S. Agnese fuori le mura. Roma

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Sant'Agnese La basilica costantiniana Il più antico edificio del complesso monumentale di S. Agnese, è la basilica costantiniana, di cui restano solo dei ruderi, visibili da p.za S. Annibaliano. Era un grande cimitero coperto (40,30 x 98,30 mt), realizzato tra il 337 e il 351 da Costantina/Costanza, figlia di Costantino e di Fausta, su un terreno di famiglia, presso il luogo di sepoltura di S. Agnese, di cui Costantina era devota forse a causa di una guarigione attribuita alla santa mentre era a Roma dopo la morte del marito Hannibalianus, re del Ponto e di Cappadocia, fatto uccidere nel 337 dal fratello di lei, Costanzo. Costantina tornò poi a Roma e, nel 351, sposò il cugino Costanzo Gallo, elevato nello stesso anno al rango di Cesare d’Oriente. Successivamente Costantina lo seguì nella città di Antiochia, in Siria. L’imperatrice morì probabilmente in Bitinia nel 354. Le Esame Chiesa di Roma – S. Agnese pag. 1

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Sant'Agnese

La basilica costantiniana

Il più antico edificio del complesso monumentale di S. Agnese, è la basilica costantiniana, di cui restano solo

dei ruderi, visibili da p.za S. Annibaliano. Era un grande cimitero coperto (40,30 x 98,30 mt), realizzato tra il

337 e il 351 da Costantina/Costanza, figlia di Costantino e di Fausta, su un terreno di famiglia, presso il luogo

di sepoltura di S. Agnese, di cui Costantina era devota forse a causa di una guarigione attribuita alla santa

mentre era a Roma dopo la morte del marito Hannibalianus, re del Ponto e di Cappadocia, fatto uccidere nel

337 dal fratello di lei, Costanzo.

Costantina tornò poi a Roma e, nel 351, sposò il cugino Costanzo Gallo, elevato nello stesso anno al

rango di Cesare d’Oriente. Successivamente Costantina lo seguì nella città di Antiochia, in Siria.

L’imperatrice morì probabilmente in Bitinia nel 354. Le fonti narrano che morì durante un viaggio a

Roma dal fratello Costanzo. Ammiano Marcellino scrisse che fu seppellita sulla via Nomentana.

La costruzione della basilica, accanto e non sopra la tomba della martire come anche in altri casi, comportò

l'abbandono di una necropoli preesistente, sovrastante la regio IV delle catacombe e si inserì in un'ampia

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campagna di realizzazione di opere cristiane a Roma, avvenuta nel IV secolo ad opera del primo imperatore

convertito alla nuova religione e della sua famiglia. La basilica costantiniana è da mettere in relazione con il

culto cristiano dei morti, specialmente dei martiri. Si può quindi supporre che il pavimento fosse ricoperto di

tombe dei fedeli locali (in parte scoperte durante gli scavi del 1999) e che gli unici altri utilizzi fossero i

banchetti funebri in occasione delle sepolture ed una messa annuale per l'anniversario della martire.

Quindi si tratta di qualcosa di molto diverso da

ciò che oggi s’intende per basilica cristiana.

La tipologia è quella della basilica circiforme, ovvero di una variante della basilica a tre navate, nella quale le

navate laterali, anziché terminare in corrispondenza della parete di fondo, proseguivano in un deambulatorio

semicircolare, seguendo l'abside. Le colonne sostenevano arcate in muratura, anziché una trabeazione

continua. Le navate laterali erano coperte con tetto a capriate zoppe, poggianti sul muro perimetrale poco al

di sopra delle finestre quadrangolari.

Nella navata centrale, in corrispondenza dell'abside, sorgeva un'aula absidata, larga 5,70 m, in muratura di

soli tufelli, di incerta funzione, forse vero luogo di sepoltura di Costanza.

L'edificio era presumibilmente circondato da altre tombe e mausolei, tra cui quello di Costantina. Attorno

c'erano piantagioni e vigneti, essendo l'area lontana dalla città edificata.

In questa basilica si rifugiò Papa Liberio, nel 358, mentre la Santa Sede era occupata dall'antipapa Felice.

Sempre a causa di un altro antipapa - Felice, che aveva occupato la sede del Laterano - Papa Bonifacio I fu

costretto ad amministrare qui il battesimo di Pasqua. Papa Simmaco (498-514) fece degli interventi di

restauro, dei quali però non s'è trovata traccia. L'edificio fu abbandonato probabilmente nel VII secolo,

quando Onorio I fece costruire l'attuale basilica, proprio sopra il luogo di sepoltura di Agnese e fu riscoperto

nel '500 da Antonio Bosio.

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Il Mausoleo di S. Costanza

Il mausoleo di S. Costanza è un caposaldo dell'architettura tardoantica. Fra i primi esempi conservati

(insieme al Battistero Lateranense) di edificio cristiano a pianta centrale con ambulacro. Derivato da modelli

romani di templi e mausolei, ninfei, (il Pantheon, il Mausoleo di Augusto, il cosiddetto tempio di Minerva

Medica) deve la caratteristica più innovativa - i due spazi circolari concentrici - a un edificio di poco

precedente destinato ad influenzare l'architettura medioevale: il Martyrium del Santo Sepolcro eretto a

Gerusalemme da Costantino e dalla madre Elena. Un esempio simile di integrazione tra mausoleo e basilica

in epoca costantiniana è costituito dal mausoleo di Elena (madre di Costantino) - l'attuale Tor Pignattara -

realizzato a ridosso della basilica costantiniana dei SS. Marcellino e Pietro su via Labicana, oggi via Casilina.

L'edificio era strettamente integrato con la basilica. Il nartece (1) che ne costituisce l'ingresso, absidato ai

lati, si innestava sulla navata laterale della basilica e pertanto il mausoleo veniva a trovarsi trasversalmente

in asse con la basilica stessa.

