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2/2016

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G. Giappichelli editore – torino

Comitato di direzione

Fabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerralorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari

Maria cecilia Fregni, alessandro GiovanniniMaurizio logozzo, Giuseppe MariniSalvatore Muleo, Franco paparella

livia Salvini, loris tosi

2/2016

Tax Law Quarterly

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Comitato di direzioneFabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerra, lorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari, Maria cecilia Fregni, alessandro Giovannini, Maurizio logozzo, Giuseppe Marini, Salvatore Muleo, Franco paparel-la, livia Salvini, loris tosi

Comitato scientifico dei revisoriniccolò abriani, Francisco adame Martinez, antonia agulló agüero, Jacques au-tenne, Mauro Beghin, pietro Boria, Marc Bourgeois, andrea carinci, Giuseppe cipolla, Silvia cipollina, andrea colli Vignarelli, Gianluca contaldi, daria cop-pa, Giacinto della cananea, adriano di pietro, augusto Fantozzi, andrea Fedele, luigi Ferlazzo natoli, Stefano Fiorentino, Guglielmo Fransoni, Gianfranco Gaffuri, Franco Gallo, cesar Garcia novoa, alfredo Garcia prats, daniel Gutman, pedro h. herrera Molina, Manlio ingrosso, enrico laghi, Salvatore la rosa, carlos lopez espadafor, raffaello lupi, Jacques Malherbe, enrico Marello, Gianni Marongiu, enrico Marzaduri, Giuseppe Melis, Sebastiano Maurizio Messina, Marco Miccinesi, Salvo Muscarà, Mario nussi, carlos palao taboada, leonardo perrone, raffaele perrone capano, Franco picciaredda, Francesco pistolesi, ana María pita Gran-dal, Gianni puoti, José a. rozas Valdés, claudio Sacchetto, Salvatore Sammartino, roberto Schiavolin, roman Seer, Maria teresa Soler roch, paolo Stancati, dario Stevanato, Giuliano tabet, Francesco tesauro, Giuseppe tinelli, edoardo traversa, antonio Uricchio, Juan enrique Varona alabern, Marco Versiglioni, Bjorn West-berg, Giuseppe Zizzo

Comitato di redazioneantonio Viotto (coordinatore), ernesto-Marco Bagarotto, Gianluigi Bizioli, Susanna cannizzaro, pier luca cardella, anna rita ciarcia, Marco di Siena, Stefano dori-go, antonio Marinello, pietro Mastellone, Michele Mauro, annalisa pace, damiano peruzza, Federico rasi, laura torzi, caterina Verrigni

Tutti i contributi pubblicati nella Rivista sono stati sottoposti alla valutazione colle-giale da parte del Comitato di direzione e alla revisione anonima da parte di uno dei componenti del Comitato scientifico dei revisori, in base all’apposito Regolamento (consultabile sul sito www.giappichelli.it/RTDT_regolamento.html)

Amministrazione: presso la casa editrice G. Giappichelli, via po 21 – 10124 torino

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INDICE-SOMMARIO

pag.

Gli Autori e i Revisori IX

Dottrina

F. Amatucci, L’autonomia procedimentale tributaria nazionale ed il rispetto del principio europeo del contraddittorio (The national autonomy of procedural tax assessment and the compliance of the European audi alteram partem principle) 257

S. Cannizzaro, Autonomia e pluralità di disposizioni nel sistema dell’imposta di registro: contributo ad una riflessione in chiave evolutiva (Autonomy and plurality of provisions in the stamp duty di-scipline: some remarks for an evolutionary analysis) 277

A. Carinci, Profili fiscali dello sfruttamento del diritto all’immagine degli sportivi (Tax aspects of the exploitation of sportspersons’ image rights) 299

V. Ficari, Virtù e vizi della nuova disciplina dell’abuso e dell’elusio-ne tributaria ex art. 10 bis della L. n. 212/2000 (Virtues and vices of the new discipline on tax avoidance and abuse of law provided by ex art. 10 bis of law n. 212/2000) 313

I.A. Gavrilova-O.A. Makarova, La fiscalità nella Federazione Russa: fondamento e giustificazione economica di imposte e tasse (Ta-xation in the Russian Federation: economic basis and economic justi-fication of taxes and fees) 331

F. Montanari, Il dibattito sul sistema tributario russo: prospettive ita-liana ed europea (The debate on the Russian tax system: Italian and European perspectives) 343

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INDICE-SOMMARIO RTDT - n. 2/2016 VIII

pag.

C.M. López Espadafor, Revisión de los parámetros esenciales de la soberanía fiscal internacional (Revisione dei parametri essenziali del-la sovranità fiscale internazionale) (Revising the essential parameters of international tax sovereignty) 353

P. Pistone, La pianificazione fiscale aggressiva e le categorie concet-tuali del diritto tributario globale (Aggressive tax planning and the new conceptual category of global tax law) 395

G. Ragucci, L’etica del legislatore tributario e la certezza del diritto (The ethics of tax law and the principle of legal certainty) 441

Giurisprudenza

Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 – Pres. Virgilio, Rel. Cigna, con nota di P. Batalocco, Note in tema di pericolosità fiscale dei finanziamenti infruttiferi “anomali” dei soci nelle società di capi-tali a ristretta base proprietaria (Remarks on the fiscal dangerous-ness of shareholders’ “anomalous” interest-free loans in capital com-panies with a narrow shareholder base) 463

Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054 – Pres. Amoresano, Rel. Manzon, con nota di M. Gambarati, In tema di confisca del profitto per reati tributari commessi dal legale rappresentante della persona giuridica (On the confiscation of the profit for tax crimes committed by the company’s legal representative) 493

Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 – Pres. Criscuolo, Rel. Coraggio, con nota di A. Kostner, La competenza territoriale nelle liti tributarie di primo grado in cui è parte il concessionario della riscossione: l’intervento della Corte costituzionale (The territorial jurisdiction on tax disputes at first instance in which the tax collection is part: the intervention of the constitutional Court) 513

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GLI AUTORI E I REVISORI

Fabrizio Amatucci Ordinario di Diritto tributario, Seconda Università di Napoli Paola Batalocco Dottoranda di ricerca, Luiss “Guido Carli” Susanna Cannizzaro Ricercatrice di Diritto tributario, Università di Foggia Andrea Carinci Ordinario di Diritto tributario, Università di Bologna Valerio Ficari Ordinario di Diritto tributario, Università di Sassari Matteo Gambarati Dottore in giurisprudenza, Università di Modena e Reggio Emilia Irina Alexandrovna Gavrilova Associate professor Admiral Makarov, State University of Maritime and Inland Shipping Alessandra Kostner Assegnista di ricerca in Diritto tributario, Università di Milano “Bicocca” Carlos María López Espadafor Catedrático de Derecho Financiero y Tributario, Universidad de Jaén Olga Alexandrovna Makarova Full Professor St. Petersburg State University Francesco Montanari Ricercatore di Diritto tributario, Libera Università di Bolzano Pasquale Pistone Associato di Diritto tributario, Università di Salerno Titolare della Cattedra Jean Monnet ad Personam, Università WU di Vienna

Gaetano Ragucci Associato di Diritto tributario, Università di Milano

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GLI AUTORI E I REVISORI RTDT - n. 2/2016 X

La revisione dei contributi pubblicati è stata effettuata da: Mauro Beghin (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Padova); Daria Coppa (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Palermo); Guglielmo Fransoni (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Foggia); Franco Gallo (Professore emerito di Diritto tributario, Luiss “Guido Carli”); Jacques Ma-leherbe (Professor Emeritus of Tax Law, University of Louvain, Belgium); Enrico Marello (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Torino); Enrico Marzaduri (Professore ordinario di Diritto processuale penale, Università di Pisa); Francesco Pistolesi (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Siena); Giuseppe Tinelli (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Roma Tre); Edoardo Traversa (Professor of Tax Law, University of Louvain, Belgium).

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DOTTRINA

SOMMARIO: F. Amatucci, L’autonomia procedimentale tributaria nazionale ed il rispetto

del principio europeo del contraddittorio (The national autonomy of proce-dural tax assessment and the compliance of the European audi alteram partem principle)

S. Cannizzaro, Autonomia e pluralità di disposizioni nel sistema dell’imposta di registro: contributo ad una riflessione in chiave evolutiva (Autonomy and plurality of provisions in the stamp duty discipline: some remarks for an evolu-tionary analysis)

A. Carinci, Profili fiscali dello sfruttamento del diritto all’immagine degli spor-tivi (Tax aspects of the exploitation of sportspersons’ image rights)

V. Ficari, Virtù e vizi della nuova disciplina dell’abuso e dell’elusione tributaria ex art. 10 bis della L. n. 212/2000 (Virtues and vices of the new discipline on tax avoidance and abuse of law provided by ex art. 10 bis of law n. 212/2000)

I.A. Gavrilova-O.A. Makarova, La fiscalità nella Federazione Russa: fonda-mento e giustificazione economica di imposte e tasse (Taxation in the Rus-sian Federation: economic basis and economic justification of taxes and fees)

F. Montanari, Il dibattito sul sistema tributario russo: prospettive italiana ed eu-ropea (The debate on the Russian tax system: Italian and European perspectives)

C.M. López Espadafor, Revisión de los parámetros esenciales de la soberanía fiscal internacional (Revisione dei parametri essenziali della sovranità fiscale in-ternazionale) (Revising the essential parameters of international tax sovereignty)

P. Pistone, La pianificazione fiscale aggressiva e le categorie concettuali del di-ritto tributario globale (Aggressive tax planning and the new conceptual cate-gory of global tax law)

G. Ragucci, L’etica del legislatore tributario e la certezza del diritto (The ethics of tax law and the principle of legal certainty)

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 256

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Fabrizio Amatucci

L’AUTONOMIA PROCEDIMENTALE TRIBUTARIA NAZIONALE ED IL RISPETTO DEL PRINCIPIO EUROPEO

DEL CONTRADDITTORIO 1

THE NATIONAL AUTONOMY OF PROCEDURAL TAX ASSESSMENT AND THE COMPLIANCE OF THE EUROPEAN

AUDI ALTERAM PARTEM PRINCIPLE

Abstract Le norme procedurali sono considerate a livello europeo in grado di assicurare effettivamente una serie di garanzie fondamentali dei contribuenti e, pertanto, la loro incompatibilità con il diritto UE in caso di mancato raggiungimento di tale obiettivo, assume rilevanza attraverso il principio di proporzionalità, ai fini della corretta applicazione di norme tributarie sostanziali e provoca un restringimento considerevole dell’autonomia procedimentale nazionale. Il principio europeo del contraddittorio ed il diritto ad essere ascoltato durante l’istruttoria trovano diffi-coltà applicative in alcune aree (i tributi non armonizzati o gli scambi di informa-zioni da altri Paesi riguardanti dati bancari), che sembrano conservare in parte la loro autonomia a livello nazionale, e ciò determina una frammentazione del si-stema difficilmente giustificabile. Parole chiave: contraddittorio, proporzionalità, garanzie fondamentali, autono-mia procedimentale nazionale, limitazioni At the European level, tax procedural rules are considered able to ensure effectively se-veral fundamental taxpayers’rights and, therefore, their incompatibility with EU law in case of failed achievement of such purpose gains relevance through the principle pf proportionality, to the purpose of correct enforcement of tax substantive rules, and leads to a significant restriction of the national procedural autonomy. The European

1 Contributo non soggetto a revisione esterna.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 258

audi alteram partem principle and the right to be heard during the tax audit find practical difficulties in certain fields (non-harmonised taxes or bank information ex-changed by other Countries), which seems to partially maintain their autonomy at the national level, determining a systematic fragmentation that is difficultly justifiable. Keywords: audi alteram partem, proportionality, fundamental safeguards, national procedural autonomy, limitations

SOMMARIO: 1. L’incidenza dei principi europei sulle norme procedimentali. – 2. Il ruolo fondamentale di principio guida della proporzionalità. – 3. Gli orientamenti della giurisprudenza nazionale in materia di contraddittorio. – 4. Le limitazioni del contraddittorio in ambito transnazionale e nello scambio di informazioni. – 5. Conclusioni.

1. L’incidenza dei principi europei sulle norme procedimentali

Sono sempre più frequenti gli interventi da parte della giurisprudenza europea (CGUE e CEDU) volti a garantire il diritto di difesa del contribuen-te attraverso la verifica di compatibilità di norme nazionali procedurali con principi generali come la proporzionalità, la tutela dell’affidamento, l’effetti-vità. Ciò avviene attraverso l’individuazione di limiti che spesso non vengo-no rispettati dagli ordinamenti interni (ad es. termini ragionevoli di durata del contraddittorio, diritto ad essere ascoltato, ammissibilità di alcune pro-ve, ecc.). Le norme procedurali sono considerate a livello europeo in grado di assicurare effettivamente una serie di garanzie fondamentali e pertanto, la loro incompatibilità con il diritto UE in caso di mancato raggiungimento di tale obiettivo, assume rilevanza ai fini della corretta applicazione di norme sostanziali e provoca un restringimento considerevole dell’autonomia pro-cedimentale nazionale. Tale autonomia è sopravvissuta per un lungo perio-do, ed ha consentito agli Stati membri di imporre liberamente ed esclusiva-mente, secondo parametri interni, un complesso di regole amministrative tributarie in grado di incidere sul comportamento tenuto dagli organi verifi-catori e dagli uffici accertatori.

Non vi è dubbio che le cause che hanno reso necessario l’ampliamento delle garanzie dei contribuenti attraverso i principi UE e CEDU, si fondano sulla difficoltà e sulle limitazioni del diritto di difesa dei contribuenti nella fase

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Fabrizio Amatucci 259

istruttoria anteriore rispetto a quella processuale in cui tali diritti sono diret-tamente garantiti dagli artt. 24 e 111 Cost.

2. La tutela in ambito endo-pro-cedimentale è particolarmente richiesta a causa dell’ampia gamma di stru-menti presuntivi utilizzabili ai fini della determinazione del reddito evaso da-gli Uffici ispettivi sin dalla fase di verifica, in cui si svolge oramai prevalen-temente e anticipatamente l’istruttoria

3 anche alla luce delle recenti politiche perseguite da organismi internazionali (OCSE e Commissione UE) in ma-teria fiscale volte all’attuazione della tax compliance e della good governance

4 e che presuppongono il rispetto dei diritti fondamentali. Decisivo a tal pro-posito è stato l’assorbimento delle disposizioni CEDU nella sfera dell’ordi-namento UE

5 (tra cui l’art. 41 Carta Europea Diritti Fondamentali), carat-terizzato da principi e regole che hanno sempre avuto prevalentemente fina-lità economica e che condizionano fortemente gli ordinamenti fiscali nazio-

2 I principi CEDU sono in grado di ampliare le garanzie già previste dal nostro ordina-mento ed in particolare quelle previste dall’art. 24 e 111 Cost. e renderle operative sin dal-la fase istruttoria procedimentale. Essi costituiscono standard internazionali generalmente riconosciuti che si pongono alla base della nozione di giusto procedimento. Con l’ord. 24 luglio 2009, n. 244 è stato chiarito tuttavia dalla Corte costituzionale infatti che gli artt. 24 e 111 Cost., sono parametri non possono essere invocati in relazione al procedimento di accertamento tributario, ed in relazione ad una norma che viola l’obbligo di contradditto-rio endo-procedimentale e che non ha natura processuale ed è, quindi, estranea all’ambito di applicazione dei suddetti parametri costituzionali.

3 La tendenza verso l’anticipazione della difesa in fase endo-procedimentale non sem-pre garantisce nel senso che spesso non consente in tempi brevi al contribuente di fornire giustificazioni (si pensi al difficile reperimento di documentazione giustificativa di opera-zioni bancarie o alla dimostrazione dell’inerenza di una spesa effettuata da un residente in altro Paese). GALLO, Contraddittorio procedimentale, in Dir. prat. trib., 2011, p. 477, ritiene che sarebbe necessario imporre all’ufficio deputato al controllo di rispondere in tempi bre-vi alle contestazioni avanzate dal contribuente in ordine alla legittimità e lesività degli atti posti in essere nei suoi confronti.

4 Il documento Platform for tax good governance, Discussione papers della Commissione DG Taxaud del 2 marzo 2015 è stato emanato per evitare le difficoltà di tipo amministrativo che possono sorgere al fine di contrastare la pianificazione fiscale aggressiva e garantire fi-scalmente certezza e prevedibilità ai contribuenti delle operazioni da effettuare.

5 I diritti garantiti dalle norme CEDU, sanciscono una serie maggiore di garanzie anche nei confronti del contribuente e sono in grado di interpretare e integrare i parametri costi-tuzionali e di superare la sovranità nazionale attraverso la disapplicazione di norme proce-durali interne incompatibili. Le norme CEDU rafforzate e comunitarizzate a seguito dell’a-desione dell’Unione Europea alla convenzione diritti umani, ampliano la sfera applicativa di principi già esistenti come il giusto processo e il diritto di difesa. V. AMATUCCI, Il raffor-zamento dei principi comuni europei e l’unicità del sistema fiscale nazionale, in Riv. trim. dir. trib., n. 1, 2013, p. 3.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 260

nali 6. Misure nazionali come quelle procedimentali, possono dunque ormai

essere disapplicate quando il diritto di difesa basato sulla CEDU, è stretta-mente correlato alle libertà fondamentali che non sono più solo economi-che, ma collegate alla persona e ai diritti sociali

7. Tuttavia, secondo i recenti orientamenti della stessa Corte di Giustizia e della Cassazione, l’obbligo di disapplicazione delle norme che violano i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU, non deve impedire l’attività valutativa autonoma del giudice nazio-nale, né incidere sulla sfera giurisdizionale interna

8. Non vi è dubbio che la compatibilità o affinità tra le norme procedimentali tributarie adottate dai diversi Stati membri che scaturisce dall’attuazione di principi comuni, oltre a favorire l’integrazione fiscale e ad evitare restrizioni formali o indirette del-le libertà fondamentali, agevola allo stesso tempo la cooperazione nella lotta all’evasione e all’elusione a livello transnazionale.

6 RAGUCCI, Il contraddittorio come principio generale del diritto comunitario, in Rass. trib, 2009, p. 585, osserva come le norme CEDU sono norme interposte che integrano il para-metro di costituzionalità la cui valutazione spetta alla Corte costituzionale. La giurispru-denza della Cass. (sentt. 10 febbraio 2011, n. 19367/2008 e n. 3270) ha inizialmente affer-mato l’esclusione dalla sfera applicativa della convenzione dei diritti umani delle contro-versie relative ad obbligazioni che risultino dalla legislazione fiscale eccetto le sanzioni tri-butarie che per la afflittività siano assimilabili a quelle penali. V. TUNDO, Procedimento tri-butario e difesa del contribuente, Padova, 2013, p. 142.

7 Le norme CEDU rafforzate e comunitarizzate a seguito dell’adesione dell’Unione Eu-ropea alla convenzione diritti umani, dovrebbero applicarsi anche a fattispecie che rientra-no nella sfera del diritto dell’Unione Europea. Per maggiori approfondimenti sul tema v. MELIS, Evasione ed elusione fiscale internazionale, in Rass. trib., 2014, p. 1293. DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010, p. 220 ss. V. ZAGRE-BELSWKI, La prevista adesione della UE alla CEDU, in www.europeanrights.eu, osserva che oggi la Corte UE fa continuo riferimento alla CEDU nella interpretazione e applicazione della convenzione e la Corte CEDU trova continua ispirazione dalla giurisprudenza della nor-mativa UE. L’adesione della UE alla CEDU potrebbe inoltre favorire lo sviluppo della giu-risprudenza della Corte CEDU. V. sul tema GALLO, Ordinamento UE e principi fondamen-tali, Napoli, 2006, p. 29, secondo il quale vi sarebbe una certa equivalenza tra protezione dei diritti fondamentali nel sistema UE e principi costituzionali nazionali.

8 Sent. Corte Giust., Fransson, causa 26 febbraio 2013, C-617/10. La Cass., nella sent. n. 11082/2010 inoltre, dopo aver esaminato la estensione della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nell’ordinamento tributario italiano, ha individuato un limi-te, laddove ha riconosciuto che, i principi fissati dalla CEDU, attribuiscono la potestà di giudicare, parametro di riferimento per la valutazione dell’idoneità dei mezzi predisposti a tutela di quelle posizioni soggettive (momento valutativo interno, anche ai fini della tutela del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.), ma non incidono affatto sulla interpretazione delle norme (nazionali) di ripartizione della giurisdizione.

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Fabrizio Amatucci 261

2. Il ruolo fondamentale di principio guida della proporzionalità

La proporzionalità consente la corretta applicazione dei principi europei ai quali si deve ispirare l’attività dell’amministrazione compresa quella finan-ziaria, consentendo da parte delle autorità nazionali la piena attuazione di una serie di garanzie come la coerenza e la tutela dell’affidamento dell’azio-ne amministrativa che si contrappongono all’interesse fiscale. Essa è dunque un canone di tutela procedimentale che può determinare, grazie alla sua fles-sibilità ed alla sua forza espansiva, il superamento delle regole nazionali pro-cedurali restrittive, individuando nuovi e diversi limiti più ragionevoli e con-sentendo allo stesso tempo di garantire il diritto di difesa e l’affidamento sen-za estendere eccessivamente la discrezionalità dell’Amministrazione Finan-ziaria nella fase procedimentale

9. In base al principio della proporzionalità le azioni della Pubblica Amministrazione devono essere svolte arrecando il minor pregiudizio possibile al cittadino contribuente e non eccedere mai quanto necessario per il perseguimento dell’obiettivo. Tra i principi CEDU ispirati e fondati sulla proporzionalità in grado di ampliare le garanzie già previste dal nostro ordinamento e renderle operative sin dall’istruttoria pro-cedimentale in fase di contraddittorio, va menzionato il diritto al silenzio che garantisce termini ragionevoli della difesa in fase amministrativa

10. In altra occasione

11, la Corte europea ha ribadito che il diritto ad essere ascoltato ed al silenzio durante le attività istruttorie, costituisce uno standard internazio-nale generalmente riconosciuto che si pone alla base delle nozione di equo processo e che è garantito in materia tributaria quando dalle indagini fiscali possono scaturire conseguenze di tipo penale

12. Viene inoltre posta l’atten-

9 MARCHESELLI-COSTANZO, Elusione fiscale nello specchio del giusto processo, in Corr. trib., 2016, p. 897. Con riferimento all’abuso si osserva che la verifica non è limitata alla sola fase procedimentale ma va considerata in una dialettica ordinata ed integrata in istruttorie di-stinte (compresa quella processuale) in un’ottica collaborativa.

10 V. sent. Corte Europea Dir. Um., caso Murray, 8 febbraio 1996, n. 18731/91. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha dichiarato che obbligare l’imputato a rendere testi-monianza non è stato ritenuto in contrasto con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, mentre vi sarebbe violazione della Convenzione se una condanna fosse basata solo o principalmente sul rifiuto di testimoniare. V. AMATUCCI Il superamento delle preclusioni probatorie e l’ampliamento del diritto di difesa del contribuen-te, in Riv. trim. dir. trib., n. 2, 2014, p. 274.

11 Nel caso Chambaz c. Switzerland, 5 aprile 2012, n. 11663/04. 12 DELLA VALLE, Il giusto processo tributario: la giurisprudenza CEDU, in Rass. trib.,

2013, p. 443, commentando tale caso osserva che in tale caso la Corte di Strasburgo in li-

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 262

zione della giurisprudenza EDU sulla tutela immediata del contribuente in casi di irregolarità nella fase procedimentale delle ispezioni e dei sequestri

13. Particolarmente importante in tale contesto di interventi giurispruden-

ziali ispirati alla proporzionalità, è l’orientamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel noto caso caso Jussila della Corte di Strasburgo del 2 novembre 2006, n. 73053/01, in cui si è fissato un limite in materia proba-toria se pur in fase processuale

14. La Corte EDU considera infatti l’esclusio-ne della prova testimoniale compatibile con il giusto processo e con la pro-porzionalità solo se da tale divieto non derivasse un grave pregiudizio del ri-corrente sul piano probatorio non altrimenti rimediabile

15. Anche in ambito dell’Unione Europea analoghi principi fondamentali co-

me l’imparzialità e la buona fede che vengono posti alla base degli interventi della Corte europea, sono ispirati alla proporzionalità ed assumono valore di principi generali che tutelano particolarmente il contribuente durante il contraddittorio procedimentale. Essi trovano uno specifico riferimento nor-mativo secondo quanto previsto dall’art. 41, par. 2 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che è divenuta vincolante nel 2009 con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Tale norma sancisce infatti espres-samente il diritto del cittadino ad «essere ascoltato prima che nei suoi con-fronti venga adottato un provvedimento che gli arrechi pregiudizi». Inoltre anche la Commissione UE è intervenuta in relazione allo scambio di infor-mazioni ed ha emanato la decisione del 23 aprile 2013 con la quale ha pro-posto l’istituzione di una Platform for tax good governance, aggressive tax plan-ning and DT, volta a stimolare il dibattito tra le Amministrazioni Finanziarie dei Paesi membri per quanto riguarda la good governance fiscale.

La Corte di Giustizia UE, dopo un primo periodo in cui ha ritenuto che alcuni principi guida dell’attività procedimentale tributaria come quello del contraddittorio e della proporzionalità operassero solo qualora il procedi-mento amministrativo fosse propedeutico all’irrogazione delle sanzioni (sent. 24 ottobre 1996, C-32/95, caso Listrestal), ha considerato che l’appli-cazione degli stessi fosse da ritenere generalizzata e da estendere a qualsiasi nea con la precedente giurisprudenza, ritiene che l’irrogazione di sanzioni infrange il dirit-to al silenzio violando l’art. 6 CEDU.

13 V. caso Ravon, 10 giugno 2003, n. 18497 in attuazione degli artt. 41, 47 e 48 CEDU. 14 Il caso era relativo al diritto di un contribuente ad essere ascoltato in udienza ed a far

valere la prova testimoniale, nel processo amministrativo tributario finlandese. 15 AMATUCCI, Il superamento delle preclusioni probatorie e l’ampliamento del diritto di di-

fesa del contribuente, in Riv. trim. dir. trib., n. 2, 2014, p. 275.

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Fabrizio Amatucci 263

procedimento nei confronti di persone per effetto dell’art. 41 Carta Europea dei Diritti Fondamentali. Si è dunque riconosciuto, entrando più nel detta-glio, valore all’effettività della difesa durante il contraddittorio procedimen-tale in materia tributaria. Proprio al contraddittorio è dedicata particolare attenzione da parte della giurisprudenza UE che considera quest’ultimo prin-cipio fondamentale di diritto UE in grado di garantire fortemente e più diret-tamente la tutela degli interessi del contribuente e i principi di buona ammi-nistrazione

16. Il diritto al silenzio è stato sancito infatti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia

17 in particolare nei procedimenti amministrativi ri-guardanti il diritto a non testimoniare contro sé stessi, che fa parte del dirit-to UE accolto dagli Stati membri aderenti alla CEDU. Il diritto di difesa im-plica per il destinatario un ragionevole lasso di tempo di durata del contrad-dittorio (che il giudice nazionale dovrà valutare) sufficiente per poter far va-lere il proprio punto di vista

18 e ciò nel rispetto del principio dell’effettivi-

16 In proposito, con la sent. Sopropè C-349/07/2008, sono stati riconosciuti dalla Cor-te di Giustizia il diritto di difesa e al contraddittorio a livello UE in materia doganale (il ca-so riguardava il termine preclusivo che era previsto in fase istruttoria per l’audizione della parte e la comunicazione di documenti) come principi generali e fondamentali. V. DE FLORA, I limiti del principio del contraddittorio preventivo, in Dir. prat. trib. int., 2012, p. 995, la quale ritiene che i giudici UE con la sent. Sopropè attribuiscono al diritto al contradditto-rio valore di principio fondamentale dell’ordinamento tributario in quanto strumento in grado di attuare i principi della buona amministrazione. V. inoltre RAGUCCI, op. cit., p. 588.

17 V. sentenza Corte Giust., Postbank, 10 novembre 1993, C-60/92 ove la Corte affer-ma che la Commissione UE «nonostante in taluni casi può obbligare un’impresa a fornire tutte le informazioni, non può pregiudicare i diritti di difesa riconosciuti all’impresa impo-nendo ad es. l’obbligo di fornire risposte attraverso le quali sarebbe indotta ad ammettere l’esistenza della trasgressione che deve esser provata dalla Commissione». Ciò implica in generale un potenziamento dei poteri istruttori nei sistemi giuridici nazionali e l’elimina-zione di preclusioni in fase processuale. V. inoltre la sentenza Corte Giust., Orkem, 18 ot-tobre 1989, C 374/87, p. 34, Trib. I grado UE, 28 aprile 2010, T-446/05 e sent. Corte Giust., Sopropè, 19 dicembre 2008, C-439/07.

18 V. sent. Corte Giust. Sopropè (pp. 37 e 38) ove è affermato che «In forza di tale prin-cipio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. A tal fine essi devono benefi-ciare di un termine sufficiente. Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati mem-bri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del dirit-to comunitario, quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espres-samente siffatta formalità. Trattandosi dell’attuazione del principio in parola e, più in par-ticolare, dei termini per esercitare i diritti della difesa, si deve precisare che, qualora non siano fissati dal diritto comunitario, come nella causa principale, essi rientrano nella sfera del diritto nazionale purché, da un lato, siano dello stesso genere di quelli di cui beneficia-

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 264

tà 19. Come accaduto in ambito CEDU, la gradualità nell’applicazione di tale

principio, non impone sempre ed in ogni caso l’obbligo del contraddittorio, ma giustifica una differenziazione caso per caso fondata sulla proporzionali-tà

20, e sulla necessità del “grave pregiudizio” all’esercizio del diritto di difesa del contribuente scaturente dalla mancata osservanza diritto ad essere ascol-tato. Viene inoltre individuato un doppio limite nel caso di specie dalla giu-risprudenza, chiarendo che, qualora il diritto dell’Unione non fissa né le condizioni alle quali deve essere garantito il rispetto dei diritti della difesa, né le conseguenze della violazione di tali diritti, questi ultimi rientrano nella sfera del diritto nazionale, purché i provvedimenti adottati in tal senso siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli in situazioni di dirit-to nazionale comparabili (principio di equivalenza) e non rendano in prati-ca impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal-l’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività)

21. La compa-rabilità tra le situazioni interne e di diritto UE non va intesa certamente in negativo e non significa che se l’ordinamento non preveda un obbligo gene-ralizzato di contraddittorio, esso non possa essere comunque garantito a tu-tela di diritti fondamentali.

Chiarisce infatti la stessa Corte UE che il principio del contraddittorio impone un obbligo che incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità

22. Esso costituisce applicazio- no i singoli o le imprese in situazioni di diritto nazionale comparabili, e, dall’altro, non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti della di-fesa conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario».

19 V. inoltre Corte Giust., sent. 13 settembre 2007, C-439/05. 20 In ambito UE v. sentt. Corte Giust. Postbank, 10 novembre 1993, C-60/92 ove la

Corte osserva che è richiesto un potenziamento dei poteri istruttori nei sistemi giuridici na-zionali e l’eliminazione di preclusioni in fase processuale. V. inoltre la sentenza Corte Giust. Orkem, 18 ottobre 1989, C 374/87, p. 34, Trib. I grado 28 aprile 2010, UE T-446/05. Si ricorda che in materia doganale dei recente l’art. 22, Reg. n. 952/2013 entrato in vigore dal 1° maggio 2016, prevede che le autorità doganali prima di prendere decisioni favorevoli al contribuente devono dare la possibilità al richiedente di esprimere il proprio punto di vista.

21 V., in tal senso, in particolare, sentenze del 18 dicembre 2008, Sopropé, cit., punto 38, nonché del 19 maggio 2011, C-452/09, in Racc., pp. I-4043, punto 16. V. IAIA, Il contrad-dittorio anteriore al provvedimento amministrativo tributario nell’ordinamento UE, in Dir. prat. trib., 2016, p. 56.

22 Sentenza Corte UE M.G. e R., 10 settembre 2013, C-383/13, punto 32 in materia di libera circolazione delle persone.

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ne del diritto di difesa la cui violazione può essere invocata direttamente in-nanzi al giudice nazionale e risulta fondamentale nell’ordinamento europeo anche se può essere soggetto a restrizioni nel rispetto dell’effettività e della proporzionalità, secondo quanto stabilito nella sentenza della Corte UE Ka-mino, causa 3 luglio 2014, C-130/13. Tali restrizioni tuttavia non possono certo essere intese come settoriali

23, ma riguardano, secondo la giurispru-denza ai fini dell’annullamento del successivo atto impositivo, nel rispetto della proporzionalità, la valutazione degli effetti della mancata partecipazio-ne del contribuente ossia l’eventuale risultato diverso che sarebbe scaturito in mancanza di irregolarità procedurale. È stata inoltre prevista dalla Corte UE con la sentenza della Corte di Giustizia WML, 17 dicembre 2015, causa C-419/14, la possibilità di ammettere nel processo tributario le prove prove-nienti dal procedimento penale, solo se il contribuente è preventivamente ascoltato dalle autorità amministrative e se ha avuto accesso a tali prove.

Una conseguenza che dovrebbe derivare da tale evoluzione della giuri-sprudenza europea in materia di contraddittorio, è il riconoscimento da parte dell’ordinamento nazionale del giusto procedimento amministrati-vo, che consentirebbe di assicurare una effettiva parità delle parti attraver-so maggiori vincoli nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria e meno restrizioni per il contribuente. Il diritto al contraddittorio andrebbe rico-nosciuto dunque in presenza di precise condizioni quali ad es. l’esistenza di situazioni penalmente rilevanti (fondate su di un autonomo sistema pro-batorio) ed in presenza della gravità del pregiudizio che potrebbero deri-vare dalla mancata partecipazione da parte del contribuente

24. Tale gra-duazione consentirebbe di superare, attraverso criteri più precisi, la ten-denza del nostro legislatore a stabilire l’obbligatorietà del contraddittorio in relazione a singole fattispecie ed a sanzionare talvolta a pena di nullità il mancato rispetto di tale regola

25.

23 Vedi orientamento sent., sez un., 9 dicembre 2015, n. 24823 esaminata oltre al par. 3. Su tale sentenza MULEO, Il contraddittorio procedimentale: un miraggio evanescente?, in que-sta Rivista, n. 1, 2016, p. 233.

24 Nel nostro ordinamento il diritto al silenzio trova applicazione in materia penale no-nostante dal suo esercizio possa derivare l’impossibile formazione della prova testimoniale (Cass., 17 settembre 2007, n. 34928 e 28 gennaio 2008, n. 32557).

25 La disomogeneità nel nostro ordinamento tributario deriva, da un lato, dalla conce-zione autoritativa basata sulla indisponibilità della posizione del fisco, dall’altra, hanno de-terminato tuttavia, come esaminato, la mancanza di una norma generale idonea a sancire in via astratta il diritto del contribuente alla partecipazione all’attività posta in essere dall’Am-ministrazione Finanziaria ed avente ad oggetto la propria posizione erariale. Quest’ultimo

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3. Gli orientamenti della giurisprudenza nazionale in materia di contraddit-torio

La nostra giurisprudenza inizialmente si è uniformata a tali orientamenti europei (con sentt. n. 14105/2010

26 e n. 8481/2010) e si è pronunciata in materia doganale secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia comu-nitaria ritenendo che i diritti fondamentali sanciti a livello europeo, sono parte integrante dei principi generali dei quali

27 la Corte di Giustizia garan- può tuttavia partecipare all’attività istruttoria e di accertamento qualora norme specifiche lo impongano in riferimento ai singoli istituti da esse disciplinati. Nello specifico:

– tutte le volte in cui dai controlli automatici o dal controllo formale della dichiarazio-ne emerge un dato diverso da quello dichiarato, l’Amministrazione Finanziaria deve o ha l’obbligo di comunicare al contribuente l’esito del controllo e garantirgli la possibilità di fornire i chiarimenti ritenuti opportuni;

– D.P.R. n. 600/1973, artt. 36 bis e 36 ter; L. n. 212/2000, art. 6; – terminate le verifiche fiscali, al contribuente devono essere concessi sessanta giorni

di tempo (a partire dalla data di consegna del PVC) per effettuare le proprie osservazioni e richieste all’ufficio, che fino al decorso del suddetto termine non può emanare l’avviso di accertamento salvo casi di particolare e motivata urgenza (L. n. 212/2000, art. 12, comma 7, c.d. contraddittorio anticipato). V. sent. 10 giugno 2015, n. 11993 «L’Amministrazione finanziaria è, invero tenuta, a pena di nullità dell’avviso di accertamento o di rettifica, alla osservanza del termine dilatorio di giorni sessanta decorrenti dalla consegna del verbale di chiusura delle operazioni, prescritto dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212 citata per la emissione dell’atto impositivo …»;

– prima dell’emissione di un avviso di accertamento sintetico, l’Amministrazione Finan-ziaria deve invitare il contribuente a comparire per dargli la possibilità di dimostrare che il maggior reddito determinato sinteticamente non è tassabile o è stato già tassato (D.P.R. n. 600/1973, art. 38);

– quando si recuperano a tassazioni costi derivanti da operazioni intrattenute con im-prese estere partecipate, aventi sede nei c.d. paradisi fiscali, l’Amministrazione Finanziaria deve invitare il contribuente a fornire la prova della effettività della attività economica svol-ta nel Paese in cui hanno sede (art. 110, comma 11, TUIR);

– l’art. 10 bis da ultimo stabilisce insieme alla clausola antiabuso, a pena di nullità, l’at-tivazione di tale procedura di contraddittorio da parte dell’ufficio in quanto si rende in tali casi realmente obbligatoria e rilevante una procedura preliminare che era già prevista an-che per l’art. 37 bis, comma 4, e considerata legittima dalla sent. Corte cost. n. 132/2015. La necessità di un contraddittorio endo-procedimentale a pena di nullità si giustifica forse per la difficoltà di individuazione delle fattispecie incerte di abuso.

26 Secondo la Cassazione in materia doganale è stato integralmente violato il diritto fondamentale di difesa consentito nella fase amministrativa dalla normativa nazionale – ol-treché imposto dalla giurisprudenza comunitaria. Il contraddittorio costituisce «un prin-cipio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l’Amministra-zione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo».

27 V. par. 33 sent. Sopropè, cit. A tal fine, quest’ultima si ispira alle tradizioni costituzio-

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Fabrizio Amatucci 267

tisce l’osservanza, ispirandosi alle indicazioni fornite a livello internazionale in materia di tutela dei diritti dell’uomo. Effettività ed equivalenza consen-tono di intervenire sulle norme procedimentali e sul contraddittorio qualora esse siano restrittive ed impediscano, attraverso preclusioni, la difesa e dunque l’attuazione dei diritti garantiti dall’Unione Europea.

La Cass., sez. un., n 19667/2014, ha riconosciuto l’esistenza nell’ordina-mento interno del diritto al contraddittorio considerato principio imma-nente riconducibile agli artt. 24 e 97 Cost. ed attuabile anche in mancanza di espressa previsione normativa. Ha ritenuto inoltre intollerabile il riferi-mento ad un diverso trattamento in tema di contraddittorio in quanto le fat-tispecie interne non si distinguono da quelle comunitarie. La obbligatorietà del contraddittorio, se pur in relazione all’art. 37 bis, comma 4, è stata con-siderata legittima costituzionalmente anche dalla sent. della Corte cost. n. 132/2015

28. Successivamente, attraverso una sorprendente inversione di tendenza, tuttavia secondo la stessa Corte, il contraddittorio non è stato ri-tenuto un principio immanente nel nostro ordinamento, ma una regola spe-ciale che opera solo in alcuni casi specifici e dunque obbligatorio solo a me-tà. La Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823, ha infatti distinto irragio-nevolmente i tributi armonizzati dai non armonizzati ritenendo il contrad-dittorio obbligatorio solo con riferimento ai primi e considerando che quest’ultimo non potesse essere ancorato agli artt. 24 e 97 Cost. Ciò signifi-ca che, nonostante tale distinzione tra diverse categorie di tributi non sia specificamente prevista dal nostro ordinamento in relazione ad una serie di norme e regole comuni come quelle in materia antielusiva e antiabuso (si pensi alla recente clausola generale anti abuso prevista dall’art. 10 bis, L. n. 212/2000 che si uniforma alla Commissione UE che ha esteso nella Rac- nali comuni agli Stati membri oltre che alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo a cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito (v., in particolare, sent. 6 marzo 2001, causa C-274/99, Connolly/Commissione, in Racc., pp. I-1611, punto 37).

28 La Corte costituzionale ritiene che non sia violato il principio di eguaglianza da una obbligatorietà del contraddittorio prevista solo in alcune fattispecie come quella dell’art. 37 bis, ritenendo che vi sarebbe una tendenza della giurisprudenza (sentt. 14 gennaio 2015, n. 406 e 5 dicembre 2014, n. 25759) ad ampliare tale obbligatorietà, ma aggiunge che è sufficiente osservare che la mancanza dell’espressa previsione, in essa, del contraddit-torio anticipato non sarebbe comunque d’ostacolo all’applicazione del principio generale di partecipazione del contribuente al procedimento, di cui si è detto. Sicché nemmeno questo termine di riferimento sarebbe idoneo a dimostrare la denunciata disparità di trat-tamento.

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comandazione del 2012 la portata della clausola antiabuso a tutta la materia fiscale), vi dovrebbe essere un diritto al contraddittorio più consolidato ed un diritto di difesa maggiormente garantito in ambito giurisprudenziale in materia di IVA, rispetto a quello che investe il settore non armonizzato delle imposte dirette con conseguente tutela differenziata.

Con la sentenza della Cass., sez. un. n. 24823/2015 si è dunque tornati in-dietro e si è ripristinata la distinzione che era considerata inizialmente anche nell’abuso del diritto tra IVA e tributi non armonizzati

29. Tale orientamento è stato confermato nella sent. Cass. n. 7137/2016 ove è stato chiarito che l’an-nullamento deriverebbe solo dal mancato contraddittorio per i tributi armo-nizzati ed in ogni caso sarebbe necessario, solo per tale categoria di tributi, il rispetto dei limiti individuati nella sentenza Kamino nello specifico l’onere del contribuente di prospettare le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di contraddittorio

30. Come esaminato, la nostra giurisprudenza, dunque, attra-

29 La Corte di Cassazione si è basata infatti in un primo momento sui principi giuri-sprudenziali comunitari sull’abuso del diritto enucleati in materia di IVA che appartengo-no al rango delle fonti comunitarie primarie e in quanto tali godono di una efficacia tipica delle fonti di primo grado prevalendo sul diritto nazionale e sono in grado di creare diritti ed obblighi, ritenendo esistente, con le sentt. 21ottobre 2005, n. 20398 e n. 20318 e 14 no-vembre 2005, n. 22932 in materia di dividend washing, nel nostro ordinamento una nozio-ne di abuso del diritto che deve indurre l’interprete alla ricerca di adeguati mezzi (come la figura del contratto di frode alla legge contemplata dall’art. 1344 c.c. o la nullità della sequen-za negoziale per carenza di causa concreta). Successivamente, con sentt. 29 settembre 2006, n. 21221; 4 aprile 2008, n. 8772; 15 settembre 2008, n. 23633 e 17 ottobre 2008, n. 25374, si è prospettata in modo più articolato nuovamente la diretta applicazione nell’ordinamento tributario del principio dell’abuso del diritto e si è affermato chiaramente che tale principio trova applicazione in tutti i settori dell’ordinamento tributario ed anche in quello delle im-poste dirette. Finalmente, nelle sentenze Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055 e n. 30057 viene correttamente sganciato dai principi giurisprudenziali comunitari l’abuso del diritto in materia di imposte dirette il quale, essendo riferito ad una categoria di tributi non armonizzata, si fonda sugli artt. 53 e 23 Cost. ed è sancita la sua rilevabilità d’ufficio da par-te del giudice. V. SALVINI, L’elusione IVA nella giurisprudenza nazionale e comunitaria, in Corr. trib., 2006, p. 3097.

30 Viene infatti affermato in tale sentenza in relazione ai tributi “armonizzati” (in parti-colare: l’IVA), recependo gli orientamenti della sentenza Kamino, che, inerendo alle com-petenze dell’Unione, sono investiti dalla diretta applicazione del relativo diritto, l’obbligo del contraddittorio procedimentale assume, invece, un rilievo generalizzato, e la sua violazione determina l’annullamento del provvedimento solo se, «in mancanza di tale irregolarità, il procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso”», e cioè ove risulti che il contraddittorio, ove vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rive-stito una sua ragione d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e dunque non puramente fittizi o strumentali; nello specifico: il contribuente ha l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il con-

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verso una recente interpretazione restrittiva e non corretta basata sulle diffe-renti regolamentazioni normative previste dal nostro ordinamento, tende in qualche modo a riconoscere e limitare i casi di obbligatorietà scaturenti dalla nullità dell’atto emanato in mancanza del contraddittorio sulla base della tipo-logia dei tributi (armonizzati e non) oggetto del procedimento, lasciando in vita quel margine di autonomia procedimentale nazionale in materia di tributi non armonizzati che sembra ancora essere riservato al legislatore nazionale.

Tale tendenza della nostra giurisprudenza e del legislatore non appare tuttavia condivisibile e non conforme alla proporzionalità in quanto non si fonda su di una gradualità del riconoscimento del principio del contradditto-rio quale espressione del diritto di difesa che risulta fondamentale secondo l’ordinamento europeo, anche se può essere soggetto a restrizioni (ciò emer-ge proprio nella sentenza Corte UE Kamino cit.). Tali restrizioni, che sono previste a livello UE se rispondono ad obiettivi di interesse generale

31, non possono certo essere considerate come avviene nel nostro ordinamento, set-toriali e basate su un determinato tributo (armonizzato), o sul tipo di accer-tamento e di clausola antielusiva, ma riguardano trasversalmente la valuta-zione degli effetti della mancata partecipazione del contribuente come rico-nosciuto anche dalla nostra giurisprudenza

32. È da ritenere ormai superata l’idea che le maggiori garanzie possano limi-

tarsi al solo settore armonizzato, nonostante in tale ambito esse siano state per lungo tempo disconosciute o limitate (condoni, falcidia, abuso IVA) per assicurare la riscossione di una risorsa propria dell’Unione Europea, in quanto ultimamente gli interventi a livello europeo in particolare volti al contrasto dell’elusione e abuso, riguardano tutti i tributi anche non armonizzati

33. La prevalenza di tali norme europee su quelle nazionali procedimentali o pro-cessuali è particolarmente rilevante in quanto, è solo attraverso l’amplia- traddittorio fosse stato tempestivamente attivato. Ragioni che, valutate al momento del mancato contraddittorio, devono rilevarsi non puramente pretestuose e, come tali, da de-terminare uno sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale per le quali l’ordinamento lo ha predisposto.

31 Sentenza Corte Giust. Texdata, 26 settembre 2013, C-416/11. 32 I riflessi negativi di questa limitazione fondata sulla distinzione settoriale tra tributi

vanno individuati nell’iniquità che genera uno sviluppo non armonico dell’ordinamento tri-butario nazionale ed un sistema procedimentale differenziato.

33 Vedi in tal senso la Giur. UE, sent. 29 marzo 2012, 3M (causa C-417/10), sentt. 23 aprile 2008, C-201/05; 6 settembre 2012, C-18/11; 18 luglio 2007, C-231/05, la raccoman-dazioni della Commissione in materia antielusiva (n. 772/2012) e la Comunicazione del 28 gennaio 2016, COM 2016(23) c.d. pacchetto piano antielusione.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 270

mento del diritto di difesa che si può garantire il soddisfacimento dei diritti fondamentali del cittadino-contribuente a fronte di un inasprimento delle misure di contrasto. Deve ritenersi che l’effettività della tutela della difesa del contribuente in fase pre-contenziosa non può essere parziale e dovrebbe determinare le stesse conseguenze in qualsiasi situazione interna, secondo gli orientamenti europei, nella fase procedimentale che spesso è unica e ri-guarda contestualmente IVA e imposte dirette

34. Inoltre, proprio l’effettività dovrebbe indurre la giurisprudenza nazionale ed il nostro ordinamento a dedicare minore attenzione alla nullità degli atti fine a sé stessa

35 per manca-ta instaurazione del contraddittorio al di là dell’utilità nei singoli casi che avrebbe potuto trarre il contribuente dalla sua attivazione, attraverso ad es. l’esibizione di documentazione probatoria che sarebbe stata idonea a far pervenire la controversia ad un risultato diverso.

4. Le limitazioni del contraddittorio in ambito transnazionale e nello scam-bio di informazioni

Particolarmente complessa è la operatività delle garanzie esaminate in ambito procedimentale e di contraddittorio, sancite a livello giurispruden-ziale in situazioni intra-comunitarie o transnazionali, che coinvolgono con-tribuenti residenti che producono reddito all’estero ed in particolare nei casi di scambio di informazioni tra Stati o di collaborazione allargata, rafforzata o multilaterale. Non vi è infatti una disciplina europea che preveda un dirit-to del contribuente ad essere informato dall’Amministrazione Finanziaria di ogni richiesta di informazioni sul suo conto, né la possibilità di partecipare a tale fase di scambio. Tuttavia la c.d. cooperazione allargata sancita sia a livel-lo internazionale attraverso il FACTA ed il CRS

36, prevede un coinvolgi-

34 MULEO, op. cit., p. 252, osserva correttamente che i vizi che interessano una delle ga-ranzie procedimentali costituiscono vizi dell’intero procedimento e suscettibili di inficiare l’atto impositivo emesso. Nell’ambito di accertamenti unitari i tributi armonizzati non possono subire un trattamento deteriore rispetto a quelli non armonizzati e nulla osta a che la disciplina più garantista sia estesa ai secondi quando dell’esigenza di regime unitario discende dall’unitarietà del procedimento di accertamento.

35 Il riconoscimento dell’obbligatorietà del contraddittorio endo-procedimentale, sen-za una precisa definizione dei contenuti ai fini probatori dello stesso, non contribuisce ad un rafforzamento del diritto di difesa del contribuente che può incontrare in concreto osta-coli tali da rendere improduttiva tale fase.

36 Lo scambio multilaterale automatico dei dati (Common Reporting Standard – CRS)

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mento dei soggetti terzi come istituti finanziari che partecipano ed hanno un ruolo attivo durante lo scambio di informazioni. Anche se la Corte di Giusti-zia ha riconosciuto l’importanza della cooperazione allargata nello scambi di informazioni che vede il coinvolgimento del contribuente o di terzi ai fini probatori nella sentenza Skandia del 26 giugno 2003, causa C-422/01, e nel-l’utilizzo di risultanze probatorie provenienti dal procedimento penale (sent. WML cit.) penale, in altre occasioni (v. sentenza Sabou del 22 ottobre 2013, C-276/12

37) ha ritenuto, in materia di contraddittorio nell’ambito dello scambio di informazioni in materia di IVA tra Stati, non violato il diritto di difesa in mancanza di contraddittorio con il contribuente. Si è affermato che va esclusa l’esistenza di un diritto ad essere informato e di partecipare alle audizioni nel caso di una richiesta di assistenza formulata (richiesta di in-formazioni) da uno Stato ad un altro. Emerge in tali casi la prevalenza degli interessi patrimoniali rispetto ai valori della persona.

Il diritto fondamentale al contraddittorio non è riconosciuto in tale fase c.d. di collaborazione multilaterale da parte della nostra giurisprudenza in cui sono coinvolti i due Stati o in cui partecipano soggetti terzi con istituti di credito e finanziari e non è consentito dunque al contribuente di essere in-formato delle richieste formulate da altro Stato, anche se nulla impedisce che uno stato estenda tale diritto ad altre fasi d’indagine, coinvolgendo i contribuenti nella raccolta di informazioni. Con le ordinanze Cass. n. 8605 e n. 8606, entrambe depositate il 28 aprile 2015, è stato affermato che la cir-costanza che i documenti (bancari) posti alla base degli atti impositivi siano stati acquisiti mediante strumenti di cooperazione tra Paesi, non impone al-l’autorità italiana un’attività di verifica circa la provenienza e autenticità della documentazione trasmessa. Inoltre – prosegue la Cassazione – non esiste previsto dall’OCSE si basa su una collaborazione da parte di intermediari finanziari. Tale sistema prevede le disposizioni sul contenuto dei dati da riportare, nonché l’illustrazione delle procedure cui gli istituti finanziari dovrebbero attenersi nell’individuazione dei repor-table accounts e nella trasmissione dei dati.

37 Il diritto dell’Unione, quale risulta in particolare dalla Direttiva 77/799/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1977, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competen-ti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e delle imposte sui premi assicurativi, come modificata dalla Direttiva 2006/98/CE del Consiglio, del 20 novembre 2006, e dal diritto fondamentale al contraddittorio, deve essere interpretato nel senso che esso non con-ferisce al contribuente di uno Stato membro il diritto di essere informato della richiesta di assistenza inoltrata da tale Stato a un altro Stato membro al fine, in particolare, di verificare i dati forniti dallo stesso contribuente nell’ambito della sua dichiarazione dei redditi, né il diritto di partecipare alla formulazione della domanda indirizzata allo Stato membro richie-sto, né il diritto di partecipare alle audizioni di testimoni organizzate da quest’ultimo Stato.

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un diritto del contribuente ad essere preventivamente informato circa la pro-cedura di cooperazione attivata

38. Nelle sentenze Cass., 19 agosto 2015, n. 16950 e n. 16951

39, richiamando precedenti della giurisprudenza Corte di Giustizia europea esaminati (caso Sabou cit.), è stato affermato allo stesso modo che non sono previste forme di contraddittorio preventivo qualora si provveda attraverso cooperazione informativa intracomunitaria. Inoltre in tali casi, l’illecita acquisizione dei dati da soggetti terzi non determina la loro inutilizzabilità da parte dell’Amministrazione Finanziaria (v. Lista Falciani

40). In ambito internazionale il rapporto, del 17 maggio 2013, OCSE denomina-to Co-operative Compliance: A Framework. From Enhanced Relationship to Co-operative Compliance del 2013 OCSE collegato al BEPS, è volto anche ad esaminare se può funzionare una cooperative compliance multilaterale

41 ove sono coinvolte nel contraddittorio con l’impresa due o più autorità fiscali di diversi Paesi. Il riconoscimento della documentazione ufficiale o delle prove acquisite in altri Paesi per la compliance multilaterale e la dimostrazione del-lo svolgimento di una effettiva attività di impresa in altro Stato e di una di-stribuzione multinazionale del reddito reale, risultano fondamentali ai fini della valutazione della correttezza dell’attività svolta da imprese multinazio-

38 Con le ordd. n. 8605 e n. 8606, entrambe depositate il 28 aprile 2015, la Cassazione ha innanzitutto affermato che la circostanza che i documenti posti alla base degli atti im-positivi siano stati acquisiti mediante strumenti di cooperazione tra Paesi non impone all’autorità italiana un’attività di verifica circa la provenienza e autenticità della documen-tazione trasmessa, né assume rilievo l’irritualità dell’acquisizione dei dati bancari.

39 L’Amministrazione Finanziaria, nell’attività di contrasto e accertamento dell’evasio-ne fiscale può, in linea di principio, avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche unico, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una specifica dispo-sizione della legge tributaria o dal fatto di essere stati acquisiti in violazione di diritti fon-damentali di rango costituzionale. Sono perciò utilizzabili nell’accertamento e nel conten-zioso con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente di una banca residente all’estero e ottenuti dal fisco italiano mediante gli strumenti di cooperazione comunitaria, senza che assuma rilievo l’eventuale illecito commesso dal dipendente stesso e la violazio-ne dei doveri di fedeltà verso l’istituto datore di lavoro e di riservatezza dei dati bancari, che non godono di copertura costituzionale e di tutela legale nei confronti del fisco medesimo. Si afferma inoltre in tale sentenza che alla base della riservatezza dei rapporti tra banche e clienti non ci sono valori della persona umana da tutelare ma solo interessi patrimoniali e istituzioni economiche.

40 V. sent. CTR Lazio, 14 gennaio 2016, n. 89. 41 Nel documento 2013 l’OCSE esamina la possibilità di adottare cooperative com-

pliance multilaterale attraverso il coinvolgimento Autorità di più Paesi e si mettono in evi-denza le difficoltà riconoscendo che solo in due Paesi (Olanda e UK) è stato adottato un tale tipo di compliance.

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nali che sono le principali protagoniste della compliance. Per garantire una attività multilaterale di compliance è necessario acquisire tali informazioni, non più solo attraverso scambio tra Amministrazione Finanziaria di diversi paesi, ma attraverso il coinvolgimento diretto delle imprese stesse aderenti alla procedura e di soggetti terzi anche non residenti collegate mediante co-operazione rafforzata. I benefici riservati all’impresa derivanti dall’adesione alla compliance (anche una riduzione delle sole sanzioni o degli onere am-ministrativi) dovranno in tali casi essere condivisi dai due Stati in cui è stato prodotto il reddito e percepito. Tale situazione può verificarsi in coinciden-za con la necessità, prevista nel nostro ordinamento a seguito dell’emana-zione del D.Lgs. n. 128/2015, art. 5 che attribuisce nell’ambito dell’adempi-mento collaborativo riservato alle grandi imprese, rilevanza al contradditto-rio

42, di coinvolgere nell’adesione al regime collaborativo le stabili organiz-zazioni di imprese non residenti

43. L’ufficio potrà verificare l’esistenza dei requisiti ed avvierà l’interlocuzione relativa al procedimento di ammissione e l’Agenzia delle Entrate potrà accedere presso le sedi di svolgimento di tali imprese allo scopo di acquisire informazioni utili. Per coinvolgere tali sog-getti non residenti è indispensabile l’interlocuzione costante con le ammini-strazioni di altri Stati.

Fondamentale per superare i imiti al contraddittorio oggi previsti dalla giurisprudenza e dalla legislazione nazionale in tale fase multilaterale, è in sin-tesi comprendere se, attraverso la compliance a livello internazionale o me-diante i recenti accordi preventivi

44, si può avviare un nuovo procedimento

42 La proporzionalità del sistema di controllo è considerata anche nel nostro ordina-mento insieme alla trasparenza e ragionevolezza tra i principi cui si fonda la valutazione del-l’Agenzia delle Entrate del sistema di controllo adottato. Tali principi dovranno essere ri-spettati dall’Agenzia delle Entrate ai fini dell’ammissione e della permanenza del regime e per risolvere le controversie attraverso l’adempimento collaborativo. Tra gli altri impegni pre-visti alla lett. c) del comma 1 della stessa norma, vi è quello della promozione di relazioni con i contribuenti improntate alla collaborazione e correttezza.

43 Come risulta dal Provv. Agenzia Entrate n. 54237/2016. 44 L’art. 31 ter, D.P.R. n. 600/1973 introdotto dal D.Lgs. n. 147/2015 prevede che:

«Le imprese con attività internazionale hanno accesso ad una procedura finalizzata alla stipula di accordi preventivi, con principale riferimento ai seguenti ambiti:

a) preventiva definizione in contraddittorio dei metodi di calcolo del valore normale delle operazioni di cui al comma 7, dell’articolo 110 del testo unico delle imposte sui red-diti approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e dei valori di uscita o di ingresso in caso di trasferimento della residenza, rispettivamente, ai sensi degli articoli 166 e 166-bis del medesimo testo unico. Le imprese che aderiscono al re-gime dell’adempimento collaborativo hanno accesso alla procedura di cui al periodo prece-

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in relazione a determinate attività che preveda come momento centrale il contraddittorio riservato ad alcune imprese transnazionali che si manifestano collaborative al fine di ottenere un vantaggio anche soli in termini di ridu-zione degli oneri amministrativi o se, viceversa, tale regime può essere con-siderato qualcosa in più e superando, attraverso la proporzionalità, gli sche-mi normativi ancora rigidi, pervenire mediante meccanismi validi e certi di auto controllo, maggiore trasparenza ed un contraddittorio permanente o in-terlocuzione costante con l’Amministrazione Finanziaria ad una determina-zione concordata dell’imponibile. In tale ultima ipotesi si cercherebbe di ren-dere più attraente il nostro Paese per le imprese estere garantendo maggiore certezza, tutela dell’affidamento e meno adempimenti e oneri amministrati-vi. Ciò presupporrebbe un coordinamento tra le regole previste per l’attiva-zione della tax compliance e quelle sancite dalle varie discipline antielusive o antiabuso che riguardano fattispecie transnazionali che sono ancora molto disomogenee dal punto di vista della procedura

45. In particolare andrebbe prevista in caso di adesione al regime della compliance, una preclusione da dente anche al fine della preventiva definizione in contraddittorio dei metodi di calcolo del valore normale delle operazioni di cui al comma 10 dell’articolo 110 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986;

b) applicazione ad un caso concreto di norme, anche di origine convenzionale, concer-nenti l’attribuzione di utili e perdite alla stabile organizzazione in un altro Stato di un’impresa o un ente residente ovvero alla stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente;

c) valutazione preventiva della sussistenza o meno dei requisiti che configurano una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato, tenuti presenti i criteri previsti dal-l’articolo 162 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presiden-te della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nonché dalle vigenti Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate all’Italia;

d) applicazione ad un caso concreto di norme, anche di origine convenzionale, con-cernenti l’erogazione o la percezione di dividendi, interessi e royalties e altri componenti reddituali a o da soggetti non residenti.

L’Amministrazione finanziaria esercita i poteri di cui agli articoli 32 e seguenti soltanto in relazione a questioni diverse da quelle oggetto dell’accordo medesimo».

45 Si pensi all’interpello non più obbligatorio per CFC art. 167 TUIR o al contradditto-rio di 90 gg., ai sensi dell’art. 110, comma 11, del D.P.R. n. 917/1986 abrogato dal 1° gen-naio 2016 (obbligo di notifica da parte dell’Amministrazione Finanziaria di apposito avviso con richiesta la prova che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione) ed ancora all’art. 10 bis, L. n. 212/2000 che sancisce contraddittorio a pena di nullità di 60 giorni massimo più 60 gg. per motivazioni dell’Amministrazione Finanziaria. Tale norma, pur essendo emanata in attuazione di esortazioni provenienti in ambito europeo, lascia in vita, per il suo carattere “re-siduale” e comunque più generico espressamente previsto dal comma 12, altre fattispecie antielusive speciali che prevedono il disconoscimento di vantaggio fiscale.

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parte dell’Ufficio della possibilità di nuovi controlli o accertamenti integra-tivi e dall’operatività di normative presuntive antielusive la cui disciplina appare ancora poco omogenea e spesso restrittiva per le imprese per le quali non è previsto il contraddittorio obbligatorio, ma procedure specifiche e più dettagliate. È importante inoltre garantire alle imprese aderenti alla disciplina della compliance attraverso l’adesione, lo stesso risultato in termini di certezza mediante procedure speciali che siano notevolmente meno onerose e arti-colate di quelle ordinarie oggi in vigore.

5. Conclusioni

È difficile stabilire se le garanzie poste dai principi del diritto UE e dalla CEDU come la tutela dell’affidamento e la proporzionalità dell’azione am-ministrativa ed in particolare quelle poste dagli artt. 41, 47 e 48 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali di difesa, imparzialità, buona amministra-zione e diritto di ogni individuo ad essere ascoltato attraverso il contraddit-torio, operino sempre nel diritto procedimentale tributario in caso di man-canza di tutela effettiva del contribuente in fase istruttoria e di accertamento restringendo la sovranità degli Stati. In tal caso si dovrebbe ritenere, attra-verso la good governace europea e la proporzionalità, definitivamente supera-ta la tesi dell’autonomia nazionale in ambito procedurale amministrativo. Tuttavia, l’esistenza di aree (riservate) del diritto procedimentale tributario interno che mantengono la loro autonomia (scambio di informazioni riguar-danti dati bancari da soggetti collocati in diversi Stati) e di sistemi probatori che non possono essere modificati ed influenzati da garanzie di diritto eu-ropeo come la cooperazione rafforzata con i soggetti terzi (ad es. interme-diari finanziari), rendono difficile l’attuazione del contraddittorio multilate-rale. Inoltre è necessario chiedersi se in tale contesto fortemente europeizza-to, sia ragionevole e fondata una frammentazione interna (come spesso acca-de ad es. in materia di contraddittorio nel nostro ordinamento) in assenza di precisi criteri riguardanti i contenuti, gli effetti e la durata delle procedu-re, nel rispetto della effettività del diritto di difesa non solo in ambito pro-cessuale, dei casi di obbligatorietà del contraddittorio. La mancata osservan-za di tali principi e regole non sempre genera infatti nullità dell’atto impositi-vo emanato in violazione degli stessi

46. Il rispetto del principio europeo del-

46 DEL FEDERICO, op. cit., p. 266 ss. il quale esprime dubbi e perplessità la tendenza della

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la proporzionalità a tal proposito è fondamentale e rappresenta una guida indispensabile per poter rivoluzionare il rapporto tra contribuente ed am-ministrazione e non consentire la sopravvivenza di discipline singole diffe-renziate e mal coordinate tra loro.

giurisprudenza comunitaria che giunge a disapplicare sempre e comunque le norme ed i provvedimenti amministrativi in contrasto con il diritto UE. In base al principio dell’auto-nomia procedimentale tutti gli interventi che ripristinano le legalità devono essere adottati da ciascun ordinamento nazionale.

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Susanna Cannizzaro

AUTONOMIA E PLURALITÀ DI DISPOSIZIONI NEL SISTEMA DELL’IMPOSTA DI REGISTRO:

CONTRIBUTO AD UNA RIFLESSIONE IN CHIAVE EVOLUTIVA

AUTONOMY AND PLURALITY OF PROVISIONS IN THE STAMP DUTY DISCIPLINE:

SOME REMARKS FOR AN EVOLUTIONARY ANALYSIS

Abstract Il sistema del tributo di registro sembra escludere, almeno secondo un determi-nato approccio, la rilevanza del collegamento negoziale e, più in generale, l’ap-prezzamento unitario di assetti negoziali complessi che si articolano in una plura-lità di atti non contestuali. La disciplina dell’imposta di registro, proprio in ra-gione del suo stretto legame con gli atti di esercizio dell’autonomia privata, tutta-via, non pare possa essere letta in modo indipendente da come vengono intesi e considerati, in termini giuridici, gli atti stessi nell’ordinamento. Nell’impostazio-ne moderna è la causa concreta a fungere da parametro per interpretare gli atti di esercizio dell’autonomia privata (semplici e complessi) al fine di identificare tutti gli interessi perseguiti, valutarne la meritevolezza, determinare la struttura nego-ziale ed, in ultimo, individuarne e qualificarne gli relativi effetti. Il lavoro è volto, in quest’ottica, a fornire un contributo per l’interpretazione in chiave evolutiva delle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 131/1986 sulla base delle quali deve valutarsi l’unicità o la pluralità di disposizioni negoziali ai fini dell’applicazione del tributo. Parole chiave: imposta di registro, causa concreta, disposizione negoziale, col-legamento, operazione economica According to a certain approach, the discipline of stamp duty seems to exclude the re-levance of the contractual link and, more in general, the unitary appreciation of com-plex contractual regulations articulated in a plurality of acts made in different dates.

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By virtue of its strict link with the acts expression of private autonomy, the discipline of stamp duty does not seem to be independent from how such acts are classified by the legal system. In the modern approach, the “concrete consideration” represents the pa-rameter for interpreting the acts made by private parties (simple or complex), with the purpose to identify all the interests pursued, establish their worthiness, determine its contractual structure and, finally, identify and qualify their effects. In this view, the work is aimed at providing a study for an evolutionary interpretation of the rules contained in Presidential Decree no. 131/1986, on the basis of which the uniqueness or plurality of contractual provisions shall be assessed for tax purposes. Keywords: stamp duty, contract’s consideration, contractual provision, transac-tion, contractual link

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Nozione di disposizione autonoma nel sistema dell’imposta di registro. – 3. Col-legamento negoziale ed unicità causale. La causa in concreto. – 3.1. L’interpretazione degli atti nel sistema dell’imposta di registro. Il ruolo della causa negoziale. – 3.2. Segue: … e lo stato del-l’arte in giurisprudenza e in dottrina. – 3.3. L’evoluzione normativa sull’abuso/elusione. – 3.4. Le diposizioni plurime e il collegamento negoziale. – 4. Una possibile lettura in senso evolutivo del termine “disposizione”.

1. Premessa

L’imposta di registro è, come noto, un tributo con origini antiche 1, la cui

struttura, nel tempo, poco e lentamente si è evoluta per far fronte alla cre-scente complessità dei traffici giuridici. Il sistema di tale tributo, da molti qualificato come “imposta d’atto”, pare infatti escludere, almeno secondo un determinato approccio, la rilevanza del collegamento negoziale e, più in generale, l’apprezzamento unitario di assetti negoziali complessi che si arti-colano in una pluralità di atti non contestuali. La tematica è spesso ricorren-te in giurisprudenza ed è oggetto di dibattito in dottrina ma, prima che sotto il profilo fiscale, il problema si pone sul piano sostanziale. Emerge, infatti, nella prassi negoziale la difficoltà di adattare categorie e schemi civilistici

1 Si veda la ricostruzione storica delle origini del tributo in RUSSO, Manuale di diritto tributario, Parte speciale, Milano, 2002, p. 251 ss.; SANTAMARIA, Registro (imposta di), in Enc. dir., 1988, p. 533 ss.; FRANSONI, Il presupposto dell’imposta di registro tra tradizione ed evolu-zione, in Rass. trib., 2013, p. 955 ss.

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connotati da una certa semplicità e linearità in quanto frutto di antiche strut-ture economico-sociali a modelli negoziali ben più articolati. Tale difficoltà non sfugge alla giurisprudenza e alla dottrina civilistiche che soprattutto di recente, hanno riservato alle tematiche della causa e del collegamento nego-ziale un’attenzione particolare.

Le considerazioni che seguono sono svolte quindi con l’intento di verifi-care se l’impianto del tributo di registro sia effettivamente inidoneo a con-sentire la considerazione unitaria, ai fini della tassazione, degli assetti nego-ziali complessi ed a fornire, in quest’ottica, degli spunti per una interpreta-zione evolutiva.

2. Nozione di disposizione autonoma nel sistema dell’imposta di registro

Il nucleo centrale della definizione della fattispecie imponibile nel sistema dell’imposta di registro è identificato nella “disposizione”, in quanto specifica manifestazione di capacità contributiva, alla quale, ai sensi dell’art. 21, D.P.R. n. 131/1986, corrisponde un’autonoma applicazione dell’imposta

2. Il termine “disposizione” era originariamente riferito alla singola attribu-

zione contrattuale (pertanto, prima che fosse accolto il principio dell’efficacia traslativa del consenso, alla singola obbligazione)

3. Il rapporto fra possibile articolazione in più attribuzioni ed unicità del regolamento negoziale è stato successivamente colto dalla dottrina

4 (e acquisito dalla giurisprudenza 5) at-

traverso l’identificazione del termine “disposizione” con “negozio giuridico”. Alla metà del secolo passato il riferimento al negozio poteva tuttavia implicare l’identificazione di “disposizione” e tipo legale. In dottrina si era infatti sotto-lineata la problematicità della questione con riguardo alla figura del negozio “misto” ovverosia a quelle manifestazioni di autonomia che più evidentemen-te “manipolano” e stravolgono i tipi legali, addivenendo alla conclusione che pure per i contratti innominati il termine disposizione dovesse riferirsi all’in-tero contratto e non alla singola obbligazione a carico della parte

6.

2 Per un approfondito esame, anche sotto il profilo storico, dell’art. 21 qui in conside-razione si rinvia a FRANSONI, op. loc. ult. cit.

3 V. sul punto RASTELLO, Il tributo di registro, Roma, 1955, p. 414 ss. 4 BERLIRI, Le leggi di registro, Milano, 1961, p. 201 ss. 5 V. Cass. n. 864/1947. 6 BERLIRI, op. cit., p. 206.

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Elemento determinante per identificare l’unicità o la pluralità delle “di-sposizioni”, tradizionalmente, è individuato nella causa negoziale, intesa nella sua connotazione economico-funzionale

7. Un unico indice di capacità contributiva deve poi ritrovarsi, a norma del-

lo stesso art. 21 laddove le più disposizioni siano unificate da un vincolo di “necessaria derivazione”. La previsione normativa che prescrive l’applicazio-ne di una sola imposta

8 laddove ricorra l’esistenza di un vincolo di tal fatta, ha evidentemente implicato il riconoscimento della naturale articolazione e complessità delle manifestazioni dell’autonomia negoziale, che nella plurali-tà di attribuzioni e determinazioni realizza un unitario regolamento d’inte-ressi

9. L’esistenza di un rapporto di necessaria derivazione tra disposizioni ne-

goziali, in base ad un indirizzo abbastanza risalente e consolidato della Cas-sazione, si desume dalla circostanza che non si possa concepire l’esistenza dell’una se si prescinde dall’altra, non essendo tuttavia sufficiente che la vo-

7 V. sul punto PISCHETOLA, Commento sub art. 21 DPR 131/1986, in FEDELE-MARI-CONDA-MASTROIACOVO (a cura di), Codice delle leggi tributarie, Milano, 2014, p. 124, per la ragione di cui nel testo, riferisce l’Autore citato, il regolamento di interessi, in cui si espri-me l’attività giuridica negoziale, potrà essere considerato un solo “negozio” o al contrario dovrà essere considerato, ai fini che qui interessano, contenitore di “più negozi” se attra-verso di esso trovi attuazione un solo meccanismo causale (quello ad esempio relativo ad una sola compravendita tra Tizio e Caio, oppure tra Tizio e Tizia, venditori, e Caio e Caia, acquirenti, sia pure per diritti e/o oggetti diversi, a fronte di un’unica controprestazione) o, rispettivamente, trovino attuazione anche più meccanismi causali (ad esempio come in un’unica fattispecie negoziale complessa e articolata in cui i soggetti procedano alla vendi-ta di un immobile al grezzo e alla istituzione di uno speculare rapporto di appalto per la sua ultimazione). Così come è evidente che, sempre ai fini anzidetti, si dovrà argomentare in termini di “più disposizioni” laddove in una medesima fattispecie documentale figurino distinte e separate pattuizioni negoziali, magari aventi tutte la medesima connotazione causale, ma costituenti ciascuna un autonomo regolamento di interessi (ad es. più vendite da Tizio a Caio, da Tizio a Sempronio, da Filano a Mevio, a fronte ciascuna di una diversa controprestazione, ecc.).

8 L’attuale formulazione dell’art. 21, comma 2, riprende il testo dell’art. 20, comma 2, D.P.R. n. 634/1972, il quale a sua volta, ricalcava, nella sostanza, la norma del R.D. n. 3269/1923, art. 9, differenziandosi soltanto per la scelta, operata dal legislatore, di utilizza-re l’espressione “più onerosa”, in luogo di quella “più grave” adoperata nel testo abrogato, nell’intento di chiarire definitivamente che si deve aver riguardo al risultato finale dell’im-posizione, piuttosto che all’aliquota applicabile.

9 FEDELE, Il trasferimento dell’azienda, profili di rilevanza fiscale, in problematiche giuridi-che e fiscali in tema di trasferimento di azienda, in Atti del Convegno Roma 23-24 aprile 2010 “I quaderni della fondazione italiana per il notariato”, n. 3, 2010, p. 105 s.

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lontà delle parti le abbiano considerate come reciprocamente coordinate e concepite come conseguenza le une dalle altre. La connessione, cioè, deve essere assolutamente necessaria per esigenza obiettiva del negozio giuridico e non già una connessione voluta dai contraenti; deve sussistere «una og-gettiva necessità giuridica e contrattuale di connessione o compenetrazione, a nulla rilevando l’esistenza di una mera connessione soggettiva»

10. In sostanza, si è ritenuto che il concetto di “derivazione necessaria” con-

trapposto a quello di “autonomia”, possa desumersi dalla distinzione tra la figura del “negozio collegato” e quella “negozio complesso”

11, argomentan-do per l’applicazione, come regola “generale”, dell’imposizione plurima e di-stinta (ex art. 21, comma 1, D.P.R. n. 131/1986) per i negozi che risultino solo collegati tra loro e, al contrario, per l’applicazione dell’unica imposizio-ne (ex art. 21, comma 2, D.P.R. n. 131/1986), ai negozi complessi.

Viene così fondata una interdipendenza concettuale tra “negozio com-plesso” e la “necessaria derivazione” reciproca tra le varie disposizioni, a sua volta determinata, quest’ultima, dalla loro intrinseca natura, intendendosi

10 Cass., 20 marzo 1972, n. 844; Cass., 5 luglio 1973, n. 1886; Cass., 4 aprile 1980, n. 2215 da ultimo confermato da Cass., 4 maggio 2009, n. 10180. È in ragione di tale orienta-mento giurisprudenziale che il legislatore ha normativamente risolto l’annosa disputa dot-trinale e giurisprudenziale imperante in vigenza del D.P.R. n. 634/1972. Con l’introduzio-ne nel testo dell’art. 21, comma 3 si è escluso dall’imposizione l’accollo di debiti e oneri collegato e contestuale ad altre diposizioni. La legge di registro (art. 9, R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269), prevedeva l’autonoma tassazione delle convenzioni che «non trovino la loro diretta causa nel contratto cui accedono e non siano a questo indissolubilmente colle-gate». La L. n. 53/1983, modificando in parte il testo dell’art. 21, D.P.R. n. 634/1972, ha stabilito che «non sono soggetti ad imposta gli accolli dei debiti ed oneri collegati e conte-stuali ad altre disposizioni». Da ultimo la disposizione è stata trasfusa nell’art. 22, D.P.R. n. 131/1986. In quest’ottica, infatti, alcuni hanno ritenuto che il legislatore abbia previsto un’ipotesi in cui pur configurandosi disposizioni distinte – ancorché collegate – in unico atto, la tassazione non risponda ad alcuno dei criteri previsti nei due commi precedenti dell’art. 21 v. ARNAO, Manuale dell’imposta di registro, Milano, 2005, p. 130, mostrando di assimilare l’accollo alle disposizioni che, contenute nel medesimo atto, derivano necessa-riamente, per loro intrinseca natura, le une dalle altre come previsto dal comma 2 dello stesso articolo. L. NASTRI-M. NASTRI, Manuale applicativo delle imposte indirette, Milano, 1996, p. 242.

11 Il negozio complesso secondo parte della dottrina, è un atto appartenente alla genera-le figura del negozio misto, mediante il quale le parti intendono realizzare congiuntamente gli effetti di due o più distinti schemi negoziali e come questo deve ovviamente sottostare al criterio di meritevolezza, in base all’art. 1322, comma 2, c.c. Nella (unica) causa del negozio complesso avviene un collegamento funzionalizzato alla operazione vista nella sua totalità. Si rinvia a CARINGELLA-DE MARZO, Manuale di diritto civile, Milano, 2008, p. 189 ss.

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per tale, secondo la giurisprudenza, solo quella che si evince dalla ricostru-zione tipologica legale della fattispecie di volta in volta occorsa o dalla circo-stanza per cui non sia concepibile, nell’economia negoziale complessiva, ta-luna pattuizione senza la necessaria compresenza delle altre, e soprattutto svalutando il mero dato volontaristico introdotto dalle parti nel congegno negoziale

12-13.

12 Così testualmente PISCHETOLA, op. loc. ult. cit. La “necessità” deve essere obiettiva, non convenzionale o soggettiva (Cass., 4 maggio 2009, n. 10180; Cass., 5 marzo 1991, n. 2312; CT II grado Bolzano, 17 gennaio 1986, n. 494), neppure se essa appaia funzionale o congeniale ai fini della migliore attuazione di quel regolamento di interessi in cui si esauri-sce di fatto l’intera vicenda negoziale, ma non sia richiesta dalla legge o non si evinca “in re ipsa”. Per ulteriori riferimenti in giurisprudenza si rinvia a PISCHETOLA, op. loc. ult. cit.

13 In ragione della sussistenza di un vincolo di necessaria derivazione, rispetto al nego-zio principale, si giustifica generalmente la norma secondo la quale le quietanze non devo-no essere assoggettate a tassazione se rilasciate nello stesso atto che contiene le disposizio-ni cui si riferiscono. Si può anche osservare in proposito come la dichiarazione di quietan-za – essendo idonea a condurre ad una pronuncia giudiziale che accerti, con l’efficacia del giudicato, l’estinzione per adempimento di un credito in realtà mai soddisfatto – potrebbe, in pratica, funzionare come un vero e proprio atto dispositivo del suo diritto da parte del creditore quietanzante e quindi produrre gli stessi effetti di una remissione di debito. V. GRANELLI, (voce) Quietanza, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVI, 1997, p. 167. Potrebbe essere anche questa la ragione per cui la dichiarazione di quietanza è soggetta ad un diverso regi-me a seconda che sia rilasciata o meno nello stesso atto che contiene le disposizioni cui si riferisce. Nel primo caso essa può sicuramente qualificarsi come dichiarazione di scienza, nel secondo potrebbe produrre gli effetti della remissione del debito. In questo senso si era espresso, in costanza del previgente testo unico dell’imposta di registro, UCKMAR, La legge del registro, II, Padova, 1958, p. 28: «A prescindere dalla disposizione di cui all’art. 9, per la quale non è dovuta l’imposta per una convenzione connessa necessariamente ad un’altra soltanto nel caso che le due convenzioni siano contenute nello stesso atto, la tassazione della quietanza contenuta in atto separato da quello con cui fu stipulato il trasferimento è giustificata anche dalla considerazione che tale quietanza, indipendentemente dal prece-dente trasferimento, libera il debitore da un’obbligazione». Potrebbe quindi spiegarsi an-che in un’ottica antielusiva la previsione di cui all’art. 6 della tariffa, parte prima, allegata al TUR che ricomprende, assieme alla remissione di debito, le quietanze fra gli atti soggetti all’imposta con aliquota proporzionale Si ricorda che se la quietanza viene rilasciata con autonoma scrittura privata non autenticata l’atto è espressamente escluso dalla portata dell’art. 6 e sarà soggetto a registrazione solo in caso d’uso, ai sensi dell’art. 5, comma 1 della tariffa Parte II, sempre ferma l’aliquota dello 0,50%. Si è sottolineato inoltre che l’applicazione dell’imposta di registro deve considerarsi preclusa per le quietanze connesse all’adempimento di obbligazioni soggette ad IVA, anche se rilasciate in atti separati. Ciò in quanto la quietanza, benché espressa in atto separato, attiene ad un preordinato negozio giuridico, colpito da IVA, del quale è parte integrante e conclusiva e per ciò stesso benefi-cia dell’alternatività delle due imposte (v. Ris. min., 17 luglio 1976, n. 301388; Nello stesso senso si veda anche CTC, 16 giugno 1983, n. 1407). In questo caso la quietanza, anche se espressa in atto separato, deve essere registrata con applicazione dell’imposta in misura

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L’unicità o pluralità causale è quindi il parametro in base al quale valuta-re, ai fini impositivi, da un lato l’unicità delle disposizioni o il rapporto di necessaria derivazione tra esse esistente, d’altro lato la loro pluralità

14. Secondo una parte della dottrina, la relazione di necessaria derivazione

fra disposizioni può riferirsi anche a singole attribuzioni non corrispon-denti ad una previsione legale in contesti senza alcuna indicazione di giu-stificazioni causali come avviene per la cessione del credito, l’accollo del debito, la cessione del contratto e simili. La combinazione con altre attri-buzioni in contesti di corrispettività o di mera onerosità può fornire la giustificazione causale rinvenibile in altre attribuzioni tipizzate per legge e realizzare la “necessaria” connessione ai sensi dell’art. 21 TUR

15. Secondo questa ricostruzione, l’introduzione di una specifica norma che sancisse la non assoggettabilità dell’accollo ad un autonomo prelievo è sembrata «un cedimento: se l’accollo integra il corrispettivo non vi è necessità di un’espressa disposizione che ne escluda l’imponibilità separata, giacché le attribuzioni corrispettive sono sempre, ai fini del registro, “disposizioni necessariamente connesse”»

16-17.

3. Collegamento negoziale ed unicità causale. La causa in concreto

L’impostazione tradizionale, in base alla quale, s’è visto, nella disciplina dell’imposta di registro le disposizioni negoziali, ancorché collegate, devono essere considerate nella loro autonomia – a prescindere se contenute in un unico o in diversi documenti – si deve necessariamente confrontare, con l’approccio civilistico al tema del collegamento negoziale.

È stato notato, infatti, in proposito, ma su un piano più generale, che la disciplina dell’imposta di registro, proprio in ragione del suo stretto legame con gli atti di esercizio dell’autonomia privata, non possa essere letta in mo-do indipendente da come vengono intesi ed apprezzati, in termini giuridici, fissa. V. in tema PISCHETOLA, op. loc. ult. cit., FIORENTINO, Commento sub art. 6 Tariffa, par-te I, allegata al D.P.R. n. 131/1986, in Commentario breve alle leggi tributarie, a cura di G. Marongiu, tomo IV, Padova, p. 1028.

14 Cass., 7 giugno 2004, n. 10789; Cass., 12 maggio 2000, n. 6082; Cass., 13 novembre 1996, n. 9938; Cass., 6 settembre 1996, n. 8142; CTC, 1° febbraio 1994, n. 378.

15 FEDELE, Il trasferimento dell’azienda, cit., p. 105 s. 16 FEDELE, op. loc. ult. cit., p. 106. 17 Da ultimo sul punto PISCHETOLA, op. loc. ult. cit., p. 124.

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gli atti stessi nell’ordinamento, talché possa considerarsi già in corso un pro-cesso di adattamento del tributo alla riconosciuta tendenza del sistema a co-gliere l’unità dell’atto di autonomia privata e l’assetto degli interessi perse-guito, non nello schema del contratto isolatamente considerato, ma rispetto ad un più esteso complesso di atti, regolamenti e attività

18.

3.1. L’interpretazione degli atti nel sistema dell’imposta di registro. Il ruolo della causa negoziale

Il problema dell’interpretazione e qualificazione degli atti si pone, evi-dentemente, in maniera particolare per il tributo di registro, atteso che pro-prio in relazione agli effetti degli atti l’imposta in considerazione si deve ap-plicare.

La disciplina dell’imposta di registro contiene in sé, com’è noto, una norma specifica, in base alla quale l’imposta è applicata secondo la intrinse-ca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente. È altresì noto che tale e-nunciato sia stato tradizionalmente inteso in due diversi modi: secondo un risalente ma autorevole filone dottrinale, di recente ripreso, in chiave antie-lusiva, dalla giurisprudenza, l’art. 20 esprimerebbe un principio generale del diritto tributario in base al quale le imposte andrebbero applicate avendo riguardo alla reale sostanza economica dei negozi e non alla loro forma e struttura giuridica

19; secondo la contrapposta teoria la disposizione richia-mata risponderebbe ad una logica tutta interna alla normativa dell’imposta di registro, intesa quale imposta d’atto, imponendo la considerazione dei so-li effetti scaturenti dall’atto presentato alla registrazione senza possibilità di apprezzare ulteriori elementi rilevabili aliunde

20-21.

18 Così FRANSONI, op. loc. ult. cit., nello stesso senso PADOVANI, Imposta di registro e col-legamento negoziale nel pensiero della Cassazione, in questa Rivista, 2014, p. 237 ss.

19 V. GRIZIOTTI, Il teorema della prevalenza della natura economica degli atti oggetto dell’imposta di registro, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1941, II, p. 28 ss.; VANONI, Natura ed interpre-tazione delle leggi tributarie, in Opere Giuridiche, Milano, 1961, p. 210; JARACH, Il fatto im-ponibile, Padova, 1981, p. 24 ss.

20 Sul punto si veda ex multis DONATELLI, La rilevanza degli elementi extratestuali ai fini dell’interpretazione dei contratti nell’imposta di registro, in Rass. trib., 2002, p. 1341 ss. Più di recente sul punto GIRELLI, Abuso del diritto e imposta di registro, Torino, 2012, p. 61 ss. cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti.

21 La tesi propugnata dalla scuola Pavese in definitiva considerava recessiva la “forma” giuridica, in quanto potenzialmente posticcia, e prevalente la “sostanza” economica poi-

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Si è notato, in proposito, che entrambe le teorie di cui si è dato somma-riamente conto ascrivono alla disposizione in questione il compito di intro-durre nell’ordinamento una norma (di carattere generale per il primo indi-rizzo, di carattere particolare per il secondo) volta a ritagliare un’area di de-roga alla sfera di influenza delle regole sull’interpretazione degli atti di auto-nomia privata contenute nel codice civile

22. Ma si deve evidenziare che, sebbene l’art. 20 sia rubricato “Interpretazione degli atti” la disposizione non pare volta ad introdurre un parametro interpretativo autonomo per gli atti cui deve applicarsi il tributo di registro. La disposizione, infatti, trova collo-cazione nel Titolo III del TUR, che contiene le regole per l’applicazione dell’imposta

23. Ed è proprio al fine di consentire la corretta applicazione del tributo che la norma strumentalmente richiama gli “effetti dell’atto” per contro escludendo dall’area degli elementi rilevanti ai fini impositivi le qua-lificazioni e i nomina attribuiti dalle parti all’atto stesso.

Il carattere strumentale della disposizione in considerazione, come delle norme tributarie in generale, si manifesta nell’esigenza, che a tali norme è connaturata, di dover fare riferimento a fatti o atti già disciplinati dal diritto. In ragione di ciò le uniche regole in base alle quali l’atto di autonomia può essere interpretato e “qualificato” al fine di individuare correttamente la fat-tispecie imponibili, paiono pertanto quelle di diritto civile e commerciale e-splicitamente od implicitamente richiamate nel D.P.R. n. 131/1986

24. Muo- ché necessariamente effettiva. Al riguardo è stato autorevolmente posto in luce come le situazioni e i rapporti “economici”, attinenti cioè alla soddisfazione di interessi e bisogni in situazioni di scarsità di mezzi, non potrebbero essere concepiti se non in funzione di un sistema di regole vigenti in merito all’appartenenza dei beni ed ai doveri di coopera-zione dei consociati. Priva di pregio è stata quindi considerata l’affermazione che solo la prospettiva economica consente di rilevare ed apprezzare, nella loro effettiva sostanza, tutti gli interessi, i rapporti, le situazioni (in particolare quelli “nuovi”, “emergenti”) che rilevano ai fini del regolamento delle relazioni intersoggettive e per l’applicazione dei tri-buti: tutte le forme di “emersione” nella società dei “nuovi” interessi ed esigenze, dei loro conflitti e della soluzione di questi ultimi, sono espressione di istituti giuridici FEDELE, Assetti negoziali e forme d’impresa tra opponibilità, simulazione e riqualificazione, in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 1093 ss.

22 ZIZZO, In tema di qualificazione dei contratti ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, in Riv. dir. trib., 1992, II, p. 176.

23 In questo senso si è espresso TABELLINI, L’elusione della norma tributaria, Milano, 2007, p. 54 il quale nota che la dissonanza tra la rubrica dell’art. 20 e il testo discenderebbe dal fatto che l’art. 8, R.D. del 1923 contemplava al comma 2 la regola della applicazione dell’imposta per analogia in relazione agli atti che non erano espressamente previsti nella tariffa.

24 V. FEDELE, op. ult. cit.

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vendo da tali presupposti sicuramente non è possibile prescindere dall’utiliz-zo delle categorie che a quei rami del diritto appartengono, conseguente-mente non pare più possibile ritenere che il collegamento negoziale, laddo-ve funzionale all’attuazione di una sola operazione economica retta da un’u-nica causa concreta, risulti irrilevante ai fini fiscali.

Non v’è dubbio, tuttavia, che, partendo da un tale assunto, si debba ne-cessariamente verificare se l’art. 20 possa contenere una clausola di “auto-adattamento” del sistema di tassazione agli assetti negoziali complessi retti da un’unica causa, benché emergenti da una pluralità di atti distinti e – se anche ciò si arrivi ad ammettere – se la possibile considerazione unitaria di tali assetti sia effettivamente ostacolata dalla natura e dalla struttura del tri-buto, tradizionalmente qualificato come imposta d’atto.

