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1/2016

G. Giappichelli editore – torino

Comitato di direzione

Fabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerralorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari

Maria cecilia Fregni, alessandro GiovanniniMaurizio logozzo, Giuseppe MariniSalvatore Muleo, Franco paparella

livia Salvini, loris tosi

1/2016

Tax Law Quarterly

© copyright 2016 - Amici della Rivista Trimestrale di Diritto Tributarioregistrazione presso il tribunale di torino, 5 aprile 2012, n. 22

Direttore responsabile: eugenio della Valle

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Comitato di direzioneFabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerra, lorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari, Maria cecilia Fregni, alessandro Giovannini, Maurizio logozzo, Giuseppe Marini, Salvatore Muleo, Franco paparel-la, livia Salvini, loris tosi

Comitato scientifico dei revisoriniccolò abriani, Francisco adame Martinez, antonia agulló agüero, Jacques au-tenne, Mauro Beghin, pietro Boria, Marc Bourgeois, andrea carinci, Giuseppe cipolla, Silvia cipollina, andrea colli Vignarelli, Gianluca contaldi, daria cop-pa, Giacinto della cananea, adriano di pietro, augusto Fantozzi, andrea Fedele, luigi Ferlazzo natoli, Stefano Fiorentino, Guglielmo Fransoni, Gianfranco Gaffuri, Franco Gallo, cesar Garcia novoa, alfredo Garcia prats, daniel Gutman, pedro h. herrera Molina, Manlio ingrosso, enrico laghi, Salvatore la rosa, carlos lopez espadafor, raffaello lupi, Jacques Malherbe, enrico Marello, Gianni Marongiu, enrico Marzaduri, Giuseppe Melis, Sebastiano Maurizio Messina, Marco Miccinesi, Salvo Muscarà, Mario nussi, carlos palao taboada, leonardo perrone, raffaele perrone capano, Franco picciaredda, Francesco pistolesi, ana María pita Gran-dal, Gianni puoti, José a. rozas Valdés, claudio Sacchetto, Salvatore Sammartino, roberto Schiavolin, roman Seer, Maria teresa Soler roch, paolo Stancati, dario Stevanato, Giuliano tabet, Francesco tesauro, Giuseppe tinelli, edoardo traversa, antonio Uricchio, Juan enrique Varona alabern, Marco Versiglioni, Bjorn West-berg, Giuseppe Zizzo

Comitato di redazioneantonio Viotto (coordinatore), ernesto-Marco Bagarotto, Gianluigi Bizioli, Susanna cannizzaro, pier luca cardella, anna rita ciarcia, Marco di Siena, Stefano dori-go, antonio Marinello, pietro Mastellone, Michele Mauro, annalisa pace, damiano peruzza, Federico rasi, laura torzi, caterina Verrigni

Tutti i contributi pubblicati nella Rivista sono stati sottoposti alla valutazione colle-giale da parte del Comitato di direzione e alla revisione anonima da parte di uno dei componenti del Comitato scientifico dei revisori, in base all’apposito Regolamento (consultabile sul sito www.giappichelli.it/RTDT_regolamento.html)

Amministrazione: presso la casa editrice G. Giappichelli, via po 21 – 10124 torino

INDICE-SOMMARIO

pag.

Gli Autori e i Revisori IX Dottrina E.M. Bagarotto, La disciplina in materia di costi black list: dalle mo-

difiche apportate dal decreto sull’Internazionalizzazione alla de-finitiva abrogazione dell’istituto (The discipline of black list expen-ses: from the amendments made by the Internationalisation Decree to its final abrogation) 3

A.R. Ciarcia, Il ruolo dell’Amministrazione finanziaria nella transa-zione fiscale (The role of tax authorities in the “fiscal transaction”) 29

R. Miceli, Tassazione ambientale e sistema tributario nazionale: nuo-ve linee guida per le Regioni dalla sentenza della Corte cost. n. 58/2015 (Environmental taxation and the Italian tax system: new guidelines for Regions stemming from decision n. 58/2015 of the Ita-lian Constitutional Court) 57

F. Paparella, Le recenti novità fiscali per il concordato ai fini delle im-poste sui redditi (Recent developments on the pre-bankruptcy agree-ment for the purpose of income taxes) 83

A. Salvatore, Implicazioni internazionali della disciplina dell’IVA di gruppo (International implications of the VAT group regime) 101

E. Traversa-F. Cannas, Lo scambio di informazioni tributarie: gli Updates dell’art. 26 del Modello OCSE ed i progressi in direzione dello scambio automatico come standard internazionale (The Updates to art. 26 of the OECD Model and the evolution towards automatic exchange of information as a global standard) 115

INDICE-SOMMARIO RTDT - n. 1/2016 VIII

pag. D. Zardini, La partecipazione del contribuente all’attività di accerta-

mento, d’irrogazione delle sanzioni e d’iscrizione a ruolo (Taxpa-yer’s participation in the tax assessment, in the imposition of penalties and in the inscription in the Official Taxpayers’Roll) 145

Giurisprudenza Cass., sez. lav., 9 aprile 2014, n. 8379 – Pres. Roselli, Rel. Napoletano,

con nota di A. Amori, Inibita la riscossione dei contributi previ-denziali in caso di impugnazione dell’accertamento “unificato” di-nanzi le Commissioni Tributarie (The collection of social security contributions shall be inhibited if the “unitary” notice of assessment is challenged before Tax Courts) 175

Cass., sez. trib., 20 marzo 2015, n. 5639 – Pres. Piccininni, Rel. Olivieri, con nota di V. Bassi, Sulla soggettività IVA dei consorzi per le aree di sviluppo industriale e sul loro potere di imporre tributi (On the VAT subjectivity of public consortia for industrial developing and on their power to impose taxes) 201

Cass., sez. trib., 6 agosto 2014, n. 17663 – Pres. Cappabianca, Rel. Iofrida, con nota di S. Colella, Redditometro e incrementi patri-moniali: la durata della disponibilità finanziaria supera la presun-zione sintetica (Presumptive taxation and asset increases: the dura-tion of the financial availability overcomes the tax presumption) 217

Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823 – Pres. Rovelli, Rel. Cappa-bianca, con nota di S. Muleo, Il contraddittorio procedimentale: un miraggio evanescente? (The audi alteram partem principle in tax proceedings: an evanescent mirage?) 233

GLI AUTORI E I REVISORI

Alberto Amori Dottorando di ricerca in Diritto tributario, Università di Chieti e Pescara

Ernesto-Marco Bagarotto Docente a contratto di Diritto tributario, Università di Trento

Vincenzo Bassi Docente a contratto di Diritto tributario, Università Lumsa

Francesco Cannas Research Associate e DIBT Collegiate, Institute for Austrian and International Taxation della Vienna University of Economics and Business

Anna Rita Ciarcia Ricercatore di Diritto tributario, Seconda Università degli Studi di Napoli

Sossio Colella Dottore di ricerca in Diritto tributario, Seconda Università degli Studi di Napoli

Rossella Miceli Ricercatore di Diritto tributario, Università di Roma Sapienza

Salvatore Muleo Professore ordinario di Diritto tributario, Università della Calabria

Franco Paparella Professore ordinario di Diritto tributario, Università del Salento

Arnaldo Salvatore Avvocato in Roma

Edoardo Traversa Professor of Tax Law, Catholic University of Louvain

Damiano Zardini Avvocato in Venezia

GLI AUTORI E I REVISORI RTDT - n. 1/2016 X

La revisione dei contributi pubblicati è stata effettuata da: Andrea Carinci (Pro-fessore ordinario di Diritto tributario, Università di Bologna); Stefano Fiorentino (Professore straordinario di Diritto tributario, Università di Salerno); Salvatore Muscarà (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Catania); Ma-rio Nussi (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Udine); Fran-cesco Pistolesi (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Siena); Claudio Sacchetto (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Tori-no); Salvatore Sammartino (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Palermo); Giuseppe Tinelli (Professore ordinario di Diritto tributario, Universi-tà di Roma Tre); Marco Versiglioni (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Perugia); Giuseppe Zizzo (Professore ordinario di Diritto tributa-rio, Università LIUC di Castellanza).

Errata corrige Rivista n. 4/2015 Gli Autori e i Revisori: a seguire si precisa la corretta qualifica accademica del profes-sor Andrea Fedele.

Andrea Fedele, Professore emerito di Diritto tributario, Università di Roma Sapienza.

DOTTRINA

SOMMARIO:

E.M. Bagarotto, La disciplina in materia di costi black list: dalle modifiche ap-portate dal decreto sull’Internazionalizzazione alla definitiva abrogazione dell’istituto (The discipline of black list expenses: from the amendments made by the Internationalisation Decree to its final abrogation)

A.R. Ciarcia, Il ruolo dell’Amministrazione finanziaria nella transazione fiscale (The role of tax authorities in the “fiscal transaction”)

R. Miceli, Tassazione ambientale e sistema tributario nazionale: nuove linee gui-da per le Regioni dalla sentenza della Corte cost. n. 58/2015 (Environmental taxation and the Italian tax system: new guidelines for Regions stemming from decision n. 58/2015 of the Italian Constitutional Court)

F. Paparella, Le recenti novità fiscali per il concordato ai fini delle imposte sui redditi (Recent developments on the pre-bankruptcy agreement for the purpose of income taxes)

A. Salvatore, Implicazioni internazionali della disciplina dell’IVA di gruppo (International implications of the VAT group regime)

E. Traversa-F. Cannas, Lo scambio di informazioni tributarie: gli Updates del-l’art. 26 del Modello OCSE ed i progressi in direzione dello scambio automa-tico come standard internazionale (The Updates to art. 26 of the OECD Mo-del and the evolution towards automatic exchange of information as a global standard)

D. Zardini, La partecipazione del contribuente all’attività di accertamento, d’ir-rogazione delle sanzioni e d’iscrizione a ruolo (Taxpayer’s participation in the tax assessment, in the imposition of penalties and in the inscription in the Offi-cial Taxpayers’Roll)

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 2

Ernesto-Marco Bagarotto

LA DISCIPLINA IN MATERIA DI COSTI BLACK LIST: DALLE MODIFICHE APPORTATE DAL DECRETO

SULL’INTERNAZIONALIZZAZIONE ALLA DEFINITIVA ABROGAZIONE DELL’ISTITUTO

THE DISCIPLINE OF BLACK LIST EXPENSES: FROM THE AMENDMENTS MADE BY

THE INTERNATIONALISATION DECREE TO ITS FINAL ABROGATION

Abstract L’articolo affronta le importanti modifiche apportate al regime dei costi derivanti da operazioni concluse con soggetti localizzati in paradisi fiscali: nel corso del 2015, infatti, si è passati da una sorta di presunzione di inesistenza dell’operazio-ne (che faceva salva la prova contraria per il contribuente) ad un regime che ga-rantiva comunque la deducibilità nel limite del valore normale del bene o servi-zio acquisito; dopodiché, con la legge di stabilità 2016, l’istituto è stato abrogato, lasciando tuttavia aperti alcuni interrogativi di diritto intertemporale. Parole chiave: reddito d’impresa, deducibilità, decreto sull’internazionalizzazio-ne, paradisi fiscali, costi black list The article deals with the recently introduced relevant modifications to the regime of costs stemming from transactions with subjects having their seat in tax havens. Dur-ing 2015, in fact, the Italian lawmaker has changed the rules from a sort of presump-tion of non-existence of the transaction (allowing the taxpayer to offer his counter-proof) to a regime that guarantees the deductibility within the “normal value” of the good or service purchased. Finally, after Stability Law for 2016 the regime has been abolished, leaving certain unresolved issues concerning the intertemporal law. Keywords: business income, deductibility, Internationalisation Decree, tax havens, black-listed costs

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 4

SOMMARIO: 1. L’evoluzione normativa dell’istituto dell’indeducibilità dei costi black list. – 2. L’ambito di applicazione e la ratio dell’istituto. – 3. Le esimenti. – 4. Segue: le criticità legate alle esimenti. – 5. La sovrapposizione con gli altri istituti. – 6. La indiscussa incompatibilità dell’istituto con la normativa comunitaria. I dubbi di compatibilità con le Convenzioni basate sul modello OCSE. – 7. La definitiva abrogazione dell’istituto.

1. L’evoluzione normativa dell’istituto dell’indeducibilità dei costi black list

L’art. 110, commi 10 ss., TUIR ha riservato per anni ai costi derivanti da operazioni concluse con soggetti localizzati in paradisi fiscali un regime spe-ciale di deducibilità, maggiormente gravoso rispetto a quello ordinario, in con-siderazione della circostanza che essi originano da un rapporto che, nell’otti-ca del Fisco, è particolarmente delicato, vedendo coinvolto – come contro-parte – un soggetto ubicato in un Paese black list

1. Come noto, anteriormente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 147/2015

(c.d. decreto sull’internazionalizzazione), il legislatore, in prima battuta, sta-biliva l’indeducibilità dei costi in argomento, salvo poi prevedere che essi tor-nassero ad essere deducibili qualora il contribuente soddisfacesse un onere probatorio “maggiorato” rispetto a quello ordinariamente previsto e, segna-tamente, dimostrasse che «le imprese estere svolgono prevalentemente un’at-tività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispon-dono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto con-creta esecuzione». Sotto il profilo procedimentale, poi, al fine di agevolare le attività di controllo, il legislatore richiedeva la separata indicazione in di-chiarazione dei costi black list.

Giova premettere che, rispetto alla formulazione originaria, la norma in ar-gomento aveva subìto alcune importanti modifiche già anteriormente al-l’entrata in vigore del decreto sull’internazionalizzazione.

In primo luogo, il testo introdotto dall’art. 11, comma 12, L. 30 dicembre 1991, n. 413, stabiliva l’applicabilità del regime di (potenziale) indeducibili-tà solamente nel caso in cui il soggetto estero fosse legato da rapporti di controllo ex art. 2359 c.c. con l’impresa residente (controllasse direttamente

1 La recente sentenza della Cass., 11 febbraio 2015, n. 2612, definisce le operazioni in argomento come «operazioni obiettivamente suscettibili di ragionevole sospetto».

Ernesto-Marco Bagarotto 5

o indirettamente l’impresa residente, ne fosse controllata o fosse controllata dalla stessa società che controlla l’impresa residente).

L’art. 1, comma 1, L. 21 novembre 2000, n. 342, tuttavia, ha eliminato il requisito dell’appartenenza ad un medesimo “gruppo” e, contestualmente, negato l’applicabilità dell’istituto alle operazioni intercorse con soggetti non residenti cui risulti applicabile la disciplina in materia di controlled foreign companies.

Tale modifica consentiva di argomentare che la ratio dell’istituto fosse anti-evasiva

2: più precisamente, come si illustrerà nel prosieguo, sembra che il legislatore – attraverso una previsione strutturata alla stregua di una pre-sunzione legale – ipotizzasse che l’operazione conclusa fosse fittizia e che, pertanto, il relativo costo dovesse essere indeducibile

3. Una seconda modifica è quella apportata dall’art. 1, comma 301, L. 27

dicembre 2006, n. 296, con cui è stata eliminata la previsione in base alla quale la deduzione dei costi black list fosse «comunque subordinata alla se-parata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari de-dotti»

4.

2 Nella vigenza della limitazione ai soli rapporti all’interno di un “gruppo” si poteva ipo-tizzare una certa contiguità con la disciplina in materia di transfer pricing, come segnalato da GALLO, Prime riflessioni su alcune recenti norme antielusione, in Dir. prat. trib., 1992, I, p. 1783.

3 Sulla “trasformazione” della ratio della norma in anti-evasiva v. STEVANATO, Servizi in-tragruppo resi da società a regime fiscale privilegiato ed indeducibilità dei costi, in Corr. trib., 2003, p. 699. Concorde con la natura anti-evasiva della disposizione CORDEIRO GUERRA, Pri-me osservazioni sul regime fiscale delle operazioni concluse con società domiciliate in paesi o ter-ritori a bassa fiscalità, in Riv. dir. trib., 1992, I, p. 307; ZIZZO, Regole generali sulla determina-zione del reddito d’impresa, in TESAURO (diretta da), Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, Imposta sul reddito delle persone fisiche, II, Torino, 1994, p. 583; DELLA VALLE, Costi «black list» ed interposizione del soggetto paradisiaco, in Riv. giur. trib., 2011, p. 441.

4 Tale previsione aveva sollevato serie critiche, considerato che la mancata effettuazio-ne di un adempimento formale comportava la irrilevanza fiscale di un componente reddi-tuale, anche una volta dimostrata in modo incontrovertibile la sussistenza di tutte le condi-zioni sostanziali previste per la sua deduzione. Ed invero, l’Amministrazione finanziaria negava la possibilità di emendare la dichiarazione ai sensi dell’art. 2, D.P.R. n. 322/1998 (v. Risoluzione n. 12/E/2006 e Circolare 16 febbraio 2007, n. 11/E). Il tema è stato og-getto di un rilevante sviluppo giurisprudenziale, che ha qualificato l’omessa separata indi-cazione, in alcuni casi come violazione formale, emendabile in base al citato art. 2 (v., per esempio, Cass., 29 dicembre 2010, n. 26298; CTR Veneto, 5 ottobre 2011, n. 97/14/11); in altri casi come violazione non emendabile, a fortiori dopo la contestazione da parte del-l’Amministrazione finanziaria (v., per esempio, Cass., 4 aprile 2012, n. 5398; 12 marzo 2014, n. 5670; CTR Lombardia, 15 luglio 2009, n. 86). L’Agenzia delle Entrate, con la suc-cessiva Circolare n. 46/E/2009, anche a seguito della modifica normativa citata nel testo,

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 6

A fronte di tale modifica, il legislatore – con l’inserimento del comma 3 bis nell’art. 8, D.Lgs. n. 471/1997 – ha introdotto una apposita sanzione per la violazione consistente nell’omissione o incompletezza dell’indicazione delle spese e degli altri componenti negativi di cui all’art. 110, comma 11, TUIR, «pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componen-ti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di eu-ro 500 ed un massimo di euro 50.000»

5. Orbene, il decreto sull’internazionalizzazione – prima della definitiva

abrogazione dell’istituto ad opera della legge di stabilità 2016 – aveva pro-fondamente modificato la norma in esame per quel che riguarda: da un lato, il meccanismo di funzionamento, con il passaggio dalla indeducibilità alla valutazione a valore normale; e, dall’altro lato, il regime delle esimenti, con l’eliminazione della possibilità di ottenere la disapplicazione dell’istituto di-mostrando che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività com-merciale effettiva.

2. L’ambito di applicazione e la ratio dell’istituto

La normativa in esame aveva un ambito di applicazione ampio, rimasto im-mutato per effetto del decreto sull’internazionalizzazione: sotto il profilo sog-gettivo, il legislatore richiamava le operazioni intercorse tra «imprese resi-denti in Italia» ed «imprese residenti» in Paesi black list o – a seguito del-l’avvenuto inserimento del comma 12 bis – «professionisti» domiciliati in Paesi black list.

L’unica incertezza che permaneva a proposito dell’ampiezza del concetto di «imprese residenti in Italia» (non essendovi dubbi in ordine alla necessi-tà di comprendere in tale novero i soggetti, individuali e collettivi, titolari di reddito d’impresa) si poneva con riguardo alle stabili organizzazioni italiane di soggetti esteri. ha ritenuto possibile sottrarsi alla sanzione in misura proporzionale in caso di presentazio-ne di dichiarazione integrativa anteriormente all’avvio di controlli. Sul tema, per tutti, v. IAIA, La deducibilità dei costi “black list” non indicati separatamente nella dichiarazione dei redditi, in questa Rivista, 2015, p. 1038.

5 Non può peraltro sottacersi che il modificato assetto sanzionatorio aveva condotto ad una soluzione scarsamente ragionevole sotto un diverso profilo, considerato che, pur non sembrando possibile contestare la congruità della percentuale della sanzione, la presenza di un tetto massimo, non particolarmente elevato, risultava poco dissuasivo per quel che riguarda i costi di rilevante entità, cioè per i comportamenti maggiormente rischiosi per l’Erario.

Ernesto-Marco Bagarotto 7

Ed invero, a rigore, non si tratta di «imprese residenti in Italia», bensì di soggetti residenti all’estero che svolgono un’attività d’impresa in Italia me-diante – per l’appunto – una stabile organizzazione

6. Ciononostante, secondo una certa ricostruzione, sostenuta dall’Ammini-

strazione finanziaria, anche le stabili organizzazioni dovevano considerarsi assoggettate a tale disciplina, in quanto si tratterebbe comunque di entità che esercitano «professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi» e perché, in caso con-trario, si determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento

7. A ben vedere, in realtà, sembra che l’applicabilità della normativa in esa-

me anche alle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti potes-se essere argomentata in modo maggiormente lineare valorizzando la previ-sione, contenuta nell’art. 152 TUIR, secondo cui il reddito della stabile or-ganizzazione viene determinato in applicazione delle disposizioni di cui alla Sezione I del Capo II del Titolo II, tra cui rientra altresì l’art. 110

8. Anche sotto il profilo oggettivo la norma aveva un ambito applicativo

particolarmente ampio, rimasto invariato nel tempo, essendo diretta alle «spese» ed agli «altri componenti negativi» derivanti dalle operazioni con-cluse con soggetti black list.

Ciò significa che erano assoggettati al particolare regime di cui si tratta, non solo i costi sostenuti per l’acquisto di merci o servizi, ma tutti i componenti negativi contraddistinti da un nesso di causalità con operazioni concluse con soggetti black list

9, quali le minusvalenze derivanti da cessioni di beni strumen-tali a soggetti black list; le perdite su crediti verso soggetti black list, ecc.

10.

6 Tant’è che in talune disposizioni del TUIR il legislatore si riferisce ai soggetti residen-ti ed alle stabili organizzazioni, confermando così – per quanto necessario – che le stabili organizzazioni non possano essere sussunte nella categoria dei soggetti residenti: si veda, per esempio, l’art. 23 TUIR, in cui ci si riferisce ai «redditi di capitale corrisposti dallo Sta-to, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti» (similmente si veda l’art. 15).

7 Così si esprime la Circolare 19 gennaio 2007, n. 1/E. 8 Propende per l’interpretazione estensiva dell’ambito oggettivo di applicazione della

norma anche CORASANITI, I costi da operazioni con imprese e professionisti “black list”, in Corr. trib., 2008, p. 3588. Sul punto, tuttavia, CORDEIRO GUERRA, Prime osservazioni sul re-gime fiscale, cit., pp. 286-292 argomenta la non applicabilità della norma ai rapporti tra la stabile organizzazione e la “casa madre”.

9 In tal senso sembrano orientati CORDEIRO GUERRA, Prime osservazioni sul regime fisca-le, cit., p. 283; e ZIZZO, Regole generali, cit., p. 587.

10 Per un’applicazione forzata della norma alle ipotesi di mandato v. la Risoluzione n. 12/E/2005.

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Per quel che riguarda l’individuazione dei Paesi black list, il legislatore ha seguito la tradizionale tecnica normativa del rinvio ad un’apposita lista: va sottolineato, però, come i criteri di inclusione nella lista siano variati nel tem-po, fermo restando che viene esclusa la possibilità di applicare la norma in esame ad operazioni concluse con soggetti residenti in altri Paesi dell’Unio-ne Europea.

Originariamente erano considerati black list i Paesi che escludevano i redditi da imposizione o che li sottoponevano ad imposizione in misura in-feriore alla metà di quella complessivamente applicata in Italia sui redditi del-la stessa natura.

Dopodiché, per effetto delle modifiche apportate dalla L. n. 342/2000, il legislatore ha fatto riferimento a criteri alternativi e, segnatamente, al «livel-lo di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia» o alla «mancanza di un adeguato scambio di informazioni» o «altri criteri equi-valenti».

La norma, sotto questo profilo, risultava solo parzialmente ragionevole e coerente con la ratio dell’istituto.

Ed invero – ferme restando le critiche in ordine all’eccessiva rigidità della originaria previsione di integrale indeducibilità del costo, su cui si tornerà infra – se, nell’ottica di cautela seguita dal legislatore fiscale, potrebbe giudi-carsi ragionevole inasprire sotto il profilo probatorio il regime dei costi sca-turenti da rapporti intercorsi con Paesi “opachi” (posto che non può esclu-dersi che l’operazione sia simulata o inesistente, o celi, in realtà, qualcosa di diverso o, ancora, che, dietro al cedente/prestatore si nasconda lo stesso imprenditore residente), non si comprende per quale ragione al medesimo trattamento dovrebbe soggiacere un rapporto intercorso con un soggetto u-bicato in un Paese che, pur accordando un regime fiscale favorevole, sia pie-namente collaborativo e, pertanto, consenta al Fisco italiano di conoscere la sostanza delle operazioni concluse.

Vero è che la natura privilegiata del regime fiscale del Paese estero è un fattore necessario per porre in essere manovre evasive che facciano leva sul-l’addebito di costi da parte dell’impresa estera a carico dell’impresa italiana; ma è altrettanto vero che nel caso in cui il Paese estero sia collaborativo l’Am-ministrazione finanziaria dovrebbe avere a disposizione gli strumenti per ope-rare le opportune verifiche, senza necessità di gravare l’impresa italiana di oneri probatori “rinforzati”.

Tant’è che, nell’ambito del (mai realizzato) passaggio alle white list di cui all’art. 168 bis TUIR – inizialmente previsto dall’art. 1, comma 83, lett. n),

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L. 24 dicembre 2007, n. 244 – al fine di non soggiacere alla disposizione in argomento era stabilito che fosse sufficiente essere residente in un Paese che consentisse un adeguato scambio di informazioni

11. In linea con questa previsione, nelle more dell’attuazione dell’art. 168 bis

TUIR, l’art. 1, comma 678, L. 23 dicembre 2014, n. 190, ha stabilito che, ai fini dell’applicazione della disposizione in esame «l’individuazione dei regi-mi fiscali privilegiati è effettuata, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, con esclusivo riferimento alla mancanza di un adeguato scam-bio di informazioni»

12. Tale assetto doveva essere quello definitivo, considerato che il decreto

sull’internazionalizzazione ha abrogato l’art. 168 bis TUIR (prima ancora che esso venisse attuato) e consolidato il riferimento ad una black list contenen-te l’elenco di Paesi individuati «in ragione della mancanza di un adeguato scambio di informazioni».

Sembra perciò confermarsi che la ratio giustificatrice della norma andas-se ricercata nell’impossibilità, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di avere informazioni sul soggetto non residente e sull’attività da questi esercita-ta; nonché, conseguentemente, in via indiretta, sull’operazione concretamen-te conclusa dal contribuente; e proprio in considerazione di tale difficoltà, sembra che il legislatore avesse introdotto una presunzione legale relativa di “evasività” delle operazioni in argomento

13.

11 Tant’è che CORASANITI, op. cit., p. 3588, evidenzia che «l’interesse della norma è quello di consentire all’Amministrazione finanziaria di verificare l’effettività delle operazioni in-tercorse con le imprese o i professionisti localizzati nei paradisi fiscali, piuttosto che il livel-lo di imposizione degli utili realizzati in connessione con l’operazione, utili che semmai, lad-dove percepiti da un soggetto collegato sconteranno la disciplina degli artt. 167 o 168 del T.U.I.R.».

12 E con il D.M. 27 aprile 2015 il Ministero delle Finanze ha attuato il citato comma 678, modificando il precedente D.M. 23 gennaio 2002 ed includendo nel primo articolo del-la black list solamente i seguenti Paesi, in quanto “non collaborativi”: Andorra, Bahamas, Barbados, Barbuda, Brunei, Gibuti (ex Afar e Issas), Grenada, Guatemala, Isole Cook, Iso-le Marshall, Isole Vergini statunitensi, Kiribati (ex Isole Gilbert), Libano, Liberia, Liech-tenstein, Macao, Maldive, Nauru, Niue, Nuova Caledonia, Oman, Polinesia francese, Saint Kitts e Nevis, Salomone, Samoa, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Sant’Elena, Sark (Isole del Canale), Seychelles, Tonga, Tuvalu (ex Isole Ellice), Vanuatu.

13 Sulla circostanza che la norma fosse strutturata alla stregua di una presunzione legale relativa, giustificata dalla difficoltà dell’Amministrazione finanziaria di dimostrare la non ve-ridicità delle operazioni in esame, v. GALLO, op. cit., p. 1982; ZIZZO, Regole generali, cit., p. 588; BEGHIN, L’interpretazione adeguatrice naufraga nelle perigliose acque del paradiso fiscale, in Riv. dir. trib., 2011, p. 218; BORIA, Il sistema tributario, Torino, 2008, p. 505.

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Tali considerazioni consentono di tornare su un tema centrale della di-sciplina in esame, vale a dire la sua logica di fondo.

Ora, la norma previgente alle modifiche apportate dal decreto sull’inter-nazionalizzazione risultava particolarmente rigida e sovente non ragione-volmente giustificabile.

In particolare, posto che come conseguenza del mancato soddisfacimen-to degli oneri probatori ivi regolati veniva stabilita la indeducibilità del costo black list, la norma doveva muovere dal presupposto che detto costo fosse totalmente inesistente

14 sotto il profilo oggettivo 15.

La norma, però, era idonea a colpire anche casi in cui il costo era – quan-tomeno in parte – pacificamente esistente: si pensi, per esempio, a tutti gli acquisti di merci che transitano per il sistema doganale e che sono successi-vamente cedute dall’impresa italiana (o conservate nel suo magazzino).

In tali ipotesi, semmai, il legislatore poteva mirare a colpire fattispecie in cui il soggetto estero che addebita i costi risultasse formalmente “terzo” (nel senso di non legato da rapporti di controllo) rispetto all’impresa italiana ed in cui, attraverso l’alterazione dei prezzi pattuiti ed un rapporto partecipati-vo “opaco”, il contribuente italiano ottenesse un effetto erosivo dell’imponi-bile nazionale (non colpito dalle normative in materia di transfer pricing e di controlled foreign companies, per effetto dell’occultamento della partecipazio-ne detenuta).

Ebbene, in simili casi la conseguenza della integrale indeducibilità del costo era del tutto irragionevole e non proporzionata alla gravità della con-dotta del contribuente, considerato che si rischiava di decretare la indedu-cibilità di un costo pacificamente sostenuto, alla luce di un “rischio di eva-sione” di entità inevitabilmente inferiore rispetto al costo stesso.

Considerando il problema da un’altra prospettiva, la norma in esame po-teva essere considerata come regolatrice di una presunzione di inesistenza di un costo, basata su un fatto noto (la circostanza che il fornitore fosse loca-

14 Sul fatto che il legislatore intendesse scongiurare la deduzione di costi a fronte di operazioni fittizie v. GALLO, op. cit., p. 1783; ZIZZO, Regole generali, cit., p. 583; STEVANA-TO, op. cit., p. 702; BORIA, op. cit., p. 504; DÈ CAPITANI DI VIMERCATE, L’indeducibilità dei costi sostenuti nei confronti di imprese o professionisti residenti in paradisi fiscali, in AA.VV., Diritto tributario internazionale, Padova, 2012, p. 354.

15 Nel testo ci si è riferiti alle ipotesi di inesistenza oggettiva, considerato che il nostro ordinamento non nega la deducibilità dei costi documentati da fatture soggettivamente inesistenti. Talché, la norma non doveva ritenersi diretta a contrastare ipotesi in cui il for-nitore estero fosse fittiziamente interposto, posto che in simili casi doveva rimanere ferma la potenziale deducibilità del costo, in quanto effettivamente sostenuto.

