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Scienza under 18 ROSE BIANCHE, ROSE ROSSE Un gran cespuglio di rose stava presso l'ingresso del giardino. Le rose sbocciate erano bianche, ma c'erano lì intorno tre giardinieri occupati a dipingerle di rosso. "E' strano..." pensò Alice, e si avvicinò per osservarli. Come fu loro accanto, sentì dire da uno:"Fai attenzione, Cinque! Non mi schizzare la tua tinta addosso!" Capitolo 8 Indice 1. FIORI BICOLORI: LA CAPILLARITA’ ESERCITAZIONE 1 ESERCITAZIONE 2 ESERCITAZIONE 3 I tubi capillari delle piante La risalita dell’acqua nelle piante Il picchio bevitore 2. IL COLORE DEI FIORI Il cambiamento di colore: una questione di chimica ESERCITAZIONE 4 3. CAMBIA IL TERRENO, CAMBIA IL COLORE 4. FIORI DIVERSI SULLO STESSO FUSTO: L’INNESTO Innesto ad occhio Innesto a marza Innesto per approssimazione 5. CARROLL SCHERZA CON I FIORI 6. PROPOSTE DI LAVORO a cura di Daniela Folcio

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ROSE BIANCHE, ROSE ROSSE

Un gran cespuglio di rose stava presso l'ingresso del giardino. Le rose sbocciate erano bianche, ma c'erano lì intorno tre giardinieri occupati a dipingerle di rosso.

"E' strano..." pensò Alice, e si avvicinò per osservarli. Come fu loro accanto, sentì dire da uno:"Fai attenzione, Cinque!

Non mi schizzare la tua tinta addosso!" Capitolo 8

Indice 1. FIORI BICOLORI: LA CAPILLARITA’

ESERCITAZIONE 1 ESERCITAZIONE 2 ESERCITAZIONE 3 I tubi capillari delle piante La risalita dell’acqua nelle piante Il picchio bevitore

2. IL COLORE DEI FIORI

Il cambiamento di colore: una questione di chimica ESERCITAZIONE 4

3. CAMBIA IL TERRENO, CAMBIA IL COLORE 4. FIORI DIVERSI SULLO STESSO FUSTO: L’INNESTO

Innesto ad occhio Innesto a marza Innesto per approssimazione

5. CARROLL SCHERZA CON I FIORI 6. PROPOSTE DI LAVORO

a cura di Daniela Folcio

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1. FIORI BICOLORI: LA CAPILLARITA’ ESERCITAZIONE 1 Materiali • una vaschetta di vetro • una soluzione molto colorata (blu di meti-

lene o altro colorante in acqua) • due lastrine di vetro • un elastico • un pezzetto di carta. Fasi di lavoro • Metti un po' di carta piegata tra due vetri

vicino a un bordo e tenere uniti i due vetri con un elastico.

• Inserisci i due vetri in una vaschetta con-tenente un liquido colorato.

• Osserva come si comporta il liquido. In base al principio dei vasi comunicanti dovremmo aspettarci che l’acqua entri tra le due lastre di vetro portandosi allo stesso livello che ha l’acqua nella vaschetta Invece il liquido colorato è salito ma non nello stesso modo: dalla parte della carta è salito di un livello inferiore mentre dalla parte in cui le lastre di vetro sono più vicine è salito più in alto. Le due lastre di vetro si comportano come una serie di tubi di diverso diametro ac-costati tra loro. La capillarità è l'insieme di fenomeni dovuti alle inte-razioni fra le molecole di un liquido e un solido -come per esempio le pareti di un recipiente- proprio sulla loro superficie di separazione. Le forze in gioco che si manifestano in tale fenomeno sono la coesione tra le molecole del liquido, l'adesione tra le molecole del liquido e quelle del solido e la tensione superficiale tra le molecole alla superficie del liquido. Essa ad esempio si manifesta sulla superficie del liquido in contatto col solido che sem-bra risalire (nel caso dell'acqua), poiché le forze di adesione tra l'acqua ed il recipiente che la contiene sono maggiori delle forze di coesione tra le molecole d'acqua, o infossa-ta (nel caso del mercurio) rispetto al resto della superficie, perché in questo caso sono le forze di coesione a prevalere rispetto alle forze di adesione. Quando la superficie di un liquido è curva, nella parte concava si genera una pressione maggiore di quella esistente nella parte convessa. Per ristabilire l'equilibrio tra queste pressioni, il liquido dovrà salire o scendere di un certo livello. Il fenomeno è più eviden-te nei tubi capillari poiché in questi è maggiore la parte di liquido a contatto con le pa-reti del recipiente rispetto al volume totale e quindi la parte di liquido che genererà le forze di coesione sarà maggiore e perciò lo spostamento del livello del liquido all' inter-no del capillare sarà maggiore.

