R.Steiner - La filosofia della libertà

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    RUDOLF STEINER

    LA FILOSOFIADELLA LIBERT

    LINEE FONDAMENTALIDI UNAMODERNACONCEZIONE DEL MONDO

    Risulta ti di osservazione animicasecondo il metodo scientifico

    1992EDITRICE ANTROPOSOFICA

    MILANO

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    RUDOLF STEINER LA FILOSOFIA DELLA LIBERT

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    Titolo originale dell'opera:Die Philosophie der Freiheit

    Opera Omnia n. 4Traduzione di Iberto Bavastro

    Settima edizione italiana dalla tredicesima edizione tedesca del 1973

    l a edizione italiana: Laterza, Bari 19192a edizione italiana: Laterza, Bari 19303a edizione italiana: Bocca, Milano 19464a edizione italiana: Ed. Antroposofica, Milano 19665a edizione italiana: Ed. Antroposofica, Milano 1978

    6 edizione italiana: Ed. Antroposofica, Milano 1986Tutti i diritti, anche di traduzione, riservati allaRudolf Steiner-Nachlassverwaltung, Dornach (Svizzera)

    Copyright - Editrice Antroposoficasrl Milano, via Sangallo 34ISBN 88-7787-005-2

    INDICE

    Prefazione alla nuova edizione del 1918 pag.LA SCIENZA DELLA LIBERT

    I - L'agire um anocosciente II - L 'impulso fondamentale al la scienza . . .

    Ili - Il pensare al servizio della comprensione delmondo

    IV - Il mondo come percezione V - La conoscenza del mondo

    VI - L'individualit um ana VII - Vi sono limi ti alla conoscenza?

    LA REALT DELLA LIBERTVili -1fattori della vita

    IX - L'idea della liber t X - Filosofia della liber t e monism o

    XI - Scopodel mondo e scopo della vi ta . . . . XII - La fantasia morale

    XIII - Il valore della vita XIV-.Individualite specie

    GLI ULTIMI PROBLEMILe conseguenze del monismo Pri ma appendice alla seconda edizione del 1918 . Seconda appendice Indice degli autori citati nel testo Opera omn ia di Rudolf Stein er

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    PREFAZIONE ALLA NUOVA EDIZIONE DEL 1918

    Questo libro disposto in modo da esaminare due problemifondame ntali della vita psichica umana . Il primo se esista unapossibilit di esaminare l'entit umana in modo che tale esame si dimostri essere un sostegno per tutto ci che giungeall'uomo attraverso esperienza o scienza, di cui egli ha perla sensazione che non possa sostenersi da s e possa venirspinto dal dubbio e dal giudizio critico nella sfera dell'incertezza. L'altro pro blema se l'uomo, in guanto essere che vuole, sipossa attribuire la libert, oppure se essa non sia una meraillusione che sorge in lui, perch non vede le fila della necessitalle quali legato il suo volere, come lo ogni evento naturale.Questo problema non deriva da una costruzione artificiosa dipensieri. Esso si presenta del tutto naturalmente dinanzi all'anima in una determinata disposizione p sichica. S i pu anzisentire che, rispetto a quel che l'anima dovrebbe essere, una suaparte andrebbe pe rduta se non si vedesse posta con la massimaseriet possibile di fronte alle due possibilit: libert o necessitdel volere. Questo libro dovr m ostrare che le esperienze dell'anima, che l'uomo pu fare riguardo al secondo problema,dipendono dall'impostazione che egli pu dare al primo. Verrfatto il tentativo di indicare che vi una concezione dell'entituman a capace di sorreggere og ni altra conoscenza e di indicareinoltre che con tale concezione si d piena giustificazione all'idea della libert del volere, purch prima si trovi la sfera dell'anima sulla quale possa svilupparsi il libero volere.

    La concezione della quale si parla qui per i due problemiricordati tale che, una volta acquisita, pu diventare una partedella stessa viva vita dell'anima. Non verr data una rispostateorica che, una volta acquisita, si porti con s come una convinzione conservata dalla m emoria. Per il modo di pensare che alla base di questo libro, una simile risposta sarebbe solo apparente. Non ve rr data una risposta com piuta, finita, ma siindicher un camp o di esperienze dell'anima nel quale, in ognimom ento in cui lo si desideri, attraverso l'attivit interiore

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    dell'anima il problema riceva di nuovo una risposta vivente. Achi una volta abbia trovato il campo dell'anima in cui si sviluppano tali problemi, il reale esame di quel campo gli offre appunto quel che gli necessita per quei due enigmi della vita, affinchcon quanto ha conquistato egli possa continuare ad esplorarel'ampiezza e le profondit della vita misteriosa nelle quali lospingono necessit e destino. Sembra cos indicata una conoscenza che mostra la sua giustificazione e il suo valore grazie auna vita propria e all'affinit di tale vita con tutta la vitapsichica umana.

    Cos pensavo in merito al contenuto di questo libro, quandolo scrissi venticinque anni fa. Anche oggi devo scrivere le stessefrasi, se voglio caratterizzarne i pensieri e gli scopi. Nella stesura di allora mi limitai a non dire nulla di pi di quanto, nelsenso pi stretto, non fosse in relazione con i due problemifondamentali indicati. Se qualcuno dovesse meravigliarsi dinon trovare ancora nel libro alcun accenno al campo dell'esperienza spirituale che stata esposta in miei scritti successivi,deve pensare che allora io non volevo dare una descrizione dirisultati dell'esperienza spirituale, ma solo costruire la basesulla quale quei risultati potessero poggiare. La filosofia dellalibert"non contiene alcuno di quegli speciali risultati, cos comenon contiene alcuno speciale risultato scientifico; chi per aspira alla certezza di quelle conoscenze, a mio parere non potr farea meno di ci che contiene il libro. Quel che in esso viene dettopu venir accettato anche da chi, per ragioni valide per lui, nonvuole aver nulla a che fare con i risultati della mia indaginescientifico-spirituale. Per chi invece li consideri com e qualcosaverso cui-egli tende, potr anche essere importante quel chequisi cercato, e cio il mostrare come uno studio spassionato,

    esteso solo ai due indicati problemi fondamentali di ogni conoscere, conduca alla concezione che l'uomo vive inserito in unreale mondo spirituale. In questo libro si tende a giustificareuna conoscenza della sfera spirituale prim a di entrare nell'esperienza spirituale. Tale giustificazione viene per ricercata inmodo che nell'esposizione non sia mai necessario richiamarsi

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    alle esperienze da me descritte in seguito per trovare accettabilequanto vien qui detto, sempre che si voglia o si possa approfondire questo modo di esporre.

    Questo libro mi pare quindi che da un lato occupi un postodel tutto a parte rispetto ai miei scritti di vera e propria scienzadello spirito, mentre dall'altra vi sia anche strettamente legato.Tutto questo mi ha spinto ora, dopo venticinque anni, a ripubblicare il contenuto del libro in sostanza quasi del tutto invariato. Ho solo fatto delle aggiunte abbastanza lunghe a m olticapitoli. Le esperienze che ho fatto per male intese interpretazioni di quel che avevo detto, mi fecero apparire necessarie taliesaurienti aggiunte. Ho solo modificato l dove oggi mi apparemal detto quello che avevo inteso dire un quarto di secolo fa.(Soltanto chi sia malevolmente diposto sar spinto a dire, daquel che ho cos modificato, che io abbia cam biato le mie convinzioni fondamentali).

    Il libro gi esaurito da molti anni. Sebbene mi sembri daquel che ho appena detto che ancora oggi debba venir espresso inmodo uguale ci che dissi venticinque anni fa in merito aiproblemi caratterizzati, ho ritardato a lungo la preparazione diquesta nuova edizione. Mi chiedevo sempre se in questo o quelpunto non avrei dovuto confrontarmi con le numerose concezio~ni filosofiche venute alla luce da quando apparve la primaedizione del libro. Dal farlo in un modo per me desiderabilevenni impedito dai recenti impegni derivanti dalle mie indaginidi scienza dello spirito. Dopo un esame quanto pi possibileprofondo del lavoro filosofico contemporaneo, misono per convinto che, per quanto tale confronto sia in s affascinante, essonon debba venir inserito nel mio libro per quel che il libro stessodeve dire. Riguardo agli argomenti prospettati nella Filosofiadella l ibert, ci che mi parve necessario dire in merito aimoderni indirizzi filosofici si trova nel secondo volume dei mieiEn igm i della filosofia.

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    L A S C I E N Z A D E L L A L I B E R T

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    L'AGIRE UMANO COSCIENTE

    Nel suo pensare ed agire l'uomo un essere spiritualm entelibero, oppure si trova sotto la costrizione di un a ferrea necessit di leggi puram ente n aturali? A pochi problemi stato rivolto tanto acum e quanto a questo. L'idea della libert del volereumano ha trovato un gran numero di caldi sostenitori e diostin ati oppositori. Vi sono person e che nelloropathos moralechiamano spirito lim itato chi possanegareun fatto cos palesecome la libert. Di fronte a q ueste ve ne sono altr e che vedono ilcolmo della non-scientificit nel credere int err otta la nec essitdelle leggi di nat ura nel campo dell'agire e del pensare u man i.Una stessa cosa viene cos in pari tempo dichiarata il piprezioso bene dell'umanit oppure la peggiore illusione. Infinito acume stato impiegato per chiarire come la libertumana sia compatibile con l'agire della natura, alla qualeanche l'uomo appartiene. Non minore l'impegno col qualedall'altra p arte si tentato di rendere comprensibile come siapotuta sorgere una simile idea errata. Che qui si abbia a chefare con uno dei pi importanti problemi della vita, dellareligione, della pratica e della scienza, sente chiunque nonabbia per tratto saliente del suo carattere il contrario dellaprofondit. anzi un triste segno della superficialit del pensare odierno che un libro che vorrebbe forgiare una nuovafede in base ai risultati della moderna ricerca sulla natura(David Friedrich StrauB:La vecchia e la nuova fede), su questo problema non contenga che le parole: Qui non dobbiamooccuparci del problema della libert della volont umana. Lapresunt a indifferente libert di scelta stata sem pre riconosciuta come un vuoto fantasm a d a ogni filosofia degna di questo nome; la determinazionedel valoremoraledelle azioni edelle intenzioni umane rimane comunque impregiudicata da

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    quel problem a. Non cito questo passo perch stimi che il libroin cui si trova abbia una speciale importanza, ma perch ilpasso mi sembra esprimere l'opinione alla quale possa innalzarsi la maggioranza dei contemporanei pensanti in merito aquesto problema. Ognuno che ritenga di aver superato i prim ielementi della scienza, sembra oggi sapere che la libert nonpu consistere in una scelta del tutto arbitraria fra due azionipossibili. Si ritiene che vi sia sempre una ben determinatacausa per cui, fra pi azioni possibili, se ne esegue una soltanto .

