequenziali, dal momento che la creatura capace di for-mulare per sé anche soltanto la prima doveva già avere illinguaggio dell'anima, già possedere quell'arte del pensieroche ha creato l'arte dell'eloquio. La scimmia scimmiottasempre, però non ha mai imitato, né mai si è detta sensata-mente: «Intendo imitare la tal cosa onde perfezionare lamia specie», perché, se mai lo avesse fatto, se mai si fosseappropriata di una sola imitazione perpetuandola nella sua

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specie con una scelta intenzionale; se le fosse avvenuto difare, sia pure un'unica volta, una sola riflessione simile, inquello stesso istante avrebbe cessato di essere una scimmia!Ad orna del suo aspetto scimmiesco e pur non emettendoalcun suono vocale, sarebbe stata un essere umano, capacedi linguaggio interiore, che prima o poi avrebbe dovutoforgiarsi il suo linguaggio esteriore. Quale orango, invece,pur avendo gli organi di fonazione dell'uomo, ha mai prof-ferito una sola parola umana?

E pur vero che in Europa esistono ancora fratelli dei ne-gri 1 ' che, a questo punto, dicono: «Eppure, forse se solointendesse parlare o si trovasse nella situazione..., oppurepotesse...». Potesse! Questo sarebbe davvero il colmo! Iprimi due «se», infatti, sono confutati a sufficienza dallastessa storia naturale; quanto alla possibilità, poi, non sonocerto gli organi, come s'è detto, a precluderla". Pur aven-do una testa in tutto eguale alla nostra, l'orango non hacerto mai parlato, né si può affermare che pappagalli estornelli, pur avendo appreso parecchi suoni dalla voce del-l'uomo, abbiano mai pensato una sola parola umana. Delresto, in questa sede non ci interessa affatto la riproduzio-ne -esterna dei suoni delle parole: stiamo discutendo dellagenesi intrinseca e necessaria di una parola, intesa come con-»assegno di una lucida coscienza, e quando mai è avvenutoche una specie animale l'abbia espressa in un qualsiasimodo? Questo filo del pensiero, questo discorso dell'animadovrebbe essere sempre distinguibile comunque esso siesprima e, tuttavia, chi mai l'ha fatto? La volpe ha agitomille volte come Esopo la fa agire, mai però con l'intendi-mento di Esopo. La prima volta che ne sarà capace, Mada-ma Volpe si inventerà il suo linguaggio e potrà favoleggiaredi Esopo, come Esopo adesso favoleggia di lei. Il cane haimparato ad afferrare molti vocaboli e molti ordini, nongià come parole, bensì come segni associati a certi gesti e acerte azioni. Se mai una volta intendesse anche una solaparola in senso umano non sarebbe più un servo, ma si

creerebbe lui stesso arte, governo e linguaggio. Si noticome, una volta fallito il punto esatto della genesi, il cam-po dell'errore si allarga a dismisura in un senso e nell'altro.Prima il linguaggio è tanto sovrumano che tocca a un dioinventarlo, poi tanto poco umano che qualunque bruto, sesolo se ne desse la briga, riuscirebbe nell'intento. L'obietti-vo della verità è un punto solo: da quella posizione possia-mo, però, guardare in tutte le direzioni. Perché mai nessu-na bestia può, nessun dio deve, mentre l'uomo in quantouomo può e deve inventarsi un linguaggio?

Non intendo occuparmi oltre di questa ipotesi dell'origi-ne divina del linguaggio dal punto di vista metafisico, lasua inconsistenza sul piano psicologico essendo già dimo-strata dal fatto che, per capire il linguaggio delle divinitàolimpiche, l'uomo dovrebbe già possedere la ragione e,quindi, già la parola. Ancor meno posso impegnarmi in unapur allettante disquisizione sui linguaggi animali, dal mo-mento che, come si è visto, tutti sono totalmente e incom-mensurabilmente lontani dal linguaggio umano. Ma è pro-prio a malincuore che qui rinuncio alle varie prospettiveche, da questo punto della genesi del linguaggio nell'animaumana, si aprirebbero sui vasti campi della logica, dell'e-stetica e della psicologia, toccando in special modo la que-stione: fin dove possa spingersi il pensiero senza, che cosasi debba pensare con il linguaggio; questione che poi, nelleapplicazioni, si estende a quasi tutte le scienze. Per il mo-mento basti considerare il linguaggio come il vero caratteredifferenziante la nostra specie dall'esterno, come la ragione loè dall'interno.

In più di una lingua, quindi, avviene che parola e ragio-ne, concetto e parola, linguaggio e causa abbiano un nomeunico e in questa sinonimia è racchiusa la loro origine ge-netica. Tra i popoli orientali è invalso l'uso di definire il ri-conoscimento di una cosa, darle un nome; e, infatti, in fon-do all'animo le due operazioni sono una sola. L'uomo èdetto l'animale parlante, e muti gli animali senza uso di ra-

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70 Saggio mia anon . del linguaggu,

gime. Questa espressione è di un'evidenza palpabile e ilgreco fiXoyos assomma in sé i due aspetti. Il linguaggio di-venta, dunque, un organo naturale dell'intelletto, un verosenso dell'anima umana, proprio come la capacità visivadell'anima sensitiva degli antichi si crea l'occhio, e l'istintodell'ape si costruisce la cella'.

Ottima cosa che questo nuovo senso che lo spirito si èfatto da sé sia, fin dall'origine, un altro strumento di co-municazione. Non si può pensare nemmeno il primo pen-siero umano, nemmeno comporre il primo giudizio consa-pevole senza dialogare o tentare di dialogare nel propriointimo. Il primo pensiero umano, dunque, per sua naturaprepara a poter dialogare con gli altri! Il primo contrasse-gno che io colgo è per me vocabolo caratteristico e per glialtri parola di comunicazione.

Sic verba, quìbus voces seususque notarentNominaque invenere.

Orazio'

Terzo capitolo

Si è stabilito quale sia il punto focale dove si accende,nell'anima dell'uomo, la scintilla divina di Prometeo: colprimo contrassegno nasce il linguaggio. Ma quali contrassegnidivennero per primi elementi della lingua?

1. Suoni

Il cieco di Cheselden" dimostra come sia lento lo svilup-po della vista, con quale difficoltà l'animo pervenga ai con-cetti di spazio, forma e colore; quanti tentativi si debbanofare, quale senso geometrico sia necessario acquisire peradoperare univocamente tali segni caratteristici: per il lin-guaggio non era dunque questo il senso più adatto. I feno-meni ottici, per di più, risultavano freddi e muti, mentre lesensazioni dei sensi più grossolani erano, a loro volta, indi-stinte e avviluppate tanto che fu del tutto conforme alla na-tura che l'orecchio diventasse il primo maestro di linguaggio.

Torniamo all'esempio dell'agnella. La sua immagine èsospesa davanti all'occhio con tutti gli altri oggetti, figure,colori, sullo sfondo di un grande scenario naturale: quantecose da distinguere e con quale sforzo! Tutti i contrassegnisono finemente intrecciati e accostati fra loro: tutti ancoramuti. Chi sa far parlare la forma, chi dar voce ai colori?

Philos 'causaci. - AbEdgment - anche in: Anatomy di Cliese/hen,Optik di Smith-Kasiner, nella Storia Naturale di Buffon, nell'Enciclopedia ein decine di piccoli lessici francesi sotto aveuglel

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Terzo capitolo 7372 Saggio sull'origine del linguaggio

L'uomo prende a tastare l'agnella: la sensazione tattile èpiù sicura e corposa, fin troppo densa e indifferenziata; chiè capace di dire ciò che sente col tatto? Ma, attenzione!L'agnella bela. Allora, dalla tela policroma sulla quale benpoco c'era da discernere si libera da solo un contrassegnoche penetra nell'anima in maniera profonda e inconfondi-bile. «Bene — dice, come quel cieco di Cheselden, l'ine-sperto esordiente — ora ti saprò riconoscere: tu beli!». Ela tortora tuba, il cane abbaia!

Sono tre parole perché egli ha provato a formulare treidee distinte, queste nella sua logica e quelle nel suo voca-bolario. La ragione e il linguaggio, di comune accordo,hanno osato un timido passo e la natura è venuta loro in-contro servendosi dell'udito. Essa non si è limitata a far ri-suonare il contrassegno all'esterno dell'anima, ma fin nelsuo intimo. Quel suono, colto a volo dall'anima, è diventa-to una parola sonante.

L'uomo è dunque un ascoltatore attento, un essere natural-mente fatto per il linguaggio che egli, si badi bene, anche sefosse cieco o muto, purché non privo di tatto e di udito,dovrebbe comunque inventare. Lasciatelo a suo bell'agiosu un'isola disabitata: la natura gli si rivelerà attraversol'udito. Gli sembrerà che migliaia di creature che non puòvedere conversino con lui e, quand'anche bocca e occhi glirestassero per sempre chiusi, la sua anima non resterebbedel tutto priva di linguaggio. Se dalle foglie dell'albero chestormisce cala frescura sul povero solitario; se il ruscelloche scorre mormorando culla il suo sonno e spirando so-praggiunge lo zefiro a fargli vento sul viso; se la pecorabela dandogli il latte; la sorgente gorgoglia offrendogli l'ac-qua; l'albero stormisce porgendogli i frutti, egli ha tuttol'interesse a voler conoscere queste benefiche creature, tut-ta l'urgenza di volerle nominare nella propria anima, pursenza avere né occhi né lingua. L'albero diventerà lo «stor-mente», lo zefiro lo «spirante», la sorgente la «gorgoglian-te»' Ecco pronto un lessico minimo che aspetta solo il

suggello degli organi vocali; ma quanto forzatamente scar-ne e singolari sarebbero le rappresentazioni che una creatu-ra così menomata accoppierebbe a quei suoni*!

E adesso, rendete all'uomo tutti i suoi sensi in modo cheegli veda e al tempo stesso tocchi e percepisca tutti gli es-seri che parlano al suo orecchio! Quale aula di idee e di lin-guaggio! Non fate calare dalle nuvole né Mercurio néApollo come divinità ex machina: tutta la polifonia della di-vina natura è maestra e musa! E la natura gli fa sfilare da-vanti tutte le creature: ciascuna porta il proprio nome sullalingua e si protesta vassalla e serva dinanzi a questo dio ve-lato eppur visibile. Ognuna gli consegna, come un tributo,il proprio appellativo perché lo registri nella mappa deisuoi domini, affinché a questo nome egli si rammenti dilei, e possa in seguito chiamarla e disporne. Ora io mi chie-do se mai questa verità: «Proprio l'intelletto, in virtù delquale l'uomo è signore della natura, fu padre di una linguaviva che egli ricavò per suo uso dal concento delle voci delcreato distillate in caratteri distintivi», mi chiedo se, nellostile orientale, potrebbe mai essere enunciata una similenuda verità in maniera più nobile e preziosa di questa: «EDio gli condusse gli animali per vedere come li avrebbechiamati: in qualunque modo l'uomo li avesse chiamatiquello doveva essere il loro nome»'. Dove mai, nel poeticostile orientale, si può trovare un enunciato più preciso:«l'uomo si è inventato da solo il linguaggio, facendo deisuoni della vivente natura i contrassegni del suo intellettosovrano»?

Ed è quanto voglio provare.Se il linguaggio fosse stato inventato da un angelo o da

uno spirito celeste, tutta la sua struttura non avebbe potu-to essere altro che il calco del modo di pensare di un tale

* Dicierot, in tutta la sua Lettera sur les sourds et muets accenna appena aquesto fondamentale argomento, soffermandosi invece esclusivamente sulleinversioni e cento altre minuzié,

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Saggio su/tenerne del ltnguagee

lene capitolo

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spirito. Da che cosa, infatti, si può riconoscere che un qua-dro è dipinto da un angelo, se non dal tocco angelico e so-prannaturale delle linee? E nel nostro linguaggio, dove maiaccade qualcosa del genere? La costruzione, il disegno epersino la prima pietra di questo edificio tradiscono unanatura umana.

In quale lingua i primi concetti sono quelli sublimi e spi-rituali? Quei concetti che, anche secondo la gerarchia dellanostra mente, dovrebbero occupare il primo posto — sog-getti, notiones communes, sementi della nostra conoscenza,punti attorno ai quali tutto ruota e ai quali tutto riconduce— questi punti vitali sono poi davvero gli elementi cardi-nali del linguaggio? Sarebbe naturale che i soggetti prece-dessero il predicato, i soggetti semplici quelli composti; na-turale che agente e causa efficiente precedessero chi subi-sce l'azione e ciò che è certo ed essenziale precedesse l'in-certo e accidentale. E che cos'altro non si potrebbe ancoraargomentare! Eppure, nelle nostre lingue primigenie si ve-rifica puntualmente il contrario. Vi si può scorgere unacreatura intenta all'ascolto, ma non certo un puro spirito.Infatti:ii verbi sonori sono le prime possenti unità'. I verbisonori? Le azioni ancor prima dell'agente? I predicatiquando ancora mancano i soggetti? Un genio celeste avreb-be forse da vergognarsene, non altrettanto l'individuoumano sensuoso, perché, come s'è visto, niente l'aveva piùprofondamente turbato di questi fatti sonori. Che cos'èdunque tutta l'architettura del linguaggio se non un modo •di evolversi del suo spirito, una storia delle sue scoperte? L'o- -rigine divina nulla spiega e a nulla conduce: essa, come adaltro proposito afferma Bacone, è una sacra vestale votataagli dei ma sterile, devota ma del tutto inutile'.

Il primo lessico fu, dunque, messo insieme con i suoni ditutto l'universo. Da ogni essere dotato di voce risuonava ilproprio nome: l'anima umana vi impresse la propria effi-gie, li pensò come contrassegni. E quali altri, se non questisuoni interiettivi, potevano essere i primi? Ecco perché le

lingue orientali, per esempio, abbondano di verbi come ra-dici elementari del lessico. Il pensiero applicato all'oggettoancora oscillava fra agente e azione; il suono doveva desi-gnare la cosa, così come la cosa dava il suono; fu dai verbi,dunque, che derivarono i nomi e non viceversa. Il bambinonon chiama la pecora in quanto pecora, ma in quanto è unacreatura che bela, e così fa del suo verso un verbo. Nel gra-duale evolversi della facoltà sensoriale umana il fatto di-venta spiegabile, non già nella logica di uno spirito supe-riore.

Tutte le lingue antiche e primitive sono intessute di que-sta forza primordiale e, in un dizionario filosofico orienta-le, ogni vocabolo radicale con la sua famiglia, opportuna-mente situato e correttamente seguito nel suo sviluppo, co-stituirebbe una mappa del cammino dello spirito umano euna storia della sua evoluzione; un intero dizionario siffat-to, poi, sarebbe la prova per eccellenza dell'arte inventivadell'anima umana. Dubito, invece, che potrebbe esserloanche del metodo linguistico e didattico di un dio!

Dal momento che tutta la natura risuona, nulla di piùnaturale per un uomo sensuoso che essa viva, parli, agisca.Ecco un selvaggio stupire alla vista di un albero eccelsodalla cima superba. La cima che stormisce è per lui una di-vinità che si agita, ed egli si prostra ad adorarla! Ecco lastoria dell'uomo sensitivo; la segreta connessione che spie-ga come dai verbi derivino i nomi; ecco com'è facile il pas-saggio all'astrazione. Per i selvaggi del Nord America, peresempio, ancor oggi tutto è animato: ogni cosa ha il suo ge-nio, il suo spirito, e che fosse così anche per i Greci e gliorientali lo comprovano il loro primo vocabolario e la loroprima grammatica, che sono quel che la natura tutta fu peril loro primo inventore: un pantheon, un regno di esseriesuberanti e attivi.

Ma fintanto che l'uomo rapportò tutto a sé, fintanto chetutto gli sembrò parlare con lui e agire concretamente conlui o contro di lui, fintanto che, dunque, egli partecipava o

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76 Saggio sull'origine del linguaggio

avversava, condivideva o respingeva, amava o odiava, ognicosa rappresentandosi antropomorficamente, tutte questetracce della natura umana si impressero anche nei primi nomi.Anch'essi dicevano amore o odio, maledizione o benedizio-ne, tenerezza o avversione e, in particolare, proprio daquesto sentimento in tante lingue comparvero gli articoli.Fu allora che tutto fu umanamente personificato in ma-schile e femminile: dappertutto dei e dee, esseri maligni obenigni in azione. L'uragano assordante e la brezza soave,la limpida fonte e il possente oceano: tutta la loro mitolo-gia giace stratificata in quelle miniere che sono i verbi e isostatitivi -delle lingue antiche, e il ltimo lessico fu un pan-theon di voci, una sala di convegno dei due sessi, qual erastata la natura per i sensi del primo inventore. Così la lin-gua di un'antica nazione primitiva e schietta è, come la suamitologia, uno studio nei meandri della fantasia e dellepassioni umane. Ogni famiglia di idee è un intricato cespu-glio cresciuto attorno a un archetipo sensuoso, attorno auna quercia sacra sulla quale ancora si rintraccia l'impres-sione che la sua driade fece sull'inventore. Intessuti in essoi sentimenti: quel che si muove, vive; quel che risuona,parla, e — dal momento che il suono ti è favorevole o av-verso — sarà per te amico o nemico, dio o dea- esso agiscepassionalmente come te'!

Amo la creatura umana e sensibile in questo suo mododi pensare. Dappertutto vedo un sensitivo debole e pavidoche deve amare oppure odiare, confidare o temere e che,dal suo petto, vorrebbe effondere questi stati d'animo atutti gli esseri. Dappertutto vedo questa creatura fragile,eppure grande, che ha bisogno dell'universo intero e tuttocoinvolge in guerra o in pace con se stessa; da tutto dipen-de eppure su tutto domina. La poesia e la formazione dei ge-neri della lingua attengono, dunque, alla stessa condizioneumana e gli organi generativi del discorso ne sono, per cosìdire, lo strumento di propagazione. E se invece un geniosuperiore avesse portato il linguaggio giù dalle stelle? E

Terzo capitolo

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possibile che, nel nostro pianeta sublunare, un tale geniosidereo sarebbe stato coinvolto in affetti quali l'amore e ladebolezza l'odio e la paura tanto da implicare tutto in sen-timenti di simpatia o di avversione, contrassegnare tutte leparole con il timore o la gioia, costruire tutto, infine, sugliaccoppiamenti? Vedeva e sentiva proprio come vedono gliuomini, se per lui i nomina non potevano non appaiarsi ingenere e articolo, se sposava i verbi attivi e passivi, accor-dando loro tanti figli legittimi e illegittimi, se, insomma,costruiva tutto il linguaggio sul sentimento delle umanefragilità? Vedeva e sentiva davvero così?

Per un sostenitore dell'origine soprannaturale, il fatto«che le parole radicali siano prevalentemente monosillabe,i verbi per lo più bisillabi e che, di conseguenza, il linguag-gio sia graduato a misura della memoria» s denota l'ordina-mento divino della lingua. La cosa non è esatta e la conclu-sione discutibile. Nelle sopravvivenze della lingua che sicrede più antica, le radici sono tutte verbi bisillabici cosache ormai posso spiegarmi perfettamente sulla base diquanto detto, dato che l'ipotesi contraria non ha alcunfondamento. Tali verbi, infatti, sono costruiti direttamen-te su voci ed esclamazioni della polifonica natura delle qua-li spesso serbano l'eco e che, sporadicamente, tuttora siconservano come interiezioni vere e proprie; tuttavia, trat-tandosi di suoni semi-articolati, la maggior parte di essi, alformarsi del linguaggio, fatalmente scomparve. Nelle lin-gue orientali, quindi, mancano questi primi esperimenti diuna lingua esitante, ma proprio la loro assenza, e il fattoche nei verbi riecheggino soltanto i loro esiti regolari, rive-la la matrice naturale e umana del linguaggio. Queste radi-ci sono scrigni preziosi e astrazioni dell'intelletto divino onon piuttosto le prime sillabe di un orecchio in ascolto? Iprimi accenti di una lingua titubante? Nella sua infanzia, ilgenere umano si è forgiato proprio lo stesso linguaggio chebalbetta un infante: è lo stentato vocabolario della culla,del quale in bocca all'adulto non resta traccia.

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78 Saggio sull'angine del Isuguaggo

È da qui che ricava consistenza tangibile l'affermazionedi tanti studiosi antichi, stolidamente ripetuta da tanticontemporanei, «che la poesia è più antica della prosa»'.Che cos'era, infatti, questo primo linguaggio, se non una col-lezione di rudimenti della poesia? Imitazione delle voci diuna natura incessantemente operosa, preso dalle interiezio-ni di tutti gli esseri e animato da quelle dell'umano sentire.Il linguaggio naturale di tutte le creature che l'intellettocristallizza in sillabe sonore, in immagini di azione, di pas-sione e di robusta efficacia. Un vocabolario dell'animo cheè mitologia e, a un tempo, mirabile epopea dei fatti e deglieloqui di tutti gli esseri! Un costante favoleggiare, dunque,appassionato e partecipe: che altro è la poesia?

Ancora: la tradizione dell'antichità ritiene che il primolinguaggio del genere umano sia stato il canto, e molti buoniintenditori di musica si sono convinti che gli uomini devo-no averlo appreso studiando furtivamente gli uccelli'.Questo è, senza meno, un eccesso di credulità. Un grandeorologio monumentale con le ruote dentate in perfetto sta-to, le molle appena riavvolte, i pesi di piombo può benprodurre un concerto di suoni; ma prendere l'uomo appenafatto, con i suoi vigorosi impulsi istintivi, i suoi bisogni, lesue forti sensazioni, la sua attenzione assorbita quasi cieca-mente e, infine, la sua ugola rudimentale e metterlo a rifa-re il verso all'usignolo onde procacciarsi col canto il lin-guaggio, non mi sembra concepibile, siano pur tante le sto-rie della poesia e della musica che lo sostengono. Un lin-guaggio costituito di note musicali sarebbe, senza dubbio,possibile (anche Leibniz* ci aveva pensato), ma certamentenon per i primi uomini allo stato di natura, tanto esso è ar-tificioso e ricercato. Nella catena degli esseri, ciascuno hala sua voce e un linguaggio consono a essa. Nel nido dell'u-signolo il linguaggio dell'amore è gorgheggio soave, come èruggito nella tana del leone, focoso nitrito fra i cavalli bra-

Oeuvres phslosophiques publzees por Raspe, p. 232''

"ferzo capitolo

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di, lagno insistente nel cantuccio del gatto: ogni specie par-la il proprio, non certo per l'uomo, ma per se stessa; e peressa è melodioso come per Laura una lirica del Petrarca.L'usignolo certamente non canta per farsi ascoltare dall'uo-mo, come qualcuno pretende e così l'uomo non penseràmai di crearsi il linguaggio imitandone i trilli. Non è forsegrottesco questo uomo-usignolo in una caverna o a cacciaper la foresta?

Se, dunque, il primo linguaggio dell'uomo fu il canto, fuun canto a lui così connaturato e così congeniale ai suoi or-gani e ai suoi impulsi naturali come lo è per l'usignolo, ilquale può dirsi davvero un'ugola spiegata, e tale fu perl'appunto il nostro linguaggio vocale. Condillac, Rousseaue altri si sono arrestati a metà strada, facendo derivare laprosodia e il canto delle lingue più antiche dai suoni incon-diti delle passioni. Ora, che siano state queste a suscitare iprimi suoni è fuor di dubbio. Siccome, però, semplici ac-centi del sentire mai avrebbero prodotto un linguaggioumano, e quel canto invece lo era, mancava ancora qualco-sa a che si producesse, e questo qualcosa fu per l'appuntol'imposizione del nome a ciascuna creatura a seconda delrispettivo linguaggio. Allora la natura tutta si esibì in ariee suoni, e il cantare dell'uomo fu un concento di tutte que-ste voci: via via che il suo intelletto ne aveva bisogno, lasua sensibilità le afferrava, i suoi organi riuscivano a espri-merle. Ne sgorgò il canto, ma non fu né il gorgheggio del-l'usignolo né il linguaggio musicale di Leibniz e nemmenole semplici voci della sensibilità degli animali, bensì fuespressione del linguaggio di tutte le creature, entro i limitidella scala naturale della voce umana.

Anche quando ormai aveva acquistato maggior regolari-tà, omotonia e sistematicità, la lingua continuò ad essereuna specie di canto, come dimostrano gli accenti di tantiprimitivi. Che,poi da questo canto, successivamente nobili-tato e affinato, siano scaturite la più antica poesia e la mu-

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80 Saggio sull'ongene del linguaggio Terso capitolo

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sica è stato ormai dimostrato da parecchi studiosi. Il pensa-tore inglese* che, in questo nostro secolo, ha affrontato ilproblema dell'origine della poesia e della musica si sarebbespinto assai più avanti se non avesse escluso dalla sua inda-gine il genio della lingua e se, piuttosto che perseguire ilsuo sistema, inteso a ricondurre poesia e musica ad un pun-to unico di giunzione dove nessuna delle due può mostrarsiappieno, avesse perseguito l'origine di entrambe muovendodalla natura stessa dell'uomo. Generalmente, poiché i.mi-gliori esempi di poesia antica sono testimonianze di quelleepoche di linguaggio melodico, incalcolabile è il numero ditravisamenti, infedeltà e grossolani spropositi che vien fuo-ri dal compitare il testo dei più antichi poemi, delle trage-die e delle orazioni greche. Quanto avrebbe ancora dadire, al riguardo, lo studioso che avesse appreso la giustaintonazione per scandire quei brani dai selvaggi, per i qualiquell'epoca è ancora in atto! Altrimenti e per solito si con-tinua a vedere solo il rovescio del tappeto. Disiecti membrapoetae"! Ma a volermi addentrare in osservazioni lingui-stiche particolareggiate mi smarrirei in un campo senzafine; torniamo dunque alla strada principale dell'invenzio-ne del linguaggio!

* * *

Capire come i suoni, ai quali l'intelletto ha impresso ilconio di contrassegni, siano diventati parole è stato facileMa non tutti gli oggetti emettono suoni: da dove attingereallora per questi oggetti i vocaboli distintivi, con i qualil'anima possa denominarli? Donde viene all'uomo l'arte diconvertire in suono ciò che suono non è? Il colore, la ro-tondità che cosa hanno in comune con il nome che da essivien fuori, come il «belare» vien fuori dalla pecora? I soste-nitori dell'origine soprannaturale hanno subito la risposta

* Brown11.

pronta: «Arbitrariamente! Chi è in grado di capire e discrutare nell'intelletto divino perché il verde si chiami ver-de e non azzurro? Senza dubbio perché così a lui è piaciu-to». E con questo si tronca il filo della discussione. Qual-siasi speculazione sulla tecnica inventiva del linguaggio sene sta, dunque, arbitrariamente sospesa tra le nuvole, eogni parola è per noi una qualitas occulta, qualcosa di arbi-trario! Nessuno me ne voglia se in questo caso non capiscola parola «arbitrario». Lambiccarsi il cervello per cavarne illinguaggio arbitrariamente, senza che nulla giustifichi lascelta è, almeno per l'animo umano, che di tutto vuole unaragione quand'anche solo parziale, un tormento come peril corpo morire a furia di carezze. Tanto più, poi, nel casodell'uomo primitivo rozzo e sensuoso, le cui facoltà nonsono ancora così raffinate da estenuarsi in giochi superfluie che, forte e inesperto, nulla fa senza un motivo e nullaintende fare invano. Nel suo caso, appunto, l'invenzionedi un linguaggio per futile e vano arbitrio sarebbe incom-patibile con l'intera analogia della sua natura, e certamenteripugna a ogni analogia delle forze psichiche umane un lin-guaggio escogitato per puro arbitrio.

Torniamo, dunque, al tema e chiediamoci come l'uomo,con le sue sole forze, abbia potuto inventare:

2. Un linguaggio in assenza di qualsiasi suono

Che nesso c'è fra vista e udito, colore e parola, odore esuono"? Negli oggetti, nessuno. Ma allora cosa sono que-ste proprietà negli oggetti? Esse non sono altro che perce-zioni sensibili in noi e, in quanto tali, confluiscono tutteassieme. Noi siamo un sensorio comune pensante, che vie-ne però sollecitato da più parti: ecco dove sta la spiega-zione.

Tutti i sensi affondano le radici nella sensibilità generalee questo, già di per sé, lega le sensazioni più eterogenee in

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fagpo sul/ Lo :gine dcli 1 ngilCIO 'lerzo capitolo SS

modo così profondo, così tenace e così indefinibile che daquesta connessione dipendono i fenomeni più singolari. Miè noto più di un esempio di persone che istintivamente,forse per un'impressione risalente all'infanzia, non possonofare a meno di collegare immediatamente, per un estro im-provviso, a quel suono un certo colore, a quel fenomeno uncerto vago stato d'animo del tutto diverso, mentre un con-fronto della flemmatica ragione fa escludere qualunque pa-rentela fra loro. Chi, infatti, può ragguagliare suono e colo-re, fenomeno e stato d'animo? Noi siamo intessuti di similiassociazioni fra i sensi più distanti, ma le notiamo solo inquei turbamenti che ci fanno perdere il controllo, negli sta-ti morbosi della fantasia, ovvero in quelle occasioni nellequali esse assumono un eccezionale rilievo. Così rapido è ilflusso dei nostri pensieri; le onde delle nostre sensazioniscrosciano confondendosi fra loro così oscuramente, la no-stra anima ne è d'un tratto così gremita che noi, rispettoalla maggior parte delle idee, sembriamo come in stato ditorpore presso una sorgente, quando continuiamo ad av-vertire il fragore delle acque, ma in modo così indistintoche il sonno finisce col sottrarci ogni percezione sensibi-le". Se ci fosse possibile arrestare la catena dei nostri pen-sieri, e cercare per ogni suo anello le connessioni, quantebizzarrie non scopriremmo, quante singolari analogie fra isensi più diversi, in base alle quali però l'anima agisce sen-za esitare! Per un essere esclusivamente razionale, noi sa-remmo del tutto simili a quella genia di squilibrati che pen-sa assennatamente, ma connette in modo inintelligibile esconclusionato.

