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Ronco Valentina Classe V Istituto Flora Liceo delle Scienze Umane opzione Economico - sociale Tesina - Anno Scolastico 2015/2016 Bersagliere e Cavaliere di Vittorio Veneto Ronco Carlo (1889-1969) 4° battaglione bersaglieri

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Ronco Valentina Classe V Istituto Flora – Liceo delle Scienze Umane opzione Economico - sociale

Tesina - Anno Scolastico 2015/2016

Bersagliere e Cavaliere di Vittorio Veneto

Ronco Carlo (1889-1969)

4° battaglione bersaglieri

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Indice

La nascita del corpo

Caporetto e gli eroi di Vittorio Veneto

I Bersaglieri in rima

I Bersaglieri sulla tela

Un'arma, un'istituzione

I Bersaglieri nelle missioni

Brecht und die Schützen

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Il motivo per cui ho deciso di approfondire il tema dei Bersaglieri è soprattutto personale. Dopo aver ascoltato una fanfara di Bersaglieri a Roma nel 2012 sono venuta a conoscenza che due miei parenti lo erano stati: mio bisnonno paterno (Carlo Ronco) e mio prozio materno (Celestino Occhiena). Con l’intento di onorare i 180 anni della loro storia e di portare una parte della mia famiglia insieme a questa tesina ho scelto un momento storico significativo per la specialità Bersaglieri della Prima Guerra Mondiale a cui partecipò anche mio bisnonno, le battaglie di Caporetto e Vittorio Veneto; nell’ambito culturale trattando il poeta Umberto Saba e il pittore Michele Cammarano; per l’ambito umanistico analizzando l’Esercito come istituzione e le missioni che i soldati affrontano al giorno d’oggi e concludendo con una trattazione dei Bersaglieri tedeschi (gli Schützen) e il loro Esercito.

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Inno Bersaglieri - Flik Flok Quando passano per via gli animosi Bersaglieri, sento affetto e simpatia pei gagliardi militari. Vanno rapidi e leggeri quando sfilano il drappello, quando il vento sul cappello fa le piume svolazzar.

L’Italia in mezzo secolo copertasi di gloria, fu adotta alla vittoria dal prode Bersaglier. Lo stuolo di La Marmora sui campi di Crimea, la foce Eridanea ritolse allo stranier.

Splende al sol d’Italia del bersagliere la carabina: dalle giogaie alla marina è chiuso il varco all’invasor.

Dove gemono i dolori primo accorre il bersagliere che dà al misero i tesori di bontade e di fortezza. Marcia a capo delle schiere ordinate per l’assalto, non discende dallo spalto finché il fuoco cesserà.

Caduto in riva all’Adige, risorto a Solferino, pugnando a San Martino l’ingiuria vendicò. L’Italia, come fulmine, percorse vincitore, spiegando il tricolore, univa il Tebro al Po.

Cappello del bersagliere La Mancusa Luigi

28° battaglione bersaglieri “OSLAVIA” 9/90

Fuciliere assaltatore

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La nascita del corpo Torino, 18 giugno 1836. Il re Carlo Alberto di Savoia sedeva al trono ormai da cinque anni (1831 – 1849) e a livello dell’armata aveva effettuato già molti cambiamenti che gli permisero di non preoccuparsi su nessun fronte. La città piemontese era dunque una tra le poche capitali nella quale si respirava un’aria di normalità, racchiusa dalle imponenti Alpi fino alle piazze contornate da maestosi palazzi barocchi. La mattina di quel giorno il Re approvò la “proposizione per la formazione di una compagnia di Bersaglieri e modello di uno schioppo per l’uso loro” proposta da un capitano dei Granatieri-Guardie di nome Alessandro Ferrero Della Marmora (abbreviato “La Marmora”).

BIOGRAFIA

La Marmora nacque a Torino il 27 marzo 1799 da una nobile famiglia di Biella di antiche tradizioni militari. All’età di 16 anni Alessandro La Marmora diventò sottotenente, combatté e fu ferito nella campagna contro i francesi in Savoia nel 1815. Dopo la battaglia continuò la carriera militare e due anni dopo diventò tenente del reggimento Granatieri-Guardie. La sua intenzione era quella di migliorare le tattiche e l’addestramento della fanteria, fu infatti molto chiaro quando gli venne chiesto il suo parere e disse:

“il soldato non sa tirare, non marcia, non sa di manovre”.

Iniziò a viaggiare per l’Europa alla ricerca di miglioramenti e si rese presto conto che nel Regio Esercito mancava un intero reggimento già presente invece in tutti gli altri Paesi: tutti disponevano di due o più compagnie di “volteggiatori” (o “bersaglieri”) che avevano la mansione di difendere le linee del proprio esercito. La sua idea diventò quindi presto quella di creare un corpo di truppe scelte e riconosciute per il loro peculiare armamento ed equipaggiamento. La Marmora espose al re Carlo Alberto nel 1831 la prima proposizione che venne però respinta, mentre fu accolta quella del 1835. Nell’anno seguente il Re promosse La Marmora Maggiore e gli permise di mettere in atto in via sperimentale le sue idee nella caserma “Ceppi” di Torino.

UN NUOVO SOLDATO PER L’ARMATA SARDA

La prima compagnia Bersaglieri presentata al Re da Alessandro La Marmora il 1 luglio 1836 era composta da 4 ufficiali, 5 sottoufficiali, 9 caporali di cui un trombettiere e 110 miliari di truppa. La loro uniforme era formata da cappotto, pantaloni turchesi, un copricapo munito di pennacchio di piume nere sulla destra, una coccarda azzurra sormontata da un fregio di ottone e ai piedi scarpe chiodate. L’equipaggiamento era costituito da un cinturone in cuoio con una fibbia in ottone e uno zaino con le riserve di cartucce, viveri e abiti di ricambio. Erano dotati anche di attrezzi da scavo o da boscaiolo in considerazione all’autonomia con cui dovevano agire dal resto dell’esercito.