Ernesto-Marco Bagarotto 11

lizzato in un Paese black list) che, però, non era collegato al fatto ignoto (la fittizietà dell’operazione) sulla base dell’id quod plerumque accidit. Ma nelle presunzioni legali il nesso di probabilità che deve sussistere tra il fatto noto ed il fatto ignoto presunto dovrebbe essere apprezzabile alla stregua dell’id quod plerumque accidit; dovrebbe, cioè, essere verosimile sulla base di una valutazione fondata su elementi quali il comportamento abitualmente tenu-to dai contribuenti, gli intenti da questi usualmente perseguiti, la logica eco-nomica in generale, ecc., pena l’illegittimità costituzionale della norma

16. Appare perciò radicalmente migliorativa e ragionevole la soluzione indi-

viduata nel decreto sull’internazionalizzazione, che aveva sostituito la previ-sione di indeducibilità del costo con quella di sua valutazione al valore nor-male

17. Il riferimento al valore normale, infatti, consentiva di attuare una risposta

maggiormente proporzionata rispetto al comportamento tenuto dal contri-buente, posto che: in caso di accertata fittizietà dell’operazione, il costo black list avrebbe proseguito ad essere integralmente indeducibile; in caso di esi-stenza del costo (ma di artificioso gonfiamento del prezzo, magari finalizzato a trasferire materia imponibile all’estero verso una società solo formalmente terza) avrebbe consentito di rapportare la contestazione alla adeguata entità il costo da dedurre

18. Si passava così da una presunzione di inesistenza del costo ad una sorta

di presunzione di non indipendenza (giustificata dalla impossibilità di opera-re verifiche efficaci sul punto da parte dell’Amministrazione finanziaria, stante la natura non collaborativa del Paese estero) – e, conseguentemente, di ne-

16 In argomento, per tutti, v. MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva, Padova, 1973, in part. p. 284 ss.

17 Va notato che il testo definitivo del decreto sull’internazionalizzazione fa riferimento al valore normale di cui all’art. 9 TUIR: non è stata accolta, dunque, l’osservazione formulata nell’ambito del parere della VI Commissione finanza della Camera, con cui veniva chiesto di specificare – anche ai fini della più ampia tematica del transfer pricing – che il valore normale dovesse essere determinato in base ai criteri OCSE. Nella Relazione illustrativa tale scelta è stata giustificata in quanto il tema sarebbe già “regolato” dalle linee guida dell’OCSE. Parimenti, non è stata accolta la proposta di precisare che i costi si ritengono sostenuti al valore normale, salvo prova contraria. Su quest’ultimo punto, la Relazione illustrativa ha evidenziato che «trattandosi di operazioni poste in essere con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati non appare opportuno preve-dere l’inversione dell’onere della prova al fine della deduzione dei costi al valore normale».

18 La possibilità di passare da un giudizio di indeducibilità ad un giudizio di congruità, pe-raltro, era già stata ipotizzata da STEVANATO, op. cit., p. 700 e DELLA VALLE, op. cit., p. 441.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 12

cessaria valutazione al valore normale – del rapporto da cui scaturiscono le spese sostenute presso soggetti localizzati in Paesi black list

19. Il legislatore, dunque, aveva in sostanza esteso a tutti i rapporti con sog-

getti ubicati in Paesi black list (nel senso di non collaborativi) la normativa in materia di transfer pricing, a prescindere dalla verifica della sussistenza di un rapporto di controllo tra i due soggetti (sussistenza che, nell’ottica della nor-ma, non poteva essere verificata da parte dell’Amministrazione finanziaria, in considerazione della circostanza che il Paese estero non è collaborativo)

20.

3. Le esimenti

Anteriormente alle modifiche apportate dal decreto sull’internazionaliz-zazione ed a seguito delle modifiche apportate dall’art. 9, comma 16, L. n. 448/2001, al fine di disapplicare la normativa in argomento era richiesta la dimostrazione che l’impresa estera svolgesse «prevalentemente un’attività commerciale effettiva» ovvero che le operazioni poste in essere rispondes-sero «ad un effettivo interesse economico» e che le stesse avessero avuto «concreta esecuzione».

Si trattava di un ritorno alla formulazione originaria del testo normativo, che, per effetto dell’art. 1, comma 1, L. n. 342/2000, era stato precedente-mente modificato richiedendo la prova che l’impresa estera svolgesse «principalmente un’attività industriale o commerciale effettiva nel mercato del Paese nel quale hanno sede».

19 A questo punto ci si potrebbe domandare perché non sia stata prevista la valutazione a valore normale anche dei ricavi conseguiti da operazioni concluse con soggetti black list, posto che le imprese italiane potrebbero ottenere effetti erosivi dell’imponibile interponen-do un soggetto black list nell’ambito delle proprie operazioni attive: la risposta potrebbe risiedere, da un lato, nella maggiore limitatezza delle ipotesi idonee a consentire di ottene-re i citati effetti erosivi mediante operazioni attive e, dall’altro lato, nella maggiore sempli-cità, in un’ottica accertativa, di valutare le operazioni attive sotto il profilo della congruità ed economicità.

20 Va però rimarcato come il comma 10, nella versione frutto delle modifiche del decre-to sull’internazionalizzazione, prevedesse che, in caso di omessa dimostrazione dell’esi-mente, il valore normale fosse il limite massimo di deduzione del costo sostenuto dall’im-presa italiana; diversamente, nell’ambito della normativa in materia di transfer pricing è possibile che il costo venga dedotto in misura superiore a quella effettiva, sia pure «soltan-to in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri a segui-to delle speciali “procedure amichevoli” previste dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi».

Ernesto-Marco Bagarotto 13

La differenza è di particolare rilevanza: e ciò non solo perché si è passati dalla formula «attività industriale o commerciale effettiva» a quella, ben più coerente in un’ottica sistematica, «attività commerciale effettiva»

21. L’altra rilevante modifica era l’eliminazione del riferimento al “mercato”

del Paese nel quale l’impresa estera ha sede, riferimento oggi presente, inve-ce, nella prima esimente regolata dall’art. 167 TUIR in materia di controlled foreign companies.

Ed invero, un conto è essere residenti in un Paese black list e svolgere un’attività commerciale effettiva; altro conto è essere residenti in un Paese black list e svolgere un’attività commerciale effettiva in quello stesso Paese.

Ora, come visto, il timore principale che sembrava postulato dal legisla-tore dell’art. 110, commi 10 ss., era che l’operazione conclusa fosse fittizia. La circostanza che il soggetto estero non fosse una “scatola vuota”, ma eser-citasse effettivamente un’attività imprenditoriale, veniva verosimilmente considerata – sia pure in termini indiretti – come indicatore dell’esistenza del-l’operazione conclusa

22. La circostanza che tale attività imprenditoriale fosse svolta nel mercato del

Paese nel quale ha sede, invece, poteva tutt’al più rilevare rispetto alla bontà della situazione dichiarata dalla Società estera (rispetto al Fisco del Paese di residenza che potrebbe essere l’Italia o un qualsiasi Paese terzo), ma non era idonea ad incidere sulla posizione dell’impresa italiana

23. Era perciò del tutto ragionevole l’avvenuta eliminazione del riferimento

21 Ed invero, nell’ambito dell’imposizione diretta, ai sensi dell’art. 55 TUIR, per «atti-vità commerciale» si intende qualsiasi attività idonea a generare redditi d’impresa (attività tra le quali rientrano pacificamente anche le attività “industriali”). L’eliminazione dell’inci-so riferito all’attività industriale, dunque, aveva definitivamente confermato che le attività che potevano essere svolte dal soggetto estero erano quelle idonee a generare redditi d’im-presa (come rilevato, per tutti, da CORDEIRO GUERRA, Prime osservazioni sul regime fiscale, cit., p. 303). Era rimasto fermo, invece, il riferimento all’effettività dell’attività svolta, che, coerentemente con la finalità di fondo dell’istituto, richiedeva che venisse operato un ri-scontro di tipo sostanziale e non meramente formale (statutario) sul soggetto estero (ZIZ-ZO, Regole generali, cit., p. 588) consentendo così alla norma di colpire fattispecie in cui il soggetto estero (non svolgendo concretamente attività commerciali) non era tecnicamen-te in grado di svolgere l’attività sottesa all’addebito della spesa a carico del contribuente italiano.

22 Come rileva STEVANATO, op. cit., p. 699, si trattava di dimostrare la “credibilità” del proprio fornitore.

23 Ed invero, come rilevato da DELLA VALLE, op. cit., p. 441, la normativa in esame era idonea a colpire anche situazioni in cui le finalità evasive sono perseguite dal cedente/pre-statore.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 14

al mercato del Paese della sede del fornitore estero 24.

Le due esimenti erano pacificamente alternative tra loro: un dubbio riguar-dava la formulazione del testo, nella parte in cui – dal punto di vista squisita-mente letterale – sembrava riferire l’onere di provare che le operazioni avesse-ro avuto «concreta esecuzione» solamente al caso in cui si intendesse dimo-strare che le stesse rispondessero ad un effettivo interesse economico (e non anche al caso in cui ci si soffermasse sull’attività svolta dall’impresa estera)

25. A prima vista, sembrerebbe che la «concreta esecuzione» dell’operazio-

ne coincida con la esistenza oggettiva dell’operazione: la norma, cioè, si sa-rebbe limitata ad agire sul piano probatorio, precisando che incombeva sul contribuente l’onere di dimostrare la non fittizietà del costo sostenuto

26. Il tema aveva assunto un particolare rilievo, posto che per effetto delle mo-

difiche apportate dal decreto sull’internazionalizzazione, il previgente asset-

24 Con Risoluzione n. 100/2009, l’Agenzia delle Entrate aveva peraltro sostenuto che «l’impresa estera in tanto potrà considerarsi effettivamente localizzata in territorio a fiscalità privilegiata in quanto abbia stabilito con quel territorio rapporti di tipo economico, politico, geografico o strategico. In altri termini, è necessario che detta impresa risulti effettivamente radicata nel territorio estero di localizzazione, in modo da partecipare in maniera stabile e continuativa alla vita economica di quest’ultimo». La successiva Circolare n. 51/E/2010, tuttavia, è tornata sull’argomento, dando atto che «l’espresso riferimento “al mercato dello stato o territorio di insediamento”, ora presente nell’ambito della prima esimente prevista per la disapplicazione della CFC rule, assente invece nell’analoga esimente di cui all’art. 110, comma 11, TUIR, va ritenuto un chiaro indizio della volontà del legislatore di diffe-renziare le modalità di disapplicazione delle due discipline in commento, posto che quella in materia di deducibilità di costi black list riguarda anche imprese residenti che non hanno alcun legame partecipativo con il fornitore estero. È da ritenere, pertanto, che il c.d. radi-camento previsto ai fini CFC non costituisce un elemento dirimente ai fini della disappli-cazione delle disposizioni in materia di deducibilità di costi black list, che, in linea di prin-cipio, va riconosciuta a seguito della dimostrazione dello svolgimento da parte del fornito-re estero di un’effettiva attività commerciale mediante un’idonea struttura in loco. La sussi-stenza del radicamento, pur non essendo determinante ai fini del riconoscimento della di-sapplicazione della disciplina in commento, costituisce tuttavia un elemento senz’altro uti-le a dimostrare l’esimente stessa».

25 Come peraltro sembra confermare ZIZZO, Regole generali, cit., p. 588. 26 In questi termini sembra orientata anche l’Amministrazione finanziaria: sul punto si

veda, per esempio, la Risoluzione n. 127/E/2003, secondo cui sull’impresa italiana incom-beva «l’onere di dimostrare che le operazioni in discorso siano state realmente effettuate, attraverso l’esibizione della relativa documentazione. La effettività dell’operazione può essere dimostrata esibendo la documentazione doganale di importazione ed ogni altro ele-mento di prova documentale imposto dalla normativa o dalla prassi di settore (ad esem-pio: contratto di fornitura ovvero ordine di acquisto; fattura del fornitore; eventuale auto-fattura della società residente per l’estrazione della merce dal deposito IVA; documenta-zione attestante il pagamento del bene acquistato)».

Ernesto-Marco Bagarotto 15

to normativo era stato modificato e prevedeva, da un lato, che i costi black list fossero deducibili nella misura del loro valore normale a condizione che le operazioni da cui scaturivano avessero avuto effettiva esecuzione

27; e, dal-l’altro lato, la possibilità di disapplicare tale previsione a condizione che l’impresa residente dimostrasse che le operazioni poste in essere rispondes-sero – per l’appunto – ad un effettivo interesse economico.

Nell’assetto normativo derivante dalle modifiche apportate dal decreto sull’internazionalizzazione, l’effettiva esecuzione delle operazioni era, quin-di, un pre-requisito necessario per poter dedurre i costi black list, sia pure nel limite del loro valore normale. E la disapplicazione del limite massimo rap-presentato dal valore normale poteva essere ottenuta dimostrando la sussi-stenza dell’“effettivo interesse economico”.

A quest’ultimo proposito, va rilevato che con la locuzione “effettivo inte-resse economico” il legislatore, ben lungi dal voler attribuire un indiscrimi-nato sindacato sull’opportunità aziendale della scelta conclusa dall’impren-ditore, sembrava richiedere che il contribuente dimostrasse, non solo la sus-sistenza dei requisiti ordinariamente richiesti affinché un costo sia deducibi-le, ma anche la ragionevolezza, in termini economico-aziendali, della scelta di sostenere quello specifico costo rivolgendosi al cedente/prestatore estero. Si trattava, cioè, di una giustificazione ulteriore del costo, non solo di tipo oggettivo (cioè sull’astratta utilità del sostenimento dello stesso e sulla sua riferibilità all’attività imprenditoriale, come tipicamente accade per l’ineren-za), ma anche di tipo soggettivo (poiché riferita alla scelta di rivolgersi a quel determinato fornitore o, quantomeno, ad un fornitore in quel determi-nato Paese)

28.

27 La disposizione, a seguito delle modifiche apportate dal decreto sull’internazionaliz-zazione, stabiliva infatti che «Le spese e gli altri componenti negativi derivanti da opera-zioni, che hanno avuto concreta esecuzione, intercorse con imprese residenti ovvero loca-lizzate in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati sono ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale, determinato ai sensi dell’articolo 9».

28 La non coincidenza di inerenza ed effettivo interesse economico viene rilevata da GALLO, op. cit., p. 1785 (il quale ritiene che il contribuente dovesse provare la insussistenza di un prevalente o esclusivo intento elusivo) e CORDEIRO GUERRA, Prime osservazioni sul regime fiscale, cit., p. 306. Secondo STEVANATO, op. cit., p. 700, l’effettivo interesse econo-mico costituirebbe una “specificazione” del concetto di inerenza. Diversamente, MAISTO, Il regime tributario delle operazioni intercorrenti tra imprese residenti e società estere soggette a regime fiscale privilegiato, in Riv. dir. trib., 1991, I, p. 764, sembra propendere per la piena sovrapponibilità tra i due concetti.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 16

Si trattava, dunque, di argomenti – secondo parte della dottrina 29 assimi-

labili alle valide ragioni economiche richiamate dalla previgente normativa antielusiva di cui all’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973 – relativi ai prezzi ed alle condizioni praticati; alle tipologie di prodotti e servizi acquistati, alle qualità del fornitore, ecc.

30. Ciò posto, la previsione secondo cui il contribuente dovesse in ogni caso

dimostrare la concreta esecuzione dell’operazione – soprattutto alla luce della modificata struttura della norma, che la poneva come pre-requisito di dedu-cibilità del costo – sembrava alludere alla necessità di fornire, da parte del contribuente, una “prova rinforzata” dell’esistenza del costo, tesa a dimostrare non solo l’intervenuto addebito della spesa e pagamento del corrispettivo, ma anche la conclusione dell’operazione nei termini emergenti dalla docu-mentazione contabile.

29 ZIZZO, Regole generali, cit., p. 588. 30 Sul punto, sia pure incidentalmente, si veda la sentenza della Cass., 8 maggio 2013, n.

10749, che ha ritenuto correttamente motivata una sentenza di merito che ha riconosciuto l’esimente in questione con riferimento ad un fornitore che garantiva «non solo prezzi competitivi delle merci acquistate, ma anche puntualità nelle forniture e serietà del fornitore in genere». Similmente, si veda la sentenza della CTR Milano n. 33/22/2013, in cui è stato risolto positivamente per il contribuente un caso in cui era stato documentato a campione il minor costo sostenuto all’estero. Ed ancora, si veda la Circolare n. 51/E/2010: «La valuta-zione della sussistenza o meno di tale condizione (i.e. effettivo interesse economico) va effettuata tenendo conto di tutti gli elementi e le circostanze che caratterizzano il caso concreto, attribuendo rilevanza alle condizioni complessive dell’operazione, quali ad esem-pio: il prezzo della transazione; la presenza di costi accessori, quali, ad esempio, quelli di stoccaggio, magazzino; le modalità di attuazione dell’operazione (ad esempio, i tempi di consegna); la possibilità di acquisire il medesimo prodotto presso altri fornitori; l’esistenza di vincoli organizzativi/commerciali/produttivi che inducono ad effettuare la transazione con il fornitore black list o, comunque, che renderebbero eccessivamente onerosa la mede-sima transazione con altro fornitore. Riguardo all’esistenza di vincoli contrattuali, organiz-zativi e simili, l’interesse economico all’effettuazione dell’operazione non può essere giu-stificato sulla base del mero obbligo contrattuale per il contribuente residente di avvalersi di un fornitore black list, magari appartenente al medesimo gruppo. La rilevanza di tale elemento presuppone un quid pluris da individuare nell’esistenza di oggettivi e significativi vantaggi economici che verrebbero meno qualora si acquistasse da altro fornitore (ad esem-pio, la presenza di una “centrale acquisti” a livello di gruppo presso cui si approvvigionano tutte le società consociate dislocate in diversi Paesi). Con particolare riferimento al prezzo praticato dal fornitore black list, si ritiene – alla luce delle considerazioni formulate – che la deducibilità dei costi in esame non possa essere disconosciuta sulla base della mera circo-stanza che il prezzo dei beni e servizi acquistati è superiore a quello mediamente praticato sul mercato. In altri termini, un prezzo apparentemente anomalo può essere giustificato dalla valutazione delle altre condizioni che regolano la transazione e, quindi, non pregiudi-care la sussistenza dell’effettivo interesse economico all’operazione».

Ernesto-Marco Bagarotto 17

La concretezza a cui faceva riferimento la norma sembrava, cioè, richia-mare la necessità che il contribuente fornisse la prova dell’esistenza del co-sto, non da un punto di vista meramente formale, bensì nella sua tangibilità, mediante la dimostrazione della – per l’appunto – concreta esistenza del be-ne o del servizio acquistato

31.

4. Segue: le criticità legate alle esimenti

La scarsa puntualità della norma – e, comunque, la difficoltà di affrontare i concetti trattati in termini rigidi ed analitici – conduce a quello che è sem-pre stato il vero problema applicativo dell’istituto.

Ed invero, innanzi ad una norma come quella in esame, il rischio è che la prova richiesta al contribuente si trasformi in una probatio diabolica

32. Al di là di casi limite (come quello di un bene prodotto esclusivamente in

un Paese black list o di bene ceduto da un monopolista residente in uno di det-

31 Non sembra, invece, che la concreta esecuzione dell’operazione coincida con la sua esi-stenza dal punto di vista soggettivo, considerato che, per effetto dell’art. 8, D.L. n. 16/2012, è stata riconosciuta la potenziale deducibilità dei costi derivanti da operazioni soggettiva-mente inesistenti [in argomento v. GIOVANNINI, Imprese criminali e costi di reato: per il ri-spetto della costituzione, in Dir. prat. trib., 2014, p. 10431; FRANSONI, Indeducibilità dei costi da reato ed eterogenesi dei fini, in Rass. trib., 2012, p. 1427; CARINCI, La nuova disciplina dei costi da reato: dal superamento del doppio binario alla dipendenza rovesciata (con diversi dub-bi e numerose incongruenze), in Rass. trib., 2012, p. 1459; nonché BAGAROTTO, L’applicazio-ne della novellata disciplina in materia di «costi da reato» agli effetti reddituali degli acquisti conclusi nell’ambito delle c.d. frodi carosello, in Riv. trim. dir. trib., 2013, p. 267].

32 Anche la abrogata esimente riferita allo svolgimento di un’effettiva attività commer-ciale da parte dell’impresa estera era particolarmente complessa da dimostrare: basti pen-sare che, secondo l’impostazione dell’Agenzia delle Entrate, a tal fine sarebbe stato neces-sario produrre i seguenti documenti, relativi al soggetto estero: bilancio; certificazione del bilancio; prospetto descrittivo dell’attività esercitata; contratti di locazione degli immobili adibiti a sede degli uffici e dell’attività; copia delle fatture delle utenze elettriche e telefoni-che relative agli uffici e agli altri immobili utilizzati; contratti di lavoro dei dipendenti che indicano il luogo di prestazione dell’attività lavorativa e le mansioni svolte; conti correnti bancari aperti pressi istituti locali; estratti conto bancari che diano evidenza delle movimen-tazioni finanziarie relative alle attività esercitate; copia dei contratti di assicurazione relati-vi ai dipendenti e agli uffici; autorizzazioni sanitarie e amministrative relative all’attività e all’uso dei locali (così la Circolare n. 1/E/2009, che sul punto rinvia alla Risoluzione n. 29/E/2003 in materia di controlled foreign companies). Simile richiesta può essere astratta-mente comprensibile qualora sia riferita ad un soggetto controllato; di contro, nei casi in cui il soggetto estero non sia controllato appare davvero arduo ottenere simile documentazione (ammesso che sia disponibile), posto che in essa vi sono informazioni riservate e che potreb-bero pregiudicare la posizione del fornitore nell’ambito dei suoi rapporti commerciali.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 18

ti Paesi) poteva essere tecnicamente difficile, se non impossibile, dimostrare che il prezzo praticato (in quel determinato momento) dal fornitore black list fosse il migliore. O che la qualità dei suoi prodotti fosse maggiore, ecc.

Sotto questo profilo, pertanto, la norma era caratterizzata da un’estrema incertezza per quel che riguarda la posizione del contribuente innanzi alla in-determinatezza (e potenziale vastità) della prova da fornire ed ai parametri a-dottabili per la sua valutazione.

Tale incertezza, peraltro, non era venuta meno – anzi, era destinata ad aumentare – a seguito delle modifiche apportate dal decreto sull’internazio-nalizzazione, che, sul punto, come detto, aveva eliminato l’esimente riferita all’attività svolta dall’impresa estera, limitando la prova contraria alla dimo-strazione dell’“effettivo interesse economico” e della “concreta esecuzione” dell’operazione.

L’eliminazione della prima esimente pareva rispondere alla volontà di rendere maggiormente rigoroso l’istituto in esame: come visto in precedenza, infatti, la possibilità di ottenere la deduzione dei costi black list dimostrando la “operatività” del soggetto non residente sembrava derivare dalla volontà di riconoscere per via indiretta, a prescindere dall’analisi dello specifico co-sto, la “credibilità” dei componenti reddituali derivanti da operazioni con-cluse con controparti operative, non consistenti in società “fantasma”.

Di contro, con l’eliminazione di tale esimente veniva sistematicamente imposto al contribuente l’onere di fornire una prova direttamente e concre-tamente riferita alla specifica operazione da cui il costo era originato.

5. La sovrapposizione con gli altri istituti

Astrattamente, l’indeducibilità dei costi black list poteva sovrapporsi con altri istituti e, in particolare, con la normativa in materia di transfer pricing e di controlled foreign companies

33. Ora, il rapporto con il transfer pricing – a seguito del passaggio dal sistema

di indeducibilità a quello di valutazione al valore normale 34 – non presenta-

33 Ed invero, se si ipotizza l’acquisto, concluso da una società residente in Italia presso una controllata residente in un Paese black list, potevano trovare applicazione tutti tre gli istituti.

34 Precedentemente alla modifica in argomento, una volta superato lo “scoglio” rappre-sentato dalla potenziale indeducibilità del costo, restava comunque da verificare la sua compatibilità dei prezzi praticati (tra soggetti legati da rapporti di controllo) con il valore

Ernesto-Marco Bagarotto 19

va particolari criticità, nel senso che, in linea di massima, per gli acquisti “in-tragruppo” da Paesi black list l’impresa italiana poteva dedurre i relativi costi nei limiti del valore normale

35. Il rapporto con la normativa in materia di imprese estere controllate, in-

vece, era stato risolto dal legislatore, stabilendo che l’istituto dell’indeduci-bilità dei costi black list non trovasse applicazione con riferimento alle ope-razioni intercorse con soggetti non residenti cui risultava applicabile l’art. 167 TUIR (e, in precedenza, l’art. 168, abrogato dal decreto sull’internazio-nalizzazione)

36. Tale scelta sembrava prendere le mosse dall’argomentazione che, qualo-

ra trovi applicazione la normativa in materia di controlled foreign companies, i costi sostenuti dal soggetto italiano corrispondono a speculari ricavi conse-guiti dal soggetto non residente, i quali si dovrebbero trasformare in maggiori redditi imputati per trasparenza a favore del controllante residente in Italia.

E sarebbe palesemente irragionevole – e contrario al divieto di doppia imposizione – negare la deduzione di un costo che si trasforma (in capo alla società estera) in un ricavo che concorre a formare un reddito destinato ad essere tassato per trasparenza in Italia.

Tale schema, per quanto potenzialmente corretto, scontava tuttavia un paio di obiezioni. normale: in tal senso v. anche GARBARINO, Manuale di tassazione internazionale, Milano, 2008, p. 1619, nonché la Circolare, 30 gennaio 2002, n. 9/E.

35 Come visto, però, le due disposizioni non coincidono pienamente, considerato che nella normativa in materia di transfer pricing è possibile che il costo venga dedotto in misu-ra superiore a quella effettiva in esecuzione degli accordi conclusi a seguito delle “procedu-re amichevoli” previste dalle Convenzioni. Di converso, il comma 10 – nella versione frut-to delle modifiche apportate dal decreto sull’internazionalizzazione – stabiliva che, in caso di omessa dimostrazione dell’esimente, il valore normale fosse il limite massimo di dedu-zione del costo sostenuto. Non può tuttavia sottacersi che la possibilità che si verificasse il caso di un costo black list a cui si rendesse applicabile anche la normativa sulla diminuzio-ne di imponibile per effetto della disciplina in materia di transfer pricing fosse decisamente remota, considerato che, come si vedrà tra breve, i Paesi black list, ai fini della disciplina in esame, sono tendenzialmente non collegati al nostro Paese da una Convenzione bilaterale. Ad ogni buon conto, il problema potrebbe essere risolto in considerazione della specialità delle previsioni in materia di procedure amichevoli contenute nelle Convenzioni, rispetto alla normativa in materia di costi black list.

36 L’istituto dell’indeducibilità dei costi black list poteva trovare applicazione in capo al-la società estera partecipata, qualora questa fosse stata assoggettata al regime di cui all’art. 167 TUIR. Ed invero, in forza dell’art. 167, comma 6, TUIR, il reddito della società estera da imputare al controllante deve essere rideterminato in base all’applicazione delle dispo-sizioni in materia di reddito d’impresa.

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Da un lato, non era certo che i maggiori ricavi percepiti dalla società este-ra si trasformassero de plano in un maggior reddito, ben potendo quest’ulti-mo dato essere azzerato dalla presenza di componenti negativi di reddito (fermo restando che l’art. 167 prevede l’applicazione dei rigidi criteri di de-terminazione dell’imponibile dettati dal TUIR anche al reddito della società estera, destinato ad essere imputato per trasparenza).

Dall’altro lato, la normativa in materia di imprese estere controllate e col-legate non comporta necessariamente l’imputazione della totalità del reddi-to della società estera ad un soggetto residente in Italia, potendo verificarsi che il soggetto residente abbia una partecipazione non totalitaria.

È chiaro, però, che si tratta di incoerenze molto complesse da superare: sembra perciò che la scelta del legislatore rappresentasse una soluzione di compromesso, volta a scongiurare una, sia pure solo potenziale, macroscopi-ca doppia imposizione.

6. La indiscussa incompatibilità dell’istituto con la normativa comunitaria. I dubbi di compatibilità con le Convenzioni basate sul modello OCSE

Come già evidenziato, l’istituto in argomento non trovava applicazione per quel che riguarda i rapporti intercorrenti con soggetti comunitari, posto che un’eventuale inasprimento delle condizioni richieste per dedurre un co-sto sostenuto nell’ambito di un’operazione conclusa con un’impresa comu-nitaria (rispetto a quanto accade per quelli sostenuti presso imprese italia-ne), oltre ad essere del tutto ingiustificato, si porrebbe in contrasto con i più basilari principi comunitari.

Molto delicata, invece, risultava l’applicazione della norma con riferimento a costi sostenuti nell’ambito di rapporti con fornitori residenti in un Paese con cui l’Italia ha stipulato una Convenzione contro le doppie imposizioni. Ciò in quanto l’art. 24 del modello OCSE prevede che le somme pagate da un’impresa di uno Stato contraente ad un residente dell’altro Stato contra-ente, al fine di determinare gli utili imponibili di detta impresa, siano dedu-cibili alle stesse condizioni come se fossero stati pagati ad un residente del primo Stato contraente.

Si è in presenza di un tipico caso in cui dovrebbe potersi invocare la regola secondo cui le previsioni convenzionali prevalgono sulla normativa interna

37,

37 Sulla prevalenza della normativa convenzionale rispetto all’art. 110, commi 10 ss., TUIR v. CORDEIRO GUERRA, Prime osservazioni sul regime fiscale, cit., p. 280 ss.; ID., I costi

Ernesto-Marco Bagarotto 21

pur non potendosi tralasciare che la questione è particolarmente complessa, non solo dal punto di vista del rapporto tra le fonti

38, ma anche in conside-razione dell’orientamento sposato dal commentario OCSE, che, a prescin-dere dal contenuto delle Convenzioni, tende a fare salva l’applicazione di norme interne di contrasto alle forme di abuso del diritto

39. Senonché, diversamente da quanto accadeva in passato, il problema, al-

l’atto pratico, era venuto in gran parte meno già anteriormente all’abroga-zione della disciplina in esame ad opera della legge di stabilità 2016, consi-derato il sensibile restringimento della black list applicabile al caso di specie, in cui l’unico Paese ricompreso nell’art. 1, D.M. 23 gennaio 2002 e legato con una Convenzione bilaterale all’Italia è l’Oman. E nell’art. 24 della Con-venzione tra l’Italia e l’Oman, dedicato alla non discriminazione, è previsto che «le disposizioni dei paragrafi precedenti del presente articolo non pre-giudicano l’applicazione delle disposizioni interne per prevenire l’evasione e l’elusione fiscale. La presente disposizione comprende in ogni caso le limita-zioni della deducibilità di spese ed altri elementi negativi derivanti da tran-sazioni tra imprese di uno Stato contraente ed imprese situate nell’altro Sta-to contraente». Le Convenzioni con i Paesi inclusi negli artt. 2 e 3 del D.M. 23 gennaio 2002, invece, sono tre e, segnatamente, quelle Libano (nel cui relativo protocollo aggiuntivo è previsto che le disposizioni convenzionali «non pregiudicano il diritto degli Stati contraenti di applicare la propria le- black list secondo la Corte di Cassazione – Dalla funzione nomofilattica alla maieutica degli ac-certamenti, in Rass. trib., 2011, p. 459 ss.; GARBARINO, op. cit., pp. 1603-1604. Ad analoghe conclusioni è pervenuta la CTP Milano con la sent. 13 dicembre 2012, n. 294/5/2012, che fa leva sulla specialità delle norme convenzionali; nello stesso senso si vedano le sentenze della stessa CTP Milano, 24 luglio 2015, n. 6728/44/2015 e 26 novembre 2010, n. 338 (quest’ul-tima incidentalmente).

