Sabato 24 Settembre 2016 Referendum, la truffa del quesito · del Buon Natale” POLITICA MELLINI A...

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Direttore ARTURO DIACONALE Sabato 24 Settembre 2016 Fondato nel 1847 - Anno XXI N. 174 - Euro 0,50 DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QUOTIDIANO LIBERALE PER LE gARANzIE, LE RIFORME ED I DIRITTI UMANI delle Libertà PRIMO PIANO ARCONTI A PAGINA 3 Olimpiadi, parte seconda ECONOMIA ROMITI A PAGINA 4 Continua l’assalto alla diligenza dell’Inps ESTERI TOAMEH A PAGINA 5 Palestinesi: Jibril Rajoub e “la comunità del Buon Natale” POLITICA MELLINI A PAGINA 2 Rinfacciano alle vittime di aver subito il ricatto ATTUALITÀ GIULIANO A PAGINA 7 Femminicidio e bullismo: la responsabilità non è del Web Referendum, la truffa del quesito Matteo Renzi annuncia il testo del quesito referendario confermando il sospetto che la formula usata nasconda in realtà un tranello per invogliare a votare “Sì” Parisi e un manifesto manuale contro quel “No” “C’ è una cultura tetra, nega- tiva, tenebrosa, dietro il no alle Olimpiadi ufficializzato dal M5S”. È l’incipit di Stefano Parisi su “Il Foglio” la cui lettura, in parallelo a quella de “il Giornale” dello stesso di PAOLO PILLITTERI di ARTURO DIACONALE T utti, a partire da Matteo Renzi, si esercitano a disegnare gli scenari che potrebbero determinarsi nel caso di una vittoria del “No” nel referen- dum sulla riforma elettorale. Il Pre- mier ripete che la bocciatura della modifica della Costituzione spalan- cherebbe la porta al caos scatenando le reazioni negative dell’Unione eu- Continua a pagina 2 Continua a pagina 2 siano mai chiesti che ruolo abbiano giocato loro proprio in tema di fe- deltà al nuovo spirito liberal-rifor- matore di quel partito inventato dal genio arcoriano? In altri termini: quanto ci hanno messo di loro a far perdere per strada una decina di mi- lioni di voti a quel partito avendo ora la faccia tosta di applicarne... ropea e degli Stati Uniti ed aprendo una crisi di governo destinata a sfo- ciare nelle elezioni anticipate. E sulla scia del Presidente del Consiglio i suoi sostenitori e fiancheggiatori ag- giungono che il successo del “No”... Con il “Sì” verso l’instabilità PRIMO PIANO Papa Francesco riserva la realpolitik al Dalai Lama, nessun invito ad Assisi per la “Marcia della pace” “P echino val bene una marcia”. Il Dalai Lama non sarà tra i quattro- cento leader religiosi, mufti e imam isla- Continua a pagina 3 di DIMITRI BUFFA mici compresi, che avranno l’onore di partecipare il prossimo 9 ottobre alla “Marcia della pace” da Perugia ad Assisi. giorno sempre con Parisi incombente - ma non parlante - sollecita interro- gativi birichini, sia pur en passant. Pensavo, infatti, se qualcuno di quei criticoni così timorosi della new entry arcoriana con vaghi cenni a giuramenti di fedeltà e antichità d’iscrizione, anche a Forza Italia, si

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Direttore ARTURO DIACONALE Sabato 24 Settembre 2016Fondato nel 1847 - Anno XXI N. 174 - Euro 0,50

DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1

DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QUOTIDIANO LIBERALE PER LE gARANzIE, LE RIFORME ED I DIRITTI UMANI

delle Libertà

PRIMO PIANO

ARCONTI A PAGINA 3

Olimpiadi,

parte seconda

ECONOMIA

ROMITI A PAGINA 4

Continua l’assalto

alla diligenza dell’Inps

ESTERI

TOAMEH A PAGINA 5

Palestinesi: Jibril Rajoub

e “la comunità

del Buon Natale”

POLITICA

MELLINI A PAGINA 2

Rinfacciano alle vittime

di aver subito il ricatto

ATTUALITÀ

GIULIANO A PAGINA 7

Femminicidio e bullismo:

la responsabilità

non è del Web

Referendum, la truffa del quesitoMatteo Renzi annuncia il testo del quesito referendario confermando il sospettoche la formula usata nasconda in realtà un tranello per invogliare a votare “Sì”

Parisi e un manifesto manuale contro quel “No”

“C’è una cultura tetra, nega-tiva, tenebrosa, dietro il no

alle Olimpiadi ufficializzato dalM5S”. È l’incipit di Stefano Parisi su“Il Foglio” la cui lettura, in paralleloa quella de “il Giornale” dello stesso

di PAOLO PILLITTERIdi ARTURO DIACONALE

Tutti, a partire da Matteo Renzi, siesercitano a disegnare gli scenari

che potrebbero determinarsi nel casodi una vittoria del “No” nel referen-dum sulla riforma elettorale. Il Pre-mier ripete che la bocciatura dellamodifica della Costituzione spalan-cherebbe la porta al caos scatenandole reazioni negative dell’Unione eu-

Continua a pagina 2

Continua a pagina 2

siano mai chiesti che ruolo abbianogiocato loro proprio in tema di fe-deltà al nuovo spirito liberal-rifor-matore di quel partito inventato dalgenio arcoriano? In altri termini:quanto ci hanno messo di loro a farperdere per strada una decina di mi-lioni di voti a quel partito avendoora la faccia tosta di applicarne...

ropea e degli Stati Uniti ed aprendouna crisi di governo destinata a sfo-ciare nelle elezioni anticipate. E sullascia del Presidente del Consiglio isuoi sostenitori e fiancheggiatori ag-giungono che il successo del “No”...

Con il “Sì” verso l’instabilità

PRIMO PIANOPapa Francesco riserva la realpolitik al Dalai Lama, nessun invito ad Assisi per la “Marcia della pace”

“Pechino val bene una marcia”. IlDalai Lama non sarà tra i quattro-

cento leader religiosi, mufti e imam isla- Continua a pagina 3

di DIMITRI BUFFA mici compresi, che avranno l’onore dipartecipare il prossimo 9 ottobre alla“Marcia della pace” da Perugia ad Assisi.

giorno sempre con Parisi incombente- ma non parlante - sollecita interro-gativi birichini, sia pur en passant.