Nelle creature sensibili, che sentono simultaneamente at-traverso sensi diversi, tale affollamento di idee è inevitabile:i sensi, infatti, altro non sono che semplici modi di rappre-sentazione di un'unica forza positiva dell'anima. Li distin-guiamo, ma soltanto ricorrendo ad altri sensi: modi di rap-presentazione, dunque, distinti per mezzo di modi di rap-presentazione. A gran fatica impariamo a tenerli separati

nell'uso e, comunque, su un certo sostrato continuano sem-pre a operare uniti. Tutte le scomposizioni della sensazioneche Buf fon, Condillac e Bonnet 16 eseguono sull'uomo sen-ziente non sono che astrazioni; lo studioso è costretto adabbandonare il filo di una sensazione per seguirne un altro:in natura, invece, tutti i fili compongono un tessuto unico.Ora, quanto più oscuri sono i sensi, tanto più si confondo-no fra loro; e quanto meno l'uomo si è esercitato, quantomeno ha appreso a usarli indipendentemente l'uno dall'al-tro, a usarli con destrezza e precisione, tanto più essi resta-no oscuri. Applichiamo tutto ciò all'esordio del linguaggio:la condizione di infanzia e di inesperienza del genere uma-no lo ha facilitato.

L'uomo si affaccia sulla terra e immediatamente un veroe proprio oceano lo prende d'assalto. Con quale sforzo im-para a distinguere, a riconoscere i sensi e, una volta ricono-sciuti, a usarli separatamente! La vista è il senso più freddoe, se fosse sempre stata così fredda, distaccata e lucidacome per noi è diventata dopo l'affannoso esercizio di tan-ti anni, davvero non saprei come si sarebbe potuto renderepercepibile con l'orecchio ciò che si vede. Ma è intervenu-ta la natura ad accorciare le distanze: anche la vista, infat-ti, e lo dimostrano bambini e ciechi risanati, all'inizio erasoltanto sensibilità tattile. La maggioranza delle cose visibilisi muove; molte nel muoversi producono un suono: ove ciònon avvenga, significa che esse quasi rasentano l'occhio nelsuo primo stadio, sono a contatto con esso e, quindi, sipossono toccare. E il tatto è vicinissimo all'udito. Al suonodi definizioni, quali: duro, ruvido, soffice, lanoso, velluta-to, peloso, rigido, levigato, liscio, ispido, che pur si riferi-scono solamente alle superfici senza penetrare in profondi-tà, già sembra di provare la sensazione tattile. L'anima,trovandosi nella ressa di tali sensazioni confluenti e nel-l'urgenza di foggiare una parola, afferrando a caso, trovavaforse la parola di un senso vicino, la cui percezione sensibi-le si confondeva con quella: nacquero così le parole per

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84 Sagra sultongdne del l:n:raggio Terzo daprzolo

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tutti i sensi, anche per il senso più freddo. Il lampo non ri-suona: eppure, quando si deve dare espressione a questomessaggero della mezzanotte

che in un guizzo discopre e cielo e terrae prima ancor di poter dire: guarda!sprofonda nelle fauci della tenebra",

esso creerà naturalmente un vocabolo che, con l'aiuto diuna percezione intermedia, darà all'orecchio la sensazionedella fulminea rapidità provata dall'occhio: lampo! Al suo-no di parole come odore, rumore, dolce, amaro, aspro ecc.,già sembra di provare la sensazione corrispondente e, in-

i fatti, all'origine, tutti i sensi che altro sono se non sensibi-lità? Come poi questa sensibilità possa esternarsi in suonoè quel che abbiamo ammesso fin dal primo capitolo comeimmediata legge di natura della macchina senziente, e nonvogliamo ritornarci sopra.

E così tutte le difficoltà possono ridursi a questi due di-stinti principi, già dimostrati:

1. Dato che tutti i sensi altro non sono che modi di rappre-sentazione dell'anima, purché questa abbia la rappresentazio-ne distinta avrà anche il contrassegno, e con esso avrà il lin-guaggio interiore.

, 2. Tutti i sensi, in specie durante l'infanzia dell'umani-tà, altro non essendo che modi di sentire di un'anima unica,e ogni sentire — secondo la legge della sensazione della na-tura animale — avendo un suo suono immediato, basteràelevare il sentire alla distinzione propria di un contrassegnoper avere la parola consona al linguaggio esteriore. A questopunto si arriva a una quantità di considerazioni particolarisu come la natura abbia sapientemente organizzato l'uomoproprio perché si inventasse da solo il linguaggio. Eccol'osservazione fondamentale: «poiché l'uomo riceve il lin-guaggio insegnatogli dalla natura esclusivamente attraversol'udito, senza il quale non può inventare il linguaggio, l'u-

dito in certo qual modo è diventato il suo senso mediano,vera e propria porta dell'anima ed elemento di unione fragli altri sensi». Mi spiego meglio.

L L'udito è il senso medianO dell'uomo rispetto allara della percettività dall'esterno. Il tatto avverte ogni cosasoltanto in sé e nel suo organo; la vista ci proietta pergrandi spazi al di fuori di noi; l'udito, quanto a grado dicomunicabilità, sta nel mezzo Che cosa comporta questoper il linguaggio? Poniamo il caso di una creatura, sia pureragionevole, il cui senso principale fosse il tatto (ove maiciò fosse possibile). Com'è angusto il suo mondo' E giac-ché non lo percepisce mediante l'udito, essa forse finiràper costruirsi una tela, come gli insetti, ma non certo unlinguaggio che si avvalga di suoni! E ora, per converso, im-maginiamo una creatura tutta occhi: il mondo da contem-plare per essa è inesauribile, smisurato lo spazio in cui vie-ne proiettata, infinita la varietà in cui si disperde. Il suolinguaggio (del quale non abbiamo alcuna idea) diventereb-be una sorta di elaboratissima pantomima, la sua scritturaun'algebra di colori e di linee, mai però un linguaggio fattodi suoni. Creature dotate di udito, noi stiamo nel mezzo:vediamo, sentiamo col tatto, ma la natura vista e toccataha voce; mediante i suoni essa si fa maestra di lingua e noi,mediante tutti i sensi, ci facciamo, per così dire udito.

Consideriamo, allora, i vantaggi della nostra posizione:con questo mezzo ogni senso diventa idoneo al linguaggio.Indubbiamente è l'udito che offre effettivamente i suoni el'uomo non può inventare qualcosa, ma solo trovarla, soloimitarla; tuttavia, da un lato lo affianca il tatto, dall'altrolo scorta la vista: le sensazioni si fondono e, quindi, si av-

i vicinano tutte alla regione dove i contrassegni si trasforma-no in suoni. Così, ciò che si vede ciò che si tocca si puòrendere sonoro. Il senso del linguaggio è diventato il no-stro senso mediano e unificante: noi siamo creature lingui-stiche.

2. L'udito è il senso mediano quanto a distinzione e chia-

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se Saggio 3PII ungine del fingoagoo temo capitolo

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iezza, e, dunque, ancora una volta il senso del linguaggio.Com'è oscuro il tatto! Resta frastornato e avverte tuttoconfusamente. Già isolare un contrassegno da riconoscereè a stento possibile, dargli voce è impossibile!

Viceversa, la vista è così lucida e abbagliante: offre unatale quantità di contrassegni che l'anima soccombe sotto laloro varietà e forse riesce a malapena a isolarne uno, matanto debole che ogni riconoscimento per suo tramite di-venta difficile. L'udito sta nel mezzo. Esso lascia da partetutti i contrassegni coincidenti e indifferenziati del tatto,ma anche tutti quelli troppo minuziosi della vista! Se, tut-tavia, dall'oggetto tastato e osservato si sprigiona un suo-no, in esso si sommano i contrassegni di quei due sensi:quello sarà il vocabolo distintivo. L'udito, dunque, attornoa sé afferra da ambo k parti: rende chiaro ciò che era trop-po scuro, più gradevole ciò che era troppo lucido; portauna maggiore unità nella indistinta molteplicità della vista.E poiché questa appercezione del molteplice mediantel'uno, mediante un contrassegno, diventa linguaggio, l'udi-to è l'organo del linguaggio.

3. L'udito è il senso mediano in considerazione della vi-vacità, quindi è il senso del linguaggio. Il tatto opprime; lavista è troppo fredda e distaccata: quello affonda troppo innoi per poter mai diventare linguaggio; questa rimane trop-po impassibile davanti a noi. Il suono percepito dall'uditosi insinua così intimamente nella nostra anima da doversitrasformare in contrassegno, epperò non ci stordisce alpunto da non poter diventare perspicuo: ecco qual è il sen-so del linguaggio.

Come sarebbe stringato, faticoso e insostenibile per noiil linguaggio di qualunque senso più grossolano, e quanto cipotrebbe sconcertare ed estenuare il linguaggio di un sensotroppo sottile come la vista! Chi può continuamente senti-re col gusto, il tatto, l'olfatto senza morire infine, come siesprime Pope, di una morte aromatica"? E chi può fissarestrabiliato un pianoforte cromatico' senza restarne alla

fine abbagliato? Ma ascoltare e, ascoltando, pensare parolesi può farlo più a lungo e quasi ininterrottamente: l'udito èper l'anima quello che il colore medio, il verde, è per la vi-sta. L'uomo è una creatura fatta per parlare.— 4. L'udito è il senso mediano in considerazione del tem-po in cui opera, quindi è il senso del linguaggio. Il tatto ri-versa tutto di colpo dentro di noi: scuote le nostre corde inmaniera energica, ma discontinua e di breve durata. La vi-sta presenta tutto davanti a noi di colpo, sgomentandol'apprendista con il quadro smisurato della successione spa-ziale. Notate che riguardo ci usa la maestra di lingua ser-vendosi dell'udito! Essa ci sgrana nell'animo soltanto unsuono per volta, dà senza mai stancarsi, dà e ha sempre piùda dare: applica, dunque, appieno l'espediente didattico diinsegnare per gradi. E, così facendo, chi non sarebbe capa-ce di concepire il linguaggio, di inventarselo?

\, 5. L'udito è il senso mediano rispetto all'esigenza diesprimersi, quindi è il senso del linguaggio. Le operazionidel tatto sono oscure e inesprimibili, ma ancor meno han-no bisogno di essere espresse, tanto da vicino esso tocca ilnostro io, tanto è egoistico e sprofondato in se stesso. Perchi inventa il linguaggio è impossibile esprimere le cose vi-ste; ma quale cosa vista esige di essere immediatamenteespressa a parole? Gli oggetti rimangono e si possono indi-care a cenni. Gli oggetti dell'udito, invece, sono connessial movimento: trascorrono, ma proprio perciò emettonoanche dei suoni. Diventano esprimibili perché devono es-sere espressi a parole, e proprio perché devono essereespressi a parole è il loro movimento che li rende esprimi-bili. Quale idoneità per il linguaggio!

6. L'udito è il senso mediano rispetto al suo sviluppo, edunque è il senso del linguaggio. L'uomo è tutto sensibilitàtattile: l'embrione fin dal primo istante sente come il neo-nato. Questo è il tronco naturale dal quale spuntano i ramipiù teneri della facoltà sensitiva, è il gomitolo aggrovigliatodal quale si dipanano tutte le più sottili forze dell'anima. E

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88 Saggio sull'origine del linguaggio

Terzo capitolo 89

in che modo? Mediante l'udito, come s'è visto, dal mo-mento che la natura desta l'anima alla prima distinta sensa-zione mediante i suoni, e dunque la desta, per così dire,dall'oscuro sonno del senso e la matura per una facoltà sen-sitiva ancora più affinata. Se la vista si fosse, poniamo, svi-luppata già prima, oppure se fosse possibile suscitarla dallasensibilità tattile per altra via che non fosse quella del sen-so mediano, ossia l'udito, avremmo una ben misera sapien-za e una ben stolida lucidità. Come diventerebbe difficileper una simile creatura tutta occhi, destinata però a diven-tare umana, denominare ciò che vede innestare il freddosenso della vista in quel senso più caldo che è il tatto, iltronco stesso dell'umanità! Ma è un'ipotesi che si rivela giàin sé contraddittoria: migliore e unica è la via che portaallo sviluppo della natura umana. Dal momento che tutti isensi interagiscono, grazie all'udito noi restiamo semprevirtualmente a scuola della natura, impariamo a operareastrazioni e, al tempo stesso, a parlare: la vista si affina econ essa la ragione e il talento di assegnare nomi; di modoche, quando l'uomo arriva alle distinzioni delicatissime deifenomeni visivi, sarà già pronta una considerevole scorta dilinguaggio e di corrispondenze lessicali. Dalla sensibilitàtattile l'uomo si è avviato verso il senso delle sue fantasiementali, passando proprio per il senso del linguaggio, e hadunque appreso a tradurre in suono sia ciò che vede, siaciò che sente col tatto.

Se, a questo punto, potessi tirare tutte le fila e renderedi colpo visibile quel tessuto che si chiama natura umana,si vedrebbe che esso è fatto apposta per il linguaggio. Per-ciò, si è visto, a tale positiva forza di pensare fu accordatouno spazio e una sfera; perciò le furono soppesate sostanzae materia; perciò furon fatte forma e figura; perciò, infine,furono organizzati e coordinati i sensi: per il linguaggio.Ecco perché il pensiero dell'uomo è così, e non è né più lu-cido né più confuso; ecco perché le sue sensazioni tattili evisive non sono né più acute, né più persistenti, né più vi-

vide di come sono ecco perché ha questi sensi e non ne hané di più né di diversi. Tutto si bilancia, tutto si risparmiae reintegra, tutto è disposto e ripartito a ragion veduta.Una coerente unità, un ordine armonioso, un insieme, unsistema: una creatura dotata di sensatezza e linguaggio, dicoscienza e creatività linguistica. Dopo tutte queste consi-derazioni, chi ancora si ostinasse a negare a tale creaturauna vocazione al linguaggio, prima dovrebbe trasformarsida un osservatore della natura in un suo nemico, straziarein dissonanze tutte le sullodate armonie, ridurre in maceriel'intero, superbo edificio delle energie dell'uomo, inaridir-ne i sensi e, al posto del capolavoro del creato, percepireun essere pieno di tare e difetti, di pecche e storture. Equando poi, passando alla lingua, anch'essa è proprio così,come necessariamente — stando al profilo e al calibro dellacreatura suddetta — doveva risultare?

Passo a dimostrare quest'ultimo punto, anche se proprioqui mi si offrirebbe un'allettante digressione: calcolare, se-condo le regole della teoria del piacere di Sulzer', qualivantaggi e attrattive presenterebbe comunque per noi unlinguaggio mediato dall'udito piuttosto che dagli altri sen-si. La digressione condurrebbe, però, troppo lontano, e oc-corre rinunciarvi, tanto più che siamo ancora ben lungidall'aver reso sicura e retta la strada maestra. Allora, in-nanzitutto:

I. <Quanto più antiche e originarie sono le lingue, tantopiù appariscente risulta questa analogia dei sensi nelle lororadici».

Mentre nelle radici delle nostre lingue più recenti siamousi ormai caratterizzare la collera come un fenomeno mera-mente visivo, o come un'astrazione — per esempio con losfavillio degli occhi, le guance accese ecc., cosicché riuscia-mo solamente a vederla o a immaginarla — i popoli orien-tali la distinguono con l'udito, la odono fremere, sprizzarscintille, fuoco e fiamme. Il naso, sede della collera, è di-ventato radice della parola e l'intera famiglia dei vocaboli e

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9U faggio sull'ungine del linguaggio Tenia capitolo

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delle metafore per l'ira con questo fremere tradisce la suaorigine.

Mentre a noi la vita si manifesta con il battito del polso,con il palpitare, scandito anche nel linguaggio da impercet-tibili passaggi, agli orientali essa si rivela prorompendo inrespiri. L'uomo vive finché respira, muore perché spira e laradice stessa della parola si sente alitare, proprio come ali-tò Adamo, il primo uomo vivente.

Mentre noi designiamo a nostro modo il partorire, gliorientali anche nelle denominazioni sentono le grida ansi-manti della madre, ovvero, nel caso di animali, l'espulsionedell'involucro fetale: è attorno a quest'idea centrale cheruotano le loro immagini.

Se nella parola aurora noi udiamo vagamente adombratala bellezza, il fulgore, la freschezza, in Oriente il nomadeche ne spia ansioso il sorgere anche nella radice del voca-bolo avverte su di sé il primo improvviso esaltante raggiodi luce che nessuno di noi forse ha mai visto o, per lomeno, così intensamente sentito. Non si possono nemmenocontare gli esempi tolti dalle lingue antiche e primitive cheillustrano con quale fervore e quale forza emozionale esseusino definizioni desunte dall'udito e dal tatto, e un'operaintesa a ricercare proprio il fondamento sensibile di taliidee presso popoli diversi costituirebbe una dimostrazioneesauriente del mio assunto e dell'invenzione umana del lin-guaggio.

II. «Quanto più arcaiche e primitive sono le lingue, tan-to maggiore è l'intersecarsi dei sentimenti nelle radici delleparole».

Si sfogli a caso un qualunque dizionario orientale e inesso si potrà vedere l'urgenza di esprimersi; l'inventoretende a strappare le idee a un senso per prestarle a un altroe ricorrere al prestito soprattutto per i sensi più ingrati,più freddi e più precisi. Si vedrà come tutto dovesse con-vertirsi in sensazione tattile o uditiva prima di diventareespressione! Di qui le forti, ardite metafore nelle radici del

lessico; di qui i traslati dall'uno all'altro senso, cosicché,confrontate fra loro, le accezioni di una voce radicale, eancor più quelle dei suoi derivati,. formano un quadro daicolori screziati. ' La causa genetica risiede nella condizionedi indigenza dell'anima umana, unita al fatto che nell'uo-mo primitivo le sensazioni si confondevano fra loro. Appa-re chiarissimo il suo bisogno di esprimersi, bisogno che au-menta quanto più l'idea si discosta dalla sensazione tattilee uditiva, cosicché ormai non è più possibile dubitare del-l'origine umana del linguaggio. Del resto, i sostenitori diuna diversa origine come intendono spiegare questo intes-sersi di idee nelle radici delle parole? Dio era così a cortodi idee e di vocaboli da dover fare ricorso a un uso cosìsconcertante di termini, oppure aveva una tale passioneper le iperboli, per le metafore stravaganti, da imprimerequesto suo genio finanche nelle radici fondamentali dellasua lingua?

-t La cosiddetta lingua divina, l'ebraico, è tutta intessutadi questi arditi costrutti, tanto che l'Oriente vanta anchel'onore di designarli con il proprio nome. Ma non si pre-tenda di chiamare asiatico, poi, questo genio della metafo-ra, quasi non fosse ravvisabile altrove: esso, invece, è vivoin tutte le lingue primitive, ancorché in ognuna a misuradella cultura nazionale e a seconda della peculiare tormamentis. Un popolo che non abbia operato molte né rigorosedistinzioni fra i propri sentimenti, un popolo che non ab-bia avuto animo sufficiente per esprimersi, o per impadro-nirsi con la forza di modi di dire, sarà anche meno imba-razzato di fronte alle sfumature di sentimento, oppure sicontenterà di mezze espressioni allusive. Una nazione ga-gliarda, risieda in Oriente o nel Nordamerica, proprio intali metafore rivela il suo ardimento; ma la nazione che nelsuo sostrato più profondo mostra il maggior numero di talitraslati prima aveva la lingua più povera, più antica, piùgenuina e risiedeva, senza dubbio, in Oriente.

È evidente come debba essere difficile per una lingua si-

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Saggio suleorigwe del linguaggio Terzo capitolo 93

mile un vero e proprio sistema etimologico. I così diversisignificati di una radice, che in una tavola genealogica de-vono essere derivati e ricondotti alla loro origine, sono im-parentati soltanto per via di sentimenti assai vaghi, fugaciidee accessorie, concordanze affioranti dal profondo dell'a-nimo e a stento riducibili entro regole. Le loro parentele,inoltre, sono così connaturate alla nazione, così condizio-nate dal modo di pensare e di vedere del popolo e dell'in-ventore, così legate al luogo, all'epoca, all'insieme di circo-stanze, che per un settentrionale o un occidentale saràestremamente difficile indovinarle, ed esse saranno co-strette a soffrire all'infinito in lunghe e fredde perifrasi.Trattandosi, inoltre, di parentele indotte dalla necessità escoperte nel tumulto degli affetti e dei sentimenti, nell'im-barazzo di trovare l'espressione, ci vorrebbe davvero fortu-na per indovinare proprio quello stesso stato d'animo! E,finalmente, giacché in dizionari siffatti i vocaboli e i signi-ficati di una voce devono essere raccolti da epoche, situa-zioni e mentalità diversissime — tanto che queste effimereaccezioni aumentano all'infinito — di quanto si moltiplica-no le difficoltà! Quanto acume per penetrare certe situa-zioni, certe esigenze, e quale moderazione per mantenerela misura nell'interpretazione di altre epoche! Quale cultu-ra ed elasticità mentale non occorre per immedesimarsicompletamente nello spirito elementare, nell'ardita fanta-sia, nel sentimento nazionale di età ignote e per renderliattuali adattandoli alla nostra! Eppure, proprio in tal modosi farebbe lume, non soltanto nella storia, nella mentalità enella letteratura di un paese, bensì in generale in quella ne-bulosa provincia dell'anima umana dove i concetti intersecan-dosi si aggrovigliano, dove i sentimenti più disparati vicende-volmente si generano, dove un caso urgente raduna tutte leforze dell'anima e spiega tutta l'arte inventiva di cui questa ècapace. In un'opera siffatta ogni passo sarebbe una scoper-ta e ogni nuova osservazione la prova per eccellenza dell'o-rigine umana del linguaggio.

Schultens" si è acquistato fama studiando l'evolversi dialcune di tali origines nella lingua ebraica: ogni stadio evo-lutivo è una conferma della regola da me data. Non credoperò, per molte ragioni, che le origini della prima linguadell'uomo, fosse anche quella ebraica, potranno mai avereuna spiegazione esauriente.

Aggiungo un'altra osservazione, di importanza troppogenerale per poter essere tralasciata. Il fondamento diquelle audaci metafore verbali era già insito nella prima in-venzione: ma come spiegare il fatto che molto più tardi,ormai venuta meno ogni necessità, quelle combinazioni diparole e di immagini perdurano, vuoi per puro gusto imita-tivo, vuoi per gusto antiquario, anzi, addirittura si diffon-dono e si incrementano? Allora, soltanto allora ne nasce ilsublime nonsenso, il tronfio gioco di parole, che all'inizioeffettivamente non esisteva. Prima esso era impavido spiri-to virile che proprio quando più sembrava celiare forsemeno intendeva farlo! Era schietta sublimità della fantasiache in quella parola riusciva a elaborare quel sentimento,ma poi, nell'uso di scialbi imitatori, venuti meno quel sen-timento e quell'occasione, non rimasero che ampollose pa-role prive di vita"! E questo, in epoche posteriori, è statoil destino di tutte le lingue che avevano esordito in formecosì originali. I tardi poeti francesi non osano voli pindari-ci perché nemmeno i primi inventori della loro lingua neavevano osati: il francese è tutto prosa della sobria ragionee, già ai suoi albori, non possedeva quasi parola poetica ap-partenente alla sola poesia; ma gli Orientali, i Greci, gli In-glesi e noi stessi Tedeschi?

Ne consegue che quanto più antica è una lingua, quantopiù è rimasto di quell'estrosità nelle sue radici, quanto piùa lungo ha vissuto, sempre continuando a svilupparsi, tan-to meno si dovrà insistere su ogni audace espressione origi-naria come se, anche nell'uso successivo, fosse stato ripen-sato ogni volta ciascuno di quegli intricati concetti. La me-tafora iniziale era urgenza di dire; se in seguito, quando il

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3a&gro mal "origine del Izeguagyo

Perso capitolo

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vocabolo era ormai diventato usuale e aveva perso ogni in-cisività, si continua a interpretare l'amalgama di tutti que-gli elementi inconsueti come esempio di fecondità e dienergia, ebbene: intere scuole linguistiche orientali brulica-no di tali deplorevoli esempi!

Ancora una cosa. Quando a queste ardite schermaglieverbali, a queste trasposizioni di sentimento in una espres-sione, a queste anarchiche e indisciplinate interferenze diidee aderiscono certi sottili contenuti dogmatici e dottrina-li, o vi si fanno aderire o si vuole verificarli muovendo daesse, allora Dio ne scampi! Quanto poco quei tentativi diun linguaggio in gestazione o di un linguaggio immaturopotevan dirsi definizioni di un sistema, e quanto spesso ac-cade di creare idoli verbali' ai quali né l'inventore nél'uso successivo certo pensavano! Ma osservazioni di que-sto tipo non finirebbero più: passo quindi a formulare unnuovo canone.

III. «Quanto più originaria è una lingua, quanto piùspesso in essa si intrecciano simili sentimenti, tanto menoè possibile subordinarli fra loro con logica rigorosa».

La lingua si arricchisce di sinonimi: malgrado la sua so-stanziale povertà, essa offre la massima ridondanza di ele-menti superflui.

Capaci di scorgere ovunque l'ordine soprannaturale, isostenitori dell'origine divina in questo caso stentano arintracciarla e negano l'esistenza dei sinonimi*. E comenegarla? Ammettiamo pure che fra i cinquanta vocaboliche gli Arabi hanno per designare il leone, i duecento peril serpente, gli ottanta per il miele, i mille e più per la spa-da si avvertano — o si sarebbero potute avvertire, qualoranon fossero andate perdute — lievi sfumature: perché maici sarebbero state, se erano già destinate a scomparire?Perché Dio avrebbe inventato un pleonastico vocabolarioche, come dicono gli Arabi, soltanto un profeta potrebbe

Saliniiich, par. 914.

abbracciare in tutta la sua vastità? Lo avrebbe forse inven-tato nel vuoto dell'oblio? Eppure, a compararli fra loro,questi vocaboli sono pur sempre sinonimi, se si tiene contodi molte altre idee per le quali i termini mancano affatto.Si provi ora a interpretare come ordine divino il fatto cheColui che con lo sguardo abbracciava il disegno del lin-guaggio abbia inventato settanta parole per pietra e nem-meno una per tante idee indispensabili, sentimenti interio-ri, astrazioni; oppure il fatto che da un lato abbia accumu-lato un'inutile dovizia di vocaboli e dall'altro lasciato gliuomini nell'assoluta necessità di rubare usare impropria-mente metafore, dire semisciocchezze e così via.

Dal punto di vista umano la cosa si spiega da sé: siccomele idee astruse e rare dovevano essere espresse in manierafigurata, si poteva largheggiare nell'esprimere quelle comu-ni e facili. Quanto più la natura rimaneva ignota; quantipiù erano gli aspetti sotto i quali l'uomo poteva, da ine-sperto, osservarla a stento riconoscendola; quanto menoinventava a priori, ma piuttosto in dipendenza di circo-stanze concrete, tanto maggiore risultò il numero dei sino-nimi. Più numerosi erano gli inventori, più erano mobili edistanti — e tuttavia l'inventiva per solito restava circo-scritta allo stesso ambito e applicata alle stesse cose — tan-to maggiore fu il numero dei sinonimi quando, nel ritorna-re insieme, i loro idiomi confluirono nell'unico sterminatomare del vocabolario. Impossibile scartare tutti i vocabolio stabilire quali scartare, perché tutti si erano ormai affer-mati presso quella tribù, quella famiglia, quel poeta. Ecosì, come annota il lessicografo arabo, dopo aver contatoquattrocento voci per «miseria», la quattrocentesima erascaturita dall'aver dovuto contare tutti i sinonimi di mi-seria.

Una lingua siriana è ricca proprio perché è povera, per-ché i suoi inventori non avevano ancora pianificato al pun-to da impoverirla. E, dunque, il pigro artefice della linguaappunto più imperfetta dovrebbe essere Dio?

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Saggio sull'origine del linguaggio

Le analogie riscontrabili fra tutti i linguaggi primitiviconfortano la mia tesi: a suo modo, ciascuno di essi sperperae risparmia, ma ciascuno in un modo suo peculiare. Mentrel'arabo ha tante parole per pietra, cammello, spada, serpen-te (cose fra le quali vive), la lingua di Ceylon, in armoniacon le inclinazioni degli abitanti, è infarcita di adulazioni,titoli, ampollosità lessicali. Per la parola «donna» dispone diuna dozzina di nomi a seconda della casta e del rango, lad-dove noi rudi Tedeschi in questo caso, per esempio, siamocostretti a mutuare vocaboli dai nostri vicini. A secondadella casta e del rango, il «tu» e il «voi» si rendono in ottodiverse maniere, e questo vale per l'operaio come per il cor-tigiano: la farragine è la forma stessa della lingua. In Siam cisono otto diversi modi per dire «io» e «noi», a seconda cheil padrone parli al servo o il servo al padrone. La lingua degliaborigeni dei Caraibi può dirsi sdoppiata: quella delle donnee quella degli uomini, e son chiamate in due modi diversi an-che le cose più comuni, come letto, luna, sole, arco: si imma-gini che profluvio di sinonimi. E, tuttavia, queste stesse po-polazioni caraibiche hanno per i colori solo quattro vocabo-li, ai quali devono rapportare tutti gli altri: quale penuria!Gli Uroni hanno sempre un doppio verbo per le cose anima-te o inanimate, cosicché «vedere» nelle locuzioni «vedereuna pietra» e «vedere un uomo» si esprime in due manierediverse; si ripeta ciò per tutto quanto esiste in natura e siconsideri quale abbondanza ne scaturisce. «Servirsi dei pro-pri beni» e «servirsi dei beni del proprio interlocutore» siesprime sempre con due diversi vocaboli: una vera e propriaricchezza! Nel principale idioma peruviano, i due sessi si di-stinguono in maniera così insolita che la sorella del fratelloe la sorella della sorella si chiamano in modo affatto diverso,e così il figlio del padre e il figlio della madre: eppure, pro-prio in quella lingua manca un vero plurale. Ognuna di que-ste sinonimie è la diretta conseguenza del carattere, dei co-stumi, dell'origine di un popolo: dappertutto, comunque, siindividua lo spirito inventivo dell'uomo.