    Questo sembra evidente. Tuttavia fino ad oggi i principaliattacchi degli oppositori della liber t si rivolgonosolocontro lalibert di scelta. Cos Herbert Spencer, le cui vedute guadagnano ogni giorno terreno, dice neiPrincpi della psicologia :Che ognuno possa deside rare o non desidera re qualcosa a suopiacim ento, il che in sostanza il principio basilare del dogmadel libero arbitrio, viene negato sia dall 'analisi della coscienza,sia dal contenuto dei capitoli precedenti (dellaPsicologia)Nella medesima prospettiva muovono anche altri nel combattere il concetto del libero arbitri o. In germe, tut te le considerazioni al riguardo si trovano gi in Spinoza. Quel che egli avevaesposto in modo chiaro e semplice control'idea della libert, fuda allora ripetuto innumerevoli volte, solo nascosto spessonelle pi sofisticate teor ie, rendendo cos difficile riconoscere ilsemplice filo del pensiero, il solo che conta. In una letteradell'ottobre o del novem bre 1674, Spinoza scrive: In sostanzaio chiamo libera una cosa che esiste e agisce per semplicenecessit della sua natura, e chiamo forzata quella che vienedeterminata all'esistere e all'agire in modo preciso e fisso daqualcosa d'altro. Cos esiste per esempioDio,anche se necessario per libero, perch egli esiste solo per necessit della suanatura. Cos Dio conosce liberamente se stesso e ogni altracosa, perch deriva solo dalla necessit della sua natura cheegli tutt o conosca. Vedete quindi che non faccio consistere lalibert in una libera decisione, ma in una libera necessit.

    Vogliamo ora scendere alle cose create che in modo fisso e12

    preciso vengono tutte determinate da cause esterne allroesistere ed agire. Per capire meglio il problema,consideriamoun caso semplicissimo. Per esempio una pie tra, che abbia ricevuto da una spinta esterna una certa qu antit di moto, continua di necessit a muoversi anche in seguito, quando siacessata la spinta est erna. Il persistere della pietra nel suo moto quindi forzato e non necessario, perch deve venir definitodalla spinta di una causa esterna. Ci che qui vale per lapietr a, vale per ogni altra singola cosa, per quan to possa esserecomplicata e variamente adatta; ogni cosa viene cio in modofissoe preciso determinata da una causa estern a al suo esistereed agire.

    Imm aginate ora per favore che, men tre si muove, la pietrapensi e sappia che sta sforzandosi per quan to pu a co ntinu arenel movim ento. Tale pie tra, ora cosciente solo del suo sforzo eper nulla indifferente nel suo comportam ento, creder di essere del tutto libera e di continuare nel suo moto per nessu n'altraragione se non perch lo vuole. questa la libert umana chetut ti riteng ono di possedere, e che consiste solo nel fatto che gliuomini sono coscienti dei loro desideri, ma non conoscono lecause dalle quali sono determinati. Cos crede il bambino didesiderare liberamente il latte, il ragazzo irato di pretendereliberamente la vendetta, e il codardo la fuga. Crede inoltrel'ubriaco di dire per libera decisione ci che, ritornato sobrio,vorrebbe non aver detto; poich tale pregiudizio innato intutti gli uomini, non facile potersene liberare. Se infattianche l'esperienza insegna a sufficienza che gli uomini possono dominar e pochissimo i loro desideri, e che mossi da oppostepassioni vedono il meglio ma eseguono il peggio, pur e si rit engono liberi: proprio perch essi desiderano meno alcu ne cose, eperch altri desideri possono con facilit venir frenati dalricordo di altri a cui si pensa spesso.

    Poich qui abbiamo un concetto chiaro e ben espresso, sar anche facile scoprire l'errore fondam entale che vi si nasconde.Come necessario che la pietra compia un certo mov imento aseguito di una spinta, cos l'uomo deve di necessit eseguire

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    un'azione se vi spinto da una causa qualsiasi. Solo perchl'uomo ha coscienza della sua azione, egli se ne riterrebbe ill ibero autore. Non vedreb be per che ve lo spinge un a causache egli deve senz'altro seguire. L'errore di questo ragionamen to presto trovato. Spinoza e tutt i quell i che pensano comelui non vedono chel'uomo non solo ha coscienza delle sue

    azioni, ma che pu averne anc he delle cause dalle quali vieneguidato. Nessun o contesta che i l bamb ino non sia l ibero qua ndo desid era il latt e, che non lo sia l 'ubriaco qua ndo dice cose dicui pi tardi si pentir . Ent ram bi nul la sanno delle cause chesono attive nelle profondit del loro organismo e sotto la cuiincontrastabile costrizione essi si trovano. Ma giustif icatomettere assieme azioni di questo t ipo con altre nelle qualil 'uomo cosciente non solo della sua azione, ma anche delleragio ni che ve lo spingono? sono forse le azioni degli uomini diun unico t ipo? l 'azione del comb attente sul campo di batta glia,quella dello scienziato nel laboratorio, o dell 'uomo di Statonelle complicate questioni diplomatiche, possono scientifica

    men te venir messe sul medesimo piano di quella del bambinoquando chiede il latte? certo vero che si tenta nel modomigliore la soluzione di un problema dove il caso pi semplice ,ma gi spesso la mancanza di discernimento ha portato aconfusioni senza fine. Vi com unqu e una differenza profondase io so perch faccio qualcosa, oppurre se non lo so. A primavista questa sembra essere una verit evidente. Pure, dagliavvers ari della l ibert non viene m ai chiesto se un motivo delmio agire, che io riconosca e compenetri , rappresenti per meuna coercizione, come lo il processo organico che spinge ilbambinoa gridare per i l lat te.

    Eduard von Har tmann, a pag.451della sua Fenomenologia della coscienza morale, sostiene che il volere umano dipende da due fattori principali : dai motivi e dal caratt ere. Considerando gli uomini tutt i uguali o irr i levantemente diversi , i lloro volere appare come determinato da fuori , vale a diredeterm inato d alle circostanze che loro si presentan o. Se invecesi considera che uom ini diversi prendono una rappresentaz io-14

    ne a motivo del loro agire solo se il loro carattere tale dasuscitare un desiderioa segui to d i un 'adeguata rappresentazione, al lora l 'uomo appare determinato da dentro e non dafuori. L'uomo crede dunque di essere libero, vale a direindipendente da motivi esterni , perch egli , in conformit al suocarat tere, deve prim a prendere a motivo un a rap presenta zione

    impostagli dal di fuori . Secondo Eduard von Hartmann, laverit per che: se anche noi stessi eleviamo le rappre sentazioni a motivi , lo facciamo non a rbit raria me nte, m a secondo lanecessit della nostra disposizione di caratte re, quindi in modotutt 'altro che libero. Anche qui non si tiene conto della differenza esistente fra motivi che faccio agire su di me dopo averlicompenetrati con la mia coscienza, e motivi che seguo senzaaverne una chiara conoscenza.

    Questo ci porta direttamente nella prospett iva dallaquale la cosa deve qui venir considerata. Si pu in generaleporre unilateralmente da solo i l problema della l ibert dellanostra volont? e se no, con quale altro deve essere di neces

    sit collegato?Se vi una differenza fra u n motivo cosciente del mio agi ree una spinta inconscia, al lora i l primo determiner un'azioneche dovr venir giudicata diversamente da un'altra derivatada un cieco impulso. Il problema di questa differenza sardunqueda esaminare per primo. E dal r isultato dipender laposizione da prende re rispetto al vero e proprio problema dellal iber t .

    Ch e cosa significa conoscere i mot ivi del proprio agire? Si badato poco a questo problema, perch purtro ppo si sem prediviso in due quello che un tutto indivisibile: l 'uomo. Sidist ingue l 'uomo agente dall 'uomo conoscente, perdendo cos

    di vista quello che importa innanzi tutto: l 'uomo che agiscein base alla conoscenza.Si dice: L'uomo libero se soltant o sotto il dominio della

    sua ragione , e non sotto quello degli impulsi an imali . O ppureanche: Libert significa poter determ inar e la propria vita e i lproprio agire in base a fini e decisioni.

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    Ma bas ta ora con gli esempi; essi mos trano che molti combattono contro la liber t, senza sapere i n sostanza che cosa siala libert.

    del tutto evidente che non pu essere libera un'azionedella quale il suo autore non sa perch egli la compia. Ma cheavviene delle azioni di cui si conoscono i motivi? Questo ciporta a lla doman da: Qul' l'origine e il significato del pensare? Senza la conoscenza dell'attivi t pens ante dell'an ima n on infatti possibile un concetto del conoscere qualcosa, e quind ianche del conoscere un'azione. Quando sapess imo che cosa ingenerale significhi il pensare, sarebbe anche facile comprendere la funzione del pensare nell 'agire um ano. Il pensa re fa sche l'anima, di cui anche l'animale dotato, divenga spirito,dice Hegel con ragione, e di conseguenza il pens are da r la suaimpronta caratteristica anche all'agire umano.

    In nessun caso si deve affermare che tutto ilnostroagirederivi soltanto dalla calma riflessione della nostra ragione.Sono ben lontano dal considerare umane nel senso pi altosolo le azioni che derivano da un giudizio astratto. Ma nonappena il nostro ag ire si solleva dalla sfera del soddisfacimentodi desideri puramente animali, i nostri motivi sono semprecompenetrati da pensieri. Amore, compassione, patriottismosono impulsi all'azione che non si possono risolvere infreddi concetti razion ali. Si dice: qui il cuore e l'anim a fannovalere i loro diritti. Senza dubbio. Ma il cuore e l'anima noncreano i motivi dell'agire. Li presuppongono e li accolgononella loro sfera. Nel mio cuore si presenta la compassionequando nella m ia coscienza comparsa la rappre sentazione diuna persona che desta compassione. La via del cuore passaattra vers o la testa. Non fa eccezione neppure l'amore. Q uandonon la semplice estrinsecazione dell'impulso sessuale, essoriposa sulle rappres entazion i che ci facciamo dell'essere am ato .E quanto pi idealistiche sono le rappresentazioni, tantopibeatificante l'amore. Anche qui il pensiero padre delsentim ento. Si dice: l'amore r ende ciechi per le debolezze dell'essere amato. La cosa pu anche venir rovesciata, e si pu18

    allora dire: l'amore ap re gli occhi per i mer iti dell'essere amato .Molti passano distratt amen te accanto a quei meriti senzaavvedersene. Uno li vede, e appunto per ques to si desta l'am orenella sua anima. Che altro ha fatto, se non formarsi unarappresentazione che cento altri non hanno? Essi non hannol'amore, perch manca loro la rappresentazione.

    Possiamo con siderare la cosa come vogliamo: dovr essercisempre pi chiaro che il problema dell'essenza dell'agire um ano presuppone quello dell'origine del pensare. Mi occuperdunque prima di questo problema.

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    IIL'IMPULSO FONDAM ENTALE ALLA SCIENZA

    // mio sen due diverse anime serraE quella vuoisi separar da questa;La prima coi tenaci organi afferraIl mondo, e stretta con ardor vi resta.L'altra fugge le tenebre, e la vediLevarsi altera alle paterne sedi.