Pensavo, infatti, se qualcuno diquei criticoni così timorosi della newentry arcoriana con vaghi cenni agiuramenti di fedeltà e antichitàd’iscrizione, anche a Forza Italia, si

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Nel corso dell’inconcludente dibattitoalla Camera dei deputati sulle mo-

zioni per il cambiamento della legge elet-torale (le leggi si cambiano, non si impegnail Governo a farle cambiare), è emersoforte ed esplicito il tentativo dei renziani dirinfacciare ai deputati di Forza Italia l’avervotato l’obbrobrio cosiddetto “Italicum”,insomma di essere stati al giuoco delle “ri-forme” renziane, compresa quella costitu-zionale. Sembrerebbe che accusino gli“azzurri” di essersi pentiti. In realtà il loroè proprio il “modus operandi” immondodei pentiti cosiddetti “collaboratori” della“giustizia di lotta”, i compari preferiti dal“Partito dei Magistrati”. Che fanno, i“pentiti”?

Le loro “rivelazioni”, le testimonianzeda loro rese dietro i paraventi sono accusepiù o meno fondate e plausibili proprio diaver avuto a che fare con loro. Ad esse cor-risponde la condanna dei “super-antima-

fiosi” (ad esempio Sicindustria) per aver“pagato il pizzo”. Cioè l’accusa di esserestati vittime di un’estorsione mafiosa.

Oggi quelli del “Sì”, i renziani, rinfac-ciano a Silvio Berlusconi, a quelli che glisono rimasti fedeli (gli altri stanno a que-sto giuoco) di aver subìto il ricatto dei loro“dante causa” (come si dice in linguaggiogiuridico) del “Partito dei Magistrati”.Certo a me sarebbe piaciuto un Berlusconiche, condannato in uno dei tanti processiscatenati contro di lui per esser sceso incampo a “scippare” il frutto di “Mani Pu-lite” alla beneficiaria designata, la sinistracomunista, si fosse presentato alla portadel carcere denunziando il complotto, an-dando a combattere in cella la battagliacontro la giustizia strumentale scatenatasicontro di lui. Bello, ma facile ad immagi-

narsi sulla pelle degli altri. Berlusconi ha,come avrebbero fatto quasi tutti gli altri(forse me compreso) in certe circostanze,chiesto l’“affidamento in prova” pressol’ospizio dei vecchietti ma, in realtà, pressoi governi della sinistra, presso MatteoRenzi.

L’Italicum, la riforma della Costitu-zione, sono frutto oltretutto di un ricatto:attraverso il “Partito dei Magistrati” Renziaveva in mano l’ostaggio Berlusconi (equindi Forza Italia, dalla quale i più “fur-bastri” sono andati a collaborare diretta-mente con i ricattatori). Berlusconi nongradirebbe certamente sentir dire ciò. Pre-ferisce, ha preferito sempre cercar di “fardimenticare” di aver subìto il ricatto. Ècomprensibile: fanno così quasi tutti quelliche pagano il pizzo, anche perché la spu-

doratezza dei mafiosi ricattatori masche-rati, magari, da super-antimafia, è in ag-guato per rinfacciare loro l’umiliazione diaver dovuto subire. E quello che oggispinge alla “moderazione” Forza Italia èuna forma particolare di “Sindrome diStoccolma”. C’è oggi l’impressione cheuna certa tepidezza di Berlusconi e, so-prattutto, di alcuni dei suoi, nella campa-gna per il “No” dipenda dagli effetti e,magari, dal perdurare di quel ricatto.

Berlusconi non se ne libererà se noncon uno scossone e con una vigorosa cam-pagna per il “No” contro i compari e be-neficiari dei suoi persecutori e ricattatori.Liberandosi così dalla “Sindrome di Stoc-colma”. E se in questa campagna volessedenunziare alto e forte quello che fu il ri-catto sarebbe ancora meglio.

2 L’OPINIONE delle Libertà sabato 24 settembre 2016Politica

Rinfacciano alle vittime di aver subito il ricattodi MAURO MELLINI

Piaceva, a Leonardo Sciascia, “frugare”nelle cataste di libri degli antiquari, alla

“caccia” di quella preziosa edizione fran-cese, o di quell’acquaforte ritratto di unoscrittore ammirato e amato. Capitava diaccompagnarlo in quel suo girovagare,come quella volta che, felice, aveva recu-perato una ventina di volumi de “La Scalad’Oro”, libri che aveva letto e gustato daragazzo, e che voleva leggessero e gustas-sero gli amati nipoti. E a dispetto dell’im-magine-cartolina che lo vuole taciturno,immusonito, guardingo, era un parlare ditutto e su tutto, e con grande spirito di di-vertita e paziente ironia. Ma, anche, natu-ralmente, discorsi e conversare moltoserio; come quella volta che, già nellaCommissione parlamentare d’inchiesta sulcaso Moro, eletto deputato del Partito Ra-dicale, racconta perché aveva voluto scri-vere “L’Affaire Moro” che tante polemicheaveva sollevato; e poi perché aveva accet-tato di entrare nella Commissione d’in-chiesta: “Volevo e voglio smascherarequello che mi pareva e mi pare un delitto.Perché Moro è stato ucciso due volte: dalleBrigate Rosse e da coloro che lo hanno ne-

gato, che lo hanno disconosciuto, chehanno detto cioè di non riconoscere nelprigioniero delle BR il Moro di prima”. Eancora: “Quelli che lo hanno negato, nonpossono restare nascosti dietro la ragionedi Stato. La ragione di Stato potevanoanche difenderla, ma non dicendo cheMoro era diventato un altro. Moro era ri-masto indefettibilmente fedele a se stesso,a se stesso cristiano, soprattutto democri-stiano. Presentarlo come impazzito dipaura è stato, cristianamente, umana-mente, un delitto”.

Nel ripensare a quelle parole, come nonriconoscere che dobbiamo farli, eccome, iconti con Aldo Moro; e più propriamente,forse, si deve anche dire che Moro aspettadal 16 marzo del 1978, che tutti noi si fac-cia i conti con lui. E sono tanti, a partireproprio dai suoi ultimi cinquantacinquegiorni di vita, da quel 16 marzo quandoviene rapito dalle Brigate Rosse, al 9 mag-gio, quando viene ritrovato morto aRoma, dentro la famosa Renault rossa, invia Caetani.