Terze capitolo

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> Ancora un nuovo canone:IV. «Così come l'anima umana non ha memoria di alcu-

na astrazione proveniente dal regno degli spiriti, a cui essanon sia arrivata grazie a occasioni e a stimoli forniti daisensi così nessuna lingua possiede termini astratti ai qualinon sia pervenuta grazie al suono e alla sensibilità tattile.

. E quanto più originaria è la lingua, tante meno sono leastrazioni, tanti più i sentimenti».

In questo campo sconfinato devo, ancora una volta, li-mitarmi a un florilegio.

La struttura stessa delle lingue orientali dimostra chetutti i loro termini astratti provengono da esperienze con-crete: lo spirito era vento, soffio, tempesta notturna; sacrosignificava separato, solitario; l'anima si chiamava respiro;l'ira il fremere delle narici e così di seguito. I concetti piùgenerali, perciò, furono adattati alla lingua solo successiva-mente usando l'astrazione, l'ingegno, la fantasia, la compa-razione, l'analogia ecc., ma nessuno di essi giace nel grem-bo più profondo della lingua.

Presso tutti i popoli primitivi, a misura della loro cultu-ra, avviene la stessa cosa. Nell'idioma di Barantola" nonsi è potuta trovare la parola «sacro», né la parola «spirito»in quello degli Ottentotti. Missionari di tutte le parti delmondo lamentano la difficoltà di trasmettere agli indigenii concetti cristiani nelle lingue locali, eppure i loro messag-gi certo non sono mai dogmi scolastici, ma soltanto concet-ti comuni alla portata di ogni intelligenza. Basta leggere acaso in traduzione qualche saggio della predicazione fra gliindigeni, anche nelle sole lingue europee incolte come illappone, il finnico, Festone, e consultare grammatiche elessici di queste popolazioni per rendersi conto delle diffi-coltà.

E chi non crede ai missionari legga i filosofi. De la Con-damine in Perù e sul Rio delle Amazzoni, Maupertuis inLapponia" e così via. Tempo, durata, spazio, sostanza,materia, corpo, virtù, giustizia, libertà riconoscenza: sono,

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98 fado blleonsone del Iseguaggio

queste, parole che non esistono sulle labbra dei Peruvianiladdove, proprio con la loro intelligenza, essi rivelano spes-so di ragionare secondo tali concetti e con le loro azioni at-testano di possedere quelle virtù. Fintanto che non riusci-ranno a rendere distinta l'idea tacendone un contrassegno,nemmeno avranno la relativa parola.

Il momento dell'introduzione di tali parole nella linguasvela la loro origine. Il linguaggio ecclesiastico della nazio-ne russa è essenzialmente greco; i concetti cristiani deiLettoni sono vocaboli tedeschi o concetti mutuati dal tede-sco. Il Messicano che voglia rappresentare la sua idea delpovero peccatore lo dipinge genuflesso nell'atto di confes-sarsi, quella della Trinità come tre volti raggianti. Sononote le vie per le quali la maggior parte delle astrazioni èpenetrata nel nostro linguaggio scientifico, nella teologia,nella giurisprudenza, nella filosofia e in altre discipline. Enoto quanto spesso filosofi scolastici e polemisti non dispo-nessero per le loro dispute nemmeno dei vocaboli nellapropria lingua e fossero, quindi, costretti a prendere a pre-stito l'arma della contesa (ipostasi e sostanza, ó ttooúatos etit.totobatos) n da quelle lingue nelle quali quei concettierano già astratti e quell'arma ben affilata. Tutta la nostrapsicologia, sebbene perfezionata e definita, non ha nem-meno un termine specifico.

E questo è tanto vero che perfino entusiasti' e misticinon sanno distinguere i loro nuovi arcani naturali, celesti einfernali se non per mezzo di immagini e rappresentazionisensuose. Swedenborg non seppe presentire tutti i suoi an-geli e spiriti se non ricorrendo ai cinque sensi; il sublimeKlopstock, che ne impersona l'antitesi più notevole, co-struì il cielo e la terra servendosi soltanto di materialiconcreti"! Il negro ha sentore dei suoi dei che fa calaredalla cima degli alberi, e il Chingulese' arriva a percepireil suo demonio a furia di ascoltare il crepitio dei boschi.Ho ripercorso lentamente alcuni di questi iirocessi di astra-....ziorrq presso popoli diversi, in lingue diverse, e mi sono

Terzo capitelo 99

reso conto di singOlarissimi stratagemmi ,inventivi dellospirito umano. É un argomento fin troppo vasto, ma ilprincipio è sempre lo stesso. Quando il primitivo attribui-sce a qualcosa uno spirito, è indispensabile che esista l'og-getto concreto dal quale egli lo possa, per astrazione, rica-vare. L'astrazione ha, però, modi, gradi e metodi propriassai eterogenei. L'esempio più comune del fatto che nes-suna nazione ha, nel proprio idioma, più vocaboli o voca-boli diversi da quelli che è riuscita ad astrarre, costituitodai numeri, astrazioni indubbiamente molto semplici. Lamaggioranza dei primitivi, per ricchi, nobili ed evoluti chesiano i loro idiomi, ne ha pochissimi, mai più di quantigliene occorrano. I Fenici, essendo dediti al commercio, in-ventarono per primi l'aritmetica; il pastore, nel riscontrareil numero delle pecore, impara anche a contare; i popolicacciatori, mai avendo commerci numerosi, non sanno de-finire numericamente un esercito se non paragonandolo aicapelli del capo: chi mai può contarli e chi, se non ha maicontato fino a quel punto, avrà i vocaboli corrispondenti?

Come si può, dunque, distogliere lo sguardo da tuttequeste tracce di uno spirito irrequieto che forgia il linguag-gio e cercare l'origine di questo fra le nuvole? C'è forse latestimonianza di una sola parola che solo un dio potrebbeavere inventato? Esiste, in una qualsiasi lingua, anche unsolo concetto puro generale che sia calato all'uomo dal cie-lo? o ne esiste se non altro la possibilità*? Centomila, inve-ce, sono le ragioni, le analogie, le prove della genesi del lin-guaggio nell'anima umana, in armonia con i sensi e i modidi vedere dell'uomo, e altrettante le prove del progressoparallelo di linguaggio e ragione e dell'evolversi dell'una inforza dell'altro, fra tutti i popoli, a tutte le latitudini e in

* La migliore tranazione che conosco sull'argomento è di uno studiosoinglese: Things divine and supematural concemed by analogy with tbìngs nataraf and buman, Lond. 1755- By the author of Me procedure, exteet and lintitsaf human undentandmg9,

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100 Saggio sull'origine del linguaggio

tutte le circostanze. Quale orecchio sarà così duro da nonintendere questa voce universale delle nazioni?

Eppure Vedo con stupore che SilBmilch si incontra dinuovo con me e rintraccia un ordine divino su quella stessastrada dove io lo scopro umano per eccellenza*. Il fattoche «fino a oggi non sia stata scoperta nemmeno una lin-gua del tutto inadeguata alle arti e alle scienze» prova sol-tanto come nessuna lingua sia bestiale e tutte, invece, uma-

ne. Non avere mai scoperto un uomo del tutto negato perle arti e per le scienze sarebbe un fatto degno di meravigliae non invece il più ovvio, giacché si tratta di un uomo?«Tutti i missionari sono riusciti a conversare con le popola-zioni più selvagge e a convincerle cosa che non poteva av-venire senza l'ausilio di argomentazioni conclusive e diprincipi: dunque, i loro idiomi dovevano contenere terminiabstracti ecc.». Quand'anche fosse, si tratterebbe di un di-segno divino? O non piuttosto di umanissima cosa: ricava-re per astrazione le parole quando servivano? Chiediamociquale popolo abbia mai avuto nel suo linguaggio anche unasola astrazione che non fosse propria conquista, e se similiconquiste siano poi egualmente numerose presso tutte lepopolazioni; chiediamoci se i missionari potessero dapper-tutto esprimersi con la stessa facilità, o se non è piuttostovero il contrario, come riportano da tutte le parti del mon-do. Per esprimersi, allora, essi dovettero adattare i nuovicontenuti alla lingua piegandoli ai procedimenti analogicidi questa, né si può sostenere che ciò avvenisse dappertut-to alla stessa maniera.

E, questo, un fatto sul quale ci sarebbe moltissimo dadire, per arrivare a una conclusione assolutamente oppo-sta. Proprio perché la ragione umana non può esistere sen-za astrazione, e nessuna astrazione si compie senza il lin-guaggio, anche il linguaggio di ogni popolo deve necessa-riamente contenere astrazioni, vale a dire deve essere uncalco di quella ragione della quale è stato strumento. Macosì come ogni lingua contiene soltanto quelle astrazioni

Terzo capitolo

101

che il popolo ha saputo produrre e nemmeno una che siastata prodotta al di fuori dei sensi, come la sua originariaespressione concreta dimostra, così un ordine divino non èravvisabile, se non nel fatto che il linguaggio è assolutamenteumano.

V. Finalmente: «Ogni grammatica altro non essendo cheuna filosofia del linguaggio e un metodo dell'uso di esso,quanto più primitiva è una lingua, tanto meno grammaticadovrà avere, e la lingua primigenia sarà semplicemente ilpredetto vocabolario della natura». Estrapolo alcuni diquesti sviluppi graduali.

Declinazione e coniugazione non sono altro che sche-mi e regolamenti circa l'uso di nomi e verbi a seconda delnumero, del tempo, del modo e della persona. Quindi,quanto più una lingua è rozza, tanto più essa sarà anomalarispetto a queste norme, e ogni suo passo rifletterà il corsodell'umana ragione. Prima di affinarsi con l'uso essa èsemplice nomenclatura.

Come in ogni lingua i verba esistono prima dei nominaricavati da essi per astrazione, così in origine si sono datetante più coniugazioni quanto minore era la capacità di subor-dinare i concetti. Moltissime ne hanno gli Orientali, ma difatto non ne hanno nessuna, tanti continuano a essere itrapianti e i radicali cambiamenti di verbi da una coniuga-zione all'altra. La cosa è perfettamente naturale. Nulla in-teressa e, almeno linguisticamente, tocca tanto l'uomoquanto ciò che deve raccontare: fatti, azioni, circostanze.Ecco dunque che in origine dovette accumularsi una tal co-pia di fatti e avvenimenti che quasi per ogni situazionenuova si formò un nuovo verbo «Nella lingua degli Uranitutto si coniuga. Un'arte rimasta impenetrabile consente didistinguere in essa fra verbi, sostantivi, pronomi e avverbi.I verbi semplici hanno una doppia coniugazione, una in-trinseca ed una in relazione ad altre cose. Le terze personehanno i due generi. Per quanto riguarda i tempora, vi sirintracciano le stesse sottili sfumature osservabili, per

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102 SIIPZIO s dorigent del linguaggrn terzo eapatdu 103

esempio, nel greco. Già solo a voler fare il resoconto di unviaggio ci si deve esprimere in un modo diverso, a secondache sia stato fatto per mare o per terra. Gli attiva si molti-plicano per tutti gli oggetti che subiscono l'azione; il voca-bolo "mangiare" varia a seconda della cosa che si mangia;l'azione di una cosa animata si esprime diversamente daquella di una cosa inanimata; servirsi dei propri beni o diquelli dell'interlocutore dà luogo a due espressioni distinte,e così via». Si consideri questa miriade di verbi, modi,tempi, persone, stati, generi ecc. e quale sforzo e abilità ri-chieda una loro classificazione almeno approssimativa perricavare da quel che era tutto vocabolario una sia pur rudi-mentale grammatica! La grammatica dell'idioma brasilianodei Topinamba compilata da padre Lery" presenta esatta-mente lo stesso quadro. E, infatti, se il primo vocabolariodell'animo umano era stata da vivente epopeaclella natura at-tiva e risanante, la prima grammatica non fu quasi altro che iltentativo jilosi1s ico. di trasformare quota epopea in unalstoriapiù sistematica.Essa si affaticò dunque su mille verbi, lavo-randò in un caos che — riserva inesauribile per la poesia e,una volta ordinato, preziosissimo per la determinazionedella storia — non sarà utilizzabile che tardissimo per as-siomi e dimostrazioni.

3. La parola che immediatamente seguiva il suono dellanatura, imitandolo, seguiva qualcosa di già passato: i prete-riti sono dunque le radici dei verbi, ma preteriti che sembra-no valere ancora per il presente. Il fatto, a priori, è stranoe inspiegabile, considerato che il presente dovrebbe essereil primo tempo, come del resto è diventato in tutte le lin-gue più tarde; ma, stando alla storia dell'invenzione dellinguaggio, non poteva essere diversamente. Il_presente losi indica, il passato bisogna invece narrarlo. Ora, poiché losi poteva narrare in tanti modi e, inizialmente, spinti dalbisogno di trovar parole, si era costretti a farlo in moltepli-ci maniere, così in tutte le lingue arcaiche si formaronotanti preteriti, ma un solo presente o addirittura nessuno:

fatto, questo, di cui nelle età culte molto si è giovata l'artepoetica e la storia, ben poco invece la filosofia, nemica diogni riserva che risulti d'intralcio. E qui, di nuovo, Uroni,Brasiliani, popoli orientali e Greci sono alla pari: dapper-tutto orme dello spirito umano in marcia.

Tutte le lingue filosofiche moderne hanno modificatopiù sottilmente il nome e meno, ma più metodicamente, ilverbo. Il linguaggio, infatti, crescendo diventava sempre !,più contemplazione distaccata delle cose esistenti o esisti-te, invece di rimanere un miscuglio informe e instabile diciò che presumubilmente era stato. Ci si avvezzò a esporrele cose nella loro successione e, dunque, a determinarle colnumero, l'articolo, il caso ecc I primi inventori volevanodire tutto simultaneamente: non soltanto il fatto, ma ancheil suo autore, il dove e il quando, il come era accaduto. Neinomi, quindi, introducevano subito lo stato; in ogni perso-na del verbo anche il genere; subito si poteva distinguere— grazie a preformativi e afformativi, affissi e suffissi —il verbo dall'avverbio, il verbo dal nome; e tutto finì permescolarsi. Col volger del tempo, distinzioni ed enumera-zioni aumentarono: dalle aspirate derivarono gli articoli,dai suffissi le persone, dai prefissi i modi e gli avverbi. Leparti del discorso si smembrarono: gradualmente si forma-va ora la grammatica. Così, questa tecnica del discorso,questa filosofia del linguaggio si è venuta configurando sol-tanto lentamente, passo a passo, nel volgere dei secoli e deitempi. E la prima mente che ha pensato a una vera filoso-fia della grammatica, alla «tecnica del discorso», primadeve senz'altro aver rimeditato la storia di essa attraversogenti e fasi successive. Se solamente fossimo in possesso diuna tale storia: con tutti i suoi progressi, i suoi scarti, essacostituirebbe una mappa dell'umanità del linguaggio!

Ma come ha potuto sussistere una lingua affatto priva

" Nella sua ipotesi, Rousseau ha intuito questa principio che io qui preci-so e dimostro".

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101 Saggio sull'origine del linguaggio lino capitolo

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di grammatica? Un grossolano amalgama di immagini esensazioni, prive di rapporto e determinazione? A garanti-re questi ultimi bastava la lingua viva. Allora era la grandearmonia dei gesti a dare, per così dire, ritmo al discorso, a in-dicare a quale sfera era destinato; mentre la grande ricchezzadi determinazioni insita nello stesso lessico sostituiva la tecni-ca grammaticale. Si osservi l'antica scrittura dei Messicani:essi dipingono una quantità di figure singole e, nel caso diidee che non cadano sotto i sensi, hanno convenuto di usa-re certe linee il cui nesso con il resto è affidato all'universoda cui l'idea proviene e dal quale viene divinata. Quest'ar-te mantica, arte del divinare un contesto da singoli indizi,ormai, purtroppo, sanno esercitarla appieno solo alcuni in-dividui sordi e muti. Qualora, invece, essa faccia parte in-tegrante della lingua, e come lingua venga appresa dall'a-dolescenza in poi; qualora, con una tradizione di genera-zioni, sia diventata sempre più semplice e sicura, non viscorgo nulla di incomprensibile. Ma col semplificarsi essava declinando sempre più, mentre la grammatica aumenta:questo è il graduale percorso dello spirito umano.

Ne abbiamo testimonianza, fra l'altro, nelle notizie di laLoubère sulla lingua siamese, ancora così simile nel mododi coordinare a quelle orientali, specialmente prima che,mediante una cultura successiva, in essa entrasse una piùsolida sintassi. Il Siamese vuole dire «se fossi in Siam sareifelice» e dice: «se io essere città Siam, io molto bene cuo-re»; vuole recitare il Padre Nostro ed è costretto a dire:«Padre a noi essere cielo, nome di Dio voler santificare inogni luogo ecc.». Un modo di esprimersi orientale e arcai-co, organizzato esattamente come una pittografia messica-na o come il balbettio in lingua straniera di un princi-piante.

G. A questo punto devo ancora chiarire una particolaritàche anche nell'ordinamento divino teorizzato da SiiBmilchvedo fraintesa, vale a dire «la molteplicità dei significati diun vocabolo a seconda di piccole modifiche di articolazio-

ne», artificio, questo, che si ritrova presso quasi tutti i pri-mitivi e che, infatti, citano fra gli altri Garcilaso de Vegaper i Peruviani, Condamine per i Brasiliani, la Loubère peri Siamesi, Resnel" per i Nordamericani. Lo si ritrovaugualmente nelle lingue antiche, per esempio nella cinese enelle orientali, massimamente in quella ebraica dove unsuono impercettibile, un accento, un'aspirazione può mo-dificare l'intero significato. Eppure, in questo stratagem-ma non vedo altro che qualcosa di molto umano: la penuriaaccoppiata alla convenienza degli inventori i quali, quandoavevano bisogno di un nuovo termine, per non stare a lam-biccarsi inutilmente il cervello, ne prendevano uno affinemodificandolo forse appena con un'aspirazione. Si trattava diuna legge del minimo dispendio" che inizialmente, datol'intessersi dei loro sentimenti, per essi risultava naturalis-sima e, data la loro pronunzia più marcata, anche piuttostocomoda. Per uno straniero, invece, che non vi abbia fattol'orecchio fin dalla giovinezza e al quale, adesso, questalingua venga quasi sibilata flemmaticamente a mezza boc-ca, quella legge del minimo dispendio e della necessità ren-de il discorso inafferrabile e impronunciabile. Quanto piùsarà una sana grammatica a governare le lingue, tantomeno sarà necessaria tanta parsimonia. Anche questo, allo-ra, è tutt'altro che un sintomo dell'inventiva divina, vistoche l'inventore doveva cavarsela davvero piuttosto maleper ricorrere a simili espedienti.

7. Il progredire del linguaggio grazie alla ragione e dellaragione grazie al linguaggio risulta infine più evidente chemai quando quest'ultimo abbia già fatto qualche passo avan-ti: quando, cioè, già esistano in esso opere d'arte quali ipoemi; quando la scrittura sia ormai inventata; quando,uno dopo l'altro, si siano formati i diversi stili letterari. Aquesto punto non si può più muovere un passo, coniareuna nuova parola, mettere in circolazione un'altra formaben riuscita che non rechino l'impronta dell'anima umana.Allora, attraverso i componimenti poetici, nella lingua han-

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faggio 'di origine ad linguaggio ieri° capitolo

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no accesso la metrica, la scelta dei vocaboli e delle coloritu-re più efficaci, la simmetria e l'estrosità delle immagini; at-traverso la storia, la distinzione fra i tempi, l'esattezza del-l'espressione e, finalmente, attraverso l'oratoria, vi entra lapiena rotondità del periodo. Ora, siccome prima di ciascu-no di questi apporti nulla di simile esisteva nella lingua, matutto vi fu immesso e fu possibile immettervi attraversol'anima umana, dove si vorranno porre i limiti di questa fe-conda produzione? A che punto si dirà che di h, e non pri-ma, l'anima dell'uomo ha cominciato a operare? Se ha sa-puto ideare le cose più raffinate e più, difficili, perché mainon quelle più facili? Se ha saputo portare le cose a compi-mento, perché non avrebbe saputo sperimentare, dare ini-zio? E quale altro mai fu l'avvio se non la produzione diuna singola parola quale segno della ragione? E questo, nelsuo intimo, l'anima ha dovuto farlo, ancorché cieca emuta, come è vero che possedeva la ragione.

Con quel che ho detto presumo di aver dimostrato chel'invenzione del linguaggio umano è possibile muovendodall'interno (l'anima umana) e dall'esterno, l'organizzazionedell'uomo e l'analogia fra tutte le lingue e tutti i popoli (ana-logia esistente sia nelle parti componenti il discorso, sia intutto il grandioso procedere del linguaggio di pari passo con laragione). Presumo di averlo dimostrato a tal punto chechiunque non neghi all'uomo la ragione o, il che equivale,almeno sappia cosa essa sia; chiunque, inoltre, abbia attesoallo studio filosofico degli elementi linguistici; infine,chiunque abbia considerato con occhio osservatore indole estoria delle lingue esistenti sulla terra non potrà più dubi-tare di questa possibilità nemmeno per un attimo, anche senon aggiungo altre parole. La genesi del linguaggio nell'a-nima umana ha l'evidenza apodittica di qualunque argo-mentazione filosofica e l'analogia esterna — esistente fratutte le epoche, le genti e i linguaggi — ha un grado diprobabilità equivalente a quello del fatto storico più certo.

Intanto — per prevenire definitivamente tutte le obiezionie perché la tesi risulti anche all'esterno accertata quantopuò esserlo una verità filosofica — mi sia concesso dimo-strare ancora, con le circostanze esterne e con tutta l'ana-logia della natura umana, come l'uomo abbia dovuto inven-tarsi il proprio linguaggio e quali siano state k condizioniperché potesse inventarlo più agevolmente.

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SECONDA PARTE

Qual è stato per l'uomoil modo più agevoleper potersi e doversi

inventare il linguaggio?

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La natura non dilapida le sue forze. Se essa, dunque,non solo ha dato all'uomo la capacità di inventare il lin-guaggio, ma di questa capacità addirittura ha fatto il suocarattere ontologico distintivo e la molla del suo orienta-mento dominante, tale forza non poteva sortirle di manoaltro che viva e non poteva essere applicata altro che allasfera in cui era destinata a operare. Ma consideriamo piùattentamente alcune circostanze e sollecitazioni che, nonappena l'uomo comparve sulla terra con l'immediata predi-sposizione a forgiarsi un linguaggio, al linguaggio lo indus-sero. Poiché tali sollecitazioni sono parecchie, le classificosotto determinate leggi fondamentali della natura e dellaspecie umana.

• ' Prima legge di natura: «L'uomo è un essere liberamente pen-sante e attivo, le cui forze agiscono in continua progressione;perciò è una creatura fatta per il linguaggio».

A considerarlo come animale nudo e privo di istinti,l'uomo è la più misera delle creature. Manca in lui qualun-que oscuro impulso ingenito che lo attiri nel suo elementoe nella sua sfera d'azione, che lo induca a sostentarsi e a la-vorare. Mancano in lui l'odorato e il fiuto per trascinarloverso le piante che potrebbero appagare la sua fame, comegli manca un maestro che in modo cieco e meccanico co-struisca per lui un nido. Debole e soccombente, espostoalla furia degli elementi, alla fame, a tutti i pericoli, agli ar-

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i13 Saggio 511dOrigint del linguaggio Seconda parte k leggi di natura 113

tigli delle bestie più forti, a una morte dai mille volti, ecco-lo: tutto solo, privo dell'insegnamento diretto della sua ge-nitrice, della guida sicura della sua mano, smarrito, dun-que, in tutti i sensi.

Eppure, per quanto efficacemente dipinto, questo non èil vero ritratto dell'uomo, ma soltanto un suo aspetto su-perficiale, per giunta posto sotto falsa luce. Se intelletto esensatezza sono dote naturale della sua specie, tale dotedeve essersi estrinsecata non appena si manifestò quantofosse debole la sua facoltà sensitiva e quanto fossero peno-se le sue deficienze. La stessa povera creatura priva diistinti che dalle mani della natura usciva così sprovvedutaera pure, fin dal primo istante, la creatura autonoma e in-telligente che doveva destreggiarsi da sola, come megliopoteva. Tutte le carenze e i bisogni che aveva come anima-le costituirono altrettanti pressanti motivi per mostrarsicon tutte le sue energie come uomo. Né queste energieumane erano soltanto pallidi surrogati di ben maggiori per-fezioni animali a lui negate, come pretende una certa nuo-va filosofia grande patrona degli animali, ma invece, senzapossibilità di confronto, senza alcuna vera valutazionecomparativa, erano la sua stessa natura! Il suo centro digravità, l'orientamento dominante delle sue operazioni psi-chiche coincideva, dunque, con questa intelligenza, conquesta sensatezza umana, come per l'ape coincide con leazioni del suggere e del costruire.

Se ormai è provato che nemmeno la minima azione del-l'intelletto poteva darsi senza un vocabolo distintivo, vuoldire che l'attimo stesso in cui sorse la coscienza segnò la com-parsa interiore del linguaggio.— Gli si lasci tempo a volontà per questo primo distintoatto di coscienza. Alla maniera di Buffon, ma con un at-teggiamento più filosofico del suo, si conceda a questacreatura appena fatta di concentrarsi a grado a grado: nonsi dimentichi, tuttavia, che fin dal primo momento non siè destato all'universo un bruto, bensì un uomo; una crea-

tura, seppure non ancora dotata di coscienza, di certo giàcapace di sensatezza, e non un grosso automa goffo e pe-sante che dovrebbe muoversi ma non può perché impac-ciato dalle membra rigide, dovrebbe vedere, ascoltare, as-saporare, ma nulla può di tutto questo per gli umori sta-gnanti negli occhi, l'orecchio indurito, la lingua pietrifica-ta. Chi avanza dubbi di tal natura dovrebbe invece consi-derare che quest'uomo è uscito non dalla caverna diPlatone', non da un tetro carcere dove fin dal primo atti-mo di vita e per anni e anni abbia languito al buio e nel-l'immobilità, cieco con gli occhi aperti, storpio con lemembra sane. Invece è uscito dalle mani della natura nelpieno vigore delle sue energie vitali, già con la predisposi-zione ideale, fin dal primo istante, a svilupparsi. Ai primiMomenti di concentrazione deve, indubbiamente, averpresieduto la provvidenza creatrice, ma non è certo compi-to della filosofia spiegare l'elemento miracoloso di tali mo-menti, come del resto essa non può spiegare la stessa crea-zione dell'uomo. La filosofia lo accoglie nella prima fasedella sua libera attività, nel primo pieno sentimento dellapropria vigoria e, dunque, spiega quei momenti soltantosul piano umano.

Posso ora riprendere il discorso precedente. Poiché inquesto caso non si verifica alcuna scissione metafisica fra isensi, poiché è tutta la macchina che sente e, subito, dal-l'oscura sensibilità tattile laboriosamente risale alla co-scienza, poiché questo momento, la percezione del primoinconfondibile carattere distintivo, interessa proprio l'udi-to, senso mediano fra la vista e il tatto, allora: la genesi dellinguaggio risulta un impulso interiore analogo all'impulsoalla nascita dell'embrione nell'istante in cui è maturo. Tuttala natura attacca l'uomo per liberarne le forze e i sensi finoa farne un essere umano. E come da questa situazioneprende le mosse il linguaggio, così: tutta la concatenazionedelle situazioni nell'anima umana è tale che ognuna di esseperfeziona il linguaggio.

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Saggio suldongane del linguaggio

Questa grande legge dell'ordine naturale intendo, ora, il-lustrarla.

Gli animali collegano i loro pensieri in maniera oscura ochiara, mai però distinta. Indubbiamente, le specie all'uo-mo più vicine per tipo di vita e struttura nervosa, come glianimali di campagna, dimostrano spesso una grande memo-ria, una grande capacità di ricordare, talora anche più tena-ce di quella dell'uomo. Tuttavia, si tratta pur sempre diuna memoria organica, e nessun animale ha mai dimostratoquesta memoria mediante un atto che gli abbia consentitodi migliorare la propria condizione a vantaggio di tutta lasua specie e di generalizzare le proprie esperienze per po-terle utilizzare in seguito. Il cane è senz'altro in grado diriconoscere i gesti di chi lo ha battuto, la volpe è capace dievitare il luogo insidioso della trappola, ma nessuno deidue sa trarre da ciò una considerazione generale su comeschivare per sempre quei gesti minacciosi e l'astuzia deicacciatori. Essi, dunque, sono rimasti legati al singolo casoconcreto e la loro memoria è diventata una sequela di simi-li casi concreti che si producono e riproducono, mai peròcoordinati dalla riflessione. Resta una varietà di casi neiquali non si ravvisa alcuna unità, un sogno fatto di imma-gini molto concrete, nitide e vivaci, alle quali, manca peròil fondamentale principio ordinatore proprio della lucidaveglia.

Certo, una gran diversità tra tali generi e specie animalipermane. Quanto più la sfera è ristretta, quanto più sensie impulsi sono forti, quanto più omogenea è la capacitàtecnica e l'attività richiesta dalla sopravvivenza, tantomeno risulta apprezzablie, almeno per parte nostra, l'im-percettibile avanzamento dovuto all'esperienza. Nella suainfanzia l'ape costruisce come quando è ormai vecchia, ealla fine dei tempi costruirà come all'alba della creazione.Creature siffatte sono sprazzi isolati, vivide scintille dellafulgida perfezione divina che tuttavia brillano sporadica-mente. La volpe più esperta, invece, già si distingue netta-

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mente nella caccia da quella alle prime armi. Conosce in an-ticipo molti tranelli e si studia di eluderli; ma da che cosa liriconosce e come cerca di eluderli? Proprio con l'esperienzadiretta fatta in precedenza e perché da tale esperienza im-mediatamente è scaturita la norma per l'azione stessa. Innessun caso mai opera la lucida riflessione, tant'è vero chele volpi più scaltre continuano ancor oggi a esser prese intrappola come fu presa la prima volpe dal primo cacciatore.E innegabile che nell'uomo una diversa legge naturale governala successione delle idee: la sensatezza ed essa governa persi-no nello stadio più sensuoso, sebbene in modo meno rile-vante. Creatura all'oscuro di tutto quanto viene al mondo,l'uomo diventa subito un alunno della natura diverso daogni altro animale. Non soltanto ogni giornata ammaestra lasuccessiva, ma ogni singolo minuto quello seguente, ognipensiero un altro ancora. Essenziale, per la sua anima, èl'accorgimento di non apprendere nulla solo per il momentopresente, ma di disporre invece tutto in linea con le acquisi-zioni precedenti oppure in vista di quelle che intende con-nettervi in futuro. Essa, dunque, calcola la riserva accumu-lata o che pensa di accumulare, diventando così una costan-te energia accumulatrice. Una tale catena prosegue fino allamorte: mai, per così dire, l'uomo è compiuto, ma sempre incorso di sviluppo, di progresso, di perfezionamento. Un'at-tività assume spicco in virtù dell'altra una si fonda sull'al-tra, una si dispiega dall'altra. Si avvicendano epoche ed etàche noi denominiamo unicamente in base al loro grado di ri-levanza e che, tuttavia, poiché l'uomo non percepisce mai ilmodo in cui cresce ma soltanto il modo in cui è cresciuto, sipossono suddividere nell'infinitesimale. Noi, per quantovecchi possiamo essere, stiamo sempre uscendo da una in-fanzia, siamo sempre in cammino, inquieti, insoddisfatti:essenziale nella nostra vita non è mai l'appagamento, ma laprogressione continua, e non saremo mai stati uomini se pri-ma non avremo vissuto fino alla fine, laddove l'ape è ape giàquando costruisce la sua prima cella.