    Con questi versi Goethe esprime una cara tteris tica profondamente radicata nella nat ura u mana . L'uomo non un essereorganizzato unitariamente. Egli richiede sempre pi di quantoil mondo gli d spontaneamente. La natura ci ha dato deibisogni; fra questi ve ne sono alcuni per la cui soddisfazioneessa si rim ette alla no stra at tivi t. Abbond anti sono i doni checi furono lar giti, m a ancora pi ab bondanti sono i nostri desideri. Sembriamo nati all'insoddisfazione. Il nostro impulsoalla conoscenza solo un caso particolare di tale insoddisfazione .Per esempio guardiam o un albero due volte: la prima v oltavediamo i suoi rami fermi, e la seconda in movimento. Nonsiamo soddisfatti dell'osservazione. Perch l'albero ci si presenta una volta fermo el'altra in movim ento? Cos ci chiediamo.Ogni sguardo alla natura produce in noi una somma didomande. Con ogni fenomeno che ci si presenta ci viene insieme posto un compito. Ogni esperienza diventa per noi unenigma. Vediamo uscire da un uovo un essere simile allamadre, e ci chiediamo la ragione della somiglianza. In unessere vivente osserviamo crescita e sviluppo fino a un certocompimento, e ricerchiamo le condizioni di questa esperienza.

    Non siamo mai sod disfatti di quello che la nat ura dispiega innanzi ai nostri sensi. Cerchiamo dappertutto quella che chiamiamo la spiegazione dei fatti.

    Il di pi che noi cerchiamo nelle cose, rispet to a ci che inesse ci dato immediatamente, divide in due parti tutto ilnostro essere; diventiamo coscienti di opporci al mondo. Ci20

    opponiamo al mondo come esseri indipendenti. L'universo ciappare in due parti contrapposte: io e il mondo.

    Erigiamo questo muro divisorio fra noi e il mondo appenala coscienza riluce in noi. Ma non perdiamo ma i il sent ime ntoche apparten iam o al mondo, che esiste un leg ame che ci uniscead esso, che non siamo un essere al di fuori, ma dentro l'universo.Questo sentim ento produce l'aspirazione a supera re la contrapposizione. Nel superamento di tale contrapposizione si hain sostanza tutto l'anelito spirituale dell'umanit. La storiadella vita spirituale una continua ricerca dell'unit fra noi eilmondo.Religione, arte e scienza perseguono in ugual misu raquesto scopo. Il credente cerca nella rivelazio ne che Dio gli hacomunicato la soluzione degli enigmi universali che gli haproposto il suo io, insoddisfatto del solo mondo d ell'appar enza.L'artista cerca di imprimere nella mat eria le idee del suo io,per riconciliare col mondo esterno qu el che vive nel suo intim o.Anch'egli si sente insoddisfatto del solo mondo dell'appar enza,e cerca di insufflare in esso il di pi, rispet to al m ondo, che ilsuo io nasconde. Il pensatore cerca le leggi dei fenomeni, epensando cerca di com penetrare quello che sper ime nta nell'osservazione. Ritroveremo il nesso dal quale noi stessi ci siamosciolti, solo se del contenuto del mondo avrem o fatto il contenuto del nostro pensiero. Vedrem o in seguito che questo fine puvenir rag giun to solo se il compito dello scienziato viene intesomolto pi profondamente di quanto spesso non avvenga. T utt ala condizione che qui ho esposta ci appare storicamente nellacontrapposizione fra la concezione unita ria del mondo,o monismo, e la teoria dei due m ondi, o dualism o. Il dualismo rivolgelo sguardo solo alla separazione compiuta dalla coscienza del

    l'uomo fra io e mondo. Tutto il suo sforzo un'in util e lotta perconciliare queste ant itesi che chiama ora spirito e ma teria , orasoggetto e oggetto, ora pensiero e fenomeno. Ha il sentim entoche debba esservi un po nte fra i due mondi, ma non in gradodi trovarlo. In quan to l'uomo si sper imen ta come io, egli nonpu pensarel'io che dalla parte dello spirito; e in quanto

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    contrappone il mondo all'io,egli deve assegnare al primo ilmondo delle percezioni date dai sensi, vale a dire il mondoma teri ale. L'uomo stesso si inserisce cosnellacontrapposizione spiritoema teri a. Deve farlo, tant o pi in quanto il suo corpoappartiene al mondo materiale.L'io cos part e dello spiritual e; le cose e i processi mate rial i, che vengono percepiti daisensi, apparteng ono al mondo. L'uomo deve ritro var e nell'enigma fondamentale del proprio essere tutti gli enigmi che siriferiscono a spirito e materia. Il monismo guardainvecesoloall'unit e cerca di negare o cancellare le antitesi comunqueesistenti. Nessuna delle due concezioni pu soddisfare, perchesse non corrispondono ai fatti. Il dualismo vede spirito (io) emate ria (mondo) come due entit sostanzialmente diverse, equindi non pu capire come possano agirel'una sull'altra.Come deve lo spirito sap ere che cosa avviene nella m ateri a, segli del tutto estrane a la di lei nat ura caratteristica? o comepu in t'alicondizioniagire su di essa, in modo che le proprieintenzioni si trasformino in azioni? Vennero esposte le pi

    acutee assurde ipotesi per risolvere questi problemi. Ma anchecon il monismo fino ad oggi non si sta m olto meglio. Finora hacercato di cavarsela in tre modi: o nega lo spirito e diventamaterialismo; o nega la materia per cercare la sua salvezzanello spiritualismo; oppure sostiene che gi nel pi sempliceessere del mondo ma teria e spirito sono indivisibilmente legati , e che quindi non ci si deve meravigliare se nell'uomo sipresentano questi due aspetti dell'esistenza che in nessun posto sono sep arati.

    Il materialismo non pu mai fornire una soddisfacentespiegazione del mondo, perch ogni tentativo di spiegazionedeve cominciare formandosi dei pensieri sui fenomeni delmondo. Il materialismo inizia quindi col pensiero della materia o dei processi materiali, e con ci ha gi dinanzi a s duediversi gruppi di fatti: il mondo materiale, e i pensieri su diesso. Il materialista cerca di comprendere i secondi considerandoli processi puram ente mater iali. Crede che nel cervello ilpens are si produca press'a poco come la digestione negli or gani22

    animali. Come attribuisce alla materia qualit meccaniche oorganiche, in determinate condizioni le riconosce anche lafacolt di pensare. Dimentica che cos hasolospostato il problem a. Invece che a se stesso, attrib uisc e alla m ater ia la facolt di pensare. E con questo di nuovo al suo punto di partenza.Come arriva la ma teria a riflettere sul proprio essere? perchsemplicemente non si accontenta di se stessa e non accetta lasua esistenza? Il materialis ta ha distoltolosguardo dal soggetto determinato, dal nostro io, ed giunto a una costruzioneindefinita e nebulosa; e qui gli si ripr esen talostesso problema.La concezione materia listic a non pu risolver e il problem a, masolo spostarlo.

    Come si presenta la concezione spiritualistica? Lo spiritualista puro nega la materia nella sua esistenza indipendente ela considera solo come prodotto dello spirito. Se per applica lasua concezione del mondo alla spiegazione della propr ia en tit um ana, si trova ai ferri c orti. All'io, che pu essere m esso dallaparte dello spirito, di punto in bianco sta di fronte il mondosensibile. A questo non sem bra ap rirsi un accesso spirituale; ilmondo deve venir percepito e sperimen tato dall'io attrav ersoprocessi materiali. L'io non trova in s tali processi materiali,se vuole venir riguardato come entit spiritua le. Inciche essoelabora spiritualm ente non mai inserito il mondo dei sensi.L'io deve ammettere che il mondo gli rimane chiuso, se non simette in relazione con esso in modo non spirituale. Passandopoi alla sfera dell'agire , dobbiamo del par i trasform are i nostripropositiin realt con l'aiuto di sostanze e di forze materiali.Siamo cio indirizzati al mondo esterno. Il pi estremo spiritualista, o se si vuole il pensatore che per il suo idealismoassoluto si presenta come il pi estremo spiritu alista, Jo han nGottlieb Fichte. Egli cerc di derivare dall'io l'intera costruzione del mondo. Quel che per gli riuscito veramente ungrandioso insieme di pensieri sul mondo, senza alcun contenuto di esperienza. Come al ma terialis tanonepossibile annu llare lo spirito, cos allo spirituali sta non possibile an nulla reil mondo esterno materiale.

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    Poich l'uomo, quan do dirige la conoscesaifio,percepisce innanzi tutto l'azione dell'io nello sviluppo concettuale delmondo de lle idee, la concezione delmondo'ndsriixat spiritualisticamente, nel considerare l'entit um ana ,pw sentirsi tentata di riconoscere dello spirito solo quelmondo delle idee. Inquesto modo lo spiritualismo diventa idealismo: unila terale .Non riesce a cercare un mondo spirituale attraverso il mondodelle idee; vede il mondo spirituale nel mondostessodelle idee.Di conseguenza con la sua concezione delmondoviene spinto adover rimanere come legato entro l'attivit dell'io stesso.

    Un a sing olare sottospecie dell'idealismo la concezione diFriedrich Albert Lange, da lui sostenuta nella sua molto lettaStoria del materialismo. Egli ritiene che il materialismo hamolta ragion e quando d ichiara che tut ti i fenomeni del mondo,compreso il nostro pensiero, sono il prodotto di processi soloma teriali; solo che a loro volta la m ateria stessa ei suoi processi sono di nuovo un prodotto del nostro pensare. I sensi cidannogli effetti d ellecose,e non immag ini fedelio addiritturale cose stesse. Di questi semplici effetti fanno per anche part ei sensi stessi, compreso il cervello e i movimenti molecolari inesso pensati . Vale a dire , il nostro pens are viene prodotto daiprocessi ma ter iali , e questi dal pensar e dell'io. La filosofia diLange non quind i altro che la storia, trado tta in concetti, delprode Munch hause n che si sostiene libero nell'ar ia attaccato alproprio codino.

    La terza forma del monismo quella che vede gi riunitenell'essere pi semplice, l'atomo, le due entit: m ateria e spirito .Ma anch e cos non si raggiung e altro, se non trasp ortar e inun'altra sede il problema che in realt sorge nella nostracoscienza. Come arriva l'essere pi semplice a manifestarsi inmodo duplice, se un'unit indivisa?

    Di fronte a tut te que ste opinioni si deve me ttere in evidenza che l'antitesi fondamentale e originaria ci viene innanzi tutto incontro nella nostra coscienza. Siamo noi stessi che cistacchiamo dal grembo materno della natura e che ci contrapponiamo come io al mondo. Goethe esprime classicamente24

    questo pensiero nel suo scrittoLa natura, anche se il suo mododi esprimersi pu sembrare non del tutto scientifico: Noiviviamo in mezzo alla natura e le siamo estranei. Essa parlainin terro ttam ente con noi e non ci confida il suo segreto. MaGoethe conosce anche il lato opposto: Gli uomini sono tutt i inlei,ed essa in tutti.

    Comevero che ci siamo estran iati dalla n atu ra, cosveroche noi sentiamo di essere in lei e di appartenerle. Pu esseresolo il suo agire che vive anche in noi.