3.2. Segue: ... e lo stato dell’arte in giurisprudenza e in dottrina

Sotto il profilo appena considerato se è noto che una parte del giurispru-denza ha, fino ad un certo punto, dato rilevanza al collegamento al fine di ap-prezzare gli effetti finali scaturenti dalla complessa articolazione negoziale, è d’altra parte noto che tale operazione ermeneutica è stata svolta attribuendo una prevalente funzione antielusiva all’art. 20 TUR con lo scopo di “riquali-ficare” l’operazione negoziale svalutando gli effetti dei singoli negozi per far emergere – di converso – gli interessi e gli scopi concreti che le parti abbia-no voluto realizzare attraverso l’operazione nel suo complesso

25. Tale approccio, tuttavia, parrebbe oggi recessivo

26 anche in considera-zione dell’introduzione nel sistema di una disposizione generale “antiabuso” contenuta nell’art. 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente cui, se-

25 Tra le tante si vedano Cass., 11 giugno 2007, n. 13580; Cass., 4 maggio 2007, n. 10273; Cass., 23 novembre 2001, n. 14900. Osserva GIRELLI, op. cit., p. 91 ss., che nonostante le perplessità espresse da larga parte della dottrina per un simile approccio, la Corte di Cas-sazione ha continuato a percorrere il sentiero intrapreso insistendo nel valorizzare la ricer-ca della volontà delle parti ed attribuendo una funzione sostanzialmente antielusiva alla previsione contenuta nell’art. 20 T.U. dell’imposta di registro. In argomento si rinvia inol-tre a CORASANITI, L’interpretazione degli atti e l’elusione fiscale nel sistema dell’imposta di re-gistro, in Dir. prat. trib., 2012, I, p. 963; MELIS, Sull’“interpretazione antielusiva” in Benvenu-to Griziotti e sul rapporto con la Scuola tedesca del primo dopoguerra: alcune riflessioni, in Riv. dir. trib., I, 2008, p. 413.

26 Più di recente la giurisprudenza pare, infatti, negare che l’art. 20 possa avere natura antielusiva. In tema si rinvia a CANÈ, Brevi note sullo stato della giurisprudenza intorno al-l’art. 20 del T.U. Registro, in Rass. trib., 2016.

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Susanna Cannizzaro 287

condo alcuni, è affidata la disciplina sostanziale e procedimentale dell’abu-so/elusione anche per l’imposta di registro

27. Prima dell’introduzione della disposizione in questione, è stato notato,

comunque, che in base ad un altro indirizzo giurisprudenziale sarebbe pos-sibile utilizzare l’art. 20 in funzione di parametro per l’applicazione dell’im-posta di registro, senza richiamarne la valenza antielusiva e facendo di con-verso leva sulla idoneità della norma a consentire l’apprezzamento unitario degli effetti che, attraverso una molteplicità di atti, ancorché distinti e non contestuali, le parti abbiano voluto realizzare

28. Anche una parte della dottrina, di recente, non pare contraria a ricono-

scere astrattamente alla norma una tale funzione 29, salvo poi ritenere che la

particolare struttura del tributo – ed, in specie, la valenza di alcune disposi-zioni contenute nel Testo Unico – non permetta di avallare pienamente il ri-chiamato orientamento.

I dubbi in merito, riguardano soprattutto il contenuto delle disposizioni di cui agli artt. 21 e 22 TUR e la loro valenza sistematica quanto alla necessi-tà di una isolata considerazione degli atti ai fini dell’applicazione del tributo di registro

30. In particolare si evidenzia come l’unità minima sui cui appun-tare l’imposizione passa, nell’evoluzione normativa prima e interpretativa poi, dalla singola obbligazione al singolo negozio (atto o contratto), con una particolare considerazione per i contratti complessi (atipici), che la dot-trina e la giurisprudenza riconducono alla previsione che postula l’impo-sizione unitaria in presenza di disposizioni necessariamente derivanti le une dalle altre. Si è osservato in proposito che, in base agli approdi di dottrina e giurisprudenza, il criterio della tassazione unitaria delle disposizioni connes-

27 In questo senso MASTROIACOVO, La nuova disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusio-ne fiscale nella prospettiva dell’imposta di registro, in Riv. not., 2016, p. 31 ss.; FICARI, Virtù e vizi della nuova disciplina dell’abuso e dell’elusione tributaria ex art. 10 bis della l. 212/2000, in que-sta Rivista, 2016, p. 316 ss.

28 Sul punto si vedano le considerazioni di PADOVANI, op. cit., che tratta del tema pre-scindendo dalla prospettiva dell’abuso. V. in una diversa chiave interpretativa GIRELLI, op. cit., 97 ss. il quale osserva, prima dell’introduzione della disposizione “antiabuso” che, pur aderendo alla tesi secondo cui il tributo di registro ha natura di “imposta d’atto”, può ri-tenersi lecita una lettura della previsione di cui all’art. 20, D.P.R. n. 131/1986 meno for-malistica e più aderente ad una equa e sostanziale imposizione, in ragione dell’esistenza di clausola interpretativa immanente al sistema, quale è ritenuto il divieto di abuso del diritto.

29 FRANSONI, op. loc. ult. cit.; nella diversa prospettiva dell’abuso GIRELLI, op. loc. ult. cit. 30 Si rinvia a FRANSONI, op. loc. ult. cit.

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se incontra comunque il limite della necessarietà della dipendenza tra esse e della contestualità documentale, ed esclude, quindi, l’imposizione unica laddove la derivazione dipenda dalla volontà delle parti. Ciò impedirebbe di apprezzare unitariamente, atteso l’attuale contesto normativo, le articolazio-ni negoziali pur costituenti una operazione unica, poiché tale apprezzamen-to comporterebbe il superamento, in via interpretativa, sia del limite della contestualità documentale sia del limite, di ordine negativo, della volonta-rietà della connessione.

L’altro ostacolo da superare, o meglio, l’altra disposizione da cui derive-rebbe una indicazione sistematica nel senso della necessaria considerazione isolata dell’atto, è l’art. 22 in base al quale sarebbe preclusa la considerazio-ne unitaria di atti collegati, anche in presenza della contestualità documen-tale (data dalla circostanza che l’atto enunciante e quello enunciato sono contenuti nel medesimo documento) e dell’esplicita menzione del collega-mento.

Delle disposizioni richiamate, tuttavia, parrebbe possibile dare una diver-sa lettura nel senso del superamento dei limiti ivi individuati.

3.3. L’evoluzione normativa sull’abuso/elusione

Sotto il primo dei profili considerati l’introduzione della clausola gene-rale “antibuso” recata dall’art. 10 bis menzionato, se da una parte pare po-tersi intendere nel senso di una limitazione alla possibilità per gli uffici fi-nanziari di qualificare le operazioni negoziali complesse, superando gli sche-mi negoziali utilizzati, d’altro canto postula come necessario il controllo, ai fini fiscali, sull’attività negoziale anche al di là del limite rappresentato dal singolo atto.

In altri termini, sembra possibile ritenere che l’Amministrazione Finan-ziaria sia chiamata a valutare gli interessi che, in concreto, muovono l’auto-nomia privata e a disconoscere gli schemi negoziali laddove questi siano uti-lizzati per fini che, in base ai presupposti fissati dalla norma antiabuso, non risultino corrispondenti a quelli tutelati dall’ordinamento in relazione alla funzione economico-sociale degli strumenti negoziali prescelti. Quindi, se, da una parte, la norma limita le possibilità di contestazione dell’abuso ai casi in cui sussistano i suddetti presupposti, più in generale legittima l’ammini-strazione all’effettuazione di una indagine sulla “causa concreta” degli atti an-che laddove questa emerga da operazioni complesse, atti collegati anche non contestuali. È stato notato, infatti, che l’art. 10 bis si riferisce e fa emer-gere, ai fini della verifica di abusività un elemento, l’“operazione”, che richia-

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Susanna Cannizzaro 289

ma le logiche di mercato e che è tradizionalmente noto nell’IVA 31.

D’altro canto è stato messo in luce come il rapporto di alternatività tra il tributo di registro e l’IVA, abbia innescato un processo di “contaminazione” fra i due tributi, avviando la tendenza a considerare coincidenti le relative fattispecie

32. Aperte queste vie pare quantomeno dubbio, nel caso in cui i presupposti

dell’abuso non si rinvengano, se sia precluso l’apprezzamento di distinti atti funzionalmente collegati e che trovino il loro elemento unificante in una cau-sa concreta – ancorché ciascuno sia distintamente ascrivibile ad uno schema negoziale dotato di propria funzione economico/sociale – laddove l’interesse perseguito dalle parti sia meritevole di tutela sotto il profilo sostanziale.

Come è stato rilevato, infatti, la norma generale antiabuso ha lo scopo, non già di imporre in generale un limite al libero esplicarsi dell’autonomia privata, ma di perseguire la certezza del diritto predeterminando le fattispe-cie per cui è possibile utilizzare la “sanzione” dell’inopponibilità ovverosia laddove, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, le operazioni risultino prive di sostanza economica e realizzino essenzialmente vantaggi fiscali in-debiti

33. Seguendo questa logica non parrebbe, di converso, possibile rica-vare dalla clausola in questione un limite di ordine negativo, individuato nell’intento elusivo, all’apprezzamento dell’autonomia privata laddove que-sta si esplichi in una pluralità di atti, anche collegati, al fine di coglierne a pieno gli effetti rilevanti anche sotto il profilo fiscale, laddove gli atti stessi siano dotati di sostanza economica e non siano volti unicamente a realizzare vantaggi indebiti.

Ammettendo, dunque, per un verso, che l’art. 10 bis pur circoscrivendo le fattispecie “abusive” legittimi un più ampio apprezzamento dell’attività ne-goziale da parte degli uffici fiscali, per altro verso, che, sotto il profilo sostan-ziale, le categorie giuridiche volte a delimitare e definire gli interessi dei sog-getti privati sono mutate, l’indagine non può che spostarsi, come si è anticipa-to, sul piano delle logiche interne al sistema del tributo in considerazione

34.

31 FICARI, op. cit. 32 Sul punto FRANSONI, op. cit.; CARINCI, I profili di rilevanza fiscale del contratto: spunti

di riflessione, in FICARI-MASTROIACOVO (a cura di), Corrispettività, onerosità, gratuità. Profili tributari, Torino, 2014, p. 411 ss.

33 V. MASTROIACOVO, op. loc. ult. cit. 34 In una diversa prospettiva si pone GIRELLI, op. loc. ult. cit. L’Autore in definitiva pare

affermare che l’apprezzamento unitario e complessivo di più atti pur riconducibili ad un’u-nica vicenda negoziale è ammissibile al solo scopo di verificare se gli atti stessi siano fina-

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 290

3.4. Le diposizioni plurime e il collegamento negoziale

Come chiaramente è stato evidenziato attraverso l’analisi storica com-piuta di recente dalla dottrina

35, l’individuazione del negozio, quale unità mi-nima cui si riferisce l’imposizione di registro e, dunque, l’identificazione tra “negozio” e “disposizione” è soprattutto frutto di un’attività ermeneutica svol-ta da dottrina e giurisprudenza. È importante ribadire, in proposito, che il criterio unificante per il possibile apprezzamento di più prestazioni nell’u-nità minima “negozio”, rilevante per l’imposizione di registro è stato indivi-duato nella causa. La “disposizione”, in altri termini, si individua in una con-venzione negoziale suscettibile di produrre effetti giuridici valutabili auto-nomamente, in quanto in sé compiuta nei suoi riferimenti oggettivi sogget-tivi e causali

36. L’individuazione nel negozio dell’unità minima ai fini impo-sitivi ha portato, per contro, a ritenere irrilevante, ai fini dell’applicazione del tributo, l’esistenza di un collegamento volontario e funzionale tra dispo-sizioni causalmente autonome, ancorché emergente nello stesso contesto documentale.

L’unica ipotesi di “collegamento” cui la norma sembra dare rilevanza è quella che, in base alla formulazione normativa, parrebbe potersi qualificare come collegamento necessario. Anche secondo i più recenti studi condotti in dottrina, tuttavia, il c.d. collegamento necessario o legale o tipico, invece di appartenere alla teoria della connessione tra negozi, apparterrebbe piut-tosto, alla teoria della norma giuridica e, in particolare, alla tecnica di co-struzione della fattispecie. La caratteristica peculiare che accomuna le ipote-si di collegamento necessario, e che sembrerebbe ricorrere anche nella tipo-logia di collegamento rilevante ai fini dell’applicazione unitaria del tributo di registro, risiede nella circostanza che il legame corrente tra gli atti è posto direttamente e immediatamente dalla legge

37. lizzati a realizzare un illegittimo aggiramento delle norme fiscali. Nello stesso senso pare esprimersi, dopo l’introduzione della disposizione di cui all’art. 10 bis menzionata di se-guito nel testo, MASTROIACOVO, op. cit., p. 42, la quale precisa che, in base alla diposizio-ne, la sanzione dell’inopponibilità, scatta quando il vantaggio è non già illegittimo ma “indebito” ovverosia disapprovato dal sistema ancorché non sia frutto di evasione frode o simulazione.

35 FRANSONI, op. cit. 36 Si veda sul punto anche Circolare 18/E/2013. 37 V. BARBA, La connessione tra i negozi e il collegamento negoziale, Parte prima, in Riv.

trim. dir. proc. civ., 2008, p. 804 ss. il quale giustamente afferma che altro è una tecnica di costruzione delle fattispecie, altro l’esercizio del potere di autonomia. Altro l’esplicazione

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Ne discende la rilevanza di una fattispecie individuata dalla legge e con-notata da un certo grado di “tipicità” anche nell’ipotesi in cui le diposizioni siano avvinte dal nesso di necessaria derivazione.

A questo proposito si può evidenziare che la formulazione normativa dell’art. 21 e la sua consolidata interpretazione, paiono in qualche modo le-gate all’origine storica del meccanismo del collegamento negoziale risalente al periodo di rigorosa tipicità dei contratti, in cui le parti non potevano porre in essere che i tipi stabiliti ex lege. In quel momento del tempo questo stru-mento ha consentito di ridurre nella regione del giuridicamente rilevante ciò che in assenza di esso sarebbe stato confinato nel limbo della irrilevanza. Il meccanismo del collegamento ha infatti consentito la scomposizione del-l’operazione in più atti ciascuno corrispondente ad un determinato tipo e ad una autonoma causa, ed ha esonerato, in tal modo, l’interprete dallo svolge-re un’indagine più complessa circa l’intento pratico, la meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti

38, nonché gli effetti dell’atto. Il tipo legale – si è osservato – insieme, rassicura i pratici fruitori e facilita l’interprete in un’au-tentica funzione di panacea

39. In altri termini, il problema per l’interprete di fronte ad una operazione

complessa, prima che sotto il profilo fiscale 40, s’è posto sotto il profilo so-

del potere legislativo, altro lo svolgimento di un potere negoziale. L’autore riporta le distin-zioni delle tre classi in cui generalmente si distingue il collegamento necessario a seconda che l’influenza di un contratto sull’altro riguardi la vita, la funzione o gli effetti. Alla prima ipotesi si riconducono i casi in cui l’influenza sulla vita di un altro contratto riguarda la co-stituzione (come nel contratto preliminare rispetto al definitivo) o la modificazione o, anco-ra, l’estinzione. Alla seconda classe appartengono le cc.dd. ipotesi dei negozi accessori (ga-ranzia ratifica, convalida) i casi dei negozi astratti dei negozi fiduciari e dei negozi indiretti. Alla terza ipotesi, in ultimo, in casi in cui un negozio tipico costituisce per la sua efficacia il logico antecedente di un altro (come la designazione testamentaria e l’accettazione dell’e-rede, la procura e l’accettazione, o i subcontratti).

38 Si veda sul punto FERRANDO, I contratti collegati, in Nuova giur. civ. comm., 1986, II, pp. 261-262, ID., Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, pp. 233-249 la quale ritiene che il collegamento risolva una serie di pro-blemi: disciplina, controllo sulla validità di talune clausole inserite nei contratti collegati; svolgimento del rapporto contrattuale.

39 Così BARBA, La connessione tra i negozi e il collegamento negoziale, Parte prima, cit. 40 Osserva FEDELE (Il trasferimento dell’azienda profili di rilevanza fiscale, cit.) che «alla

metà del secolo passato, il richiamo al negozio poteva implicare l’identificazione di “dispo-sizione” e “tipo legale”, favorendo, come puntualmente avvenuto nell’elaborazione giuri-sprudenziale, l’affermarsi di rigorose limitazioni al riconoscimento della “connessione” per mancata previsione legale (la connessione deve essere “necessaria per legge”)».

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stanziale e, in quell’ambito, dottrina e giurisprudenza hanno seguito un de-terminato percorso: accertato che il singolo caso non si lasciasse sussumere o ricondurre all’interno di uno schema legale tipico, piuttosto che affermar-ne l’atipicità, si è preferito postulare, ove possibile, che si fosse in presenza di un collegamento contrattuale, ossia che quel determinato affare fosse stato realizzato dalle parti mediante la combinazione di più schemi contrattuali, tendenzialmente, tipici

41. Dottrina e giurisprudenza, attesa la diversa scelta del legislatore moder-

no, che ha espressamente riconosciuto ai privati una vera e propria autono-mia contrattuale, consentendo loro di concludere anche contratti non ap-partenenti ai tipi aventi una disciplina particolare, tendono oggi ad interro-garsi sulla adeguatezza di tale impostazione. In quest’ambito, la propensione della giurisprudenza, colta ed elaborata dalla dottrina, pare quella di ricono-scere rilevanza alla categoria del collegamento, non soltanto in relazione al profilo delle patologie negoziali, in applicazione del principio simul stabunt, simul cadent, ma estendendola anche ai momenti squisitamente fisiologici della qualificazione giuridica, dell’interpretazione e dell’individuazione della disciplina applicabile

42. Più precisamente, alcuni, tendono a riconoscere, non al singolo contratto ma all’operazione economica un valore ordinante, quale categoria concettuale e giuridica. Espressione dell’unità formale dell’opera-zione economica è individuata dalla causa in concreto, strumento funziona-le, non solo per definire il profilo della meritevolezza degli interessi ma an-che per spiegare e disciplinare la complessità degli atti di autonomia, indivi-duandone l’elemento unificante

43.

41 Si rinvia sul punto a BARBA, La connessione tra negozi e il collegamento negoziale, Parte prima, cit., p. 793 ss.

42 In tema diffusamente COLOMBO, Operazioni economiche e collegamento negoziale, Pa-dova, 1999, passim.

43 Si veda per tutti GABRIELLI, Il contratto e l’operazione economica, in Riv. dir. civ., 2003, L’assunzione di tale categoria, intesa come schema unificante, consente di cogliere gli ef-fetti dell’atto di autonomia negoziale, quale risultato complessivo dell’operazione (e non come somma degli effetti derivanti dai singoli atti posti in essere) e permette di individua-re e valutare, quindi, la meritevolezza di tutti gli interessi in concreto perseguiti, anche di quelli che non siano riassunti né possano considerarsi riassumibili nello schema del tipo. Gli approfonditi studi condotti in tema riguardano anche la verifica circa la corretta indivi-duazione delle ipotesi di collegamento e giungono comunque alla conclusione che anche sotto il profilo delle patologie negoziali la trasmissione dei vizi sia possibile solo in una pro-spettiva unitaria, ovverosia solo nel caso in cui sia ammetta, anche nell’ipotesi di una ope-razione complessa, l’esistenza di un unico contratto. V. BARBA, La connessione tra i negozi e

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Susanna Cannizzaro 293

D’altro canto l’indagine, sempre più di frequente svolta dalla giurispru-denza, in ordine alla causa concreta che giustifica l’esercizio dell’autonomia negoziale, anche nell’ipotesi in cui ci si trovi palesemente di fronte ad una operazione semplice

44 – disvela l’esigenza di garantire la trasparenza nei traf-fici giuridici, che viene assunta quale interesse meritevole di tutela, ultroneo e sovraordinato rispetto a quello delle parti

45. Un ruolo importante in questo “cambio di rotta” giocano sicuramente il

legislatore e la giurisprudenza europei 46. Nella prospettiva europea il dialo-

go tra autonomia privata e ordinamento muta la sua fisionomia, ponendo la il collegamento negoziale, Parte seconda, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, p. 1167 ss. secondo il quale, in definitiva, mentre è ragionevole che l’autonomia privata vada limitata con l’ap-plicazione di regole eccezionali, in tutti quei casi che corrispondono esattamente a una pre-cisa disposizione di legge, non è detto che, del pari, debba subire la medesima compressio-ne, in quei casi che, rispetto a quelli espressamente disciplinati, presentino, soltanto alcuni tratti o taluni profili di somiglianza.

44 Secondo GABRIELLI, op. cit., p. 100, l’operazione potrà avere una struttura semplice quando l’emersione degli interessi sottostanti, anche se non pienamente compresa nel tipo sia da ricollegare ad un singolo atto e non si renda necessaria una indagine interpretativa ulteriore rispetto a quella che già emerga dal regolamento negoziale; ovvero una struttura complessa, quando l’operazione si componga di una pluralità, di un collegamento di una di-pendenza, o di n gruppo, di atti e di negozi.

45 Si veda la rassegna, con le relative considerazioni critiche di ROPPO, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente, né compiacente) con la giurisprudenza di legitti-mità e di merito, in Riv. dir. civ., 2013, p. 957 ss., il quale evidenzia che la prospettiva accolta dalla giurisprudenza (giudicata, peraltro, non sempre pertinente) si allontana dalla oppo-sta visione Bettiana della causa quale funzione economico sociale del negozio in termini, generali, astratti e tipizzati, volta ad escludere dall’area del negozialmente rilevante tutte le idiosincrasie della fattispecie concreta, e cioè tutti gli interessi di cui le parti fossero speci-ficamente portatrici in quel determinato negozio, fra loro concluso in quelle determinate cir-costanze e su quei determinati presupposti, ma non ugualmente ricorrenti in tutti i negozi ascrivibili allo stesso tipo.

46 È stato notato, ad esempio, che il legislatore europeo non accoglie la propensione (propria degli ordinamenti giuridici interno e, in specie, di quello nazionale) a disciplinare singoli tipi contrattuali, distinguendoli in ragione della relativa causa, ma tende – in funzione del riconoscimento dell’autonomia negoziale di spazi operativi assai ampi – a non disegnare le situazioni tipo al cui verificarsi la norma giuridica ricollega determinati effetti. Gli obiettivi del mercato unico impongono più semplicemente interventi imperativi per quei gruppi di contratti ove può annidarsi un momento distorsivo della concorrenza. In definitiva il legisla-tore comunitario che nel disciplinare i contratti, li distingue in relazione ai soggetti (contratti dei consumatori e contratti d’impresa) e non al tipo, induce ad un superamento del profilo funzionale della causa quale criterio di qualificazione dell’atto. V. sul punto MAZZAMUTO, Il contratto di diritto europeo, Milano, 2012, pp. 141-142; PICARDI, La causa e il tipo, in Trattato di diritto europeo, III, L’attività e il contratto, a cura di Lipari, Torino, 2003, p. 274.

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prima al centro dell’indagine quale elemento motore del diritto privato, non costretto dalla ricerca delle tecniche che soddisfino nel modo più congruo il rapporto tra attività negoziale e ordinamento giuridico, ma configurando l’autonomia privata come libertà di scelta tanto del mezzo quanto del fine da perseguire

47. Nell’impostazione moderna, influenzata dal legislatore e dalla giurispru-

denza europei, dunque, la causa concreta diviene il parametro per interpre-tare gli atti di esercizio dell’autonomia privata (semplici e complessi) al fine di identificare tutti gli interessi perseguiti, valutarne la meritevolezza ed, in ultimo, individuarne e qualificarne gli effetti

48. In definitiva, è possibile constatare che, circa l’interpretazione e la quali-

ficazione degli atti di autonomia negoziale, è già ampiamente in atto una tendenza volta ad attuare una sorta di “rivoluzione copernicana”: ci si muo-ve non più dalla struttura dell’atto verso la sua funzione economico-sociale, ma dalla funzione economico individuale (causa concreta) verso l’identifi-cazione in concreto della struttura e degli effetti.

Poiché l’attività di interpretazione e qualificazione degli atti funge da anello di congiunzione non soltanto fra l’atto di autonomia privata stesso e la normativa strettamente privatistica, ma fra esso e l’intero ordinamento giu-ridico, consentendo di riallacciare all’operazione economica voluta dai pri-vati gli effetti giuridici contemplati da tutte quelle norme appartenenti ai set-

47 Così MAZZAMUTO, op. cit., p. 104 ss. il quale sottolinea come il dialogo tra autonomia privata e ordinamento giuridico assume connotati cangianti a seconda del periodo storico cui ci si riferisce e indica nelle concezioni della causa del contratto, quale veicolo per il cui tramite il programma negoziale procede dall’individuo alla società, l’elemento di sua deci-frazione. L’impostazione seguita a livello europeo viene associata, dall’A., all’idea che il di-ritto privato sia diritto di libertà che pone al centro dell’indagine l’agire dell’individuo libe-ro di realizzare qualsivoglia interesse meritevole di tutela, idea propugnata, in Italia, da FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, passim.

48 In questa prospettiva la fisionomia delle categorie giuridiche nel cui ambito si erano sviluppati i tentativi di dare conto della distinzione tra “scopo o intento ulteriore” rispetto alla causa tipica dei contratti utilizzati tende a scolorire, fino a sfociare nei tentativi di co-struzione della fattispecie, anche a struttura complessa in uno schema formale unitario ri-conducibile entro il paradigma della operazione economica. Muovendo da questa prospet-tiva, ovverosia partendo dal presupposto che gli atti di autonomia negoziale possano avere una funzione diversa da quella tipica, perseguendo, in tal modo, un “intento ulteriore”, sorge il problema di verificare che tale “intento” sia conforme all’ordinamento. V. AZZARO, (voce) Frazionamento Contrattuale, in Dig. disc. priv., Agg.***, tomo I, 2007, p. 605 ss. e spec. p. 626. La questione si pone in maniera non dissimile, secondo l’Autore tanto nelle ipotesi di collegamento quanto nei casi di “frazionamento”.

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tori più diversi dell’ordinamento, dall’impostazione a cui si è fatto cenno non si può sicuramente prescindere per analizzare ciò che in questa sede ci inte-ressa

49.

4. Una possibile lettura in senso evolutivo del termine “disposizione”

Ciò posto una interpretazione orientata in senso evolutivo della norma di cui all’art. 21 TUR, che dia rilevanza piena alle espressioni dell’autonomia negoziale, dovrebbe portare a ritenere che col termine disposizione possa indicarsi una convenzione negoziale a struttura tanto semplice quanto com-plessa a prescindere dall’instrumentum.

L’art. 21 peraltro, contiene una regola per la tassazione di una molteplici-tà di disposizioni contenute nello stesso atto ribadendo, in tal modo, la di-stinzione, ai fini dell’individuazione del presupposto del tributo, tra instru-mentum e gestum e riconoscendo la rilevanza di quest’ultimo

50. Nello stesso senso parrebbe potersi leggere anche la norma di cui all’art.

22 in base alla quale, la convenzione negoziale assume rilevanza ancorché il documento, costituente il veicolo per l’applicazione del tributo, ne riprodu-ca solo gli elementi essenziali. Finalità della norma in questione non pare quella di individuare un criterio per la interpretazione delle convenzioni (e-nunciata ed enunciante) portate alla registrazione per il tramite di un unico documento e quindi per la loro qualificazione in senso unitario o plurimo ma, anche in questa ipotesi, per sancire l’irrilevanza dell’unicità documentale ai fini dell’applicazione del tributo

51.

49 Per il tributo di registro gli atti e i contratti rilevano per gli effetti che gli stessi ap-paiono idonei a realizzare ancorché solo potenziali e non necessariamente attuali. V. sul punto FERLAZZO NATOLI, Il fatto rilevante nel diritto tributario. Contributo allo studio del presupposto di fatto del tributo, in Riv. dir. trib., 1994, I, p. 439 ss.

50 Si veda sul punto A. UCKMAR-V. UCKMAR, Registro (imposta di), in Noviss. Dig. it., XV, 1968, p. 54 secondo il quale «sempre per il principio che l’imposta di registro non col-pisce il documento ma le convenzioni in esso contenute» l’art. 21 è funzionale a sancire la rilevanza autonoma di disposizioni negoziali che potevano essere stipulate separatamente, ovverosia contenute in documenti distinti.

51 Si ricorda che l’art. 22 – come l’art. 21 compreso nel Titolo III del TUR in cui sono contenute le regole relative all’applicazione dell’imposta – si limita a prevedere che l’im-posta si applica anche alle disposizioni enunciate. La formulazione normativa non pare tut-tavia potersi intendere nel senso di esimere l’interprete dalla verifica circa la possibilità che atto enunciante e atto enunciato costituiscano una disposizione unica nel senso indicato nel testo.

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In altri termini, dalle norme in questione pare possibile trarre una regola in base alla quale le convenzioni negoziali rimangono plurime, se tali possa-no considerarsi in base all’interpretazione della volontà negoziale, anche se il veicolo per l’applicazione del tributo di registro è unico. Ma, anche luce del-le considerazioni prima esposte, sembra più difficile desumere a contrario, dalla formulazione normativa, che l’instrumentum costituisca sempre un vin-colo insuperabile all’apprezzamento unitario del gestum. Si è affermato sul punto che la difficoltà di dare diretta rilevanza ai fini impositivi al collega-mento non deriva da un preteso principio di stretta inerenza del trattamen-to fiscale alle risultanze testuali del documento sottoposto a registrazione, atteso che l’imposizione col tributo qui in considerazione di un unico ge-stum negoziale può ben conseguire alla registrazione di due (o più) docu-menti distinti

52. Le difficoltà prima menzionate possono essere, allora, di ordine pratico

ed applicativo ma non insuperabili. In proposito occorre infatti osservare che, a volte, sono le stesse disposizioni del TUR a chiarire le modalità di coordi-namento ed i criteri di applicazione dell’imposta in relazione ad una plurali-tà di atti riferibili ad una medesima vicenda giuridica o di atti finalizzati a re-golamentare in diversi momenti nel tempo gli interessi relativi ad una me-desima operazione. Si pensi al contratto preliminare e al contratto definiti-vo

53, al contratto condizionato o alle norme che fanno riferimento, per la determinazione della base imponibile degli atti solutori, non all’atto stesso, ma al rapporto già sorto, ancorché l’estinzione dell’obbligazione avvenga per effetto di un ulteriore atto negoziale non contestuale avente ad oggetto un bene immobile

54. Ciò sta a significare che non sono del tutto avulsi dal

52 FEDELE, Il trasferimento dell’azienda profili di rilevanza fiscale, cit. il quale ritiene che se l’esclusione dei criteri interpretativi extratestuali può forse trovare qualche giustificazio-ne nelle modalità applicative dell’imposta (ma secondo argomentazioni che potrebbero at-tualmente considerarsi almeno in parte superate dalle nuove tecniche di acquisizione e re-gistrazione degli atti), sembra difficile estendere tali giustificazioni all’interpretazione delle norme che definiscono il presupposto del tributo.

53 Per cui è prevista la regola dell’imputazione al definitivo della tassazione anticipata in ragione delle pattuizioni previste in sede di preliminare.

54 Si veda in proposito l’art. 43, comma 1, lett. e) del TUR il quale prevede che per gli atti portanti assunzione di una obbligazione che non costituisce corrispettivo di altra pre-stazione o portanti estinzione di una precedente obbligazione, la base imponibile è costi-tuita dall’ammontare dell’obbligazione assunta o estinta e, se questa ha per oggetto un be-ne diverso dal denaro, dal valore del bene alla data dell’atto. Si veda sul punto CTC dec., 27 novembre 1989, n. 7064 in base alla quale la disposizione risulterebbe applicabile anche

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Susanna Cannizzaro 297

sistema meccanismi attraverso i quali il tributo viene applicato in relazione e conformemente alle risultanze di più atti, benché non si possa affermare che, allo stato, la tassazione degli atti negoziali complessi possa risultare facilmente attuabile

55-56.

nel caso di datio in solutum di un bene immobile. La Corte in proposito argomenta nel sen-so che «nulla osta a che le clausole medesime siano valutate nella loro effettiva potenziali-tà, per ricercare il concreto intento perseguito e ottenuto dalle parti, indipendentemente dal nomen iuris prescelto e quindi consente di prendere in considerazione anche il colle-gamento fra più fatti negoziali, ove espressione di un disegno unitario, così da evidenziare l’effettiva portata dell’atto da tassare».

55 In proposito non si può che richiamare l’orientamento assunto dalla Corte costitu-zionale e di recente ribadito nella sent. 11 febbraio 2015, n. 10 secondo il quale, la struttu-ra del tributo deve necessariamente e coerentemente raccordarsi con il suo presupposto e con la relativa ratio giustificatrice.

56 Diverse, invece, sono le considerazioni che è possibile effettuare nell’ipotesi di con-testualità documentale degli atti collegati. In queste ipotesi, infatti, non parrebbero sussi-stere le difficoltà applicative prima menzionate. La circostanza per cui l’operazione è ap-prezzabile nel suo complesso poiché attuata tramite più negozi che emergono dallo stesso contesto documentale rende infatti più agevole l’opera dell’interprete ai fini della tassazio-ne della convenzione stessa che, per il tramite di un unico documento, sia portata alla regi-strazione. Si pensi alle ipotesi di cessioni quote, effettuate con unico atto, che sono consi-derate convenzioni autonome sotto il profilo dell’applicazione dell’imposta di registro an-corché, praticamente nella totalità dei casi, la giurisprudenza riconosca l’esistenza di un collegamento tra le suddette convenzioni. Alla luce delle considerazioni svolte nel testo si potrebbe, invece, giungere ad applicare una sola volta l’imposta valutando se il collegamento esistente tra le convenzioni possa condurre all’apprezzamento di un’unica operazione. ren-de infatti più agevole l’opera dell’interprete ai fini della tassazione della convenzione stessa che, per il tramite di un unico documento, sia portata alla registrazione.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 298

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Andrea Carinci

PROFILI FISCALI DELLO SFRUTTAMENTO DEL DIRITTO ALL’IMMAGINE DEGLI SPORTIVI

TAX ASPECTS OF THE EXPLOITATION OF SPORTSPERSONS’ IMAGE RIGHTS

Abstract Il trattamento fiscale del diritto di immagine degli sportivi è condizionato da molteplici fattori. Se per regola generale è applicabile il regime di tassazione dei redditi di lavoro dipendente, vi sono ipotesi in cui tornano applicabili altre cate-gorie. Non mancano poi dubbi in merito al trattamento IVA. In ogni caso, si trat-ta di un regime non particolarmente incentivante, che ha spinto ad elaborare so-luzioni tese a massimizzare il risparmio di imposta, fino ad ora contrastate fer-mamente dall’Agenzia e dalla giurisprudenza. L’avvento della nuova disciplina sull’abuso del diritto sembra però poter offrire nuove chiavi di lettura del feno-meno. Parole chiave: diritto di immagine, sportivi, imposta sul reddito, IVA, abuso del diritto The taxation of sportspersons’image rights depends on many factors. As general rule is applicable the regime dedicated to income from employment. In any case, it is not a favorable tax treatment; for this reason have been developed many strategies to ob-tain a tax reduction, which however, untill now, have been firmly countered by the tax authorities and courts. The introduction of the new rule on the abuse of the law, ho-wever, seems to offer new solutions. Keywords: image rights, sportsmen, income tax, VAT, abuse of law

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 300

SOMMARIO: 1. Inquadramento generale. – 2. Il trattamento fiscale del diritto all’immagine degli sportivi ai fini IRPEF. – 3. Il trattamento fiscale del diritto all’immagine degli sportivi ai fini IVA. – 4. Lo sfrut-tamento dell’immagine, tra legittimo risparmio d’imposta, interposizioni ed abuso del diritto.

1. Inquadramento generale

I diritti della personalità, nel cui ambito va ascritto il diritto all’immagine dello sportivo, sono connotati, in via generale, dai caratteri della necessarie-tà, dell’imprescrittibilità, dell’assolutezza, della non patrimonialità e dell’in-disponibilità

1. L’esercizio del diritto all’immagine, segnatamente il suo sfruttamento eco-

nomico 2, si compie mediante la stipulazione di accordi commerciali aventi

ad oggetto lo sfruttamento dell’immagine 3. Al riguardo, va evidenziato che

non esiste una disciplina dedicata allo sfruttamento del diritto all’immagine; sicché, per l’effetto, la relativa regolazione rimane demandata interamente all’autonomia contrattuale delle parti.

Con specifico riguardo allo sfruttamento dell’immagine degli sportivi, que-sto si può realizzare secondo due modalità distinte: a) mediante la conclusione di un contratto “complesso”, volto a regolare tanto la prestazione sportiva quanto lo sfruttamento dell’immagine dello sportivo; b) attraverso contratti che hanno ad oggetto esclusivamente lo sfruttamento dell’immagine.

Va osservato, infatti, che la società sportiva non ha il diritto, automatico, di utilizzare l’immagine relativa alle sue prestazioni senza il consenso del-l’atleta

4. Ciò significa che vanno tenute distinte la prestazione sportiva, og-getto del contratto di lavoro subordinato od autonomo ex art. 3, L. 23 mar-zo 1981, n. 91, e l’immagine dell’atleta che la esegue. La società sportiva può pertanto disporre dell’immagine dello sportivo se e nella misura in cui sia

1 TORRENTE-SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 2014, p. 123. 2 In effetti, ai sensi dell’art. 96, L. 22 aprile 1941, n. 633, il diritto all’immagine («i dirit-

ti relativi al ritratto») pare rilevare più per la sua dimensione economica che giuridica, dal momento che si prevede che «il ritratto [rectius l’immagine] di una persona non può esse-re esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa»; v. TORRENTE-SCHLESINGER, op. cit., p. 136.

3 In questo senso, FACCI, Il diritto all’immagine dei calciatori, in Contr. e Impresa, 2014, p. 1093.

4 FACCI, op. cit., p. 1093.

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Andrea Carinci 301

intervenuto un accordo al riguardo tra le parti interessate, in ordine allo sfruttamento da parte della società dell’immagine dello sportivo (ad esem-pio, mediante la concessione dell’immagine a terzi, quali gli sponsor, per fini pubblicitari e promozionali).

Questo significa anche che lo sportivo conserva comunque il diritto di sfruttare/utilizzare autonomamente la propria immagine mediante un con-tratto “distinto”, avente, quale specifico e puntuale oggetto, lo sfruttamento della propria immagine per fini pubblicitari/promozionali non afferenti alle prestazioni (sportive) rese in favore della società.

2. Il trattamento fiscale del diritto all’immagine degli sportivi ai fini IRPEF

Alle suddette modalità di sfruttamento del diritto all’immagine degli sportivi corrisponde un peculiare e diverso trattamento fiscale ai fini IRPEF. Il regime fiscale dello sfruttamento dell’immagine degli sportivi varia, difatti, a seconda delle modalità con cui detto diritto è sfruttato.

Nell’ipotesi in cui il diritto all’immagine sia oggetto di un contratto “com-plesso”, comprensivo sia della prestazione sportiva che del diritto allo sfrut-tamento dell’immagine ad essa correlata, ai fini dell’inquadramento fiscale occorre precisare innanzitutto la natura del rapporto tra atleta e società sportiva. Questo perché solo da detto inquadramento diviene possibile indi-viduare la categoria reddituale ex art. 6 TUIR cui ricondurre le somme per-cepite dall’atleta nell’ambito del suddetto rapporto, sebbene riferite allo sfrut-tamento dell’immagine.

2.1. Il rapporto di lavoro sportivo professionistico trova una propria ed articolata disciplina nella L. 23 marzo 1981, n. 91. In particolare, qui si pre-vede (art. 3, L. n. 91/1981) che «la prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato». Da detto inquadra-mento consegue che le somme percepite dallo sportivo a titolo di remune-razione dell’attività sportiva prestata a favore della società sportiva vanno ri-condotte alla categoria dei redditi di lavoro dipendente ex art. 49 TUIR

5. Ma non solo.

5 MATTESI, La tassazione degli atleti professionisti, in Il Fisco, 2011, p. 1655; MAGLIARO-CENSI, Dubbi sulla tassazione dei redditi da sfruttamento d’immagine dei calciatori professioni-sti, in Corr. trib., 2010, p. 3993.

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Come noto, costituiscono redditi di lavoro dipendente quelli che deriva-no da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qua-lifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri

6. Ebbene, detta circostanza ricorre sicuramente nei rapporti in argomento, dal momento che «nel con-tratto individuale [tra atleta e società sportiva] dovrà essere prevista la clau-sola contenente l’obbligo dello sportivo al rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici»

7. Come dinanzi anticipato, la predetta qualificazione impatta però anche

sul trattamento IRPEF dello sfruttamento dell’immagine dello sportivo. Il reddito imponibile dei lavoratori dipendenti – e quindi anche degli

sportivi professionisti – si compone di tutte le somme in denaro o in natura (c.d. fringe benefit), a qualunque titolo percepite in relazione al rapporto di lavoro citato

8. È la c.d. regola dell’omnicomprensività, in forza della quale il reddito di lavoro dipendente assume una latitudine estrema, tale da com-prendere elementi reddituali con caratteri di eccezionalità (ad esempio le li-beralità), all’unica condizione che siano comunque in relazione con il rap-porto di lavoro

9. La regola dell’omnicomprensività torna sicuramente applicabile ai nostri

fini, in quanto consente di comprendere anche i compensi percepiti dallo sportivo per lo sfruttamento della propria immagine nell’ambito del suddet-to rapporto di lavoro

10. Del resto, la remunerazione per lo sfruttamento del-l’immagine collegata alla prestazione sportiva, soprattutto laddove inclusa quale elemento del contratto complesso, costituisce indubitabilmente una “componente” di reddito relativa al predetto rapporto; una componente che,

6 Si veda l’art. 49 TUIR. 7 Così, l’art. 4, L. 23 marzo 1981, n. 91. 8 Sul punto, MATTESI, op. cit., p. 1655; SAPORITO-LUPI, Contratti di immagine e canaliz-

zazione della ricchezza ai fini tributari, in Dialoghi trib., 2014, p. 255. Si segnala che con l’art. 1, comma 8, L. 28 dicembre 2015, n. 208 (c.d. legge di Stabilità 2016) il comma 4 bis dell’art. 51 TUIR, ai sensi del quale «ai fini della determinazione dei valori di cui al com-ma 1, per gli atleti professionisti si considera altresì il costo dell’attività di assistenza soste-nuto dalle società sportive professionistiche nell’ambito delle trattative aventi ad oggetto le prestazioni sportive degli atleti professionisti medesimi, nella misura del 15 per cento, al netto delle somme versate dall’atleta professionista ai propri agenti per l’attività di assi-stenza nelle medesime trattative», è abrogato.

9 Si veda, per tutti, TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Parte speciale, Torino, 2008, p. 64.

10 MAGLIARO-CENSI, op. cit., p. 3993.

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Andrea Carinci 303

come tale, deve essere ricondotta alla categoria dei redditi di lavoro dipen-dente.

Consegue da ciò che i compensi percepiti dallo sportivo a fronte della cessione/sfruttamento del proprio diritto all’immagine rimangono attratti al regime del reddito da lavoro dipendente, al pari della retribuzione corrispo-sta allo sportivo per la prestazione lavorativa resa in favore della società.

Le conseguenze di tale soluzione sono rilevanti. Innanzitutto, perché l’assoggettamento dei compensi derivanti dallo

sfruttamento dell’immagine al regime fiscale previsto per i lavoratori dipen-denti impone alla società sportiva di operare, ai sensi e per gli effetti dell’art. 23, D.P.R. n. 600/1973, la ritenuta a titolo d’acconto sulle predette somme

11. Inoltre, perché per effetto della qualificazione reddituale quale reddito di

lavoro dipendente, diventano non deducibili i costi sostenuti per la produ-zione del reddito stesso: i redditi di lavoro dipendente, difatti, sono tassati al lordo. Questo significa, con specifico riferimento allo sfruttamento del dirit-to all’immagine, che i costi e le spese sostenute dallo sportivo, come ad esempio le spese di assistenza legale per la predisposizione e stipulazione del contratto di cessione, non possono essere dedotte dal reddito imponibile.

2.2. A talune precise condizioni, la prestazione resa dall’atleta in favore della società sportiva può costituire oggetto di contratto di lavoro autono-mo. Ciò accade, segnatamente, quando: i) l’attività è svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collega-te in un breve periodo di tempo; ii) l’atleta non è contrattualmente vincola-to per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamen-to; iii) la prestazione oggetto del contratto, pur avendo carattere continuati-vo, non supera otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno

12. Sebbene la natura del rapporto di lavoro sia diversa – non più lavoro di-

pendente bensì di lavoro autonomo – torna ugualmente in considerazione la categoria dei redditi di lavoro dipendente. Ciò, segnatamente, in ragione dell’assimilazione operata direttamente dalla legge. In particolare, ai sensi dell’art. 15, L. n. 91/1981, si prevede che «ai redditi derivanti dalle presta-zioni sportive oggetto di contratto di lavoro autonomo si applicano le di-sposizioni dell’art. 49, terzo comma, lettera a), del D.P.R. 29 settembre 1973,

11 Su queste posizioni, MATTESI, op. cit., p. 1655; SAPORITO-LUPI, op. cit., p. 255. 12 Così l’art. 3, comma 2, L. 23 marzo 1981, n. 91.

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n. 597, e successive modificazioni ed integrazioni» 13. Si compie, in definiti-

va, un’equiparazione ai fini della tassazione sul reddito, che trova conferma nell’art. 53, comma 3, TUIR, dove si prevede che «per i redditi derivanti dalle prestazioni sportive oggetto di contratto di lavoro autonomo, di cui al-la legge 23 marzo 1981, n. 91, si applicano le disposizioni relative ai redditi indicati alla lettera a) del comma 2».

Per l’effetto, i redditi che derivano da prestazioni sportive oggetto di con-tratto di lavoro autonomo debbono essere inquadrati, in forza dell’art. 53, comma 2, lett. a), TUIR, tra i redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e, conseguentemente, tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente

14. Ne consegue poi l’applicabilità delle regole dettate per i redditi di lavoro

dipendente; e questo, nonostante si tratti, propriamente, di proventi ritraibili da rapporti di lavoro autonomo tra atleta e società sportiva. Con un’ulteriore importante conseguenza, perché anche in questo caso i proventi derivanti dallo sfruttamento del diritto all’immagine dell’atleta oggetto di un contratto “complesso” saranno assoggettati alla disciplina dei redditi di lavoro dipen-dente, ancora una volta in ragione della regola dell’omnicomprensività.

L’applicazione delle regole dettate per i redditi da lavoro dipendente com-porta poi che, anche in questo caso, la società sportiva sia tenuta ad operare le ritenute, ai sensi e per gli effetti dell’art. 23, D.P.R. n. 600/1973

15.

2.3. Se lo sfruttamento dell’immagine dello sportivo non è collegato al rapporto di lavoro (dipendente o autonomo) tra atleta e società sportiva, il reddito che se ne ritrae non integra una componente del reddito derivante dalla prestazione sportiva (per quanto visto, di reddito di lavoro dipenden-te). Questo significa che i corrispettivi derivanti dallo sfruttamento dell’im-magine dello sportivo, a talune condizioni, non sono più soggetti al tratta-mento previsto per i redditi di lavoro dipendente

16. È questa l’ipotesi dei corrispettivi da sfruttamento dell’immagine che non

trovano titolo nelle prestazioni rese in favore della medesima società per cui è resa la prestazione sportiva

17. In assenza di una ipotesi categoriale dedica-

13 Si veda, sempre, MATTESI, op. cit., p. 1655; MAGLIARO-CENSI, op. cit., p. 3993. 14 Così l’art. 50, comma 1, lett. c bis), TUIR. 15 MATTESI, op. cit., p. 1655; SAPORITO-LUPI, op. cit., p. 255. 16 MAGLIARO-CENSI, op. cit., p. 3993. 17 Si osservino i rilievi di SAPORITO-LUPI, op. cit., p. 255.

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ta, si deve ritenere che i proventi scaturenti dalla cessione/sfruttamento del diritto all’immagine vadano ricondotti tra i redditi diversi; segnatamente, nella formula residuale dettata dall’art. 67, lett. l), TUIR, per cui sono reddi-ti di detta categoria quelli derivanti «dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere»

18. Questo comporta l’applicazione delle relative regole di categoria: tassa-

zione al netto e per cassa dei proventi. Inoltre, i compensi sono soggetti a ritenuta d’acconto ex art. 25, D.P.R. n. 600/1973 da parte della società ces-sionaria dei diritti

19. Secondo l’Agenzia delle Entrate, i compensi per la cessione del diritto di

immagine, seppur estranei al contratto avente ad oggetto la prestazione prin-cipale, andrebbero compresi nell’ambito dei redditi da lavoro autonomo

20; ciò, in ragione del comma 1 quater, art. 54 TUIR. Ad avviso dell’Agenzia, in-fatti, la relazione ivi prescritta con l’attività («concorrono a formare il reddi-to i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale») andreb-be traslata a quella con la fama del professionista, vista come conseguenza diretta dell’attività. Detta soluzione – va osservato – è stata resa con riguardo agli artisti, dove l’Agenzia ha potuto affermare, su detto assunto, che «tra gli elementi immateriali riferibili all’attività artistica, di cui al richiamato co. 1-quater, può essere compreso anche il diritto di sfruttamento dell’immagine qualora questa, come nel caso dell’immagine di un artista, sia immediata-mente riconducibile alla fama del personaggio, acquisita in relazione alle esibizioni pubbliche»

21. Sennonché, con riguardo agli sportivi, i cui i redditi sono sempre qualifi-

cati come redditi di lavoro dipendente o, al più, assimilati, tale soluzione non appare praticabile. Indubbiamente, si potrebbe ritenere qui invocabile, con un ragionamento similare, la regola dell’omincomprensività, per concludere che lo sfruttamento dell’immagine, trovando comunque relazione con la pre-stazione di lavoro, debba essere assoggettato al medesimo trattamento, os-sia alla tassazione per i redditi da lavoro dipendente. A ben vedere, però, la regola dell’omnicomprensività prescrive una relazione con il singolo rapporto

18 Si veda l’art. 67, lett. l), TUIR. 19 Così l’art. 25, D.P.R. n. 600/1973, come modificato dall’art. 36, comma 24, D.L. 4

luglio 2006, n. 223 (c.d. decreto Visco-Bersani). 20 MAGLIARO-CENSI, op. cit., p. 3993. 21 Ris. Ag. Entrate 2 ottobre 2009, n. 255/E.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 306

di lavoro, nel cui ambito dovrebbe essere ascritto il compenso per lo sfrut-tamento dell’immagine: sennonché, la fama dello sportivo non trova neces-sariamente ragione nel singolo rapporto di lavoro con una data società, per cui appare difficile invocare il principio di omnicomprensività.

La soluzione dei redditi diversi appare insomma la più convincente.

3. Il trattamento fiscale del diritto all’immagine degli sportivi ai fini IVA

Con riguardo alla rilevanza ai fini IVA della cessione dei diritti di sfrut-tamento dell’immagine degli sportivi occorre innanzitutto verificare la sus-sistenza del presupposto oggettivo e di quello soggettivo dell’imposta citata.

Sotto il profilo oggettivo, l’operazione di cessione dei diritti di sfrutta-mento dell’immagine dello sportivo integra una prestazione di servizi ex art. 3, n. 2, D.P.R. n. 633/1972

22. Non sembra porre dubbi, in questo senso, il disposto dell’articolo citato, per cui «costituiscono, inoltre, prestazioni di servizi, se effettuate verso corrispettivo [...] le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d’autore, quelle relative ad invenzioni industriali, mo-delli, disegni, processi, formule e simili e quelle relative a marchi e insegne, nonché le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti o beni simi-lari ai precedenti».

Maggiori questioni si pongono, però, sotto il profilo soggettivo. Qui i problemi si pongono in ragione della predetta qualificazione opera-

ta ai fini reddituali dall’art. 15, L. n. 91/1981. Se, difatti, i redditi spettanti agli sportivi in base ad un rapporto di lavoro autonomo sono considerati in ogni caso come redditi da collaborazione coordinata e continuativa, diventa inevitabile allora invocare qui l’applicazione, ai fini IVA, dell’art. 5, comma 2, D.P.R. n. 633/1972. Ai sensi di tale previsione, invero, «non si conside-rano effettuate nell’esercizio di arti e professioni le prestazioni di servizi ine-renti ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 49 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 [...] del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, rese da soggetti che non esercitano per professione abituale altre at-tività di lavoro autonomo»

23.

22 Così, STANCATI, L’Agenzia delle Entrate interviene sulla cessione dei diritti di immagine, in Corr. trib., 2009, p. 3534; Ris. Ag. Entrate, 2 ottobre 2009, n. 255/E.

23 CONTRINO, Art. 5, in Commentario breve alle leggi tributarie, a cura di Marongiu, tomo

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Andrea Carinci 307

Due sono però gli ordini di problemi che si pongono. Alla stregua della disciplina sopra richiamata, si sarebbe portati a ritenere

che la cessione del diritto all’immagine oggetto di un contratto “comples-so”, comprensivo sia della prestazione sportiva – costituente un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa – che del diritto allo sfruttamento dell’immagine ad essa correlata, sia assoggettata ad IVA se e nella misura in cui la cessione del diritto suddetto sia resa da un soggetto che eserciti per professione abituale altre attività di lavoro autonomo.

A ben vedere, tuttavia, occorre chiedersi se la qualificazione operata ai fi-ni dell’imposta sui redditi dall’art. 15 citato possa operare anche ai fini IVA. A rigore, in effetti, il predetto articolo non qualifica il rapporto, ma solo i redditi, per cui non dovrebbe valere ai fini della verifica della realizzazione del presupposto oggettivo IVA. Ciò per dire che se il rapporto è di lavoro autonomo, al di là della qualificazione reddituale dei proventi, il trattamento IVA dovrebbe essere quello delle prestazioni rese da esercenti attività di la-voro autonomo.

Questo, a ben vedere, sia con riferimento alla prestazione sportiva sia con riguardo, evidentemente, allo sfruttamento del diritto di immagine.

Ad ogni modo, poi, è chiaro che lo sfruttamento del diritto di immagine è in grado, soprattutto laddove non rientri nel rapporto principale avente ad oggetto la prestazione sportiva, di realizzare in via autonoma una forma di sfruttamento economico di un bene, idoneo ad integrare di per sé il presup-posto soggettivo IVA.

La cessione da parte dell’atleta professionista del proprio diritto all’im-magine può essere infatti svolta in modo abituale. Detta cessione – benché unica – può in effetti integrare un’attività economica abituale «in conside-razione della sua rilevanza economica e della complessità delle operazioni in cui si articola, implicanti la necessità del compimento di una serie coordina-ta di atti economici»

24. Con un’ulteriore implicazione.

IV, Padova, secondo il quale «in base a una normativa speciale (l. n. 91/81) le prestazioni rese dagli sportivi professionisti (atleti, allenatori, direttori tecnici, ecc.) a favore delle so-cietà sportive sono inquadrate nell’ambito del lavoro subordinato (art. 4, l. cit.), che rica-drebbero in principio nell’art. 5 in esame, è previsto l’espresso inquadramento tra le colla-borazioni coordinate e continuative se sono verificate certe condizioni, con la conseguen-za che, in tale caso, e solo in tale caso, di essere comunque escluse dal campo Iva ai sensi del 2° co. dell’art. 5».

24 Ris. Ag. Entrate, 11 ottobre 2007, n. 286/E.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 308

Se l’operazione di cessione del diritto allo sfruttamento all’immagine del-lo sportivo può integrare di per sé sola – in presenza delle circostanza de-scritte – un’attività abituale di lavoro autonomo, può accadere che, indipen-dentemente dal valore ai fini IVA della qualificazione operata dall’art. 15, L. n. 91/1981, anche la prestazione sportiva diventi soggetta ai fini IVA; e ciò, segnatamente, in forza del citato art. 5, D.P.R. n. 633/1972. Questo per dire che, se l’attività di sfruttamento dell’immagine fa assumere la soggettività IVA, si compie l’assoggettamento ad IVA tanto dell’operazione di cessione del diritto all’immagine quanto delle prestazioni sportive principali oggetto del rapporto di collaborazione coordinata continuativa tra atleta e società sportiva. Ciò, ancora, indipendentemente dalla previsione di cui all’art. 15, L. n. 91/1981.

In merito alla base imponibile, infine, questa del caso è costituita dal corri-spettivo di cessione. Laddove la contropartita non sia integrata da un corri-spettivo in denaro, l’imposta andrà applicata in base al valore normale della prestazione (art. 13, comma 2, lett. d), D.P.R. n. 633/1972): ciò significa, a rigore, che occorre assumere il valore normale che nel mercato ha il diritto di sfruttamento dell’immagine di uno sportivo avente la medesima notorietà

25.

4. Lo sfruttamento dell’immagine, tra legittimo risparmio d’imposta, interpo-sizioni ed abuso del diritto

Lo sfruttamento del diritto all’immagine dello sportivo si realizza attra-verso uno schema piuttosto semplice, che coinvolge due soggetti: il titolare del diritto ovvero il cedente/l’atleta e l’acquirente, ossia colui che sfrutterà il diritto dell’immagine altrui.

Come osservato in precedenza, in questo caso il quantum corrisposto dall’acquirente al titolare del diritto concorre a formare il reddito comples-sivo di quest’ultimo sulla base delle regole della categoria reddituale di rife-rimento. Al contempo, per l’acquirente la medesima somma rappresenta un costo, come tale deducibile dal reddito imponibile in presenza dei necessari requisiti di cui all’art. 109 TUIR: certezza, inerenza e competenza.

Si possono però configurare modelli negoziali più articolati. Può accadere, così, che la remunerazione dello sfruttamento del diritto

all’immagine si realizzi nelle forme della partecipazione agli utili dello spor-

25 Ris. Ag. Entrate, 2 ottobre 2009, n. 255/E.

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Andrea Carinci 309

tivo ad una società “sponsor”, residente o non residente nel territorio dello Stato

26, di cui l’atleta è socio ed a cui cede il diritto allo sfruttamento eco-nomico della propria immagine.

Si verifica qui il coinvolgimento di tre soggetti: a) lo sportivo; b) la socie-tà “sponsor”, prima cessionaria del diritto allo sfruttamento dell’immagine dello sportivo; c) il soggetto (ad es. la società sportiva) cessionaria finale del diritto.

Accade così che:

a) lo sportivo cede il proprio diritto all’immagine ad una società “spon-sor”, realizzando un reddito diverso ex art. 67, lett. l), TUIR;

b) la società “sponsor” provvede allo sfruttamento dell’immagine dello sportivo, realizzando un ricavo d’impresa;

c) il soggetto finale che acquista il diritto dell’immagine dello sportivo dalla società “sponsor” sostiene un costo deducibile dal proprio reddito im-ponibile;

d) la società “sponsor” distribuisce l’eventuale dividendo allo sportivo in funzione della partecipazione da esso detenuta;

In questo caso, con ogni evidenza, il reddito conseguito dallo sportivo non integrerà reddito di lavoro dipendente bensì di partecipazione (a se-conda della forma assunta dalla società)

27. Ebbene, su questo schema negoziale si sono appuntate le censure tanto

dell’Amministrazione Finanziaria quanto della giurisprudenza di legittimità 28.

Ad avviso della Suprema Corte, in particolare, lo schema dinanzi tratteg-giato integrerebbe un’interposizione fittizia soggettiva, tale per cui lo sporti-vo sarebbe l’effettivo possessore del reddito derivante dallo sfruttamento del diritto all’immagine, mentre la società “sponsor” rimarrebbe il semplice ti-tolare apparente del reddito. I redditi conseguiti dalla società “sponsor” con lo sfruttamento dell’immagine, al di là dell’imputazione formale, andrebbe-ro pertanto imputati direttamente allo sportivo.

Ma non solo. Lo schema – sempre secondo la Corte – potrebbe integrare altresì una

simulazione oggettiva; ciò, in particolare, laddove la cessione dei diritti ve-nisse impiegata «come schermo per giustificare i passaggi di denaro relativi

26 In questo senso cfr. SAPORITO-LUPI, op. cit., p. 255. 27 MATTESI, op. cit., p. 1655. 28 Cass., 26 febbraio 2010, n. 4737.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 310

al pagamento di una parte del compenso dovuto all’atleta» 29. In altri termi-

ni, quando le somme pattuite per lo sfruttamento realizzano “una ben ma-scherata” integrazione del pagamento della retribuzione dello sportivo (que-sto, segnatamente nei casi in cui l’ultimo cessionario del diritto è la società sportiva presso cui il professionista presta la propria attività)

30. Le conseguenze di una siffatta ricostruzione sono molteplici. Da una parte, il recupero da parte dell’Amministrazione Finanziaria nei

confronti dello sportivo del reddito conseguito dalla società “sponsor”, ride-terminato secondo le regole della categoria reddituale di effettiva apparte-nenza (redditi di lavoro dipendente).

Dall’altra, le sanzioni amministrative per la dichiarazione infedele. Infine, in capo al cessionario ultimo dei diritti – per ipotesi la società spor-

tiva – si può configurare l’eventualità di un recupero per le ritenute omesse. Se le somme corrisposte dalla società sportiva alla società “sponsor” vanno riqualificate come integrazioni della retribuzione/compenso dello sportivo, ciò significa che la stessa società sportiva avrebbe dovuto operare le ritenute d’acconto sulle predette somme

31. Con conseguente applicazione anche della sanzione amministrativa prevista dall’art. 14, D.Lgs. n. 471/1997 sulla viola-zione dell’obbligo di esecuzione di ritenute alla fonte.

Sennonché, occorre oggi domandarsi se una siffatta ricostruzione sia an-cora attuale o se, di contro, non debba essere rivista alla stregua della riforma dell’istituto dell’abuso del diritto, come attuata con l’inserimento del nuovo art. 10 bis nello Statuto dei diritti del contribuente ad opera del D.Lgs. n. 218/2015

32. Diversi argomenti inducono in questa direzione. Innanzitutto, andrebbe sgombrato il campo da evidenti confusioni logi-

che ed argomentative: a ben vedere, come osservato in dottrina, la società “sponsor” può reputarsi al più superflua, ma non certo interposta

33. Dal

29 Cass. n. 4737/2010, cit. 30 FALSITTA, L’interposizione fittizia e il dribbling al fisco, in Riv. dir. trib., 1996, II, p. 522. 31 Spetta al sostituto la verifica circa la sussistenza o meno dei presupposti per l’imponi-

bilità degli emolumenti erogati e, quindi, per l’applicazione della ritenuta. Il sostituto è in-vero chiamato a compiere «un’attività di “accertamento” dell’obbligo del percettore del reddito, perché il sorgere del suo obbligo di operare la ritenuta, suppone l’accertamento da parte dello stesso sostituto della sussistenza dei presupposti di legge per effettuarla» (Cass., 26 febbraio 2007, n. 4314).

32 CARINCI-DEOTTO, D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 – Abuso del diritto ed effettiva utilità della novella: Much ado about nothing?, in Il Fisco, 2015, p. 3107.

33 SAPORITO-LUPI, op. cit., p. 255.

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Andrea Carinci 311

punto di vista sistematico, lo schema negoziale sopra descritto compie solo una particolare forma di sfruttamento dell’immagine dello sportivo, giam-mai un’interposizione fittizia ex art. 37, D.P.R. n. 600/1973

34. Non vi è in-vero alcuna dissimulazione della realtà, della titolarità della fonte e dei flussi di reddito. Del resto, ragionando diversamente, si dovrebbero ravvisare for-me di interposizione fittizia in tutti i casi di attività economica svolta in for-ma societaria.

In secondo luogo, appare poi ed in ogni caso del tutto inconferente il ri-chiamo operato dalla Suprema Corte all’abuso del diritto

35. A ben vedere, non è ravvisabile qui un uso distorto di strumenti giuridici

idonei ad ottenere un indebito vantaggio fiscale in difetto di ragioni economi-camente apprezzabili, ma semmai solo una diversa modalità di sfruttamento del diritto all’immagine. Una modalità diversa, che, certamente, può deter-minare conseguenze fiscali diverse e più vantaggiose (correlate alla più age-vole localizzazione, ovvero ad evitare le ritenute); sennonché, questo oggi non è più sufficiente. Alla stregua della neo introdotta regola generale sul-l’abuso del diritto, di cui all’art. 10 bis, L. n. 212/2000, occorre infatti do-mandarsi se l’eventuale vantaggio ritratto in ragione di un particolare sche-ma negoziale sia indebito o, piuttosto, rappresenti la mera consegua di una peculiare conformazione del sistema, che tratta in modo fisiologicamente differente lo sfruttamento diretto di un bene (qui l’immagine) da quello mediato attraverso l’impiego dello strumento societario.

Perché, se così è, si deve allora riconoscere che lo sfruttamento dell’im-magine per mezzo di una società risponda alla libertà, oggi espressamente riconosciuta

36, di scegliere «tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale»

37. Con la nuova formula sull’abuso del diritto, difatti, è lo stesso Le-gislatore a valorizzare ed ammettere la possibilità per il contribuente di op-tare tra diverse operazioni consentite dal “sistema”, ancorché aventi un di-verso carico fiscale. Questo, segnatamente, escludendo – o quantomeno li-mitando – la possibilità per l’Amministrazione Finanziaria di invocare l’a-buso del diritto a fronte della riconosciuta «libertà di scelta del contribuen-

34 Cass., 26 febbraio 2010, n. 4737; in dottrina, VIGNOLI-LUPI, Sfruttamento dell’imma-gine e flussi di ricchezza tra atleti, clubs, sponsors e managers, in Dialoghi trib., 2010, p. 295; FALSITTA, op. cit., p. 522.

35 Ancora, Cass., 26 febbraio 2010, n. 4737. 36 Art. 10 bis, comma 4, L. 27 luglio 2000, n. 212. 37 Si veda l’art. 1, D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128.

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te tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale» (art. 10 bis, comma 4).

Ciò appare tanto più vero laddove detta scelta organizzativa riesca altresì a trovare una propria giustificazione nella molteplicità e varietà delle forme di sfruttamento intraprese dall’atleta. In questi casi, infatti, mantenere un canale (quello societario) unico, attraverso il quale poter avere una gestione unitaria dello sfruttamento dell’immagine, può trovare giustificazioni in ragioni «di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del con-tribuente» (art. 10 bis, comma 3). Argomento, questo, che ulteriormente esclude l’invocabilità della clausola generale sull’abuso del diritto.

Sul punto, occorrerà comunque attendere le prime esperienze giurispru-denziali. È evidente però che saranno proprio casi come quelli sopra ricor-dati a rappresentare il banco di prova dove verificare la portata innovativa del-l’introduzione di una nozione generale di abuso del diritto

38.

38 In argomento, si consenta un rinvio a CARINCI-DEOTTO, D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 – Abuso del diritto ed effettiva utilità della novella: much ado about nothing?, in Il Fisco, 2015, p. 3107.

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Valerio Ficari

VIRTÙ E VIZI DELLA NUOVA DISCIPLINA DELL’ABUSO E DELL’ELUSIONE TRIBUTARIA

EX ART. 10 BIS DELLA L. N. 212/2000

VIRTUES AND VICES OF THE NEW DISCIPLINE ON TAX AVOIDANCE AND ABUSE OF LAW PROVIDED

BY EX ART. 10 BIS OF LAW N. 212/2000

Abstract Il lavoro intende analizzare la rilevanza della recente introduzione dell’art. 10 bis della L. n. 212/2000 a seguito del D.Lgs. n. 158/2015, indagando in quali termi-ni le precedenti questioni applicative dell’esercizio del potere antielusione siano state risolte e delineando le novità normative, tra le quali la previsione di elemen-ti di garanzia procedimentale e processuale del contribuente e l’estensione del nuovo potere a tutti i tributi. Parole chiave: abuso, elusione, riforma, novità, applicazione This work aims at analysing the relevance of the recent introduction of Art. 10-bis of Law n. 212/2000 made by Legislative Decree n. 158/2015, by checking in which terms the past issues concerning the enforcement of anti-avoidance power have been resolved and highlighting the new rules, such as taxpayer’s procedural and trial safe-guards and the extension of the new power to all types of taxes. Keywords: abuse of tax law, tax avoidance, reform, new measures, application

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La rilevanza sistematica dell’inserimento delle novità all’interno dello Sta-tuto del contribuente (L. n. 212/2000). – 3. L’ambito oggettivo non più limitato alle sole im-poste sui redditi, a singole operazioni tipizzate e al “mondo” dell’impresa. – 4. La definizione di operazione abusiva e gli indici esemplificativi di sostanza economica (coerenza, conformità a

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normali logiche di mercato, non marginalità), l’esclusione espressa della natura abusiva e la de-finizione di valide ragioni economiche extrafiscali. – 5. Il riconoscimento della libertà di scelta del regime fiscale più vantaggioso come valida ragione economica. – 6. La natura indebita dei vantaggi fiscali. – 7. Gli oneri motivazionali e probatori nel “gioco delle parti”. – 8. La non rile-vabilità d’ufficio della natura abusiva. – 9. La distinzione fra abuso ed altre ipotesi (non ineren-za, inesistenza, simulazione, antieconomicità, transfer pricing interno, interposizione, ecc.). – 10. L’abuso del diritto tributario e il “dover essere” tra il “civilistico” e il “tributario” e tra il “giu-ridico” e l’“economico”.

1. Introduzione

In quasi tutte le riforme tributarie settoriali è dato rinvenire sia mancate modifiche auspicate e innovazioni asistematiche o inefficaci sia disposizioni non equilibrate in quanto irragionevolmente recettizie di orientamenti giu-risprudenziali fortemente criticati o di esigenze erariali tutelate in non modo non proporzionale e ragionevole.

Nel caso che interessa ciò è particolarmente vero, nonostante un apprez-zabile cambiamento di orientamento della Suprema Corte in tempi di poco antecedenti alle novità normative di cui trattasi, espressivo di una matura consapevolezza delle regole volte a delimitare le condotte sindacabili

1 ed a un corretto riparto degli oneri probatori.

Il D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, almeno ad una sua prima lettura, dovreb-be ricevere un giudizio di “sufficienza” anche in ragione degli effetti che sembrano derivare dal combinato disposto delle norme cui riferire le novità contenute nel neointrodotto art. 10 bis, L. n. 212/2000, le quali, per espres-sa previsione normativa, sono dotate di natura retroattiva riferendosi già alle operazioni antecedenti all’entrata in vigore per le quali non sia stato già no-tificato un atto impositivo.

Si deve, peraltro, da subito notare che il testo introdotto ha una sua ori-ginalità muovendo non solo dalla precedente e assai problematica esperien-za dell’art. 37 bis ma anche da quelle comunitarie; di entrambe, come si è os-servato, ha recepito alcune parti o linee applicative escludendone, però, al-

1 Fra tutte si segnalano, anche per la diffusa e puntuale esposizione, Cass., sez. trib., 26 agosto 2015, n. 17175 (Pres. Piccininni, Rel. Olivieri); Cass., sez. trib., 14 gennaio 2015, n. 439 (Pres. Bielli, Rel. Cirillo), Cass., sez. trib., 14 gennaio 2015, n. 405 (Pres. Bielli, Rel. Oli-vieri) (che seguono Cass., sez. trib., 5 dicembre 2014, n. 2558 (Pres. Bielli, Rel. Olivieri), in Corr. trib., 2015, p. 735 ss. con nota di BEGHIN).

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cune che in passato avevano avuto grande risalto; in alcune ipotesi, peraltro, talune (seppur rare) limitazioni temporali e condizioni di giustificazione po-trebbero rivelarsi contrastanti con il principio di proporzionalità di origine comunitaria

2.

2. La rilevanza sistematica dell’inserimento delle novità all’interno dello Statuto del contribuente (L. n. 212/2000)

Un aspetto che avrà indubbie ricadute applicative è la scelta (non sap-piamo se pienamente consapevole) di inserire la nuova disposizione con va-lenza a 360 gradi in seno alla L. n. 212/2000.

Dovendosene escludere la casualità 3, la scelta effettuata non potrà nega-

re all’esperienza futura le conseguenze della circostanza che, ai sensi dell’art. 1, comma 1, L. n. 212/2000, (anche) l’art. 10 bis (al pari delle altre disposi-zioni contenute nella legge) sia attuativo «degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione» e, pertanto, espressivo di «principi generali dell’ordinamen-to tributario».

Si tratterebbe di un caso, il nostro, di norme attuative di principi sia co-stituzionali che enunciati (rectius: ribaditi?) in leggi generali, in esse rinve-nienti il loro fondamento

4 e tali da doversi apprezzare per valutare l’esisten-za di situazioni giuridiche rafforzate sia dell’Amministrazione finanziaria che del contribuente.

L’avvenuta collocazione darebbe conto dell’esistenza di un potere, quel-lo antiabuso/elusione che, se effettivamente espressione di un principio, an-drebbe riconosciuto come esistente da sempre (ovvero immanente) e non, invece, solo dall’entrata in vigore e per operazioni non ancora accertate; in questo senso gli approdi della giurisprudenza della Corte di Giustizia in ma-teria di potere di sindacato anti-abuso del diritto tributario comunitario ver-rebbero ad estendersi a tutti i settori impositivi.

2 A riguardo su entrambi gli aspetti AMATUCCI, Profili procedimentali e criticità della clausola generale antiabuso, in corso di pubblicazione; anche BORIA, Diritto tributario, Tori-no, 2016, p. 260 ss.

3 Del genere: le singole leggi tributarie sono di settore e, dunque, il c.d. Statuto del con-tribuente è l’unico contenitore non già ex ante specializzato.

4 V. FEDELE, Il valore dei principi nella giurisprudenza tributaria, in Riv. dir. trib., 2013, I, p. 878 ss.; per alcune osservazioni all’indomani del consolidarsi dell’orientamento giurispru-denziale favorevole ad un principio generale antielusivo FICARI, Clausola generale antielusi-va, art. 3 della Costituzione e regole giurisprudenziali, in Rass. trib., 2009, p. 390 ss.

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Di conseguenza, a tale riconoscimento si accompagnerebbero tutte le mi-sure di garanzia e tutela proprie delle norme statutarie.

In altro (ma non condividibile) senso i principi di cui all’art. 10 bis rile-vanti in ragione del citato art. 1 dello Statuto subirebbero invece, un depoten-ziamento rispetto alla loro efficacia retroattiva rispetto all’entrata in vigore della norma che li riconosce espressamente, qualora (come è probabile av-venga da parte degli uffici) ad essi venisse attribuito un contenuto innovati-vo

5; in ciò palesando, però, una intrinseca contraddizione con la stessa natura di principi che mal si concilierebbe con l’entrata in vigore disposta dall’art. 1, comma 5, D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, che, invece, presupporrebbe la na-tura innovativa la disposizione.

Di qui, sotto questo specifico aspetto della novella legislativa, un giudizio di poca attenzione da parte del legislatore e il conseguente rischio che la li-mitazione temporale sia contestabile eccependo che le nuove disposizioni siano applicabili, con valenza interpretativa, anche ad accertamenti già noti-ficati e in processi già incardinati, non trattandosi di norme eccezionali

6.

3. L’ambito oggettivo non più limitato alle sole imposte sui redditi, a singole operazioni tipizzate e al “mondo” dell’impresa

Un dato senza dubbio significativo che esprime la generalizzazione del (nuovo) potere è l’applicazione dello stesso senza alcuna limitazione tipolo-gica: il sindacato non si indirizza, più, infatti, alle sole specie impositive reddi-tuali

7 ed a quelle proprie dell’imposizione armonizzata a livello comunitario. L’unificazione concettuale

8 delle due figure in precedenza valutate in rap-

5 Sulla problematica si rinvia a FEDELE, Il valore dei principi nella giurisprudenza tributaria, cit., p. 881 ss. ove l’approfondito e critico confronto con la giurisprudenza di legittimità occupatasi della problematica di cui al testo.

6 Sui valori eccezionali o generali sottesi alla riconduzione del divieto di abuso/elusio-ne tra i principi già prima della normazione delegata vedasi tra tutti LA ROSA, L’accertamen-to tributario antielusivo: profili procedimentali e processuali, in Riv. dir. trib., 2014, I, p. 505 ss.; GIOVANNINI, L’abuso del diritto nella legge delega fiscale, ivi, p. 231 ss. ma già in Il divieto di abuso del diritto in ambito tributario come principio generale dell’ordinamento, in Rass. trib., 2010, p. 982 ss.

7 Il dato è stato già riconosciuto dalla giurisprudenza: espressamente Cass., sez. pen., 7 ottobre 2015, n. 40272 (Pres. Squassoni, Rel. Scarcella), par. 10.

8 In quest’ultimo senso Cass. n. 40272/2015, cit., par. 14. Sul punto da ultimo GALLO, La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale, in Rass. trib., 2015, p. 1316 ss. per la dettagliata esposizione diacronica.

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porto di genus a species 9 che escludeva l’esistenza fra elusione e abuso di una

relazione meramente sinonimica 10, diventa, a questo punto, tangibile.

L’abbandono, per il futuro, della necessaria tipizzazione delle operazioni sindacabili

11 apre uno scenario dalla grande latitudine; si consideri, infatti, lo spazio di sindacato che è offerto non solo dall’IVA ma anche da altri set-tori impositivi (es. l’imposta di registro, le altre imposte indirette sui trasferi-menti ed i tributi locali

12) e che si potrà scoprire calando tale potere nel mon-do delle attività professionali del contribuente e, quindi, delle diverse cate-gorie reddituali IRPEF.

Si possono prospettare alcuni probabili scenari. Senza dubbio la giurisprudenza comunitaria acquisterà un ruolo pari alla

sua dignità non potendo i suoi orientamenti essere disattesi dai giudizi na-zionali anche di legittimità e dai singoli uffici.

In materia di imposta di registro, d’altro canto, si dovrebbe ritenere risolta la questione (sollevata, peraltro, solo dalla giurisprudenza) se l’art. 20 TUR n. 131/1986 avesse natura (anche) antielusiva: con l’entrata in vigore dell’art. 10 bis, l’art. 20 ritorna a svolgere l’antico ruolo di norma sull’interpretazione degli atti presentati per la registrazione

13 allontanando spettri di riqualifica-

9 Così Cass. n. 405/2015, cit. ma anche Cass., sez. trib., 19 dicembre 2014, n. 27087 (Pres. Piccininni, Rel. Olivieri), in GT-Riv. giur. trib., 2015, p. 322 ss. con nota di FANNI-ADDA; sulle possibili differenze tra gli altri LA ROSA, Abuso del diritto ed elusione fiscale: dif-ferenze e interferenze, in Dir. prat. trib., 2012, I, p. 577 ss.; VACCA, Abuso del diritto ed elusio-ne fiscale, in Riv. dir. trib., 2008, I, p. 1079 ss.; per un quadro comparato ALTIERI, La codifica-zione di una clausola generale antielusiva: giungla o wild west?, in Rass. trib., 2014, p. 521 ss.

10 Per un’analisi del concetto in altri settori da ultimo v. ALPA, Appunti sul divieto del-l’abuso del diritto in ambito comunitario e sui suoi riflessi negli ordinamenti degli Stati Membri, in Contr. e impresa, 2015, p. 245, adde RUSSO, Profili storici e sistematici in tema di elusione ed abuso del diritto in materia tributaria: spunti critici e ricostruttivi, in Dir. prat. trib., 2016, I, p. 1 ss.

11 Ribadita da Cass., sez. trib., 25 novembre 2015, n. 24024 (Pres. Merone, Rel. Botta). Più in generale sui problemi di efficacia temporale, TABET, Sull’efficacia temporale della nuova disciplina dell’abuso del diritto in materia fiscale, in Rass. trib., 2016, p. 111 ss.

12 Per un caso in tale senso (Cass., sez. trib., 30 novembre 2009, n. 25127 ma anche Cass., sez. trib., 29 ottobre 2010, n. 22129; Cass., sez. trib., 8 novembre 2013, n. 25170) vedi PURI, Il debutto dell’abuso del diritto nel Cci, in Corr. trib., 2010, p. 381; SALVATI, Considerazioni in tema di regime fiscale dei terreni pertinenziali, in Rass. trib., 2011, p. 721 ss. nonché FICARI, Il pandemico principio dell’abuso del diritto raggiunge anche l’Ici!, in Boll. trib., 2010, p. 574 ss. ove, però, si segnala la necessità di ben distinguere le condotte effettivamente elusive da quel-le, probabilmente molto più frequenti, di simulazione assoluta o relativa; in tal senso anche GIOVANARDI, L’abuso del diritto nei tributi locali, in corso di pubblicazione.

13 Da ultima MASTROIACOVO, La nuova disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fi-scale nella prospettiva dell’imposta di registro, in Riv. not., 2016, p. 31 ss.; ID., L’abuso del di-

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zione e sindacato spesso incontrati nell’esperienza senza, però, quelle garanzie che la previgente disciplina dell’elusione offriva in ordine al contraddittorio.

4. La definizione di operazione abusiva e gli indici esemplificativi di sostanza economica (coerenza, conformità a normali logiche di mercato, non mar-ginalità), l’esclusione espressa della natura abusiva e la definizione di va-lide ragioni economiche extrafiscali

Un pregio dell’intervento normativo risiede nell’aver dato maggiore con-tenuto alla fattispecie normativa dell’elusione/abuso; muovendo da quanto già espresso nel previgente art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973, si sono esplicitati alcuni elementi costitutivi del concetto di “abuso del diritto” quali, in parti-colare, la mancanza di sostanza economica e la presenza di valide ragioni e-conomiche diverse da quelle di (legittimo) risparmio fiscale

14. Evidente il concreto seguito dato dal legislatore alle indicazioni ritraibili

dalla giurisprudenza comunitaria e dalla Raccomandazione della CE relativa alla c.d. pianificazione fiscale aggressiva

15 sebbene il dettaglio che caratte-rizza quest’ultima, anche nell’esposizione analitica di esempi concreti, do-vrebbe, almeno nell’auspicata corretta applicazione della novella, essere ac-quisito al dato normativo di riferimento.

Alla luce del nuovo testo, allora, sarebbe abusiva l’“operazione” priva di sostanza economica in quanto, per un verso, non idonea «a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali» e, per l’altro, dotata di una serie di caratteristiche indiziarie della mancanza della sostanza economica stessa.

Un inciso fondamentale attiene alla natura esemplificativa degli indici di assenza di sostanza economica: lo si desume dall’“in particolare” del comma 2, lett. a), art. 10 bis, L. n. 212/2000.

L’assenza sarebbe, così, dimostrabile per opera degli uffici anche apprez-zando altre caratteristiche fattuali le quali, però, in ogni caso dovranno esse- ritto o l’elusione d’imposta nell’imposta di registro e negli altri tributi indiretti, in corso di pub-blicazione; si aggiunga BEGHIN, La tassazione differenziale e la non opponibilità al Fisco delle operazioni abusive, in Riv. dir. trib., 2016, I, p. 295 ss.

14 Sulla necessità ante riforma di una soluzione all’indeterminatezza delle definizioni già FEDELE, Assetti negoziali e “forme d’impresa” tra opponibilità, simulazione e riqualificazione, in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 1116 ss.

15 V. ZIZZO, La nuova nozione di abuso del diritto e le raccomandazioni della Commissione europea, in Corr. trib., 2015, p. 4577 ss.

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Valerio Ficari 319

re tali da provare che i motivi e gli effetti delle operazioni realizzate si ricon-ducano esclusivamente o principalmente all’ottenimento di vantaggi fiscali

16.

a) La novella legislativa ammette un sindacato antiabusivo quando la qua-lificazione della singola operazione data dalle parti ai fini fiscali non sia coe-rente al fondamento giuridico del loro insieme

17 sebbene, nel menzionare tale carattere, non ne dia una specifica nozione.

L’art. 10 bis riferisce tale qualità a un elemento, l’“operazione”, tradizio-nalmente noto nell’IVA e non anche negli altri settori impositivi.

Il legislatore richiede, almeno nella lettera verbis della disposizioni in esame, che la coerenza debba essere accertata rispetto al “fondamento giuri-dico” non della singola operazione delle operazioni rispetto al “loro insieme”; altrimenti detto: sarebbe l’insieme delle operazioni il parametro di riferi-mento per la dimostrazione della coerenza.

Ciò palesa una certa criticità risolvibile solo ipotizzando che il termine “operazione” al fine del giudizio di fatto sulla coerenza possa essere inteso in due diverse maniere fra loro non alternative: quella di singolo “atto” e, quin-di, nell’accezione monistica propria dell’IVA; quella di insieme di atti fra lo-ro collegati e, quindi, nell’accezione funzionale già nota all’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973.

b) Il secondo indice, aggiuntivo a quello dell’incoerenza, è la conformità degli “strumenti giuridici” utilizzati “a normali logiche di mercato”

18. Senza dubbio il riferimento alla normalità delle scelte dei comportamenti

degli operatori nel mercato è un dato apprezzabile in quanto richiama la com-ponente comportamentale; questa dovrà essere valutata caso per caso, non essendo né normalizzabile né insensibile a contingenti situazioni economi-che, storiche, territoriali se non anche soggettive e proprie del singolo ope-ratore destinatario del controllo.

Il riferimento agli “strumenti giuridici” utilizzati e alla loro adozione rispetto a una normale logica di mercato dovrebbe essere riferito, alla stregua di quan-

16 Lo ricorda GALLO, op. cit., 1331. 17 In termini anticipatori di tale requisito Cass., sez. trib., 14 gennaio 2015, n. 438

(Pres. Bielli, Rel. Cirillo), in Corr. trib., 2015, p. 899 con nota di BEGHIN. 18 Per un cenno a tale fattispecie già Cass., sez. trib., 26 agosto 2015, n. 17175, cit., parr.

7.11 e 7.12 anche nella valorizzazione della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost., giungendo ad escludere un sindacato sull’opportunità ed ammettendolo solo per manife-sta antieconomicità ed irrazionalità della scelta. In questo senso si potrebbe ritenere (così anche RUSSO, op. cit., pp. 5 e 8) che il potere pubblico si basi sull’utilità sociale ex art. 41 Cost. delle diverse espressioni della libertà di iniziativa economica.

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to sopra osservato in ordine al termine “operazione”, sia ai singoli atti, fatti e negozi o contratti – richiamandosi, così, il lessico del passato art. 37 bis o del-l’attuale comma 2, lett. a), primo periodo dell’art. 10 bis – sia al complesso unitario che discenderebbe dal loro collegamento funzionale anche in una dimensione diacronica.

L’indice (di mancanza) di sostanza economica si strutturerebbe, invece, a sua volta, in tre sotto parti: un carattere di normalità, la logica del compor-tamento e delle scelte, il mercato come parametro di riferimento

19. L’aggettivo normale riferito alla logica comportamentale e di scelta si pa-

lesa tautologico e ripetitivo: sarebbe, infatti, un ossimoro ipotizzare una lo-gica anormale; pertanto, si ritiene che la conformità di cui al disposto nor-mativo possa essere ridotto alle sole “logiche di mercato”.

La prova dell’assenza di sostanza economica delle operazioni oggetto di un controllo antiabuso gravante sugli uffici, necessariamente (e, si ritiene, fi-nalmente) troverà, quindi, una base su aspetti non solo giuridici ma, invece, economico/aziendali delle scelte del contribuente.

Gli “operatori del diritto” tradizionalmente poco usi all’indagine metagiu-ridica dovranno, quindi, cercare di cogliere gli interessi economici e le pecu-liarità di scelte a seconda dei possibili diversi mercati nonché delle patologie e variabili caratterizzanti il mercato come luogo multiforme di scambio e temporalmente mutevole nella normalità di scelte e valori

20 per una specifi-ca realtà imprenditoriale

21. Con le lenti della logica del mercato ben potranno avere sostanza eco-

nomica e, quindi, effetti fiscali opponibili, ad es., le scelte di vendita sottoco-

19 Per la considerazione della crisi di imprese e delle sue conseguenze sulla gestione come valida ragione economica si veda PURI, Riorganizzazione societaria nell’ambito della crisi d’impresa ed elusione tributaria, in Riv. dir. trib., 2013, I, p. 867 ss.

20 Per alcuni approfondimenti su tale prospettiva si legga, da ultimo anche per riferi-menti, FICARI, Le diverse dimensioni della corrispettività, onerosità, gratuità e liberalità nel di-ritto tributario dell’impresa, in Riv. dir. trib., 2014, I, p. 803 ss. ma anche in AA.VV., Corri-spettività, onerosità e gratuità. Profili tributari, a cura di Ficari-Mastroiacovo, Torino, 2014, p. 1 ss.; sempre in questa opera v. anche i contributi di Gatt, Maspes, Cannizzaro, Denora, Marchisio, Bernini e Maugeri.

Sul rapporto tra logiche e ragioni economiche v., tra gli altri, FRANSONI, Spunti in tema di abuso del diritto e “intenzionalità” dell’azione, in Rass. trib., 2014, p. 403 ss. spec. par. 4.

21 In questo senso correttamente CTR Potenza, 14 dicembre 2015, n. 623 riconosce una ragione economica extrafiscale valida nella vendita infragruppo nazionale di un immobi-le per evitare perdite della cedente oltre il limite consentito anche se la cessione non abbia dato luogo a imponibile per la cedente ed abbia originato per la cessionaria un ingente credito IVA.

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sto di beni merce, la vendita in blocco o la vendita di partecipazioni a num-mo uno nei casi di accordi collaterali che facciano quotare il valore della par-tecipazione anche in ragione degli impegni contrattuali riguardanti sede del-l’impresa, livello occupazionale, ecc.; più delicata pare la questione se l’ana-lisi venisse riferita ad atti non di scambio ma dalla funzione riorganizzativa, come quelli in cui si concretizzano le diverse operazioni societarie straordi-narie conferimenti compresi.

Poiché la logica di mercato del mondo del “giuridico” ha in sé solo i di-versi strumenti offerti ma non i motivi delle scelte che di questi costituisco-no il presupposto, l’art. 10 bis richiederà l’acquisizione di nuove conoscenze in ordine a quelle che si potrebbero definire le best o normal practices nei di-versi mercati per specifici operatori in un puntuale momento storico e luo-go; poiché nulla di tutto ciò è, ovviamente, esplicitato nelle disposizioni normative necessario sarà il rinvio alle conoscenze acquisite nel settore del-l’economia industriale ed aziendale cui appartengono i motivi delle scelte.

Un valido ausilio, a dire il vero, si rinviene nello stesso art. 10 bis laddove, al comma 3, si esclude la natura abusiva (e, quindi, a contrario, si riconosce la sostanza economica delle operazioni) in presenza di ragioni di «ordine organizzativo o gestionale che rispondono a finalità di miglioramento strut-turale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contri-buente».

Nella descritta valorizzazione del dato metagiuridico si deve, però, rileva-re come la novella non disciplina espressamente il c.d. interesse (dell’impre-sa) di gruppo.

A riguardo, però, si segnalano alcune condivisibili posizioni giurispruden-ziali nelle quali la quotazione dei valori e scelte (apparentemente) non eco-nomiche sono state ritenute legittime e non sindacabili alla luce della parti-colare morfologia dell’impresa di gruppo e dei vantaggi compensativi relati-vi alle dinamiche interne ed esterne ad esso

22. Più in particolare, le ragioni organizzative e gestionali proprie di un grup-

po sono state apprezzate dalla Corte di Cassazione sotto il profilo dell’ine-renza di costi volti, tra l’altro, a realizzare economie di scala infragruppo e ottimizzazione delle singole competenze

23; tale segnale ben fa sperare sulla concreta possibilità che la logica di mercato sia percepita nella dimensione di un gruppo, anche sotto il fronte delle operazioni societarie straordinarie e

22 Si legga Cass., sez. trib., n. 27087/2014, cit., parr. II, 16 e II, 27. 23 Vedasi, per la rarità del caso, Cass., sez. trib., 20 maggio 2015, n. 10319 (Pres. Virgi-

lio, Rel. Greco).

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di altri comportamenti che siano suscettibili di controllo sul fronte dell’abu-so e dell’elusione tributaria.

c) Oltre alla coerenza e alla logica di mercato il legislatore riempie di si-gnificato il contenitore della mancanza di sostanza economica e, quindi, del-la non opponibilità dell’operazione ai fini fiscali con il riferimento anche alla “non marginalità” delle ragioni extrafiscali.

Sebbene il lessico sia forse involuto, esso è interpretabile, in positivo, co-me principale, primario, prevalente anche se non esclusivo, essenziale e ba-silare, necessario.

In questi termini, allora, tale carattere esprimerebbe la circostanza che l’o-perazione, in assenza del vantaggio fiscale, non sarebbe stata compiuta

24. Si potrebbe, in alternativa, anche ammettere che nella novità si sia scelta

una dimensione meno consistente o, meglio, più consistente della semplice marginalità; superando il gioco di parole

25 parrebbe fondato ammettere che la ragione non fiscale non debba necessariamente essere quella esclusiva e ne-cessaria ma anche semplicemente facoltativa ma in concreto perseguita.

5. Il riconoscimento della libertà di scelta del regime fiscale più vantaggioso come valida ragione economica

Un dato altrettanto positivo del nuovo testo normativo è l’esplicito rife-rimento contenuto nel comma 4 dell’art. 10 bis, L. n. 212/2000 alla “libertà” del contribuente «di scelta tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale»

26. Si deve evidenziare da subito il riconoscimento di tale libertà come dirit-

to sempre esistito nella dialettica tra contribuente e Fisco: lo si desume dal-l’incipit “Resta ferma” con la quale inizia il menzionato comma.