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faggio sull'origine del linguaggio

Questa legge del perfezionamento, della progressionemediante la sensatezza, certo non ha operato in tutti i tem-pi con la stessa incisività, ma non si obietterà che quel cheè meno evidente nemmeno esista! Nel sognare, nel fanta-sticare, l'uomo non pensa con l'ordine e la lucidità dellaveglia e nondimeno continua a pensare come uomo, siapure in una situazione intermedia, mai però come un verobruto. Nella persona normale i sogni devono connettersisecondo - una regola, proprio come i pensieri della veglia,soltanto che non potrà essere la stessa regola, ovvero nonpotrà avere un effetto altrettanto univoco. Anche questeeccezioni, dunque, provano la validità della legge fonda-mentale, la quale è, poi, ulteriormente confermata dallemalattie conclamate e dagli stati patologici come i deliqui,gli accessi di follia e simili. Non ogni operazione dell'animaè immediata conseguenza della coscienza, tutte però losono della sensatezza, e nessuna potrebbe manifestarsi,così come adesso accade nell'uomo, se l'uomo non fosseuomo e non pensasse secondo i dettami di una tale leggenaturale.

Se dunque è vero che il primo stato di coscienza dell'uo-mo non si è potuto realizzare senza la parola dell'anima, èaltrettanto vero che in lui tutti gli stati di sensatezza divente-ranno linguistici e la concatenazione di pensieri diventerà unaconcatenazione di parole.

Non intendo dire con questo che l'uomo potrebbe tra-durre in parole ogni più oscura sensazione della coscienza,o provarla solamente per mezzo delle parole. Affermare ciòsarebbe assurdo, dal momento che è stato dimostrato pro-prio il contrario. Ciò che si sente solo oscuramente non èper noi traducibile in parola, giacché non è traducibile inchiaro contrassegno. La base dell'umanità dunque, se par-liamo di linguaggio volontario, resta inesprimibile. Ma labase non rappresenta certo l'intera figura, né il piedistallol'intera statua. E l'uomo è forse, per sua natura, soltantoun'ostrica dai sensi ottusi? E allora, seguiamo tutto il filo

Seconda parte: le leggi di natura

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dei suoi pensieri: poiché egli è intessuto di sensatezza; poi-ché in lui non si scorge alcuna situazione che, considerataglobalmente, non sia essa stessa coscienza o almeno nonpossa essere spiegata al lume della coscienza; poiché in lui

',non predomina la sensibilità tattile, anzi il fulcro della suanatura coincide con i sensi più nobili della vista e dell'udi-to che incessantemente gli forniscono parole, se ne deduceche, considerando la cosa globalmente, non esiste stato del-l'anima umana che non sia suscettibile di parole o che effetti-vamente non venga definito mediante parole dell'anima.

Solo un fanatico ottenebrato, solo un bruto solo un vi-sionario fuori dal mondo o una monade delirante potrebbe-ro pensare assolutamente senza parole. E nell'anima uma-na, come noi stessi constatiamo nei sogni o nei casi di paz-zia, simili stati non sono possibili. Per quanto suoni para-dossale, pure è la verità: l'uomo sente con l'intelletto eparla in quanto pensa. Siccome, poi, egli continua semprea pensare così e, come abbiamo visto, nella quiete coordinaogni pensiero al precedente e al successivo, è inevitabileche ogni stato, così concatenato mediante la riflessione, lo in-duca a pensare meglio e insieme a parlare meglio. Concedete-gli l'uso incondizionato dei sensi: poiché il fulcro di taleuso coincide con la vista e l'udito — perché la prima gli dàil contrassegno e il secondo il suono per quel contrassegno— l'uso sempre più spedito e sapiente di questi sensi per-fezionerà il suo linguaggio. Concedetegli l'uso incondizio-nato delle sue energie psichiche: poiché il fulcro del lorouso coincide con la sensatezza, e quindi include il linguag-gio, l'uso sempre più spedito e sapiente della sensatezza ar-ricchirà il suo linguaggio. Di conseguenza, per l'uomo losviluppo del linguaggio diventa naturale quanto la sua stessanatura.

Chi può conoscere, allora, la vera portata delle forze del-l'anima umana, soprattutto quando si dispiegano nel massi-mo sforzo contro avversità e pericoli? Chi può vagliare l'al-to grado di perfezione che essa può raggiungere attraverso

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118 Saggio ull origine del linguaggio Seconda parte: le leggi di natura 119

un costante avanzamento, profondamente complesso emultiforme? Dal momento che tutto si riversa nel linguag-gio, è già considerevole quel che anche un solo individuodeve tesaurizzare per la lingua! Se perfino la creatura ciecae muta nella sua isola deserta si era vista costretta a crearsiuno sparuto vocabolario, quanto più dovrà accumularel'uomo, discepolo dei sensi tutti e dell'universo intero!Che cosa deve mangiare? Sensi, fiuto, intuito per le erbebuone o repulsione per quelle nocive la natura a lui non liha concessi. Perciò deve provare, assaggiare e, come fannogli Europei in America, imparare dalle bestie ciò che ècommestibile: in tal modo, dunque, radunerà le caratteri-stiche delle erbe e con esse le parole. Non ha la forza suffi-ciente per affrontare il leone: se ne stia dunque alla largada esso, lo distingua a distanza dal ruggito e, per poterloevitare con la prudenza propria dell'uomo, impari a ricono-scerlo immediatamente come centinaia di altri animali pe-ricolosi e impari, dunque, a denominarli. In tal modo, ac-quisendo esperienze sempre più numerose, imparando aconoscere nuove cose sotto vari aspetti, la sua lingua si ar-ricchirà sempre più. Quanto più spesso egli si imbatte inqueste esperienze e ne richiama alla mente i segni distinti-vi, tanto più sicura e spedita diventa la sua lingua. Quantopiù egli distingue e classifica, tanto più essa si fa sistemati-ca. E tutto ciò protratto per anni, nel corso di un'esistenzavivace, con incessanti mutamenti, in perpetua lotta controgli ostacoli e la necessità, con il continuo rinnovarsi deglioggetti: può forse dirsi di poco momento l'esordio del lin-guaggio? Eppure, si badi bene, si tratta appena della vitadi un singolo uomo!

Un individuo muto, d'intendimento pari a quello dellebestie, che non fosse in grado di formulare parole nemme-no nel suo intimo, sarebbe la creatura più infelice dell'uni-verso, la più insignificante, la più derelitta, una vera con-traddizione vivente. Pressoché solo in tutto il creato, anulla legato eppure disponibile a tutto, da nulla protetto e

men che mai da se stesso, l'uomo è destinato a soccombereovvero a dominare su tutto; col disegno di una saggezza dicui nessun altro animale è capace, è destinato a prenderelucidamente possesso di tutto ovvero a perire. Che tu sianulla o il re del creato, in virtù dell'intelletto! Possa tu an-dare in rovina o forgiarti il linguaggio! E allora, se in que-sto vortice stringente di bisogni si raccolgono tutte le ener-gie psichiche, se tutta l'umanità lotta per arrivare ad essereumana, quante cose potranno essere inventate, fatte clas-sificate!

Noi, uomini associati, tremiamo al solo pensiero di tro-varci in frangenti simili. «Guai — obiettiamo — se pertrarsi in salvo da tutto l'uomo dovesse contare sul lento,debole e inadeguato aiuto della ragione o della riflessione;tanto è cauta questa nel ponderare, tanto immediati e in-combenti sono invece bisogni e pericoli». Per quanto que-st'argomento possa senza dubbio essere impreziosito daesempi esso cozza sempre contro un fronte completamen-te diverso da quello che noi difendiamo. La nostra società,che ha messo insieme tanti uomini affinché si integrasserocon le loro stesse capacità e mansioni, è però tenuta a ri-partire fin dalla giovinezza le capacità e a dispensare le oc-casioni perché le une si formino prima delle altre. Accadràallora che per la società un individuo divenga, per cosìdire, tutto algebra, tutto raziocinio, mentre da un altroessa pretenderà esclusivamente cuore, polso e ardimento;dell'uno si avvale perché, privo di genio, è però pieno dizelo; dell'altro perché, geniale in un campo, a nulla valenegli altri. Ogni ruota motrice deve avere un proprio rap-porto e una propria posizione, altrimenti non potrà forma-re con le altre l'insieme di un'unica macchina. Questa di-stribuzione delle energie psichiche, perché tutte le altrevengono sensibilmente soffocate per poter eccellere esclusi-vamente in una, non va però trasferita alla condizione del-l'uomo primitivo. Prendete un filosofo, nato ed educatonella società civile, il quale abbia esercitato solamente la

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testa a pensare e la mano a scrivere, e, di punto in bianco,estromettetelo completamente da quella protezione e daquei conforti che la società gli fornisce in cambio dei suoiservizi univoci, in modo che egli, in un paese sconosciuto,provveda a sé, lotti contro le fiere e sia in tutto e per tuttoil nume tutelare di se stesso. In quale disagio verrà a tro-varsi, non avendo né energie né sensi adatti o almeno eser-citati a tanto! Probabilmente, nei meandri della sua astra-zione avrà smarrito l'olfatto, la vista, l'udito, il dono dellarapida inventiva e, certamente, quella sicurezza, quellaprontezza di decisione che si forgia e manifesta soltantofra i pericoli e che, per non assopirsi, ha bisogno di esseretenuta in costante e rinnovato esercizio. Se poi egli si tro-va nell'età in cui il flusso vitale delle sue energie spiritualiristagna o comincia a inaridirsi, allora sarà assolutamentetroppo tardi per pretendere che si adatti a questo ambien-te. Ma è forse questo il caso in questione? Tutti i tentativilinguistici da me citati assolutamente non erano intesicome tentativi filosofici, né le caratteristiche delle erbe ve-nivano scoperte nell'ordine in cui Linneo le ha classifica-te'. Quelle prime esperienze non sono i freddi, elucubrati,attenti esperimenti di astrazione che l'ozioso filosofo intra-prende per suo conto quando vuole spiare la natura nel suocorso segreto e non è più interessato al fatto che essa operi,bensì al modo del suo operare, modo per il quale, appunto,il primo abitante della terra aveva scarsissimo interesse. Acostui non bisognava certo stare a dimostrare quali fosserole erbe velenose, o era forse peggiore delle bestie, tanto danon saperle imitare nemmeno in questo? Ed era proprio in-dispensabile che il leone lo assalisse, per arrivare a temer-lo? La sua timidezza, alleata alla sua debolezza, la sua sen-satezza, congiunta alla sottigliezza delle sue energie psichi-che, non erano forse sufficienti a garantirgli da sole unacondizione confortevole, se la natura stessa le aveva rite-nute atte all'uopo? E, allora, giacché non abbiamo assolu-tamente bisogno di un pavido e astratto studioso da tavoli-

no per inventare la lingua, perché il rude uomo di natura,che ancora sente la sua anima e così il suo corpo come untutto unico, vale per noi più di tutte le accademie linguisti-che e certo non meno di un erudito, a che pro prendere amodello quest'ultimo'?

Oppure vogliamo vicendevolmente buttarci la sabbia ne-gli occhi per poi dimostrare che l'uomo non è in grado divedere?

E qui l'avversario da affrontare è di bel nuovo Sii-fimilch, il quale ha impiegato un intero capitolo* per dimo-strare «che l'uomo non sarebbe mai stato capace di svilup-pare il linguaggio, neanche ammesso che lo avesse inventa-to avvalendosi dell'imitazione». Che inventare il linguag-gio mediante la sola imitazione senza l'intervento dell'ani- 'ma umana sia assurdo è ormai provato. E se il sostenitoredell'origine divina fosse stato certo in maniera apoditticadell'assurdità di questo fatto, mi rifiuto di credere cheavrebbe ammassato contro l'argomento quella mole di ra-gioni di dubbia validità che ora, prese nel loro insieme,nulla provano contro l'invenzione umana del linguaggiomediante la ragione. Mi è impossibile, in questa sede, sotto-porre a un'attenta disamina l'intero capitolo, un viluppoinestricabile di postulati arbitrariamente assunti e di assio-mi infondati sull'indole della lingua. L'autore, infatti, viapparirebbe sotto una certa luce, sotto la quale non convie-ne che appaia. Ne estrapolo perciò soltanto quanto basta,vale a dire: il fatto che nelle sue obiezioni è completamentemisconosciuta la natura di un linguaggio umano e di un'ani-ma umana in continuo sviluppo.

«Se si ammette che i primi abitanti della terra ammon-tassero appena a qualche migliaio di famiglie allorché essi,avendo il lume della ragione brillato già tanto fulgidamentegrazie all'uso del linguaggio, ne capirono il valore e potero-no, quindi, cominciare a pensare di migliorare questo ma-

* Cap. 111.

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Pagato sull'ungine del linguaggio

gnifico strumento, allora...»*. Ma nessuno ammette alcun-ché di queste premesse maggiori. Bisognava aspettare mi-gliaia di generazioni per comprendere il valore del linguag-gio? Ma già il primo uomo, nel formulare il primo pensie-ro, lo aveva compreso. Bisognava aspettare migliaia di ge-nerazioni per arrivare a comprendere l'opportunità di mi-gliorare il linguaggio? Ma già il primo uomo l'aveva com-presa, quando imparando a disporre meglio i primi contras-segni, a rettificarli, distinguerli, organizzarli, miglioravaogni volta immediatamente la lingua, giacché erano coseche imparava ex novo. E in effetti, come avrebbe mai po-tuto nel corso di mille generazioni il lume dell'intellettobrillare di tale chiarezza grazie al linguaggio, se già il lin-guaggio, nel corso di quelle stesse generazioni, non fosse di-ventato chiaro? Il linguaggio sarebbe, dunque, diventatochiaro senza però migliorare, e, a monte di un processo dimiglioramento protrattosi per migliaia di generazioni, sa-rebbe stata impossibile finanche la spinta iniziale a esso?Questo è addirittura contraddittorio!

«Non bisognerebbe, allora, ritenere assolutamente indi-spensabile per questo collegio di filosofi e di filologi il sus-sidio della scrittura?». No! perché questo primo svilupponaturale, vivo, umano del linguaggio non fu affatto dovutoa un collegio di filosofi e filologi. Non si vede, infatti, qua-li migliorie potrebbe mai apportare il filosofo o il filologodalla morta quiete del suo studiolo a una lingua che vivenel pieno del suo vigore.

«Si deve allora ritenere che tutti i popoli si siano accintiall'opera di riforma del linguaggio nella stessa maniera?».Esattamente tutti alla stessa maniera, perché tutti procede-vano da uomini così che noi qui, fra i rudimenti essenzialidel linguaggio, osiamo assumerne esemplarmente uno pertutti. Ma se poi si dovesse considerare un miracolo il fatto

*Pp 81.

Seconda parte: le leggi di natura 123

che tutte le lingue abbiano otto partes orationis', ci ritro-veremmo di fronte a una falsità e a una conclusione errata.Non è vero che fin dall'inizio dei tempi tutte le lingue neabbiano sempre avute otto, quando invece una sola occhia-

A ta critica all'architettura di una lingua rivela che ognunadi queste parti si è sviluppata dall'altra. In quelle più anti-che i verbi sono comparsi prima dei nomi e, probabilmen-te, le interiezioni prima degli stessi verbi regolari; nellepiù recenti, i sostantivi e i verbi si sono formati insieme.Tuttavia, perfino a proposito del greco, Aristotele sostieneche inizialmente i verbi costituivano le uniche parti del di-scorso dalle quali solo più tardi, grazie ai grammatici, sisvilupparono le altre'. Lo stesso ho letto per la lingua de-gli Uroni, ed è innegabile per quelle orientali. Chiediamo-ci, piuttosto, quale prova di bravura sia, poi, quell'arbitra-ria e parzialmente illogica astrazione dei grammatici di di-videre il discorso in otto parti, e se si presenti con la stes-sa regolarità e la stessa impronta divina di una cella d'api.E se anche fosse così, non è perfettamente spiegabile comequalcosa che proviene dall'anima umana e che poi è risul-tata necessaria? «Che cosa avrebbe mai dovuto invogliaregli uomini a questo lavoro sommamente ingrato di riformadel linguaggio?». Non trattandosi affatto di un gravoso la-voro di elucubrazione a tavolino, e nemmeno di un'astrat-ta revisione aprioristica, per intraprenderlo non occorreva-no di certo quelle sollecitazioni che si presentano soltantoal nostro stadio di società raffinata. E, a questo punto,devo decisamente abbandonare il mio avversario! Egli ri-tiene che «i primi riformatori dovettero essere delle granbelle menti speculative che certo vedevano molto più in làe più a fondo, riguardo al linguaggio e alla sua intima co-stituzione, di quanto oggi non soglia fare la maggior partedegli studiosi». Egli crede che «quegli eruditi si videro do-vunque costretti ad ammettere che, essendo imperfetto, il

* Par. 31, 34.

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loro linguaggio non soltanto era suscettibile, ma bisognosodi migliorie». Ritiene inoltre che essi «dovettero debita-mente valutare la finalità del linguaggio* e che «la rappre-sentazione di questo bene da conseguire finì per essereconvincente, robusta ed efficace al punto da farne il mo-vente per tale improba e faticosa impresa». Insomma: ilnostro filosofo non ha osato muovere nemmeno un passoal di là delle contingenze del nostro tempo. Come preten-deva, da una tale angolazione, di poter scrivere della genesidi una lingua? Vero è che, nel nostro secolo, una linguanon avrebbe avuto né possibilità né bisogno di nascere.

Eppure, se ormai conosciamo gli uomini appartenenti aepoche, regioni e livelli culturali tanto diversi, questo im-ponente spettacolo così mutato non dovrebbe averci inse-gnato a trarre più sicure conclusioni sulla prima scena?Non sappiamo, forse, che proprio in quegli angoli della ter-ra dove ancora l'intelligenza men che altrove si è calata inuna forma elegante, civile, poliedrica, studiata, tuttora isensi, l'intuizione istintiva, la furbizia, l'impavida intra-prendenza, la passionalità, lo spirito inventivo, insommal'anima umana intatta e indivisa opera con la massima vi-vacità? E opera con la massima vivacità perché, ancora nonridotta entro norme monotone, vive sempre immersa in unturbinio di bisogni, pericoli, incalzanti necessità, e perquesto si sente sempre nuova e integra. E allora, soltantoallora l'anima umana dispiega le forze atte a creare e a svi-luppare il linguaggio! Allora essa avrà insieme sensi e istin-to in grado di avvertire appieno tutta la sonorità e tutti glialtri segnali espressi dalla natura vivente, mentre noi nonsappiamo più farlo, tanto che, quando poi la coscienza neisola uno fra tutti, saprà anche dargli un nome con una for-za interiore che noi non avremmo. Quanto meno le energiepsichiche si saranno estrinsecate, quanto meno ciascuna diesse si sarà indirizzata verso una sua specifica sfera, tantopiù forte sarà la loro efficacia globale, profondo il centrodella loro intensità; se però sciogliete questo grosso e resi-

stente fascio di frecce, a una a una potrete spezzarle tutte.Sta di fatto che una sola bacchetta magica non basta certoa compiere il miracolo del linguaggio: certo a inventarlonon basta la sola astrazione, freddo talento dei filosofi. Maera poi questo il nostro problema? Quel senso della vitanon si spingeva, forse, più in profondità? Del resto, nel co-stante confluire di tutti i sensi, al centro del quale semprevigilava il senso interiore, non si presentavano sempre nuo-vi contrassegni, nuove sistemazioni, nuove visuali, rapideargomentazioni e, quindi, arricchimenti sempre nuovi peril linguaggio? E a tal fine, dunque, a voler prescindere dal-le otto parti del discorso, l'anima umana non ricevette for-se le ispirazioni più alte fintanto che, priva ancora di tuttigli incentivi sociali, si procurava da sola ben più energiciincentivi e si addossava tutta l'attività emotiva e mentale,che per intimo impulso e per esterne esigenze doveva ad-dossarsi? Fu così che si generò il linguaggio: con lo svilup-po integrale delle umane energie.

Resta per me incomprensibile come il nostro secolo possasmarrirsi fra ombre tanto fitte, nelle cupe officine dell'arti-ficio, rifiutandosi di riconoscere, sia pure per una volta,quanto diffusa e pura sia la luce di una natura non reclusa.Le più alte imprese d'eroismo, che lo spirito umano seppecompiere ed esprimere soltanto nello scontro col mondo vi-vente, nelle polverose celle della nostra cultura sono diven-tate esercitazioni scolastiche e i capolavori sommi della poe-sia e dell'eloquenza umane sono ora giochi puerili in mano aragazzi ingrigiti e a giovanetti che da essi imparano frasi fat-te e piluccano regole. Cogliamo i loro aspetti formali e neabbiamo perduto lo spirito; impariamo i loro idiomi e piùnon sentiamo il fervido mondo dei loro pensieri. Lo stessoaccade per i nostri giudizi su quel capolavoro dello spiritoumano che è la formazione stessa del linguaggio Ecco che laspenta speculazione ci dovrebbe ora insegnare quelle coseche solo muovendo dal vivente affiato dell'universo, dallospirito della grande, operosa natura, poterono entusiasmare

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126 saggio 3ullongtne del linguaggio Seconda parte le leggi di natura

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l'uomo, spronarlo, educarlo. Ecco che le ottuse e tardivenorme dei grammatici dovrebbero diventare la somma divi-nità da noi venerata, mentre dimentichiamo la natura vera-mente divina del linguaggio che si andava modellando nelloro cuore assieme allo spirito umano, per quanto indiscipli-nata essa possa apparire. La formazione linguistica si è riti-rata all'ombra delle scuole, dalle quali essa non influisce piùsul mondo attivo. Perciò si pensa che nemmeno sia mai esi-stito un mondo luminoso, nel quale i primi artefici di lin-guaggio dovevano vivere, sentire, creare, comporre. Mi ap-pello al sentimento di coloro che non rinnegano né l'uomocon le sue più profonde energie, né quanto di forte, di pos-sente e di grande esiste negli idiomi dei selvaggi e nella stes-sa indole del linguaggio, e perciò vado avanti.

Seconda legge di natura: «L'uomo è una creatura destinata adaggregarsi e ad associarsi: lo sviluppo del linguaggio .è dunqueper lui un fatto naturale, essenziale, necessario».

La femmina dell'uomo non ha un periodo di estro comele femmine degli animali, e la capacità procreativa del ma-schio non è incontenibile come la loro; in compenso è co-stante. Se dunque cicogne e colombe hanno i loro connubi,mi chiedo perché mai non potrebbe averne, a maggior ra-gione, l'uomo.

Rispetto all'orso villoso o all'ispido istrice, l'uomo è unanimale ben più fragile, bisognoso, nudo, costretto a ripa-rarsi in caverne che, per i motivi suddetti, è naturale di-ventino caverne comuni.

L'uomo è un animale talmente delicato che in parecchielatitudini mal sopporterebbe di essere esposto all'inclemen-za delle stagioni; la femmina dell'uomo, dunque, durantela gestazione e il parto ha bisogno dell'aiuto collettivo mol-to più della femmina dello struzzo che depone le uova nellasabbia.

Infine, è particolarmente il cucciolo dell'uomo, il lattan-te appena nato, a dipendere in tutto e per tutto dalla soli-darietà umana e dalla compassione degli altri. Da una con-dizione in cui, come una pianta, se ne stava aggrappato alseno della madre, eccolo sbalzato sulla terra, dove reste-rebbe la creatura più debole e sprovveduta fra tutti gli ani-mali se a nutrirlo non fosse pronto il seno della madre, adaccoglierlo come figlio non gli si offrissero le ginocchia pa-terne. A chi non traspare, in questo, una economia dellanatura volta ad associare gli uomini? E in maniera, a dire ilvero, tanto immediata, tanto simile all'istinto quanto èpossibile in una creatura dotata di sensatezza.

Devo sviluppare meglio quest'ultimo punto; in esso, in-fatti, si manifesta più che mai evidente l'opera della naturae così mi avvio più rapidamente alla conclusione. Se si pre-tende di spiegare ogni cosa con il cieco piacere o con l'im-mediato tornaconto, come fanno i nostri grossolani epicu-rei, come si giustificano il sentimento dei genitori verso ifigli e i forti vincoli che esso ingenera? Questo povero abi-tante della terra viene alla luce in una condizione di mise-ria della quale nemmeno è consapevole. Ha bisogno dellacompassione altrui, ma non è minimamente capace di con-quistarsela; piange e, tuttavia, persino questo suo piantodovrebbe risultare fastidioso, come il lamento di Filottete,uomo dai grandi meriti, risultò ai Greci che lo relegaronosull'isola deserta. Proprio a questo punto, dunque, standoalla nostra cinica filosofia, i legami naturali dovrebberotroncarsi di netto, e invece è qui che essi resistono con piùtenacia. La madre, una volta partorita con dolore la creatu-ra che le arrecava tanto fastidio, se tutto consistesse nelpiacere e nel rinnovarsi del godimento dovrebbe sbarazzar-sene. E perché mai il padre, spento in pochi minuti il suoardore, dovrebbe continuare ad occuparsi della madre e delbambino come oggetti della sua premura, invece di precipi-tarsi nella foresta, come l'uomo ferino di Rousseau, in cer-ca di un nuovo oggetto del suo piacere animale? Per gli uo-

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128 S'agguanti:ornane del linguaggio

mini e le bestie, in questo caso, il disegno della natura è ra-dicalmente diverso, e quanto più sapiente! Proprio i dolorie i disagi accrescono l'amore materno; proprio gli aspettilamentevoli e tutt'altro che amabili del lattante — la suafragilità, l'instabilità del suo temperamento, il compitogravoso e opprimente di allevarlo — raddoppiano gli slancidei genitori. La madre guarda con più fervido trasportoproprio il figlio che le è costato maggiori sofferenze, chepiù spesso l'ha minacciata di andarsene, per il quale ha ver-sato più lacrime di pena. Il padre guarda con più fervidotrasporto proprio il figlio che ha tempestivamente strappa-to a un pericolo, quello che ha educato con il massimo del-l'impegno, quello per la cui istruzione e formazione ha spe-so di più. E così la natura, anche in seno alla generazione,sa trarre dalla debolezza una forza. Anzi, proprio perciòl'uomo viene al mondo così debole e bisognoso, così neglettodall'insegnamento della natura, così totalmente privo di abili-tà e di talenti, come nessun altro animale: per poter ricevere,come nessun altro animale, un'educazione, e perché il genereumano, come nessun altro genere animale, risulti un insie-me profondamente unito!

Gli anatroccoli sfuggono alla chioccia che ha covato leloro uova e, mentre si divertono a sguazzare nell'elementoverso cui li attira il richiamo di madre natura, non ascolta-no gli ammonimenti della loro madre adottiva che dallariva li chiama accorata. Così farebbe anche il cucciolod'uomo, se venisse al mondo con l'istinto delle anatre.Ogni uccello sguscia dall'uovo già con la capacità di co-struirsi il nido, e se la porta tal quale nella tomba senzatrasmetterla: al suo posto insegna la natura. Ogni cosa qua-le opera diretta della natura resta pertanto episodica, némai si realizza un progredire dell'anima di quella specie,mai quel tutto che invece la natura per l'uomo ha voluto.Dalla natura l'uomo è stato vincolato agli altri in forza del-la necessità e di quel premuroso istinto paterno che i Greciindicavano col termine orooyh' e perciò il legame costitui-

Seconda parte: le leggi di natura

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to dall'insegnamento e dall'educazione per lui diventò essen-ziale. I genitori non accumulavano solo per sé un comples-so di idee esso era già pronto per essere comunicato e il fi-glio ne traeva vantaggio ereditando tempestivamente, ecome compendiato, il loro patrimonio spirituale. I genitoriestinguono il loro debito verso la natura insegnando, men-tre i figli colmano il loro naturale vuoto di idee imparando,così come, in seguito, estingueranno a loro volta il debitoverso la natura incrementando questo patrimonio con ilproprio e trasmettendolo ulteriormente. Nessun individuoesiste per sé, ma è inserito nell'insieme del genere umano: egliè solo un elemento della successione continua.

Vedremo più avanti come ciò si ripercuota su tutta la ca-tena. Per ora ci limitiamo a considerare il rapporto dei pri-mi due anelli, vale a dire: il formarsi di un modo di pensarefamiliare impartendo l'educazione. Ora, poiché la singolaanima si forma sulla cerchia di idee corrispondente alla lin-gua dei genitori, anche ogni sviluppo dell'insegnamento uma-no grazie allo spirito di famiglia, con cui la natura ha con-giunto l'intero genere, diventa sviluppo del linguaggio.