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Inoltre 12 militari di truppa furono addestrati per diventare trombettieri e dotati di corni per segnalare pericoli a grandi distanze. Per quanto concerne l’arma, i bersaglieri erano dotati di una nuova carabina rigata (denominata “sistema La Marmora”) capace di tirare 7/8 colpi ogni 2 minuti e precisa fino a 300 metri. Gli Ufficiali invece avevano anche una sciabola dritta, detta “Albertina” e si distinguevano dalla truppa poiché il loro pennacchio era verde. L’addestramento consisteva in esercitazioni di tiro, marce, superamento di ostacoli naturali (torrenti, mura, tronchi, ecc.) e di combattimenti in nuclei di quattro uomini (quadriglie). La Marmora scrisse il decalogo del Corpo

che è insegnato ancora ai giorni nostri e che fissa il codice comportamentale ed etico dei Bersaglieri:

Obbedienza; Rispetto; Conoscenza assoluta della propria arma; Molto esercizio di tiro; Ginnastica d’ogni genere fino alla frenesia; Cameratismo; Sentimento per la famiglia; Onore al Re (dal 1946 modificato in “Onore al Capo dello Stato”); Onore alla Patria; Fiducia in se stessi fino alla presunzione.

DALLA NASCITA AD OGGI: QUALCHE CENNO STORICO

I valorosi Bersaglieri sono spesso ricordati per la breccia di Porta Pia, a Roma, che nel 1870 completò l’unificazione italiana. Nel corso dell’anno 2015 il sito dell’Esercito Italiano ha voluto ricordare questo evento storico con un video nel quale vengono dette le testuali parole: “L’attacco al fronte difensivo della città nel tratto di mura compreso tra Porta Pia e

Porta Salaria ebbe luogo la mattina del 20 Settembre e fu condotto da tre colonne, a

ciascuna delle quali fu assegnato un battaglione Bersaglieri. Con il fuoco delle

artiglierie ben presto fu aperta una breccia nelle mura di Porta Pia. Il Maggiore

Giacomo Pagliari, comandante del battaglione Bersaglieri, alla testa dei suoi uomini

si lanciò all’assalto sotto la fucileria dei difensori: una pallottola lo atterrò sotto le mura mentre si accingeva a superarle.

Bersagliere La Mancusa Luigi presso il 28° battaglione Bersaglieri “OSLAVIA”

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Da quel giorno l’Italia è unita e la sua capitale è Roma” In realtà i Bersaglieri devono essere ricordati per molti avvenimenti. Per esempio la loro presenza durante tutte le campagne nelle guerre risorgimentali fu importante, nonostante tutte le truppe dell’Armata Sarda nate precedentemente iniziarono a diventare invidiose del nuovo corpo e si iniziò così ad usare il termine “bersagliere” in modo dispregiativo per indicare i volontari come poco più di una “marmaglia di armi”. Nonostante queste ostilità interne, la loro opera per lo Stato fu rilevante e non fu da meno quella di La Marmora. Nel loro inno infatti vengono citate tutte queste memorie:

L’Italia in mezzo secolo

copertasi di gloria,

fu adotta alla vittoria

dal prode Bersaglier.

Lo stuolo di La Marmora

sui campi di Crimea,

la foce Eridanea

ritolse allo stranier.

Flik Flok - Inno Nazionale Bersaglieri

Proprio del loro inno bisogna parlare in modo particolare. L'inno del corpo non è conosciuto, ma lo diventa dal momento in cui, sulle note del Flik Flok, viene insegnata ai bambini "Garibaldi fu ferito". Infine sempre su quest'inno bisogna ricordare che raramente viene cantato: i Bersaglieri infatti sono ricordati per la loro capacità di correre suonando strumenti a fiato: gli ottoni. Nel libro che veniva dato durante l'anno di “naja” qualche anno fa, per far conoscere l'esercito ai nuovi soldati, il corpo dei Bersaglieri veniva descritto così:

"Col loro tradizionale passo di corsa, piumetto al

vento, costituiscono una delle espressioni più genuine

dello spirito italiano".

Oltre alle guerre Risorgimentali, i Bersaglieri combatterono in entrambe le guerre mondiali. Tra le imprese della Prima Guerra Mondiale possiamo ricordare nelle trincee carsiche gli scontri tra i Bersaglieri italiani e gli Schützen (tiratori) austro-ungarici, la disfatta di Caporetto con la ritirata sul Piave a cui partecipò la fanteria con tutte le sue specialità (tra cui bersaglieri e anche alpini) ed infine lo scontro finale e decisivo: la battaglia di Vittorio Veneto. Ad essa partecipò il Regio Esercito riconfigurato dal nuovo Capo di Stato Maggiore, Generale Armando Diaz, che aveva sostituito il Generale Cadorna dopo gli avvenimenti di Caporetto. Della nuova compagine facevano parte militari di tutte le armi e specialità dell’Esercito, tra cui, naturalmente, i Bersaglieri. Terminato questo primo conflitto, la specialità si dedicò all’annessione di Fiume all’Italia, pur

Bersagliere dell’A.N.B. di Verona, recatosi a Cesana Torinese (TO) il 30 Agosto 2015 per commemorare i caduti nelle guerre mondiali

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non ricevendo alcun risultato positivo. Nella seconda guerra mondiale vengono citati spesso i bersaglieri nelle campagne di Russia e di El Alamein (Egitto). Oggi i bersaglieri fanno parte dell’Esercito Italiano, sono un’elite privilegiata. Partecipano alle missioni dell’O.N.U. (Organizzazione della Nazioni Unite) e della N.A.T.O. (North Atlantic Treaty Organization) e all’interno dell’Esercito si dispongono così: possiamo fare una similitudine con gli insiemi matematici e affermare che

I Bersaglieri sono dunque un “sottoinsieme” dell’arma di fanteria, che a sua volta è una delle armi dell’Esercito Italiano. Essa, denominata dopo la Prima Guerra Mondiale “La

regina delle battaglie”, costituisce l’arma base dell’Esercito Italiano che, a sua volta, può vedersi come un insieme fondamentale formato da cinque sottoinsiemi:

a) Il plotone è l’unione di 30 uomini, costituito da 3/4 squadre; b) La compagnia è l’unità fondamentale dell’ordinamento di fanteria ed è composta

da 3/4 plotoni; c) Il battaglione è costituito da 4/5 compagnie; d) Il reggimento è costituito da 2/3 battaglioni; e) La brigata è costituita da 5/7 reggimenti.