In che senso fare i conti: nel senso chene dà Leonardo Sciascia in una lunga in-tervista al settimanale francese “Le Nou-vel Observateur” nel giugno del 1978:

“Moro morendo, nonostante tutte le sueresponsabilità storiche, ha acquistatoun’innocenza che rende tutti noi colpevoli,dunque anche me. Sono rimasto moltoscosso dalle sue ultime volontà, che mirammentano quelle di Pirandello. Il fattoè noto... Pirandello era fascista, ma ha vo-luto essere sepolto completamente nudoper paura che lo vestissero con la divisa fa-scista, come avevano allora l’abitudine difare per i dignitari del regime. Morendo,Aldo Moro si è, per così dire, spogliatodella tunica democristiana. Il suo cadaverenon appartiene ad alcuno, ma la sua morteci mette tutti sotto accusa”.

Per “L’Affaire Moro”, che ancora oggiè di preziosa lettura, Sciascia patisce unadelle innumerevoli “lapidazioni” che divolta in volta gli sono riservate da destra eda sinistra. Il punto centrale della que-stione è questo: si accredita, si è accredi-tato, un Moro di prima, “grande statista”;poi un Moro prigioniero che non ha ilsenso dello Stato. Moro uno e due, in-somma. Una grande mistificazione. Averaccreditato, aver letteralmente inventatoun Moro “grande statista” (mentre è statoun grande politico, ma senza il senso delloStato, che ne aveva, per esempio, un Alcide

De Gasperi), è quello che, per Sciascia, è ilsecondo delitto consumato; da chi, ap-punto, lo ha disconosciuto. Il punto cen-trale, il nodo del dramma: Moro anche inquei 55 giorni di prigionia è lucido e con-tinua a pensare come ha sempre pensato;e lo si riduce a un “pazzo”, un “plagiato”.Ci è stata offerta in quei giorni quella ter-ribile mistificazione. Moro è solo, negato,tradito.

È in quei 55 giorni, e attraverso le let-tere che Moro può scrivere e far recapitare,che abbiamo il ritratto più autentico delpersonaggio: politico con due soli princìpi:la sua radicata fede cattolica e lo spirito dilibertà. Per il resto, come osserva Sciascia,“c’erano la trattativa, la mediazione, laduttilità continua. Non era un uomo dacozzare contro la realtà. Era un uomo chequalsiasi realtà si proponeva di far ingo-iare nelle sabbie mobili del cattolicesimoitaliano”.

Per quel che riguarda il dover fare iconti con noi stessi: si tratta appunto diquel pantano, quella micidiale sabbia mo-bile fatta di mistificazione e conformismoche si muove contro il Moro senza più po-tere, e avvolge l’intero Paese, tutti noi. In-negabile, per esempio, che i principali

mezzi di informazione si siano comportatiignobilmente, in quei giorni; per non par-lare della classe politica, con pochissimeeccezioni; e per tutti quei pochissimi fac-cio tre nomi: Bettino Craxi, Marco Pan-nella, Umberto Terracini, il PartitoSocialista, il Partito Radicale, un comuni-sta “eretico”, per il quale la verità contavasempre più e prima del partito.

Sciascia comincia sempre i suoi lavoricon una frase emblematica che è un po’ ilsimbolo-guida di quello che vuole scrivere.“L’Affaire Moro” si apre con un paio dirighe tratte da “La provincia dell’uomo”di Elias Canetti: “La frase più mostruosa ditutte: qualcuno è morto ‘al momento giu-sto’”. Agghiacciante e terribile. Più oggi,forse, di allora.

Ripensando ad Aldo Moro attraverso Sciasciadi VALTER VECELLIO

eventualità, cioè la vittoria del “Sì”, un Renzi ingolo-sito dalla possibilità di sbarazzarsi definitivamentedella minoranza interna non avrebbe alcuna difficoltàad imporre al Quirinale ed al Parlamento l’immediatoricorso alle urne per sfruttare le difficoltà contingentidei grillini ed il ritardo di riorganizzazione del centro-destra. Il “Sì” come fattore di instabilità? Può sem-brare paradossale, ma rischia di essere vero!

ARTURO DIACONALE

...ad altri il rito dall’antichità dell’iscrizione come passe-partout carrieristico? E meno male che il Cavaliere, conuna salto in lungo metaforico, ha scavalcato simili face-zie con quello speciale battesimo di Parisi per fare scou-ting (speriamo nella Big Society ché quella civile portaiella solo a nominarla) onde scovare “volti nuovi”, allafaccia, si presume, di quelli vecchi, cioè sempre “loro”.

Scherzi del destino, chissà. Ad ogni buon conto,consigliamo sempre a loro (e un po’ anche al Cava-liere) di andare avanti nella lettura del Parisi-pensieroa proposito del “No” alle Olimpiadi e, per converso,al sì che Milano avrebbe accolto sol che si pensi allasplendida realizzazione dell’Expo che ebbe addiritturail sì iniziale di Letizia Moratti (FI), del governo nazio-nale di centrosinistra, poi di Giuliano Pisapia sindaco(Sinistra) e di Beppe Sala, ora sindaco ma “morat-tiano” gestore di successo dell’Expo. Non confondanoi passaggi e le sigle. Quello che conta è il risultato. Elo conferma Parisi in una sorta di chiacchierata-ma-nifesto che sembra in superficie il ritorno del sempreuguale conflitto da campanile fra Milano e Roma, main realtà finisce col diventare una specie di orgogliosasfida, più che alla Capitale, alla predominante anti-cultura dell’antipolitica, emblematizzata proprio dal

segue dalla prima

...chiuderebbe definitivamente la strada delle riformee provocherebbe un drammatico ritorno al passatoper il nostro Paese.

Ma che succederebbe se invece del no dovesse vin-cere il “Sì”? Nessuno sembra interessato ad un inter-rogativo del genere per la semplice ragione che in casodi vittoria del “Sì” tutti danno per scontato che il Go-verno Renzi resterebbe tranquillamente al proprioposto e la legislatura arriverebbe lentamente alla con-clusione naturale in mezzo al tripudio internazionaleed all’esaltazione della forza riformatrice del Presi-dente del Consiglio incoronato Premier.

In realtà una previsione del genere pecca di man-canza di realismo e di fantasia. Di realismo, perchénon tiene conto che l’esito del referendum non inci-derà minimamente sui numeri presenti in Parlamentoe, soprattutto, sulla spaccatura in atto nel Partito De-mocratico tra la maggioranza renziana e la minoranzaantirenziana. Di fantasia, perché la mancata risolu-zione della frattura interna del Pd potrebbe portare daun lato alla scissione del partito e dall’altro alla deci-sione di Matteo Renzi di usare l’onda della vittoria re-ferendaria per chiudere una volta per tutte la partitacon i suoi nemici interni andando al più presto ad ele-zioni anticipate.