Perché mai questo infante debole e ignaro si stringereb-be al grembo della madre, alle ginocchia del padre, se nonper diventare avido di sapere e per apprendere la lingua? Edebole perché la sua progenie diventi forte. Ora, con lalingua gli si trasfonde tutto l'animo, tutto il modo di pen-sare dei suoi genitori, i quali lo fanno, però, volentieri pro-prio perché ciò che trasmettono è stato pensato, sentito escoperto da loro stessi. II lattante che balbetta le prime pa-role, balbettando ripete i sentimenti dei genitori, e ogniprecoce balbettio, sul quale favella e anima gli si forgiano,è promessa di perpetuare tali sentimenti, tanto è vero cheli chiama lingua materna o paterna. Per tutta la vita questeprime impressioni della sua infanzia, queste immagini ger-minate dall'anima e dal cuore dei suoi genitori, vivrannointensamente in lui. Con quella parola riaffiorerà intattoquel sentimento che fin da allora gli aveva pervaso l'ani-

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130 Saggio iulikrigine del linguaggio

Ino; con l'idea di quella parola, tutte le idee accessorie chefin da allora, al suo primo affacciarsi mattutino sul regnodella creazione, gli si erano presentate Esse riaffiorerannooperando con maggior forza della stessa idea primaria tra-sparente e pura. Diventerà così modo di pensare familiaree insieme linguaggio familiare'. Ma ecco che il freddofilosofo* si leva a domandare: «in virtù di quale leggeavrebbero potuto mai gli uomini imporsi vicendevolmentela loro lingua arbitraria, e come avrebbero potuto indurrel'altra parte ad accettare tale legge?». La questione sullaquale Rousseau sermoneggia con grande pathos e un altroautore' con grande prolissità, ha una risposta implicita,ove solo si getti uno sguardo all'economia naturale del ge-nere umano: allora nessuno potrà più tollerare siffatte pre-diche.

Un tale sviluppo familiare della lingua non basta forse diper sé a darle valore di legge, a perpetuarla? La femmina,che in natura è tanto spesso l'elemento più debole, non do-vrà accettare il dettato del maschio, esperto, accorto, capa-ce di forgiare linguaggio? Ma può dirsi poi legge quel che èsemplicemente amorosa e benefica opera istruttiva? La fra-gile creatura, tanto a proposito detta infante, non deveforse assumere il linguaggio, se con esso assapora il lattematerno e lo spirito paterno? E questo linguaggio non vaforse perpetuato, se mai qualcosa merita di essere perpe-tuata? Le leggi di natura son certo più efficaci di tutte leconvenzioni che la scaltrezza politica stipula e il saggio fi-losofo si pone a enumerare. Le parole dell'infanzia — que-ste prime nostre compagne dell'alba della vita assieme allequali si è venuta plasmando tutta la nostra anima — quan-do potremo rinnegarle, quando cancellarle dalla nostra me-moria? La nostra lingua materna è stata anche il primomondo da noi intravisto, le prime sensazioni da noi prova-te, la prima intensa gioia da noi assaporata. Le idee acces-

Raussegu.

Seconda parte: k leggi eh natura

131

sorie di spazio e tempo, amore e odio, esultanza e attivitàe tutto ciò che il focoso e irrequieto animo giovanile assie-me a essa si figurava, tutto sarà perpetuato con essa. Edecco che già il linguaggio si identifica con la stirpe.• Ora, più la stirpe è piccola più essa guadagna in forza inte-riore. I nostri padri, nulla avendo concepito da soli, nullainventato, ma tutto appreso meccanicamente, perché maiavrebbero dovuto preoccuparsi di istruire i loro figli, diperpetuare ciò che loro stessi non possedevano? Ma il pri-mo padre, i primi sprovveduti foggiatori di linguaggio, chequasi in ogni parola calavano il travaglio della loro anima,che nel linguaggio ovunque avvertivano ancora il caldo su-dore versato per renderlo efficace, a quale istruttore avreb-bero mai dovuto ricorrere? Tutto il linguaggio dei loro figliera un dialetto dei loro pensieri, un poema celebrativo del-le loro gesta, come i canti di Ossian in onore di Fingal suopadre'.

Rousseau e altri hanno fatto tante asserzioni paradossalisull'origine della proprietà e sul diritto a essa, quando aRousseau, per avere una risposta, sarebbe bastato interro-gare la natura del suo diletto uomo ferino. Perché il talefiore appartiene all'ape che lo sugge? L'ape risponderebbe:«Perché la natura mi ha fatto per suggere. Il mio istintoche cade su questo e nessun altro fiore mi tiranneggia finoal punto di assegnarmi in proprietà quel fiore e il suo giar-dino». E se ora interroghiamo il primo uomo: «chi ti hadato diritto a queste erbe?», che cos'altro può risponderese non: «La natura, col darmi la coscienza. A fatica ho im-parato a distinguere queste erbe; a fatica ho insegnato amio figlio e alla mia donna a riconoscerle; tutti noi viviamodi esse: accampo su di esse più diritti dell'ape che vi ronzasopra, più del bestiame che vi pascola, perché questi non sison dati la pena di imparare e di insegnare a conoscerle.Ogni pensiero, dunque, che su di esse ho concepito, è unsuggello del mio possesso e chi me ne discaccia mi toglienon soltanto la vita, se mai non ritrovassi questo sostenta-

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I 32 faggio od/ origine del linguaggio

mento, ma, di fatto, anche il valore degli anni da me vissu-ti, il mio sudore, il mio affanno, i miei pensieri, il mio lin-guaggio. Io me le sono conquistate». Come negare che peril primo uomo un tale sigillo dell'anima apposto sulle cosecon l'imparare a conoscerle e a contrassegnarle, con il lin-guaggio insomma, rappresenti un diritto di proprietà piùvalido del conio sulla moneta?

Quale ordine e quale compiutezza attinge la lingua, dun-que, già per il fatto stesso di diventare scuola dei genitori! Chinon impara insegnando? Chi non si accerta delle proprieidee, non vaglia le proprie parole nel comunicarle ad altri enel sentirle farfugliare tanto spesso da labbra infantili?Qui, dunque, il linguaggio già assume un aspetto tecnico,metodico; qui, dunque, la prima grammatica, che era uncalco dell'anima umana e della sua logica naturale, attra-verso una severa censura già riceve un assetto.

Rousseau — che a questo punto esclama: «che cosa maiaveva da dire la madre al figlio e non piuttosto il figlio allamadre? E questi, da dove aveva già appreso la lingua dainsegnare alla madre?» — lancia anche qui, come è suo co-stume, un allarmante grido di guerra. In ogni caso avevapiù cose da insegnare la madre al figlio che non viceversa,per la ragione che questa era in grado di insegnarne di piùe l'istinto materno, l'amore, la compassione, che Rousseauper magnanimità accorda alle bestie e per fierezza nega alproprio genere, la obbligavano a tale insegnamento, comel'esuberanza di latte l'obbligava ad allattare. Non vediamonoi stessi in parecchi animali come gli adulti avvezzino ipiccoli al loro modo di vivere? E, allora, un padre che ad-destri fin dalla prima giovinezza un figlio alla caccia, comepuò farlo senza insegnargli la lingua? «Certo, una tale ma-niera di dettare parole presuppone una lingua già formata,insegnabile, non una che si stia appena formando». Diffe-renza, anche questa, che non costituisce un'eccezione. Èvero: nel padre e nella madre quel linguaggio impartito allaprole era già formato, ma ciò non significa che la lingua,

Seconda park: k leggi di natura

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persino quella che essi non insegnavano, dovesse essersi giàformata completamente. Ai figli, dunque, in un nuovomondo, più vasto e organizzato, non restava davvero nien-t'altro da inventare? E una lingua in parte già formata mache continui a svilupparsi è poi una contraddizione? Quan-do mai il francese — lingua che, grazie ad accademie, scrit-tori, dizionari, ha raggiunto una forma così rifinita — po-trà dirsi definitivamente formato, tanto da non doversi piùformare e deformare con gli apporti originali di ogni nuovoscrittore, anzi di qualunque mente che in società porti unavoce nuova? In simili paralogismi si paludano i sostenitoridella tesi opposta: si giudichi se vale la pena di impelagarsiin tutte le inezie delle loro argomentazioni.

C'è, per esempio, chi dice: «Se fossero stati il mutum etturpe pecus di Lucrezio, quando mai gli uomini avrebberosentito il bisogno di affinare la loro lingua?»", e si invi-schia in una quantità di presunte istanze dei popoli primiti-vi. Rispondo semplicemente che mai, mai se fossero stati unmutum pecus avrebbero voluto e potuto farlo, giacché, in talcaso, non avrebbero certo avuto la parola. Ma è forse questolo stadio delle popolazioni primitive? E forse priva di favel-la la nazione umana più barbarica? Ne è mai stato privol'uomo, se non nelle astrazioni cervellotiche dei filosofi?

Egli si chiede: «stante che tutti gli animali rifuggonodalla costrizione e tutti gli uomini inclinano all'ozio, ci sipuò aspettare che un giorno i nativi dell'Orinoco di LaCondamine abbiano a modificare e correggere il loro idio-ma strascicato, ottosillabico, pesante e oltremodo ingra-to?». E io ribatto che innanzitutto il dato, come quasi tuttiquelli da lui riportati*, non è esatto. Strascicato e ottosilla-bico il loro idioma non è affatto! La Condamine affermasemplicemente che esso ha una pronunzia così difficile eun'organizzazione così' singolare che là dove essi pronun-ziano tre o quattro sillabe noi dobbiamo trascriverne alme-

" Sulbuilch [p. 92]

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Seconda parte: le leggi di natura 135134 Saggio sull'o :e del linguaggio

no otto, e ancora non sarebbe una trascrizione completa.Ciò non significa che si debba definire strascicato, ottosil-labico, pesante e oltremodo ingrato. Per chi è tale se nonper gli stranieri? E per costoro essi dovrebbero corregger-lo? Per un francese appena arrivato fra loro e che, oltre lapropria, difficilmente impara mai un'altra lingua senzastorpiarla, essi dovrebbero correggere la loro, vale a diregallicizzarla? E si vuole che tali indigeni non abbiano anco-ra formato nulla nel proprio idioma, anzi nemmeno forma-to un idioma, solo perché non son disposti a barattare illoro genio così peculiare in favore del primo straniero ap-pena sbarcato? Ma anche ammesso che non creassero piùnulla nella loro lingua, nemmeno per sé, non si è forse maicresciuti quando si smette di crescere, o i primitivi nonhan forse mai fatto nulla soltanto perché nulla fanno vo-lentieri, se non spinti dal bisogno?

E quale tesoro non è il linguaggio di famiglia per una stirpein fieri! Quasi presso tutte le piccole nazioni di tutti i con-tinenti, per poco evolute che siano, i carmi dei padri, icanti delle gesta degli antenati sono la loro preziosa minie-ra di lingua, storia e poesia; sono per loro saggezza, spro-ne, scuola; sono i loro spettacoli e le loro danze. I Grecicantavano degli Argonauti, di Ercole e di Bacco, degli eroie dei conquistatori di Troia; i Celti dei loro capostipiti, diFingal, di Ossian; fra i Peruviani e i Nordamericani, nelleisole dei Caraibi e nelle Marianne, la matrice di questa lin-gua ancestrale ancora domina nei loro canti tribali e aviti,così come in quasi tutte le parti del mondo padre e madrehanno nomi simili. Ed ecco che proprio qui vale la pena diosservare per quale ragione presso parecchi popoli, daiquali abbiam tratto gli esempi, i sessi maschile e femminileabbiano quasi due lingue distinte: perché, a seconda deicostumi etnici, essi rappresentano — in quanto sesso nobi-le l'uno e vile l'altro — quasi due popoli distinti, che nep-pure consumano assieme i pasti. Allora, a seconda che l'e-ducazione sia stata materna o paterna, anche la lingua è

destinata a diventare materna o paterna, così come, in basealla consuetudine romana, essa era addirittura diventatalingua vernacula'2.

Terza legge di natura: «Così come era impossibile che l'interogenere umano restasse un unico gregge, così nemmeno fu possi-bile mantenere una lingua unica. Ha inizio la formazione del-le diverse lingue nazionali».

In senso strettamente metafisica già non è mai possibile unasola lingua per l'uomo e per la donna, il padre e il figlio, ilvecchio e il bambino. Si osservino attentamente fra gliorientali, per esempio, le vocali brevi e lunghe, le diverseaspirate e gutturali, i frequenti e svariati scambi fra suonialfabetici prodotti dallo stesso organo, i segni per la pausae per il discorso, con tutte quelle sfumature, così difficili arendersi per iscritto, quali l'intonazione, l'accento che ac-quista o perde di intensità, le cento altre minuzie acciden-tali degli elementi linguistici. Si noti, d'altro canto, la dif-formità degli strumenti vocali nei due sessi, in giovinezza ein vecchiaia, ma finanche in due individui uguali, difformi-tà dovuta a tanti fattori casuali e a particolarità che altera-no la struttura di quegli organi oppure a certi vezzi chesono diventati una seconda natura, e così via. Come non sitrovano due persone perfettamente identiche nella figura enei lineamenti, così non se ne trovano due delle quali sipossa dire che parlino la stessa lingua, non foss'altro cheper la pronunzia.

Ogni generazione porterà nella sua lingua la cadenza do-mestica e familiare: già questo dà luogo a parlate diverseper quanto riguarda la pronunzia.

Clima, aria e acqua, cibi e bevande influiranno suglistrumenti vocali e, naturalmente, anche sulla lingua.

Il costume sociale e il potere della dea abitudine non tar-deranno a imporre queste peculiarità e quelle varianti lin-

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Saggio sull'origine del linguaggio

guistiche adattandole a una conveniente gestualità: nasce ildialetto. Una ricerca filosofica sulle varie parentele idioma-tiche orientali sarebbe il modo più piacevole di dimostrarequesti enunciati.

Fin qui non si trattava che della pronunzia. Ma le parolestesse, senso, anima della lingua, offrono un campo sconfi-nato di differenze. Abbiamo visto come le lingue più anti-che dovettero essere ricche di sinonimi. Quando poi, fraquesti sinonimi, ognuno finì con l'adottare quello che gliera più familiare, più rispondente al suo modo di vedere,più congeniale alla sfera della sua sensibilità, più frequentenel corso della giornata, quello insomma per lui più effica-ce, vennero fuori i vocaboli preferiti e personali, gli idioti-smi: un idioma nella lingua.

Individualmente, un vocabolo veniva abbandonato, unaltro si affermava. Per via di un punto di vista marginaleun certo termine poteva discostarsi dalla sostanza dellacosa, oppure era lo spirito del concetto fondamentale stes-so che, nel corso del tempo, si modificava. Fu allora che isignificati conobbero peculiari flessioni, derivazioni, diver-sificazioni; furono integrati con prefissi e suffissi; subironotrasposizioni e mutilazioni parziali o totali: un nuovo idio-ma! E tutto questo avveniva secondo regole naturali, comeè naturale per l'uomo che la lingua sia il senso della suaanima.

Quanto più viva è una lingua, quanto più è vicina allesue scaturigini, e perciò ancora nella stagione della giovi-nezza e della crescita, tanto più essa è mutabile. Ma se sitrova solo nei libri, dove si impara secondo le regole; se èadoperata non nell'uso vivo ma solo nelle scienze, dove hail suo numero stabilito di oggetti e di applicazioni e dun-que una terminologia già definita, una grammatica norma-tiva e un ambito fisso, è già più facile che in apparenzaessa rimanga inalterata, e pur tuttavia soltanto in apparen-za. Invece una lingua che viva allo stato libero e selvaggio,nel regno del grande e vasto creato, ancora ignara di cano-

Seconda parte, le leggi di natura

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ni formalmente fissati, ancora priva di libri, lettere alfabe-tiche e capolavori indiscussi; una lingua tuttora scarna e in-compiuta, tanto da dover essere quotidianamente arricchi-ta e, tuttavia, giovane e flessibile tanto da poterlo esserequotidianamente al primo cenno dell'attenzione, al primocomando della passione e della sensibilità, è una lingua sog-getta a mutazioni in ogni nuovo mondo che si schiude allosguardo, in ogni metodo secondo il quale il pensiero procede.Le leggi egizie della monotona uniformità non possono, inquesto caso, generare l'effetto contrario.

Ora, è evidente che l'intera superficie terrestre è fattaper il genere umano e questo per l'intera superficie terre-stre (ciò non significa che qualunque abitante della terra,qualunque popolazione, possa di colpo e con un brusco sal-to adattarsi al clima diametralmente opposto qualunque siala zona climatica; significa invece che l'intero genere uma-no è fatto per l'intero pianeta). Dovunque ci volgiamo ve-diamo che l'uomo si sente a casa propria come gli animaliindigeni, originariamente destinati a quella regione. InGroenlandia resiste al gelo e in Guinea si crogiola sotto ilsole a picco; è a suo agio in Lapponia mentre slitta sullaneve con la renna, come quando attraversa il deserto arabi-co trottando sul cammello assetato. Le caverne dei Troglo-diti e le vette dei Cabili il fumaiolo degli Ostiachi e il pa-lazzo d'oro del Mogol albergano uomini. Per loro la terra èschiacciata al polo e rigonfia all'equatore; per loro essa giraintorno al sole così e non diversamente; per essi sono lezone, le stagioni, le mutazioni terrestri, e, a loro volta, gliuomini sono fatti per quelle zone, stagioni e mutazioni.Anche in ciò, dunque, traspare la legge di natura: l'uomo èdestinato ad abitare ovunque sulla terra, mentre alle specieanimali è assegnata soltanto la loro regione e una sfera piùristretta Ecco profilarsi il vero abitatore della terra, ma al-lora anche la sua lingua diventa la lingua della terra. Unalingua nuova per ogni mondo nuovo, una lingua nazionaleper ogni nazione. Non starò a ripetere tutte le già esposte

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138 Saggio rutrongtne del torguaggro Seconda parte: le /oggi di natura

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ragioni che determinano il mutamento: sulla sferica super-ficie terrestre la lingua si fa proteiforme.• A certi filosofi attuali alla moda", incapaci di incatena-

re questo Proteo e di scorgerne il vero aspetto, è parso piùverosimile che la natura fosse riuscita a trasferire in ognivasta contrada terrestre una coppia di uomini a fare da ca-postipiti, come per ogni zona climatica gli animali adatti.In seguito essi si sarebbero inventati una loro lingua autoc-tona e nazionale che, proprio come la loro complessiva co-stituzione, sarebbe stata fatta apposta per quel paese. Ilpiccolo lappone, con il suo idioma, la sua barbetta rada, lasua destrezza, il suo temperamento sarebbe un animaleumano originario della Lapponia, al pari della propria ren-na; il negro, con la sua pelle, il suo colore nero-inchio-stro'', le sue labbra, i suoi capelli, il suo parlare gloglot-tando, la sua dabbenaggine e indolenza sarebbe un fratellonaturale delle scimmie dello stesso clima. Tra le lingue del-la terra non ci sarebbe da almanaccare una qualche affinitàpiù di quanta non ce ne sia tra le formazioni delle diverserazze umane; e si attribuirebbe davvero poco senno a Diopensando che abbia messo in un remoto cantuccio dellaterra, in balia degli elementi e delle belve, una sola coppiadi uomini quali deboli e pavidi progenitori dell'umanità in-tera, esponendoli a migliaia di pericoli imprevedibili.

Almeno, prosegue un'ipotesi meno categorica", se lalingua fosse una produzione spontanea dello spirito del-l'uomo, migrata verso ignote piaghe assieme all'umana pro-genie soltanto a poco a poco, dovrebbe anch'essa essersimodificata soltanto a poco a poco. I popoli in relazione re-ciproca dovrebbero visibilmente continuare a cambiare,spostarsi, imparentarsi e ovunque, osservando le piccolesfumature, dovrebbe esser possibile rendersi conto esatta-mente di come pensano, parlano, vivono. Ma chi può far-lo? Non è forse vero che in tutti i continenti sotto lo stessocielo, anzi gomito a gomito, si trovano piccole etnie chenello stesso ambiente hanno lingue diverse e diametral-

mente opposte, al punto da formare un ginepraio impene-trabile? Al lettore di relazioni di viaggio dal Nord e Sud-ameríca, dall'Africa e dall'Asia, non bisogna certo insegna-re come si fa l'inventario dei ceppi di quella selva. Quidunque, concludono gli scettici, ogni indagine umana si ar-resta.

Proprio perché questi ultimi si limitano a esprimere per-plessità, mi proverò a dimostrare come la ricerca non si ar-resti qui e come invece questa differenza abbia una spiega-zione naturale, proprio come l'unità della lingua familiare inseno alla nazione.

fuor di dubbio che lo smembrarsi delle famiglie performare popolazioni diverse non avviene secondo quei mo-notoni rapporti di allontanamento, migrazione, rinnovatocontatto e così via, che con flemmatica freddezza lo stu-dioso, compasso alla mano, va determinando sulla cartageografica. Nemmeno avviene secondo quanto, sulla scortadi questi dati, si è scritto sulle parentele fra i popoli ingrossi volumi nei quali tutto è esatto, tranne la regola inbase alla quale tutto è stato calcolato. Solo a gettare un'oc-chiata in questo mondo vivo e dinamico, ci si accorge cheM esso esistono già le molle per provocare, in modo deltutto naturale, qualsiasi differenza linguistica fra popoliconfinanti, purché non si voglia costringere l'uomo entro ilproprio sistema ideale. Non è l'uomo ferino di Rousseau:ha una lingua. Ma nemmeno è il lupo hobbesiano": hauna lingua familiare. Tuttavia, sotto altri aspetti, non èneanche un agnellino prematuro, e dunque è ben in gradodi crearsi per antagonismo una natura, un costume, un lin-guaggio. In breve: /a cagione della differenza di lingua, men-talità e costume fra piccoli popoli tanto vicini tra loro è il re-ciproco odio fra famiglie e nazioni.

Senza affatto voler denigrare né tacciare di settarismo lanatura umana, è inevitabile che due o più tribù confinanti,se solo ci caliamo nel loro spirito di famiglia, finiscano coltrovare ben presto motivi di dissidio. Analoghi bisogni su-

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140 Saggio sull'origine del linguaggio Seconda parte' le leggi di natura 141

bito le coinvolgono in liti che chiamerei della fame e dellasete, come accade, per esempio, a due bande di pastori chesi contendono sorgenti e pascoli, molto spesso a ciò indottedalla natura stessa della regione. Non solo. Una scintillaben più incandescente attizza il loro fuoco: la gelosia, ilsenso dell'onore, l'orgoglio della propria stirpe e della pro-pria superiorità Quello stesso attaccamento familiare che,rivolto all'interno, aveva cementato la concordia di unagente, rivolto all'esterno, contro un'altra stirpe, fomentavaora la discordia, l'odio tribale. Se prima esso di più indivi-dui aveva fatto una compatta unità, ora rendeva di colponemiche due parti. Il germe di questa ostilità e di questieterni conflitti in tal caso è piuttosto la nobile fragilità del-l'uomo che l'inveterata bassezza d'animo.

Poiché l'umanità a questo stadio culturale dispone piut-tosto di forze dinamiche che di beni di proprietà, potersivantare di quelle era un titolo di onore più ambito dell'in-comodo possesso di questi, come invece sarà in età succes-sive, ormai senza nerbo. Del resto, a quei tempi, essereuomo di valore o appartenere a una famiglia di valore quasisi equivaleva, giacché il figlio era erede e allievo, per piùversi in modo ancor più spiccato di oggi, della virtù e delvalore paterni; e in qualunque occasione tutta la tribù indi-stintamente si schierava a fianco di un suo membro di va-glia. Ben presto dunque il detto: chi non è con noi e non èdei nostri è sotto di noi finì col diventare naturale. Lo stra-niero è peggiore di noi, è barbaro. Così intesa, la parola«barbaro» era la parola d'ordine del disprezzo: straniero eal tempo stesso ignobile, che non ci eguaglia né in saggezzané in audacia, o qual che fosse il punto d'onore del mo-mento.

Ora, come opportunamente nota uno studioso inglese'',finché si tratta semplicemente del godimento e della sicu-rezza della proprietà, che il vicino non abbia la nostra for-za d'animo non dovrebbe essere fonte di astio: anzi, do-vremmo in segreto rallegrarcene. Tuttavia proprio perché

non si tratta che di una presunzione ed entrambe le partidotate dello stesso spirito tribale, presumevano lo stesso disé, ciò bastava a dar fiato alle trombe di guerra, a metterein gioco l'onore di tutta la tribù, a suscitarne la fierezza eil coraggio. Dai due campi si levavano eroi e patrioti, epoiché la causa bellica investiva chiunque, e chiunque erain grado di riconoscerla e sentirla come propria, l'odio franazioni fu perpetuato in conflitti aspri e implacabili. Erapronto il secondo sinonimo: chi non è con me è contro dime. Barbaro e inviso, straniero e nemico, quel che in origi-ne significava la parola bostis, per i Romani.

A La terza e immediata conseguenza fu il distacco comple-to, l'isolamento. Chi voleva avere qualcosa in comune conun nemico di tal fatta, uno spregevole barbaro? Né le con-suetudini familiari, né la memoria di una comune origine emen che meno la lingua, questa essendo propriamenteidentificazione verbale della stirpe, vincolo di parentela,strumento educativo, epopea delle gesta dei padri e lorovoce dai sepolcri. La lingua, dunque, non poteva assoluta-mente restare comune e, allora, proprio quello stesso senti-mento di consanguineità che aveva creato una lingua unica,una volta diventato odio nazionale, generò spesso la diffe-renza, e differenza radicale, di lingua. È barbaro, parla unalingua straniera, fu la terza, diffusissima sinonimia.

Per quanto involuta possa sembrare l'etimologia di que-sti vocaboli, la storia di tutte le genti e le lingue minori,per le quali si pone il problema, ne attesta l'assoluta validi-tà. Gli intervalli dell'etimologia in fondo sono solo astra-zioni, non pause nella storia. Tutti questi poliglotti confi-nanti sono anche i più fieri e irriducibili nemici, ma noncerto per avidità di bottino. In genere, infatti, non sac-cheggiano ma uccidono, distruggono e offrono sacrifici alleombre dei padri. Le ombre dei padri sono i mani, le unicheinvisibili macchine di tutte le cruente epopee, come nei

Voss. Etyrnolog.18.

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Saggio sull'angine del linguaggio

carmi di Ossian. Sono loro che apparendo in sogno al con-dottiero lo destano e gli danno animo; a loro egli offre le suenotti di veglia; loro sono invocate dai suoi seguaci nei giura-menti e negli inni; in tutti i supplizi è a loro che vengonoimmolati i prigionieri e, per converso, sono loro a conforta-re il martire che intona il suo lamento di morte. Un implaca-bile odio tribale è dunque cagione delle loro guerre, del lorotanto geloso suddividersi in popoli, spesso grandi appenacome famiglie, e, con ogni probabilità, anche cagione dellenette differenze di costume e di linguaggio.

Un documento orientale sulla divisione delle lingue*(che qui considero solo alla stregua di frammento poeticoappartenente all'archeologia della storia dei popoli) me-diante un racconto molto suggestivo conferma ciò che conil loro esempio confermano tante nazioni di tutte le partidel mondo. Le lingue non si trasformarono gradualmente,moltiplicandosi con le migrazioni, come vuole lo studioso.Le genti, afferma il poema, unite si accinsero a una grandeopera allorché si abbatté su di loro il turbine della confu-sione e della pluralità delle lingue, cosicché, abbandonatal'impresa, si divisero. Che altro fu se non un fulmineo ina-sprimento, un dissidio per il quale proprio un'opera cosìgrandiosa poteva fornire l'occasione più propizia? Ecco al-lora ridestarsi lo spirito di famiglia, forse offeso per un fu-tile motivo. Una volta infranto il progetto comune e di-vampata la scintilla della discordia, essi si dispersero fug-gendo e ancor più precipitosamente provocarono proprioquel che la loro opera intendeva prevenire, confusero la ra-dice unica della loro origine: la loro lingua. Sorsero cosìpopoli diversi e, prosegue la narrazione, i ruderi tuttorason detti confusione delle genti". A chi ravvisi l'animoorientale sotto tali vesti spesso stravaganti e tali storie epi-co-fantastiche (non voglio qui escludere per la teologia unpiù alto disegno) forse non sfuggirà quale sia il concetto

" I Mas. IP".

Seconda parte: le leggi à natura 143

fondamentale icasticamente reso: la disunione rispetto auna grande finalità collettiva, e non solo le migrazioni deipopoli, accelerò la formazione di tante lingue.

Prescindendo da questa testimonianza orientale (che co-munque qui ho inteso citare soltanto come un poema) èchiaro che la pluralità delle lingue non potrebbe costituireobiezione alcuna contro il carattere naturale e umano dellosviluppo del linguaggio. Senza dubbio i terremoti avrannopur causato sporadicamente la comparsa di montagne, maciò non implica che la terra nel suo complesso — con mon-ti, corsi d'acqua e mari — non possa aver tratto la sua con-figurazione dalle acque. Ma indubbiamente questo è ancheun modo per porre opportunamente un sassolino sulla lin-gua" di etimologi ed etnologi onde, partendo dalle diffe-renze fra le lingue, non si affrettino a trarre conclusionitroppo autoritarie sull'origine di esse. Famiglie anche stret-tamente imparentate potrebbero aver avuto ragione a sop-primere la parentela genealogica. Lo spirito di queste pic-cole popolazioni darebbe luogo a pensarlo.

Quarta legge di natura: «Con ogni probabilità il genere uma-no costituisce un insieme globale che da un'origine unica pro-gredisce in seno a una grande economia; lo stesso vale ancheper tutte le lingue e, con esse, per tutta la catena della cul-tura».

Si è notato quale originale e caratteristico disegno gover-ni il singolo individuo: la sua anima è abituata a coordinaresempre ciò che vede con ciò che ha già visto; grazie alla$rnsatezza, fra tutti gli stadi della vita si attua, dunque, unaprogressiva unità che comporta lo sviluppo del linguaggio.

Si è notato quale originale e caratteristico disegno gover-ni ogni singola generazione umana: grazie alla catena del-l'insegnamento, genitori e figli diventano una sola cosa equindi ogni membro è inserito dalla natura fra altri due al

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144 Saggio sdllorzgine del lingnagio

solo scopo di ricevere e comunicare: per questo tramitepassa lo sviluppo del linguaggio.