Bersaglieri,

Alpini,

Paracadutisti,

Lagunari,

Granatieri

Terrestre,

Contraerea

Carristi,

di linea

Guerra

elettronica,

infrastrutturale

Guastatori,

Pontieri,

Pionieri,

Ferrovieri

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Caporetto e gli eroi di Vittorio Veneto La Prima Guerra mondiale coinvolse su tutti i fronti l’arma dei Bersaglieri: dalle trincee dolomitiche alle pietraie del Carso e ancora nelle pianure del Veneto. A piedi o in bicicletta loro furono sempre i primi ad entrare in azione contro il nemico più temuto: l’impero austro-ungarico, in modo particolare durante la disfatta di Caporetto, la ritirata sul Piave e la vittoria finale a Vittorio Veneto. La battaglia di Caporetto durò solo tre giorni, ma furono abbastanza per la nostra disfatta. Su questo campo combatterono principalmente le armi che non erano abbastanza attrezzate per stare nelle trincee: un esempio furono appunto i Bersaglieri, i quali erano più adatti ad una guerra di movimento grazie ai reparti motorizzati.

Il 24 Ottobre 1917 iniziò alle ore 2:00 il primo attacco degli italiani contro gli austro-ungarici nei pressi della città di Caporetto. Dopo qualche ora di pace, riprese alle 6:30 il fuoco di distruzione che terminò tra le 7:30 e le 8:00. Nel primo periodo, tra le 2:00 e le 4:30, vennero sparati proiettili a gas (le mine scoppiarono prima dell'assalto delle fanterie). Il bombardamento a gas non provocò molti danni, poiché a fondo valle gli italiani accesero dei fuochi per favorire la dispersione del gas. Ma nella conca di Plezzo il bombardamento agì in modo micidiale per l'utilizzo di un gas particolare: 1.000 tubi alimentati da 2.000 bombole mandarono verso le posizioni italiane acido cianidrico ad alta

concentrazione contro il quale nulla poterono le maschere a gas in dotazione. Le brigate a Nord furono quindi decimate, mentre a sud, rimasero immuni. Le truppe d'assalto austro-ungariche abbandonarono così le trincee e si portano a ridosso delle posizioni italiane sotto l'arco di tiro delle proprie artiglierie in modo da partire all'assalto appena cessato il fuoco dei cannoni. Tale movimento non fu però percepito dagli italiani. Nel pomeriggio, dalle 15:00, gli italiani riaprirono il fuoco, ma a causa del gas per tutta la prima giornata furono solo gli austro-ungarici a conquistare territorio, anche se in realtà la città di Caporetto non fu toccata.

Il 25 Ottobre 1917 le operazioni, quasi completamente interrotte nella notte tra il 24 e il 25, ripresero all'alba del 25 Ottobre. Ci furono pochi attacchi nella mattinata e nelle prime ore del pomeriggio il Comandante dell’Armata per Caporetto, Capello, incontrò Cadorna per suggerire la ritirata come unica mossa ineluttabile. Ma Cadorna, dopo aver interpellato i comandi che lo avevano illuso per una possibile vittoria, ordinò il ripiegamento solo di tre

Elmetto dei Bersaglieri mod. Adrian usato nella Prima Guerra Mondiale ed esposto al Salone del

Soccorso 2015 a Pizzighettone (Cremona)

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divisioni. Il risultato della seconda giornata di battaglia fu dunque molto simile alla prima: gli austriaci continuarono ad avere il possesso di tutte le catene montuose che dominano l’Isonzo. Il 26 Ottobre 1917, cinque minuti dopo la mezzanotte del 25, Cadorna emise un nuovo programma per incitare le truppe a resistere su una nuova linea: quella che arrivava fino ai pressi di Gorizia. Questo tentativo era destinato al fallimento, infatti era considerato dalle truppe come un'improvvisazione con la quale si cercava di coprire la linea. Ciò che successe in questa città infatti fu sempre ricordato negativamente e oggi abbiamo una canzone, “Oh

Gorizia, tu sei maledetta”, che ci racconta in un modo tragico-realista la situazione. In modo particolare nei seguenti versi vengono descritti i sentimenti dei soldati adirati contro gli Ufficiali che avevano voluto la guerra per la fama, ma allo stesso tempo non scesero mai sul campo di battaglia; la guerra fu infatti combattuta realmente al fronte da giovani ragazzi, molti dei quali non tornarono più dalle loro famiglie.

Traditori signori ufficiali

che la guerra l’avete voluta

scannatori di carne venduta

e rovina della gioventù.

Oh Gorizia tu sei maledetta

per ogni cuore che sente coscienza

dolorosa ci fu la partenza

e il ritorno per molti non fu.

Lo stato d'animo delle truppe impegnate e l'estrema vicinanza del nemico, gettarono nello sconforto l’Esercito Italiano a tal punto che oggi, dopo numerosi studi, possiamo parlare di “sciopero militare”. La ritirata si concluse soltanto sulle sponde del Piave, dove l’Esercito Italiano si riprese e con molta motivazione si riformò per l’anno successivo. Per riassumere la ritirata sul Piave possiamo fare riferimento ad una strofa de “La leggenda

del Piave”, una canzone che diventò anche inno nazionale per i primi anni del primo dopoguerra. Il Piave è considerato ancora tutt’oggi il fiume sacro alla Patria e in questa strofa viene personalizzato a tal punto che è lui stesso a vedere i soldati sconfortati che soffrono sui ponti lungo il suo corso, infatti si può leggere:

Ma in una notte trista si parlò di tradimento,

e il Piave udiva l’ira a lo sgomento. Ah, quanta gente ha vista

venir giù, lasciare il tetto

per l’onta consumata a Caporetto…

Profughi ovunque dai lontani monti

venivano a gremir tutti i suoi ponti… S’udiva, allor, dalle violate sponde

sommesso e triste il mormorio dell’ onde: come un singhiozzo, in quell’autunno nero

il Piave mormorò:

“Ritorna lo straniero!”

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Nel novembre del 1917, dopo la disfatta di Caporetto, il generale Luigi Cadorna venne sostituito dal re, al comando dell’esercito italiano, dal generale Armando Diaz, il quale portò l’Esercito Italiano alla Vittoria della Prima Guerra Mondiale. Nella battaglia di Vittorio Veneto, Diaz guidò l’esercito contro le truppe austriache, rivelandosi decisivo per il mutamento nell’andamento dei combattimenti. Vinse l’importante battaglia e dimostrò grandi doti umane e capacità di svolgere un ruolo di camerata, oltre che di comandante. A

conclusione di quello scontro, il generale scrisse le celebri parole riguardanti l’esercito austriaco: “I resti di quello che fu uno dei più

potenti eserciti del mondo risalgono in

disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”, mostrando un grande sentimento d’orgoglio nella realizzazione di un’impresa davvero storica per l’Italia.