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Il nome deriva dal fatto che il fenomeno è particolar-mente evidente nei tubi sottili di sezione paragonabile a quella di un capello. Dalla capillarità dell'acqua deriva l'imbibizione, ossia il movimento capillare delle molecole d'acqua che gonfia-no la sostanza imbevuta. Dato un liquido in un contenitore, il punto centrale del-la superficie, che sia gonfio verso l'alto come per l'olio o il mercurio, o verso il basso come nel caso dell'acqua, si chiama menisco, e il suo livello è la misura che bisogna leggere sulla scala graduata per avere l’altezza del li-quido nel tubo. • Da: http://it.wikipedia.org/wiki/Capillarit%C3%A0 L'uomo ha sfruttato il fenomeno della capillarità nella carta assorbente, nello stoppino dei lumi a petrolio e dei fornellini ad alcool. La conoscenza del fenomeno ha portato l'uomo a risolvere alcuni problemi ad esso lega-ti. Le vecchie costruzioni con le pareti di mattoni che poggiano direttamente sul terre-no, possono essere molto umide a causa dei numerosi pori capillari esistenti nei mattoni; basta allora tagliare i muri tutto intorno alla costruzione e inserire un foglio isolante di catrame che impedirà la salita dell'acqua. Qui un video per vedere l’effetto della capillarità in una zolletta di zucchero • Da: http://www.youtube.com/watch?v=ESjT0YbhJnI ESERCITAZIONE 2 Materiali • acqua • blu di metilene o colorante alimentare • un becher • lametta o taglierino • lente o microscopio • un gambo di sedano. Fasi di lavoro 1. Prepara in un becher una soluzione ben colorata 2. immergi un gambo di sedano 3. aspetta alcune ore 4. taglia il gambo in sottili sezioni trasversali

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5. osserva le diverse sezioni. ESERCITAZIONE 3 Materiali • acqua • blu di metilene o altro colorante alimentare • due becher • lametta o taglierino • un fiore bianco Fasi di lavoro 1. Prepara in un becher una soluzione ben colorata (più intensa è la colorazione

dell’acqua, più intenso sarà il colore che osserverete) 2. versa nell’altro becher dell’acqua 3. taglia longitudinalmente lo stelo del fiore 4. immergi mezzo stelo in un becher e mezzo stelo nell’altro 5. lascia passare un giorno 6. osserva la colorazione del fiore. Nelle sezioni del gambo di sedano si notano dei puntini blu Il fiore dopo alcuni giorni assume una colorazione blu . I tubi capillari delle piante I tessuti conduttori sono costituiti da lunghe file di cellule che si sovrappongono e, in questa sovrapposizione dove l'una è a contatto con l'altra, una parte della parete cellu-lare si perfora o viene modificata e va a formare una sorta di tubo molto lungo. Sono i vasi, quella struttura, cioè, preposta al collegamento dell'apparato radicale con la parte aerea di una pianta.

Nelle piante di una certa età, anche se di notevoli dimensioni e diametro del fusto, i vasi si trovano pochi millimetri sotto la corteccia. In questo poco spazio, dunque, avviene la quasi tota-lità del trasporto della linfa fra chioma e radici. Sono tessuti complessi essendo costituiti da diversi tipi di cellu-le, raggruppati in fasci insieme alle fibre e si dividono in vasi xilematici o legnosi che formano lo xilema o legno e in vasi floematici o cribrosi che formano il floema o libro. I vasi xilematici hanno il compito di trasportare la linfa grezza (composta essenzialmente da acqua e sali minerali) dalle radici alle foglie e sono vasi costituiti da cellule morte (trachee e tra-

cheidi) con protoplasma assente, a parete ispessita e in parte lignificata. Si possono quindi paragonare a dei tubicini come fossero tante cannucce e, dato che in essi la linfa viene aspirata o ‘succhiata’ dall'alto tramite l'evaporazione che avviene nella parte ae-rea (il meccanismo, in pratica, della cannuccia e della bibita) possiamo dire che esiste una sorta di tensione interna alla pianta perchè ciò avvenga (incredibili piante! Non è cosa da poco vincere la forza di gravità, eppure…). Questa tensione interna potrebbe e-

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sporre i vasi al collassamento ma proprio la lignificazione di una parte della parete del vaso, impedisce che ciò accada. I vasi floematici, invece, trasportano la linfa elabo-rata (costituita da una soluzione acquosa in cui sono contenute sostanze organiche prodotte dalla fotosin-tesi (zuccheri, ormoni e aminoacidi), dalle foglie a tutto il resto della pianta e sono costituiti da cellule vive comunque modificate. In questi vasi il trasporto della linfa avviene grazie ad una sorta di pressione che ‘spinge’ verso il basso. Le pareti di questi vasi, sono ispessite ma mai lignificate. In aggiunta alle strutture preposte alla conduzione, nel legno e nel libro (xilema e floema) si trovano an-che fibre e cellule parenchimatiche. • Da: http://giardinaggio.efiori.com/forum/conoscere-le-piante/13398-tessuti-

vegetali-i-tessuti-conduttori.html La risalita dell’acqua nelle piante Nelle piante superiori si sono svilup-pati particolari tessuti di conduzio-ne: strutture attraverso le quali l'ac-qua raggiunge le foglie dove sono sin-tetizzate le sostanze organiche che vengono poi distribuite a tutte le par-ti della pianta. Negli alberi ad alto fusto, come ad esempio le sequoie, l'acqua deve percorrere distanze che possono raggiungere anche diverse decine di metri (50 m per le sequoie in Europa, oltre 100 m in quelle ame-ricane). Come si muove l'acqua all'in-terno delle piante? La logica ci suggerisce due possibilità; o viene spinta dal basso verso l'alto o tirata dall'alto. Nelle piante non sono presenti strutture che spingono l'acqua fino alle foglie dei rami più alti, ma processi chimico fisici diversi agiscono sinergicamente per la risalita dell'acqua ed è grazie alle caratteristiche polari delle molecole d'acqua che è possibile il trasporto delle sostanze dalle foglie alle radici e dalle radici alle foglie. Ecco i responsabili della risalita dell’acqua: • osmosi: l'acqua del terreno passa per osmosi all'interno dei peli radicali attraverso