L'interno è costituito da una rotonda circolare (2) coperta a cupola, circondata da un deambulatorio (3), e da

esso separata da 12 coppie di colonne di granito, tutte di spoglio, cioè ricavate da un precedente edificio di

epoca romana. I capitelli delle colonne sono legati fra loro due a due da tronchi di architrave (pulvini)

disposti in senso radiale, così da creare moti centrifughi e centripeti che accompagnano dalla penombra

dell'ambulacro al luminoso spazio centrale.

La cupola dell'ambiente centrale - avente 22,50 m di diametro - venne realizzata con una tecnica costruttiva

tipicamente romana, composta di nervature meridiane e solidi archi in mattoni, che ingabbiano la

concrezione di tufo e pietra pomice.

All'interno la cupola era ricoperta di mosaici, oggi scomparsi, e le pareti sottostanti erano dotate di un

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sontuoso rivestimento marmoreo in opus sectile (cioè a tarsia), di cui oggi non ci rimangono che alcuni

disegni, come testimonianze.

Fu Urbano VIII (1623-1644) ad eliminare i rivestimenti, a causa di una minaccia di crollo. Rimangono

comunque i 12 finestroni centinati che illuminano l'edificio nella sua parte centrale, conferendogli quel

dinamismo da cui deriva in buona parte del fascino dell'edificio.

L'ambulacro è coperto con una volta a botte, decorata da magnifici mosaici del IV secolo, che alternano

motivi geometrici, scene di vendemmia, ritratti inseriti in clipei, fra cui si potrebbero riconoscere,

rispettivamente a sinistra e a destra della nicchia frontale, Costantina e il primo marito Annibaliano, re del

Ponto. Tipico caso di adattamento di temi pagani alla tradizione cristiana, hanno fatto sì che il mausoleo

venisse a lungo identificato con il tempio di Bacco. Il ritmo delle pareti laterali è scandito da numerose

nicchie.

Le quattro nicchie in corrispondenza dei quattro assi sono di dimensioni maggiori: di forma rettangolare le

due sull'asse longitudinale, semicircolari quelle sull'asse trasversali. I corrispondenti spazi tra le doppie

colonne (intercolumni) sono più larghi e più alti degli altri: in questo modo viene a crearsi uno schema

tipologico a croce inscritto in una circonferenza. La nicchia rettangolare opposta all'entrata (4) ospitava il

sarcofago di Costantina in porfido rosso (marmo riservato alla famiglia imperiale) decorato con motivi

cristiani che riprendono i temi della decorazione musiva dell'ambulacro. Il sarcofago è conservato dalla fine

del '700 nei Musei Vaticani; al suo posto è collocata una copia in gesso.

Nelle due nicchie maggiori poste al centro delle curve laterali, due scene a mosaico della fine del IV secolo

testimoniano il primato della chiesa di Roma sulla cristianità: la Consegna delle chiavi e la Consegna del

rotolo della Legge a S.Pietro.

All'esterno dell'ambulacro correva un'altro ambulacro colonnato, oggi scomparso. Nel complesso quindi

questo edificio, assieme alla basilica cui era annesso, riflette le caratteristiche salienti dell'architettura

costantiniana: grandiosità, semplicità della pianta e dell'esterno, sfarzosità all'interno. (Krautheimer)

L'edificio nei secoli

La costruzione del mausoleo, secondo studi recenti, sarebbe avvenuta in due fasi:

Prima Fase, 337-351 d.C. - nel periodo di vedovanza di Costantina

Seconda Fase, entro il 361 dopo la sua morte

Successivamente fu sepolta nel mausoleo anche Elena, altra figlia di Costantino.

Il mausoleo divenne in seguito battistero della basilica di S. Agnese, sorta nel VII secolo. La tipologia a

pianta centrale si adattava in modo particolare a tale destinazione d'uso, come ormai a quel tempo voleva la

tradizione, anche se non tutti gli studiosi sono concordi con questa destinazione d'uso.

Nel 1254 l'edificio fu trasformato in chiesa, intitolata a S. Costanza. Ma è sin dall'alto medioevo che

Costanza (altro nome attribuito a Costantina figlia di Constantino) veniva arbitrariamente identificata come

una martire, e quindi appellata come santa. Del resto già nell'835 il Liber Pontificalis designava il mausoleo

come Aecclesia Sanctae Costantiae. Tale ambiguità è un tratto caratteristico dell'edificio, che nelle sue forme

architettoniche si rifà prevalentemente a modelli pagani di templi e sepolcri.

Nel 1620 il cardinale Fabrizio Veralli fece eliminare definitivamente la decorazione musiva della cupola

(splendida, secondo le testimonianze iconografiche che ci sono giunte), già da tempo in pessimo stato di

conservazione, sostituendola con modesti affreschi.

La credenza - tipicamente umanista - secondo la quale l'edificio doveva essere un tempio dedicato a Bacco,

fece sì che esso divenne, nel XVII secolo, un ritrovo di artisti fiamminghi, riuniti in un'associazione chiamata

Bentvogels (uccelli della banda). In occasione dell'ammissione di un nuovo membro nell'associazione, si

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celebrava una "festa del battesimo": dopo aver fatto bagordi per tutta la notte, all'alba i bentvogels si

recavano al cosiddetto Sepolcro di Bacco (cioè il sepolcro di porfido che si trova all'interno del mausoleo), per

un'ultima libagione. Molti dei loro nomi sono rimasti amcora incisi sugli affreschi delle nicchie.

Nel 1720 Clemente XI proibì quest'uso paganeggiante dell'edificio.

Un'ipotesi alternativa

Nel corso di una campagna di scavi nella zona occidentale del nartece e nell'esedra ovest del mausoleo

(Stanley, 1992), sono state trovate numerose tombe d'età tardoantica e medievale, tra cui due "sepolture

privilegiate". Inoltre sono stati rinvenuti resti di una struttura triconca, che faceva parte dell'originario

impianto della basilica cimiteriale, databile tra il 340 e il 350 d.C.

L'ipotesi formulata è che l'edificio svolgesse la funzione di martyrium per la venerazione di S. Agnese, e che

di conseguenza Costanza sarebbe stata sepolta altrove: per l'esattezza, in una struttura absidata al

centro della basilica costantiniana.