38 In particolare, a seguito dell’impostazione – adottata dalle note sentenze della Corte cost. n. 348 e n. 349/2007 in applicazione dell’art. 117, comma 1, Cost. – secondo cui le Convenzioni internazionali sarebbero norme interposte.

39 Tale posizione è stata sposata nella risposta ad interrogazione in Commissione finanze n. 5-05402, in http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/bollettini/pdf/2015/ 04/23/leg.17.bol0430.data20150423.com06.pdf. Su tale argomento si veda MAISTO, Norme antielusive, abuso del diritto e convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni sul reddito, in ID. (a cura di), Elusione ed abuso del diritto tributario. Orientamenti attuali in ma-teria di elusione e abuso del diritto ai fini dell’imposizione tributaria, Milano, 2009, p. 277 ss.; BALLANCIN-BIZIOLI, L’abuso del diritto tributario: profili internazionali ed europei, in SAC-CHETTO (a cura di), Principi di diritto tributario europeo e internazionale, Torino, 2011, p. 188; TARIGO, Elusione del diritto interno e, cosiddetto, “abuso del trattato”, in Riv. dir. trib., 2012, I, p. 349.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 22

gislazione fiscale interna per prevenire l’evasione e l’elusione fiscale»), Ecua-dor e Svizzera.

7. La definitiva abrogazione dell’istituto

Con la legge di stabilità 2016 [art. 1, comma 142, lett. a), L. n. 208/2015] il legislatore ha definitivamente – salvo ulteriori sorprese – abrogato l’istituto in esame, con decorrenza – in forza del successivo comma 144 – dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015.

Tale scelta, nel sostanziale silenzio dei lavori parlamentari, sembra deri-vare sia dalla volontà di semplificare ed agevolare le imprese che operano con l’estero (anche in considerazione delle ulteriori forme di controllo a di-sposizione dell’Amministrazione

40) sia dalla presa d’atto delle prospettive di scarso impatto della normativa; il tutto in considerazione, non solo della progressiva riduzione dei Paesi non collaborativi, ma anche dell’assottiglia-mento degli effetti accertativi di applicazione della norma, una volta passati dal sistema (come visto, iniquo) di indeducibilità a quello (ben più ragione-vole) di deducibilità nei limiti del valore normale

41. Da ultimo, vi è da chiedersi quali siano gli effetti temporali della definiti-

va abrogazione della normativa in esame; analogo interrogativo sorge con ri-ferimento al precedente passaggio dal sistema dell’indeducibilità al sistema della deducibilità nei limiti del valore normale.

La questione rientra nel complesso tema della retroattività delle disposi-

40 Il monitoraggio delle operazioni concluse con i Paesi black list, infatti, prosegue ad essere possibile grazie agli obblighi di comunicazione previsti dall’art. 1, comma 1, D.L. n. 40/2010, in forza del quale il contribuente è tenuto a comunicare le operazioni attive e passive (consistenti in cessioni di beni, prestazioni di servizi rese, acquisti di beni, prestazioni di servizi ricevute), siano esse imponibili, non imponibili, esenti o non soggette all’imposta sul valore aggiunto. Si tratta di un monitoraggio il cui ambito oggettivo non coincide con quello a suo tempo operato grazie all’art. 110, commi 10 ss., TUIR, ma che – unitamente alle ulteriori informazioni a disposizione – dovrebbe comunque garantire all’Amministra-zione finanziaria la possibilità di individuare posizioni di rischio ed operare opportuni con-trolli. Non può sottacersi, tuttavia, che le sanzioni previste per i casi omessa o incompleta comunicazione sono, ai sensi del comma 3 dell’art. 1, D.L. n. 40/2010, decisamente blan-de: trova, infatti, applicazione la sanzione di cui all’art. 11, D.Lgs. n. 471/1997 (da euro 250 a euro 2.000) elevata al doppio.

41 Nelle schede di lettura A.C. 3444 e A.S. n. 2111 si legge infatti che sarebbero stati previsti «vantaggi sul versante degli adempimenti».

Ernesto-Marco Bagarotto 23

zioni tributarie ed è strettamente connaturata alla natura della disposizione di cui si tratta.

Come noto – fermo restando che la classificazione delle norme, anche in ambito tributario, risente della estrema complessità e variabilità dell’ordina-mento – in primissima battuta

42 si ritiene che le norme sostanziali-imposi-trici non debbano essere retroattive (come confermato nell’art. 3 dello Sta-tuto dei diritti del contribuente); che le norme procedimentali siano sogget-te al principio tempus regit actum

43; e che le norme sanzionatorie siano as-soggettate al regime del favor rei (art. 3, D.Lgs. n. 472/1997)

44. Ora, a prima vista, alla previsione di indeducibilità dei costi black list po-

trebbe essere attribuita natura di norma sostanziale-impositrice, valorizzan-do, da un lato, la circostanza che essa incide sulla determinazione dell’impo-nibile dettando un particolare regime di deduzione per specifici costi e, dal-

42 La circostanza che la distinzione tra norme sostanziali e norme procedurali sia spesso inidonea per stabilire le regole di diritto intertemporale viene evidenziata da FRANSONI, Sulle presunzioni legali nel diritto tributario, in Rass. trib., 2010, p. 615.

43 Sull’applicazione del principio tempus regit actum si vedano, per esempio, le sentenze della Corte di Cassazione che hanno avallato l’applicazione retroattiva del c.d. redditome-tro (sent. 9 ottobre 2000, n. 13415; 21 novembre 2000, n. 15045; 15 dicembre 1995, n. 12842 e 12843; 5 ottobre 2005, n. 19403; 24 settembre 2003, n. 14161; 30 agosto 2002, n. 12731). Parte della dottrina ha rilevato, però, che il citato principio possa trovare applica-zione in ambito tributario solamente per le modifiche normative «che garantiscono mag-giormente il contribuente» (così AMATUCCI, L’efficacia nel tempo della norma tributaria, Milano, 2005, p. 145). Il tema è stato oggetto di particolare attenzione da parte della dot-trina in occasione dell’introduzione di norme in materia di presunzioni: su tale argomento, tra i molti lavori, v. TOSI, Segreto bancario: irretroattività e portata dell’art. 18 l. n. 413 del 1991, in Rass. trib., 1995, p. 1383; FICARI, Utilizzazione e trasmissione dei dati bancari, segre-to bancario ed accertamento tributario: dalla L. 197/91 antiriciclaggio alla L. 413/91, in Riv. dir. trib., 1992, I, p. 863; CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005, p. 663; TASSANI, L’accertamento dei corrispettivi nelle cessioni immobiliari e la nuova presunzione fondata sul valore normale, in Rass. trib., 2007, p. 137; FIORENTINO, La Corte di Cassazione e gli “accertamenti bancari”: questioni «vecchie e nuove» tra retroattività, obbligo di preventivo contraddittorio e valenza «probatoria» delle movimentazioni bancarie alla stre-gua di una interessante pronuncia della Suprema Corte, in Riv. dir. trib., 2002, II, p. 330; SER-RANÒ, Retroattività delle disposizioni di prova legale e lesione del diritto di difesa, in Riv. dir. trib., p. 1459. Si tratta, tuttavia, di temi sui quali la giurisprudenza è stata sistematicamente poco sensibile rispetto alle istanze dei contribuenti (per tutte v. Corte cost., 23 maggio 2008, n. 173 e Cass., 13 maggio 2003, n. 7344; 19 settembre 2001, n. 11778; 10 gennaio 2001, n. 267; 2 marzo 1999, n. 1728).

44 In primissima battuta, si può richiamare la ripartizione suggerita da FALSITTA, Ma-nuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2010, p. 86, che suddivide ulteriormente le norme sostanziali in norme impositrici, sanzionatorie ed agevolative; e le norme proce-durali in norme di procedura amministrativa, di procedura giurisdizionale e sulle prove.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 24

l’altro lato, la sua collocazione nel TUIR, all’interno della disposizione che contiene le «norme generali sulle valutazioni»

45. Va da sé che se tale conclusione venisse condivisa, si dovrebbe ritenere:

che l’abrogazione della normativa sui costi black list apportata dalla legge di stabilità 2016 dovrebbe valere solamente per i periodi d’imposta successivi al 2015; che per l’anno d’imposta 2015 dovrebbe trovare applicazione la norma nella versione frutto delle modifiche apportate dal decreto sull’inter-nazionalizzazione; e che la previgente normativa, incentrata sul regime di po-tenziale indeducibilità, invece, proseguirebbe a trovare applicazione con ri-ferimento ai periodi d’imposta 2014 e precedenti. Il tutto a prescindere dal momento in cui l’Amministrazione dovesse concretamente avanzare la pre-tesa impositiva basata sull’applicazione di detta norma.

In tal senso, peraltro, deporrebbe il contenuto, da un lato, dell’art. 5, comma 4, del decreto sull’internazionalizzazione, che ha stabilito che le mo-difiche apportate all’art. 110 TUIR si applicassero a decorrere dal periodo d’imposta 2015; e, dall’altro lato, del comma 144 della legge di stabilità 2016, in forza del quale le disposizioni di cui al precedente comma 142 «si appli-cano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 di-cembre 2015»

46. La soluzione derivante dall’applicazione del criterio indicato dal legisla-

tore è, però, insoddisfacente: si è potuto rilevare che la norma sui costi black

45 Tale impostazione sembra condivisa dalla giurisprudenza che si è pronunciata sugli effetti della modifica apportata al regime di indeducibilità dei costi black list dall’art. 1, com-ma 301, L. 27 dicembre 2006, n. 296, con cui è stata eliminata la previsione che subordina-va la deduzione alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi. In particolare, la sentenza della Suprema Corte, 6 novembre 2013, n. 24929, ha affermato che la questione «riveste un carattere del tutto peculiare in considerazione della specifica natura che le leg-ge viene a riconoscere all’adempimento formale (indicazione separata nella dichiarazione dei costi deducibili rivenienti da operazioni commerciali “sospette”), la cui inosservanza non integra semplicemente una violazione tributaria soggetta a sanzione pecuniaria, ma impe-disce il perfezionamento della stessa fattispecie costitutiva del diritto alla deduzione di tali spese. Tanto significa che, al momento dei rilievi formulati … la società non disponeva affat-to del diritto di portare in deduzione tali costi, con la conseguenza che la deduzione opera-ta nella dichiarazione integrava oggettivamente una evasione d’imposta, sottraendo inde-bitamente un corrispondente importo dalla base imponibile». Sul punto, v. IAIA, op. cit.

46 Il contenuto di quest’ultima norma, tuttavia, potrebbe essere considerato non decisi-vo, atteso che il comma 142, la cui decorrenza viene regolata dal testé citato comma 144, contiene ulteriori modifiche al TUIR, modifiche che riguardano norme di carattere chia-ramente sostanziale (si tratta, più precisamente delle modifiche all’art. 167 TUIR in mate-ria di imprese estere controllate). Sicché non può escludersi che il legislatore, con l’art. 144, abbia inteso regolare solamente la decorrenza di quest’ultime modifiche.

Ernesto-Marco Bagarotto 25

list risponde essenzialmente a finalità accertative, come ben dimostrato dal fatto che essa può essere riletta come una vera e propria presunzione relati-va volta a scongiurare fenomeni evasivi e passibile di prova contraria da par-te del contribuente.

Se, dunque, venisse condivisa la natura procedimentale della norma in esame, la sua modifica, prima, e abrogazione, poi, dovrebbe spiegare i propri effetti, non solo sugli accertamenti relativi ai periodi d’imposta, rispettiva-mente, 2015 e successivi al 2015, ma anche sui procedimenti accertativi non ancora culminati con l’emissione dell’atto impositivo

47. È molto più complesso, invece, argomentare che le modifiche normative

intervenute nell’ultimo anno possano spiegare effetti retroattivi tout court. Ed invero, l’unica strada per invocare l’applicazione del favor rei sembra

quella che fa leva sulla circostanza che, in talune fattispecie, tale norma è in grado di produrre gli effetti caratteristici di una sanzione impropria

48: ci si riferisce, in particolare, al caso – che, come visto, può ben verificarsi – in cui la norma conduca a negare la deduzione di costi pacificamente sostenu-ti, per il fatto di non aver superato il regime di prova contraria richiesto dal legislatore

49. Ora, le sanzioni improprie vengono definite come strumenti di reazione

che non sono qualificati e disciplinati come sanzioni, ma che comunque han-no in parte finalità punitiva

50. Nel caso di specie siamo in presenza di una norma la cui finalità, come

visto, è di tipo accertativo, sicché non vi dovrebbe essere spazio per invocar-ne la natura sanzionatoria.

47 AMATUCCI, op. cit., p. 145, evidenzia che, per le norme procedimentali in melius, l’ap-plicazione dovrebbe essere immediata ai «procedimenti iniziati ed ancora in corso di svol-gimento al momento di entrata in vigore della nuova legge, anche se riferite a fatti accaduti nel passato».

48 Nel testo ci si riferisce ad “alcune fattispecie” poiché la norma, nella versione ante-2005, poteva produrre i medesimi effetti (l’indeducibilità del costo) con riferimento sia a forniture effettivamente intercorse (conducendo così alla indeducibilità di costi effettiva-mente sostenuti) sia ad acquisti di servizi inesistenti (negando la deducibilità di un com-ponente che, effettivamente, non era idoneo ad abbattere il reddito imponibile). E va da sé che nel secondo caso non è configurabile in alcun modo l’effetto caratteristico della san-zione impropria.

49 È più arduo, invece, argomentare che il sistema di deducibilità nel limite del valore normale rappresenti una sanzione impropria.

50 In questi termini DEL FEDERICO, Le sanzioni improprie nel sistema tributario, in Riv. dir. trib., 2014, p. 705 ss., a cui si rinvia per ampi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali sul tema.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 26

Tuttavia, in casi come quelli poc’anzi richiamati – in cui l’applicazione della norma ante-2015, laddove il contribuente non sia in grado di fornire la prova contraria richiesta dal legislatore, può condurre all’integrale indeduci-bilità di costi certamente sostenuti, in aperto contrasto con la struttura del prelievo sul reddito – qualora ai fini della valutazione della natura della nor-ma si valorizzassero anche gli effetti concretamente prodotti si potrebbe af-fermare di essere in presenza di una sanzione impropria.

Ebbene, se tale ipotesi venisse confermata, dovrebbe allora essere possi-bile invocare il principio del favor rei

51. Si tratterebbe di una situazione con dei punti di contatto con la vicenda

legata al previgente art. 75, comma 6, TUIR, che prevedeva l’indeducibilità dei costi non registrati nelle scritture contabili

52. Ebbene, in occasione dell’abrogazione di tale previsione la giurispruden-

za di legittimità ha ritenuto che la «estensione della possibilità di prova» de-rivante dal venire meno dell’obbligo di registrazione nelle scritture contabili dovesse trovare applicazione retroattiva anche ai giudizi in corso, alla luce della natura sanzionatoria del previgente regime di indeducibilità

53. Allo stesso modo, allora, potrebbe essere ragionevole consentire l’appli-

cazione retroattiva delle modifiche apportate nel 2015, nel caso in cui siano dirette a disapplicare il regime di indeducibilità previsto anteriormente al 2015 (laddove questo abbia comportato l’indeducibilità di costi effettivamen-te sostenuti), per applicare il regime che lo ha sostituito, cioè quello (poi a-brogato, ma) ben più ragionevole – incentrato sulla deduzione nel limite del valore normale – frutto delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 147/2015

54.

51 Su cui v. anche MASTROIACOVO, I limiti alla retroattività nel diritto tributario, Milano, 2005, in part. p. 108.

52 Tema affrontato da MASTROIACOVO, op. cit., p. 103 ss. 53 Si vedano, ad esempio, le sentenze della Suprema Corte, 11 luglio 2002, n. 10090; 30

gennaio 2009, n. 2548; e 22 novembre 2000, n. 15088. Su quest’ultima pronuncia v. il com-mento di ZIZZO, Sulla natura dell’art. 75, 6º comma, Tuir e sugli effetti della sua abrogazione, in Riv. dir. trib., 2001, II, p. 320 ss., il quale, pur criticando alcuni passaggi della sentenza, condivide la conclusione a cui è pervenuta. Cauti sull’estensione del favor rei alle sanzioni improprie anche DEL FEDERICO, op. cit., p. 723; MASTROIACOVO, op. cit., p. 107.

54 Come rileva MASTROIACOVO, op. cit., pp. 258-259, infatti, la disciplina attuativa del tributo «può mutare nel tempo e, a prescindere del momento in cui il presupposto si è ef-fettivamente perfezionato, può comunque rappresentare una nuova modalità – probabil-mente più idonea della previgente in ragione dell’evoluzione normativa degli istituti – per far adempiere od accertare con esattezza il debito fiscale». E, nel caso di specie, si è visto che il regime di deducibilità nel limite del valore normale rappresenta certamente una mo-

Ernesto-Marco Bagarotto 27

Si tratta di una soluzione che, a ben vedere, un legislatore ragionevole avrebbe potuto prevedere espressamente, considerato che le modifiche ap-portate alla normativa in esame hanno fatto venir meno un istituto che, co-me visto, prestava il fianco a pesanti critiche

55.

dalità ben più ragionevole per colpire le fattispecie evasive perpetrate attraverso la dedu-zione di costi addebitati da soggetti ubicati in Paesi black list.

55 Tale soluzione è stata negata dalla prima giurisprudenza pronunciatasi sul punto nel-le more della pubblicazione del presente lavoro. Ed invero, la Corte di Cassazione, con la sentenza 6 aprile 2016, n. 6651 – in una controversia avente ad oggetto l’anno d’imposta 2003 – ha ritenuto irrilevante l’intervenuta abrogazione della norma in argomento «stante l’irretroattività dello stesso discendente, oltre che, in via generale, dall’art. 11 preleggi, dal-la specifica e pienamente convergente disciplina transitoria di cui al medesimo art. 1, comma 144, a mente del quale “le disposizioni di cui ai commi 142 e 143, si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015” (norma il cui riferimento al “periodo d’imposta” e la cui attinenza ad una legge di diritto sostanzia-le palesa l’implausibilità della interpretazione proposta dalla controricorrente secondo cui essa dovrebbe invece intendersi nel senso di consentire l’applicazione della nuova discipli-na anche ai fatti pregressi, purché però in giudizi o con provvedimenti resi a far data dal 1 gennaio 2016). Alla luce di tale espressa previsione nemmeno può soccorrere il richiamo alla norma di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3 comma 2, a mente del quale, “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile”, attesa per l’appun-to la previsione di espressa e contraria disciplina transitoria, avente pari forza di legge». La Suprema Corte, dunque, pur non avendo negato la possibilità di attribuire natura sanzio-natoria alla normativa in esame (con conseguente astratta possibilità di invocare il favor rei), si è soffermata esclusivamente sul dato letterale della norma, che fa riferimento ai soli «periodi d’imposta» 2016 e seguenti.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 28

Anna Rita Ciarcia

IL RUOLO DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA NELLA TRANSAZIONE FISCALE

THE ROLE OF TAX AUTHORITIES IN THE “FISCAL TRANSACTION”

Abstract Nella transazione fiscale il legislatore consente la deroga al tradizionale principio della indisponibilità dell’obbligazione tributaria e lo scopo della deroga è evitare, per quanto possibile, il dissesto irreversibile dell’impresa e prevenirne il fallimen-to. La transazione costituisce una fase endoconcorsuale, che si chiude con l’ade-sione o il diniego alla proposta di concordato preventivo mediante espressione di voto da parte dei creditori, tra i quali l’Amministrazione finanziaria, la quale resta comunque soggetta alle sorti del concordato medesimo e ne subisce gli effetti ob-bligatori e remissori conseguenti all’omologazione. Particolarmente rilevanti so-no gli effetti che si producono in capo al contribuente in caso di adesione alla tran-sazione. Non può rientrare nell’ambito della transazione il credito IVA, in virtù della sua natura di tributo costituente risorsa propria della Unione Europea. Parole chiave: transazione fiscale, concordato preventivo, voto dell’Agenzia del-le Entrate, effetti, credito IVA In the “fiscal transaction”, the lawmaker expressly admits a derogation to the tradi-tional principle of unavailability of tax obligation and its purpose is to avoid, as far as possible, the irreversible collapse of the company and prevent its bankruptcy. The tran-saction constitutes a phase within the bankruptcy proceedings, which ends with the agreement or rejection to the proposed agreement through the creditors’vote, including the one expressed by the tax authorities, which remain still subject to the fate of the pre-bankruptcy proceedings and it suffers the obligatory effects consequent to the judi-cial approval. The effects for the taxpayer in case of “fiscal transaction” are particu-larly important. VAT cannot be reduced through the “fiscal transaction”, since it is a tax representing a proper financial resource of the European Union.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 30

Keywords: “fiscal transaction”, pre-bankruptcy agreement, tax authorities’vote, ef-fects, VAT credit

SOMMARIO: 1. La natura della transazione fiscale. – 2. Il voto dell’Agenzia delle Entrate. – 3. Gli effetti della transazione. – 3.1. Il consolidamento. – 3.2. La cessazione della materia del contendere. – 4. Le conseguenze in caso di annullamento del concordato preventivo. – 5. L’intangibilità del credito IVA. – 6. Conclusioni.

1. La natura della transazione fiscale

L’art. 182 ter, R.D. n. 267/1942 (c.d. legge fallimentare) ha inserito, nel-l’ambito del concordato preventivo, l’istituto della transazione fiscale.

Ai sensi dell’art. 160 L. fall. il contribuente-debitore 1 può pervenire ad

un accordo giudiziale con i propri creditori (tra i quali l’Amministrazione finanziaria

2) così da estinguere le sue obbligazioni e, soprattutto, evitare il fal-limento.

La disciplina dell’art. 182 ter non prevede alcuna ipotesi di interlocuzio-ne diretta tra l’Amministrazione finanziaria ed il proponente

3, né sono pre-viste trattative tra le parti

4; ciò in ragione del fatto che il credito tributario,

1 Solo il debitore può presentare la proposta di transazione fiscale, a differenza di quanto accadeva nella disciplina previgente, art. 3, comma 3, D.L. n. 138/2002.

2 V. TAGLIONI, La transazione fiscale in sede fallimentare, in Boll. trib., n. 4, 2009, p. 293, il quale chiarisce come il pagamento parziale dei tributi potrà trovare applicazione nella mi-sura in cui la transazione fiscale sia inserita nel piano concordatario; è evidente, infatti, che al di fuori di tale istituto (e al di fuori dell’accordo di ristrutturazione dei debiti) i debiti tributari dovranno essere soddisfatti integralmente.

3 V. PERRUCCI, La nuova transazione fiscale, in Boll. trib., n. 23, 2009, p. 1762. Non si tratta di una transazione nel significato classico così come stabilito dall’art. 1965 c.c., cioè di un contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già cominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro, bensì di un istituto de-flattivo che muove dalla proposta di un pagamento anche parziale dei tributi e che entra a far parte di una procedura concordataria.

4 V. LA MALFA, Rapporti tra la transazione fiscale e il concordato preventivo, in Corr. trib., n. 9, 2009, p. 706. Secondo l’Autore, nel concordato l’Amministrazione è un creditore al pari degli altri e come tale soggiace alle regole della procedura, così come stabilito dall’art.

Anna Rita Ciarcia 31

per sua natura, è indisponibile 5 ed irrinunciabile e, di conseguenza, non è

negoziabile sulla base di criteri prettamente transattivi 6.

Una parte della dottrina 7 evidenzia la portata obbligatoria della transazio-

ne, ai fini del concordato, in virtù della natura eccezionale dell’istituto, il cui utilizzo si giustifica solo all’interno dei limiti posti dal procedimento della leg-ge fallimentare

8. Inoltre, soltanto attivando la procedura della transazione si giungerà ad una quantificazione certa e stabile dei debiti tributari; in assenza di tale quantificazione si rischierebbe di omologare una proposta concorda-taria in cui sono indicati debiti tributari non corrispondenti all’importo ef-fettivamente a carico del contribuente.

Altra parte della dottrina 9, invece, ritiene che la transazione non sia un

autonomo accordo tra contribuente e Amministrazione finanziaria, bensì è solo un sub-procedimento facoltativo interno al concordato preventivo, il cui unico scopo è quello di dar luogo al voto del creditore-Fisco.

Anche la giurisprudenza di merito è divisa. Vi è infatti chi ritiene che la transazione sia facoltativa all’interno del concordato, sostenendo che il mancato assenso ad essa da parte dell’ente preposto non impedisca l’omolo-gazione del concordato preventivo, posto che nell’ambito del concordato la transazione in questione è un’opzione meramente facoltativa per il debitore, così che il piano concordatario potrebbe imporre la falcidia dei crediti tributa-ri anche in assenza dell’accesso al procedimento di cui all’art. 182 ter L. fall.

10. 160 L. fall., che trova la sua ragione d’essere nel preminente interesse pubblico alla defini-zione concordata della crisi, in funzione del salvataggio delle unità produttive e dei posti di lavoro.

5 Sull’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, v. per tutti FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2010, p. 282.

6 V. per tutti TOSI, La transazione fiscale, in Rass trib., n. 4, 2006, p. 1072. 7 V. ATTARDI, Inammissibilità del concordato preventivo in assenza di transazione fiscale,

in Il Fisco, n. 39, 2009, pp. 1-6435. 8 L’obbligatorietà è sostenuta anche dall’Agenzia delle Entrate; in particolare nella Cir-

colare n. 40/E/2008 e nella Risoluzione n. 3/E/2009. Secondo l’Agenzia il concordato pre-ventivo sarebbe inammissibile in assenza di richiesta di transazione fiscale.

9 V. ZANNI-REBECCA, La disciplina della transazione fiscale: un cantiere sempre aperto, in Il Fisco, n. 39, 2010, pp. 1-6299.

10 V. Trib. Monza, sez. III, dec. 15 aprile 2010, secondo il giudice, l’istituto della transa-zione fiscale non assurge a “condicio sine qua non” dell’ammissibilità ed omologabilità del concordato, nel senso che non è vincolante l’assenso del Fisco, una volta che quest’ultimo sia stato posto in condizione di disporre e votare come gli altri creditori, divenendo un cre-ditore come gli altri, in quanto la determinazione del “quantum” dell’obbligazione tributaria viene subordinata all’interesse pubblico della composizione della crisi ritenuta preminente

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Secondo una parte minoritaria della giurisprudenza, al contrario, la tran-sazione fiscale figura quale strumento indispensabile per consentire al Fisco

ed essendo stato consentito con il procedimento all’Agenzia delle Entrate di partecipare consensualmente alla quantificazione dell’obbligazione tributaria; Trib. Mantova, dec. 22 febbraio 2009; Trib. Roma, dec. 27 gennaio 2009, per il Tribunale la transazione fiscale non è un accordo transattivo distinto ed autonomo rispetto al concordato preventivo; ne consegue che l’erario non ha un potere di veto sulla proposta e rimane vincolato all’esito della votazione ed all’eventuale omologazione del concordato; Corte app. L’Aquila, sent. 16 marzo 2011, n. 306; Corte app., Torino, sez. I, dec. 6 maggio 2010, secondo la Corte la proposta di transazione fiscale è facoltativa e discrezionale per il debitore, il quale può al-ternativamente scegliere di proporre un pagamento dilazionato o parziale dei tributi aventi natura sia privilegiata, sia chirografaria, secondo il disposto dell’art. 182 ter, ovvero adire il concordato, secondo le regole generali della procedura. In quest’ultimo caso, i debiti nei confronti del fisco seguiranno, secondo il loro rango, la sorte comune di tutti gli altri debiti oggetto di concordato. Ancora, secondo i giudici, l’approvazione della proposta di transa-zione fiscale da parte dell’Amministrazione finanziaria non è condizione necessaria per l’o-mologazione del concordato preventivo, ma permette il consolidamento della posizione fiscale del debitore mediante la definizione degli accertamenti pendenti, la preclusione de-gli accertamenti futuri e la cessazione delle liti; Corte app. Firenze, dec. 13 aprile 2010, la transazione fiscale prevista dall’art. 182 ter, L. fall. – R.D. n. 267/1942 – non è un proce-dimento obbligatorio, nel senso che l’imprenditore che si trovi nelle condizioni previste dall’art. 160 può formulare una proposta di concordato preventivo che preveda il paga-mento integrale ovvero la falcidia dei crediti tributari, anche senza seguire l’iter descritto dal-l’art. 182 ter e dunque senza perseguire gli effetti di consolidamento del debito fiscale e della cessazione del contenzioso che la citata norma ricollega all’esito positivo della transa-zione fiscale, la quale deve perciò essere considerata come facoltativa per quel debitore che, per qualsiasi motivo, non avesse interesse a conseguire gli effetti anzidetti; Corte app., Genova, sez. I, dec. 19 dicembre 2009, per i giudici la transazione fiscale non costituisce l’iter procedimentale obbligatorio della proposta di concordato rivolta all’Erario, ma una semplice facoltà, dovendovi il debitore ricorrere solo al fine di rendere incontestabile il debito fiscale; Trib. Asti, dec. 3 febbraio 2010, la transazione fiscale costituisce un sub- procedimento eventuale ed accessorio al concordato preventivo, attraverso il quale l’im-prenditore mira a conseguire finalità ulteriori rispetto a quelle derivanti dal concordato, ovvero il consolidamento del debito fiscale attraverso la definitiva quantificazione della propria esposizione debitoria e la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi, ad oggetto i tributi di cui al comma 1 dell’art. 182 ter. L. fall., come stabilito dal comma 6 della norma citata. In altre parole, l’imprenditore che intende presentare una proposta di concordato preventivo non deve necessariamente utilizzare lo strumento processuale della transazione fiscale, in quanto la possibilità del non integrale soddisfacimento dei crediti privilegiati, senza distinzioni di sorta, è previsto dall’art. 160, comma 2, L. fall., norma di portata generale, che non pone alcuna limitazione in relazione alla natura dei crediti falci-diati. Da nessun dato normativo si ricava una deroga che la proposta concordataria debba essere necessariamente accompagnata dalla proposta di transazione fiscale, che verrebbe così a configurarsi come procedimento speciale per la proposizione del ricorso per con-cordato preventivo nei confronti del fisco.

Anna Rita Ciarcia 33

di partecipare al meccanismo del voto ed acconsentire ad una riduzione del credito erariale

11. Sul punto è intervenuta infine la Corte di Cassazione, la quale ha concluso

che la transazione fiscale non costituisce il percorso obbligatorio ed esclusi-vo per il contribuente, bensì è uno strumento facoltativo a disposizione del-lo stesso

12. I giudici, infatti, hanno confermato il principio secondo il quale può di-

sporsi l’omologazione del concordato preventivo, contenente la falcidia di crediti tributari, anche se non sia stato preventivamente attivato il procedi-mento di cui alla legge fallimentare, art. 182 ter, comma 2, al fine del perfe-zionamento della transazione fiscale ivi disciplinata, poiché dalla mera facol-tatività di tale istituto discende che l’eventuale voto contrario dell’Ammini-strazione finanziaria non impedisce l’approvazione della relativa proposta da parte della maggioranza dei creditori

13. Secondo la Corte obbligare il contribuente a formulare una richiesta di

transazione contestualmente alla proposta di concordato significherebbe con-cedere all’Amministrazione finanziaria una sorta di diritto di veto che, nel silenzio normativo, non può esserle riconosciuto

14.