Paradossalmente, quindi, il caos preventivato incaso di vittoria del “No” potrebbe determinarsi incaso di vittoria del “Sì”. Perché nella prima eventua-lità l’attuale Presidente del Consiglio sarebbe obbli-gato dal risultato a rimanere al proprio posto forte diuna maggioranza contraria per ragioni di convenienzapersonale ad aprire una crisi al buio priva di sbocchi(Renzi continuerebbe a guidare un Pd sempre e co-munque decisivo alla Camera). E perché nella seconda

“No” di Virginia Raggi in quanto testimonianza diuna sconfitta in partenza proprio perché non ha ac-cettato la sfida delle Olimpiadi del 2024.

Mi sembra questo il dato per così dire “ideologico”del ragionamento parisiano, non tanto o soltanto per-ché il sì avrebbe catapultato la Capitale verso il futuroe non verso il passato o perché “non si è onesti te-nendo le mani in tasca, ma si è onesti solo usando lemani per lavorare bene”, ma anche e soprattutto per-ché quel no esprime una cultura anticapitalista, ci ri-proietta nella stagnazione di un’Italia dominata daburocrazie irriformabili, da antipolitici grillotipici esal-tanti il vezzo dei sussidi di Stato denegando la culturad’impresa in nome di un megafono pessimista comestrumento per tenere in piedi proprio quel sistema cheda anni blocca il Paese.

“È un’Italia (quella nella testa, per ora, del Movi-mento 5 Stelle) che vuole bloccare il progresso e chepreferisce un reddito di cittadinanza piuttosto che in-vestire nel futuro. È un’Italia non antisistema ma per-fettamente in sintonia con un sistema che da anni tieneil Paese in ostaggio e contro il quale giustamente Sil-vio Berlusconi ha combattuto per una vita. È l’Italiadei cavilli, l’Italia leguleia, l’Italia immobile, l’Italia an-timanageriale, l’Italia che per nascondere la sua inca-pacità di decidere o dice di no o scarica i suoi problemiaffidandosi ai magistrati”. Siamo arrivati al nocciolodi una questione che riguarda il no di una sindaca chenon si è resa conto, ma non le mancherà il tempo perricredersi, che le occasioni perse non si ripresentano,specialmente se il raffronto fra il sì dell’Expo ha si-gnificato per Milano la ridisegnazione di una skylinesimbolica, a un tempo, di modernità e di continuità afronte delle sfide che ci aspettano. Non a caso la ri-presa del tema di una milanesità del fare, del pragma-tismo e del confronto a livello internazionales’intreccia con una visione liberale e riformista cheispirò il berlusconismo delle origini. E che oggi nel ma-nifesto, ma è meglio definirlo manuale, di Stefano Pa-

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Con il “Sì” verso l’instabilità

Parisi e un manifestomanuale contro quel “No”

risi, il tema del “grillismo che non si deve inseguire macontrastare” si sposa con la promessa delle “energienuove messe in circolo in questi giorni nel nostro pe-rimetro di azione e che mi fanno essere ottimista suldomani... Si è ricominciato a discutere di futuro e si èiniziato a ragionare senza schermi ideologici su comerigenerarci”. Ma avverte: “State attenti agli inesperti,diffidate degli incapaci, combattete quelli che sonoabili soltanto a trasformare la loro incompetenza invittimismo”, e “in molti stanno incredibilmente ca-dendo in questo trabocchetto”.

O ci sono già caduti, come a Roma.PAOLO PILLITTERI

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3L’OPINIONE delle Libertàsabato 24 settembre 2016 Primo Piano

Un telegiornale ha mostrato il sin-daco di Roma, la signora Virgi-

nia Raggi, nel momento in cuidichiarava: “È da irresponsabili diresì ai Giochi del 2014; no alle Olim-piadi del mattone”. Qualche suo fi-dato consigliere (forse il vice sindacoDaniele Frongia?) le avrà certamentesuggerito di essere decisa, recisa emolto sicura: torna alla mente ciò chesi favoleggia sull’esercito di France-schiello, il cui capo pare ingiungessealla truppa “facite ‘a faccia feroce”.In effetti la signora Raggi aveva unafaccia molto seria, e diceva cosegravi, poco dopo aver usato al presi-dente del Coni, col quale era statoconcordato un incontro, lo sgarbo dinon presentarsi all’appuntamento,provocandogli probabilmente un at-tacco di fegato. Peccato, però, che aquel viso serio e a quelle parole durecorrispondesse una vocina sottile dagiovinetta, inadatta ed improbabile:ma tant’è, questo è il sindaco che piùdi settecentomila cittadini romanihanno scelto, e pertanto questo è ilsindaco che dobbiamo tenerci.

Durante la conferenza stampa del

sindaco e del suo vice vengono mo-strate ai giornalisti alcune diapositiveche documentano strutture e costru-zioni legate a precedenti manifesta-zioni sportive e addirittura alleOlimpiadi del 1960, ora inutilizzabili.La signora sindaco dice ancora, com-punta e scandalizzata: “Un miliardodi euro di debiti derivano dalle Olim-piadi del 1960”.

Ehm… gentile signora, qui sembralei abbia informazioni che contra-stano con ciò che è ormai verità sto-rica. Una gran parte delle spese delleOlimpiadi del 1960 fu pagata alConi, che disponeva delle notevolientrate del Totocalcio e che mone-tizzò le concessioni televisive sui gio-chi a prezzi altissimi, alleggerendocosì sia lo Stato che il Comune diRoma di una notevole parte dellespese. A parte ciò, forse qualcosa valeanche il poderoso lascito delle Olim-piadi 1960 alla Capitale: il ministerodei Lavori pubblici provvide le infra-strutture e progettò nuove strade,ponti, viadotti, parcheggi e parchi, at-tuando una nuova e più modernaprogrammazione urbanistica. Furonoristrutturati e adattati lo StadioOlimpico ed il vicino Stadio dei

Marmi e costruiti ex novo il Palaz-zetto dello Sport, il Villaggio Olim-pico (diventato poi centro abitativocivile), il grande viadotto da piazzaleFlaminio a Porta Pia, tutta la grandearteria di scorrimento che da allora sichiama “via Olimpica”, e molto altroancora. Tutto questo è rimasto aRoma, alla vita quotidiana dei suoiabitanti ed allo sviluppo del turismo.Ci furono anche allora episodi di cor-ruzione e di illecito sfruttamentod’occasione, ma furono isolati e bloc-cati. Forse lei teme, signora sindaco,che la corruzione attuale sia troppodiffusa e troppo forte per poterlacontrollare, governare, punire?