E, finalmente, questo disegno speciale si estende ancheall'intero genere umano, e per questa via si attua quello svi-luppo per eccellenza che deriva immediatamente dai dueprecedenti. Ogni individuo, essendo umano, immagina ilproseguimento della propria vita. Ogni individuo, in quan-to figlio o figlia, è stato educato con l'insegnamento: diconseguenza, fin da piccolo avrà sempre ereditato una par-te del patrimonio concettuale dei suoi avi, che egli trasmet-terà secondo il suo modo di essere. In certo qual modo,non esiste quindi pensiero, scoperta, perfezionamento chenon si prolunghi quasi all'infinito. Come io non possocompiere alcuna azione, pensare alcun pensiero che non sirifletta naturalmente sull'incommensurabile complesso del-la mia esistenza, così nemmeno posso, né altra creaturadella mia specie può, fare qualcosa che non si rifletta ognivolta sull'intera specie e sul complesso ininterrotto dell'in-tera specie. Ciascuno sospinge un'onda, per piccola o gran-de che sia; ciascuno modifica la condizione psichica indivi-duale e, quindi, la somma di tali condizioni influisce sem-pre sugli altri, modificando anche in essi qualcosa. Il primopensiero nella prima anima umana si raccorda all'ultimonell'ultima anima umana. --

SeSe il linguaggio per l'uomo fosse ingenito, come per leapi la produzione del miele, questo grande e superbo edili-do andrebbe di colpo in rovina! Venendo al mondo, cia-scuno porterebbe con sé un po' di linguaggio: vale a dire— giacché poi questo portarsi al mondo qualcosa, per chiha la ragione, non significa altro che inventarsela subito —ogni uomo diventerebbe un individuo tristemente solo, in-venterebbe i suoi rudimenti essenziali, ci morirebbe soprae se li porterebbe nella fossa come l'ape porta con sé la suaopera d'arte. Il successivo individuo appena arrivato si af-fannerebbe su quegli stessi preliminari, giungendo altret-tanto lontano, o meglio altrettanto poco lontano, per poi

Seconda parte. le leggr di natura 145

morire; e così via all'infinito. È chiaro che un disegno cheva bene per le bestie, che non inventano nulla, non può va-lere per creature che devono inventare, altrimenti divente-rebbe un piano non pianificato! Se ciascuno inventasse sol-tanto per se stesso, una fatica vana si moltiplicherebbe al-l'infinito e l'intelligenza inventiva verrebbe defraudata delpremio più ambito: la crescita.

Ma allora, fin quando distinguo lo stesso disegno, perquale ragione dovrei arrestarmi in un punto qualsiasi dellacatena senza spingermi fino al linguaggio? Se io stesso sonovenuto al mondo per dover subito entrare alla scuola deimiei, così fu per mio padre, così per il primogenito del pri-mo capostipite; e come io estendo i miei pensieri attorno ame e fino alla mia discendenza, altrettanto fece mio padre,il suo antenato, il primo di tutti i padri. La catena prose-gue e si arresta solamente davanti a uno: il primo. E cosìnoi siamo tutti suoi figli da lui ha inizio la successione, l'i-struzione, la lingua. Egli incominciò a inventare e noi tuttiabbiamo seguitato sulla sua scia a inventare, a fare e a di-sfare. Nessun pensiero di un'anima umana è andato disper-so, mai però nemmeno una sola capacità di questa nostraprogenie è comparsa di getto, perfetta come negli animali:come conseguenza dell'economia generale essa è in conti-nuo progredire, in fieri; nulla esiste di già inventato, comela costruzione di una cella di miele, ma tutto si sta inven-tando, tutto è in opera, in tensione. In tale prospettiva,che statura acquista il linguaggio! Un forziere di pensieriumani dove ciascuno ha aggiunto qualcosa di suo. Unasomma dell'attività di tutte le anime umane.

Al massimo — insinua a questo punto la suddetta filoso-fia, che amerebbe considerare l'uomo come un bene fon-diario e demaniale — al massimo questa catena potrebbeandare a ritroso fino a ogni singolo capostipite di una re-gione, dal quale e stirpe e idioma locale si sono generati*.

" Philosoulate de l'historre ecc. ecc. 22.

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146 Saggio sull'origine del linguaggio

Seconda parte. le leggi di natura 147

Perché mai dovrebbe risalire solo fino a quel punto e nonoltre? Perché, a loro volta, i vari patriarchi locali non po-trebbero aver avuto un comune padre terreno, dal momen-to che tutto il processo analogico dell'economia del genereumano questo esigerebbe? «Già — ci pare di sentire obiet-tare — non sarebbe stato certamente saggio abbandonarein preda al pericolo in un solo angolo della terra una coppiadi uomini debole e misera». E sarebbe stato forse più lun-gimirante lasciare molte di tali coppie indifese, sparse invari angoli della terra in preda a pericoli dieci volte piùgravi? Questo caso di temeraria imprevidenza non soltantoresterebbe dappertutto uguale, ma, riproducendosi più vol-te, peggiorerebbe senza più limiti. Immaginiamo una cop-pia di uomini in un luogo qualsiasi, rallegrato dal migliorclima possibile, dove la stagione infierisca al minimo sullaloro nudità, un suolo fertile venga spontaneamente incon-tro alle necessità della loro inesperienza e dove tutto all'in-torno sembri disposto come in un'officina per venire inaiuto alle loro tecniche ancora elementari. Questa coppianon è forse tutelata con più sapienza di qualunque altroabitante autoctono delle inclementissime piaghe della Lap-ponia o della Groenlandia, il quale, circondato da tutta ladesolazione di una natura gelida e spoglia, è esposto agliartigli di belve altrettanto grame e fameliche, quindi ancorpiù crudeli, e pertanto a disagi infinitamente maggiori? Lacertezza della sopravvivenza scema, dunque, quanto più sivogliono moltiplicare gli aborigeni sulla terra. Del resto, lacoppia stessa del clima temperato per quanto tempo restatale? Ben presto essa diventa una famiglia, quindi una pic-cola etnia, e quando come tale espandendosi raggiunge unaterra nuova vi si insedia già come popolo! Quanto più sa-piente e più sicuro questo procedimento! Molti di numero,temprati i corpi, provati gli animi, ormai padroni dell'inte-ro retaggio di esperienze degli antenati, animi, dunque,resi mille volte più forti e più tenaci, ora essi sono in gradodi acclimatarsi perfettamente come nativi di quella regio-

ne. ln breve tempo diventano, per modo di vivere di pen-sare e di parlare, indigeni quanto gli animali di quell'am-biente climatico. E non è proprio questa la prova del cam-mino naturale dello spirito umano, che muovendo da unqualunque punto intermedio sa educarsi a tutto? Quel cheimporta non è mai una quantità di semplici numeri, bensìl'autenticità e la progressione del loro valore; mai unaquantità di deboli individui, bensì le forze con le quali essioperano. E queste forze operano con la massima efficaciaappunto nel rapporto più elementare e, dunque, soltantoquei vincoli che si dipartono da un preciso punto della con-catenazione abbracciano l'intera discendenza.

Non entro in ulteriori argomenti a favore di questa mo-nogenesi: il fatto, per esempio, che tuttora non siano statetrovate vere testimonianze di altre specie umane degne,come quelle animali, di tal nome; il fatto che il popolamen-to della terra, che palesemente avviene in modo progressi-vo e costante, costituisca proprio la controprova dell'esi-stenza di animali autoctoni; il fatto che anche la trasmis-sione della cultura e di abitudini simili attesti ciò, sia purein modo più larvato, e così via. Resto all'argomento lin-guaggio. Se gli uomini fossero aborigeni di un paese, nelqual caso ciascuno si sarebbe inventato il proprio idiomada solo e indipendentemente dagli altri, il linguaggio do-vrebbe certamente rivelare una eterogeneità pari a quellapresumibile fra gli abitanti di Saturno e della Terra, mentrenel nostro caso è evidente che tutto procede su un fondamentocomune. Fondamento comune non soltanto per quantoconcerne la forma, ma il corso stesso dello spirito umano.Infatti, la grammatica di tutti i popoli della terra è struttu-rata press'a poco nella stessa maniera. Soltanto quella cine-se, per quel che ne so, costituisce una rilevante eccezioneche, tuttavia, io oso interpretare proprio come eccezione.Quante grammatiche cinesi, e di quanti tipi, dovrebberoesistere, se la terra fosse stata piena di animali indigeni oc-cupati a inventare il linguaggio!

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148 Saggio sul/ (nane del linguaggio Seconda paste le leggi di nanna 149

Come spiegare che, pur essendo tanti i popoli che hannol'alfabeto, sembra quasi che sulla terra ne esista uno solo"?L'idea originale e macchinosa di formare dagli elementi co-stituenti le parole arbitrarie, cioè dai suoni, dei segni arbi-trari, è di per sé talmente balzana, contorta e singolare chedavvero è inspiegabile come mai tanti e tanti sarebbero ar-rivati a un'idea così peregrina, e tutti alla stessa. Il fattoche proprio tutti avessero lasciato da parte quei segni, digran lunga più naturali, che sono le immagini delle cose perraffigurare invece le emissioni di fiato e tracciare, fra tuttequelle possibili, proprio le stesse venti, arrabattandosi poialla meglio per quelle mancanti; e il fatto che, per questeventi, tanti scegliessero i medesimi segni convenzionali,non è la prova evidente dell'esistenza della trasmissione?Gli alfabeti orientali sono sostanzialmente uno solo: quellogreco, latino, runico, tedesco e gli altri derivano da esso.L'alfabeto tedesco, infatti, ha ancora in comune alcune let-tere con quello capto, e gli Irlandesi hanno avuto l'ardire diinterpretare i poemi omerici come una traduzione dalla lorolingua! Chi può negare del tutto, per poco o molto che netenga conto, la fondamentale parentela delle lingue? Sullaterra non vive che un solo genere umano, così come una solalingua dell'uomo. Ma come quel grande genere si è smem-brato in tante piccole varietà nazionali, altrettanto è acca-duto per le lingue.

Molti si sono cimentati con le genealogie di tali ceppilinguistici: io non lo faccio. Molte, moltissime concause,infatti, potrebbero aver prodotto nella ramificazione lin-guistica e nella sua riconoscibilità mutamenti che lo studio-so di etimologia non può prevedere e che vanificano il suoalbero genealogico. Inoltre, fra i cronisti di viaggio comefra i missionari, pochissimi sono stati i veri glottologi ingrado di poterci o volerci documentare sul genio e sul fon-damento specifico delle lingue dei popoli da loro conosciu-ti, cosicché in questo campo ancora si va a tentoni Essi silimitano a fornire liste di vocaboli, un'accozzaglia di suoni

dai quali si dovrebbe ricavare qualcosa. Le regole dellavera etimologia, del resto, sono tanto minuziose che po-chi... ma tutto ciò non è mio compito! Nell'insieme restaben visibile la legge di natura: il linguaggio si propaga e svi-luppa di pari passo con il genere umano. Di questa legge enu-mero soltanto quei capisaldi che indicano un cambiamentodi indirizzo.

I. È fuor di dubbio che ciascun uomo possiede tutte lecapacità dell'intero genere umano e ciascuna nazione le ca-pacità delle nazioni tutte. Ciò non di meno è anche veroche la società inventa più del singolo uomo e tutto il gene-re umano più del singolo popolo, non solo per la quantitàdegli individui, ma anche per il moltiplicarsi così variato eprofondo delle relazioni. Da un individuo isolato, non co-stretto da pressanti bisogni e che viva in tutta comodità, cisi aspetterebbe che inventasse molto più linguaggio deglialtri, anzi che proprio l'ozio lo inducesse a coltivare le sueenergie mentali e, per conseguenza, a escogitare semprequalcosa di nuovo: invece è vero il contrario. Privo di unasocietà egli finirà sempre, in certo qual modo, con l'insel-vatichirsi e, non appena situato proprio nella posizionegiusta per soddisfare i suoi bisogni immediati, non tarderàa infiacchirsi nell'inerzia. Resterà sempre come un fioreche, sradicato e staccato dallo stelo, appassisce al suolo.Collocatelo in mezzo a una società e a esigenze disparate,cosicché abbia a provvedere per sé e per gli altri: ci siaspetterebbe che con i nuovi impegni gli venisse meno lalibertà di elevarsi e, con l'aumento di preoccupazioni, laquiete per inventare: ma è vero l'opposto. Il bisogno Iosprona, la precarietà lo scuote, l'irrequietudine mantiene ilsuo spirito sempre in attività: farà sempre di più quantopiù diventa sorprendente che egli faccia. Lo sviluppo diuna lingua aumenta, quindi, in proporzione molto compo-sita già passando dall'individuo solo al componente di unafamiglia. Prescindendo dal resto, quanto poco inventereb-be un uomo solo, fosse pure un glottologo, nella sua isola

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150 Saggio suldongine del linguaggio

deserta; e quanto di più, e più efficacemente, un patriarca,un capofamiglia! La natura ha dunque scelto questo tipo disviluppo.

Una famiglia unica e isolata, standosene comoda-mente in ozio, dovrebbe perfezionare il suo idioma moltopiù di quando è disgregata o in lotta contro un'altra stirpe:niente di meno vero. Più essa è rivolta contro altri, più sal-damente si rinserra in se stessa, più ancora si attacca ellesue radici e converte le gesta degli antenati in canti, appel-li, monumenti perenni, conservandone la memoria oralecon rinforzata purezza e spirito di patria. Lo sviluppo dellinguaggio come idioma dei padri procede ancor più spedi-to: perciò la natura ha scelto questo tipo di perfeziona-mento.

Col tempo, tuttavia, anche questa stirpe ormai di-ventata una piccola nazione si stanzia definitivamente inuna sede. Ha una precisa sfera di esigenze e il linguaggioatto a esprimerle. Oltre non va, come è dato vedere pressotutte le piccole nazioni cosidette barbariche: divise nono-stante le loro necessità esse finiscono col restare per secolinella più straordinaria ignoranza — come quelle isole senzail fuoco e tante popolazioni prive delle più semplici tecni-che meccaniche — quasi non avessero occhi per vederequanto hanno dinnanzi. Di qui deriva appunto il fatto chealtri popoli li diffamano come barbari ottusi e inetti, quan-do tutti noi, non molto tempo addietro, eravamo altrettan-to barbari, avendo ricevuto cognizioni simili soltanto da al-tri popoli. Di qui anche il gridare allo scandalo di tanti filo-sofi per questa loro stupidità come cosa assolutamente in-spiegabile, laddove, per l'analogia esistente fra l'economiagenerale e la nostra specie, non c'è nulla di più spiegabile!A questo punto, la natura ha aggiunto un'altra catena: latrasmissione da un popolo all'altro. Così le arti, le scienze, lacultura e il linguaggio si sono affinati in un grandioso pro-gredire di nazione in nazione: il più ingegnoso vincolo scel-to dalla natura per lo sviluppo del linguaggio)

Seconda parte k leggi di natura 151

Noi Tedeschi vivremmo ancora tranquillamente nellenostre foreste, al pari degli Americani, o piuttosto combat-teremmo ancora aspramente in esse da eroi, se la catenadella cultura straniera non ci avesse stretto tanto dappressoe costretto, con la forza di interi secoli, a inserirci in essa.Allo stesso modo i Romani attinsero la loro cultura dallaGrecia, i Greci l'ereditarono dall'Asia e dall'Egitto, l'Egit-to dall'Asia, la Cina forse dall'Egitto: così, da un solo pri-mo anello la catena si allunga e forse un giorno finirà percingere tutta la terra. L'arte insita nell'architettare un edi-ficio greco già affiora, fra i selvaggi nella costruzione diuna capanna, come la pittura di Mengs" e Dietrich" giàrifulgeva nella sua più genuina sostanza sullo scudo rutilan-te di Arminio". L'eschimese che si rivolge alla sua truppagià in sé cela tutti i genii di un futuro Demostene, come lapopolazione di scultori del Rio delle Amazzoni* forse tienein serbo migliaia di futuri Fidia". Aspettate soltanto chealtre nazioni progrediscano e quelle regrediscano: tutto siripete, almeno nelle zone temperate, come nel mondo anti-co. Egiziani, Greci, Romani e alcuni moderni non hannofatto che costruire; Persiani, Tartari, Goti e preti sono in-tervenuti per ridurre tutto in macerie. Eppure, sopra quel-le vecchie macerie si continua a costruire con lena maggio-re, prendendole per modello e per base. La catena di undeterminato sviluppo tecnico prosegue investendo tutto(anche se altri aspetti della natura a loro volta ne soffrono)e investe anche il linguaggio. La lingua araba è certamentecento volte più forbita della propria madrelingua ai suoirozzi esordi; il nostro tedesco certamente più gentile del-l'antico celtico"; la grammatica greca poté superare quellaorientale, essendone figlia; quella romana diventare più fi-losofica della greca e quella francese più filosofica della ro-mana: il nano sulle spalle del gigante non è forse semprepiù alto del gigante stesso'?- . _ -

* de la Condamine.

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152 Saggio su ll'origine del laiguaggto Seconda pane. le leggi di natura 153

Ora di colpo si scopre come fosse ingannevole la dimo-strazione dell'origine divina del linguaggio fondata sull'or-dine e la bellezza di esso. Ordine e bellezza esistono, maquando sono comparsi, come e di dove? Il linguaggio chetanto ammiriamo è forse quello delle origini, o non piutto-sto il rampollo di interi secoli e di molte nazioni? Ecco : aquesto grande edificio hanno posto mano popoli, continen-ti ed età; ma è forse una buona ragione perché la poveracapanna non possa rappresentare il nascere dell'architettu-ra? È forse una buona ragione perché un dio debba averinsegnato agli uomini come edificare un tale palazzo altri-menti essi non sarebbero mai stati in grado di edificarlo dasoli? Non è una conclusione, come non lo è questa: nonriesco a capire bene come sia stato costruito questo grandeponte fra due montagne, dunque deve esser stato fatto daldiavolo. Ci vuole un alto grado di improntitudine e diignoranza per negare che il linguaggio si sia evoluto con ilgenere umano seguendone tutte le tappe e i mutamenti: necostituiscono prova la storia e la poesia, l'eloquenza e lagrammatica e, se ciò non bastasse, la ragione. La lingua,dunque, sarebbe eternamente in formazione senza, però,aver mai iniziato a formarsi? Oppure si è sempre formataumanamente, tanto che la ragione non può procedere sen-za di essa né essa senza la ragione, e d'un tratto l'inizio sa-rebbe stato diverso? Diverso così, senza alcun valido moti-vo, come inizialmente abbiamo dimostrato? In tutti i casi,l'ipotesi di un'origine divina del linguaggio diventa un'as-surdità sottilmente dissimulata.

Ripeto questa dura parola detta di proposito: assurdità!E voglio spiegarmi esaurientemente. Un'origine divina dellinguaggio implica le seguenti alternative.

Prima. Non posso spiegare l'origine del linguaggio con lanatura umana: di conseguenza, essa è divina. Ha senso unatale conclusione? L'avversario afferma: posso spiegarla, espiegarla perfettamente, con la natura umana. Chi ha dettodi più? Il primo si nasconde dietro una quinta e grida:

«Ecco Dio!». Il secondo si mette in vista sul palcoscenico eagisce: «Guardate, sono un uomo!».

Seconda. L'origine soprannaturale asserisce: dal momen-to che non posso spiegare l'origine del linguaggio con la na-tura umana, nessun altro assolutamente può farlo; essa ri-mane del tutto inspiegabile. C'è consequenzialità in taleconclusione? L'avversario ribatte: partendo dall'animaumana, a me non risulta inspiegabile nessun elemento dellalingua, né al suo avvio né in ogni successivo avanzamento;è l'anima umana che mi diventa inspiegabile, piuttosto, sein essa non presuppongo il linguaggio. L'intera specie uma-na cessa di essere una specie naturale se cessa di produrrelinguaggio. Chi ha detto di più, e più sensatamente?

Terza. Infine, l'ipotesi di un'origine superiore addirittu-ra sostiene: non soltanto nessuno può trovare la ragionedel linguaggio nell'anima umana, ma io vedo anche distin-tamente insita nella stessa natura degli uomini e nell'analo-gia della loro specie la cagione che ne precludeva loro deltutto l'invenzione. Nel linguaggio, anzi e nell'essenza del-la divinità, vedo distintamente la cagione per cui nessun al-tro che Dio avrebbe potuto inventarlo. Adesso la conclu-sione sarebbe consequenziale, ma intanto è diventata l'as-surdità più grottesca, dimostrabile quanto la prova delladivinità del Corano fornita dai Turchi: «Chi altri all'infuo-ri del Profeta di Dio avrebbe potuto scrivere così?». E chialtri, all'infuori di un profeta di Dio, può sapere che solo ilProfeta di Dio può scrivere così? Eccetto Dio, nessuno po-teva inventare il linguaggio. Eccetto Dio, però, non v'è chipossa riconoscere che nessun altri che Dio poteva inventar-lo! E chi avrà l'ardire di mettersi a misurare non soltantolingua e anima umana, ma addirittura lingua e divinità?

L'ipotesi di un'origine celeste non ha nulla a suo soste-, gno, nemmeno la testimonianza della Scrittura orientale,

c̀ alla quale si richiama, poiché questa assegna al linguaggioespressamente un esordio umano, con l'imposizione del

1‘; j nome agli animali. L'invenzione umana ha tutto a suo lavo-

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Seconda parte: le leggi di ~ad 155154 Saggio sul(' ging/ne del linguaggio

re e assolutamente nulla contro: la natura dell'anima umanae gli elementi del linguaggio; l'analogia esistente nel genereumano e l'analogia degli sviluppi linguistici; l'esempiograndioso di tutti i popoli, i tempi, i continenti.

L'origine soprannaturale, per sacra che possa sembrare,è assolutamente profana. Essa, rifacendosi agli antropomor-fismi più vieti e grossolani, rimpicciolisce Dio a ogni passo.L'origine umana rivela Dio in tutto il suo fulgore perché l'a-nima umana, sua opera, da se stessa crea e continua a creareil linguaggio, proprio perché è sua opera: un'anima umana. Èessa che si costruisce questo senso della ragione come fachi crea, vale a dire a immagine del suo essere. L'originedel linguaggio diventa, dunque, divina con piena dignitàsoltanto in quanto è umana.

Un'origine superiore a nulla serve ed è sommamente de-leteria Essa distrugge qualunque efficacia dell'anima uma-na, nulla spiega e tutto rende inintelligibile, qualunque psi-cologia e qualunque scienza. Con il linguaggio, infatti, gliuomini avrebbero ricevuto da Dio tutti i semi della cono-scenza e dalla loro anima nulla scaturirebbe: l'inizio diogni arte, scienza e cognizione resterebbe per sempre inaf-ferrabile. L'origine umana non consente alcun passo senzaprospettive, senza fecondissimi chiarimenti in tutti i campidella filosofia, in tutte le modalità e le espressioni linguisti-che. L'autore ne ha dato qui un saggio e ne può produrreuna serie intera.

Che gioia sarebbe per lui se con questa trattazione fosseriuscito a rimuovere un'ipotesi che, considerata da tutti ilati, è ed è stata troppo a lungo cagione di annebbiamentoe discredito per lo spirito umano! Proprio a tal fine, l'auto-re ha trasgredito l'ordine dell'Accademia e ha rinunciato afornire delle ipotesi: che importanza può avere infatti cheun'ipotesi abbia un peso pari o maggiore di un'altra? Delresto, tutto ciò che sia formulato come ipotesi è d'uso con-siderarlo solo come filosofia romanzata, vedi quelle diRousseau, Condillac e degli altri. Egli, dunque, ha preferi-

to applicarsi a raccogliere dati sicuri tratti dalla psiche e dal-la conformazione organica dell'uomo, dalla struttura delle lin-gue antiche e primitive e dall'intera economia del genere uma-no e a dimostrare il suo assunto come si può dimostrare lapiù certa verità filosofica. Con la sua trasgressione, credecomunque di avere interpretato l'intendimento dell'Acca-demia meglio di come lo si potrebbe altrimenti interpre-tare".

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Note

' Cicerone, Ad C. Drbatoon rapita (8, 35): equia sunt verba rerum notae.Itaque hoc idem Aristoteles symbolon appellai, quod latine est nota» [ed.1960:4081

PRIMA PARTE

Primo capitolo

' L'assioma iniziale, che paradossalmente sembra già fornire la soluzionedel quesito, è un mero artificio oratorio per catturare l'attenzione del desti-natario e, nel corso dell'argomentazione, risulterà perfino ribaltato. Fra lemolteplici interpretazioni dell'enunciato, si impongono all'attenzione: Lie-brucks [1964:52 sul; Barnard [1965:55 sggl; Kriiger [19671; Grob [1976:6sgg. l; lieizmann [1981:123 sggl; Gaier [1988:81 sgg.].2 L'etologia conferma l'osservazione di Herder: il grido lanciato dall'anima./e è innanzitutto espressione di uno stato emotivo che trova un'eco pura-mente meccanica negli altri animali EChiarelli 1983:73 su.). Pur esistendoun accordo simpatetico fra le creature sofferenti, è solo dell'uomo poterdare al linguaggio emozionale una destinazione sociale per suscitare un ef-fetto nell'ascoltatore. Infatti Filottete, qui provocatoriamente accomunato auna bestia, lo userà per commuovere i compagni. L'esemplarità di questa fi-gura di eroe sofferente - già analizzata da Herder in rapporto al Laokoondi Lessing nel primo dei Kritische Wabler (1769) [SWS 111:1-188] - gli ispi-rerà il dramma in versi POiloktetes (1774). Sul tema, cfr. Weissberg D9891.

' La monade è qui intesa ridunivamenie quale centro di percezione assolu-tamente autonomo. Leibniz suscitò un'innegabile attrazione sul giovaneHerder - ne sono spia gli studi del 1769 [SWS XXXII:2 II agg.l - che, inseguito, tentò di conciliare la dottrina monadologica con il panteismo spino-

tto (Dber clic dem Mensoben angeborene bige, 1777). Sopravvalutato daHaym [(1880) 1954, I:273 sgg.; 11:296 sag .l, e da Cassirer ((1923) 1988:95sgg.I, l'influsso leibniziano su I lerder è fortemente ridimensionato da Irm-scher [1966:154 sg.] e Merker [1968:5/5nd, mentre vi insistono gli studiosiattenti agli aspetti neoplatonici del suo pensiero [Kiintzel, 1936; Dreike,1973; Reckermann, 1979).

La metafora dello strumento a corde cela una interpretazione della naturaestetica dell'uomo come organo di risonanza e, in quanto tale, capace di

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158 Saggio sull'origine del linguaggio

produrre suoni automaticamente quando riceve impressioni [Ftirst 1988:268sgg.]: l'eco restituita dalla corda è un mero riflesso condizionato che implica«la scomparsa di qualsiasi comunicazione intenzionale» [Grati 1976:40]. Lasimilitudine è, per Gaier [1988:79], il luogo d'incontro fra le speculazionisull'armonia universale e la meccanica acustica.

La perplessità espressa da Herder ricalca la cautela del fisiologo Albrechtvan Haller (1708-77) sulla possibilità di scoprire i principii della sensibilitàpartendo da minuziosi esami fisiologici che, per Herder, rischiavano di com-promettere il concetto stesso di unità psichica. «L'immortale Haller [SWSX111:81] esercitò — soprattutto con gli Elemento physiologiae corporis huma-ni (1757-66) —un influsso crescente su Herder che nella fisiologia ricono-sce il canale privilegiato di accesso alla psicologia, a sua volta strumento in-sostituibile per approfondire l'esperienza estetica (Vom Erkennen and Emp-firukn 1778). Per le affinità con Haller si rimanda a Marbach [1964] e Men-ges [1990]. La tensione di Herder verso una globale unità del sapere si con-cretizza ne/ costante bisogno di verificare le proprie concezioni sulla basedelle acquisizioni scientifiche coeve. Cfr. Apel [1963:76 sgg.]; Berlin11965:45 sgg.]; Salmon [1969:60 sul; Schick [1971]; Vena [1971:29 sgg.]:Marino [1975198]; Ilidner 11994a].6 Si nati come Herder qualifichi sempre la natura con attributi che sembra-no costituire varianti del concetto scolastico di natura naturans mutuato daSpinoza, alla cui dottrina si accosterà gradatamente solo a partire dal 1775,fino a professarsene seguace (Gaio Eimge Gespracke, 1787). Già da questomodo di interpretare la presenza divina operante attraverso le leggi naturalitraspare, tuttavia, una tendenza panteistica indicativa, per la critica di deri-vazione marxista, del «materialismo» di Herder. In proposito, cfr. Adler[1968:233-86]; Lindner [1960); Merker [1968:379 sgg.]; Otto [1978]. Sulletappe dell'itinerario verso Spinoza, cfr. Bell [1984:38-70; 97-146].i Più che al sentimento di compassione per il prossimo, assunto dai morali-sti inglesi del XVIII secolo a fondamento di ogni morale e di ogni conviven-za civile, Herder fa qui riferimento alla concezione della simpatia risalentea Plotino e affermatasi col neoplatonismo fra i filosofi della natura rinasci-mentali, secondo la quale esiste un collegamento delle singole parti con iltutto. Da qui agevolmente Herder sconfina nell'ambito semanticamente af-fine della sintonia, la consonanza, il consenso quale espressione di sentimen-ti condivisi da tutte le creature e perciò universali.l Iliade, VIII, vv. 184 sgg.

/l grido monosillabico è ambiguo perché può esprimere contenuti diversi.Appunto la polisemia dell'interiezione segna il limite del linguaggio di natu-ra: perché diventi umano, un segna vocale deve poter mantenere anche incontesti diversi il significato attribuitogli originariamente. Il grido di dolo-re, in particolare, se involontario riguarda la sola fisiologia, ma anche se de-stinato a far conoscere ad altri la condizione di sofferenza, non sempreequivale ad una comunicazione linguistica, perché «è inanalizzabile e corri-sponde all'insieme, inanalizzato, della sensazione dolorosa» [Martinet1971:211.