la membrana costituita dalle cellule epidermiche. I peli radicali, assumendo dal

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terreno soluzioni di ioni inorganici e di piccole molecole di sali minerali, permetto-no l'instaurarsi di un gradiente concentrazione tra l'esterno (soluzioni poco concen-trate nel terreno) e l'interno della pianta (soluzioni molto concentrate nelle cellu-le). Si genera così la cosiddetta "pressione radicale" che può essere sufficiente a spingere l'acqua fino ad altezze maggiori di quanto permetta la capillarità, ma che non è certo in grado di farle raggiungere le sommità di grossi alberi o dei lunghi steli delle piante rampicanti. Infatti, la pressione richiesta in questi casi è note-volmente più elevata di quella sviluppata per osmosi, e nemmeno l'aspirazione può giustificare il fenomeno: anche se in qualche modo si potesse produrre il vuoto spinto all'interno dell'albero, una colonna d'acqua non potrebbe superare i 10 metri circa.

• capillarità: se si considerano i minuscoli diametri dei vasi xilematici in cui scorrono

acqua e sali minerali, è chiaro che la risalita capillare, unitamente alla pressione radicale, può svolgere un ruolo importante potenziando l'ascesa della linfa. In par-ticolare, le caratteristiche polari delle molecole di cellulosa, costituente principale delle pareti cellulari delle piante, rendono questa sostanza altamente idrofilica e in grado, quindi, di instaurare forze di adesione particolarmente intense con le mole-cole d'acqua. Tuttavia, anche prendendo in considerazione la capillarità e la pressione radicale non si riesce a spiegare la risalita delle molecole d'acqua fino a quote considerevo-li.

• pressione negativa: si può trovare un nuovo elemento di aiuto alla comprensione del fenomeno di risalita se si considera che più del 90 % dell'acqua assorbita da una pianta viene persa per traspirazione, eliminata attraverso le foglie. Ora, in questo processo che sembrerebbe uno spreco di energia e di acqua, vi è un diretto colle-gamento con la risalita della linfa grezza, in quanto, perdendo acqua per traspira-zione dalle foglie, si genera nei tubicini rigidi dello xilema la necessaria depressio-ne che appunto aspira linfa grezza verso l'alto. La depressione esercitata per eva-porazione ovviamente dipende dalla natura e dimensione della chioma, dall'intensi-tà del calore solare e della traspirazione. Eliminando gli attriti, si calcola che rimane una depressione di circa 15 atmosfere, tale da consentire la risalita della linfa grezza fino agli oltre 100 metri delle sequoie.

Dalle radici che forniscono costantemente nuova soluzione salina fino ai germogli apicali, la pianta è quindi percorsa da un flusso continuo di acqua che, attraverso la traspirazione, si disperde nell'ambiente. Questo feno-meno ha delle dimensioni sorprendenti ma che permettono di giustificare la risalita della linfa: un modesto albero di betulla traspira più di 300 litri d'acqua al giorno, molta più di quella che evaporerebbe dal suolo nudo; così anche una semplice pianta di grano, che pesa meno di 1/2 chilo al momento del raccolto, ha assunto, trasportato e liberato nell'atmosfera quasi 2 quintali di acqua durante la sua vita. L'acqua evapora continuamente dalla superficie delle foglie esposte all'aria attraverso particolari aperture: gli stomi. Questo fenomeno, chiamato traspirazione, viene regolato dalla maggiore o minore apertura degli stomi stessi: se sono aperti l'acqua lascia la foglia in forma di vapore; se sono chiusi, l'acqua rimane trattenuta al suo inter-no e si evitano perdite eccessive di liquido. A causa dell'elevatissima coesione interna,