Si formalizza, allora, nel novellato testo legislativo un approdo interpreta-tivo con il quale la Suprema Corte, in recenti occasioni, ha già offerto chia-

24 Così indicazioni in Cass. n. 40272/2015, cit., par. 14. 25 Che potrebbe continuare riconoscendo che il non freddo non necessariamente è il

caldo potendo essere anche il tiepido. 26 Sulle scelte opponibili quali espressione della libertà v. FEDELE, Assetti negoziali e “forme

d’impresa”, cit., p. 1094 ss.; conforme Cass., sez. trib., 26 agosto 2015, n. 17175, cit., parr. 7.5, 7.6 e 7.7 ove la Corte, richiamando gli orientamenti comunitari, legittima la scelta di operazioni fiscalmente meno gravose e ne rifiuta il carattere di contrarietà alle norme, non essendovi alcun obbligo nell’ordinamento tributario né di scegliere un regime fiscale più oneroso né di conservarlo ove la stessa legge offra una diversa possibilità.

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Valerio Ficari 323

rimenti 27: il sindacato deve essere effettuato non tra diverse operazioni vol-

te a raggiungere lo stesso risultato con una fiscalità diversa ma in relazione ai risultati ottenuti adottando formalmente una soluzione ma, in ragione di es-si, svelando altra intenzione; libertà, quindi, senza dubbio riconosciuta ma senza tentare di aggiungere un risultato economico che si sarebbe ottenuto adottando altri strumenti giuridici

28. Peraltro, con riguardo a scelte che consentano di godere di regimi fiscali

di natura propriamente agevolativa il sindacato andrebbe circoscritto alla sola creazione delle condizioni oggettive (natura, forma, localizzazione).

In realtà, a meglio vedere, ciò è da escludersi in quanto la costruzione di un concreto modello comportamentale in luogo di altri trova la sua ragione essenziale proprio nelle astratte caratteristiche prescritte dalla norma agevo-lativa; ne conseguirebbe, allora, un spazio non per il sindacato antiabusivo ma solo per quello volto ad accertare eventuali simulazioni o inesistenze.

In secondo luogo, il disposto del citato comma 4 è destinato ad assumere grande valenza se rapportato alla natura che hanno tutte le disposizioni con-tenute nell’art. 10 bis, L. n. 212/2000 in virtù di quella della legge che le contiene: se, infatti, il contenuto di tutti gli articoli dello Statuto è, in qual-che innegabile maniera, ritenuto ex lege espressivo di principi, nel caso che interessa la libertà di cui al comma 4 dell’art. 10 bis nella declinazione che gli si vorrà dare avrà una forza “oppositiva” assolutamente non trascurabile

29. Da ultimo, alla luce di quanto esposto pare che la scelta del legislatore sia

stata quella di dare una equilibrata considerazione all’intento soggettivo e volitivo nella perfezione della fattispecie: non a caso si è coerentemente e-sclusa la sanzionabilità penale delle fattispecie abusive; se così è, i diversi ri-ferimenti normativi (alcuni presenti anche in passato) alla “direzione” dei comportamenti ed alle “condotte” dei contribuenti nonché alla effettiva vo-lontà di perseguire determinati effetti sia giuridici che economici quale ele-

27 Cass., sez. trib., n. 439/2015, cit., par. 8.2 e Cass., sez. trib., n. 405/2015, cit., par. 7.3. 28 Lo si legge molto chiaramente in Cass., 26 agosto 2015, n. 17175, cit., par. 7, in cui la

Suprema Corte richiede la ricerca della «causa concreta della operazione negoziale» con-trollata attraverso una comparazione di possibili diverse possibili scelte negoziali rispetto, però, allo specifico risultato ottenuto dal comportamento in concreto adottato dovendosi ammettere, in ipotesi, l’assenza di «una opzione alternativa tra schemi idonei a realizzare il medesimo risultato economico».

29 Per la valenza interpretativa e non innovativa già MANZITTI-FANNI, La norma genera-le antiabuso nello schema di Decreto delegato: buono il testo ottima la relazione, in Corr. trib., 2015, p. 1599 ss.

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mento di sostanza della validità delle ragioni economiche confermano la ri-levanza delle diverse caratteristiche soggettive dell’azione oggetto del sinda-cato antiabusivo

30.

6. La natura indebita dei vantaggi fiscali

La sussistenza, allora, di una serie di condizioni nei termini sopra illustra-ti nonché la menzionata premessa secondo cui si ha abuso in assenza di una violazione espressa di norme (e non solo della loro ratio) renderà accertabi-le e provabile la natura (in)debita dei vantaggi esclusivamente fiscali ottenu-ti dal contribuente.

Per meglio comprendere la natura indebita soccorre quella giurispruden-za che, anche di recente

31, ha chiarito come non sia da impedire il raggiun-gimento (anche) di vantaggi fiscali, soprattutto ove la scelta sia offerta dallo stesso ordinamento, ma che sia indebitamente conseguito quel vantaggio fi-scale ottenuto realizzando, con uno o più comportamenti, una causa concreta diversa da quella caratteristica degli strumenti e istituti giuridici utilizzati

32. Se così è, la non debenza del vantaggio fiscale sarà solo la conseguenza di

un comportamento concretizzatosi in “una o più operazioni” la cui mancan-za di sostanza economica fosse previamente accertata alla luce di tutti gli e-lementi indiziari sopra richiamati; parimenti essa sarà indubbia se il vantag-gio emergesse a seguito di una scelta tra operazioni omogenee e comparabili e non, invece, quando tale carattere fosse assente

33. Infine, la rilevanza di un siffatto carattere indebito del vantaggio tributa-

rio è, pur tuttavia, legato anche alla sua essenzialità cioè all’equilibro (o squi-librio nel caso dell’essenzialità) del primo con altri vantaggi altrettanto me-ritevoli di perseguimento e in concreto parimenti ponderabili ex post alla lu-ce dei comportamenti e degli esiti raggiunti afferenti alla sfera sia imprendi-toriale/economica che, anche, meramente personale.

30 Per l’irrilevanza, invece, di tale componente se non erriamo FRANSONI, Spunti in tema di abuso del diritto e “intenzionalità” dell’azione, in Rass. trib., 2014, spec. p. 407 ss.

31 V. ancora Cass., sez. trib., 26 agosto 2015, n. 17175, cit. 32 Cass., sez. trib., n. 405/2015, cit., parr. 7.2, 7.3, 7.6, ma già Cass., sez. trib., 5 dicem-

bre 2014, n. 25758 (Pres. Bielli, Rel. Olivieri). 33 Per FEDELE, Assetti negoziali e “forme d’impresa”, cit., p. 1110 l’assenza di valide ragio-

ni economiche è degradabile ad «indice di un’esigenza di maggior controllo» e non anche a ragione di inopponibilità.

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Valerio Ficari 325

7. Gli oneri motivazionali e probatori nel “gioco delle parti”

Alcune brevi riflessioni meritano gli aspetti della novella attinenti alla motivazione dell’avviso e al riparto dell’onere probatorio a fronte di una pro-cedura accertativa prevista come autonoma da eventuali altre che possano interessare il contribuente per profili diversi da quelli attinenti all’abuso del diritto

34. La menzionata serie di elementi dimostrativi della presenza o assenza di

sostanza economica nonché gli apprezzabili riconoscimenti di rilevanza del-le “normali logiche di mercato” all’interno della più generale libertà di scelta renderanno senza ombra di dubbio ancora più importante stabilire il conte-nuto della necessaria motivazione dell’avviso di accertamento in ordine al-l’asserita esistenza di una fattispecie abusiva e all’irrilevanza dei chiarimenti forniti dal contribuente a seguito della richiesta notificata dagli uffici.

Dall’articolato disposto normativo dell’art. 10 bis citato, in particolare dal comma 9, discende anche un chiaro messaggio circa il problematico inter-rogativo, nell’accertamento dell’elusione/abuso del diritto tributario, del “chi prova cosa” ovvero di come individuare il corretto riparto dell’onere pro-batorio ai sensi dell’art. 2697 c.c.

Dalla lettura emergono alcune indicazioni. a) Onere della prova in capo agli uffici, quali attori sostanziali, in ordine

alla sussistenza della natura abusiva 35 e del vantaggio fiscale ottenuto

36 con particolare riguardo al collegamento negoziale, all’assenza di effetti significa-tivi diversi da quelli fiscali, all’incoerenza con il fondamento giuridico del-l’insieme delle operazioni realizzate, alla normalità nel caso di specie di una logica di mercato ed alla non conformità ad essa del singolo comportamento.

b) Onere della prova in capo al contribuente, quale attore formale, in or-dine sia all’esistenza delle condizioni e caratteristiche contestate dagli uffici che, soprattutto, alle ragioni extrafiscali «anche di ordine organizzativo o

34 Non si dovrebbe, pertanto, intendere questa come una procedura di accertamento parziale in senso tecnico in quanto i requisiti di cui all’art. 41 bis per le prove utilizzabili non sono richiamati; l’unico dato comune tra l’art. 10 bis e l’art. 41 bis è l’incipit «Senza pre-giudizio (...)» e null’altro.

35 Così già Cass., sez. trib., 18 settembre 2015, n. 18354 (Pres. Piccininni, Rel. Bielli) e Cass., sez. trib., n. 25758/2014, par. 7.13; da ultimo anche Cass., sez. trib., 20 maggio 2016, n. 10458 (Pres. Di Amato, Rel. Di Iasi).

36 V. Cass., sez. trib., 25 novembre 2015, n. 24024 (Pres. Merone, Rel. Botta); Cass., sez. trib., 19 marzo 2014, n. 6415 (Pres. e Rel. Cicala).

Federica
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gestionale» rispondenti «a finalità di miglioramento strutturale e funziona-le dell’impresa o dell’attività professionale» la cui prova non sia stata già fornita o non sia stata ben compresa nel contraddittorio.

8. La non rilevabilità d’ufficio della natura abusiva

Nel tentare (inconsapevolmente?) un riequilibrio tra le posizioni giuridi-che delle diverse parti del rapporto giuridico tributario il legislatore della novella inserisce un inciso al comma 9 dell’art. 10 bis, ai sensi del quale la sussistenza della condotta abusiva non è (più) rilevabile d’ufficio

37. Da un lato, la novità dell’intervento potrebbe non essere tale ove si ri-

chiamassero per argomenti identici a quelli sopra indicati in ordine alla na-tura di principi di taluni “valori” (quale la libertà di scelta di regimi tributari opzionali o di operazioni con diversa fiscalità) che la stessa novella ha espli-citamente enunciato: se (anche) la non rilevabilità fosse un principio gene-rale non solo la natura abusiva dovrebbe essere denunciata dall’Agenzia ma ci si dovrebbe senza dubbio preoccupare dell’applicazione della novella ai processi in corsi ogniqualvolta, invece, tale carattere sia stato rilevato d’uffi-cio in primo o in secondo grado e la questione sia stata già devoluta al giudi-ce di grado superiore a quello incappato in tale rilevazione.

Dall’altro, però, uno spazio per la rilevabilità potrebbe sopravvivere ove il giudice adito ritenesse sussistente una condotta abusiva/elusiva per ragioni giuridiche diverse da quelle dedotte dagli uffici ma sulla base di fatti identici a quelli accertati nelle fasi di merito e nell’avviso

38; in questi termini l’ipotesi solcherebbe la scia degli orientamenti giurisprudenziali (non sempre condi-visi in dottrina) che dalla ricostruzione dell’oggetto del processo tributario in termini di impugnazione – merito fanno discendere un potere di rideter-minazione giudiziale di valori imponibili tra quello dichiarato e quello ac-certato.

37 V. GALLO, op. cit., p. 1337. 38 Per tale possibilità Cass., sez. trib., n. 405/2015, cit., par. 1.3.

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9. La distinzione fra abuso ed altre ipotesi (non inerenza, inesistenza, simu-lazione, antieconomicità, transfer pricing interno, interposizione, ecc.)

L’art. 10 bis, L. n. 12/2000, infine, nel colorare la cornice della fattispecie (elusione/abuso) in esame e il relativo potere amministrativo, si apprezza per aver messo fine alla contestabile prassi sia della giurisprudenza (soprattutto) di legittimità che di alcuni uffici di fondare poteri generalizzati di sindacato dell’inerenza degli acquisiti, dei valori di trasferimento e di (an)economicità delle scelte imprenditoriali

39 nonché di accertamento di ipotesi di interpo-sizione fittizia ex art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973

40 sul principio del divieto di abuso e di elusione e non, invece, su diversi e puntuali riferimenti normativi.

Il chiarimento si desume anche dal comma 12 della disposizione de qua il quale sancisce la presenza di una o più operazioni abusive solo in assenza di specifiche disposizioni tributarie sulla base delle quali si possano già disco-noscere i vantaggi fiscali.

Di conseguenza, dovrebbe ritornare al suo uso proprio il potere di cui all’art. 20 TUIR troppe volte etichettato come norma antielusiva ed antiabu-siva

41, a dispetto della sua sostanza essenzialmente di riqualificazione giuridi-ca e del valore spesso disconosciuto del contiguo art. 176, comma 3, TUIR che esclude la rilevanza elusiva (ora abusiva) del conferimento di azienda in continuità dei valori fiscali (o con imposizione sostitutiva) e successiva ces-sione delle partecipazioni in regime di pex.

Si segnala, peraltro, che preesistevano alla novella legislativa importanti segnali di una necessaria distinzione tra normativa elusiva e normativa sul

39 La concorrenza di molte di queste diverse situazioni e ipotesi di sindacato sopra l’u-nico fondamento del principio dell’abuso è sostenuta, tra le altre, da Cass., sez. trib., 4 giu-gno 2014, n. 12502 (Pres. Di Iasi, Rel. Ferro).

40 Su interposizione, elusione e donazione v. Cass., sez. trib., 15 ottobre 2014, n. 21794 (Pres. Cappabianca, Rel. Federico).

41 Sulla netta differenza fra la normativa antielusiva ex art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1972 e l’art. 20, T.U. n. 131/1986, v. Cass., sez. trib., 29 aprile 2015, n. 8655 (Pres. Di Blasi, Rel. Terrusi) la quale, in ordine all’imposta di registro, esclude la prova di un intento elusi-vo/abusivo trattandosi l’art. 20 di una disposizione non avente natura antielusiva ma, invece, volta a consentire agli uffici la ricostruzione dell’atto o dell’attività negoziale sulla base de-gli effetti giuridici concreti a prescindere dalla scelta negoziale formale.

V. da ultimi GALLO, op. cit., p. 1333 ss. e BEGHIN, Elusione fiscale e imposta di registro tra interpretazione dei contratti e collegamento negoziale, in Corr. trib., 2015, p. 25 ss.; tra gli altri per tutti vedi FEDELE, Assetti negoziali e “forme d’impresa”, cit., p. 1112 ss. e GIRELLI, Auso del diritto e imposta di registro, Torino, 2013, p. 61 ss. e p. 97 ss.

Federica
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Federica
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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 328

transfer pricing per le loro diverse finalità e regole 42; l’apprezzamento della

distinzione potrebbe, però, risultare, nei fatti, inefficace se, a fronte del ruolo fondante dell’art. 10 bis, le rettifiche sui prezzi di trasferimento infragruppo nazionale non fossero più fondate sull’art. 9 TUIR

43 – attesa, appunto, la sua natura non antielusiva ed abusiva

44 essendo tale la funzione del solo art. 10 bis – ma trovassero un più equilibrato e logico fondamento sulle regole dell’accertamento induttivo.

In ogni caso, ove nella denegata ipotesi l’orientamento giurisprudenziale continuasse a considerare sindacabili i prezzi di trasferimento infragruppo e-vocando poteri antiabuso ed antielusione, certo non si potrà negare l’appli-cazione degli oneri gravanti sugli uffici e le garanzia previste per il contribuen-te previsti dall’art. 10 bis anche per i procedimenti pendenti quale conseguen-za del menzionato rapporto tra il contenuto della nuova disposizione ed i principi della cui esistenza la stessa L. n. 212/2000 è sempre stata testimone.

Infine, merita di essere ricordato che, una volta rideterminati i confini esatti delle diverse fattispecie, le questioni attinenti propriamente all’invali-dità, simulazione e inesistenza saranno, ora, da ricondursi appieno alla co-gnizione del giudice tributario alla stregua di questioni da risolversi inciden-talmente ex art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992

45, forse anche d’ufficio.

10. L’abuso del diritto tributario e il “dover essere” tra il “civilistico” e il “tri-butario” e tra il “giuridico” e l’“economico”

Da quanto precede e dalla lettura dell’art. 10 bis, L. n. 212/2000 si nota come l’ambito oggettivo normativo di sindacato nel nuovo mondo dell’abuso del diritto (tributario questa volta) sviluppi il relativo potere amministrativo (in termini sia di applicazione che di inibizione dello stesso) nei confronti

42 V. Cass., sez. trib., 19 dicembre 2014, n. 27087 (Pres. Piccininni, Rel. Olivier), cit. 43 Sulla cui natura non elusiva è unanime la dottrina; ben diversa è la normativa nel-

l’IVA laddove l’art. 13, comma 3, lett. a), D.P.R. n. 633/1972 attribuisce (anche) un crite-rio (e potere) di normalizzazione diverso dal riferimento al corrispettivo nelle operazioni infragruppo qualora una delle parti sia un operatore IVA esente e, quindi, sia sottoposto alle limitazioni della detrazione dell’iva sugli acquisti.

44 Ancora di recente affermata da Cass., sez. trib., 22 giugno 2015, n. 12844 (Pres. e Rel. Cicala), in Riv. dir. trib., 2015, II, p. 159 ss. con note giustamente contrarie di Baggio, La rettifica dei prezzi di trasferimento nei rapporti interni e di GRANDINETTI, Il rasoio di Oc-cam e il transfer price interno.

45 Amplius in FEDELE, Assetti negoziali e “forme d’impresa”, cit., p. 1099 ss.

Federica
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Valerio Ficari 329

non solo delle norme tributarie sostanziali ma anche di quelle appartenenti ad altri settori giuridici (in specie quelle del diritto civile latu senso inteso); ma vi è di più in quanto nella valutazione che è, ormai, tipica di tale accertamento rientrano anche le buone prassi ed i principi dell’economia aziendale nonché fenomeni ben conosciuti e rilevanti nel mondo dell’economica.

Procedendo per gradi, il legislatore assume abusiva una o più operazioni che, pur nel rispetto della forma “delle norme fiscali”, sono in contrasto con le loro «finalità o con i principi dell’ordinamento tributario».

Successivamente, però, si consente agli uffici il disconoscimento sulla ba-se “delle norme e dei principi elusi” oppure il riscontro della «non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme».

In queste occasione è inteso espressamente che l’elusione di norme e prin-cipi e il fondamento giuridico delle singole operazioni debbano essere veri-ficati e provati rispetto a “contesti” anche non tributari; in questi termini è evidente che, ad esempio, la funzione economico-sociale dei contratti di im-presa oppure la fisiologica natura interposta di una società, anche se uniper-sonale ed anche se conferitaria di beni e/o servizi da parte dell’unico socio andrebbero valutate per come sono definite nella sede di provenienza.

La prospettiva più ampia è quella di dover accettare che la normalità del-le scelte dal punto di vista economico/aziendale costituisca un parametro di pari dignità nell’indagine sulla natura abusiva o meno dei comportamenti; di ciò si ha piena conferma nella parte in cui, per la prima volta, si fa cenno alle “normali logiche di mercato” quali argomento utilizzabile in sede proba-toria (amministrativa, prima, e processuale, poi).

Il “mercato” (o, meglio, i mercati) diventa la vera cartina tornasole per comprendere se gli “strumenti giuridici” offerti dal diritto comune (non dal diritto tributario salvo ad essi si vogliano ricondurre gli “istituti” agevolativi ed i regimi opzionali) siano stati utilizzati in modo conforme ad una norma-lità che, a questo punto, non può che essere anche extra-giuridica.

Il mondo del non necessariamente giuridico è evocato ancora quando, in positivo, si esclude la natura abusiva di tutte quelle operazioni basate su «va-lide ragioni extrafiscali, non marginali».

Di nuovo l’extrafiscalità può assumere connotati sempre giuridici ma non tributari così come non giuridici: le ragioni «anche di ordine organizzativo o gestionale» e le «finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impre-sa ovvero dell’attività professionale del contribuente» spingono l’indagine sen-za dubbio all’esterno del patrimonio cognitivo proprio del diritto tributario po-sitivo, gravando le parti di oneri probatori più complessi ma ora meglio definiti.

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Gavrilova Irina Alexandrovna-Makarova Olga Alexandrovna

LA FISCALITÀ NELLA FEDERAZIONE RUSSA: FONDAMENTO E GIUSTIFICAZIONE ECONOMICA

DI IMPOSTE E TASSE

TAXATION IN THE RUSSIAN FEDERATION: ECONOMIC BASIS AND ECONOMIC JUSTIFICATION OF TAXES AND FEES

Abstract Il gettito fiscale è circa il 70% delle entrate statali nel mondo ed anche in Russia. Lo Stato e le proprie agenzie sono interessate a far sì che il gettito fiscale risulti perfettamente incanalato nel bilancio. Pertanto, essi fanno di tutto per minimiz-zare il nichilismo giuridico conseguente al mancato pagamento dei tributi. Allo stesso momento, le agenzie statali devono introdurre tributi in stretta aderenza ad un’efficiente normativa fiscale. Inoltre, esse non dovrebbero ignorare la natu-ra di imposte a livello concettuale. L’articolo si focalizza sul principio della base economica di tassazione, che è un importante principio in questo settore. Il suo meccanismo viene analizzato in relazione alla giustificazione economica (di fat-tibilità) di regolamentazione giuridica di tasse e contributi. A titolo di esempio, viene discussa l’imposta sul patrimonio, che è attualmente al centro del dibattito pubblico. Parole chiave: tributi, fondamento e giustificazione economica, disciplina giu-ridica, Stato, imposta patrimoniale Tax revenue amounts to more than 70% of the total State revenue both globally and in Russia. The State and its agencies are interested in the revenue being seam-lessly channeled to the budget. Therefore, they struggle to minimize the legal nihil-ism resulting in failure to pay taxes. Meanwhile, State agencies must introduce taxes in strict adherence to the effective tax legislation. Furthermore, they should not ig-nore the nature of taxes as a concept. The article is focused on the principle of the economic basis of taxation, which is a major one in this sphere. Its mechanism is analysed in relation to the economic justification (feasibility) of legal regulation of

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 332

taxes and fees. By way of illustration, we discuss the wealth tax, which is one of the most publicly debated today. Keywords: taxes, economic basis and economic justification, legal regulation, State, wealth tax

SOMMARIO: 1. Theoretical grounds. – 2. How the economic basis of taxes works: Practical conclusions. – 3. Conclusions.

1. Theoretical grounds

The fundamentals of legislation on taxes and fees are contained in art. 3 of the Tax Code of the Russian Federation (Tax Code)

1. The principle of economic basis of taxation is one of the special principles set forth in art. 3. The legal doctrine also knows this principle, though applies a different na-me (“economic justification”).

The Tax Code provides that taxes and fees shall have an economic basis and cannot be arbitrary (Cl. 3, art. 3). The economic basis means that every tax shall apply to a certain taxable item, such as: transactions involving sale of goods, fulfilment of work or supply of services; property; profit; income; cost of goods sold, works fulfilled or services supplied; etc. The list is not exhaustive and can include anything that can be measured in terms of cost, quantity or physical parameters. In Russian law, a taxable item is a certain le-gal act that gives rise to an obligation to pay taxes. Such legal acts include actions (e.g., transactions, sale of goods), events (e.g., donations), and sta-tuses (ownership or other property rights). In terms of economic basis, the law stipulates that any taxable item shall imply the availability of certain ma-terial assets, benefits, property gains, or a taxpayer’s business activity. L. Os-terloh and A.T. Jobs argue that «… taxation must be linked to a taxpayer’s solvency – i.e., ownership, possession or use of property. Thus, taxation is a common burden that involves all residents in financing state goals, while the

1 The Tax Code of the Russian Federation (Part 1), Federal Law n. 146-FZ of 31 July 1998, Rossiyskaya Gazeta [Russian Newspaper] nn. 148-149 (6 June 1998).

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degree of involvement depends on their earnings, property, and purchasing power»

2. According to the principle under consideration, taxes and fees must be

levied with due regard to the economic situation and feasibility. They must conform with budget planning and the political objectives proclaimed. Taxes and duties should be imposed after a comprehensive expert evalua-tion and statistical analysis of a state’s financial affairs. Importantly, the to-tal amount of a state’s expenses (the state’s need to raise revenue) cannot be the determining criterion. In other words, the budget deficit as such (i.e., the lack of financial means) cannot be a sufficient economic basis for taxes and fees, though it certainly exerts an impact on the entire architec-ture of a tax system

3. In this respect, Ruling of the Supreme Court of the Russian Federation

dated 17 November 2004 on Case No. 9-G04-24 is of particular interest. The Supreme Court ruled that Cl. 3, art. 3 of the Tax Code sets forth that taxes and fees shall have an economic basis, not economic justification, and that the Tax Code does not make it mandatory to include economic justification to texts of tax laws

4. Furthermore, the rule on economic basis governs the tax as such and does not apply to its particular elements. As noted by I. Zu-banova, it is the principle of economic basis that «can be a defence line of argument in commercial court disputes with taxing authorities»

5. According to Yu. Krokhina, the principal of economic basis has two di-

mensions. First, taxes must be efficient – that is, the funds accumulated by the government from each particular tax must exceed the tax authorities’ad-ministrative expenses (collection, management and control). Second, taxes and their elements must take into consideration the macro- and microeco-

2 OSTERLOH-JOBS, Konstitutsionnye printsipy nalogov i sborov v FRG [Constitutional prin-ciples of taxes and fees in the Federal Republic of Germany], in Nalogovoe pravo v resheni-yakh Konstitutsionnogo Suda Rossiyskoy Federatsii v 2003 [Tax law in decisions of Constitu-tional Court of the Russian Federation in 2003], Moscow, 2004, p. 99.

3 TEREKHINA, Pravovye printsipy nalogooblozheniya [Legal principles of taxation], in Fi-nansovoe pravo [Finanacial law], n. 5, 2012, pp. 33-39.

4 Ruling n. 9-G04-24 of the Supreme Court of the Russian Federation of 17 November 2004.

5 ZUBAREVA, Printsip ekonomicheskogo osnovaniya nalogov – eto skrytoe oruzhie nalo-goplatelshchika ili deklarativnaya norma [The principle of economic basis of taxes: A tax-payer’s secret weapon or a declarative statement], in Vash nalogovy advokat [Your tax at-torney], n. 5, 2009.

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nomic consequences for the state or particular industry (e.g., tax burden for a manufacturer) as well as for a certain taxpayer

6. Therefore, the principle of economic basis should be implemented so as

to ensure financing of state affairs at both federal and municipal levels 7.

Interestingly, tax law theorists often comment this principle to arrive at opposite conclusions. Specifically, some scholars argue that «the economic basis equals the economic justification (feasibility) of taxes and implies, first and foremost, efficiency and self-repayment – that is, the state must raise more funds under each particular tax that its spends on its administration (collection, management and control)»

8. Others believe that the economic basis is tightly connected to the notion

of tax sovereignty: «The requirement of an economic basis for any tax is in-tended to curb the so-called tax arbitrariness of the state – that is, when the state imposes taxes based solely on fiscal considerations and aims to raise revenue at any cost. The state’s need in financial resources does not, by it-self, suffice for introducing a new tax or fee»

9. According to A. Kozyrin and A. Yalbulganov, the concept of economic

basis must be directly linked to the concept of taxable items. D. Vinnitsky argues that the principle of economic basis is characterized by the propor-tionate limitation of economic interests of private persons. In terms of fees and charges, the principle ensures, inter alia, the adequacy of a fee or charge compared to those services, rights or benefits obtained by a person in re-turn

10.

6 KROKHINA, Printsip ekonomicheskoy obosnovannosti naloga v pravovykh pozitsiyakh Konstitutsionnogo Suda RF [The principle of economic justification of taxes in legal opi-nions of the Constitutional Court of the Russian Federation], in Nalogoved [Tax Expert], n. 7, 2004.

7 See: MAKAROVA, Ekonomicheskaya obosnovannost pravovogo regulirovaniya nalogov [Economic justification of legal regulation of taxes], in Kapitalizm i svoboda: sbornik statey [Capitalism and freedom: Collected works], ed. P.V. Usanov-D.V. Nefedov et al., St. Peters-burg: Nestor-istoriya, 2014, pp. 206-225.

8 BOYTSOV-DOLGOVA-BOYTSOVA, Postateyny kommentariy k chasti pervoy Nalogovogo kodeksa Rossiyskoy Federatsii [Paragraph-by-Paragraph Commentary to the Tax Code of the Russian Federation], Moscow, GrossMedia, 2006.

9 KOZYRIN-YALBULGANOV (eds.), Kommentariy k Nalogovomu kodeksu Rossiyskoy Fede-ratsii (ch. 2) (postateyny) [Commentary to the Tax Code of the Russian Federation (Part 1) (paragraph-by-paragraph)], accessed through KonsultantPlus legal database.

10 VINNITSKIY, Osnovnye problem teorii rossiyskogo nalogovogo prava [Major issues in the theory of Russia’s tax law], Post-doctoral thesis, Ekaterinburg, 2003, p. 31.

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A. Svistunov notes that Russia’s taxation policy has always ignored the principles of economic theory. The entire history of taxation proves that the amount of taxes collected has never been assessed against the real economic and financial resources of direct manufacturers. The taxes and duties were introduced and collected in the manner of pronounced imperative absolu-tism. Contrary to Western market-driven democracies, Russia’s authorita-tive state has traditionally determined the entire structure and development of financial and economic policy

11. Regrettably, today the tradition persists, and the legal rules are not underlain by economic analysis. The controversy between lawyers and economists is not rare: the analysis of the same social phenomena makes them draw conclusions running counter to each other.

F.A. Hayek argues that «nowhere is the baneful effect of the division in-to specialisms more evident than in the two oldest of these disciplines, eco-nomics and law. … the rules of just conduct which the lawyer studies serve a kind of order of the character of which the lawyer is largely ignorant; and … this order is studied chiefly by the economist who in turn is similarly igno-rant of the character of the rules of conduct on which the order that he stu-dies rests»

12. Lawyers ceased to understand the economic vocabulary, have no knowledge of the fundamental principles of microeconomics, and do not follow scholarly discussions in economics. In their turn, economists for some time (at least until 1970s) lost interest in legal matters and regained it only later. However, even the new institutional economics does not prevent economists from not paying due attention to multiple important nuances, which largely hinders the awareness about the economic dimension of the legal issue in question

13.

11 SVISTUNOV, Problemy postroeniya nalogovoy politiki gosudarstva v protsesse evolyutsii printsipov nalogooblozheniya [Problems of shaping the state’s taxation policy in the process of evolution of taxation principles], in Istoriya gosudarstva i prava [History of state and law], n. 8, 2006.

12 HAYEK, Pravo, zakonodatelstvo i svoboda: sovremennoe ponimanie liberalnykh printsi-pov i spravedlivosti i politiki [Law, Legislation and Liberty: A New Statement of the Liberal Principles of Justice and Political Economy], Moscow, 2006, p. 23.

13 KARAPETOV-SAVELEV, Teoreticheskie, istoricheskie i politico-pravovye osnovaniya print-sipa svobody dogovora i ego ogranicheniy [Theoretical, historical, political and legal grounds of the freedom of contract and its limits], vol. 1 of Svoboda dogovora i ee predely [Freedom of contract and its limits], Moscow, Statut, 2012.

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2. How the economic basis of taxes works: Practical conclusions

Today taxpayers possess no effective leverage that would allow them to influence the taxation system. However, that has not always been the case: the history of taxation provides good examples of the opposite. The current situation results from the state’s unwillingness to empower taxpayers and let them impact decision-making in this sphere.

The fairness and justification of taxation have been the focus of scholarly interest for a long time. There emerged a number of approaches in attempt to ensure a fair taxation structure: a lump-sum tax that eventually proved inef-ficient (F. Quesnay, W. Petty, A.R.J. Turgot); a proportional tax that favours more affluent classes (P.P. Leroy-Beaulieu, J. Locke, R. Stourm); a progres-sive tax that is most beneficial for poorer classes. The proportional tax struc-ture is fairer and more efficient in terms of economics, but impedes solution of social tasks faced by the state. The progressive tax, in its turn, is more preferable in social terms, but undermines the economic incentives of tax-payers

14. The possible introduction of a progressive rate for personal income tax is

an extremely topical issue in today’s Russia. The personal income tax is go-verned by Chapter 23 of the Tax Code. It was introduced in Russia in 2001 to replace a progressive tax rate. The current flat rate of 13% is quite attrac-tive, since it simplifies payment of the tax and reduces administrative costs.

Obviously, the rise of personal income in a country entails the increase of tax revenue in absolute terms, but not only. At some point, there also arises the question of raising the tax rate itself. Currently, it is the progressive rate that is used in most of developed economies. Importantly, the personal in-come tax is a major federal tax – it is a direct tax that is channelled to regio-nal budgets in full. In terms of government revenue, it occupies the third pla-ce after VAT and the corporate tax.

The possible progressive rate of the personal income tax has been on Rus-sia’s political, economic and social agenda since the very date the flat rate was introduced in 2001 (Chapter 23 of the Tax Code). Back then, both the decrease of the tax rate (from 30% down to 13%) and the rate’s flat value con-stituted an extremely important, not to say revolutionary, decision. Further-more, the decision was viewed upon as quite controversial. However, it re-sulted in a dramatic increase of funds collected.

14 KROKHINA (ed.), Nalogovoe Pravo Rossii [Tax law of Russia], Moscow, 2011, p. 93.

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Today many argue that it is unfair to apply the same 13% tax rate to any income, big or small. However, we should ask ourselves what results a pro-gressive tax might attain. Russia already experimented with a progressive tax on personal income. This led to a surge in salaries undeclared to tax authori-ties – that is, with only part of the income being officially reported and the other being illegally received in cash (“in envelopes”).

The return to the progressive rate is hardly desirable, because it cannot be properly administered. Moreover, this will not eradicate the problem of low wages: for certain groups, both the wages and the taxes will remain mi-nimal. Eventually, this will endanger funding of pension schemes. There-fore, the progressive tax will not contribute to social justice.

The possible architecture of the progressive tax on personal income in Russia should hinge on three major principles:

1. different approaches for different income levels; 2. income and excessive income should be distinguished; 3. tax brackets should be as small as possible.

Earned income (active income) includes income derived from employ-ment, self-employment, business activity, creative work or any other perso-nal activity of a taxpayer (e.g., salaries, payments under subcontracts, author’s or patent royalties, etc.). For instance, Israel carried out a tax reform in early 2000s that aimed, inter alia, at directly cutting taxation of income derived from employment. This was intended to give additional momentum to the country’s economic activity.

Unearned income (passive income) includes income not linked to a tax-payer’s personal activity (dividends, interest on deposits, rental payments, gifts, capital gains, lottery winnings, inherited property, expenses exceeding income, etc.).

Should the adoption of the progressive tax on personal income become inevitable, we need to contemplate what this tax should look like.

For the purposes of personal income tax, the tax base is calculated for the entire income a taxpayer receives in money, in kind or as material benefit. That is why the progressive rate should only be applied to passive income, with the tax bracket being determined depending on the type of income (gift, antiquities, property, vehicles, etc.). Meanwhile, the active income should continue to be taxed at a flat rate of 13%. In this case, the tax brackets for pro-gressive tax on passive income might be 15%, 17%, 19%, 20% and, for exces-sive income, 25-30%.

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The term “excessive income” implies that it is incomparable to any stan-dard level. The size of such income should be truly enormous and extraor-dinary. It also seems advisable to break down excessive income in several tax brackets: 12-120, 120-360, and >360 million roubles per annum

15. In practical terms, the proportional rate of 13% seems quite attractive,

because it simplified collection of the personal income tax and reduced ad-ministration cost

16. However, progressive taxation is not always fair in social terms. Hence

the proposals to introduce the wealth tax in Russia. For instance, the State Duma’s Budgeting and Tax Committee brought in Bill No. 66360-6 «On amending art. 13, Part 1 of the Tax Code of the Russian Federation and amending Part 2 of the Tax Code of the Russian Federation» in 2012, pro-viding for a new federal tax on luxury items.

According to the bill, the wealth tax shall apply to both legal entities and physical persons, including sole traders. The taxable items encompass mo-vables (motor cars, aircrafts, helicopters, motor ships, yachts, sail boats, mo-tor boats) and real estate (residential units, land plots). The list does not in-clude property used by a taxpayer to conduct business activity.

Russia’s Ministry of Economic Development offered to impose the wealth tax on real estate over 1000 square meters and motor cars with engine power exceeding 200-250 hp. Elvira Nabiullina, former Minister for Economic De-velopment and now Assistant to the President, explained: «[For the purpo-se of taxation], the area of different facilities owned by a person will not be put together. For the wealth tax to apply, a person shall have one facility over 1000 square meters»

17. Nonetheless, it seems wrong to assess financial welfare of a person based exclusively on one taxable item which, for example, might be owned by way of inheritance. The law should provide for a com-prehensive assessment of a person’s assets. Furthermore, real estate can be

15 CHAYKOVSKAYA, Problemy nalogooblozheniya v rossiyskoy ekonomike (Po materialam Vserrossiyskoy mezhvuzovskoy nauchno-prakticheskoy konferentsii) [Issues of taxation in Rus-sia’s economy (based on Proceedings of National Intercollegiate Research Conference)], in Vse dlya bukhgaltera (Accountant’s Toolbox), n. 4, 2011, pp. 7-15.

16 MAKAROVA, Aktualnye problemy nalogovogo prava v Rossii [Topical issues of tax law in Russia], in Aktualnye problemy pravovogo regulirovaniya ekonomicheskoy deyatelnosti v Rossii i Kitae [Topical issues of legal regulation of business activity in Russia and China], St. Petersburg, 2012, pp. 235-242.

17 BARSEGYAN, Roskoshny nalog [The wealth tax], in EZH-Yurist [Lawyer E-Journal], n. 23, 2012, p. 2.

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more adequately valued not in square meters, but by total price of a facility, because prices in Moscow and in provinces differ dramatically.

Any tax must repay itself – that is, the revenue raised must exceed the tax authorities’administrative cost. However, there is a question: will the wealth tax repay itself? One the one hand, the money paid by owners of luxury items will be quite large and can much contribute to the state’s budget. On the other hand, we should first ascertain the number of people in possession of luxury items. Importantly, this number will depend on the notion of “luxury” we will use as a guideline. If by luxury items we imply premium motor cars and other extremely expensive property (e.g., villas, yachts, etc.), the number of taxpay-ers will be quite limited. Moreover, a disproportionately high tax rate will lead to concealment of property and tax avoidance. In this event, affluent people may flee the country, as is the case in France and some other EU states. Meanwhile, a lower tax rate can hardly be truly beneficial for the budget.

Initially, the wealth tax was meant to be imposed on both luxury real estate and expensive motor cars. However, the tax was eventually applied only to luxury vehicles (those over 3 million roubles)

18. Effective 1 January 2014, cer-tain motor cars will be taxed using surcharge (multiplier) set forth in Cl. 2, art. 362 of the Tax Code.

In 2014, taxpayers were to pay surcharge only once per annum, while ad-vance payments were calculated at the standard rate. In 2015, Cl. 2.1 of art. 362 was amended in a major way: legal entities shall now calculate advance tax payments at the end of each reporting period as ¼ of product of tax base and tax rate with the surcharge applied.

As early as first quarter of 2015, the advance payments for transport tax began to be calculated under the following formula:

Tadv = 1/4 TB TR S, where: Тadv – transport tax advance payment; TB – tax base; TR – tax rate; S – “luxury” surcharge (multiplier coefficient). In order to implement Cl. 2, art. 2 of the Tax Code, Russia’s Ministry of

Industry and Trade adopted a special instrument: Regulations on Determi-

18 Federal Law n. 214-FZ of 23 July 2013 “On amending art. 362 of Part 2 of the Tax Code of the Russian Federation” (effective 1 January 2014), Rossiyskaya Gazeta [Russian Newspaper], n. 161 (25 July 2013).

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ning Average Cost of Passenger Vehicles for Transport Tax Purposes 19. Fur-

thermore, the Ministry shall annually (not later than 1 March) upload the list of passenger vehicles over 3 million roubles to its official web-site. The recent list has been uploaded in 2015, and it is significantly larger than the last year’s one. Currently, it includes 166 models costing 3 to 5 million roubles, 72 mo-dels costing 5 to 10 million, and 17 models of the most luxurious vehicles over 15 million (in 2014, the total number of models was only 191)

20.

3. Conclusions

The analysis of all recent legislative trends characterizing Russia’s legal system allows to make the following conclusion. The policymakers, regret-tably, often confuse such concepts as “economic basis” and “economic justi-fication” of taxes and fees. This confusion is vividly illustrated by the legisla-tor’s specific focus on certain taxable items – in particular, “luxury items”. Noteworthily, the concept of luxury can be extended to include a larger num-ber of taxpayers, but there is a question: will not it create a burden on the population that is simply too hard to shoulder? Expectedly, such an exten-ded concept will not include first necessity goods. This is exactly the distinc-tion drawn by Adam Smith in The Wealth of Nations – that is, the neces-saries and luxuries of life. However, we should note that the commodity bun-dle in Russia is much more meagre than in many European states. There-fore, the concept of luxury might well include all goods purchased by those slightly above the poverty line. Again, it cuts both ways: such approach mi-ght result in massive tax avoidance.

In conclusion, we find it appropriate to cite Prof. A. Blankenagel, an ad-vocate of economically sound taxation: «a tax must not create economic ob-stacles and encourage inadequate expenses or production; nor must it en-courage a loss or abandonment of public wealth»

21. That is, the state must

19 Order of the Ministry of Industry and Trade n. 316 of 28 February 2014 “On Adopt-ing Regulations on Determining Average Cost of Passenger Vehicles for Purposes of Chap-ter 28 of the Tax Code of the Russian Federation”, Rossiyskaya Gazeta (Russian Newspa-per), n. 80 [9 April 2014].

20 YAKOVENKO, Avansy po transportnomu nalogu: ‘roskoshnye’ nyuansy [Advance pay-ments of the wealth tax: ‘Luxurious’ nuances], in Informatsionny byulleten Ekspress-bukh-galteriya [Express Accountancy Information Bulletin], n. 13, 2015, p. 15.

21 BLANKENAGEL, Ekonomicheskaya sushchnost naloga i ee pravovoe znachenie [Economic nature of taxes and its legal meaning], Nalogovoe pravo v resheniyakh Konstitutsionnogo

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Irina Alexandrovna Gavrilova, Olga Alexandrovna Makarova 341

exert the least possible influence on economy and people’s private life. This was noted already by Frederic Bastiat: «We ought to be governed not ac-cording to the hidden intentions of the government but according to inten-tions that are known and approved. It is up to the cabinet to set out, pro-pose, and take the initiative, up to us to judge it, accept or refuse it. But in order to judge, we need knowledge. He who climbs onto the driving seat and takes the reins is declaring by this very act that he knows or thinks he knows the destination to be reached and the route that must be taken. At the very least he should not keep destination and route a secret from the tra-vellers when these travellers form the whole of a great nation. If there is no plan, let him judge for himself what he must do. In all eras government calls for an idea, and this is especially true today»

22.

Suda RF 2008 goda: po materialam VI nauchno-prakticheskoy konferentsii 17-18 aprelya 2009 goda [Tax law in decisions of Constitutional Court of the Russian Federation in 2008: Proceedings of the 6th Research Conference 17-18 April 2009], S.G. Pepelyaev ed., Moscow, 2010.

22 BASTIAT, Protektsionism i kommunism [Protectionism and Communism], trans. Yu.A. SHKOLENKO, Chelyabinsk, Sotsium, 2011, p. 283.

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Francesco Montanari

IL DIBATTITO SUL SISTEMA TRIBUTARIO RUSSO: PROSPETTIVE ITALIANA ED EUROPEA

1

THE DEBATE ON THE RUSSIAN TAX SYSTEM: ITALIAN AND EUROPEAN PERSPECTIVES

Abstract Il saggio, partendo da un precedente contributo sul sistema tributario della Fe-derazione russa, si sofferma su talune tradizionali questioni relative ai rapporti tra Diritto tributario ed economia. In particolare, le imposte sul reddito delle perso-ne fisiche con aliquote proporzionali (c.d. flat tax) – previste dalla federazione russa – hanno un fondamento fortemente ideologico e non solamente economi-co. Tuttavia, paiono maggiormente conformi ai valori europei i tributi progressivi. Parole chiave: flat tax, capacità contributiva, progressività, imposta sul reddito delle persone fisiche, diritto ed economia This paper, starting by a previous article on the Russian Federation tax system, focus on some traditional items concerning the relationships between tax law and economic principles. Particularly, the personal income taxes with proportional rates (flat tax) – provided by Russian federation – have an ideological reason and not only economic one. However, progressive taxes are more in compliance with the European values. Keywords: flat tax, ability to pay, progressivity, personal income tax, law and economics

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Capacità contributiva, vincolo del pareggio di bilancio e progressività. – 3. Im-poste patrimoniali, flat tax e impatto economico dei tributi. – 4. Conclusioni.

1 Contributo non soggetto a revisione esterna.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 344

1. Premessa

Il fondamento economico dei tributi, inteso in senso lato, costituisce una questione che, ciclicamente, interessa gli studiosi del diritto tributario

2 ed è, da sempre, oggetto di analisi dei più illustri studiosi (giuristi ed economisti).

Il contributo che precede (Taxation in the Russian Federation: Economic basis and economic justification of taxes and fees) dimostra che il dibattito è tut-t’altro che sopito e che la tematica è estremamente ampia ed eterogenea (spa-ziando dalla capacità contributiva, alle imposte patrimoniali, sino alla flat tax ed, in generale, all’impatto economico dei diversi modelli impositivi).

Questo saggio, infatti, se, da un lato, mostra taluni evidenti punti di con-tatto tra l’ordinamento tributario italiano e quello della Federazione Russa, dall’altro, fa riferimento a modello culturali (non solamente giuridici, quin-di) molto diversi da quello italiano ed in netta controtendenza rispetto a quel-li della maggior parte dei paesi dell’Unione Europea.

D’altro canto, anche all’interno di quest’ultima, specie in seguito al recente allargamento

3, sussistono divergenti concezioni, di fondo, circa il ruolo del-la fiscalità

4 intesa, da un lato, come possibile fattore per lo sviluppo di valori diversi dal puro mercato, dall’altro, come mero ostacolo alla concorrenza e, quindi, alla neutralità degli scambi.

Evidenzia autorevole dottrina che molti dei nuovi Stati membri (che, per molti versi – non fosse altro che per ragioni storiche e geografiche – sono equiparabili alla federazione Russa) fanno leva su «modelli economici e so-

2 Prova ne sia anche la pubblicazione del recente contributo del Prof. GALLO, Il diritto e l’economia. Costituzione, cittadini e partecipazione, in Rass. trib., 2016, p. 287, nonché in Contr. e Impresa, 2016, p. 616. Per ampie considerazioni sistematiche v., ancora, GALLO, Le ragioni del fisco, Bologna, 2011.

3 Per un’analisi approfondita di tali problematiche v., in particolare, MATTINA, La pro-tezione dei diritti umani, in AA.VV., La sfida dell’allargamento, a cura di Mattina, Bologna, 2004, p. 145 ss.

4 Osserva BIASCO, I danni della concorrenza fiscale in Europa, in Rass. trib., 2015, p. 120 che «nella imposizione diretta, la convergenza verso soluzioni comuni dei sistemi nazionali consiste solo nell’imitazione di istituti introdotti in altri paesi europei, che i singoli paesi scelgono qua e là in un bricolage discrezionale, visto che la varietà di soluzioni date altrove rende difficile far riferimento a una costruzione da prendere come benchmark ... Persino sui principi non vi è uniformità se consideriamo che il principio della progressività dell’impo-sta personale è disatteso in numerosi paesi che adottano una flat tax. E ciò fa pensare che lo stesso modello sociale europeo stia diventando un’astrazione che attiene a un numero limitato di paesi dell’Unione».

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Francesco Montanari 345

ciali che pongono in secondo piano il benessere della loro popolazione ri-spetto alle finalità di accelerazione della crescita economica»

5. Infatti, la scelta della Federazione Russa (ma, aggiungiamo noi, di molti

Stati dell’est europeo), è stata, fin dai primi anni 2000, quella di prevedere un sistema fiscale estremamente “leggero” e con interventi pubblici ridotti al minimo essenziale, con la finalità di incentivare la crescita economica a disca-pito, ovviamente, dello stato sociale e dell’uguaglianza sostanziale (v. infra).

Tuttavia, l’Unione Europea sembra muoversi proprio in una direzione opposta

6 e le politiche sociali – inizialmente totalmente estranee alle com-petenze delle istituzioni europee – sono ritornate al centro dell’attenzione e del dibattito.

2. Capacità contributiva, vincolo del pareggio di bilancio e progressività

Il codice tributario della federazione russa prevede taluni principi di ca-rattere generale che presentano alcune caratteristiche comuni alla maggior parte dei paesi europei.

Significativi punti di contatto tra il nostro ordinamento (ma anche, come detto, di molti paesi dell’Unione) e quello della Federazione Russa riguar-dano, in particolare, taluni limiti alle forme di prelievo.

Emerge, infatti, che l’art. 3 del codice tributario – e non, quindi, della Co-stituzione – dispone che i tributi e le prestazioni imposte devono avere un fondamento economico e non essere arbitrarie.

Appare scontato che l’ampia formulazione del testo normativo ha con-sentito agli interpreti di attribuire ai principi in esso contenuti una sostanziale “poliedricità”.

È, in prima battuta, largamente condiviso che il suddetto “fondamento economico” deve riguardare la posizione soggettiva del contribuente: quindi, da un lato, il prelievo non può che colpire forme di ricchezza effettiva e con-cretamente misurabili, dall’altro, non sono ammissibili tassazioni arbitrarie.

5 CLARICH, Profili giuridici della sicurezza economica nell’età della crisi, in Giur. comm., 2012, p. 357. Sul punto v., da ultimo, soprattutto con riferimento ai possibili conflitti tra dirit-ti costituzionali e diritti UE, l’approfondita analisi di GIUBBONI, Diritti e solidarietà in Europa. I modelli sociali nazionali nello spazio giuridico europeo, Bologna, 2012, p. 169 ss., nonché di PINELLI, I rapporti economico-sociali fra Costituzione e Trattati europei, in AA.VV., La Costitu-zione economica Italia-Europa, a cura di Pinelli-Treu, Quaderni Astrid, Bologna, 2010, p. 23 ss.

6 Per considerazioni relative alle politiche europee v. GALLO, Giustizia sociale e giustizia fiscale nella prospettiva dell’Unificazione europea, in Dir. prat. trib., 2014, p. 10001.

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In altri termini, utilizzando categorie a noi note, è ammissibile la tassazione di atti, fatti, negozi e beni che esprimano una reale capacità economica e il legislatore deve individuare i presupposti impositivi secondo un criterio di ragionevolezza.

Appaiono evidenti le assonanze con il principio di capacità contributiva in tutte le proprie diverse sfaccettature: sia, dunque, che si propenda per la tradizionale concezione dello stesso come mera manifestazione di forza eco-nomica, sia che si ragioni in termini di criterio di distribuzione razionale del prelievo

7. Dalla dottrina russa, tuttavia, sembra che il suddetto “fondamento eco-

nomico” dei tributi, come detto, abbia una portata ben più ampia e poliedri-ca nel senso che il legislatore dovrebbe valutare gli effetti micro e macroe-conomici del prelievo: inoltre, il gettito dei singoli tributi dovrebbe essere superiore al costo di “gestione” degli stessi. In altri termini, secondo tali linee interpretative, sarebbe necessaria l’introduzione di prelievi “efficienti” e che, dunque, tengano conto degli effetti dell’imposizione.

La critica che, tuttavia, viene mossa dagli autori al legislatore è proprio quella di non tenere in debita considerazione i principi della dottrina econo-mica: in generale, dunque, viene enfatizzata la tradizionale tensione tra eco-nomisti e giuristi “accusati”, questi ultimi, di avere scarse conoscenze delle problematiche economiche

8. Anche tale approccio – improntato, sostanzialmente, al contenimento del-

la spesa – appare in linea con le politiche europee e nazionali, sempre più in-centrate sull’equilibrio di bilancio

9. Si pensi al novellato art. 81 Cost. italia-na ove è stato espressamente codificato, nel contesto del c.d. Fiscal Com-pact, il principio del “pareggio di bilancio” secondo cui «lo Stato assicura

7 Per le diverse ricostruzioni v., da ultimo, GIOVANNINI, Ripensare la capacità contributiva, in Dir. prat. trib., 2016, I, p. 10015; STEVANATO, La giustificazione sociale dell’imposta. Tributi e determinabilità della ricchezza tra diritto e politica, Bologna, 2014; AA.VV., L’evoluzione del si-stema fiscale e il principio di capacità contributiva, a cura di Melis-Salvini, Padova, 2014.

8 Su tali profili v. l’autorevole saggio di CHIASSONI, Modelli economici e scienza del dirit-to: considerazioni introduttive, in Arsinterpretandi, 2014, p. 7.

9 Sul punto v., tra gli altri, BILANCIA, Note critiche sul cd. “Pareggio di Bilancio” retro, 2012, p. 349; FRANSONI, Stato di diritto, diritti sociali, libertà economica e principio di capacità con-tributiva (anche alla luce del vincolo del pareggio di bilancio), in Riv. dir. trib., I, 2013, p. 1049; CABRAS, Pareggio di bilancio, in AA.VV., Treccani. Il libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, p. 301. Per interessanti considerazioni, anche con riferimento alle diverse “funzioni” della spesa pubblica v. anche, da ultimo, MURARO, Etica e spesa pubblica, in Neotera, n. 2, 2015, p. 55.

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Francesco Montanari 347

l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico» e «ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte».

La vera e macroscopica differenza, tuttavia, tra il modello di tassazione della federazione russa e quello previsto dall’Italia (nonché, tendenzialmen-te, dagli altri principali paesi europei), è la totale mancanza di riferimenti al-la “progressività” del sistema tributario

10: tanto più che, come si osserverà in seguito (v. infra, par. III), l’imposta sul reddito delle persone fisiche è carat-terizzata da un’unica aliquota proporzionale del 13%.

Da tale circostanza emerge, chiaramente, un’importante diversità sul pia-no economico-sociale e culturale, in quanto la progressività è, generalmen-te, considerata «il cardine dell’equità tributaria inteso come uguaglianza nella redistribuzione verticale degli oneri e quindi, come strumento di ridu-zione delle differenze tra le situazioni di ciascun consociato»

11. Ciò a con-ferma del fatto che molti paesi antepongono la crescita economica rispetto agli obiettivi tipici dello Stato sociale, in un’ottica diametralmente opposta rispetto a quella italiana ed europea.

3. Imposte patrimoniali, flat tax e impatto economico dei tributi

Ciò che caratterizza in modo peculiare, come accennato, il sistema tribu-tario della Federazione Russa è l’imposizione proporzionale sulle persone fisiche (c.d. Flat tax)

12, introdotta, peraltro, anche da altri paesi dell’Est eu-ropeo

13.

10 Con specifico riferimento al profilo della progressività, GIOVANNINI, Il limite quanti-tativo all’imposizione nel principio costituzionale di progressività, in Rass. trib., 2015, p. 1340; ID., Equità impositiva e progressività, in Dir. prat. trib., 2015, p. 10675; ID., Il re fisco è nudo, Milano, 2016.

11 GALLO, Ancora in tema di uguaglianza tributaria, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2013, p. 330. Sulla valenza giuridica, oltre che ideologica, del principio di progressività v. anche MARON-GIU, La concezione etica del tributo, in Neotera, n. 2, 2015, p. 17.

12 Su tali profili, oltre alla bibliografia già citata, v. ancora GALLO, Ancora in tema di ugua-glianza tributaria, cit., p. 321. Sullo specifico profilo della flat tax e sul dibattito che si è ve-nuto a creare nel corso degli anni v., per tutti, SCHIAVOLIN, Flat tax, equa tassazione de red-dito e principio di progressività, in Riv. dir. trib., 2006, I, p. 291. Per un approccio estrema-mente critico v., da ultimo, LUPI-SBROIAVACCA, Flat Tax tra esperienze poco indicative e utile provocazione, in Dialoghi trib., 2015, p. 19.

13 Per un interessante excursus delle diverse teorie economiche relative alla flat tax, pro-prio con riferimento ai paesi dell’est europeo v. VILLANI, La flat tax, l’Europa e i paesi dell’Est,

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 348

Come è noto, la c.d. flat tax rappresenta una tematica “classica” (e, per molti versi, politica) nell’ambito del dibattito tra progressività e proporzio-nalità dell’imposizione e, come si è evidenziato, «la reazione dei vecchi mem-bri dell’Unione europea è stata di allarme e contrarietà»

14. In estrema sintesi, nella dottrina economica i vantaggi dell’imposizione

proporzionale sulle persone fisiche vengono individuati in un aumento del-la base imponibile (con conseguente aumento del gettito) ed in una sem-plificazione con riferimento alla attuazione dei tributi (e, quindi, ad un ab-battimento dei costi di gestione di questi ultimi). Anche dall’articolo che precede emerge che l’introduzione, nella Federazione Russa, di una impo-sta proporzionale del 13% ha determinato un significativo aumento delle entrate tributarie e che, pur essendo vivo il dibattito sul trade off tra pro-porzionalità e progressività, non sembrano esservi ragioni, dal punto di vi-sta economico, per modificare l’attuale sistema. D’altro canto, come si è posto in luce, «il movente più importante che ha indotto i governi dell’Est europeo a decidere per primi per la riforma è stato, senza dubbio, l’esigenza di ridurre il divario con l’occidente mirando a tassi di crescita del PIL stabi-li e sostenibili»

15. Posto che, tuttavia, non paiono sussistere inequivocabili evidenze empi-

riche circa gli effetti diretti della flat tax sull’aumento del PIL e del gettito nonché sulla diminuzione dell’elusione

16 e dell’evasione fiscale 17, ovviamen-

te, la scelta dei diversi modelli impositivi 18 dipende da radicali scelte sociali

e culturali di fondo 19.

in Riv. dir. trib. int., 2011, p. 395. Sul punto v. MAKSIMOVSKA-VELJANOVSKI-PENDOVSKA-NE-SHOVSKA KJOSEVA, Open Door Tax Policy for Foreign Direct Investments in South Eastern Eu-rope: Tax Incentives and Flat Tax in Action, in Intertax, 2015, p. 730. Con specifico riferimen-to alla riforma della Slovacchia v. l’approfondito lavoro, anche in chiave di impatto economi-co, di REMETA-PERRET, JAREŠ-BRYS, Moving Beyond the Flat Tax – Tax Policy Reform in the Slovak Republic, OECD Taxation Working Paper, n. 22, 2015. Sulla flat tax v. anche OWENS, Flat Taxes: Myths and Realities, in Bulletin for International Taxation, 2013, p. 679.

14 VILLANI, op. cit., p. 397. 15 VILLANI, op. cit., p. 395. Sulle esperienza negative, in termini di effetti sul rapporto tra

gettito fiscale e PIL v. LUPI-SBROIAVACCA, op. cit. 16 Sul punto, anche per l’ampia bibliografia ivi citata, SCHIAVOLIN, op. cit., p. 296. 17 Sulle ragioni della evasione e dell’elusione v. l’interessantissimo lavoro di ZUCMAN,

The hidden wealth of nations, Chicago, 2015. 18 Sull’impatto economico dei diversi livelli di tassazione v. KAPLOW, The theory of taxation

and public economics, Princeton, 2011; SALANIÈ, The economic of taxation, Cambridge, 2011. 19 Su tali profili v. i diversi ed interessanti contributi contenuti in AA.VV., Philosofical ex-

ploration of Justice and Taxation, a cura di Gaisbauer-Schweiger-Sedmak, Springer, 2015.

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Francesco Montanari 349

Il limite dei modelli economici, individuato anche dalla dottrina, è pro-prio quello di essere dei modelli, spesso privi di risultanze di tipo empirico e, comunque, troppo legati ad istanze puramente ideologiche. Peraltro, come accennato, dalla letteratura economica emergono dati di segno diametral-mente opposto rispetto all’entusiasmo manifestato dai fautori della flat tax. Si è, infatti, osservato – a diversi anni dalla riforma – che, sulla base di risultan-ze tecnico-statistiche «the Russia’s flat tax reform was quite revolutionary be-cause it involved a large country and because it affected many people, not only the rich. But beyond the excitement Russia’s flat tax reform has generated, so far very little solid evidence has been provided on its impact on tax evasion or real economic activity»

20. D’altro canto, anche la moderna dottrina economica è alla continua ri-

cerca di modelli impositivi che tengano conto, sia degli effetti distorsivi dei tributi, sia dei (ritenuti necessari) effetti redistributivi che devono “mitiga-re” una logica meramente egoistica e neo-liberista del prelievo fiscale

21. Gli stessi studiosi di Law & Economics

22 – movimento di pensiero salda-mente ancorato proprio a modelli “ultra liberisti”

23 – hanno recentemente

20 GORODNICHENKO-MARTINEZ VAZQUEZ-SABIRIANOVA PETER, Myth and Reality of Flat Tax Reform: Micro Estimates of Tax Evasion Response and Welfare Effects in Russia, in Jour-nal of Political Economy, 2009, p. 504.

21 Notevoli spunti nei modelli economici proposti da FARHI-WERNING, Estate Taxation with Altruism Heterogenity, in The American Economic Review, 2013, p. 489. Interessanti considerazioni “critiche” rispetto ai modelli tradizionali in MANKIW, Defending the one per-cent, in The Journal of Economic Perspectives, 2013, p. 21. Su tali profili v. lo stimolante lavo-ro di HOLMES-SUNSTEIN, The costs of rights: why liberty depends on taxes, New York, 1999, tradotto in Italia nel 2000 per i tipi de Il Mulino. Sui diversi impatti della flat tax v., anche GASTALDI-SALVEMINI, Una proposta per ridisegnare la curva delle aliquote marginali dell’im-posta personale sul reddito, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2007, I, p. 3.

22 Tra i più rilevanti contributi teorici ci limitiamo a rinviare ai noti e classici contributi di KAPLOW, Rules Versus Standards: An Economic Analysis, in Duke Law Journal, 1992, p. 557; POSNER, Economic Analysis of Law, New York, 1998; WEISBACH, Formalism in the Tax Law, in Chicago Law Review, 1999, p. 860. Per un’ampia disamina delle diverse scuole di pensiero v., nella dottrina italiana, A. AMATUCCI, Il contributo dell’Economic Analysis of Law alla metodolo-gia del diritto tributario, in AA.VV., Studi in onore di Enrico De Mita, Napoli, 2012, p. 17.

23 Sul punto v. l’autorevole ed efficace contributo di DENOZZA, Il modello dell’analisi eco-nomica del diritto: come si spiega il tanto successo di una tanto debole teoria?, in Arsinterpretandi, 2013, p. 43. Del medesimo autore, su tale tematica, Norme efficienti: l’analisi economica del-le regole giuridiche, Milano, 2002; ID., Diritto e potere in un mondo senza costi di transazione: un saggio sulla funzione legittimante della normativa Coasiana, in Riv. dir. priv., 2009, p. 31; ID., Norme, principi e clausole generali nel diritto commerciale: un’analisi funzionale, in Riv. crit. dir. priv., 2011, p. 392 ss.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 350

riconosciuto i limiti insiti nell’analisi economica del diritto pura con riferi-mento al diritto tributario

24. La tradizionale “efficienza economica” viene oggi, altresì, analizzata non più solamente in termini di minor “effetto di-storsivo” ma anche di maggiori effetti redistributivi.

In buona sostanza, la dicotomia tra interventismo statale e liberismo – che tanto influenza, ovviamente, anche il diritto tributario e le scelte dei legisla-tori – non può più essere netta ed inequivocabile.

Gli stessi autori del saggio che precede, pur esprimendo un giudizio so-stanzialmente favorevole sulla Flat Tax, si pongono il problema delle possi-bili iniquità del sistema e, dunque, propendono per diversi “correttivi” (maggiormente nella logica della progressività) e, soprattutto, per l’introdu-zione di apposite imposte patrimoniali

25 sui beni ritenuti di lusso, con ulte-riori distinzioni tra redditi normali ed excessive income. D’altro canto, è noto che sono ipotizzabili vari e variegati modelli impositivi che spaziano dalla previsione di meccanismi di esenzione per fasce di reddito e di specifiche deduzioni fino, per l’appunto, all’abbinamento alla flat tax di forme di pre-lievo patrimoniali.

Anche l’Italia non è stata (e non è), certamente, estranea al dibattito in questione.

Basti pensare all’art. 3 della legge delega n. 80/2003 – il quale, notoria-mente, non ha trovato attuazione – che aveva l’obiettivo «di ridurre a due le aliquote dell’imposta sul reddito, rispettivamente fino al 23 per cento fino a 100.000 euro e al 33 per cento oltre tale importo».

Inoltre, negli ultimi anni, anche in ragione della dilagante crisi economi-ca

26 che ha sensibilmente acuito le disuguaglianze sociali, si è riacceso, sia a livello politico, sia dottrinale

27, un significativo dibattito circa l’opportunità

24 Sul punto v., per tutti, lo straordinario contributo di RASKOLNIKOV, Accepting the li-mits of tax law and economics, in Cornell Law Review, 2013, p. 523.

25 Sulla possibilità di introdurre tipologie di flat tax accompagnate a “robuste imposte patrimoniali” v. GALLO, Ancora in tema di uguaglianza tributaria, cit., p. 332.

26 Per interessanti considerazioni di carattere economico, anche con riferimento alla flat tax v. BERNARDI, Economic crisis and taxation in Europe, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2011, I, p. 175.

27 Sul punto v., in particolare, GIOVANNINI, Il limite quantitativo all’imposizione nel prin-cipio costituzionale di progressività, in Rass. trib., 2015, p. 1340; LUPI-STEVANATO-CERMI-GNANI, La patrimoniale: un dialogo sussidiario al di là degli slogan, in Dialoghi trib., 2015, p. 265; MARELLO, Diseguaglianza, consenso, visibilità: riflessioni sull’introduzione di un’imposta generale sul patrimonio, in Rass. trib., 2014, p. 1069; GIOVANNINI, Imposizione patrimoniale e capacità contributiva, in AA.VV., L’evoluzione del sistema fiscale e il principio di capacità contributiva, a cura di Melis-Salvini, Padova, 2014, p. 270; MARINI, Le nuove imposte patri-

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Francesco Montanari 351

di ricorrere a forme di imposizione patrimoniale e sui consumi di beni rite-nuti “di lusso”

28. Tuttavia, gli interventi normativi sono stati contingenti, “pulviscolari” ed asistematici.

4. Conclusioni

Come si è osservato chiaramente «l’imposizione progressiva produce un effetto che altre forme di tassazione, ad iniziare dalla flat tax, non possono produrre: l’effetto di togliere più che proporzionalmente a chi più ha, per di-stribuire, con le leggi di spesa, a chi meno ha»

29. Quindi, al di là di tutti gli innegabili limiti che presenta l’imposizione pro-

gressiva 30, essa oggi pare l’unica forma di prelievo compatibile con i principi

ed i valori che caratterizzano il nostro ordinamento e quello europeo: in al-tri termini, pur essendo tante (e spesso fondate) le suggestioni che proven-gono dall’economia e dalla politica circa un modello di imposizione sul red-dito delle persone fisiche meramente proporzionale, l’unica strada percorri-bile sembra quella di una sostanziale modifica del regime vigente. Non può, infatti, essere abbandonato il brocardo – evocato da autorevole dottrina

31 – «“aliquote di imposta più elevate per alti redditi”, a vantaggio dell’altro, tan-to di moda e tanto più comodo, “dalle persone alle cose”».

La questione è, dunque, forse quella della rimodulazione delle aliquote, del meccanismo delle detrazioni e delle deduzioni e, quindi, di una sostan-ziale modifica della base imponibile delle imposte sulle persone fisiche.

Peraltro, anche nel saggio che precede, gli autori, consci, come detto, della moniali, in Treccani. Il Libro dell’anno del diritto, Roma, 2013; GALLO, Le ragioni del fisco, Bologna, 2009; MARELLO, Contributo allo studio delle imposte patrimoniali, Torino, 2006. Da ultimo, anche per ampie considerazioni di carattere sistematico, v. STEVANATO, La giustifi-cazione sociale dell’imposta. Tributi e determinabilità della ricchezza tra diritto e politica, Bo-logna, 2014.

28 Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, al settore del “trasporto aereo privato” nell’ambito del quale sono stati introdotti specifici tributi ma di scarsa rilevanza. Sul punto sia concesso rinviare a MONTANARI, I contratti del trasporto aereo nel sistema tributario ita-liano, in AA.VV., I trasporti nel sistema tributario italiano ed europeo, a cura di Del Federico-Verrigni, Padova, 2015.

29 GIOVANNINI, Equità impositiva e progressività, cit., p. 10678. 30 Per taluni spunti su tale tematica v. DEL FEDERICO, La giustificazione etica e costitu-

zionale dei tributi paracommutativi, in Neotera, n. 2, 2015, p. 47. 31 GALLO, Ancora in tema di uguaglianza tributaria, cit.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 352

eventualità di passare ad un sistema progressivo, propongono diversi mo-delli di tassazione maggiormente incentrati sulla equità e sulla uguaglianza so-stanziale.

D’altro canto, anche la ricerca di forme di prelievo che tengano conto, sia delle esigenze strettamente economiche, sia dei valori di solidarietà che ca-ratterizzano i paesi europei può “stemperare” la tradizionale tensione tra eco-nomisti e giuristi.

Come scriveva Guido Calabresi, «if lawyer-economists do not make the mis-take of claiming too much for what they are doing, and if they are willing to work at defining and analyzing pretty good instruments leading toward the just society, philosophers ought not be troubled»

32.

32 CALABRESI, About Law and Economics: A Letter to Ronald Dworkin, in Hofstra Law Re-view, 1980, p. 561.

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Carlos María López Espadafor

REVISIÓN DE LOS PARÁMETROS ESENCIALES DE LA SOBERANÍA FISCAL INTERNACIONAL

REVISIONE DEI PARAMETRI ESSENZIALI DELLA SOVRANITÀ FISCALE INTERNAZIONALE

REVISING THE ESSENTIAL PARAMETERS OF INTERNATIONAL TAX SOVEREIGNTY

Abstract La evolución sufrida por la soberanía fiscal internacional hace necesario estudiar la validez de las tradicionales normas generales del Derecho Internacional Tribu-tario. Se debe analizar la vigencia de los principios tradicionales del Derecho In-ternacional Tributario, en atención a la importante evolución de éste. Se trata de una disciplina internacional en constante evolución, pero que, sin embargo, nun-ca ha estado bien estructurada dogmáticamente, de ahí la especial importancia del análisis de las cuestiones apuntadas. Parole chiave: soberanía fiscal internacional, Derecho Internacional Tributario, normas tradicionales, evolución, análisis L’evoluzione subita dalla sovranità fiscale internazionale rende necessario studia-re la validità delle regole tradizionali del diritto tributario internazionale. Occor-re, quindi, analizzare l’idoneità e l’attualità dei principi tradizionali del diritto tri-butario internazionale, alla luce della propria importante evoluzione. Si tratta, in-fatti, di una disciplina internazionale in continua evoluzione, ma che non è mai stata ben strutturata dal punto di vista dogmatico: da questi aspetti ne consegue la particolare importanza dell’analisi delle summenzionate questioni. Parole chiave: sovranità fiscale internazionale, diritto tributario internazionale, regole tradizionali, evoluzione, analisi

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 354

The evolution undergone by the international tax sovereignty makes it necessary to study the validity of the traditional rules of international tax law. It must be analysed the validity of the traditional principles of international tax law, in view of its impor-tant evolution. It is an international discipline in constant evolution, but which has never been well structured dogmatically: from these aspects it follows the particular importance of analysis of the abovementioned issues. Keywords: international fiscal sovereignty, international tax law, traditional rules, evolution, analysis

SOMMARIO: 1. Visión global del fenómeno tributario internacional. – 2. Los textos normativos en materia de fiscalidad internacional y los principios generales rectores de la misma. – 3. Estructura del Derecho Internacional Tributario. – 4. Derecho Internacional Tributario versus Derecho Tri-butario Internacional. – 5. La soberanía. – 6. La posible toma en consideración de la idea de justicia tributaria desde la perspectiva de las relaciones fiscales internacionales: la disciplina euro-pea. – 7. Selección de los elementos más significativos de la fiscalidad internacional. – 8. Apunte conclusivo.

1. Visión global del fenómeno tributario internacional

Ante una realidad social, internacional y jurídica como es el fenómeno tributario internacional, resulta bastante complejo articular la disciplina a la que sirve de objeto tal realidad.

La construcción de la fiscalidad internacional como subdisciplina dentro del Derecho Tributario, en las últimas décadas, parece haberse realizado a golpe de norma particular o cuestión concreta. Con el tiempo se ha ido per-diendo la preocupación por una visión “global” de todos los problemas del Derecho Internacional Tributario. Más allá del Modelo de la OCDE de convenio internacional para evitar la doble imposición en materia de im-puestos sobre la renta y el patrimonio y prevenir el fraude fiscal – y el ya casi olvidado Modelo, también de la OCDE, de convenio internacional para evi-tar la doble imposición en materia de impuestos sobre sucesiones y dona-ciones –, de la jurisprudencia en materia tributaria del Tribunal de Justicia de la Unión Europea, de las grandes cuestiones de la armonización fiscal y así de las principales directivas comunitarias en materia impositiva, a parte de algún otro texto internacional, en ocasiones de la OCDE, por ejemplo tam-

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Carlos María López Espadafor 355

bién en materia de lucha contra el fraude, o en otros ámbitos de la Unión Europea, sobre diversas cuestiones, no existe una preocupación por delimi-tar una construcción global y armónica de los grandes principios de la fisca-lidad internacional y por la estructuración dogmática del Derecho Interna-cional Tributario.

Cuando no existían aún las Comunidades Europeas, luego Unión Euro-pea, cuando no existían tantos convenios internacionales en materia tributa-ria, esencialmente desde inicios hasta mediados del siglo pasado, la doctrina tributaria y la doctrina internacional se preocupaban en mayor medida por buscar otros instrumentos de actuación y delimitación normativa interna-cional, que no podían ser otra cosa que la búsqueda de si existían principios generales, normas generales o costumbres internacionales aplicables al De-recho Internacional Tributario. Se preocupaba la doctrina por la búsqueda de un derecho Internacional General en materia tributaria.

Bien es cierto que la modernidad del sistema tributario de un Estado en materia de fiscalidad internacional viene marcada por el número de conve-nios internacionales de carácter fiscal que firme dicho Estado, pero esto no debe hacer desaparecer la preocupación por la búsqueda de si existen o no principios generales de Derecho Internacional aplicables a los Estados en materia tributaria, más allá de su consentimiento expreso, como reglas de-juelo esenciales en la Comunidad o Sociedad Internacional.

Existen algunos Estados con los que no ha funcionado la vía de los con-venios internacionales, precisamente porque no firman tal tipo de conve-nios; son esencialmente los paraísos fiscales, que en gran medida se puede decir que viven económicamente de eso, de estar aislados en materia fiscal, de no firmar convenios en materia tributaria, de ser opacos fiscalmente, de encubrir el fraude fiscal realizado en perjuicio de otros muchos Estados so-beranos.

Digamos que en este campo, después de tantos años, la OCDE, la Unión Europea, incluso la actuación de Estados Unidos, en cierto modo se puede decir que ha fracasado y los paraísos fiscales siguen existiendo como tales en perjuicio de otros Estados.

A veces, tales paraísos, son territorios sometidos a la soberanía de algún Estado desarrollado, con lo que la evolución de los problemas en elación a los mismos puede ser mucho más esperanzadora, por la presión a ejercer sobre dicho Estado.

El problema puede estar en mayor medida en relación a aquellos territo-rios con soberanía propia como Estados, que sean paraísos fiscales, siempre

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que no estén sometidos o necesitados de una fuerte vinculación con otros Estados que puedan ejercer una fáctica presión sobre ellos en tal sentido, que ayude a acabar con su actuación como paraísos fiscales.

Pero precisamente en relación a tales “pequeños” paraísos fiscales que tienen que defender su identidad como Estados soberanos, si en cierta me-dida la OCDE y la Unión Europea han fracasado en su propósito, quizás sea ahora la oportunidad o momento de entrar en escena al efecto en mayor medida para Naciones Unidas, que es la organización internacional – más global – que precisamente se puede presentar como la mayor garante de su identidad como Estados independientes.

Con ello, más que nunca, es necesaria la delimitación y estructuración cla-ra de los principios generales del Derecho Internacional Tributario.

2. Los textos normativos en materia de fiscalidad internacional y los princi-pios generales rectores de la misma

El tipo de texto normativo más frecuente dentro del Derecho Internacio-nal Tributario aparece constituido, sin duda alguna, por los convenios bila-terales para evitar la doble imposición internacional en materia de impuestos sobre la renta y el patrimonio y evitar el fraude fiscal, realizados siguiendo el Modelo de la OCDE. Este tipo de convenios se ha impuesto en las relacio-nes fiscales internacionales entre cualquier clase de Estados, creándose una gran red de convenios bilaterales, que otorga seguridad jurídica ante el fe-nómeno fiscal en las relaciones e inversiones económicas internacionales.

A pesar de que algunos otros organismos internacionales, especialmente Naciones Unidas, han creado otro tipo de modelos de convenio bilateral para evitar la doble imposición pensando en las relaciones entre países desarrol-lados y países en vías de desarrollo, tales modelos alternativos no han con-seguido el desarrollo esperado. Al final, entre los países desarrollados y los países en vías de desarrollo se terminan firmando también convenios bilate-rales para evitar la doble imposición internacional siguiendo el Modelo de la OCDE. Ello a pesar de que este Modelo está pensando en convenios entre dos Estados con inversiones recíprocas; al final se terminan firmando tam-bién entre dos Estados de los que sólo uno exporta capital al otro, con el consiguiente desequilibrio que esto conlleva. Tal situación sólo se puede explicar tomando en consideración los efectos de la globalización.

Por ello, debemos fijarnos en las otras dos grandes ramas del Derecho In-

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ternacional Tributario, es decir, en el Derecho de la Unión Europea en ma-teria tributaria y, especialmente, en el Derecho Internacional General en esta misma materia. Este último debería revitalizarse para proteger los inte-reses de los Estados menos favorecidos en la negociación de convenios in-ternacionales bilaterales.

El Derecho Internacional General estaría compuesto por principios ge-nerales y costumbres internacionales. Obviamente, su alcance es mucho me-nor que el de otras ramas del Derecho Internacional Tributario. Pero habría que plantearse hasta qué punto el desarrollo de la globalización puede con-seguir que algunas reglas en las relaciones tributarias internacionales se conviertan en normas de Derecho Internacional General, más allá del con-sentimiento expreso de los Estados. De ahí la necesidad de redefinir el De-recho Internacional General en materia tributaria.

3. Estructura del Derecho Internacional Tributario

La contemplación de la incidencia del Derecho de origen internacional en materia tributaria normalmente se realiza desde dos perspectivas distin-tas. De un lado, se encuentra la perspectiva del Derecho Internacional Con-vencional, es decir, la relativa a los convenios internacionales que afectan a esta materia. De otro, nos encontramos con la del Derecho Comunitario Europeo (o, actualmente, Derecho de la Unión Europea), donde, junto al Derecho Comunitario originario, nos encontramos con el Derecho Comu-nitario derivado. El primero de estos dos, el Derecho Comunitario origina-rio, está compuesto por Tratados, por lo que en su esencia podría encua-drarse dentro del Derecho Internacional Convencional; lo que sucede es que estos acuerdos entre los Estados miembros de la Unión Europea tienen un contenido de atribución competencial a ésta, que sitúa a tales Tratados a un nivel que está muy por encima de los tradicionales convenios en materia tributaria. Por otra parte, el Derecho Comunitario derivado está compuesto por los actos normativos de las instituciones comunitarias. Al Derecho Co-munitario, después del Tratado de Lisboa, resultaría más riguroso llamarlo Derecho de la Unión Europea, pero la denominación de Derecho Comuni-tario ha calado de tal manera en la tradición jurídica que es difícil prescindir de ella en la práctica.

El Derecho Internacional Convencional en materia tributaria se compo-ne esencialmente de convenios para evitar la doble imposición internacio-

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nal, en casi su inmensa totalidad bilaterales. De todos modos, disposiciones de naturaleza tributaria las podemos encontrar en otros tipos de convenios internacionales, aun no estando dedicados esencialmente a la materia tribu-taria.

En el ámbito del Derecho Comunitario nos encontramos con distintos campos de incidencia en materia tributaria: de un lado, nos encontramos con el campo de la armonización fiscal comunitaria, que intenta aproximar las legislaciones tributarias de los distintos Estados comunitarios en deter-minadas materias; de otro, nos encontramos con los recursos comunitarios de naturaleza tributaria, como fuente de financiación comunitaria; por úl-timo, nos encontramos con la cooperación en la aplicación de los tributos impuesta a los Estados miembros por las instituciones comunitarias. Este tercer campo de incidencia del Derecho Comunitario, es decir, estos debe-res de colaboración entre Administraciones tributarias a veces afectan a tri-butos propios comunitarios y en ocasiones a impuestos estatales armoniza-dos, con lo cual en muchos casos esta labor de cooperación administrativa podría quedar incluida en alguno de los dos ámbitos señalados anterior-mente, o sea, en el de los recursos propios de naturaleza tributaria o en el de la armonización fiscal. Pero esta actuación normativa de la Unión Europea consistente en imponer a los Estados miembros un deber de colaborar entre ellos para la aplicación de los tributos, a veces afecta también a impuestos que ni son recursos propios de aquélla, ni son impuestos armonizados con-forme a directivas comunitarias. En función de ello, en este caso ya estaría-mos ante un tercer campo distinto de los anteriores, salvo que con ello en-tendamos que lo que se está realizando es una labor de armonización fiscal en el plano formal, es decir, no en el plano de los elementos materiales o su-stantivos de los impuestos, sino en el de su aplicación efectiva o formal.

Resulta lógico, por su importancia práctica, que la atención de la doctri-na tributaria en relación al Derecho Internacional se haya centrado en los dos ámbitos apuntados; de un lado, en los convenios internacionales para evitar la doble imposición y, de otro, en la incidencia del Derecho Comuni-tario Europeo en materia tributaria. Pero en el esquema de fuentes del De-recho Internacional no debemos perder de vista la costumbre internacional y los Principios Generales del Derecho, que conforman lo que se podría de-nominar el Derecho Internacional General, en cuanto normas aplicables a cualquier Estado con independencia de la prestación o no de su consenti-miento directo a las mismas, como normas consolidadas en el devenir y formación de la Comunidad Internacional.

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Obviamente, en una materia como la tributaria, tan vinculada a la políti-ca económica de cada Estado, la incidencia del Derecho Internacional Ge-neral es mucho menor que la del Derecho Internacional Convencional y que la del Derecho Comunitario Europeo. Esto no quita que se le deba pre-star cierta atención a la incidencia, aunque escasa en su extensión, pero no en su importancia, que el Derecho Internacional General pueda tener en ma-teria tributaria.

Ello se debe hacer desde dos perspectivas distintas. De un lado, inten-tando localizar si existe, aunque sea difícil de concretar, alguna norma de Derecho Internacional General que afecte específicamente al ámbito tribu-tario. De otro, analizando la forma en que algunas ideas y principios de De-recho Internacional General, aunque no específicamente tributarios, pue-den afectar a la mecánica de aplicación impositiva, desde la contemplación de los intereses de distintos Estados.

De todas maneras, todo lo expuesto no responde a compartimentos estan-cos o incomunicados, sino que la interrelación entre los distintos grupos o tipos de normas es tan permeable e interdependiente como en el resto de ramas del Ordenamiento jurídico. Fijémonos, por ejemplo, en los distintos tipos de normas que se pueden distinguir dentro del Derecho Comunitario Europeo en materia tributaria e intentemos aplicarlos al régimen fiscal de los funcionarios y otros agentes de la Unión Europea. En el artículo 12 del Protocolo sobre los privilegios e inmunidades de la Unión Europea, de 8 de abril de 1965 – modificado por el Tratado de Lisboa –, se establece al mismo tiempo la exención de los rendimientos obtenidos por aquéllos como con-secuencia de su trabajo para las instituciones comunitarias y la sujeción de tales rendimientos a un impuesto sobre los sueldos, salarios y emolumentos de los funcionarios y otros agentes de la Unión Europea, de los que es bene-ficiaria ésta y que se recauda simplemente a través de retenciones sobre di-chos rendimientos del trabajo, en función del montante anual que recibe el funcionario y del número de hijos bajo su dependencia. De un lado, la exen-ción referida evita la doble imposición que, de no existir este beneficio fiscal, se daría entre los impuestos estatales sobre la renta y el citado impuesto comunitario; la norma que establece esta exención en los impuestos estata-les, aunque forma parte del Derecho Comunitario originario se parecería más bien a las normas de armonización fiscal comunitaria, si bien estas úl-timas suelen ser de Derecho Comunitario derivado, es decir suelen derivar de las instituciones comunitarias. De otro lado, la norma que establece el citado impuesto comunitario se podría entender más bien comprendida en

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el bloque normativo de los recursos propios comunitarios, si bien no repre-senta un elemento esencial en la financiación comunitaria – su existencia se fundamenta en otras razones – y no aparece contemplado en las Decisiones sobre el sistema de recursos propios comunitarios. De esta forma, se trataría de un ejemplo de tema donde se interrelacionan los bloques normativos in-dividualizados anteriormente.

4. Derecho Internacional Tributario versus Derecho Tributario Internacional

Señalaba Fedozzi que la experiencia demuestra que la partición del De-recho Internacional en base a las mismas categorías del Derecho interno ha sido muy útil desde el punto de vista sistemático y sustancialmente fecunda de incremento científico, lo que era presentado por este autor como legiti-mación de la división que hace dentro del Derecho Internacional, incluyen-do el “Derecho internacional tributario” entre sus ramas

1. Partiendo de la inexistencia de verdaderas relaciones tributarias entre

Estados en cuanto tales – o sea, en cuanto sujetos de Derecho Internacional en el ejercicio de su personalidad internacional – y de la falta de carácter tri-butario en las contribuciones financieras de los Estados a las organizaciones internacionales, llegaba Udina a la conclusión de que no se podía hablar de la existencia de un verdadero y propio «derecho internacional tributario». No obstante, para este autor no se podía prescindir de tal denominación y así, según él, el concepto de Derecho Internacional Tributario podía ser en-tendido en sentido más amplio como comprensivo de las normas del Orde-namiento internacional que conciernen de un modo u otro al ejercicio del Poder Tributario de los Estados, considerando las relaciones tributarias en cuanto desarrolladas no entre los mismos Estados, sino entre cada Estado y las personas físicas o jurídicas dependientes de éste y, así pues, solamente como objeto indirecto y mediato de las normas internacionales. Destacaba este autor que como distinto de éste se presenta el «derecho tributario in-ternacional», constituido por las «normas tributarias internas relativas a las relaciones con el extranjero»

2. Pero Udina, en relación a la problemática de las normas internacionales

en materia tributaria, no se limitó a individualizar una rama del Derecho In-

1 FEDOZZI, Corso di Diritto Internazionale, I, Padova, 1931, pp. 37-38. 2 UDINA, Il diritto internazionale tributario, Padova, 1949, pp. 16-31.

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ternacional llamada Derecho Internacional Tributario. Este autor también propuso la creación de un “Tribunal fiscal internacional”, que tendría por competencia conocer de las controversias entre Estados relativas a las nor-mas internacionales en materia tributaria – y de las cuales puede conocer el Tribunal Internacional de Justicia –, proponiendo, además, en la delimita-ción ideal de tal Tribunal fiscal internacional, la posibilidad de plantear re-curso ante el mismo también por parte de los particulares

3. Posteriormente, el mismo Udina, en relación a los tributos que las orga-

nizaciones internacionales exigen a sus funcionarios, afirmaba que en estos casos «se puede ya hablar de un verdadero y propio derecho internacional tributario, que implica una manifestación de potestad de imperio de ca-rácter tributario, fundada sobre el derecho internacional, entre sujetos in-ternacionales que se encuentran respectivamente en posición de superiori-dad y de dependencia»

4. En esta sede, este autor hablaba de una relación entre «sujetos internacionales», pero debemos tener en cuenta que un fun-cionario de una organización internacional no tiene personalidad jurídica internacional.

Más estricto se muestra en su planteamiento G. Tesauro, quien señala que sólo si se pudiese reconocer la naturaleza tributaria de las contribucio-nes de los Estados a las organizaciones internacionales se podría correcta-mente hablar de Derecho Internacional Tributario y no en ningún otro ca-so. Tampoco para este autor el fenómeno de las contribuciones financieras de los Estados miembros a las organizaciones internacionales presenta na-turaleza tributaria

5. Por otra parte, basándose en el dato de que las normas internacionales

influyen y condicionan el Derecho interno en materia tributaria y dado que dentro del Derecho Internacional se forman particulares grupos de normas convencionales, distinguiéndose propiamente cada uno de los cuales en ba-se a los caracteres de la materia objeto de las normas del correspondiente sector disciplinar de Derecho interno, sector en el que se integran las nor-mas internas que derivan de las internacionales que pertenecen al grupo en cuestión, señala Croxatto que se puede sostener la existencia de un sector

3 UDINA, Sulla creazione d'una Corte internazionale per le controversie in materia tribu-taria, in Riv. dir. fin. sc. fin., Parte I, 1949, p. 54 ss.

4 UDINA, Il trattamento tributario dei funzionari internazionali, in Gegenwartsprobleme des internationalen Rechtes und der Rechtsphilosophie (Festschrift für Rudolf Laun zu seinem siebzigsten Geburtstag), Hamburg, 1953, p. 284.

5 TESAURO, Il finanziamento delle organizzazioni internazionali, Napoli, 1969, p. 8.

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del Ordenamiento jurídico internacional al que referir la tradicional deno-minación de Derecho Internacional Tributario y que se caracteriza por los aspectos peculiares de la actividad del Estado en esta materia, que es objeto de las normas en él comprendidas

6. De otro lado, Sampay hablaba de «Derecho Fiscal Internacional», in-

cluyendo en el mismo tanto las normas internas como las normas interna-cionales en materia tributaria

7. Es también de destacar el planteamiento de Bühler, quien hablaba de un Derecho Internacional Tributario en sentido estricto, en el cual incluía normas de origen internacional, y de un Derecho Internacional Tributario en sentido amplio, en el cual incluía tanto normas de origen internacional como normas nacionales

8. La distinción entre Derecho Internacional Tributario – normas interna-

cionales – y Derecho Tributario Internacional – normas nacionales – ha sido utilizada por la doctrina tributaria

9. El Derecho Internacional Tributario con-diciona al Derecho Tributario Internacional. En el Ordenamiento jurídico español, para que las normas de un tratado internacional se conviertan en Derecho interno basta solamente una actividad administrativa de publica-ción en el Boletín Oficial del Estado del tratado ya ratificado. Así, el artículo 96.1 de la Constitución dispone que «los tratados internacionales válida-mente celebrados, una vez publicados oficialmente en España, formarán parte del ordenamiento interno». Una vez que el tratado internacional ha pasado a formar parte del Ordenamiento español, adquiere en éste una po-sición de jerarquía normativa por encima de la ley, como se desprende de la referencia que se hace en el mismo artículo 96.1 in fine a que las disposicio-nes de los tratados internacionales «sólo podrán ser derogadas, modificadas

6 CROXATTO, Le norme di Diritto internazionale tributario, in AA.VV., Studi in onore di Enrico Allorio, II, Milano, 1989, pp. 2223-2224; y, del mismo autor, Diritto internazionale tributario, in Dig. disc. priv., IV, 1989, p. 642.

7 SAMPAY, El Derecho Fiscal Internacional, La Plata-Buenos Aires, 1951, p. 91. 8 BUHLER, Principios de Derecho Internacional Tributario (Versión castellana de Cervera

Torrejón), Madrid, 1968, p. 5. 9 CARLI, Cooperazione internazionale tributaria, in Enc. giur. Treccani, IX, pp. 1 y 4-5;

FERREIRO LAPATZA, Curso de Derecho Financiero Español, Madrid, 1988, pp. 112-113; y SAINZ DE BUJANDA, La interpretación de los Tratados internacionales para evitar la doble im-posición, in Memoria de la Asociación Española de Derecho Financiero, 1960, pp. 92-93. Este último autor citado, en otra de sus obras, hablaba del Derecho fiscal internacional, incluyendo bajo esta denominación referencias a las normas nacionales y a las normas internacionales en materia tributaria (Hacienda y Derecho, I, Instituto de Estudios Políticos, Madrid, 1975, p. 465 ss.).