    Dobbiamo ritrovare il cammino per ritornare alla n atura.Una semplice riflessione pu indicarcelo. Ci siamo s strap patidalla natura, ma dobbiamo pure aver portato qualcosa nelnostro essere. Dobbiamo ricercare in noi quell'essere dellana tur a, e allora ritroveremo an che il nesso. Il dualismo non ciriesce. Esso ritiene l'interiorit dell'uomo un essere spiritualedel tutto estraneo alla natura, e cerca di legarglielo insieme.Nessuna meraviglia che non possa trovare il mezzo. Possiamo trova re la n atu ra fuori di noi, solo se prima la conosciamo in noi. Quan to le simile nella nostra interio rit ci sar diguida. Cos la nostra stra da gi tracciata . Non vogliamo farespeculazioni sulla reciproca azione fra natura e spirito. Vogliamoinvecescendere nelle profondit del nostro essere pertrovarvi gli elementi che abbiamo portato con noi nella nostrafuga dalla natura.

    Lo studio del nostro essere ci deve portare la soluzionedell'enigma. Dobbiamo giungere a un punto in cui potremodirci: qui non siamo pi solo io,qui vi qualcosa che pidi io.

    Sono rassegnato al fatto che qualcuno, che mi ha letto finqui,non trovi la mia esposizione adeguata allo stato attualedella scienza. Posso solo rispondergli che fino ad ora non hovoluto aver a che fare con nessuno dei risul tati scientifici, m acon la semplice descrizione d iciche ognuno pu sp erimentarenella prop ria coscienza. Che siano scivolate nel discorso anch esingole frasi rela tive ai tenta tivi di conciliare la coscienza conil mondo, a veva solo lo scopodiprecisare i fatti. Non ho quindi

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    dato alcun v alore all'impiego diparticolariespressioni, comeio,spirito, mondo, natura ecosviane lprecisosignificato corrente in psicologia e in filosofia. La coscienza quotidiana no n conosce le acut e differenze de lla scienz a, e fino ad ora sitratt ava solo di appur are fatti di tutti i giorni. Non mi interessa come la scienza ha interpretato lacoscienzafino a oggi, ma

    come quest'ultima si manifesta di minuto in minuto.

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    II IIL PENSARE AL SERVIZIO

    DELLA COMPRENSIONE DEL MONDOQuando osservo come una palla da biliard o che venga colpi

    ta trasmetta il moto a un'altra, io rimango senza alcuna in

    fluenza sullo svolgimento del processo osservato. La direzionee la velocit della seconda palla sono determinate dalla direzione e dalla velocit della prima. Finch io mi comporto soloda osservatore, sapr dire qualcosa sul moto della secondapalla soltanto quando esso sar avvenuto. Diverso se comincio a riflettere sul contenuto della mia osservazione. La miariflessione ha lo scopo di formare concetti in me rito al fenomeno osservato.Io collego il concetto di una palla elastica condeterminati altri concetti della meccanica, e considero le particolari circostanze che agiscono nel caso esaminato. Al fenomeno che si svolge senza il mio intervento, cerco dunque diaggiungerne un secondo che si svolge nella sfera concettuale.

    Quest'ultimo dipende da me. Ci risulta dal fatto che io possoaccontentarmi dell'osservazione e rinunciare ad ogni ricerca diconcetti, se non ne sento il bisogno. Se per tale bisogno e siste,io mi acquieto solo dopo aver collegato i concetti di palla,elasticit, moto, urto, velocit e cos via, in modo che il fenomeno osservato vi si inserisca. Come certo che il fenomeno sisvolge indipendentemente da me, cos certo che il processoconcettuale non pu svolgersisenzail mio intervento.

    Sar oggetto di un successivo esame chiarire se questa miaattivit derivi veramen te dal mio essere autonomo, o se abbiano invece ragionei fisiologi moderni quand o dicono che noi nonpossiamo pens are come vogliamo, ma che dobbiamo pensare

    come stabiliscono i pensieri e i collegamen ti di pensieri appunto esistenti nella nostra coscienza (cfr. Ziehen:Guida allapsicologia fisiologica, Jena 1893, pag. 171). Per ora vogliamosolo stabilire che noi ci sentiamo di continuo forzati a cercareconcetti e collegamenti di concetti che siano in una certa relazione con gli oggetti e i fenomeni che ci sono dati s enza il n ostro

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    intervento. Non occupiamoci per ora di stabilire se questocomportamento sia davvero nostro, o se lo seguiamo perun'immutabile necessit. fuori di dubbio che in un primotempo appaia come nostro. Sappiamo benissimo che con glioggetti non ci vengono dati assieme anche i relativi concetti.Potr forse deriva re da un'illusione che chi agisce siaio,ma inogni caso l'osservazione immediata presenta cos la cosa. Il

    problema ora: che cosa ci guad agnia mo a ritro vare un riscontro concettuale per ogni fenomeno?Vi una differenza profondissima fra il modo in cui per me

    le part i di un fenomeno si comportano reciprocamente, prima edopo il ritrovam ento d ei relativi concetti. La sola osservazionepu seguire le parti di un dato processo nel suo svolgersi; il loronesso riman e per oscuro prima di aver chiesto aiuto ai concetti . Io vedo la prima palla da biliardo muoversi in una certadirezione e con una determinata velocit verso la seconda;devo per atten dere per sap ere che cosa avv err dopo l'urto, eanche allora posso di nuovo solo seguire i fatti con gli occhi.Immaginando che al momento dell'urto qualcuno mi nasconda

    il campo sul quale si svolge il fenomeno, quale semplice osservatoreiononsopi che cosa avv errdopo.Diversoseioavevotrovato i concetti corrispondenti al susseguirsi dei fenomeniprima che mi venisse nascosto il campo In tal caso potr indicare che cosa avv err, an che se cessa la possibilit dell'osservazione. Processio oggetti solo osservati nulla dicono di perssu lloronesso con altri processiooggetti. Tale nesso appare so ltanto se l'osservazione si collega col pen sare.

    Osservazione e pensiero sono i due punti di partenza perogni aspirazione spirituale dell'uomo, in quanto egli ne siacosciente.Lerealizzazioni del comune intelletto uma noe lepicomplicate indagini scientifiche riposano su que sti due pilastridel nostro spirito. I filosofi sono partiti da diverse antitesi dibase:idea e re alt, soggetto e oggetto, fenomeno e cosa ins ,ioe non-io, idea e volont, concetto e materia , energ ia e sostanza,coscienza e inconscio. perfacilemos trare che tutte questeantitesi devono essere precedute da quella di osservazione e28

    pensiero, la pi importante per l'uomo.Qualsiasi principio noi vogliamo stabilire, dobbiamo indi

    carlo come da noi osservato, oppure esporlo in forma di unchiaro pensiero che altri possa ripensare. Ogni filosofo checominci a parlare dei suoi princpi di base deve servirsi dellaforma concettuale, e quindi del pen sare. Am me tte cos indirettamen te di dover premettere il pensare alla sua a ttivit. Quiancora non si stabilisce se l'elemento princ ipale d ell'evoluzione del mondo sia il pensare o qualcos'altro. Fin da ora perchiaro che il filosofo, senza il pensare, non pu conseguirealcun sap ere. Per il nascere dei fenomeni del mondo il pens areavr forse una parte secondaria, ma per il nascere di unaconoscenza degli stessi al pensare spetta certo una parte principale.

    Per quanto riguarda l'osservazione, una caratteristicadella nostra o rganizzazione di averne bisogno. Il nostro pen sare un ca vallo e l'oggetto cavallo sono due cose che ci appaionosepa rate. E l'oggetto ci accessibile solo attrav erso l'osservazione. Come non possiamo farci un concetto di cavallo so ltantoosservandone uno, cos non siamo in grado di suscitar e l'oggetto corrispondente mediante il solo pensare.

    Nel tempo l'osservazione precede anzi il pensare, perchdobbiamo imparare a conoscere il pensare attraversol'osservazione. Era in sostanza la descrizione di un'osservazione qu elche abbiamo esposto all'inizio di questo capitolo, come cio ilpensa re si accenda in presenza di un processo, e come vada al dl del dato senza il suo intervento. Diventiamo consapevolisolo media nte l'osservazione di tutto ci che entra nel cerchiodelle nostre esperienze. Ci vengono dati mediante l'osservazione il contenuto di sensazioni, di percezioni e di concezioni, isentimenti, gli atti volitivi, le immagini del sogno e dellafantasia, le rappresentazioni, i concetti e le idee, tutte le illusioni e le allucinazioni.

    In quanto oggetto di osservazione, il pensare si distingueper in sostanza da ogni altra cosa. L'osservazione di unatavola o di un albero compare in me appena questi oggetti si

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    presen tano all'orizzonte delle mie esperienze. Per non osservocontemporaneamente il pensare su quegli oggetti.Ioosservo latavola ed eseguo il pensare sulla tavola, ma non osservo quest'ultimo nello stesso istante. Devo prima trasferirmi in unpunto al di fuori della mia attivit se, accanto alla tavola,voglio osservare anche il mio pensare sulla tavola. Mentrel'osservare gli oggetti e i processi, e il pensare su di essi sono

    condizioni usuali che riempiono la mia v ita nel suo svolgersi,l'osservazione del pensa re una specie di condizione eccezionale .Di questo fatto va tenuto debito conto quando si tratta dideterminare il nesso del pensare con tutti gli altri contenutidell'osservazione. Deve essere chiaro che, osservando il pensare ,viene usato un procedimento che costituisce la condizionenorm ale per lo studio di tutto il rim ane nte con tenuto del mondo,ma che non si applica mai al p ensar e stesso nel corso dellecondizioni normali.

    Qualcuno potrebbe obiettare che quel che ho fatto notarequi per il pensare, vale anche per il sentire e per le altreattivit spirituali. Se per esempio abbiamo il sentimento delpiacere, anch'esso si accende a cau sa di u n oggetto, ed io osservo s l'oggetto, ma non il sentimento del piacere. Una simileobiezione si basa per su u n erro re. Il piacere non sta affatto colsuo oggetto nello stesso rappo rto del concetto formato dal pensare.Io sono nettamente coscientecheil concetto di una cosaviene formato per attivit mia, m entre il piacere viene prodotto in me da un ogge tto, cos come per esempio la modificazione provocata in un oggetto da una pietra cadutavi sopra. Perl'osservazione, il piacere dato proprio nello stesso modo delprocesso che lo produce. Non cos per il concetto. Possodomandare perch un determinato processo produca in me ilsentime nto del piacere, ma non posso certo domand are perchun processo produca in me una d eterm inata somma di concetti.Non avrebbe sem plicemente alcun senso. Quando rifletto su diun processo non si tra tta affatto di un'azione sopra di me. Nonposso appre ndere nulla di me per il fatto di conoscere i concettirelativi alle modificazioni determinate da un sasso lanciato30

    contro il vetro di una finestra. Apprendo invece molto dellamia personalit, conoscendo il sentimento che un determinatoprocesso desta in me. Quando di fronte a un oggetto osse rvatoiodico:Questa una rosa , non dico proprio nien te riguard o ame stesso; ma se della s tessa cosa dico che essa m i d il sentimento del piacere, io non ho caratterizzato solo la rosa, ma

    anche me stesso nella mia relazione con la rosa.Non si pu quindi parlare di una posizione uguale delpensare e del sentire rispetto all'osservazione. Lo stesso sipotrebbe dedurre con facilit anche per le altre attivit dellospirito um ano. Rispetto al pens are, esse fanno par te di un'a ltracategoria di oggettie processi osservati. proprio della speciale natura del pensare il fatto di essere un'attivit che si rivolge solo all'oggetto osservato e non alla persona che pensa. Cisi manifesta g i nel modo in cui esprimiamoi nostri pensieri sudi una cosa, in confronto a come manifestiamo i nostri sentimenti o i nostri atti volitivi. Quando vedo un oggetto e loriconosco per un a tavola, in gen ere non dir:Iopenso riguar

    do a una tavola , ma: Questa un a tavola . Dir invece: Mipiace questa tavola . Nel primo caso non mi importa affatto didire che io entro in relazione con la tavola; nel secondo caso miinteressa proprio quella relazione. Con la frase:Io penso auna tavo la, entro gi nello stato eccezionale sopra cara tterizzato in cui diviene oggettodell'osservazionequalcosa che sempre contenuto nella nostra attivit spirituale, ma non come oggetto osservato.