C’è chi pensa che lei abbia sba-gliato a dire no alle Olimpiadi, e chipensa che lei abbia preso la decisionegiusta (sempre che la decisione siasua, e non piuttosto derivata a lei daobbedienze di diversa ragione). C’èanche chi propone ostinatamente unreferendum consultivo per conoscerela scelta della maggioranza dei ro-mani, e le rimprovera di non averloindetto.

Fra coloro che dicono “sì” e co-loro che dicono “no”, con l’ag-giunta di quelli che pensano “nonso”, io francamente preferisco il no,e faccio una proposta. In questo leiha ragione, signora sindaco: rifiu-tando di ospitare le Olimpiadi2024, evita di spendere altri quat-trini e contrarre altri debiti. Eccodunque la mia proposta: “Famo limezzi, Sora Virginia”; una metà deiquattrini che lei risparmia dicendodi no alle Olimpiadi, li dedichi a ri-fare la pavimentazione di Roma, aripulire i tombini, che quando piovemandano fuori fango e topi a frotte.Usi metà dei soldi risparmiati per ri-muovere le barriere architettoniche

dagli edifici pubblici, per comprarealtri mezzi pubblici accessibili aiportatori di handicap, li impieghinel far sì che i cittadini di Romasiano tutti uguali per il Comune, e ibambini, le mamme in attesa, gli an-ziani, i disabili vivano senza tantedifficoltà la vita di tutti gli altri cit-tadini. Perché vede, signora sindaco,anche anziani e disabili pagano letasse, allo Stato, alla Regione ed

anche al Comune: non è giusto chedebbano restar tappati in casa senzagodere come tutti gli altri della lorocittà. Forse lei non lo sa, signora sin-daco, ma questa città, per un an-ziano o un disabile, è la peggiornemica. E se pensa che io stia esage-rando, faccia una prova: segga suuna carrozzina e si faccia accompa-gnare dal Frongia a fare un giro perRoma. Allora capirà.

di LAURA ARCONTI

Olimpiadi, parte seconda

...Questioni di realpolitik tra Cina eVaticano che Papa Bergoglio, conbuona pace di tanti discorsi barrica-deri e terzomondisti, non ha ritenutodi sacrificare per ragioni di principio.

Come ricevere il massimo leaderdei buddisti tibetani viventi. In esiliodal 1949, cioè da quando la Cina siè di fatto impossessata del Tibet. Adare il ferale annuncio qualchegiorno fa in un’intervista ad “Asianews” è stato lo stesso segretariopersonale del Dalai Lama, TenzinTalkha, con una nota ufficiale daBruxelles, dove si trovava in mis-sione per conto del leader spiritualebuddista. Silenzio assordante anchedai buonisti della Comunità di San-t’Egidio che organizzano insieme adaltre associazioni la “Perugia-Assisi”fin dal lontano 1986, quando PapaGiovanni Paolo II volle rilanciarequesta iniziativa di pace. Da allora ileader di tutte le religioni si ritrovanonella prima settimana di ottobre a pre-gare insieme per la pace nel mondo econtro i signori della guerra ed i “mer-canti di armi”, che proprio Papa Fran-cesco demonizza a giorni alternidipingendoli come la causa di ognimale del mondo. A cominciare dal“terrorismo internazionale”. Visto chelui l’aggettivo “islamico” non lo pro-nunzia neanche per sbaglio. Specie seassociato al sostantivo terrorismo.

Ebbene, quest’anno mancheràproprio il Dalai Lama, che dell’odiorepressivo di uno dei Paesi che vendee compra di più le armi in tutto il

globo emerso, cioè la Repubblica po-polare cinese, è sempre stato il sim-bolo vivente di tante vittime dellarepressione interna. Il Dalai Lama daanni aveva scelto una posizione piùsoft rispetto ai cinesi: non pretendevapiù l’indipendenza del Tibet, ma si

sarebbe accontentato di una autono-mia e della libertà, insieme a quelladi tutto il “popolo han”, comeamava ripetere al suo grande amicoMarco Pannella ancora poche setti-mane prima dell’aggravarsi della suamalattia e della morte. Pannella ha

sempre citato la ragionevolezza delDalai Lama in materia come esem-pio per tanti altri popoli oppressi chetuttora si illudono di conquistarel’indipendenza con la guerriglia e ilterrorismo. Ma tutte queste conside-razioni di fronte alla politica di avvi-

cinamento tra il Vaticano e Pechino,che peraltro ha creato non pochi ma-lumori anche con l’arcivescovo diHong Kong, per una volta sono statemesse da parte dalla Segreteria diStato e dallo stesso Pontefice.

DIMITRI BUFFA

Papa Francesco riserva la realpolitik al Dalai Lama, nessun invito ad Assisi per la “Marcia della pace”

segue dalla prima

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Prosegue senza sosta il grottescoballetto intorno alle pensioni,

malgrado una situazione economicastagnante la quale dovrebbe consi-gliare tutti alla prudenza. Invece, rin-correndo sulla strada del pubblicodissesto un Premier alla forsennatacaccia di consensi, i tradizionaliesponenti del partito unico dellaspesa pubblica, sinistra Pd e sinda-cati tradizionali in testa, alzano iltiro delle loro richieste.

In particolare, Susanna Camusso,in attesa dell’ennesimo tavolo tra Go-verno e sindacati previsto il prossimo27 settembre, lamenta una scarsa at-tenzione da parte dello stesso Go-verno circa la spinosa questione. Lasegretaria della Cgil ha duramente in-timato ai renziani al potere di non“farsi guidare da considerazioni pu-ramente economiche, altrimenti sicreano ingiustizie, così come dimo-stra l’esperienza degli esodati”.

Una riflessione, quest’ultima, che

ci richiama alla mente il fa-moso salario quale variabile in-dipendente di sinistra memoria.A tutto ciò si è unito l’imman-cabile ex ministro del Lavoro,Cesare Damiano, il quale ha in-vocato – tanto per non farsimancare nulla – l’ottava salva-guardia per i succitati esodati.