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o suspendidas en la forma prevista en los propios tratados o de acuerdo con las normas generales del Derecho internacional».

Entonces, si las normas de los tratados internacionales en materia tribu-taria se convierten en Derecho interno, debemos preguntarnos qué sentido tiene mantener la distinción entre Derecho Internacional Tributario y De-recho Tributario Internacional. El calificativo de internacional del primero encuentra su legitimación en el origen de la norma; aunque las normas de los tratados internacionales se convierten en Derecho interno, su origen es internacional, mientras que las normas de Derecho Tributario Internacional tienen un origen interno. Y estas últimas encuentran la legitimación del cali-ficativo de internacional en la naturaleza del ámbito sobre el que inciden. Tal ámbito está constituido por la fiscalidad de las manifestaciones de ri-queza transnacionales, que surgen con el tráfico internacional de mercan-cías, capitales y sujetos.

Pero no son las normas de los tratados internacionales y las normas de Derecho Comunitario Europeo las únicas normas que integran el Derecho Internacional. No debemos olvidar el Derecho Internacional General, com-puesto, como hemos apuntado, por costumbres y Principios Generales. Las normas del Derecho Internacional General no se integran en el Derecho in-terno en el modo en que lo hacen las normas de los tratados internacionales, presentándose aquéllas solamente como un condicionante del Derecho na-cional. Y aunque el Derecho Internacional General no tiene tanta impor-tancia en la práctica en materia tributaria en comparación con la de los tra-tados internacionales, no se puede negar cierta influencia del mismo en esta materia, presentándose, además, sus principios como la base esencial de la territorialidad en sentido formal o eficacia espacial del tributo.

Por otra parte, reviste una extraordinaria importancia en materia tributa-ria el Derecho Comunitario Europeo. Éste tiene un claro origen internacio-nal. El Derecho Comunitario originario nace del acuerdo o del tratado in-ternacional, mientras el Derecho Comunitario derivado nace de los actos de las instituciones comunitarias, que son órganos internacionales, órganos de organizaciones internacionales. Pero también el Derecho Comunitario se convierte en Derecho interno. Basta la publicación de los actos normativos de las instituciones comunitarias en el Diario Oficial de la Unión Europea para que se conviertan en Derecho interno, debiendo ser aplicados directa-mente por los órganos estatales. Dada la primacía del Derecho Comunitario sobre el Derecho nacional, aquél constituye también un límite al legislador tributario.

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El Derecho Comunitario Europeo no es como el Derecho Internacional tradicional. De este último son solamente sujetos los Estados y las organi-zaciones internacionales, presentándose como los únicos verdaderos titula-res de los derechos y obligaciones del Ordenamiento internacional tradi-cional. El Derecho Comunitario nace de instrumentos internacionales, pero luego afecta directamente a los ciudadanos comunitarios, creando derechos directamente en relación a éstos, sin necesidad, en principio

10, de una inter-vención normativa estatal. Son derechos del ciudadano comunitario frente a su Estado, frente a los otros Estados comunitarios y frente a la propia Unión Europea

11. Entonces, el Derecho Comunitario Tributario ¿es Derecho Internacional

Tributario o Derecho Tributario Internacional? Su mencionado origen in-ternacional nos lleva a incluirlo en el Derecho Internacional Tributario.

Muchísimas veces se habla de Derecho interno para hacer referencia al Derecho de origen nacional en comparación u oposición con el Derecho Comunitario. A nuestro entender, sería más correcto, en base a las observa-ciones realizadas supra, hablar de Derecho de origen interno para hacer re-ferencia a aquél. Pero, de todos modos, en la práctica habitual, como deci-

10 Las directivas son el instrumento normativo fundamental para armonizar las legisla-ciones nacionales y, claro está, los ordenamientos tributarios internos de los Estados mi-embros. Aunque las directivas normalmente necesitan de normas de adaptación del Dere-cho interno para desplegar su plena eficacia en el mismo, no siempre debe ser así. Puede suceder que, ante una directiva de armonización de los tributos nacionales, un Estado mi-embro no haya creado una norma de adaptación de su ordenamiento tributario a la direc-tiva y que, sin embargo, ésta vea aplicado su contenido en el mismo, porque contenga una norma paralela a otra contenida en un Tratado de Derecho Comunitario originario, consi-guiéndose el objetivo perseguido por la directiva aplicando el contenido que se corre-sponde con el Tratado. Puede suceder también, ante la falta de tal norma interna y sin que se dé la circunstancia anterior, que la directiva pueda tener eficacia directa porque exista una disposición interna que entre en contradicción con la misma, consiguiéndose así dejar sin efecto esa norma interna, en colisión con la norma comunitaria, y en la medida en que la directiva sea idónea para definir derechos que los contribuyentes pueden alegar frente al Estado. De esta forma lo ha reconocido el Tribunal de Justicia de la Unión Europea, por ejemplo en su Sentencia de 19 de enero de 1982, Asunto 8/81, Sentencia que ha tenido un gran predicamento en materia tributaria. Sobre la posible eficacia directa de las directivas de armonización fiscal, véase CAYON GALIARDO-FALCON-TELLA-HUCHA CELADOR, La ar-monización fiscal en la Comunidad Económica Europea y el Sistema tributario español: Inci-dencia y convergencia, Madrid, 1990, pp. 668-672.

11 V. GARCIA DE ENTERRÌA, Las competencias y el funcionamiento del Tribunal de Justicia de las Comunidades Europeas. Estudio analítico de los recursos, in Tratado de Derecho Comu-nitario Europeo, tomo I, Madrid, 1986, p. 700.

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mos, los términos “Derecho interno” son utilizados muchas veces para hacer referencia de manera ágil al origen interno de las normas a las que se alude.

De otro lado, podemos fijarnos en que los límites internacionales al Po-der del Estado sobre su territorio en algunos casos son en el fondo supue-stos de autolimitación del Poder del mismo Estado. Piénsese en los tratados internacionales, que parten del consentimiento de los Estados. El Derecho Comunitario derivado encuentra su fundamento en el Derecho Comunita-rio originario, compuesto, este último, por tratados y acuerdos internacio-nales. A ello hay que unir el dato de los actos normativos de Derecho Co-munitario derivado que estén sometidos a su aprobación por unanimidad en el Consejo, entre los que hay que destacar el núcleo esencial de la armo-nización fiscal comunitaria. Así, el Derecho Internacional Tributario en su mayor parte representa en sustancia una autolimitación del Poder del Esta-do, dejando a salvo ciertos supuestos, como son los relativos a los límites que proceden del Derecho Internacional General.

El Derecho Internacional Tributario podría ser considerado una rama del Derecho Internacional Financiero

12, del mismo modo en que en el ám-bito estatal el Derecho Tributario representa una rama del Derecho Finan-ciero. En el Derecho Internacional Financiero sí se podría incluir la pro-blemática jurídica de las contribuciones financieras de los Estados a las or-ganizaciones internacionales. Éstas no se pueden incluir en el Derecho In-ternacional Tributario, dado que no tienen naturaleza tributaria, pero, en cuanto elementos de la financiación de las organizaciones internacionales, su regulación formaría parte del Derecho Internacional Financiero.

De otro lado, en función de la vigencia del principio de legalidad en ma-teria tributaria y la reserva de ley en esta materia, como plasmación de aquel principio, el Derecho Tributario está contenido principalmente en leyes. A la luz de ello, tradicionalmente se ha apuntado la escasa eficacia práctica de los Principios Generales del Derecho por sí mismos como fuente del Dere-cho Tributario, es decir, como principios que se puedan deducir de las di-stintas regulaciones, sin estar expresamente recogidos en la ley o consagra-dos en la Constitución, pues, en estos casos, se convierten en norma expresa escrita y su valor no se da ya en cuanto tales principios, sino en función del

12 Este concepto lo podemos encontrar en SAINZ DE BUJANDA, Un esquema de Derecho Internacional Financiero, Discurso de investidura como doctor honoris causa por la Univer-sidad de Granada, Publicación de la Universidad de Granada, 1983.

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rango del texto normativo en que se recogen expresamente. También en función de lo apuntado, se suele negar virtualidad a la costumbre dentro de las fuentes del Derecho Tributario. Pues bien, en el ámbito del Derecho In-ternacional Tributario sí se puede encontrar cierta incidencia de la costum-bre y de los Principios Generales del Derecho como fuentes del mismo

13, si bien se trata de una incidencia bastante reducida, si la comparamos con la amplitud, proliferación y desarrollo de otros tipos de fuentes del Derecho Internacional. Obviamente, esto no justifica el olvido de tales costumbres y Principios Generales del Derecho.

Con respecto al Derecho Internacional Tributario, las ramas que han si-do más estudiadas son el Derecho Internacional Convencional, es decir, aquella rama compuesta por convenios internacionales, y el Derecho Co-munitario Europeo. Esto resulta lógico, si se tiene en cuenta que se trata de los dos ámbitos normativos internacionales que mayor incidencia tienen en la práctica limitando o condicionando el Poder Tributario de los Estados. Pero junto a esas dos ramas del Derecho Internacional, también incide en materia tributaria el Derecho Internacional General, si bien de una forma mucho más reducida en la práctica que el Derecho Internacional Conven-cional y que el Derecho Comunitario Europeo. Quizás por ello el estudio de aquella rama por la doctrina ha sido mucho menor que el de estas otras dos. Pero la incidencia del Derecho Internacional General en materia tributaria es la más obvia y esencial, encontrándose en la base de la construcción de la fiscalidad internacional. Esta incidencia se da sobre todo en relación a la efi-cacia de la ley tributaria en el espacio, si bien también puede tener algún al-cance con respecto a la extensión de la ley. Por ello, creemos que no se debe descuidar tanto, al contrario de lo que se ha venido haciendo por la doctri-na, el estudio de la incidencia del Derecho Internacional General en materia tributaria, debiendo fomentarse el desarrollo de los análisis relativos a éste dentro del Derecho Internacional Tributario.

5. La soberanía

Ha habido autores que han definido y analizado la «soberanía fiscal» desde la perspectiva del fenómeno tributario internacional. Es decir, han

13 Pensemos, por ejemplo, en el régimen fiscal de las misiones diplomáticas extranjeras y del personal adscrito a las mismas.

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estudiado ese concepto a la vista de la confluencia de los Poderes Tributa-rios de diversos Estados sobre manifestaciones de riqueza que sobrepasan los límites territoriales de éstos, entrando así en relación estas manifestacio-nes con los Poderes Tributarios de diversos Estados, y, de otro lado, toman-do en consideración que los Estados buscan la cooperación de otros Esta-dos para hacer efectivas sus pretensiones tributarias, dada la movilidad de sus contribuyentes y de los patrimonios de éstos.

Señala Bühler que, en principio, la soberanía no tiene en el Derecho Tri-butario un significado distinto del que tiene en otras ramas del Ordena-miento jurídico, significado que consistiría en la facultad total y exclusiva de un Estado para desarrollar, a través de la propia voluntad manifestada frente al resto de los Estados, la competencia única que le asiste para realizar actos legislativos, ejecutivos y judiciales dentro de su ámbito de poder territorial

14. Señala Borrás Rodríguez que la manifestación de la soberanía que denomina «soberanía fiscal» constituye «el poder de dictar un sistema de impuestos, sea por vía legislativa o reglamentaria, que posea una autonomía técnica en relación con los sistemas susceptibles de entrar en concurrencia con él, ejer-ciendo tal soberanía dentro de su ámbito de competencia territorial»

15. Dentro de este ámbito, Garbarino

16 hace una detallada delimitación si-stemática del problema de la soberanía. Su posición la expresa señalando que allí donde se proceda a considerar la soberanía del Estado en materia tributaria en un contexto internacional, es decir, en una situación de coexi-stencia de más Estados titulares de una soberanía originaria y, así pues, po-seedores de un ilimitado Poder impositivo, es oportuno distinguir dos con-ceptos generales de los que se puedan desprender consideraciones de natu-raleza más estrictamente tributaria: serían, de un lado, la soberanía entendi-da como Poder impositivo preeminente sobre cualquier otro Poder y que se desenvuelve dentro del ámbito territorial del ordenamiento estatal; y, de otro, la soberanía entendida como independencia del Estado, destinada a de-senvolverse dentro del ámbito de la Comunidad internacional, compuesta de más Estados soberanos, dotados de Poder impositivo originario. Señala este autor que, mientras desde una perspectiva interna el Poder soberano de

14 Op. cit., p. 173. 15 BORRAS RODRIGUEZ, La doble imposición: Problemas jurídico-internacionales, Univer-

sidad de Barcelona, Secretariado de publicaciones, intercambio científico y extensión uni-versitaria, Barcelona, 1971, p. 3. En la misma línea, véase GONZALEZ POVEDA, Tributación de no residentes, Madrid, 1989, pp. 3 a 6.

16 GARBARINO, La tassazione del reddito transnazionale, Padova, 1990, pp. 96 a 99.

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imposición implica una supremacía del sujeto activo titular de tal Poder (el Estado) con respecto a los sujetos pasivos, desde una perspectiva externa e internacional, por el contrario, no se puede dejar de destacar que los Pode-res impositivos soberanos estatales conviven en un ordenamiento de tipo paritario, cual es el ordenamiento internacional. Señala que en el contexto exclusivamente interno y estatal las normas impositivas, a través de las cua-les de despliega el Poder Tributario, traen su validez directamente del orde-namiento jurídico estatal que se configura como soberano, y que en el ámbi-to del ordenamiento internacional, por el contrario, no se reconoce ningún Poder impositivo que se despliegue directamente sobre los Estados o sobre los ciudadanos de éstos.

Continúa Garbarino su exposición señalando que mediante la adopción de esta doble perspectiva de investigación, que procede de los fundamentos de la soberanía de un Estado para llegar a las modalidades con que interac-cionan las expresiones de la soberanía de más Estados, se reaniman dos aspectos interconexos del problema que aquí se debate: la dimensión exclu-sivamente interna y la dimensión externa de la soberanía. Así, destaca este autor que la soberanía del Estado – entendida en su aspecto de Poder Tri-butario soberano – bajo el perfil interno es el modo en el que se manifiesta el carácter autoritario del ordenamiento interno del Estado en relación a los sujetos a él sometidos, mientras, bajo el perfil externo la soberanía se inserta en el ejercicio de una plena capacidad de Derecho Internacional del Estado en materia impositiva en relación con los otros Estados.

En la base de la construcción de Garbarino se encuentra la consideración de que la soberanía tributaria es una species del amplio genus constituido por los poderes que son los atributos de la soberanía del Estado. En particular, señala este autor que la soberanía se manifiesta en el poder del Estado para perseguir una política fiscal nacional que se expresa mediante normas que tienen por objeto presupuestos de hecho con elementos de extranjería. Aña-de que la soberanía es el fundamento sobre el que el Estado procede a de-sarrollar las relaciones fiscales con los otros Estados.

Destacaba Sainz De Bujanda que un Estado en Europa no puede jugar un papel de protagonista en la Historia porque le falta el poder para hacerlo, y le falta poder político, poder económico y poder militar; así, «ni sus fines ni sus propios medios le permiten vivir con mínima autonomía»

17.

17 De esta forma se manifestaba SAINZ DE BUJANDA en el Prólogo a la obra de D. MARTÍ-NEZ MARTÍNEZ, El Sistema financiero de las Comunidades Europeas, Madrid, 1974, p. XII.

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Los Estados europeos han sentido la necesidad de proceder a una inte-gración económica que camine hacia una más profunda integración política. El proceso de integración europea recibió un gran impulso con el Tratado de la Unión Europea, integración que se intentó reforzar con el fracasado Proyecto de Tratado por el que se establece una Constitución para Europa y, posteriormente, con el Tratado de Lisboa. La creación de las Comunida-des Europeas supuso el nacimiento de un sistema de poderes cuyas relacio-nes con los Estados son diferentes de las que se dan con las organizaciones internacionales de simple cooperación. La Unión Europea se presenta co-mo organización de integración, y la presencia de este tipo de organización altera de manera tal el poder que las organizaciones internacionales venían ejerciendo sobre los Estados, que también la doctrina ha reconocido una in-fluencia de este fenómeno en el concepto y concepción tradicionales de la soberanía

18. Por lo que respecta a la fiscalidad de la Unión Europea, Constantinesco

señalaba que toda armonización tributaria en las Comunidades Europeas llevaba necesariamente a una limitación, por reducida que ésta sea, de la «soberanía impositiva» de los Estados miembros, produciéndose así una intervención en la libertad política de éstos

19. Pero aquí no debemos olvidar la perspectiva general del fenómeno comunitario, y desde este punto de vi-sta Adonnino destacaba cómo con la adhesión a las Comunidades (hoy es más correcto hablar de Unión Europea) la soberanía de los Estados resulta limitada en algunos sectores, pero lo es en virtud de un proceso de autolimi-tación, constitucionalmente legítimo

20. Para Truyol Y Serra la soberanía no es algo constituido por un elemento

unitario que abarca e incluye todo; en concreto señala este autor la necesi-dad de superar la concepción que presenta la soberanía como monolítica, destacando que ésta no es un poder omnímodo de decisión; la existencia de

18 Véase GIULIANI FONROUGE, Derecho Financiero, I, Buenos Aires, 1970, p. 282. 19 «La problemática tributaria de la Comunidad Económica Europea», in Hacienda Pú-

blica Española, n. 57, 1979, p. 164. Referencias a que la soberanía de los Estados se ve afec-tada por la armonización fiscal, se pueden encontrar también en ALBINANA GARCIA-QUIN-TANA, Sistema tributario español y comparado, Madrid, 1992, p. 927, y CASADO OLLERO, Fundamento jurídico y límites de la armonización fiscal en el Tratado de la C.E.E., in Estudios sobre armonización fiscal y Derecho presupuestario europeo, Granada, 1987, p. 60.

20 ADONNINO, Il principio di non discriminazione nei rapporti tributari fra Paesi membri secondo le norme della CEE e la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità, in Riv. dir. fin. sc. fin, n. 1, 1993, p. 65.

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un Derecho Internacional supone un concepto limitado de la soberanía, y el aumento de la dependencia entre los pueblos hace que de hecho se vea re-ducido su alcance efectivo. Señala también la conveniencia de abandonar los temores y mitos que se dan con respecto a la relación entre la soberanía y la supranacionalidad; y así con las Comunidades Europeas los Estados, más que ver limitadas sus soberanías, las ponían en común, delegando en el poder de las Comunidades solamente las facultades necesarias para la eficaz gestión de los asuntos comunes

21. Fijándose en el paso de las concepciones tradicionales de la soberanía

como idea unitaria, no susceptible de limitaciones y tampoco de ser descom-puesta, a una concepción que la ve como una suma de facultades susceptible de ser dividida en sus diversos componentes, Abad Fernández destaca cómo ello hace que se acepte la posibilidad de que el Estado pueda transferir algu-na de sus facultades a una entidad supranacional; y señala este autor que una de las parcelas de la soberanía es la del Poder Financiero

22. Frente a lo discutida que es la validez del concepto de soberanía en rela-

ción al Poder Tributario en el plano interno, dicho concepto conserva una determinada virtualidad en relación al fenómeno tributario internacional. Está claro que la soberanía no se puede presentar hoy como el fundamento directo del Poder Tributario. El pueblo, titular de la soberanía popular, aprue-ba la Constitución y en ésta establece cuáles son las condiciones y límites en que los poderes del Estado pueden actuar en materia tributaria. Así pues, el fundamento jurídico directo del Poder Tributario reside en la Constitución.

Pero en la delimitación del Estado como sujeto de Derecho Internacio-nal, la soberanía se presenta como uno de sus elementos esenciales; esto sir-ve para definir los poderes del Estado sobre el territorio, excluyendo las in-tervenciones exteriores que podrían afectar a la vida independiente del Esta-do, y, así, también los actos que puedan tener carácter tributario. Pero tam-bién la soberanía, como elemento del Estado en cuanto sujeto de Derecho Internacional, ha cambiado, no concibiéndose hoy como algo ilimitable e in-divisible, sino pudiéndose distinguir dentro de ella una diversidad de compe-tencias. Individualizadas éstas, el propio Estado puede decidir la atribución del ejercicio de algunas de ellas a una entidad supranacional. Esto explica que

21 TRUYOL SERRA, La Integración Europea. Idea y realidad, Madrid, 1972, p. 66. 22 ABAD FERNANDEZ, El Poder Financiero de las Comunidades Europeas, en Estudios de

Derecho internacional público y privado en homenaje al Profesor Luis Sela Sampil, tomo I, Uni-versidad de Oviedo, 1970, pp. 452-453.

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los Estados hayan podido atribuir a la Unión Europea el ejercicio de compe-tencias derivadas de sus Constituciones y, de entre éstas, el ejercicio de com-petencias en materia tributaria. Esto rompe con las concepciones de la so-beranía del Estado como algo indivisible.

Un elemento esencial del Estado es su soberanía, elemento también lla-mado hoy independencia. La soberanía supone que el Estado ejercita su ac-tividad en las relaciones internacionales por su propio poder y no por el de otro sujeto de Derecho Internacional, y por esto puede actuar directa e in-mediatamente sobre todos los elementos que forman el Estado

23. Señala Monaco que «la soberanía de los Estados no es otro que un con-

cepto que corresponde a una situación de superioridad de los Estados mi-smos en relación a las sociedades humanas por ellos respectivamente con-troladas y dirigidas, y no a una posición de superioridad de los Estados re-specto a otros Estados de la comunidad internacional»

24. De otro lado, de-staca Garelli que «el ejercicio de la soberanía incluye la exclusividad del ter-ritorio sobre el cual ella se despliega»; para este autor «la territorialidad de la soberanía» se presenta como «canon inconcuso de derecho, para asegu-rar la eficacia de las actuaciones de los particulares Estados»

25. Ha puesto de manifiesto Díez de Velasco que la soberanía no se concibe

hoy como un todo indivisible; la soberanía se ve hoy día como un conjunto de atribuciones y competencias. Y entre las competencias ejercitadas por el Estado se pueden encontrar competencias de carácter territorial, que hacen referencia a las cosas que se encuentran dentro de su territorio y a los he-chos que en éste acaezcan, y competencias de carácter personal, que se re-fieren a las personas que habitan en territorio estatal, sean nacionales o ex-tranjeros, o a personas determinadas, con independencia del hecho de que se encuentren o no en el territorio del Estado

26. Vinculado a la idea de soberanía, en cuanto al contenido del poder terri-

torial del Estado 27, tal poder no se concreta en un derecho sobre el territo-

23 V. DIEZ DE VELASCO VALLEJO, Instituciones de Derecho Internacional Público, tomo I, Madrid, 1988, p. 196.

24 MONACO, Limiti della sovranità dello Stato e organizzazione internazionale, in AA.VV., Studi di Diritto Costituzionale in memoria di Luigi Rossi, Milano, 1952, p. 370.

25 GARELLI, Il Diritto Internazionale Tributario. Parte Generale. La Scienza della Finanza Internazionale Tributaria, Torino, 1899, p. 14.

26 V. DIEZ DE VELASCO VALLEJO, op. cit., p. 299. 27 Nos guiamos aquí por la descripción que del mismo hace BISCARETTI DI RUFFIA, Ter-

ritorio dello Stato, in Enc. dir., XLIV, 1992, pp. 336-337.

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rio, sino que se manifiesta como un aspecto o comportamiento del poder general soberano del Estado mismo, que tiene por título un derecho sobre o para un territorio, pero que no tiene por objeto el territorio mismo, en cuan-to el poder general soberano del Estado se desarrolla frente a todos los su-jetos y a todas las cosas que se encuentran sobre un territorio. El territorio, pues, es objeto directo o indirecto del Derecho del Estado a él relativo, pero al mismo tiempo se presenta como el ámbito de extensión del poder territo-rial, o sea, el espacio dentro del cual el mismo se ejercita establemente. El poder territorial del Estado se comporta de modo diverso según que sea considerado al interno del ordenamiento estatal, o bien desde la perspectiva del ámbito internacional.

Desde la primera perspectiva señalada, debemos tener en cuenta el he-cho de que el Estado, en su interior, en base a la soberanía que le es propia, pueda ejercitar una plena autoridad sobre todas las personas y cosas que en el mismo se encuentren, persiguiendo fines de interés general, lo que tiene como consecuencia que las normas de los ordenamientos extranjeros pue-dan encontrar en el mismo eficacia sólo en cuanto una norma del ordena-miento estatal reenvíe a las mismas, atribuyendo, por regla general, la aplica-ción de éstas a órganos propios.

Tomando en consideración la distinción entre el poder sobre las perso-nas y sobre las cosas, con referencia a las primeras el poder territorial sobe-rano del Estado encuentra una clara manifestación en la sujeción del extran-jero que se encuentre en su territorio a las leyes de tal Estado. De otro lado, el Estado puede dar asilo a un extranjero en su territorio en los casos previ-stos por el Ordenamiento jurídico, sustrayéndolo así, en base a su propio po-der soberano, a los poderes que corresponden a otro Estado sobre su perso-na. Por otra parte, el Estado, en el ejercicio de su poder territorial, puede tam-bién expulsar de su propio territorio a extranjeros o apátridas que no le re-sulten aceptables, o bien puede impedir que entren en su territorio.

Por otra parte, en cuanto a la actuación del poder territorial del Estado sobre las cosas, tal poder consiente a éste establecer la disciplina jurídica de las mismas y de las relaciones de que son objeto, así como disponer de las mi-smas en los casos y forma establecidos por su Ordenamiento jurídico, hacien-do uso, por ejemplo, de procedimientos de expropiación, sin perjuicio de las correspondientes indemnizaciones previstas por la ley. De otro lado, el Estado puede igualmente impedir la entrada en su territorio de mercancías, publicaciones y otro tipo de géneros procedentes del extranjero, basándose en motivaciones de diversa índole, que pueden ir desde razones de tipo sa-nitario a motivos de orden público.

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En cuanto al contenido del poder territorial del Estado en el ámbito in-ternacional, este poder se presenta como un poder natural al Estado, que propiamente no deriva al mismo del Derecho Internacional, sino que se pre-senta más bien como un presupuesto de hecho, sobre cuya base todo Esta-do puede pretender que otros Estados se abstengan de penetrar y de actuar en su territorio. Esto trae consigo, sin embargo, la consecuencia de que el Estado mismo deviene responsable de todo cuanto suceda en su territorio.

Todo Estado como titular de un específico derecho a la propia soberanía territorial en relación a los otros sujetos de Derecho Internacional, que se plasma en el derecho a no ser impedido del ejercicio de sus poderes en su propio territorio y a no sufrir mermas en tal ejercicio, dándose así el derecho a la integridad y a la intangibilidad territorial del Estado, no pudiéndose dar la injerencia de Estados extranjeros. Junto a esto se da el derecho del Estado a repeler, con los medios de autotutela admitidos por el Derecho Interna-cional, todo acto de violación del propio territorio y de la propia soberanía territorial, el llamado “ius excludendi alios”. De todo esto deriva una respon-sabilidad de Derecho Internacional para los Estados que violen el territorio extranjero. La sanción, cuando se incurre en tal responsabilidad, viene con-stituida por los actos de autotutela a que puede recurrir el Estado que ve su territorio violado o seriamente amenazado de violación, y por los otros me-dios de garantía de la soberanía territorial previstos en los tratados interna-cionales.

Si nos fijásemos en la composición del territorio del Estado, podríamos ver cómo éste no se compone solamente de tierra firme, sino que existen a-demás, junto a ésta, otros componentes. Además existen elementos territo-riales de una más compleja calificación y condición jurídica. Entre estos ele-mentos estaría la plataforma continental. Haciendo referencia a este elemen-to y a la vista de la Convención de Ginebra de 1958, Azcárraga ha señalado que sobre ella el Estado al que corresponde no ejercita su «soberanía», sino «derechos soberanos» a efectos de su explotación y de la utilización de sus recursos naturales, derechos caracterizados por las notas de ser exclusivos, independientes de su ocupación ficticia o efectiva y no existe necesidad ni siquiera de proclamarlos

28. Por otra parte, estos derechos son denominados en el artículo 77.1 de la Convención de Naciones Unidas sobre Derecho del

28 En base a esto, el Estado podrá ejercitar sobre la plataforma continental sus poderes en materia tributaria AZCARRAGA, El concepto de plataforma continental ante el Derecho Tri-butario, in XX Semana de Estudios de Derecho Financiero, Relaciones Fiscales Internaciona-les, Madrid, 1973, pp. 780 a 783.

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Mar, de 10 de diciembre de 1982, «derechos de soberanía». De otro lado, Hernández González destaca que entre la zona de plena soberanía y las zo-nas libres existen en el mar zonas sin soberanía plena, donde los Estados ejer-citan diversas competencias

29. Entre los diversos poderes del Estado encontramos el poder legislativo.

Así pues, debemos analizar cuál pueda ser la relación entre el poder legisla-tivo y el poder soberano del Estado sobre el territorio.

El principio de territorialidad del Derecho encuentra sus orígenes con-ceptuales cuando se verifica – desde el final del siglo XII hasta la Paz de West-falia en 1648 – el paso del Estado de asociación de personas al Estado insti-tucional de superficie que señala el inicio de la era moderna. Este cambio encuentra aplicación práctica cuando el territorio del Estado asume impor-tancia como espacio independiente, señalando el alcance de la eficacia del ordenamiento estatal, y junto a esto, cuando los teóricos del Estado tienen como evidente que la existencia del Estado depende necesariamente de un determinado territorio. En este proceso, el poder que primero se acumulaba en el Papado y en el Imperio y luego en las señorías y en los municipios feu-dales, se concentra en los entes territoriales y autónomos que se presentarán como lo que hoy conocemos como Estados. La autonomía de éstos adquie-re una importancia tal en la teoría del Estado que hará que se presente como elemento esencial de éste su soberanía territorial. La territorialidad de la ley se presenta como una inmediata consecuencia de la fuerza con la que se ha impuesto en la conciencia jurídica del Derecho europeo la idea de soberanía territorial

30. Pero el principio de territorialidad comenzará su mutación y también su

declive con el cambio en la concepción del Estado. Se desarrolló en el Dere-cho internacional privado la nueva concepción del Estado como Estado-nación surgido con la Revolución francesa, que se manifiesta en la exalta-ción de la soberanía popular en oposición al precedente absolutismo mo-nárquico. Así las leyes no encontrarán solamente el punto de conexión con el Estado en la realización de un presupuesto de hecho en su territorio, sino que se comenzará a distinguir también una pertenencia personal al Estado de los sujetos, de manera que las leyes de éste puedan vincular a sus nacio-nales también por los hechos realizados en el extranjero. Con todo ello, el

29 V. HERNANDEZ GONZALEZ, El ámbito espacial de aplicación de los impuestos españoles sobre el consumo, in Revista española de Derecho Financiero, n. 64, 1989, p. 532.

30 V. SACCHETTO, Territorialità (dir. trib.), in Enc. dir., XLIV, 1992, pp. 307 a 309.

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territorio continúa siendo base y elemento esencial del Estado. En esta evo-lución del principio de territorialidad, las dos fundamentales objeciones pue-stas a este principio son, de un lado, que la delimitación territorial del poder normativo estatal no es un principio imperativo, en cuanto la disciplina ju-rídica de los hechos verificados en el extranjero no comporta necesariamen-te la violación del territorio extranjero y, de otro, que el concepto de “terri-torialidad” es tan indeterminado que es imposible derivar de él concretas consecuencias jurídicas

31. Pero, ¿el poder legislativo se puede considerar como una manifestación

del poder del Estado sobre el territorio? El presupuesto de hecho de las normas jurídicas no siempre consiste en situaciones producidas en el terri-torio del Estado que crea la norma. Las leyes de un Estado se pueden apli-car, como sucede a través de las normas de conflicto de Derecho internacio-nal privado, a hechos acaecidos en el extranjero pero vinculados con el Esta-do a través de un vínculo de nacionalidad de los sujetos intervinientes en la correspondiente situación. Así encontramos casos de hechos producidos en un Estado relativos a sujetos de otro Estado y que son regulados por la ley de este último. Entonces, ¿estos casos implicarían que el poder de crear nor-mas jurídicas no es una manifestación del poder territorial?

En relación a las normas jurídicas, en el Estado se pueden encontrar el poder de su creación y el poder de su aplicación. Su aplicación se presenta, sin duda, como una manifestación del poder soberano del Estado sobre su territorio. Si un Estado aplica una decisión de poder en territorio extranjero, en principio, estaría violando el Derecho Internacional. La aplicación de de-cisiones de poder en territorio extranjero sólo se puede dar en el marco de la cooperación internacional entre Estados. El Estado en cuyo territorio se aplica una medida de poder, ha tenido que aplicarla él mismo o haber dado su consentimiento para su aplicación por órganos de otro Estado.

Si pensamos en el poder de creación normativa, y en relación a los casos conflictivos mencionados supra, debemos tener presente que si un Estado de-cide, a través de sus normas de conflicto, que sus leyes se apliquen a sus na-cionales por hechos acaecidos en el extranjero, lo está decidiendo en nor-mas – las mencionadas normas de conflicto – a aplicar sobre el propio terri-torio (lex fori), que toman como presupuesto la existencia de un conflicto de Derecho presentado ante sus órganos. Y cuando en base a las normas de conflicto de un Estado se debe dar aplicación a los nacionales de otro Esta-

31 V. SACCHETTO, op. cit., pp. 309-310.

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do de la ley de su Estado aunque por hechos no acaecidos en el territorio de éste, el fundamento de esta aplicación normativa se encuentra en el poder del Estado en el que se aplica.

Además, cuando un Estado toma como presupuesto de hecho de normas suyas que no sean de conflicto, sino normas materiales, hechos no acaecidos en su territorio relativos a sus nacionales, está de todas formas estableciendo en estas normas unas consecuencias jurídicas a aplicar sobre el propio terri-torio. Son normas en las que el presupuesto de hecho toma en considera-ción el elemento extranjero y que son creadas por el Estado pensando en su aplicación en su territorio por sus órganos.

En el poder de crear normas no se puede pensar sin la existencia de un Ordenamiento jurídico; en un Ordenamiento jurídico no se puede pensar sin un Estado, porque las normas de los entes territoriales inferiores que se forman dentro del territorio estatal se integran en el ordenamiento del Esta-do y los ordenamientos de las organizaciones supranacionales encuentran aplicación en los Estados porque éstos han dado su consentimiento para el-lo; y un Estado no puede existir sin territorio, dado que éste es un elemento esencial para ello. Y no se puede pensar en un Ordenamiento jurídico sin pensar en la aplicación de sus normas, pensando solamente en la creación de éstas, porque sería un sistema inservible en cuanto que no podría ser efi-caz. Así, no se puede disociar tampoco el poder de creación normativa del Estado de su poder sobre el territorio.

Señalaba Sainz De Bujanda que los casos en que un Estado pierde la so-beranía sobre una parte de su territorio por un acuerdo internacional o por simple ocupación material, son casos donde el Estado ocupante puede de-clarar la invalidez o la ineficacia de las leyes del precedente Estado

32. Esto nos hace ver hasta qué punto el poder de creación normativa se une necesa-riamente al poder soberano del Estado sobre el territorio.

6. La posible toma en consideración de la idea de justicia tributaria desde la perspectiva de las relaciones fiscales internacionales: la disciplina europea

Partiendo de una defensa de la evolución de la integración europea, la ad-hesión de un Estado a la Unión Europea no puede provocar nunca una mer-ma en los derechos fundamentales de sus ciudadanos, pues ello supondría

32 V. SAINZ DE BUJANDA, Lecciones de Derecho Financiero, Madrid, 1990, p. 53.

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una involución en el Derecho, contraria a la evolución constitucional de los Estados desarrollados y, así, de los Estados europeos. El ejercicio de compe-tencias comunitarias al margen de las Constituciones nacionales o, si se quiere, la supremacía del Derecho de la Unión Europea sobre éstas, nunca debería menoscabar los derechos fundamentales, incluso en su contempla-ción más amplia. El mismo proceso de evolución normativa dentro de la U-nión Europea, sea por vía de reconocimiento jurisprudencial, sea por vía de sus textos de Derecho Originario, deja ver una tendencia en tal sentido, que debe ser el criterio interpretativo inspirador de la resolución de cualquier problema puntual al respecto.

Junto a ello, los derechos fundamentales alcanzan una dimensión euro-pea y mundial, más allá de la Unión Europea y de las Constituciones nacio-nales, que nos sitúa en un terreno en el que sólo se puede ir hacia delante y nunca hacia atrás. Además, no hacerlo así, situaría a las Constituciones na-cionales en una posición no muy acorde con el alcance con que la cesión de competencias a las instituciones de la Unión Europea se hace en el sentir o intención de los “pueblos” de Europa. La, aunque debilitada, existencia to-davía del elemento soberanía lo impediría. El propio elemento soberanía podría ser todavía utilizado como criterio interpretativo al respecto, en aten-ción al estado de evolución de la Comunidad Internacional y, más en con-creto, del alcance de la integración europea.

Pero, no obstante, como decimos, la evolución en el reconocimiento de los derechos fundamentales en la disciplina jurídica de la Unión Europea de-bería ir haciendo que vayan desapareciendo o siendo cada vez menos tales problemas de colisión. Todo ello sin perjuicio de que la evolución en mate-ria de derechos fundamentales es algo que nunca debe cesar, como nunca de-be cesar la evolución del Derecho, abierta a las nuevas realidades.

Esta problemática se presentaría, pues, como un punto de partida esen-cial en la concreción de principios materiales de justicia tributaria a partir del Derecho originario de la Unión Europea, que puedan servir de límite a la ac-tuación normativa de las instituciones de ésta en materia de armonización fiscal.

Bien es cierto que en los tiempos que corren en la Unión Europea, con una importante crisis en la zona euro, con una delicada situación de la deu-da soberana de un gran número de Estados y con un horizonte de necesaria consolidación fiscal, buscando un déficit cero, no sería entendida como espe-cialmente oportuna por los gobiernos de los Estados miembros cualquier me-dida que implicase un límite a la cuantía de los impuestos, armonizados o

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no, como garantía o respeto a los derechos de los contribuyentes europeos. El principio de reducción del déficit público parece haber hecho olvidar los demás principios en materia financiera y tributaria, especialmente aquellos que actúen como garantía para el contribuyente. Pero se trata de principios de base constitucional

33 y a los que, como hemos visto, se les puede encon-trar incluso amparo en el Derecho originario de la Unión Europea, con lo que necesariamente deben ser atendidos y respetados por los legisladores nacionales y por las instituciones de la Unión. Sólo partiendo de la concre-ción de estas bases de respeto jurídico se podrá pensar en avanzar con segu-ridad y fundamento en un mayor desarrollo de la armonización fiscal.

Así pues, mientras que no existan unos límites claros dentro del Derecho originario de la Unión Europea que puedan proteger a los contribuyentes, no se podrá construir sólidamente el desarrollo de la armonización fiscal. Esto sólo se podrá conseguir con una consagración expresa de los principios materiales de justicia tributaria en los Tratados de la Unión Europea, en una revisión de éstos, tan pretendida en materia financiera y tributaria a otros efectos. Entre el Tratado de la Unión Europea y el Tratado de Funcionami-ento de la Unión Europea, dadas las funciones de cada uno de estos Trata-dos, habría que plantearse cuál de ellos representaría la ubicación más ade-cuada para una deseable futura consagración de los principios materiales de justicia tributaria, con proyección en materia de armonización fiscal y, como no podría ser de otro modo, también en sede de recursos propios de la Unión Europea. Teniendo en cuenta su contenido, bastaría con que tal consagra-ción expresa de tales principios se realizase en el Tratado de Funcionamien-to de la Unión Europea.

Lo que no puede resultar nunca aceptable es que en materia financiera y tributaria el único principio al que se le dé virtualidad práctica desde las in-stituciones de la Unión Europea sea el principio de limitación del déficit, cuando esto se haga en detrimento de los principios materiales de justicia tributaria.

Bien es cierto que dentro de la disciplina jurídica de la Unión Europea no existe una consagración expresa de los principios materiales de justicia tri-butaria y, así, dentro del Derecho originario de aquélla no encontramos una contemplación directa del principio de capacidad económica, que pueda

33 Como ya ponía de manifiesto BOSELLO, Los principios constitucionales que inspiran la le-gislación tributaria de cada Estado miembro son sustancialmente los mismos (Costituzioni e tribu-ti negli Stati della Comunità economica europea, in Riv. trim. dir. proc. civ., n. 2, 1959, p. 1513).

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servir de límite al Derecho derivado, dentro del que quedan comprendidas las directivas de armonización fiscal. No obstante, de todos modos, no se puede desconocer que la dimensión constitucional del principio de capaci-dad económica en materia tributaria encuentra una contemplación genera-lizada en los Estados miembros de la Unión Europea.

De forma similar a determinadas construcciones constitucionales en al-gunos Estados miembros, la delimitación de principios materiales de justi-cia tributaria se puede realizar en parte partiendo de la consagración del de-recho fundamental a la propiedad, derecho también contemplado expresa-mente en la Carta de los derechos fundamentales de la Unión Europea.

Sin perjuicio de pronunciamientos anteriores del Tribunal de Justicia de la Unión Europea, ya el Proyecto de Tratado por el que se quería establecer una denominada Constitución para Europa y que fue sustituido por el Tra-tado de Lisboa – que sacó de su texto el contenido de la citada Carta –, se-ñalaba en el apartado 1 de su artículo II-77 lo siguiente: «Toda persona tie-ne derecho a disfrutar de la propiedad de los bienes que haya adquirido le-galmente, a usarlos, a disponer de ellos y a legarlos. Nadie puede ser privado de su propiedad más que por causa de utilidad pública, en los casos y condi-ciones previstos en la ley y a cambio, en un tiempo razonable, de una justa indemnización por su pérdida. El uso de los bienes podrá regularse por ley en la medida que resulte necesario para el interés general».

De todas formas, un texto similar lo podemos encontrar contenido en el apartado 1 del artículo 17 de la Carta de los derechos fundamentales de la Unión Europea, tanto en su versión 2000/C 364/01, como en su versión 2007/C 303/01, proclamada solemnemente el 12 de diciembre de 2007, un día antes de la firma del Tratado de Lisboa. De este modo, el contenido de la Carta intentaba incorporarse al fallido texto de Constitución Europea. De todas maneras, aunque no lo recoja ya expresamente, el Tratado de Lisboa hace una remisión expresa a dicha Carta.

Por otra parte, en el quinto párrafo del Preámbulo de dicha Carta se señala lo siguiente: «La presente Carta reafirma, dentro del respeto de las competencias y misiones de la Unión, así como el principio de subsidiarie-dad, los derechos que emanan en particular, de las tradiciones constitucio-nales y las obligaciones internacionales comunes de los Estados miembros, del Convenio Europeo para la Protección de los Derechos Humanos y de las Libertades Fundamentales, las Cartas Sociales adoptadas por la Unión y por el Consejo de Europa, así como de la jurisprudencia del Tribunal de Ju-sticia de la Unión Europea y del Tribunal Europeo de Derechos Humanos».

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Así, más allá de la disciplina de la Unión Europea, es necesario destacar que el Protocolo Adicional n. 1 al Convenio Europeo para la Protección de los Derechos Humanos y de las Libertades Fundamentales

34 establece en el primer párrafo de su artículo 1 que «toda persona física o moral tiene dere-cho al respeto de sus bienes», disponiéndose a continuación de lo anterior que «nadie podrá ser privado de su propiedad más que por causa de utili-dad pública y en las condiciones previstas por la ley y los principios genera-les del Derecho Internacional». En el segundo párrafo de este mismo artí-culo se establece que «las disposiciones precedentes se entienden sin per-juicio del derecho que poseen los Estados de poner en vigor las leyes que juzguen necesarias para la reglamentación del uso de los bienes de acuerdo con el interés general o para garantizar el pago de los impuestos u otras con-tribuciones o de las multas». Este artículo 1 lleva por rúbrica “Protección de la propiedad”

35. El hecho de que se hable en este precepto al mismo tiempo de propiedad y de impuestos en modo alguno podría interpretarse en el sentido de que estos últimos pudiesen anular a aquélla, pues ello iría en con-tra del propio reconocimiento de la protección de la propiedad privada

36. Al mismo tiempo, es necesario destacar que el Tratado de la Unión Eu-

ropea ya estableció en el apartado 1 de su artículo 6 que «la Unión se basa en los principios de libertad, democracia, respeto de los derechos humanos y de las libertades fundamentales y el Estado de Derecho, principios que son comunes a los Estados miembros», disponiéndose en el apartado 2 de este mismo artículo 6 que «la Unión respetará los derechos fundamentales tal y como se garantizan en el Convenio Europeo para la Protección de los Derechos Humanos y de las Libertades Fundamentales firmado en Roma el 4 de noviembre de 1950, y tal y como resultan de las tradiciones constitu-cionales comunes a los Estados miembros como principios generales del Derecho comunitario». El apartado 8 del artículo 1 del Tratado de Lisboa

34 Convenio contemplado en el Tratado de Lisboa, como tendremos ocasión de com-probar.

35 Sobre el derecho de propiedad a la luz de este Convenio desde la perspectiva tributa-ria, véase PEREZ ROYO, El derecho de propiedad y la prohibición de discriminación en su disfru-te como límites al poder tributario en el Convenio Europeo de Derechos Humanos, in Revista española de Derecho Financiero, nn. 109-110, 2001, p. 23 ss.

36 Dentro de las Explicaciones sobre la Carta de los derechos fundamentales (2007/C 303/02), en el penúltimo párrafo de la explicación relativa al «derecho a la propiedad», se señala que «este derecho tiene el mismo sentido y alcance que el garantizado en el CEDH, no pudiendo sobrepasarse las limitaciones previstas en este último».

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por el que se modifica el Tratado de la Unión Europea y el Tratado consti-tutivo de la Comunidad Europea, firmado en Lisboa el 13 de diciembre de 2007, modificó el artículo 6 del Tratado de la Unión Europea. Tras dicha modificación, en el párrafo primero del apartado 1 del artículo 6 del Trata-do de la Unión Europea se pasó a establecer que «La Unión reconoce los derechos, libertades y principios enunciados en la Carta de los Derechos Fundamentales de la Unión Europea de 7 de diciembre de 2000, tal como fue adoptada el 12 de diciembre de 2007 en Estrasburgo, la cual tendrá el mismo valor jurídico que los Tratados». En el apartado 2 de esta nueva ver-sión del artículo 6 se establece que «La Unión se adherirá al Convenio Eu-ropeo para la Protección de los Derechos Humanos y de las Libertades Fun-damentales. Esta adhesión no modificará las competencias de la Unión que se definen en los Tratados». Por último, en el apartado 3 de esta nueva ver-sión del artículo 6 del Tratado de la Unión Europea se establece que «Los derechos fundamentales que garantiza el Convenio Europeo para la Protec-ción de los Derechos Humanos y de las Libertades Fundamentales y los que son fruto de las tradiciones constitucionales comunes a los Estados miem-bros formarán parte del Derecho de la Unión como principios generales».

En concreto, dentro de la problemática de los derechos fundamentales, en relación al derecho de propiedad, se puede partir de la Sentencia del Tribunal de Justicia de la Unión Europea de 13 de diciembre de 1979 (Asunto 44/79) y posteriormente, entre otras, se puede destacar la Sentencia del mismo Tri-bunal de 10 de julio de 2003 (Asuntos acumulados C-20/00 y C-64/00). En esta Sentencia se señala que «los derechos fundamentales forman parte de los principios generales del Derecho cuyo respeto garantiza el Tribunal de Justicia y que, para ello, este último se inspira en las tradiciones constituciona-les comunes a los Estados miembros, así como en las indicaciones proporcio-nadas por los instrumentos internacionales relativos a la protección de los de-rechos humanos en los que los Estados miembros han cooperado o a los que se han adherido», añadiendo que «dentro de este contexto, el CEDH reviste un significado particular». Se destaca en esta Sentencia, entre los derechos fundamentales así protegidos, el derecho de propiedad, señalándose en la mi-sma que cabrían restricciones al ejercicio de los derechos fundamentales siempre y cuando «no constituyan, teniendo en cuenta el objetivo persegui-do, una intervención desmesurada e intolerable que lesione la propia esencia de esos derechos».

Partiendo de esa consagración del derecho de propiedad en la disciplina jurídica de la Unión Europea, se puede realizar un desarrollo interpretativo

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de los principios materiales de justicia tributaria necesariamente también en sede de armonización fiscal en la Unión, que pueden ir desde el necesario re-speto al principio de capacidad económica, a la prohibición de confiscato-riedad en materia tributaria.

Pues bien, si en la delimitación de los principios materiales de justicia tributaria a nivel internacional partimos de la disciplina de los derechos fun-damentales y éstos tienen una proyección mundial, más allá de la proyec-ción europea, partir de la construcción propuesta en relación a la Unión Eu-ropea puede representar un interesante punto de partida en la dimensión in-ternacional del fenómeno tributario en el contexto de la globalización.

7. Selección de los elementos más significativos de la fiscalidad internacional

Dada la evolución del fenómeno tributario internacional, fruto del desar-rollo del comercio y tráfico transnacionales, es necesario replantearse la vir-tualidad actual de la idea de soberanía en materia tributaria. Se ha discutido mucho sobre la validez del concepto de soberanía con respecto al Poder Tri-butario en el plano interno, habiéndose relativizado este concepto. Está cla-ro que la soberanía no se puede presentar hoy como el fundamento directo del Poder Tributario. El pueblo, titular de la soberanía popular, aprueba la Constitución, y, así, en ésta establece cuáles son las condiciones y límites den-tro de los cuales los poderes del Estado pueden actuar en materia tributaria. Así pues, el fundamento jurídico del Poder Tributario reside en la Consti-tución. Pero, en el plano internacional, en la consideración del Estado como sujeto de Derecho Internacional, la soberanía se presenta como uno de sus elementos esenciales. Esto sirve para definir los poderes del Estado sobre el territorio y sobre los sujetos vinculados al mismo, excluyendo las interven-ciones extranjeras que pudiesen afectar a la vida independiente del Estado y, así también, los actos que puedan tener carácter tributario.

También la soberanía como elemento del Estado en cuanto sujeto de Derecho Internacional ha cambiado, no siendo concebida ya como algo ili-mitable e indivisible, sino pudiéndose distinguir en su interior una diversi-dad de competencias. Individualizadas éstas, el Estado puede decidir la atri-bución del ejercicio de algunas de ellas a una entidad supranacional. Esto explica el porqué de que los Estados hayan podido atribuir a la Unión Euro-pea el ejercicio de competencias derivadas de sus Constituciones, y, así, en-tre éstas, el ejercicio de competencias en materia tributaria. Esto rompe con las concepciones de la soberanía del Estado como algo indivisible.

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En el Estado se pueden distinguir el poder de creación de las normas ju-rídicas y el poder de aplicación de las mismas. La aplicación de las normas jurídicas se presenta, sin lugar a dudas, como una manifestación del poder del Estado sobre su territorio. Un Estado podría adoptar una medida coac-tiva solamente sobre su propio territorio. Si un Estado aplicase una decisión expresión de poder en territorio extranjero, en principio, violaría el Derecho Internacional. La aplicación de decisiones expresión de poder sobre territo-rio extranjero se puede realizar solamente en el marco de la cooperación in-ternacional entre Estados. El Estado en cuyo territorio se aplique una medi-da de poder, ha debido aplicarla él mismo o haber dado su consentimiento para su aplicación por órganos de otro Estado.

Acerca del interrogante de si el poder de crear normas jurídicas represen-te o no una manifestación del poder territorial, y teniendo en cuenta ciertos casos problemáticos que podrían hacer pensar en una respuesta negativa a tal pregunta, debemos tener presente que si un Estado decide a través de sus normas de conflicto que sus leyes se apliquen a sus ciudadanos por hechos acaecidos en el extranjero, lo está decidiendo a través de normas – las men-cionadas normas de conflicto – a aplicar sobre su propio territorio, que tie-nen como presupuesto la existencia de un conflicto de Derecho presentado ante sus órganos. Y cuando en base a las normas de conflicto de un Estado se debe aplicar a los nacionales de otro Estado la ley de éste aunque por he-chos no acaecidos en el territorio del mismo, el fundamento de esta aplica-ción normativa se encuentra en el poder del Estado en el que se aplica. No obstante, el ámbito de las normas de conflicto no abarca al Derecho Tribu-tario, pero nos fijamos en las mismas, desde una perspectiva de contempla-ción general de la mecánica del Ordenamiento jurídico. Además, cuando un Estado toma como presupuesto de hecho de normas suyas que no sean de conflicto, sino normas materiales, hechos no acaecidos en su territorio rela-tivos a sus nacionales, está, de todas formas, estableciendo en estas normas consecuencias jurídicas a aplicar sobre su propio territorio. Son normas en las que el presupuesto de hecho toma en consideración el elemento extran-jero y que son creadas por el Estado pensando en su aplicación en su propio territorio por parte de sus órganos.

No se puede pensar en el poder de crear normas jurídicas sin considerar la existencia de un ordenamiento jurídico; no se puede pensar en un orde-namiento jurídico sin un Estado, teniendo en cuenta que las normas de los entes territoriales menores que se forman dentro del territorio estatal se in-tegran en el ordenamiento del Estado y que los ordenamientos de las orga-nizaciones supranacionales encuentran aplicación en los Estados porque

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éstos han dado su propio consentimiento a la adhesión a las mismas en tales términos; y un Estado no puede existir sin territorio, visto que éste es uno de sus elementos esenciales. Y no se puede pensar en un ordenamiento ju-rídico sin pensar en la aplicación de sus normas, pensando solamente en la creación de éstas, porque sería un sistema inservible, en cuanto no podría ser eficaz. Así, no se puede tampoco desvincular el poder de creación nor-mativa del Estado del poder de éste sobre su territorio.

Para la existencia de un tributo es necesario que éste sea creado por un ente que tenga el poder para ello. Pero después, para hacerlo efectivo son necesarios órganos de la Administración que tengan las potestades para ge-stionarlo y recaudarlo. Es este doble aspecto de la vida del tributo – su crea-ción normativa y su aplicación – lo que nos sirve para delimitar el contenido del Poder Tributario.

Hoy se someten a tributación manifestaciones de riqueza no situadas en el territorio del Estado; estas manifestaciones corresponden a sujetos resi-dentes en el territorio del Estado impositor, caso en el que ya encontramos una conexión del sujeto con el territorio basada en la misma residencia, o bien, y más raramente, a sus nacionales aunque no sean allí residentes; bien es cierto que en este último caso la conexión del sujeto con el territorio no es igual a la de un residente. El nacional tiene sin duda una relación personal con el Estado, pero tiene también una conexión potencial con su territorio, en cuanto tiene la posibilidad, en principio, de reintegrarse en el mismo cuando quiera; y tiene una relación potencial con los servicios públicos que en el territorio se prestan o que tienen en éste su base. Y tiene también un interés en la existencia de su Estado y también, por tanto, en su territorio. Es, pues, lógico que se le pueda obligar a contribuir a la financiación de los servicios públicos conectados con el territorio de su Estado. Es cierto que, en este caso, de importancia marginal sin duda en los ordenamientos tribu-tarios contemporáneos, el nacional tiene una relación eminentemente per-sonal con el Estado, pero no se puede considerar del todo extraño con re-specto al territorio de su Estado. Así, este caso de escasa eficacia práctica, no nos puede hacer pensar que el poder de creación normativa tributaria no tenga ninguna conexión con el poder del Estado sobre el territorio. Esta co-nexión existe siempre, aunque en mayor o menor medida, y aquí debemos tener en cuenta las consideraciones hechas supra, hablando del Derecho en general. Piénsese en el hecho de que un Estado crea un tributo con la finali-dad de hacerlo eficaz, y esta eficacia, en principio, se circunscribe a su terri-torio, teniendo así el poder de hacer efectivas las leyes tributarias un claro fundamento en el poder del Estado sobre el territorio.

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Así pues, el poder normativo tributario del Estado tiene un vínculo con su territorio en base a una serie de razones: en primer lugar, porque los pun-tos de conexión con el Poder Tributario del Estado se presentan, en general, como puntos de conexión – objetivos o subjetivos – con el territorio de éste, teniendo normalmente carácter territorial y no puramente personal; en se-gundo lugar, porque los gastos públicos, a cuya financiación van destinados los tributos – que en base a un deber de solidaridad tributaria deben pagar los contribuyentes –, se realizan en relación con servicios públicos que se prestan fundamentalmente en territorio estatal, y con respecto a los cuales los nacionales, aunque residentes en el extranjero, tendrían al menos una re-lación potencial, como potencial y libre es, en principio, su relación con el territorio mismo de su propio Estado; y, por último, porque la racionalidad del ordenamiento jurídico-tributario exige que exista una coherencia entre el Poder de establecer tributos y el Poder de hacer efectiva la pretensión tri-butaria, teniendo este último como límite el territorio nacional.

Las normas tributarias nacen para que se haga efectivo su contenido. El Estado, por sí solo, puede hacer efectivo de manera coactiva el contenido de sus normas solamente sobre su propio territorio. Un poder de creación nor-mativa sin un correlativo poder de aplicación coactiva de las normas se con-vertiría en un poder inútil. Así, el poder de creación normativa tributaria no se puede considerar desvinculado del territorio estatal.

Ante los planteamientos doctrinales sobre la utilización del concepto de territorialidad en Derecho Tributario, nosotros proponemos el uso de este concepto en materia tributaria en un doble sentido: de un lado, en sentido material y, del otro, en sentido formal. En el primer sentido citado la territo-rialidad se referiría a la delimitación de los puntos de conexión con el terri-torio del Estado impositor de las manifestaciones de riqueza sometidas a gravamen, esto es, del vínculo territorial que la norma tributaria prevé de la materia imponible. Bajo este sentido de la territorialidad, quedaría com-prendida la problemática de la diversidad de los puntos de conexión con el territorio, sus límites jurídicos y las consideraciones metajurídicas que inci-den en su elección normativa. Son éstas todas cuestiones que se refieren al ámbito de la creación normativa. De otro lado, se puede hablar de la territo-rialidad en sentido formal para hacer referencia a los problemas que derivan del hecho de que sobre el territorio de un Estado rige solamente su ley y no la de otro Estado, si no es a través de un mecanismo que encuentre su fun-damento en el consentimiento del Estado titular del territorio. Con todo el-lo, quedarían comprendidos en la misma los problemas que derivan de la

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limitación que conlleva que un Estado pueda hacer efectivos sus propios ac-tos de imperio para la aplicación de sus leyes tributarias solamente sobre su propio territorio y no sobre el de otro Estado si no existe el consentimiento de este último. Son, todos éstos, problemas que podrían incluirse en la terri-torialidad en sentido formal, problemas que encuentran el común denomi-nador de afectar a la eficacia de la ley en el territorio, mientras la llamada ex-tensión de la ley tributaria se movería en sede de territorialidad en sentido material del tributo.

En la discusión acerca del hecho de si, dentro del fenómeno tributario, la característica de la territorialidad deba ser referida al tributo, a la ley tributa-ria o bien al Poder Tributario, debemos tener en cuenta, en la dialéctica tri-buto versus ley tributaria, que el tributo es un instituto jurídico, en cuanto creado por la ley, y que su vida es la vida de lo que dispone la ley tributaria. Por ello, no encontramos en general gran problema en hacer referencia a la territorialidad como atributo del tributo o de la ley tributaria.Y con respecto al Poder Tributario, debemos recordar el doble aspecto que en su análisis ha señalado la doctrina. De un lado, el plano del Poder legislativo en materia tributaria entraría plenamente en campo de territorialidad en sentido mate-rial, y al mismo se le aplicarían los posibles límites que puedan existir en se-de de extensión de la ley tributaria en el espacio, y que así condicionarían los vínculos con el territorio presentes en la ley. Una vez realizada la creación normativa, en el planteamiento de los puntos de conexión existentes está claro que ante el Derecho positivo vigente, al cuestionarse lo que existe en una ley, no se deben olvidar los posibles límites al trabajo del legislador. Se podrá hablar de territorialidad para hacer referencia a un aspecto o a otro, según donde se fije nuestra mirada en ese momento, pero serán aspectos ín-timamente vinculados, también en su consideración territorial. De otro la-do, la evolución del concepto de Poder Tributario nos ha mostrado el aspec-to del Poder para hacer efectivas las pretensiones tributarias del Estado; y en el desarrollo de este Poder por los órganos estatales, las limitaciones ter-ritoriales a las potestades de éstos encuentran su sede en el campo de la ter-ritorialidad en sentido formal. Todo ello nos muestra cómo se pueda hablar de territorialidad, con respecto al fenómeno tributario, para hacer referencia al tributo, a la ley tributaria y al Poder Tributario.

La solución al interrogante sobre si se deba admitir o no la residencia dentro del concepto de territorialidad encuentra, en primer lugar, la necesi-dad de determinar si se pueda hablar de territorialidad con respecto al suje-to pasivo o a cualquier otro elemento subjetivo. Desde una perspectiva am-

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plia del concepto de territorialidad, no se presentaría ningún impedimento a tal admisión. Pero debemos recordar sobre todo que podríamos movernos no solamente en sede de sujeto pasivo, sino también en sede de elemento subjetivo del hecho imponible. Y si hoy la nacionalidad tuviese cierta rele-vancia como punto de conexión en Derecho Tributario, por contraposición a la misma, destacaría todavía más el aspecto territorial de la residencia. Pe-ro aunque la residencia se puede considerar como una cualidad o condición de la persona, no existe la menor duda de que la residencia se define en rela-ción al territorio. Por ello el concepto de residencia no puede ser separado del concepto de territorialidad en Derecho Tributario. Otra cosa es el hecho de que los criterios de conexión con el territorio que toma en consideración la ley tributaria son varios y distintos – y así, en primer lugar, se debe distin-guir entre objetivos y subjetivos –, como varias y distintas se presentan las consecuencias jurídico-tributarias en cada caso.

De otro lado, la residencia se presenta en los sistemas tributarios contem-poráneos como un punto de conexión que tiene una relevancia esencial en el gravamen sobre las rentas mundiales del sujeto pasivo, y sobre su patri-monio universal, en los sistemas donde existe un impuesto general sobre el patrimonio. Pero no solamente en materia de imposición directa tiene im-portancia la residencia, pudiendo tener también alguna incidencia en sede de impuestos indirectos.

La territorialidad en sentido material del tributo viene determinada por la conexión del hecho imponible y del sujeto pasivo con el territorio, cone-xión que además influye o puede influir en los elementos para la cuantifica-ción de la deuda tributaria.

Además de la influencia que los factores territoriales pueden tener en materia de hecho imponible, de sujeto pasivo y sobre los elementos para la cuantificación de la deuda tributaria, tales factores pueden tener también in-fluencia en la articulación jurídica del procedimiento de aplicación de los tributos.

Si los factores territoriales que rodean al tributo influyen en los elemen-tos esenciales de éste, es lógico que también las características del tributo se vean afectadas por tales factores territoriales, dado que propiamente tales características derivan de cómo sean aquellos elementos.

Teóricamente, el Poder legislativo del Estado puede encontrar en rela-ción a la extensión de la ley tributaria en el espacio una serie de límites, lí-mites que podrían consistir en la obligatoriedad de adoptar el criterio de la territorialidad en la imposición de ciertas manifestaciones de riqueza o en el

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deber de seguir tal criterio en un cierto sentido o bien en una cierta medida, condicionando así la delimitación de los puntos de conexión de la norma tri-butaria. Entre tales límites, se deben distinguir los de Derecho Internacional General, los de Derecho Internacional Convencional, los de Derecho de la Unión Europea y los de Derecho Constitucional.

Existen en los convenios internacionales para evitar la doble imposición posibles pruebas expresas de la inexistencia de normas de Derecho Interna-cional General que delimiten con carácter general deberes en materia de ter-ritorialidad en sentido material del tributo. Cuando estos convenios hacen referencia expresa a las normas de Derecho Internacional General en materia de tributación de los diplomáticos, muestran así el reconocimiento de la exi-stencia de normas de aquél tipo en relación a la tributación de estos sujetos, pero no con respecto a la globalidad del fenómeno tributario internacional. Así, al menos se da la prueba de la no aceptación por parte de los Estados de la existencia de una norma de Derecho Internacional General que prohíba la doble imposición internacional.

El dato de que en el artículo 31 de la Constitución española se diga sim-plemente “todos”, sin más especificaciones, nos hace pensar que pueden ser titulares del deber previsto en este artículo tanto los nacionales como los ex-tranjeros. Los nacionales están vinculados con el Estado por un vínculo de solidaridad política, pero también por un vínculo de solidaridad económica y de solidaridad social; los extranjeros, por el contrario, pueden estar vincu-lados al Estado solamente por el vínculo de solidaridad económica y social. Visto esto, se debe entender que el mencionado artículo 31 debe ser inter-pretado en el sentido de que en relación con la tributación de los extranje-ros se debe dar un vínculo económico con el territorio español valorable en términos de capacidad contributiva. Sin embargo, aunque existe un deber de solidaridad política de los nacionales con el Estado, esto no quita que el legislador tributario pueda escoger la opción de prescindir del punto de co-nexión nacionalidad, en base a razones de equidad y efectividad de la norma.

Los Estados no pueden actuar sin autorización en territorio extranjero. Un Estado, por sí mismo, a través de sus propios funcionarios no puede ha-cer valer su Derecho fuera de sus fronteras, porque éstas delimitan el ámbito de su soberanía territorial. Esto constituye un principio de Derecho Inter-nacional General. Cuando no se respeta esta norma se produce una viola-ción de la soberanía de otro Estado y, así, un ilícito internacional.

En principio, los órganos de un Estado no pueden ejercitar sus potesta-des tributarias en el territorio de otro Estado. Así, tales órganos no pueden

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hacer efectivo el Poder Tributario de su Estado fuera de las fronteras terri-toriales de éste, lo que encontraría una excepción en los casos en que se dé el consentimiento del Estado a la actuación de órganos extranjeros sobre su propio territorio. Esta imposibilidad de actuación tributaria de los Estados en territorio ajeno, con la consiguiente imposibilidad para un Estado de a-plicar por sí solo sus normas tributarias en territorio extranjero y así hacer allí efectivas sus pretensiones tributarias, ha hecho necesarios mecanismos internacionales de cooperación entre Estados, especialmente en materia de intercambio de información y en materia de recaudación.

Aunque un Estado no puede ejercitar su poder de imperio en el territorio de otro Estado sin el consentimiento de éste, debemos tener en cuenta que cosa distinta es la posibilidad de una organización internacional de ejercitar su poder en el territorio de los Estados miembros, en base a la atribución de competencias realizada por éstos a la organización. Y esto sucede en el caso de la Unión Europea.

En aquellos casos en los que un Estado procede a recaudar el crédito tri-butario de otro Estado, no se produce propiamente una aplicación de Dere-cho Tributario extranjero. Cuando las autoridades tributarias de un Estado proceden a la recaudación de un crédito tributario extranjero, no realizan una actividad de declaración del Derecho extranjero, sino que solamente ana-lizan si la petición de cooperación formulada por el Estado extranjero respe-ta los requisitos previstos en el correspondiente tratado o texto normativo internacional, que serán requisitos de forma y de competencia. El crédito tri-butario extranjero tiene en estos casos para el Estado que coopera el carácter de mero hecho jurídico, que adquiere relevancia jurídica porque existe una norma que le confiere efectos jurídicos en el ordenamiento; se trata de la con-tenida en el correspondiente convenio internacional, y que, como hemos vi-sto, se convierte en Derecho interno o la contenida en el correspondiente tex-to normativo de Derecho Comunitario derivado, teniendo el Derecho Co-munitario, en principio, efecto directo en los ordenamientos nacionales. De-bemos tener en cuenta que las autoridades fiscales de tal Estado no realizan la liquidación del crédito tributario extranjero. La citada actuación del operador jurídico tributario es distinta, pues, de la que realizan los órganos judiciales cuando aplican las normas de Derecho Internacional Privado; las normas de conflicto bilaterales de esta rama del Derecho, hacen que se apliquen normas jurídicas extranjeras. El caso de la recaudación de créditos tributarios extran-jeros es, como hemos visto, completamente distinto. De todas formas, con tal recaudación, el Estado titular del crédito tributario ve como éste sea hecho

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efectivo en territorio extranjero. Pero esto no implica que se pueda decir que ha sido verdaderamente aplicado el Derecho Tributario extranjero.

Los límites analizados en materia de territorialidad en sentido formal del tributo han hecho que los Estados hayan debido establecer entre ellos meca-nismos de cooperación en la aplicación de los tributos. Estas formas de coo-peración no representan propiamente excepciones a tales límites de la territo-rialidad del tributo en sentido formal, sino mecanismos para superar estos límites, porque aquí, en estas acciones de cooperación, aunque se realicen ta-les actividades para favorecer la pretensión tributaria de un Estado extranjero, el Poder Tributario que se ejercita es el del Estado en que se actúa, porque son los órganos de este Estado los que ejercitan sus potestades y no, en prin-cipio, órganos del Estado extranjero. Así se ayudará a conseguir que la preten-sión tributaria del Estado extranjero se haga efectiva y que se cumpla lo di-spuesto por las leyes tributarias dictadas en base al Poder Tributario de ese Estado extranjero. Aquí un Estado, en base a su Poder Tributario, encarga a sus órganos el ejercicio de sus propias potestades en el desarrollo de las ac-tuaciones para la cooperación, pero esto no significa que un Estado ejercite su Poder Tributario en territorio extranjero. En síntesis, un Estado actúa sobre su propio territorio para ayudar a otro, o sea, que no actúa el Estado extranje-ro, sino el Estado del territorio donde se desarrollan los actos de cooperación. Cuando existen mecanismos de cooperación internacional en materia de ter-ritorialidad en sentido formal, esto no implica que el ejercicio del Poder Tri-butario de un Estado pueda sobrepasar los límites del territorio del mismo y violar el territorio de otro Estado, sino que significa solamente que existe un mecanismo de cooperación internacional para superar los problemas que de-rivan del límite general en materia de territorialidad en sentido formal estu-diado. Así pues, cuando se ejecutan o ponen en práctica los mecanismos de cooperación en materia de territorialidad en sentido formal, el Poder Tribu-tario estatal que se actúa es el del Estado cuyos órganos actúan, o sea, el del Estado al que se pide la cooperación y no el del Estado que la pide, Estado, este último, que es titular de la pretensión tributaria. Todo esto puede encon-trar una excepción en los casos en que se permite que opere en territorio na-cional un funcionario público tributario de un Estado extranjero, aunque sea sólo para realizar notificaciones con efectos públicos o inspecciones. Pero, de todas formas, también en estos casos debe existir una intervención del Estado en cuyo territorio se realizan tales actos, en cuanto este Estado debe haber dado su consentimiento a tales actuaciones o a quedar vinculado por las cor-respondientes normas en que se prevén.

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No existe un principio o norma de Derecho Internacional General que prohíba que un Estado coopere con otro en la aplicación de los tributos de este otro, y que realice con este fin actos en su propio territorio. Esto se de-muestra con los ejemplos existentes de cooperación entre Estados en este ámbito. Tales ejemplos demuestran que los Estados no se sienten obligados por tal hipotética norma de Derecho Internacional General, norma que no existe. Además, sería contrario al estado actual de evolución del Derecho In-ternacional y de la Sociedad Internacional considerar cerradas, por el propio Derecho Internacional, vías a la cooperación internacional entre Estados.

A nuestro entender, no existe tampoco un principio de Derecho Interna-cional General o una costumbre internacional que obliguen a los Estados a cooperar en la aplicación y recaudación de los tributos extranjeros. Si exi-stiese tal norma no serían necesarios los convenios internacionales y otros textos internacionales – piénsese en los textos normativos de Derecho Comu-nitario derivado – que establecen mecanismos de cooperación en esta mate-ria. Pero se podría también pensar que tales convenios internacionales na-cen para dar seguridad jurídica en esta materia, codificando una costumbre internacional que ya existiese en la misma. Pero en la comparación de estos dos argumentos distintos y vista la fuerte caracterización territorial del De-recho Tributario que hemos encontrado en este trabajo, no se puede afirmar que los Estados se sientan obligados por tal hipotética costumbre interna-cional. Y todavía más, un Estado no podría aceptar siempre los actos tributa-rios de otro Estado sin cuestionarse ciertos aspectos relativos a los mismos. Así, un Estado debería tener libertad para juzgar y decidir en base a sus pro-pios principios constitucionales y en base a las perspectivas de política so-cio-económica vigentes en el mismo en el momento en que se debiera ejecu-tar el crédito tributario extranjero, dado que corresponde a tal Estado deter-minar los límites en materia de ejecución, sobre todo cuando el montante de ésta debiese ser entregado a un Estado extranjero. Somos, pues, de la opinión de que los Estados deben ser considerados libres – y por tanto no vinculados por un deber de Derecho Internacional General – para desarrollar o no tal cooperación, excepto en el caso en que exista una norma de Derecho Inter-nacional Convencional o de Derecho Comunitario Europeo que imponga tal deber. De todas formas, debemos reconocer que tal cooperación es muy conveniente, deseable y conforme con el espíritu de cooperación que debe darse en la Sociedad Internacional. Y el hecho de que los Estados no estén obligados a cooperar en esta materia no quita, obviamente, que puedan ha-cerlo y que sea conveniente que lo hagan. De ahí la necesidad de fortalecer y

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aumentar los mecanismos de cooperación internacional en materia tributa-ria. La lucha contra el fraude tributario internacional a través de los paraísos fiscales en cierta medida no ha alcanzado las expectativas que habían gene-rado los instrumentos puestos en marcha por la Unión Europea y la OCDE. Incluso, ante tal dinámica, tampoco parece que el Convenio multilateral de asistencia administrativa en materia fiscal pueda resolver considerablemen-te el problema, a pesar de las expectativas que también ha generado. Ahora bien, el que no se pueda mantener jurídicamente en puridad de conceptos que exista un principio de Derecho Internacional General que obligue a los Estados a cooperar en materia tributaria cuando no exista convenio interna-cional al efecto, no quiere decir que a nivel global o mundial pudiesen esta-blecerse desde Naciones Unidas unas líneas de actuación que obligasen en tal sentido, pensando esencialmente en los Estados que sn paraísos fiscales, de tal forma que la actuación de los mismos pueda ser considerada contraria al sentir y parecer de dicha organización internacional global, con las conse-cuencias que ello puede conllevar.

Dada la vigencia del principio de legalidad en materia tributaria y la re-serva de ley en esta materia, como plasmación de aquel principio, el Dere-cho Tributario está contenido principalmente en leyes. A la luz de ello, tra-dicionalmente se ha apuntado la escasa eficacia práctica de los Principios Generales del Derecho por sí mismos como fuente del Derecho Tributario, es decir, como principios que se puedan deducir de las distintas regulacio-nes, sin estar expresamente recogidos en la ley o consagrados en la Consti-tución, pues, en estos casos, se convierten en norma expresa escrita y su va-lor no se da ya en cuanto tales principios, sino en función del rango del texto normativo en que se recogen expresamente. También en función de lo apun-tado, se suele negar virtualidad a la costumbre dentro de las fuentes del De-recho Tributario. Pues bien, en el ámbito del Derecho Internacional Tribu-tario sí se puede encontrar cierta incidencia de la costumbre y de los Princi-pios Generales del Derecho como fuentes del mismo, si bien se trata de una incidencia bastante reducida, si la comparamos con la amplitud, prolifera-ción y desarrollo de otros tipos de fuentes del Derecho Internacional. Ob-viamente, esto no justifica el olvido de tales costumbres y Principios Gene-rales del Derecho.

En relación al Derecho Internacional Tributario, las ramas que han sido más estudiadas son el Derecho Internacional Convencional, es decir, aquel-la rama compuesta por convenios internacionales, y el Derecho de la Unión Europea. Esto resulta lógico, si se tiene en cuenta que se trata de los dos ám-

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bitos normativos internacionales que mayor incidencia tienen en la práctica limitando o condicionando el Poder tributario de los Estados. Pero junto a esas dos ramas del Derecho Internacional, también incide en materia tribu-taria el Derecho Internacional General, si bien, de una forma mucho más reducida en la práctica que el Derecho Internacional Convencional y que el Derecho de la Unión Europea. Quizás por ello el estudio de aquella rama por la doctrina ha sido mucho menor que el de estas otras dos. Pero la inci-dencia del Derecho Internacional General en materia tributaria es la más obvia y esencial, encontrándose en la base de la construcción de la fiscalidad internacional. Esta incidencia se da sobre todo en relación a la eficacia de la ley tributaria en el espacio, si bien también puede tener algún alcance con respecto a la extensión de la ley. Por ello, creemos que no se debe descuidar tanto, al contrario de lo que se ha venido haciendo por la doctrina, el estu-dio de la incidencia del Derecho Internacional General en materia tributa-ria, debiendo fomentarse el desarrollo de los análisis relativos a éste dentro del Derecho Internacional Tributario. Digamos que las normas del Derecho Internacional General en materia tributaria representarían los parámetros jurídicos esenciales que debe respetar la globalización fiscal y deberíamos comenzar a plantearnos hasta qué punto se debería avanzar en la toma en consideración de la idea de justicia tributaria desde la perspectiva de las rela-ciones fiscales internacionales, tomando como germen la disciplina europea.

8. Apunte conclusivo

En el sentido expuesto, la doctrina italiana tradicionalmente ha tenido una especial capacidad para afrontar la conceptualización de la fenomeno-logía tributaria internacional, aplicando la tradición de los grandes pensado-res del Derecho Tributario. Ahora bien, con la sobredimensión que ha al-canzado la fiscalidad internacional, ni incluso la doctrina italiana ha sabido mantener el nivel de sus pioneros en la construcción dogmática del Dere-cho Internacional Tributario, sin perjuicio de, no obstante, haber seguido surgiendo en Italia importantes obras de la misma en este ámbito temático. Es como si cuando una estructura estaba ya muy avanzada, antes d e termi-narla la atención doctrinal se hubiese dedicado a rellenar simplemente los elementos más visibles de esa estructura aún incompleta. Llega el momento, pues, de retomar esas grandes líneas que abrió la doctrina italiana del Dere-cho Internacional Tributario en su momento.

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Llegados a este punto habría que replantearse si ha llegado el momento de intentar retomar la posible virtualidad de los principios generales del De-recho Internacional en su proyección tributaria y redimensionar el sentido de los mismos.

Y no sólo en relación a los principios generales del Derecho Internacio-nal Tributario, en su dimensión de delimitador del alcance territorial del poder y de las potestades tributarias y de los problemas conectados a los mi-smos, sino incluso más allá del derecho Internacional, a nivel de Derecho Constitucional Tributario, la doctrina italiana prestó especial atención a los principios constitucionales de justicia tributaria en relación a la no residen-cia versus la residencia y a la extranjería versus la nacionalidad, lo cual puede ser muy clarificador igualmente en relación no sólo al alcance del poder del Estado frente a otros Estados, sino también al poder del estado en relación a los sujetos vinculados o conectados al mismo de muy distinta forma y en muy distinto grado; en relación a los distintos tipos de contribuyentes, el alcance del poder tributario en relación a los mismos, no se debe analizar sólo desde la perspectiva del Derecho Internacional Tributario, sino también desde la perspectiva del Derecho Constitucional Tributario. Y, por ejemplo, con un análisis en profundidad desde las perspectivas apuntadas, seguramente ten-dríamos que terminar considerando que el poder tributario del Estado ante el traslado de la residencia a un paraíso fiscal, no sólo se podría dar en rela-ción a los sujetos de nacionalidad española, tal y como sucede actualmente, sino que incluso, ni desde la perspectiva del Derecho Internacional, ni desde la perspectiva del Derecho Constitucional, habría inconveniente en que se pudiese establecer también en relación a los extranjeros que han residido en España y, así, en función de ello han estado integrados en nuestra sociedad, con la consiguiente responsabilidad social tributaria que ello conlleva y de la que uno no puede prescindir en el momento en que le interese; otra cosa distinta será la mayor o menor dificultad para hacerlo efectivo.

Por ello, el análisis de todos esos posibles límites existentes o inexistentes desde la perspectiva del Derecho Internacional o Constitucional Tributario nos puede dar la pauta y los parámetros de hasta dónde se podrían ampliar nuestras leyes tributarias actuales para actuar más rigurosamente contra el fraude fiscal; decimos rigurosamente, no sólo en el sentido de mayor inten-sidad, sino también en el sentido de un mayor rigor jurídico.

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Pasquale Pistone

LA PIANIFICAZIONE FISCALE AGGRESSIVA E LE CATEGORIE CONCETTUALI

DEL DIRITTO TRIBUTARIO GLOBALE

AGGRESSIVE TAX PLANNING AND THE NEW CONCEPTUAL CATEGORY OF GLOBAL TAX LAW

Abstract La pianificazione fiscale aggressiva è una categoria concettuale del diritto tributa-rio globale e consiste nello sfruttamento delle disparità transnazionali tra gli or-dinamenti tributari, al fine di conseguire vantaggi d’imposta che gli Stati non avrebbero altrimenti inteso concedere. Questo articolo delinea i tre elementi es-senziali della pianificazione fiscale aggressiva, differenziando questo fenomeno da quelli affini, come in particolare l’abuso e l’elusione fiscale. Analizza, inoltre, il contrasto globale alla pianificazione fiscale aggressiva attraverso il coordinamen-to fiscale internazionale realizzato sotto l’egida dell’OCSE, tenendo presenti gli obblighi di rispetto del diritto dell’Unione Europea ed evidenziando possibili profili di incompatibilità che potrebbero riguardare sia gli Stati membri dell’U-nione Europea, sia la Commissione Europea in relazione a misure di soft law e proposte di integrazione positiva in materia tributaria nel mercato interno. Parole chiave: pianificazione fiscale aggressiva, elusione fiscale, progetto BEPS, trasparenza fiscale globale, diritto tributario dell’Unione Europea. Aggressive tax planning is a new conceptual category of global tax law. It consists in the exploitation of cross-border disparities across tax systems with a view to achieving tax advantages that States would otherwise not have meant to give. This article outli-nes the three main elements of international tax planning and differentiates this from similar phenomena, such as in particular abuse and tax avoidance. Furthermore, it analyses the global fight against international tax planning through international tax coordination under the aegis of OECD, taking into account the obligations to comply with the primacy of European Union law and highlighting possible forms of incompa-

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tibility concerning EU Member States and the EU Commission in respect of soft law measures and proposals for positive tax integration in the internal market. Keywords: aggressive tax planning, tax avoidance, BEPS project, global tax transpa-rency, European tax law

SOMMARIO: 1. Il coordinamento fiscale internazionale e la creazione del diritto tributario globale. – 2. Gli elementi essenziali della pianificazione fiscale aggressiva. – 2.1. Introduzione ai tre elementi essenziali. – 2.2. Il primo elemento – lo sfruttamento delle disparità per trarre un vantaggio fi-scale. – 2.3. Il secondo elemento – l’“effetto disallineamento”. – 2.4. Il terzo elemento – la dop-pia non imposizione involontaria. – 2.4.1. La doppia non imposizione involontaria in base alle norme interne e convenzionali. – 2.4.2. La doppia non imposizione oggetto di coordinamento in presenza di clausole di tax sparing e matching credit. – 2.4.3. La doppia non imposizione invo-lontaria e le norme del diritto dell’Unione Europea. – 2.4.4. Ulteriori fattispecie di doppia non imposizione involontaria. – 3. Pianificazione fiscale aggressiva, pratiche abusive ed elusione fi-scale. – 3.1. I rapporti concettuali tra i fenomeni. – 3.2. Pianificazione fiscale aggressiva ed elu-sione fiscale: il treaty shopping. – 4. La pianificazione fiscale aggressiva nell’ottica di una lettura globale dei principi costituzionali in materia tributaria. – 4.1. La pianificazione fiscale aggressi-va e il pluralismo costituzionale. – 4.2. L’impatto della pianificazione fiscale aggressiva sul concor-so al sostegno della spesa pubblica. – 4.3. La fonte dell’obbligo della pianificazione fiscale ag-gressiva e l’essenza della sovranità tributaria. – 4.4. L’interpretazione e l’applicazione delle norme tributarie nel contesto del coordinamento fiscale internazionale. – 5. Conclusioni.

1. Il coordinamento fiscale internazionale e la creazione del diritto tributario globale

Negli ultimi anni la notevole accelerazione del coordinamento interna-zionale in materia tributaria sta radicalmente trasformando la sostanza della sovranità tributaria nazionale, pur mantenendone inalterata la forma.

I due principali vettori di questa trasformazione sono i progetti di traspa-renza fiscale globale

1 e di lotta all’erosione della base imponibile e allo spo-

1 Questa iniziativa è meglio nota come Global Tax Transparency ed è gestita dal Global Forum on Fiscal Transparency (GFFT), un organismo finalizzato all’attuazione e monito-raggio dell’effettività dello standard internazionale di trasparenza fiscale e scambio di in-formazioni tra autorità tributarie. A questo organismo partecipano attualmente 126 Paesi in condizioni di parità.

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stamento degli utili (anche noto come progetto BEPS) 2. Nell’ambito di que-

sti due progetti sta emergendo una nuova dimensione giuridica sovranazio-nale

3 per l’esercizio della sovranità tributaria, di cui l’Organizzazione per la Cooperazione e Sviluppo Economico (OCSE) ha assunto la responsabilità tecnica per effetto del mandato politico del G20

4. L’attuazione di questi progetti nel diritto tributario sta creando, di fatto,

un nuovo ordine giuridico, che possiamo definire con il termine di diritto tributario globale. Il diritto tributario globale è un’espressione di quel diritto globale, di cui la dottrina giuridica ha già da qualche tempo identificato l’e-sistenza

5. L’aggettivo globale non deve implicare a nostro avviso una sola ri-levanza nelle situazioni internazionali, ma un’aspirazione al coordinamento delle dimensioni giuridiche positive assunte dalle norme tributarie. Preso atto dell’insufficienza di un approccio isolato ai problemi globali

6, si realizza quin-di in questo contesto la ricerca di un diritto comune, che consenta di realizza-re, per il tramite di un approccio di coordinamento a livello globale, la piena aderenza del prelievo fiscale agli obiettivi di equità e una tassazione in confor-mità alle manifestazioni di forza economica

7. È opportuno configurare le dinamiche del diritto tributario globale in un

sistema complesso che opera su due livelli e articola in tre fasi il processo di produzione normativa.

Il primo livello (livello superiore) consiste in un insieme di norme co-muni ispirate alle migliori pratiche e in grado di offrire soluzioni coerenti ai

2 Questo appunto il significato in italiano dell’acronimo BEPS, che nell’originale inglese equivale a Base Erosion (and) Profit Shifting.

3 Il termine “sovranazionale” esprime in questo contesto la vocazione a creare un diritto comune, non necessariamente legato ad una dimensione positiva, come quella del diritto dell’Unione Europea.

4 Pur essendo il G20 privo di una propria legittimità da un punto di vista giuridico, e-sercita un ruolo de facto preponderante a livello internazionale, grazie all’influenza degli Stati che vi aderiscono e che contribuiscono a produrre oltre l’80% del prodotto interno lordo a livello mondiale.

5 V. ad esempio CASSESE, Il diritto globale, Torino, 2009. 6 Fra i tanti autori che hanno raggiunto queste conclusioni, v. ROIN, Taxation without Coor-

dination, in Chicago Public Law and Legal Theory, Working Paper n. 20, in http://papers.ssrn. com/paper.taf?astract_id=302141, che a p. 16 sottolinea l’insufficienza di soluzioni isolate ai problemi globali in materia tributaria.

7 Sugli aspetti economici della globalizzazione e le problematiche che emergono ai fini im-positivi, v. IMF, Fiscal Affairs Department, Globalization: Threats or Opportunity (IMF Publica-tions, 2000), consultabile in https://www.imf.org/external/np/exr/ib/2000/041200to.htm (ac-cessed 9 November 2015).

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problemi tributari emergenti a livello internazionale, in ottemperanza del cosiddetto holistic approach. Il secondo livello (livello inferiore o positivo nazionale) attua tali soluzioni all’interno dei singoli sistemi tributari nazio-nali, apportando gli adeguamenti necessari al fine di essere conforme al di-verso contesto.

Le tre fasi del processo di produzione normativa hanno inizio con l’i-dentificazione e lo studio del problema globale. Questa prima fase si svol-ge in seno a organizzazioni internazionali e con il coinvolgimento di esper-ti tributari internazionali, autorità tributarie e rappresentanti della società civile.

La seconda fase di tale processo consiste nella predisposizione, in via di soft law, dello schema tecnico meglio in grado di reagire al problema di ero-sione della base imponibile a livello internazionale e culmina nella produ-zione delle norme comuni, che abbiamo testé definito di livello superiore.

La terza e ultima fase fornisce a tali norme una dimensione giuridica po-sitiva e vincolante all’interno dei singoli sistemi tributari; ciò avviene spesso per effetto di un volontario adeguamento da parte del legislatore nazionale, generalmente apportando solo quelle modifiche allo schema comune che si rendono necessarie in ragione di specifiche esigenze del contesto positivo

8. Tuttavia, le recenti proposte del pacchetto antiabuso della Commissione Europea dimostrano la concreta possibilità che si addivenga all’emanazione di diritto sovranazionale secondario dell’Unione Europea in relazione all’at-tuazione di sei misure del progetto BEPS

9. L’attuazione della terza fase impiega altresì strumenti giuridici interna-

zionali, come ad esempio le convenzioni tra Stati. In tali casi non vi è dubbio che tale fenomeno determini – a partire da quel momento – la produzione di diritto internazionale pattizio, che vincola la sovranità tributaria naziona-le in conformità al ben noto principio pacta sunt servanda

10. Si deve invece escludere allo stato attuale che il diritto tributario globale

possa (ancora) configurarsi come espressione di diritto internazionale con-suetudinario. Manca, infatti, un sufficiente grado di diuturnitas, ma soprat-

8 V. AMATUCCI, L’adeguamento dell’ordinamento tributario nazionale alle linee guida del-l’OCSE e UE in materia di lotta alla pianificazione fiscale aggressiva, in Riv. trim. dir. trib., n. 4, 2015, I, p. 3 ss.

9 In particolare si tratta delle misure relative alle azioni 2, 3, 4, 5, 6 e 8-10. V. COM (2016) 26 def., pp. 3 e 6 ss.

10 Questo principio di diritto internazionale pattizio è stato codificato all’art. 26 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati.

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tutto è assente la opinio iuris ac necessitatis 11. Sono invece altre le ragioni per

cui le soluzioni raggiunte nell’ambito dei progetti BEPS e di trasparenza fi-scale globale si stanno facendo spazio. In particolare, la crisi economica e finanziaria internazionale ha accentuato la percezione che l’erosione della base imponibile e lo spostamento degli utili verso ordinamenti con una più favorevole imposizione fiscale possa far mancare agli Stati le risorse suffi-cienti per il sostentamento della propria spesa pubblica

12. Pertanto, gli Stati si stanno facendo parte attiva nel recepire all’interno dei propri ordinamenti le soluzioni elaborate dai progetti BEPS e di trasparenza fiscale, percepen-dole come il frutto della riflessione sulle migliori pratiche volte a contrastare tali fenomeni.

Purtuttavia, sembra opportuno rilevare che la strada verso la formazione del diritto consuetudinario internazionale in materia tributaria è stata intra-presa con maggiore decisione per quanto concerne la cooperazione ammi-nistrativa tra autorità fiscali. In tal ambito può formarsi dunque un fronte di avanguardia di un diritto tributario globale a geometria variabile.

Sulla base della presupposizione, a nostro avviso fondata, che entrambi i progetti di coordinamento fiscale internazionale predispongano soluzioni adeguate a fronteggiare il suddetto fenomeno, il diritto tributario globale rea-lizza una sorta di “armistizio fiscale globale”, che mira a bloccare una concor-renza fiscale internazionale senza regole, indirizzando i sistemi tributari verso uno standard globale di concorrenza fiscale internazionale trasparente.

Queste riflessioni analizzano i limiti entro cui il diritto tributario globale ammette lo sfruttamento delle disparità esistenti tra i sistemi tributari dei singoli Stati al fine di trarre il vantaggio di una riduzione del carico fiscale o di una doppia non imposizione

13, che la normativa nazionale o convenzio-

11 PISTONE, Coordinating the Action of Regional and Global Players During the Shift from Bi-lateralism to Multilateralism in International Tax Law, in WTJ, n. 1, 2014, p. 5, cui, per i profili relativi alla formazione della consuetudine come fonte del diritto internazionale, adde LE-PARD, Customary International Law. A New Theory with Practical Applications, Cambridge, 2010, p. 285 ss., che analizza con specifico riferimento il caso dei prezzi di trasferimento.