    La caratteristica na tura del pensare che chi pensa dimentica il pens are me ntre lo esercita. Nonlooccupa il pensare , mal'oggetto del pensare, quello che egli osserva.

    La prima osservazione che facciamo sul pensare quindi

    che esso l'elemento inosservato della nostra ordinaria vitadello spirito.La ragione per la quale non osserviamo il pensare nella

    vita quotidiana dello spirito, proprio che il pensare si basasulla nostra a ttivit . Quel che non producoiostesso si presen tacome qualcosa di oggettivo nel mio campo di osservazione. D i

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    fronte ad esso mivedocome qualcosa sorto senza di me; vieneverso di me; devo accettarlo come il presupposto del mio pensare. Mentre rifletto sull'oggetto io ne sono assorbito, il miosguardo rivolto ad esso. Questa occupazione appunto l'osservazione pensante. La mia attenzione rivolta non alla miaattivit, ma all'oggetto dell'attivit stessa. Con altre parole:me ntre io penso non vedo il mio pensar e cheiostesso produco,ma l'oggetto del pensare che io non produco.

    Sono anzi nella medes ima condizione quando faccio inte rvenire lo stato di eccezione e penso sul mio stesso pensare . Nonposso mai osser vare il mio pens are prese nte, ma fare in seguitooggetto del pensare solo le esperienze che ho fatto sul mioprocesso di pensiero. Se volessi osservare il mio pensare presente dovrei dividermi in due persone: una che pensa, el'altrache osserva se stessa m entr e pensa. M a non posso farlo. Possocompierlo solo in due atti distinti. Il pensare che deve venirosservato non mai quello che si trova in at tivi t, ma u n altro .Ed indifferente se a questo scopo io faccio le mie os servazio ni

    sul mio stesso precedente pensare, o se seguo il processo dipensiero di un'altra persona, oppure se finalmente, come nelcaso esaminato per il moto delle palle di biliardo; io presuppongo un processo fittizio di pensiero.

    Due cose non si conciliano: produzione atti va e contrapposizione riflessiva.Losapeva gi laGenesi. Nei primi sei giornidella creazione Dio fa sorg ere il mondo, e solo quando esso esistevi la possibilit di guardarlo: E Dio guard tutto quel cheaveva fatto, ed ecco, era molto buono. Cos anche per ilnostro pensare. Deve prima esistere, se vogliamo osservarlo.

    La ragione checirend e impossibile osservar e il pens are nelsuo presente e attuale svolgimento la stessa che ce lo fa

    riconoscere come pi diretto intimo di ogni altro processodel mondo. Appunto perch lo produciamo noi stessi, conosciamo l'elemento car atteristico del suo svolgimento e il modo incui si svolge quel che va considerato. Per il pensar e sappiam oin modo del tutto diretto ci che nei rimanenti campi diosservazione pu venir trovato solo per via indiretta: il nesso32

    oggettivo e il rapporto dei singoli oggetti.Io non so senz'altrodalla m ia osservazione perch il tuono seg ua il lampo; so invece direttamente, dai contenuti dei due concetti, perch ilmio pensare colleghi il concetto di tuono con quello di lampo.Naturalmente non ha alcuna importanza che abbia i giusticoncetti di lampo e tuono. I nessi fra quelli che ho mi sonochiari, proprio per loro stessi.Questa trasparente chiarezza relativa al processo del pensare del tutto indip endente d alla nost ra conoscenza delle basifisiologiche del pensare stesso. Parlo qui del pens are in quantoesso risult a dall'osservazione della nostra att ivit spirituale.Non considero affatto come un processo materiale del miocervello ne influenzi o ne determ ini un altro , me ntr e io eseguoun'operazione di pensiero. Ci che osservo nel pensare non quale processo nel mio cervello colleghi il concetto del lam pocon quello del tuono, ma che cosa mi spinga a mettere i dueconcetti in una certa relazione fra loro. La mia osservazionemos tra che per le mie connessioni di pensiero mi baso solo sulcontenuto dei miei pens ieri; che non mi baso sui processi materiali nel mio cervello. Per un'epoca meno materialistica dellanostra questo rilievo sarebbe del tutto superfluo. Ma oggi,quando vi gente che crede che, conoscendo che cosa lamateria, si sapr anche come la materia pensa, deve venirdetto che si pu parl are del pensar e senza scontra rsi sub ito conla fisiologia del cervello. Oggi risu lta difficile per m olti afferrare il concetto del pensare nella sua purezza. Chi contrapponesubito la frase del Cabanis alla rappresentazione che qui hosviluppato del pensare, e cio: Il cervello secerne pensieri,come il fegato secerne fiele e le ghiandole salivari saliva,costui semplicem ente no n sa di che cosa io parli. Egli cerca ditrovare il pensare attraverso un semplice processo di osservazione, come facciamo per gli altri oggetti del mondo. Ma nonpu trovarlo per que sta via perch , come ho dim ostrato , esso sisottrae appunto alla norm ale osservazione. Chi non pu superare il materialismo, manca della capacit di mettersi nelricordato stato eccezionale che gli porta a coscienza quel che

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    r im an e incosciente in ogni al tra a t t ivi t dello spiri to. Con chinon ha la buona volont di mettersi in questa prospett iva sipu parlare del pensare al tret tanto poco, quanto di colori conun cieco. Egli non deve per credere che noi reputiamo cheprocessi fisiologici siano pensare. Egli non spiega il pensare,soprattutto perch non lo vede.

    Pe r chi abbia invec e la capacit di osservare i l pen sare, e lapossiede ognun o che sia norma lme nte organizz ato se ha bu onavolont, tale osservazione la pi importante che egli possafare, perch cos osserva qualcosa ch e egli s tesso produce; no nsi trova di fronte a un og getto in un prim o tempo estrane o, m aalla propria at t ivi t. Sa come nasce quel che osserva. Vede inessi e i rappo rti . cos acquisi to un pun to fermo dal qu ale eglipu cercare con fondata speranza la spiegazione dei r imanentifenomeni del mondo.

    Il sentim ento di avere un pu nto fermo del gene re indusse i lfondatore della f i losofia moderna, Renato Cartesio, a basaretutto i l sapere umano sulla frase:Io penso, dunque sono.

    Ogni al t ra cosa, ogni al tro div enire esiste senza di me; non so secome verit o come illusione o sogno. Solo di una cosa io sonodel tutto incon dizion atam ente sicuro, perch la porto io stessoalla sua sicura esistenza: i l mio pensare. Se anche la suaesistenza ha u n'al tra origin e, se viene da Dioo da qualche a l t rapart e, esso esiste certa me nte n el senso in cui io stesso lo produco .Cartesio non aveva alc una giustif icazione per dare un altrosenso alla sua frase. Egli poteva solo intendere che entro i lcontenu to del mondo io mi afferro nel mio pens are come n ellam ia pi originaria at t ivi t. stato molto discusso che cosadovesse significare la conclusione:.;. dun que sono. Pu av ereper un senso solo ad un'unica condizione. La pi semplice

    affermazione che io posso fare di una cosa che essa , cheesiste. Come poi tale esistenza sia da determinare pi esattamente, non si pu mai dire subito per nessuna delle cose cheentrano nell 'orizzonte delle mie esperienze. Ogni oggetto dovr prim a venir esa min ato nella sua relazione con gli al tr i , perpoter dete rmi nare in che senso si pu parlare d ella sua esisten-

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    za. Un processo sperimentato pu essere una somma di percezioni, ma anche un sogno, un'al lucinazione o al tro ancora. Inbreve , io non posso dire in che senso esso esista. No n potr ma idedurlo dal processo stesso, ma lo sperim ente r co nsiderandolo in relazione con altre cose. Ma an che allora no n potr an da reoltre la relazione in cui esso si t rova rispetto ad a l tre cose. La

    mia ricerca a rriv a su un ter reno solido solo se trovo un oggettoper i l quale io possa r icava re i l senso della sua e sistenza dall 'oggetto medesimo. Tale sono io stesso in quanto pensatore,perch io do alla mia esistenz a i l conte nuto preciso e poggia ntein s dell 'at t ivi t p ens ante . Ora posso part ire da qui e chiedere:Esistono le altre cose nello stesso senso o in un altro?

    Prendendo i l pensare a oggetto dell 'osservazione, al r imanen te contenuto osservato del mondo si aggi ung e qualcosa chealtr im enti sfugge all 'at tenz ione; non si cam bia per il modo incui l 'uomo si contiene di fronte al le al tre cose. Si aumenta i lnum ero degli oggett i di osservazione, ma non i l metodo dell 'osserva re. Ment re osserviamo le al tre cose, al divenire del mon

    do , al quale ora aggiungo anche l 'osservare, si mescola unprocesso che viene trascu rato. Esiste q ualcosa, diverso da ognialtro divenire , di cui non si t ien e conto. Qua ndo per consideroi l mio pensare , non es is te p i ta le e lemento t rasc ura to , perchquel che ora r imane sullo sfondo di nuovo solo i l pensarestesso. L'oggetto osservato quali tat ivamente uguale al l 'at t ivi t che ad esso si indirizza. Questa di nuovo un'al tra propr ie t cara t te r i s t ica de l pensare . Quan do lo rendiam o ogget todell 'osservazione non ci vediamo obbligati a farlo con l 'aiuto diqualcosa d i qual i ta t iva men te d iverso , ma poss iamo r im ane renello stesso elemento.

    Quando inser i sco ne l la t ram a del mio pensare un ogget to

    esistente senz a la mia partecipa zione, io vado al di l della m iaosservazione, e ci si pu chiedere che cosa mi autorizzi a farlo.Perch non faccio semplicemente agire l 'oggetto su di me? inche modo possibile che i l mio pensare abbia un nesso conl'oggetto? Sono tutte domande che deve porsi chiunque riflettasui propri processi di pensiero. Esse cadono quan do si r if let te

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    sul pensare stesso. Non aggiungiamo nulla di estraneo al pensare, e non dobbiamo quindi neppure giustificare una simileaggiunta.

    Schelling dice: Conoscere la natura significa creare lanatura . Chi prende alla le ttera queste parole dell'ardito filosofo della nat ur a dovr certo rinu ncia re per tut ta la vita a ogni

    conoscenza della natura, poich essa gi esiste e per crearlauna seconda volta si devono conoscere i princpi secondo cui sorta. Per la natura che ora si volesse creare si dovrebberoguardare le condizioni attuali della sua esistenza. Questoesame , che dovrebbe precedere il rifacimento, sa rebbe per laconoscenza della na tur a, pe rsino nel caso in cui, dopo eseguitol'esame, si rinunziasse del tutto al rifacimento. Si potrebbecreare solo una n atu ra non ancora esis tente, senza prima conoscerla.