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l'evaporazione delle molecole d'acqua dalla foglia realizza, con la traspirazione, una si-tuazione di squilibro e di "tensione" che si traduce in una forza diretta verso l'alto che aspira l'acqua nella parte alta del sistema vascolare, vincendo la forza di gravità. Così il flusso d'acqua, trascinato dalle molecole che stanno evaporando, scorre senza frammen-tarsi dalla base dell'albero alla chioma. L'acqua resiste a questa tensione come un elastico teso che si deforma ma non si rompe a causa della fitta rete di legami idrogeno che la mantiene coesa. Il mantenimento di una colonna continua di liquido è fondamentale per la sopravvivenza della pianta: un'in-terruzione dovuta, per esempio, alla presenza di bolle che ostruissero il passaggio, pro-vocherebbe la separazione in due spezzoni della colonna stessa con la parte inferiore che non potrebbe più essere richiamata verso la chioma. La struttura altamente inter-connessa dei vasi xilematici (garantisce la possibilità di trovare percorsi alternativi in ca-so di interruzione), il piccolo diametro dei tubicini che li compongono ed una sostanziale impermeabilità delle pareti dei tubicini che non lascia disperdere l'acqua nei tessuti ve-getali, impediscono perdite di acqua e di pressione lungo il percorso, costituendo le raf-finate difese che le piante hanno sviluppato evolutivamente per impedire la formazione di tali bolle ed i loro effetti. Dal punto di vista energetico, l'energia necessaria per la risalita della linfa è fornita dal sole, che scaldando le foglie porta l'acqua dallo stato di liquido a quello di vapore per-mettendo così la traspirazione. Pressione radicale, capillarità e traspirazione cooperano sinergicamente alla salita dell'acqua fino alle foglie: le prime due spingono dal basso, la traspirazione tira dall'alto. Il picchio bevitore L'efficacia della forza motrice prodotta dall'evaporazione dalle fo-glie, può essere compresa prendendo ad esempio un grazioso gio-cattolo scientifico: the drinking bird, che mostra visivamente la conversione di energia termica in energia meccanica. Il picchio bevitore è formato da due ampolle di vetro separate che costituiscono la testa (sfera piccola) e la parte inferiore del corpo (sfera grande) del picchio. La testa è collegate al corpo da un tu-betto di vetro che però termina nell'ampolla inferiore sotto il livel-lo di un liquido colorato ad elevata tensione di vapore (basso punto di ebollizione). Poiché nelle due sfere è fatto il vuoto, il liquido è in equilibrio con il suo vapore. Il becco del picchio, oltre ad assolvere una funzione decorativa, è costituito da materia-le assorbente che quando è bagnato con acqua si raffredda durante la sua successiva e-vaporazione. L'evaporazione fornisce la differenza di temperatura fra la testa e la coda necessaria per fare funzionare questo giocattolo che è in sostanza un motore termico che utilizza una differenza di temperatura per convertire energia termica in energia ci-netica e sviluppare un lavoro meccanico. Il ciclo termodinamico di questo giocattolo nel suo stato iniziale è il picchio con la testa bagnata animato da una piccola oscillazione rotatoria attorno al sostegno al quale è im-perniato. Dopo che un bicchiere d'acqua è stato posizionato in modo che il becco si bagni, si rila-scia il picchio che prende ad oscillare. Intanto, via via che l'acqua evapora dalla testa,

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questa si raffredda rispetto alla temperatura del corpo e il liquido colorato, attraverso il tubicino interno, risale spostando gradualmente il centro di gravità in modo da far incli-nare il picchio in avanti, finché il becco s'immerge nuovamente nel bicchiere pieno d'ac-qua (così, il capo bagnato si mantiene a temperatura inferiore a quella del corpo). A questo punto il baricentro si sposta nuovamente verso la parte inferiore, il picchio si rialza ed il ciclo… riprende. Il funzionamento del picchio può essere ancor meglio compreso seguendo le fasi che re-golano il suo ciclo termodinamico: 1. l'acqua raccolta da un materiale assorbente che copre la testa evapora (distribuzio-

ne di Maxwell-Boltzmann); 2. l'evaporazione abbassa la temperatura della testa costituita da un'ampolla di vetro

(calore di vaporizzazione); 3. l'abbassamento di temperatura comporta che una parte del vapore del liquido con-

tenuto nella testa condensa; 4. la condensazione del vapore produce una riduzione della pressione nella testa di

vetro (legge dei gas ideali); 5. la differenza di pressione fra la testa e la base fa sì che il liquido contenuto nella

base sia spinto verso l'alto; 6. appena il liquido fluisce nella testa, questa diventa sufficientemente pesante da

spostare il baricentro; le oscillazioni aumentano e il picchio si ribalta; 7. quando l'uccello è ribaltato, parte del liquido si sposta verso la coda riportando il

picchio nella sua posizione verticale. • Da:

http://www.irrefvg.org/2009/ISS/PN/Acqua_come_risorsa/superiori/IPSIA%20Zanussi/Schede%20studenti/Risalita%20dell'acqua.pdf

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2. IL COLORE DEI FIORI Le diverse colorazioni dei fiori sono dovute a due tipi di pigmenti: quelli liposolubili (so-lubili nei grassi) e quelli idrosolubili (solubili in acqua), che si trovano in due diversi tipi di organelli presenti nelle cellule epidermiche della pianta: i primi sono confinati nei cromoplasti (plastidi specializzati), mentre i secondi sono localizzati nei vacuoli (vesci-cole riempite di soluzioni acquose). In gran parte dei fiori blu e porpora la colorazione è data da pigmenti vacuolari detti antociani, che assumono diverse gradazioni di colore secondo il grado di acidità o basicità del terreno in cui cresce la pianta. Alcune tonalità di rosso possono essere dovute anche alla presenza di pigmenti liposolubili nei cloropla-sti. Il giallo dipende, invece, da pigmenti che prendono il nome di flavonoidi. I fiori bianchi non devono la propria colorazione a particolari pigmenti, ma alla presenza di sacche d’aria microscopiche, poste fra le cellule dei petali. • Da: http://www.voyagesphotosmanu.com/evoluzione_fiori.html

In questa foto invece sono mostrati dei cromoplasti dell'epidermide di un peperone rosso. I cromoplasti si formano per trasformazione dei cloroplasti che, ces-sata nella specifica parte della pianta la funzione clo-rofilliana, perdono la clorofilla e accumulano altri tipi di pigmenti come i carotenoidi che conferiscono una vivace colorazione rossa o gialla. Questo fenomeno è molto evidente in autunno quando le foglie ingialli-scono: i plastidi non svolgono più la funzione clorofil-liana, la pianta entra in letargo vegetativo e la foglie ingialliscono e cadono.