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La basilica onoriana di S. Agnese

L'attuale chiesa di S. Agnese è il frutto di una serie di trasformazioni e restauri - succedutisi nei secoli - di una

basilica fatta realizzare da papa Onorio I (625-638), di cui ancora oggi conserva gran parte dei caratteri.

Onorio I è da collocare storicamente tra i continuatori dell'opera di Gregorio Magno, il pontefice che - sulla

scia dell'inefficiente amministrazione bizantina - diede l'avvio ad una gestione diretta del potere temporale

da parte della Chiesa. Rispetto a Gregorio, che si dedicò principalmente a salvaguardare dalle invasioni Roma

ed i possedimenti della Chiesa, Onorio fu particolarmente attivo in ambito edilizio, lasciando tracce in tutta la

città, specialmente con i restauri delle chiese esistenti, tra cui S. Pietro.

Ecco la situazione sulla quale intervenne Onorio. La giovane martire Agnese era stata sepolta in una galleria

al primo piano del cimitero sotterraneo sulla via Nomentana (le catacombe). Lo sviluppo del culto

derivante dal suo martirio - che vide tra i più convinti adepti proprio la principessa Costantina - portò alla

realizzazione di un sacello "ad corpus" semi interrato sul fianco della collina, contestualmente

all'edificazione della grande basilica cimiteriale costantiniana. La costruzione del sacello fu necessaria,

perché la Chiesa romana proibiva di manomettere i luoghi di sepoltura, per prevenire la dispersione delle

reliquie.

Per realizzare la basilica, gli architetti di Onorio ripresero un modello introdotto mezzo secolo prima da papa

Pelagio II (579-590), con la costruzione della basilica di S. Lorenzo fuori le Mura. In una situazione molto

simile a quella dell'area di S. Agnese, con:

la presenza di una basilica cimiteriale semi-abbandonata;

il corpo del santo sepolto in una catacomba, che poneva molti limiti all'accesso dei pellegrini;

la volontà di non rimuovere il corpo oggetto di venerazione;

la necessità di favorire l'afflusso di pellegrini nella città, i quali costituivano una risorsa irrinunciabile in

un periodo caratterizzato da grande incertezza.

A S. Lorenzo fu adottata una soluzione particolarmente ingegnosa, ripresa piuttosto fedelmente a S.

Agnese. Fu realizzata una basilica seminterrata, in modo che il pavimento fosse al livello della tomba

oggetto di culto, sbancando parte della collina. A S. Lorenzo l'ingresso avveniva lateralmente, mentre a S.

Agnese ci si arrivava per mezzo di una scala (come tuttora avviene, per chi accede dalla Via Nomentana). Al

livello superiore, in entrambe le basiliche, fu realizzata una galleria che correva su tre lati: in

corrispondenza delle due navate laterali e del nartece, che era interno. La galleria consentiva di accedere

all'interno della basilica anche a chi non era in grado di percorrere le scale; inoltre permetteva di avere

spazio aggiuntivo nei giorni di particolare afflusso.

A S. Agnese emergevano quindi dalla sommità della collina solo il cleristorio e le gallerie, con un effetto

simile a quello che ci hanno trasmesso fotografie di epoche precedenti l'urbanizzazione della zona. Le opere

di sterro che portarono alla realizzazione della facciata principale, con le tre attuali porte d'ingresso,

furono realizzate solamente nel 1600, dal cardinale Alessandro Ottaviano de' Medici.

Coevo alla costruzione della basilica è il grande mosaico che copre l'intero catino absidale, raffigurante S.

Agnese, la quale ha ai piedi le fiamme e la spada del martirio, ed è affiancata dai papi Simmaco e Onorio,

quest'ultimo che reca in mano il modellino della chiesa. La sottostante parete dell'abside, decorata con

paraste e trabeazione in porfido, ci ha lasciato una testimonianza dello stile semplice ma monumentale di

questo edificio.

Tutte le colonne utilizzate nella basilica sono di spoglio, cioè ricavate da edifici romani andati in rovina,

probabilmente la limitrofa stessa basilica costantiniana. La varietà dei fusti e dei capitelli (derivante dalla loro

origine) è stata sfruttata dall'architetto per conferire dinamismo all'edificio, segnando in particolare la

progressione del percorso che il pellegrino avrebbe compiuto in direzione dell'altare che custodiva il corpo

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della venerata Agnese.

Delle 16 colonne che circondano l'aula centrale, le prime due coppie, verso l'altare, sono di marmo pregiato

di portasanta, le successive, scanalate, di paonazzetto. Poi 4 coppie di bigio precciato ed infine - a separare

la bavata dal nartece - due colonne di granito nero. Tutte le colonne hanno raffinati capitelli corinzi classici,

ad eccezione di quelle di portasanta, dotate di più grezzi capitelli del VII secolo.

Nei secoli seguenti la basilica ha subito profondi cambiamenti:

nel XV secolo le navate laterali, originariamente dotate di soffitto, furono ricoperte con le attuali

volte a crociera;

nel 1606 il card. Paolo Emilio Sfondrati, per coprire le capriate a vista del tetto, fece realizzare il

soffitto a lacunari, che ancora si ammira, pur nella colorazione conferitagli dall’intervento ordinato

da Pio IX nel 1855;

tra il 1609 e il 1881 furono aggiunte le 6 cappelle laterali; l’edificio originale, infatti, ne era privo,

anche perché le cappelle, come corpi aggiunti agli edifici ecclesiastici, cominciarono a diffondersi solo

a partire dal X secolo;

le coperture del matroneo, inizialmente a tetto spiovente, furono munite di soffitto tra il XVI e il

XVII secolo, e poi nel 1855 di volte a crociera;

attorno al 1620 Paolo V dotò la basilica di un nuovo altare, tuttora esistente, riccamente decorato nei

suoi quattro lati da un intarsio di pietre e marmi preziosi, sormontandolo con un bel ciborio,

sostenuto da quattro colonnine di porfido;

il pavimento musivo di tipo cosmatesco della navata centrale, ammirato per il suo splendore e

descritto da autori del XVI secolo, fu sostituito nel 1728 da un impiantito di mattoni, il quale nel 1855-

56 fu a sua volta rimpiazzato da un pavimento fatto realizzare da Pio IX con i marmi avanzati dal

nuovo pavimento della basilica di S. Paolo;

l’interno della basilica fu ornato di pitture nei secoli XII/XIII, XIV, XVII e XIX; gli affreschi medievali sono

andati quasi del tutto perduti, soprattutto a causa dei lavori del XVII secolo; l’attuale aspetto della

basilica deriva quasi interamente dalle pitture fatte realizzare attorno al 1856 da papa PIO IX.