    Quel che impossibile con la natura, il creare prima delconoscere, viene fatto da noi col pensar e. Se volessimo attend ere col pensa re fino a quando lo abbiamo conosciuto, non arrive

    remmo mai a pensare. Dobbiamo risolutamente pensare perarr iva re poi alla sua conoscenza per mezzo dell'osservazione dici che noi stessi abbiamo fatto. Creiamo prima noi stessi unoggetto per l'osservazione del pensare. Per l'esistenza di tuttigli altri oggetti stato provveduto senza la nostra partecipazione.

    Alla mia frase: Noi dobbiamo pensare, prima di poterosservare il pensare stesso, qualcuno potrebbe con ugualegiustificazionecontrapporneun'altra: Anche per il digerirenon possiamo attendere di aver osservato il processo del digerire. Sarebbe u n'obiezione simile a quella che faceva Pas cal aCartesio, affermando che si potrebbe anche dire:Io vado a

    spasso, dunque sono. Certamente devo anche digerire beneprima di studiarei processi fisiologici della digestione; sarebbeper possibile fare questo parag one con l'osservazione del pensare, se io non studiassi poi la digestione col pensiero, ma lavolessi mangiar ee digeri re. Non poi senza ragione il fatto cheil digerire non pu diventare oggetto del digerire, mentre il36

    pensare pu essere oggetto del pensare. dunqu e indubbio che nel pensare teniam o il divenire del

    mondo per un lembo in cui dobbiamo essere presenti, se qualcosa deve prodursi. E questo proprio quel che importa. Laragione per cui le cose mi stanno di fronte in modo tantoenigmatico appunto che io non prendo parte alcuna al loroprodurs i. Me le trovo semplicem ente dav anti ; per il pensare ioso invece come viene prodotto. Di conseguenza non vi altropunto originario di partenza, diverso dal pensare, perlo studiodi tutto il divenire del mondo.

    Voglio ora rilevare ancora un diffusissimo errore riguardan te il pensare. Esso consiste nel dire: Il pensare in se stessonon ci dato in n essu n luogo. Il pensare che collega le osservazioni delle nostre esperienze e che le tesse in una rete diconcetti non affatto uguale a quello che pi tardi estraiamodagli oggetti dell'osservazionee facciamo oggetto del nostrostudio. Quel che in un primo tempo intessiamo inconsciamente nelle cose del tutto diverso da ci che poi di nuovoliberiamo con la coscienza.Chi cos conclude non capisce che in q uesto modo non gli proprio possibile sfuggire al pe nsare . Non posso affatto usciredal pensare, se voglio osservare il pensare. Distinguendo unpensare pre-cosciente da un pensare in seguito cosciente, nonsi deve dimenticare che tale distinzione del tutto esteriore,chenullaha a che fare con la cosa stess a. Non rendoassolutamen te una cosa diversa p er il fatto di consid erarla col pensiero.Posso pens are che un essere con organi sens ori del tutto divers ie con un'intelligenza funzionante diversam ente, abbia di uncavallo una rappresentazione del tutto diversa dalla mia, m anon posso immagina rmi che il mio pensare diventi diverso per

    il fatto che io l'osservo. Osservoquelche io stesso produco.ranon si parla di come il mio pensare appaia a un'intelligenzadiversa dalla mia, ma di come esso appare a me. In ogni casol'imm agine del mio pensare non pu essere perpi vera inun'altra intelligenza diversa dalla mia. Solo senon fossi iostesso l'essere pensa nte, e il pensar emi si presentasse come

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    attivit di un essere a me estraneo, potrei dire che la miaimmagine del pensare si presenta s in un modo determinato;non potrei per sapere come sia in se stesso il pensare diquell'essere.

    Per il momento non vi per me alcun motivo di considerareil mio pensare in un'altra prospettiva.Io considero tutto il

    resto del mondo con l'aiuto del pensare. Perch dovrei fareeccezione per il mio pensare?Conciriten go giustificato a sufficienza se parto dal pensa

    re nel mio studio sul mondo. Quando Archimede ebbe inventato la leva crede tte col suo aiuto di poter so llevare l'intero cosmodai suoi cardini, solo se avesse trovato un pu nto sul quale poterappoggiare il suo strum ento . Aveva bisogno di qualcosa che sireggesse su se stesso e non su qualcos'altro. Nel pensare abbiamo un principio che esiste per se stesso. Si cerchi dunque daqui di comprendere il mondo. Possiamo afferrare il pensareattraverso il pensare stesso. Il problema ora se attraverso diesso possiamo afferrare anche qualcosa d'altro.

    Finora ho parlato del pensare senza tener conto del suoportatore, la coscienza umana. La maggior parte dei filosoficontemporanei mi obietter: Prima che vi sia un pensare,deve esservi una coscienza. Di conseguenza si parta dalla coscienzaenon dal pensare . Non vipens are senza coscienza. Aci devo ribatt ere: Se voglio chiarire quale rapp orto vi sia frapensare e coscienza, devo riflettere sul problema. Metto cosprim a il pensa re. Certo si pu rispo ndere: Se il filosofo vuolecomprendere la coscienza, egli si serve del pensare; in questosenso lo premette; nel corso ordinario della vita il pensaresorge per entro la coscienza, e quindi la presuppone. Sequesta risposta venisse d ata al creatore del mondo, che intende

    creare il pensare, senza dubbio essa sarebbe giustificata. Natural men te non si pu far nascere il pensare senza prim a avercreato lacoscienza.Per il filosofo non si tr at ta per di creare ilmondo, ma di comprenderlo. Quindi egli deve cercare non ipunti di partenza per la creazione, ma per la comprensione delmondo. Mi sembra stranissimo rimproverare al filosofo di38

    preoccuparsi anzitutto della giustezza dei suoi princpi, e nonanche sub ito degli oggetti che egli vuole comp rendere. Il creatore del mondo doveva anzit utto sap ere come trov are un portatore per il pensare, m a il filosofo deve cercare un a base sicuraper poter compre ndere ci che esiste. Che cosa ci serve par tir edalla coscienza e sottoporla all'analisi pensante,se,prima nul

    la sappiamo della possibilit di ottenere una spiegazione sullecose mediante l'analisi pensante?Dobbiamo prima studiare il pensare in modo del tutto neu

    trale, senza relazione con un soggetto pensante o un oggettopensato , perch nel soggetto e nell'oggetto abbia mo gi concetti che sono formati media nte il pensare. Non si pu negare cheprim a di poter compren dere ogni altra cosa si deve comprendere il pensare. Chi lo nega non si accorge che, in quanto uomo,egli non il primo elem ento della creazione, m a l'ultim o. Al finedella spiegazione del mondo mediante concetti, non si puquindi partire dagli elementi cronologicamente primi dell'esistenza, ma da ci che ci dato di pi vicino e intimo. Non

    possiamo trasportarci con un salto all'inizio del mondo percominciare l il nostro studio, ma dobbiamo partire dal momento attu ale e vedere se possiamo risalire dall'elemento pirecente al pi antico. Fino a che la geologia ha parlato diimmaginarie rivoluzioni per spiegare lo stato attuale dellaTerra, essa ha brancolato nel buio. Solo quando ha cominciato aindagare quali processi ancora oggi si svolgano sulla Terra, eda questi ha fatto deduzioni su quelli passati, essa ha conquistato un te rren o sicuro. Anche la filosofia rest er sospesa nell'aria fino a quando adotter tutti ipossibiliprincpi, comeatomo, moto, materia, volont, inconscio. Solo quando ilfilosofo riguarder l'assolutamertte ultimo come suo primo,

    potr arrivare alla m ta. L'assolutamente ultim o cui ha portato l'evoluzione del mondo per il pensare.C' gente che dice: Non possiamo per stabilire con sicu

    rezza se il nostro pens are sia in s giusto o no. Quind i il nostropuntodipartenza rima ne in ogni caso dubbio. L'osservazione altrettanto ragionevole quanto sollevare il dubbio se un

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    albero sia in s giustoo no .Il pensar e un fatto; e non ha sensoparlare della giustezzao della falsit di un fatto . Al massimo ioposso avere dubbi se il pensare venga g iustam ente impiegato,come posso dubitare se un determinato albero dia il legnameadatto per l'oggetto da costruire. Sar appunto compito diquesto libro mostrare quanto sia giusta o falsa l'applicazionedel pensare al mondo.Io posso comprendere che qualcunosollevi dubbi se sipssarisolvere qualcosa riguardo al mondo;mi per incomprensibile come qualcuno possa dubita re dellagiustezza del pensare in s.

    Aggiunta alla nuova edizione del 1918 - Nelle precedenticonsiderazioni viene indicata la significativa differenza tra ilpensare e tutt e le altre attiv it dell'anima, come un fatto cherisult a a un'osservazione davvero imparziale. Chi non tende auna simile osservazione imparziale sar tentato di opporre aquesti ragionamenti delle obiezioni come le seguenti: Se iopenso su di una ro sa, esprimo ancora solo un rapporto fra il mio

    'io'e la rosa, cos come sento la bellezza della ros a. Nel pe nsar evi cio un rapporto fra 'io' e oggetto, come per esempionelsent ire o nel percepire. Chi fa ques ta obiezione non considerache solo nell'attivit del pensare l'io, fino in tutte le ramificazioni dell'at tivit , si riconosce come un essere con l'elementoattivo. Non cos proprio in alcun'altra attivit dell'anima. Seper esempio si sente piacere, una sottile osservazione pubenissimo distinguere fino a che puntol'io si sappia tutt'un ocon l'elemento a ttivo , e fino a che punto vi sia in lui u n elemento passivo, in modo tale che il piacere sorga spontaneamenteper l'io. Cos anche per le altre attivit dell'anima. Nonbisognerebbeper confondere l'avere immagini di pensieri

    con l'elaborare pensieri m ediante il pensare. Immagini di pensieri possono sorgere nell'anima come sogni, come vaghi suggerimenti. Q uesto non pensare. Per altro qualcuno potrebbeora dire: se il pensare inteso cos, in esso vi nascosto ilvolere, e si ha allor a a che fare non solo col pens are, ma anchecol volere del pensare. Questa osservazione sarebbe per giu-40

    stificata solta nto se si inten de che il vero pensa re deve semp reessere voluto. Il che non ha nul la a che fare con la definizionedel pensare, quale intesa in questa esposizione. Se anchel'essenza del pensare ren de necessario che esso sia voluto, quelche importa che nulla sia voluto che, compiendosi, non appaia assolutam ente dava nti all'io come propria att ivit, daesso controllabile. Si deve anzi dire che, per l'essenza del pensare qui caratterizzato, esso appare all'osservatore interam ente voluto. Chi si d pena di compenetrare tutto ci che vaconsiderato per giudicare il pensare, non potr fare a meno dinotare che questa attivit d ell'anima ha la propriet di cui quisi parlato.