11 V. Trib. Roma, dec. 20 aprile 2010, qualora la proposta di concordato preventivo ri-guardi anche crediti (e relativi accessori) relativi a tributi amministrati dalle agenzie fiscali o a contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligato-rie, per tali crediti dovranno trovare applicazione anche le disposizioni contenute nell’art. 182 ter, L. fall. – R.D. n. 267/1942, nonché, per quanto riguarda i crediti contributivi, quel-le di cui al D.M. 4 agosto 2009; ne consegue che la transazione fiscale deve essere conside-rata parte integrante ed indefettibile, a pena di inammissibilità, della proposta di concordato; Trib. Roma, dec. 16 dicembre 2009, l’art. 182 ter, L. fall., fissa le regole imperative (costi-tuenti altrettanti presupposti di ammissibilità della procedura) del trattamento dei crediti fiscali, previdenziali ed assistenziali negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei con-cordati, stabilendo le condizioni che possono essere offerte per detti crediti, la procedura di transazione da seguire per raggiungere il previo accordo su tale trattamento nonché la re-gola fondamentale e finale secondo la quale, all’esito della transazione fiscale (e contributi-va), il creditore fa valere in concordato le proprie determinazioni tramite l’esercizio del voto, di modo che la transazione si pone come momento procedurale costitutivo della più am-pia procedura di concordato; Trib. Monza, dec. 23 dicembre 2009, per i giudici nell’ambi-to del concordato preventivo, la presentazione dell’istanza di transazione fiscale è indi-spensabile perché l’Erario possa partecipare al meccanismo del voto accettando una falci-dia del proprio credito.

12 V. Cass., sez. I, sent. 4 novembre 2011, nn. 22931 e 22932, in Riv. dir. trib., n. 1, 2012, II, p. 35 con commento di DEL FEDERICO, La Corte di cassazione inquadra la transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali.

13 V. Cass., sez. I, sent. 8 giugno 2012, n. 9373. 14 V. SANTACROCE-PEZZELLA, Natura facoltativa della transazione fiscale e intangibilità del

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Deve ritenersi che la transazione fiscale rappresenti solo una scelta facol-tativa per il contribuente nell’ambito della procedura del concordato preven-tivo. Essa, quindi, così come riconosciuto dalla stessa Agenzia delle Entrate nella Circolare 6 maggio 2015, n. 19/E, non gode di propria autonomia e non costituisce condizione di ammissibilità alla proposta di concordato.

Il contribuente non è obbligato dunque a proporre il pagamento in misu-ra parziale dei tributi all’Amministrazione finanziaria, la quale, all’interno del concordato preventivo, riveste il medesimo ruolo di tutti gli altri credi-tori con analoghi diritti e doveri.

In particolare, il voto contrario dell’Amministrazione finanziaria non im-pedisce che il concordato spieghi pienamente i suoi effetti e che, quindi, in caso di omologazione, il pagamento in percentuale dei crediti sia obbligato-rio verso tutti i creditori.

2. Il voto dell’Agenzia delle Entrate

Il concordato preventivo ha una propria funzione, autonoma, rispetto al-la transazione fiscale e può vivere di vita propria; al contrario la transazione fiscale può essere proposta soltanto nell’ambito di altra procedura del siste-ma concorsuale.

La transazione costituisce una fase endoconcorsuale, che si chiude con l’a-desione o il diniego alla proposta di concordato preventivo mediante espres-sione di voto da parte dei creditori, tra i quali l’Amministrazione finanziaria, la quale resta comunque soggetta alle sorti del concordato medesimo e ne subisce gli effetti obbligatori e remissori conseguenti all’omologazione

15. L’Amministrazione finanziaria partecipa all’adunanza degli ammessi al vo-

to e, in quella sede, esprime il proprio assenso o il proprio dissenso, come ogni altro creditore; è evidente, quindi, che il suo voto non è decisivo. credito Iva, in GT-Riv. giur. trib., n. 1, 2012, p. 11. Secondo gli Autori l’esclusione dell’ob-bligatorietà della transazione deriva dalla considerazione che non vi sono ragioni per ob-bligare in ogni caso l’imprenditore ad effettuare il tentativo di transazione fiscale allor-quando quest’ultimo non abbia alcuna intenzione ab origine di voler perseguire un accor-do particolare con l’Erario ritenendo infondate le sue pretese. Il creditore Erario, in base alla legge, deve essere obbligato, al pari degli altri creditori, a soggiacere all’assetto dei cre-diti risultante dalla proposta concordataria omologata con il favore della maggioranza dei creditori stessi e tale effettiva parità non può che essere conseguita attraverso l’esclusione dell’obbligatorietà della transazione fiscale.

15 V. Trib. Benevento, sez. fall., sent. 23 aprile 2014.

Anna Rita Ciarcia 35

L’Amministrazione, in ogni caso, può decidere anche di rimanere inattiva, manifestando in tal modo la propria contrarietà all’ipotesi presentata di tran-sazione, ma rimarrà, come nel caso di voto negativo, comunque vincolata all’esito del voto

16. Questo conduce al cosiddetto cram down power

17: con tale espressione si fa riferimento alla possibilità che il concordato, approvato con il voto contra-rio o mancante dell’Amministrazione finanziaria, si possa comunque risol-vere in una transazione di fatto anche sui crediti fiscali

18. Ne consegue che il Fisco sarà soddisfatto ma in misura parziale

19, purché, però, non in misura inferiore alle alternative concretamente applicabili

20.

16 V. GAFFURI, Aspetti problematici della transazione fiscale, in Rass. trib., n. 5, 2011, I, p. 1119. In giurisprudenza, Trib. Ravenna, dec. 21 gennaio 2011, secondo il Tribunale il man-cato voto (o il voto contrario) dell’Amministrazione finanziaria non condiziona quindi l’approvazione del concordato qualora vengano raggiunte le maggioranze previste dall’art. 177 L. fall., fermo restando che l’Amministrazione finanziaria non potrà mai ritenersi vin-colata al contenuto di una transazione che non abbia assentito; Trib. La Spezia, dec. 2 lu-glio 2009, per i giudici è ammissibile una proposta concordataria che preveda la falcidia dei crediti tributari anche senza seguire il procedimento dettato per la transazione fiscale, la quale deve essere considerata come facoltativa per quel debitore che, per qualsiasi interes-se, non voglia conseguire gli effetti del consolidamento del debito fiscale e la cessazione del contenzioso, con la conseguenza che l’eventuale dissenso dell’Amministrazione finan-ziaria non condiziona l’omologazione del concordato, che abbia riportato il voto favorevo-le delle maggioranze dei creditori. Trib. Milano, sez. II, dec. 13 dicembre 2007, per i giudi-ci, l’Agenzia delle Entrate e il Concessionario sono soggetti all’esito della votazione con-cordataria.

17 V. SANTACROCE-PEZZELLA, Il ruolo della transazione fiscale nel concordato preventivo, in Corr. trib., n. 34, 2010, p. 2782; il cram down è un istituto giuridico di origine statuniten-se previsto nell’ambito della riorganizzazione delle imprese in crisi secondo un programma proposto dal debitore. Il giudice, sulla base di tale istituto, può dichiarare il programma pro-posto vincolante per tutti i creditori, anche se una parte di questi non lo abbia approvato, qualora ritenga lo stesso equo. Più dettagliatamente, nel Capitolo 11, è previsto che il cram down venga disposto dalla Bankruptcy Court, se almeno una delle classi abbia votato a fa-vore e se la classe dissenziente non riceva un trattamento iniquo (fair and equitable stan-dard). Quest’ultimo requisito da intendersi nel senso della sussistenza della duplice condi-zione che (i) il singolo creditore non sia soddisfatto in misura inferiore rispetto a quanto potrebbe ricevere in sede di liquidazione e che (ii) una classe di creditori di grado inferiore non sia soddisfatta, se i crediti di rango superiore non vengono prima integralmente soddi-sfatti (c.d. absolute priority rule).

18 V. Cass., sez. I, sent. 8 giugno 2012, n. 9373. 19 V. PURI, La transazione fiscale al vaglio della Suprema Corte, in Corr. trib., n. 25, 2010,

p. 1991. 20 V. Corte app. Milano, sez. IV, sent. 14 maggio 2008. Nel caso esaminato, l’Agenzia del-

le Entrate aveva presentato reclamo avverso la sentenza del Tribunale che dichiarava di do-

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 36

Considerando che l’attività dell’Amministrazione finanziaria deve ispirarsi ai fondamentali principi di legalità, imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost., occorre ritenere che il provvedimento di diniego emanato dall’Amministrazione finanziaria debba sempre specificare, ai sensi degli artt. 3 della L. n. 241/1990 e 7 della L. n. 212/2000, i presupposti di fatto e le ra-gioni giuridiche che hanno portato alla decisione riguardante la mancata adesione alla transazione, in relazione alle risultanze istruttorie

21. La giurisprudenza di merito

22 e parte della dottrina 23 hanno inoltre evi-

denziato come, in ogni caso, il voto contrario dell’Amministrazione finanzia- ver esercitare il potere di c.d. cram down ed omologava il concordato preventivo, «compren-sivo della transazione fiscale ... proposta». La Corte d’Appello, pur riconoscendo la possi-bilità di concludere il giudizio anche contro la volontà di una classe dissenziente (l’ufficio finanziario), attuando il passaggio forzoso della proposta (c.d. cram down power), tuttavia evidenziava anche come la transazione fiscale debba prevedere un limitato soddisfacimen-to dei crediti tributari assistiti da privilegio. Nel caso in esame, il contribuente aveva pro-posto il pagamento nella misura del 15% dei crediti tributari. Pertanto, secondo la Corte, l’avere di contro il Tribunale avallato la decurtazione dei crediti tributari privilegiati, per come propostasi con unilateralità assoluta dal debitore, ha dunque condizionato in modo negativo l’esercizio legittimo di quel potere d’ufficio, inficiandone irrimediabilmente l’esi-to. L’assorbente, radicale vizio che si è così riscontrato nello svolgimento della proposta di transazione fiscale, e per essa riflessosi sulla domanda stessa di concordato preventivo, quale sua componente costitutiva necessaria, vale dunque, per dirimente portata intrinse-ca, a farne in questa sede dichiarare, in riforma integrale del decreto reclamato, la inam-missibilità.

21 V. STASI, La transazione fiscale dal punto di vista del Giudice tributario, in Il Fallimento, n. 11, 2014, p. 1224. Secondo Tosi (op. cit., p. 1090), invece, nella normativa fallimentare vi è l’assenza della benché minima indicazione in ordine ai criteri che l’Amministrazione finan-ziaria deve seguire per valutare l’opportunità di accettare o rifiutare la proposta del contri-buente per proporre eventuali modifiche, e ciò assegna agli Uffici competenti un grado di discrezionalità assai raro in materia tributaria.

22 V. CTP Milano, sez. XXV, sent. 14 febbraio 2014, n. 1541, in Dir. prat. trib., n. 2, 2015, II, p. 260, con commento di GOLISANO, Prime pronunce giurisprudenziali in tema di impugnabilità del diniego di transazione fiscale.

23 V. DEL FEDERICO, Profili evolutivi della transazione fiscale, in JORIO-FABIANI (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna-Torino, 2010, p. 1226. Contra: TOSI, op. cit., p. 1090, secondo il quale, in quanto atto discrezionale, il diniego non dovrebbe essere impu-gnabile, a maggior ragione se si considera che esso non è incluso tra gli atti elencati dall’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992; RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transa-zione fiscale, in Riv. dir. trib., n. 10, 2008, I, p. 836, secondo l’Autore, l’espressione di voto con-trario non è rivolta al debitore, ma si inserisce nella procedura concorsuale, quale elemen-to partecipativo del volere dei creditori in ordine all’approvazione della proposta. L’effetto del voto si dissolve all’interno del procedimento concorsuale, creando nel debitore una si-tuazione di interesse di mero fatto, non tutelabili direttamente.

Anna Rita Ciarcia 37

ria alla proposta di transazione possa essere impugnato dal contribuente-de-bitore, soprattutto se questo ha impedito il concordato facendo conseguen-temente aprire la procedura fallimentare, con i relativi pesanti risvolti eco-nomici e morali per il fallito. Di parere contrario l’Agenzia delle Entrate, se-condo la quale l’assenso o il diniego alla proposta di transazione non è un atto impugnabile

24. Quanto al giudice competente, considerando che la valutazione in meri-

to alla transazione fiscale parte dalla verifica delle posizioni tributarie e, quindi, oggetto della transazione è comunque una questione di natura tribu-taria basata su una verifica fondata sull’interpretazione e sulla corretta appli-cazione di norme tributarie, deve ritenersi che il provvedimento di diniego possa essere impugnato davanti al giudice tributario

25. L’Agenzia delle Entrate, quindi, all’interno della procedura di concorda-

to figura solo come uno dei creditori del contribuente-debitore; ciò com-porta la non necessarietà del proprio voto favorevole, per cui anche in assenza del voto dell’Amministrazione finanziaria, o perché contrario o perché si è astenuta dalla votazione, il concordato preventivo potrà essere omologato.

L’importanza del voto favorevole dell’Amministrazione finanziaria si evi-denzia tutta nelle conseguenze; infatti, sebbene, l’approvazione della propo-sta di transazione fiscale da parte dell’Amministrazione finanziaria non è condizione necessaria per l’omologazione del concordato preventivo, essa, però, permette il consolidamento della posizione fiscale del debitore median-te la definizione degli accertamenti pendenti, la preclusione degli accertamen-ti futuri e la cessazione delle liti.

24 V. Circolare 6 maggio 2015, n. 19/E. Secondo l’Agenzia, punto 2.2 della Circolare «Gli interessi del debitore così come quelli degli altri creditori possono, infatti, trovare piena tutela attraverso i rimedi giurisdizionali previsti dalla L.F. Nella specie, nelle ipotesi di approvazione del concordato preventivo a norma del primo comma dell’articolo 177 della L.F., il debitore, il commissario giudiziale, gli eventuali creditori dissenzienti e qualsiasi in-teressato possono partecipare all’udienza, fissata per il giudizio di omologazione ai sensi dell’articolo 180 della L.F., e già in tale sede possono proporre eventuali opposizioni all’o-mologa del concordato stesso, incluse eccezioni aventi ad oggetto la legittimità del voto espresso dall’Agenzia delle Entrate o dall’Agente della Riscossione a norma dell’articolo 182-ter. Di contro, nelle ipotesi in cui non si dovesse raggiungere la maggioranza richiesta per l’approvazione del concordato, l’articolo 179, primo comma della L.F. stabilisce che il giudice delegato ne riferisce immediatamente al Tribunale, che deve provvedere a norma dell’art. 162, secondo comma».

25 V. PERRUCCI, Quale Giudice per la transazione fiscale?, in Boll. trib., n. 10, 2009, p. 779.

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3. Gli effetti della transazione

Nel termine di trenta giorni dalla data di presentazione della domanda e dall’acquisizione completa della documentazione necessaria, l’Agente della Riscossione

26 deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l’en-tità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso, inclusi interessi e sanzioni.

La dottrina tributaria 27 ha evidenziato alcune perplessità in relazione alla

mancanza di una norma sugli effetti dell’inutile decorso del termine di tren-ta giorni per la quantificazione ed il consolidamento del debito tributario. Si è ritenuto, però, che in mancanza di una norma ad hoc non abbia senso ri-chiamare il silenzio assenso, anche perché la perentorietà del termine di trenta giorni sembra inequivoca.

Può quindi ritenersi che, decorso inutilmente il termine di trenta giorni, l’ufficio ed il concessionario non possano partecipare all’adunanza dei credi-tori, e che comunque, pur non potendo esprimere il proprio voto, vadano a subire gli effetti scaturenti dalla deliberazione del concordato e dalle succes-sive vicende.

3.1. Il consolidamento

Il primo effetto della transazione sarà, quindi, quello del consolidamento del debito fiscale (comma 2 dell’art. 182 ter), così da realizzare un assetto cer-to e trasparente degli effetti della procedura.

Con la transazione, quindi, il debito tributario si “consolida”, con la con-seguenza che il debitore ottiene il vantaggio della assoluta certezza dell’am-montare del debito verso l’Erario, in quanto la pretesa tributaria sarebbe cri-stallizzata alla data di presentazione della domanda così come quantificata dall’ufficio. A seguito di ciò, da un lato l’Agenzia non potrà procedere ad ul-

26 V. Circolare ministeriale 18 aprile 2008, n. 40/E. La presentazione della copia della domanda debitamente documentata, sia al competente Agente della riscossione che al com-petente ufficio della Direzione Provinciale, costituisce un onere il cui assolvimento rileva come requisito di ammissibilità della transazione. Infatti, i crediti tributari vantati nei con-fronti di imprese assoggettate alla procedura di concordato preventivo non possono essere soddisfatti parzialmente al di fuori della specifica disciplina della transazione fiscale di cui all’art. 182 ter L. fall.; ciò perché la falcidia o la dilazione del credito tributario è ammissibi-le soltanto qualora il debitore si attenga alle disposizioni disciplinanti la transazione fiscale.

27 V. DEL FEDERICO, Profili processuali della transazione fiscale, in Corr. trib., n. 45, 2007, p. 3657.

Anna Rita Ciarcia 39

teriori accertamenti, anche qualora non sia maturata la decadenza, e dall’al-tro, il contribuente-debitore non potrà più contestare le pretese fiscali, an-che ove non fossero definitive

28. La transazione fiscale induce ad una rigorosa fase di quantificazione e

consolidamento del debito fiscale, attraverso la quale si dà inizio alla defini-zione transattiva del rapporto con l’Amministrazione finanziaria in virtù di un acclaramento del rapporto.

Con la Circolare n. 40/E/2008 si è ritenuto che, ove ne ricorrano i pre-supposti, l’Ufficio potrà ancora esercitare il proprio potere di controllo e, di conseguenza, determinare un debito tributario superiore rispetto a quello at-testato nella certificazione rilasciata al debitore o individuato al termine del-la procedura di transazione fiscale. Il nuovo e maggior debito potrà essere fatto valere dall’Amministrazione nei confronti dello stesso contribuente che ha già ottenuto l’omologazione del concordato.

La dottrina tributaria appare divisa, in proposito 29: alcuni Autori pro-

pendono per la tesi preclusiva, evidenziando come, per gli atti impositivi e-manati ma non ancora impugnati e per gli atti già impugnati innanzi alle Com-missioni tributarie ma non decisi con sentenze passate in giudicato, la tran-sazione fiscale indurrebbe a chiudere le vicende (nel primo caso, con un’i-potesi di accertamento con adesione e, nel secondo caso, con un’ipotesi di conciliazione giudiziale); diversamente, per i potenziali accertamenti futuri, aventi ad oggetto tributi ed annualità per i quali l’Amministrazione finanzia-ria non sia ancora decaduta dal potere di rettifica, deve ritenersi che i tributi oggetto della transazione debbano considerarsi, per tutte le annualità prese in considerazione, definitivamente chiusi, con l’impossibilità dell’Ammini-strazione finanziaria di poter emanare successivi atti impositivi

30; altri Auto-

28 V. Trib. Benevento, sez. fall., sent. 23 aprile 2014. Nello stesso senso, si era già espressa la Cass., sez. I, sent. 4 novembre 2011, n. 22931. Secondo la Corte, con la transazione il debi-tore ottiene il vantaggio della apprezzabile o assoluta certezza sull’ammontare del debito (a seconda del significato che si vuole attribuire al consolidamento) e quindi una maggiore trasparenza e leggibilità della proposta con conseguente maggiore probabilità di ottenere, oltre all’assenso del fisco, anche quello degli altri creditori. Tutto ciò ha però un costo che è dato dalla sostanziale necessità di accogliere tutte le pretese dell’Amministrazione, non es-sendo plausibile che la stessa, dopo aver indicato il proprio credito, accetti in questa sede di discuterlo e ridurlo.

29 V. SANTORO CAYRO, Sugli effetti “tipici” della transazione fiscale alla luce di due recenti pronunce della Suprema Corte, in Rass. trib., n. 1, 2012, p. 139.

30 V. TOSI, op. cit., p. 1084, secondo l’Autore, la successiva elevazione di provvedimenti impositivi renderebbe la transazione estremamente depotenziata.

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ri riconoscono sempre l’effetto preclusivo ritenendo, però, che non avrebbe molto senso imporre all’Amministrazione finanziaria di quantificare la pro-pria pretesa complessiva e su di essa definire l’accordo con il debitore e so-stanzialmente con gli altri creditori, se l’importo fornito dall’ufficio dovesse essere ritenuto solo indicativo e suscettibile di ulteriori integrazioni, magari tali da rendere inattuabile il concordato: se la ratio dell’istituto è da ravvisar-si non tanto nella finalità di ottenere un incasso più rapido e certo, ma so-prattutto nel favorire il recupero dell’impresa in difficoltà anche sgombran-do l’orizzonte dal “rischio fiscale”, sarebbe razionale interpretare la disposi-zione di cui al comma 2 nel senso di imporre all’ufficio la rinuncia ad avvalersi compiutamente degli strumenti di controllo ordinariamente riconosciutigli dalla legge, accettando di quantificare in modo sommario il credito per le an-nualità ancora non accertate

31. La dottrina contraria all’effetto preclusivo del consolidamento si attiene,

invece, al dato testuale dell’art. 182 ter, il quale non prevede espressamente, come sarebbe stato necessario, la preclusione all’esercizio dei normali poteri di accertamento e rettifica

32. Né tale preclusione potrebbe essere ricavata dal-la disposizione di cui al successivo comma 5 in materia di cessazione della materia del contendere, poiché questa contemplerebbe un effetto prettamen-te processuale e non potrebbe riguardare l’attività di accertamento: a riprova di ciò vi è la considerazione che, allorché il legislatore intende introdurre limi-ti all’esperimento di ulteriori attività di accertamento, fa ricorso ad espressioni verbali ad hoc, che esplicitamente menzionano tale effetto preclusivo

33. Altra dottrina, ancora, sottolinea come, ragionando diversamente, si do-

vrebbe ritenere che le norme tributarie relative al potere di accertamento

31 V. PANNELLA, L’incognita transazione fiscale, in Il Fallimento, 2009, p. 662. Secondo l’Autore, infatti, lo scopo della transazione, infatti, sarebbe quello di addivenire ad una ri-strutturazione definitiva, ed appunto non più modificabile, dei carichi fiscali concordata con l’ufficio, consentendo in tal modo all’impresa in crisi di tornare in bonis e “ripartire da zero”: la sopravvivenza dei poteri accertativi, pertanto, rischierebbe di vanificare la portata innovativa della disposizione, annullando gli encomiabili sforzi che il legislatore ha fatto a sostegno delle imprese in crisi. Nella transazione fiscale, dunque, tale dottrina ravviserebbe un proficuo strumento capace di imprimere un’accelerazione all’intero tessuto economi-co-produttivo italiano, puntando alla valorizzazione di quei complessi aziendali ancora in grado di produrre frutti tramite la definitiva sistemazione delle pendenze verso l’Erario, che rappresentano, nella maggior parte dei casi, buona parte del passivo d’impresa.

32 V. LA ROSA, Accordi e transazioni nella fase della riscossione dei tributi, in Riv. dir. trib., 2008, p. 330.

33 V. ATTARDI, Inammissibilità del concordato preventivo, cit., pp. 1-6440.

Anna Rita Ciarcia 41

degli Uffici, che ne disciplinano condizioni, modalità di esercizio e termini di decadenza, possano essere modificate da una norma assolutamente speci-fica e settoriale, inserita nel contesto della legge fallimentare, e che nemme-no prevede esplicitamente una siffatta deroga

34. Secondo un diverso orientamento, infine, si è cercato di inquadrare il con-

solidamento all’interno della struttura della procedura di concordato pre-ventivo, in cui la transazione fiscale si inserisce, ed alla tutela dei diritti di di-fesa di ambedue le parti protagoniste del sub-procedimento transattivo; alla luce di ciò, il consolidamento dei debiti d’imposta avrebbe una limitata por-tata procedimentale o endoconcorsuale, nel senso che la definizione del com-plessivo carico tributario varrebbe ai soli fini dell’espressione del voto del-l’Amministrazione finanziaria in sede di adunanza dei creditori, mentre sa-rebbe da escludersi ogni definitiva ed irretrattabile quantificazione di quel debito anche agli effetti dell’esecuzione del piano concordatario, fase duran-te la quale sarà sempre possibile sollevare contestazioni dinanzi al giudice competente

35. La giurisprudenza di merito

36 propende per la teoria della cristallizzazio-ne della pretesa tributaria; pertanto deve ritenersi precluso, all’Amministra-zione finanziaria, il potere di procedere ad ulteriori accertamenti, per gli an-

34 LA CROCE, Autonomia endoconcorsuale e non obbligatorietà della transazione fiscale nel concordato preventivo, in Il Fallimento, 2010, p. 149. Secondo il quale tale fattispecie sem-brerebbe piuttosto azzardata.

35 V. LA MALFA-MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, Rimini, 2010, p. 197. 36 V. Corte app. Torino, sez. I, dec. 6 maggio 2010, secondo la Corte, l’approvazione

della proposta di transazione fiscale da parte dell’Amministrazione finanziaria non è con-dizione necessaria per l’omologazione del concordato preventivo, ma permette il consoli-damento della posizione fiscale del debitore mediante la definizione degli accertamenti pendenti, la preclusione degli accertamenti futuri e la cessazione delle liti; Trib. Ravenna, dec. 19 gennaio 2011, per il Tribunale l’approvazione della proposta di transazione fiscale ha sì effetto condizionante, ma non dell’esito del concordato preventivo, bensì del conse-guimento da parte del debitore di quegli effetti insiti nel “consolidamento” della sua posi-zione fiscale con riguardo tanto ai tributi già iscritti a ruolo, quanto a quelli ancora in corso di determinazione; Corte app. Firenze, dec. 13 aprile 2010, secondo la Corte, la transazio-ne fiscale prevista dall’art. 182 ter L. fall., non è un procedimento obbligatorio, nel senso che l’imprenditore che si trovi nelle condizioni previste dall’art. 160 può formulare una pro-posta di concordato preventivo che preveda il pagamento integrale ovvero la falcidia dei cre-diti tributari, anche senza seguire l’iter descritto dall’art. 182 ter e dunque senza perseguire gli effetti di consolidamento del debito fiscale e della cessazione del contenzioso che la ci-tata norma ricollega all’esito positivo della transazione fiscale, la quale deve perciò essere considerata come facoltativa per quel debitore che, per qualsiasi motivo, non avesse inte-resse a conseguire gli effetti anzidetti.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 42

ni ancora possibili di controllo, purché, naturalmente, detta Amministrazio-ne abbia dato voto favorevole alla transazione fiscale.

Si può ritenere che la cristallizzazione caratterizzi il rapporto tra il contri-buente-debitore e l’Amministrazione finanziaria-creditrice; nessun altro cre-ditore, infatti, gode di una simile procedura di effettiva determinazione del credito.

Con riguardo al consolidamento del debito, deve concludersi che la pro-posta transattiva costituisce un accordo tra l’Amministrazione finanziaria e il debitore anche in relazione al quantum dell’obbligazione tributaria.

Resta, comunque, impregiudicato e conforme ai principi di buona fede e di legittimo affidamento, che, a seguito dell’adesione dell’Amministrazione alla transazione e con il passaggio in giudicato del provvedimento di omolo-gazione del concordato preventivo, si avrà il consolidamento del debito e non sarà più possibile, per l’Amministrazione stessa, modificare il quantum della pretesa.

In realtà l’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 40/E/2008, ha stabi-lito che il perfezionamento della transazione fiscale e il consolidamento del debito fiscale non impedirebbero in alcun modo all’Amministrazione finan-ziaria, sussistendone le condizioni, di esercitare il potere di controllo e de-terminare un maggior debito tributario nei confronti del debitore (come ac-cade per i periodi d’imposta per i quali non è stata ancora presentata alcuna dichiarazione, non essendo scaduti i relativi termini). Ciò in quanto il con-solidamento del debito fiscale a una certa data sarebbe unicamente funzio-nale a fornire un quadro complessivo e attendibile circa i debiti erariali

37. Nel caso in cui il debitore decida di proporre un concordato preventivo

senza l’istanza di transazione, però, non si verificherebbe alcuna cristalizza-zione del debito fiscale, per cui l’Amministrazione finanziaria potrebbe sem-pre far valere pretese ulteriori rispetto a quelle quantificate nella domanda ex art. 160 e le controversie tributarie pendenti continuerebbero il loro iter processuale.

37 A conferma di ciò, l’Agenzia delle Entrate, al fine di preservarsi la possibilità di ulte-riori e successivi controlli fiscali, di solito inserisce negli atti di transazione un clausola che stabilisce: «la transazione non pregiudica la possibilità, per l’Agenzia, di procedere ad ac-certamento e iscrivere a ruolo, nei termini previsti dalla legge, le ulteriori somme che risul-tassero eventualmente dovute in relazione a fattispecie diverse da quelle che hanno gene-rato il debito oggetto di transazione, anche se riferibili agli stessi periodi di imposta, senza che ciò costituisca causa risolutiva».

Anna Rita Ciarcia 43

3.2. La cessazione della materia del contendere

Un’ulteriore conseguenza dell’omologazione dell’accordo è la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi concordati (comma 5 dell’art. 182 ter); tale effetto, però, non si verifica per gli altri cre-ditori che, quando votano sulla proposta di concordato preventivo, sostan-zialmente formulano il loro consenso soltanto in relazione alla percentuale o alle modalità di soddisfacimento prospettate, ben potendo non solo persegui-re l’eventuale contenzioso in corso, ma iniziarlo anche ex novo qualora in di-saccordo con l’ammontare o la qualità dei crediti indicati nella domanda

38. La decisione di dichiarare in tutto o in parte non esigibile il credito tribu-

tario non dovrebbe avere alcun riflesso sulla debenza del tributo ovvero l’ob-bligazione tributaria resta dovuta, sebbene in tutto o in parte non esigibile

39. Ciò significa che con il decreto di omologazione si ha la cessazione della

materia del contendere 40.

La cessazione delle liti pendenti deve essere correttamente intesa in ter-mini di costo per l’imprenditore, essendo questi costretto a sottostare alle pre-tese contenute negli atti impositivi impugnati

41. Nello stesso senso, tra l’altro, si è espressa la Corte di Cassazione

42, se-condo la quale con la transazione fiscale il debitore ottiene il vantaggio della apprezzabile o assoluta certezza sull’ammontare del debito e quindi una mag-giore trasparenza e leggibilità della proposta con conseguente maggiore pro-babilità di ottenere, oltre all’assenso dell’Amministrazione finanziaria, anche quello degli altri creditori. Tutto ciò ha però un costo che è dato dalla so-stanziale necessità di accogliere tutte le pretese dell’Amministrazione finan-ziaria, non essendo plausibile che la stessa, dopo aver indicato il proprio cre-

38 V. Trib. Benevento, sez. fall., sent. 23 aprile 2014. 39 V. ATTARDI, Sul carattere necessario del procedimento amministrativo di transazione fi-

scale, in Riv. dir. trib., n. 5, 2012, p. 560; è come se, per effetto dell’omologazione del con-cordato, il debitore prestasse acquiescenza per la parte di debito che sarà soddisfatta in moneta concorsuale e l’Agenzia delle Entrate, dal canto suo, ritirasse l’atto impugnato per la parte falcidiata.