L’aspetto della basilica, dunque, è molto cambiato dai tempi della prima costruzione onoriana, a causa

delle decorazioni ottocentesche, oggi predominanti nella percezione visiva, dei diversi trattamenti riservati ai

soffitti e della scomparsa del pavimento cosmatesco.Lo stesso ciborio svolge un ruolo determinante, sotto

questo profilo.

Sono del resto estremamente rari i casi di edifici che hanno attraversato intatti i secoli, per giungere a noi

nelle forme concepite dai loro primi architetti. Concepire l’architettura come un processo vitale, che consente

alla storia di lasciare tracce di sé negli edifici, aiuta certamente a comprendere questo splendido manufatto.

La decorazione musiva di S. Agnese f. l. m.

Il mosaico absidale di S. Agnese presenta una composizione a tre figure che si stagliano contro un fondo

aureo. La martire, immobile e assorta al centro del catino, è affiancata da due personaggi, abbigliati come

presbiteri. Al vertice del catino absidale è raffigurato l’empireo stellato, dal quale sporge la mano divina che

regge una corona sul capo della santa.[5] Ai piedi di Agnese sono la spada e il fuoco. Al di sotto della

decorazione si trova la lunga iscrizione dedicatoria di Onorio I con lettere oro su fondo azzurro. Nel sottarco,

un festone di fiori e frutti si diparte da due vasi posti a destra e a sinistra dell’abside e culmina in una croce

dorata racchiusa in un clipeo blu. Il festone è a sua volta incorniciato da una fascia decorativa rossa e

gemmata che racchiude l’intero mosaico.[6] Le tre figure si ergono sopra un terreno erboso appena

accennato da due fasce sovrapposte di diverse tonalità di verde. Esse appaiono isolate l’una dall’altra ma

legate nella gestualità, nella postura e nell’atteggiamento. Il capo della martire è circondato dal nimbo e

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dall’epigrafe SCĀ AGNES.[7] Agnese porta un diadema, ha il volto incorniciato da perle pendenti e ha il collo

cinto da un preziosissimo collier di perle. Ella indossa un abito piuttosto sontuoso, secondo un’iconografia

ricorrente attestata nei vetri dorati. La santa veste una pesante tunica porpurea con maniche strette e scollo

gemmato, che le copre completamente il corpo lasciando nude solo le mani che sorreggono il rotulo, mentre

la stola gemmata (maniakion) delle imperatrici bizantine poggia sulle sue spalle e ricade in avanti come un

loros o come un omophorion. Le vesti della santa sono ornate da un clipeo entro il quale è inserito un

uccellino – spesso interpretato come una Fenice – e da una cornice quadrilobata entro cui è inserito un altro

volatile circondato da quattro boccioli di rosa.[8] Accanto ad Agnese i due personaggi abbigliati come

pontefici sono stati interpretati come i committenti della basilica costantiniana e di VII secolo: con Simmaco il

personaggio con il libro e con Onorio I quello che regge il modellino della chiesa. Questi indossano l’abito

pontificale: una dalmatica bianca clavata con penula di porpora violacea e pallio crociato. Ai piedi hanno

calze bianche (udones) e campagi neri. Le loro teste sono state rifatte per intero nel corso del restauro

ottocentesco, mentre il volto di Agnese presenta probabilmente l’ovale originario. L’iscrizione musiva di

Onorio I, in caratteri d’oro su fondo azzurro, è divisa in tre riquadri da una cornice dorata. Nella traduzione di

Frutaz essa recita così:

Aurea sorge la pittura per tagliati metalli

e lo stesso giorno è qui avvinto e rinchiuso,

cosicché crederesti che l’aurora da nivee fonti spunti

fra le nuvole squarciate, irrorando di rugiada i campi,

ossia che tra i pianeti Iride spanda la sua luce,

splendente del colore del porpureo pavone.

Colui che poté fissare la fine della notte e della luce

allontanò il caos dalle tombe dei martiri.

Quanto si scorge qui sopra con un’occhiata

questi dono votivi il vescovo Onorio diede

e il suo volto si riconosce dalle vesti e dall’opera.

Allieta i cuori col solo aspetto. [ 9]

Negli esempi del V e del VI secolo lo spazio dell’abside si era progressivamente affollato di figure, ordinate

secondo uno schema prevalentemente a sette elementi. Dalla metà del VI ai primi decenni dell’ VIII secolo in

alcune decorazioni absidali il numero degli elementi si riduce sensibilmente fino ad accogliere una

composizione di tre figure, le quali si assottigliano e diminuiscono di volume a fronte del fondo oro in cui si

perdono. La rarefazione delle masse corporee dei personaggi, ritenuta dalla maggior parte degli studiosi il

segno di un’inversione di rotta rispetto alla prima pittura cristiana, si accompagna ad una semplificazione

delle forme, spesso isolate rispetto al contesto in cui sono inserite. È una rarefazione che, a Roma, trova

compimento nelle absidi di S. Eufemia (perduta), di S. Stefano Rotondo, di S. Venanzio e di S. Agnese fuori le

mura e che avvicina le immagini riprodotte in questi luoghi alle icone bizantine. Il processo di

«bizantinizzazione» di cui si sta parlando si manifesta - oltre che con un alleggerimento del registro della

struttura compositiva - nell’esilità delle silhoulette dei santi rappresentati nelle decorazioni, nella ricerca di

atmosfere evanescenti, nella scelta del fondo oro e nei tessuti eleganti, preziosi, che abbigliano i personaggi.

[10] Gli studiosi pertanto parlano di una matrice orientale alla base di tali scelte stilistiche e compositive.