Dei 210.000 uomini che prestarono servizio nei Bersaglieri durante il

primo conflitto mondiale, 32.000 furono i caduti e 50.000 i feriti.

Lapide del Bersagliere e Cavaliere di Vittorio Veneto Ronco Carlo (1889-1969)

4° battaglione bersaglieri

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FRASI CELEBRI Le seguenti frasi sono tratte da documenti che ho utilizzato per gli approfondimenti, come libri e manuali dell’esercito:

Vince chi ha nel cuore ostinata la volontà di vincere ed incontrollabile la fede nel

successo!1 Sarai vero comandate del tuo plotone quando esso avrà un solo volere: il tuo;

un’anima sola: la tua!2

“Lei è un ufficiale, e gli ufficiali devono risparmiarsi”.3 Quando parti per una montagna non sei mai sicuro di tornare a casa. Però noi guide

ripartiamo sempre perché abbiamo il dovere di ritornare.4

Ordini e gerarchie erano svaniti nella feroce anarchia del combattimento corpo a

corpo, dove i lottatori confondevano i loro respiri tra baionette sguainate, urla,

bestemmie, implorazioni, gemiti e terrore.5

Così, tra un servizio ed una marcetta, le lezioni teoriche, all’aperto, continuavano con cronometrica puntualità, nonostante il caldo feroce ed il disagio materiale.

6 Ognuno si sentiva soldato e responsabile verso le istituzioni e la Patria: le idee

personali venivano accantonate.7

Giuseppe Pannella, Maggiore Generale Capo di Stato della IV armata, Il Vademecum dell’allievo ufficiale di complemento, Roma, Tipografia del Senato, 1917 2 Vedi nota 1 3 Enrico Camanni, La guerra di Joseph,Torino, Vivalda Editori, 2012 4 Vedi nota 3 5 Vedi nota 3 6 Associazione nazionale combattenti della guerra di Liberazione, I Bersaglieri nella guerra di Liberazione.

Da Montelungo a Bologna, Torino, Edizioni Eda, 1995

7 Vedi nota 6

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I Bersaglieri in rima I Bersaglieri sono il tema di alcune poesie come di alcune opere d’arte. Il seguente componimento di Umberto Saba ritrae infatti un particolare istante della loro vita militare.

LA RITIRATA IN PIAZZA ALDROVANDI A BOLOGNA (1919)

Piazza Aldrovandi e la sera d'ottobre hanno sposate le bellezze loro;

ed è felice l'occhio che le scopre.

L'allegra ragazzaglia urge e schiamazza 5 che i bersaglieri colle trombe d'oro

formano il cerchio in mezzo della piazza.

Io li guardo: dai monti alla pianura pingue, ed a quella ove nell'aria è il male,

convengono a una sola vita dura,

10 a un solo malcontento, a un solo tu; or quivi a un cenno del lor caporale gonfian le gote in fior di gioventù.

La canzonetta per l'innamorata,

un'altra che le coppie in danza scaglia, 15 e poi, correndo già, la ritirata.

E tu sei tutta in questa piazza, o Italia.

La serena disperazione (Il Canzoniere), Umberto Saba

Il componimento è ambientato in una famosa piazza bolognese vicino alla quale si erge una caserma, più precisamente il Distretto militare di Bologna delle Forze Armate dell’Esercito Italiano. Il tema principale della poesia è la ritirata serale della truppa, cioè il ritorno in caserma per il contrappello. I Bersaglieri seguono il loro Caporale, nonché il conduttore della fanfara, il quale li porta fuori dal loro quartiere per regalare al popolo un momento di libertà e gioia, in modo particolare alla gioventù. La poesia segue uno stile metrico di terzine in rime alternate ABA, CBC ed è scritta in endecasillabi come i componimenti classici, infatti da questo possiamo notare l’influenza dei grandi poeti italiani nella poetica di Saba, come Dante Alighieri con la “Divina

Commedia”. Il componimento può essere diviso in tre parti: le prime due terzine (vv. 1-6) fungono da introduzione e descrizione; le ultime tre (vv. 7-15) raccontano la vicenda, cioè il fulcro della poesia ed infine la poesia si conclude con un motto.

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Il linguaggio usato dal poeta è semplice e il contenuto è chiaro fin dalla prima lettura, ma in realtà le parole sono scelte con precisione. L’autore alterna nella poesia parole auliche come “pingue” (v. 8) o “gote” (v. 12) a parole semplici e a volte anche dispregiative come “l’allegra ragazzaglia” (v. 4) o diminutive come “la canzonetta” (v. 13). Nel primo caso si riferisce a tutti quei ragazzi che si divertono senza conoscere le sorti dei loro coetanei soldati e nel secondo invece, il diminutivo è usato per sottolineare la popolarità delle canzoni e la loro scarsa fama.

Nella prima terzina, il termine “sposate” (v. 2) è particolare e indica la fusione tra due

bellezze: quella della città di Bologna e quella dei colori autunnali: Saba avrebbe potuto usare la parola “fusione”, però questa può avere accezioni positive come negative, “sposare” invece è unicamente positiva, infatti ci accenna già i sentimenti che il popolo proverà nel vedere questa unione; l’autore enuncia lo stato d’animo con una parola semplice e senza tante spiegazioni, cioè “felice” (v. 3). Nella terza e quarta strofa Saba espone il proprio punto di vista: lui si immagina di guardare dall’alto la folla (tema molto caro a Saba a tal punto da porlo al centro di molti componimenti) presente nella piazza e di vedere la felicità della gioventù, ma quello che prova lui è dolore, poiché si immedesima nei giovani Bersaglieri, i quali dopo essersi riconosciuti all'interno di un'istituzione (l'Esercito), soffrono, vanno in guerra e sono destinati alla morte. È anche evidente però l’antimilitarismo dell’autore, poiché la sua decisione è quella di rappresentare i Bersaglieri (o in modo più generale dei soldati) in pace e non più, come era successo in precedenza, sui campi di battaglia. Nella poesia ci sono tre componenti tipiche di questa specialità: le “trombe d’oro” (v. 5), “gonfian le gote” (v. 12) e “correndo” (v.15). Queste sono immagini che rappresentano i Bersaglieri: ci si immagina un gruppo di militari che, mentre corrono, suonano le loro trombe alzate verso il cielo. Nell’ultima terzina infatti viene spiegata la felicità attraverso due canzoni tipiche del corpo: “la canzonetta per l’innamorata” (v. 13) e una per le “coppie in danza” (v. 14). La prima fa riferimento alla canzone “Cappello nero”, nella quale si canta:

Nel mio giardino ci son rose e fior (x2)

e li farò raccogliere al mio primo amore.