40 V. RANDAZZO, op. cit., p. 844, secondo il qual il far conseguire all’omologazione del concordato in maniera automatica la cessazione della materia del contendere nelle liti tribu-tarie possa ledere il diritto alla tutela giurisdizionale del debitore.

41 V. in tal senso: FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tribu-tari e nel concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da Buonocore-Bassi, Padova, 2010, I, p. 615.

42 V. Cass., sez. I, sent. 4 novembre 2011, n. 22931.

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dito, accetti in questa sede di discuterlo e ridurlo. Pertanto, escludendo il ri-corso alla transazione fiscale, il debitore non ottiene i richiamati benefici ma può optare per la contestazione della pretesa erariale in vista di un minore esborso se gli importi in contestazione non incidono in modo rilevante e se quindi il consenso dell’Amministrazione finanziaria non è decisivo ai fini del raggiungimento della maggioranza.

L’estinzione del contenzioso, infine, viene ritenuta una contropartita in virtù del beneficio del consolidamento del debito d’imposta

43. È nelle conseguenze che la transazione fiscale garantisce al contribuente

il beneficio della stessa e quindi, sebbene sia facoltativa, appare evidente che sia preferibile, per il debitore, presentare la proposta formale di transazione contestualmente al ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato pre-ventivo.

4. Le conseguenze in caso di annullamento del concordato preventivo

Occorre domandarsi quale effetto produca il concordato che venga suc-cessivamente annullato o risolto.

Parte della dottrina 44, sulla considerazione che la pregressa disciplina ri-

teneva che, nei casi di risoluzione per inadempimento, si verificasse il ripri-stino delle preesistenti posizioni, evidenzia come, considerato che la cessa-zione della materia del contendere è la conseguenza dell’accordo perfeziona-tosi all’interno del concordato, una volta venuto meno quest’ultimo non pos-sono che consolidarsi le pretese incardinate negli atti impositivi e cristalliz-zate nelle certificazioni emesse dall’ufficio finanziario e dall’agente della ri-scossione.

A tal proposito, infatti, occorre tenere in considerazione la natura impu-gnatoria del processo tributario, in base al quale gli eventi patologici che si verifichino alla chiusura della procedura non potrebbero far rivivere i giudizi originari di merito conclusisi per effetto dell’omologazione.

Ne consegue che la pretesa dell’Amministrazione finanziaria dovrà esse-re soddisfatta in misura integrale in base all’atto impositivo originario dive-nuto, ormai, definitivo.

43 V. SANTORO CAYRO, op. cit. 44 V. DEL FEDERICO, Questioni controverse sulla transazione fiscale, in Corr. trib., n. 29,

2010, p. 2377.

Anna Rita Ciarcia 45

Sarà infatti difficile per il contribuente ripristinare controversie ormai di-chiarate cessate per le quali saranno decorsi i termini per la proposizione del ricorso in Commissione oppure, sebbene i termini non siano decorsi, si sia verificato il principio della consumazione del potere impugnatorio, avendo il contribuente già impugnato l’atto, caducato a seguito di estinzione del giu-dizio per cessata materia del contendere.

A ciò si aggiunga, in ogni caso, che la natura endoprocedimentale della transazione ovvero la sua non autonomia rispetto al concordato non può che portare all’impossibile sopravvenienza della conciliazione effettuata in sede di transazione fiscale in caso di annullamento del concordato con la conse-guenza della cristallizzazione della pretesa impositiva originaria dell’Ammi-nistrazione finanziaria, che nello stesso senso si è espressa con la Circolare n. 40/E/2008; questa ha previsto che la cessazione della materia del con-tendere si produce con la chiusura della procedura e, quindi, con il decreto di omologazione, pertanto, una volta venuto meno il concordato si verifica la ripresa del contenzioso. Tale soluzione, in contrasto con la natura impu-gnatoria del processo tributario e senza tener conto dei termini decadenziali del giudizio, mira all’applicazione del favor rei

45. Nel momento in cui viene meno la causa che ha condotto alla cessazione

della materia del contendere, una ipotesi potrebbe essere quella di rimettere in termini il contribuente per potergli consentire di impugnare regolarmen-te l’atto

46; sarebbe troppo gravoso per il contribuente-debitore, che decida di ricorrere ad una procedura nata per salvare le sorti dell’impresa, vincolarlo alla riuscita della procedura e, nel caso questa dovesse caducare, rinunciare ad ogni legittima aspettativa processuale.

45 V. ATTARDI, Sul carattere necessario, cit., p. 561, secondo il quale in conseguenza della mancata attuazione del concordato, il processo prosegue riprendendo vitalità dal medesi-mo stadio in cui si era arrestato.

46 V. GAFFURI, op. cit., p. 1125; contra v. RANDAZZO, op. cit., p. 842 ss., il quale ritiene che la cessazione della materia del contendere opererebbe limitatamente alle controversie per le quali in sede concorsuale sia stata superata ogni contestazione sull’entità del credito fiscale, alle sole liti, cioè, di pronta soluzione, per le quali il mantenimento in vita del giudi-zio apparirebbe improduttivo e vano. Questa lettura sarebbe l’unica in grado di conformarsi all’art. 24 Cost. e, contemporaneamente, anche al rispetto della par condicio creditorum, che verrebbe alterata a vantaggio del Fisco, accogliendo l’opposta interpretazione, poiché l’e-stinzione del giudizio potrebbe portare al consolidamento di una pretesa fiscale maggiore di quella che si sarebbe determinata all’esito di un ordinario processo, soprattutto laddove le ragioni prospettate dal ricorrente apparissero serie e fondate.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 46

5. L’intangibilità del credito IVA

L’art. 182 ter, comma 1, precisa che non possono formare oggetto della transazione «i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea».

Nella Circolare n. 40/E/2008, l’Agenzia, in attuazione di quanto obbligato dalle Direttive UE, escludeva la possibilità di transigere l’IVA, in ragione della natura di tributo costituente risorsa propria della Comunità europea

47; al fine di mitigare la rigidità in materia di IVA, la Circolare stabiliva che l’esclusio-ne riguardasse il solo tributo, pertanto erano passibili di transazione gli inte-ressi e le sanzioni.

La prassi ministeriale, però, non è stata seguita dalla giurisprudenza di merito

48, la quale ha evidenziato che l’IVA non debba ritenersi tributo costi-tuente risorsa propria dell’Unione Europea, in quanto si configura come tri-buto nazionale, perimetrato allo 0,5% del prodotto nazionale lordo dei di-versi Stati.

Le incertezze interpretative della giurisprudenza hanno indotto il legi-slatore ad intervenire; pertanto, con l’art. 32, comma 5, D.L. n. 185/2008, convertito dalla L. n. 2/2009, è stato modificato il comma 1 dell’art. 182 ter e si è disposto che «con riguardo all’imposta sul valore aggiunto, la propo-

47 V. così come indicato dalla Direttiva del Consiglio n. 2006/112/CE del 28 novem-bre 2006, nella quale si legge: il bilancio delle Comunità europee, salvo altre entrate, è in-tegralmente finanziato da risorse proprie delle Comunità. Dette risorse comprendono, tra l’altro, quelle provenienti dall’IVA, ottenute applicando un’aliquota comune ad una base im-ponibile determinata in modo uniforme e secondo regole comunitarie.

48 V. Trib. Milano, dec. 16 aprile 2008; Trib. Milano, sez. II., dec. 13 dicembre 2007, secondo i giudici milanesi, «la quota di IVA dovuta dallo Stato Membro alla Unione Eu-ropea nulla ha a che vedere con il tributo IVA dovuto dal contribuente italiano ed ammini-strato dalle Agenzie fiscali. L’imponibile IVA di uno Stato Membro della Comunità Euro-pea è solo il parametro cui applicare una aliquota concordata da tutti i paesi membri [...] (parametro) che prescinde dalla riscossione dell’imposta dovuta dal singolo contribuente italiano e, quindi, qualunque sia la percentuale di pagamento del credito IVA proposta dal ricorrente nella transazione fiscale ex art. 182 ter L.F., essa non modificherà mai l’imponi-bile nazionale su cui calcolare la risorsa spettante alla CEE. Conseguentemente l’IVA, qua-le imposta nazionale amministrata dalle Agenzie Fiscali, non rientra tra le risorse proprie dell’Unione Europea; da ciò discende che l’IVA può essere oggetto di transazione fiscale ex art. 182 ter e, quindi, di patrizia previsione di pagamento percentuale. E, più in generale, il collegio concorda con autorevole dottrina nel ritenere che la transazione ex art. 182 ter può comprendere tutti i tributi erariali (ad es. IRPEF, IRES, IVA, REGISTRO, ecc.) e non erariali (ad es. IRAP), dovendosi intendere per «Amministrazione [...] il fascio dei poteri funzionali al controllo, all’accertamento ed alla riscossione del tributo»; nello stesso sen-so: Trib. Bologna, dec. 26 ottobre 2006.

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sta (di transazione fiscale) può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento».

L’intervento legislativo è stato ritenuto come un sostegno, di fatto, alla tesi dell’Amministrazione finanziaria, la quale, con la Circolare n. 14/E/2009

49, emanata proprio al fine di chiarire le modifiche apportate dal suddetto art. 32, ha stabilito che è possibile presentare domanda di transazione fiscale an-che per il debito IVA, esclusivamente, però, al fine di ottenere una dilazione del pagamento e non anche una decurtazione del suo ammontare, in ogni ca-so si può prevedere il pagamento parziale o anche dilazionato del credito re-lativo agli accessori all’IVA, ovvero le ritenute effettuate e non versate. L’Am-ministrazione, poi, con la Circolare n. 19/E/2015 ha ribadito che, in consi-derazione della normativa e della giurisprudenza attualmente vigenti, la pre-visione legislativa della sola modalità dilatoria in riferimento al trattamento del credito IVA costituisce condizione di ammissibilità della proposta di con-cordato preventivo, a prescindere dalla presentazione o meno della doman-da di transazione fiscale.

La Corte di Cassazione 50 ha chiarito in proposito che il credito dello Sta-

to relativo all’IVA sarebbe intangibile, poiché il tributo deve essere configu-rato quale risorsa propria dell’Unione Europea; la Corte, inoltre, ritiene che per inquadrare l’IVA nelle risorse comunitarie occorre far riferimento non al gettito effettivo (venendo in realtà il contributo per l’IVA calcolato prescin-dendo da questo) bensì alla specie di tributo individuata quale parametro per il trasferimento di risorse all’Unione e la cui gestione, sia normativa che ese-cutiva, è di interesse comunitario e come tale sottoposta a vincoli

51.

49 V. Circolare 10 aprile 2009, n. 14/E. 50 Cass., sez. I, sent. 4 novembre 2011, n. 22931. 51 V. Cass., sez. V, sent. 16 maggio 2012, n. 7667; la Corte, condivide i principi stabili dal-

la sent. n. 22931/2011, anche alla luce della Decisione del Consiglio del 7 giugno 2007 (2007/436/CE, Euratom), relativa al sistema delle risorse proprie delle comunità europee, la quale ha stabilito (ribadendo quanto già disposto dalla precedente Decisione del 29 settem-bre 2000, 2000/597/CE, Euratom) che «costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio generale dell’Unione europea» le entrate derivanti, fra l’altro, «dall’applicazione di un’ali-quota uniforme, valida per tutti gli Stati membri, agli imponibili IVA armonizzati, determina-ti secondo regole comunitarie» (art. 2, comma 1, lett. b). Il concetto è confermato dalla Di-rettiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’im-posta sul valore aggiunto (v. Ottavo considerando), ed è stato da ultimo ribadito dalla recen-tissima sentenza della Corte di Giustizia, 29 marzo 2012, causa C-500/10, Belvedere Costru-zioni srl. Ne consegue, conclude la Corte, che la falcidia dell’IVA non è ammissibile neanche per i concordati preventivi soggetti alla disciplina dell’art. 182 ter L. fall., nel testo anteriore alla modifica operata dal D.L. n. 185/2008, art. 32, conv. nella L. n. 2/2009.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 48

Ancora, secondo sempre la Corte, il contribuente-debitore che abbia deci-so di avviare il concordato ma senza la proposta transattiva, sarà obbligato ad adempiere integralmente all’obbligazione tributaria relativa all’IVA e non sarà ammissibile un pagamento in misura percentuale di tale imposta. Infatti, non avrebbe alcuna giustificazione logica e non sarebbe credibile che il legislatore abbia inteso lasciare alla scelta discrezionale del debitore l’assoggettamento all’onere dell’integrale pagamento dell’IVA, optando per la transazione fiscale oppure avvalersi della possibilità di proporne un pagamento parziale deci-dendo per il concordato senza transazione e quindi rimanendo vincolato solo all’obbligo di pagare integralmente il debito nei limiti del valore dei beni sui quali grava la garanzia, peraltro spesso insussistente come nel caso di imposta gravante sul valore della prestazione di servizi. A parte tale considerazione, prosegue la Corte, ciò che convince dell’inderogabilità della disposizione del-l’art. 182 ter, qualunque sia l’opzione del creditore, è la natura della stessa in quanto non si tratta di norma processuale come tale connessa allo specifico procedimento di transazione fiscale, ma di norma sostanziale poiché concer-ne il trattamento dei crediti nell’ambito dell’esecuzione concorsuale dettata da motivazioni che attengono alla peculiarità del credito e prescindono dalle particolari modalità con cui si svolge la procedura di crisi.

Ne consegue che né dall’art. 160, né dall’art. 182 ter L. fall., può essere desunta una volontà legislativa che ponga in dubbio il principio di indisponi-bilità della pretesa tributaria in riferimento al debito IVA, risorsa propria UE, consentendone il pagamento dilazionato al di fuori degli accordi di transa-zione fiscale. Del resto l’accesso alla procedura di concordato preventivo è at-to di autonomia privata del debitore, che mira a sfociare nel c.d. patto con-cordatario con i creditori. Una scelta di questo genere, tutta interna alla vo-lontà del debitore, non può portate, come sua conseguenza, ad elidere gli ob-blighi giuridici, specie quelli aventi rilievo pubblicistico, come la previsione del versamento dell’IVA alla scadenza di legge, la cui omissione è sanzionata penalmente

52. Nonostante l’intervento della Suprema Corte, la giurisprudenza di meri-

to ha continuato ad avere orientamenti altalenanti, tra chi sosteneva i prin-cipi sanciti dalla Cassazione

53 e chi, invece, se ne dissociava, propendendo

52 V. Cass. pen., sez. III, sent. 12 giugno 2014, n. 24875. 53 V. Trib. Brescia, sezione specializzata in materia di imprese, sent. 11 giugno 2013; per i

giudici l’orientamento della Cassazione va consolidandosi (alla Pronuncia n. 22931/2011 è seguita Cass. n. 7667/2012), ma addirittura giustificata in una prospettiva sistematica dal

Anna Rita Ciarcia 49

per l’ammissibilità della falcidia del credito IVA all’interno del concordato ma in assenza di proposta transattiva

54. sopravvenuto art. 18, D.L. n. 179/2012, che, nel novellare la disciplina (ora indiscutibil-mente concorsuale) della crisi da c.d. “sovraindebitamento” e, segnatamente, l’art. 7, L. n. 3/2012, ha sì attribuito al debitore la possibilità di declassare i crediti privilegiati secondo un criterio analogo a quello di cui al comma 2 dell’art. 160 L. fall., facendo, tuttavia, salva l’obbligatorietà dell’integrale pagamento dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, dell’imposta sul valore aggiunto e delle ritenute operate e non versate, in ordine alle quali il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento; il rilievo è di-rimente: è definitivamente esplicitata la volontà del legislatore di stabilire, con riguardo alle procedure concorsuali diverse dal fallimento, un regime preferenziale per i crediti so-pra menzionati rispetto a tutti, gli altri crediti privilegiati anche di grado poziore, non po-tendosi ammettere, nell’attuale quadro normativo, una disomogeneità tra il trattamento dei creditori del debitore che possa accedere al concordato in quanto fallibile ex art. 1 L. fall. e quello dei creditori del debitore non fallibile che possa accedere esclusivamente alla procedura da “sovraindebitamento”; nello stesso senso: Trib. Vicenza, dec. 18 aprile 2013; Trib. Brescia, dec. di inammissibilità del 5 giugno 2013, confermato poi in sede di reclamo dalla Corte app. Brescia, 13 settembre 2013, i giudici hanno inteso ribadire il principio di diritto, già fatto proprio dalla Suprema Corte di Cassazione nel 2011, secondo cui, a pre-scindere dalla applicazione o meno della disciplina della transazione fiscale ex art. 182 ter L. fall., non sarebbe ammissibile procedere con una falcidia del credito IVA all’interno di una domanda di concordato preventivo; Trib. Padova, sez. I, dec. 30 maggio 2013, i giudi-ci ritengono l’esistenza nel nostro ordinamento del principio secondo cui chi intende pre-sentare un piano concordatario deve necessariamente prevedere l’integrale pagamento dei debiti erariali per IVA e ritenute operate e non versate, costituendo tale integrale paga-mento condizione di ammissibilità della proposta concordata.

54 V. Trib. Ascoli Piceno, dec. 14 marzo 2014, secondo i giudici la previsione del com-ma 1 dell’art. 182 ter L. fall. opera esclusivamente ogni qual volta l’imprenditore voglia, e soprattutto possa, avvalersi dei vantaggi dell’istituto della transazione fiscale (quali il c.d. consolidamento del debito tributario e l’estinzione dei giudizi pendenti), avendone le ri-sorse. In tal caso infatti il debitore sceglie di utilizzare i vantaggi della transazione nella piena consapevolezza della non negoziabilità del credito IVA e dei crediti per ritenute per i quali l’Amministrazione può unicamente assentire ad un pagamento dilazionato; Trib. La Spezia, dec. 24 ottobre 2013, in tale decreto, il giudice ligure ha ritenuto che il divieto di falcidia del credito relativo all’IVA costituisce un limite imposto esclusivamente alla pro-posta di transazione fiscale, finalizzata a regolare in modo definitivo i rapporti con il Fisco nell’ambito del concordato, onde evitare che i possibili mutamenti del carico fiscale pos-sano compromettere l’esito della procedura; secondo la predetta pronuncia, tale divieto non può, pertanto, essere esteso in via analogica alla disciplina generale del concordato di cui all’art. 160 L. fall.; Trib. Campobasso, sent. 29 luglio 2011, secondo la quale «il paga-mento integrale dell’IVA è previsto solo dall’art. 182-ter L. fall. per cui la tesi della Suprema Corte, sulla natura sostanziale dell’obbligo di pagamento integrale dell’IVA, renderebbe detto credito superprivilegiato in senso sostanziale, creando, altresì, disparità di trattamen-to del concordato preventivo rispetto ad altre procedure concorsuali. Quando l’utilizzo della transazione fiscale non sia ritenuto conveniente, il debitore potrà sempre proporre un sod-disfacimento parziale dei debiti tributari e contributivi incapienti. Naturalmente, in questo

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Un orientamento giurisprudenziale 55, inoltre, ha riconosciuto la legitti-

mità dell’apertura della procedura di concordato preventivo qualora il ricor- caso, non si produrranno gli effetti tipici della transazione, vale a dire la definitiva quantifi-cazione della posizione debitoria verso il Fisco e la correlata cessazione dei contenziosi pen-denti»; Trib. Como, sent. 25 settembre 2013, la quale, nel confutare la natura sostanziale del credito IVA, non ha mancato di osservare che «la qualificazione della norma in termini sostanziali e, quindi, l’inerenza della stessa alla collocazione del credito, dovrebbe compor-tare l’operatività non solo in tutte le procedure concorsuali, ma anche nelle procedure ese-cutive individuali, con la conseguenza che l’estensione della regola del trattamento del credi-to IVA dall’ambito della transazione fiscale a quello concordatario, lascerebbe impregiudi-cata l’imparità di trattamento del medesimo credito nelle procedure esecutive individuali, imparità non consona alla sottolineata peculiare rilevanza comunitaria del credito de quo, e ciò anche a prescindere dal carattere speciale della previsione dettata nella sola disciplina della transazione fiscale. Ritiene quindi il Collegio che appaia maggiormente coerente la tesi secondo la quale il trattamento dell’IVA e delle ritenute previdenziali operato nella sola transazione fiscale trovi giustificazione nello ‘scambio’ tra Erario o enti previdenziali e debitore proponente che è tipica dell’istituto in questione, laddove nell’ambito concorda-tario può astrattamente ritenersi ammissibile la falcidia del credito in questione al pari di tutti gli altri crediti muniti di privilegio generale, con l’unico limite sancito dall’art. 160, comma 2, l. fall.».

55 V. Trib. Cosenza, dec. 29 maggio 2013. La vicenda, sottoposta all’esame dei giudici, scaturisce dalla presentazione di un concordato preventivo non corredato dalla proposta di transazione fiscale, con il quale tra i debiti soggetti a decurtazione erano compresi anche l’IVA e le ritenute operate e non versate. In particolare, con la domanda di concordato e in relazione ai debiti tributari, costituiti in misura preponderante dalle ritenute non versate, ve-nivano avanzate due proposte di cui, una in via principale, dove veniva prevista la riduzione degli importi originariamente dovuti, e l’altra, aderente al dettato normativo, di integrale pa-gamento del debito fiscale. Le due opzioni erano state avanzate in conseguenza del fatto che l’orientamento giurisprudenziale – tenuto anche conto delle modifiche normative intervenu-te all’interno della transazione fiscale, con le quali in tema di IVA e di ritenute è prevista esclusivamente la dilazione del pagamento – è pressoché unanime nel ritenere che l’IVA deb-ba essere in ogni modo integralmente pagata anche nell’ipotesi in cui all’interno del piano concordatario non sia stata prevista l’istanza di transazione (Cass. n. 22932/2011). Il con-vincimento dei giudici di rendere ammissibile la procedura concordataria è passato attraver-so un’attenta ricostruzione esegetica della normativa vigente e della giurisprudenza sull’argo-mento. La prima questione affrontata dal collegio è stata quella di evidenziare come nel caso di specie la parte delle imposte per cui si chiedeva la falcidia era rappresentata in maniera dominante dalle ritenute non versate piuttosto che dal debito per l’IVA. La precisazione ri-sultava importante in virtù del fatto che, sebbene precedenti di merito (Trib. Milano 22 no-vembre 2012) avessero stabilito l’intangibilità delle ritenute, la Corte di Cassazione non si è mai espressa su questo aspetto. La possibilità, quindi, del pagamento parziale dell’IVA e delle ritenute, in assenza di transazione fiscale, viene giustificata dal collegio facendo tutta una se-rie di considerazioni di ordine sistematico. In pratica i giudici, consci dei diversi orienta-menti emersi in merito alla questione hanno preferito, piuttosto che adeguarsi ai principi espressi dalla Cassazione, cercare un’interpretazione costituzionalmente conforme della nor-ma da applicare.

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so, nonostante la mancata presentazione della proposta di transazione fisca-le prevista dall’art. 182 ter L. fall., comprenda comunque la falcidia dell’IVA, e soprattutto delle ritenute operate e non versate. In particolare, si è ritenu-to che, con un’interpretazione sistematica e costituzionale, si perveniva alla conclusione che il pagamento integrale delle ritenute è una norma eccezio-nale da circoscrivere solo all’interno della procedura concordataria accom-pagnata dalla transazione fiscale.

Un’interpretazione restrittiva sulla non transabilità dell’IVA e, nel caso specifico, delle ritenute, diminuirebbe la portata dell’istituto rendendolo pressoché improponibile, anche in considerazione dell’inderogabilità delle cause legittime di prelazione contenute nelle norme concordatarie.

Ogni ulteriore dubbio è stato, però, chiarito dall’intervento della Corte co-stituzionale nel 2014, la quale ha sancito che, in sede di concordato preven-tivo, è legittima la transazione fiscale solo dilatoria del credito IVA, essendo vietato allo Stato membro disporre una rinuncia generale, indiscriminata e preventiva, al diritto di riscossione dell’imposta, quale risorsa propria del-l’Unione Europea

56.

56 V. Corte cost., sent. 15 luglio 2014, n. 225. La Corte è stata investita della questione dal Tribunale di Verona, innanzi al quale una società aveva presentato un giudizio di am-missibilità di un concordato nel quale era previsto un pagamento nella misura del 41,12% dell’IVA. Il giudice, sebbene ritenesse che il pagamento parziale dell’IVA fosse inammissi-bile per la natura sostanziale dell’art. 182 ter L. fall., e per la finalità della transazione fiscale di approntare una soluzione alla crisi aziendale nella procedura di concordato preventivo (Cass., sentt. nn. 22931/2011, 22932/2011), sosteneva anche che l’applicazione della tran-sazione fiscale solo dilatoria avrebbe comportato la violazione sia dell’art. 97 Cost. (in quanto l’eventuale inammissibilità della proposta di pagamento parziale avrebbe impedito all’Amministrazione finanziaria di valutare la convenienza del piano con il conseguente pre-giudizio per l’economicità e la massimizzazione delle risorse acquisibili per lo svolgimento dei compiti istituzionali dello Stato), sia dell’art. 3 Cost. (riservando al Fisco un trattamen-to deteriore rispetto agli altri creditori privilegiati, che possono accettare un pagamento inferiore al credito, ma superiore a quello ricavabile dalla liquidazione del patrimonio del debitore – art. 160, comma 2, L. fall.). La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 160 e 182 ter L. fall. e ha ritenuto che tali norme non violano l’art. 97 Cost., in quanto la previsione legislativa della sola modalità dilatoria per la transazione fiscale avente a oggetto il credito IVA deve essere intesa come il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo; e neppure violano l’art. 3 Cost., poiché la previsione di una de-roga al principio di indisponibilità della pretesa tributaria, circoscritta ex lege alla sola dila-zione di pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, si giustifica proprio per il persistere della possibilità, per il Fisco, di riscuotere il tributo in futuro, con la contestuale approva-zione di un piano di concordato idoneo a consentire il graduale superamento dello stato di

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Un’apertura, però, sembra arrivare dalle conclusioni presentate il 14 gennaio 2016 dall’Avvocato Generale della Corte Giustizia UE nella causa C-546/14: secondo l’Avvocato generale, i principi comunitari non preclu-dono a uno Stato membro di accettare da parte di un imprenditore in dif-ficoltà finanziaria, nell’ambito di un concordato preventivo basato sulla li-quidazione del suo patrimonio, un pagamento parziale del debito IVA; in-fatti né l’art. 4, par. 3, TUE, né la Direttiva 2006/12/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore ag-giunto, ostano a norme nazionali come quelle di cui trattasi nel procedi-mento principale, qualora tali norme debbano essere interpretate nel sen-so di consentire ad un’impresa in difficoltà finanziaria di effettuare un con-cordato preventivo che comporta la liquidazione del suo patrimonio senza offrire il pagamento integrale dei crediti IVA dello Stato, a condizione che un esperto indipendente concluda che non si otterrebbe un pagamento maggiore di tale credito in caso di fallimento e che il concordato sia omo-logato dal giudice

57. Deve, infine, ritenersi inammissibile il concordato preventivo che preve-

da una proposta di transazione fiscale con pagamento del credito IVA in mi-sura inferiore all’importo indicato dall’Amministrazione finanziaria, anche in pendenza di contestazione della pretesa innanzi al giudice tributario

58. crisi dell’impresa. Senza disparità di trattamento con la procedura fallimentare nella quale è, invece ammessa una riduzione del credito. La Consulta, in proposito, ha chiarito che con-cordato preventivo e procedura fallimentare hanno diverse finalità: lo scopo del primo è di consentire all’impresa di continuare la propria attività previa approvazione di un piano di ristrutturazione dei debiti da parte dei creditori (in questo caso, l’indisponibilità del credi-to IVA è volta a evitare che l’Erario sia soggetto all’arbitrio dei creditori); diversamente, la procedura fallimentare è preordinata alla liquidazione dell’impresa e al soddisfacimento dei creditori con l’attivo residuo (il rischio di eventuali pregiudizi non sussiste poiché il Tribunale, emessa la sentenza dichiarativa del fallimento, approva lo stato passivo con atto autoritativo).

57 V. Corte UE, causa C-546/14, Degano trasporti. 58 V. Corte app. Bologna, sez. III, sent. 3 novembre 2014, n. 2255, secondo i giudici il

credito erariale è autodeterminato, caratterizzato da presunzione di veridicità, munito di autotutela esecutiva e l’impugnazione degli atti dell’Amministrazione Finanziaria non ren-de l’ammontare della pretesa disponibile, né consente un accordo sulla sua determinazione nell’ambito della procedura concordataria. Secondo la società, fin quando il credito IVA non è stato definitivamente determinato, sia nell’an sia nel quantum, non è possibile sostenere una sua intangibilità, essendo il medesimo credito fino a tale momento una mera presun-zione di sussistenza del credito attestato. In proposito, secondo la sentenza, la competente Agenzia delle Entrate non potrebbe comunque mai consentire ad una società che non estin-

Anna Rita Ciarcia 53

6. Conclusioni

All’interno della procedura concordataria l’Amministrazione finanziaria non riveste un ruolo dominante ma viene considerato alla stregua degli altri creditori, con la conseguenza che, il voto contrario o il mancato esercizio del voto, corrispondente al diniego della proposta, non pregiudica la sua omo-logazione.

Diverso è nella transazione fiscale, che il contribuente può decidere di proporre, essendo facoltativa; in essa appare evidente la forte discrezionalità dell’agire dell’Amministrazione.

Nella transazione, inoltre, il legislatore consente la deroga al tradizionale principio della indisponibilità dell’obbligazione tributaria e lo scopo della de-roga è evitare, per quanto possibile, il dissesto irreversibile dell’impresa e pre-venirne il fallimento.

L’Agenzia delle Entrate, anche sulla base dei documenti prodotti dal de-bitore a corredo della domanda di concordato preventivo, dovrà valutare la convenienza economica al fine di stabilire se aderire alla proposta di transa-zione del debito fiscale. Tra gli elementi da prendere in considerazione par-ticolare rilevanza assume il rapporto fra le entrate che possono essere riscos-se mediante la proposta di transazione, rispetto a quelle ottenibili a seguito dell’istaurarsi di una successiva procedura concorsuale quale il fallimento.

In altri termini, occorre una comparazione con il minor gettito even-tualmente derivante dall’eventuale fallimento dell’impresa, ovvero una valu-tazione basata sui parametri di economicità e proficuità dell’accordo. Nella valutazione si dovrà tener conto dell’eventuale effettiva possibilità di una migliore soddisfazione del credito erariale in sede di accordo transattivo, ri-spetto all’ipotesi di avvio di una procedura concorsuale di fallimento, in considerazione anche dei principi di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa, nonché della tutela degli interessi erariali.