[11] A questo proposito, si deve tener conto della difficoltà a un inquadramento storico di questo tipo dovuta

all’assenza di confronti diretti pervenuti nell’area greco - costantinopolitana. L’iconoclastia ha infatti distrutto

la quasi totalità delle testimonianze pittoriche e musive anteriori all’ VIII secolo.[12] Gli unici raffronti possibili

sono quelli con i riquadri storici di San Vitale, le teorie di S. Apollinare nuovo, le decorazioni geometriche di S.

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Sofia e, in particolare, i pannelli di S. Demetrio a Salonicco.[13]

Ancora oggi gli storici dell’arte trovano una certa difficoltà nello stabilire se le forme orientali importate a

Roma nel secolo VII rispecchino fedelmente l’arte prodotta a Costantinopoli o se siano piuttosto espressione

di varianti provinciali.[14] Non si deve dimenticare che Roma in questo frangente apparteneva all’Impero

bizantino, direttamente dipendente dall’esarcato di Ravenna.[15] Si deve inoltre considerare la confluenza e

l’affermarsi di comunità monastiche di lingua e cultura greca e l’avvicendamento sul soglio pontificio di una

serie di pontefici greci e siriaci, i quali, se non possono essere considerati gli unici artefici della diffusione

della cultura greca nell’Urbe, hanno probabilmente dato un’ulteriore spinta alla diffusione della cultura

orientale. Sono i papi, infatti, i più convinti committenti di icone, di pitture murali e di mosaici con i quali

Roma sosteneva una convinta politica dell’immagine sacra in opposizione alle tendenze iconoclaste di

Bisanzio.[16] Nel determinare il contesto storico medievale romano tra la metà del secolo VI e l’avanzato

secolo VIII occorre perciò esaminare attentamente - in tutte le loro possibili relazioni e conseguenze - i

seguenti fattori: in primo luogo la presenza di stilemi di matrice orientale che vengono indicati in termini

generali quali «bizantini»; in secondo luogo si deve acquisire la consapevolezza che entro la dimensione

artistica definita «bizantina» albergano linguaggi di origine diversa. E infine si deve valutare l’assenza di

confronti diretti con i quali rapportare questi linguaggi a causa della controversia iconoclasta, scoppiata a

Bisanzio tra il 726 e il 787.[17] Il problema della presenza di una matrice bizantina nel mosaico di S Agnese,

in ogni caso, sussiste e va affrontato in modo specifico.[18] Per riuscirci è necessario partire da quegli indizi

che sono apparentemente a favore di tale orientamento stilistico: l’iconografia martiriale e la tecnica mista

con tessere vitree e lapidee messa in atto nella manifattura del mosaico.

 La donna come martire compare tardivamente nei programmi iconografici delle basiliche romane e l’unica

testimonianza che ci è pervenuta è proprio quella di S. Agnese.[19] Guglielmo Matthiae fu uno dei tanti

studiosi a sostenere la teoria di un «influsso bizantino» nel mosaico onoriano adducendo come principale

motivazione la presenza degli strumenti del martirio ai piedi della santa, giudicati estranei all’iconografia di

Agnese sviluppata in Occidente. Secondo lo studioso, perfino l’immagine di s. Eufemia affiancata dai

serpenti, posteriore a quella di Agnese (687 -701), andava riallacciata alla tradizione orientale.[20] In tutte le

testimonianze pittoriche e musive anteriori al VII secolo finora pervenute in Occidente la figura di Agnese

appare spesso contraddistinta dall’immagine dell’agnello - simbolo di verginità e di purezza – e dalla corona

del martirio, ma mai affiancata alle fiamme e alla spada, entrambe ricordate nelle passio orientali e nelle due

principali versioni occidentali: quella damasiana e quella ambrosiana.[21] Tuttavia, si deve ricordare che nella

decorazione di Sisto III (432 -440) in S. Maria Maggiore dovevano già figurare alcuni santi martiri nell’atto di

calpestare i propri simboli del martirio, un tipo di iconografia trionfale desunta dall’immaginario iconografico

della Roma imperiale.[22] 

La decorazione musiva di S. Agnese trova confronto con il mosaico che riproduce san Lorenzo nella lunetta di

fronte all’ingresso del mausoleo di Galla Placidia (392 - 450) a Ravenna. Il santo è qui rappresentato con la

croce astile sulle spalle mentre incede verso una grande graticola lambita dalle fiamme.[23] Il raffronto è

utile almeno per due motivi: entrambi i mosaici condividono l’impostazione del tema del martirio inteso come

gloria e trionfo. Inoltre, i personaggi hanno dei caratteri iconografici in comune con alcune figurazioni

rappresentate nei vetri dorati, i fondi dei recipienti vitrei decorati con una sottile lamina d’oro e rinvenuti in

alcuni cimiteri romani.[24] Dalle varie funzioni - rituali, liturgiche o decorative - i vetri dorati accolgono le

figure dei martiri più amati dai primi cristiani di Roma: s. Agnese, san Lorenzo, s. Ippolito, s. Timoteo, papa

Damaso e ovviamente Pietro e Paolo.[25] Il pluteo databile al pontificato di Liberio (352 - 366) - ritrovato nel

complesso monumentale della Nomentana - mostra per l'appunto la giovane santa orante secondo la

consuetudine iconografica dei recipienti vitrei con fondo d’oro, dove ella compare inserita fra due santi,

Pietro e Paolo o Vincenzo ed Ippolito. Questi ultimi e, in particolar modo, i recipienti con l’immagine della

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santa tra i principi degli apostoli, possono aver ispirato l’assetto iconografico e compositivo della decorazione

musiva della basilica onoriana, così come i fondi dorati con l’immagine di s. Lorenzo avrebbero potuto imitare

quella contenuta nella lunetta del mausoleo di Galla Placidia a Ravenna o viceversa. Se così fosse, Simmaco

ed Onorio sostituirebbero, nell’abside di S. Agnese, le immagini di Pietro e Paolo ricorrenti nei vetri dorati.