Il mio primo amore l'è un bersaglier (x2)

guardalo sul cappello porta le piume nere.

Cappello nero non mi tradir (x2)

pensa che sono giovane e mi farai morire.

Gruppo di Bersaglieri che suonano sulla scalinata di Trinità dei Monti (Roma)

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La seconda si intitola invece “La ricciolina” e in questa la fanfara canta:

Il Bersaglier

La bacia e poi va via

E quando torna

La sposerà.

La ricciolina

La piange con ragione

Per la passione

Del Bersaglier.

“La ricciolina” fa riferimento ad un ballo di coppia, perché originariamente vedeva alternati un momento strumentale

eseguito dagli uomini e una parte cantata durante la quale le donne ballavano davanti ai Bersaglieri. La terzina dedicata alle canzoni termina con il suono di caserma della “Ritirata”, che però oltre a non avere un testo, non è tipica solo dei Bersaglieri. L’ultima parte del componimento è un motto: “E tu sei

tutta in questa piazza, o Italia”. Con questa conclusione il poeta vuole esprimere che l’Italia, nonostante la guerra appena terminata, è riuscita a rimanere unita e a trovare la felicità nelle piccole cose. Questo tema è ricorrente anche in altri componimenti: Saba spesso, partendo da un pensiero personale, generalizza coinvolgendo l’intera umanità e in questo caso tutta l’Italia. Come accade al verso 16, anche nei versi 9 e 10 è presente lo stesso tema, infatti l’autore scrive: “convengono a una sola vita dura, a un solo

malcontento, a un solo tu”. Tanto quanto l’Italia si trova riunita in una sola piazza, anche i Bersaglieri si sentono uniti e legati da un unico sentimento (la tristezza) e da un unico destino.

Tromba dei Bersaglieri usata durante la Prima Guerra Mondiale ed esposta al

Salone del Soccorso 2015 a Pizzighettone (Cremona)

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I Bersaglieri sulla tela

Michele Cammarano, La carica dei Bersaglieri: la breccia di Porta Pia,

1871, olio su tela, Napoli, Museo di Capodimonte

La seguente opera appartiene ad una vasta collezione del pittore Michele Cammarano, un pittore risorgimentale conosciuto grazie alla fama dal padre di buon pittore. Per questo dipinto fu incaricato direttamente dal re Vittorio Emanuele II, il quale gli chiese di mettere su tela una scena che potesse rappresentare la grandezza italiana. Dati gli anni della commissione, decise di dipingere diversi momenti, intitolati tutti “La carica dei Bersaglieri”, ma ad ognuno aggiunse un sottotitolo per spiegare in quale evento storico voleva raffigurarli. L’opera che ho deciso di analizzare è “La carica dei Bersaglieri: la breccia di Porta Pia”. Il dipinto è datato l’anno successivo all’avvenimento storico dello spostamento della capitale da Firenze a Roma. Nel dipinto il soggetto rappresentato è un gruppo di Bersaglieri e già dalla prima fila è possibile riconoscere alcuni tratti salienti: partendo da sinistra ci sono due Bersaglieri con il classico cappello piumato e l’arma in mano, pronti per attaccare; subito dopo è presente un uomo con un altro cappello tipico di questa specialità, cioè il Fez; poi riconosciamo un Bersagliere che sta per cadere lasciandosi scappare dalle mani non solo l’arma, ma anche la tromba dorata ed infine più a destra è possibile riconoscere un uomo che è voltato verso le fila dietro stanti come per dare un ordine e la sua figura è paragonabile al caporale che dirige la marcia, simile a quello presente nella poesia di Umberto Saba. La scena ovviamente è dinamica, ma non è molto chiaro in quale momento dell’evento storico ci si trova: alcuni Bersaglieri hanno le armi in mano come se dovessero ancora entrare dentro lo Stato della Chiesa, altri stanno suonando la tromba in segno di vittoria

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successivamente all’apertura delle porte romane. L’ipotesi più accreditata è la seconda, infatti è possibile notare sulla sinistra un muro caduto (forse una delle tante porte distrutte) e in basso alcuni pezzi di questo caduti. Probabilmente le intenzioni del pittore erano quelle di esprimere in una sola tela due momenti: in prima fila coloro che stanno andando a conquistare Roma e subito dopo (come un evento cronologico) coloro che stanno già esultando il termine dell’unificazione italiana. Gli eventi risorgimentali scelti da Cammarano non sono in fondo così casuali: l’autore stesso partecipò all’armata di Garibaldi durante alcune spedizioni prima del 1861 e la sua esperienza militare lo segnò così tanto da porre quasi sempre l’Esercito al centro delle sue opere. Un altro punto importante è l’uso dei colori. Questi sono in prevalenza scuri: le divise sono chiaramente nere, ma anche il terreno è completamente marrone, quindi scuro e il cielo è

coperto da nuvole di polvere, probabilmente causate dalla caduta di massi sulla terra. Ovviamente la scena non poteva essere rappresentata diversamente, poiché l’evento storico della breccia di Porta Pia vide molti militari caduti e altrettanti civili morti. In realtà è possibile anche notare in alto a sinistra un piccolo scorcio di cielo sereno, il quale potrebbe rappresentare una possibile fine di guerre civili ed un nuovo inizio migliore per il nuovo Stato italiano. I colori scuri simboleggiano oltre la crudeltà dell’avvenimento, anche il ricordo di chi si è

sacrificato per la Patria.

Durante la Seconda Guerra mondiale la seguente opera fu trafugata dalle truppe naziste dalla Caserma “Catena” di Verona all’incirca l’8 Settembre 1943. I Carabinieri del nucleo “Tutela Patrimonio Culturale” di Venezia l’hanno rintracciata a Napoli e sequestrata il 13 Agosto 2014. Una sezione dell’opera originale fu anche ritagliata ed è stata ritrovata in una casa d’aste del capoluogo campano.