Comunque sia, al di là dellasolita ridda di proposte spen-daiole dei campioni del deficitspending, alcune attendibilistime calcolano in circa 4 mi-lioni lo spostamento di voti de-terminato dalle misurepensionistiche abbozzate dal-l’Esecutivo dei miracoli. Ma suquali saranno i provvedimentieffettivamente adottati dal Go-

verno Renzi ha contribuito a creareun’ulteriore cortina fumogena il mi-nistro del Lavoro, Giuliano Poletti,detto monsieur de La Palice in quantoa prese di posizioni, il quale ha di-chiarato di recente che i suoi “tecnicisono al lavoro con simulazioni fina-lizzate ad evitare una riforma che nonsia fatta bene”. Il che, tradotto dal-l’ultima versione di politichese, nonsignifica un beneamato nulla di nulla.

In sostanza, nell’attesa che sisciolga il nodo gordiano di una ri-forma previdenziale finanziata coiclassici fichi secchi e bruscolini, la di-sastrata condizione dei conti pub-blici, messi già a dura prova dalladissennata politica economica ren-ziana, non lascia molti margini allafinanza ultra-creativa del grande ti-moniere di Rignano sull’Arno. Sta-remo a vedere.

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4 L’OPINIONE delle Libertà Economia

di CLAUDIO ROMITI Continua l’assalto alla diligenza dell’Inpssabato 24 settembre 2016

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5l’oPINIoNe delle libertàsabato 24 settembre 2016 Esteri

Un alto funzionario palestinese ha fattoinfuriare i cristiani palestinesi definen-

doli come la “comunità del Buon Natale”e accusandoli di sostenere il movimentoislamista Hamas. In una recente intervistaa un’emittente televisiva egiziana, Jibril Ra-joub, presidente della federcalcio palesti-nese e alto funzionario di Fatah edell’Autorità palestinese (Ap) in Cisgior-dania, ha espresso dei commenti offensivi.Riferendosi alle elezioni locali palestinesi,previste per il prossimo 8 ottobre ma chesono state sospese a causa della lotta di po-tere tra Fatah e Hamas, Rajoub ha dettonell’intervista: “Anche se alcuni dei nostrifratelli, che fanno parte della ‘Comunitàdel Buon Natale’, votarono per Hamas(alle elezioni legislative palestinesi del2006, ndr), oggi nessuno voterà perHamas. Che gli ha dato Hamas? Hamasha portato solo distruzione”.

L’intervista è stata poi trasmessa dallatelevisione ufficiale palestinese dell’Ap –una mossa che è stata interpretata comeun’approvazione dell’attacco ai cristianipalestinesi. I critici ritengono che la tivù pa-lestinese avrebbe dovuto almeno rimuo-vere le sequenze in cui Rajoub lancia insultie accuse contro i cristiani. Sebbene l’espo-nente di Fatah si sia scusato di malavogliaper aver offeso la minoranza cristiana pa-lestinese, i suoi commenti continuano a su-scitare la ferma condanna dei cristiani eanche di qualche musulmano.

Questa è la prima volta che un altorappresentante della leadership dell’Auto-rità palestinese si esprime contro la comu-nità cristiana. Molti cristiani hanno dettoche i commenti sprezzanti di Rajoub ina-sprirebbero ulteriormente le tensioni esi-stenti tra loro e i musulmani. Essi hannorilevato che gli alti dirigenti dell’Ap hannoprecluso loro la possibilità di essere parteintegrante del popolo palestinese. Com-menti del genere riflettono l’atteggiamentoarrogante e irrispettoso che parecchimembri della leadership dell’Ap tengononei confronti dei cristiani palestinesi. Que-sto è in netto contrasto con la politicapubblica della dirigenza dell’Autorità pa-lestinese, che mostra il massimo rispettoper i cristiani palestinesi e li considera cit-tadini uguali e partner del “progetto na-zionale” palestinese. A giudicare dallereazioni dei cristiani palestinesi, non si ètrattato di un episodio per il quale essi

sono disposti a porgere l’altra guancia.In una lettera aperta indirizzata a Ra-

joub, che è stato 17 anni in un carcere israe-liano perché accusato di avere legami con ilterrorismo, il pastore di Betlemme DannyAwad ha scritto: “Noi siamo una parte in-separabile del popolo palestinese e qual-cuno di noi è morto per difendere la causapalestinese. Non siamo un gruppo venutoda Marte. Siamo qui da più di 2000 anni.Non siamo un gruppo da denigrare. Nonsiamo stranieri né ospiti e nemmeno alieniche parlano una lingua straniera”.

Habib Efram, presidente della Lega si-riaca, ha condannato i commenti di Ra-joub contro i cristiani, definendoli“pregiudizievoli, strani e provocatori”.Riferendosi alla situazione dei cristiani delMedio Oriente, egli ha detto: “Non sap-piamo più da dove riceviamo i colpi. Ri-fiutiamo e condanniamo i commentiespressi dal membro del Comitato cen-trale di Fatah, Jibril Rajoub, e richiediamodelle pubbliche scuse. Chiediamo anchealla leadership palestinese di intervenireper risolvere la situazione”.

In una precedente dichiarazione,Efram aveva chiosato: “I cristiani sonol’anello più debole della regione – alpunto che la presenza cristiana nelle cittàe nei villaggi in Iraq e Siria rischia l’estin-zione. Se l’Isis crollerà, chi ci assicura chenon emergerà un altro Stato islamico cheminaccerà i cristiani? Dobbiamo resisterecon ogni mezzo disponibile. I cristiani de-vono rimanere in Medio Oriente. Dob-biamo cambiare metodo e avere unprogramma politico”.

Queste osservazioni indicano che i cri-stiani in generale e chi vive nei territori

palestinesi in particolare ritengono che icommenti offensivi di Rajoub rientrinonell’ambito delle diffuse persecuzioni deicristiani nei Paesi arabi e islamici. Perse-cuzioni che in questi ultimi anni sono co-state la vita a migliaia di cristiani e hannocostretto molti di loro a fuggire negli StatiUniti, in Canada, Australia e in Europa.Secondo l’arcivescovo Teodosio (HannaAtallah) del Patriarcato greco-ortodossodi Gerusalemme, la dichiarazione di Ra-joub ha danneggiato non solo i cristianima anche tutti i palestinesi: “Commentidel genere sono in contrasto con la nostracultura nazionale” - ha aggiunto - I pale-stinesi cristiani non sono un gruppo. Ineffetti, apparteniamo alla prima Chiesacristiana nata in Palestina e siamo orgo-gliosi di essere cristiani. Non siamo unamerce importata dall’Occidente. La pre-senza cristiana in Palestina ha una storiagloriosa e antica. Cristiani e musulmanisono fieri di questa storia. Queste affer-mazioni offensive non faranno che raf-forzare la nostra determinazione a nonrinunciare alla nostra presenza nazionale,al nostro messaggio, alla nostra identità eal nostro legame con la questa terra santa.Queste affermazioni non rappresentanoil nostro popolo né la nostra eredità na-zionale”.