Permangono, però, alcune incertezze applicative dell’istituto. La prima incertezza riguarda lo stato di crisi dell’impresa; la norma, infatti,

richiede che non sia irreversibile, al fine di agevolare la ripresa dell’impresa. Ciò però non sempre si verifica perché, nella pratica, le aziende quando pre- gua il sottostante debito IVA, in misura pari a quanto “certificato” dal medesimo concessio-nario ai sensi dell’art. 182 ter, comma 2, L. fall., neppure se vi ravvisasse in siffatta soluzione una reale convenienza economica, a vantaggio dell’Erario, per l’assorbente ragione che la medesima non è titolare di alcun potere dispositivo, idoneo a legittimare la relativa “rinun-cia”, anche solo parziale.

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sentano la proposta di transazione sono già in una fase di crisi avanzata, con poche possibilità di poter risanare la posizione debitoria.

La seconda incertezza riguarda la troppa discrezionalità in sede decisio-nale per l’Agenzia delle Entrate; la valutazione circa la fattibilità della propo-sta transattiva sarà fatta, caso per caso, sulla base di proprie autonome valu-tazione da parte delle Agenzie territoriali.

In questo modo, però, si rischia di non rispettare il principio costituzio-nale di uguaglianza di cittadini, in virtù della succitata autonomia degli uffici territoriali e soprattutto si attribuisce troppo potere discrezionale in capo agli Uffici periferici delle Agenzie che potrebbe portare a valutazioni censu-rabili in merito alla disparità di trattamento.

Le ulteriori incertezza riguardano, infine, gli effetti della transazione. Quanto al consolidamento, nonostante la dottrina e la giurisprudenza pro-

pendano, alla luce dei principi della buona fede e del legittimo affidamento, per una preclusione per gli uffici dal proseguire l’attività accertativa, la prassi dell’Agenzia continua a riconoscerle la possibilità di modificare il debito tri-butario.

Epperò, qualora gli uffici potessero mettere in discussione i risultati con-cordati con la controparte privata, ponendo in essere una successiva attività accertativa, l’accordo transattivo perderebbe significativamente di efficacia, divenendo poco appetibile: così interpretata, infatti, la norma di cui all’art. 182 ter rischierebbe di non trovare applicazione alcuna nella pratica, in quan-to il debitore non trarrebbe alcun effettivo giovamento dalla transazione, mentre tutti gli altri creditori sarebbero esposti all’alea della effettiva realiz-zazione del piano di concordato, compromessa proprio della sopravvenienza di nuovi o maggiori tributi conseguenti ad atti impositivi emanati successi-vamente alla chiusura della procedura concorsuale.

Si deduce, quindi, che l’interpretazione più ragionevole della nozione di consolidamento, o meglio l’unica che potrebbe consentire di evitare il depo-tenziamento della transazione, sia quella che esclude del tutto la possibilità di emanare, successivamente all’intervenuta omologazione del concordato, at-ti di imposizione a carico del contribuente, con la conseguente preclusione di ulteriori controlli di merito sui tributi oggetto della proposta di cui all’art. 182 ter.

Quanto, infine, alla cessazione della materia del contendere, permane il problema nel caso in cui, per un qualunque motivo non venisse omologato il concordato, il contribuente si troverebbe con atti impositivi divenuti ormai definitivi o non più impugnabili per decorrenza dei termini.

Anna Rita Ciarcia 55

In proposito, una soluzione potrebbe essere quella di non dichiarare cessa-ta materia del contendere in caso di presentazione dell’istanza di transazione, ma i giudizi dovrebbero essere sospesi in attesa che venga chiusa la proce-dura e si attui il concordato

59.

59 Lo stesso problema della cessazione della materia del contendere si propone anche nell’ipotesi della conciliazione giudiziale; anche in tal caso, infatti, a seguito dell’accordo viene dichiarata la cessata materia del contendere. In realtà solo il versamento del quantum conciliato perfeziona la conciliazione. La giurisprudenza, nel caso de quo, ritiene infatti che la lite deve «proseguire nello stato in cui si presentava al momento della sua sperata defini-zione consensuale, senza che l’Ufficio potesse mai iscrivere a ruolo le somme indicate nel-l’atto conciliativo, poiché ormai tamquam non esset» (v. Cass., sez. trib., 19 dicembre 2013, n. 28364, che rinvia al principio sancito dalla Suprema Corte con la sent. 21 aprile 2011, n. 9219; negli stessi termini, v. altresì Cass., sez. trib., 13 febbraio 2009, n. 3560 e Cass., sez. trib., 25 novembre 2011, n. 24931).

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Rossella Miceli

TASSAZIONE AMBIENTALE E SISTEMA TRIBUTARIO NAZIONALE: NUOVE LINEE GUIDA PER LE REGIONI DALLA SENTENZA DELLA CORTE COST. N. 58/2015

ENVIRONMENTAL TAXATION AND THE ITALIAN TAX SYSTEM: NEW GUIDELINES FOR REGIONS STEMMING FROM DECISION

N. 58/2015 OF THE ITALIAN CONSTITUTIONAL COURT

Abstract Il tema della tassazione ambientale ha oggi assunto particolare importanza nella materia tributaria, soprattutto in seguito agli impulsi europei ed internazionali. L’attuazione di una efficace politica di tassazione ambientale è però condizionata dalla disciplina nazionale in materia di federalismo fiscale, in quanto è necessario riconoscere poteri di governo sul territorio alle Regioni. Dopo alcuni segnali di evoluzione di segno diverso, la sentenza della Corte cost. n. 58/2015 traccia le nuove prospettive della politica fiscale ambientale italiana, con particolare riguardo alla possibilità per le Regioni a Statuto ordinario di introdurre tributi propri (am-bientali) sul territorio. Modificando un precedente orientamento che aveva mo-strato maggiori aperture sul tema, nella Pronuncia n. 58/2015 si individuano tre principi generali che – d’ora innanzi – definiranno il potere di istituire tributi pro-pri: la competenza, la continenza e la prevalenza. In base alla competenza ed alla continenza non è possibile per le Regioni a Statuto ordinario istituire tributi pro-pri nella materia ambiente, in quanto di competenza esclusiva dello Stato. Si po-tranno istituire tributi propri soltanto in relazione a presupposti riferibili a materie affini all’ambiente, che siano devolute alla competenza concorrente Stato-Regio-ni o esclusiva delle Regioni, laddove il tema oggetto del presupposto superi un giudizio di prevalenza in relazione alla materia affine all’ambiente. In questo mo-do si definiscono tre possibili livelli di evoluzione della politica ambientale italia-na: quello statale, quello delle Regioni a Statuto ordinario e quello delle Regioni a Statuto speciale. Parole chiave: federalismo fiscale, tributi propri, art. 117 Cost., ambiente, con-tinenza

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The issue of environmental taxation has nowadays reached great relevance in tax law, especially following European and international impulses. However, the enforcement of an effective environmental taxation policy shall be subject to national principles of fiscal federalism, since it is necessary to recognise to the Regions powers of government on their territories. After a great debate, decision no. 58/2015 of the Italian Constitu-tional Court (ICC) provides new perspectives for the domestic environmental tax po-licy, with particular regard to the possibility for Regions with ordinary autonomy to introduce “proper” environmental taxes on their territories. Modifying a previous ap-proach that expressed greater openness on this issue, the commented decision identifies three general principles that – hereinafter – will define the power to establish regional “proper” taxes: competence, continence and prevalence. According to the competence and continence principles it is prohibited for Regions with ordinary autonomy to esta-blish regional “proper” environmental taxes, since on this matter the State has exclusi-ve competence. Regions with ordinary autonomy will be able to establish their own ta-xes regarding matters only related to the environment, which have been devolved to the concurrent legislative competence between central State and Regions or to the exclu-sive competence of the Regions, if the link between the taxable fact prevails over the en-vironment matter. It follows that there are three possible levels of development of the Italian environmental policy: State, Regions with ordinary autonomy and Regions with special autonomy. Keywords: fiscal federalism, regional “proper” taxes, art. 117 Italian Constitution, en-vironment, continence

SOMMARIO: 1. Premessa sistematica. – 2. Tassazione ambientale e ordinamento giuridico: inquadramento generale. I tre livelli di sviluppo del tema. – 3. Disciplina dell’ambiente e federalismo nazionale. – 3.1. Il legame concettuale tra il federalismo fiscale e la tutela (anche fiscale) dell’ambiente. – 3.2. La disciplina specifica sulla materia “ambiente” ad esito della riforma in materia di federali-smo fiscale. Le possibili aperture. – 3.3. I principi in materia di istituzione di tributi propri da parte delle Regioni a Statuto ordinario. La continenza. – 3.4. I principi in materia di istituzione di tributi propri nelle Regioni a Statuto speciale e nelle Province autonome. – 4. I principi defi-niti dalla sentenza della Corte cost. n. 58/2015. – 4.1. La “rigorosa” difesa del principio di con-tinenza con riguardo alla materia ambiente. – 4.2. La continenza quale necessaria declinazione del principio di competenza. – 4.3. La permanenza della natura trasversale del bene ambiente in una nuova definizione. – 4.4. Il giudizio di prevalenza. – 5. Considerazioni conclusive. – 5.1. Le prospettive della tassazione ambientale nell’ambito delle Regioni a Statuto ordinario. L’istitu-zione dei tributi ambientali secondo i principi di competenza, continenza e prevalenza. – 5.2. I diversi livelli di sviluppo della tassazione ambientale in ambito nazionale. Le prospettive. La legge delega sulla riforma del Titolo V della Costituzione e sulla riforma del sistema tributario.

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1. Premessa sistematica

La politica ambientale ha assunto nell’ultimo cinquantennio un ruolo de-terminante all’interno del panorama giuridico internazionale, europeo e na-zionale.

In questi contesti, infatti, è emerso gradualmente come al fine di garanti-re una sopravvivenza delle generazioni future sia necessario approntare poli-tiche finalizzate alla tutela, alla promozione ed alla conservazione del bene ambiente.

In tale evoluzione anche la fiscalità è divenuta progressivamente una ma-teria idonea a perseguire obiettivi di tipo ambientale.

Si è quindi assistito alla nascita di una nuova tematica all’interno del tra-dizionale diritto tributario, quella della tassazione ambientale, che ha avuto, nel tempo e nei diversi contesti giuridici, diversi gradi di sviluppo.

A livello nazionale, l’affermazione di una fiscalità ambientale è stata lenta ed ha incontrato alcuni ostacoli.

Si è registrata una generale difficoltà di adattare i principi tradizionali della materia tributaria ad una tassazione caratterizzata da presupposti e fi-nalità differenti da quelli tradizionali

1. A tale questione si è aggiunta anche l’assenza di una devoluzione di poteri di governo in materia di ambiente agli Enti territoriali minori; tale circostanza non ha favorito una effettiva politica ambientale in considerazione della dimensione strettamente territoriale del bene ambiente

2. Dopo l’inizio del nuovo secolo, tali questioni sembravano essere in via di

superamento e lo Stato italiano finalmente pronto ad una politica fiscale di tipo ambientale multilivello.

Ad un generale adattamento dei principi del sistema tributario ai modelli richiesti dalla tassazione ambientale, si è registrata anche una tendenza in-terpretativa evolutiva della Corte costituzionale, che ammettendo il “valore trasversale” del bene ambiente ha riconosciuto competenza legislativa delle Regioni in relazione ad interessi più propriamente territoriali e locali

3.

1 Su tali aspetti si tornerà diffusamente nell’ambito del par. 2, a proposito della evolu-zione nazionale del tema.

2 Le questioni, inerenti al rapporto tra il tema del federalismo fiscale e la tassazione ambientale, saranno analizzate diffusamente ai par. 3 ss.

3 Su tale interpretazione si tornerà diffusamente al par. 3.2. In via generale, sul “valore trasversale” della materia ambiente nella interpretazione della Corte costituzionale, FRAC-CHIA, La tutela dell’ambiente come dovere di solidarietà, in ANTONINI (a cura di), L’imposizione

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In un contesto che sembrava ormai aver preso una direzione di crescita e di sviluppo a livello locale, una recente Pronuncia della Corte costituzionale – dell’11 marzo 2015, n. 58 – interviene sul tema della tassazione ambienta-le in ambito territoriale, definendo dei principi differenti sul rapporto tra di-sciplina nazionale del federalismo fiscale e tassazione ambientale, con riferi-mento alle Regioni.

Queste ultime sono da sempre il fulcro della politica ambientale territoria-le, in quanto, essendo dotate di potere legislativo, potrebbero godere in am-bito fiscale di ampi poteri di governo sul territorio nel momento in cui la ma-teria ambiente fosse loro effettivamente devoluta. Le Regioni, infatti, nel pie-no rispetto della riserva di legge prevista per la materia tributaria, potrebbero istituire tributi propri ed agevolazioni di tipo ambientale in relazione ai beni presenti sul territorio.

Con la suddetta Pronuncia, la Corte costituzionale rivede l’interpretazio-ne evolutiva descritta ed introduce nuove linee guida sulle quali è necessario riflettere e dalle quali, a legislazione invariata, non si potrà più prescindere.

Si impone, a questo punto, una nuova riflessione sui principi in tema di tassazione ambientale in ambito territoriale, che tenga conto di tale recente evoluzione e comprenda, in questo modo, le nuove linee di crescita del tema.

A tal fine, per meglio comprendere tali evoluzioni, è necessario tracciare le direttrici di fondo della materia nella loro dimensione storica ed attuale. In questo senso, dopo un inquadramento generale del tema della tassazione ambientale nell’ordinamento giuridico, ci si soffermerà sul rapporto tra la disciplina del federalismo fiscale e la politica ambientale.

Al termine di tale analisi si effettuerà una riflessione sulla sentenza della Corte cost. n. 58/2015, al fine di delineare – alla luce dei principi da que-st’ultima enunciati – le nuove linee guida a livello territoriale della tassazio-ne ambientale.

La riflessione riguarderà soprattutto le Regioni, in quanto, per le motiva-zioni prima esposte, possono introdurre tributi propri o agevolazioni di tipo ambientale nell’ambito dei propri confini, definendo autonomamente una po-litica (ambientale) territoriale, prerogativa esclusa agli altri Enti territoriali minori, che non sono dotati di potere legislativo nel nostro ordinamento giu-ridico. ambientale nel quadro del nuovo federalismo fiscale, Napoli, 2010, p. 15. Per l’impatto di tale interpretazione sulla materia fiscale, CIPOLLINA, Osservazioni sulla fiscalità ambientale nella prospettiva del federalismo fiscale, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2009, p. 90; PEPE, Le agevolazioni fiscali regionali in materia ambientale, in Riv. dir. trib., 2012, I, p. 281.

Rossella Miceli 61

2. Tassazione ambientale e ordinamento giuridico: inquadramento generale. I tre livelli di sviluppo del tema

La materia della tassazione ambientale ha registrato tradizionalmente tre livelli di sviluppo: quello internazionale, quello europeo e quello nazionale. Si sono così generate discipline che – pur attinenti allo stesso tema – hanno acquisito principi generali, contenuti e prospettive di crescita per certi versi autonome.

La genesi del tema avviene a “livello internazionale”, ove una disciplina dell’ambiente si sviluppa nella seconda metà del secolo scorso. In questo mo-mento l’interesse per tale tema emerge soprattutto nell’ambito della dottri-na economica e nei contesti delle organizzazioni internazionali, dove l’am-biente assume gradualmente il valore di bene universale, da rispettare e pro-teggere secondo comuni linee guida per garantire la sopravvivenza delle ge-nerazioni future

4. In tale contesto si effettua un passaggio molto importante, base concet-

tuale dei tre livelli di sviluppo del tema: la fiscalità viene valutata come stru-mento di tutela o di promozione dell’ambiente ed assume così il valore di disciplina propedeutica ad una migliore gestione e conservazione del bene ambiente.

Si affermano, in questo modo, i tributi ambientali 5, che sono sostanzial-

mente qualificati per la finalità che perseguono rispetto alla politica ambien-tale.

I tributi a finalità ambientale possono avere una funzione incentivante, laddove tendono ad incoraggiare attività che non siano dannose per l’ambien-te e di contenere quelle dannose, ovvero redistributiva nel caso in cui l’obiet-tivo sia quello di reperire coattivamente risorse, al fine di effettuare interventi mirati per il recupero dell’ambiente

6. Le organizzazioni internazionali sono

4 Su tale evoluzione, ex pluribus, CARAVITA, Diritto dell’ambiente, Bologna, 2005, p. 70; CORDINI-FOIS-MARCHISIO, Diritto ambientale. Profili internazionali europei e comparati, To-rino, 2008, passim.

5 V., in merito ai principi di diritto internazionale in materia di tassazione ambientale, AMATUCCI, Le fondamenta costituzionali dell’imposizione ambientale, Napoli, 1993, passim; MARCHETTI, La tassazione ambientale, Roma, 1995, passim; ID., (voce) Ambiente (dir. trib.), in Diz. dir. pubbl., diretto da Cassese, I, Milano, 2006, p. 241; PICCIAREDDA-SELICATO, I tributi e l’ambiente. Profili ricostruttivi, Milano, 1996, pp. 31-49; PERRONE CAPANO, L’impo-sizione e l’ambiente, in Trattato di diritto tributario, diretto da Amatucci, Padova, 2001, p. 121.

6 In particolare, OECD, Economics Instruments for Environmental Protection, Parigi, 1989.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 62

molto attive negli ultimi tempi sul tema della tassazione ambientale e pro-muovono costantemente politiche mirate alla salvaguardia ed alla conserva-zione dei beni dell’ecosistema.

Differente è stato, invece, il livello di sviluppo del tema in “ambito euro-peo”. In questa sede la tutela dell’ambiente ha assunto gradualmente una importanza sempre maggiore sino a divenire, con il Trattato di Maastricht, un obiettivo dell’azione comunitaria. Attualmente al tema della tutela del-l’ambiente è dedicato il Titolo XX del TFUE e, in particolare, gli artt. 191, 192, 193.

Al termine “ambiente” nell’ordinamento giuridico europeo è riconosciu-to un significato molto ampio, idoneo a comprendere l’ambiente naturale in senso stretto (flora, fauna, aria, acqua, suolo), le risorse naturali, il paesag-gio, la salute

7. A tale bene l’Unione mira a garantire un alto livello di tutela (principio del necessario alto livello di tutela), tenendo conto della diversità di situazioni nelle differenti Regioni dell’Unione (principio della differenzia-zione)

8. Si dispone, poi, che l’azione comunitaria in materia ambientale si fondi su

alcuni principi generali, tra cui quello relativo a “chi inquina paga”. A tale ul-timo principio si riconduce la concezione europea di tassazione ambientale

9. Il principio “chi inquina paga” impone di riconoscere una responsabilità

verso la collettività umana a chi produce danni all’ambiente, legittimando la predisposizione di strumenti giuridici ed economici per la tutela dell’ambien-te stesso. Tra gli strumenti in esame vi sono i tributi e le agevolazioni tribu- Secondo l’impostazione dell’OCSE, il tributo è una obbligazione di pagamento coattiva che non prevede controprestazioni. L’ambiente è esterno sia al presupposto, che alla disci-plina del tributo e costituisce, invece, lo scopo del prelievo. Si tratta, pertanto, di prelievi con funzione redistributiva, finalizzati a reperire del gettito per effettuare degli interventi mirati sull’ambiente.

7 L’art. 191 – nella versione ultima del TFUE, come ratificato dal Trattato di Lisbona – afferma che la politica dell’Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente; protezione della salute umana; utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale e mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.

8 V. art. 191, par. 2, TFUE. 9 In generale, sul tema “chi inquina paga” nella materia tributaria, GALLO-MARCHETTI, I

presupposti della tassazione ambientale, in Ambiente e diritto, 1999, p. 149; GALLO, Profili critici della tassazione ambientale, in Rass. trib., 2010, p. 303; PERRONE CAPANO, op. cit., p. 121; VERRIGNI, La rilevanza del principio comunitario “chi inquina paga” nei tributi ambien-tali, in Rass. trib., 2003, p. 1614.

Rossella Miceli 63

tarie ambientali, che costituiscono le due espressioni della politica fiscale in materia di ambiente.

La nozione di tributo e di agevolazione ambientale generata in ambito europeo – in attuazione del suddetto assetto normativo – si distingue dalla medesima nozione, come elaborata in sede internazionale o all’interno degli Stati

10. Si tratta di tributi ambientali che definiremo (d’ora innanzi) “in sen-so stretto”, per distinguerli dai tributi “a finalità ambientale”, come indivi-duati nei contesti internazionali e nazionali, che comunque possono conte-nere l’ambiente nella definizione del presupposto, nella disciplina ovvero nello scopo del tributo (destinazione delle somme), ma non risultano strut-turati secondo i rigorosi criteri definiti in ambito europeo.

Il tributo in esame (ambientale “in senso stretto”) può essere istituito so-lo nell’ambito dell’area di danni non irreversibili e sostenibili per l’ambiente, in quanto le aree caratterizzate da danni irreversibili e non sostenibili devo-no essere regolate da interventi di tipo sanzionatorio (e non fiscali)

11. Il tributo ambientale in senso stretto contiene l’ambiente all’interno della

sua struttura e fattispecie (presupposto – base imponibile) ed in questo modo realizza degli effetti sull’ambiente; si tratta, quindi, di tributi o tasse in senso tradizionale che operano nell’ambito di assetti connotati da potenzia-lità inquinanti o degenerative per i beni della natura

12. Allo stesso modo so-

10 Tale nozione trova il suo primo compiuto riferimento nella “Comunicazione della Com-missione Imposte, tasse e tributi ambientali nel mercato unico” del 29 gennaio 1997. Prece-dentemente, risultano fondamentali per la costruzione di tale nozione: Risoluzione del Con-siglio 23 gennaio 1987, n. 485; Risoluzione del Consiglio 1° gennaio 1993; Libro bianco di Delors su “Crescita, competitività e occupazione”. In dottrina, sulla nozione europea di tribu-to ambientale, PERRONE CAPANO, op. cit., p. 121; GALLO-MARCHETTI, op. cit., p. 149; LA SCALA, Il carattere ambientale di un tributo non prevale sul divieto di introdurre tasse ad effetto equivalente, in Rass. trib., 2007, p 1317; PEPE, op. cit., p. 281.

11 Il deterioramento dell’ambiente non deve mai essere assoluto, ma relativo. Si deve trattare di un deterioramento sopportabile, possibilmente reversibile, riparabile. In questo senso, il deterioramento dell’unità fisica, che costituisce il presupposto del tributo, non può mai evidenziare dell’insostenibilità per l’ambiente o per l’uomo. Così GALLO-MAR-CHETTI, op. cit., p. 149; GALLO, Profili critici della tassazione ambientale, cit., p. 303. Tale ultimo Autore sottolinea, infatti, che il deterioramento non sostenibile o irreversibile non rientra nella competenza tributaria in quanto l’unità fisica che lo produce dovrebbe essere colpita da strumenti sanzionatori.

12 Il presupposto del tributo ambientale deve sostanziarsi nell’utilizzo delle unità fisi-che, idonee a determinare danni all’ambiente, e la base imponibile tradurre quest’ultimo valore in grandezza numerica. Il tributo ambientale in senso europeo deve, quindi, conte-nere l’ambiente nell’ambito del presupposto impositivo.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 64

no definite le agevolazioni ambientali che premiano fiscalmente chi pone in essere comportamenti che rechino un beneficio, ovvero evitino un danno all’ambiente stesso.

Il principio “chi inquina paga” definisce oggi un potere in capo agli Stati membri ed agli Enti territoriali di emanare norme di fiscalità ambientale, di carattere impositivo (tributi) o agevolativo (agevolazioni), oltreché un limi-te in capo agli Stati stessi all’adozione di misure con esso contrastanti

13. In ogni caso, quindi, tali principi europei non possono oggi essere ignorati nel-la messa a punto di una politica generale in materia di ambiente.

Infine, come anticipato in premessa, il tema in esame ha avuto uno svi-luppo lento e controverso “a livello nazionale”. In tale assetto si è assistito alla predisposizione di politiche in materia di tassazione ambientale estrema-mente frammentarie e disorganiche e, comunque, per lo più basate su tribu-ti a finalità ambientale. La causa di tale situazione si rinviene soprattutto nei dibattiti nazionali, che hanno alimentato il panorama giuridico interno, volti a comprendere se una tassazione effettuata sui presupposti della capacità di inquinare o di utilizzare delle risorse ambientali limitate fosse giustificabile sulla base dell’art. 53 Cost., secondo il quale tutti devono concorre alle pub-bliche spese in ragione della capacità contributiva

14. Sul tema sono state esposte differenti ricostruzioni

15; in ogni caso, però,

13 Su tale aspetto si rinvia alle considerazioni di MICELI, Federalismo fiscale e principi euro-pei. Spazi di autonomia, livelli di responsabilità, modelli di federalismo, Milano, 2014, p. 175.

14 Il tema è affrontato in alcuni recenti lavori. V. PICCIAREDDA, Federalismo fiscale e tri-buti propri della Regione Sardegna tra esigenze di coordinamento e tassazione ambientale, in Riv. dir. trib., 2007, p. 919; ALFANO, Tributi ambientali. Profili interni ed europei, Torino, 2012, p. 51; PURI, La produzione dell’energia tra tributi ambientali e agevolazioni fiscali, in BONARDI-PATRIGLIANI (a cura di), Energia. Fiscalità. Incentivi. Agevolazioni, Milano, 2003, p. 191.

15 Nel dibattito che ha contrassegnato questo tema si distinguono diverse posizioni. Vi è stato chi ha ritenuto di attribuire ai tributi ambientali una funzione risarcitoria-indennita-ria, escludendoli conseguentemente dall’area dei principi e dei riferimenti della materia fiscale. V. BATISTONI FERRARA, I tributi ambientali nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. trib., 2008, I, p. 1089. In relazione, invece, al rapporto tra l’art. 53 e i tributi ambientali, un ruolo determinante ha assunto la posizione accolta in ordine al contenuto ed alla funzione del principio di capacità contributiva. La posizione che ravvede nel principio di capacità con-tributiva una indiscutibile componente solidaristica di rilevanza sociale ed economica, va-lorizzando l’individuo ed il suo patrimonio rispetto al tema del necessario sostenimento delle spese pubbliche, pone il limite invalicabile della potenzialità economica come fondamento indiscusso di ogni prelievo tributario. I sostenitori di tale ultimo orientamento non sono stati favorevoli ad ammettere i tributi ambientali, in quanto non riconducibili ad una espres-sione tradizionale di ricchezza. V. MANZONI, Il principio della capacità contributiva nell’ordi-

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la possibilità di ammettere i tributi ambientali in senso stretto ha comporta-to la necessità di rivedere nozioni tradizionali ed assetti della materia. È sta-to affermato, pertanto, che i presupposti dei tributi possono anche non ave-re un valore economico (di scambio), sempre che dimostrino una generale attitudine al concorso alle spese pubbliche

16. Possono così essere giustifica-ti, in relazione al principio di capacità contributiva, anche indici socialmente importanti, che non costituiscono espressioni tradizionali di ricchezza eco-nomica.

L’evoluzione degli studi sul tema e le posizioni comunitarie 17 (che solle-

citano gli Stati all’utilizzo di tributi ambientali in senso stretto) hanno porta-to quindi ad una naturale affermazione delle ricostruzioni che ammettono la possibilità di introdurre i tributi ambientali nell’ambito dell’ordinamento in-terno, consolidate peraltro dalle ipotesi di tributi di questo tipo che, gradual-mente, nell’arco degli ultimi vent’anni, sono stati attivati nel nostro sistema giuridico.

A livello nazionale, però, come anticipato in premessa, l’affermazione di “tributi ambientali” è stata anche molto condizionata dalla disciplina in ma-teria di federalismo fiscale, tema su cui verte la presente riflessione e sul qua-le è necessario effettuare un’analisi accurata.

namento costituzionale italiano, Torino, 1966; DE MITA, Capacità contributiva, in Dig. disc. priv., sez. comm., II, Torino, 1987, ad vocem; MOSCHETTI, Capacità contributiva, in Enc. giur., V., 1988, ad vocem; FALSITTA, Il doppio concetto di capacità contributiva, in Riv. dir. trib., 2004, p. 889; GAFFURI, La compatibilità dell’imposta regionale sulle attività produttive con i precetti fondamentali dell’ordinamento giuridico: stato della questione, in Riv. dir. trib., 2009, I, p. 843. Le posizioni che mettono in luce la natura di criterio di riparto del principio di capacità contributiva valorizzano la dimensione della necessaria copertura delle spese pub-bliche rispetto al fondamento economico del prelievo e si sono mostrate più aperte ad una ammissione dei tributi ambientali (FEDELE, Concorso alle spese pubbliche e diritti individuali, in Riv. dir. trib., 2002, I, p. 33; GALLO, Le ragioni del Fisco. Etica e giustizia nella tassazione, Bologna, 2007, p. 81; ID., Profili critici della tassazione ambientale, cit., p. 303; COCIANI, At-tualità e declino del principio di capacità contributiva, in Riv. dir. trib., 2004, p. 823).

16 V. GALLO, Profili critici della tassazione ambientale, cit., p. 303; SELICATO, Imposizione fiscale e principio “chi inquina paga”, in Rass. trib., 2005, p. 1162; ALFANO, op. cit., p. 61.

17 V. sul tema le riflessioni di FALSITTA, I principi di capacità contributiva e di uguaglian-za tributaria nel diritto comunitario e nel diritto italiano tra “ragioni del fisco” e diritti fonda-mentali della persona, in Riv. dir. trib., 2011, p. 519.

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3. Disciplina dell’ambiente e federalismo nazionale

3.1. Il legame concettuale tra il federalismo fiscale e la tutela (anche fiscale) del-l’ambiente

È necessario ora comprendere i motivi per cui un ruolo fondamentale nel-la definizione di una fiscalità ambientale nazionale sia svolto dalla disciplina in materia di federalismo fiscale

18. L’attuazione di una disciplina autonomista – vale a dire che riconosca po-

teri di governo ai livelli territoriali interni allo Stato – reca con sé una natu-rale valorizzazione dell’ambiente in sede territoriale, per diverse ragioni che legano concettualmente il tema del federalismo fiscale con quello della ge-stione dell’ambiente stesso

19. Il riconoscimento di autentici spazi di autonomia agli Enti territoriali, ed

in particolare alle Regioni, deve prevedere una effettiva devoluzione del go-verno del territorio, che può essere realizzata in modo costruttivo attraverso la possibilità di effettuare politiche ambientali.

I beni ambientali presentano, infatti, una dimensione naturalmente legata al territorio ed alle singole comunità di appartenenza; una protezione o va-lorizzazione di tali beni deve quindi essere connessa alla possibilità di realiz-zare politiche (ambientali e territoriali) differenziate.

In questo senso l’ambiente è un bene che – ad eccezione delle problema-tiche generali, che coinvolgono l’intero Stato e che devono essere regolate unitariamente in sede centrale – si presta ad essere meglio governato a livello locale, ove si riesce a tener conto delle differenze e delle peculiarità di ogni territorio ed a strutturare politiche (anche fiscali) mirate

20.

18 Con il termine “federalismo fiscale” si intende indicare, in questa sede, la disciplina nazionale dei rapporti tra Stato ed Enti territoriali minori, in relazione alla distribuzione dei poteri legislativi e amministrativi, finalizzata alla individuazione di spazi di autonomia per il governo del territorio.