    Da una persona, che l'autore di questo libro stima moltocome pensa tore, gli stato o biettato che non si potrebbe parlare del pens are come qui avviene, perch sarebbe solo apparenza il pensare attivo che si crededi osservare. In realt siosserverebbero solo i risulta ti di un'at tiv it non cosciente che a base del pens are. Solo perch appu nto non verreb be osservata tale attivit non cosciente, sorgerebbe l'illusione che il pensare osservato sussista per se stesso, cos come si crede divedere un movimento nel rapido susseguirsi di luci date dascintille elettriche. Anche questa obiezione poggia soltanto suun'osservazione imprecisa dello stato di fatto. Chi la fa nontiene conto che l'io stesso che osserva la sua at tivit, standonel pensare. L'io dovrebbe trovarsi fuori del pensare, perpoter venir ingannato come nel rapido susseguirsi di luci dateda scintille elettriche. Si potrebbe piuttosto dire: chi fa unsimile paragone s'inganna moltissimo, pi o meno come chi,vedendo una luce in movimento, volesse dire senz'altro cheessa viene riaccesa di nuovo da ma no ignota i n ogni punto doveappare. No, chi nel pensarevuolvedere qualcosa di diverso daci che prodotto dall'io stesso come attivit osservabile,deve prima rendersi cieco per il semplice stato di fatto che sipresenta all'osservazione, per poter quindi mettere un'attiv itipotetica a base del pen sare . Chi non si rende cieco a quel mododeve riconoscere che tutto q uanto egli cos aggiunge al pen-

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    :%&.

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    sare porta lontano dall 'essere del pen sare stesso. L'osservazione imparziale mostra che all 'essere del pensare nulla si puattr ibuire che non si trovi nel pensare stesso. Non si puarriv are a qualcosa che produca i l pensar e, uscendo dalla sferadel pensare.

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    IVIL MONDO COME PERCEZIONE

    Attraverso il pensare sorgono concetti e idee. Che cosa siaun concetto non pu venir detto con parole. Le parole possonosolo far notare all 'uomo che egli ha dei concetti. Quando qualcuno vede un albero, il suo pens are reagisce alla s ua osservazione, al l 'oggetto si aggiunge una controparte ideale, ed egliconsidera l 'oggetto e la controparte ideale come ap parte nenti sireciprocamente. Quando l 'oggetto scompare dal suo campod'osservazione, ne rima ne solo la controparte id eale. Qu est 'ult ima i l concetto dell 'oggetto. Qua nto pi si al larga la nostraesperienza, tanto maggiore diventa la somma dei nostri concetti. I concetti non rimangono per isolati. Si riuniscono in untutto ordinato. Per esempio il concetto organismo si uniscecon altri quali: sviluppo ordinato, crescita. Altri concettiformati da cose singole si fondono compl etame nte in uno . Tu ttii concetti che mi formo del leone si fondono nel concetto gen erale di leone. In tal modo i singoli concetti si collegano in unsistema concettuale chiuso in cui ognuno di essi ha il suo postoparticolare. Quali tat ivamente le idee non sono diverse daiconcetti. Sono concetti, ma solo pi ricchi di contenuto, pisatu ri , pi vasti . Devo attr i buir e particolare valore a che qui sibadi che come punto di part enza io ho indicato i l pens are e no nconcett i e idee che possono venir con quistati so ltanto me diant eil pensa re. Essi presuppongono i l pens are. Non si potr quindisemplicemente trasporre sui concett i quel che ho detto a proposito della natura del pensare poggiante su se stesso e danulla determinato. (Faccio espressamente questa osservazione,perch qui vi la differenza fra Hegel e me. Egli pone ilconcetto come elemento primo e originario).

    I l concetto non pu venir r icav ato dall 'osservazione. Q uestorisul ta gi dalla circostanza che il bamb ino forma l enta me ntee gradatamente i concett i degli oggett i che lo circondano. Iconcett i vengono aggiunti al l 'osservazione.

    Un fi losofo contemporaneo molto let to, Herbert Spencer,43

    SffiS

    M

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    =; / ^ /descrive cos il processo spirituale che noi compiamo di fronteall 'osservazione: Se in un giorno di settembre, camminandoattra vers o i campi, udiam o un fruscio a pochi passi davanti anoi e vediamo l 'erba muoversi nella parte del fossato da cuisembrava che provenisse il fruscio, probabilmente noi ci dirigiamo verso quel punto per vedere che cosa produceva il fruscioe il movimento. Al nostro avvicinarsi una pernice svolazza nel

    fossato, e cos la nostra cu riosit appaga ta: abbiam o quellache chiamiam o una spiegazione dei fenomeni. Si notiche ta lespiegazione deriva da queste considerazioni: poich in vitanostra abbiamo spessissimo sperimentato che un'alterazionedello stato di riposo di piccoli corpi accompa gna il moto di al tricorpi che sono tra loro, e poich di conseg uenza abbi am o generalizzato i rapporti fra tal i al terazioni e tal i moti , r i teniamospiegata quella particolare alterazione appena troviamo cheessa rappresenta un esempio appunto di quei rapporti. Guardato con maggior precisione, il fenomeno si prese nta diversamente da come qui descritto. Quando odo il fruscio io cercoanz itut to il concetto per l 'osservazio ne fatta . Solo quel conc etto

    mi orienta in merito al fruscio. Chi non rifletta oltre, odeapp unt o il fruscio e ne soddisfatto. G razie al mio riflett ere mi per chiaro che devo considerare il fruscio come effetto.Du nqu e solo collegando il concetto di effetto con la percezionedel fruscio, io vengo spinto a oltrepassare la singola osservazione e a cerca re la causa . Il concetto di effetto susci ta quello dicausa, e io cerco alloral'oggetto-causa che trovo nella figuradella pernice. Non potr per mai arr ivare ai concetti di causaed effetto attr aver so la semplice osservazione, anche estesa anumerosissimi casi . L'osservazione suscita i l pensare, e soltanto questo mi indica la via per collegare la singola esperienza con un'altra.

    Quan do si r ichiede da una scienza rigorosa mente oggett iva che essa derivi il suo contenuto solo dall 'osservazione, sideve in pari tempo richiedere che rinunzi a ogni pensare,poich questo per sua natura va oltre l 'osservazione.

    Ora i l momento di procedere dal pensare all 'essere pen-44

    sante, perch attraverso di lui i l pensare viene collegato conl 'osservazione. La coscienza uma na la sede dove s ' incontranoconcetto e osservazione e dove essi vengono collegati fra loro.In tal modo la coscienza um ana in pari tempo caratte rizzata: l ' intermediari a fra pensare e osservazione. In quanto l 'uomoosserva un oggetto, questo gli appare come dato; in quantopensa, egli appare attivo a se stesso. Considera la cosa comeoggetto e se stesso come soggetto pensante. Poich indirizza ilsuo pensare all 'osservazione, ha coscienza degli oggetti; poichindirizza il suo pens are su se stesso, ha coscienza di s o autocoscienza. La coscienza umana deve di necessit essere ancheautocoscienza, perch coscienza pensante. Se infatti il pensare indirizza lo sguardo sulla propria att iv it, ha per oggetto lapropria essenza o riginaria, vale a dire se stesso come soggetto.

    Non si deve per dim ent icar e che solo con l 'aiut o del pens are noi possiamo designarci come soggett i e contrapporci aglioggett i . Di conseguenza i l pensare non pu mai v enir considerato un'att ivit puramente soggett iva. I l pensare al di l disoggetto e oggetto. Esso forma anche questi due concetti cometutt i gli al tr i . Quando, come soggett i pensanti , colleghiamo ilconcetto con un oggetto non dobbiamo considera re quel n essocome qualcosa soltanto soggettivo. Non il soggetto che stabilisce il nesso, ma il pensare. Il soggetto non pensa perch soggetto, ma appare a se stesso come un soggetto, perch capace di pensare. L'att ivit che l 'uomo esercita in quantoessere pensante non quindi puramente soggett iva, ma non n sogge ttiva n ogg ettiva; al di l di questi due con cetti. No nposso mai dire che il mio soggetto individuale pensa; esso vivepiuttosto grazie al pensa re. I l pensare cos un eleme nto chemi porta oltre me stesso e mi collega con gli oggetti. In paritempo mi divide per da essi , in quan to mi con trappone ad essicome soggetto.

    Su questo riposa la doppia natura dell 'uomo: egli pensa eabbraccia cos se stesso e il resto del mondo; ma per mezzo delpensare egli deve nello stesso tempo determinarsi come unindividuo contrapposto alle cose.

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    Il prossimo passo chiederci: come penetra nella coscienzal'altro elemento che finora abbiamo solo indicato come oggettodi osservazione e che si incontra col pensare nella coscienzastessa?

    Per rispondere a questa domanda dobbiamo togliere dalnostr o campo di osserva zione tu tto ci che gi vi stato po rtatodal pensare, perch il contenuto della nostra coscienza di

    volta in volta sempre pervaso di concetti nei modi pi diversi.Dobbiamo pensare a un essere con intell igenza umanapiena men te svilu ppata che sorga dal nulla e si ponga di fronteal mondo. Ci di cui egli si accorgerebbe, prima di mettere inatt iv it i l suo pensare, i l puro contenuto dell 'osservazione. Ilmondo gli mostrerebbe allora solo il semplice aggregato sconnesso di oggetti di sensazio ne: colori, suoni, sensa zioni di pressione, di calore, di gusto, di olfatto; e poi sen tim ent i di piacere edi dispiacere. Tale aggregato i l contenuto della pura osservazione, priva di pensi ero. Di fronte vi il pens are che pronto asviluppare la sua att iv it, se trova un punt o adatto di at tacco.L'esperienza insegna presto che esso lo trova. Il pensare ingrado di tirare dei fili da un elemento di osservazione a unal t ro .Esso collega con questi elem enti dete rmin ati concett i e limette cos in relazione fra loro. Qui sopra abbiamo appenavisto come un fruscio venga collegato con un'altra osservazione per il fatto che indichiamo il primo come effetto della seconda.

    Se ora ricordiamo che l 'at t ivit del pensa re non ha assolutame nte cara t tere soggett ivo , non saremo nemmeno te nta t i d icredere che abbiano solo un valore soggettiv o i rapp orti stabil it i mediante i l pensare.

    Si trat ter ora, per mezzo della r if lessione pensante, dicercare i l rapporto e sistente fra i l contenuto dell 'osservazione

    prima indicato, datoci per via diretta, e i l nostro soggettocosciente.Data l ' incertezza del l inguaggio corrente, mi sembra ne

    cessario intenderm i col let tore in merito all 'uso di una parolache in seguito dovr impiegare .Chiamerpercezioni gli ogget-46

    ti dirett i della sensazione di cui prim a ho parlato, in quan to i lsoggetto cosciente ne prende conoscenza attra vers o l 'osservazione. Con questo nome non indico quindi il processo dell 'osservazione, ma l 'oggetto dell 'osservazione stessa.

    Non scelgo l 'espressione sensazione perch in fisiologiaessa ha un significato determinato che pi ristretto del mioconcetto di percezione. Posso ben indicare come percezione unsentimento in me, ma non come sensazione, nel senso dellafisiologia. Anc he del mio sentim ento io prend o conoscenza peril fatto che per me esso diventa percezione. E il modo in cuiprendiamo conoscenza del nostro pensare mediante l 'osservazione tale che possiamo ch iam are percezione anche i l pensare , nel suo primo rivelarsi al la nstra coscienza.