Insegna posta all’ingresso di un sacrario militare dolomitico, all’interno del quale sono

presenti le salme dei caduti per la Patria

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Un’arma, un’istituzione Quello del militare è un mestiere che ha una sua storia, una sua cultura, una sua etica ed una sua psicologia. Chi entra nel mestiere delle armi viene ancora oggi sottoposto ad un addestramento del tutto particolare, che non si limita all’apprendimento dell’uso degli armamenti, delle tattiche e delle strategie, ma che coinvolge anche gli aspetti emotivi e cognitivi della persona come il morale, l’obbedienza, la coesione tra commilitoni, l’onore, la lealtà e la disciplina. Analizzando alcuni tra questi elementi, ci si rende subito conto che nel gergo militare assumono un valore diverso e a tratti più profondo. Secondo i manuali dell’Esercito, il morale è “lo stato mentale, emozionale e spirituale di un

soldato”. In aggiunta si può leggere: “Si parla di morale alto se il militare si

sente felice,

speranzoso, sicuro

di sé, apprezzato per

il suo operato e,

viceversa, di morale

basso se il militare

si sente triste,

depresso, non

apprezzato per la sua

condotta”.

Per i militari però il morale non è solo sinonimo di “stato d’animo”, ma è legato al rapporto con i commilitoni e alla capacità di collaborare per raggiungere una meta comune: l’entusiasmo con il quale si collabora nelle attività del gruppo (che può essere una compagnia, una squadra o un plotone) corrisponde a questioni di vita o di morte. Per questo motivo sotto l’Esercito si cela sempre un’istituzione ed una relativa leadership efficace.

Un'istituzione in sociologia è un'entità simbolica e anche un insieme di norme tra loro coordinate, radicate nell'esperienza quotidiana degli individui e da questi percepiti come capaci di regolare un certo ambito della vita e di azione in un determinato contesto storico e geografico. Il potere invece è la capacità di ottenere effetti, di produrre dei cambiamenti o di esercitare un’influenza; nell’ambito dei rapporti interpersonali e sociali, è invece la

capacità posseduta da singoli o da gruppi di modificare il comportamento di altri

singoli o di altri gruppi. Di rilevante importanza è lo studio fatto da Max Weber sul potere. La sua concezione di base è che questo cambia sempre in base allo spazio e al tempo (legato al concetto di istituzione) e con ciò distingue il potere legittimo (potere esercitato dagli Stati e capace di condizionare i comportamenti dei membri di una comunità tramite semplici comandi rispettati dalla maggioranza) dal puro e semplice uso della forza (potere non

Foto ricordo depositata dai Bersaglieri di Bolzano al cimitero militare di Corvara, per commemorare l’alto morale dei caduti per la Patria

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legittimo usato dai malviventi, i quali ottengono l’obbedienza di un gruppo tramite la minaccia delle armi). Infine distinse il potere legittimo in altri 3 sotto-poteri:

il potere tradizionale (→ rispetto della tradizione e reverenza verso la figura del proprio padrone o signore); il potere legale-razionale (→ il comportamento del capo è razionale e conforme alle leggi dello Stato); il potere carismatico (→ credenza nelle doti straordinarie del proprio capo).

Una leadership efficace, corrisponde a quello che Weber definì come “potere carismatico”, ovvero la presenza di un capo che non ha bisogno di legittimare la propria autorità, poiché crede nell’adesione spontanea dei seguaci. Strettamente legato al concetto di “potere” è possibile riscontrare quelli di obbedienza e coesione. Promuovere la solidarietà nel gruppo è sempre stato il fulcro di ogni addestramento militare, ma per un soldato la solidarietà e la coesione hanno il valore di vicinanza fisica e non solo psicologica: un plotone unito, anche fisicamente, può disgregare una folla e permette una difesa reciproca. In ogni situazione è però fondamentale l’obbedienza: obbedire al superiore, insieme alla chiarezza dei suoi ordini, rivestono un ruolo importante dell’etica militare. Per concludere un quadro generale sugli aspetti cognitivi coinvolti nell’addestramento militare, è necessario parlare dello spirito di corpo, cioè il sentimento di fierezza che si prova nell’appartenere ad un gruppo dotato di una storia gloriosa e tradizioni onorevoli. I Bersaglieri detengono questa gloria e quest’onore del corpo e per questo sono motivati a portarla avanti. Chiaramente lo spirito di corpo varia anche in base ad alcuni tratti distintivi, i quali

possono essere la divisa particolare (nei Bersaglieri il cappello piumato), determinate mostrine o motti e canti. I Bersaglieri hanno diversi canti propri, ma sono più particolari i motti: ogni reggimento scelse, dopo la Prima Guerra mondiale, una frase latina da usare come motto. La più famosa è quella del 8° reggimento: “VELOX AD IMPETUM” (“Pronto all’assalto!”).

Ciò che oggi è molto più presente rispetto al passato è la presenza di una figura militare che controlli tutti gli aspetti emotivi: lo psicologo militare. Insieme al cappellano, all’infermiere e il comandante, questa figura è di rilevante importanza in relazione a ciò che le Forze Amate italiane fanno oggi. Gli psicologi inizialmente compirono studi sulla formazione degli ufficiali in base ai diversi stili di leadership: cercarono coloro che erano più adatti a piccole unità e chi invece era pronto per le operazioni nelle zone di presidio.

Riprendendo la concezione del potere in sociologia, possiamo ora affermare che questo è un concetto bifronte, perché ci si può riferire sia ad un comando impartito da un uomo (o un gruppo) ad un altro uomo (o ad un altro gruppo), ma anche al “poter fare” qualche azione.

Foto ricordo del Bersagliere e Cavaliere di Vittorio Veneto

Ronco Carlo 4° battaglione bersaglieri

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Un comandate pronto per le zone di assedio deve quindi detenere tutti i fronti di questa concezione, cioè deve poter dare ordini; viceversa il plotone sotto di lui deve unicamente essere in grado di poter eseguire ciò che gli è stato richiesto. Infine il buon comandante è anche quello che emana ciò che nel gergo sociologico si chiamano "mores", ovvero norme che sono perlopiù costumi tramandati oralmente, ma che per un gruppo (nel caso militare il plotone o la compagnia ad esso affidata) hanno un forte spessore in termini di valore e legittimità.