• Da: http://madscientist.altervista.org/microcosmo/cellule/orgcel/orgcel.htm • In questo sito troverete un bel Power Point con tutti i tipi di corpuscoli cellulari:

http://www.biologia.uniroma1.it/didattica/att/c004.2353.file.pdf

Il cambiamento di colore: una questione di chimi-ca Abbiamo già visto che esistono molti tipi diversi di sostanze colorate nei vegetali, come le clorofille, i carotenoidi e le antocianine. In generale, in un vegetale colorato sono pre-senti più antocianine e il colore che noi osserviamo è quello della loro miscela. Come sono fatte le antocianine? Sebbene ne siano note centinaia, le loro molecole sono tutte costituite dallo stesso ‘nocciolo’ centrale (in rosso nella figura seguente). Ad esso

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possono essere legati residui di zuccheri e, talvolta, di acidi carbossilici. Anche qualcuno degli atomi di idrogeno legati agli atomi di carbonio può essere sostituito da altri gruppi di atomi diversi. Il fatto che le antocianine siano colorate dipende solo dalla struttura del ‘nocciolo’ cen-trale e i colori delle antocianine tendono ad essere simili, anche se ci sono variazioni in funzione del tipo di gruppi che sostituiscono gli atomi di idrogeno.

Possiamo quindi considerare solo la struttura del ‘nocciolo’ cen-trale (antocianidina), che è caratterizzata dalla presenza di una singola carica positiva. Il nocciolo è formato da tre anelli di atomi di carbonio. La strut-tura viene rappresentata mediante legami fra gli atomi singoli e doppi, alternati, indicati nella figura da linee semplici e da li-nee doppie, rispettivamente. È l’alternanza regolare di legami singoli e doppi (coniugazione) estesa su tutti gli anelli a produr-

re il colore di queste sostanze quando esse sono illuminate dalla luce solare. Il colore delle antocianine sciolte in acqua dipende dall’acidità della soluzione. Il cam-biamento di colore prodotto da una variazione di acidità si dice viraggio. Dal punto di vi-sta dell’acidità la sostanza di riferimento è l’acqua. L’acqua pura contiene piccole quan-tità di ioni H+ e di ioni OH-; poiché esse sono uguali fra loro l’acqua pura è neutra. Nor-malmente le quantità di ioni in acqua si esprimono come concentrazione, cioè quantità di ioni presenti in un litro di liquido. Le sostanze che fanno aumentare la concentrazione di ioni H+ si chiamano acidi e quelle che fanno aumentare la concentrazione di ioni OH- si dicono basi. Le soluzioni in cui la concentrazione di ioni H+ è più grande di quella degli ioni OH- si dicono acide; quelle in cui la concentrazione di ioni OH- è piè grande di quella degli ioni H+ si dicono basiche. Se ad una soluzione acida si aggiunge una base, la solu-zione inizialmente diventa meno acida, poi neutra e infine basica. Se a una soluzione basica si aggiunge un acido, la soluzione diventa prima meno basica, poi neutra e infine acida. L’acidità e la basicità delle soluzioni viene misurata mediante la scala del pH. Nell’acqua pura, neutra, il pH è uguale a 7. Nelle soluzioni acide il pH è minore di 7 e quanto più piccolo è il suo valore, tanto più acida è la soluzione. Nelle soluzioni basiche il pH è maggiore di 7 e quanto più il suo valore è grande, tanto più basica è la soluzione.

Se la soluzione è nettamente acida, l'antocianina è presente effettivamente come catio-ne flavilio. Se il pH aumenta, ma la soluzione resta ancora acida l'antocianina perde uno ione H+ e cambia colore. Se il pH cresce ancora e la soluzione diviene praticamente neu-tra o solo leggermente basica, viene perduto un secondo ione H+ e si verifica un secondo viraggio.