    L'uomo sem plice conside ra le sue percezioni nel senso in cuigli appaiono immediatamente, come cose che hanno un'esistenza del tutto indipendente da lui . Quando vede un albero,egli pensa subito che esso sia nella forma in cui lo vede, con icolori che ha nn o le sue part i, e nel posto dove si indirizz a il suosguardo. Qu ando poi lo stesso uomo vede al mattin o app arire i lSole all 'orizzonte come un disco, e segue il corso di quel disco,egli dell 'opinione che tutto ci esista e si svolga nel modo incui egli lo osserva. Egli rimane fermo in tale opinione fino aquando in contra altre percezioni che contraddicono le prime . Ilbambino che ancora non ha esperienze di distanze cerca diafferrare la Luna, e corregge ci che alla prima apparenzaaveva ri tenuto reale, solo quando una seconda percezione sitrova in contrasto con la prima. Ogni ampliamento della cerchia delle mie percezioni mi costringe a correggere la miaimmagine del mondo. Questo avviene nella vita quotidiana eanche nell 'evoluzione spiri tuale dell 'umanit. L' immagineche gli antichi si facevano del rapporto della Terra col Sole econ gli al tr i corpi celesti dovette venir sosti tuita con un'altrada Copernico, perch non era pi in armo nia con percezioni cheprim a eran o sconosciute. Dopo che i l dottor Franz ebbe operatoun cieco nato, questi disse che prima della sua operazione,attrav erso le percezioni del suo tatto , si era fatta u na tut t 'al tra

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    imm agine della grandezza degli oggetti. Egli dovette rettificare le sue percezioni tattili mediante le sue percezioni visive.

    Da che cosa deriva che noi siamo obbligati a tali continuerettifiche delle nostre osservazioni?

    Una semplice riflessione d la risposta a questa domanda.Quando mi trovo a un'es trem it di un viale alberato, gli alberiall'altra estremit, lontana da me, mi appaionopi piccoli epi vicini fra loro che non quelli dove io mi trovo. La miaimm agine perc ettiva si modifica se io cambio il posto dal qualefaccio le mie osservazioni. L'aspetto in cui essa m i si pre sentadipende quindi da u na condizione che non legata all'oggetto,ma a m e che percepisco. Per u n viale del tut to indifferente ilposto in cui mi trovo. Ma l'immagine che io ne ricevo nedipende sostanzialmente. altrettanto indifferente per il Solee per il sistema planetario che gli uomini li guardino propriodalla Terra. Ma l'immagine percettiva che si presenta agliuomini condizionata dal la loro sede. La dipendenza d ell'immagine percettiva dal nostro luogo di osservazione la pifacile da riconoscere. Pi difficile diventa ilproblemaquandoimpar iamo a conoscere la dipendenza del nostro mondo percettivo dalla nostr a organizzazione corporeae spiri tuale. La fisicaci mostra che nello spazio in cui udiamo un suono avvengonodelle vibrazioni dell'aria, e che anche il corpo nel quale cerchiamo l'origine del suono presenta un movimento vibratoriodelle sue parti. Noi percepiamo quel movimento come suonosolo se abbiamo un orecchio normalmente organizzato. Senzadi esso tutto il mondo rimarrebbe per noi sempre muto. Lafisiologia ci insegna che vi sono persone che nulla percepisconodella splendida magnificenza di colori che ci circonda. La loroimmagine percettiva mostra solo gradazioni di chiaro e scuro.Altr i non percepiscono solo un determ inato colore, per esempioil rosso. Alla loro immagine del mondo manca quel colore, equindi essa in effetti diversa da quella degli altri. Vorreichiamare m atematica la dipendenza della mia imm agine percettiva dal mio posto di osservazione,e qualitativa quella dallamia organizzazione. Mediante la prima vengono determinati i48

    rappor ti di grandezza e le reciproche distanze delle mie percezioni, mediante la seconda le qualit delle stesse. Che io vedarossa una superficie rossa una determinazione qualitativache dipende dall'organizzazione del mio occhio.

    Di primo acchito le mie immagini percettive sono dunquesoggettive. La conoscenza del caratte re soggettivo delle nos trepercezioni pu facilmente far dubitare se in genere vi siaqualcosa di oggettivo alla lorobase.Quando sappiamo che unapercezione, per esempio quella del rosso o di un certo suono,non possibile senza una determinata conformazione del nostro organismo, si pu arrivare a credere che la stessa percezione, prescindendo dal nostro organismo soggettivo, non abbia alcuna consistenza, e che senzal'atto del percepire, di cuiessa l'oggetto, non abbia alcuna specie di esistenza. Questaopinione ha trovato un classico sostenitore in George Berkeley; egli ritenev a che l'uomo, dal momen to in cui fosse diventato cosciente dell'imp ortanza del soggetto per la percezione, nonpotesse pi credere all'esistenza del mondo senza lo spiritocosciente. Egli dice: Alcune verit sono tanto vicine ed evidenti che basta aprire gli occhi per vederle. Considero talel'affermazione che tutto il coro dei cieli e tutto ci che appa rtiene alla Terra, in una parola tutti i corpi che compongono ilgrandioso edificio del mondo, non han no alcu na esis tenza al difuori dello spirito; che il loro esister e consiste nel v enir percepiti o conosciuti, e che di conseguenza, fino a che non vengonorealmente percepiti da meo non esistono nella mia coscienza oin quella di un altro spirito creato, essi non esistono affattooppure esistono nella coscienza di uno spirito etern o. Secondoquesta opinione non rimane pi nulla della percezione, se siprescinde dal suo ven ir percep ita. Non esis te colore se non lo sivede, non esiste suono se non lo si ode. E come colori e suoni, aldi fuori dell'atto percettivo non esistono estensione, forma emoto. In nessun luogo vediamo soltanto estensioneoforma, male vediamo sempre legate col colore o con altre p ropriet ind iscutibilmente dipendenti dalla nostra soggettivit. Quandoqueste ultime scompaiono con la nostra percezione, lo stesso

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    deve avvenire anche per le prime che sono ad esse legate.All'obiezione che anche se figura, colore, suono e cos via

    hanno esistenza solo entro l 'at to percett ivo, debbano pur esservi cose che esistono sen za la coscienza e a cui siano simili leimmagini percett ive coscienti , l 'opinione prima esposta r isponde: Un colore pu essere solo simile a un colore, unafigura a una figura. Le nstre percezioni possono solo esseresimili al le nostre percezioni, e a ness un'a l tra cosa. Anc he quello che chiamiamo oggetto non al tro che un gruppo di percezioni che sono legate in un modo determin ato. Se da una tavolatolgo forma, e sten sion e, colore e cos via, in bre ve ci che solomia percezione, non rimane pi nulla. Seguita f ino in fondo,questa opinione porta al l 'affermazione: gli oggett i delle miepercezioni esistono soltanto at trav erso m e, cio solo in q uan toe fin tanto che io l i percepisco; essi scompaiono assieme alpercepire e non hanno alcun senso senza di esso. Al di fuoridelle mie percezioni io non so n posso sapere di alcun oggetto.

    Contro que sta affermazione n ulla si pu obiettare f inch ioconsidero solo in generale la circostanza che la percezione

    condizionata dall 'organizzazione del mio soggetto. Essenzialme nte d iversa si porrebbe p er la cosa se noi fossimo in gradodi indicare quale sia la funzione del nostro percepire nel formarsi di una percezione. Sapremmo allora che cosa avvienenel la percez ione dura nte i l percepi re , e pot remmo an che s tabil ire che cosa vi debba gi essere prima che essa venga percepi ta .

    La nostra osservazione viene trasferi ta dall 'oggetto dellapercezioneal soggetto che percepisce.Io non percepisco soloaltre cose, ma percepisco me stesso. La percezione di me stessoha anzitutto i l contenuto che, di fronte al le immagini percett ive che sempre vann o e vengono, io sempre r imang o. La perce

    zione dell ' io pu semp re sorgere nella m ia coscienza, me ntre hoaltre percezioni. Se sono immer so nella percezione di un o ggetto determ ina to, provviso riam ente h o solo coscienza di esso. Sipu poiaggiungerela percezione del mio s. Sono allora cosciente non solo dell 'oggetto, ma anc he della mia pe rsona che 50

    di fronte al l 'oggetto e lo osserva. Non vedo solta nto un albero ,ma so an che che son o io che lo vedo. So pur e che in me avvienequalcosa mentre osservo l 'albero. Quando l 'albero scomparedal mio campo visivo, per la mia coscienza riman e un a trac ciadi quel processo: un' immagine dell 'albero. Durante la miaosservazione quell ' immagine si legata col mios . Esso si arricchito; i l suo contenuto ha accolto un nuovo elemento.Iochiamo quel l ' e lemento la miarappresentazione dell 'albero.Non sarei ma i in grado di pa rlar e di rapp resen tazion i, se non lesperimentassi nella percezione del mio s. Le percezioni verrebbero e and rebbe ro; io le lascerei passa re. Solo per i l fat to cheio percepisc o il mio s e noto che con ogni percezione si m odificaanch e i l suo contenuto, mi vedo costret to a mette re in relazion el 'osservazione dell 'oggetto col mio cambiamento di stato e apar lare de l la mia rappresentaz ione .

    Io percepisco la rappresentazione del mio s, cos comepercepisco colori , suoni di al t r i ogge tt i . Ora posso anch e d ist inguere: io chiamo mondo esterno gli altri oggetti che mi sipongono di fronte, mentre indico come mondo interiore i lcontenu to della percezione del mio s. I l non aver r i levato i rapp orti fra rappresentazione e oggetto ha portato ai maggiori equivoci nella f i losofia m odern a. Venn e messa in evidenz a la percezione di un mutamento, la modificazione sperimentata dalmio s, e si perse del tutto di vista l 'oggetto che provoca lamodificazione. Si detto: noi non percepiamo gli oggetti, masolo le nostre rappresentazioni. Non devo sapere nulla dellatavola in s che oggetto della mia osservazione, ma solo delmutamento che avviene in me mentre percepisco la tavola .Questa concezione non va confusa con quella prima citata diBerkeley. Questi afferma la natura soggett iva del mio contenuto p ercett ivo, m a n on dice che io possa conoscere solo le m ie

    rappre sentaz ioni. Egli l imita i l mio conoscere al le mie rap presentazio ni, perch dell 'opinione che non vi siano oggett i al difuori delle rappresentazioni. Nel senso di Berkeley, la tavolache io vedo non esiste pi appena io non dirigo pi i l miosguard o su di essa. Di conseguenza Be rkeley fa sorgere le mie

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    percezioni immediatamente dalla potenza di Dio.Io vedo unatavola, perch Dio suscita in m e tale percezione. Berkeley nonconosce quind i al tr i esseri reali se non Dio e gli spiri t i u ma ni.Quel che noi chiam iamo mondo esiste solo entro gli spiri t i . PerBerke ley non esiste quello che l 'uomo semplice chiama mondoesterno, natura cor