Note 159

l ° Platone, Pedone 60 b-c. Liberato dalle catene, Socrate osserva: «Comesembra strano ciò che gli uomini chiamano piacere; com'è meraviglioso ilrapporto che per sua natura ha con ciò che pare il suo contrario, il dolore!Entrambi non vogliono trovarsi contemporaneamente nell'uomo, ma sequalcuno ne persegue uno e Io afferra, è quasi costretto ad afferrare sempreanche l'altro, come se fossero attaccati ad un solo capo, pur essendo due. Ea me pare, continuò, che se Esopo ci avesse pensato, avrebbe composto unafavola...» [trad. it. 1970: 525]. Sulla labilità del confine fra sensazioni piace-voli e dolorose Herder si era soffermato nello studio Ober Thomas AbbtsSchrkten (1768).

" All'epoca del Saggio, per «selvaggi» si intendevano prevalentemente gliIndiani americani, a lungo ritenuti i popoli più vicini allo stadio primitivo oaddirittura fermi all'età dell'oro. L'apporto di dati sempre più precisi sullaloro effettiva condizione, emersi dalle relazioni di viaggio, rese la tesi inso-stenibile e gli esempi di un relativo primitivismo furono attinti anche allastoriografia classica o fra i popoli rimasti ai margini della «civilizzazione»europea. Cfr. al riguardo Landucci [1972]; Herrmann [1978]; Braning[1978]; Meek [1981:29-51]. Per Herder, che non riteneva più verificabileuna condizione veramente selvaggia e primordiale dell'umanità, la ricercadell'elemento primitivo si spostò, attraverso la riflessione estetica, sulla poe-sia e sul linguaggio delle origini Venturi [(1951) 1981:XlIl sg.1; Dietze[1978:17 sgg.].

12 Thomas Shaw (1692-1751) nei Travels or- Observations... (1738-46) — latraduzione in tedesco fu recensita da Herder [SWS I:81-84] —ravvisa nelgrido di giubilo (ltrh luhl lanciato dalle donne algerine in circostanze festoseuna corruzione dello halklujah ebraico. Lo stesso grido è emesso dalle la-mentatrici nei funerali ma «d'une 1 raiz basse et d'un ton plus modeste»[trad. frano: 396]. Con questa insolita figura di cronista-letterato e glottolo-go Herder, secondo la consuetudine invalsa fra gli studiosi, inizia a suffraga-re le proprie tesi ricorrendo all'apparato documentario offerto dalla vastissi-ma Reisehteratur. Per la problematica relativa a questa fonte di materiale et-nografico, sulla cui utilizzazione cominciavano a sorgere leciti sospetti, cfr.Landucci [1972] e Meek [1981].

15 Nome col quale all'inizio della colonizzazione del Nord America furonodesignati gli appartenenti a una lega di cinque tribù indigene stanziate fra ilaghi Erie e Ontario; in seguito fu esteso a un più vasto raggruppamento et-nico, linguisticamente affine, comprendente gli Urani e i Cherokee.

11 Il titolo del Versuch di Siitmilch è meno dogmatico: Tentativo di dimo-strare come la prima lingua non debba la sua origine all'uomo. bensì soltanto alCreatore. Prendendo come bersaglio lo studioso, Herder introduce una di-gressione polemica nei confronti di altre ipotesi sull'alfabeto, certamentepiù fantasiose di quella del suo antagonista per antonomasia che intende lelettere alfabetiche come entità puramente fonetiche, per le quali ancoramancava un termine specifico. L'ironia di Herder appare tanto più stonatase si confronta la formulazione di SUBmikh, definita «a prefiguration of thephoneme theory» [Salmon 1969:60], con una attuale: «the vocalizatians

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160 Saggio nal angine del loiguaggiu

heard in the laliguages of the world are always within fairly narrow limits o/the cacai natoti of sounds that man can produce» LLenneberg 1964:585].17 Personalità dagli ampi interessi e membro attivo dell'Accademia berline-se dal 1764, Johann Heinrich Lambert (1728-1777) nel Neues Organon(1764), sintesi del suo pensiero filosofico, analizza una grande varietà diproblemi di filosofia della scienza ed elabora una logica formale basata susegni universali. L' impostazione non si discosta, comunque, dall'indirizzoleibniziano-wolffiano, comune agli scienziati del tempo. In particolare Her-der si interessò ai suoi studi relativi all'acustica.n Sebastian Rasles (1658-1724), missionario in Canada, ebbe moda di co-noscere la vita e i costumi di varie popolazioni nordamericane e, in partico-lare, di studiare la lingua degli Abnaki arrivando a compilarne un diziona-rio. Le sue osservazioni e notizie etnografiche sono contenute nelle Letnrsédif iantes et... (1726).' 7 Confederazione di tribù indiane algonchine originarie del Maine. Ostiliagli Inglesi, gli Abnaki si allearono ai Francesi e, nel XVIII secolo, si spo-starono nel Canada francese. Anche la loro lingua somiglia ai dialetti algon.chini della regione dei Grandi laghi.19 II gesuita Piene Joseph Marie Chaumonot (Calmontmius, 1611-1693)ebbe il merito di accogliere nella Maison de Lorette (Quebec) gli Uranisfuggiti ai massacri degli Irochesi e di lasciare una documentazione dellaloro lingua compilando un dizionario dei dialetti e una grammatica, tradottasolo nel 1831 [Grammar in the Huron language] di cui presumibilmenteder ebbe notizia dalla Ilistoire di Charlevoix [Lounsbury 1978:334 sg.]." Così i Francesi designavano gli Indiani nordamericani Wendat stanziatiad oriente del lago di Huron che da essi prese il nome. Nel corse del XVIIsecolo furono decimati dagli Irochesi, loro nemici tradizionali, ai quali era-no affini per lingua e cultura.20 Herder lesse i Goutcittarios reales (1 1608; Il 1617) del primo grande sto-riografo ibero-americano Garcilaso de la Vega (1539-1616), detto l'Ynca,nella traduzione francese di Baudoin [SWS V:12n.l."Charles Marie de la Condamine (1701-1774), geografo e naturalista fran-cese, nel 1736 aveva partecipata alla spedizione in Perù promossa dalla Aca-démie dei Sciences, simultaneamente a quella guidata da Maupertuis in Lap-ponia, per determinare la lunghezza del grado di meridiano in prossimitàdell'equatore. Per suo conto esplorò la regione amazzonica, ricavandonedati geografici e osservazioni sui caratteri e costumi degli indigeni La Réla-rico abrégé... (1745), testo fondamentale della letteratura di viaggio, circolòin tutta Europa diffondendo notevoli pregiudizi riguarda al livello culturaledelle popolazioni prese in esame. Povera anche dal punto di vista etnografi-co, l'opera muove da una prospettiva eurocentrica che altera i dati raccoltifLanducci 1972: 249,338]-22 Simon de La Loubère (1642-1729), letterato e diplomatico francese, in-viato in Siam (1687) da Luigi XIV stilò una relazione obiettiva e ricca didati sugli usi e le istituzioni locali . Da Royaume de Siam (1691). Due ristam-

Note 161

pe (Amsterdam 1700; 1713) e una nuova edizione (Amsterdam 1714) atte-stano l'interesse per questo paese dell'Estremo Oriente venuto in voga coldiffondersi del gusto per l'esotismo.

27 Scrivendo a Johann Heinrich Merck nel mese di ottobre [Br. 1:262] Her-der escludeva senza ombra di dubbio che l'ebraico fosse la prima fra le lin-gue storiche. Nel corso del Saggio, invece, esprime più cautamente le sue ri-serve in proposito.

24 II nesso intimo fra parola, spirito divino e soffio vitale era stato oggettodella tesi De sanno... (1767). Sull'argomento pneumatologico, ripresoanche nelle Ideen... [SWS XIII: 354 sgg.], cfr. Sanner [1960:75s); Recker-mann f1979:231; [HP 1987:260n.].

" Nell'opera citata, Johann Georg Wachter (1673-1757), seguace della filo-sofia di Spino a, pur attribuendo tradizionalmente al mitico Ermete Tri-smegisto l'invenzione dei caratteri alfabetici, arriva poi, muovendo dalla fi-siologia dell'apparato di fonazione, a congenurare una loro origine del tuttonaturale, determinata dal modo stesso di articolare i fonemi [Pro[] 1978:169sgg.; 208 sggl. Il giudizio negativo di Herder riguardo all'interpretazionedei geroglifici dell'erudito gesuita Athanasius Kircher (1602-1680), espostanell'Oedipus Aegyptiacus (1652-55), si estende a tutti gli studiosi di scienzeeterodosse che, nel corso dei secoli, avevano elaborato interi sistemi arino-grafici basati sul valore mistico delle lettere alfabetiche e rispecchia lo scet-ticismo del razionalismo illuminista verso un mundus subterraneus ormai di-venuto incomprensibile. Inspiegabile l'omissione di William Warburton(1698-1779) che nello studio Haben min noch jetzt das Publikum... (1765)Herder chiama «il sognatore erudito» [SWS I:221 per come aveva trattatol'argomento in The divine Legption of Moses (1738-41).

n La concezione cartesiana dell'organismo animale come automatismo mec-canico viene rielaborata e applicata all'uomo da Julien Offray de La Mettrie(1709-51), grazie al quale la metafora della macchina (L'homme machine,1748) si afferma nella cultura illuminista, indugiando nel linguaggio dei let-terati quando ormai era scomparsa da quello degli scienziati [Schick1971:109]. Osteggiato da Haller e dai fautori della dottrina organicista, ilmeccanicismo di La Mettrie non godeva certo della simpatia di Herder checon l'uso del termine «macchina» si limita a designare il decorso indubbia-mente meccanico di molte funzioni vitali.

27 Diderot nella Lettre... del 1749 osserva: «Gomme de toutes les dammi-strations extérieures qui réveillent en nous la commisération et les idées dela douleur, les aveugles ne sant affectés que par la plainte, je le soupaanneen général d'inhumanité» 197827]. Sulla dicotomia fra i sensi della vi-sta e dell'udito, cfr. Immerwahr [1978].

78 Nella Histoire d'un Voyage... (1578), ricca di informazioni sulle popola-zioni indigene, in particolare sui Tupinamba, il pastore calvinista Jean deLéry (1534-1613) ha lasciato una delle prime esaltazioni del «buon selvag-gio» [Landucci 1972:218 sgg.).

29 Pierre Francois Xavier de Charlevoix (1682-1761), gesuita francese,

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esplorò il Canada e, in seguito, la regione dei Grandi laghi e il Mississippi.La sua Ilistoire et desciiption générale... (1744) —ricca di osservazioni sul-l'indole e i costumi degli Americani — divenne un forziere al quale per de-cenni attinscro tutti gli studiosi di etnografia e diritto a sostegno delle lorotesi e continuò ad esser citata come fonte autorevole e indiscussa per tuttoil XVIII secolo.m In contrapposizione a dizione sì definisce azione la gestualità, la mimica eogni altro messaggio non verbale dell'attore e dell'oratore.

Le sfumature della voce, la mimica facciale, i gesti — tutte componentiaccidentali e variabili del discorso — tradiscono la situazione affettiva dichi parla e intensificano il significato primario della parola con una significa-no accessoria, già dalla grammatica di Pon-Royal definita «connotazione»fllle Mauro 1966:193 sal.22 È la seconda parte dell'Essai dal titolo «Du language et de la méthode»[ed. 1973:191 sgg.].

' l Al posto di «pensieri» nel testo francese si legge: «perceptions dont ilsétoint les signes naturels» [ed. 1973:195].

Condillac dedica a tali argomenti i capitoli V-VIII della Seconda partedello Essai e apre il IX con le parole qui parafrasate da Herder: <Le n'ai puinterrompre ce que ra y lls à dire sur l'ari des gestes, la dense, la prosodie,la déclamation, la musique et la poesie: toutes ces choses tiennent trop en-semble et au langage d'action qui en est le principe» [ed. 1973:232].35 Nel testo di Condillac non «alle medesime idee», ma «aux mém.es percep-tìons» [ed. 1973:232).36 Si riferisce alla Dissertation del 1754 che, stampata due anni dopo, scate-nò lareazione dei membri dell'Accademia di Berlino di formazione prote-stante [Bahner 1978:94 sg.], fra i quali SaRmilch.

Nella Bibliotbeca histo6ea ( I, 2), Diodoro Siculo fil sec. a.C.), motiva l'o-rigine del linguaggio con l'incoercibile necessità di parlare [ed. 1985:5 sgg.).Alla sua teoria si ispira Lucrezio. Vitruvio Pollione, architetto e ingegnereromano a sec. a.C.), vede nell'invenzione del linguaggio (De orbilectura II,1) uno degli indispensabili presupposti per la vita associata. Entrambi gli au-tori aprono la lista delle autorità portate a sostegno dell'origine umana dellinguaggio nella seconda redazione dei Fragmente ( 1768) [SWS 11:681se Maupertuis era morto nel 1759 e Stillmilch nel 1767.

44 Herder rinvia alle Allgememe Betrachtungen... di Reimarus e alle recensio-ni di Moses Mendelssohn alla prima (1760) e seconda edizione (1762) appar-se nei «Briefe, die neueste Litteratur betref fend» (nn. 130-131; n. 242)[risi. 1974: 11:233-79; 1V:1-30]. Pur apprezzando e utilizzando gli studi diReimarus, Herder continuerà a combattere il determinismo meccanicistadella sua concezione ancora nelle Idee,...- [SWS X111:97-103].40 La nozione di sfera, 'applicata da Herder per primo agli animali, inclu-dendo sia il loro habitat sia il comportamento segna un deciso avanzamentorispetta alle stesse indagini di Reimarus concentrate sull'innatismo degli

istinti tecnici animali, scevri da ogni condizionamento ambientale. il cam-bio di prospettiva operato da Herder indusse Johann Albert Hinrich Reima-rus a ribadire la posizione del padre nell'introduzione alla quarta edizionedelle Angeli:eine Betrachtungen... ( 1798) [Kempski 1982:47]. Proprio l'averosservato l'animale nel suo ambiente naturale per ricavarne conclusioni uti-lizzabili in campo antropologico fa di Herder un vero precursore. Cfr. Geh-len [(1940) 1990:100]; Liebrucks [1964:59]; Irmscher [1966:149 Sggl42 II problema della continuità delle specie viventi, formalizzato da Misto-tele in una loro classificazione in ordine decrescente (scala naturael, fu ripre-sa dai naturalisti del XVIII secolo che ne fecero uno schema inflessibile nelquale andavano collocate tutte le nuove conquiste scientifiche e, dunque, unvero ostacolo al progredire delle scienze della vita. La concezione di una ca-tena degli esseri viventi — che Herder ricalca da Leibniz e non da Bonnet[Dreike 1973:87 sgg.] — non implicava l'adesione a una teoria evoluzioni-stica [Lovejoy, 1904; Rouché 1940; Verra 1971] perché non intaccava ilprincipio della fissità delle specie strettamente definito dalle rigide tassono-mie di Linneo. Anche per Herder le strutture della natura erano relativa-mente stabili o al massimo oscillanti nei limiti assegnati alla specie. Autoricome Wilson [1941], Stolpe [19641 Adler [1968:160 sgg.] vedono in Her-der un anticipatore delle teorie evoluzionistiche, ma per Schick [1971:108sgg] l'ipotesi è discutibile, e Salmon considera Herder «something of anevolutionist in spite of himself» [1969:69].

42 Ritenuto indispensabile per garantire l'ampliamento delle conoscenzesperimentali, il metodo analogico, che Herder mutua da Leibniz [Dreike1973:70 sgg.], presuppone una visione della realtà come di un organismo. Inparticolare, Herder usa sistematicamente la ingumentatio analogica per inter-pretare e collegare natura e storia. Altri contributi sull'argomento: Meggle[ 1 970]; Irmscher [19811; Pénisson [1984:892 sgg.); Verra [19871.

Secondo capitolo

Grob D976:13) vede qui ribadita la fedeltà di Herder alla lex continuiformulata da Leibniz (Nouveaux essais. Préf 1704) muovendo dal principionatura non facit saltus, secondo il quale nell'universo non può darsi un va-ClIUM fonnanim e ogni differenza può essere ridotta a una gradazione infini-ta di stadi intermedi [rad. it. 1968:176],

2 Al determinismo meccanicista di Reimarus, Herder avrebbe sostituito unnuovo modello di determinismo organico, collegabile alla teoria «animistica»stahliana [DKV 1985:713n.; 733n.]. Ma alla base di ogni teleologismo, chenel XVIII secolo permeava soprattutto le scienze naturali, va posto il con-cetto di entelechia aristotelico presente anche nella monadologia di Leibniz[Proll 1978:126n-].

Ancora nel 1785, recensendo le Ideen, Kant coglieva nell'imprecisione Ler-minologica di Herder una spia dello scarso vigore teoretico delle sue tesi[ed. 1968:793 sg.]. In effetti, il rigore kantiano sembra in lui sostituito dal

162 Saggia sun origine del linguaggio Note 163

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164 Saggio sull'origine del linguaggio

gusto della conquista graduale di espreisioni concrete nel corso della stessoargomentare [Gaier 1988:83 sg.]. In particolare, contestando Herder «l'in-tellettualismo della settecentesca psicologia delle facoltà» [Formigari1977:111 - nella sua visione antropologica mere modalità di una forza psi-chicainscindibile - anche i termini relativi a esse rimangono fluttuanti[Rwst 1988225 sg]. L'approfondimento di questi concetti assume forma si-stematica nella Aletakraik (1799) [SWS XXI: 82 sgg.; 184 sgg.; 199 sgg.l.l Sotto lo pseudonimo Edward Search si cela Abraham Tucker (1705-1774), singolare figura di filosofo moralista che, nella monumentale operaThe Light or Nature pursucd (1768-77), anticipa alcune posizioni dell'utilita-risme. Al vero scienziato, significativamente chiamato Search, si oppone unantagonista il cui atteggiamento dogmatico è denunciato dal nomeKnow-all.

5 Nella metafora del seme è adombrata la teoria della preformazione che, inopposizione all'epigenesi, nel seme o nell'uovo crede contenuto in tutti isuoi dettagli il futuro organismo. Il problema di come si riproduce o generala vita - con le sue ulteriori implicazioni circa la destinazione dell'uomondl'universo - ha a lungo travagliato Herder, rimasto oscillante fra le duedottrine fino a scartarle entrambe in favore di una visione più complessadella realtà. Cfr. Verra [1971:30 sg.1 Dreike 11973:44 sg.]./ Sulla nozione rousseauiana di «facoltà potenziale» Herder polemizza an-che nelle: Wahrheiten aut Leilmitz (17691 «dove si dà al mondo una )aculténon in atto?» [SWS XXXII:224].

Alla tematica delle forme plastiche - confluita nella Plastik del 1770 -Herder si era interessato durante il soggiorno a Parigi [Kiintzel 1936.24sgel, mutuando la terminologia relativa da Ralph Cudworth (1617881 -The tme Imellectual System of the Universe, 1678 - appartenente alla scuoladei «Cambridge Platonists».) Solo la collocazione del vocabolo d'origine latina Rellexion accanto al neo-logismo Besonnenheit può aver indotto alcuni studiosi e traduttori a conside-rare i due termini equivalenti. A un'attenta lettura, questa frase - a ragio-ne definita la «formula dell'origine» [Krintzel 1936:6] - rivela che corri-spondono a due fasi non simultanee ma successive della coscienza: la sensa-tezza è la condizione (Zustand) data all'uomo propedeutica alla libera attivi-tà riflessiva che si traduce in linguaggio. La Metakritik, dove la riflessione èdefinita «nobile attività dell'anima» [SWS XXI:175] e la sensatezza «nobiledono dell'uomo» [SWS XXL871 dissipa ogni dubbio in proposito.9 Inizia qui la descrizione della fenomenologia della «appercezione» (Aner-kennting), grazie alla quale i dati Sensoriali - che il soggetto percepisce (Crkennt) tramite un segno caratteristico (Merkmal) - vengono introiettati nelcontesto della coscienza che ti appercepisce (anerkenntl, I termini erkennen earterkennen, applicabili all'analisi della sensazione come alla teoria della co-noscenza, sono tradotti con «conoscere» e «riconoscere» in luogo di «perce-pire» e «appercepire», secondo il suggerimento di Verra [1957:673]l ° Si tratta del saggio Sto happerception (1764) di Johann Georg Sulzer

Nate 165

0720-791 Membro della Classe philosophique dell'Accademia, Sulzer - an-noverato con Mendelssohn. Tetens ed Eberhard fra i filosofi popolari -aveva partecipato anche al dibattito sulla genesi del linguaggio, propenden-do per la soluzione dell'origine animale.ll L'esempio ddragnella è ricavato dal poscritto di Moses Menddssohn allasua traduzione del secondo Discours di Rousseau, Sendschreiben au den firmiMagister Letsing (1756), [Risò 1968:345-47]. Qui ha inizio il passo fonda-mentale del Saggio nel quale Herder riproduce l'atto linguistico non dandouna «spiegazione del perché accada, ma una rappresentazione del suo acca-dere» [Grob 1976:21).12 Collegare la nascita del nome, un simbolo autocreato, al riconoscere fu«scoperta grandissima» di Herder, che in questo ha rivelato un intuito ge-niale. Cfr. Gehlen [(1940) 1990:238 sul.'I Christian Wolff, Psychologie empirica (1738) 5 284: «Si, quae ah alio ab-strahimus, ea vocabulis peculiaribus designamus et hoc modo abstractionesmagis clarae ac distinctae fiunt» [risi. 1968:201]. Cfr. anche 5 342; 5 351;

5" 31,7'2inseccicirdibile correlazione stabilita da Hamann fra pensiero e linguaggiosu un impianto ideologico teocentrico acquista in Herder un diverso spesso-re perché su tale equivalenza si incardina la sua visione antropocentrica[Merker 1973:8 sgg.]: l'uomo è uomo perché parla e parla perché pensa. Ladifesa di questo solidissimo principio nella Afetakritik riceve un assetto orga-nico in opposizione alla concezione kantiana della natura metalinguisticadelle idee. In proposito, cfr. Ruprecht [19761 Heizmann [ 1991l66 588.1;Seeba [1982]; Koepke [1987:26 sg.]; Rirst [1988:36 sgg.]; Gaier [1988:120/88 .1: Menges [1 990: 5 8 sgg.]; Helfer [1990]: Formigari [1994].[5 I casi di ritrovamento di ragazzi selvaggi erano sempre prodotti per con-fermare o escludere l'ipotesi del puro stato di natura [Formigari 1972:12sgg.]. Solo in questi, e non già nei cosiddetti selvaggi americani, sembravarealizzarsi quella condizione di homo lents postulata da ]inneo giacché, perun casuale sradicamento dal consorzio umano - «una sorta di esperimentospontaneo» [Landucci 1972:333 sgg.] - essi costituivano gli unici esempi diasocialità prolungata nei quali fosse possibile distinguere il corredo somaticoereditario dal patrimonio culturale acquisito. Negli enfasi, sauvages, creatureche non avevano «aucune parente psychologique avec k héros mythique etrousseauiste» [Malson 1964:401 Herder vedeva comprovato il proprio con-vincimento che fuori della società l'uomo non è mai in uno stato «naturale»." A Proli [11V 1987285111 si deve l'unica interpretazione plausibile dellacuriosa espressione con la quale Herder si rivolgerebbe a quegli Europeiche, pur essendo di fatto fratelli dei negri, non son poi disposti ad ammet-terlo con la stessa facilità con cui riconoscono alle scimmie la possibilità diinfrangere le barriere della specie per parlare.

Leibniz, Nouveaux Essais, III, 5 1: «Quanto agli organi, le scimmie, in ap-parenza, ne hanno di capaci a formare le parole, quanto noi; nondimeno inloro non se ne trova il minimo inizio. Bisogna perciò che in loro manchi qual-

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166 Saggio sull'angrne del fingano Note 167

cosa d'invisibile» [trad. h. 1968:401]. La lettura in traduzione tedesca delKon Befigt (1780) dello scienziato olandese Pieter Camper (1722-92) convin-se Herder a rettificare nella stesura del 1789 la posizione qui assunta: «Dallanoromizzazione dell'orango-utango di Camper (vedi i suoi scritti brevi oratradotti) questa affermazione risulta troppo ardita; mentre quando scrivevoera opinione unanimemente condivisa dagli anatomisti» [SWS V:451.

Aristotele, 412 b 20: «L'occhio è materia della vista man-cando questa non c'è più occhio, o solo per omonimia, come un occhio dipietra o dipinto» [ed. 1973:493].

19 Orazio, Sermones, I, 3, vv. 103.104.

Terzo capitolo

Il celebre chirurgo oftalmico William Cheselden (1688-1752), autore deltrattato The Anatomy o) the human Body (1713), aveva operato con successoun giovane cieco e pubblicato nei «Philosophical Transactions» (1727) unarelazione sul caso (una copia di pugno di Herder si conserva nel NacblaK,ora in: HV 11:1223-26). II risultato più sconcertante fu constatare come ilcieco, una volta acquistata la vista, non riuscisse a coordinare i corpi solidie colorati che gli si presentavano con l'idea che se ne era fatta conoscendolial tatto. Colpito dalle implicazioni dell'accertamento, che sembrava la con-ferma empirica della dicotomia fra i sensi della vista e del tatto, Herder loriporta nel Viertes Waldchen (1769) [SWS IV:50 sg.1, nella Plastik del 1770[SWS VI1I:1171e in quella del 1778 [SWS V111:3 sggl, inserendosi così nel-la discussione sul problema di sinestesia noto, da Locke in poi, come le pro-blema de Molyneux [Immerwahr 19781. Herder conosceva A Complete Sy-stem o( Optics (1738) di Robert Smith, nella traduzione (1755) di A.G.stner. Nella Ilistoire natumlle (1749 sgg.), George Louis Leclerc de Buffondiscute l'argomento nel capitolo «Du sens de la vue». La voce aveugle nellaEncyclopédie è curata da Jean d'Alembert.

2 Gli esordi onomatopeici del linguaggio per Herder hanno pur sempre unvalore dianoetico e non vanno confusi con la pura imitazione di suoni natu-rali; perché diventi parola un suono imitato deve essere usato intenzional-mente [Pallus 1966:XIX]. In quanto «fattore cooperante alla formazione dellinguaggio» [Cassirer (1923) 1988:1791, l'onomatopea costituisce una tracciadegli stadi relativamente primitivi della lingua, qualora il nesso Era suono eparola non sia andato del tutto smarrito sotto le stratificazioni successive.Cfr. Cassirer 81938) 1983:179 sgg.)' Denis Diderot, Lenir sur les sourds et muets... (1750.

11 fondamentale atto linguistico-cognitivo che si esplica nella attività de-nominatrice trova conferma per Herder nella imposizione dei nomi (Gen2,19): far nominare gli animali ad Adamo equivale a farglieli conoscere,vale a dire darglieli in possesso. Herder evita di ricorrere allo stratagemmadi altri autori che, per non entrare in aperta contraddizione con il testo bi-blico, spostano il momento della creazione del linguaggio al periodo postdi-

Inviano [Wells 1969:95 sgg.). Sull'argomento, cfr. Cassirer [(1925)1983:143 sgg1.5 A Herder non sfugge la forza dinamica insita nel sincretismo del verbooriginario nel quale soggetto azione e oggetto sono incorporati. Sulla piedi-cagione come atto sintagmatico fondamentale, cfr. CLP 1929:58.

6 L'immagine è applicata alla teleologia da Francis Bacon (1561-1626) nelDe dignitate et ano:mais scientionmr, III, 5: «Nato Causarum Fina!~ inqui-sitio srerilis est, et tamquam virgo Deo consecrata nihil parli» [Risi.1963:571]. L'identificazione del luogo si deve a Proll [HV 1987:290n.].

7 La lingua è di per sé un documento della lotta compiuta dall'uomo perimpadronirsi della realtà e dominarla [Konrad 1937:34) e il passo un esem-pio del «primario carattere mitico di ogni concetto nominale e linguistico»[Cassirer (1925) 1983:1451, una feconda intuizione che il Romanticismo ere-ditò da Herder. Il peso rilevante dell'animismo nel processo di astrazionetrovava conferma nei resoconti di viaggio [Landucci 1972:265 sgg.] che do-cumentavano sia i vari stadi di capacità astrattiva raggiunti dai popoli primi-tivi sia la profusione di metafore generate da tale concezione. Altri studi:Cassirer [(1922) 19831: Bonfante [(1954) 1988]; Vena [1966]; Wells[1969 : 96 sgg.); Schick [1971:26 sgg.].8 Nella stesura a Herder precisa: Salémilch, 5 7, nota p. 22.

9 Benché non ne faccia esplicita menzione, è presumibile che Herder alludaalla tesi sostenuta da Longino (Il sublime) e abbracciata da Thomas Black-well (An Enquiry Mio the Life..., 1735), ricordati insieme anche nel breveWie die Philosophie zum besten des Volkes... (1765) [SWS XXX11:601. Ma èlo stesso Hamann che apre la Aestbetica in nuce (1762) affermando con gran-de autorità: «Poesia è la lingua madre del genere umano» [trad. it.1977:113), argomento che Herder rinvigorisce trasferendolo dal pianometafisico-simbolico a quello empirico-genetico [Schnebli-Schwegler1965:52], sulle prime forme dell'arte poetica (Fragmente ciner Ab-handlung aber die Ode, 1764; Venuch eine lyrischen Dichtkunst, 1764) e rac-cogliendo canti popolari — per i quali nel 1773 coniò il termine Volkslied— certo di poter trovare in essi le tracce più antiche della poesia. Cfr. Verta[1966:43 sgg.]; Heizmann [1981:28 sgg.); Morton [1982:41 sgg.); Fasi1 1988 / 132 sgg.7; (DKV 111:848).

lk Già nei Fragmente [51V5 11:72 sul, Herder invitava a diffidare delle in-terpretazioni letterali e anacronistiche di quegli studiosi che si erano adden-trati in fantasiose speculazioni per ricostruire il linguaggio musicale, qualiIsaak Voss (De poematum canta..., 1673), Markus Meibom (Antiquati musi-cae..., 1652) e Jean-Baptiste Dubos (Réfkxions chtiques„., 1719).