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Inoltre, se il pH diviene molto alto, cioè la soluzione è molto basica si può avere un’altra reazione, e un cambiamento di colore ancora diverso. In definitiva, nelle soluzioni con antocianine si possono verificare diversi cambiamenti di colore al variare del pH e questo fatto può essere sfruttato per stabilire, in base al colo-re osservato, se la soluzione sia acida o basica e valutare, in modo almeno approssimato, il valore del pH. Questo è il principio di funzionamento degli indicatori cromatici di pH. Come accennato in precedenza, le antocianine impartiscono il colore a diversi tipi di frutti e di fiori. Esse sono presenti disciolte nell’acqua contenuta dalle parti colorate del vegetale e naturalmente anche in questo caso il loro colore dipenderà dal pH. Ecco per-ché alcune piante hanno fiori di colore diverso in funzione dell’acidità del terreno in cui sono coltivate. Cosa vediamo oggi L’esperimento proposto è molto semplice e consiste nell’aggiunta di piccole aliquote di succo del cavolo rosso a diverse sostanze acide e basiche, scelte non solo fra reagenti di laboratorio, ma anche fra quelle disponibili in commercio e di uso domestico comune. Verranno osservate le variazioni di colore in funzione dell’acidità o della basicità delle soluzioni via via preparate. Verrà anche osservato l’effetto dell’aggiunta di sostanze ba-siche a soluzioni acide e viceversa. Il colore varia da rosso nelle soluzioni nettamente a-cide (pH intorno a 3) a viola-blu in quelle da poco acide a poco basiche (valori di pH compresi fra 5 e 8) e infine a giallo nelle soluzioni nettamente basiche (valori di pH maggiori di 8), con una possibile transizione attraverso il verde (giallo+blu). • Da: http://www.chimica.unipd.it/chimica-non-magia/exp_ilcoloredelcavolorosso.htm ESERCITAZIONE 4 Il cavolo rosso è molto ricco di antocianine che possono es-sere facilmente estratte e utilizzate per un esperimento Materiale • Cavolo rosso • Grattugia • Pentola

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• Acqua • Fornello • Carta da filtro • Bottiglia con tappo • Limone o aceto bianco • Acido cloridrico o acido muriatico • Bicarbonato di sodio • Ammoniaca • Idrossido di sodio o soda caustica Fasi di lavoro 1. Prendi un cavolo rosso. Per estrarre mezzo litro di

liquido colorato è sufficiente usare uno spicchio da un quarto.

2. Usando una grattugia con i fori grossi riduci a pic-coli pezzi il cavolo

3. Mettili in una pentola, copri d’acqua e porta a e-bollizione. Lascia sobbollire il cavolo per dieci o quindici minuti.

4. Una volta raffreddato filtra il liquido e conservalo in una bottiglietta con il tappo. Il colore dell’estratto dovrebbe essere rosso-porpora molto intenso.

Hai ottenuto quello che i chimici chiamano un indicatore, cioè una so-stanza che cambia colore al variare del pH. Useremo questo liquido per indagare l’acidità o l’alcalinità di alcune sostanze comunemente presen-ti in cucina o utilizzate per la pulizia della casa. 5. Metti un poco di estratto in vari bicchieri e diluiscilo, se necessario,

con tre o quattro parti di acqua in modo tale da ottenere un liquido colorato ma trasparente.

6. Prova ora ad aggiungere del succo di limone o dell’aceto bianco: vedrai l’indicatore cambiare colore e diventare rosso: la tua solu-zione ha un pH compreso tra 2 e 3. Se hai dell’acido cloridrico, venduto per la pulizia della casa con il nome di acido muriatico, puoi provare a raggiungere pH più bassi e ottenere un rosso un poco più intenso (ma fai molta attenzione a maneggiarlo e a non venirne a contatto).

Le antocianine all’aumentare del pH cambiano colore passando dal rosso al blu. Il bic-chiere dove hai diluito il succo, ad un pH tra 6 e 7, dovrebbe avere un colore dal rosa al porpora. Possiamo aumentare ulteriormente il pH aggiungendo una sostanza alcalina. 7. Sciogli un cucchiaino di bicarbonato di sodio nella soluzione: il colore dovrebbe vi-

rare verso il blu, raggiungendo pH 8. Aumentando ulteriormente l’alcalinità le antocianine si trasformano in molecole incolori o gialline. Tuttavia il cavolo rosso contiene anche altre sostanze, chiamate flavonoidi, che allo stesso tempo si trasformano da incolori a gialle.

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8. Aggiungi un po’ di ammoniaca. ecco che il colore della soluzione diventa verde (pH attorno a 10).

9. Se aggiungi ancora una sostanza fortemente alcalina, come l’idrossido di sodio ven-duto in drogheria con il nome di soda caustica, riesci ad arrivare a pH uguale o su-periore a 12 ottenendo un colore giallo.

N:B: Anche in questo caso fai attenzione a maneggiare l’idrossido di sodio ed evitate il contatto con la pelle. Per evitare reazioni indesiderate abbi l’accortezza di aggiungere

ogni sostanza di cui vuoi conoscere il pH ad una nuova soluzione di succo di cavolo rosso, senza riutilizzarne una dove già hai aggiunto qualche cosa d’altro. Cambiamenti di colore analoghi, ma non così spettacolari, si possono osservare anche uti-lizzando

delle comuni bustine

per pre-parare tisane

alla fra-gola, al ribes o ai mirtilli, e in parte anche con il vi-no. Dopo esserti divertito ad osservare i vari colori, ricordati che hai ancora tre quarti di ca-volo rosso nel frigorifero che sarebbe un peccato buttare. Le antocianine di cui è ricco sono antiossidanti preziosi per il vostro corpo e vari studi recenti suggeriscono che pos-sano avere un ruolo importante nella prevenzione di molte malattie. Comunque decidia-te di cucinarlo ricordatevi che una spruzzatina di un liquido acido –aceto o succo di li-mone ad esempio– ne accentuerà il colore rosso. A livello industriale la fonte principale di antocianine, da usare come colorante alimen-tare, è la buccia dell’uva, un sottoprodotto dell’industria del vino. L’enocianina (così viene chiamato l’estratto) si produce sin dal 1879 in Italia dalle cultivar Lancellotta, Lambrusco, Alicante e Salamina. • Qui troverete anche informazioni più approfondite sulla struttura chimica delle va-

rie antocianine: http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/category/acidi/