19 Sulla questione, in generale, GALLO, Profili critici della tassazione ambientale, cit., p. 8; CIPOLLINA, op. cit., p. 586; FICARI, Sviluppo del turismo, ambiente e tassazione locale, in Rass. trib., 2008, p. 963; SELICATO, Fiscalità locale e capacità contributiva nell’imposizione ambien-tale. La prospettiva italiana, in Riv. dir. trib. int., 2005, p. 203. In termini economici – per una riflessione sui rapporti tra il federalismo fiscale e le imposte ambientali – in considerazio-ne della stretta relazione che tra i due temi si è creata, a livello nazionale ed europeo, ZATTI, La tassazione ambientale come strumento di finanziamento degli Enti locali: alcune considera-zioni preliminari, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2011, p. 37. Tali temi trovano ampio approfondi-mento nei diversi contributi dell’opera collettanea a cura di Antonini, op. cit.

20 A tale proposito, diffusamente, SELICATO, Fiscalità locale e capacità contributiva nel-

Rossella Miceli 67

La devoluzione della materia ambiente è così un veicolo per la realizza-zione di importanti valori di fondo di una politica federale, quali: l’autono-mia, la sussidiarietà, la responsabilità e la corrispondenza tra le entrate e le spese a livello locale

21. In tal senso, pertanto, la devoluzione della materia ambiente diviene un

tema centrale nella predisposizione dei progetti di riforma in senso federale, in quanto contribuisce a definire il livello di autonomia che si intende rico-noscere alle Regioni ed agli altri Enti territoriali minori.

In questi termini si spiega il motivo per cui il tema della tassazione am-bientale abbia acquisito particolare vigore alla fine del secolo scorso con l’ap-prossimarsi di una riforma in senso federale dello Stato italiano.

In questo clima si è iniziato a valorizzare l’ambiente nella materia tributa-ria

22, con l’auspicio che la riforma promuovesse anche la possibilità di realiz-zare una fiscalità ambientale differenziata a livello locale, recependo gli indi-rizzi europei analizzati al precedente paragrafo.

In un paese come l’Italia, che presenta per ogni Regione caratteristiche geografiche profondamente diverse, tale aspetto realizza degli innegabili van-taggi, soprattutto se alla materia ambiente si riconduce anche il turismo, le opere d’arte, la salute

23. l’imposizione ambientale, cit., p. 210, il quale evidenzia l’importanza che l’imposizione loca-le assume per l’effettuazione di una efficace politica ambientale. In particolare, ciò avviene quando la fonte inquinante è ubicata localmente (e non propaga alcun effetto oltre il terri-torio di riferimento), nonché nel caso in cui l’Ente territoriale ha una competenza esclusi-va in merito alla vigilanza sulla attività pericolosa.

21 Così GALLO, Profili critici della tassazione ambientale, cit., p. 10. In altro senso, ZATTI, op. cit., p. 89, pone in luce come i tributi ambientali mostrino un collegamento con i prin-cipi cardine del federalismo, quali: correlazione e continenza, territorialità, non sovrappo-sizione delle basi imponibili, semplicità ed efficacia amministrativa. In questo senso, nel processo di decentramento le imposte ambientali potrebbero assolvere a due funzioni: la flessibilità di spesa e di intervento a livello locale, una riduzione delle aliquote dei tributi propri derivati a favore di un incremento di tali imposte.

22 Gradualmente, infatti: il principio della tassazione del reddito mondiale ha perso la sua consistenza originaria, l’imposizione si è sempre più ancorata a criteri territoriali, mag-giormente rispondenti ad un equo riparto del gettito anche in ambito internazionale, la necessità di protezione dell’ambiente ha assunto un rilievo determinante nella politica na-zionale con la sottoscrizione del protocollo di Kyoto del 1997. V. CIPOLLINA, op. cit., p. 586; SELICATO, Fiscalità locale e capacità contributiva nell’imposizione ambientale, cit., p. 207.

23 V. FICARI, Sviluppo del turismo, cit., p. 963. L’Autore evidenzia come il turismo costi-tuisca un bene valorizzabile da parte degli Enti locali nell’esercizio della loro potestà norma-tiva, soprattutto ove se ne apprezzi il collegamento con l’ambiente. In questo senso l’autono-mia normativa tributaria dell’Ente territoriale può permettere all’Ente stesso, nei limiti del

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Sulla base di tali principi si auspicava che la riforma del Titolo V della Costituzione – avviata all’inizio del nuovo secolo – definisse nuove coordina-te sulla disciplina dell’ambiente ai diversi livelli di governo del territorio

24.

3.2. La disciplina specifica sulla materia “ambiente” ad esito della riforma in materia di federalismo fiscale. Le possibili aperture

Disattendendo le aspettative della dottrina e gli auspici comunitari sul tema, con la riforma del Titolo V della Costituzione, la “Tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” è stata inquadrata tra le materie a legisla-zione esclusiva dello Stato, nell’art. 117, comma 2, lett. s), Cost.

La materia ambientale è stata così affidata al potere di decisione e di go-verno dello Stato, al quale è riconosciuta in via esclusiva la prerogativa di de-finire i principi generali in materia di politica ambientale nazionale, regiona-le e locale

25. A ciò consegue come ogni intervento in materia di ambiente da parte de-

gli Enti territoriali debba essere effettuato nel rispetto dalla legislazione sta-tale, alla quale è in ogni caso affidata la regolazione delle questioni di parti-colare importanza che mostrino una rilevanza nazionale.

Sulla base di questi postulati sono stati ricavati negli ultimi anni – in via interpretativa – gli spazi di governo utilizzabili dalle Regioni in materia am-bientale.

La necessità di una politica ambientale calibrata sulle realtà territoriali – espressione dei valori prima descritti – ha condotto la Corte costituziona-le a sostenere alcune posizioni interpretative che sono sembrate alleggerire la portata della previsione costituzionale. proprio bilancio di previsione, di promuovere lo sviluppo economico del proprio territo-rio, attraverso agevolazioni fiscali che favoriscano la localizzazione di attività economiche e attraverso il virtuoso sfruttamento dell’ambiente. Sulla valorizzazione di imposte legate al turismo (sia di tipo ambientale, che di tipo non ambientale), per un recupero ed un miglio-ramento di Venezia, quale città d’arte, utilizzando le risorse di quest’ultima, TOSI, La fisca-lità delle Città d’arte. Il caso del comune di Venezia, Milano, 2009, p. 2.

24 In questo senso, CIPOLLINA, op. cit., p. 586, la quale sottolinea come, fino alla riforma del Titolo V della Costituzione, vi sia stata una prevalenza della legislazione nazionale. L’Au-trice evidenzia che la fiscalità ambientale si colloca al punto di convergenza di tre direttrici di sistema: la nozione e la disciplina dell’ambiente, l’economia ambientale e il sistema fi-scale.

25 Sul riparto di competenze tra lo Stato e gli Enti territoriali minori, con particolare ri-ferimento al tema ambiente, SELICATO, Fiscalità locale e capacità contributiva nell’imposizio-ne ambientale, cit., p. 203.

Rossella Miceli 69

A sostegno dell’impostazione, volta a riconoscere una competenza degli Enti territoriali alla regolazione dell’ambiente, la Corte costituzionale ha re-so nell’ultimo decennio, in merito all’art. 117, comma 2, lett. s), interpreta-zioni che hanno ammesso il “valore trasversale della materia ambiente”, le-gittimando interventi normativi delle Regioni in relazione a beni ambientali di interesse più propriamente territoriale

26. Tali interpretazioni hanno trovato un sostegno logico nell’ampiezza della

nozione di ambiente, idonea a ricomprendere (al suo interno) interessi rife-ribili a diverse comunità territoriali

27. I principi in esame devono ora essere declinati nell’ambito della materia

fiscale, sottolineandone la relazione con i poteri delle Regioni di istituire tri-buti propri, tema nell’ambito del quale si colloca la questione analizzata in questa sede.

In altre parole è necessario individuare la relazione tra l’art. 117 Cost. (che identifica il riparto di competenze Stato-Regione nell’esercizio del po-tere legislativo) e l’art. 119 (che regola il potere delle Regioni stesse di intro-durre tributi propri).

3.3. I principi in materia di istituzione di tributi propri da parte delle Regioni a Statuto ordinario. La continenza

L’art. 119 Cost. afferma – in via generale – un potere di istituire tributi propri, riferibile agli Enti territoriali minori dotati dei poteri necessari, nel ri-spetto dei principi di coordinamento di finanza pubblica e del sistema tribu-tario

28; tali principi – quindi – circoscrivono e limitano il potere generale del-le Regioni di introdurre tributi propri.

26 V. FRACCHIA, op. cit., p. 28 e la giurisprudenza della Corte costituzionale ivi citata. In particolare, sulla questione, Corte cost., 26 luglio 2002, n. 407; Corte cost., 20 dicembre 2002, n. 536; Corte cost., 18 aprile 2008, n. 108 (che sembra aver effettuato una certa inver-sione di rotta). Nella materia tributaria, su tale impostazione, al fine di verificare la possibi-lità di introdurre tributi ambientali, VERRIGNI, op. cit., p. 1614; CIPOLLINA, op. cit., p. 586; PEPE, op. cit., p. 309.

27 V. CIPOLLINA, op. cit., p. 586, la quale osserva che «nelle norme costituzionali la no-zione di ambiente è ampia ed inclusiva, si frammenta oggettivamente in vari campi mate-riali e può essere ricostruita nella trasversalità degli interessi coinvolti».

28 A norma dell’art. 119, comma 2, Cost., le Regioni, i Comuni, le Città metropolitane e le Province «possono istituire e regolare tributi propri, in armonia con i principi di coor-dinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 70

L’evoluzione della riforma in materia di federalismo fiscale ha individua-to i principi generali del sistema tributario, delineando quelli che sono defi-niti “principi di coordinamento”. Questi ultimi si riferiscono esclusivamente alle Regioni a Statuto ordinario e trovano attualmente il loro referente nor-mativo nella L. n. 42/2009.

Fra questi, in particolare, vi è il principio di continenza 29, in base al quale

i tributi propri possono essere istituiti soltanto in materie che sono devolute alla competenza esclusiva o concorrente delle Regioni; è così esclusa la pos-sibilità di introdurre tributi che abbiano un presupposto che attenga a materie che rientrano nella competenza esclusiva dello Stato. Tale principio – risulta-to della normativizzazione del medesimo principio di origine dottrinale – in-tende imporre una correlazione dei presupposti impositivi alle funzioni e-sercitate sul territorio, relativamente a materie la cui competenza è delegata alle Regioni; in questo modo la legittimità di ogni tributo proprio regionale è condizionata alla continenza dell’interesse espresso dal presupposto a quelli compresi nell’elencazione delle materie devolute alla competenza regionale

30. Sulla base, quindi, di tale principio le Regioni a Statuto ordinario non han-

no un generale potere di istituire tributi propri, in quanto tale potere è cir-coscritto alla scelta di presupposti che riguardano le materie di propria com-petenza.

In questo senso, l’elenco delle materie attribuite alla competenza esclusi-va dello Stato è un limite molto importante alla possibilità di scelta dei pre-supposti per l’istituzione di tributi propri in capo alle Regioni.

29 V. art. 2, comma 2, lett. o), p), hh), L. n. 42/2009, ove si ammette che deve sussistere una «tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni eserci-tate sul territorio, in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa e la continenza e responsabilità nell’imposizione di tributi propri».

Il principio di continenza costituisce un principio generale di coordinamento insieme al divieto di doppia imposizione (divieto di scelta di presupposti impositivi già utilizzati dallo Stato) e al principio di territorialità (utilizzo di presupposti impositivi che si realizza-no sul territorio della Regione).

30 Sul principio di continenza nella materia tributaria, nel senso accolto nella presente trattazione, GALLO, Ancora in tema di autonomia tributaria delle Regioni e degli Enti locali nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Rass. trib., 2005, p. 1037; GIOVANARDI, La fiscalità re-gionale e locale nel d.d.l. Calderoli tra tributi propri derivati e principio di continenza: ci sarà un qualche spazio per i tributi propri in senso stretto di Regioni e Enti locali?, in Dir. prat. trib., 2009, p. 319. In particolare, sul valore tendenziale del principio di continenza, FICARI, La “fiscalità dell’acqua” tra federalismo fiscale e privatizzazione della disciplina e della gestione, in Riv. trim. dir. trib., 2012, p. 93; a favore di una certa flessibilità del valore della continenza, LA SCALA, Elementi ricostruttivi dell’imposizione sul turismo: opportunità e limiti nel contesto del c.d. federalismo fiscale, in Riv. trim. dir. trib., 2012, p. 953.

Rossella Miceli 71

Come anticipato al paragrafo precedente, l’ambiente è una materia di competenza esclusiva dello Stato; in linea generale, pertanto, non è ammessa la possibilità per le Regioni di introdurre tributi che abbiano un presuppo-sto di tipo ambientale (e, quindi, sia tributi ambientali in senso stretto, sia tributi a finalità ambientale).

In tale scenario, le prospettive di evoluzione di questo tema nella materia fiscale si sono ancorate all’interpretazione che riconosceva la natura trasver-sale della materia ambiente ed ammetteva una competenza delle Regioni in merito ad interessi riferibili al loro territorio

31. Sulla base di tale ultima impostazione, si auspicava una possibile apertura

per il tema della fiscalità ambientale, che conducesse gradualmente al ricono-scimento della facoltà per le Regioni di introdurre tributi propri che avessero come presupposti questioni ritenute di interesse strettamente territoriale.

Su tale impostazione è intervenuta la sent. n. 58/2015, definendo nuove linee guida.

3.4. I principi in materia di istituzione di tributi propri nelle Regioni a Statuto speciale e nelle Province autonome

Per chiarezza espositiva e per completezza di analisi, si evidenzia che i prin-cipi esaminati al paragrafo precedente non si applicano alle Regioni a Statuto speciale ed alle Province autonome; tali Enti, infatti, godono di forme di au-tonomia più ampia rispetto alle Regioni a Statuto ordinario.

La riforma costituzionale in materia di federalismo fiscale non si è occu-pata delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome

32; queste ul-time, pertanto, restano oggi regolate dai propri Statuti e da quanto stabilito dalla nota sentenza della Corte cost. n. 108/2009

33.

31 In particolare, FICARI, La “fiscalità dell’acqua”, cit., p. 93; LA SCALA, Elementi ricostrut-tivi dell’imposizione sul turismo, cit., p. 953; PEPE, op. cit., p. 281, il quale ha evidenziato co-me l’interpretazione che sostiene il valore trasversale dell’ambiente rende la prospettiva di un federalismo più efficace e non asfittico.

32 Nel silenzio della riforma costituzionale sul tema – che ha affrontato la questione so-lo incidentalmente con l’art. 1, comma 2, L. n. 42/2009 (ove si asserisce che «alle Regioni a Statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in con-formità con gli Statuti, esclusivamente le disposizioni contenute negli artt. 15, 22, 27») – l’autonomia tributaria delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome è stata precisata dalla Corte costituzionale nella nota sent. 16 aprile 2008, n. 102 e regolata in sen-so conforme dalla legge delega n. 42/2009.

33 Diffusamente, sul tema, si rinvia ai diversi contributi contenuti nel fascicolo, FICARI

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 72

È stata, in questo modo, realizzata una forma di autonomia differenziata di tali Regioni e Province autonome che si contrappone a quella di autono-mia uniforme, riferibile a tutte le Regioni a Statuto ordinario

34. Le competenze legislative delle Regioni a Statuto speciale e delle Provin-

ce autonome sono così definite da ogni singolo Statuto; quest’ultimo rico-nosce anche la facoltà di istituire tributi propri nel rispetto dei vincoli inter-nazionali e comunitari (da un lato) e del vincolo della «armonia con i principi del sistema tributario dello Stato» (dall’altro)

35. Con quest’ultima formula si tutela un’esigenza di coerenza formale e so-

stanziale dei tributi propri (della Regione a Statuto speciale e della Provin-cia autonoma) con i principi dello Stato, imponendo agli Enti speciali di ri-spettare un’affinità di modelli, di presupposti e di disciplina sostanziale e pro-cedimentale dei tributi introdotti con quelli statali, al fine di mantenere un’ar-monia tra il sistema impositivo centrale e quello territoriale delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome

36. All’interno dei singoli Statuti, poi, in alcuni casi si prevede il principio di

continenza, stabilendo che i tributi propri debbano essere istituiti nelle mate-rie di competenza delle Regioni

37; in altri, invece, non si circoscrivono le ma-terie in cui possono essere istituiti i tributi, individuando, quale unico limite al potere di introdurre tributi propri, soltanto i vincoli prima descritti

38. (a cura di), L’autonomia tributaria delle Regioni e degli Enti locali tra Corte Costituzionale (sentenza n. 102/2008 e ordinanza n. 103/2008) e disegno di legge delega, in Quaderni di Riv. dir. trib., n. 3, 2009 ed, in particolare, a DEL FEDERICO, Il rapporto tra i principi del sistema tributario statale e principi fondamentali di coordinamento, p. 3.

34 V. DEL FEDERICO, op. cit., p. 5. 35 Sia i limiti internazionali e comunitari, sia una formula uguale (o similare) a quella

della “armonia con i principi del sistema tributario dello Stato” si rinvengono in tutti gli Sta-tuti delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome.

36 La questione è analizzata nella sentenza della Corte cost., 15 aprile 2008, n. 102, con riferimento alla Regione Sardegna. La Corte costituzionale afferma che «i principi del si-stema tributario attengono alla tipologia, alla struttura degli istituti tributari statali, nonché alle rationes ispiratrici di tali istituti». L’armonia con detti principi va perciò intesa come rispetto, da parte del legislatore regionale, dello spirito del sistema tributario dello Stato, perciò «come coerenza ed omogeneità con tale sistema nel suo complesso e con i singoli istituti che lo compongono».

37 V. Statuto speciale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, L. cost., 21 gen-naio 1963, n. 1. In particolare, art. 4 (potestà normativa della Regione) e art. 51, comma 4, lett. b) (ove si dispone che la Regione può, nelle materie di propria competenza, istituire nuovi tributi locali).

38 In particolare, Statuto della Regione Sardegna, L. cost., 26 febbraio 1948, n. 3, art. 8,

Rossella Miceli 73

Si comprende come tali ultimi Enti godano di una sostanziosa autono-mia in merito alla possibilità di mettere a punto politiche fiscali di tipo am-bientale sul territorio, nel rispetto – da un lato – del vincolo specifico relati-vo all’armonia con i principi del sistema tributario e – dall’altro – del vincolo più generale del rispetto della normativa internazionale e comunitaria, a nor-ma dell’art. 117, comma 1, Cost.

Tali Enti potranno quindi effettivamente utilizzare la disciplina fiscale per valorizzare e proteggere le risorse del territorio.

4. I principi definiti dalla sentenza della Corte cost. n. 58/2015

Sull’assetto normativo descritto e sulle interpretazioni evolutive che ave-vano connotato le ultime statuizioni della Corte costituzionale, è intervenu-ta la recente sentenza della medesima Corte n. 58/2015 che, affrontando specificamente il tema all’interno della materia tributaria, ha definito alcuni principi generali.

La sentenza riguarda il tema relativo al rapporto tra la disciplina del fede-ralismo fiscale e la materia “ambiente” e – più in particolare – si incentra sul potere delle Regioni a Statuto ordinario di introdurre tributi ambientali nell’esercizio della potestà generale di istituzione di tributi propri, ricono-sciuta alle medesime Regioni dall’art. 119, comma 2, Cost.

39. La vicenda specifica, che ha condotto alla Pronuncia, ha infatti ad oggetto

un contributo sui rifiuti istituito dalla Regione Piemonte. Secondo la Corte costituzionale, il contributo in esame, godendo di una natura tributaria, de-ve rispettare i principi generali dettati nel nostro sistema fiscale in ordine al corretto esercizio della potestà impositiva da parte delle Regioni. comma 1, lett. h), ove si stabilisce che le entrate della Regione sono costituite «da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la Regione ha facoltà di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato». Specificamente, su tale aspetto, PICCIAREDDA, op. cit., p. 922.

39 La Regione Piemonte, con l’art. 16, comma 4, L. 24 ottobre 2002, n. 24 (Norme per la gestione dei rifiuti), ha introdotto un contributo regionale per i gestori di impianti di pre-trattamento e di trattamento di scarti animali ad alto rischio e a rischio specifico di encefa-lopatia spongiforme bovina BSE. Tale contributo – oggi abrogato dall’art. 21, L. 20 set-tembre 2008, n. 28 – era dovuto, secondo l’articolo suddetto, da tutti i soggetti che gesti-vano «impianti di pre-trattamento e di trattamento di scarti animali ad alto rischio e a rischio specifico di encefalopatia spongiforme bovina BSE» e da soggetti che gestivano «impianti di riutilizzo di scarti animali trattati ad alto rischio e a rischio specifico di BSE» e consisteva nell’obbligo annuale di corrispondere una somma proporzionale al materiale trattato o riu-tilizzato nel corso dell’anno.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 74

La Corte chiarisce, sulla base di un giudizio di prevalenza effettuato tra diverse discipline, che il tema dei rifiuti riguarda la materia ambientale; que-st’ultima costituisce oggetto di potestà normativa esclusiva dello Stato, ex art. 117, comma 2, lett. s), Cost. (“Tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”), con la conseguenza che le Regioni non possono istituire tributi che riguardino tale materia. Ne deriva l’illegittimità della norma impositiva che ha introdotto il tributo sui rifiuti.

I principi esposti nella sentenza in esame attengono, quindi, specificamen-te alla potestà impositiva delle Regioni a Statuto ordinario e si articolano nelle seguenti statuizioni, che saranno di seguito analiticamente analizzate:

– assenza di competenza legislativa delle Regioni a Statuto ordinario in materia di ambiente e, secondo il principio di continenza, conseguente im-possibilità di istituire tributi propri ambientali di ogni tipo;

– definizione di una nuova trasversalità del bene “ambiente”, con riferi-mento a beni o a valori riferibili ad altre materie (di competenza concorren-te Stato-Regioni o esclusiva delle Regioni);

– il giudizio di prevalenza (del bene presupposto, oggetto o scopo del tributo), quale paradigma necessario per definire l’esistenza o meno di com-petenza della Regione alla istituzione di un tributo proprio;

– la piena riconducibilità dei rifiuti alla materia ambientale e la (conse-guente) impossibilità di istituire tributi propri delle Regioni in materia di ri-fiuti.

4.1. La “rigorosa” difesa del principio di continenza con riguardo alla materia ambiente

Il principio fondamentale, affermato dalla Pronuncia n. 58/2015, eviden-zia la preclusione in capo alle Regioni a Statuto ordinario di istituire tributi propri, sia a finalità ambientale, sia in senso stretto, che riguardino valori in-trinsecamente e ontologicamente ambientali, nell’ambito del proprio terri-torio.

Si riafferma, in questo modo, una rigida ed invalicabile «correlazione tra l’art. 117, comma 2, e l’art. 119, comma 2», in base alla quale il potere di i-stituire tributi propri può riguardare solo presupposti che afferiscano espres-samente materie devolute alla competenza concorrente Stato-Regioni o e-sclusiva delle Regioni.

Il principio di continenza, pertanto, opera in modo incondizionato e non subisce alcuna deroga o eccezione nell’ambito della materia relativa alla tas-sazione ambientale.

Rossella Miceli 75

In questo modo, sono sostanzialmente frenate le interpretazioni evoluti-ve, analizzate nei paragrafi precedenti, che erano state prospettate sulla base delle pronunce della Corte costituzionale.

All’affermazione di tale principio seguono due importanti ulteriori corol-lari.

Nella materia fiscale, in relazione alla istituzione di tributi propri, la rego-lamentazione dell’ambiente è devoluta allo Stato e non sembra che alle Re-gioni possa residuare uno spazio di governo, come può avvenire in altre ma-terie.

Nella disciplina fiscale, infatti, anche dopo che lo Stato stesso ha provve-duto a predisporre una normativa generale che garantisca “un quadro rego-lativo uniforme” dei diversi interessi allo stesso connessi ovvero ha definito i livelli minimi adeguati di tutela in modo omogeneo per tutto il territorio (con-dizione base perché possano intervenire normative regionali nelle materie a competenza esclusiva dello Stato)

40, non è comunque possibile per le Re-gioni istituire tributi di tipo ambientale.

La generale operatività del principio di continenza, infatti, preclude in as-soluto l’introduzione di tributi ambientali anche nell’ambito di spazi lasciati liberi dallo Stato, in quanto nel momento in cui la Regione introducesse tri-buti ambientali specifici si realizzerebbe comunque la mancanza della corre-lazione necessaria (continenza) tra la materia affidata alla Regione e il tribu-to istituito.

In linea generale, quindi, nessun presupposto riconducibile alla materia ambiente può formare oggetto di un tributo proprio della Regione.

Il secondo principio importante – desumibile dalla sentenza – attiene al-la totale riconducibilità del tema dei rifiuti alla materia ambiente, escluden-do la possibilità che il suddetto tema possa rientrare nell’ambito dell’affine materia salute.

Da tale riconduzione deriva che i tributi sui rifiuti rientrano nella compe-tenza dello Stato e gli Enti territoriali potranno soltanto esercitare poteri di attuazione di una normativa predisposta e approvata in sede centrale.

In merito al criterio che definisce la riconducibilità di un tema specifico ad una materia, questo è individuato nel principio di prevalenza, oggetto di ri-flessione al par. 4.4.

40 Par. 5.4 della sentenza della Corte cost. n. 58/2015.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 76

4.2. La continenza quale necessaria declinazione del principio di competenza

La sent. n. 58/2015 pone in luce il valore del principio di continenza quale criterio generale di collegamento tra il potere di istituire tributi propri in ca-po alle Regioni a Statuto ordinario e le materie riconosciute di competenza (esclusiva o concorrente) delle Regioni stesse ex art. 119 Cost., utilizzando-lo come principio generale anche con riferimento a fattispecie che si colloca-no in un periodo temporale precedente alla sua ufficiale introduzione posi-tiva nel nostro ordinamento giuridico con la L. n. 42/2009.

Il tributo ambientale in contestazione, infatti, è stato introdotto nel 2002 ed abrogato nel 2008, arco temporale nell’ambito del quale il principio di continenza, pur essendo stato più volte enunciato dalla Corte costituzionale, non era previsto da una disposizione del sistema normativo.

Nel corso del medesimo periodo, inoltre, si era registrata una fase di in-certezza, che aveva alimentato un dibattito nella dottrina e nella giurispru-denza costituzionale, in merito alla necessità che le Regioni attendessero l’e-manazione dei principi di coordinamento prima di esercitare la facoltà (loro riconosciuta dall’art. 119, comma 2) di introdurre tributi propri. Tale dibat-tito, in particolare, si originava dal fatto che lo stesso art. 119 disponeva chia-ramente che l’emanazione di tributi propri dovesse avvenire nel rispetto di principi di coordinamento del sistema statale.

Orbene, nella sent. n. 58/2015 l’illegittimità della norma (che ha intro-dotto il tributo) viene riconosciuta non in quanto la Regione non ha atteso l’emanazione dei principi di coordinamento, quanto invece perché il tributo introdotto ha violato il riparto di competenze stabilito dall’art. 117.

Ne emerge, quindi, come la continenza sia un principio generale del no-stro sistema costituzionale (sotteso alla formulazione normativa) e finalizzato a collegare l’attribuzione di competenze generali alle Regioni sotto forma di specifiche materie all’esercizio della funzione fiscale di istituzione di tributi propri. In questo senso la continenza correla le specifiche materie attribuite alle Regioni con la possibilità di istituire tributi i cui presupposti rientrino nelle medesime materie.

La continenza, quindi, costituisce una declinazione del principio di com-petenza, con riferimento alla definizione di presupposti impositivi utilizza-bili da ogni Regione nella messa a punto di tributi propri.

Rossella Miceli 77

4.3. La permanenza della natura trasversale del bene ambiente in una nuova de-finizione Nell’affermazione del principio generale di competenza esclusiva dello

Stato in materia di ambiente, nella sentenza in esame viene comunque riba-dita la “natura trasversale della materia ambiente” e la possibilità per le Re-gioni di regolare autonomamente interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali

41. In questo modo sembra non si voglia del tutto negare la permanenza e

l’ammissibilità delle interpretazioni evolutive che avevano caratterizzato il te-ma in esame.

Le precisazioni che la Corte compie nel corpo della sentenza chiariscono, però, indiscutibilmente la direzione futura di tali posizioni.

La materia ambiente è di competenza esclusiva dello Stato e non vi sono interessi riconducibili alla nozione (di ambiente) che possono essere regola-ti dalle Regioni in virtù di una vocazione territoriale dell’interesse o di una peculiarità delle comunità locali, come inizialmente si era prospettato nelle precedenti interpretazioni della Corte costituzionale

42. In senso differente, ciò che viene riconosciuto essere prerogativa di go-

verno delle Regioni sono i beni, anche ambientali, a condizione che risultino concettualmente riferibili alle altre materie, che sono attribuite alla compe-tenza esclusiva o concorrente delle Regioni.

Le Regioni, pertanto, potranno regolare la materia ambiente o istituire tri-buti ambientali soltanto in relazione a tutti gli interessi che – seppur funzio-nalmente collegati alla materia ambiente – siano però riconducibili a mate-rie affini (all’ambiente stesso), loro attribuite dalla Costituzione.

Si dovrà, quindi, trattare di beni non propriamente ambientali, in quanto comunque attratti nell’ambito di un altro nucleo concettuale che – seppur affine – rimane autonomo e differente rispetto all’ambiente.

La materia ambiente vera e propria non è quindi destinata a divenire tra-sversale per favorire l’esercizio di poteri in capo alle Regioni ed in questo sen-so la sent. n. 58/2015 ribadisce il principio di competenza.

Quanto agli interessi funzionalmente ambientali, che potranno rientrare nella competenza delle Regioni, si ritiene che – comunque – la formulazione della Costituzione definisca delle ampie possibilità, in virtù della tecnica nor-

41 Par. 5.3 della sentenza della Corte cost. n. 58/2009. 42 In particolare, Corte cost., 24 luglio 2009, n. 249 ove si era evidenziato che la materia

ambiente ha una struttura complessa e comprende una molteplicità di settori di intervento, che le fanno assumere una certa pervasività rispetto alle attribuzioni regionali.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 78

mativa utilizzata nella definizione delle competenze (di Stato e Regioni), che ha parcellizzato la nozione di ambiente in materie molto affini.

Fermo restando che “l’ambiente”, “l’ecosistema” e “i beni culturali” sono materie di competenza esclusiva dello Stato, sono invece soggette a compe-tenza concorrente Stato-Regioni, a norma dell’art. 117, comma 3: “la tutela della salute”, “il governo del territorio”, “la produzione, trasporto e distribuzio-ne nazionale dell’energia”, “la valorizzazione dei beni culturali e ambientali”.

Anche queste ultime sono materie pregne di interessi ambientali; si pensi che a livello comunitario, come analizzato al par. 2, sono tutte accluse nella ampia nozione di ambiente.

Le Regioni potranno, quindi, istituire tributi propri di tipo ambientale sol-tanto ove i presupposti, nel rispetto del principio di continenza, rientrino nel-le materie sopra indicate.

In tali ambiti è, oggi, ammessa l’effettuazione di politiche fiscali differen-ziate.

4.4. Il giudizio di prevalenza

A chiusura del quadro di principi delineato, la sent. n. 58/2015 si preoc-cupa di definire il criterio generale in base al quale un determinato interesse affine all’ambiente debba essere ricondotto ad una precisa materia.

Si tratta di un passaggio molto importante, da cui – nella sostanza – di-scende la possibilità di regolare un interesse da parte delle Regioni nonché, per quel che a noi interessa, la facoltà di istituire tributi propri.