[26] Gli strumenti del martirio raffigurati nel mosaico onoriano sono comunque assenti in questi esempi di

arte minore – o suntuaria – romana, nei quali la santa presenta l’attributo del rotolo ed è inserita in un «fondo

stellato» appena accennato da due piccoli asterischi reduplicati simmetricamente ai lati. La corona sorretta

dalla mano divina, rappresentata alla sommità del catino del mosaico di S. Agnese, è invece elemento

ricorrente nell’iconografia martiriale.L’attributo del rotulo si ritrova in alcuni dipinti cimiteriali piuttosto tardi e

nel vetro dorato con l’immagine di s. Agnese tra i pavoni rinvenuto nelle catacombe di Panfilo.[27]

Il papa offerente il modellino architettonico potrebbe essere ispirato al mosaico dei SS. Cosma e Damiano

(prima metà del VI secolo) e alle sue varianti successive.[28] Lo stile del mosaico di S. Agnese è tuttavia

distante da quello adottato nel  modello, realizzato quasi un secolo prima e ancora legato alle concezioni

plastiche e formali tardo antiche.[29] Tale distanza è evidente per chiunque osservi i due mosaici. Il grado di

astrazione che emerge dall’abside di S. Agnese tradisce l’apporto di un linguaggio quantomeno esterno alla

tradizione locale. Rispetto al mosaico della chiesa del Foro, la composizione di S. Agnese presenta la figura

della martire al centro e non ai lati del catino, come sarebbe di consuetudine in questo tipo di iconografia. In

effetti mentre tutte le absidi romane sono decorate con teofanie - nelle quali a volte si inseriscono i santi

titolari – nell’abside della basilica onoriana la martire prende il posto del Cristo al centro del catino e diviene

la sola protagonista della composizione. Tale scelta iconografia può essere messa in relazione con la tipologia

architettonica della basilica ad corpus adottata nel monumento che è, di fatto, un edificio commemorativo.

Gli studi sull’iconografia dei martiri hanno peraltro dimostrato come l’immagine del santo eretta o a mezzo

busto entro il clipeo, orante o in atto di portare una croce, avesse avuto origine nell’ambito della tomba-

santuario, per conservane l’immagine accanto alle sue reliquie.[30] La composizione quindi costituisce un

altro punto di separazione tra le due decorazioni. Separazione che comunque, per tutte le ragioni sopra

elencate, non deve essere letta necessariamente come una frattura rispetto alla maniera locale[31]

Nel mosaico voluto da papa Onorio I (625 - 638) le scelte iconografiche sembrano complicarsi rispetto alle

altre decorazioni absidali romane, poiché vi compaiono, per la prima volta, due papi committenti.[32] Chi

sono i due pontefici?

Vi sono diverse congetture riguardo all’identità del personaggio con il libro, dai più ritenuto papa Simmaco,

colui che aveva promosso diversi lavori nella basilica costantiniana e forse ricordato nella sua decorazione.

[33] L’altro pontefice è con molta probabilità Onorio I, menzionato nell’ iscrizione musiva come il

committente della moderna basilica di S. Agnese e del mosaico che la decora.

La tecnica mista di tessere vitree e lapidee utilizzate per comporre il mosaico, è stata considerata da alcuni

studiosi come un’ ulteriore traccia della presenza di maestranze bizantine o orientali nel cantiere onoriano. A

questo proposito si deve ricordare che anche i mosaici che decorano le volte dell’ambulacro anulare del

mausoleo costantiniano intitolato a S. Costanza, sono costituti in parte di tessere di palombino e in parte di

smalti, sebbene il suo originario paramento musivo risalga interamente al IV secolo d. C..[34] Il mosaicista di

S. Agnese ha composto con tessere di palombino molto piccole il collo e il volto della santa, rinunciando alla

rotondità del viso e alla sua modellazione attraverso graduali passaggi di colore che ancora si notano nelle

figure di S. Apollinare nuovo a Ravenna e in quelle di Salonicco.[35] Tuttavia nel rotulo, nelle vesti e nelle

mani di Agnese i toni dei filari delle tessere sono più modulati. I particolari dell’acconciatura e della corona

sono talmente simili a quelli dello scollo, della stola - rimaneggiata durante il restauro ottocentesco - e del

nimbo da escludere comunque l’ipotesi che il volto sia stato realizzato da un secondo mosaicista. L’artefice

del mosaico di S. Agnese adotta spesso nel panneggio delle figure una linea retta e rigida, che unisce brevi

Esame Chiesa di Roma – S. Agnese pag. 10

Page 11: S. Agnese fuori le mura. Roma

curve e costruisce le immagini attraverso linee spezzate. La linea morbida e fluida che determina alcuni brani

delle vesti di Onorio e della santa potrebbe davvero tradire una «mano» diversa da quella dell’antico

mosaicista. Proprio il gusto della linea spezzata denuncerebbe, secondo il Matthiae, la presenza del grafismo

locale nello stile prevalentemente «bizantino» della decorazione, esemplificato dalle tessere a foglia

metallica del fondo d’oro, dai contorni netti delle figure e dalla ricerca quasi parossistica del dettaglio

prezioso nei suntuosi tessuti della santa e dei pontefici.[36] Anche in questo caso tuttavia la perdita del

confronto diretto con l’arte musiva di Costantinopoli del VII secolo non aiuta a stabilire se le impressioni dello

studioso – basate prevalentemente sul confronto della decorazione con i mosaici ravennati e tessali –

rimangano solamente delle ipotesi o diversamente corrispondano alla realtà.