"Nouveaux Essais, III, cap. 1, par. 1-2: «E bisogna anche considerare chesarebbe possibile parlare, cioè farsi intendere per mezzo dei suoni della boc-ca, senza formare suoni articolati, se ci si servisse, ad esempio, dei toni mu-ggii» [trad it 1968'401 sg.l.

22 John Brown (1715-1766), teologo e scrittore inglese amico di Warbur-ton, nell'opera A Dissertation on the Rise... (1763), fonda una teoria estetica

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168 Saggio tutt'ungine del linguaggio Note 169

sul ronvincimento che nell'uomo primitivo tutte le arti siano indissolubil-mente legate fra loro e alla musica spetti un compito formativo fondamenta-le. L' opera era nota a Herder nella traduzione di J.J. Eschenburg (1769).

Orazio, Sennoties, 1, 4, v. 62.

' I Muovendo dalla sinestesia come strumentazione indispensabile per laformazione di vocaboli nel caso di oggetti che non emettano suoni, Herderdelinea una vera e propria teoria estesiologica, fondamentale per la sua gno-seologia (che in seguito prenderà corpo nel trattato Vom Erkennen und Emp-)iaden, 1778). Eliminata la gerarchia fra sensi superiori e inferiori, al senso-rio comune è demandato il potere sintetico di organizzare i dati dell'espe-rienza nell'unità del pensiero. Per un approfondimento del tema, cfr.Schnebli-Schwegler [1965:108 sgg.]; Sauerland (19801; Farsi [1988:241sgg.]; Norton [19911; [Formigari 1994]. Sulla posizione chiave dell'uditocome mediatore delle sensazioni non acustiche, cfr. Pénisson [1987]; Gaier(19881; Trabant [1990; 1992].

1 / L'immagine è di Leibniz (Nouveaux Essais. Pie): «E per meglio giudica-re delle piccole percezioni che non sapremmo distinguere in una folla (dipercezioni), sono solito servirmi dell'esempio del muggito o rumore delmare dal quale si è colpiti quando si è sulla riva. Per intendere questo rumo-re bisogna che se ne percepiscano le parti che lo costituiscono, cioè il rumo-re di ogni singola onda...» (trad. it. 1968:173 sg.1. Negli studi su Leibniz[SWS XXX11:214 Herder si era soffermato sulle innumerevoli, sfug'genti impressioni che soltanto sommandosi diventano afferrabili e sulle qua-li si fondano tutte le sensazioni oscure e inspiegabili (.je ne sais quoi»). Ne-gate sia dal razionalismo cartesiano che dal sensismo inglese, le petites per-eeptions costituiscono per Leibniz l'essenza stessa della vita psicologica. Sultema, si legga Radis-Lewis [19851.

36 Nella Histoire natuielle di Buffon, il capitolo dedicato all'argomento è«Des sens en général»; Condillac lo discute nel Traité des sensations (1754),e Charles Banner nello Essay de psychologie (1755) e nello Essay analytique(1760). Cfr. Hafner [1994a1. Dalla lettera del 12 settembre 1770 a J.H.Merck [Br. I:2171, lrmscher [1966:128 sg.] desume che Herder conoscessele suddette teorie solo attraverso il Systeme de la nature (1770) di Paul Hen-ry Thiry de Holbach.

Shakespeare, A Midsummer Night} Dream, 1, 1, vv. 146-49. Herder si di-le:cava 33 tradurre la commedia forse fin dal 1766 [SWS 1:397n.1 Alla gran-dezza del teatro shakespeariano è dedicata la seconda parte di Von deutscherArt und Kunst (1773) [SWS V:208 sgg.]; saggi della traducibilità della suapoesia sono raccolti negli Alte Volkslieder (1774) [SWS XXV:33-60]. Sull'in-teresse dominante di Herder per Shakespeare, cfr. Stellmacher [19781;Knodt 119901.

' s Alexander Pope (1688-1744), Essay on Man, Ep. I, v. 200: «Die of aRose in aromatic pain» [ed. 1963:187]. Nei versi della sezione VI, Pope svi-luppa l'idea di una sensibilità umana così sapientemente dosata che qualun-que suo potenziamento risulterebbe inutile se non dannoso.

t9 Già Giuseppe Arcimboldi (1527-93) aveva studiato i gradi crematici deicolori, tentando di trovare le relative corrispondenze con gli armonici deisuoni. Ma il prototipo di tutti i successivi pianoforti e organi cromatici fumesso a punto nel 1735 dal padre gesuita francese Bertrand Louis Castri, checostruì un clavicembalo oculare, i cui tasti dovevano essere distinti secondo lasuccessione cromatica. A questo si riferisce Herder più volte nelle sue opere.

2° Johann Georg Suini (1720-79), Nouvelle théorie du Plaisir. Pubblicata infrancese nei Mémoires del 1751 e successivamente in tedesco (the, den Dr-

sprung dei angehnemen..., 1762).

21 Dall'opera Origine, hebraeae (1724; 1738) dell'orientalista Albert Schul-rens (1686-1750) Herder ha tratto tutti gli esempi precedenti [lrmscher1966:129ml22 Orazio, De arte poetica, 97.23 Bacone , Novum Chganum (1760), 1, 2, Aph. n LX: 1963:1711.

a4

per ver-ba intellectui imponuntur duorum genera sunt» [Rist. 9

24 Rilimikh non nega affatto i sinonimi, dei quali sottolinea il valore sulpiano stilistico, sostiene invece, a ragione, che non esistono vocaboli perfet-tamente sinonimi [Kieffer 1978:102 sgg.].

25 Le diverse soluzioni proposte per identificare il toponimo non sono con-vincenti.

26 Durante la spedizione scientifica (1736-37) affidatagli dalla Academie des

sciences al fine di verificare l'ipotesi dello schiacciamento della sfera terre-stre ai poli, Maupertuis si spinse fino al cuore della Lapponia mosso dallacuriosità di trovare un antico monumento. La Relation d'un voyage... (s.d.)riporta molte osservazioni sulle popolazioni indigene [risi. 1965:177 sgg.l.

21 La polemica sull'uso dei due termini risale alla controversia teologica frachiesa orientale e occidentale, suscitata dall'eresia ariana. Ad Atanasio (295-373) si deve l'introduzione del termine dgooftotos, consustanziale al Padre,il cui uso distinse gli ortodossi, laddove ftgotokros, simile in essenza, fuadottato dai semiariani o omeusiani. In latino, non esistendo l'equivalentedi Soia (essentia fu coniato molto più tardi), si partì dal greco n if 151770I0 IS

che ha un corrispondente in substantia, ma che era usato anche per designa-re la persona, accezione che in seguito prevalse.

18 Con questo termine vagamente spregiativo si indicavano sia gli adepti dialcune sette religiose dissidenti che si ritenevano direttamente ispirati dalloSpirito Santo, sia coloro che consideravano il sentire immediato più sicurodella ragione e del pensiero per raggiungere la verità.

29 Sul sistema teosofico di Emanuel Swedenborg (1688-1772), esposto nell'o-pera Arcaffia coekstia (1749-56) aveva richiamato l'attenzione Kant attaccan-done il misticismo visionario nei Tritone eines Geistersehers (1766) Dal cantosuo Herder non risparmia il sarcasmo verso lo scienziato e teologo svedese nelrecensire il libro di Kant [SWS 1:125-30] e nemmeno nel profilo biograficoche ne traccia in Admstea (1802). Agli antipodi della visione teosofica di Swe-denborg si situa la fede nell'incarnazione storica della divinità che a Friedrich

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I 70 Saggio sull'angine del linguaggio Note 171

Gottlieb Klopstock (1724-1803) ispira Der Messia, [1748-731, acclamato daHerder come il primo poema classico in lingua tedesca (Br. 1:152]. Sul rappor-to Herder-Klopstock, cfr. Stolpe [1955]; Lohmeier 09681.

19 La rettifica nell'edizione del 1789 di «Chingulese» in «Chingalese» nonaiuta a identificare Petnonimo. Porrebbe trattarsi dei Singalesi, nome dellaclasse dominante di Ceylon [Gerold 1953:787nd; degli abitanti dello Chin-gan cinese [Irmscher 1966:129n.1; o degli abitanti del Rio Xingù, affluentedel Rio delle Amazzoni, descritti da La Condamine [DKV 1985:759w].

ti L'autore inglese è il teologo Peter Browne (1665-1735) che coltivava conpassione anche interessi filosofici e aveva elaborato una dottrina dell'analo-gia in contrapposizione alle conclusioni deiste ricavate dalla gnoseologia diLocke. L'anno di edizione di Things Divine-. è il 1733 (la correzione si devea Claus Trager, curatore della redazione Ad

37 Léry non scrisse una grammatica della lingua brasiliana, ma la sua impor-tante relazione di viaggio contiene osservazioni e note sparse sulle linguetupi-guaranì parlate dai Tupinamba, tribù oggi estinte che risiedevano lungola costa brasiliana, a sud dello stato di San Paolo.

" Rousseau, Discoun: «Bisogna pensare che le prime parole che gli uominiusarono ebbero nel loro spirito un significato assai più vasto di quanto loabbiano quelle nelle lingue già formate e che, ignorando la divisione del di-scorso nelle sue parti costitutive, essi all'inizio dettero ad ogni parola il sen-so di un'intera proposizione» [trad. it.: 117].

34 Resnel è probabilmente la trascrizione fonetica del cognome dello storicoGuillaume-Thomas Raynal (1713-96) la cui Histoire philosophique... (1770)contiene una descrizione accurata delle culture indigene canadesi [HV1987:316n.1." «Si può concepire l'evoluzione linguistica come governata da un'antinomiapermanente fra le necessità di comunicazione dell'uomo e la tendenza che egliha a ridurre al minimo la sua attività mentale e fisica. Qui, come altrove, ilcomportamento umano è soggetto alla legge del minimo sforzo...» [Martini1971:197].1lerder trasferisce sul piano linguistico la 7oi de la moindrequantitéd'action formulata - per i processi naturali - da Maupertuis.

SECONDA PARTE

Platone, In Repubblica, VII, 5144-518b [trad. ].. 545-501.

2 Già Rousseau nel Diseows... Braci. it.: 102 sgg.; 112; 128 sg.] metteva inluce quale rischio reale di disintegrazione della forza originaria dell'uomosia insito nella divisione del lavoro e quanto siano determinanti nel processoformativo individuale gli istinti e i bisogni naturali.

3 Cari von Linné, Philosophia botanica (1751). Pur avvertendo nella tasso-nomia binaria di Linneo una costrizione per la sua visione organicista dellanatura, Herder non aveva elementi per poter mettere in discussione le clas-sificazioni del naturalista svedese [Schick 19711.

J.D. Michaelis, De l'influente..., 2, § 1: «Les langues soni l'amas de la sa-gesse et du genie des nations, où chacun a mis du sienne. Ceci ne s'entendgas seulement des savans, qui au contrarre ani souvent un genie borné... Lesimple homme d'esprit y fournit peut-étre d'avantage, et Phornme sans let-tres y a souvent d'autant plus de pari que ses pensées sona, pour ainsi dire,plus voisines de k nature» [rist. 1974: 27].

Aristotele, Poetica 1456 b 18: «Della elocuzione in genere si distinguonole seguenti parti: lettera, sillaba, particella congiuntiva "o" articolazione,nome, verbo, caso, proposizione» [trad. it. 1973:564].

6 Aristotele, Dell'espressione, Via 10: «È del resto necessario che ogni di-scorso dichiarativo derivi da un verbo o da una flessione del verbo» Braci.it. 1973:551.

1 Sollecitudine amorosa,

Condillac (Essai, II, 5 1601 aveva compreso che le idee accessorie rinvianoal codice culturale e affettivo caratteristico di ciascuna nazione. Tali asso-fazioni di idee sono quindi intrasferibili e la loro incidenza per il costituirsidel «génie d'une langue» è fondamentale [ed. 1973:266 sg.].

9 Fonte non identificata.

IO Proprio in virtù della wilécrepitude littéraire de l'Europe qu'il [Herder] acru à l'authenticité des chants d'Ossian» [Rouché 1944:541, vale a dire allagrande mistificazione letteraria de/ XVIII secolo attuata dal teologo scozze-se James Macpherson (1736-96). Nessuno dubitava che si trattasse di poemirisalenti agli albori della civiltà, paradigmatici del modo di sentire dell'uomoprimitivo e non distinguendosi ancora i Celri dai Germani, il loro presuntoautore fu applaudito come padre della poesia popolare tedesca. Cfr. la re-censione di Herder alla traduzione (1768) di M. Dennis per la ADB [SWSIV:320-251 e lo scritto Aumug aus einem Briefwechsel aber Ossiana. (1773).Sull'argomento, cfr. Stolpe [1953:43 sgg-]; Schedfler [1967:80 sgg.]; Verra[1971:0 sgg].

" Leggi Orazio, Sennones, I, 3, 100.

" Allo schiavo nato in casa (vema) spesso era affidata la cura dei bambini:lingua vernacula equivale, dunque, a lingua démestica.

73 Probabile riferimento a Voltaire che nei suoi scritti sostenne a più ripre-se la teoria del poligenismo conferendole una interpretazione decisamenterazzistica, laddove «Herder rifiutava ogni teoria delle razze originarie» [Ma-rino 1975:84 Sulla controversia Era monogenisti e poligenisti cfr. LanducciI1972:78 sud; Marino [1975:83 sgg.]; Fink (19821.

14 Abbandonata l'ingenua congettura diffusa fin dall'antichità che il colorenero della pelle derivasse dall'esposizione prolungata al sole, stava acqui-stando credito l'opinione - condivisa anche da Voltaire che la giustificavacon le dissezioni anatomiche di Fredrick Ruysch (16381731) - che un reti-culum mucomm posto fra la membrana interna e quella esterna trattenesseun liquore calor inchiostro, responsabile della pigmentazione scura. Cfr.Landucci [1972:79 sgg.].

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172 Saggio sull'ongme del linguaggio Note 173

15 Fonte non identificata.

'" Nella visione politica di Thomas Hobbes esposta nel Leviathan (1651) —e condensata nella sentenza homo homini 40E, ivi, II, cap. 17 (trad. it.:2101 — la guerra è la condizione naturale dell'umanità, una teoria che ren-deva piuttosto ardua qualsiasi idealizzazione della vita primitiva [Meek1983:14 sg.].

Il David fiume, A Treatue o) Immo; Nature (1739-40), II, 2, cap. VIII: «Aman, who compares himself tu his inferiori receives a pleasure from thecomparison» [Risi 1964:162].

"L'Etymulogicon (1662) di Gerhard Johannes Voss (Vossius. 1577-1649)non è fra gli studi più nati dell'importante grammatico e filologo classico,autore di trattati che possono dirsi i primi tentativi di storia della storiogra-fia e di storia delle religioni.

" Gen I1,1-10. Da Robert Lowth (1711-87) (De sacra poeti Hebraeorum,1753 e, annotata da Michaelis, 1758) era venuta l'indicazione di accostarsialla Bibbia come a un testo poetico di cui vagliare attentamente moduligrutturali, tecniche linguistiche e generi letterari. Il suo influsso sull'esteti-ca tedesca fu enorme [Marino 1975:262 sgg.). Sulla sua scia, anche Herderleggeva l'Antico Testamento come un testo di letteratura profana ma, conun maggior rispetto per la tradizione letteraria ebraica, non riteneva appli-cabili a essa i criteri ermeneutici validi per le letterature occidentali. Un'in-terpretazione simbolica del testo biblico Herder darà poi nella Aeheste Ill-ktinde der Menschheit (1774-76), che segna 4a punta massima della conver-genza con Hamann» [Merker 1968:280]. Sul tema, cfr. Venturi [1981:XVsgg.]; Verra [19661; Rimi [1988:132 sgg.]; Liittgens [1991].

20 In questo passo, il nome Babele è erroneamente fatto derivare dalla radi-ce bit (»confondere»), mentre significa sporta di Dio».

21 Probabile allusione all'espediente adottato da Demostene per correggerei propri difetti di pronunzia.

22 La battaglia contro Voltane e k idee da lui espresse nella Phelosophie delistoire par )en tabbé Bazin (1765), divenuta l'introduzione dello Essai sui

Moeury nell'edizione del 1769, sarà condotta da Herder nel saggio Auch

eive Philwapbie der Geschichte (1774). Per questa tema si rimanda a Rouché[1944]; Venturi [(1951) 1981]; Merker (1968:450 sgg.].

Il La contraddizione in cui Herder sembra cadere rispetto all'affermazioneiniziale sull'alfabeto (p 8) è solo apparente: qui, nella diffusione dell'alfabe-to e del meccanismo che ne è alla base scorge una riprova della trasmissioneculturale e della monogenesi delle lingue.

2 ' La pittura di Anton Raphael Mengs (1728-79) sembrò ai contemporaneila realizzazione delle teorie di Winckelmann e fu determinante per il for-marsi del gusto neoclassico.

25 11 nome del pittore tedesco del periodo Rococò Christian Wilhelm ErnstDietrich (1712-1774) nell'edizione del 1789 è sostituito con quello diDiirer.

28 Tacito Germania, VI, 6 «scura tantum lectissimis coloribus distinguunt»[ed. 1987:34]. L'immagine è usata da Klopstock per lo scudo di Arminionella XII scena dello Ilennanns Schlacht (1769), dramma della trilogia dedi-cata all'eroe germanico che diede inizio alla moda della poesia «bardica»[Stolpe 1955:335 sgg.]. Herder vi scoprì l'entusiasmo per gli antichi Germa-ni che incarnavano storicamente l'ideale di innocenza e di virtù integralemagnificato da Rousseau nello stato di natura. Cfr. Rauche [1944:14-33];Stolpe [1955:335 sg.g.i.A Si coglie qui un'eco della polemica di Herder nei confronti di Winckel.mann tradotta nel rifiuto del primato della Grecia e della pretesa di stabilirecanoni estetici universalmente validi, fondati sull'accettazione acritica deimodelli classici. Cfr. in proposito: Rouché [1944:8 sgg.], Dietze [1978:2sgg.]; Heizmann [1981:76 sgg-].

28 Nell'edizione 13 l'aggettivo è rettificato in «tedesco».

25 Dalle pagine precedenti emerge l'insofferenza di Herder per ogni tipo diegemonia culturale e il precisarsi del concetto di relativismo del gusto e deicostumi, già presente nel giovanile Von der Verschiedenheit des Gesehmades,(1766). Proprio la sua proposta di guardare alle popolazioni affacciatesi perultime nella storia come a culture diverse contribuì in maniera decisiva al-l'abbandono dell'eurocentrismo e spianò la strada per un approccio socio-antropologico al fenomeno della pluralità delle culture. Cfr. Rouché[1944:62 58.8.]; Harich [1952:7 sgg.]; Berlin [1965:50 spii.]: Marino(1975:83 sgg.]; Landucci [1971:385 sud; Herrmann [1978); Meek[1981:134 sgg.]: Heizmann (19811; Hàfner 11994bl.

IO In luogo di una premessa metodologica che sarebbe suonata in curiosocontrasto con il quesito accademico, Herder fornisce a posteriori una moti-vazione del proprio procedimento argomentatisi° che sembra ricalcare quellodel Natura! historian sintetizzato da Ferguson nella formula «To coltecifacts, not to offer conjectures» [cit. in Landucci 1972:358n.]. Cfr. anche DiCesare [1991].

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Bibliografia

La bibliografia che segue non ha alcun carattere di completezza né diomogeneità. Accanto agli scritti di Herder che preparano o sviluppano la te-matica linguistica-filosofica del Saggio ne compaiono altri la cui lettura è ri-sultata indispensabile per l'accesso alle molteplici problematiche culturaliche Herder contestualmente tratta e, spesso, risolutiva per l'interpretazionee, quindi, corretta traduzione di alcuni scogli del testo. Un criterio analogoha orientato anche la non facile selezione fra gli studi critici, proliferati nel-l'ultimo ventennio. Come opere di consultazione per chiarimenti lessicalisono stati utilizzati il Warterbuch der Philosophiscben Begriffe, a cura di 3.Hoffmeister, Hamburg 1955; il Philosophisches Wórterbuch, a cura di G.Klaus e M. Buhr, Leipzig 1975, e Der Wortschatz des deutscben Pietismus,Tiibingen 1954, di A. Langen. Per una visione completa degli studi su Her-der si rimanda alla HerdeuBibliographie, a cura di G. Giinther, A.A. Volgi-na, S. Seifert, Berlin-Weimar 1978 che, per gli anni successivi, può essereutilmente integrata dalle rassegne bibliografiche annesse ai saggi di 13 Bec-ker Herder Rezeption in Deutschland (1987:226-242) e di G. Dirsi Spintisi)ah memphoriseber ProzeK (1988:415-432). Un ultimo aggiornamento è datodal repertorio bibliografico di T. Markworth, J.G. Herder. A BibliographicalSurvey, 1977-1987, Hiirth-Efferen 1990. Per la bibliografia sul tema dell'o-rigine del linguaggio cfr. G.W. Hewes, Language Origins: A Bibliography,The Hague 1975. Si ricorda, inoltre, che le traduzioni italiane dei testi ber-deriani, oltre che esemplarmente introdotte, sono sempre corredate da indi-cazioni bibliografiche specifiche. All'insostituibile edizione critica dei Snm-tliche Werke, curata da B. Suphan, C. Redlich, R. Steig, Berlin 1877-1913,33 voll., rist. Hildesheim 1967-68 (cui si rinvia con la sigla SWS), si affian-cano ora le edizioni di opere scelte in corso di pubblicazione nella HanserVerlag, Werke in Einzellninden, a cura di W. Proli, Menchen-Wien 1984sgg., e nella aDeutscher Klassiker Verlag», Werke in zehn Bdnden, a cura diM. Bollacher, Frankfurt am Main 1985 sgg. (indicate rispettivamente con lesigle HV e DKV), che costituiscono un valido ausilio alla lettura per il riccoapparato di riferimenti alle fonti e agli inediti. Il carteggio herderiano è or-mai disponibile nell'edizione completa: &tete. Gesaintausgabe. 1763-1803, acura di W. Dobbek e G. Arnold, Weimar 1977-1988, 9 voll. (Br. nelle cita-zioni).

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176 Saggio su // h aglio

1. FONTI

(Là dove l'accertamento delle edizioni usate da Herder non sia stato pos-sibile, le indicazioni sono in parentesi angolari; in parentesi quadre com-paiono edizioni moderne, ristampe, traduzioni utilizzate dal curatore).

Aristotele: (Opera :moria grane et latine, G. du Val ed., Paris 16391.- (Dell'espressione, in Opere, Bari 1973, vol, I, pp. 49-81; Delt anima, ivi,

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Venucb einer Geschichte der lyrischen Dicbtkunst, 1764 [SWS XXXI1,85-140].

Wie die Philosophie zum besten des Volkes allgemeiner und ninzlicher werdenkann, 1765 [SWS XXXII:31-61]

1-laben jetzt dar Publikum und Vater/and dee Alteri?, 1765 [SWSl

Von der Verschiedenbeit des Geschmacks und der Denkan unter den Menschen,1766 [SWS XXXII:18-291.

Uber die neutre deutsche Litteratur. Fragmente, I, II, III Sammlung, 1766-67[SWS 1,131-531]; IX Sammlung, r red. 1768 [SWS 11,1-108] [trad. it. diN. Merker, Frammenti sulla letteratura tedesca più recente, in Herder.Monaddo, Linguaggio e società, a cura di N. Merker e L. Formigari,Bari 1973, pp. 71-127 (passi scelti)].

De Spiritu sancto amatore salutis humanae. Theses theologicae, 1767 [SWSXXX1/1:21-36].

Ober Tbomas Abbts Schrilten. Tono, 1768 [SWS 11:249-363].

Krztlischig 1Weiftle, r, 1769, I, II, III Wakkhen [SWS III]; IV Wdldelgen [SWSy 98

Fragmente ZII einer «Archeologie des Morgenlandes», 1769 [SWS VI:1-129].

Joumal mense,' Reise im Jahr 1769 [SWS IV;343-486]. [DA. it. di M. Guzzi,Giornale di viaggio 1769, Milano 1984].

Wahrheiten aus Leibnitz, 1769 [SWS XXX11,211-25].

Uber Leibnitzens Grundsàtze von der Nano- und Gnade, 1769 [SWSXXXII:225-271.

Studien und Entwurfe zur Plastik, 1768-69 [SWS VIII:88-1151.Die Plastik von 1770 [SWS VIII:116-163].

Von deutscher Art und Kumt, 1773, I. Aus einem Brieftvechsel iiber Ossian

und alter Vaker [SWS V:159-207); 11. Shakespear [SWSV:208-31].

Auch eine Philosophie der Geschichte zur Bildung der Menscbheit, 1774 [SWS

Page 90: Saggio Sull'Origine Del Linguaggio Umano. Herder

182 Saggio sull'origine del Imgyaggio Bibhogralw 183

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Philoktetes. Scenen mi: Gesang, 1774 [SWS XXV111:69-78].

Alte Volkslieder, l, 1774 [SWS XXV:1-1041.

Alteste Urkunde des Menschengeschlecbles, l, 1774 [SWS VI:193-511); II,1776 [SWS VI7:I-172].

Umachen des gesunknen Geschmacks bei den verschiednen Volkern, da ergeblii-bet, 1775 [SWS 9:595-6551,

Plastik, 1778 [SWS VIII: 1,87],Voto Erkennen und Empfinden der menschlichen Sede, 1778 [SWS

V111:165-2351.Uber die dem Menschen angeborne bige, 1777 [SWS 1X:536-40].

Uber die Wiirkung der Dichtkunst auf die Sitten der Valker in alteri wrd neuenZeiten, 1778 [5315 VIII: 334-436].

Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menscbheit, 1784-91 [SWS X111;XIV]. [Trad. it, a cura di V. Verra Idee per la filosofia della storia dell'u-manità, Bari 1971 (1992 r ed.)].

Vonede zu Monboddo, Ursprung und Fortgang dm Sprache, 1784 [SW5XV:179-1881.

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Von der Gabe der Sprachen am enten d'Esilia/Jen PIigstfest, 1794 [SW5XIX:1-59],

Eine Metakritik zur Krztik der reinen Vemurdt, 1799 [SW5 XXI]. [Trad. it.pari. di I. Tani, Metacritica, Roma 1993].

Emanuel Swedenborg, der grò$este Geisteneher des achtzehnten Jahrhunderts,in Adrastea (1802), [5115 XX111373-841,

Recensioni

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ADB »Allgemeine Deutsche Bibliothek». 1767-70 [SWS IV:232-336].

Edizioni del Saggio (dal 1950)

Harich, 1952: Uber den Ursprung der Sprache, in J.G.H. Zur Philosophie dmGescbichte. Eine Auswabl in 2 Banden, a cura di W. Harich, L Berlin;pp. 336-431.

Gerold, 1953: Abhandlung iiber den Ursprung der Sprache, in J.G.11. Werke inzwei Banden, a cura di K.G. Gerold, I, Miinchen, pp. 733-830.

Dobbek, 1957: Abhandlung liber den Unfirung der Sprache, in Werke in f Un/

Banden, a cura di W. Dabbek, Il, Weimar, pp. 77 . 190 (5' ed. a cura diR. Otto, Berlin-Weimar 1978),

Trager, 1959: Ilber den Unpmngder Sprache, a cura di C. Trager, Berlin (pri-ma stampa della stesura manoscritta R inviata da Herder per il concorso).

Irmscher, 1966; Abbandlung iiber den Ursprung der Sprache, a cura di H.D.Irmscher, Stuttgart.

Proli, 1978: Abbandlung diger den Ursprung der Sprache. Text, Materia/en,Kommentar, a cura W. Proli, Miinchen-Wien s.d. [1978].

DKV, 1985: Abhandlung atter den Unurung der Sprache, a cura di U. Caier,DKV 1:695-810.

IIV, 1987: Abhandlung aber den Unprung der Sprache, a cura di W.11V 11:251-357.

Traduzioni del Saggio

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Saggio sull'origine del Linguaggio, Prima versione italiana e introduzione acura di G. Necco, Roma 1954.

Traité sur de la langue. Suivi de ?analyse de Aféman et des textes «M-ques de Hamann. Trad. frane, di P. Pénisson, Paris 1977.

Scritti postumi e relativi studi

Adler, Emil; 1976, Uber den Katalog von IG. Flerders bandschnItItchemNaehla8, in BG 1976, pp. 85-98.

Irmsc84)h179,Hans Dietrich: 1960, Aus Herders Nachlab, «Eu Pliorion» , 6P-2

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Irmscher, Hans Dietrich; Adler, Emil (curatori): 1979, Der handscbriftlicheElachlafl Johann Gottfried Herders. Katalog im Auftrag und mit Unterstia-zung der Akademie der Wissenschaften in Gottingen, Wiesbaden.

3. SCRITTI SU HERDER

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Résumé académique sur l'origine tizi langage, Mémoires 1771 J.B.( Merian),[in append, alla trad. frane., Paris 1977, pp. 275-278].

Page 91: Saggio Sull'Origine Del Linguaggio Umano. Herder

184 Saggio sull'ungine del linguaggio

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Dahte, Johann Augusta Praelatio ai Prokgomena di Brian Walton alla Bibbiapoliglotta, Leipzig 1777, pp. V-IX [Proli 1978, pp. 221-23].

Reimarus, Johann I{einrich: Einleitung zur Erortung der SchluMolgen uber dieTriebe dei Thiere, in H.S. Reimarus, Betrachtungen, Hamburg 1798 (4a).

Goethe, Johann Wolfgang: Dichtung and Wahrheit (1811 . 14), Werke, a curadi E. Trunz, Hamburg 1955, vol. IX.

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Indice

P 7 Introduzione di Agnese Paola Amicone

27 Nota editoriale

PRIMA PARTE. Abbandonati alle loro capaci-tà naturali, gli esseri umani hanno potuto inven-tarsi il linguaggio?

31 Primo capitolo

51 Secondo capitolo

7l Terzo capitoloSuoniUn linguaggio in assenza di qualsiasi suono

SECONDA PARTE. Qual è stato per l'uomo ilmodo più agevole per potersi e doversi inventa-re il linguaggio?

111 Prima legge di natura

126 Seconda legge di natura

135 Terza legge di natura

143 Quarta legge di natura

157 Note

175 Bibliografia e