Le frasi incendiarie di Rajoub sonostate pronunciate nel clou della campa-gna per le elezioni amministrative eavrebbero danneggiato Fatah alle urne.Affermare che i cristiani avevano votatoper Hamas nelle elezioni del 2006 non èmai stato verificato. Ma se la Corte Su-prema palestinese non avesse sospeso leelezioni locali, i contrariati cristiani di Be-

tlemme e di altre città palestinesi avreb-bero votato per chiunque tranne che perFatah. Queste calunnie lanciate da un altoesponente dell’Autorità palestinese moltovicino al presidente dell’Ap MahmoudAbbas sono state prese molto sul serio. Èinteressante notare che lo stesso Abbasnon ha condannato le parole di Rajoub,un fatto che ha suscitato ulteriore indi-gnazione in seno alla comunità cristianapalestinese. Ma se Abbas è rimasto in si-lenzio in merito a questa polemica, altridirigenti di Fatah si sono uniti a coloroche hanno richiesto le pubbliche scuse diRajoub. Ben consapevoli del danno cheavrebbero causato a Fatah commenti delgenere, i leader della fazione di Abbas aBetlemme, dove i cristiani nel corso deglianni sono diventati una minoranza,hanno preso in mano la situazione e pre-sentato le loro scuse. “I cristiani hanno di-ritto a ricevere le scuse” - ha dettoMohamed al-Masri, segretario generaledi Fatah a Betlemme - A Betlemme noisiamo una sola famiglia e non c’è maistato ‘un gruppo’ di persone fra noi. I cri-stiani sono sempre stati i proprietari dellaterra e partner di sangue, di unità, del pro-cesso decisionale”.

Con una mossa che potremmo defi-nire paradossale, Hamas e la Jihad isla-mica palestinese si sono pronunciaticontro le parole di Rajoub rivolte ai cri-stiani. Questi gruppi non perdono mail’occasione di attaccare Fatah e i suoi lea-der, e presentarli come traditori che agi-scono contro gli interessi dei palestinesi.Pertanto, per questi due movimenti isla-misti parlare di diritti dei cristiani è ridi-colo. Nella Striscia di Gaza, sotto il lorocontrollo, in vent’anni il numero dei cri-stiani è sceso da 3500 a 1300. Nei primimesi di quest’anno, i cristiani palestinesihanno subito un altro colpo quandoHamas ha distrutto le vestigia di un’an-tica chiesa bizantina che era stata di re-cente scoperta nella Striscia di Gaza. Iresti della chiesa risalente a 1800 anni fasono stati rinvenuti in Palestine Square,nel quartiere di Al-Daraj, a Gaza City,dove Hamas intende costruire un centrocommerciale. I cristiani palestinesi hannoespresso lo loro delusione per il disinte-resse mostrato da parte della comunità in-ternazionale – anche dal Vaticano e dallecomunità cristiane di tutto il mondo – perquesto episodio, inteso come un attaccoal loro patrimonio e ai loro luoghi santi.

Allo stesso modo, l’attacco contro i cri-stiani palestinesi da parte di un alto rap-presentante dell’Autorità palestinese nonha catturato l’attenzione della comunitàinternazionale, perché deve essere am-missibile che un dirigente palestinese ridi-colizzi i cristiani palestinesi e li accusi disostenere Hamas. Se i commenti fosserostati espressi da un dirigente israeliano, lacopertura mediatica sarebbe stata un po’diversa. Le parole incendiarie di Rajoubsono coincise con un monito sulla debolepresenza dei cristiani in Medio Oriente,lanciato da Hanna Issa, segretario gene-rale della Commissione islamico-cristianaper il sostegno a Gerusalemme e ai luo-ghi santi: “Ciò che sta accadendo nella re-gione, ossia la riduzione del numero dicristiani, è una catastrofe non solo per icristiani ma anche per i musulmani - haavvertito - Questo porterà alla disinte-grazione della società che non potrà di-sporre della diversità e delle competenzescientifiche, economiche e culturali acausa della partenza dei cristiani”. Dopoaver notato che i cristiani sono circa il 20per cento della popolazione palestinesenel mondo e sono meno dell’uno percento dei palestinesi che vivono in Ci-sgiordania, a Gerusalemme Est e nellaStriscia di Gaza, Issa ha concluso: “È nel-l’interesse dei musulmani nel mondo ingenerale e in Medio Oriente in partico-lare preservare la presenza cristiana nelmondo arabo e proteggerla con tutte leloro forze. L’emigrazione cristiana dalMedio Oriente impoverirà la cultura el’identità araba”.

È probabile che il disprezzo espressoda Rajoub nei confronti dei cristiani pa-lestinesi incoraggerà i cristiani ad abban-donare le zone sottoposte al controllodell’Ap, finanziate dagli occidentali. Com-menti del genere sono particolarmentespiacevoli dal momento che i cristiani inSiria, Iraq e in Egitto devono far fronte auna campagna di terrorismo e intimida-zione da parte degli estremisti musulmani.A meno che gli occidentali che finanzianol’Autorità palestinese non denuncino conforza gli insulti lanciati contro i cristianipalestinesi, i cristiani di Betlemme, a pre-scindere dalle elezioni locali, potrebberodecidere di manifestare il loro dissensoemigrando.