Per concludere, nel mosaico dell’abside di S. Agnese il processo di astrazione e di smaterializzazione degli

elementi raggiunge un estremo mai raggiunto nelle decorazioni absidali dei secoli precedenti. Al di là delle

molteplici teorie degli studiosi sull’identità bizantina del mosaico - e più in generale sulla possibile attività di

maestranze bizantine a Roma nel secolo VII alla quale si è fatto cenno - non si può non riconoscere nel

cantiere onoriano la presenza di un’elaborazione artistica orientale. Questa matrice orientale non permea del

tutto la sostanza pittorica della decorazione, che in alcuni suoi brani - soprattutto nel volto della santa, una

sorta di «maschera inerte»[37] - sembra rimanere ancorata alla tradizione pittorica romana e a quello stile

compendiario adottato in alcuni affreschi delle catacombe. Nonostante ciò s. Agnese è un’immagine

intensamente iconica. Nel mosaico, la santa non interagisce con gli altri personaggi ma rimane isolata. Tutt’al

più ella comunica direttamente con chi la osserva e ciò l’avvicina stilisticamente e concettualmente a una

vera e propria icona.[38]

Del culto di S. Agnese praticato presso la sua tomba rimane, come prima testimonianza in ordine

cronologico, un pluteo marmoreo che reca al centro la figura della martire orante abbigliata con un’ampia

dalmatica, la tunica bianca corta e aperta ai lati portata dai Romani. Esso appartiene all’originaria

sistemazione del sepolcro da parte di papa Liberio (352-366). Il pluteo è oggi visibile murato ai piedi dello

scalone che conduce al nartece della basilica.

La successiva testimonianza è costituita da un carme che papa Damaso (366-384) fece incidere su una

lastra marmorea e collocare sulla tomba della martire. Reimpiegata come lastra pavimentale, anche questa

iscrizione è attualmente affissa lungo la parete dello scalone.

I restauri

Nei primi anni del Novecento, Guglielmo Matthiae, oltre a ricordare i restauri ottocenteschi, rilevò i diversi

interventi subiti dalla decorazione musiva intorno al 1614, anno in cui viene fatto risalire il ciborio dell’altare

maggiore (1605-1621). [39] Nel tentativo di ricostruire lo stato di conservazione della decorazione, De Rossi,

nel XIX secolo, si servì del codice XI, 197, fascicolo numero 173, conservato nella biblioteca Barberini, che

contiene la «Memoria della restaurazione della fabbrica di S. Agnese fatta dal cardinale di Firenze»

Alessandro Medici (1605). De Rossi evidenziò come nella suddetta "memoria" non si facesse menzione dei

lavori all'abside e come l’immagine di papa Onorio «nunc prae vetustate vix vultus discernitur» (f. 165).

Quindi, intorno al 1603 e prima dello studio del monumento effettuato da Ciampini (1701), il volto di papa

Esame Chiesa di Roma – S. Agnese pag. 11

Page 12: S. Agnese fuori le mura. Roma

Onorio era a malapena distinguibile ma, a quanto pare, ancora visibile. [40]

Nell’ultimo decennio del secolo XVII, Ciampini scrisse «… Pontificum vultus pictura fuisse suppletos, quia

musivum deciderat, quod lineis indicare volui, ut in ipsomet apparet musivo.».[41] Nella sua opera Vetera

Monimenta, egli fece inserire una tavola che registrava lo stato di conservazione del mosaico onoriano, nella

quale delimitava le teste dei due pontefici con una linea chiusa, interpretata da Domenico Bartolini

(1858) come traccia di nimbi quadrati. Ciampini rilevò come i volti dei pontefici fossero stati colmati a pittura

poiché la superficie di mosaico che li costituiva era caduta, senza specificare quando e come avvenne il

risarcimento pittorico. Alla luce di tutte queste informazioni, deduciamo che molto probabilmente  il volto di

Onorio I nel 1603 era abbastanza deturpato e che il mosaico tra il 1603 e il 1605 non fu toccato; ai tempi di

Ciampini, invece, le due teste furono rifatte in pittura. Tra il 1603 e il 1699, la basilica subì verosimilmente dei

restauri: dal cardinale Paolo Emilio Sfondrati (1605-1606), come ricordava il Matthiae dal pontefice Paolo V

(1614-1615), e da Fabrizio Veralli (1620).[42]

Il mosaico venne poi largamente ripristinato negli anni Quaranta del Novecento, durante la campagna di

interventi ai mosaici medievali condotta da Vincenzo Camuccini. Nel "conto e misura" dell’agosto 1842 è

esplicitato che in alcuni tratti del mosaico gli operatori dello studio vaticano del mosaico incontrarono delle

aree «già supplite con intonaco» dipinto. A questo riguardo, Matthiae scrisse che le possibili «alterazioni

iconografiche si limitano ai visi dei papi che non possono vantare nessuna rispondenza con l’originale».[43] 

Entrambe le teste dei due pontifici furono rifatte per intero assieme ad alcuni brani delle vesti sottostanti e

del contiguo fondo oro; da una attenta osservazione del mosaico si nota inoltre come le teste presentino dei

caratteri molto simili seppure non identici. In particolare, Simmaco mostra un ovale meno rigido, toni

modulati nelle vesti e nell’incarnato e una più corretta anatomia del volto rispetto a Onorio, le cui fattezze

sono invece determinate da una netta linea di contorno e da diverse modulazioni cromatiche che

maggiormente lo uniformano allo stile adottato dall’antico mosaicista, ancora visibile in alcuni brani del capo

della santa, mai toccato durante la campagna del Camuccini. 

Le catacombe di S. Agnese

La nascita e il successivo sviluppo di questo cimitero ipogeo sono legati al martirio della giovanissima

Agnese, nel corso di una delle persecuzioni anticristiane del III secolo: quella di Diocleziano (303-305 d.C.) -

che fu tra le più spietate - oppure di Decio (249-251) o Valeriano (257-260).

Il corpo di Agnese fu tumulato in una galleria al primo piano di un cimitero cristiano già esistente sul fianco

della collina, in corrispondenza del I miglio della Via Nomentana, a 6 metri di profondità rispetto all’attuale

livello stradale.

Tale cimitero - nella suddivisione in 4 regiones operata dall’archeologo ottocentesco Mariano Armellini -

corrisponde alla regio I delle attuali catacombe di S. Agnese, ed è originario della seconda metà del III secolo,

quindi di poco precedente all’epoca costantiniana.

Uno dei principali documenti agiografici riguardanti la figura di S. Agnese è La passio sanctae Agnetis,

redatta agli inizi del V secolo e basata su materiali precedenti come gli scritti del papa Damaso (366-384),

oppure il De Virginibus e l’inno XI Agnes beatae virginis di S. Ambrogi (334-394). E’ tale documento a dare

indicazioni sulla posizione topografica della tomba di S. Agnese, collocandola in praediolo suo, ovvero in un

piccolo fondo di proprietà della famiglia della bambina, prossimo ai terreni di proprietà imperiale su cui

sorgeranno gli edifici costantiniani.