12 V. AVI-YONAH, Globalization, Tax Competition, and the Fiscal Crisis of the Welfare Sta-te, in Harvard Law Review, n. 7, 2000, p. 1573 ss.

13 Il termine doppia non imposizione è divenuto di uso comune nella prassi tributaria internazionale LANG, Avoidance of Double Non-Taxation, Schriftenreihe zum Internationalen Steuerrecht, 26, Vienna, 2003) come fenomeno opposto a quello della doppia imposizione, e identifica quelle forme di conflitto negativo di imposizione tra due Stati che altrimenti potrebbero ricollegare la materia imponibile alla loro potestà tributaria. Pertanto, tale ter-minologia verrà utilizzata anche in questo scritto, nonostante il fatto che le suddette forme

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nale applicabile non ha inteso concedere 14.

Questa forma di risparmio fiscale, meglio nota come pianificazione fisca-le aggressiva, è tuttora circondata da una notevole incertezza giuridica

15. L’incertezza riguarda in particolare le sue caratteristiche e gli elementi es-senziali, ma anche i rapporti con i tradizionali istituti del diritto tributario, fra cui specialmente l’abuso e l’elusione fiscale, che a nostro giudizio rappre-sentano fenomeni diversi dalla pianificazione fiscale aggressiva

16. Prove di questa incertezza giuridica sono rinvenibili tanto a livello giuri-

sprudenziale 17, quanto della Raccomandazione del 6 dicembre 2012

18 della Commissione Europea, cui si deve far risalire la confusione concettuale che caratterizza il successivo operato della Commissione stessa, fra cui da ulti-mo va inserito anche il pacchetto di misure di attuazione del progetto BEPS nell’Unione Europea

19. L’approfondimento sistematico della pianificazione fiscale aggressiva, og-

getto di questo lavoro, si propone di contribuire al superamento di questa in-certezza giuridica, stimolando il dibattito dottrinale ad adeguare le categorie concettuali alla luce degli sviluppi del diritto tributario globale

20 e inquadra- di conflitto negativo di imposizione determinino, in sostanza, la non imposizione a livello internazionale.

14 A questo riguardo la terminologia utilizzata dall’OCSE è in inglese “unintended dou-ble non-taxation” e in francese “double non-imposition involontaire”.

15 V. DOURADO, Aggressive Tax Planning in EU Law and in the Light of BEPS: The EC Recommendation on Aggressive Tax Planning and BEPS Actions 2 and 6, in Intertax, n. 1, 2015, p. 43.

16 Questa conclusione può comprendersi tenendo conto della diversità dei rispettivi ele-menti essenziali, come si avrà modo di indicare nel prosieguo di questo studio ai parr. 3 e 4. Diversamente, secondo DOURADO, op. cit., p. 44 la pianificazione fiscale aggressiva è un concetto che ricomprende al suo interno sia la pianificazione fiscale, sia la elusione fiscale («aggressive tax planning is currently an umbrella concept to both international tax planning and tax avoidance»).

17 Anche la Corte di Cassazione italiana ha utilizzato di recente la locuzione pianificazio-ne fiscale aggressiva, sia pure all’interno di una sentenza in tema di CFC (che a nostro giudi-zio riguarda quindi un fenomeno di elusione fiscale). V. Cass., 16 dicembre 2015, n. 25281.

18 Su tali aspetti v. amplius infra, par. 3.4.4. 19 COM (2016) 23, 24, 25 e 26 del 28 gennaio 2016. 20 Questa esigenza era avvertita in modo latente già all’inizio di questo millennio da

GRAETZ, Taxing International Income: Inadequate Principles, Outdated Concepts, and Unsa-tisfactory Policies, in 26 Brooklyn Journal of International Law, 2001, che a p. 301 ss. già si poneva il problema dell’equità fiscale per le imprese multinazionali, tenendo conto il mo-do in cui queste riuscivano a sottrarsi legittimamente all’imposizione per effetto della pia-nificazione fiscale internazionale.

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re l’obbligo di contribuire alla spesa pubblica all’interno di una visione che tenga conto dell’interazione tra i sistemi tributari quanto all’esercizio della sovranità tributaria

21. Questa visione – e, più in generale, il concetto di diritto tributario globa-

le – potrebbe apparire a un giurista positivo come una categoria di per sé evanescente e metagiuridica. Essa è, però, la più recente manifestazione del diritto vivente in materia tributaria, che non si realizza a livello interpretati-vo, ma con la produzione indotta di nuove norme per l’adeguamento ai c.d. standards internazionali di contrasto ai fenomeni globali, quale appunto quello della pianificazione fiscale aggressiva. Come tale, deve costituire og-getto di studio, onde consentire di analizzare le possibili scelte del legislato-re nazionale e configurarle in ragione del rapporto con quell’esigenza sovra-nazionale di emanare norme efficaci a livello globale.

Si tratta di un’esigenza imperante nella realtà attuale, tenuto conto del bisogno di assicurare per questa via che i grandi capitali internazionali forni-scano risorse finanziarie sufficienti all’esercizio delle funzioni dello Stato, evitando che l’economia aperta e i limiti giuridici imposti all’esercizio della sovranità statale dall’appartenenza all’Unione Europea spezzino il collega-mento fra il luogo di creazione della ricchezza economica e la corrisponden-te potestà impositiva.

L’analisi della pianificazione fiscale aggressiva terrà quindi conto dell’esi-genza di stabilirne con chiarezza le relazioni con le categorie concettuali del diritto tributario, ma anche di coordinare il risultato di tale indagine con i principi impositivi – in particolare con quello della capacità contributiva – con l’essenza della sovranità e con lo studio delle fonti del diritto tributario globale.

2. Gli elementi essenziali della pianificazione fiscale aggressiva

2.1. Introduzione ai tre elementi essenziali

In precedenza, la pianificazione fiscale aggressiva è stata definita come lo sfruttamento delle disparità esistenti tra i sistemi tributari dei singoli Stati, al

21 AMATUCCI, op. cit., pp. 5-6 sottolinea come la priorità per la fiscalità internazionale si sia spostata nel corso degli ultimi anni dalla ricerca dell’efficienza e neutralità fiscale inter-nazionale verso quella dell’effettiva imposizione delle fattispecie transnazionali e del con-trasto all’erosione fiscale che in tale contesto si determina.

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fine di trarre il vantaggio di una riduzione del carico fiscale altrimenti non spettante.

Questa definizione riflette la percezione dei limiti al risparmio d’imposta in relazione alle fattispecie reddituali transnazionali che si è sviluppata nel-l’ambito del coordinamento fiscale internazionale operato dall’OCSE con i progetti BEPS e di trasparenza fiscale globale.

Pertanto, si ritiene che tre siano gli elementi essenziali della pianificazio-ne fiscale aggressiva nell’ottica del diritto tributario globale, ossia i) lo sfrut-tamento delle disparità tra sistema diversi con la finalità di trarre un vantag-gio fiscale, ii) il disallineamento tra la produzione della ricchezza e il potere statuale d’imposizione e iii) la sussistenza di una doppia non imposizione che gli Stati non hanno inteso concedere.

A nostro giudizio, è necessaria la contemporanea sussistenza di tutti e tre i requisiti sopra indicati perché una fattispecie di risparmio d’imposta a livello transnazionale possa essere qualificata come pianificazione fiscale aggressiva.

2.2. Il primo elemento – lo sfruttamento delle disparità per trarre un vantaggio fiscale

Il primo elemento essenziale alla delimitazione di questa fattispecie deve quindi rinvenirsi nel fatto di conseguire un vantaggio fiscale per effetto della combinazione del trattamento fiscale applicabile alla medesima fattispecie in due o più Paesi.

Questo elemento è fondamentale per comprendere le ragioni della fre-quente inefficacia delle norme antielusione nei confronti delle varie forme di pianificazione fiscale aggressiva, giacché la frizione tra forma e sostanza in essa insita non si risolve nell’aggiramento di una specifica fattispecie impositi-va, né nell’indebito ottenimento dei vantaggi di una norma di agevolazione.

Ciò può essere ancor più chiaro analizzando uno degli schemi di pianifi-cazione fiscale aggressiva più frequentemente utilizzati dalle imprese multi-nazionali.

La società madre, residente in uno Stato membro dell’Unione Europea (o in uno Stato terzo) conclude un accordo di ripartizione dei costi e con-cede i diritti di sfruttamento della proprietà intellettuale ad una prima socie-tà costituita in Irlanda, ma non residente fiscalmente in tale Paese, essendo-ne la direzione e controllo effettuata dall’estero, generalmente da un Paese che non applica una tassazione sugli utili societari. La suddetta società ir-landese concede a sua volta i propri diritti a una seconda società irlandese, questa volta residente ai fini fiscali in Irlanda, contro il pagamento di royalties.

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Nel caso in cui la società madre sia incorporata negli Stati Uniti, essa può evitare l’applicazione della normativa CFC (Subpart F legislation) utilizzan-do la normativa check-the-box e optando per la tassazione in base al principio di trasparenza. Così facendo, le due società irlandesi vengono considerate ai fini della normativa federale statunitense come un’unica società e di conse-guenza le operazioni tra loro diventano fiscalmente neutrali in tale Paese e il c.d. passive income, ossia quello derivante da attività finanziarie, viene unito a quello proveniente da altre fonti, consentendo di evitare l’applicazione della normativa CFC.

Le royalties pagate dalla società madre alla seconda società irlandese so-no tassabili all’aliquota ordinaria irlandese (12,5%), ma su una base impo-nibile ridotta per effetto della deducibilità dal reddito d’impresa delle royal-ties che quest’ultima società irlandese è tenuta a pagare alla prima società irlandese. Questo tipo di pianificazione fiscale aggressiva è meglio noto co-me doppio irlandese, o double Irish

22. L’imposizione del reddito in capo alla seconda società irlandese può es-

sere ulteriormente ridotta, nella misura in cui allo schema di pianificazione fiscale aggressiva si aggiunga il c.d. sandwich olandese. In tale caso, il reddito della seconda società irlandese viene abbattuto per effetto dei costi inerenti alla produzione del reddito d’impresa che vengono pagati ad una società olandese, controllata dalla prima società irlandese e alla quale in ultima istanza il reddito fluisce sotto forma di dividendi o royalties, senza l’applica-zione di una ritenuta irlandese in entrata per effetto dell’art. 8.3 o dell’art. 11 della Convenzione bilaterale Irlanda-Olanda

23, né di altra imposizione red-dituale in Irlanda, non essendo tale società residente ai fini fiscali in tale ul-timo Paese.

In questo complesso schema, nella misura in cui le parti si siano premu-rate di stabilire valide ragioni economiche per la funzione svolta da ciascuna

22 Con riferimento alla struttura di pianificazione fiscale internazionale utilizzata da al-cune multinazionali, v. CIPOLLINA, I redditi ‘nomadi’ delle società multinazionali nell’econo-mia globalizzata, in Riv. dir. fin. e sc. fin., 2014, I, pp. 48-51; KLEINBARD, Through a Latte, Darkly: Starbuck’s Stateless Income Planning, in Legal Studies Research Paper Series, n. 13-10, 15 luglio 2013. TING, iTax – Apple’s International Tax Structure and the Double Non-Taxa-tion Issue, in British Tax Review, 1, 2014. Sulle possibili prospettive di riforma dei sistemi tributari al fine di contrastare queste pratiche, adde FUEST et al., Profit Shifting and “Aggres-sive” Tax Planning by Multinational Firms: Issues and Options for Reform, in World Tax Journal, n. 3, 2013.

23 V. Convenzione per evitare la doppia imposizione e prevenire l’evasione fiscale tra il Regno dei Paesi Bassi e il Governo Irlandese, firmata all’Aja l’11 febbraio 1969.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 404

società, né le singole operazioni, né lo schema nel suo complesso possono essere considerate manifestazioni di elusione fiscale internazionale.

Infatti, ogni società residente nell’Unione Europea ha il diritto di costi-tuire altre società per lo svolgimento effettivo di attività economiche. Inol-tre, il criterio di collegamento utilizzato dal diritto tributario irlandese di fonte interna

24 presuppone la direzione effettiva e il controllo delle società sul ter-ritorio irlandese ai fini dell’imposizione su base mondiale del reddito di tali soggetti. Infine, l’operazione nel suo complesso non ha carattere circolare e consente di ottimizzare la gestione dei proventi derivanti dallo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale con l’impiego di soggetti operanti all’in-terno dell’Unione Europea. In ragione di tali caratteristiche, alla luce dell’in-terpretazione delle libertà fondamentali dell’Unione Europea

25, non ritenia-mo che – nell’ipotesi in cui la società madre fosse residente di uno Stato membro dell’Unione Europea – sarebbe giustificata un’applicazione a tale schema né delle clausole generali anti-abuso negli ordinamenti tributari che le prevedono, né di quelle speciali di tipo CFC legislation, giacché produr-rebbero effetti sproporzionati e non conformi all’esigenza di tutelare l’eser-cizio del diritto di stabilimento nel mercato interno.

Questo è soltanto uno dei complessi schemi di pianificazione fiscale ag-gressiva attraverso cui le imprese multinazionali hanno eroso la sovranità tributaria di molti Stati, spostando materia imponibile verso giurisdizioni con minore pressione fiscale. Esso dimostra una debolezza strutturale dei siste-mi tributari verso le pratiche di pianificazione fiscale aggressiva, poiché cia-scuno Stato è finora intervenuto solo per arginare le pratiche in grado di le-dere le proprie entrate tributarie. Inoltre, prova la tolleranza dei sistemi tri-butari di alcuni Paesi nei confronti degli schemi di pianificazione fiscale ag-gressiva, la cui competitività potrebbe essere rafforzata con l’impiego di strutture situate in tali Paesi, attraendo in questo modo ulteriori entrate fi-scali. In alcuni casi l’azione intrapresa dalla Commissione Europea dimostra che a suo giudizio quest’ultimo atteggiamento è degenerato in vere e proprie violazioni del divieto di aiuti di Stato, nella misura in cui la struttura del siste-ma tributario fosse in grado di determinare sistematicamente l’effetto di van-taggio selettivo per quei soggetti che operano in ambito transnazionale

26.

24 Tale criterio è conforme agli standards utilizzati dalle convenzioni internazionali per risolvere i casi di doppia residenza in base al luogo di direzione effettiva delle società.

25 V. in particolare CGUE, sent. 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes and Cadbury Schweppes Overseas (C-196/04, in Racc., 2006, pp. I-7995) ECLI:EU:C:2006:544.

26 Questo è ad esempio il caso del regime fiscale di Gibilterra, ritenuto incompatibile con

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Pasquale Pistone 405

Il primo elemento palesa quindi un rapporto di tipo causale tra l’effetto del risparmio d’imposta e lo sfruttamento a livello transnazionale della di-sparità tra i sistemi tributari.

A questo punto ci si deve chiedere se sia necessario che il contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva tenga conto dell’elemento intenzionale in capo a quei soggetti che traggono vantaggio dallo sfruttamento delle dispa-rità in ambito transnazionale.

La risposta a tale quesito deve – a nostro giudizio – essere negativa. Infat-ti, la reazione degli ordinamenti tributari alla pianificazione fiscale aggressi-va si colloca in quella radicale riforma all’esercizio della sovranità tributaria nazionale che si è in precedenza analizzata nel contesto dello sviluppo del diritto tributario globale e che si propone l’obiettivo di realizzare un coordi-namento fiscale internazionale a livello mondiale. In tale contesto importa che gli Stati tengano conto delle conseguenze prodotte dalla propria norma-tiva tributaria in ambito internazionale e, ad esempio, applichino misure di sgravio alla doppia imposizione internazionale solo quando questa effetti-vamente si verifica.

Rispetto all’obiettivo di evitare che lo sfruttamento delle disparità tribu-tarie in ambito transnazionale consenta di ottenere risultati di doppia non imposizione che gli Stati non avrebbero inteso concedere, rimane quindi in secondo piano ogni finalità che il contribuente può aver inteso conseguire e, di conseguenza, devono rimanere sullo sfondo anche i possibili profili rela-tivi all’intenzionalità del comportamento del contribuente.

Importa invece la natura necessariamente transnazionale delle fattispecie di pianificazione fiscale aggressiva e il fatto che il loro mancato contrasto da parte degli ordinamenti tributari determina, di fatto, un vantaggio nei con-fronti di quei soggetti che svolgono la loro attività a cavallo delle frontiere rispetto a quanti operano sotto la sovranità tributaria di un unico Stato.

L’analisi del primo elemento fin qui prospettata non consente però di tracciare una linea di demarcazione precisa tra le fattispecie di pianificazio-ne fiscale aggressiva e le restanti situazioni in cui è possibile conseguire un risparmio d’imposta in ambito transnazionale. Né deve ritenersi che il con-trasto alla pianificazione fiscale aggressiva implichi – d’ora in poi – che gli Stati non siano più disposti a tollerare quelle forme di risparmio d’imposta che si realizzano in ambito transnazionale. il divieto di aiuti di Stato in CGUE, Commissione e Regno di Spagna contro Governo di Gibilterra e Regno Unito, cit.

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Per rispondere a tali quesiti è dunque necessario tenere conto degli altri elementi essenziali della nuova categoria concettuale della pianificazione fi-scale aggressiva.

2.3. Il secondo elemento – l’“effetto disallineamento”

Il secondo elemento, anch’esso di carattere oggettivo, che potrebbe esse-re denominato come “effetto disallineamento”, caratterizza la pianificazione fiscale aggressiva come quel fenomeno in cui il risparmio d’imposta implica l’erosione della base imponibile e/o lo spostamento degli utili d’impresa ver-so un(o Stato con) regime fiscale privilegiato, così da generare un disalli-neamento tra il luogo di produzione della ricchezza e lo Stato in cui vengono pagate le imposte corrispondenti.

Per effetto di questo fenomeno, all’erosione della sovranità tributaria di uno Stato, corrisponde in alcuni casi un aumento delle entrate fiscali di un al-tro Stato, derivanti da fatti che quest’ultimo altrimenti non potrebbe ricolle-gare alla propria sovranità tributaria

27. Entrambe le manifestazioni dell’effetto disallineamento sono chiaramen-

te identificabili nell’esempio del “doppio irlandese” in precedenza prospet-tato. Inoltre, le varie azioni del progetto BEPS forniscono numerosi altri e-sempi di manifestazione dell’effetto disallineamento, unitamente a soluzioni che consentono agli Stati di prevenire la doppia non-imposizione, preser-vando il legame tra il luogo di creazione della ricchezza e l’esercizio della so-vranità impositiva.

Di seguito, sono indicati due di questi esempi, in cui l’effetto disallinea-mento si presenta alternativamente nell’ambito di pratiche che erodono la base imponibile e spostano gli utili verso la sovranità di un altro Stato.

Il primo esempio è tratto dall’azione 2 del progetto BEPS e riguarda un caso di erosione della base imponibile provocato dalle c.d. fattispecie ibride, quelle cioè che possono avere una diversa qualificazione ai fini fiscali in cia-scun ordinamento. In tale contesto è possibile cumulare il vantaggio della de-duzione nello Stato del soggetto pagatore (qualificandosi ivi la fattispecie co-me componente negativo del reddito d’impresa), con la esenzione del corri-spondente componente positivo nello Stato del soggetto percettore, grazie

27 Questo effetto non si produce però in modo meccanico. Infatti, lo sfruttamento delle disparità transnazionali può anche risolversi in soli vantaggi per le imprese, senza che il ca-rico fiscale aumenti in alcuno Stato.

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Pasquale Pistone 407

alla qualificazione fiscale della stessa fattispecie ai fini di norme volte a pre-venire la doppia imposizione economica: è il caso, ad esempio delle modifi-che di recente apportate con l’art. 4, comma 1, lett. a) alla Direttiva madre-figlia dell’Unione Europea sulla tassazione dei dividendi. Similmente, l’esi-stenza di diverse condizioni per l’imputazione dei componenti negativi di reddito – anche in presenza di regimi fiscali di gruppo e delle opzioni am-messe in tale contesto – è in grado di erodere la base imponibile in due Stati a fronte di un unico pagamento, nella misura in cui la contemporanea dedu-zione dello stesso cespite sia ammessa in tali Stati in capo allo stesso o a di-versi soggetti per effetto del suddetto problema di qualificazione fiscale.

L’analisi del secondo esempio dimostra che la produzione dell’effetto di-sallineamento non consegue alla sola applicabilità di un regime fiscale più favorevole rispetto a quello ordinario. Piuttosto, essa dipende da alcune con-dizioni in base alle quali il suddetto regime fiscale più favorevole trova ap-plicazione.

Esaminiamo quindi tale situazione in una prima fattispecie in cui l’effetto disallineamento si produce in seguito allo spostamento degli utili e a una se-conda fattispecie in cui invece tale risultato non avviene.

La prima fattispecie attiene all’applicazione di regimi di tipo IP box, che, fino all’intervento dell’azione 5 del progetto BEPS

28, hanno consentito di tassare ad aliquota preferenziale anche il risultato di attività di ricerca e svi-luppo terziarizzate – anche sul territorio di altri Stati – per effetto di schemi di outsourcing. Pertanto, in special modo le imprese multinazionali hanno utilizzato il meccanismo dei pagamenti di diritti per lo sfruttamento di beni immateriali far fluire i propri utili verso i Paesi che applicano tali regimi fi-scali privilegiati senza determinare forme di aggiramento delle fattispecie im-positive.

In questo schema, lo spostamento degli utili è ulteriormente facilitato dal-l’utilizzo di prezzi di trasferimento che hanno nascosto possibili forme di e-lusione ed evasione fiscale, approfittando anche delle carenze strutturali nel funzionamento dell’assistenza fiscale mutua tra gli Stati e delle difficoltà nel-la precisa determinazione delle condizioni arm’s length. Queste ultime prati-che hanno generato nel corso degli ultimi anni una notevole crescita del contenzioso a livello tanto italiano, come mondiale (come dimostrano i nu-

28 Nonostante l’intervento dell’azione 5 del progetto BEPS, un accordo raggiunto in sede di Consiglio dell’Unione Europea salvaguarda l’applicazione dei regimi esistenti in di-versi Stati membri fino al 2021.

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merosi tentativi dell’amministrazione finanziaria di utilizzare le specifiche nor-me antielusione esistenti nei vari ordinamenti tributari).

Questa situazione è, per sua natura, diversa dall’ipotesi in cui il risparmio fiscale consegue all’applicazione di un regime fiscale più favorevole per lo svolgimento di attività nello stesso Stato che concede il suddetto trattamen-to. In tale caso, infatti, il risparmio fiscale non deriva dallo sfruttamento del-la disparità, ma piuttosto alla realizzazione di un’attività nello Stato che ap-plica il trattamento fiscale più favorevole; come in un normale caso d’incen-tivo fiscale, la giustificazione di simile trattamento va rinvenuta a livello co-stituzionale nella meritevolezza delle finalità extrafiscali su cui si fonda l’esi-genza di applicare un diverso trattamento rispetto a quello ordinario in de-roga al principio di eguaglianza.

La prassi degli ultimi anni – in special modo a proposito dei regimi fiscali privilegiati per le attività di ricerca e sviluppo – mostra come la linea di de-marcazione tra le due ipotesi sia, a volte, sottile. Infatti, può accadere che la finalità extrafiscale sia di per sé astrattamente meritevole, ma che il modo in cui è concretamente strutturata la fattispecie astratta di incentivazione ne consenta l’applicazione anche a fattispecie concrete che non sono in grado di realizzare il fine extrafiscale, o senza verificare l’effettivo svolgimento del-l’attività meritevole di incentivazione. In questo senso, gli incentivi per le atti-vità di ricerca e sviluppo, concessi da alcuni sistemi tributari di Stati membri dell’Unione Europea prima dell’intervento dell’azione 5 del progetto BEPS, hanno trovato applicazione anche quando le attività di ricerca e sviluppo venivano svolte da altri soggetti, o per il solo fatto che l’applicazione del re-gime era stata richiesta

29.

2.4. Il terzo elemento – la doppia non imposizione involontaria

2.4.1. La doppia non imposizione involontaria in base alle norme interne e con-venzionali

Veniamo ora ad analizzare il terzo e ultimo elemento essenziale della pia-nificazione fiscale aggressiva, ossia il fatto che il risparmio d’imposta risultante dallo sfruttamento delle disparità esistenti non sia qualificabile come forma di

29 DANON, La refonte de la fiscalité internationale des entreprises, in IFF Forum für Steuer-recht, 2014, p. 26 critica questo tipo di misure, sottolineando anche gli effetti di possibile violazione del principio costituzionale di uguaglianza del trattamento nella misura in cui una giustificazione sia fondata su un obiettivo che non è in grado di raggiungere.

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doppia non imposizione che gli Stati abbiano specificamente inteso di per-mettere. In questo senso, questo terzo elemento viene anche comunemente definito come “doppia non imposizione involontaria”, senza che la suddetta espressione implichi una ricostruzione degli aspetti soggettivi relativi alla pianificazione fiscale aggressiva attuata dal contribuente.

La concreta interpretazione di questo elemento è resa difficoltosa dalla diversità di forme che i risultati della pianificazione fiscale aggressiva posso-no assumere, ma anche dalla necessità di inquadrare tale attività ermeneuti-ca in un contesto che presuppone la contemporanea sussistenza degli altri due requisiti. In tal modo si evitano quei risultati di sistematica “compensa-zione” della minore imposizione estera, che sarebbero incompatibili con la posizione assunta dalla Corte di Giustizia Europea in tema di libertà fon-damentali; determinerebbero altresì effetti indiretti di protezionismo fisca-le, i quali appaiono di dubbia compatibilità anche con il diritto dell’organiz-zazione mondiale del commercio e il divieto di sussidi all’esportazione a es-so riconducibile

30. Per le considerazioni svolte sul secondo elemento, non vi è doppia non

imposizione involontaria per il solo fatto che un sistema tributario riduca il carico fiscale a seguito dell’applicazione di un incentivo fiscale.

Ci si chiede però cosa accada nelle ipotesi in cui l’incentivo integra gli estremi dei primi due elementi in precedenza indicati, ossia quando si com-bina con lo sfruttamento delle disparità a livello transnazionale e consente di ottenere un risparmio d’imposta per effetto del disallineamento tra il luo-go di produzione della ricchezza e Paese che realizza l’assoggettamento a imposizione.

In tali ipotesi, come – più in generale – in tutte quelle in cui si realizzano le suddette condizioni, è necessario verificare se il risparmio d’imposta pos-sa rappresentare una conseguenza che gli Stati non abbiano inteso tollerare.

Ai fini di una corretta impostazione del problema occorre rilevare che, in linea di principio, gli Stati delimitano la sfera entro cui esercitano la propria potestà impositiva per il tramite di norme di diritto interno e convenzionale, generalmente volte a contrastare il fenomeno della doppia imposizione in-ternazionale. In particolare, i limiti all’imposizione delle varie forme di red-dito sono stabiliti con entrambi i tipi di norme, mentre la disciplina dei cor-

30 Questa conclusione potrebbe ricavarsi sulla base della considerazione che la compen-sazione del minore carico fiscale fosse in grado di incidere sulla competitività dei prodotti. V. sul punto BRAUNER, International Trade and Tax Agreements May Be Coordinated, But Not Reconciled, in 25 Virginia Tax Review, n. 251, 2005, p. 278 ss.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 410

rispondenti obblighi di deduzione dei componenti negativi viene lasciata al-la normativa interna.

In linea di principio, non riteniamo che questa situazione possa determi-narsi quando gli Stati accettino, all’interno della Convenzione internaziona-le, di utilizzare il metodo del credito d’imposta con la modalità di tax sparing o matching credit, senza quindi compensare la minore imposizione nello Stato della fonte rispetto a quella ordinaria applicabile in tale Paese. Su tali aspetti, che riguardano casi in cui la doppia non imposizione può essere frutto di co-ordinamento, si ritornerà con maggiore approfondimento nel prosieguo di questo studio

31. Queste situazioni sono diverse da quelle in cui lo sgravio della doppia

imposizione trovi applicazione in base al metodo dell’esenzione e gli Stati, in via unilaterale o convenzionale, decidano di sostituire questo metodo con quello del credito d’imposta al fine di ridurre l’impatto nello Stato di resi-denza della minore imposizione scontata nello Stato della fonte, evitando così ogni risultato di doppia non imposizione involontaria. Ciò può concreta-mente realizzarsi con il ricorso alle clausole di tipo switchover,. Quest’obiet-tivo è conseguito anche con l’impiego di clausole di tipo subject-to-tax, che operano la sostituzione del metodo di sgravio ogniqualvolta non vi sia stato un assoggettamento effettivo all’imposizione reddituale nello Stato della fon-te. Entrambe le ipotesi sono espressamente menzionate tra le soluzioni in-dicate dal progetto BEPS per risolvere i casi di pianificazione fiscale aggres-siva

32. Riteniamo che questo tipo di clausole, specialmente nella misura in cui trovino applicazione in via unilaterale, possa produrre effetti di compen-sazione della minore imposizione nello Stato della fonte, in grado di render-le potenzialmente incompatibili con i principi del diritto dell’Unione Euro-pea. Pertanto, tenendo anche conto dell’approfondimento che sarà svolto nel prosieguo di questo studio

33, si rimane perplessi in merito alla loro appli-cazione nell’ambito della Direttiva europea anti-BEPS di recente proposta

34. Occorre poi rilevare, già in questa sede, gli ulteriori problemi che l’appli-

cazione unilaterale di queste clausole può determinare nella misura in cui una Convenzione bilaterale attribuisca potestà tributaria esclusiva a uno Stato

31 In particolare, v. il par. 3.4.2. 32 Si consideri ad esempio la reazione alle fattispecie ibride indicata dall’azione 2 del

progetto BEPS. 33 Questi aspetti saranno oggetto di approfondimento nel par. 6. 34 Si veda COM (2016) 26 def. del 28 gennaio 2016.

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contraente per prevenire i casi di doppia imposizione giuridica internazio-nale. In tali casi, sebbene il progetto BEPS indichi che il contrasto alla piani-ficazione fiscale internazionale debba poter avvenire per il tramite della nor-mativa di fonte interna, è in linea di principio discutibile l’applicazione in via unilaterale di clausole di tipo switchover o subject-to-tax. Ovviamente nulla osta a che le parti contraenti le includano nella Convenzione, anche grazie ad un apposito protocollo, così da assicurare la coerenza del regime fiscale transnazionale con gli obiettivi del progetto BEPS.

2.4.2. La doppia non imposizione oggetto di coordinamento in presenza di clau-sole di tax sparing e matching credit

Le convenzioni possono intervenire in modo da accettare la doppia non imposizione come uno dei possibili effetti del coordinamento che le stesse realizzando, prevenendo cioè ogni reazione dello Stato della residenza a for-me di minore imposizione nello Stato della fonte. Ciò accade quando siano utilizzate le forme di credito cedolare per le imposte estere, comunemente note con i termini di matching credit e tax sparing.

Entrambe le fattispecie condividono l’elemento comune di obbligare lo Stato della residenza a concedere uno sgravio della doppia imposizione uti-lizzando il metodo del credito non in funzione delle imposte effettivamente pagate nello Stato della fonte, ma di importi predeterminati, ancorché non effettivamente sborsati. Nel caso del matching credit la misura è adottata con la finalità di incentivare da un punto di vista fiscale l’investimento nello Sta-to della fonte, mentre in quello del tax sparing il credito viene articolato in modo da garantire allo Stato della fonte il diritto a mantenere inalterati sul piano internazionale gli effetti della propria politica fiscale. In questo senso il tax sparing evita che la minore imposizione scontata nello Stato della fon-te in ragione di finalità meritevoli di incentivazione sia compensata per ef-fetto della concessione di un minor credito d’imposta nello Stato della resi-denza.

La presenza di una clausola di tax sparing all’interno di una Convenzione riflette l’intenzione delle parti contraenti di preservare il diritto dello Stato della fonte ad applicare una minore imposizione anche quando ciò implichi forme di doppia non imposizione volontaria, determinando in questo modo una tendenziale incompatibilità strutturale tra questa clausola e quelle di ti-po subject-to-tax

35. Inoltre, ciò rende più difficile delimitare l’ambito entro il

35 Se, infatti, gli Stati contraenti accettano che la minore imposizione nello Stato della

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quale possono trovare applicazione le clausole di tipo switchover verso il cre-dito ordinario. Conclusioni analoghe possono raggiungersi riguardo ai rap-porti con il matching credit, tenendo in debita considerazione le specifiche caratteristiche della ratio di incoraggiare lo sviluppo economico.

Tuttavia, a ben guardare, riteniamo che il diritto a preservare gli effetti della doppia non imposizione volontaria connesso con l’applicazione di que-ste clausole convenzionali non escluda che possano verificarsi fattispecie di doppia non imposizione involontaria.

A questo riguardo occorre anzitutto ricordare che le convenzioni inter-nazionali generalmente comprendono nel proprio ambito di applicazione i soli fenomeni di doppia imposizione giuridica internazionale. Pertanto, quan-do la doppia non imposizione internazionale scaturisca dal trattamento del-l’erogazione del reddito in capo a due soggetti diversi, come nel caso delle fattispecie ibride contemplate nell’azione 2 del progetto BEPS, non sorge-rebbero ostacoli a che lo Stato del soggetto percettore applichi una misura difensiva del tipo prospettato dall’OCSE nel proprio rapporto.

Veniamo ora ai casi in cui lo Stato della fonte concede un incentivo fisca-le, anche un’esenzione, non esercitando la potestà tributaria ad esso spet-tante in base alla Convenzione, di fatto prevenendo la doppia imposizione giuridica internazionale. In tale contesto, se il quadro normativo prova l’in-tenzione di almeno uno Stato di contrastare il fenomeno della pianificazio-ne fiscale aggressiva, ad esempio per il tramite di clausole di tipo subject-to-tax o switchover nella propria normativa interna, occorrerà verificare se il ri-sparmio d’imposta nella fattispecie concreta consegua allo sfruttamento di disparità transnazionali e presenti un effetto disallineamento. In altre parole, occorrerà valutare nei fatti se la non imposizione integri gli estremi del terzo elemento della pianificazione fiscale aggressiva e, in caso affermativo, con-sentire – in tutto o in parte – allo Stato di reagire al fenomeno di pianifica-zione fiscale aggressiva secondo modalità non dissimili da quelle che altri-menti troverebbero applicazione. In nessun caso comunque l’applicazione di questa reazione deve consentire al suddetto Stato di intaccare le fattispe-cie di doppia non imposizione volontaria in conformità alla formulazione della clausola contenuta nel trattato.

Riteniamo pertanto che la tendenziale incompatibilità delle clausole di tipo subject-to-tax e switchover con quelle di tax sparing e matching credit fonte non debba essere compensata nello Stato della residenza, quest’ultimo non può avan-zare una pretesa a compensare le minori imposte dello Stato della fonte con l’applicazione del metodo del credito ordinario.

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debba servire per stabilire una linea di demarcazione a livello interpretativo tra le fattispecie di doppia non imposizione volontaria e involontaria, non ostando alla possibilità che gli Stati includano nelle proprie convenzioni in-ternazionali clausole di contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva.

Del resto, la ratio delle clausole di tax sparing è di preservare al livello in-ternazionale gli effetti della politica fiscale dello Stato della fonte senza in-terferenze da parte dell’altro Stato contraente. Di certo, questo meritevole obiettivo non può essere interpretato in modo da aprire una falla nel coor-dinamento fiscale internazionale con cui si contrasta la pianificazione fiscale aggressiva a livello globale.

Pertanto, riteniamo che almeno gli Stati che hanno assicurato un soste-gno politico al progetto BEPS in seno al G20 avrebbero il diritto di agire in via unilaterale sulla base della normativa interna. Nel caso in cui l’altro Stato contraente ritenesse che l’applicazione di queste misure rappresentasse una forma di treaty override in violazione del principio pacta sunt servanda, esso potrebbe a nostro giudizio avere una ragione per denunciare la Convenzio-ne internazionale.

2.4.3. La doppia non imposizione involontaria e le norme del diritto dell’Unione Europea

Quando la normativa interna e/o convenzionale non prevede clausole del tipo indicato nel precedente paragrafo, si deve ritenere che il vantaggio fiscale ricavato dallo sfruttamento delle disparità tra i due Stati, anche in pre-senza di un effetto disallineamento, ancorché non esplicitamente previsto dalla normativa di due Stati

36, non sia qualificabile come forma di doppia non imposizione involontaria, tranne nei casi in cui tale qualificazione sia altrimenti ricavabile sulla base della normativa esistente.

Questo può essere ad esempio il caso in cui la fattispecie concreta integri, nel contempo o in alternativa, i presupposti per essere qualificata come for-ma di elusione fiscale o altra ipotesi più grave di risparmio fiscale in ambito transnazionale vietato dalla normativa tributaria.

Inoltre, la volontà degli Stati di non tollerare questo fenomeno può altre-

36 Infatti, di fronte alla communis opinio – diffusa sia negli ordinamenti tributari sia dei Paesi di tradizione europeo continentale, sia di quelli di common law – secondo la quale i contribuenti hanno diritto a minimizzare il proprio carico fiscale, ogni limitazione a tale dirit-to deve risultare da apposite norme giuridiche, in quanto, altrimenti, sarebbe violato il prin-cipio di legalità negli ordinamenti tributari dei Paesi di tradizione europeo-continentale e si andrebbe contro lo spirito e il principio della rule of law nei sistemi di common law.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 414

sì ricavarsi in base alle norme di diritto sovranazionale dell’Unione Europea, come nel caso in cui rappresenti una forma di aiuto di Stato. Un esempio di questo tipo può rinvenirsi nella fattispecie oggetto della sentenza Gibilterra, in cui il risparmio d’imposta ha determinato una forma di doppia non impo-sizione incompatibile con la protezione della libera concorrenza all’interno dell’Unione Europea

37. Le modifiche apportate nel 2014 alla Direttiva madre-figlia sulla tassa-

zione dei dividendi intersocietari all’interno dell’Unione Europea, che gli Sta-ti membri hanno dovuto trasporre entro il 31 dicembre 2015

38, forniscono un ulteriore interessante esempio di mancata tolleranza della c.d. doppia non imposizione involontaria. L’ambito entro il quale la doppia non imposizione deve intendersi non tollerata merita di essere ulteriormente approfondito, che viene effettuato di seguito.

In particolare, la modifica apportata dell’art. 4, comma 1, lett. a) consen-te l’impiego del metodo dell’esenzione per lo sgravio della doppia imposi-zione economica in capo alla società madre solo a condizione che gli utili non siano deducibili dalla società figlia, consentendo invece alla suddetta so-cietà madre di tassare i dividendi in entrata in misura corrispondente alla de-ducibilità degli stessi come utili in capo alla società figlia. Con questa norma l’ordinamento europeo ha recepito, direttamente a livello sovranazionale, la misura difensiva indicata dall’OCSE contro quelle forme di pianificazione fiscale aggressiva che realizzano una doppia non imposizione nelle fattispecie ibride (per effetto della combinazione della deduzione nello Stato del sogget-to pagatore con la non imposizione nello Stato del soggetto percettore).

Colpisce però che l’ulteriore modifica apportata alla Direttiva nel 2015 39

per introdurre all’art. 1, comma 2 un obbligo di contrasto all’elusione ed al successivo comma 3 una definizione di quest’ultimo fenomeno non conten-ga alcun riferimento alla pianificazione fiscale aggressiva, nemmeno nel com-ma 4, in cui fa salvo il diritto degli Stati membri di applicare le proprie di-sposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare l’evasione fiscale, la frode fiscale o l’abuso.

37 Altre situazioni di questo tipo sono rinvenibili all’interno delle sei fattispecie di ru-lings fiscali – già richiamate in precedenza in questo scritto – in cui la Commissione Euro-pea ritiene che sussista un problema di aiuti di Stato in materia fiscale.

38 V. Direttiva 2014/86/UE dell’8 luglio 2014, in G.U.U.E., 25 luglio 2014, L 219, p. 40 s. 39 V. Direttiva 2015/121/UE del 27 gennaio 2015, in G.U.U.E., 28 gennaio 2015, L 21,

p. 1 ss., il cui termine temporale di trasposizione era fissato al 31 dicembre 2015.

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Pasquale Pistone 415

La definizione di abuso contenuta nel comma 3 risulta a nostro avviso difficilmente applicabile alle fattispecie di pianificazione fiscale aggressiva. Infatti, essa si riferisce a una costruzione o serie di costruzioni non genuine e qualifica come tali quelle che non sono state poste in essere per valide ra-gioni commerciali che riflettono la realtà economica. Invece, ogni schema di pianificazione fiscale aggressiva non è in sé privo di valide ragioni commer-ciali, ma consegue vantaggi ulteriori di natura fiscale per effetto dello sfrut-tamento delle disparità esistenti tra i sistemi tributari di due o più Stati.

Siccome il contesto dell’art. 1 della Direttiva implica che il termine abuso debba essere interpretato in modo da ricomprendere al suo interno fattispe-cie analoghe a quelle definite nei commi precedenti e dunque come sinoni-mo di elusione fiscale nella qualificazione da attribuire nel diritto dell’Unio-ne Europea all’ambito di applicazione di questa Direttiva, è quindi inevitabi-le concludere che questa Direttiva integra gli estremi del terzo elemento della pianificazione fiscale aggressiva solamente nei casi che rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 4, comma 1 lett. a). Si tratta, cioè, delle fattispecie ibride, caratterizzate dalla combinazione degli effetti di deduzione nello Sta-to della società figlia con l’esenzione ai sensi della Direttiva nello Stato della società madre.

2.4.4. Ulteriori fattispecie di doppia non imposizione involontaria

Analizziamo ora le questioni riguardanti il terzo elemento della pianifica-zione fiscale aggressiva nei restanti casi in precedenza indicati. In tali casi l’in-tenzione di non tollerare la doppia non imposizione viene manifestata in modo incoerente a livello bilaterale, così come in via irrituale e informale, all’interno di fonti giuridiche secondarie, o di norme prive di una propria natura giuridica. Quest’ultimo è il caso della soft law, che all’interno dell’U-nione Europea include anche le situazioni in cui la manifestazione di volon-tà è formulata all’interno di atti dotati di efficacia non vincolante, come ad esempio nel caso della raccomandazione della Commissione Europea.

Una situazione di possibile incoerenza si riscontra spesso quando uno Stato (di solito quello che subisce gli effetti di erosione causati dalla pianifi-cazione fiscale aggressiva) non tollera lo sfruttamento di una disparità fisca-le transnazionale, mentre un altro Stato (ad esempio, quello la cui legisla-zione nazionale funge da veicolo per lo sfruttamento della suddetta dispari-tà) conferma – anche per il tramite di rulings – la validità della fattispecie di risparmio d’imposta, generando il legittimo affidamento del contribuente. In tali situazioni – che potrebbero rinvenirsi nel caso in cui vi fosse una norma

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 416

interna di tipo subject-to-tax o switchover – deve ritenersi che le misure del primo Stato siano decisive ai fini del riscontro della sussistenza del terzo ele-mento. Ovviamente a questo risultato si potrà giungere solo nella misura in cui sussistano anche i primi due elementi in precedenza indicati, giacché al-trimenti ci si potrebbe piuttosto trovare di fronte a ipotesi di altra natura, ivi comprese quelle di elusione fiscale o anche di legittimo risparmio d’impo-sta. Peraltro, in presenza di un effetto di disallineamento (che costituisce il secondo elemento essenziale della pianificazione fiscale aggressiva) sembra – allo stato attuale – difficile ipotizzare situazioni in cui possa giustificarsi il legittimo affidamento del contribuente.

Esistono poi numerose situazioni in cui gli Stati dichiarano di non tollerare una forma di risparmio d’imposta ottenuta per il tramite dello sfruttamento delle disparità in ambito transnazionale. A nostro giudizio l’effetto-annuncio è di per sé privo di effetti, almeno fino a quando non si traduce in modifiche nella legislazione o sia recepito a livello dell’interpretazione giudiziale.

Sembra opportuno raggiungere conclusioni analoghe anche nei casi in cui siano emanate risoluzioni ministeriali, circolari o strumenti interpretativi con effetti vincolanti nei confronti delle autorità fiscali, che propongano in-terpretazioni difformi rispetto a quanto ricavabile sulla base della formula-zione della norma. A questo riguardo, appare particolarmente importante rilevare che la linea di demarcazione tra la pianificazione fiscale aggressiva e l’elusione fiscale è circondata da un velo di incertezza, che non giova affatto all’economia e alla protezione effettiva dei diritti dei contribuenti.

Questa incertezza è a nostro giudizio principalmente dovuta al fatto che gli Stati stanno tuttora realizzando le differenze tra le due figure; ciò in un contesto di progressivo rafforzamento del coordinamento fiscale internazio-nale, che li vede irrigidire la propria reazione alle forme di risparmio d’impo-sta nel contesto internazionale.

Un ulteriore esempio di questa incertezza lo si può trovare nella norma-tiva non vincolante emanata dalla Commissione Europea (la raccomanda-zione del dicembre 2012), con cui la pianificazione la pianificazione fiscale aggressiva è stata definita come quel fenomeno che consente di «sfruttare a proprio vantaggio gli aspetti tecnici di un sistema fiscale o le disparità esi-stenti fra due o più sistemi fiscali al fine di ridurre l’ammontare dell’imposta dovuta»

40. In quella raccomandazione la Commissione ha constatato le dif-

40 V. Commissione UE, Raccomandazione 6 dicembre 2012, C(2012) 8806 def., Se-condo considerando.

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Pasquale Pistone 417

ficoltà per gli Stati membri dell’Unione Europea nel lottare contro di essa 41,

per poi invitarli, in forza dell’art. 4, comma 1 a introdurre norme generali antiabuso per contrastare le pratiche di pianificazione fiscale aggressiva che non rientrano tra quelle considerate dalla raccomandazione.

Questa raccomandazione è ovviamente di per sé priva di effetti vincolanti nell’ordinamento giuridico sovranazionale dell’Unione Europea e mera e-spressione di soft law. Tuttavia, essa ha introdotto un elemento di confusio-ne sulle categorie concettuali del diritto tributario globale, poiché unifica due fenomeni in sé diversi e produce in questo modo effetti negativi sia per il legittimo affidamento dei contribuenti, sia per le possibili ripercussioni su ulteriori misure che la Commissione Europea può ritenere di intraprendere per rendere più incisiva la propria azione

42.

3. Pianificazione fiscale aggressiva, pratiche abusive ed elusione fiscale

3.1. I rapporti concettuali tra i fenomeni

Dopo aver analizzato gli elementi essenziali della pianificazione fiscale ag-gressiva, è ora opportuno delimitare con maggiore precisione l’ambito entro il quale si realizza questa forma di risparmio d’imposta. In questo modo ci si propone di fornire spunti per possibili soluzioni all’incertezza giuridica at-tualmente esistente quanto ai rapporti tra questa nuova categoria concet-tuale e le altre forme di risparmio d’imposta non tollerate all’interno dei sin-goli sistemi tributari.

In particolare, l’incertezza giuridica emerge nel tracciare la linea di de-marcazione rispetto alle forme di aggiramento della fattispecie impositiva o d’indebito ottenimento dei vantaggi di una norma agevolativa, generalmente considerate pratiche abusive, che determinano il fenomeno dell’elusione fi-scale

43.

41 V. Commissione UE, Raccomandazione, cit., Terzo considerando. 42 Questo potrebbe essere il caso di una Direttiva anti-BEPS, di cui hanno fatto richie-

sta il 28 novembre 2015 i Ministri dell’Economia e delle Finanze tedesco, francese e italiano. V. http://www.mef.gov.it/inevidenza/documenti/Letter_to_P._Moscovici_BEPS_in_the_EU_-_ 11282014.pdf.

43 Non si ritiene necessario approfondire in questa sede il dibattito sulle possibili diffe-renze tra abuso del diritto ed elusione fiscale, sui cui aspetti concettuali si è avuto modo di pronunciarsi più volte sin da PISTONE, Abuso del diritto ed elusione fiscale, Padova, 1995. Basta invece ricordare che l’essenza del fenomeno dell’elusione fiscale viene colta secondo sfu-

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 418

Alcune misure del progetto BEPS – come ad esempio quelle concernenti le azioni 3 e 6 – si riferiscono alle pratiche abusive che realizzano il fenome-no di elusione fiscale (ma non contengono alcun riferimento alla pianifica-zione fiscale aggressiva); altre – cioè quelle riguardanti le azioni 2, 4 e 5 – si riferiscono alla pianificazione fiscale aggressiva (ma non alle pratiche abusi-ve e al correlato fenomeno dell’elusione fiscale). È allora opportuno appro-fondire i due principali elementi comuni e le due principali diversità tra que-ste due categorie concettuali, per meglio inquadrarne il rapporto, anche alla luce dei recenti sviluppi che questo scritto analizza nella prospettiva del di-ritto tributario globale.

Il primo elemento comune è rappresentato dal fatto che entrambe le ipo-tesi determinano una forma di risparmio d’imposta non tollerata dall’ordi-namento tributario. Entrambe condividono questo elemento anche con i fenomeni di evasione e frode fiscale, che tuttavia presentano elementi asso-lutamente peculiari, basandosi sul mancato pagamento di un’imposta dovu-ta a fronte della realizzazione del presupposto d’imposta, che non saranno oggetto di approfondimento in questa sede.

Un secondo elemento comune è rappresentato dal fatto che sia la piani-ficazione fiscale aggressiva, sia l’elusione fiscale scaturiscono da un proble-ma di frizione tra forma e sostanza.

Tuttavia, tale elemento consente – nel contempo – anche di cogliere la prima diversità, ricollegabile al fatto che il risparmio d’imposta assume ca-ratteristiche diverse nella pianificazione fiscale aggressiva rispetto a quanto accade nel caso dell’elusione fiscale. In particolare, nel caso dell’elusione fi- mature diverse a seconda della tecnica mediante la quale ciascun ordinamento determina i limiti entro cui tollerare quelle fattispecie di risparmio d’imposta che risultano all’interno del-l’ordinamento stesso per effetto della tensione fra forma della fattispecie astratta e sostanza della fattispecie concreta. Nel contesto dell’ordinamento tributario italiano questi problemi possono ora essere affrontati nell’ambito della clausola generale antiabuso introdotta dal D.Lgs. n. 128/2015 all’interno del nuovo art. 10 bis, L. n. 212/2000, meglio nota come Statu-to dei diritti del contribuente. Sembra opportuno ritenere che le diverse dimensioni positive assunte dal fenomeno dell’elusione fiscale vadano ricomprese all’interno di un’unica nozione a livello dell’Unione Europea, così da limitare gli effetti di alterazione della concorrenza nel mercato interno che altrimenti si determinano. Tuttavia, occorre rilevare che questo risultato non riflette allo stato attuale l’orientamento consolidato da parte della Corte di Giustizia, che nella sent. 29 marzo 2012, causa C-417/10, 3M Italia, par. 31, ECLI:EU:C:2012:184 ha pre-so una posizione distinta da quella relativa alle imposte armonizzate, come l’IVA – su cui v. 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax, par. 74, ECR 2006, pp. I-1609, ECLI:EU:C: 2006:121 – negando che l’ordinamento dell’Unione Europea richieda un contrasto alle pra-tiche abusive anche al di fuori dell’ambito in cui trova applicazione.

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Pasquale Pistone 419

scale, tanto in ambito nazionale, quanto internazionale, la frizione tra forma e sostanza mira a conseguire il risparmio d’imposta nello stesso Stato in cui si realizza. Diversamente, nella pianificazione fiscale aggressiva il risparmio d’imposta scaturisce in un contesto di disparità tra ordinamenti tributari e dunque per effetto del diverso trattamento fiscale che questi applicano alla fattispecie transnazionale, che in alcuni casi può anche determinare l’erosio-ne della sovranità di altri Stati. In questo senso il risparmio d’imposta nella pianificazione fiscale aggressiva è il frutto delle diverse forme che la mede-sima sostanza può assumere nei diversi ordinamenti tributari.

Ne consegue che il contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva presup-pone per sua stessa natura un coordinamento a livello internazionale, onde assicurare una reazione coerente sul piano internazionale al trattamento fi-scale applicabile in due o più Stati.

È poi possibile cogliere un’ulteriore differenza tra i due fenomeni. Nel caso dell’elusione fiscale la rilevanza dell’elemento intenzionale – ancorché nella forma oggettiva in cui esso si traduce – può assumere un proprio rilievo come elemento essenziale, in quanto occorre dimostrare l’esistenza dell’ag-giramento della norma altrimenti applicabile. Nel caso della pianificazione fiscale aggressiva l’elemento intenzionale non rileva, poiché il vantaggio fi-scale deriva dallo sfruttamento delle disparità a livello transnazionale in mo-do da produrre l’“effetto disallineamento” tra produzione della ricchezza ed esercizio della sovranità impositiva.

Questa seconda differenza rileva, in particolare all’interno dell’Unione Europea.

Occorre, infatti, considerare che il contrasto alle pratiche abusive nel di-ritto dell’Unione Europea stabilisce requisiti ben più stringenti rispetto a quelli in uso comune nei sistemi tributari in altri Paesi del mondo. In parti-colare, tenendo conto dell’orientamento giurisprudenziale consolidato della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, due limiti sono imposti: l’uno, dal primato del diritto dell’Unione Europea su quello degli Stati membri; l’al-tro, dalla necessità di rispettare il principio di proporzionalità. Questo im-plica che le giustificazioni alle limitazioni all’esercizio delle libertà fondamen-tali presuppongono il riscontro – nei fatti – di una pratica abusiva e una rea-zione, da parte dello Stato, che non ecceda i limiti strettamente necessari a rimuovere gli effetti della manifestazione abusiva. Se così non fosse, la giusti-ficazione – teoricamente meritevole – del contrasto alle pratiche abusive, fini-rebbe per pregiudicare l’esercizio dei diritti garantiti dal diritto dell’Unione Europea in relazione a situazioni non abusive, nonché l’effettività del primato

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 420

del diritto dell’Unione Europea su quello degli Stati membri(ciò in quanto gli Stati membri mantengono in linea di principio l’esercizio della sovranità a livello nazionale).

Pertanto si deve escludere che la necessità di contrastare le pratiche abu-sive possa giustificare (in termini di compatibilità con il diritto dell’Unione Europea) misure che producono effetti deterrenti delle pratiche abusive e trovano applicazione in modo automatico o quasi automatico (anche per il mezzo di strumenti presuntivi), cioè a prescindere dal riscontro a livello fat-tuale della natura abusiva di ogni singola pratica, e, più in generale, dal con-trasto del mero rischio di pratiche abusive. In tutti questi casi, infatti, l’ap-plicazione della giustificazione antiabuso produrrebbe effetti sproporzionati.

Diversamente, il contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva nell’ordi-namento dell’Unione Europea rileva – a nostro giudizio – quale espressione della necessità di preservare «l’equilibrata ripartizione del potere impositi-vo», che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea considera un possibile motivo di giustificazione

44. Infatti, se l’obiettivo della suddetta giustificazio-ne sta nell’esigenza di evitare l’erosione della base imponibile di uno Stato, quest’elemento è comune con quanto i sistemi tributari ora si propongono di fare in via di coordinamento fiscale internazionale rispetto ai problemi e-mergenti nell’ambito della nuova categoria concettuale della pianificazione fiscale aggressiva

45. L’analisi della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea in materia

di imposte dirette conferma questa intuizione. Infatti, anche se spesso la sud-detta giustificazione è stata esaminata all’interno di contesti in cui essa inte-ragisce con altre giustificazioni, fra cui anche quella relativa all’esigenza di contrastare le pratiche abusive

46, è innegabile che la Corte avverta il bisogno di concepirla in modo separato da quest’ultima, richiedendo uno standard

44 Si vedano le sentenze della CGUE, 18 luglio 2007, causa C-231/05, Oy AA, in Racc., 2007, pp. I-6373, ECLI:EU:C:2007:439, e 21 gennaio 2010, causa C-311/08, Société de Ge-stion Industrielle (SGI) contre État belge, in Racc., 2010, pp. I-487, ECLI:EU:C:2010:26; 25 febbraio 2010, causa C-337/08, X Holding BV v. Staatssecretaris van Financien, in Racc., 2010, pp. I-1215, ECLI:EU:C:2010:89.

45 Peraltro, non si può escludere che l’esigenza di tutelare l’equilibrata ripartizione del potere impositivo, fornita dalla Corte di Giustizia Europea, possa essere più ristretta e non coincidente con quella emergente dall’esigenza di contrastare la pianificazione fiscale aggres-siva. Tuttavia, se anche così fosse, quest’ultima categoria potrebbe determinare una corri-spondente espansione di quella in uso alla Corte.

46 Ci riferiamo ad es. alla sentenza CGUE, sent. 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer, in Racc., 2005, pp. I-10837) ECLI:EU:C:2005:763.

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Pasquale Pistone 421

diverso. Peraltro, riteniamo che mentre la giustificazione del contrasto alle pratiche abusive rappresenti la manifestazione – in materia tributaria – del più generale problema dei limiti del diritto dell’Unione Europea, quella rela-tiva al mantenimento dell’equilibrata ripartizione del potere impositivo rap-presenta un fattore giustificativo sui generis proprio della materia tributaria, o, quantomeno, di tutti quei settori giuridici in cui il primato del diritto so-vranazionale si sforza di rispettare il mantenimento delle prerogative al livel-lo nazionale (come appunto accade in relazione alla ripartizione della pote-stà impositiva tra gli Stati).

La conclusione che i due fenomeni della pianificazione fiscale aggressiva e dell’elusione fiscale rappresentino due diverse forme di risparmio d’impo-sta non tollerate dagli ordinamenti non significa che essi non possano coesi-stere all’interno di schemi di pianificazione fiscale internazionale o che non possano almeno parzialmente sovrapporsi, anche nelle manifestazioni che assumono nella prassi internazionale. È in tali casi che è concretamente pos-sibile che le norme o tecniche volte a contrastare l’elusione fiscale e le prati-che abusive contrastino anche la pianificazione fiscale aggressiva

47. Un caso di sovrapposizione è dato ad esempio dalle doppie deduzioni fi-

scali per le fattispecie ibride. La Corte di Giustizia ha esaminato questo te-ma nella propria giurisprudenza fiscale sul trattamento delle perdite nei grup-pi societari sin dal noto caso Marks & Spencer

48 (anche in un contesto in cui le stesse possono rilevare ai fini dell’elusione fiscale). Riteniamo però che una sovrapposizione tra i due fenomeni possa avvenire anche nei casi dei regimi IP box non in linea con il criterio del collegamento modificato (mo-dified nexus approach), visto che in tale contesto si spostano gli utili e si ero-de la base imponibile con lo sfruttamento delle disparità, ma si determina altresì una situazione in cui alcune società percepiscono reddito a fronte di funzioni che non sono in grado di svolgere. Pertanto, seguendo i criteri am-messi dall’orientamento consolidato della Corte di Giustizia in tema di elu-

47 In questo senso, pur se (per le ragioni indicate in precedenza in questo studio nel par. 3.4.4) riteniamo non condivisibile l’impostazione teorica delle categorie concettuali ogget-to della Raccomandazione della Commissione Europea EU 8806 del 6 dicembre 2012, cit., che accomuna pianificazione fiscale aggressiva e elusione fiscale, è quantomeno possi-bile condividere, con tale documento, la conclusione che l’impiego di norme antiabuso possa in alcuni casi produrre effetti di contrasto anche alle pratiche di pianificazione fiscale aggressiva.

48 CGUE, sent. 13 dicembre 2005, Marks & Spencer (C-446/03, in Racc., 2005, pp. I-10837) ECLI:EU:C:2005:763.

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sione fiscale 49, sarebbe ammissibile applicare in questi contesti anche la giu-

stificazione fondata sull’esigenza di contrastare le pratiche abusive. In questi e altri casi è poi possibile che lo stesso schema di pianificazione

fiscale internazionale contenga fenomeni qualificabili come pianificazione fiscale aggressiva e altri, espressioni di pratiche abusive. Così ad esempio in tema di prezzi di trasferimento il mancato rispetto del criterio dell’arm’s length può integrare i presupposti di entrambi i fenomeni di risparmio d’im-posta, determinando l’insorgenza di una pratica abusiva per alcuni aspetti e di forme di pianificazione fiscale aggressiva per altri. In entrambi i casi, l’a-nalisi della fattispecie dovrà tenere conto del criterio interpretativo fornito dalla Corte di Giustizia Europea nei casi SGI

50 e Thin Cap GLO 51, secondo

cui non vi può essere una pratica abusiva quando un’operazione tra società dello stesso gruppo rispetta questo standard

52.

3.2. Pianificazione fiscale aggressiva ed elusione fiscale: il treaty shopping

Facciamo ora riferimento all’esempio concreto dell’abuso delle conven-zioni internazionali (meglio noto come treaty shopping e disciplinato dall’a-zione 6 del progetto BEPS), evidenziando le ragioni per cui, a nostro giudi-zio, questa fattispecie non può determinare una situazione di pianificazione fiscale aggressiva.

In questo tipo di pratica abusiva, l’elusione fiscale mira a impedire allo Stato della fonte di applicare la ritenuta all’aliquota che sarebbe applicabile in base alla Convenzione di tale Paese con lo Stato di residenza. A tal fine, in luogo del pagamento diretto del reddito al soggetto nel suo Stato di resi-denza, il suddetto reddito viene prima corrisposto a un soggetto da questi controllato e residente in un terzo Stato, la cui Convenzione con lo Stato della fonte prevede l’applicazione di una minore ritenuta alla fonte, e poi da

49 CGUE, sent. 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes and Cadbury Schweppes Over-seas (C-196/04, in Racc., 2006, pp. I-7995) ECLI:EU:C:2006:544, par. 67.

50 CGUE, sent. 21 gennaio 2010, SGI (C-311/08, in Racc., 2010, pp. I-487) ECLI:EU: C:2010:26, parr. 68-72.

51 V. CGUE, sent. 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C-524/04, in Racc., 2007, pp. I-2107) ECLI:EU:C:2007:161, par. 71 ss.

52 In linea con le precauzioni da seguire al livello interpretativo al fine di riscontrare l’ap-plicazione della giustificazione in funzione antiabuso, riteniamo che tale affermazione non debba di per sé implicare che la pratica abusiva esista automaticamente quando non si ri-spetta tale criterio e che, tuttavia, in alcuni casi le fattispecie di prezzi di trasferimento pos-sano determinare un problema di contrasto con la pianificazione fiscale aggressiva.

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questi inoltrato al soggetto cui il reddito stesso è destinato, spesso senza al-cun ulteriore aggravio d’imposta, sotto forma di pagamento di dividendi.

Nonostante la diversità tra le convenzioni internazionali dello Stato della fonte sia all’origine della convenienza a realizzare il treaty shopping, i vantag-gi in termini di risparmio d’imposta non derivano in questo caso dallo sfrut-tamento delle diversità tra le suddette convenzioni, ma dalla minore ritenuta prelevata nello Stato della fonte. Pertanto, per quanto il treaty shopping sia di frequente un obiettivo degli schemi di pianificazione fiscale internazionale, esso non rappresenta di per sé una forma di pianificazione fiscale aggressiva.

Per consentire allo Stato della fonte di contrastare efficacemente questa pratica abusiva, l’azione 6 del progetto BEPS prevede l’impiego di clausole generali antiabuso, come nel caso del cosiddetto test delle ragioni determi-nanti (noto anche come principal purpose test), o la modifica delle conven-zioni, introducendo nelle stesse apposite clausole antiabuso, tra le quali la clausola di limitazione dei benefici (nota anche come limitation-on-benefits clause). Tale clausola, secondo diverse modalità, fa venire meno la conve-nienza della triangolazione ai fini dell’elusione, limitando il diritto all’appli-cazione della Convenzione con lo Stato della fonte per i soggetti che, pur essendo residenti nell’altro Stato contraente, sono controllati da soggetti re-sidenti in Stati terzi.

Il treaty shopping e le clausole di limitazione dei benefici sollevano vari problemi nell’ordinamento dell’Unione Europea, che è opportuno analizza-re in questa sede al fine di sottolineare che una efficace lotta all’elusione fi-scale internazionale deve svolgersi nel rispetto del diritto sovranazionale dell’Unione Europea.

In primo luogo, nell’Unione Europea la Direttiva madre-figlia è stata fi-nora spesso utilizzata per far fluire i dividendi al destinatario finale del red-dito anche nei casi di treaty shopping. Ciò è reso possibile anche dal fatto che – diversamente dalla previsione della condizione del beneficiario effettivo, contenuta nel Modello OCSE sin dal 1977 – la Direttiva madre-figlia stabi-lisce un divieto incondizionato di ritenute in uscita.

In altri termini, fino alle modifiche apportate nel 2015, l’art. 1.2 della Di-rettiva madre-figlia prevedeva la facoltà, ma non l’obbligo, per gli Stati mem-bri dell’Unione Europea, di applicare la propria normativa antiabuso per contrastare le pratiche abusive. Peraltro, anche in quegli Stati membri dotati di clausole generali antiabuso nel proprio diritto interno, di tecniche equiva-lenti a livello interpretativo, o di clausole di limitazione dei benefici nelle proprie convenzioni internazionali, non si è mai giunti a considerare questo

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impiego della Direttiva come una forma di pratica abusiva. Ciò è probabil-mente dovuto al fatto che la ratio della Direttiva è stata quella di eliminare ogni prelievo alla fonte sui flussi intersocietari di dividendi nell’Unione Eu-ropea, applicando una normativa in generale più favorevole rispetto a quella prevista dalle convenzioni internazionali. Del resto, non deve dimenticarsi che secondo l’orientamento consolidato della Corte di Giustizia dell’Unio-ne Europea non si può parlare di abusivo esercizio del diritto di stabilimen-to quando la società controllata, costituita in uno Stato membro diverso da quello in cui ha sede la propria controllante (o società madre), svolge un’at-tività economica ed è dotata di personale, locali e attrezzature in grado di consentire l’esercizio di tale attività.

Pertanto, si può affermare, che almeno nella prospettiva del diritto del-l’Unione Europea è dubbio che ai fini della qualificazione di una fattispecie di treaty shopping come pratica abusiva sia sufficiente la sola triangolazione del flusso reddituale con l’intervento di una società controllata residente in uno Stato membro diverso da quello in cui risiedono rispettivamente il sog-getto pagatore e la società madre (ultima destinataria del reddito). Per il di-ritto dell’Unione Europea è invece necessario provare la natura abusiva della fattispecie concreta alla luce dei parametri specificamente forniti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, conformi al principio di proporzionalità.

Non riteniamo peraltro che le modifiche apportate alla Direttiva madre-figlia tra il 2014-2015

53 possano mutare questo inquadramento; ciò anche se l’azione 6 del progetto BEPS qualifica il treaty shopping come pratica abu-siva e suggerisce l’adozione di specifiche misure di contrasto, fra cui le clau-sole generali antiabuso e quelle di limitazione dei benefici. Del resto, la vali-dità di queste conclusioni è indirettamente confermata dai dubbi sulla com-patibilità delle clausole LoB con il diritto di stabilimento

54, espressi dalla

53 In particolare, ci si riferisce in questo caso all’inserimento della clausola anti-abuso all’art. 1.2 della Direttiva madre-figlia.

54 Peraltro, si è già avuto modo di esprimere in altra sede che le clausole di limitazione dei benefici si trasformano nella fonte di un ostacolo procedurale o sostanziale al diritto di stabilimento, in quanto aggravano l’esercizio del diritto di stabilimento secondario. Sul pun-to v. PISTONE, Limitation-on-benefits clauses are clearly different from most-favoured-nation clauses: Test claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, in British Tax Review, n. 4, 2007, pp. 363-365. In altra sede si è poi avuto modo di approfondire la questione anche al fine di delineare possibili soluzioni alternative, che riteniamo potrebbero essere adottate in via di integrazione positiva da parte degli Stati membri dell’Unione Europea. V. PISTONE- JULIEN-CANNAS, Can the Derivative Benefits Provision and the Competent Authority Discre-tionary Relief Provision render the OECD-proposed LoB Clause Compatible with EU Funda-

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Commissione Europea nel parere motivato notificato ai Paesi Bassi il 19 novembre 2015

55 subito dopo le conclusioni del vertice del G20 di Antalya. È auspicabile dunque supporre che la continuazione di questa procedura

davanti alla Corte di Giustizia Europea consentirà a quest’ultima, interprete unico del diritto dell’Unione Europea, di pronunciarsi su questi aspetti, af-fermando il primato del diritto dell’Unione Europea sull’esercizio della so-vranità tributaria da parte degli Stati membri anche in relazione alle fatti-specie di elusione fiscale nel contesto post-BEPS.

Il rispetto delle categorie e dei principi del diritto sovranazionale si im-pone su tutto il territorio dell’Unione Europea e pertanto il contrasto del-l’elusione fiscale non può risolversi in un ostacolo sproporzionato, di natura sostanziale o procedurale, all’esercizio del diritto di stabilimento, quale a nostro giudizio è in taluni casi la clausola di limitazione dei benefici; né tan-tomeno esso può subordinare gli obiettivi della Direttiva madre-figlia alla necessità di contrastare l’abuso delle convenzioni internazionali, visto che queste rimangono applicabili all’interno dell’Unione Europea solo quando determinino un trattamento di maggior favore.

4. La pianificazione fiscale aggressiva nell’ottica di una lettura globale dei principi costituzionali in materia tributaria

4.1. La pianificazione fiscale aggressiva e il pluralismo costituzionale

Ci proponiamo ora di analizzare la pianificazione fiscale aggressiva nel prisma dei principi costituzionali, con particolare attenzione all’impatto che tali principi sono in grado di determinare su questo fenomeno e sulle misure che i sistemi tributari si preparano ad adottare in attuazione di quel coordi-namento fiscale internazionale previsto dal progetto BEPS. mental Freedoms?, in LANG-PISTONE-RUST-SCHUCH-STARINGER-STORCK, Base Erosion and Profit Shifting (BEPS): The Proposals To Revise the OECD Model Convention, Vienna, 2016.

DEBELVA-SCORNOS-VAN DEN BERGHEN-VAN BRABAND, LOB Clauses and EU-Law Com-patibility: A Debate Revived by BEPS?, in Intertax, n. 3, 2015, p. 132 ss., in particolare a p. 141, ritengono invece possibile che queste clausole siano compatibili con il diritto dell’U-nione Europea in presenza di uno sgravio discrezionale (discretionary relief limitation-on-benefits clauses) che non prevedesse alcun aggravio procedurale per i contribuenti.

55 http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-15-6006_it.htm. Sul punto v. HERZFELD, EU Strikes Down Treaty LOB Provision – What It Means, posted on January 4, 2016, in http://www.taxnotes.com/imp/18149911, pp. 1-7.

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In linea con la prospettiva del diritto tributario globale che caratterizza questo studio, anche l’analisi dei suddetti profili andrà al di là della configu-razione positiva dei principi all’interno dei singoli ordinamenti, seguendo le dinamiche del cosiddetto pluralismo costituzionale, con particolare atten-zione per quelle che il suddetto fenomeno manifesta all’interno dell’Unione Europea anche grazie alle elaborazioni dottrinali

56. Il pluralismo costituzio-nale offre, infatti, uno schema concettuale in grado di consentire lo sviluppo di un nucleo di valori fondamentali comuni a più Stati, all’interno del quale, poi, ciascun legislatore, tenuto conto delle rispettive norme costituzionali positive, potrà esercitare la propria potestà in materia tributaria. Per questa sua capacità, il pluralismo costituzionale si presta all’analisi del diritto tribu-tario globale e del coordinamento fiscale internazionale che si sta svilup-pando sulla base dei risultati del progetto BEPS e di quello di trasparenza fiscale internazionale. Le conseguenze del pluralismo costituzionale saranno poi applicate in questo scritto ai profili di compatibilità con il diritto del-l’Unione Europea.

In questa sede ci si propone di analizzare in particolare tre aspetti, ossia: i) quelli di natura sostanziale, relativi all’impatto della pianificazione fiscale aggressiva sul carico fiscale, ii) quelli attinenti alle fonti dell’obbligo di con-trastare la pianificazione fiscale aggressiva e, infine, iii) quelli relativi all’in-terpretazione e all’applicazione delle norme tributarie nel contesto del coor-dinamento fiscale globale in funzione di contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva.

4.2. L’impatto della pianificazione fiscale aggressiva sul concorso al sostegno del-la spesa pubblica

In linea di principio riteniamo che la pianificazione fiscale aggressiva im-plichi anzitutto un problema di equità e un’alterazione del concorso al so-stegno della spesa pubblica, sia all’interno del sistema tributario nazionale, sia nei rapporti tra Stati

57. Infatti, determinando effetti di erosione della materia imponibile, essa ri-

56 V. POIARES MADURO, Contrapunctual Law: Europe’s Constitutional Pluralism in Ac-tion, in WALKER (ed.), Sovereignty in Transition, Oxford, 2003, p. 501 ss., e ID., Europe and the Constitution: What if This Is As Good As It Gets?, in WEILER-WIND (eds.), European Con-stitutionalism Beyond the State, Cambridge, 2003, p. 74 ss.

57 DE WILDE, Some Thoughts on Fair Allocation of Corporate Tax in a Globalizing Eco-nomy, in Intertax, n. 5, 2010, p. 281 ss.

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duce il gettito tributario di uno Stato, obbligandolo così a incrementare il prelievo sugli altri soggetti che manifestano capacità contributiva ricollega-bile alla sovranità tributaria di tale Stato

58. Per tali ragioni possiamo affer-mare agevolmente che il contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva si giustifichi da un punto di vista costituzionale sulla base delle stesse esigenze su cui si fonda il contrasto all’elusione fiscale.

La pianificazione fiscale aggressiva determina però un ulteriore fenome-no, opposto a quello testé descritto, per effetto del quale la maggiore com-petitività del sistema tributario di uno Stato consente a quest’ultimo di at-trarre maggiori entrate sotto la propria sovranità tributaria. Non ci si pro-pone di esaminare in questa sede gli aspetti economici di tale fenomeno. Nella prospettiva di analisi del pluralismo costituzionale si vuole, invece, fa-re luce sui limiti entro i quali debba essere consentito al legislatore di uno Stato di predisporre misure che determinano l’effetto di accrescere la com-petitività del proprio sistema tributario anche a scapito della sovranità di quello di altri Paesi.

Se analizzassimo i principi costituzionali positivi di uno Stato in un’ottica isolata, senza cioè tenere presenti le ripercussioni che si determinano sul piano internazionale, la risposta potrebbe essere che quanto maggiore è l’attrazione alla sovranità tributaria per effetto delle misure poste in essere dal legislatore nazionale, tanto migliori sono le sue scelte, ferma restando, ov-viamente, la necessità di ricollegare l’obbligo del pagamento dei tributi a fat-ti che siano ragionevole espressione di una forza economica.

Riteniamo, però, che questa impostazione non sia in grado di cogliere l’essenza della pianificazione fiscale aggressiva; anzi, che essa abbia alimen-tato, negli ultimi anni, una sorta di tolleranza verso questo fenomeno finen-do quasi per giustificarlo anche per via di una superficiale lettura del concet-to di concorrenza e dell’interesse individuale di ciascuno Stato a reperire ri-sorse per la gestione della propria spesa pubblica.

Le perplessità in merito a questa impostazione aumentano ove si consi-derino gli effetti negativi provocati all’interno dell’Unione Europea dal pro-gressivo allargamento dei criteri di collegamento all’imposizione

59 al fine di

58 Tale punto è stato già percepito nella dottrina tributaria italiana da AMATUCCI, op. cit., p. 9.

59 Chiari esempi di questo tipo sono stati gli ampliamenti dei concetti di residenza fi-scale, le exit taxes, l’applicazione di norme sulle società controllate estere anche alle parte-cipazioni detenute da soci privi del requisito del controllo.

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massimizzare l’ambito entro cui si esercita la sovranità tributaria di uno Sta-to. Infatti, pur contribuendo a incrementare il numero delle situazioni in cui sorge la pretesa tributaria di uno Stato, questo fenomeno ha sistematicamente aumentato anche il numero delle situazioni in cui possono determinarsi con-flitti positivi di imposizione, complicando l’esercizio delle libertà fondamen-tali all’interno dell’Unione Europea. In alcuni casi la doppia imposizione giuridica derivante dall’ampliamento dei criteri di collegamento all’imposi-zione è stata considerata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea non risolvibile a livello interpretativo, in quanto emergente dalle disparità esi-stenti tra i vari sistemi nazionali

60. Alla luce di queste considerazioni riteniamo che, da un punto di vista

metodologico, l’impiego di un’analisi isolata della compatibilità costituzio-nale sia di scarsa utilità ogniqualvolta sia necessario verificare gli effetti delle scelte del legislatore sul piano internazionale o affrontare problemi, come quello della pianificazione fiscale aggressiva, la cui soluzione richiede un co-ordinamento tra le sovranità statali.

In particolare, nel caso della pianificazione fiscale aggressiva è possibile che gli interessi dell’operatore economico che si propone di trarre vantaggi dallo sfruttamento delle disparità tra diversi ordinamenti nazionali, e lo Sta-to, che lo attrae alla sua sovranità, convergano, nella misura in cui il primo riduce il proprio carico fiscale e il secondo aumenta il proprio gettito tribu-tario. Questo è chiaramente accaduto nel caso del sistema tributario gibil-terriano censurato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per la siste-matica produzione di vantaggi selettivi a favore di quanti operano in ambito transnazionale. Grazie a questo tipo di manovre i contribuenti di Gibilterra hanno potuto sopportare un carico tributario inferiore e le imprese hanno goduto di una competitività maggiore sul piano internazionale. Questo fe-nomeno è solo una delle tante situazioni in cui occorre analizzare le scelte del legislatore in un’ottica più ampia di quella nazionale.

Le conclusioni del progetto BEPS e l’esigenza avvertita a livello globale, di contrastare la pianificazione fiscale aggressiva provano che i risultati di questi taciti accordi ai danni dell’interesse erariale di un altro Stato non pos-

60 CGUE, 14 novembre 2006, causa C-513/04, Mark Kerckhaert and Bernadette Morres v. Stato Belga, in Racc., 2006, pp. I-10967, ECLI:EU:C:2006:713; 12 febbraio 2009, causa C-67/08, Margarete Block v. Finanzamt Kaufbeuren, in Racc., 2009, pp. I-883, ECLI:EU: C:2009:92; CGUE, 16 luglio 2009, causa C-128/08, Jacques Damseaux v Stato Belga, in Racc., 2009, pp. I-6823, ECLI:EU:C:2009:471.

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sano ormai giustificarsi nel quadro costituzionale entro cui il legislatore può esercitare la potestà normativa.

Si auspica che ulteriori elementi utili alla ricostruzione di questi profili pervengano nell’ambito delle risposte che la Corte di Giustizia Europea po-trà fornire in merito ai casi dei rulings fiscali, che simbolicamente riflettono gli effetti di questa convergenza di interessi – tra le finanze di alcuni Stati membri e la competitività di alcune aziende operanti a livello globale – in un periodo di crisi mondiale che ha portato molti operatori sull’orlo della ban-carotta.

Del resto le conclusioni raggiunte su questo punto valgono, a maggior ragione, nei casi in cui l’effetto dello sfruttamento delle disparità ha causato vantaggi alle sole imprese multinazionali, consentendo a queste ultime di al-terare significativamente il concorso alla spesa pubblica in ciascuno dei Pae-si in cui hanno operato – come, ad esempio, quando, a fronte di un unico pagamento, un soggetto ottiene due deduzioni in Stati diversi.

La concorrenza fiscale internazionale non è di per sé un fenomeno dan-noso, ma può diventare tale, e dobbiamo ritenere che ciò accada sempre nei casi di pianificazione fiscale aggressiva.

Pertanto, a nostro avviso l’esigenza di contrastare gli effetti delle pratiche di pianificazione fiscale aggressiva va, d’ora in poi, intesa come un limite im-posto dal diritto tributario globale all’attività normativa del legislatore; ciò, al fine di realizzare un sistema di controlimiti tra le sovranità tributarie dei vari Stati e perseguire obiettivi di giustizia a livello sia nazionale, sia interna-zionale. In particolare, il suddetto controlimite opera a livello nazionale co-me strumento di equità verticale e orizzontale; mentre, a livello internazio-nale, evita che la pianificazione fiscale aggressiva alteri il concorso alle spese pubbliche del singolo, riducendo, così, il prelievo sulla concreta manifesta-zione di forza economica realizzata da alcuni contribuenti, e, corrisponden-temente aumentando il carico fiscale gravante sugli altri, e producendo ef-fetti di alterazione anche in altri sistemi tributari e più in generale nei rap-porti tra gli Stati. Pur essendo consapevoli del fatto che questa esigenza man-ca, allo stato, di una sua manifestazione positiva all’interno di precetti costi-tuzionali, riteniamo che essa sia intrinseca a quell’esercizio coerente della sovranità tributaria in ambito internazionale, che costituisce il presupposto del nuovo coordinamento tributario internazionale che gli Stati si stanno impegnando a realizzare assorbendo all’interno dei propri sistemi le norme del progetto BEPS.

In quest’ottica si giustifica quindi altresì la necessità di una lettura coor-

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dinata del carico fiscale a livello internazionale e di verificare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione di una norma (quale, ad esempio, quelle sullo sgravio della doppia imposizione economica) anche a livello interna-zionale, se necessario, e – comunque – tenendo conto degli effetti transna-zionali ricollegabili all’applicazione delle singole norme tributarie.

Inoltre, nella medesima ottica si giustifica anche un’interpretazione coor-dinata a livello internazionale di quelle norme tributarie che presentano pos-sibili effetti di pianificazione fiscale aggressiva e l’impiego di risorse per con-sentire l’assistenza mutua tra amministrazioni fiscali.

4.3. La fonte dell’obbligo della pianificazione fiscale aggressiva e l’essenza della sovranità tributaria

Veniamo ora a trattare il secondo punto in precedenza indicato, quello cioè relativo alla fonte giuridica dell’obbligo di contrastare la pianificazione fiscale aggressiva. Ovviamente, la fonte in senso formale di tale obbligo non può che essere la legge. Questa conclusione s’impone in forza del valore pre-minente del principio di legalità nella gran parte degli ordinamenti tributari europeo-continentali, ma anche dei Paesi di diversa tradizione giuridica, che con i primi condividono l’esigenza di assicurare la certezza delle situazioni giuridiche come elemento cardine del sistema tributario.

Da un punto di vista sostanziale non può però negarsi che – con alcune limitate eccezioni

61 – il contenuto delle leggi di contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva, che sono state approvate o sono in corso di approvazione da parte dei Parlamenti nazionali, non sia il frutto di un regolare dibattito in sede parlamentare.

Queste leggi attuano – piuttosto – una sorta di adeguamento della nor-mativa nazionale al cosiddetto “standard fiscale internazionale concordato” (internationally agreed tax standard), anche definito con il termine di “prassi fiscale accettata a livello internazionale” (internationally accepted tax practi-ce)

62. Il rilievo di questo fenomeno si sviluppa in una dimensione non giuri-

61 Si veda ad esempio il caso degli USA e del rifiuto di adottare alcune misure del pro-getto BEPS all´interno del proprio ordinamento federale. Fra questi vi è ad esempio lo strumento multilaterale previsto nell’azione 15 del progetto BEPS.

62 L’utilizzo della formula «internationally agreed tax standard» si radica essenzialmente nel lavoro dell’OCSE (anche tramite il Global Forum) nell’ambito dello scambio di infor-mazioni. In origine si parlava più specificamente di «international standard of transparency and exchange of information». Tuttavia, l’OCSE passa poi a riferirsi allo stesso come «in-

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dica grazie al sostegno politico fornito dal G20 a questa iniziativa, sostegno che tiene conto dell’avvertita esigenza di adottare una risposta globale a un problema globale, e della consapevolezza della validità tecnica degli strumenti predisposti in seno all’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e al forum globale di trasparenza fiscale.

In tale ottica non vi è dubbio che il progetto BEPS e quello di trasparen-za fiscale globale siano da considerare come la fonte di importanti condizio-namenti esterni al contenuto e alla sostanza della sovranità tributaria nazio-nale in ambito internazionale.

La mancanza di un sufficiente dibattito e di una piena consapevolezza da parte della comunità nazionale di uno Stato potrebbe quindi generare rischi di legittimità sul piano costituzionale

63. Questi condizionamenti attengono però ad obiettivi di politica fiscale internazionale particolarmente importan-ti, che non possono più essere conseguiti in via unilaterale o per effetto di un puzzle multiforme di azioni bilaterali da parte di ciascuno Stato (secon-do il cosiddetto piecemeal approach). È infatti proprio questo tipo di approc-cio ad aver predisposto un terreno fertile per la pianificazione fiscale aggres-siva e lo sfruttamento delle disparità tributarie in ambito internazionale.

La necessità per la sovranità tributaria nazionale di trovare una propria dimensione giuridica nella transizione verso le dinamiche globali presenta problematiche che attengono invece al grado di rappresentazione nelle sedi internazionali presso le quali si fissano gli standards internazionali; ciò che si sta verificando anche in molte altre branche del diritto che si stanno gra- ternationally agreed tax standard», facendo forse in qualche modo presagire una prospettiva più ampia, poi estrinsecatasi nel progetto BEPS. Nel 2011 l’OCSE si definisce come «mar-ket leader(s) in developing tax standards and guidelines» (v. OCSE, Current Tax Agenda, 2011, p. 74). Spunti interessanti sul ruolo dell’OCSE come organizzazione tributaria in-ternazionale in pectore si possono trovare in CHRISTIANS, Taxation in a Time of Crisis: Policy Leadership from the OECD to the G20, in Northwestern Journal of Law and Social Policy, n. 5, 2010, pp. 45. A nostro giudizio, i fatti relativi agli sviluppi verificatisi nel corso degli ul-timi anni dimostrano, per un verso, la necessità di un esercizio coordinato della sovranità tributaria a livello internazionale e, per altro, verso l’importanza assunta dall’OCSE in tale contesto. Quest’ultimo rilievo non fa venire meno la necessità di consentire che il coordi-namento tributario internazionale si sviluppi in modo da riflettere la legittimità dei conte-sti internazionali in cui lo stesso si realizza. V. a questo riguardo I. MOSQUERA, Legitimacy and the Making of International Tax Law: The Challenges of Multilateralism, in World Tax Journal, n. 3, 2015, IBFD Online Journals.

63 A questo riguardo si tenga conto in particolare della seconda delle tre dimensioni del costituzionalismo indicate da POIARES MADURO, in AVBELJ-KOMÁREK (a cura di), Four Vi-sions of Constitutional Pluralism, in EUI, Working Paper Law n. 21, 2008, p. 5.

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dualmente spostando verso le logiche del diritto globale e del multilaterali-smo, come ad esempio anche il diritto ambientale

64. In quest’ottica occorre quindi sottolineare che tanto il contrasto al surri-

scaldamento del nostro pianeta, come la necessità del coordinamento fisca-le globale rappresentano espressioni di un problema simile da un punto di vista strutturale, la cui soluzione può essere efficace solo se attuata a livello globale

65. A tali condizioni, e nella misura in cui siano salvaguardati almeno gli

aspetti formali del principio di legalità, l’esistenza di condizionamenti so-stanziali alla sovranità tributaria rappresenta pertanto un risultato inerente alle nuove esigenze cui il prelievo tributario deve fare fronte in un’economia globalizzata. Tuttavia, non si possono sottacere i rischi di violazione dei principi costituzionali che si possono determinare per una comunità nazio-nale nella misura in cui l’obbligazione di realizzare il coordinamento fiscale internazionale porti alla passiva adozione dei risultati del lavoro dei comitati tecnici che hanno predisposto le misure nell’ambito del progetto BEPS e di quello di trasparenza fiscale.

Tali rischi non vengono meno per effetto del solo fatto che ai gruppi di lavoro da cui sono scaturite queste misure hanno partecipato anche orga-nizzazioni non governative, internazionali o altri organismi privati. In con-formità con i valori del costituzionalismo, in precedenza indicati, rileva in-vece la trasparenza e la partecipazione dei rappresentanti degli Stati in seno a questi gruppi di lavoro, così come la possibilità di manifestare critiche e contribuire a modificare quegli aspetti che non sono compatibili con i valori fondamentali di una determinata comunità nazionale. In questo modo, è pos-sibile a ciascuna comunità nazionale rappresentata esercitare, almeno in for-ma lata, una partecipazione alle misure che produrranno effetti vincolanti in seguito alla promulgazione delle conseguenti leggi nazionali.

Ancora una volta può essere utile esaminare la questione in relazione a un esempio concreto. In particolare, può essere utile prendere in considera-zione i profili relativi alle obbligazioni di comunicazione di dati, che il pro-getto BEPS impone alle imprese multinazionali, al fine di assicurare un effi-cace controllo da parte delle autorità tributarie nazionali e prevenire rischi di pianificazione fiscale aggressiva ed elusione fiscale.

64 Si veda AA.VV., Trattato di diritto dell’ambiente. Principi generali, a cura di Dell’Anno-Picozza, Padova, 2012.

65 In materia ambientale, si permetta di richiamare a questo riguardo, BILBAO ESTRADA-PISTONE, Global CO2 Taxes, in Intertax, n. 1, 2013, pp. 2-14.

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La tutela della confidenzialità dei dati e delle informazioni, anche in rela-zione alle imprese, rappresenta un valore di pluralismo costituzionale parti-colarmente importante per alcuni Paesi, come ad esempio Austria, Belgio, Lussemburgo, Svizzera e Uruguay, ma anche rilevante per i primi tre nella prospettiva della Carta Europea dei Diritti Fondamentali

66 e per i primi quat-tro in quella della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. In quest’ot-tica la partecipazione dei rappresentanti di questi Paesi è dunque uno stru-mento importante per assicurare il rispetto dei valori del pluralismo costitu-zionale. Questo però non si è verificato nel caso del progetto di trasparenza fiscale globale, almeno nella sua fase iniziale, determinando così effetti di possibile violazione dei profili costituzionali in questi Paesi, che hanno così dovuto adeguarsi alle istanze imposte nei loro confronti dal resto del mondo.

Il rischio di violazioni dei principi costituzionali, derivante dalla imposi-zione dei risultati dell’azione dei comitati tecnici, rappresenta un problema generale ricollegabile alla necessità di predisporre soluzioni a problemi di estrema complessità, quali quelli relativi al coordinamento fiscale globale.

In tale contesto è importante evitare forme di tecnocrazia, per loro natu-ra non conformi ai valori universalmente riconosciuti della democrazia e a quelli imposti dalla sostanza del principio di legalità. Va, però, evitato altresì il rischio di un fenomeno che potremmo definire come colonialismo giuri-dico in materia tributaria. L’essenza di tale fenomeno sta nel pericolo che alcuni Stati impongano ad altri quelle soluzioni che meglio rispondano ai loro interessi di politica fiscale internazionale, giustificandole – almeno for-malmente – sulla base di ragioni meritevoli, come quella del contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva.

Queste considerazioni ci consentono di affermare che i valori espressi dal pluralismo costituzionale stabiliscono un limite all’applicazione dei risultati del progetto BEPS e di quello di trasparenza fiscale nei Paesi che non abbia-no avuto modo di rappresentare la propria posizione nella elaborazione di tali progetti

67. Il problema si pone, in particolare, per l’applicazione dei ri-sultati del progetto BEPS nei Paesi in via di sviluppo, specialmente nella mi-sura in cui il suddetto progetto possa incidere sul diritto di questi Paesi ad applicare norme di incentivazione per sostenere il proprio sviluppo econo-

66 V. in particolare l’art. 8 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. 67 Questi temi sono analizzati con attenzione da MOSQUERA, Legitimacy and the Making

of International Tax Law: The Challenges of Multilateralism, in World Tax Journal, n. 3, 2015, IBFD Online Journals.

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mico. Pertanto, sarà opportuno stabilire un dialogo con questi Paesi nelle sedi internazionali adeguate, fra cui, in particolare, la task force dell’OCSE sull’imposizione e lo sviluppo (Task Force on Tax and Development), per ade-guare gli opportuni correttivi al progetto BEPS, sia a livello di normativa in-terna, sia di quella convenzionale, perché risulti adeguato anche alle diverse realtà di questi Paesi.

4.4. L’interpretazione e l’applicazione delle norme tributarie nel contesto del coordinamento fiscale internazionale

Non riteniamo che ai fini dell’interpretazione delle norme tributarie che attuano il progetto BEPS all’interno dei singoli sistemi tributari si debba ri-conoscere ai rapporti finali del medesimo progetto un valore maggiore di quello che può essere ricavato dalla ponderazione a livello tecnico del loro contenuto. Quei rapporti spiegano il modo in cui si attuano le pratiche di pianificazione fiscale aggressiva, gli effetti negativi che le stesse determinano e prospettano soluzioni che gli Stati adottano. Non sono, però, lavori prepa-ratori in senso stretto, ma solo studi tecnici di carattere preliminare.