(*) Gatestone InstituteTraduzione a cura di Angelita La Spada

Palestinesi: Jibril Rajoub e “la comunità del Buon Natale”di Khaled abu Toameh (*)

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Ognuno di noi pensa che il suomondo di valori e i suoi com-

portamenti siano universali, manon c’è nulla di più sbagliato. Se da un lato esistono valori

condivisi in una società, dall’altrol’assimilazione di questiavviene a diversi gradi, siaper profondità che inten-sità. A volte tali valoricondivisi, come la solida-rietà ed il rispetto allavita, possono essere assi-milati da un nucleo, da unsegmento della società, erivolti in modo referen-ziale al proprio gruppo,escludendo coloro chenon ne fanno parte. Quando assistiamo a

fatti di cronaca che vannodal femminicidio al bulli-smo delle gang giovanili,fino allo stalking, sia vir-tuale che reale, rima-niamo basiti da come siapotuta accadere una cosadel genere, anche nei con-fronti di persone da noiconosciute e considerate“normali”. Questi feno-meni, alcuni postmoderni,ci devono far rifletteresulle contraddizioni vec-chie e nuove della nostrasocietà. Prima di tuttodobbiamo prendere attoche oggi c’è una maggior

conoscenza delle varie questioniperché da un lato i media ne par-lano, a volte anche in modo perni-cioso, dall’altro vi è la maggiorcoscienza delle vittime di esseretali; una consapevolezza acquisitagradualmente, sicché prima, acausa di una forte mentalità sessi-sta basata sulla legge del più forte,lo status di “vittima” rientravanella normalità, tant’è che non eraneanche configurata una fattispeciespecifica di reato. Per contro, lamaggiore informazione e presa dicoscienza acquisita tramite piatta-forme virtuali ha contribuito ad unaumento dei comportamenti checollidono con la salvaguardia diquesti valori fondamentali del ri-spetto della persona, dei suoi diritti

e della sua dignità. Un esempio trai tanti è il cyberbullismo.In un’epoca di passaggio da una

società postindustriale ad una me-diatica e sempre più tecnologicacome la nostra, le famiglie hannodifficoltà a comprendere questonuovo universo nel quale vedono

immersi i loro figli, spessoconfondendo le loro abi-lità con una forma dicompetenza culturale e, diconseguenza, non sono ingrado di educarli nella ge-stione delle nuove tecno-logie. Lo stesso avvienenel mondo scolastico, ini-doneo ad insegnare il pos-sibile connubio esistentetra il rispetto dei valoriuniversali con l’utilizzodelle nuove tecnologie e laresponsabilità che ne de-riva. Il Web è solo un mezzo

per comunicare ed infor-marsi. Il problema non èlo strumento, ma l’uso chese ne fa. Il Web ha datoparola anche a quellaparte di popolazione po-vera di pensieri e dallamentalità retrograda, per-benista, maschilista, estre-mista e chi più ne ha piùne metta. I pensieri e le ri-flessioni che viaggiano suInternet esistono da primache fosse inventato il tele-fono; essi non sono unaconseguenza, ma una co-stante. Il male vero non èil Web, ma un pensieroche non si evolve e vienevissuto come unica realtà,che per quanto non reali-stica e non comune ai più,è la sola legittima per co-

loro che la vivono. Una vecchiacultura ancestrale e patriarcale cheancora trova un consenso carsicosia tra molti uomini, ma anchedonne e madri che consideranonaturale il loro ruolo ancillare esubalterno alla figura maschile.Che fare? Certamente è una batta-glia che si può vincere, ma oltre aduna ferma repressione dei reati,essa si vince solo sul piano cultu-rale e fornendo servizi adeguatialle famiglie, come il supporto dicorsi ad hoc nelle scuole, sia agliinsegnanti che agli alunni, i qualimediante l’utilizzo degli strumentiinformatici possono imparare aconiugare il valore del rispettodella persona e delle regole condi-vise.

7L’oPinione delle Libertàsabato 24 settembre 2016 Attualità

di roBerTo GiuLiAno Femminicidio e bullismo: la responsabilità non è del Web

Come è possibile raccontare lamorte, quando chi la mette in

scena è una innocente, un’adole-scente presa per il bavero dallamaleducazione, dalla violenza diqualche miserabile castrato men-tale.Una giovane “decide” di ucci-

dersi per l’incuria delle leggi edelle persone malate dentro ilcuore, obbligata alla vergogna ecostretta alla paura di esistere,inebetita dai tanti e troppi storpiemozionali. Un’altra adolescentepoco più che bambina, violentataper anni, in silenzio per la vergo-gna, per la paura imposta daun’omertà dilagante. Nel frat-tempo questi grandi uomini, pro-tagonisti assoluti di infamieinenarrabili, dis-umanità dannata-mente andata a male, ebbene chefanno? Camminano con le gambelarghe e le mani in tasca, come avoler significare che tanto ognicosa permane al suo posto, so-prattutto l’indifferenza e la fero-cia indicibile profusa dai solitinoti sibilanti nei social network.Invece proprio un bel niente è

più al suo posto, neppure rappre-

sentare il genere umano in questecircostanze profondamente codar-diane, dove, appunto, la viltà rag-giunge devastazioni così profondeda risultare inconoscibili a ognipiù fervida immaginazione;peggio, a ogni più indegna giu-stificazione. Fin troppo facileesorcizzare il fattaccio asserendoche sono episodi che investono ilmondo giovanile dalla notte deitempi; dunque il modo miglioreper affrontare questo suicidio ge-nerazionale è parlarne poco esottovoce, per non creare molti-plicazioni emulative. Balle grandicome un grattacielo.Non c’è giorno in cui scorrendo

le pagine di un quotidiano nonleggiamo di un’operazione di po-lizia che riguarda reati inaccetta-bili come questi. Farne perno adifesa di coscienza, conquista dicoscienza, equilibrio di coscienza,è un imperativo che va portatoavanti senza indugi e senza treguedi comodo in famiglia, nelle classidi ogni scuola, negli oratori. Oc-

corre farlo in maniera proget-tuale, preventiva, non solamentequando qualcosa sconvolge il no-stro bel quieto vivere e ci ritro-viamo davanti alle gabbie dipartenza con le inferriate spalan-cate. Per evitare qualche dispia-cere domani, è meglio parlarneoggi con la determinazione di chisa quanto dolore reca la violenza,quanta sofferenza straripa dalrimpianto che cresce per unmondo falsificato e adagiato sumille bugie.Non è un quadro sociale inven-

tato, è quello che accade in ognicittà, in ogni periferia, un’attua-lità che non serve rimpicciolire eneppure ingigantire, ma trattarecon interventi coerenti, per com-prendere quanto diseducativo puòdiventare il tentativo di lenire undolore lacerante con la divulga-zione di verità contraffatte, bici-piti di cartone, confronti falsatidall’ignoranza, soprattutto nellafragilità che traspare dalle rispo-ste da consegnare ai più giovani.

di Vincenzo AndrAous La violenza che non è possibile raccontare

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