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3. CAMBIA IL TERRENO, CAMBIA IL COLORE Sicuramente conoscerai le ortensie, bei cespugli dai grossi fiori a capolino il cui colore può variare dal rosa pallido all’azzurro intenso… sempre per la stessa pianta! Come è possibile? Il colore dei fiori dell'ortensia è influenzato dalla reazione del terreno. Le va-rietà a fiori rosa diventano azzurre se vengono coltivate in terreni acidi (pH 4,5) mentre le varietà a fiori azzurri diventano rosa in terreni alcalini (pH 7,5 e oltre). Nei valori in-termedi (tra pH 4,5 e 7,5) il colore assumerà colorazioni intermedie dal blu intenso, al blu chiaro, all'azzurro, al rosa, al rosa intenso.

A partire dalle varietà di ortensie a fiori rosa, per ottenere fiori blu si apporta alluminio al terriccio e con una concimazione ricca di K2O -ossidi di potassio- e povera in P2O5 –pentossido di fosforo- che provoca la precipitazione di fosfati di alluminio. In pratica si effettuano 5-7 irrigazioni da luglio a settembre con 5-10 g di solfato di alluminio per o-gni litro d'acqua. Esistono circa 80 generi di ortensie (genere Hydrangea), di queste non più di 11-12 ven-gono abbastanza comunemente usate nei nostri giardini e tutte prediligono terreni di media acidità. Ognuna di queste specie, con le relative varietà orticole, ha il suo colore tipico di fiori-tura, che va dal bianco, al rosa, al viola, all'azzurro. Ci si accorse fin dalla metà del '700 che alcune Hydrangee, tra cui l'H. macrophylla e la H. hortensis di cui stiamo parlando, hanno la proprietà di cambiare il colore dei fiori, ma solo alla fine dell'800 si scoprì che l'immissione nel terreno di allume di rocca sciolto nell'acqua, o di limatura di ferro, produceva fiori blu. Oggi sappiamo che il fiore delle H. macrophylla assume una bella tonalità che va dal blu all'azzurro violaceo quando le sue radici hanno la possibilità di assorbire l’alluminio libe-ro del terreno. Questa possibilità è tutelata quando la pianta viene coltivata in terreno decisamente a-

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cido. Occorre quindi che il pH del terreno sia at-torno al valore 5,5 perché ferro ed alluminio vengano assorbiti in maniera naturale; in am-biente alcalino, invece, il calcare impedisce la solubilità e l'assimilazione di questi metalli. Per tornare ad ottenere i rosa, invece, vanno u-tilizzati concimi completi ad alta percentuale di fosforo, in modo che questo si combini con l'al-luminio e lo neutralizzi. Non potendo assorbire l'alluminio così insolubilizzato, il fiore diviene rosa. Un fiore naturalmente bianco o rosa può essere quindi forzato a diventare blu fornendogli allu-minio in ambiente acido, ma un fiore blu può ri-

diventare bianco o rosa (fornendogli un concime ricco di fosforo) a seconda che il colore originario sia l'uno o l'altro. L'intensità poi, di questo colore, varierà a seconda della composizione del terreno. A volte il colore blu è poi il colore naturalmente caratteristico di una varietà, come per esempio quello della varietà Hydrangea macrophylla "Coerulea". Ed inoltre molte orten-sie a fiore bianco, come l'H. japonica e l'H. acuminata, sono assolutamente refrattarie alle variazioni di composizione del terreno e non diventeranno mai blu.

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4. FIORI DIVERSI SULLO STESSO FUSTO: L’INNESTO L’innesto è una delle operazioni più importanti e consiste nell’immettere sopra una pianta una parte di un’altra in modo da generare fra loro una completa unione. Già così possiamo capire che con l’innesto non moltiplichiamo il numero delle piante ma è solo un modo per propagare una specie o varietà. La pianta ospite si chiama soggetto, la porzione immessa è detta innesto. Questa opera-zione viene fatta solo con piante che hanno fra loro delle analogie, pertanto l’innesto deve essere fatto solo con piante appartenenti alla medesima famiglia. I vantaggi dell’innesto sono molti e ne elenco alcuni. Quando da un seme otteniamo una pianta che presenta delle differenze, spesso notevoli dalla pianta madre tali da far pensare ad un miglioramento della specie, è necessario at-tendere qualche anno per averne il fiore e/o il frutto. Innestando la nuova pianta sopra ad un’altra adulta si può ottenere nell’anno successivo la fioritura o la fruttificazione. Si possono coltivare piante in terreni non adatti innestandoli sopra a specie che vi si a-dattano, avere varietà diverse di fiori (e quindi di frutti) sullo stesso tronco, riuscire ad avere frutti da una pianta un po’ debole e poco longeva. Esistono tre metodi differenti per fare gli innesti, ad occhio, a marza e per approssima-zione. Innesto ad occhio Nell’innesto ad occhio si usa una porzione di buccia di ramo munita di gemma. In ge-nere la porzione della buccia ha la forma triangolare, simile allo scudo usato dai ca-valieri, e perciò è denominata ‘a scudet-to’. Sul soggetto viene fatta un’incisione a T e vi si inserisce lo scudetto dopo di che viene fissato. Se l’operazione è fatta in primavera o in estate l’innesto si chiama ad occhio vege-tante, perchè se l’innesto ha preso si vede subito; se si opera in autunno si chiama ad occhio morto perchè la gemma rimane inattiva per tutto l’inverno e vegeta soltanto nel-la primavera successiva. Innesto a marza Si inserisce nel soggetto una porzione di ramo provvisto di una o più gemme. Appartiene a questa categoria l’innesto a spacco, nel quale si taglia in modo orizzontale il soggetto e, fatto un taglio laterale, vi si introduce la marza, pre-cedentemente tagliata a cuneo. Nell’innesto a spacco doppio si mettono due marze, l’una all’opposto dell’altra. A volte l’innesto a spac-co è laterale, cioè si fa un incisione laterale nel soggetto, obliqua, in modo che faccia angolo