In quest’ottica, affermare che una determinata interpretazione sia con-forme al rapporto BEPS è un argomento di pregio puramente tecnico in sede interpretativa, ma non impone al singolo Stato un vincolo giuridico di ade-guamento.

Una diversa conclusione potrebbe soltanto raggiungersi nella misura in cui i contenuti del rapporto BEPS fossero esplicitamente accettati dal legi-slatore nazionale, ovvero imposta a livello interpretativo per effetto di sen-tenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che attribuissero alle suddette fonti un valore giuridico vincolante (in forza del primato del dirit-to dell’Unione Europea su quello degli Stati membri)

68. Al di là di questi casi, l’esigenza di interpretare le norme di contrasto alla

pianificazione fiscale aggressiva in modo internazionalmente coerente rap-presenta comunque a nostro giudizio un importante elemento, affinché lo sviluppo del diritto tributario globale possa conseguire gli obiettivi che gli Stati si sono prefissati nel momento in cui hanno accettato di realizzare il

68 È noto che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha riconosciuto al Modello OCSE un valore dichiarativo della prassi internazionalmente riconosciuta. V. fra i tanti CGUE, sent. 14 febbraio 1995, Finanzamt Köln-Altstadt/Schumacker (C-279/93, in Racc., 1995, pp. I-225) ECLI:EU:C:1995:31, par. 32; sent. 12 maggio 1998, Gilly/Directeur des services fiscaux du Bas-Rhin (C-336/96, in Racc., 1998, pp. I-2793) ECLI:EU:C:1998:221, par. 31.

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coordinamento fiscale internazionale. Questa esigenza di coerenza va intesa sia nel senso di sviluppare una comune interpretazione tra gli Stati, sia in quello di tenere conto del modo in cui le norme di due Stati interagiscono, onde assicurare che la coerenza del trattamento fiscale transnazionale rea-lizzi il proprio obiettivo di contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva.

In tale ottica si determinano due importanti corollari ai fini dell’interpre-tazione e applicazione della norma a livello transnazionale.

In primo luogo, la coerenza può in alcuni casi condizionare il contenuto di una norma, ponendo, come ad esempio accade nel caso delle fattispecie ibride, un obbligo di adeguamento alla qualificazione ai fini fiscali prospetta-ta dall’ordinamento di un altro Stato. In tali casi non vi è a nostro giudizio alcuna violazione del principio di legalità del tributo, in quanto la presuppo-sizione del principio del mutuo riconoscimento, applicabile in questo con-testo, è insita nell’obbligo assunto da uno Stato di contrastare la pianifica-zione fiscale internazionale. Né si può ritenere che occorra alcuna alterazio-ne nei rapporti tra due o più ordinamenti tributari, tenuto anche conto della possibilità di raggiungere un equilibrio a livello di reciprocità internazionale.

In secondo luogo, per effetto della suddetta coerenza, uno Stato può es-sere obbligato a concedere o non concedere un determinato trattamento fiscale, come ad esempio una deduzione o esenzione, tenuto conto di ciò che è accaduto nell’altro Stato coinvolto. In questo modo, infatti, è possibile evitare che dallo sfruttamento delle disparità a livello transnazionale possa conseguire un effetto di doppia non imposizione involontaria.

Tale adeguamento conseguente alla necessità di preservare la coerenza nel trattamento fiscale transnazionale di una determinata fattispecie potreb-be a sua volta determinare un trattamento diverso rispetto alle fattispecie puramente interne. In tale contesto ci si potrebbe chiedere se si verifica una violazione del principio di eguaglianza davanti alla legge, e del principio di capacità contributiva, inteso nell’accezione più ampia che allo stesso viene ri-conosciuta in norme quali l’art. 53 della Costituzione italiana ovvero, in mi-sura minore, di quello di capacidad económica dell’art. 31 della Costituzione spagnola.

Tuttavia, il diverso modo in cui si atteggia il collegamento all’imposizio-ne nei confronti di queste fattispecie giustifica altresì la loro diversità rispet-to alle fattispecie interne e l’esigenza di preservarne l’uniformità di tratta-mento in sede transnazionale, sì da evitare che lo sfruttamento delle dispari-tà consenta di ottenere vantaggi fiscali che i due Stati altrimenti non aveva-no inteso concedere.

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Implicitamente si determina in questo modo un condizionamento al con-tenuto del principio di capacità contributiva, che può giustificare la riduzio-ne o aumento del prelievo fiscale in uno Stato in funzione dell’avvenuto o mancato pagamento in un altro Stato. A prima vista questo fenomeno po-trebbe sembrare nuovo, ma in realtà esso è già noto alla gran parte degli or-dinamenti. Infatti, l’esigenza di contrastare i fenomeni di doppia imposizio-ne internazionale giustifica l’esenzione o il credito per le imposte estere – ri-spettivamente, non esercitando la potestà impositiva sul reddito di fonte e-stera, o riducendo il prelievo nello Stato di residenza in misura corrispon-dente ai tributi pagati a titolo definitivo nello Stato della fonte. Se, dunque, ciò accade per il fenomeno della doppia imposizione internazionale, non si vedono ragioni per cui non possa accadere anche per il suo opposto, ossia per i casi di doppia non imposizione internazionale, a maggior ragione in pre-senza di un obiettivo di coordinamento fiscale internazionale che rappresenta oggetto di un accordo specificamente assunto dal legislatore nazionale per l’effettivo contrasto alla pianificazione fiscale internazionale.

5. Conclusioni

La pianificazione fiscale aggressiva è un nuovo fenomeno giuridico in materia tributaria, che si presenta esclusivamente in ambito transnazionale e i cui elementi essenziali sono solo parzialmente coincidenti con quelle di al-tre forme di risparmio tributario non tollerato dagli ordinamenti giuridici. In particolare, essa scaturisce dallo sfruttamento delle disparità fiscali tra i singoli ordinamenti tributari e realizza un disallineamento tra la produzione della ricchezza imponibile e l’esercizio della sovranità impositiva al fine di ot-tenere vantaggi fiscali che gli Stati non avrebbero altrimenti inteso concedere.

L’esigenza di un trattamento fiscale coerente a livello internazionale ha spinto gli Stati a realizzare un coordinamento fiscale internazionale che non ha precedenti nella storia del diritto tributario, nemmeno all’interno dell’U-nione Europea. Questo contesto presuppone un ravvicinamento anche a li-vello interpretativo e applicativo nello studio delle relative categorie tributa-rie, anche a cavallo dei diversi ordinamenti e del pensiero dottrinale, e un superamento delle diversità emergenti dal dato positivo dei suddetti ordi-namenti; il tutto nell’ottica dello sviluppo di categorie concettuali di diritto tributario globale, che poi vengono restituite ai singoli sistemi tributari ai fi-ni dell’applicazione delle singole norme.

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In questa nuova dimensione di coordinamento fiscale internazionale la sfida per il diritto tributario globale è dunque quella di sviluppare categorie giuridiche concettuali comuni ai vari ordinamenti tributari per opporre una reazione a quei fenomeni, come la pianificazione fiscale aggressiva, che nel corso degli ultimi anni hanno sottratto risorse finanziarie ingenti ai bilanci degli Stati.

Lo studio di queste problematiche si presenta complesso, poiché presup-pone il superamento della sola dimensione positiva delle norme di un singo-lo ordinamento tributario, tenendo conto del modo in cui le stesse possono interagire con quelle degli altri sistemi nel perseguire l’obiettivo comune del contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva.

Riteniamo però che questa sfida per il diritto tributario globale sia l’unico modo per salvaguardare l’essenza della sovranità tributaria degli Stati, assi-curando l’equità del trattamento fiscale, la giusta ripartizione del carico tra i contribuenti e il concorso di ciascuno al sostegno della spesa pubblica in ra-gione della propria effettiva forza economica, dunque della propria capacità contributiva.

Quattro sono a nostro giudizio le sfide per il diritto tributario globale nell’ambito del contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva.

In primo luogo, l’attuazione del progetto BEPS deve realizzarsi in modo omogeneo a livello globale. Solo in questo modo è possibile conseguire quel-la coerenza transnazionale nel trattamento fiscale che giustifica il coordina-mento delle sovranità tributarie a livello globale e che è indispensabile al fi-ne della realizzazione dell’obiettivo finale dell’holistic approach. I principali fattori di rischio in grado di impedire il raggiungimento di questo obiettivo sono a nostro giudizio la notevole incertezza giuridica che tuttora circonda l’attuazione di questo progetto e delle sue categorie, l’atteggiamento degli Stati che cercano di mantenere vantaggi competitivi in modo non trasparen-te, e il tentativo di utilizzare le reazioni ai fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva ed elusione fiscale per perseguire in forma occulta obiettivi di pro-tezionismo fiscale internazionale

69. La seconda sfida è di contrastare la pianificazione fiscale aggressiva e at-

tuare il progetto BEPS all’interno dell’Unione Europea nel pieno rispetto del primato del diritto sovranazionale dell’Unione Europea e dei principi che

69 Su questi aspetti v. amplius PISTONE, BEPS, Capital Export Neutrality and the Risk of Hidden Tax Protectionism. Selected Remarks from an EU Perspective, in DANON (ed.), BEPS: The Outcome, Schulthess, Basilea, 2016.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 438

tale ordinamento giuridico esprime. Il primato del diritto dell’Unione Eu-ropea è fonte di obblighi giuridici vincolanti che gli Stati membri devono ri-spettare.

Purtuttavia, sono rinvenibili vari segnali, sia da parte degli Stati membri, sia in seno alla Commissione Europea, di una sottovalutazione delle conse-guenze che tale primato determina a livello interpretativo.

È incoraggiante la posizione presa dalla Commissione Europea in merito alle clausole di limitazione di beneficio. È invece discutibile la confusione concettuale che la Commissione Europea manifesta in merito alle diverse forme di pianificazione fiscale aggressiva (che riguarda situazioni in cui emer-gono problemi di tutela dell’adeguata ripartizione della potestà impositiva) ed elusione fiscale (che riguarda le pratiche abusive), nonché la tolleranza di possibili reazioni sproporzionate con l’applicazione di misura in modo tale da impedire nelle singole fattispecie il riscontro della natura genuina delle stesse. I suddetti problemi sorgono in particolare per l’applicazione di misu-re compensative, quali la legislazione CFC e le clausole di tipo subject-to-tax e switchover.

La terza sfida è quella della totale assenza della dimensione della prote-zione globale dei diritti del contribuente. Se i problemi globali richiedono risposte globali, allora anche i problemi dei contribuenti e dell’effettiva e tem-pestiva difesa di questi diritti non possono rimanere confinati a livello na-zionale. Come già affermato in altra sede

70, nel momento in cui i poteri del-le amministrazioni tributarie si estendono al di là dei confini nazionali per ricercare un approccio globale di contrasto alla pianificazione fiscale inter-nazionale, è importante che vi sia altresì una dimensione globale dei diritti dei contribuenti, che segua anch’essa standards minimi e migliori pratiche e consenta a questi ultimi di ottenere giustizia in tempi ragionevoli e nel con-tempo di sorvegliare che gli standards stabiliti dalle autorità fiscali realizzino un temperamento tra la tutela dell’interesse erariale e i diritti fondamentali delle persone.

La quarta e ultima sfida è quella della legittimità globale del coordina-mento fiscale internazionale. Si presenta per un verso rispetto ai Parlamenti nazionali degli Stati che hanno partecipato a elaborarne le misure e per altro verso, in modo molto più accentuato, per i restanti Stati. Mentre i primi si trovano di fronte alla scelta di dare il loro sostegno nell’ambito del fenome-

70 V. BAKER-PISTONE, The Practical Protection of Taxpayers’Rights. General Report, IFA Congress, vol. 100B, 2015, p. 21.

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no di multilateralismo di cui il coordinamento fiscale internazionale è espres-sione, i secondi devono fronteggiare una nuova forma di colonialismo giuri-dico, che non può però privarli dell’essenza della propria sovranità e del di-ritto di rimanere padroni delle proprie scelte di politica e legislazione tribu-taria nel contesto internazionale.

È, questa, forse la più importante sfida per evitare che il pur desiderabile contrasto globale alla pianificazione fiscale aggressiva finisca per rappresen-tare uno strumento con cui alcuni Stati impongono le loro dinamiche e poli-tiche a tutto il resto del mondo, senza che vi sia una eguale partecipazione a determinare il contenuto del nuovo ordine tributario globale.

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Gaetano Ragucci

L’ETICA DEL LEGISLATORE TRIBUTARIO E LA CERTEZZA DEL DIRITTO *

THE ETHICS OF TAX LAW AND THE PRINCIPLE OF LEGAL CERTAINTY

Abstract Separata da implicazioni di carattere etico, la certezza del diritto riguarda soprat-tutto la vigenza, la durata e il significato della legge. Tuttavia, applicata agli esiti dell’interpretazione, rivela nuove e più ampie implicazioni in tema di separazione tra politica e diritto, e di efficacia della legge. Vengono quindi esaminati alcuni orientamenti della giurisprudenza italiana che ne evidenziano la portata, a cui se-guono osservazioni conclusive sugli strumenti che possono correggerne gli effetti negativi. Parole chiave: diritto, certezza, interpretazione, politica della legalità, efficienza Separated from ethical implications, legal certainty regards, especially, the validity, duration and meaning of law. Nevertheless, applied to the outcome of interpretation, it reveals new and broader implications regarding the separation between politics and law, and the effectiveness of legal provisions. The essay analyses certain approaches followed by Italian tax courts that highlight the scope, followed by concluding remarks on the measures that may correct the negative effects. Keywords: law, certainty, interpretation, policy of legality, effectiveness

* Testo della relazione letta al Convegno “Etica fiscale e Fisco etico”, organizzato in oc-casione del XXXIII Congresso nazionale dell’ANTI – Associazione Nazionale dei Tributa-risti Italiani, in Ancona il 9 ottobre 2015, con note aggiunte.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 442

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Le opzioni teoriche. – 3. Due esempi: la prevalenza del diritto europeo sul giudicato; le sentenze della Corte costituzionale che dispongono pro futuro. – 4. L’abuso del diritto. – 5. Conclusioni.

1. Premessa

Il titolo della relazione che mi è stata affidata rende opportuno delimi-tarne, e, data l’ampiezza, meglio sarebbe dire limitarne, l’oggetto.

Si parla di etica, che intenderò non nel senso di comportamento abituale bensì di scienza di tale comportamento, dunque come sinonimo di morale. Si propone il binomio legge e diritto, che vorrei considerare dal comune punto di vista dell’interpretazione.

Del resto, quando si pensa alla moralità della legge – e qui mi riferisco al-la legge in senso formale, lasciando per ora da parte la trama di principi e va-lori di cui l’interpretazione si alimenta – occorre tenere presente che essa soccombe all’obiettivo di un’azione amministrativa efficiente. Chi chiama altri a obbedire al comando legale, lo assolve nello stesso tempo da ogni li-bero esame, e dalle responsabilità morali conseguenti. È come se lo Stato prendesse su di sé le colpe per trasformarle in azione efficace, o, se non effi-cace, inevitabile

1. Né potrebbe essere altrimenti, perché se così non fosse la “macchina” statale cesserebbe di funzionare.

Sposterò allora l’attenzione sul diritto, inteso come l’insieme di norme coattive che è il prodotto dell’interpretazione. E partirò dall’idea che alla domanda di giustizia a cui l’interprete cerca di rispondere è sempre presup-posta una particolare concezione del fenomeno giuridico. Diversi sono i fon-damenti che possono sostenerla – la natura dell’uomo, l’accordo o l’utilità della maggioranza dei consociati – e a ciascuno di essi corrisponde un mo-dello metodologico dell’interpretazione

2, nel quale il ruolo dell’etica può va-riare anche di molto.

Cercherò di indicare le principali opzioni teoriche che si offrono all’in-terprete, ma il punto che vorrei evidenziare subito è che vi sono concezioni

1 CHIAROMONTE, Lo stato senza ragione, in FEDELE (a cura di), Le verità inutili, Napoli, 2001, p. 49.

2 MODUGNO, Una lezione sulla metodologia giuridica, in http://host.uniroma3.it/centri/ crispel/UNA%20LEZIONE%20SULLA%20METODOLOGIA%20GIURIDICA.pdf, p. 1.

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Gaetano Ragucci 443

nelle quali l’etica non ha un ruolo. Per esempio, quelle fondate sulla convin-zione che, di fronte a un ordinamento che persegue fini di efficienza, l’indi-viduo è a sua volta guidato dall’interesse personale, e non da un’idea di virtù che la legge non riflette

3. Eppure non è detto che in queste concezioni la certezza del diritto cessi di avere rilevanza, anzi. Si potrebbe allora comin-ciare con il dire che tra morale e certezza del diritto non c’è un legame logi-co necessario: ed è questo uno dei risultati a cui conduce la riflessione sul tema che mi accingo a svolgere.

Ma il rapporto tra morale e certezza del diritto va precisato nell’ambito della teoria dell’interpretazione, intesa come attribuzione di un significato (la norma) a un enunciato legislativo. Perciò, occorre considerare che essa non dipende solo dall’applicazione di tecniche appropriate, ma in un certo modo anche dai dogmi e dai valori accolti dall’interprete. E può accadere che la norma ricavata per via di interpretazione contrasti con un’idea di giu-stizia. Qui è la fonte di una tensione caratteristica, che è stata all’origine di una significativa evoluzione del concetto di certezza del diritto

4. Anche que-sto aspetto merita di essere evidenziato, perché offre la chiave di uno dei fat-tori di crisi della teoria giuridica dell’imposta di fronte alla quale tutti ci mi-suriamo.

3 Con il processo di globalizzazione la dimensione etica del diritto tributario entra in crisi. Da un lato, «lo slittamento della sovranità dello Stato ad una pluralità di entità terri-toriali ha determinato una profonda trasformazione della concezione etica del sistema tri-butario, in quanto rispetto a una pluralità di ordinamenti fiscali non è più possibile rilevare la presenza di una o più forze materiali e politiche che siano in grado di imporsi in maniera preponderante sulle scelte normative» (BORIA, Diritto tributario europeo, Milano, 2015, p. 23). Dall’altro, si osserva che: «... nonostante la globalizzazione, la crisi dell’imposta per-sonale e la diffusa evasione, il tributo – se costruito secondo lo schema costituzionale so-pra delineato, con riferimento a validi presupposti e se applicato con tecniche moderne ed efficienti – rappresenta ancora uno dei più importanti strumenti di redistribuzione della ricchezza e di riduzione delle disuguaglianze economiche e sociali, oltre che di stimolo del-la domanda, che gli stati hanno a disposizione senza dover necessariamente aumentare il debito» (GALLO, La funzione del tributo ovvero l’etica delle tasse, in Riv. trim. dir. pubbl., 2009, p. 399 ss.). Efficienza dell’amministrazione e funzione redistributiva suppliscono al tramonto del dovere di solidarietà, in cui si sostanzia la dimensione costituzionale del tributo.

4 Nella sua formulazione tradizionale (vi torneremo), certezza del diritto è certezza della vigenza, della durata, della sufficienza e del significato della regola, con possibili corol-lari anche sulle qualità dei comportamenti regolati (ALLORIO, La certezza del diritto dell’e-conomia, in Dir. econ., 1956, pp. 8-9 dell’estratto). L’accesso a fonti extralegali per risolvere l’antinomia tra regola certa e regola giusta la riduce alla conoscibilità e prevedibilità del di-ritto soggettivo, fondato sulla norma generale (CORSALE, Il problema della certezza del diritto in Italia dopo il 1950, in LOPEZ DE ONATE, La certezza del diritto, Milano, 1968, pp. 307-308).

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Dunque, per svolgere il tema proporrò (senza alcuna pretesa di comple-tezza, e ben consapevole della sommarietà dei riferimenti a cui mi capiterà di ricorrere) alcune riflessioni focalizzate sul diritto tributario. E mi limiterò a indicare: a) le opzioni teoriche implicate dal tema della certezza; b) due esempi: la prevalenza del diritto europeo sul giudicato tributario interno, e le sentenze di accoglimento delle questioni di costituzionalità che dispon-gono pro futuro; c) il divieto di abuso. Seguiranno d) le conclusioni, dirette a conferire per quanto possibile un senso compiuto a quanto mi accingo a il-lustrare.

2. Le opzioni teoriche

La teorizzazione della certezza come «specifica eticità del diritto» 5 risa-

le alla fase degli studi seguita al doppio evento bellico che ha occupato la prima metà del secolo scorso, ed è il risultato della proposta di restaurazione per via legislativa del diritto di natura, come rimedio alle degenerazioni pro-vocate dall’avvento dello Stato totalitario. La difficoltà, nell’attuale stato di cose, di impostare il tema in questi termini è stata ben espressa nel saggio di Massimo Corsale a commento dell’opera di Lopez de Oñate, che di quell’e-poca fu tra le espressioni più note: «troppo decisivi sono ormai i risultati che in più di mezzo secolo – l’osservazione risale agli ultimi anni ’60 – di cri-tica al concettualismo e al positivismo legalistico sono stati raggiunti, per non respingere la pretesa che la legge possa esaurire il campo delle fonti di produzione giuridica»

6. Il punto di svolta si è avuto con l’acquisizione che il nodo principale del

problema è il rapporto della regola di diritto non tanto con un ideale di giu-stizia, quanto piuttosto con il giudizio che si compie nel processo, inteso come espressione culminante dell’esperienza giuridica. Con ciò, il problema si è spostato sul piano dell’interpretazione, e sull’incidenza di elementi ex-tralegali nella formazione del giudizio. Si è così fatta strada l’idea che la cer-tezza del diritto sia recuperabile nella rispondenza della sentenza alla realtà sociale, concepita come deposito di valori normativi, di attese e convinzioni della coscienza comune, capaci di disciplinare l’apporto creativo dell’inter-prete. Quindi, essa non è più attributo della legge, ma coincide con la cono-

5 LOPEZ DE OÑATE, op. cit., p. 156 ss. 6 CORSALE, op. cit., p. 308.

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Gaetano Ragucci 445

scibilità e prevedibilità del diritto della parte che lo invoca, che l’interpreta-zione opportunamente orientata è in grado di assicurare

7. Seguendo questa via, si può anche arrivare a ridurre la certezza a valore “debole”, subordinato a istanze sociali ed economiche sempre in grado di imporsi attraverso la com-posizione dei conflitti che si attua nel processo

8. Immediata l’obiezione, non altrettanto l’individuazione di un’alternativa

appagante. È cioè subito evidente che codesta stabilità di riferimenti è il prodotto – ricorro a espressioni dell’Allorio, che di quell’epoca fu testimone – di un «ambiente socialmente e civilmente maturo», perché estraneo a dif-fuse avversioni al cambiamento, come a spinte al sovvertimento sociale

9. Che così non fosse poteva forse temersi allora; oggi, il pensiero è a una so-cietà “liquida” esente da quelle tensioni, che vede aumentare si può dire ogni giorno la propria capacità di azione, ma nello stesso tempo anche la pro-pria fragilità a fronte di dinamiche che la sovrastano. Difficile attendersi da questa realtà fondamentalmente instabile la promessa certezza della regola di diritto. Quale, allora, la soluzione?

L’interrogativo è di quelli che non consentono risposte univoche. È per-ciò utile rievocare sia pure per sommi capi i principali approcci, tra i molti e molto articolati che sono stati proposti. L’idea è che l’ordinamento assicuri la certezza del diritto, pur declinata in termini di mera prevedibilità delle con-dotte dei decisori, quando produce effetti equivalenti a quelli prescritti dalla dottrina che la riferisce alla regola giuridica. E che quando la qualità delle leggi non assicuri questo risultato, sopperiscono la consapevolezza della di-mensione politica dell’interpretazione giuridica, e l’opzione per un ordina-mento giuridico efficiente.

a) Nella prospettiva alloriana, non è in discussione che il fondamento della certezza del diritto stia nella struttura morale della società, nella quale il di-ritto è chiamato a operare

10. È però necessario che essa sia declinata a ogni livello dell’esperienza giuridica, e perciò come certezza della vigenza della re-gola, attraverso il rifiuto di dottrine che legittimino la disapplicazione della legge in nome di un principio di giustizia che non abbia trovato riconosci-

7 GIANFORMAGGIO, (voce) Certezza del diritto, in Dig. IV, disc. priv., sez. civ., II, 1988, p. 275; CORSALE, op. cit.

8 GROSSI, Sulla odierna “incertezza” del diritto, in Giust. civ., 2014, IV, p. 4 ss., ora in Ri-torno al diritto, Bari, 2015, p. 85.

9 ALLORIO, La certezza del diritto dell’economia, cit., p. 10. 10 ALLORIO, La certezza del diritto dell’economia, cit., p. 11.

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mento in essa; come certezza della durata della regola, attraverso l’espunzio-ne dall’ordinamento di norme rigide, e di clausole di retroattività; infine, come certezza della sufficienza e del significato della regola.

Quest’ultimo requisito implica una ferma censura delle tecniche di inter-pretazione funzionale, progressiva e correttiva

11, che sin dagli anni ’70 dello scorso secolo si sono venute affermando sulla scia delle dottrine che conce-piscono la certezza del diritto come rispondenza ai principi e valori accolti dalla società

12. Oggi il problema si pone principalmente per l’interpretazio-ne secundum constitutionem compiuta dal giudice comune.

Quando abbia a oggetto regole di rango diverso, v’è uno stretto legame tra gli argomenti sistematico e teleologico

13, che l’opzione positivistica non rifiuta a priori

14. Un’interpretazione di questo tipo è eseguita dalla Corte costituzio-nale nella fase accentrata del controllo di costituzionalità, al fine di conformare il diritto vivente al vincolo costituzionale, o, in mancanza di diritto vivente, per conformarvi indirizzi interpretativi in via di composizione. Ed è eseguita anche dal giudice remittente nella fase diffusa del controllo, in cui egli valuta la non manifesta infondatezza della questione, se ne è il caso anche in contrasto con il diritto vivente. Il fatto è, però, che talvolta i giudici ricorrono all’interpretazio-ne adeguatrice anche senza sollevare la questione di costituzionalità

15, ed è qui

11 ALLORIO, La certezza del diritto dell’economia, cit., pp. 8-9. Per l’unificazione dei re-quisiti della certezza di sufficienza e significato della regola, che Allorio tiene distinti rife-rendoli (il primo) ai caratteri della regola, e (il secondo) alle tecniche di interpretazione: LONGO, (voce) Certezza del diritto, in Noviss. dig. it., III, 1956, p. 126.

12 DENTI, Sistematica e post-sistematica nella evoluzione delle dottrine del processo, in AA.VV., La sistematica giuridica. Storia, teoria e problemi attuali, Firenze, 1991, p. 85 ss.

13 VELLUZZI, Le preleggi e l’interpretazione. Un’introduzione critica, 2013, p. 49 ss. 14 L’argomento dogmatico non ha infatti una validità assoluta, nel senso che non legitti-

ma alcun esito interpretativo che ripugni al comune senso di giustizia. L’obiezione che viene da una norma ingiusta va però risolta in primo luogo attraverso il ricorso alla ragione, met-tendo in discussione i risultati delle precedenti ricerche, e facendoli progredire verso nuove e più moderne acquisizioni. Se il tentativo fallisce, per individuare il rimedio è allora il caso di risalire ai pertinenti principi sovraordinati (ALLORIO, Saggio introduttivo al Commentario del codice di procedura civile, Torino, 1980, p. LXIX). Sull’interpretazione della legge tributaria: ALLORIO, Diritto processuale tributario, 3, Torino, 1962, pp. 55-56. Sul rifiuto opposto da Al-lorio all’interpretazione funzionale, da ultimo: FALSITTA, Convergenze e divergenze fra Enrico Allorio e Benvenuto Griziotti nella ricostruzione del fenomeno tributario, in RAGUCCI (a cura di), Il Contributo di Enrico Allorio allo studio del diritto tributario, Atti del Convegno tenutosi pres-so l’Università degli Studi di Milano il 12 giugno 2015, Milano, 2015, pp. 28-31.

15 «La necessità dell’interpretazione “adeguatrice” alla Costituzione deriva dalla fun-zione di parametro di legittimità costituzionale attribuito a tutte le norme costituzionali: ogni risultato del processo interpretativo che appaia in contrasto con principi e norme diret-

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che l’opzione genera criticità sul versante della certezza del diritto. In questi casi, l’interpretazione costituzionalmente orientata si espone a

critica per i dubbi che può generare sulla sufficienza e sul significato della regola, e perché vanifica l’affidamento dei cittadini nella sicurezza delle po-sizioni giuridiche di vantaggio, che il diritto vivente riconosce e protegge

16. Tanto più che la sentenza vale inter partes, e ha perciò un’incidenza indiretta sull’azione dell’amministrazione finanziaria, che per fare valere le proprie ra-gioni non deve certo ricorrere al giudice. E che pertanto, nel dettare le rego-le a cui il contribuente deve attenersi, può adeguare la propria condotta ai canoni di conformità costituzionale, o, a seconda dei casi, non adeguarla, mentre per ottenere lo stesso risultato quello non ha altro mezzo che invo-care la tutela giudiziaria.

Da qui viene, se ci si pensa, la diversa capacità di penetrazione dei precet-ti ricavati dalla giurisprudenza del c.d. divieto di abuso (che tutti ricordano travolgente, e per certi versi persino incontrollata, sino alla sua recente codi-ficazione)

17, rispetto per esempio al diritto del contraddittorio, di cui anco-ra si dibatte tra contrastanti indicazioni della giurisprudenza di legittimità, malgrado goda di eguali, se non più stabili, fondamenti nel diritto costitu-zionale ed europeo.

b) In altra prospettiva, la certezza del diritto si presenta come un aspetto della separazione tra politica e diritto, e ha fondamento nella legalità del-l’amministrazione, e nell’autonomia della magistratura

18. Il potere politico esercita sulla legge la sua facoltà di decisione, nel senso

che può abrogarla o modificarla, ma finché la lascia in vigore non ha modo di controllarne l’applicazione. L’esigenza è, tuttavia, che i titolari di uffici pub-blici non perseguano interessi particolari o arbitrari (e cioè conformi alle convinzioni di chi li ricopre, più che alla legge). Perciò, il legislatore si limita a emanare disposizioni di carattere generale, valide per un numero indefini-to di casi futuri; specularmente, amministrazione e giudici non possono produrre norme, perché già conoscono le fattispecie concrete. L’astensione da tali condotte non è affidata alla morale, ma è imposta dal combinato ef- tamente derivabili dalle disposizioni costituzionali dovrebbe necessariamente essere dichia-rato incostituzionale; un’elementare principio di economia nell’attività giuridica impone dunque di scegliere l’interpretazione che “adegua” il risultato al parametro di legittimità» (FEDELE, Il valore dei principi nella giurisprudenza tributaria, in Riv. dir. trib., 2013, I, p. 877 ss.).

16 Corte cost. n. 24/2009; Corte cost. n. 74/2008; Corte cost. n. 376/1995. 17 Art. 10 bis, L. n. 212/2000, introdotto dall’art. 1, D.Lgs. n. 128/2015. 18 CHELI, Lo Stato costituzionale. Radici e prospettive, Roma, 2006, p. 23 ss.

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fetto dei principi di legalità e di autonomia della magistratura, come detto 19.

Tuttavia, le carenze del processo di produzione legislativa hanno l’effetto di attenuare la separazione tra politica e diritto. L’impegno per un migliora-mento della qualità delle leggi può contenere questo fenomeno, ma l’impos-sibilità di un ordinamento giuridico linguisticamente univoco, privo di con-traddizioni e di lacune, e sempre in armonia con i principi e valori della Co-stituzione, fa in modo che non esista norma giuridica che all’atto pratico non sollevi dubbi, che il giudice è tenuto a risolvere. Viene, con ciò, meno la neutralità politica del giudizio, perché sono sempre possibili interpretazioni innovative o capaci di effetti che vanno al di là di quelli voluti dalla legge, e capaci di incidere sulla soluzione di casi diversi da quello deciso.

Ciò non rende l’ordine giudiziario un potere politico, nella misura in cui chi decide opera nell’ambito delimitato dalla legge, non persegue scopi pro-pri, e non dipende dal consenso dei consociati

20. E, per quanto qui rileva, priva di consistenza le critiche mosse alle interpretazioni giudiziali che pon-gono rimedio a un dettato legislativo carente, sotto il profilo del pregiudizio alla separazione dei poteri. La critica, semmai, potrebbe investire il modo in cui tale funzione si esplica, quando comporti un sacrificio dell’esigenza di sicurezza e di stabilità dei rapporti giuridici, di cui il canone della certezza è la sintesi

21.

c) La democrazia può anche apparire come un sistema di competizione per dirigere il potere monopolistico dello Stato, di cui la Costituzione fissa le regole

22. Un sistema in cui l’offerta degli attori politici incontra la doman-

19 GRIMM, (voce) Diritto e politica, in http://www.treccani.it/enciclopedia/diritto-e-politica (Enciclopedia delle scienze sociali)/.

20 GRIMM, op. cit. Il riferimento al consenso dei consociati andrebbe precisato con l’in-dividuazione della base di legittimazione, che non coincide necessariamente con il corpo elettorale. Con ciò, il tema dell’autonomia dell’ordine giudiziario, e della connessa neutra-lità del giudizio, si complica, e non è questa la sede per svilupparlo.

21 La certezza è prevedibilità di una gamma delle conseguenze giuridiche di una deter-minata condotta, e in questo senso si presenta come una questione di grado (GOMETZ, In-dici di certezza giuridica, in Dir. e quest. pubbl., 2012, p. 309 ss.), ma è certo che al di sotto di una certa soglia implica costi maggiori dei vantaggi che la singola decisione può produrre. È quindi in gioco l’efficienza dell’ordinamento, che per il diritto tributario è un obiettivo essenziale, specie se lo si intende come strumento di redistribuzione (e non di dissipazio-ne) della ricchezza.

22 NAPOLITANO, Analisi economica del diritto pubblico, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da Cassese, I, Milano, 2006, p. 302.

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da di protezione giuridica dei gruppi di interesse, e lo scambio è assicurato da meccanismi costituzionali capaci di renderlo vincolante e stabile nel tem-po. In questa logica, la certezza del diritto è indispensabile nell’ambito dei diritti individuali, al di fuori del quale può entro certi limiti essere surrogata da istituti di promozione della compliance, e cioè di accordi cooperativi tra i soggetti interessati.

I diritti, invero, sono fattori di riduzione dei costi decisionali di una co-munità di individui egoisti, che si propone di curare interessi collettivi. Lo si osserva già sul piano legislativo, ove è evidente che se la Costituzione non garantisse diritti inviolabili, i partecipanti al patto costituzionale dovrebbero cautelarsi invocando la regola dell’unanimità su ogni singola legge, perché solo così si proteggerebbero dal rischio di prevaricazioni. Ma lo stesso è per le decisioni di ogni autorità (amministrativa e giudiziale) la cui attività si esplichi secondo particolari procedure. In questa ottica i diritti agiscono co-me limiti alle decisioni, siano esse collettive e individuali, e sono strumento del corretto funzionamento delle istituzioni

23. Inoltre, nel “mercato delle leggi” le norme giuridiche sono efficienti nella

misura in cui realizzano gli obiettivi che perseguono, con il minimo dispen-dio di risorse. Una norma incerta è, allora, inefficiente perché lascia le parti interessate nella convinzione di potere ottenere dal conflitto benefici mag-giori dei costi del giudizio

24. Da questo punto di vista è senz’altro vero che un recupero di efficienza si

può avere attraverso istituti di promozione della compliance, ma va tenuto presente che questi non sono sempre neutrali rispetto alla funzionalità del si-stema. Tale è per esempio l’istituto che consente di eliminare incertezze sul significato e l’ambito di applicazione della legge (interpello)

25. Ma lo stesso non si può dire per gli istituti che, a fronte di una regola obiettivamente incer-ta, rendono economicamente più vantaggioso l’accordo concedendo sconti sulle sanzioni (adesione, reclamo, mediazione, conciliazione). Infatti, con la

23 NAPOLITANO, Analisi economica del diritto pubblico, Bologna, 2009, p. 134. 24 La situazione di incertezza del diritto determina, in relazione all’esercizio di poteri

unilaterali da parte di una pubblica amministrazione, un “gioco a informazione incom-pleta”, che amplia i margini di discrezionalità dell’amministrazione, spingendola ad adottare il provvedimento che realizza il massimo vantaggio per l’interesse protetto: ZACCARIA, La perdita di incertezza del diritto: riflessi sugli equilibri dell’economia e della finanza pubblica, in http://hostweb3.ammin.uniss.it/documenti/LA_PERDITA_DELLA_CERTEZZA_ DEL_ DIRITTO.pdf, pp. 14-16.

25 VERSIGLIONI, L’interpello nel diritto tributario, Perugia, 2005, p. 45 ss.

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preclusione al giudizio viene meno un fattore di autocorrezione del sistema di produzione normativa, che anche con il concorso di questi istituti viene ab-bandonato alla deriva del calcolo di convenienza

26.

Al termine di questa rapida rassegna non è evidentemente possibile sce-gliere l’una o l’altra delle dottrine rievocate, né accedere a una sintesi. Lo impediscono la complessità e l’eterogeneità degli argomenti e delle questio-ni sottese, e in fondo anche la vastità del problema della certezza del diritto in sé considerato.

Dirò solo che, sciolto il legame con l’etica, il problema della certezza vive per così dire di vita propria, e, depurato dal sospetto che trovi fondamento in premesse ideologiche

27, si converte nel problema della separazione tra politica e diritto, nonché dell’efficienza delle leggi e della compliance tra par-ti che perseguono interessi contrapposti. Si tratta di profili non secondari, vicini alla logica delle riforme a costo zero di cui in tempi di ristrettezze eco-nomiche tanto si parla. In questa prospettiva, liberi dai vincoli imposti da un principio della separazione dei poteri rigidamente inteso, possiamo forse au-spicare l’attuazione per via giudiziale di quella che, non potendosi identificare con l’etica del legislatore, nell’attuale assetto delle istituzioni può invece coe-rentemente essere concepita come una «politica della legalità»

28. In effetti, il senso di quanto sin qui detto è che nell’attuale stato della le-

gislazione – di quella tributaria in particolare – la presenza di un sufficiente grado di certezza del diritto non si può assumere a priori, ma dipende dagli atteggiamenti dei consociati. Nel settore dell’ordinamento tributario, in cui il coordinamento dell’agire comune è affidato a tecniche autoritative, a ga-rantirne la regolarità, e perciò l’ordine e la stabilità sociali, deve concorrere l’impegno dell’interprete a «valutare, dovunque possibile, le fattispecie con-crete con norme generali preesistenti, anziché caso per caso»

29. Il tema è allora la desiderabilità di quello che è stato definito un impegno

rigorista, che, a fronte della possibilità che la ricerca dell’interpretazione ot-

26 A questo livello di scambio, il calcolo di convenienza è in certa misura indipendente dall’efficienza delle disposizioni applicate, ed è favorito da condizioni di certezza del dirit-to, che la codificazione è in grado di assicurare: NAPOLITANO, Analisi economica del diritto pubblico, cit., p. 188 ss.

27 BOBBIO, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano, 1961, p. 101 ss. 28 LUZZATI, La politica della legalità. Il ruolo del giurista nell’età contemporanea, Bologna,

2005, p. 105 ss., ove l’A. presenta quello che definisce l’“impegno normativistico” come rimedio dell’incertezza del diritto.

29 LUZZATI, op. cit., p. 107.

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tima sia causa di discontinuità pregiudizievoli per la regolarità dell’agire so-ciale, si esprima anche in un self restraint dell’interprete (che non implica una rinuncia al rilievo politico della sua funzione, sì una graduazione dei mezzi in cui esso si esprime). E quando ciò non bastasse a giustificarlo, allora soc-corre la possibilità di equi accordi cooperativi, a cui sarebbe però bene prov-vedere senza compromettere la controllabilità delle condotte delle parti del-l’accordo, ampliando ove possibile la possibilità di un controllo giudiziale sul loro contenuto

30.

3. Due esempi: la prevalenza del diritto europeo sul giudicato; le sentenze del-la Corte costituzionale che dispongono pro futuro

Ciò detto sulla dimensione teorica del problema della certezza del dirit-to, per conferire consistenza al discorso occorrerebbe dire come esso si sia posto, e come sia stato poi risolto nella giurisprudenza tributaria. Anche qui non potremo che limitarci a brevi spunti, funzionali alla illustrazione dei li-miti che il valore della certezza incontra, quando viene a confronto con istanze concorrenti.

a) Se ci si riferisce alla sentenza, l’esigenza della certezza della vigenza della regola implica anche l’improponibilità di eccezioni contro il giudicato

31. È tuttavia un fatto che negli ultimi anni l’intangibilità del giudicato è stata messa in discussione quando contrasti con regole comunitarie imperative sopravvenute.

La Corte di Giustizia ha sempre affermato che il diritto dell’Unione non impone al giudice nazionale di disapplicare le norme interne che attribui-scono forza di giudicato a una sentenza, neppure quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione di contrasto

32.

30 GIANFORMAGGIO, op. cit., pp. 277-278, la quale pone tra le condizioni della certezza, assunta come prevedibilità dell’esito della decisione giuridica, la presenza di regole genera-li sull’argomentazione giuridica, che ne assicurino la controllabilità, e nello stesso tempo, grazie alla sopravvivenza di un certo grado di discrezionalità, l’accettabilità sociale intesa come conformità al senso comune di giustizia. Rispetto a esse, la precisione della tecnica le-gislativa, e il controllo democratico e/o gerarchico sugli organi decidenti fungono da meta-condizione della certezza.

31 ALLORIO, La certezza del diritto dell’economia, cit., p. 8. 32 Corte Giustizia, sentt. 1° giugno 1999, in causa C-126/97, Eco Swiss; 16 marzo 2006,

in causa C-234/04 Kapferer; 6 ottobre 2009, in causa C-40/08, Asturcom Telecomunicacio-nes; 22 dicembre 2010, in causa C-507/08, Commissione/Slovacchia.

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Fanno eccezione le decisioni in cui è stato stabilito che il diritto comuni-tario osta all’applicazione dell’art. 2909 c.c., nei limiti in cui esso impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con esso

33; e quando impedisce al giudice investito di una causa in materia di IVA di prendere in considerazione le norme comunitarie in materia di abuso

34: da qui la neces-sità di una rimeditazione della regola dell’intangibilità del giudicato.

Si ritiene, in tale prospettiva, che quando il giudicato si scontra con una sentenza resa dalla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale si verifica una situazione simile all’introduzione di una legge di interpretazione

35. Si pro-pone quindi di fare valere la dottrina dei controlimiti a fronte di una “interpre-tazione giudiziale” autentica del diritto europeo, parificabile a uno ius superve-niens retroattivo. E se ne deduce che la sentenza della Corte è sottoposta ai medesimi limiti che questo incontra nei rapporti con il giudicato nazionale

36. Per la Corte costituzionale, pur costituendo valore fondamentale di civil-

tà giuridica, il divieto di retroattività della legge non gode nell’ordinamento dei tributi di tutela privilegiata, sicché il legislatore può emanare norme con efficacia retroattiva, purché essa trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale

37. Tuttavia, occorre che la retroattività non contrasti con altri valori e inte-

ressi costituzionalmente protetti 38, e cioè con «il rispetto del principio ge-

nerale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la cer-tezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario»

39.

33 Corte Giustizia, sent. 18 luglio 2007, in causa C-119/05, Lucchini. 34 Corte Giustizia, sent. 3 settembre 2009, in causa C-2/08, Fall. Olympiclub. 35 CAPONI, Giudicato civile e diritto costituzionale: incontri e scontri, in Giur. it., 2009, p.

2838 ss. 36 DI SERI, Primauté del diritto comunitario e principio di intangibilità della res iudicata

nazionale: un difficile equilibrio, in Giur. it., 2009, p. 2846 ss. 37 Corte cost. n. 78/2012. 38 Corte cost. n. 93/2011 e n. 41/2011. 39 Corte cost. n. 78/2012 e Corte cost. n. 209/2010. Sulla base di tali principi, con sent.

n. 170/2013 la Corte costituzionale italiana ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, commi 37, ultimo periodo, e 40, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni ur-genti per la stabilizzazione finanziaria), conv., con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui prevede l’applicazione retroattiva della regola che estende il privile-gio previsto per i tributi alle relative sanzioni.

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Gaetano Ragucci 453

Il fondamento della disciplina del giudicato segue le limitazioni che la giu-risprudenza ha posto al potere del legislatore di disporre per il passato, ed è perciò identificabile nei principi di ragionevolezza, eguaglianza, affidamen-to, indipendenza dei giudici, in una parola nella certezza del diritto

40. La certezza connessa alla stabilità dei rapporti oggetto dell’accertamento

giudiziario ammette, dunque, deroghe che si aggiungono a quelle già previ-ste dall’ordinamento nazionale (artt. 395, e 404 c.p.c.)

41, ma non cede a fronte di una generica prevalenza dell’ordinamento europeo su quello na-zionale

42. Anche i valori sottesi alle regole del diritto europeo riguardanti il corretto funzionamento del mercato unico, e l’uniformità del prelievo sui consumi vanno bilanciati con gli altri valori costituzionalmente protetti che trovano la sintesi nel principio della certezza del diritto, pena la sua vanifica-zione

43.

b) Se la regola espressa dall’art. 136 Cost., per cui le norme dichiarate in-costituzionali cessano di avere efficacia erga omnes dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza di accoglimento, concorre alla disciplina del-l’efficacia della legge nel tempo

44, allora le sentenze che la Corte costituzio-nale ha voluto disponessero solo pro futuro entrano in conflitto con l’esigen-za della certezza della durata della legge.

È comunemente accettato che la Corte possa graduare gli effetti delle proprie sentenze; ma se si abbandona il principio che quando una legge è illegittima lo è dall’origine, la via è aperta a una serie illimitata di variazioni sul tema.

Nella sent. n. 10/2015 è detto che la regola dell’efficacia retroattiva delle sentenze della Corte non subisce solo i limiti imposti dalla presenza di “rap-

40 CAPONI, ibidem. 41 TESAURO, Divieto comunitario di abuso del diritto (fiscale) e vincolo da giudicato esterno

incompatibile con il diritto comunitario, in Giur. it., 2008, p. 1029 ss. 42 Per l’impostazione del problema che si presenta nel processo amministrativo, nei ter-

mini di un bilanciamento tra autonomia processuale degli Stati membri e il primato del diritto UE: FIGLIOLIA, L’intangibilità del giudicato amministrativo e il principio di autonomia processuale degli Stati: il giudicato a formazione progressiva come soluzione di compromesso tra il principio di certezza del diritto e l’effettività del diritto europeo, in Riv. it. dir. pubbl. comp., 2015, p. 925 ss.

43 Su di una recente applicazione della disciplina del giudicato, in materia di recupero di dazi doganali conseguente all’annullamento di certificati di importazione: BIAVATI, Disap-plicazione del giudicato interno per effetto del diritto dell’Unione Europea?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, p. 1567 ss.

44 AMATUCCI, L’efficacia nel tempo della norma tributaria, Milano, 2005, p. 204 ss.

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porti esauriti”, la cui tenuta è corollario della certezza del diritto 45. Infatti,

«ulteriori limiti alla retroattività delle decisioni di illegittimità costituzionale possono derivare dalla necessità di salvaguardare principi o diritti di rango co-stituzionale che altrimenti risulterebbero irreparabilmente sacrificati»

46. Su tali presupposti la Corte ha, come noto, compiuto un bilanciamento

dei valori sottesi agli artt. 3 e 53 Cost., quali parametri che avevano condot-to alla dichiarazione dell’illegittimità della c.d. Robin Tax, e per i commenta-tori implicitamente anche all’art. 24 Cost.

47, e al principio del pareggio di bilancio ricavato dall’art. 81 Cost.

48. Infatti, «l’impatto macroeconomico» delle restituzioni dei versamenti

eseguiti prima della dichiarazione di illegittimità della norma avrebbe causa-to uno squilibrio di bilancio di entità tale da rendere necessaria una manovra finanziaria aggiuntiva. Ne sarebbe potuta derivare una «irragionevole redi-stribuzione della ricchezza a vantaggio di quegli operatori economici che [po-tevano] avere invece beneficiato di una congiuntura favorevole», con pre-giudizio delle esigenze di solidarietà ed eguaglianza incompatibile con gli artt. 2 e 3 Cost.

A ciò si sarebbe aggiunta una disparità di trattamento rispetto agli opera-tori che avevano traslato l’onere del tributo sui consumatori finali, con pre-giudizio degli artt. 3 e 53 Cost. Da qui, la limitazione degli effetti della sen-tenza di accoglimento solo per il futuro, ritenuta più adeguata a una garan-zia della Costituzione intesa come un tutto unitario, tale da assicurare «una tutela sistemica e non frazionata» di tutti i diritti e i principi coinvolti nella decisione

49.

45 Corte cost. n. 49/1970; Corte cost. n. 26/1969; Corte cost. n. 58/1967; Corte cost. n. 127/1966.

46 Corte cost. n. 10/2015, punto 7 del diritto. In senso critico si è però osservato: «il problema del potere della Corte di “modulare” gli effetti nel tempo delle sue pronunce di accoglimento non riguarda né i rapporti esauriti, che sono impropriamente indicati come limiti alla retroattività, né le sentenze che accertano illegittimità sopraggiunte o future» (TESAURO, Gli effetti nel tempo della dichiarazione di illegittimità di norme tributarie e il dirit-to al rimborso di una imposta dichiarata incostituzionale, in Rass. trib., 2015, p. 1096.

47 PINARDI, Effetti temporali e nesso di pregiudizialità in una decisione di accoglimento ex nunc, in Giur. it., 2015, p. 1329 ss.

48 Sull’inadeguatezza della regola dell’equilibrio (non pareggio) di bilancio espressa dall’art. 81 Cost., così come attuato nella L. n. 243/2012, a bilanciare i diritti garantiti dalla costituzione, con gli effetti che la Corte ne ha ricavato nella sent. n. 10/2015: COCIANI, L’horror vacui e l’irretroattività degli effetti delle sentenze di accoglimento della Corte Costitu-zionale, in Riv. dir. trib., 2015, II, pp. 32-33.

49 Corte cost. n. 264/2012.

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Che, però, una legge incostituzionale possa conservare medio tempore va-lidità in dipendenza da una ponderazione di valori compiuta dalla Corte, im-plica una involuzione del connotato della certezza della regola di diritto. A questa stregua, se il gettito di un tributo incide significativamente sull’e-quilibrio del bilancio la Corte negherà la retroattività, e la concederà invece per tributi incapaci di questo effetto. Inevitabile chiedersi in che modo l’interprete potrà prevedere quale dei due regimi sia applicabile al caso che lo riguarda

50.

Non è difficile riconoscere la linea di continuità che lega gli esempi che si sono appena indicati. Essi segnalano i limiti e le modalità di compromissio-ne della certezza del diritto sotto due profili che riguardano la vigenza e la durata della legge.

Inoltre, rendono evidente che è ormai accettata la possibilità che l’esito del bilanciamento faccia prevalere istanze che vengono dall’ordinamento europeo, e che riguardano il corretto funzionamento del mercato unico dal punto di vista della rimozione dei c.d. aiuti di stato, e del funzionamen-to dell’imposta comune sui consumi (abuso del diritto). E, con esse, istan-ze provenienti anche dal diritto interno, di equilibrio dei conti pubblici, riconosciuto come garanzia dei diritti sociali tutelati da un sistema di wel-fare sostenibile. Ma è del pari evidente che quando il giudice accede a que-sto genere di valutazioni, la certezza del diritto è messa direttamente in di-scussione.

L’impressione è tuttavia che, se adeguatamente contestualizzati e circo-scritti, i risultati a cui si è pervenuti imboccando queste vie non si prestano a generalizzazioni in danno al valore della certezza, che in talune applicazioni pratiche ne viene ridimensionato, ma certamente non espulso da un ordi-namento che aspiri a conformarsi al modello di uno Stato di diritto.

50 Il problema segnalato nel testo è una parte del nodo centrale posto dalla sentenza Corte cost. n. 10/2015, che consiste in questo: che «proiettando solo nel futuro gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità, la Corte ha implicitamente escluso che al legisla-tore spettassero quei compiti che, in questo genere di situazioni, le altre Corti, invece, ne-cessariamente gli riconoscono» (FRANSONI, Il “dialogo fra le Corti”, e la graduazione degli effetti delle sentenze sulla costituzionalità dei tributi: problemi e tecniche, in Rass. trib., 2015, I, p. 1154.

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4. L’abuso del diritto

Non meno importante di quanto sin qui detto sulle esigenze di certezza della regola, è la necessità di certezza del comportamento regolato, quindi della posizione giuridica del soggetto passivo dell’imposta (sia essa da qualificare come diritto soggettivo, o in altro modo, qui non importa precisare). Il pun-to è importante, perché può accadere che la certezza guadagnata sui versanti appena esaminati della vigenza e della durata della legge, sia poi perduta su quello delle posizioni giuridiche protette.

Assume a questo proposito un valore esemplare – una volta che si attri-buisca alla norma una natura sostanziale e non procedimentale

51 – la nuova disciplina dell’abuso del diritto, contenuta nell’art. 10 bis, L. n. 212/2000, per la quale danno corpo all’abuso «una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano es-senzialmente vantaggi fiscali indebiti»

52. All’ovvia considerazione che con essa sono venuti meno molti problemi

generati dalla clausola di origine giurisprudenziale che la ha preceduta – e così il problema dell’individuazione della base giuridica del divieto, e della definizione del suo ambito di applicazione

53 – con parziale guadagno sul versante della certezza del diritto

54, va tuttavia aggiunto che, ciò non ostan-te, la nuova disciplina lascia aperta una questione fondamentale.

Infatti, riferito al nesso tra abuso del diritto e giustificazione delle posi-zioni giuridiche di vantaggio, l’art. 10 bis dello Statuto implica la messa a si-stema di una caratteristica che sinora era stata oggetto di discussione soprat-tutto al di fuori dell’ordinamento tributario. Alludo alla questione se le posi-zioni giuridiche di vantaggio siano attribuite da disposizioni normative per uno o più scopi determinati, e cioè per soddisfare uno o più interessi dei soggetti che ne sono titolari, oppure lo siano per sé stesse, come delimita-zione dell’area dell’insindacabile autonomia del contribuente

55.

51 Se mai una distinzione di questo tipo abbia senso, posto che la bidimensionalità delle norme rappresenta una costante della disciplina dei tributi.

52 Art. 10 bis, comma 1, L. n. 212/2000, introdotto dall’art. 1, D.Lgs. n. 128/2015. 53 BEGHIN, Elusione fiscale e principio del divieto di abuso del diritto, Padova, 2013, p. 378 ss. 54 GALLO, Brevi considerazioni sulla definizione di abuso del diritto e sul nuovo regime del

c.d. adempimento collaborativo, in Dir. prat. trib., 2014, I, p. 948 ss.; e ID., La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale, in Rass. trib., 2015, p. 1315 ss.

55 VELLUZZI, Interpretazione e tributi. Tra dogmatica e prassi, in ALBERTINI-COMINELLI-VELLUZZI (a cura di), Fisco, efficienza ed equità, Pisa, 2015, p. 278 ss.

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Da questo punto di vista l’art. 10 bis presuppone che, se la posizione di vantaggio riconosciuta dalla legge tributaria non è esercitata per realizzare lo scopo o gli scopi dell’attribuzione, gli effetti che produce possono essere di-sconosciuti. Infatti, il suo esercizio in maniera conforme alla formulazione linguistica della norma che la riconosce può rivelarsi contrario al diritto og-gettivo, perché non riconducibile alle ragioni dell’attribuzione.

Di fronte a simili eventualità, la capacità dell’enunciato normativo di in-dicare con sufficiente determinatezza le condotte che sono esercizio della posizione di vantaggio viene meno. Di contro, intere classi di casi possono essere sottratte alla disciplina positiva di diretto riferimento a opera di un interprete qualificato (l’amministrazione; il giudice), per la presenza o l’as-senza di uno o più elementi, in ragione di quella che si presenta come una riduzione teleologica richiesta dall’ordinamento

56. Al limite, la concezione della posizione giuridica del contribuente sottesa

all’art. 10 bis, L. n. 212/2000 potrebbe influenzare l’interpretazione di qua-lunque disposizione tributaria, imponendo all’interprete di colmare anche l’eventuale scarto tra lettera e scopo della legge. V’è dunque il rischio di un’abnorme dilatazione del concetto di abuso, per la ricorrenza di riduzioni teleologiche tanto ampie da svuotare di contenuto immediatamente perce-pibile la posizione giuridica, pur formalmente attribuita dall’ordinamento.

Il risultato è all’apparenza paradossale, se si pensa che l’intervento del le-gislatore era stato invocato a rimedio della situazione di incertezza generata dai caratteri della massima giurisprudenziale che lo ha preceduto

57. E, ciò non di meno, si allinea con ben precise premesse indagate a livello di teoria generale e di dottrina economica sull’ordine giuridico del mercato, trasferite nel nostro settore in punto di elaborazione della nozione costituzionale di tributo

58. In prospettiva la posta in gioco è, anche qui, la certezza delle posizione

giuridiche di vantaggio del contribuente, e quindi dei comportamenti rego-lati, pur a fronte di discipline capaci di soddisfare lo stesso canone sotto ogni altro profilo.

56 VELLUZZI, Interpretazione e tributi, cit., pp. 282-283. 57 La relazione tecnica allo schema di D.Lgs. n. 128/2015, che ha introdotto la discipli-

na dell’abuso, fissa infatti l’obiettivo «di conferire “maggiore” stabilità e certezza al sistema fiscale».

58 GALLO, Nuove espressioni di capacità contributiva, in Rass. trib., 2015, p. 775 ss.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 458

5. Conclusioni

Per avviare a conclusione – se una conclusione è mai possibile – le con-siderazioni sin qui fatte su argomenti tanto vasti e articolati, occorrerebbe esplicitare i parametri costituzionali ai quali l’interpretazione delle leggi tri-butarie si adegua, e delineare in modo coerente l’idea di tributo che vi è sot-tesa

59 – ma è compito che non si può affrontare in questa sede, e che neppu-re mi compete.

Opto per una conclusione meno impegnativa, e mi limito a proporre una sommaria valutazione dei tre argomenti del giudicato, degli effetti delle sen-tenze della Corte costituzionale e dell’abuso, secondo i parametri dell’effi-cienza della regola, e della sua capacità di favorire accordi cooperativi tra le parti del rapporto regolato. Ne emergeranno differenze forse utili per nuove riflessioni.

a) La prima osservazione è che la cedevolezza del giudicato nazionale a fronte di una sentenza resa dalla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiu-diziale è neutrale rispetto al parametro valutativo dell’efficienza, perché le materie nelle quali è stato ammesso (rimozione degli aiuti di stato; funzio-namento dell’imposta comune sugli scambi; equilibrio dei conti pubblici) riguardano la stabilità dell’assetto di istituzioni (nazionali e sovranazionali), al cui interno l’accordo tra gli operatori è salvaguardato. Una volta equipara-ta la sentenza della Corte europea a una legge interpretativa sopravvenuta, la resistenza del giudicato rappresenterebbe un costo, che ne pregiudica l’ef-ficienza.

Guardata dal punto di vista della capacità di provocare accordi collabora-tivi, la regola della cedevolezza è pure neutrale, ma per ragioni diverse a se-conda che la si applichi al giudicato nazionale interno o esterno: nel primo caso, perché la sentenza della Corte si limita a inibirne determinati effetti, lasciando intatto l’accertamento giudiziale, in relazione al quale l’accordo collaborativo può manifestare una utilità residua; nel secondo, perché la sen-tenza della Corte è tra gli elementi che del calcolo dei costi e dei benefici della promozione del giudizio in cui il giudicato è destinato a non valere, concorre quindi all’apprezzamento dell’opportunità di concludere un accordo colla-borativo.

Diverso il giudizio sugli altri due casi, che mi sembrano da valutare nega-tivamente con riguardo a entrambi i parametri evocati.

59 VELLUZZI, Interpretazione e tributi, cit., p. 288.

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Gaetano Ragucci 459

b) La disposizione contraria alla Costituzione è un esempio di regola inef-ficiente, perché capace di sollevare il più alto tasso di resistenza da parte de-gli operatori che sia dato immaginare. L’accordo che la ha prodotta non può aspirare alla protezione dell’ordinamento, e il processo di espulsione è causa di costi che sono a esclusivo danno della collettività. Che la legge conservi la propria efficacia medio tempore, e cioè nel lasso di tempo che corre tra l’en-trata in vigore e la sentenza della Corte che ne ha dichiarato l’illegittimità, non elimina tali costi, ma li distribuisce secondo valutazioni di politica fisca-le riservate al legislatore.

Sotto l’altro aspetto, tra le conseguenze della limitazione pro futuro degli effetti delle sentenze di accoglimento v’è che queste non incidono nel pro-cedimento in cui la questione è sorta, e ciò (oltre a essere una lesione del di-ritto della difesa, anzi proprio per questo) rappresenta un disincentivo al ri-corso a rimedi giuridici per la correzione di una situazione di ingiustizia che l’ordinamento non approva, con quali ricadute sull’affidamento del contri-buente si può solo immaginare.

c) Quanto alla disciplina dell’abuso, occorre riconoscere che la riduzione teleologica della regola attributiva della posizione giuridica di vantaggio non è causa di inefficienza, nella misura in cui la sua interpretazione si fondi sul-l’argomento storico, e abbia perciò riguardo all’intenzione degli autori della legge chiaramente espressa. Lo diviene, in presenza di interpretazioni di or-dine sistematico o teleologico, che possono condurre allo svuotamento del precetto di cui si assuma l’abuso, in favore dell’ampliamento delle possibilità di arbitrio da parte dell’interprete.

Invece la sua capacità di favorire accordi cooperativi è inversamente pro-porzionale allo scarto tra l’elenco delle condotte comprese nella definizione letterale della fattispecie, e l’elenco delle condotte che, oltre a ciò, soddisfa-no anche l’interesse che la regola si propone di tutelare. Come dire che, in si-tuazioni limite, la massima efficienza può convertirsi nella minima compliance tra le parti del rapporto regolato. Con questo genere di interventi si pongo-no le migliori premesse del fallimento della politica di collaborazione tra le parti del rapporto tributario, e in prospettiva all’azione di contrasto della pia-ga dell’evasione.

Si tratta di aspetti che non pare utile trascurare, e che orientano l’inter-pretazione della legge verso un assetto connotato da una stabilità del dato normativo, anche in un contesto in cui la perdita del legame con l’etica del legislatore sia compensata da un’acquisita consapevolezza della peculiare di-mensione politica ed economica del ruolo del giurista.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2016 460

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GIURISPRUDENZA

SOMMARIO:

Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 – Pres. Virgilio, Rel. Cigna, con nota di P. Batalocco, Note in tema di pericolosità fiscale dei finanziamenti infrutti-feri “anomali” dei soci nelle società di capitali a ristretta base proprietaria (Remarks on the fiscal dangerousness of shareholders’ “anomalous” interest-free loans in capital companies with a narrow shareholder base)

Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054 – Pres. Amoresano, Rel. Man-zon, con nota di M. Gambarati, In tema di confisca del profitto per reati tributari commessi dal legale rappresentante della persona giuridica (On the confiscation of the profit for tax crimes committed by the company’s legal repre-sentative)

Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 – Pres. Criscuolo, Rel. Coraggio, con nota di A. Kostner, La competenza territoriale nelle liti tributarie di primo grado in cui è parte il concessionario della riscossione: l’intervento della Corte costi-tuzionale (The territorial jurisdiction on tax disputes at first instance in which the tax collection is part: the intervention of the constitutional Court)

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012

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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 – Pres. Virgilio, Rel. Cigna

Finanziamenti infruttiferi “anomali” – Serie di elementi indiziali attestanti l’an-tieconomicità del comportamento del contribuente – Sussistono – Presunzioni gravi, precise e concordanti – Sussistono – Accertamento analitico-induttivo – Consegue – Disponibilità liquide dei soci emergenti dal prospetto dei redditi – Non rilevano

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto non dimostrata l’infondatezza, ai fini dell’art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 600/1973, dell’iter inferenziale se-guito dall’Amministrazione sostanziantesi nel desumere da una serie di elementi in-diziali attestanti l’antieconomicità della condotta del contribuente la fittizietà dei fi-nanziamenti infruttiferi erogati dai soci, ritenuti un espediente contabile per dissimu-lare ricavi occulti.

La Suprema Corte ha, inter alia, rilevato che la dimostrazione, tramite il prospetto dei redditi, di una ingente capacità di spesa dei soci non è di per sé sufficiente a dimo-strare l’effettività di un finanziamento infruttifero, in quanto fatto solo potenzialmente idoneo a giustificarlo.

(Omissis) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La I. srl in liquidazione, esercente attività di “gestione di campeggi ed aree attrezzate per roulottes”, ha impugnato dinanzi alla CTP di Roma gli avvisi di accertamento con i quali era stata evidenziata, ai fini IRPEG ed ILOR, l’omessa contabilizzazione di ricavi per il 1995 e per il 1996.

L’adita CTP ha accolto il ricorso. Con sentenza depositata l’8-5-07 la CTR Lazio ha rigettato l’appello dell’Ufficio;

in particolare la CTR ha dapprima rilevato che l’accertamento in questione era fonda-to essenzialmente sulla supposta esistenza di un gruppo di società, nelle quali figura-vano soggetti legati da vincoli di parentela (componenti la famiglia F.), che, tramite lo strumento dei “finanziamenti infruttiferi dei soci” (dei quali non era stata data alcuna giustificazione), mascheravano l’evasione fiscale conseguente ai ricavi in nero dell’in-sieme delle attività turistico-alberghiere dello stesso gruppo; ciò precisato, la CTR ha poi ritenuto che dette supposizioni non erano suffragate da elementi concreti e riscon-tri tali da giustificare – D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d) – l’impugnato accertamento induttivo; nello specifico ha evidenziato:

che, in ordine all’ipotesi della sussistenza di gruppo di società riconducibili alla fa-miglia F., non era stato provato che tra le stesse società esistessero rapporti di parteci-

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 464

pazione incrociata (o sopra ordinata) né commistioni di cariche sociali né sedi o uffici in comune; al riguardo, in particolare, ha precisato che le società gestivano le strutture ricettive in Regioni differenti e svolgevano attività parzialmente diverse e che la società (F.) proprietaria delle strutture turistiche gestite dalla contribuente era partecipata dalla famiglia F. solo in misura minoritaria;

che, in ordine ai riscontrati finanziamenti dei soci, era stato dimostrato, tramite il prospetto dei redditi dagli stessi soci dichiarati negli anni 1993 e 1994, che la loro ca-pacità di spesa era tale da poter giustificare quanto rilevato dai verbalizzanti a titolo di finanziamento;

che, in ordine all’omessa registrazione e dichiarazione dei compensi percepiti, la mancata registrazione in contabilità generale delle caparre ricevute dai clienti all’atto della prenotazione del soggiorno rilevava solo quale irregolare tenuta della contabilità;

dette caparre, infatti, costituendo una partita debitoria nei confronti dei clienti (da restituire o sottrarre), non potevano considerarsi reddito da recuperare a tassazione.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia, affidato a cin-que motivi ed illustrato anche da successiva memoria ex art. 378 c.p.c.; ha resistito la contribuente, che ha proposto anche ricorso incidentale, affidato ad un motivo.

IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa o insufficiente motivazione in ordine a fatti controversi e decisivi per il giudi-zio, ha sostenuto che, nonostante in appello fossero state evidenziate numerose circo-stanze ed elementi dai quali desumere che i “finanziamenti infruttiferi dei soci” costi-tuissero in realtà “ricavi in nero”, la CTR si era limitata a confutare solo alcuni di essi (esistenza gruppo imprenditoriale; adeguatezza capacità economica dei soci finanzia-tori, mancata registrazione delle caparre), senza procedere ad una valutazione compa-rativa tra gli elementi addotti dalla contribuente e quelli proposti dall’Ufficio.

Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa o insufficiente motivazione in ordine a fatti controversi e decisivi per il giudizio, ha sostenuto che l’assunto della CTR circa l’inesistenza di un “gruppo” di società ricon-ducibile alla famiglia F. era palesemente smentito dalle contrarie risultanze del p.v.c.

Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – vio-lazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), ha sostenuto che la CTR aveva violato il criterio dell’onere probatorio, in quanto, non ritenendo sufficiente la prova presuntiva richiesta dalla detta norma, ave-va accollato all’Ufficio una prova piena dell’esistenza di attività non dichiarate; nello specifico la CTR non aveva considerato che, a fronte di quanto evidenziato nel pvc (e, in particolare, a fronte della registrazione – tra le entrate di cassa di tutte le società del gruppo – di ingenti somme riconducibili a “finanziamenti infruttiferi dei soci”, con re-lativa restituzione effettuata in parte su c/c intestati ai soci e in parte in contanti, non-

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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 465

ché della mancanza di prova dell’effettività degli apporti dei soci), gravava poi sul con-tribuente l’onere di indicare e provare la sussistenza di fatti idonei a giustificare l’anti-economicità del detto comportamento della contribuente.

Con il quarto motivo di ricorso l’Agenzia, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa o insufficiente motivazione in ordine a fatti controversi e decisivi per il giudi-zio, ha sostenuto, in subordine, che la CTR non aveva motivato su alcune circostanze del tutto autonome rispetto alla sussistenza del gruppo imprenditoriale ed alla manca-ta registrazione delle caparre; nello specifico, non aveva valutato il meccanismo di pa-gamento ai fornitori e l’utilizzo dei fondi cassa, elementi idonei di per sé ad avallare la sussistenza di attività non dichiarate.

I primi tre motivi di ricorso principale, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono fondati, con assorbimento del quarto, formulato solo in via subor-dinata.

Con riferimento, in primo luogo, all’affermata carenza di prova in ordine alla sussi-stenza di un “gruppo di società riconducibile alla famiglia F.”, la CTR ha ritenuto non provati i supposti “rapporti di partecipazione incrociata o sopra ordinata” e le suppo-ste “commistioni tra le cariche sociali”

(Omissis) Con riferimento, poi, ai “finanziamenti infruttiferi dei soci”, ritenuti dall’Ufficio ri-

cavi in nero, la CTR si è limitata a sostenere che era stato dimostrato, tramite il pro-spetto dei redditi, che la capacità di spesa dei soci negli anni 1993 e 1994 era tale da poter giustificare quanto rilevato dai verbalizzanti a titolo di finanziamento; siffatta ar-gomentazione appare assolutamente insufficiente, non potendosi di per sé desumere l’effettività di un finanziamento infruttifero solo dalla affermata capacità di spesa (e quin-di da un fatto solo potenzialmente idoneo allo stesso), non bastando la asserita disponi-bilità di liquidità a dimostrare l’effettività del finanziamento; tanto, in specie, conside-rando che, a fronte del fatto che tra le entrate di cassa di tutte le società del gruppo erano registrate ingenti somme riconducibili a “finanziamenti infruttiferi dei soci”, non era stata individuata alcuna prova concreta dell’effettività degli apporti e della prove-nienza delle somme versate.

(Omissis) In conclusione, quindi, vanno accolti i primi tre motivi di ricorso principale, con

assorbimento del quarto; va, invece, rigettato il ricorso incidentale; per l’effetto va cas-sata l’impugnata sentenza, con rinvio, per nuova valutazione alla CTR Lazio, diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 466

Note in tema di pericolosità fiscale dei finanziamenti infruttiferi “anomali” dei soci nelle società

di capitali a ristretta base proprietaria

Remarks on the fiscal dangerousness of shareholders’ “anomalous” interest-free loans in capital companies with a narrow shareholder base

Abstract Il finanziamento infruttifero dei soci rappresenta una pratica a cui le società a ri-stretta base azionaria spesso ricorrono per sopperire a fasi transeunti di illiquidi-tà. L’effettuazione di finanziamenti infruttiferi da parte dei soci può, tuttavia, rappresentare per l’Amministrazione finanziaria un segnale di pericolosità fiscale se vengono riscontrate delle anomalie. In particolare, l’Amministrazione, qualora riscontri che tali finanziamenti costituiscono una condotta antieconomica (ad esempio, perché ingenti e reiterati, a fronte di una gestione aziendale improdut-tiva) e che i soci non sono in grado di giustificarne la provenienza, anche alla luce delle loro disponibilità, potrebbe ritenere inattendibile la contabilità e procedere ad un accertamento induttivo, presumendo che i finanziamenti costituiscano, in realtà, ricavi non dichiarati. L’Amministrazione potrebbe contestare, inoltre, una distribuzione di utili occulti, dissimulata tramite la successiva restituzione dei fi-nanziamenti. Nella sentenza che si annota, la Corte di Cassazione ha censurato per vizio di motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. e per vizio di violazione di legge, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., le sentenze di merito con cui i Giudici tributari non avevano riconosciuto validità ad un siffatto ragionamento inferen-ziale dell’Ufficio. Parole chiave: presunzione, antieconomicità, finanziamenti infruttiferi “anoma-li”, ricavi non dichiarati, distribuzione occulta di utili During periods of cash flow shortage, shareholders’ interest-free loans represent a very common practice in companies with a narrow shareholder base. Interest-free loans from shareholders may, nevertheless be interpreted by Tax Authorities as a practice of tax evasion in presence of certain anomalies. In particular, should the Tax Authorities find out that these loans are anti-economic (e.g. because significant and repeated, in case of a unproductive business management) and that shareholders are not able to justify their origin, also in the light of their assets, they may consider that the account-ing books are unreliable and carry out a presumptive assessment, assuming that the loans are de facto undeclared income. The Tax Authorities may also assess a hidden profit distribution made through subsequent refund of the loans. In the commented decision, the Italian Supreme Court argued a lack of reasoning, according to Art. 360,

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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 467

para. 1, no. 5, a violation of law, according to Art. 360, para. 1, no. 3, criminal procedural code, of the decisions issued by lower Tax Courts, which did not considered valid a similar presumptive assessment made by the Tax Authorities. Keywords: presumption, anti-economic behavior, “anomalous” interest-free loans, undeclared income, hidden profit distribution

SOMMARIO: 1. Il caso di specie e il complesso iter accertativo seguito dall’Agenzia delle Entrate. – 2. I finan-ziamenti infruttiferi dei soci: tra esigenze di liquidità e intenti simulatori. – 3. La prova presun-tiva della simulazione del finanziamento. – 3.1. L’antieconomicità dei finanziamenti infruttiferi. Un’ulteriore sfumatura del concetto “standard” di antieconomicità? – 3.2. L’accertamento del-la fonte dei finanziamenti. – 4. La “riqualificazione” della restituzione dei finanziamenti in di-stribuzione di dividendi. Richiamo alla presunzione di distribuzione ai soci di utili extraconta-bili nelle società a ristretta base proprietaria. – 5. Osservazioni conclusive.

1. Il caso di specie e il complesso iter accertativo seguito dall’Agenzia delle Entrate

La controversia posta all’attenzione del Supremo Collegio ha ad oggetto un ac-certamento analitico-induttivo a carico di una società a ristretta compagine sociale, considerata dall’Amministrazione parte di un gruppo di società gestito da un me-desimo nucleo familiare.

In particolare, l’Agenzia delle Entrate, dopo aver rilevato l’esistenza di un gruppo imprenditoriale, supponeva che gli ingenti finanziamenti infruttiferi risultanti dalle scritture contabili di ognuna delle società «collegate», non derivassero dal patrimo-nio personale dei soci ma “mascherassero” i ricavi extracontabili conseguiti da alcune delle citate società (tra cui la società destinataria della sentenza in commento) e che, di conseguenza, la loro restituzione ai soci dissimulasse una distribuzione di divi-dendi occulti. A supporto della propria tesi, l’Amministrazione adduceva una com-plessa serie di elementi indiziali, tra i quali, in particolare, il fatto che tra le disponibi-lità numerarie di tutte le società del presunto gruppo erano riscontrabili notevoli im-porti a titolo di finanziamenti infruttiferi dei soci, i quali venivano in tempi brevi re-stituiti, in parte tramite un conto corrente bancario ed in parte in contanti – il che denotava una condotta antieconomica del contribuente – e che la società in giudizio non aveva fatturato compensi direttamente riconducibili all’attività svolta.

Tali elementi integravano, ad avviso dell’Agenzia, i requisiti di gravità, preci-sione e concordanza ed erano, pertanto, idonei a fondare un accertamento analiti-co-induttivo ai sensi art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973, con conse-guente inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale, tutta-

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 468

via, non aveva fornito valida dimostrazione né dell’effettività né della provenienza dei finanziamenti.

La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, adita in appello dalla società, annullava l’avviso di accertamento ritenendo che non poteva ritenersi provato il collegamento tra tutte le società considerate parte di uno stesso gruppo, e che, con specifico riferimento alla società in giudizio, la capacità di spesa dei soci era tale da poter giustificare i finanziamenti infruttiferi mentre l’omessa registrazione e di-chiarazione dei compensi percepiti rilevava soltanto come irregolare tenuta della contabilità.

L’Agenzia delle Entrate ricorreva, quindi, dinanzi alla Suprema Corte, eccepen-do, inter alia, il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., atteso che i Giudici tributari si sarebbero limitati a confutare soltanto alcuni dei molteplici elementi evidenziati in appello (in particolare, l’esistenza di un gruppo imprendito-riale, l’adeguatezza della capacità economica dei soci finanziatori e la mancata iscri-zione in contabilità dei compensi) ed il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600/1973, in quanto i Giudici, non ritenendo sufficiente la prova presuntiva ma richiedendo una prova diretta dell’esistenza di attività non dichiarate, avrebbero violato il criterio dell’onere proba-torio, come previsto in caso di accertamento analitico-induttivo. L’Agenzia, inoltre, deduceva, in subordine, un vizio di motivazione relativamente al fatto che la Com-missione non aveva motivato in relazione ad altre circostanze quali il «meccanismo di pagamento ai fornitori» e «l’utilizzo del fondo cassa», le quali sarebbero state idonee di per sé ad avallare la sussistenza di attività non dichiarate.

La Suprema Corte, accogliendo i sopra citati rilevi dell’Amministrazione, oltre a non ritenere provata l’inesistenza del gruppo di società ha considerato insuffi-cienti le argomentazioni della Commissione tributaria regionale, fondate sul fatto che la capacità di spesa dei soci negli anni in contestazione fossero di entità tale da giustificare i finanziamenti, «non potendosi di per sé desumere l’effettività di un finanziamento infruttifero solo dalla affermata capacità di spesa (e quindi da un fatto solo potenzialmente idoneo allo stesso), non bastando la asserita disponibilità di liquidità a dimostrare l’effettività del finanziamento; tanto, in specie, considerando che, a fronte del fatto che tra le entrate di cassa di tutte le società del gruppo erano registrate ingenti somme riconducibili a “finanziamenti infruttiferi dei soci”, non era stata individuata alcuna prova concreta dell’effettività degli apporti e della pro-venienza delle somme versate».

2. I finanziamenti infruttiferi dei soci: tra esigenze di liquidità e intenti simulatori

Nelle società di capitali, in particolar modo quelle a ristretta base proprietaria, è prassi diffusa l’apporto da parte dei soci di mezzi finanziari a titolo di capitale di

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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 469

debito, al fine di favorire il perseguimento dell’oggetto sociale ovvero la continua-zione dell’attività in una situazione di sottocapitalizzazione 1. Il finanziamento del socio rappresenta uno strumento flessibile per gestire la dotazione finanziaria del-l’impresa e può favorire anche la soluzione di uno stato di crisi. Infatti, la possibilità di ottenere il credito dai propri soci risulta più conveniente per la società con riferi-mento sia ai tempi sia ai costi dell’operazione, rispetto al ricorso al credito bancario 2.

L’apporto di mezzi finanziari da parte dei soci può assumere la forma di finan-ziamento infruttifero ovvero di un versamento effettuato da parte dei soci nei con-fronti della società a titolo di «mutuo senza interessi» 3, avente la finalità di soppe-rire a necessità finanziarie della società dovute a temporanea mancanza di liquidi-tà. Tali finanziamenti, infatti, «sono diretti a consentire il superamento di fasi (presumibilmente transeunti) di illiquidità finanziaria e quindi, generando un de-bito da restituzione, non arrecano alcun beneficio all’equilibrio patrimoniale della società, poiché all’incremento delle disponibilità di cassa o alla diminuzione dei de-biti verso terzi corrisponde un aumento almeno pari dell’indebitamento della so-cietà verso i soci» e si differenziano dalle operazioni a fondo perduto «comunque denominate ... [le quali] ... hanno come scopo ed effetto quello di incrementare patrimonialmente la società (mediante l’aumento dell’attivo o mediante l’abbatti-mento di perdite)» 4. La loro dimensione “fisiologica” si sostanzia nella «mera va-lutazione, in termini di opportunità finanziaria, di ricorrere all’indebitamento ... [in-

1 V. ABRIANI, Finanziamenti anomali dei soci e regole di corretto finanziamento nella società a responsa-bilità limitata, in AA.VV., Studi in onore di Giuseppe Zanarone, diretto da Benazzo-Cera-Patriarca, Tori-no, 2011, pp. 2-3, secondo cui: «La partecipazione “finanziaria” dei soci alle società di capitali non si esaurisce nei soli conferimenti: è infatti fenomeno capillarmente diffuso in tutte le società di capitali il ricorso a forme di interventi “anomali” di cui costituiscono espressione di punta la prassi, da un lato, dei versamenti effettuati a copertura di perdite ... o in conto aumento di capitale e, dall’altro, dei finanzia-menti dei soci. Si tratta per lo più di operazioni legate all’endemica sottocapitalizzazione nominale del-le società e quindi praticate soprattutto in quelle medio-piccole: sottocapitalizzazione cui esse mirano a sopperire, con modalità e in frangenti diversi, attraverso nuova liquidità, sul primo versante, ovvero mediante una sorta di capitalizzazione, o ricapitalizzazione, sostanziale, sul secondo». Per un’analisi dei riscontri sia civilistici che fiscali, v. FICARI, Il finanziamento della società: conferimenti, indebitamento ed altri «strumenti», in FICARI-GIAMPAOLINO, Profili fallimentari e tributari, in Trattato delle società a responsabilità limitata, diretto da Ibba-Marasà, VIII, Padova, 2012, p. 167 ss.

2 La giurisprudenza ha sempre riconosciuto l’ammissibilità e la legittimità di finanziamenti in forma di mutuo del socio alla società. V. Trib. Milano, 5 dicembre 1988, in Riv. dir. comm., 1990, II, 75 ss. Analogo riconoscimento discende implicitamente dall’assenza nel codice di una disposizione che richieda alla società una dotazione patrimoniale adeguata rispetto all’attività indicata nell’ogget-to sociale. Così, ASSONIME, Il finanziamento della società a responsabilità limitata, Circolare 17 luglio 2007, n. 40, p. 3.

3 GALGANO, Trattato di diritto civile2, IV, Padova, 2011, p. 514. V. TANTINI, I versamenti in conto capitale tra conferimenti e prestiti, Milano, 1990, p. 2 ss.; FERRO-LUZZI, I versamenti in conto capitale, in Giur. comm., 1981, II, p. 895 ss.

4 App. Roma, 17 agosto 2005, in Riv. not., 2007, p. 422.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 470

terno] ... anziché nei confronti dei terzi, al fine di soddisfare le ordinarie esigenze di liquidità che si manifestano nell’ambito di una gestione aziendale produttiva evitan-do l’aggravio degli interessi passivi sul risultato d’esercizio» 5. In tale contesto, i fi-nanziamenti rappresentano per i soci non «una forma di investimento in vista di una remunerazione sotto forma di interessi», bensì «un momento attuativo del rappor-to sociale». Ciò in quanto «lo scopo precipuo che i soci perseguono con il finan-ziamento infruttifero non è, di solito, quello di un “impiego di capitale” per ritrarne dei frutti: l’intendimento è invece quello di sovvenzionare la società partecipata, nel-la stessa logica dei “conferimenti atipici”, erogando somme che però si preferisce in-quadrare nello schema del finanziamento (mutuo), e che potranno così essere più facilmente restituite al socio non appena la società sarà in grado di farlo» 6.

Sussiste, tuttavia, anche una dimensione “patologica” di tali finanziamenti in quanto il ricorso agli stessi potrebbe supportare condotte illecite, rappresentando il veicolo formale per celare violazioni sia della normativa civile che della normati-va tributaria. Ciò anche in considerazione della prassi, diffusa soprattutto nelle so-cietà a ristretta base azionaria, di non qualificare in maniera puntuale i versamenti in denaro dei soci 7.

L’utilizzo di una terminologia equivoca 8 potrebbe, ad esempio, essere volto a celare la reale natura degli apporti dei soci (effettuati a titolo di capitale di rischio piuttosto che a titolo di credito). In simili situazioni di incertezza – spesso emerse in sede fallimentare – la giurisprudenza è stata chiamata ad individuare la disciplina applicabile agli apporti effettuati dai soci. Il rischio collegato all’aumento degli ap-porti da parte dei soci a titolo di capitale di debito è che la società venga a trovarsi in una situazione di sottocapitalizzazione, comportando l’alterazione dell’equilibrio

5 Come, infatti, rilevato, «La scelta del finanziamento soci infruttifero risulterebbe “fisiologica” ed ortodossa in termini contabili-aziendalistici ... se fosse riconducibile alla mera valutazione, in termi-ni di opportunità finanziaria, di ricorrere all’indebitamento ... [interno] ... anziché nei confronti dei terzi, al fine di soddisfare le ordinarie esigenze di liquidità che si manifestano nell’ambito di una ge-stione aziendale produttiva evitando l’aggravio degli interessi passivi sul risultato d’esercizio». Così, AGENZIA DELLE ENTRATE, Risoluzione 24 ottobre 2002, n. 331/E.

6 Così, STEVANATO, Presunzione di fruttuosità dei mutui, indici di ricchezza e finanziamenti erogati dai soci, in Dialoghi trib., 2010, p. 309.

7 V. RUBINO DE RITIS, I versamenti «non titolati» dei soci, in Giur. merito, 2010, p. 1021. Sul pun-to, FRANCARDO, Concorso tra soci finanziatori e terzi creditori della società in sede di liquidazione falli-mentare (Nota a Trib. Chiavari, 19 aprile 1995), in Giur. comm., 1996, p. 421, ravvisa che nella prassi delle società a ristretta base azionaria, non è sempre agevole identificare il regime giuridico degli apporti dei soci, infatti, «soprattutto nelle società sottocapitalizzate e a ristretta base azionaria è prassi diffusa da parte dei soci effettuare versamenti di somme di denaro nelle casse sociali al di fuori di ogni schema giuridico tipico ... Si assiste in tal modo alla costituzione di disponibilità liquide an-che molo ingenti, la cui natura contrattuale viene spesso volutamente lasciata non chiara».

8 BRODASCA, Copertura di perdite tramite versamenti in conto capitale. Commento a Trib. Genova 12 febbraio 2002, in Società, 2003, p. 619.

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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 471

nella ripartizione dei rischi d’impresa tra soci e creditori. Sul punto, come noto, il legislatore è intervenuto con l’art. 2467 c.c., al fine di contrastare l’eventuale intento elusivo di coloro che celano sotto forma di crediti apporti di capitale di rischio e di rafforzare la tutela dei creditori, scoraggiando altresì il fenomeno della sottocapita-lizzazione societaria 9. In particolare, l’art. 2467 c.c., pur senza prevedere alcuna ri-qualificazione coattiva dell’apporto in capitale di rischio 10, dispone che il rimborso del credito del socio che ha finanziato in modo anomalo la società è postergato ri-spetto alla soddisfazione degli altri creditori non ugualmente postergati e, se avve-nuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento, deve essere restituito 11.

Potrebbe anche accadere che l’operazione di finanziamento non sia nella realtà mai avvenuta e sia stata utilizzata unicamente per dare copertura formale ad una gestione extracontabile degli utili da parte della società. In tal caso, l’assenza di chia-rezza nella formulazione degli atti societari troverebbe giustificazione nell’illiceità dell’operazione, con il formarsi di una falsa posta in bilancio là dove si voglia ma-scherare l’ingresso di c.d. “fondi al nero” (ad esempio, prestazioni pervenute alla società senza fatturazione da parte di quest’ultima) con una generica quanto oscu-ra voce “finanziamenti dei soci”. Come rilevato «attraverso la simulazione di un contratto di mutuo, in realtà mai stipulato, si può far risultare una provenienza le-

9 Sul punto, v., per tutti, PORTALE, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in AA.VV., Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo-Portale, Torino, 2004. V. anche CAMPOBASSO, Finanziamenti del socio, in Banca, borsa e tit. cred., 2008, I, p. 441.

10 In questo senso, ex multis, CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 450; poi anche in ID., Sub art. 2467. La postergazione dei finanziamenti dei soci, in AA.VV., S.r.l. Commentario. Dedicato a Giuseppe B. Portale, a cura di Dolmetta-Presti, Milano, 2011, p. 249; ZANARONE, Della società a responsabilità limitata, in Codice Civile. Commentario, fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano, 2010, p. 463 ss.; CALDERAZZI, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, Milano, 2012, p. 32 ss. E già TANTINI, I versamenti dei soci alla società, in AA.VV., Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo-Portale, I, Torino, 2004, p. 798; MAUGERI, Finanziamenti “anomali” dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, Milano, 2005, p. 260. Contra, Trib. Monza, 13 novembre 2003, in Società, 2004, p. 746 ss., con nota di COLAVOLPE, Sottocapitalizzazione «nominale» e «riqualificazione» forzata dei prestiti dei soci alla società in apporti di «capitali di rischio». In relazione al problema della “riqualificazione”, con ampio esame delle esperienze straniere, v. PORTALE, I «finanziamenti» dei soci nelle società di capitali, in Banca, borsa e tit. cred., 2003, I, p. 663 ss., al quale si rimanda per ulteriori riferimenti.

11 In particolare, la disposizione citata effettua una distinzione tra due categorie di finanziamen-to: da una parte, quelli effettuati in situazioni fisiologiche, in cui tra le possibili alternative di finan-ziamento cui può accedere la società vi è il prestito dei soci; dall’altra parte, il finanziamento soci che, in realtà, per la situazione in cui versa la società, assolve una funzione di sostegno patrimoniale per la società, onde la causa del finanziamento è individuabile nel rapporto sociale, e non in un ge-nerico rapporto di rapporto di credito: solo questo finanziamento riceve il trattamento della poster-gazione, rispetto ad altri crediti di terzi creditori, nell’ambito di una procedura concorsuale o di una liquidazione volontaria. Così Trib. Milano, 24 aprile 2007, in Giur. it., 2007, p. 2500 ss., con nota di CAGNASSO, Prime prese di posizione giurisprudenziali in tema di finanziamenti dei soci di società a re-sponsabilità limitata. Sul punto, si rinvia all’ampia letteratura sviluppata in materia. Ex multis, ABRIA-NI, op. cit.; ANGELICI, La riforma delle società di capitali, Padova, 2006; MAUGERI, op. cit.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 472

gittima ad importi pervenuti alla società a seguito di operazioni “al nero”. Si posso-no, infatti, etichettare nelle scritture contabili i proventi gestiti in maniera extracon-tabile come “finanziamenti soci infruttiferi” solo per consentire il successivo prele-vamento da parte dei soci e, dunque, una distribuzione “mascherata” di utili» 12.

Emblematica al riguardo si pone una risalente sentenza di merito, la quale ha af-frontato il problema civilistico della qualificazione dei versamenti dei soci di una so-cietà a ristretta base azionaria 13. In particolare, il Tribunale confermava l’operato di un Giudice delegato che, nell’ambito del processo di verificazione dei crediti di una società fallita, aveva rilevato la non veridicità del bilancio e, così, aveva escluso dallo stato del passivo un socio, che chiedeva la restituzione di un credito qualificato negli atti sociali come finanziamento soci 14. La non attendibilità delle scritture contabili derivava dal fatto che gli asseriti finanziamenti infruttiferi dei soci (appostati in bilan-cio come tali) sarebbero stati, in realtà, «utili non dichiarati, “neri”, che la società fa-ceva riemergere nella contabilità sotto tale voce fittizia». Pertanto, i soci non avrebbe-ro effettuato «alcun versamento nelle casse sociali, in quanto gli importi “etichettati” come finanziamento soci infruttifero erano invece utili gestiti dalla società in maniera extracontabile, di cui la società stessa non risulta abbia mai deliberato l’attribuzione ai soci; si ... [sarebbe trattato] ... quindi di denaro che non è mai uscito dalle casse sociali per entrare nel patrimonio personale dei soci e che per delibera assembleare dei soci stessi è entrato invece a far parte, automaticamente, sia pure sotto la falsa dicitura del finanziamento soci, del patrimonio netto della società con la conseguenza che il dirit-to dei soci sullo stesso è il medesimo che essi hanno sul capitale sociale». I soci avrebbero dovuto provare «proprio in considerazione della non affidabilità dei bilan-ci e della contabilità della società fallita, ... la provenienza di tale denaro ... da un pro-prio conto personale e ciò a dimostrazione del fatto che non si trattava di utili di eser-cizio non ripartiti e gestiti extracontabilmente dalla società».