Oltre ad un buon comandante oggi nelle zone di conflitto sono sempre presenti le operazioni psicologiche (PSYOPS o Psychological operations). Queste rappresentano un nuovo metodo utilizzato dalle istituzioni militari per condizionare (o influenzare) opinioni, emozioni, atteggiamenti e comportamenti dei gruppi ostili o neutrali in modo da favorire il raggiungimento degli obiettivi della missione. È anche stanziato per il supporto al morale militare il "Servizio di Supporto Psicologico". Principalmente gli psicologi militari entrano in azione in seguito ad eventi traumatici come attentati terroristici o conflitti a fuoco e il loro intervento viene chiamato "Pronto Soccorso emotivo" e le tecniche sono:

defusing (→ intervento breve che dura circa 20-40 minuti e applicato a gruppi di 6 o 8 persone. Questa tecnica ha lo scopo di gestire lo stress e viene utilizzata nell’immediato, ovvero dopo l’evento critico);

debriefing (→ intervento psicologico condotto da uno psicologo esperto, la cui durata varia dalle 2 alle 3 ore. L’obiettivo è quello di ridurre e alleviare conseguenze emotive, generate da eventi traumatici).

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I Bersaglieri nelle missioni Con la fine della seconda guerra mondiale e della monarchia, in Italia iniziarono a cambiare alcuni aspetti, soprattutto politici: le donne acquisirono il diritto di voto e l’Esercito Italiano venne riorganizzato. In modo particolare i reparti della specialità Bersaglieri furono inquadrati sotto Grandi Unità (divisioni e brigate) ancora oggi esistenti:

divisione corazzata “Ariete”; divisione corazzata “Centauro”; brigata meccanizzata “Garibaldi”; brigata meccanizzata “Granatieri di Sardegna”; brigata meccanizzata “Pinerolo”.

Tra tutte le novità, quella che però toccò l’intero Esercito fu l’adesione dell’Italia alle organizzazioni internazionali, nate per promuovere la pace a livello internazionale: l’O.N.U. e la N.A.T.O. L’O.N.U. L’organizzazione delle Nazioni Unite fu fondata nel 1945 da 51 Paesi al fine di garantire la pace e la sicurezza su scala mondiale. Questa organizzazione iniziò presto ad entrare in azione e oggi conta 193 membri al suo interno. Gli scopi principali dell’O.N.U. oggi sono:

mantenere la pace; accrescere le relazioni tra gli Stati; collaborare per un mondo migliore.

Le missioni con cui partono i reparti dell’O.N.U. (detti anche “caschi blu” dal colore dell’elmetto che indossano in guerra) sono di tre tipologie:

PEACEKEEPING: missione per aiutare i Paesi tormentati da conflitti, al fine di creare condizioni di pace sostenibili;

PEACEBUILDING: missione per far cessare i conflitti armati al fine di poter stabilire la pace e assicurare la protezione dei diritti umani fondamentali;

PEACE ENFORCING: particolare operazione militare che si attua nei casi in cui le parti in causa non rispettano i termini per la fine delle ostilità.

Tra le prime missioni delle Nazioni Unite è bene ricordare quelle condotte in Somalia. La prima ebbe luogo dal 1950 al 1960 per la quale partì l’Amministrazione fiduciaria italiana della Somalia (AFIS), la quale tornò sconfitta; le Forze Armate ripartirono poi nel 1983 per poi tornare nuovamente nel 1990 ed infine quella più importante, cioè l’ultima, che iniziò nel 1992 e cessò definitivamente nel 1995 senza nessun impegno per missioni future nel medesimo Stato. La missione somala (UNOSOM) iniziò come missione umanitaria, poiché la situazione politica del Paese era da tempo precipitata nel caos e nell’instabilità: il governo somalo non era più in grado di gestire le molteplici guerre interne e

Fregio del bersagliere La Mancusa Luigi

28° battaglione Bersaglieri “OSLAVIA” 9/90 Fuciliere assaltatore

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intanto la maggior parte della popolazione soffriva e viveva a stento. La missione prese il nome di “Restore Hope” e fu condotta dagli Stati Uniti, dall’Italia, ma anche dalla Francia, dalla Turchia, dall’Egitto e dal Pakistan. Dall’Italia partirono molti reparti: in principio partì un reparto di paracadutisti e uno di fanteria meccanizzata, solo successivamente si aggiunsero 3 reggimenti Bersaglieri (il 2°, il 3° e il 6°) ed il 28° battaglione “Oslavia”. Questa missione dopo poco tempo divenne una tra le più sanguinose a tal punto che le Nazioni Unite da missione umanitaria la fecero diventare una di Peace Enforcing. Da questo cambiamento si può dedurre che il governo somalo non accettò l’aiuto delle Forze Armate mondiali per sistemare le ostilità interne, infatti nel 1995 la missione si concluse con il ripiegamento di tutti gli eserciti orientali in seguito al mancato raggiungimento degli obiettivi politici. LA N.A.T.O. Il Patto Atlantico fu siglato nel 1949 da 28 Stati e l’obiettivo primario era quello di proteggere i Paesi membri da un possibile conflitto militare con l’Unione Sovietica e in caso di attacco, si impegnarono nell’aiuto reciproco. Dalla costruzione del muro di Berlino, la N.A.T.O. decise di adottare una nuova strategia militare: la “rappresaglia massiccia”, ovvero se l’Unione Sovietica avesse attaccato un Paese membro, l’organizzazione internazionale avrebbe potuto rispondere con armi nucleari. La missione N.A.T.O. che iniziò nel 1999, ma che è ancora in corso oggi è quella in Kosovo. La missione partì come Peacekeeping, poiché il problema più imponente erano le guerre interne tra Serbi e Albanesi, sebbene quest’ultimi furono sempre in maggioranza nelle regioni del Kosovo. Dopo un breve momento di pace tra le due etnie, le ostilità si riaccesero nel 1997 e gli albanesi, convinti di non poter essere fermati, si organizzarono nel “Kosovo Liberation Army” (UCK). Nonostante le convenzioni, nel 1998 la N.A.T.O. inviò un ultimatum al governo del Paese per accettare la presenza di Forze Armate mondiali in quelle regioni di guerra. La missione non iniziò, poiché dopo pochi mesi fu tutto ritirato e dopo alcune conferenze tra gli Stati, la N.A.T.O. avviò nel 1999 la prima campagna aerea denominata “Allied Force”.

Nel Gennaio 1999 fu mandato il 8° reggimento Bersaglieri con la FYROM, insieme ad uno squadrone di elicotteristi. Da questo momento arrivarono sempre più truppe nelle regioni kosovare, tra cui l’intera Brigata Bersaglieri “Garibaldi” di cui faceva parte oltre al citato 8° reggimento, anche il 18° reggimento Bersaglieri. La presenza di molte unità era la diretta conseguenza delle brutalità nelle zone balcaniche: a differenza delle altre regioni, l’ambiente operativo del Kosovo fu sempre il più difficile a causa della presenza di due forti opposizioni:

coloro che erano ostili davanti alla presenza di forze internazionali;

gli albanesi che continuavano a pretendere con la forza l’indipendenza.