Esame Chiesa di Roma – S. Agnese pag. 12

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Planimetria generale delle catacombe di S. Agnese (da Frutaz)

1) Questa prima regio coincide con l’area a cui si accede per prima dall’attuale ingresso. Gli indizi di

maggiore arcaicità, rispetto alle altre regiones, derivano da elementi come:

i formulari delle iscrizioni che vi sono state rinvenute, improntati a particolare semplicità: indicano il

grado di parentela, ricorre l’aggiunta dell’aggettivo dulcis al nome dei defunti, la grafia è molto

curata, ecc.;

la tipologia architettonica di alcune sepolture, come le "tombe a mensa", costituite da una nicchia a

forma di rettangolo allungato che corona un’arca scavata nel tufo;

la presenza di larghi diaframmi di tufo tra un loculo e l’altro, che fa supporre un utilizzo non intensivo

delle gallerie, come avverrà nel IV secolo.

2) La regio II, colpita più delle altre dai trafugatori di reliquie, si presenta in maniera estremamente

frammentaria, per cui risulta arduo renderne conto in maniera compiuta. Come le successive, si è sviluppata

a partire dal IV secolo.

3) La regio III si sviluppa tra l’abside della basilica onoriana (l’attuale basilica di S. Agnese) e un arenario in

direzione Nord - formato da una serie di ambienti cavi naturali - che mette in comunicazione il cimitero

sotterraneo di S. Agnese con l’altro grande complesso funerario ipogeo della Via Nomentana denominato

"Cimitero Maggiore".

Le testimonianze epigrafiche rinvenute testimoniano un utilizzo di questa parte del cimitero dall’inizio fino

alla fine del IV secolo.

La sepoltura sotto consistenti strati di limo nel corso dei secoli ha garantito l’integrità di queste sepolture

Esame Chiesa di Roma – S. Agnese pag. 13

Page 14: S. Agnese fuori le mura. Roma

sino alla loro scoperta da parte di Armellini, tanto che da questa regione derivano molti oggetti oggi custoditi

nei Musei Vaticani. A dispetto di tale circostanza, oggi non è visibile alcuna decorazione pittorica

all’interno delle catacombe. Sono però presenti alcune testimonianze che possono destare una certa

curiosità:

l’epigrafe di un certo Petrus, affiancata dall’immagine dell’apostolo Paolo;

un monogramma costantiniano in pietra, decorato con smalti e completato con l’iscrizione in hoc signo

Sirici vinces, che parafrasa il famoso motto della battaglia di Ponte Milvio, che vide Costantino

vittorioso su Massenzio;

un cubicolo doppio contenente l’epitaffio dell’alumna Sabina, che volle essere sepolta sopra la tomba del

genitore adottivo (super patronum);

l’iscrizione metrica in cui la figlia defunta esorta i genitori a non piangere sulla sua sorte beata;

una lucerna che riporta stampigliato un monogramma formato dalla sovrapposizione delle lettere "P" e

probabilmente "E", interpretato con l’espressione augurale Palma elea o Palma feliciter.

4) L’ultima regione, la IV, è quella più prossima al Mausoleo si S. Costanza, e fu fatta rinvenire nel corso

della campagna di scavi del 1971-72, che interessò anche la zona di accesso alla basilica costantiniana.

Ta tale campagna si è potuto appurare che in quest’area esisteva una necropoli pagana con mausolei e

colombari (costruzioni funerarie costituite da nicchie sovrapposte per riporre le urne cinerarie), databili a

partire dal II secolo dopo Cristo.

Con la costruzione della basilica costantiniana la necropoli venne distrutta. L’erezione di tale edificio

costituì dunque un atto di dominio da parte dell’imperatore, forte del suo titolo di Pontifex Maximus,

analogamente a quanto avvenne sul colle Vaticano, dove una vasta necropoli era stata sacrificata da

Costantino per erigere la basilica in onore dell’apostolo Pietro.

La quarta regione catacombale sorse dunque una volta che l’area fu liberata dalla necropoli preesistente,

utilizzando come ingresso una scala già appartenente ad uno dei mausolei pagani, modificata per la nuova

destinazione d’uso. Molti frammenti marmorei delle tombe antecedenti furono anche inglobati nelle muratore

e nei gradini delle catacombe.

Da questa regione deriva un certo numero di reperti interessanti:

un coperchio in marmo di urna cineraria pagana, ornato sulla fronte dai busti di due giovinetti e nelle

volute laterali da due rosette a grandi petali;

piccoli oggetti rinvenuti affissi alle tombe cristiane;

la più antica iscrizione delle catacombe di S. Agnese: l’epitaffio di un tale Sisinnius, datato al 341;

una singolare statua femminile in marmo scuro, elegantemente abbigliata, ma priva di testa e di braccia;

un frammento di vetro dorato, probabilmente un medaglione ornamentale, in cui si è conservata una figura

maschile seduta ed abbigliata in tunica e pallio – indicata col nome di Feilix – che è in atto di parlare

con un altro personaggio solo parzialmente visibile.

All’epoca del pontificato di papa Simmaco (498-514), il primitivo santuario fu trasformato in una sorta di

basilichetta, una struttura absidata la cui costruzione comportò la distruzione di parte del cimitero

preesistente. Lo stesso papa Simmaco, secondo il Liber Pontificalis, aveva già provveduto al restauro della

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fatiscente basilica costantiniana.

Antologia delle fonti

In questa sezione sono raccolti i testi originali che costituiscono fonti per la ricostruzione delle vicende

storiche dei diversi manufatti del complesso monumentale di S. Agnese fuori le mura, oltre a brani rilevanti

per la loro interpretazione storico-artistica.

Anno Edificio Brano

IV sec. Basilica onoriana Carme di Papa Damaso (366-384)

1605 Basilica onoriana Verbale della ricognizione delle reliquie operata dal card.Sfondrati

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