Una simile fattispecie esplica, come ovvio, conseguenze anche sul piano tributa-rio ed è spesso rilevata dall’Amministrazione finanziaria: sussiste, infatti, una diffusa prassi accertativa secondo la quale, nel caso vengano riscontrati nella contabilità aziendale finanziamenti dei soci “anomali” – sia per l’ingente ammontare, sia per la modalità (ad esempio, in contanti) e la tempistica di erogazione (ad esempio, in si-

12 RUBINO DE RITIS, op. cit., p. 1022. 13 Trib. Chiavari, 19 aprile 1995, in Giur. comm., 1996, II, p. 421 ss., con nota di FRANCARDO, op. cit. 14 In sede di opposizione, il Tribunale confermava l’esclusione, ritenendo anzitutto irrilevante la

qualificazione attribuita dai soci e dalla società ai versamenti effettuati a favore di quest’ultima ed inol-tre perché dagli atti sociali non emergevano univoche indicazioni oggettive che consentissero di ricon-durre i versamenti nell’ambito della disciplina del mutuo o, comunque, indizi circa la natura del nego-zio intercorso tra la società ed i soci stessi. E così, anche in assenza di una formale procedura di aumen-to o ricostituzione di capitale, il collegio ha ritenuto di qualificare la fattispecie come vero e proprio investimento di rischio collegato alla intera soddisfazione dei creditori sociali ammessi al passivo.

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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 473

stematica prossimità dei pagamenti aziendali, il che fa presumere che siano funziona-li a ricostruire contabilmente il c.d. conto cassa 15) – ovvero in contrasto con reali esigenze operative e di convenienza reddituale, l’Amministrazione procede con il disconoscimento della qualificazione contabile dell’operazione (finanziamento in-fruttifero) deducendo una diversa natura della stessa (ricavo extracontabile).

Ne deriva che, nel caso in cui avvenga la successiva restituzione dei finanziamenti infruttiferi ai soci, essa venga considerata un tramite per dissimulare una distribuzio-ne di utili occulta, con possibili conseguenze accertative in capo alla società e ai soci.

Si tratta di una prassi che ha, in diverse occasioni, trovato riscontro nella giuri-sprudenza di legittimità, la quale, tuttavia, non è mai arrivata a concepire principi di diritto al riguardo. La sentenza in commento si inserisce, dunque, in questo filo-ne giurisprudenziale.

3. La prova presuntiva della simulazione del finanziamento

Come emerge dalla trattazione del caso di specie, l’Amministrazione contesta la simulazione 16 dei finanziamenti infruttiferi nell’ambito della procedura accerta-tiva analitico-induttiva.

15 Il “conto cassa” è un componente del libro mastro, sul quale vengono rilevate le entrate e le uscite di denaro contante. Per sua natura il conto cassa non può essere rappresentato contabilmente con un valore inferiore a zero: ciò significherebbe che si stanno sostenendo dei costi senza averne la relativa possibilità materiale e, quindi, devono presumersi oggettivamente sospette le risorse utiliz-zate per far fronte ai pagamenti in quanto corrispondenti a ricavi occultati e non transitati dalla con-tabilità. Così, PAGANI, Irregolarità contabili e incongruenze desumibili dal conto cassa: implicazioni ope-rative alla luce dei recenti sviluppi giurisprudenziali, in Il Fisco, 2012, p. 2924 ss. È, quindi, frequente l’assunto secondo il quale «il finanziamento cosiddetto “per cassa” sia una pratica comune volta a nascondere il classico fenomeno della cassa negativa che può avere origine da vendite in nero». Co-sì CTP Sondrio, sez. II, 13 maggio 2013, n. 15, in Banca dati fisconline Commissioni tributarie. La giu-risprudenza ha, infatti, in più occasioni ritenuto che «È ragionevole ritenere corretta la presunzione adottata dall’Ufficio nel ritenere il saldo negativo di Cassa come indicatore della sussistenza di in-cassi in nero di pari importo, regolati in contanti, a fronte della regolare contabilizzazione dei costi». V. Cass., sez. trib., 31 maggio 2011, n. 11988, in Riv. dir. trib., 2011, p. 386, con commento di BE-GHIN, Reddito di impresa, cassa “in rosso” e ricavi “in nero”: la ferrea equazione sul quantum evaso non basta a sostenere l’avviso di accertamento e in Il Fisco, 2011, p. 4028, con commento di TURIS, Saldi negativi e rapporto fra costi e ricavi nell’ambito dell’accertamento. V. anche Cass., sez. trib., 5 ottobre 2012, n. 17004, in Banca dati De Jure.

16 Giurisprudenza e dottrina si sono spesso interrogate sul potere dell’Amministrazione finan-ziaria di contestare la simulazione contrattuale, arrivando a ritenerlo una funzione connaturata al suo potere di accertamento. V., per tutti, FEDELE, Assetti negoziali e “forme d’impresa” tra opponibilità, simulazione e riqualificazione, in Riv. dir. trib., 2010, p. 1093 ss.; FALSITTA, L’interpretazione antielusiva della norma tributaria come clausola generale immanente al sistema e direttamente ricavabile dai principi costituzionali, in AA.VV., Elusione ed abuso del diritto tributario, a cura di Maisto, Milano, 2009.

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Come noto, tale procedura consente all’Amministrazione finanziaria di prova-re, basandosi su presunzioni semplici qualificate, ovvero dotate dei requisiti di gra-vità, precisione e concordanza 17, l’esistenza di una ricchezza non registrata in con-tabilità secondo il duplice compartimento degli elementi positivi omessi e degli elementi negativi fittizi e, dunque, artatamente registrati. Da tale procedura accer-tativa può, quindi, derivare una qualifica di fittizietà delle passività dichiarate e, quindi, la rilevazione della loro inesistenza ovvero della loro natura simulata 18.

Tale iter accertativo presuppone, in primo luogo, che la simulazione posta in essere dal contribuente venga considerata uno strumento volto all’occultamento di materia imponibile, in secondo luogo, che essa sia dimostrabile tramite un com-pendio presuntivo qualificato.

In merito alla qualificazione della simulazione, sul piano teorico, è pacifica la ri-conduzione della stessa al più ampio genus dell’evasione fiscale 19; va, tuttavia, rile-vato come sussista un filone giurisprudenziale che riconduce la simulazione/fitti-zietà delle operazioni poste in essere dal contribuente nell’ambito dell’elusione fi-scale 20. Si riscontra, quindi, una casistica giurisprudenziale nella quale vengono ac-comunati i due differenti fenomeni della simulazione e dell’elusione 21.

Sul piano probatorio, può rilevarsi come l’accertamento analitico-induttivo sia

17 L’art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600/1973, in sostanza, non richiede necessariamente a sostegno della rettifica “analitico-induttiva”, la presenza di una prova “rappresentativa” (e cioè un giudizio di fatto basato su documenti e altri elementi simili), ma ritiene sufficiente la sussistenza di una prova “presuntiva” e cioè il collegamento “argomentativo” di un evento ad un altro, da realizzare attraverso le nozioni di senso comune, che permetta di fondare la pretesa rettificativa, purché la pre-sunzione sia dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Così, ANELLO, La Cassazione interviene ancora sulla sindacabilità dei comportamenti economici, in Corr. trib., 2002, p. 3547. Invero, è proprio la subordinazione di tale forma di accertamento alla sussistenza di siffatte presunzioni che consente all’accertamento analitico-induttivo di conciliare il principio di analiticità con l’attribuzio-ne all’Amministrazione del potere di disattendere le risultanze delle scritture non sulla base di ele-menti certi e diretti, ma da dati ed elementi frutto di induzioni. Così, SALVATI, Riflessioni in tema di antieconomicità e ragionevolezza nell’accertamento induttivo (Nota a Cass., 2 ottobre 2008, n. 24436), in Rass. trib., 2009, p. 816.

18 GIULIANI, La prova presuntiva della simulazione assoluta alla luce di un recente arresto della S.C., in Il Fisco, 2013. «L’art. 39, comma 1, lett. d), ha di mira l’occultamento di entrate ovvero la simula-zione di uscite». Così CTP Vicenza, sez. VI, 7 novembre 2008, n. 4, in Banca dati De Jure.

19 Sul punto, v. SALVINI, Prospettive di riforma del sistema sanzionatorio tributario, in Rass. trib., 2015, p. 548; LA ROSA, L’accertamento tributario antielusivo: profili procedimentali e processuali, in Riv. dir. trib., 2014, p. 504; FRANSONI, Abuso di diritto, elusione e simulazione: rapporti e distinzioni, in Corr. trib., 2011, p. 15.

20 Tale filone è citato da FRANSONI, op. ult. cit., p. 15. Conforme a tale orientamento, ROSSI, Difet-to di sostanza economica e scopo di lucro ed inopponibilità al fisco degli effetti di un’operazione negoziale posta in essere a soli fini di elusione fiscale (Nota a Cass., 24 luglio 2002, n. 10802), in Dir. prat. trib., 2002, II, p. 1395 ss. Per l’impostazione secondo cui la simulazione rappresenterebbe un fenomeno elusivo, v. TABELLINI, L’elusione fiscale, Milano, 1988.

21 V. SALVINI, Prospettive di riforma del sistema sanzionatorio tributario, cit., p. 548.

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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 475

in linea con la normativa civilistica, la quale, in tema di simulazione, «contempla espressamente la prova della finzione fornita dal terzo interessato (qual è anche l’Amministrazione) a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti (arg. ex artt. 1417 e 2729 cpv. c.c.)» 22. Una volta affermata la dimostrabilità della simula-zione/inesistenza a mezzo di presunzioni (da parte dell’Ufficio), il nodo della que-stione si colloca proprio sul piano della sufficienza del compendio presuntivo ad-dotto di caso in caso 23.

Nel caso di specie, come rilevato, l’Amministrazione disconosce la posta “fi-nanziamenti infruttiferi”, ritenendola una posta di natura meramente contabile 24, e, di conseguenza, deduce l’esistenza di maggiori ricavi in capo alla società. Il ra-gionamento presuntivo si basa su una serie complessa di elementi indiziali, tra i quali assumono rilevanza fondamentale l’antieconomicità della condotta del con-tribuente e l’accertamento della fonte dei finanziamenti.

Si tratta di «indici rivelatori» tipici, i quali fondano, in fattispecie analoghe a quelle del caso di specie, la presunzione di fittizietà dei finanziamenti infruttiferi 25.

3.1. L’antieconomicità dei finanziamenti infruttiferi. Un’ulteriore sfumatura del concetto “standard” di antieconomicità? La presunzione di fittizietà dei finanziamenti infruttiferi trova principale fon-

damento nell’antieconomicità della condotta del contribuente.

22 GIULIANI, La prova presuntiva della simulazione assoluta alla luce di un recente arresto della S.C., cit., p. 5180; ID., La simulazione dal diritto civile all’imposizione sui redditi, Padova, 2009, p. 1 ss.

23 GIULIANI, La prova presuntiva della simulazione assoluta alla luce di un recente arresto della S.C., cit., p. 5180.

24 Si tratta, come ovvio, di un’operazione di maquillage contabile nella quale l’illecito contabile non si proietta nella sola dimensione dello stato patrimoniale, intaccando così il conto economico, così rea-lizzandosi il presupposto per l’accertamento induttivo. Tale operazione è da ricondurre a quei casi in cui le vicende degli elementi iscritti nello stato patrimoniale possano provocare un impatto sulla de-terminazione del reddito d’impresa, atteso che dall’accertamento scaturisce una sopravvenienza attiva. Su tali questioni, v. BEGHIN, L’asserita “forza espansiva” dell’irregolarità dello stato patrimoniale quale pre-supposto per l’accertamento induttivo del reddito d’impresa, in Riv. dir. trib., 2011, p. 646 ss.

25 V. CTR Bari, sez. XI, sent. 18 gennaio 2016, n. 59, in Banca dati De Jure, secondo cui «In tema di accertamento analitico-induttivo del reddito, l’art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600/1973, di-spone che l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti. In mate-ria societaria, con riferimento specifico ai finanziamenti infruttiferi dei soci, sono stati elaborati al-cuni indici rivelatori dell’inesistenza di tali passività, il cui accertamento legittima il recupero a tassa-zione di tali somme quali ricavi non contabilizzati. Tra essi rilevano, in via presuntiva, l’assenza di una valida ragione giustificativa degli apporti dei soci, l’erogazione dei finanziamenti in sistematica prossimità dei pagamenti aziendali, che si presume funzionale a ricostruire contabilmente il conto cassa, l’accertamento della fonte dei conferimenti». Per una fattispecie nella quale sono presenti tutti questi “indici rivelatori”, v. Cass., 5 luglio 2013, n. 16797 e la precedente sentenza di merito, CTR Bari, sez. XV, 24 marzo 2010, n. 11, entrambe reperibili in Banca dati De Jure.

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Esso rappresenta un “rilievo tipico”, il quale è presente anche in altri arresti del-la giurisprudenza di legittimità aventi ad oggetto fattispecie analoghe a quelle del caso in commento. In particolare, è stato posto a fondamento della presunzione di fittizietà dei finanziamenti infruttiferi il fatto che i questi ultimi fossero «reiterati e antieconomici» 26 ovvero fossero «al di fuori di ogni logica economica» 27; inte-grassero una «una inverosimile condotta sistematicamente antieconomica (di fi-nanziamento a fondo perduto di una società formalmente senza utili)» 28 ovvero un comportamento del contribuente antieconomico e irrazionale 29; determinasse-ro l’«antieconomicità della gestione dell’impresa» 30. È, dunque, ricorrente nella giurisprudenza di legittimità che ha avuto modo di pronunciarsi con riferimento a fattispecie analoghe a quella della sentenza in commento valorizzare a fini presun-tivi «l’assenza di una valida ragione giustificativa degli apporti dei soci, oggettiva-mente apprezzabile in riferimento alla situazione aziendale e alle peculiari esigenze di liquidità che essa presenta (dovendo ritenersi anomalo il costante e cospicuo ricorso ai medesimi)» 31.

Al fine di ben comprendere il ruolo svolto dal rilievo sull’antieconomicità 32 nel caso di specie, risulta opportuna una breve disamina di tale concetto.

La «teoria degli atti antieconomici» 33 rappresenta un «costrutto esclusiva-

26 Cass., sez. trib., 28 novembre 2014, n. 25330, in Banca dati De Jure. 27 Cass., sez. trib., 12 marzo 2009, n. 5928, in Banca dati De Jure. 28 Cass., sez. trib., 23 aprile 2014, n. 9132; Cass., sez. trib., 19 novembre 2014, n. 24618, entram-

be in Banca dati De Jure. 29 Cass., sez. trib., 12 marzo 2009, n. 5929, in Banca dati De Jure. 30 Cass., sez. trib., 19 novembre 2014, n. 24621; Cass., sez. trib., 20 gennaio 2004, n. 793. Per la

giurisprudenza di merito, v. CTR Lazio, sez. IV, 21 gennaio 2013, n. 4; CTR Puglia, sez. IX, 3 otto-bre 2012, n. 942, tutte reperibili in Banca dati De Jure.

31 CTR Bari, sez. XI, sent. 18 gennaio 2016, n. 59, cit. 32 Sul concetto di “economicità” contrapposto a quello di “antieconomicità”, v. FICARI, Reddito

di impresa e programma imprenditoriale, Padova, 2004, p. 181 ss. 33 In tema di antieconomicità, senza pretesa di esaustività, si citano, i seguenti contributi dottri-

nari, rimandando agli stessi per ulteriori riferimenti: FANTOZZI, Sindacabilità delle scelte imprendito-riali e funzione nomofilattica della Cassazione, in Riv. dir. trib., 2003, II, p. 554; BEGHIN, Atti di gestione “anomali” o “antieconomici” e prova dell’afferenza del costo all’impresa, in Riv. dir. trib., 1996, I, p. 415; ID., Reddito d’impresa ed economicità delle operazioni, in Corr. trib., 2009, p. 3626, ID., Il concetto di "operazione antieconomica" tra relativismo e rettifica del reddito d'impresa: spunti di riflessione, in Boll. trib., 2009, p. 1547; BALLANCIN, L’antieconomicità tra occultamento di capacità contributiva, elusione fiscale ed il “dover essere” tributario, in Riv. dir. trib., 2012, p. 199; FICARI, Normalizzazione, elusione ed interposizione: a quando “un’illuminata giurisprudenza”? (Nota a Cass. 15 settembre 2008, n. 23636), in Riv. giur. trib., 2009, p. 67; FREGNI, Note in tema di deducibilità (dal reddito d’impresa) dei compensi corrisposti agli amministratori di società, in Rass. trib., 2011, p. 847; GREGGI, Il requisito dell’obiettiva economicità dell’attività d’impresa nell’accertamento “contabile induttivo” (Nota a Cass. 9 febbraio 2001, n. 1821), in Riv. dir. trib., 2001, II, p. 507, SALVATI, op. cit., p. 816 ss., SCALINCI, Rilevanza fisca-le del corrispettivo contrattuale e accertamento contabile analitico-induttivo, in Riv. dir. trib., 2003, II, p.

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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 477

mente di natura giurisprudenziale» 34 il quale, nella sua espressione più rigorosa 35, assume fondamentalmente che il fatto stesso che un imprenditore commerciale, che deve agire secondo i criteri di economicità per conseguire il massimo guadagno, ponga in essere operazioni antieconomiche possa, di per sé, integrare, se non ade-guatamente motivato da ragioni che, invece, lo rendono razionale e lo giustificano in una prospettiva più ampia, quegli elementi indiziari che possono legittimare un ac-certamento tributario 36. In particolare, la formula «standard» 37, che soventemente viene richiamata, prevede che gli Uffici finanziari, pur in costanza di una contabilità ineccepibile dal punto di vista formale 38, siano legittimati, «in presenza di un com-portamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, ad esperire un accertamento del reddito ai sensi dell’articolo 39, primo comma, lettera d), del D.P.R. n. 600/1973, il quale consente di desumere l’esistenza di ricavi non dichiarati o la inesistenza di passività dichiarate anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti» 39, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente 40. 504 ss. SCHIAVOLIN, Comportamento “antieconomico” dell’imprenditore e potere di accertamento del-l’amministrazione finanziaria, in Giur. imp., 2004, p. 254.

34 TARDINI, L’anti-economicità dei fatti di gestione aziendale: congruità, inerenza e valore normale, in Il Fisco, 2012, p. 3428 ss., il quale fa riferimento alle numerose sentenze che valorizzano l’antieconomicità del comportamento del contribuente a supporto della legittimità degli accertamenti effettuati a suo carico.

35 FANTOZZI, op. cit., p. 556. 36 Cass., sez. trib., 14 gennaio 2003, n. 398, in Banca dati De Jure. 37 SALVATI, op. cit., p. 820. 38 La Suprema Corte ha, infatti, ritenuto possibile desumere l’inattendibilità della contabilità in

presenza di comportamenti economicamente ingiustificati. V., da ultimo, Cass., sez. trib., 15 maggio 2015, n. 9968 nonché, ex multis, Cass., sez. trib., 2008, n. 23635, Cass., sez. trib., 2008, n. 417, Cass., sez. trib., 2009, n. 13915 e Cass., sez. trib., 9 settembre 2005, n. 18038, tutte reperibili in Banca dati De Jure. Nella sentenza n. 18038/2005 la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che «... non v’è dubbio che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili for-malmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’im-presa, ai sensi della citata norma, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo dell’anti-economicità del comportamento del contribuente, consentendo così all’Ufficio di dubitare della veridicità delle risultanze di quella contabilità e di desumere, sulla base di presunzioni semplici, mag-giori ricavi o minori costi, ma ciò sempre che quelle presunzioni effettivamente ricorrano e siano gravi, precise e concordanti (Cass. 3.5.2002, n. 6337)». Sul punto, è stato rilevato come la regolarità della tenuta delle scritture contabili non implica all’evidenza la certezza assoluta in ordine all’effettività del reddito prodotto, avendo esclusivamente la funzione di documentare e serbare memoria di quanto prodottosi nella sfera giuridica del contribuente, integrando un primo tassello per colmare l’inferiorità conoscitiva dell’Amministrazione nell’attività di accertamento. Sul tema si rinvia a NUZZO, Procedure di accertamento dei redditi determinati in base a scritture contabili, in Rass. trib., 1986, I, p. 167.

39 V., ex multis, Cass., 25 febbraio 2002, n. 7680; Cass., sez. trib., 2 ottobre 2008, n. 24436; Cass., sez. trib., 2 ottobre 2008, n. 23635, tutte reperibili in Banca dati De Jure.

40 Circa la sostanziale inversione dell’onere della prova in caso di comportamento «assoluta-

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 478

L’analisi del relativo filone giurisprudenziale, evidenzia come il rilievo sull’anti-economicità si concretizzi, nella maggior parte dei casi, in una «valutazione di congruità» dei costi e dei ricavi esposti in bilancio e nelle dichiarazioni, la quale fa ritenere legittima la correzione di queste ultime «anche se non ricorrono irregola-rità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici compiuti nell’eser-cizio dell’impresa, con negazione della deducibilità» 41.

Viene, quindi, in evidenza la differenza tra una “qualifica di fittizietà”, oggetto del caso di specie, e una “valutazione di congruità” della posta contabile contestata, propria dell’antieconomicità “maggioritaria”: alla base della prima vi è una simula-zione assoluta dell’operazione contestata, mentre la seconda presuppone, come prior logico-fattuale, quantomeno l’esistenza, la realità nel senso di effettività del sosteni-mento di un costo o di un ricavo a fronte di operazioni concretamente poste in es-sere, di poi eventualmente sindacabili sotto il profilo dell’ascrivibilità all’attività d’impresa 42 ovvero dell’abnormità rispetto a valori predeterminati. mente contrario ai canoni dell’economia», v. Cass., sez. trib., 15 maggio 2015, n. 9968, Cass., sez. trib., 14 giugno 2013, n. 14941 e negli stessi termini, Cass., sez. trib., 20 marzo 2013, n. 6918; Cass., sez. trib., 20 dicembre 2012, n. 23597; Cass., sez. trib., 9 novembre 2012, n. 19550; Cass., sez. trib., 22 febbraio 2012, n. 2613, tutte reperibili in Banca dati De Jure. A tal riguardo, BEGHIN, Reddito d’impresa ed economicità delle operazioni, cit., p. 3630, sostiene che «Le contestazioni sull’antiecono-micità non modificano affatto lo schema ordinario di distribuzione dell’onere della prova. Spetta conseguentemente al Fisco, il quale intenda far leva su tale elemento per muovere una contestazio-ne, dimostrare che il valore normale di un bene o di un servizio, non importa se acquistato, ceduto o erogato, si discosta significativamente dal corrispettivo dichiarato nei contratti e trasfuso, poi, nelle scritture contabili». Nello stesso senso, BALLANCIN, op. cit., pp. 207 e 209, Il quale evidenzia come «la partizione ... dell’onere della prova tra contribuente e amministrazione finanziaria ... risulti pos-sedere una portata meramente indicativa, in quanto non fa altro che identificare il punto di partenza di un processo dialettico dai decorsi imprevedibili».

41 Cass., sez. trib., 3 agosto 2001, n. 10650, in Banca dati fisconline. 42 Rileva BEGHIN, Note critiche a proposito dell’asserita doppia declinazione della regola dell’ineren-

za (“inerenza intrinseca” versus “inerenza estrinseca”), in Riv. dir. trib., 2012, p. 408, che «quando ci si muove sul piano dell’inerenza, non si mette in discussione l’esistenza di una determinata spesa o di un determinato esborso: se così fosse, infatti, il problema dell’applicazione della citata regola nem-meno dovrebbe porsi, in difetto, appunto, di un componente sul quale calarla. Si ragiona, invece, sul collegamento tra tale spesa o tale esborso e l’attività dalla quale scaturiscono i proventi fiscalmente rilevanti ... al concetto di inerenza è legata l’idea di un “giudizio”: un giudizio che riguarda non tanto l’esistenza del fatto economico ..., bensì la sua connotazione di fatto suscettibile di essere incardina-to nell’attività, vale a dire incapsulato nel programma al quale l’imprenditore abbia dato (o stia per dare) attuazione». Sul punto, v. anche FICARI, Reddito di impresa e programma imprenditoriale, cit., p. 197, il quale rileva come «in sede di sindacato delle scelte imprenditoriali, non sembra che l’Ammi-nistrazione finanziaria possa addurre la non economicità come prova dell’inesistenza sia soggettiva che oggettiva dell’impresa né dell’esistenza di compensi dissimulati o di costi inesistenti né, tanto-meno, la non inerenza del costo. Nell’indagare il ruolo della non economicità di un atto occorre di-stinguere se questa possa condizionare l’inerenza dell’atto stesso al programma imprenditoriale o, invece, come pare, la sola congruità del costo a regole di normale gestione imprenditoriale. Il ricorso al ragionamento presuntivo può, dunque, permettere di indagare un profilo solo quantitativo del com-portamento imprenditoriale. In assenza, però, di una normativa che normalizzi la traduzione quantita-

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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 479

Nel caso di specie, il rilievo sull’antieconomicità non sembra tener conto di tale “accezione maggioritaria” del concetto di antieconomicità ma intende riferirsi ad una serie di comportamenti del contribuente – in particolare, la costante effettua-zione di ingenti finanziamenti infruttiferi da parte dei soci e la successiva restitu-zione, in tempi brevi, agli stessi soci principalmente per cassa – non giustificabili dal punto di vista economico, quasi sembrando voler richiamare, secondo un’inter-pretazione estensiva dell’(ormai abrogato) art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973, un po-tere amministrativo di disconoscimento degli effetti fiscali per assenza di valide ra-gioni economiche 43. Tuttavia, nel caso di specie, si è nell’ambito di un accertamen-to presuntivo e di una condotta evasiva; sembra, pertanto, che il rilievo possa leg-gersi nel senso che, nel caso di specie, l’assenza di valide ragioni economiche (id est l’antieconomicità) nel comportamento del contribuente sia tale da integrare una presunzione grave, precisa e concordante ai fini della dimostrazione del carattere fittizio dei finanziamenti. La Suprema Corte avallando tale rilievo, ha, infatti, rite-nuto corretta l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente conside-randolo, pertanto, gravato della dimostrazione dell’effettività degli apporti 44.

L’“originale” sfumatura del concetto di antieconomicità – id est l’antieconomi-cità dei finanziamenti infruttiferi – che emerge dalla sentenza in commento sem-bra potersi ricondurre al fatto che, come evidenziato in dottrina, la stessa espres-sione “antieconomicità”, la quale, peraltro, non è definita dal legislatore tributa-rio 45, è, invero, per la sua stessa consistenza, capace di adattarsi a situazioni molto diverse 46: «se, infatti, si guarda all’antieconomicità attraverso la lente della “cre-dibilità” dell’operazione e del possibile nascondimento al Fisco di materia impo-

tiva di talune componenti reddituali, la non economicità di un atto può essere confutata con le ca-ratteristiche della precisione, gravità e concordanza di una presunzione al fine di dimostrare non l’assenza di funzionalità ma l’effettiva percezione del ricavo o del sostenimento del costo».

43 Peraltro, non sono mancate pronunce della giurisprudenza di legittimità che hanno considera-to l’irrazionalità del comportamento del contribuente in chiave antielusiva. Né dà conto BALLANCIN, op. cit., p. 210. Si ricorda, peraltro, come il principio di antieconomicità è stato in origine introdotto facendo riferimento all’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973, spesso invocando tale disposizione al di fuori del suo contesto tradizionale di applicazione. V. Cass., sez. trib., 9 febbraio 2001, n. 1821, in Riv. dir. trib., 2001, p. 505, con nota di GREGGI, Il requisito dell’obiettiva economicità dell’attività d’impresa nell’accertamento “contabile induttivo”, in Rass. trib., 2011, p. 211 ss., con nota di LUPI, Equivoci in te-ma di sindacato del fisco sull’economicità della gestione aziendale. V. anche Cass., sez. trib., 24 luglio 2002, n. 10802, in Dir. prat. trib., 2002, II, p. 1395 ss., con nota di ROSSI, Difetto di sostanza economica e scopo di lucro ed inopponibilità al fisco degli effetti di un’operazione negoziale posta in essere a soli fini di elusione fiscale; Cass., sez. trib., 15 settembre 2008, n. 23636, in Riv. giur. trib., 2009, p. 63 ss., con nota di FICARI, Normalizzazione, elusione ed interposizione: a quando un’«illuminata giurisprudenza»?

44 In questi termini, v. soprattutto Cass., sez. trib., 28 novembre 2014, n. 25330. 45 BALLANCIN, op. cit., p. 203. 46 BEGHIN, Reddito d’impresa ed economicità delle operazioni, cit., p. 3627, il quale lo definisce un

concetto “caleidoscopico”. V. anche SALVATI, op. cit., p. 820, la quale lo definisce «un concetto mo-bile, elastico soggetto ad interpretazioni di diverso genere».

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 480

nibile, si scopre che le sue declinazioni possono essere numerose» 47. Ad ogni modo, è importante sottolineare come tale «relativismo» del concetto di opera-zioni antieconomiche comporti che la contestazione di fattispecie di evasione in-centrate sulla antieconomicità imponga già in capo alla stessa Amministrazione finanziaria di procedere caso per caso al fine di stabilire se ci si trovi di fronte ad un illecito fiscale ovvero a passaggi fisiologici per il raggiungimento degli obiettivi aziendali 48.

Il ragionamento inferenziale condotto nel caso di specie deve, infatti, essere strettamente ricondotto al contesto di riferimento, ovvero al contesto di una socie-tà a ristretta base familiare, nella quale è lecito presumere una identità di interessi tra soci e società.

Tuttavia, pur ribadendo lo stretto collegamento al caso di specie, la sentenza in commento sembra potersi inserire nel solco di quelle pronunce giurispruden-ziali che si sono occupate del rapporto tra antieconomicità e simulazione 49, con-siderando la prima in termini strumentali rispetto alla prova della seconda, e sem-bra, pertanto, rappresentare il giusto contesto per richiamare quanto osservato dalla dottrina in relazione al concetto di antieconomicità ovvero il fatto che essa possa «costituire (elemento di) prova di ... simulazione ...» 50 ovvero «rappresen-tare un primo elemento per contestar[e] ... la credibilità ... [di un’operazione] ... e per immaginare che, dietro a un certo involucro formale, possa nascondersi un po’ di evasione» 51 o, ancora, che possa concretizzarsi «nell’utilizzazione, da parte dell’Ufficio, di circostanze note, dichiarate, per presumerne altre, che il contri-buente cerca di tenere nascoste; nessuno vuole ovviamente tassare l’imprenditore per il mero fatto di esser stato poco accorto, ma la spiegazione più probabile dell’apparente poca accortezza è invece la non veridicità dei dati dichiarati, per la presenza di ricavi non contabilizzati» 52.

47 BEGHIN, Il concetto di “operazione antieconomica” tra relativismo e rettifica del reddito d’impresa: spunti di riflessione, cit., p. 1547 ss. L’A. prosegue affermando che l’antieconomicità può riferirsi ora a taluni atti, ora a un’unica operazione, ora all’intera attività esercitata dall’imprenditore, incardinan-dosi in una gamma amplissima di fattispecie. Conforme MARELLO, Involuzione del principio di ineren-za?, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2002, I, p. 7, secondo cui: «Nella ambigua categoria delle operazioni “an-tieconomiche” vengono inclusi usualmente tutti quegli atti che appaiono prima facie privi di alcune caratteristiche ritenute usuali negli atti effettuati nell’esercizio di impresa. Si tratterebbe, quindi, di ne-gozi che non lasciano immediatamente scorgere un “interesse patrimoniale” dell’impresa al compi-mento degli stessi».

48 BEGHIN, Il concetto di “operazione antieconomica” tra relativismo e rettifica del reddito d'impresa: spunti di riflessione, cit., p. 1547 ss.

49 V. BALLANCIN, op. cit., p. 206. 50 FANTOZZI, op. cit., p. 556. 51 BEGHIN, Reddito di impresa ed economicità delle operazioni, cit., p. 3626. 52 LUPI, L’oggetto economico delle imposte nella giurisprudenza sull’antieconomicità, in Corr. trib.,

2009, p. 261.

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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 481

3.2. L’accertamento della fonte dei finanziamenti Dalle righe precedenti, sembra potersi trarre la considerazione che condotte

evasive quali quella descritta nel caso di specie siano fondamentalmente prerogati-va delle società a ristretta base societaria 53.

Come noto, nei confronti di tali società, l’Amministrazione finanziaria spesso ricorre a procedure accertative ad hoc 54 ovvero estende i suoi poteri di indagine nei confronti dei soci, in virtù delle rilevate caratteristiche di tali società, nelle quali è lecito presumere una corrispondenza o sovrapposizione tra l’area degli interessi facenti capo ai soci come privati e quelli che essi possono perseguire come soggetti investiti della disponibilità funzionale dei patrimoni delle società partecipate 55.

Come rilevato, in tali enti «forma giuridica» e «sostanza dei rapporti sociali» non corrispondono: la perfetta alterità che garantisce la forma di società di capitali è, infatti, tradita da una situazione di immedesimazione tra soci e società 56. Costi-tuiscono indici tipici di questa perfetta immedesimazione tra soci e società le cir-costanza che in esse si sovrappongano le figure di soci ed amministratori, che que-

53 Per un inquadramento di tali società alla luce della disciplina civilistica e tributaria, v. i contributi di IBBA, Le “piccole” società nel diritto commerciale, FICARI, L’imposizione per “trasparenza” delle “piccole” società di capitali, e FEDELE Le “piccole” società di capitali nel diritto tributario, in AA.VV., Studi in tema di forma societaria, servizi pubblici locali, circolazione della ricchezza imprenditoriale, a cura di Cossu, Tori-no, 2007, p. 1 ss. In particolare, FEDELE, op. ult. cit., p. 5, dopo aver rilevato come «mentre nella disci-plina civilistica possono individuarsi criteri di differenziazione delle società di capitale con rilevanza dimensionale ed a valenza generale, soprattutto con riguardo al rapporto fra attività complessivamente svolta, struttura organizzativa della società e rilevanza dell’attività di lavoro prestata dai soci, in materia tributaria, pur non mancando parametri ed elementi distintivi che determinano diversi regimi e moda-lità applicative dei vari tributi, è difficile ricondurli a criteri unitari, ad una logica complessiva della di-scriminazione “dimensionale” delle società», cita tra i più rilevanti fattori di diversificazione nel tratta-mento fiscale basati su profili dimensionali: il volume d’affari, il rapporto tra struttura organizzativa e lavoro nella società, il numero dei soci e la “misura” delle partecipazioni degli stessi.

54 Sul punto, TASSANI, L’accertamento tributario e le PMI. Riflessi procedimentali della ristretta base proprietaria, in Piccola Impresa, n. 3, 2008, p. 119, secondo cui «nell’attuale sistema tributario, le PMI non godono ... di trattamenti di particolare favore né a livello di determinazione dell’imposta né nel procedimento di accertamento tributario ... A ben vedere, anzi, proprio i metodi accertativi maggiormente “penalizzanti” per il contribuente, perché basati su presunzioni a favore del Fisco, quali per esempio gli studi di settore, sono tradizionalmente rivolti ad imprese di dimensioni non grandi. In questo quadro si inserisce anche l’esperienza giurisprudenziale che, soprattutto in rela-zione alle società a “ristretta base societaria” ed alle imprese individuali, ha legittimato il ricorso, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di ulteriori metodi presuntivi ... [come la] ... presunzione di distribuzione di utili per le società di capitali a ristretta base proprietaria ... [e la] ... utilizzabilità, per l’accertamento nei confronti delle società e delle imprese a base “ristretta”, dei conti bancari intestati a soggetti terzi ma legati, da vincoli familiari o societari, alla stessa società o impresa».

55 ZIZZO, Reddito delle persone giuridiche (imposta sul), in Riv. dir. trib., 1994, I, p. 635 e in Dig. disc. priv., sez. comm., 1996, p. 222; SACCHETTO, L’imposta sul reddito delle persone giuridiche, in AA.VV., Trattato di diritto tributario, diretto da Amatucci, Padova, 2001, p. 104.

56 RASI, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria. Profili ri-costruttivi di un modello impositivo, Padova, 2012, p. 19.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 482

sti ultimi siano dotati dei più ampi poteri decisionali e siano di fatto sottratti ai controlli degli altri soci ai quali possono essere legati da vincoli familiari o persona-li. Ciò fa sì che in questi enti, i quali assumono in genere la forma di società a re-sponsabilità limitata, risulti assolutamente centrale la figura dei soci che si qualifi-cano come soci-imprenditori (ovverosia soci interessati all’attività ed alla gestione della società) 57 piuttosto che come soci-finanziatori o soci-risparmiatori (ovvero-sia soci interessati solo alla remunerazione del loro investimento) 58.

Si comprende, quindi, come spesso, nell’ambito di procedure accertative a cari-co di dette società, l’Amministrazione decida di estendere le indagini anche alla sfera reddituale dei soci.

Tale estensione di indagine risulta di fondamentale importanza in fattispecie come quella trattata nella sentenza in commento: rileva, infatti, quale indice presun-tivo anche l’accertamento della fonte dei finanziamenti 59. Al tempo stesso, l’indica-zione della fonte dei finanziamenti rappresenta la principale prova contraria che il contribuente può addurre per dedurre l’effettività dei finanziamenti 60.

La giurisprudenza ha valorizzato tale indice rivelatore anche indipendentemen-te dal rilievo sull’antieconomicità, soprattutto nei casi in cui i finanziamenti veni-vano effettuati in contanti 61.

57 Nelle società a responsabilità limitata la compagine sociale è di regola ristretta, formata da soci imprenditori e non meri investitori, e spesso legata da vincoli familiari. Ciò si riflette ad esempio sulle norme in tema di organizzazione interna, nel redigere le quali il legislatore si è mosso dalla convinzione che la società a responsabilità limitata sia formata principalmente da soci imprenditori, portatori di un interesse partecipativo al governo della società ed in grado di cogliere il significato e di rappresentarsi le conseguenze delle clausole apposte: questo approccio, percepibile in modo tra-sversale nella struttura del tipo sociale, è particolarmente evidente nella disciplina dei processi deci-sionali. Sul punto, v. ZANARONE, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in Riv. soc., 2003, pp. 68 e 83, Il quale giustifica il maggior margine di autonomia concesso ai soci delle s.r.l. al riguardo, rispetto ai soci di una spa, sulla base della circostanza che la compagine sociale è in tal caso «formata esclusivamente da soci imprenditori, capaci come tali di autotutelarsi in quanto in grado di cogliere tutte le conseguenze delle clausole che sottoscrivono».

58 RASI, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria. Profili ri-costruttivi di un modello impositivo, cit., p. 19.

59 V. CTR Bari, sez. XI, sent. 18 gennaio 2016, n. 59, cit. 60 Per contro, qualora l’Amministrazione riscontri l’esistenza di disponibilità finanziarie dei soci

tali da giustificare i finanziamenti potrebbe procedere con un accertamento sintetico ai sensi dell’art. 38, D.P.R. n. 600/1973. A tal proposito, si ricorda che tra «gli elementi e circostanze di fatto certi» richiesti dall’art. 38, D.P.R. n. 600/1973 per la legittimazione della determinazione sintetica del reddito complessivo del contribuente, la giurisprudenza ha individuato il finanziamento delle pro-prie imprese da parte di un contribuente che dichiarava modesti redditi. In tale circostanza, l’Ammi-nistrazione finanziaria aveva accertato maggiori redditi in capo al socio quale conseguenza di conti-nui e ingenti versamenti effettuati in contante a favore della società partecipata, ancorché dalle di-chiarazioni dei redditi del socio stesso emergessero redditi di modesta entità. V. Cass., sez. V, 30 gennaio 2007, n. 1908, in Banca dati De Jure.

61 V. CTR Torino, sez. XXXVI, 15 luglio 2013, n. 140, in Banca dati De Jure, nella quale i Giudici hanno confermato la riqualificazione di finanziamenti infruttiferi effettuati in contanti in ricavi ex-

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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 483

In particolare, la Suprema Corte si è trovata a doversi pronunciare con riferi-mento al caso di un considerevole aumento di capitale sociale realizzato, tramite ripetuti ed ingenti finanziamenti infruttiferi, dai soci di una società a base familiare, risultati poi essere «fiscalmente nullatenenti» 62. L’Amministrazione aveva proce-duto ad un accertamento induttivo fondandolo, oltre che su rilevate irregolarità contabili, sull’esiguità dei redditi dichiarati dai soci «assolutamente inidonei a mo-tivare ... gli ingenti conferimenti fatti alla società, comprensibili solo nel caso che derivino da redditi di impresa occultati». Tale presunzione, valutata unitamente alle diffuse irregolarità contabili riscontrate nella gestione della società, anziché sfo-ciare nell’istituto dell’accertamento sintetico in capo ai soci, aveva, quindi, deter-minato tout court una rettifica induttiva dell’utile societario, considerando la stessa «spendibilità» dei soci, non altrimenti giustificata, effetto indiziario (fatto noto) dell’occultamento di una parte dell’utile d’esercizio 63.

Ad avviso della Corte di Cassazione, la presunzione dell’Ufficio rappresentava «una presunzione, sia pure semplice, che imponeva ai contribuenti di dare conto, in qualche modo, della provenienza del denaro oggetto dell’aumento di capitale». L’esiguità dei redditi dichiarati dai soci poteva, quindi, ad avviso della Cassazione, rappresentare elemento idoneo a legittimare il ricorso ad una ricostruzione indut-tiva del risultato d’esercizio, costituendo un valido indizio per presumere che l’in-gente conferimento in denaro nascondesse un «occultamento fiscale di redditi so-cietari poi tradotti in aumento di capitale», senza bisogno del previo esperimento di un accertamento sintetico, dal momento che «la fattispecie in esame riguar-da[va] unicamente il reddito societario ed i fatti che hanno dato vita alla presun-zione ... [erano] ... strettamente inerenti alla gestione societaria» 64.

In questo caso, quindi, la presunzione avrebbe potuto essere superata mediante la produzione di valide prove attestanti una diversa provenienza delle somme con-ferite, proprio in considerazione del fatto che l’assenza di significativi redditi di-chiarati dai soci costituiva la circostanza posta alla base del percorso logico-de-duttivo seguito nell’accertamento fiscale 65.

Anche in fattispecie analoghe a quelle del caso in commento, l’accertamento tracontabili, effettuata dall’Agenzia delle Entrate, in quanto i finanziamenti non erano singolarmen-te riconducibili ad alcun socio; la società, infatti, non era stata in grado di ricondurre sulla base della documentazione disponibile le specifiche somme ai singoli soci e, pertanto, non aveva addotto nes-suna prova contraria alla presunzione di fittizietà dei finanziamenti.

62 Cass., sez. trib., 26 novembre 2007, n. 24531, in Banca dati De Jure. 63 IORIO, Cass. n. 24531 del 26 novembre 2007: i finanziamenti infruttiferi alla società possono essere

sintomatici di maggiori ricavi, in Il Fisco, 2007, p. 6022. 64 La Suprema Corte ha definito “ultronea” la sentenza di secondo grado nella parte in cui veniva

eccepita la necessaria preventiva rettifica del reddito dei soci mediante accertamento sintetico, dal momento che «la fattispecie in esame riguarda unicamente il reddito societario ed i fatti che hanno dato vita alla presunzione sono strettamente inerenti alla gestione societaria».

65 IORIO, op. cit., p. 6022.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 484

della fonte dei finanziamenti assume notevole importanza ai fini della presunzione di fittizietà dei finanziamenti. È risultato, infatti, fondamentale, in termini di prova contraria, che il contribuente dia «conto in modo adeguato delle consistenze pa-trimoniali» 66, soprattutto se dall’analisi delle dichiarazioni dei redditi emergono importi non congruenti con i finanziamenti 67.

4. La “riqualificazione” della restituzione dei finanziamenti in distribuzione di dividendi. Richiamo alla presunzione di distribuzione ai soci di utili extra-contabili nelle società a ristretta base proprietaria

In merito alla nozione di dividendo accolta dal legislatore tributario, autorevole dottrina ha avuto modo di osservare come quest’ultimo farebbe riferimento ad una «nozione sostanziale» in luogo di quella «formale civilistica» 68.

Simile assunto risulterebbe avvalorato dal dato normativo, nello specifico dal-l’art. 47, comma 1, TUIR, il quale non ricorre alla nozione di dividendo ma a quel-la di «utili distribuiti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione». L’ampia latitudine semantica di tale disposizione agevolerebbe forme di interpretazione e-stensiva orientate ad un approccio “sostanzialistico” alla tassazione dei dividendi formatisi al di fuori degli ordinari schemi civilistici 69. Infatti, come rilevato, tale for-mula normativa, la quale dimostrerebbe una indifferenza da parte del legislatore in ordine allo strumento giuridico-formale di acquisizione del reddito da parte del so-cio, avrebbe indotto la prassi e la giurisprudenza ad assumere un approccio spicca-tamente sostanzialistico con riguardo alla distribuzione “occulta” di utili ai soci, vol-to a prescindere da quei requisiti formali che contraddistinguono la distribuzione dei dividendi sul piano civilistico 70.

66 V. Cass., sez. trib., 23 aprile 2014, n. 9132, cit. 67 Si noti, come nel caso di specie, la Suprema Corte, ribaltando il giudizio di merito, ha assunto

un orientamento favorevole all’Amministrazione ritenendo come la capacità di spesa dei soci (risul-tante dal prospetto dei redditi) non fosse ex se in grado di avversare la presunzione di fittizietà dei finanziamenti, in quanto l’asserita disponibilità di liquidità rappresenterebbe soltanto un fatto «po-tenzialmente idoneo» a dimostrare l’effettività del finanziamento. Contra Cass., sez. trib., 16 set-tembre 2011, n. 18935, in Banca dati De Jure.

68 La diversità tra la nozione fiscale di dividendo e la nozione civilistica è stata rilevata da FALSIT-TA, (voce) Utili e dividendi (imposizione sui), in Enc. giur., XXXVII, 1994, p. 1, secondo il quale, ai fini civilistici, i dividendi «devono essere prelevati da utili realmente conseguiti, risultare dal bilancio regolarmente approvato, e la loro distribuzione deve essere espressamente deliberata dall’assem-blea». Sul piano fiscale, invece, «a questa configurazione civilistica, che può qualificarsi “formale”, del concetto di dividendo, il diritto tributario sostituisce una nozione sostanziale dello stesso».

69 Così, MELIS, La nozione di «dividendo» tra normativa tributaria ed evoluzione del diritto delle società, in Dir. prat. trib., 2013, p. 1044.

70 Così, MICHELUTTI, Dividendi e distribuzioni atipiche ai soci, in AA.VV., La tassazione dei divi-dendi intersocietari, a cura di Maisto, Milano, 2011, p. 112.

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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 485

Una nozione sostanziale di dividendo sembra emergere anche in fattispecie analoghe a quella oggetto della sentenza in commento. In tali casi 71, dalla presun-zione di fittizietà dei finanziamenti infruttiferi discende, infatti, anche la “riqualifi-cazione” della restituzione dei finanziamenti in una distribuzione di dividendi 72. Al riguardo, va rilevato come l’Amministrazione abbia considerato tale “fase successi-va” della condotta evasiva come un modo per «eludere» la ritenuta d’acconto sui dividendi, pro tempore vigente quasi a voler estendere anche a tali casi l’applica-zione della «tecnica antielusiva consistente nel riqualificare i negozi giuridici elusivi in modo da far emergere, al di là dell’apparenza formale ed esteriore, il vero affare ed il vero negozio posto in essere dalle parti» 73. La Corte di Cassazione, tuttavia, non si è espressa su tale valutazione, non effettuando nel decisum nessun riferimento ad es-sa 74.

Un altro caso nel quale rileva una nozione sostanziale di dividendo può intra-vedersi nella «presunzione giurisprudenziale» 75 di distribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati in capo alle società a ristretta base proprietaria.

Sussiste, infatti, un consolidato filone della giurisprudenza di legittimità 76, non trascurato in letteratura 77, il quale legittima, ai fini accertativi, il ragionamento pre-

71 V. Cass., 23 aprile 2014, n. 9132, cit.; Cass., sez. trib., 19 novembre 2014, n. 24618, cit.; Cass., sez. trib., 19 novembre 2014, n. 24619, in Banca dati De Jure.

72 V. CTR Roma, sez. I, 4 novembre 2004, n. 140, in Banca dati De Jure. 73 TESAURO, Istituzioni di diritto tributario8, Torino, 2003, p. 251. Va, in effetti, rilevato come

l’ipotesi di distribuzione di dividendi occulti si sovrappone in taluni casi alle ipotesi di riqualifica-zione ai fini fiscali di altri proventi in dividendi, in virtù di norme espresse o in applicazione di norme o principi antielusivi. Con riguardo alla riqualificazione in virtù di principi antielusivi, si ve-dano ad esempio i casi di operazioni antieconomiche tra società e socio (c.d. deemed dividends) ovvero si pensi al rapporto tra distribuzione di riserve di capitale e distribuzione di riserve di utili. Su tali temi, v. MELIS, op. cit., p. 1043 ss., il quale opera un’ampia disamina dei casi di riqualificazio-ne dei dividendi.

74 Peraltro, nel vigore dell’art. 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente dovrebbe ritenersi scongiurato il ricorso fungibile a schemi giuridici in realtà tra loro incompatibili, come abuso del dirit-to/elusione e simulazione. Sul punto, v., ex multis, BASILAVECCHIA, L’art. 10-bis dello Statuto: “the day after”, in Riv. giur. trib., 2016, p. 5. V. anche BARTOLAZZI MENCHETTI, Sulla distinzione tra abuso del dirit-to e simulazione in una recente sentenza della Corte di Cassazione, in Dir. prat. trib., 2012, p. 957 ss.

75 Così la definisce CONTRINO, Ancora sulla presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società di capitali “a ristretta base proprietaria”, in Rass. trib., 2013, p. 1113.

76 La Suprema Corte ha, in diverse occasioni, ritenuto come tale orientamento costituisca ius re-ceptum nella giurisprudenza di legittimità. V., da ultimo, Cass., sez. civ., 12 febbraio 2015, n. 2778, in Banca dati De Jure. Ad avviso di CONTRINO, op. ult. cit., p. 1113, tale orientamento «può dirsi ormai un caso di “presunzione giurisprudenziale”, ossia di un orientamento consolidato dalla giurispru-denza che ritiene accertata una determinata fattispecie in presenza di qualche altro elemento o fatto indiziario».

77 Trai contributi più recenti, v. MARCHESELLI, La presunzione di distribuzione degli utili societari delle c.d. società a ristretta base, tra induzioni ragionevoli e abnormità istruttorie (Nota a Comm. trib. reg. Lombardia, sez. XIII, 26 agosto 2015, n. 3670), in Riv. giur. trib., 2016, p. 86; CONTRINO, Ancora sulla

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 486

suntivo secondo cui in presenza di utili non contabilizzati e accertati in capo a so-cietà a ristretta base societaria (o familiare), può ritenersi che essi siano stati «clandestinamente» 78 distribuiti ai soci, in quanto in grado di agevolmente deter-minare tale distribuzione, stante la complicità che ordinariamente avvince i mem-bri di una compagine societaria ristretta ovvero a base familiare 79. La Suprema Corte ha avuto modo di ritenere come tale «presunzione di distribuzione» sia in possesso dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, necessari affinché essa possa legittimamente essere utilizzata nell’accertamento tributario, proprio in quan-to la specificità del caso concreto, ovvero la particolare composizione della società (id est la ristretta base azionaria della società, compreso il più delle volte il suo ca-rattere familiare), è tale da provare, in mancanza di elementi contrari offerti dal contribuente, l’avvenuta percezione degli utili “occulti” da parte dei soci 80. Ne deriva che spetterà al contribuente (e quindi, ai singoli soci) dimostrare che gli utili non

presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società di capitali “a ristretta base proprietaria”, cit., p. 1113; ID., Ristretta base sociale e prova mediante presunzione semplice della distribuzione occulta di utili (Nota a Comm. trib. prov., Reggio Emilia, sez. III, 22 aprile 2014, n. 186), in Riv. giur. trib., 2014, p. 701, PERRONE, Perché non convince la presunzione di distribuzione di utili “occulti” nelle società di capi-tali a ristretta base proprietaria, in Riv. dir. trib., 2014, p. 575; RASI, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria. Profili ricostruttivi di un modello impositivo; ID., La “trasparenza per presunzione” delle società a ristretta base proprietaria: l’attendibilità della presunzione ed il problema della qualificazione del reddito, in questa Rivista, 2013, p. 119; MULEO, Alcune perplessità in ordine a recenti orientamenti in tema di imputazione ai soci di maggiori utili accertati in capo a società a ristretta base sociale (Nota a Cass. 29 gennaio 2008, n. 1906), in Riv. giur. trib., 2008, p. 712; FICARI, Presun-zione di assegnazione di utili extrabilancio ai soci e imputazione di costi fittizi, in Corr. trib., 2008, p. 1050; BE-NAZZI, La ristrettezza della base sociale legittima l’accertamento basato su criteri presuntivi, in Corr. trib., 2008, p. 212. Tra i contributi meno recenti, si cita, senza pretesa di esaustività, BEGHIN, L’occulta distribuzione dei dividendi nell’ambito delle società di capitali a «ristretta base» tra automatismi argomentativi e prova per pre-sunzioni, in Riv. giur. trib., 2004, p. 431; CERIANA, Società a ristretta base azionaria e presunzione di distribu-zione degli utili, in Dir. prat. trib., 2004, II, p. 1451; PICCARDO, Sul valore meramente indiziario della ristretta base azionaria ai fini della prova della distribuzione ai soci di maggior reddito accertato a carico della società, in Dir. prat. trib., 2004, II, p. 1109; ID., Ancora in tema di presunzione ai soci dei maggiori utili accertati a carico di una società di capitali a ristretta base azionaria, in Dir. prat. trib., 1998, II, p. 26; DELLA VALLE, Presunzione di riparto di utili occulti nelle società a ristretta base societaria (Nota a Comm. trib. centr., sez. VII, 27 ottobre 1990, n. 7027), in Società, 1991, p. 826.

78 Il termine è ripreso da MARCHESELLI, op. cit., p. 91. 79 È principio ricorrente quello secondo cui «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel

caso di una società a ristretta compagine societaria ovvero a base familiare, pur non sussistendo a diffe-renza di una società di persone una presunzione legale di distribuzione degli utili ai soci, non può con-siderarsi illogica – tenuto conto della complicità che normalmente avvince un gruppo così composto – la presunzione (semplice) di distribuzione degli utili extracontabili ai soci». V., ex multis, Cass., sez. trib., 15 febbraio 2008, n. 3896, in Banca dati De Jure. In alcune occasioni, la Suprema Corte, anziché ricorrere al termine “complicità”, che potrebbe sottendere analogie con la sfera dell’illeceità, si è espres-sa nei termini di “maggiore conoscibilità degli affari societari”. V. Cass., 15 febbraio 2008, n. 3896. Sot-tolinea la scarsa logicità del riferimento alla complicità, BENAZZI, op. cit., p. 212.

80 Così, Cass., sez. civ., 20 giugno 1994, n. 10059, in Banca dati De Jure.

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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 487

sono stati percepiti, in quanto rimasti nel patrimonio della società ovvero in quan-to percepiti da altri soggetti specificatamente individuati, in mancanza l’evasione d’imposta sarà accertata 81.

Tale filone, coerentemente con la prassi dell’Amministrazione finanziaria, non è univoco 82 nel determinare gli effetti conseguenti all’applicazione di tale “pre-sunzione di distribuzione”. In particolare, la corrente maggioritaria di tale orien-tamento, fa conseguire all’applicazione di tale presunzione l’imputazione pro quo-ta ai soci del maggior reddito accertato in capo alla società, facendo riferimento al regime della trasparenza “in senso stretto” 83 e, per tal via, qualificando il maggior reddito ascritto ai soci quale reddito di partecipazione. Secondo la corrente mino-ritaria, invece, gli utili presuntivamente distribuiti dovrebbero essere prima tassati in capo alla società secondo le regole ordinarie e, poi, in capo ai soci come redditi di capitale 84.

La presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati in ca-

81 TASSANI, op. cit., p. 120. 82 Dà contezza della mancanza univocità degli effetti dell’applicazione della presunzione in esa-

me, RASI, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria. Profili rico-struttivi di un modello impositivo, cit., p. 40, nt. 22. Con specifico riferimento alla prassi dell’Ammini-strazione finanziaria, v. PAGANI, Accertamenti su società di capitali a ristretta base societaria. Quali con-seguenze per i soci?, in Il Fisco, 2010, p. 4287. Per una critica alla qualificazione come imputazione per trasparenza del ribaltamento ai soci degli utili in nero accertati in capo alle società di capitali a ristretta base proprietaria, v. RASI, La “trasparenza per presunzione” delle società a ristretta base proprietaria: l’attendibilità della presunzione ed il problema della qualificazione del reddito, cit., p. 132 ss., secondo cui «Benché il ricorso in via diretta alla trasparenza abbia l’effetto pratico di definire in via immedia-ta la posizione tributaria del socio, il suo utilizzo non convince e, ad avviso di chi scrive, per contra-stare i fenomeni evasivi connessi agli utili extracontabili sarebbe preferibile qualificare il reddito in esame come reddito di capitale». Sul punto, anche LOVECCHIO, La diabolica prova contraria alla pre-sunta distribuzione di utili nelle società a ristretta base sociale, in Il Fisco, 2014, p. 1947, il quale ritiene che «Non vi possono essere dubbi sul fatto che il reddito accertato nei confronti del socio appar-tenga alla categoria dei redditi di capitale e non certo ai redditi d’impresa, sub specie di redditi im-putati per trasparenza ... Ne deriva che gli stessi devono essere sempre determinati tenendo conto della quota esente da Irpef».

83 La Suprema Corte ha, in particolare, riconosciuto come gli utili o proventi prodotti e accertati nei confronti di società di capitali a ristretta base azionaria, e dalle stesse non contabilizzati, siano diret-tamente riconducibili ai soci e accertabili in capo ad essi, legittimando un’applicazione in via endopro-cedimentale della trasparenza fiscale, con un effetto di tassazione automatica/imputazione in capo ai soci del maggior reddito accertato in capo alla loro partecipata, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione. Tale esito del procedimento induttivo in questione è stato spesso definito dalla dottri-na come “trasparenza per presunzione”. Su tale concetto, v. RASI, La “trasparenza per presunzione” delle società a ristretta base proprietaria: l’attendibilità della presunzione ed il problema della qualificazione del reddito, cit., p. 120. Sul tema, in generale, v. SALVINI, La tassazione per trasparenza, in Rass. trib., 2003, p. 1504.

84 Cass., sez. trib., 14 maggio 2007, n. 10982; Cass., sez. trib., 26 ottobre 2005, n. 20851; Cass., sez. trib., 5 maggio 2003, n. 6780, tutte reperibili in Banca dati De Jure. Contra Circolare ministeriale, 3 aprile 1968, n. 52, in merito alla quale si esprime in termini critici FALSITTA, Utili e dividendi, cit., p. 3.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 488

po alle società a ristretta base proprietaria risulta ancora un argomento fortemente dibattuto, non riscontrando ampi consensi né nella giurisprudenza di merito 85 né, tantomeno, nella dottrina.

Tra i punti maggiormente contestati vi è, in primis, il fatto che si tratterebbe di una presunzione doppia e, quindi, illegittima 86, atteso che i maggiori utili accertati in capo alla società attraverso un accertamento di tipo analitico-induttivo o indut-tivo puro, non costituirebbero un fatto noto, dal quale far discendere, attraverso un ragionamento logico-presuntivo, il fatto ignoto della distribuzione ai soci di maggiori utili, ma sarebbero già, di per sé, un fatto ignoto, in quanto conclusione di un percorso presuntivo 87. La Suprema Corte ha, in diverse occasioni, rigettato tale censura, sostenendo che «il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti di una società», ma dalla ristrettezza della base sociale e dal «vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci» 88.

Ciò, tuttavia, non è risultato sufficiente a determinare l’unanimità di opinioni sul punto, atteso che non viene, in generale, condivisa la natura qualificata della presunzione, il che comporta che essa non possa ex se fondare la pretesa distribu-zione di utili ai soci, dovendo necessariamente essere corroborata da ulteriori ele-menti probatori 89. La dottrina ha, a tal proposito, rilevato come tale meccanismo

85 Si tratta di una querelle giurisprudenziale molto risalente nel tempo, per una compiuta trattazione della quale, v. PICCARDO, Ancora in tema di presunzione ai soci dei maggiori utili accertati a carico di una società di capitali a ristretta base azionaria, cit., p. 28 ss.; RASI, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria. Profili ricostruttivi di un modello impositivo, cit., p. 37 ss.

86 In quanto violerebbe il principio di diritto per cui praesumptum de praesumpto non admittitur. In tema, v., per tutti, CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005.

87 Come rinvenibile dalla giurisprudenza, il motivo di ricorso sicuramente più riproposto con-cerne l’asserita violazione del divieto di doppia presunzione. Si soffermano su tale aspetto, ex multis, FICARI, Presunzione di assegnazione di utili extrabilancio ai soci e imputazione di costi fittizi, cit., 1053; DELLA VALLE, op. cit., 826; PICCARDO, Ancora in tema, cit., 32; BENAZZI, op. cit., 213; ROMANO, Ri-cavi neri, costi inesistenti e presunzioni di distribuzione di utili nelle società di capitali a ristretta base azionaria, in Il Fisco, 1991, p. 2055.

88 L’orientamento, pressoché unanime, è espresso in numerose pronunce, tra cui si ricorda: Cass., 16 maggio 2002, n. 7174. Nello stesso senso, Cass. n. 2390/2000 e, più recentemente, Cass., 15 febbraio 2008, n. 3896; Cass., 29 gennaio 2008, n. 1906; Cass., 11 ottobre 2007, n. 21415, tutte reperibili in Banca dati De Jure. Secondo l’orientamento meno garantista, si renderebbe ammissibile accertare maggiori redditi di capitale in capo al socio e decidere la questione in sede giurisdizionale (pur se provvisoriamente) anche nel caso in cui l’esistenza di “extrautili” costituisce un fatto non ancora definitivamente accertato.

89 Uno degli argomenti apportati in tal senso dalla dottrina si basa sul fatto che, a differenza delle società di persone, per le società di capitali l’imposizione in capo al socio degli utili societari si fonda sul principio di cassa; risulterebbe, pertanto, necessario che la presunzione in questione sia idonea a dimostrare in modo univoco l’effettiva percezione dei dividendi. V., ex multis, VOGLINO, Ancora su alcuni persistenti “luoghi comuni” in tema di presunzione di distribuzione degli utili non contabilizzati nelle società a ristretta base azionaria o familiare (Nota a Cass., sez. I civ., 10 marzo 1992, n. 2870), in

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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 489

presuntivo potrebbe assumere il «rango di “prova completa” ex art. 2729 c.c.» e, quindi, «essere conforme al sistema» se la ristretta base sociale fosse affiancata da altri «fatti-indice», quali, ad esempio, l’analisi dei movimenti bancari dei soci 90. Ancora, con riferimento agli effetti dell’applicazione della presunzione, è stato rav-visato il pericolo di una doppia imposizione sugli utili 91. Boll. trib., 1993, p. 1404, secondo cui, la presunzione di distribuzione in caso di società a ristretta base familiare non sarebbe illogica di per sé, ma dovrebbe essere supportata da altri elementi per arrivare a quella gravità, precisione e concordanza, in mancanza della quale il contribuente si trove-rebbe nell’impossibilità di esercitare un’efficace difesa; BEGHIN, L’occulta distribuzione dei dividendi nell’ambito delle società di capitali a «ristretta base» tra automatismi argomentativi e prova per presun-zioni, cit., p. 434. In questi termini, di recente, CONTRINO, Ancora sulla presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società di capitali “a ristretta base proprietaria”, cit., p. 1116, secondo cui «Vi è, dun-que, una “distanza” logica, che va colmata, tra l’esistenza di utili non dichiarati e la loro effettiva di-stribuzione (parziale o totale) ai soci: è necessaria la prova, anche presuntiva, dell’effettiva percezio-ne da parte del socio del maggior utile occulto della società, essendo la ristrettezza della compagine sociale, in mancanza di altri attendibili elementi probatori, insufficiente a far ritenere che, con mag-giore probabilità rispetto ad altre ipotesi possibili, i maggiori utili accertati alla società siano stati effettivamente ripartiti tra i soci». In senso concorde, MARCHESELLI, op. cit. Anche la giurisprudenza di merito maggioritaria si esprime in tal senso. V., di recente, CTP Reggio Emilia, sez. III, 22 aprile 2014, n. 186, in Riv. giur. trib., 2014, p. 700, con nota di CONTRINO, Ristretta base sociale e prova me-diante presunzione semplice della distribuzione occulta di utili, ivi, p. 701, il quale cita, condividendolo, l’assunto dei Giudici di merito secondo il quale «[...] la ristretta base partecipativa societaria può, sì, costituire l’incipit di un iter accertativo che, però, acquisisce una sua concretezza e valenza, solo se supportato da altri elementi indiziari “concretamente” rilevanti: insomma, di per sé, la ristrettezza della base partecipativa societaria non può essere qualificata quale presunzione grave, precisa e con-cordante».

90 V. CONTRINO, Ancora sulla presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società di capitali “a ristretta base proprietaria”, cit., p. 1116; ID., Ristretta base sociale e prova mediante presunzione semplice della distribuzione occulta di utili, cit., p. 703, il quale, nello specifico, sostiene che sussi-sterebbe in capo all’Ufficio l’onere di «attivarsi per ricercare “fatti-indice” di erogazioni derivate e consequenziali della fonte principale, il bilancio societario, quale possibile provenienza di mezzi per l’instaurazione di ulteriori sintomatiche fonti, quali, ad esempio, conti bancari/postali o di altro genere dei soci con movimenti, nel periodo di imposta accertato o nei successivi, ricollega-bili per entità agli utili extra-contabili accertati ai soci stessi; eventuali acquisti immobiliari, nelle stesse circostanze temporali; operazioni finanziarie (acquisto di titoli, di fondi comuni, di parte-cipazioni in altre società, ecc.); polizze per rendite vitalizie o pensionistiche; tenore di vita (abita-zioni; disponibilità di personale domestico; soggiorni all’estero; viaggi; crociere; automobili di lusso, ecc.)». In senso conforme, MARCHESELLI, op. cit., p. 88 e già BEGHIN, L’occulta distribuzione dei dividendi nell’ambito delle società di capitali a «ristretta base» tra automatismi argomentativi e prova per presunzioni, cit., p. 435, il quale, a titolo meramente orientativo e con riferimento alla sentenza analizzata, sostiene come «un controllo bancario in capo alla società avrebbe potuto opportunamente rilevare la diminuzione di disponibilità in testa all’ente partecipato, magari con-fermata attraverso un controllo parallelo in capo ai soci, dal quale avrebbe potuto emergere, a sua volta, un incremento delle rispettive disponibilità. Ciò avrebbe consentito, non solo di seleziona-re meglio i soggetti da accertare (non già “tutti” i soci, bensì i soli soci incapaci di giustificare l’incremento dei propri conti bancari), ma anche di offrire elementi in ordine al periodo d’im-posta al quale imputare i suddetti redditi di capitale».

91 Ciò è stato ravvisato, con riferimento al meccanismo previsto dalla corrente minoritaria di tale

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 490

Alla luce delle suesposte considerazioni, sembra possibile ipotizzare un confron-to tra la presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci di società a ri-stretta base azionaria e la presunzione di fittizietà dei finanziamenti infruttiferi (e di conseguente distribuzione di utili extracontabili ai soci).

Può, in primo luogo, rilevarsi come entrambe trovino fondamentale applicazio-ne nel contesto di società di capitali a ristretta base societaria, confermando la ten-denza della giurisprudenza di legittimità ad avallare specifici iter presuntivi stret-tamente correlati al tale forma societaria.

In secondo luogo, entrambi i meccanismi presuntivi traggono una correlazio-ne tra accertamento di utili extracontabili in capo alla società e distribuzione di dividendi ai soci 92. Entrambe, infatti, condividono una nozione sostanziale di di-videndo, proponendosi di contrastare il fenomeno della distribuzione di utili oc-culti. Ciò comporterebbe una equiparazione anche sul piano degli effetti: da en-trambi i meccanismi presuntivi, potrebbe, infatti, conseguire il recupero a tassa-zione degli utili extracontabili in capo alla società secondo le regole ordinarie e il successivo e distinto intervento nei confronti dei soci per i maggiori dividendi presuntivamente ottenuti in relazione ai ricavi non dichiarati dalla società (quali redditi di capitale).

Tuttavia, sembrerebbe che la presunzione operi nei due casi secondo diverse direzioni: nell’un caso si presume che gli utili extracontabili della società siano stati distribuiti ai soci, nell’altro che la disponibilità finanziaria dei soci provenga dalla società e, quindi, faccia presumere una distribuzione occulta di utili.

orientamento, secondo la quale il maggior reddito accertato in capo alla società si trasformerebbe in maggiore reddito in capo al socio e non con riferimento alla corrente maggioritaria (trasparenza “in senso stretto”), nel qual caso la società rimarrebbe detassata ed il socio, a sua volta, colpito, a pre-scindere dalla distribuzione degli utili. Sul punto, v. BEGHIN, L’occulta distribuzione dei dividendi nel-l’ambito delle società di capitali a «ristretta base» tra automatismi argomentativi e prova per presunzio-ni, cit., p. 434; FEDELE, Le “piccole” società di capitali nel diritto tributario, cit., p. 9, RASI, La “trasparen-za per presunzione” delle società a ristretta base proprietaria: l’attendibilità della presunzione ed il pro-blema della qualificazione del reddito, cit., p. 132 ss. Tale doppia imposizione che si verrebbe a creare è stata ricondotta al novero delle c.d. “sanzioni improprie”. V. sul punto, GALLONE, Presunzione di distri-buzione extra-bilancio di utili nelle società di capitali a ristretta base: in quale misura i maggiori utili ac-certati possono formare oggetto di tassazione in capo al socio, in Il Fisco, 1995, p. 5047 ss.; ROMANO, op. cit., p. 2053 ss. Su tale tema, v. FREGNI, Appunti in tema di doppia imposizione interna, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1993, II, p. 14 ss.

92 Non a caso, l’Amministrazione finanziaria, in un caso simile a quello trattato dalla sentenza in commento, aveva contestato la fittizietà dei finanziamenti infruttiferi proprio sulla base della pre-sunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci di società a ristretta base proprietaria. V. Cass., sez. trib. 12 marzo 2009, n. 5928, cit.

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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 491

5. Osservazioni conclusive

Come noto, i rapporti tra soci e società a ristretta base azionaria costituiscono ormai da tempo oggetto di particolare attenzione da parte dell’Amministrazione finanziaria in occasione di controlli e, quindi, di successivi accertamenti. La ten-denza è quella di immedesimare sempre più nella fase del controllo, come in quella del successivo accertamento, la società con i (pochi) soci, con la conseguenza che, eventuali violazioni in capo all’una o agli altri, finiscono per avere effetti tanto sulla società che sui soci. Ne consegue, spesso, l’utilizzo di iter logici ad hoc, poi con-fermati dalla Corte di Cassazione, come nel caso della presunzione di distribuzio-ne di utili extracontabili ai soci di società a ristretta base azionaria.

In tale contesto si pone la sentenza in commento, la quale affronta una proble-matica abbastanza peculiare nell’ambito dei citati rapporti tra società e soci ovvero l’effettuazione di finanziamenti infruttiferi. L’iter presuntivo analizzato origina fon-damentalmente dal comportamento antieconomico del contribuente, il quale si esplica in una serie di atti privi di ogni logica economica (sostanziantesi fondamen-talmente nel costante e cospicuo ricorso ai finanziamenti infruttiferi e nella loro suc-cessiva restituzione in tempi brevi). Da un simile contesto indiziale, l’Amministra-zione ha più volte inferito l’inesistenza/simulazione della passività finanziamenti infruttiferi, riqualificandola come ricavi extracontabili, nonché, di conseguenza, l’inesistenza/simulazione della restituzione di tali finanziamenti, riqualificandola come distribuzione di dividendi.

Tale meccanismo presuntivo “a catena” si propone, quindi, la finalità di contra-stare la distribuzione di utili occulti in società a ristretta base azionaria, allineando-si, sotto questo punto di vista, alla presunzione di distribuzione di utili extraconta-bili ai soci di società a ristretta base azionaria.

Esso, inoltre, evidenziando la possibile finalità evasiva dei finanziamenti dei so-ci, può essere valorizzato nel senso di rappresentare una esemplificazione della ra-tio che sta alla base della richiesta, da parte dell’Amministrazione finanziaria, della comunicazione dei dati relativi ai finanziamenti e alle capitalizzazioni dei soci (e dei loro familiari) alle imprese 93.

Va ad ogni modo rilevato, come a differenza della presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci di società a ristretta base azionaria, il meccanismo pre-suntivo in questione non può ritenersi una “presunzione giurisprudenziale” ma soltanto una prassi dell’Amministrazione finanziaria che, in diverse occasioni, ha ricevuto l’avallo della Suprema Corte. Dalle sentenze della Corte di Cassazione sul tema (tra cui anche quella commentata), seppur sia possibile individuare una ri-

93 Sul punto, v. FERRANTI, Le comunicazioni dei finanziamenti alle imprese relative al 2013, in Il Fi-sco, 2014, p. 3715.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 492

correnza di fatti-indice, rivelatori di fittizietà dei finanziamenti infruttiferi 94, non può, infatti, trarsi il principio di diritto secondo cui i finanziamenti infruttiferi ef-fettuati di una società di capitali a base familiare, apparentemente non fondati sul piano della ragionevolezza economica e dei quali non sembra accertabile con cer-tezza la provenienza 95, comportino la presunzione di occultamento di utili da par-te della società.

Paola Batalocco

94 Valorizzata in sede di giurisprudenza di merito. V. CTR Bari, sez. XI, sent. 18 gennaio 2016, n. 59, cit.

95 Nella maggior parte dei casi, la Suprema Corte si è limitata rilevare che la sentenza di secondo grado non è stata sufficientemente motivata dal Giudice, in quanto, tra l’altro, non sono state indica-te ragioni sufficienti per attestare l’effettività dei finanziamenti, atteso che gli apporti di capitale in questione, eseguiti nelle condizioni sopra esaminate, avrebbero richiesto giustificazioni più consi-stenti in merito alla provenienza delle relative somme.

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Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054 – Pres. Amoresano, Rel. Manzon, P.M. Gaeta (diff.), Ric. P.P. (Avv. di Santo) – Annulla con rinvio Trib. Foggia, 24 luglio 2015

Reati tributari – Omesso versamento IVA (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000) – Se-questro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente verso organi della persona giuridica non estranea al reato

Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da loro commessi, quando la misura cautelare reale preventiva può essere attuata direttamente nel patrimonio dell’Ente rappresentato, quale percettore/detentore del profitto del reato fiscale (nella specie trattasi del reato di omesso versamento IVA ex art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000).

Omissis RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 24/07/2015 il Tribunale di Foggia rigettava la richiesta di riesame proposta da P.P. avverso il decreto di sequestro preventivo del GIP presso il Tribunale stesso in data 11/05/2015 avente ad oggetto beni dell’indagato.

Rilevava il Tribunale che, essendo sufficiente ai fini cautelari l’astratta configurabi-lità di un reato (nel caso di specie quello di cui al D.L. n. 74 del 2000, art. 10 ter, anno di imposta 2011, Euro 340.429,00 IVA non versata), la mancata escussione preventiva del patrimonio dell’Ente rappresentato dall’indagato (effettivo contribuente) non po-tevasi considerare condizione di validità del disposto sequestro. Soggiungeva che l’e-straneità al reato del P. avrebbe dovuto essere oggetto del giudizio meritale, non po-tendosene comunque escludere il dolo. Infine affermava la non revocabilità del seque-stro essendo finalizzato, ancorché “per equivalente”, alla confisca obbligatoria né la sostituibilità dei beni sequestrati, stante il disposto dell’art. 324 c.p.p., comma 7.

2. Avverso tale decisione, tramite il difensore fiduciario, propone ricorso per cassa-zione il P. deducendo un unico motivo articolato in diversi profili di violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter e art. 322 ter c.p.

2.1. Anzitutto censura l’ordinanza impugnata, affermando di non essere l’autore del reato in quanto non firmatario della correlativa dichiarazione annuale IVA, a suo dire non bastando a tal fine la qualifica rivestita di legale rappresentante pro tempore del-l’Ente societario soggetto passivo di tale imposta. Il ricorrente si duole della non ade-guatezza sul punto della motivazione del Tribunale, a suo dire limitatosi ad un rece-

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 494

pimento acritico della tesi accusatoria, senza adeguata ponderazione dei contrari ele-menti addotti difensivamente.

2.2. Il P. poi lamenta la mancata preventiva escussione del patrimonio dell’Ente rap-presentato, affermando la sequestrabilità del patrimonio dello stesso.

Omissis

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato. 1.1. Il complesso motivo di ricorso proposto, pur essendo inammissibile per il pro-

filo articolato in ordine agli aspetti inerenti il merito dell’imputazione provvisoria, pa-cificamente non sindacabili da questa Corte, risulta dirimentemente accoglibile per gli altri profili dedotti.

1.2. Si deve rilevare in premessa che avverso le ordinanze emesse dal Tribunale in sede di riesame ex art. 324 c.p.p., è prevista dall’art. 325, stesso codice, la possibilità del ricorso per cassazione, ma soltanto per violazione di legge. Peraltro la giurisprudenza consolidata di questa Corte ravvisa tale vizio anche nella mancanza assoluta di motiva-zione o per la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l’art. 125 c.p.p. – che impone la motivazione anche per le ordinanze – ma non la manifesta illogicità della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo spe-cifico ed autonomo motivo di ricorso dall’art. 606 c.p.p., lett. e) (cfr. Cass., S.U., n. 5876 del 28.1.2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710). Sempre le S.U. di questa Corte hanno anche specificato che nella violazione di legge debbono intendersi com-presi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevo-lezza, quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (sentenza n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, Rv. 25932).

Nel caso concreto la motivazione dell’ordinanza impugnata risulta affetta dalle ca-renze suindicate e deve quindi affermarsi non conforme allo standard previsto dalle norme processuali correlative ed in particolare da quella di cui all’art. 125 c.p.p., com-ma 3, apparendo tale radicale vizio motivazionale sussistente rispetto ad entrambi i primi due profili della censura articolata dal ricorrente.

1.3. Ciò anzitutto deve essere rilevato rispetto al punto motivazionale inerente la sussistenza del fumus commissi delicti.

Il Tribunale ha in merito evocato risalenti ed ormai superati precedenti giurispru-denziali di questa Corte, essendosene evoluto il correlativo indirizzo ermeneutico nel senso che “Nel sequestro preventivo la verifica del giudice del riesame, ancorché non debba tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, deve, tuttavia, ac-certare la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato; pertanto,

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Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054 495

ai fini dell’individuazione del ‘fumus commissi delicti’, non è sufficiente la mera ‘postu-lazione’ dell’esistenza del reato, da parte del pubblico ministero, in quanto il giudice, nella motivazione dell’ordinanza, deve rappresentare le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, che dimostra indiziariamente la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare reale” (così, ex multis, Cass., sezione quinta, n. 28515 del 21/05/2014, Ciam-pani e altri, Rv. 260921).

La difesa del P. aveva posto delle questioni in ordine alla ascrivibilità del reato fi-scale de quo all’indagato/sequestrato. Si tratta di specifiche argomentazioni difensive, concernenti i tempi e le modalità di assunzione da parte del P. del mandato rappresen-tativo dell’Unione Sportiva Foggia spa, il fatto che egli non abbia firmato la dichiara-zione IVA relativa al 2011, l’assenza dell’elemento soggettivo. Su tali questioni il Tri-bunale del riesame foggiano non ha risposto (limitandosi alla mera presa d’atto della tesi accusatoria ovvero adducendo una motivazione postergatoria e comunque mera-mente apparente) mentre, alla luce di detto orientamento della giurisprudenza di que-sta Corte, doveva farlo.

1.4. Ancor più inconsistente risulta essere la motivazione dell’ordinanza impugnata sul secondo profilo dedotto dal ricorrente, incentrato sulla mancata previa escussione del patrimonio della società rappresentata dall’indagato, limitandosi a citare un unico precedente di legittimità, anch’esso ampiamente superato nell’evoluzione giurispru-denziale di questa Corte in tema di sequestro preventivo “diretto” e per “equivalente”.

Per vero, tuttavia nemmeno il ricorrente pone la questione nei suoi esatti termini giuridici.

Non si tratta infatti di affermare un insussistente beneficium excussionis in favore delle persone fisiche che, agendo quali rappresentanti legali di persone giuridiche, sia-no autori di reati fiscali del cui profitto si implementi il patrimonio degli Enti rappre-sentati, quanto piuttosto, ai fini della rispettiva operatività, di distinguere le due tipo-logie di sequestro preventivo previste dagli artt. 321 c.p.p., comma 2 bis, in riferimento all’art. 322 ter c.p., commi 1 e 2, ossia, a detti fini, di distinguere tra sequestro preventi-vo “diretto” del profitto del reato fiscale e sequestro preventivo “per equivalente”.

In questo senso ha fatto definitiva chiarezza la sentenza delle S.U. penali di questa Corte n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, sia in termini generali sia, per ciò che appun-to rileva nel caso in oggetto, relativamente alla corretta consecuzione giuridico-proce-dimentale tra le due tipologie di sequestro finalizzato alla confisca.

Tale arresto nomofilattico in particolare (punto 2.10 del Considerato in diritto) ha statuito che “È consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventi-vo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente ri-conducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridi-ca stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica”.

“Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 496

nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giu-ridica sia uno schermo fittizio”.

“Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro com-messi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato”.

“La impossibilità del sequestro del profitto di reato può essere anche solo transito-ria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato”.

Risulta dunque evidente che nel caso di specie tali principi di diritto siano stati vio-lati, essendosi fatta applicazione erronea delle norme processuali e sostanziali evocate dal ricorrente. Il Tribunale di Foggia infatti, come detto richiamando un precedente nemmeno effettivamente pertinente, non ha minimamente considerato la possibilità, pure concretamente prospettata dal ricorrente stesso, che la misura cautelare reale preventiva potesse e possa essere attuata “direttamente” sul patrimonio dell’Ente rap-presentato, quale percettore/detentore del profitto del reato fiscale ossia della somma pari a quella non versata per l’Iva dovuta in relazione all’anno d’imposta 2011. Ma questa carenza motivazionale è chiara conseguenza delle violazioni di legge che sono state sopra rilevate.

2. In conclusione l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribu-nale di Foggia affinché, considerati i principi di diritto enunciati, proceda a nuovo rie-same della misura cautelare in oggetto.

Omissis

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Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054 497

In tema di confisca del profitto per reati tributari commessi dal legale rappresentante della persona giuridica

On the confiscation of the profit for tax crimes committed by the company’s legal representative

Abstract Nelle ipotesi tipicamente ricorrenti in materia di reati tributari – come nel caso di omesso versamento d’IVA previsto dall’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000 – la Se-zione III della Cassazione è ormai protesa a ritenere possibile la confisca diretta del profitto nei confronti della persona giuridica per reati commessi dal legale rappresentante della stessa; confisca da intendere non già per equivalente bensì in via diretta e, dunque, legittima, laddove avente ad oggetto beni fungibili come le somme di denaro. Premessi brevi cenni sul dato normativo sottostante alla pronuncia in esame si cercherà di verificare l’operatività di tali enunciazioni anche a fronte del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, con il quale è stata riformata la disciplina dei reati tri-butari. Infine, l’analisi si soffermerà su alcuni aspetti critici della confisca del reato fiscale, alla luce della giurisprudenza convenzionale ed in prospettiva de jure condendo. Parole chiave: reati finanziari e tributari, profitto del reato tributario, confisca diretta, confisca per equivalente, riforma dei reati tributari In the most frequent cases in the field of tax crimes – e.g. the case of omitted payment of VAT provided by art. 10 ter of Legislative Decree no. 74/2000 – the Third Cham-ber of the Supreme Court strongly considers possible the direct confiscation of the prof-it towards the company in presence of crimes committed by its legal representative. Such confiscation is not “for equivalent value”, but “direct”, being aimed at attaching certain fungible goods such as sums of money. After giving brief remarks on the legislation underlying the commented decision, we will try to check the operability of such provisions also in the light of Legislative Decree no. 158 of 24 September 2015, through which the entire discipline of tax crimes has been reformed. Finally, the analysis will focus on certain critical aspects of confiscation in presence of tax crimes, in the light of the case law of European Court of Human Rights and in a de jure condendo perspective. Keywords: financial and tax crimes, profit of the tax crime, direct confiscation, confi-scation for equivalent value, reform of tax crimes

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 498

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La decisione della Corte. – 3. Omesso versamento d’IVA e confisca del profit-to: la riforma del sistema penale tributario. – 4. La ratio essendi della confisca per equivalente. – 5. Confisca del profitto: la giurisprudenza di legittimità. – 6. La confisca presso la persona giu-ridica. – 7. La posizione della Sezione III. – 8. Osservazioni conclusive.

1. Premessa

La pronuncia in commento si inserisce nel solco della controversa vicenda rela-tiva alla distinzione tra sequestro diretto e sequestro per equivalente, aventi en-trambi finalità di confisca. La tematica è da qualche anno a questa parte una tra le più dibattute da dottrina e giurisprudenza, stanti le importanti ricadute anche e soprattutto sul piano del diritto quotidianamente praticato nelle aule giudiziarie.

In particolare, i giudici della Sezione III di Cassazione hanno ricostruito i rap-porti tra sequestro preventivo per equivalente nei confronti dell’indagato e seque-stro sul patrimonio dell’Ente in tema di reati tributari.

La problematica non è di poco conto atteso che, nella maggior parte degli illeci-ti fiscali, la persona fisica-autore del reato non coincide con il reale beneficiario dell’evasione delle imposte sui redditi o dell’IVA, allorché il contribuente sia una persona giuridica. In questi casi, infatti, l’Ente rappresentato dall’autore, pur es-sendo soggetto ontologicamente differente, incamera i benefici fiscali derivanti dalla commissione dell’illecito.

La domanda che ne consegue, pertanto, è se, ed in quali circostanze, la diver-genza soggettiva nello schema di commissione del reato testé delineato possa riflet-tersi sull’individuazione del soggetto su cui far ricadere gli effetti della misura cau-telare reale finalizzata alla confisca del profitto.

2. La decisione della Corte

Con la pronuncia in esame i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso dell’indagato – al quale è stato contestato il reato di omesso versamento d’IVA pre-visto dall’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000 (nella formulazione precedente alla recente riforma dei reati tributati) – ritenendo “inconsistente” la motivazione addotta dal Tribunale di Foggia per giustificare la mancata preventiva escussione del patrimo-nio della società rappresentata.

La Corte ha ravvisato una violazione di legge nell’erronea distinzione tra le due tipologie di sequestro preventivo previste dall’art. 321, comma 2 bis, c.p.p. in rife-rimento all’art. 322 ter, commi 1 e 2, c.p. ossia tra sequestro preventivo “diretto”

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Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054 499

del profitto del reato fiscale e sequestro preventivo “per equivalente”. Per la Suprema Corte doveva essere considerata l’opportunità di attuare la mi-

sura cautelare reale preventiva “direttamente” sul patrimonio dell’Ente rappresen-tato, atteso che questi fosse percettore/detentore del profitto del reato fiscale, os-sia della somma pari a quella non versata per l’IVA dovuta in relazione all’anno d’imposta 2011.

Sulla base delle statuizioni enunciate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassa-zione nella sentenza Gubert 1, la Sezione III ha annullato l’ordinanza impugnata rinviando al Tribunale affinché proceda a nuovo riesame della misura cautelare reale.

3. Omesso versamento d’IVA e confisca del profitto: la riforma del sistema pena-le tributario

La complessità delle problematiche sottese al tema del sequestro finalizzato alla confisca, nonché l’applicazione di tale misura ablativa a beni appartenenti non al soggetto autore del reato, bensì ad un ulteriore e distinto soggetto giuridico che ri-sulta destinatario dei proventi, rendono imprescindibile un inquadramento siste-matico del dato normativo che ha interessato la pronuncia in rassegna, anche alla luce della recente riforma del sistema penale tributario.

Come noto, il reato di omesso versamento d’IVA 2, previsto dall’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000 3 si consuma con il mancato pagamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale 4, entro la scadenza del termine per il pagamento del-l’acconto relativo al periodo d’imposta dell’anno successivo.

La fattispecie è stata riscritta di recente con il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 e con ciò ha assunto una formulazione autonoma, non più costruita per relationem rispetto al delitto di omesso versamento di ritenute dovute e certificate disciplina-to dall’art. 10 bis. Va tuttavia precisato che, seppur nella sostanza la nuova ipotesi

1 V. Cass., sez. un., 30 gennaio 2014, n. 10561. 2 MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, a cura di

Grosso-Padovani-Pagliaro, XVII, Milano, 2010, p. 591; SOANA, Crisi di liquidità del contribuente e omesso versamento di ritenute certificate e di Iva, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; SOANA, I reati tributari3, Milano, 2013, p. 296; VALSECCHI, Omesso versamento delle ritenute certificate e dell’Iva (artt. 10 bis e 10 ter, D.lgs. 74/00) per insolvenza del contribuente, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.

3 Per alcune considerazioni a prima lettura sulla nuova disciplina dei reati tributari si veda il commento di PERINI, La riforma dei reati tributari, in Dir. pen. proc., 2016, p. 28; PERRONE, La nuova disciplina dei reati tributari: “luci” ed “ombre” di una riforma appena varata, in Riv. dir. trib., 2015, p. 61.

4 Per una disamina del sistema sanzionatorio tributario e dei suoi rapporti con il principio del ne bis in idem in ambito CEDU, si ricordi PEPE, Sistema sanzionatorio tributario e ne bis in idem CEDU: la dimensione antropologica di un (irriducibile?) conflitto, in Riv. dir. trib., 2015, p. 490.

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appaia sostanzialmente equivalente alla precedente, non mancano alcuni elementi di novità.

Per quel che qui interessa, merita attenzione l’innalzamento delle soglie di pu-nibilità contemplate nell’art. 10 ter stante l’elevazione del limite minimo da euro cinquantamila a euro duecentomila 5.

È stato dunque ridotto l’ambito di rilevanza penale della fattispecie, lasciando residuare l’esclusiva operatività delle sanzioni amministrative per una cospicua par-te di condotte illecite, in relazione alle quali il legislatore, evidentemente, ha ritenuto che la tutela penale non sia necessaria 6. Insomma, una decisa depenalizzazione a cui non si accompagna un aggravamento del trattamento sanzionatorio delle resi-due fattispecie criminose. A tal proposito, merita evidenziare che la riforma incide non solo sui fatti di futura commissione, ma anche sotto il profilo dell’abolitio cri-minis delle passate omissioni 7.

In secondo luogo, la riforma ha introdotto nel corpus del D.Lgs. n. 74/2000, un nuovo art. 12 bis, avente ad oggetto un’ipotesi di confisca obbligatoria, anche per equivalente, del prezzo e/o del profitto del reato 8.

L’art. 12 bis, tuttavia, non costituisce una vera e propria novità poiché, ante ri-forma, l’applicazione della confisca obbligatoria ai reati tributari – e il relativo se-questro preventivo ex art. 321 c.p.p. – avveniva grazie al richiamo operato dall’or-mai abrogato art. 1, comma 143, L. 24 dicembre 2007, n. 244, secondo il quale «[n]ei casi di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10 bis, 10 ter, 10 quater e 11, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’art. 322 ter c.p.». Si tratta dunque di una ricognizione meramente sistematica, la quale ha fatto

5 Per la ritenuta incompatibilità di una tale soglia con la normativa europea che governa l’im-posta sul valore aggiunto, v. l’ordinanza di rimessione della questione alla CGUE di Trib. Varese, 30 ottobre 2015, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, sulla quale si veda AMADEO, sub art. 13, in NO-CERINO-PUTINATI (a cura di), La riforma dei reati tributari, Torino, 2015, p. 325.