Bersagliere durante un’esercitazione “UNUCI” tenutasi a Carrù (CN) il

13 Febbraio 2016

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Brecht und die Schützen Die Schützen waren, wie die „Bersaglieri”, in Österreich während des großen Krieges und ein Sektor der Infanterie während des Zweiten Weltkriegs. Sie kämpften in beiden Weltkriegen im Ausland und in Tirol, aber heutzutage sind sie nur ein Symbol (wie die Kaiserjäger) und sie sind typisch für die Dolomiten mit ihrer Tiroler Tracht.

Bertold Brecht wurde 1898 in einer bürgerlichen Familie in Augsburg geboren. Er studierte Medizin und Literatur in München und er wurde Theaterkritiker für die Augsburger Zeitung. Brecht veröffentlichte viele Werke, Theaterstücke und Gedichte. 1933 emigrierte er nach Dänemark, dann nach Finnland und am Ende in die USA. 1947 kehrte er nach Ostberlin zurück, wo er den Staatspreis der DDR bekam. Brecht starb 1956 in Ostberlin. Brecht ist für das epische Theater bekannt, aber er hat auch während des Zweiten Weltkriegs über die Schützen gesprochen und 1954 veröffentlichte er die „Kriegsfibel“: das ist eine Sammlung von Photographien über diesen historischen Zeitraum. 1954 wurde er mit dem Internationalen Stalin-Friedenspreis ausgezeichnet, jedoch wurde ihm mit dem Verbot für die Kriegsfibel gedroht, weil es als pazifistisches Werk kritisiert wurde. Ich möchte daraus zwei Bilder kommentieren.

Bild Nummer 52 Bild Nummer 57

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Auf dem Bild Nummer 52 sieht man viele Infanteristen und darunter hat Brecht geschrieben:

Die ihr hier liegen seht, geleckt von Kot

als lägen sie nun schon in ihren Gräbern, ach-

Sie schlafen nur, sie sind nicht wirklich tot.

Doch wären sie, nicht schlafend, auch nicht wach.

Quelli che vedete stesi qui , coperti di fango come se fossero già nella tomba, aihmè –

non sono davvero morti, dormono soltanto. Ma se dormissero, non sarebbero svegli lo stesso.

In diesem kurzen Kommentar beschreibt Brecht die schlafenden Soldaten, die sich nur kurz ausruhen wollen, weil sie müde sind. Einige Soldaten haben tiefe Graben geschaufelt, und man könnte meinen, sie wären darin begraben: „Doch wären sie, nicht schlafend, auch nicht

wach“. Das zweite Bild ist Bild Nummer 57 und Brecht hat geschrieben:

Seht diese Hüte von Besiegten! Und

nicht als man sie vom Kopf uns schlug zuletzt,

war unserer bitteren Niederlage Stunde.

Sie war, als wir sie folgsam aufgesetzt.

Guardate questi cappelli di vinti! E non quando

alla fine ce li hanno sbattuti a terra,

fu l´ora della nostra amara disfatta. Fu quando

noi obbedimmo e li mettemmo in testa.

Man sieht Helme der verlierenden Soldaten, die nicht verloren haben als sie besiegt wurden oder für das Vaterland starben, sondern in dem Moment, indem sie Gehorsam geleistet und die Befehle ausgeführt haben.

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Conclusione Il motto degli Schützen tedeschi è:

„Schützen, helfen, vermitteln, kämpfen“

La parola „Schützen“ ha un’interessante traduzione:

„Schützen“ è il plurale del nome „Schütze“ e vuol dire „tiratore“ „schützen“ usato come verbo vuol dire „proteggere“

Tutte le parole hanno però un significato particolare per l’Esercito Tedesco (Bundeswehr).

„Schützen“ simboleggia l’unità dei soldati in ogni situazione e non solo in guerra „helfen“ rappresenta le missioni che compiono tutti gli Eserciti appartenenti alle

organizzazioni internazionali che promuovono la pace „vermitteln“ perché gli Stati più sviluppati fanno da mediatori nei Paesi in cui c’è

bisogno di portare la pace „kämpfen“ simboleggia il ricordo in onore dei caduti durante le due guerre mondiali

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Fonti bibliografiche

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guerra di Liberazione. Da Montelungo a Bologna, Torino, Edizioni Eda, 1995

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Brecht Bertold, L’abicì della guerra. Introduzione di Michele Serra, ET saggi,

Einaudi, 2015

Camanni Enrico, La guerra di Joseph,Torino, Vivalda Editori, 2012

Civita Giovanni (Colonnello), Conoscere l’Esercito, Stato Maggiore dell’Esercito, 1980

Clemente Elisabetta e Danieli Rossella, Scienze Umane. Antropologia, Sociologia e

Metodologia della ricerca, Mondovì (CN), Paravia, 2012

Costa Marco, Il mestiere delle armi. Tratto dalla rivista “Psicologia contemporanea” Luglio-Agosto 2002 n.172

Pannella Giuseppe, Maggiore Generale Capo di Stato della IV armata, Il Vademecum

dell’allievo ufficiale di complemento, Roma, Tipografia del Senato, 1917

Pizzo Mariano e Di Nuovo Santo, Una vita “in divisa”. Tratto dalla rivista “Psicologia contemporanea” Maggio-Giugno 2011 n.225

Scollo Luigi e Compagni Pietro, I bersaglieri. Storia ed uniformi del Corpo dalla

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Silvestri Mario, Caporetto: una battaglia e un enigma. Prefazione di Sergio Romano,

Rizzoli, 2014

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Fonti sitografiche

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http://www.150digit.it/breccia_di_porta_pia_carica_dei_bersaglieri_a _porta_pia.php

http://www.artericerca.com/Pubblicazioni/La%20Battaglia%20di%20Caporetto%201

917.htm

http://www.corriere.it/speciali/esami/tipa.html

http://www.fabiovassallo.it/ita/valdicembra/sizeri.html

http://www.fanfaralamarmora.it/storia%20del%20corpo.html

http://www.nato.int

http://www.raistoria.rai.it/articoli/armando-diaz-e-la-battaglia-di-vittorio-veneto/4875/default.aspx

http://www.un.org/en/index.html