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acuto con l’asse del soggetto. In questa incisione si inserisce la marza tagliata come negli altri innesti a spacco. Dopo che l’innesto ha preso è necessario ta-gliare la parte del soggetto che rimane sopra l’innesto. Cito anche l’innesto inglese utilizzato in particolar modo negli anni ‘60 per propagare le viti sopra i cep-pi americani. Per questo tipo di innesto è necessaria un minimo di precisione. Il soggetto e la marza devo-no avere il tronco dello stesso diametro e non devono essere lasciati vuoti; l’innesto deve cioè essere solido senza bisogno di legature. Innesto per approssimazione Consiste nel legare insieme due rami di due piante o

due rami della stessa pianta dopo aver tolto da entrambe la corteccia nel punto in cui devono combaciare • Da: http://www.sempreverde.net/2008/08/13/innesto/

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5. CARROLL SCHERZA CON I FIORI Carroll, si sa, amava scherzare: con la logica e la geometria, con gli specchi e i giochi di prestigio, coi numeri e con le parole… Tra i giochi di parole troviamo anche questo indovinello che Carroll pose alle bimbe a cui si era affezionato e alle quali ha dedicato il libro Alice in wonderland.

Ditemi sinceramente, mie tre fanciulle, Dove possono trovarsi tutte queste meraviglie? Il dente di leone e l’occhio di bue, E il piede di gatto e la coda di volpe, con l’orecchio di topo e la lingua di cane e la barba di capra; legati insieme con i capelli di una fanciulla… Dove cospargono la terra?

L’indovinello si basa sull’accostamento di diversi nomi popolari di piante che hanno atti-nenza con parti di animali; si tratta di fiori ed erbe spontanee della campagna inglese. Ecco qui, nello specifico, di quali piante si tratta: ------------------------------------------------------------------------------------------------------- Lion’s tooth Dente di leone - tarassaco Taraxacum officinalis ------------------------------------------------------------------------------------------------------- Ox’eye Occhio di bue - ginestrone Ulex europaeus

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-------------------------------------------------------------------------------------------------------- Cat’s foot Piede di gatto – antennaria – bamabagia selvatica Antennaria dioica -------------------------------------------------------------------------------------------------------- Foxtail Coda di volpe Alopecurus pratensis --------------------------------------------------------------------------------------------------- Mouse ear Orecchio di topo – pilosella Hieracium pilo sella

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---------------------------------------------------------------------------------------------------------- Hound’s tongue Lingua di cane Plantago lanceolata ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- Goatsbeard Barba di capra Aruncus dioicus --------------------------------------------------------------------------------------------------------- L’indovinello è particolarmente bizzarro anche considerando che Carroll conosceva abbastanza bene i fiori pur non amandoli particolarmente. Sempre affascinato dalle questioni linguistiche, semantiche, etimologiche… fece questa osservazione con Isa Bowman, la ragazzina che impersonò Alice in una rappresentazione teatrale:

Hai notato che la digitale, Fox glove, cresce vicino agli alberi? E sai perché si chiama digitale? Pensi che abbia qualcosa a che fare con la volpe, fox? Per nulla! Le volpi non indossano i guanti, gloves. Il nome corretto è folk’s gloves, guanti del popolo, infatti una volta le fate erano indicate come the good folk, il popolo buono.

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Ed ecco qui il fiore della digitale: Foxglove Digitale Digitalis purpurea 6. PROPOSTE DI LAVORO Quelli che seguono sono, ovviamente, solo suggerimenti che è possibile modificare, im-plementare, sostituire… con tutto quello che di creativo scientificamente e teatralmen-te (anche in senso lato) l’esperienza, il curricolo, le attitudini, i mezzi, i tempi… sugge-riscono. E’ possibile: • Eseguire le esercitazioni in modo spettacolarizzato, stile ‘Gaia Scienza’, per inten-

derci. • Realizzare un breve filmato, meglio se velocizzato, sulla colorazione dei fiori per ca-

pillarità. • Far rappresentare ad Alice una lezione per i soldati di carte sulla capillarità o sul co-

lore delle ortensie o sugli innesti. • Teatralizzare il meccanismo del picchio bevitore. • Rappresentare l’indovinello di Carroll sui fiori. • … • … • …