6 Per i rapporti tra sanzione amministrativa e sanzione penale alla luce della giurisprudenza della Corte EDU si rimanda a ALESSANDRI, Prime riflessioni sulla decisione della Corte Europea dei Diritto del-l’Uomo riguardo alla disciplina italiana degli abusi di mercato, in Giur. comm., 2014, I, p. 855; FLICK, Reati fiscali, principio di legalità e ne bis in idem: variazioni italiane su un tema europeo, in Rass. trib., 2014, p. 939; FLICK-NAPOLEONI, Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio binario o binario morto?, in Società, 2014, p. 953; SANTORIELLO, La sentenza Ifil-Grande Stevens, la giurisprudenza co-munitaria sul divieto di punire più volte la medesima condotta e le conseguenze sulla responsabilità da reato degli enti collettivi, in Rivista 231, n. 4, 2014, p. 43; ZACCONE-ROMANO, Il concorso tra sanzioni penali e sanzioni amministrative: le fattispecie di cui agli artt. 185 e 187 ter TUF alla luce di una recente sentenza della Corte di Strasburgo, in Riv. dir. trib., 2014, p. 147.

7 Per una disamina degli effetti intertemporali prodotti dalla riforma delle soglie di punibilità si rimanda a Trib. Udine, 1° febbraio 2016, con nota di FINOCCHIARO, Abolitio criminis e reati tributari “sotto-soglia”: uno dei primi provvedimenti di revoca del giudice, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 19 febbraio 2016.

8 SANVITO, La nuova confisca obbligatoria in caso di reati tributari trova collocazione sistematica, in Il Fisco, 2015, p. 3143; TASSANI, La “nuova” confisca tributaria, in Il Fisco, 2015, p. 4130.

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fronte all’infelice collocazione che il Legislatore aveva precedentemente offerto all’istituto. Non è invece stato toccato dalla novella il sequestro preventivo di cui all’art. 321 c.p.p., il quale rimane strumento finalizzato a creare un vincolo di indi-sponibilità sulle cose oggetto di confisca nella fase delle indagini preliminari e co-munque prima che si arrivi ad una condanna.

A sua volta, giova ricordare che l’art. 322 ter c.p. – che disciplina l’istituto della confisca diretta e di valore per i reati contro la Pubblica Amministrazione – è stato oggetto di importanti modifiche ad opera dell’art. 1, comma 75, lett. o), L. 6 no-vembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.

In particolare, la novella del 2012 ha esteso l’ambito di operatività della confi-sca per equivalente al “profitto” 9 del reato.

Il dettato letterale precedente aveva indotto la giurisprudenza ad escludere l’ap-plicabilità della confisca di valore al “profitto”, con l’ulteriore conseguenza che il modello per equivalente non poteva essere applicato a reati come la malversazione a danno dello Stato o il peculato, fattispecie per le quali non era concettualmente prevedibile un prezzo 10.

La preclusione era stata dedotta anche in considerazione dei profili afflittivi del-la confisca per equivalente e della conseguente esigenza di rispettare a pieno i ca-noni di stretta legalità 11.

4. La ratio essendi della confisca per equivalente

Come noto, la Suprema Corte, con la sentenza delle Sezioni Unite Lucci n. 31617/2015 12, ha affermato che la ratio essendi della confisca per equivalente sta

9 V. ALESSANDRI, Criminalità economica e confisca del profitto, in DOLCINI-PALIERO (a cura di), Scritti in onore di Giorgio Marinucci, III, Milano, 2006, p. 2107; BOTTALICO, Confisca del profitto e re-sponsabilità degli enti tra diritto ed economia: paradigmi a confronto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, p. 1749; CARACCIOLI, Reati tributari e confisca per equivalente, in Riv. dir. trib., n. 3, 2012, p. 27; GRASSO, sub art. 240, in Commentario sistematico del codice penale2, a cura di Romano-Grasso-Padovani, III, Milano, 2011, p. 611 ss.; MAUGERI, La confisca per equivalente – ex art. 322-ter – tra obblighi di interpre-tazione conforme ed esigenze di razionalizzazione, nota a Cass. pen., sez. un., 25 giugno 2009, n. 38691, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, p. 777; SANTORIELLO, Sul recente orientamento della Cassazione in tema di sequestro preventivo nei reati tributari e sul valore delle presunzioni legali, nota a Cass., sez. III, n. 26746/2015, in Riv. dir. trib., n. 3, 2015, p. 53.

10 Cass., sez. un., 25 giugno 2009, n. 38691, Rv. 244189; Cass., sez. VI, 17 marzo 2010, n. 12819, Rv. 226691.

11 V. ex plurimis Cass., sez. un., 31 gennaio 2013, n. 18374, Rv. 255037; Cass., sez. III, 6 marzo 2014, n. 18311, Rv. 259103; Cass., sez. III, 27 marzo 2013 Rv. 256164; P. VENEZIANI, La punibilità. Le conseguenze giuridiche del reato, in Trattato di Diritto penale, Parte generale, a cura di Grosso-Pa-dovani-Pagliaro, II, Milano, 2014, p. 515.

12 V. Cass., sez. un., 26 giugno 2015, n. 31617.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 502

nell’impossibilità di procedere all’ablazione diretta della cosa che presenti un nesso di derivazione qualificata con il reato. Solo qualora non si possa procedere alla mi-sura diretta l’ordinamento rende applicabile uno strumento che “sterilizzi” sul pia-no patrimoniale il beneficio che l’autore del fatto ha tratto, attraverso una misura ripristinatoria che incida direttamente sulle disponibilità dell’imputato, deprivan-dolo del tantundem sul piano monetario 13.

In altri termini, l’oggetto della confisca per equivalente non presenta alcun nes-so di pertinenzialità con il reato, rappresentandone soltanto la conseguenza san-zionatoria 14.

Sulla tematica ha inciso particolarmente la giurisprudenza della Corte EDU 15, la quale, a partire dallo storico caso Engel c. Paesi Bassi dell’8 giugno 1976, è chiara e costante nell’enunciare i criteri di apprezzamento alla stregua dei quali delineare la cosiddetta materia penale ai fini del riconoscimento delle corrispondenti garan-zie tracciate dagli artt. 6 e 7 della Convenzione.

In primis, fondamentale è la qualificazione della misura da parte del diritto na-zionale, nel senso che se lo Stato membro ha concepito una certa violazione come di natura penale l’applicabilità dei princìpi garantistici è fuori discussione. Quando invece la fattispecie è qualificata dal diritto interno come violazione di natura am-ministrativa entrano in gioco due ulteriori criteri elaborati dalla Corte di Strasbur-go. Da un lato, occorre verificare la natura di tale violazione, desunta in particolare dal suo ambito applicativo e dagli scopi per i quali la sanzione è prevista 16. Dal-l’altro, occorre aver riguardo alla natura ed alla gravità delle conseguenze che l’or-

13 Per alcune considerazioni sul tema, CARACCIOLI, Reati tributari e confisca per equivalente, cit., p. 27; CARACCIOLI, Reati tributari contestati a dirigenti di istituto bancario ed inapplicabilità del-la confisca per equivalente, in Riv. dir. trib., 2012, p. 57; GIANGRANDE, La confisca per equivalente nei reati tributari: tra legalità ed effettività, in Dir. prat. trib., n. 1, 2013, p. 173; MONGILLO, Confisca (per equivalente) e risparmi di spesa: dall’incerto statuto alla violazione dei principi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, p. 716; ROMANO, Confisca, Responsabilità degli Enti, reati tributari, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, p. 1674; RUGGIERO, Inquadramento dogmatico e questioni applicative della confisca per equivalente in materia penal-tributaria, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2011, p. 886;. SANTO-RIELLO, Reati transanazionali, confisca per equivalente ed illeciti fiscali in una decisione della Corte di cassazione, nota a Cass., sez. III, n. 11629/2011, in Riv. dir. trib., n. 3, 2011, p. 109; SOLDI, Rassegna di giurisprudenza sul sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente con particolare rife-rimento al concetto di “disponibilità” dei beni da parte dell’autore del reato: il caso Unicredit e altri, in Riv. dir. trib., 2012, p. 787.

14 Si veda MANES, La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della pre-sunzione d’innocenza e MAZZACUVA, La confisca disposta in assenza di condanna viola l’art. 7 CEDU, entrambi in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 5 novembre 2011.

15 Per il più recente orientamento della giurisprudenza convenzionale in tema di confisca urba-nistica si rimanda a Corte EDU, 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, n. 17475/09; si vedano anche le considerazioni svolte da Corte cost. n. 49/2015.

16 Si veda in particolare Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia; Corte EDU, 31 lu-glio 2007, Zaicevs c. Lettonia; Corte EDU, 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia.

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Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054 503

dinamento fa scaturire dalla specifica violazione contestata 17. Ora, come accennato, questi indicatori sono ormai condivisi dalla giurisprudenza

nazionale maggioritaria, la quale, soffermandosi sull’applicazione del sequestro pre-ventivo finalizzato alla confisca per equivalente ai reati tributari, ha affermato che la natura sanzionatoria di tale tipologia di provvedimento reale esclude l’applicabi-lità della regola dettata dall’art. 200 c.p. in forza della quale le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione 18. Tale posi-zione, peraltro, gode del conforto di autorevole dottrina, concorde nel rinvenire al-l’interno della misura un carattere “eminentemente afflittivo” 19.

In effetti, la confisca di valore è dotata di quel carattere repressivo, tipico della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione che co-stituisce la principale finalità delle misure di sicurezza. Essa è parametrata al prezzo e/o profitto solo in termini quantitativi, atteso che l’ablazione va ad incidere diret-tamente sul patrimonio del reo, il quale in sé non presenta nessun elemento di connessione con il reato.

5. Confisca del profitto: la giurisprudenza di legittimità

Ferme le considerazioni finora svolte, non può negarsi che per chiarire la cor-retta consecuzione logico procedimentale tra le due figure di confisca appaia im-prescindibile delineare una definizione di profitto. In effetti, dottrina e giurispru-denza hanno accolto in certi casi nozioni alquanto ristrette, mentre in altri hanno propeso per formule certamente più estensive.

Prima dell’arresto a Sezioni Unite Lucci, la giurisprudenza appariva alquanto frastagliata, a maggior ragione nei casi in cui il profitto aveva ad oggetto una som-ma di denaro o altro bene fungibile. Interessante osservare che la questione si è no-toriamente intrecciata con l’applicazione della confisca ai reati fiscali.

Secondo un primo orientamento la confisca di denaro dovrebbe sempre inte-grare una confisca di valore proprio perché la fungibilità del profitto porrebbe un impedimento alla sua individuazione materiale. Di conseguenza, la misura cautela-re preventiva non sarebbe subordinata alla verifica che le somme provengano dal reato e siano confluite nella effettiva disponibilità dell’indagato atteso che il denaro

17 Si rimanda a Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi; Corte EDU, 9 febbraio 1995, Welch c. Regno Unito; Corte EDU, 25 settembre 2008, Paraponiaris c. Grecia.

18 Cass., sez. II, 14 gennaio 2010, n. 6293, in Riv. dir. trib., 2010, p. 72; Corte cost., ord., 17 aprile 2009, n. 97, in Rass. trib., 2009, p. 863.

19 GAMBOGI, La riforma dei reati tributari. Commento al decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, Milano, 2016, p. 350; MAUGERI, Le moderne sanzioni patrimoniali fra funzionalità e garantismo, Torino, 2001; ALESSANDRI, Criminalità economica e confisca del profitto, cit., p. 2103.

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oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al profitto, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il bene da confiscare e l’ille-cito 20.

Un secondo filone giurisprudenziale ha ritenuto opportuno subordinare la qua-lificazione della confisca come diretta alla sussistenza del nesso di pertinenzialità con i reati per i quali si procede 21. Pertanto, i proventi debbono identificarsi nel van-taggio di natura economica percepito oppure nel beneficio aggiunto di tipo patri-moniale. In entrambi i casi si tratta di derivazione diretta, dal punto di vista causa-le, rispetto all’azione attiva od omissiva posta in essere dal reo 22.

A titolo esemplificativo, occorrerebbe dimostrare che il profitto del reato sia stato versato sullo specifico conto corrente oggetto di confisca, mentre qualora ta-le prova facesse difetto il provvedimento ablativo finirebbe per assumere i conno-tati dell’ablazione per equivalente.

Tuttavia, le Sezioni Unite Lucci hanno fatto proprio un terzo orientamento – tra l’altro già enunciato dalle Sezioni Unite Gubert – secondo il quale, ove il profitto od il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro – come nel caso di omesso versamento IVA –, non è necessario verificare il nesso di pertinenzialità, giacché dette somme, essendo ormai divenute di appartenenza del reo, perdono qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica 23.

Secondo le Sezioni Unite il presupposto della confisca per equivalente è una res riconducibile al prezzo e/o al profitto che mantenga una sua identificabilità una volta entrata nel patrimonio del reo. Soltanto nella ipotesi in cui sia impossibile la confisca di denaro sorge la eventualità di dar luogo ad una confisca per equivalente degli altri beni di cui disponga l’imputato, giacché in tal caso si avrebbe quella cosid-detta novazione oggettiva, necessaria per poter procedere a confisca per valore.

A fortiori è stato osservato che la confisca di denaro integra in ogni caso una fi-gura di confisca diretta 24, tanto per il prezzo che per il profitto, e, con riferimento a quest’ultimo, sia che rappresenti una utilità monetariamente positiva, nel senso che raffiguri un effettivo accrescimento patrimoniale, sia che rappresenti un mancato

20 Si vedano in particolare Cass., sez. VI, 23 giugno 2006, n. 25877, Rv. 234851; Cass., sez. VI, 5 giugno 2007, n. 31692; Cass., sez. II, 29 aprile 2014, n. 21228.

21 Si vedano in particolare Cass., sez. un., 24 maggio 2004; Cass., sez. V, 26 gennaio 2010, n. 11288; Cass., sez. II, 28 aprile 2011, n. 19105.

22 Si veda, in particolare, Cass., sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Riv. pen., 2008, p. 1000, la quale ha enunciato il seguente principio di diritto «Il profitto del reato nel sequestro preventivo fun-zionale alla confisca, disposto – ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, artt. 19 e 53 – nei confronti dell’en-te collettivo, è costituito dal vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneg-giato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico dell’ente».

23 Si veda Cass., sez. III, 6 ottobre 2011, n. 36293. 24 In argomento si segnala anche Cass., sez. VI, 14 giugno 2007, n. 30966.

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Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054 505

decremento, vale a dire un risparmio di spesa 25. Ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dun-que, la confisca diretta del relativo importo ovunque o presso chiunque custodito.

Orbene, in base a tali enunciazioni è stato dedotto che in tema di reati tributari il profitto confiscabile è riconducibile ad un qualsivoglia vantaggio patrimoniale di-rettamente conseguito alla consumazione del reato e può consistere anche in un ri-sparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo a ségui-to dell’accertamento del debito tributario 26.

In effetti, nella fattispecie di omesso versamento IVA il profitto è costituito dal-la somma di denaro che l’obbligato non ha versato all’Erario.

6. La confisca presso la persona giuridica

Connessa al tema appena esaminato è la problematica inerente la disciplina da applicare nell’ipotesi in cui la condotta di evasione sia tenuta dall’amministratore – o più in generale da un organo rappresentante – di Enti al fine di consentire a questi soggetti giuridici di sfuggire all’imposizione fiscale. Nei casi de quibus l’illecito tri-butario è commesso da una persona fisica, ma i relativi proventi maturano in capo alla persona giuridica in nome e per conto della quale il singolo ha posto in essere la condotta delittuosa 27.

A fronte delle peculiarità appena ricordate parte della dottrina e della giurispru-denza ha sostenuto che in queste ipotesi sarebbe comunque possibile far ricorso alla confisca di valore presso la persona giuridica nonostante l’autore del reato sia soggetto ontologicamente differente. A sostegno della tesi si è dedotto che il reo, in quanto amministratore della società, avrebbe comunque la disponibilità dei beni dell’Ente rappresentato. In siffatte circostanze, i beni della persona giuridica rappre-sentata non apparterrebbero nemmeno ad un soggetto «estraneo al reato» 28.

25 V. Cass., sez. un., 26 giugno 2015, n. 31617, secondo le quali «qualora il prezzo o il profitto deri-vante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta: in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente og-getto della confisca ed il reato».

26 Sul punto, ed in particolare in tema di reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle im-poste, di cui all’art. 11, D.Lgs. n. 74/2000, v. Cass., sez. un., 31 gennaio 2013, n. 18374.

27 V. EUSEPI, Reati tributari, sequestro preventivo e fondo patrimoniale, nota a Cass., sez. III, n. 129/2014, in Riv. dir. trib., n. 2, 2014, p. 347; MAURO, Spunti problematici sulla confisca per equivalen-te (o di valore) nei reati fiscali, in Riv. trim. dir. trib., n. 2, p. 395; PERINI, Confisca per equivalente e di-sponibilità dei beni in capo all’autore del reato, in Arch. pen., 2012, p. 8; TASSANI, Confisca e recupero dell’imposta evasa: profili procedimentali e processuali, in Rass. trib., n. 6, 2015, p. 1385.

28 In dottrina si veda in particolare DELLA RAGIONE, La confisca per equivalente dei beni dell’ente per i reati tributari commessi dal legale rappresentante: in attesa delle Sezioni Unite, in www.dirittopenale

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 506

A questa impostazione si sono contrapposte diverse voci della dottrina e nume-rose pronunce della giurisprudenza, secondo le quali il primo orientamento trascu-ra che il rapporto tra un Ente ed un suo organo, di per sé, non è suscettibile di fon-dare l’estensione della confisca per equivalente, che si basa su specifiche disposi-zioni di legge 29.

In effetti, l’appiglio normativo legittimante la confisca per equivalente presso l’Ente rappresentato non è rinvenibile nemmeno nell’art. 19, D.Lgs. n. 231/2001 30 atteso che gli illeciti di natura fiscale non sono contemplati nella lista dei cosiddetti reati presupposto prevista dagli artt. 24 ss. Applicare l’art. 19 ai reati tributari si tradurrebbe in un’operazione analogica in malam partem, come tale non consenti-ta in sede penale.

Per completezza si è aggiunto anche che la persona giuridica potrebbe pro-muovere un’azione civile nei confronti dell’amministratore che l’ha sottoposta a responsabilità conseguente a fatto illecito.

In conclusione, è stato affermato che i beni dell’Ente potrebbero essere oggetto di confisca per equivalente solo laddove venisse dimostrato che la persona giuridi-ca fungeva da mero schermo fittizio 31.

Di recente, tuttavia, le Sezioni Unite Gubert non hanno accolto nessuna delle due prospettive che si sono confrontate sul punto, adottando una posizione inter-media che, secondo diversi esponenti della dottrina 32, si presta a numerose critiche contemporaneo.it; in giurisprudenza si rimanda a Cass., sez. III, 7 giugno 2011, n. 28731, secondo la quale «nel caso di reato commesso da una persona fisica le cui conseguenze patrimoniali si sono ri-verberate a favore della società in nome e nell’interesse della quale la persona fisica ha agito, il seque-stro per equivalente a fini di successiva confisca del profitto illecito derivatone, laddove consentito, può riguardare anche i beni della società, che non può considerarsi terza estranea al reato avendo partecipato all’utilizzazione degli incrementi economici derivati da reato».

29 VANNINI, Il coinvolgimento dell’ente nell’illecito penale tributario in assenza del reato presupposto, in Riv. giur. trib., 2011, p. 944.

30 In dottrina si veda MAZZA, Il caso Unicredit al vaglio della Cassazione: il patrimonio dell’ente non è confiscabile per equivalente in caso di reati tributari commessi dagli amministratori a danno della socie-tà, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; in giurisprudenza di particolare interesse appare Cass., sez. III, 19 settembre 2012, n. 1256, Rv. 254796.

31 V. DE MARCO, Brevi considerazioni sulla confisca per equivalente di beni societari, nota a Cass. sez. IV, 13 maggio 2015, n. 19761, in Dir. prat. trib., n. 1, 2016, p. 334.

32 Si vedano in proposito le notazioni critiche di BORSARI, Reati tributari e confisca di beni societa-ri. Ovvero, di un’occasione perduta dalle Sezioni Unite, in Società, 2014, p. 862; BRICCHETTI, Sì al seque-stro preventivo per equivalente se la persona giuridica è uno “schermo fittizio”, in Guida dir., 2014, 15, p. 95; CARDONE-PONTIERI, Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni della società per delitti tributari commessi dal legale rappresentante, nota a Cass., sez. un. 10561/2014, in Riv. dir. trib., n. 3, 2014, p. 66; DELL’OSSO, Confisca diretta e confisca per equivalente nei confronti della persona giuridica per reati tributari commessi dal legale rappresentante: le Sezioni Unite innovano ma non convincono, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2014, p. 401; GIANGRANDE, Tìmeo dànaos et dona ferentes: le Sezioni Unite della Cassazione in materia di confisca per equivalente, in Dir. prat. trib., 2014, p. 637; MUCCIA-RELLI-PALIERO, Le Sezioni Unite ed il profitto confiscabile: forzature semantiche e distorsioni ermeneuti-

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Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054 507

tanto in riferimento al contenuto quanto in relazione alle argomentazioni svolte. La pronuncia ha chiarito che «è consentito nei confronti di una persona giuri-

dica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungi-bili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamen-te riconducibili al profitto) sia nella disponibilità della persona giuridica» e pertan-to «non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equiva-lente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da loro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributa-rio compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a per-sona (compresa quella giuridica) non estranea al reato».

Tra le maglie delle enunciazioni si evince che le Sezioni Unite hanno fatto pro-pria la tesi – richiamata in precedenza – secondo la quale in presenza di profitto avente ad oggetto un bene fungibile la confisca è da considerarsi sempre diretta ed al contempo non deve verificarsi il rapporto di pertinenzialità con il reato.

Di conseguenza, può essere sempre disposta la confisca del profitto del reato fi-scale presso il patrimonio della persona giuridica rappresentata, stante il carattere asseritamente diretto di detta misura. Anche la Suprema Corte afferma che in que-sti casi l’Ente deve intendersi soggetto non estraneo al reato.

In secondo luogo, dovendosi considerare la misura di natura diretta e non di valore, ne deriva che tale operazione dev’essere disposta in via principale. Solo qua-lora il patrimonio dell’Ente rappresentato risulti incapiente si potrà disporre una confisca per equivalente sul patrimonio del reo.

Va infine osservato che queste considerazioni delle Sezioni Unite mantengono piena attualità anche alla luce dell’odierno quadro normativo, posto che, come si è accennato, l’art. 12 bis, D.Lgs. n. 74/2000 altro non è che una riallocazione siste-matica della disciplina previgente.

7. La posizione della Sezione III

La pronuncia della Sezione III appare perfettamente in linea con i princìpi enunciati dalle Sezioni Unite riguardo ai rapporti tra confisca diretta e per equiva-lente (o di valore).

I Supremi Giudici hanno chiarito come, sulla scorta della recente statuizione a che, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; TRINCHERA, La sentenza delle Sezioni Unite in tema di confi-sca di beni societari e reati fiscali, 12 marzo 2014, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; VARRASO, Pun-ti fermi, disorientamenti interpretativi e motivazioni “inespresse” delle Sezioni Unite in tema di sequestro a fini di confisca e reati tributari, in Cass. pen., 2014, p. 2806.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 508

Sezioni Unite, la giurisprudenza di legittimità sia orientata nel ritenere assoluta-mente possibile, nei confronti di una persona giuridica per reati commessi dal lega-le rappresentante della stessa, operare il sequestro preventivo finalizzato alla confi-sca; sequestro da intendere non già per equivalente bensì in via diretta e, dunque, legittimo, laddove avente ad oggetto beni fungibili come le somme di denaro 33.

Nelle ipotesi tipicamente ricorrenti in materia di illeciti tributari, come nel caso di specie, accade che il provvedimento ablativo diretto non può essere disposto avverso il patrimonio del reo, nel quale il profitto del reato non è mai entrato, per-ché la condotta criminosa produce il vantaggio – consistente nel mancato versa-mento dell’imposta – direttamente a favore dell’Ente. Tuttavia, secondo questo filone giurisprudenziale la confisca diretta può essere applicata sui beni della per-sona giuridica che assume le vesti di soggetto non estraneo.

I giudici di legittimità hanno annullato la decisione del Tribunale del riesame perché il sequestro per equivalente sul patrimonio dell’indagato poteva essere di-sposto solo ove non si potesse procedere al sequestro diretto del profitto derivante dal reato detenuto dalla persona giuridica. Il Tribunale, invece, aveva avallato la decisione del Gip di esperire il sequestro di valore sui beni dell’indagato, senza di-sporre la preventiva escussione del patrimonio dell’Ente rappresentato, presso il quale era detenuto il profitto del reato tributario.

Nella circostanza, i giudici di merito avevano l’obbligo di disporre la misura cautelare reale diretta del profitto del reato ovunque esso si trovasse. Solo se il se-questro diretto non fosse andato a “buon fine” sarebbe stato legittimo esperire il sequestro per equivalente sul patrimonio dell’indagato.

La Cassazione rinnova l’obbligo del giudice di merito di verificare se nel caso concreto possa essere esperita la confisca diretta del profitto – anche presso la per-sona giuridica rappresentata dall’autore del reato tributario – e quindi, implicita-mente, ribadisce che la confisca per equivalente è istituto al quale ricorrere solo quale extrema ratio 34.

33 Stesse considerazioni vengono svolte da E. FONTANA, Ritenute previdenziali: penale rilevanza tra truffa ed indebita compensazione, in Dir. e giust., 2016, p. 29, il quale rileva come, «anche con la pro-nuncia in commento, prenda sempre maggior consistenza una concezione ampia di profitto del rea-to tributario, dovendosi comprendere nello stesso, come esplicitamente ricorda anche la sentenza della Sezione III, non solo i beni appresi per effetto immediato e diretto dell’illecito, ma altresì ogni altra uti-lità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, della attività criminosa. La conseguenza è l’assog-gettabilità di tutti tali beni, non al sequestro per equivalente (il ricorso al quale, com’è noto, è limita-to nei confronti delle persone giuridiche alle ipotesi di reati tributari commessi dall’organo dotato di potere gestorio), bensì al sequestro effettivo immediato e diretto finalizzato alla confisca»; PELLICIOLI, Sì al sequestro preventivo per equivalente, ma solo se il sequestro diretto è impossibile, in Dir. e giust., 2016, p. 16.

34 MANES, L’ultimo imperativo della politica criminale: Nullum Crimen sine Confiscatione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 1259.

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Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054 509

8. Osservazioni conclusive

Si tratta di un tentativo di bilanciare la necessità di sottoporre ad ablazione i proventi da reato tributario con le esigenze garantistiche sottese all’applicazione di misure afflittive come la confisca di valore 35.

Tuttavia, gli snodi ermeneutici inaugurati dalla pronuncia a Sezioni Unite Gu-bert, ivi ripresi nella decisione in discorso, si espongono a numerose critiche se as-sunti a linee guida di risoluzione della generalità delle controversie attinenti l’ap-plicazione della confisca del provento da reato. Ad opinione di chi scrive, i risvolti che questo approccio rischia di sortire sul piano sistemico si scontrano ineludibil-mente con il profilo delle garanzie penalistiche e dei canoni interpretativi ai quali il giudice è vincolato.

In primis sembra essere commesso un errore concettuale nel momento in cui il requisito della pertinenzialità del profitto – riguardante il legame eziologico di un dato bene con il reato – viene confuso e sostituito con il diverso carattere della fungibilità, attinente invece alla cosa in prospettiva statica.

In effetti, muovendo dall’errata sovrapposizione tra i due concetti, si giunge all’arbitraria conclusione che ogni qual volta il profitto sia ricavato in denaro, la confisca finisce per essere qualificata, sempre e comunque, di natura diretta, quan-do, invece, a tale esito dovrebbe approdarsi previo l’accertamento della sussistenza del presupposto indefettibile della pertinenzialità con il reato, nesso che non può essere dissolto con l’asserzione che nel caso di beni fungibili è sempre possibile la confisca diretta.

Anche se la cosa è fungibile, rispetto ad essa è possibile riconoscerne l’eventua-le legame eziologico di provenienza.

A ben vedere, affermando che il profitto fungibile è direttamente confiscabile senza che debba essere verificato il nesso di pertinenzialità con il reato si corre il ri-schio di confiscare in via diretta ciò che invece è un tantundem 36. Sembrerebbe com-piuta in via interpretativa una metamorfosi del modello di confisca di valore nella

35 V., in particolare, Corte EDU, 4 marzo 2014, n. 18640/10, Grande Stevens e altri c. Italia; Cor-te EDU, 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, n. 17475/09; Corte EDU, 20 gennaio 2009, Sud Fondi s.r.l. ed altri c. Italia, n. 75909/01; Corte EDU, 11 giugno 2009, Dubus S.a. c. Francia, n. 5242/04; Corte EDU, 27 giugno 2002, Butler c. Regno Unito, n. 41661/98; Corte EDU, Zaicevs c. Lettonia, n. 65022/01; Corte EDU, Ezeh e Connors c. Regno Unito, nn. 39665/98 e 40086/98; Corte EDU, 21 feb-braio 1984, Öztürk c. Germania; Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi.

36 Considerazioni critiche vengono svolte da MUCCIARELLI-PALIERO, op. cit., p. 2, secondo i quali «forzando il valore semantico dei lemmi vantaggio e profitto, la doverosa tipizzazione del profitto confiscabile smarrisce, nel dictum della Corte, i suoi tratti connotativi per trasfigurarsi in un “vantag-gio” dai contorni indistinti e dal perimetro evanescente da comprendere anche – in termini negativi – qualunque risparmio di spesa, nozione quest’ultima estesa fino ad accogliere il contro valore delle sanzioni pecuniarie in ipotesi applicabili».

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 510

forma diretta; un rischioso “gioco d’etichette” che in passato la giurisprudenza convenzionale non ha esitato a censurare.

Tale effetto distorsivo pare ancor più evidente se si considera quella variante di vantaggio economico rappresentata dal “risparmio di spesa”, tipica dei reati tribu-tari. In questi casi appare indubbio che, esprimendo il risparmio un’accezione ne-gativa, la sua inclusione nei possibili significati di profitto possa avvenire solo in termini di equivalenza e non invece di identità.

In effetti, prima della sentenza Gubert, la giurisprudenza di legittimità aveva giustamente affermato che «È indispensabile che il profitto, per essere tipico, cor-risponda ad un mutamento materiale, attuale e di segno positivo della situazione patrimoniale del suo beneficiario per effetto del reato» 37. Nondimeno, in sede di commento alla pronuncia delle Sezioni Unite, parte della dottrina ha criticamente obiettato che «il risparmio è per così dire unità di misura, cui si attaglia quindi la confisca per equivalente» 38.

Aggiungasi che l’abbandono della tipicizzazione del concetto di profitto rischia di sortire nel contesto penale tributario effetti negativi, in quanto, oltre a rendere vano il fondamentale requisito della pertinenzialità, finisce per innescare una du-plicazione del carico afflittivo nei confronti del contribuente.

Giova infatti osservare che il profitto da risparmio di imposta coincide con il credito che lo Stato vanta a prescindere dalla fattispecie di reato che ne ha deter-minato, quantomeno provvisoriamente, la mancata riscossione. Ciò nonostante, il credito erariale mantiene autonomia rispetto alla sua valorizzazione in sede penale, finendo la stessa somma per essere riscossa una volta in quanto onere tributario e un’altra quale profitto confiscabile 39.

Del resto, nonostante il comma 2 del nuovo art. 12 bis, D.Lgs. n. 74/2000 pre-veda che la confisca non operi per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario, anche in presenza di sequestro, il diverso accertamento, tributario e pe-nale, dell’evasione fiscale, rischia di creare ugualmente situazioni di forte criticità ove il processo penale si concluda con la quantificazione dell’evasione in misura su-periore al quantum versato 40. Malgrado alcuni recenti arresti giurisprudenziali ab-biano coerentemente convenuto che la finalità della confisca non può certo risol-

37 Cass., sez. V, 28 novembre 2013, n. 10265. 38 BORSARI, op. cit., p. 874. 39 Sul tema, recentemente, GIOVANNINI, Identità di oggetto dell’obbligazione d’imposta e della confisca

e della confisca nei reati d’evasione, in Rass. trib., 2014, p. 1255 ss.; MARELLO, Evanescenza del principio di specialità e dissoluzione del doppio binario: le ragioni per una riforma del sistema punitivo penale tributario, in Riv. dir. trib., n. 1, 2013, p. 269; PISTOLESI, Crisi e prospettive del “doppio binario” nei rapporti tra pro-cesso e procedimento tributario e giudizio penale, in Riv. dir. trib., n. 1, 2014, p. 29 ss.; TABET, Collegamento tra fattispecie tributaria e fattispecie penale: riflessioni processuali, in Rass. trib., 2015, p. 303.

40 CAVALLINI, Osservazioni di “prima lettura” allo schema di decreto legislativo in materia penaltributa-ria, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; TASSANI, Confisca e recupero dell’imposta evasa, cit., p. 1385.

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Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054 511

versi in una sorta di duplicazione sanzionatoria 41, in questi casi, l’estinzione del debito tributario non farebbe venir meno i presupposti della confisca, a meno che la determinazione della misura dell’importo confiscabile non possa eccedere l’im-porto definito tra erario e contribuente.

Sotto altro versante, perplessità non lievi suscita la conseguenza che, in casi analoghi a quello in questione, la persona giuridica subisce una misura sostanzial-mente afflittiva – tramite un’interpretazione estensiva del profitto confiscabile in presenza di un reato tributario commesso dall’organo rappresentante – benché sia assente un dato normativo che ne legittimi l’operatività.

Orbene, a parere di chi scrive, la problematica non si porrebbe allorché il legislato-re introducesse i reati tributari nel novero dei delitti che fungono da presupposto per la responsabilità da reato degli Enti collettivi disciplinata dal D.Lgs n. 231/2001 42. Come ben noto, infatti, l’art. 19 prevede la confisca diretta obbligatoria del profitto e la relativa confisca per equivalente quale sanzione da applicare all’Ente.

In tal modo potrebbero essere scongiurate interpretazioni analogiche in malam partem come quelle adottate dalla giurisprudenza di legittimità per far fronte alla manifesta irrazionalità del sistema sanzionatorio tributario.

Del resto, tale innovazione legislativa è stata più volte proposta, da ultimo in sede di commento alla recente riforma dei reati tributari, laddove numerosi espo-nenti della dottrina hanno sottolineato criticamente come non sia stata colta l’oc-casione per introdurre tale previsione 43.

Senonché, simili prospettive de jure condendo renderebbero indispensabile un coor-dinamento sistematico tra le sanzioni amministrative tributarie già previste nei con-fronti della persona giuridica, e quelle para-penalistiche eventualmente introdotte per la medesima violazione fiscale penalmente rilevante, stante la necessità di rispettare il principio di ne bis in idem sancito dall’art. 4, Protocollo n. 7 integrativo della CEDU.

Matteo Gambarati

41 AMATO, Il pagamento rateale non blocca la misura ma riduce l’importo, nota a Cass., sez. III, 14 gennaio 2016, n. 5728, in Guida dir., 2016, p. 10.

42 Per un commento dell’intera normativa, DE VERO, La responsabilità penale delle persone giuridi-che, Milano, 2008; GAREGNANI, Etica d’impresa e responsabilità da reato, Milano, 2008; GUERRINI, La responsabilità da reato degli enti, Milano, 2006; PASCULLI, La responsabilità “da reato” degli enti collet-tivi nell’ordinamento italiano, Bari, 2005; RIVERDITI, La responsabilità degli enti: un crocevia tra repres-sione e specialprevenzione, Napoli, 2009; RUGGIERO, Contributo allo studio della capacità penale, Tori-no, 2007; SANTI, La responsabilità delle società e degli enti, Milano, 2004.

43 Per l’opinione di chi ritiene opportuna detta innovazione legislativa si rimanda a ALAGNA, I reati tributari ed il regime della responsabilità da reato degli enti, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2012, p. 397; IELO, Reati tributari e responsabilità degli enti, in Riv. resp. amm. Enti, 2007, pp. 3, 9; PERINI, La rifor-ma dei reati tributari, in Dir. pen. proc., 2016, p. 30; PERINI, Brevi considerazioni in merito alla respon-sabilità degli enti conseguente alla commissione degli illeciti fiscali, in Riv. resp. amm. Enti, n. 2, 2006, p. 79; per chi invece rinviene motivi ostativi si veda CARACCIOLI, Reati tributari e responsabilità degli enti, in Riv. resp. amm. Enti, n. 1, 2007, p. 155.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 512

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 – Pres. Criscuolo, Rel. Coraggio

Commissioni tributarie provinciali – Competenza territoriale – Giudizi contro i concessionari del servizio di riscossione – Circoscrizione diversa dagli enti locali concedenti – Art. 4, D.Lgs. n. 546/1992 – Illegittimità costituzionale

È costituzionalmente illegittimo l’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 nella parte in cui prevede che le commissioni tributarie provinciali siano competenti per le contro-versie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione che hanno sede nella loro circoscrizione, anche nell’ipotesi in cui tale sede appartenga ad una circoscri-zione diversa da quella degli enti locali concedenti

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(Omissis) 1. – La Commissione tributaria provinciale di Cremona, con due ordinanze di

identico tenore, emesse in data 10 novembre 2014, ha sollevato questione di legittimi-tà costituzionale, per violazione degli artt. 24 e 97 della Costituzione, dell’art. 4 (rec-tius: art. 4, comma 1) del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 di-cembre 1991, n. 413), nella parte in cui prevede che le commissioni tributarie provin-ciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio riscossione che hanno sede nella loro circoscrizione anche nel caso in cui tale sede appartenga ad una circoscrizione diversa da quella degli enti locali concedenti.

(Omissis)

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con due ordinanze di identico contenuto la Commissione tributaria provincia-le di Cremona ha sollevato, per violazione degli artt. 24 e 97 della Costituzione, questio-ne di legittimità costituzionale dell’art. 4 (rectius: art. 4, comma 1) del D.Lgs. 31 dicem-bre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Go-verno contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui preve-de che le commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie pro-poste nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione che hanno sede nella loro circoscrizione anche nel caso in cui tale sede ricada in una circoscrizione diversa da quella in cui ricade la sede dell’ente locale concedente.

(Omissis)

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 514

A parere del giudice rimettente la norma censurata violerebbe l’art. 24 Cost., in quanto, nell’ipotesi in cui il concessionario abbia sede in un luogo significativamente distante da quello in cui ha sede l’ente impositore, il contribuente si vedrebbe costretto a instaurare un giudizio in un luogo lontano da quello ove è ubicato l’immobile censito dall’ente impositore.

(Omissis) La frattura del rapporto territoriale tra ente pubblico e contribuente produrrebbe,

altresì, la violazione dell’art. 97 Cost. in quanto, consentendo che a giudicare la con-troversia tra i due soggetti sia la commissione tributaria nella cui circoscrizione ha sede il concessionario “scelto” dall’ente medesimo, attribuirebbe alla pubblica amministrazione il potere di gestire il proprio rapporto con gli amministrati in maniera iniqua ed arbi-traria, così stravolgendo il corretto rapporto istituzionale che deve intercorrere tra cit-tadino e pubblica amministrazione.

2. – Ad avviso della difesa dello Stato, le questioni sollevate sarebbero inammissibi-li e infondate.

2.1. – Sotto il primo profilo, la denunciata violazione dell’art. 24 Cost. sarebbe pre-sentata “in via del tutto eventuale ... ipotizzata solo come ‘un caso’ possibile, e al limite ‘non eccezionale’”, mentre la censura relativa all’art. 97 Cost., per come prospettata dal rimettente, avrebbe ad oggetto non già il criterio di competenza territoriale delineato dalla norma censurata, ma la possibilità, riconosciuta dal legislatore a Province e Comu-ni, di affidare a terzi l’accertamento e la riscossione dei propri tributi: atterrebbe cioè non “... alla competenza ‘processuale’ ma a quella ‘amministrativa’”.

2.2. – Quanto al secondo profilo, i dubbi di costituzionalità sollevati dalla Com-missione tributaria provinciale di Cremona in ordine all’art. 24 Cost. sarebbero infon-dati in quanto la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale non escluderebbe che possano essere posti a carico della parte istante determinati oneri purché gli stessi siano giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia.

La violazione dell’art. 97 Cost., poi, sarebbe esclusa in quanto la scelta del conces-sionario del servizio non sarebbe affatto “arbitraria”, posto che, a norma dell’art. 52, com-ma 5, lett. b), del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni del-l’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), essa dovrebbe avvenire “nel rispetto della normativa Euro-pea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pub-blici locali”.

(Omissis) 4. – Va, innanzitutto, segnalato che, dopo l’emissione delle due ordinanze di rimes-

sione, è intervenuto un parziale mutamento della disposizione censurata. (Omissis) La versione derivante dalla sostituzione del censurato comma 1 operata dall’art. 9,

comma 1, lett. b), del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 (Misure per la revisione della

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 515

disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, com-ma 6, e 10, comma 1, lettere a e b, della L. 11 marzo 2014, n. 23), vigente a decorrere dal 1° gennaio 2016, fa, invece, riferimento alle controversie proposte nei confronti “de-gli enti impositori, degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446”.

La norma sopravvenuta non trova applicazione nei giudizi a quibus perché, ai sensi dell’art. 5 del codice di procedura civile, la competenza si incardina al momento della domanda.

Oggetto del giudizio di costituzionalità rimane, quindi, la norma originariamente censurata.

5. – In via preliminare, vanno rigettate le eccezioni di inammissibilità formulate dall’Avvocatura generale dello Stato.

5.1. – Contrariamente a quanto sostenuto da quest’ultima, la prospettazione della commissione tributaria provinciale non è correlata ad un mero “caso” ipotizzato come possibile, posto che le problematiche lamentate sono una fisiologica ricaduta della norma, ovvero “un effetto collegato alla struttura della norma censurata” (ordinanza n. 66 del 2014). Oggetto della censura, quindi, non è “un inconveniente di fatto legato alle particolari modalità di svolgimento del giudizio a quo” (ordinanza n. 66 del 2014) o comunque alle “asserite difficoltà non discendenti in via diretta ed immediata dalla norma censurata” (sentenza n. 216 del 2013).

5.2. – Analogamente infondati sono i profili di inammissibilità eccepiti dall’Avvo-catura generale dello Stato con riferimento alla censura relativa all’art. 97 Cost.

Il giudice rimettente, infatti, non critica la mancanza in sé di vincoli spaziali e geo-grafici nell’individuazione del terzo cui affidare l’attività di accertamento e riscossione, ma si duole unicamente della circostanza che la competenza territoriale delle commis-sioni tributarie provinciali venga determinata in base alla sede di tale soggetto.

6. – Nel merito, la censura di cui all’art. 97 Cost. non è fondata per inconferenza del parametro evocato.

Per costante orientamento di questa Corte, infatti, “il principio del buon andamen-to è riferibile all’amministrazione della giustizia soltanto per quanto attiene all’organiz-zazione e al funzionamento degli uffici giudiziari, e non anche in rapporto all’esercizio della funzione giurisdizionale (ex plurimis, sentenza n. 10 del 2013; ordinanze n. 66 del 2014, n. 243 del 2013 e n. 84 del 2011)”, alla quale, per converso, evidentemente si riferisce la norma processuale censurata.

7. – Fondata, invece, è la censura relativa all’art. 24 Cost. 7.1. – La giurisprudenza costituzionale riconosce un’ampia discrezionalità del legi-

slatore nella conformazione degli istituti processuali (tra le ultime, sentenze n. 23 del 2015, n. 243 e n. 157 del 2014), anche in materia di competenza (ex plurimis, sentenze n. 159 del 2014 e n. 50 del 2010).

Resta naturalmente fermo il limite della manifesta irragionevolezza della disciplina, che si ravvisa, con riferimento specifico al parametro evocato, ogniqualvolta emerga

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 516

un’ingiustificabile compressione del diritto di agire (sentenza n. 335 del 2004). In generale, questa Corte ha chiarito, con riferimento all’art. 24 Cost., che “tale

precetto costituzionale ‘non impone che il cittadino possa conseguire la tutela giuri-sdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti ... purché non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività pro-cessuale’ (sentenza n. 63 del 1977; analogamente, v. sentenza n. 427 del 1999 e ordi-nanza n. 99 del 2000)” (ordinanza n. 386 del 2004).

7.2. – Alla luce di questi principi, deve ritenersi che nella disciplina in esame il legi-slatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, abbia individuato un criterio attributivo della competenza che concretizza “quella condizione di ‘sostanziale impedimento al-l’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione’ suscettibile ‘di integrare la violazione del citato parametro costituzionale’ (così, nuovamente, la sen-tenza n. 237 del 2007)” (ordinanza n. 417 del 2007).

Difatti, poiché l’ente locale non incontra alcuna limitazione di carattere geografico-spaziale nell’individuazione del terzo cui affidare il servizio di accertamento e riscos-sione dei propri tributi, lo “spostamento” richiesto al contribuente che voglia esercita-re il proprio diritto di azione, garantito dal parametro evocato, è potenzialmente ido-neo a costituire una condizione di “sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione” (sentenze n. 117 del 2012, n. 30 del 2011, n. 237 del 2007 e n. 266 del 2006) o comunque a “rendere ‘oltremodo difficoltosa’ la tutela giurisdizionale” (sentenza n. 237 del 2007; ordinanze n. 382 e n. 213 del 2005).

7.3. – A questo proposito, lo stesso legislatore, all’art. 52, comma 5, lett. c), del D.Lgs. n. 446 del 1997, ha precisato che l’individuazione, da parte dell’ente locale, del concessionario del servizio di accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entra-te (determinante ai fini del radicamento della competenza) “non deve comportare oneri aggiuntivi per il contribuente”.

Ebbene, il fatto che il contribuente debba farsi carico di uno “spostamento” geo-grafico anche significativo per esercitare il proprio diritto di difesa integra un conside-revole onere a suo carico.

Questo onere, già di per sé ingiustificato, diviene tanto più rilevante in relazione ai valori fiscali normalmente in gioco, che potrebbero essere – come in concreto sono nella specie – di modesta entità, e quindi tali da rendere non conveniente un’azione da eser-citarsi in una sede lontana.

8. – Quanto alla individuazione del criterio alternativo di competenza, essa non com-porta un’operazione manipolativa esorbitante dai poteri di questa Corte, in quanto non deve essere operata una scelta tra più soluzioni, tutte praticabili perché non costitu-zionalmente obbligate (sentenza n. 87 del 2013; ordinanze n. 176, n. 156 del 2013 e n. 248 del 2012).

Difatti, il rapporto esistente tra l’ente locale e il soggetto cui è affidato il servizio di accertamento e riscossione comporta che, ferma la plurisoggettività del rapporto, il se-

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 517

condo costituisca una longa manus del primo, con la conseguente imputazione dell’at-to di accertamento e riscossione a quest’ultimo.

(Omissis) 9. – Va, pertanto, dichiarata – in accoglimento della sollevata questione − l’illegitti-

mità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, con riferimento all’art. 24 Cost., nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei con-fronti dei concessionari del servizio di riscossione è competente la commissione tribu-taria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari stessi hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale concedente.

10. − Deve essere, infine, preso in considerazione l’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, nel testo vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 9, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 156 del 2015.

Infatti, “l’apprezzamento di questa Corte, ai sensi dell’art. 27 della L. 11 marzo 1953, n. 87, non presuppone la rilevanza delle norme ai fini della decisione propria del processo principale, ma cade invece sul rapporto con cui esse si concatenano nell’ordi-namento, con riguardo agli effetti prodotti dalle sentenze dichiarative di illegittimità costituzionali (sentenza n. 214 del 2010)” (sentenza n. 37 del 2015).

In applicazione del citato art. 27, quindi, trattandosi di disposizione sostitutiva contenente disposizioni analoghe in contrasto coi principi affermati nella odierna de-cisione (sentenze n. 82 del 2013, n. 70 del 1996 e n. 422 del 1995), deve essere dichia-rato costituzionalmente illegittimo l’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, nel te-sto vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 9, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 156 del 2015, nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 446 del 1997 è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i medesimi soggetti hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale impositore.

P.Q.M.

LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 31 dicem-

bre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Go-verno contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), nel testo vigente ante-riormente alla sua sostituzione ad opera dell’art. 9, comma 1, lett. b), del D.Lgs. 24 set-tembre 2015, n. 156 (Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del con-tenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a e b, della L. 11 marzo 2014, n. 23), nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari stessi han-no sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale concedente;

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 518

2) dichiara, in applicazione dell’art. 27 della L. 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzio-nale dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, nel testo vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 9, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 156 del 2015, nella par-te in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detra-zioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordi-no della disciplina dei tributi locali) è competente la commissione tributaria provincia-le nella cui circoscrizione i medesimi soggetti hanno sede, anziché quella nella cui cir-coscrizione ha sede l’ente locale impositore.

(Omissis) La competenza territoriale nelle liti tributarie di primo grado

in cui è parte il concessionario della riscossione: l’intervento della Corte costituzionale *

The territorial jurisdiction on tax dispute in first instance in which the tax collector is part: the intervention of the constitutional Court

Abstract In nome della violazione del diritto di difesa, con la Pronuncia 3 marzo 2016, n. 44 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992 nella parte in cui stabiliva (precedentemente alla riforma at-tuata dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156) che, per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione, fosse competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari ave-vano la propria sede. E, con riferimento al testo del citato art. 4 attualmente vi-gente, i Giudici della Consulta hanno censurato la parte della disposizione in cui è attribuita alla commissione tributaria provinciale, nella cui circoscrizione han-

* Lavoro svolto nell’ambito del progetto di ricerca SIR, dal titolo Estimated tax assessments and presumptive taxation: A comparative analysis, coordinato dal dott. Nicola Sartori.

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 519

no sede i soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53, D.Lgs. n. 446/1997, la compe-tenza per le controversie proposte nei confronti di detti soggetti. Parole chiave: diritto di difesa, competenza territoriale, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, tute-la del contribuente In the name of the violation of the right of defence, the Constitutional Court – with decision no. 44 of 3 March 2016 – declared the constitutional illegitimacy of art. 4 of Legislative Decree no. 546/1992 in the part in which it established (prior to the re-form implemented by Legislative Decree no. 156 of 24 September 2015) that, for liti-gation brought against tax collectors, the Tax Court of first instance in which they have their seat shall be considered competent. With reference to the text of the above-mentioned art. 4 currently in force, the constitutional judges have censored the part of the provision in which it attributed to the Tax Court of first instance – in whose cir-cumscription the subjects inscribed to the professional register referred to in art. 53 of Legislative Decree no. 446/1997 have their seat – the competence for litigation brou-ght against such subjects. Keywords: right of defence, territorial jurisdiction, European Convention on Human Ri-ghts, Charter of Fundamental Rights of the European Union, protection of the taxpayer

SOMMARIO: 1. Premessa. La vicenda sottoposta all’esame della Corte costituzionale. – 2. La competenza terri-toriale in materia tributaria nei giudizi di primo grado nel confronto con il sistema processual-civilistico. – 3. La mancata integrazione di tutele tra norme interne e CEDU: un’occasione perduta.

1. Premessa. La vicenda sottoposta all’esame della Corte costituzionale

Il caso in esame trae origine dall’impugnazione presso la Commissione tributa-ria provinciale di Cremona, da parte di due contribuenti (in due giudizi autonomi), di taluni avvisi di accertamento emessi dalla società di riscossione Area riscossioni spa, con sede in Mondovì (Cuneo), in materia di Ici per gli anni 2008, 2009 e 2010, in relazione ad immobili siti nella circoscrizione di Cremona.

In entrambi i giudizi la società di riscossione ha, sin da subito, eccepito la carenza di competenza territoriale per violazione dell’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, ai sensi del quale i contribuenti avrebbero dovuto instaurare i giudizi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Cuneo, nella cui circoscrizione aveva (ed ha) sede la società Area riscossioni spa.

I Giudici remittenti (Commissione tributaria provinciale di Cremona) hanno

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 520

sollevato la questione di costituzionalità del richiamato art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 con specifico riferimento alla violazione degli artt. 24 e 97 Cost.

In particolare, i giudici hanno sostenuto che l’individuazione della competenza in ragione della sede del concessionario avrebbe determinato un vulnus al diritto di difesa dei contribuenti ex art. 24 Cost. ed, altresì, la compromissione dei corretti rapporti che devono intercorrere, ai sensi dell’art. 97 Cost., tra la Pubblica Ammi-nistrazione ed i cittadini.

Rispetto a tale posizione si è fatta valere la ferrea opposizione del Presidente del Consiglio dei Ministri, difeso dall’Avvocatura dello Stato, che ha ritenuto insus-sistenti le denunciate violazioni degli artt. 24 e 97 Cost.

La prima (i.e. violazione dell’art. 24 Cost.) in quanto la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale non esclude oneri a carico dei contribuenti se giustifica-ti da esigenze di ordine generale ovvero da finalità superiori di giustizia.

La seconda censura (i.e. violazione dell’art. 97 Cost.) in virtù del fatto che, così come formulata, avrebbe ad oggetto non il criterio di competenza territoriale quanto la facoltà di affidare a terzi le attività di accertamento e di riscossione dei tributi; facoltà, quest’ultima, consentita invece ai sensi dell’art. 52, comma 5, lett. c), D.Lgs n. 446/1997.

Con la sentenza in commento, la Corte costituzionale (riuniti i giudizi) ha di-chiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 (con riferimento al testo vigente anteriormente alle modifiche intervenute ad opera del-l’art. 9, comma 1, lett. b), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156) nella parte in cui sta-biliva che, per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione, fosse competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari avevano la propria sede.

I Giudici della Consulta hanno, altresì, censurato l’attuale testo dell’art. 4, com-ma 1, della legge processual-tributaria nella parte in cui attribuisce alla commissio-ne tributaria provinciale, nella cui circoscrizione hanno sede i soggetti iscritti nel-l’albo di cui all’art. 53, D.Lgs. n. 446/1997, la competenza per le controversie pro-poste nei confronti di detti soggetti. Ciò alla luce dell’avvenuta violazione dell’art. 24 Cost. che, come noto, tutela e garantisce il diritto di difesa.

Al contrario, è stata ritenuta non fondata, per inconferenza del parametro evo-cato, la censura di cui all’art. 97 Cost.

In particolare, i Giudici delle leggi hanno sottolineato come il principio di buon andamento sia riferibile all’amministrazione della giustizia in relazione all’organiz-zazione ed al funzionamento degli uffici giudiziari e non anche, più strettamente, all’esercizio della funzione giurisdizionale, alla quale si riferisce il contestato art. 4, D.Lgs. n. 546/1992 1.

1 V., in senso conforme, Corte cost., 23 gennaio 2013, n. 10; Id., 21 ottobre 2013, n. 243; Id., 1° aprile 2014, n. 66, tutte in Banca dati fisconline.

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 521

2. La competenza territoriale in materia tributaria nei giudizi di primo grado nel confronto con il sistema processual-civilistico

Ai sensi del censurato art. 4, D.Lgs. n. 546/1992, la competenza 2 in materia tributaria – interpretata talvolta come presupposto processuale 3 ed altre volte co-me presupposto per la trattazione e l’emanazione della pronuncia di merito 4 – era determinata esclusivamente in base alla sede dei soggetti (Ente impositore, Agente della riscossione e/o soggetti equiparati) che avevano emanato l’atto impugnato,

2 Sul tema della competenza in materia processual-civilistica, v., ex multis, CHIOVENDA, Saggi di diritto processuale civile, II, Napoli, 1930, passim; ID., Principi di diritto processuale civile, Roma, 1965, p. 483 ss.; GIONFRIDA, (voce) Competenza civile, in Enc. dir., VIII, 1961; CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano5, I, Roma, 1956; ANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979; MAFFEZ-ZONI, Regolamento di competenza e processo tributario, in Boll. trib., 1984, p. 59 ss.; ACONE-SANTULLI, (voce) Competenza, II, Diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, VII, 1988; LEVONI, Competen-za nel diritto processuale civile, in Dig. civ., III, 1988; VIANELLO, Competenza nel diritto processuale civi-le, in Dig. civ., Agg., I, 2000; MANDRIOLI, Diritto processuale civile19, II, Torino, 2007; LIEBMAN, Ma-nuale di diritto processuale civile. Principi7, a cura di Colesanti-Merlin-Ricci, Milano, 2007, p. 81 ss.; RONCO, I mutamenti nel sistema della competenza, in Giur. it., n. 6, 2009, pp. 1570-1574; PICARDI, Manuale del processo civile, Milano, 2010, p. 81 ss.; AGNINO, Consumatore e competenza per territorio: si rafforza la tutela nei confronti del professionista, in Corr. giur., n. 6, 2009; CARBONE, Controversie aventi ad oggetto strumenti finanziari e foro del consumatore, in Corr. giur., 2012; CONTE, In tema di competenze territoriali speciali nel procedimento monitorio, in Corr. giur., fasc. 8-9, 2015, pp. 1136-1140. Con specifico riferimento al tema della competenza in materia processual-tributaria, ex multis, v., E. ALLORIO, Diritto processuale tributario5, Torino, 1969, passim; F. TESAURO, Lineamenti del pro-cesso tributario, Rimini, 1991, p. 62 ss.; ID., Manuale del processo tributario, Torino, 2016, p. 43 ss.; MOSCHETTI, La disciplina del ricorso nel novellato processo tributario, in Riv. dir. trib., 1993; BASILA-VECCHIA, Considerazioni in tema di (apparente) incompetenza territoriale e di (oggettiva) carenza di legittimazione passiva nel processo tributario, in Dir. prat. trib., 1997, I, p. 59 ss.; ID., Funzione impositi-va e forme di tutela. Lezioni sul processo tributario, Torino, 2009, p. 63 ss.; GIOVANNINI, Competenza ed incompetenza territoriale delle Commissioni tributarie, in Dir. prat. trib., 1997, I, p. 59 ss.; GLENDI, Il nuovo regime dell’incompetenza delle Commissioni tributarie, in Corr. trib., 1997, p. 336 ss.; ID., La competenza delle Commissioni tributarie, ivi, 2001, n. 15, p. 1113 ss.; ID., «Inderogabilità» e «inosser-vanza» delle regole sulla competenza, ivi, 2001, n. 21, p. 1565 ss.; ID., Differenze e aspetti comuni per giurisdizione e competenza, ivi, 2001, p. 810 ss.; ID., Quando due commissioni provinciali sono compe-tenti per lo stesso procedimento, in GT-Riv. giur. trib., n. 10, 2008, p. 902 ss.; DELLA VALLE, La compe-tenza, in AA.VV., Il processo tributario. Giur. sist. dir. trib., a cura di F. Tesauro, Torino, 1999, p. 77 ss.; TURCHI, La commissione territorialmente competente nelle liti contro atti emanati da società conces-sionarie del servizio di accertamento e riscossione dei tributi locali, in Fin. loc., 2005, p. 11 ss.; GIANON-CELLI, La competenza nel processo tributario, in AA.VV., Codice commentato del processo tributario, a cura di F. Tesauro, Torino, 2011, p. 57 ss.; RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano, 2013, p. 59 ss.

3 V. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, cit., p. 483 ss.; LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, I, Milano, 1980.

4 V., ex multis, ATTARDI, Sulla traslazione del processo dal giudice incompetente a quello competente, in Riv. dir. proc., 1951, VI, p. 152 ss.; MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile6, I, Torino, 1987, p. 186 ss. Ciò alla luce del testo normativo di cui all’art. 50 c.p.c., che trova la sua norma corrisponden-te nel codice del processo tributario all’art. 5. Sul punto, v. DELLA VALLE, La competenza, in AA.VV., Il processo tributario, cit., p. 79.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 522

indipendentemente dai luoghi in cui si realizzava la materia imponibile o il contri-buente deteneva il proprio domicilio 5.

Difatti, il comma 1 della norma sopra richiamata, come modificato dall’art. 9, comma 1, lett. b), c) e d), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 prevedeva che le com-missioni tributarie provinciali fossero competenti per le controversie proposte nei confronti degli enti impositori, degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti all’albo di cui all’art. 53, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, aventi sede nella loro circoscrizione.

In altri termini, come condivisibilmente rilevato, era vigente in materia tributa-ria 6 uno schema molto semplice per il quale «dall’atto impugnato si risale all’uffi-cio o all’ente che lo ha emanato, e, in base alla sede di quest’ultimo, si determina (...) il giudice competente per territorio 7».

Ebbene, al contrario di quel che avviene in ambito processual-civilistico, in ma-teria tributaria non apparivano (e non appaiono tuttora) valorizzati altri criteri ido-nei a garantire maggiore tutela alle parti.

Invero, nel processo civile si rinvengono i criteri del valore economico dell’og-getto della causa, ossia della domanda (previsto dall’art. 10 e s.s. c.p.c. 8) ed il criterio della materia (ex art. 9 c.p.c.), basato sulla natura del rapporto giuridico controverso.

Il criterio della competenza per valore è ritenuto di natura generale e, quindi, operante ove non vi siano regole speciali che dispongano l’attribuzione della com-petenza in base alla materia; criterio, quest’ultimo, prevalente rispetto a quello fon-dato sul valore 9.

I criteri del valore e della materia si affiancano al criterio basato sul territorio di cui agli artt. 18-30 bis c.p.c., che rappresenta la connessione spaziale rintracciabile tra l’ufficio giudiziario e la controversia instaurata.

Non solo. In ambito processual-civilistico, all’interno della competenza per ter-ritorio si distinguono il foro generale 10 (di natura personale 11, che coincide per le

5 V. LA ROSA, Principi di diritto tributario, Torino, 2012, p. 433. 6 Ciò sin dall’art. 2, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. 7 Così: BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela, cit., p. 63. 8 In particolare, gli artt. dall’11 al 17 c.p.c. si occupano della determinazione del valore nelle cau-

se rispettivamente riferite a quote di obbligazione tra più parti, a rapporti obbligatori, locazioni e divisioni, a prestazioni alimentari e rendite, a somme di denaro e beni mobili, a beni immobili, all’e-secuzione forzata.

9 V. ACONE-SANTULLI, op. cit., p. 5. 10 Per foro generale deve intendersi «il tribunale avanti a cui un cittadino può essere chiamato a ri-

spondere in ogni causa che non sia espressamente deferita ad altro foro»: così CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, cit., p. 535. Il foro speciale è, invece, «il tribunale avanti al quale il convenuto è chiamato a rispondere solo in determinate cause ad esso foro attribuite (...) o per la natura della causa (...); o per convenzione (...); o per un fatto processuale (...); o per altri fatti (...)»: così, ancora, CHIO-VENDA, Principi di diritto processuale civile, cit., p. 535. Sul tema, v. anche ACONE-SANTULLI, op. cit., p. 32.

11 V. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, cit., p. 539.

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 523

persone fisiche nel luogo in cui il convenuto 12 detiene la propria residenza o domi-cilio ai sensi dell’art. 18 c.p.c. e per le persone giuridiche ove è localizzata la sede ovvero dove la persona giuridica ha uno stabilimento e/o un rappresentante auto-rizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda ex art. 19 c.p.c. 13) ed i fori speciali.

Questi ultimi, che valgono soltanto in ipotesi tassativamente individuate dal Legislatore ex artt. 20-30 bis c.p.c., possono derogare alle previsioni dettate per l’individuazione del foro generale al fine di garantire una maggiore tutela alle parti.

Così, solo per fare qualche esempio, per le cause ereditarie il foro competente è quello in cui avviene l’apertura della successione 14; per le controversie inerenti ai rapporti obbligatori il luogo in cui è sorta ovvero deve essere eseguita l’obbligazio-ne 15; per le cause in materia di diritti reali immobiliari il luogo in cui si trova l’im-mobile 16 e per quelle relative alle opposizioni all’esecuzione il giudice del luogo del-l’esecuzione, salva diversa previsione ex art. 480 c.p.c., comma 3 17.

Senza considerare che, al contrario del processo tributario – per il quale ai sensi dell’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, la competenza è espressamente ritenuta inderogabile – è fatta salva la possibilità di derogare alla competenza per territorio sulla base di un accordo, in forma scritta e riferito ad uno o più affari determinati, che sia intervenuto tra le parti, seppur nel rispetto delle limitazioni previste dall’art. 28 c.p.c. 18.

Dalla breve ricognizione delle norme sulla competenza nel processo civile, ap-pare evidente come nel processo tributario risultasse (precedentemente alla censu-ra) piuttosto semplice l’individuazione del giudice competente, in ragione dell’uni-cità del criterio territoriale normativamente prestabilito 19.

12 Tra le parti (attore e convenuto) il legislatore ha, in via generale, avvantaggiato, ai fini dell’in-dividuazione del foro generale, il soggetto convenuto: v., sul punto, GIONFRIDA, op. cit., p. 70 ss.; ANDRIOLI, op. cit., p. 188.

13 V. GIONFRIDA, op. cit., p. 81 ss.; ANDRIOLI, op. cit. 14 Così art. 22 c.p.c. 15 Così art. 20 c.p.c. 16 Così art. 21 c.p.c. 17 Così art. 27 c.p.c., comma 1. 18 Ci si riferisce alle ipotesi di cui ai commi 1, 2, 3 e 5 dell’art. 70 c.p.c. (controversie in cui è

previsto l’intervento del pubblico ministero ed, in specie, le cause proponibili dallo stesso, le cause matrimoniali, comprese quelle di separazione personale dei coniugi, le cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone ed, infine, negli altri casi previsti dalla legge); ai casi di esecuzione forzata e di opposizione alla stessa, ai procedimenti cautelari, possessori e quelli in Camera di Consiglio e per ogni altra ipotesi in cui l’inderogabilità sia prevista espressamente in forza di una disposizione di legge.

19 V. GLENDI, La competenza delle Commissioni tributarie, in Corr. trib., 2001, p. 1113 ss.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 524

A maggior ragione se si pensa che, tra l’altro, l’art. 19, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 stabilisce espressamente che gli atti impugnati debbano contenere l’in-dicazione della Commissione tributaria competente.

Tale previsione, che deve essere letta in combinato disposto con l’art. 7, com-ma 2, L. n. 212/2000 (c.d. Statuto dei Diritti del contribuente) 20, come opportu-namente sottolineato 21 è da ricondurre al bilanciamento tra il dovere d’informa-zione, cui è sottoposta l’Amministrazione Finanziaria, e le preclusioni previste dal-l’art. 21, D.Lgs. n. 546/1992 22.

Tuttavia, è altrettanto evidente, da una parte, come nel processo civile sia ga-rantita una maggiore tutela alle parti ai fini dell’instaurazione del giudizio, dal mo-mento che sussistono diversi criteri di ripartizione della competenza ed, all’interno del parametro basato sul territorio, anche la possibilità di derogare al foro generale sulla base dei fori speciali individuati dal legislatore, al fine di garantire al meglio gli interessi delle parti in causa. E dall’altra parte, come la normativa sul processo tri-butario fosse (anteriormente alla censura) assai pregiudizievole per il contribuen-te, essendo attribuita in via generale, al citato art. 4, D.Lgs. n. 546/1992, la compe-tenza delle controversie rientranti nella giurisdizione tributaria – sempre ed in ogni caso – all’organo giudicante di primo grado nella cui circoscrizione aveva sede l’Ente ovvero il concessionario della riscossione (e/o i soggetti equiparati) che avevano emesso l’atto impugnato.

Con la conseguenza che, nel rispetto delle regole dettate dal citato art. 4 del de-creto sul processo tributario, in caso di impugnazione (come nel caso vagliato dal-la Corte costituzionale) di un atto emesso da una società di riscossione con sede in altra provincia o addirittura altra regione rispetto a quella dell’organo concedente e, quindi, del contribuente, quest’ultimo avrebbe dovuto sopportare l’onere (gra-voso ed ingiustificato) di instaurare il giudizio nella circoscrizione in cui aveva se-de la società di riscossione, a nulla rilevando la sede dell’Ente impositore (organo concedente) ovvero, in caso di imposte e/o tributi riferiti ad immobili, la localizza-zione di questi ultimi.

Ebbene, tale soluzione normativa – come comprensibilmente evidenziato nella sentenza in commento – appariva assai penalizzante per il contribuente alla luce dell’insacrificabile diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.

20 Il comma 2 dell’art. 7 dello Statuto, come noto, prevede che: «gli atti dell’amministrazione fi-nanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare: (…) le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili».

21 V. RAGUCCI, Gli atti impugnabili ed i motivi del ricorso, in AA.VV., Codice commentato del pro-cesso tributario, cit., p. 332.

22 È bene precisare che si tratta di una norma “imperfetta”. Difatti, laddove non sia rispettato il contenuto previsto in quanto forma di ausilio per il contribuente, l’atto sarà affetto da una mera ir-regolarità e, pertanto, non sarà dichiarato invalido. V., sul punto, MULEO, Il nuovo processo tributario, Rimini, 1996, p. 89.

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 525

Invero, seppure – come già chiarito dalla stessa Corte costituzionale in prece-denti pronunce 23 – «tale precetto costituzionale non impone che il cittadino pos-sa conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti (…)», in ogni caso è evidente come sia necessario che «non vengano im-posti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale».

Ed è palese come lo spostamento geografico per il contribuente, necessario ai sensi dell’art. 4 per poter contestare in via giurisdizionale l’atto notificatogli, avreb-be rappresentato un onere considerevole ed ingiustificato, che avrebbe assunto maggiore rilevanza in virtù dei valori fiscali normalmente in gioco, di modesta enti-tà, specie con riguardo ai tributi locali per le persone fisiche e, quindi, tali da non rendere conveniente un’azione giudiziale da esercitare in una sede lontana.

Peraltro, vero è che l’ente locale è legittimato ad individuare liberamente la so-cietà di riscossione ai fini dell’affidamento del servizio di accertamento e riscossio-ne dei propri tributi ex art. 52, D.Lgs. n. 446/1997, ma è altrettanto vero che, ai sensi comma 5, lett. c), del medesimo art. 52, tale affidamento non può e non deve comportare oneri aggiuntivi per il contribuente 24.

Appare, dunque, certamente condivisibile la censura di costituzionalità fatta propria dai Giudici della Consulta con la sentenza in commento 25.

In particolare, la pronuncia in esame ha chiarito come l’individuazione del cri-terio alternativo, da applicare in sostituzione del testo normativo ritenuto illegitti-mo, sia naturale ed automatica 26: la competenza deve essere attribuita al giudice del luogo nella cui circoscrizione ha sede l’organo concedente.

23 Così: Corte cost., 20 aprile 1977, n. 63; Id., 10 novembre 1999, n. 427; Id., ord., 13 aprile 2000, n. 99; Id., ord., 14 dicembre 2004, n. 386, nonché la stessa sentenza commentata (Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44), tutte in Banca dati fisconline. Inoltre, in altre pronunce, i giudici delle leggi hanno rilevato che, seppur è attribuita discrezionalità al legislatore con riferimento agli istituti processuali, e quindi anche in relazione alla competenza, è fatto salvo dall’ordinamento interno il limite invalicabile del dirit-to di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione: si vedano, sul punto, Corte cost., 10 novembre 2004, n. 335; Id., 28 ottobre 2014, n. 243; Id., 27 febbraio 2015, n. 23, tutte in Banca dati fisconline.

24 V. LOVECCHIO, La riscossione dei tributi locali, in AA.VV., La riscossione dei tributi, a cura di Ba-silavecchia-Cannizzaro-Carinci, Milano, 2011, p. 85 ss.

25 V., tra i primi commenti della pronuncia, CERIONI, Parziale incostituzionalità della disposizione che regola la competenza nel processo tributario, in Corr. trib., n. 17, 2016, p. 1295 ss.; CONIGLIARO, La competenza territoriale delle Commissioni tributarie viaggia nella direzione del contribuente, in Il Fisco, n. 19, 2016, p. 1 ss.; FRONTICELLI BALDELLI, Illegittimità costituzionale della norma sulla competenza territoriale nelle liti in cui è parte l’agente di riscossione, ivi, n. 14, 2016, p. 1 ss.

26 Tale conclusione era stata suggerita, già da qualche tempo, da BASILAVECCHIA, Funzione impo-sitiva e forme di tutela, cit., pp. 64-65. Infatti, l’autore aveva sottolineato come, potendosi presentare conseguenze significative sfavorevoli per il contribuente nei casi in cui la legittimazione passiva compe-ta a soggetti incaricati della riscossione, sarebbe stato auspicabile applicare il criterio dell’individua-zione della competenza territoriale dell’organo giudicante alla luce della sede dell’ufficio delegante.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 526

È stato quindi privilegiato – ai fini della determinazione dell’organo giudicante competente in relazione ad atti emessi da società di riscossione, il cui potere impo-sitivo è riconducibile ad enti locali – il criterio della sede dell’Ente impositore (il Comune nel caso di specie).

Ciò alla luce del rapporto esistente tra ente concedente e società terza cui ven-gono affidate le attività di accertamento e di riscossione ed, in specie, della circo-stanza che la titolarità del credito è sempre riconducibile all’Ente impositore e solo l’attività concreta di accertamento e di riscossione è di fatto esercitata dall’Agente di riscossione, ovvero dai soggetti ad essa equiparati 27.

Pertanto, ferma restando la plurisoggettività del rapporto e l’indipendenza dei due soggetti 28, è innegabile come la società di riscossione rappresenti una longa ma-nus dell’ente locale e che sia giusto, alla luce del diritto di difesa ex art. 24 Cost., far prevalere il rapporto sostanziale intercorrente tra contribuente ed Ente impositore.

Peraltro, la soluzione adottata dalla Corte costituzionale appare in sintonia con la già citata norma processual-civilistica speciale, l’art. 20 c.p.c., che riserva – sep-pure in via facoltativa – la competenza per le cause aventi ad oggetto diritti di ob-bligazione al giudice del luogo in cui la medesima obbligazione dedotta in giudizio è sorta.

Difatti, in materia tributaria (con specifico riferimento ad ipotesi come quella in esame) il luogo in cui l’obbligazione sorge può ritenersi coincidente con il luogo in cui ha sede l’ente locale che ha dato in concessione alla società terza le attività di accertamento e/o riscossione, e pertanto, con il luogo in cui si trovano i beni im-mobili oggetto di tassazione ai fini dell’imposta comunale sugli immobili.

Né, è possibile negare l’esistenza di tratti comuni tra l’obbligazione tributaria 29 e quella civilistica, dal momento che – ancorché quest’ultima rientri nel novero

27 V. INGRAO, La tutela della riscossione dei crediti tributari, Bari, 2012. 28 Sulla circostanza che, come assai noto, Ente impositore e agente della riscossione (e soggetti

ad essa equiparati) devono essere considerati soggetti differenti, v, ex multis, CARINCI, Autonomia e indipendenza del procedimento di iscrizione a ruolo rispetto alla formazione della cartella di pagamento, in GT-Riv. giur. trib., n. 11, 2011, p. 971 ss.; RAGUCCI, Gli atti impugnabili e i motivi di ricorso, in AA.VV., Codice commentato del processo tributario, cit., p. 303 ss.; SCHIAVOLIN, “Art. 19”, in Commen-tario breve alle leggi del processo tributario, a cura di Consolo-Glendi, Padova, 2005, p. 195 ss.; GIO-VANNINI, Gli atti impugnabili, in AA.VV., Il processo tributario, cit., p. 394 ss.

29 In generale, sul tema dell’obbligazione tributaria, v., ex multis, BERLIRI, Appunti sul rapporto giuridico d’imposta e sull’obbligazione tributaria, in Giur. imp., 1954, III, p. 509 ss.; GIANNINI, Le obbli-gazioni pubbliche, Roma, 1964, passim; FEDELE, Il presupposto del tributo nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1967, II, p. 971 ss.; MICHELI-TREMONTI, (voce) Obbligazioni (dir. trib.), in Enc. dir., 1979, XXIX, p. 409 ss.; MICHELI, Corso di diritto tributario, Torino, 1989, p. 161 ss.; RUS-SO, L’obbligazione tributaria, in AA.VV., Trattato di diritto tributario, a cura di Amatucci, II, Padova, 1994, p. 4 ss.; BATISTONI FERRARA,(voce) Obbligazioni nel diritto tributario, in Dig. disc. priv. sez. comm., 1994, p. 296 ss.; FREGNI, Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1998, p. 52 ss.; FALSITTA, (voce) Obbligazione tributaria, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da Cassese, Milano, 2006, IV, p. 3837.

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 527

delle obbligazioni pubblicistiche 30 e le attività inerenti all’accertamento ed alla ri-scossione dei tributi siano di natura pubblicistica – è rinvenibile una comune ma-trice che lega l’obbligazione tributaria a quella civilistica 31.

Ciò in quanto, l’obbligazione tributaria, che rinviene una propria disciplina nel diritto tributario, seppur «è un’obbligazione di diritto pubblico (…), quando la disciplina tributaria presenta delle lacune, l’interprete può colmarle ricorrendo alle norme del codice civile 32».

Pertanto, vero è che l’obbligazione tributaria non può essere considerata un’ob-bligazione civilistica tout court dal momento che, in tal caso, tutte le norme di dirit-to civile si applicherebbero direttamente al sistema tributario e, quindi, la legge tri-butaria diventerebbe una norma speciale rispetto a quella generale, rappresentata dal diritto privato 33. Ma è altrettanto vero che l’obbligazione tributaria, partendo dalla medesima matrice dell’obbligazione civile 34, pur avendo assunto caratteristi-che di natura pubblicistica, «non si differenzia né concettualmente, né struttural-mente dall’obbligazione del diritto privato, disciplinata nel codice civile» 35.

3. La mancata integrazione di tutele tra norme interne e CEDU: un’occasione perduta

Con la sentenza in commento i Giudici hanno compiuto un revirement con riferi-mento all’approccio metodologico precedentemente adoperato in altre pronunce 36,

30 Sulle obbligazioni pubbliche, di cui quella tributaria rappresenta una specie, v. ex multis, GIAN-NINI, Le obbligazioni pubbliche, Roma, 1964, p. 73 ss.; BARETTONI ARLERI, Obbligazioni pubbliche, in Enc. dir., XXIX, 1979, p. 383 ss.

31 Cosi: F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario12, Parte generale, Torino, 2016, p. 101; MICHE-LI-TREMONTI, op. cit., p. 409 ss.; FREGNI, op. cit., p. 52 ss.; seppur con qualche perplessità in ordine alla totale corrispondenza tra obbligazione tributaria ed obbligazione civile, si veda FANTOZZI, Pre-messe per una teoria della successione nel procedimento tributario, in AA.VV., Studi sul procedimento am-ministrativo tributario, Milano, 1971, p. 98 ss.

32 Così: F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, cit., p. 101. 33 V., ancora, FREGNI, op. cit., p. 13 ss. 34 Per un inquadramento generale in tema di obbligazione civilistica, v., per tutti, TONDO, Com-

mentario teorico-pratico al codice civile, Libro IV, Delle obbligazioni, Obbligazioni in generale, adempi-mento e mora del creditore art. 1173-1217, Roma, 1970, passim; RESCIGNO, (voce) Obbligazioni (dir. priv.) a) nozioni generali, in Enc. dir., XXIX, 1979, p. 194 ss.; NATOLI, L’attuazione del rapporto obbli-gatorio, I, Milano, 1974, passim; BRECCIA, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudi-ca-Zatti, Milano, 1991, p. 12 ss.; BIANCA, Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1993, passim; GAZZONI, Obbligazioni e contratti14, Napoli, 2009, passim.

35 Così: F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, cit., p. 101. In senso conforme, v. FREGNI, op. cit., p. 13 ss.

36 Corte cost., 25 luglio 2011, n. 245; Id., 23 febbraio 2012, n. 31; Id., 21 giugno 2013, n. 154; Id., 4 luglio 2013, n. 170; Id., 18 luglio 2013, n. 202, tutte in Banca dati fisconline.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 528

teso a fondare l’illegittimità di talune disposizioni su una sorta di doppia motiva-zione, ossia sulla base dei precetti costituzionali e delle corrispondenti norme so-vranazionali.

Il bilanciamento di tutele tra i diritti convenzionali, tutelati da norme interpo-ste e dunque di rango sub-costituzionale 37 (il riferimento è alla Convenzione Eu-ropea dei Diritti dell’Uomo), e quelli di matrice propriamente costituzionale ha affondato le radici nell’obiettivo di assicurare sempre la massima espansione delle garanzie, nonché nel proposito di sottolineare la sostanziale intercambiabilità delle tutele interne ed esterne che si trovano in rapporto di integrazione reciproca 38.

Ciò dal momento che la CEDU non può mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quella già predisposta dall’ordinamento interno, dovendo sem-mai porsi come ampliamento delle garanzie previste a livello domestico 39.

Ne consegue che la richiamata doppia motivazione, posta dai giudici a base di varie precedenti pronunce, ha inteso rafforzare il rispetto di principi fondamentali del nostro ordinamento.

Nel caso di specie, la Corte ha presumibilmente ritenuto assorbito il motivo inerente alla violazione della norma esterna (art. 6 CEDU) dall’incostituzionalità dichiarabile già per contrasto con l’art. 24 Cost.

37 Alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, comunemente denominata CEDU, come noto, la Corte costituzionale attribuisce uno status intermedio e dunque un rango a metà tra la Co-stituzione e la norma ordinaria. In proposito, si vedano, ex multis: BARTOLE-DE SENA-ZAGREBELSKY, Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, 2012, p. 29 ss.; CALVANO, La Corte Costituzionale e la CEDU nella sentenza n. 348/2007: Orgoglio e pregiudizio?, in Giur. it., marzo 2008, p. 573 ss.; CONFORTI, La Corte costituzionale e gli obblighi internazionali dello Stato in tema di espropriazione, ivi, 2008, p. 565 ss.; B. RANDAZZO, La CEDU e l’art. 117 della Costituzione. L’indennità di esproprio per le aree edificabili e il risarcimento del danno da occupazione acquisitiva, in Giorn. dir. amm., n. 1, 2008, p. 25 ss.; AA.VV., Il rango interno della Convenzione europea dei diritti del-l’Uomo secondo la più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, a cura di Sciso, Roma, 2008. In giurisprudenza, v. Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 347; Id., 24 ottobre 2007, n. 348, tutte in Banca dati fisconline. Nello stesso senso si sono, poi, mosse altre emblematiche pronunce: Corte cost., 26 novembre 2009, n. 311; Id., 4 dicembre 2009, n. 317; Id., 26 novembre 2009, n. 311; Id., 7 aprile 2011, n. 113; Id., 4 luglio 2013, n. 170, Id., 15 marzo 2015, n. 37; Id., 5 giugno 2015, n. 97; ID., 15 luglio 2015, n. 157, tutte in Banca dati fisconline. Alla luce della qualificazione della CEDU alla stre-gua di una norma interposta all’interno della teoria delle fonti, nel caso di antinomia tra una norma interna ed una norma della Convenzione, il giudice nazionale è tenuto ad attuare un’interpretazione “adeguatrice” rispetto al contenuto della CEDU e, laddove ciò non fosse possibile, a sollevare la questione di costituzionalità della norma dinanzi alla Corte costituzionale per violazione del comma 1 dell’art. 117 Cost., come modificato dalla nota riforma del 2001.

38 V. Corte cost., 4 luglio 2013, n. 170; Id., 9 maggio 2013, n. 85, Id., 25 novembre 2012, n. 264; Id., 23 gennaio 2013, n. 7, tutte in Banca dati fisconline. In dottrina, così LAMARQUE, Las relaciones entre los ordenes nacional, supranacional e internacional en la tutela de los derechos, in La proteccion de los derechos en un ordenamiento plural, Seminario italo-hispano-brasileno, Barcellona, 17 e 18 otto-bre 2013.

39 Vedi Corte cost., 4 dicembre 2009, n. 317; Id., 28 novembre 2012, n. 264, entrambe in Banca dati fisconline.

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 529

E d’altra parte non è nemmeno la prima volta 40 che i giudici delle leggi ricon-ducono l’incostituzionalità di determinate disposizioni, per violazione del diritto di difesa ovvero di altri precetti costituzionali, alla sola lesione della Costituzione.

Difatti, come sostenuto in dottrina, la Corte costituzionale, in relazione al trat-tamento riservato alla CEDU, oscilla da sempre tra “un polo d’ispirazione formale-astratta”, preoccupandosi di sottolineare lo status di norma interposta propria delle norme convenzionali ed “un polo assiologico-sostanziale”, effettuando il bilancia-mento dei valori costituzionali e di quelli esterni 41.

La scelta di motivare l’incostituzionalità anche in base alla violazione dell’art. 6 della CEDU avrebbe certamente risposto all’apprezzabile obiettivo, in un’ottica orizzontale e circolare, dell’internazionalizzazione delle tutele 42.

Ed ancora, l’integrazione delle tutele avrebbe consentito il superamento del principio della separazione delle competenze e, dunque, delle varie fonti; svalutan-do, ai fini del raggiungimento della finalità sostanziale del massimo grado di tutela per il contribuente, la diversa posizione assunta formalmente dalla Costituzione e dalla CEDU all’interno della gerarchia delle fonti 43.

Ciò detto, è ovvio che i giudici aditi (Commissione tributaria provinciale di Cremona), in alternativa alla remissione degli atti ai Giudici della Consulta, avreb-bero probabilmente potuto procedere direttamente alla disapplicazione della nor-ma interna, ossia dell’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992, per contrasto con l’art. 47 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali, conosciuta più comunemente come Car-ta di Nizza-Strasburgo la quale, come noto, trova diretta applicazione nell’ordina-mento italiano 44.

40 Così, ex multis, Corte cost., 26 marzo 2015, n. 48; Id., 25 marzo 2015, n. 45; Id., 3 marzo 2015, n. 25; Id., 3 marzo 2015, n. 28; ID., 27 febbraio 2015, n. 23; Id., 22 gennaio 2015, n. 1; Id., 29 maggio 2013, n. 103; Id., 9 luglio 2009, n. 206; ID., 8 maggio 2007, n. 156; Id., 22 novembre 2000, n. 525, tutte in Banca dati fisconline.

41 V. RUGGIERI, Ancora in temi di rapporti tra Cedu e Costituzione: profili teorici e questioni pratiche, in Pol. dir., 2008, p. 443 ss.; ID., Sistema integrato di fonti e sistema integrato di interpretazioni, nella prospettiva di un’Europa unita, in “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti. XIV. Studi dell’anno 2010, Torino, 2011, p. 207 ss.

42 V. RUGGIERI, Carte internazionali dei diritti, Costituzione europea, Costituzione nazionale: pro-spettive di ricomposizione delle fonti in sistema, Relazione all’incontro di studio su “La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo”, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, 28 febbraio-2 marzo 2007, p. 5 ss.

43 È stata evidenziata, in proposito, la necessità di superare la c.d. “crosta delle forme”: così COSTAN-ZO-MEZZETTI-RUGGIERI, Lineamenti di diritto costituzionale dell’unione europea, Torino, 2010, p. 283.

44 Sul punto, è bene precisare che l’art. 6, par. 1, del TUE ha riconosciuto alla Carta di Nizza-Strasburgo il medesimo valore giuridico dei Trattati, consentendo così di affermarne in modo indi-scusso la diretta applicabilità all’interno dell’ordinamento nazionale e, dunque, nel sistema tributa-rio, ovviamente secondo il principio di attribuzione ex art. 5 TUE e nel rispetto dell’art. 51 della stessa Carta. In altri termini, la Carta Europea dei Diritti Fondamentali, alla luce della sua colloca-zione nel sistema dei trattati e poiché sottoscritta ed adottata dalle istituzioni europee e dagli stati

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2016 530

La tutela offerta da tale Carta – fermo restando il richiamo implicito che l’art. 47 della Carta effettua, nel comma 1, all’art. 13 CEDU e, nella seconda parte del testo, all’art. 6, par. 1, della medesima Convenzione – è evidentemente più ampia ed estesa rispetto a quella garantita dalla CEDU, come si evince, tra l’altro, da al-cune importanti pronunce della Corte di Giustizia 45.

Ed inoltre, seppur la lettera della norma interna, ossia l’art. 24 Cost., ha una portata più estesa rispetto alla disposizione comunitaria, a ben vedere, dietro il con-tenuto apparentemente esiguo dell’art. 47 della Carta, si cela una maggiore prote-zione accordata agli individui.

In specie, proprio la concisione che caratterizza la disposizione comunitaria consente di rendere elastica la nozione di “tutela piena ed effettiva”, nella prospet-tiva di ampliare la portata del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.

Tuttavia, l’operatività della Carta, al pari delle fonti comunitarie primarie ed al contrario dei trattati internazionali di natura pattizia, soggiace al vincolo del crite-rio di riparto di competenze in applicazione del principio di attribuzione ex art. 5 TUE 46.

Inoltre, la disapplicazione di una norma riguarda soltanto il caso concreto e, per-tanto, non avrebbe condotto alla risoluzione, in via definitiva, del problema del-l’eventuale carenza di tutela derivante dall’art. 4, cui si è invece addivenuti con la decisione in commento.

Difatti, nel caso in cui l’organo giudicante avesse concluso per la disapplicazio-ne della norma interna per contrasto con l’art. 47 della Carta di Nizza-Strasburgo, membri, condivide lo status forte appartenente alle norme comunitarie, facendone parte a pieno titolo, pur limitandosi ad essere efficace per le sole materie di competenza dell’Unione Europea. Né, peraltro, la circostanza che la Carta di Nizza presenti un nomen iuris diverso dai Trattati può rappre-sentare una giustificazione all’esclusione della Carta dal sistema dei trattati europei e, dunque, dalle fonti primarie. V., sul tema, ex multis, MULEO, Le garanzie nel corso dell’attività ispettiva, il leading case Ravon e la tenuta della teoria della tutela differita nel processo tributario italiano, in AA.VV., Conven-zione europea dei diritti dell’uomo e giustizia tributaria italiana, a cura di Bilancia-Califano-Del Fede-rico-Puoti, Torino, 2014, p. 153 ss.; SCALA, “L’emergere” della carta dei diritti fondamentali dell’Unio-ne Europea nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Giur. it., n. 2, 2002; FRAGOLA, Osservazioni sul trattato di Lisbona tra Costituzione europea e processo di “decostituzionalizzazione”, in Diritto co-munitario e degli scambi internazionali, n. 1, 2008, p. 217; G. TESAURO, Un testo di revisione stilato a tempo di record che sacrifica partecipazione e valori condivisi, in Guida dir., n. 6, 2007, p. 10 ss.; ZILLER, Il nuovo Trattato europeo, Bologna, 2007, p. 135 ss.; ROLLI, La disapplicazione giurisdizionale dell’atto amministrativo. Tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario, Roma, 2005, p. 112 ss.

45 V. Corte di Giustizia UE, 15 maggio 1986, causa n. 222/84, Johnston; Id., causa 15 ottobre 1987, causa n. 222/86, Heylens; Id., 3 dicembre 1992, causa C-97/91, Borelli. V. RUGGIERI, Carte in-ternazionali dei diritti, Costituzione europea, Costituzione nazionale: prospettive di ricomposizione delle fonti in sistema, Relazione all’incontro di studio su La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, 28 febbraio-2 marzo 2007, p. 10, nt. 34.

46 V., BARTOLE-DE SENA-ZAGREBELSKY, op. cit., Introduzione, pp. 10-11.

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 531

la disposizione disapplicata avrebbe perso la propria efficacia rispetto al caso con-creto, ma avrebbe continuato a produrre effetti giuridici nell’ordinamento italiano.

Infine, lo strumento della disapplicazione di una norma per contrasto con una norma comunitaria rappresenta una mera facoltà e non, dunque, un dovere per il giudice domestico.

Pertanto, avrebbero potuto manifestarsi trattamenti differenti per casi simili e/o uguali, in quanto i giudici comuni competenti avrebbero potuto risolvere casi analoghi in modo differente, con la conseguente violazione dell’art. 3 Cost.

In conclusione, alla luce delle considerazioni sinora svolte, pur ritenendo ap-prezzabile la scelta dei giudici remittenti (CTP di Cremona) di sollevare la que-stione di costituzionalità con riferimento all’art. 4 della legge sul processo tributa-rio, in un’ottica di integrazione e di massimizzazione delle tutele sarebbe stata cer-tamente apprezzata la valorizzazione della CEDU, come parametro interposto per vagliare la legittimità costituzionale delle norme interne 47.

Invero, interpretando la Convenzione alla stregua di un Trattato internazionale (avente, dunque, natura pattizia) e considerati i descritti limiti connessi allo stru-mento della disapplicazione per contrasto con le fonti comunitarie, la valorizzazio-ne della CEDU rappresenta un percorso assai fecondo per garantire una tutela piena ed effettiva del contribuente nelle fasi di attuazione del prelievo fiscale.

E, dunque, sotto tale profilo la Convenzione riesce probabilmente ad offrire un maggiore livello di garanzie rispetto a quello derivante dall’applicazione diretta della Carta Europea dei Diritti Fondamentali.

Alessandra Kostner

47 Ciò proprio alla luce del carattere di norma interposta attribuito alla Convenzione e, conse-guentemente, della maggiore resistenza rispetto a quella tipica delle norme ordinarie.

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