Il passaggio in esame assume un particolare rilievo in tema ambientale in considerazione della suddetta parcellizzazione della nozione generale di am-biente, che è stata effettuata nell’ambito dell’art. 117 Cost., ove si rinvengo-no materie molto affini destinatarie di diversa disciplina con riguardo alla competenza (esclusiva dello Stato o concorrente Stato-Regioni).

L’operazione ermeneutica di riconduzione di un interesse ad una materia deve essere regolata dal “principio della prevalenza”, in base al quale è ne-cessario valutare la maggiore appartenenza dell’interesse (da valutare) al nu-cleo normativo di una materia rispetto ad un’altra.

L’analisi in termini di prevalenza impone un esame delle precedenti re-golamentazioni normative e della loro evoluzione nel sistema giuridico (na-zionale e sovranazionale), al fine di valutare – a livello storico e sistematico – in quale ambito disciplinare l’interesse in oggetto è stato ed è regolato

43.

43 Il principio di prevalenza è stato elaborato dalla Corte costituzionale ed utilizzato in

Rossella Miceli 79

In tale analisi, un rilievo importante assumono anche i titoli delle leggi, che intendono sempre circoscrivere la materia generale di applicazione e di intervento della normativa.

Nella sent. n. 58/2015, la suddetta analisi viene effettuata in relazione al tema dei rifiuti, al fine di valutare la maggiore appartenenza del tema stesso all’ambito della materia della salute ovvero a quella ambientale.

La tradizionale regolamentazione di tale materia all’interno delle leggi in tema di ambiente, sostenuta anche da regolamenti europei sull’argomento, ne ha definito l’appartenenza alla materia ambiente.

Il criterio di prevalenza, quindi, sancisce la riferibilità di un tema ad una materia specifica sulla base essenzialmente degli ordinari canoni giuridici in-terpretativi.

5. Considerazioni conclusive

I principi generali, statuiti dalla recente sent. n. 58/2015 della Corte co-stituzionale, consentono di ridefinire un quadro sulle prospettive della politi-ca fiscale ambientale a livello territoriale, alla luce delle determinazioni nella stessa contenute.

Le riflessioni conclusive che si effettueranno riguardano i tributi ambien-tali di ogni tipologia, sia ambientali in senso stretto che a finalità ambienta-le; per questo motivo assumono anche una certa importanza per lo sviluppo del tema secondo i tre livelli (nazionale, internazionale ed europeo) indivi-duati al par. 2.

Dal punto di vista dei poteri e delle competenze, infatti, in relazione ai principi analizzati in questa sede, non si ritiene si possa riscontrare una diffe-renza di disciplina specifica tra i tributi ambientali veri e propri e i tributi a finalità ambientale, laddove – come precisato – nella definizione di tributo a finalità ambientale si riconduce qualsiasi contribuzione legata all’ambiente ed al suo miglioramento che, tuttavia, non risponde ai rigidi principi europei di strutturazione di un tributo ambientale.

Infine è necessario valutare il livello di resistenza delle presenti riflessioni alla luce dei progetti di legge oggi esistenti, sia in relazione alla disciplina sul recenti sentenze. In particolare, Corte cost., 23 dicembre 2003, n. 370 (ove si effettua una analisi storico-sistematica in merito alla riconducibilità della materia degli asili nido che si avvia dal R.D. 15 aprile 1926, n. 718); Corte cost., 28 gennaio 2005, n. 50.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 80

federalismo fiscale, che in rapporto alla legge delega per la riforma della ma-teria tributaria.

5.1. Le prospettive della tassazione ambientale nell’ambito delle Regioni a Statu-to ordinario. L’istituzione dei tributi ambientali secondo i principi di compe-tenza, continenza e prevalenza

L’istituzione di tributi propri ambientali nell’ambito delle Regioni a Sta-tuto ordinario deve avvenire – in base alla disciplina costituzionale e alle sta-tuizioni recate nella recente sent. n. 58/2015 della Corte costituzionale – in ossequio a tre principi generali: la competenza, la continenza e la prevalenza.

In altre parole, ogni Regione a Statuto ordinario potrà istituire tributi pro-pri che abbiano come presupposto o finalità beni o valori che rientrino, se-condo un giudizio di prevalenza, nell’ambito concettuale di una materia affine all’ambiente, che sia devoluta alla competenza concorrente Stato-Regioni o esclusiva della Regione.

È preclusa, invece, l’istituzione di tributi propri in ordine a temi stretta-mente ambientali, quali i rifiuti.

Più analiticamente, ogni Regione ha facoltà di introdurre tributi propri solo nell’ambito delle materie di propria competenza, in quanto solo in rela-zione a queste ultime si realizza il presupposto della continenza che, come analizzato, costituisce un principio generale fondamentale del nostro ordi-namento giuridico.

La continenza collega il riparto di materie (contenuto nell’art. 117) al potere di istituire tributi propri (contenuto nell’art. 119) in capo alle Regio-ni a Statuto ordinario, esprimendo la necessità che anche il governo fiscale del territorio – che raggiunge la sua massima espressione con l’istituzione di tributi propri – avvenga nelle materie che sono state espressamente devolu-te alla competenza delle Regioni.

La materia ambiente è di competenza esclusiva dello Stato; ne consegue una preclusione assoluta delle suddette Regioni alla istituzione di tributi pro-pri in materia ambientale.

Si tratta di una conseguenza pesante, che ridimensiona in maniera netta il livello di autonomia di tali Enti territoriali e preclude loro la realizzazione di una politica ambientale di tipo locale, tarata sulle proprie esigenze e proble-matiche.

Queste conclusioni, relative agli effetti di tale disciplina normativa, risul-tano attenuate dalla scelta, effettuata dal legislatore nell’art. 117 Cost., di par-cellizzare la nozione di ambiente in numerose materie affini, alcune delle qua-

Rossella Miceli 81

li sono affidate alla legislazione concorrente Stato-Regioni. Tra queste ulti-me si rinvengono materie molto importanti, quali: la salute, il territorio, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali.

Nell’ambito di applicazione di tali materie, si definisce l’effettiva compe-tenza delle Regioni a Statuto ordinario alla istituzione di tributi propri e si racchiude la potenzialità della politica ambientale delle suddette Regioni, le quali potranno istituire tributi propri che presentino (sempre in ossequio al principio di continenza) presupposti (regolamentazione o finalità) riferibili a tali discipline.

La riconducibilità del presupposto di un tributo ad una materia (piutto-sto che ad un’altra) è una operazione interpretativa riservata al giudizio di prevalenza, secondo i canoni ermeneutici che sono stati analiticamente spie-gati nella sentenza della Corte cost. n. 58/2015.

5.2. I diversi livelli di sviluppo della tassazione ambientale in ambito nazionale. Le prospettive. La legge delega sulla riforma del Titolo V della Costituzione e sulla riforma del sistema tributario

Il futuro della politica fiscale ambientale in ambito nazionale sembra, quin-di, prospettare un triplice livello di evoluzione e di crescita.

Lo Stato potrà introdurre e regolare i tributi ambientali di ogni tipo, che abbiano presupposti, disciplina o finalità attinenti all’ambiente strettamente inteso, all’ecosistema, ai beni culturali (materie di competenza esclusiva del-lo Stato).

Lo Stato mantiene, comunque, a legislazione invariata, una posizione cen-trale ed esclusiva in ordine alla determinazione della politica ambientale, an-che fiscale, sia nazionale che territoriale.

Le Regioni a Statuto ordinario potranno istituire soltanto tributi ambien-tali, che abbiano come presupposto o finalità della disciplina un bene ricon-ducibile ad una materia affine a quella dell’ambiente e riservata alla compe-tenza concorrente Stato-Regioni o esclusiva delle Regioni. Alle Regioni a Sta-tuto ordinario non è quindi riconosciuto, ad oggi, un particolare ruolo nella politica fiscale ambientale italiana.

Le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome godono, invece, di maggiori spazi di autonomia; nei casi in cui gli Statuti non hanno previsto il principio di continenza in ordine alla istituzione di tributi propri – e, quindi, hanno sostanzialmente sottratto la potestà impositiva ad un vincolo di correla-zione con le materie di competenza delle Regioni – potranno essere introdotti tributi ed agevolazioni ambientali, realizzando politiche territoriali mirate.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 82

Tali Enti potranno, nel rispetto dei vincoli europei ed internazionali e dei principi generali del sistema giuridico nazionale, attuare una effettiva politi-ca fiscale sul territorio che realizzi una protezione e tutela dell’ambiente.

La situazione descritta, in ordine al tema oggetto di analisi in questa se-de, non sembra modificarsi in modo consistente laddove dovessero trovare conferma le disposizioni oggi contenute nello schema di disegno di legge co-stituzionale (“Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, la riduzione dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della Costitu-zione”) con riferimento al Titolo V della Costituzione, Capo IV, art. 30, del D.D.L. n. 1429/2014.

La nuova disciplina in materia di federalismo fiscale – laddove dovesse entrare in vigore il suddetto disegno di legge – non prevede più competenze legislative concorrenti tra Stato e Regioni e attribuisce la funzione legislativa (in via esclusiva) o allo Stato o alle Regioni.

Nell’ambito di questo disegno di legge, le materie della «tutela e valoriz-zazione dei beni culturali e paesaggistici, l’ambiente e l’ecosistema» continua-no ad essere riservate alla competenza esclusiva dello Stato, mentre alle Re-gioni è riconosciuta una competenza esclusiva in materia di «promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici, di valorizzazione e organizzazio-ne del turismo».

Laddove, quindi, si dovesse confermare questa disciplina, la situazione ri-marrebbe sostanzialmente invariata e l’istituzione di tributi propri in mate-ria ambientale, da parte delle Regioni a Statuto ordinario, sarebbe sempre subordinata ai tre principi della competenza, continenza e prevalenza.

Anche la legge delega sulla riforma del sistema fiscale (L. 11 marzo 2014, n. 23) promuove la fiscalità ambientale a livello nazionale, ma nulla dispone in relazione alla tassazione ambientale in ambito territoriale e locale, in me-rito alla quale si evidenzia soltanto la necessità di un coordinamento.

I progetti normativi non rilevano, quindi, l’approssimarsi di importanti evoluzioni sul tema della tassazione ambientale a livello territoriale.

Si auspica, pertanto, ad una crescita della politica ambientale nazionale entro gli ambiti ben definiti, messi in luce in questa sede, che possa essere, nella misura possibile, territorialmente differenziata secondo i principi eu-ropei.

Franco Paparella

LE RECENTI NOVITÀ FISCALI PER IL CONCORDATO AI FINI DELLE IMPOSTE SUI REDDITI

*

RECENT DEVELOPMENTS ON THE PRE-BANKRUPTCY AGREEMENT FOR THE PURPOSE OF INCOME TAXES

Abstract Il concordato preventivo non gode di una disciplina specifica ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto al punto che l’attenzione del legisla-tore fiscale si è storicamente indirizzata su due aspetti: la cessione e il trasferimento dei beni e dei diritti compresi nel patrimonio dell’impresa; gli effetti conseguenti alla riduzione delle passività per effetto della omologazione e della esecuzione della proposta concordataria. In linea di principio, tali vicende riguardano la ge-neralità dei concordati e, per comprensibili esigenze di razionalità e di uniformità di trattamento, le relative norme “speciali” (gli artt. 86 e 88 TUIR) si applicano indistintamente a tutte le ipotesi a prescindere dalla finalità liquidatoria o di pro-secuzione dell’attività. A tali norme saranno riservate le considerazioni successi-ve non senza sottolineare l’attenzione particolare che l’art. 101 TUIR dedica an-che agli effetti nei confronti dei creditori a causa della perdita dovuta al minor realizzo del credito in ragione della percentuale di soddisfazione prevista dalla pro-posta concordataria. Parole chiave: concordato preventivo, imposte sui redditi, plusvalenze, soprav-venienze attive, perdite su crediti The pre-bankruptcy agreement with creditors is not governed by a specific discipline for the purposes of income taxes and value added tax, to the extent that the attention of the lawmaker historically focused on two aspects: sale and transfer of company’s

* L’articolo è il testo della relazione, ampliata e corredata dalle note, tenuta al Conve-gno di Roma del 23 ottobre 2015, in tema di “Concordato con riserva”, organizzato dal-l’Università Niccolò Cusano di Roma.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 84

assets and rights belonging to the company; the effects of the reduction of liabilities as a result of the approval and execution of the agreement proposed. In principle, these events affect the generality of pre-bankruptcy agreements and, due to an understand-able need for a rational and uniform treatment, the relevant “special” rules (arts. 86 and 88 of the Income Tax Consolidated Act, ITCA) apply to all cases regardless of whether the aim of the procedure is to continue or terminate the business. This article makes remarks on these rules and it also emphasises the particular importance that art. 101 ITCA gives to the effects on creditors due to the loss caused by the lower amount of the credit, reduced according to the proposed pre-bankruptcy agreement. Keywords: pre-bankruptcy agreement, income taxes, capital gains, windfall profits, credit losses

SOMMARIO: 1. Cenni sul diritto tributario delle procedure concorsuali. – 2. I principi generali del concorda-to preventivo nel sistema delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto. – 2.1. Se-gue: il regime delle plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni. – 2.2. Segue: il regime delle so-pravvenienze attive dovute alla riduzione del passivo. – 3. Gli effetti nei confronti dei creditori: la disciplina delle perdite su crediti.

1. Cenni sul diritto tributario delle procedure concorsuali

Chiunque intenda esaminare i profili tributari di un qualsiasi istituto del diritto fallimentare non può trascurare una premessa di carattere generale ri-guardante la risalente e complessa esigenza di individuare una composizio-ne razionale ed il coordinamento sistematico tra le norme fiscali e la disciplina sostanziale delle procedure concorsuali. Infatti, già prima della riforma tribu-taria del 1971-1973, un autorevole Maestro segnalò che «la difficoltà del tema “fallimento e Fisco” sta proprio qui: nel coordinare due “corpi” di nor-me eterogenee dei quali l’uno (quello tributario) è privo di qualsiasi struttu-ra sistematica»

1 ed, a distanza di oltre cinquanta anni, è agevole verificare che tale difficoltà non solo permane ma assume contorni più complessi a cau-sa dell’assenza di un impianto sistematico compiuto e dell’impossibilità di ravvisare una chiara gerarchia tra i diversi valori meritevoli di tutela

2.

1 V. MICHELI, Recensione a Pajardi. Fallimento e Fisco, in Riv. dir. fin., 1971, I, p. 169. 2 Per conferma, tra i tanti, v. FANTOZZI, Considerazioni generali sui profili fiscali delle pro-

Franco Paparella 85

Tale situazione è stata determinata da un complesso di fattori che è pos-sibile solo enunciare in questa sede e che muovono dall’assenza nel diritto tri-butario di una disciplina organica e compiuta riservata alle procedure concor-suali. Infatti, a proposito delle imposte sui redditi, l’art. 183 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (d’ora in-nanzi TUIR) è notoriamente riferibile solo al fallimento ed alla liquidazione coatta amministrativa mentre le norme in tema di riscossione di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, sono più complete (anche se non esaustive) in quanto nel Capo IV, dedicato alle “Procedure concorsuali” (artt. 87 ss.), oltre alla Sezione I riservata al fallimento ed alla liquidazione coatta amministra-tiva, quella successiva è dedicata al concordato preventivo ed all’ormai sop-pressa amministrazione controllata.

In linea di principio, inoltre, nel settore delle imposte sui redditi lo stato di crisi o di insolvenza non sempre è ritenuto una vicenda meritevole di una disciplina in deroga alle regole generali per cui sussiste la difficoltà di indivi-duare un coordinamento razionale con la disciplina speciale riservata a talu-ni aspetti particolari mentre, in una visione più ampia, un condizionamento decisivo è dato dalla differente ratio e dalla disciplina del presupposto impo-sitivo dei singoli tributi talché, ad esempio, l’Imposta sul Valore Aggiunto continua ad applicarsi secondo le regole generali.

In questo contesto si colloca la frenetica attività legislativa dell’ultimo de-cennio che, oltre a confermare la storica incapacità del legislatore tributario di adeguarsi alle evoluzioni che intervengono negli altri settori dell’ordina-mento, è risultata sempre più frammentaria ed episodica, accentuando il ca-rattere asistematico del diritto tributario delle procedure concorsuali. Ad e-sempio, talune rilevanti norme tributarie sono state discutibilmente colloca-te nella legge fallimentare con la riforma recata dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5

3, gli interventi a proposito della transazione fiscale o delle perdite su crediti sono stati ripetuti e non sembrano aver ancora delineato una disciplina com-piuta (come vedremo nei paragrafi successivi) mentre gli accordi di ristrut-turazione dei debiti ed i piani attestati, di cui agli artt. 182 bis e 67 L. fall., cedure concorsuali e sul rapporto tra par condicio creditorum, interesse fiscale ed altri interessi diffusi, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Ghia-Piccininni-Severini, VI, Torino, 2012, p. 1; PAPARELLA, Luci ed ombre dovute all’assenza di una disciplina compiuta in tema di amministrazione straordinaria nel sistema delle imposte sui redditi, in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 299.

3 In primis la transazione fiscale prevista all’art. 182 ter L. fall., ma si consulti altresì la disciplina riservata alla cessione dei crediti fiscali oppure all’assegnazione dei crediti d’im-posta al fallito di cui agli artt. 106 e 117.

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hanno ricevuto un minimo di regolamentazione dopo molti anni dalla loro introduzione.

D’altro canto, un’ulteriore conferma della scarsa attenzione nei confronti delle esigenze sistematiche relative al settore in esame si desume proprio dal recente intervento di cui al D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 avente ad og-getto le “Misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese”. Infatti, nell’ambito di un corpus normativo espressamente riservato al diritto tribu-tario comunitario ed internazionale, con l’art. 13 (peraltro rubricato “Perdite su crediti”) sono intervenute rilevanti modifiche alla disciplina della crisi d’impresa a proposito delle rinunce dei soci ai crediti verso la società (art. 94 TUIR), delle perdite su crediti (art. 101 TUIR)

4 e, soprattutto, in merito alle sopravvenienze attive (art. 88 TUIR) come si evidenzierà in seguito.

In definitiva, la spiccata frammentarietà del diritto positivo, le relative la-cune ed i problemi di coordinamento costituiscono un limite oggettivo alla possibilità di individuare un disegno sistematico compiuto per il sistema delle procedure concorsuali nelle imposte sui redditi anche perché l’inter-vento di nuovi istituti volti a prevenire o risolvere la crisi dell’impresa ha re-so inadeguato l’impianto teorico risalente alla riforma del 1971-1973 ed im-pone di rimeditare il rapporto tra gli interessi privatistici dei creditori e quel-li dell’erario. In questa prospettiva è emblematico che non ha avuto seguito nemmeno l’ennesimo tentativo riformatore delineato dalla legge delega 11 marzo 2014, n. 23

5, in quanto, a conferma dell’assenza di un impianto teori-co soddisfacente, all’art. 12 è stato riproposto un principio (già rimasto inat-tuato nel passato), del tutto ambiguo e di difficile attuazione, che prevedeva l’estensione del «regime fiscale previsto per le procedure concorsuali anche ai nuovi istituti introdotti dalla riforma del diritto fallimentare e dalla nor-mativa sul sovra indebitamento nonché alle procedure similari previste negli ordinamenti degli altri Stati»

6. Permane dunque l’esigenza di precisare il rapporto tra norme fiscali e fal-

4 Addirittura anche con una norma di interpretazione autentica. 5 L’esigenza di un intervento legislativo di razionalizzazione è stata prospettata da tempo

anche da MICCINESI, Fisco e riforma delle procedure concorsuali, in Giur. imp., 2001, p. 447. 6 Infatti, è stato agevole rilevare in altre sedi che nell’ordinamento interno non esiste un

regime fiscale “tipico” delle procedure concorsuali ed, inoltre, che in quello comunitario la disciplina è estremamente diversificata come risulta dalla Racc. della Commissione UE C(2014) 1550 final del 12 marzo 2014 (per conferma, si v. PAPARELLA, La partecipazione delle sanzioni amministrative tributarie al riparto nelle procedure concorsuali, in Rass. trib., 2015, p. 598).

Franco Paparella 87

limentari ma la definizione di tale complesso profilo teorico impone la pre-liminare selezione ed una ponderazione di valori al fine di individuare la ge-rarchia di interessi più conforme ai principi costituzionali tra quelli privati-stici dei creditori, l’interesse fiscale e quelli pubblici o diffusi di altra natura

7. Per evitare che l’interesse fiscale sia pregiudicato a vantaggio di altri valori non meritevoli della stessa tutela sul piano costituzionale, i criteri giuridica-mente rilevanti possono essere diversi; ad esempio, si potrebbero distingue-re le procedure di tipo liquidatorio da quelle di ristrutturazione oppure le situazioni di crisi temporanea dalle situazioni di dissesto irreversibile oppu-re ancora le procedure che assicurano la prosecuzione dell’impresa, la salva-guardia dei livelli occupazionali e la continuità nell’erogazione di servizi pub-blici essenziali da quelle che non perseguono dette finalità e si può persino individuare una combinazione tra più criteri purché non siano sacrificati gli interessi pubblici a vantaggio di quelli privati in assenza di una ratio merite-vole di tutela per la collettività.

Ed al riguardo, anche alla luce degli interventi delle Sezioni Unite della Suprema Corte dell’ultimo periodo (sebbene non sempre univoci sul piano della gerarchia dei valori), ritengo che il giudizio di ponderazione possa es-sere risolto riconoscendo la supremazia del credito tributario sul piano so-stanziale (non delle sanzioni e degli interessi

8), in coerenza con il sistema dei titoli di preferenza, mentre al di fuori di detto stretto ambito esso è del tutto assimilabile a quello dei creditori comuni secondo le regole previste dal diritto fallimentare

9.

2. I principi generali del concordato preventivo nel sistema delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto

Nel solco di quanto evidenziato e limitando l’esame agli aspetti sostan-ziali, in primo luogo, occorre evidenziare che il concordato preventivo non gode di una disciplina specifica ai fini delle imposte sui redditi e dell’impo-

7 V. FANTOZZI, op. cit., p. 1. 8 Si veda, se si vuole, PAPARELLA, La partecipazione delle sanzioni amministrative tributa-

rie, cit., p. 598. 9 Per una elaborazione più argomentata della conclusione riportata nel testo si v. PAPA-

RELLA, Insinuazione al passivo tardiva dei crediti fiscali: recenti ordinanze della Suprema Corte tra vecchie questioni e nuova disciplina dell’accertamento esecutivo, in Riv. trim. dir. trib., 2012, p. 415.

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sta sul valore aggiunto. In particolare, circa quest’ultimo tributo, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, oltre a non prevedere una modalità di applicazione del-l’imposta diversa da quella ordinaria

10, non impone nemmeno adempimenti formali specifici come quello previsto dall’art. 74 bis, comma 2, notoriamen-te limitato al fallimento ed alla liquidazione coatta amministrativa.

Invece, nell’ambito delle imposte sui redditi, la fattispecie che gode di una disciplina puntuale è il fallimento ed a questo istituto si riferisce l’art. 183 TUIR, che richiama solo la liquidazione coatta amministrativa

11, seb-bene in dottrina sia consolidata l’opinione che trovi applicazione anche per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, sia pure in par-ticolari fattispecie

12. La disposizione riflette le esigenze sistematiche delle procedure con fina-

lità liquidatoria ma, a differenza della liquidazione ordinaria di cui all’art. 182 TUIR, è espressione di un regime speciale sui criteri di determinazione del tributo e sullo statuto dei beni dell’impresa pur essendo analoga la de-stinazione funzionale del patrimonio in una logica di realizzo e la distinzio-ne del risultato economico della gestione ordinaria da quello prodotto al ter-mine della procedura

13.

10 Inclusa la possibilità di emettere le note di variazione, ai sensi dell’art. 26, D.P.R. n. 633/1972, al fine di consentire al creditore di recuperare l’imposta assolta a seguito della ri-valsa nei confronti del soggetto ammesso alla procedura concorsuale (v. Circolare Ag. En-trate, 17 aprile 2000, n. 77/E, in Il Fisco, n. 1, 2000, p. 6219). Sul tema, v. DENORA, Proce-dure concorsuali infruttuose e note di variazione in diminuzione ai fini IVA: la tutela del credi-tore a fronte dell’inadempimento del debitore, in PAPARELLA (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Milano, 2013, p. 1029; TORZI, Le note di varia-zione IVA nell’ambito degli accordi di ristrutturazione e dei piani attestati di risanamento, in MULEO (a cura di), Commento al D.Lgs. n. 145 del 2014, Torino, 2015, p. 155.

11 Sul punto si v. URICCHIO, I profili fiscali della liquidazione coatta amministrativa, in PAPARELLA (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali, cit., p. 835.

12 V. PAPARELLA, Il regime fiscale dell’amministrazione straordinaria: la necessità di distin-guere le fattispecie sulla base della natura e della finalità della procedura, in Trattato delle pro-cedure concorsuali, diretto da Ghia-Picininni-Severini, V, Torino, 2011, p. 511, ove ulteriori riferimenti di dottrina.

13 Infatti, il comma 1 dell’art. 183 dispone che il reddito relativo al periodo compreso tra l’inizio dell’esercizio e la data della dichiarazione di fallimento è determinato sulla base delle regole ordinarie in funzione del bilancio redatto dal curatore (o dal commissario liqui-datore). Si tratta del bilancio che il curatore è tenuto a redigere (se non è stato redatto dal fallito) o a correggere (se è stato redatto in maniera incompleta), il quale assolve ad una du-plice funzione: di consentire la presentazione della dichiarazione dei redditi per il periodo preconcorsuale e di determinare la consistenza del patrimonio netto iniziale della fase con-corsuale. Invece, il comma 2 dell’art. 183 disciplina i criteri di determinazione del reddito

Franco Paparella 89

Per tale fondamentale ragione, in via di principio, può essere razionalmen-te giustificata l’assenza di una disciplina speciale riservata al concordato pre-ventivo di cui all’art. 160 ss. L. fall. dal momento che:

a) nel sistema delle imposte sui redditi le vicende di natura liquidatoria non sono storicamente considerate meritevoli di una deroga rispetto ai cri-teri ordinari di applicazione del tributo come risulta dall’esperienza della li-quidazione ordinaria;

b) nel concordato non si ravvisano le esigenze di semplificazione e di agevolazione dell’attività del curatore che sono state alla base della introdu-zione di un regime speciale riservato al fallimento (con il Testo Unico del 1986), il quale pertanto non può essere esteso ad altri istituti per interpreta-zione estensiva o per applicazione analogica

14.

Questa impostazione assume un rilievo più immediato per le fattispecie di concordato preventivo che si fondano sulla prosecuzione dell’attività, ai sensi dell’art. 186 bis L. fall., in quanto consolida la distinzione, ormai preva-lente in dottrina ma recepita anche dall’Amministrazione Finanziaria, tra le procedure liquidatorie e quelle che tendono a risolvere le situazioni di crisi ed a salvaguardare la prosecuzione dell’impresa

15. E nella stessa prospettiva può essere anche giustificato il prolungato di-

sinteresse del legislatore fiscale nei confronti dei nuovi istituti (accordi di ristrutturazione e piani asseverati) che, per definizione, assumono il protrar-si dell’esercizio dell’attività d’impresa quale migliore modalità per soddisfa- nel corso della procedura concorsuale secondo un’impostazione patrimoniale (e non red-dituale) fondata sulla quantificazione unitaria e complessiva della grandezza imponibile, a prescindere dalla durata della procedura, anche in funzione dell’obbligo della dichiarazione a carico del curatore. Pertanto, il profilo più significativo è dovuto al fatto che mutano i cri-teri di determinazione della base imponibile rispetto alle regole ordinarie in quanto il risul-tato economico compreso tra l’inizio e la chiusura della procedura concorsuale è dato dalla differenza tra il residuo attivo della procedura ed il patrimonio netto iniziale determinato sul-la base dei valori fiscalmente riconosciuti. Per approfondimenti, tra gli altri, si v. TINELLI, La determinazione del reddito d’impresa nelle procedure concorsuali, in Rass. trib., 1989, p. 263; ZIZZO, Aspetti problematici della determinazione del reddito d’impresa in sede di chiusura del-la procedura fallimentare, in Riv. dir. trib., 1992, I, p. 665.

14 Per tutti, anche per un’impostazione critica rispetto alla scelta legislativa di limitare il problema dell’“incubo fiscale” (secondo l’espressione utilizzata nel passato) nelle procedure concorsuali, si vedano i tre saggi di Falsitta raccolti nel volume La tassazione delle plusva-lenze e sopravvenienze nelle imposte sui redditi, Padova, 1986, pp. 233 e 257.

15 Per conferma, si vedano gli ampi riferimenti dottrinali richiamati in PAPARELLA, Luci ed ombre, cit., p. 299.

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re il ceto creditorio posto che, in estrema sintesi, la prosecuzione dell’eserci-zio dell’impresa, senza soluzione di continuità, implica che i beni restano sot-toposti al regime fiscale ordinario ed, in definitiva, che non sussistono parti-colari ragioni per interrompere l’esercizio d’imposta, per prospettare la de-terminazione unitaria del reddito per più periodi d’imposta (il cosiddetto “maxi periodo”) o per applicare criteri di determinazione della ricchezza im-ponibile diversi da quelli ordinari

16. Se tali brevi considerazioni sono condivise, dovrebbe essere agevole co-

gliere il disegno sistematico che giustifica l’assenza di una disciplina compiuta per i concordati al punto che l’attenzione del legislatore fiscale si è storica-mente indirizzata su due aspetti:

a) la cessione e/o il trasferimento dei beni e/o dei diritti compresi nel patrimonio dell’impresa;

b) gli effetti conseguenti alla riduzione delle passività per effetto della o-mologazione e della esecuzione della proposta concordataria

17.

In linea di principio, si tratta di vicende che riguardano la generalità dei concordati (inclusa la fattispecie comunemente definita “in bianco” ovvero con riserva di presentazione dei documenti) e, per comprensibili esigenze di razionalità e di uniformità di trattamento, le relative norme “speciali” si ap-plicano indistintamente a tutte le ipotesi a prescindere dalla finalità liquida-toria o di prosecuzione dell’attività

18. Trattasi, in particolare:

a) dell’art. 86 TUIR, ove è previsto che la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e delle minusvalenze dei beni;

b) dell’art. 88 TUIR, che esclude dall’ambito delle sopravvenienze attive tassabili la riduzione dei debiti per effetto dell’esito favorevole del concordato.

A tali norme saranno riservate le considerazioni successive non senza aver prima sottolineato che la disciplina sui concordati dedica all’art. 101 TUIR un’attenzione particolare anche agli effetti nei confronti dei creditori a causa

16 V. TINELLI, Il regime fiscale del concordato preventivo, in PAPARELLA (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali, cit., p. 855; BRUNO, I profili fiscali del concordato pre-ventivo, in Trattato delle procedure concorsuali, cit., p. 493.

17 Per approfondimenti, tra gli altri, si v. CONTRINO, Procedure concordatarie (vecchie e nuove), riduzioni di debiti e sopravvenienze attive, in Rass. trib., 2011, p. 36.

18 V. TINELLI, Il regime fiscale del concordato preventivo, cit., p. 855.

Franco Paparella 91

della perdita dovuta al minor realizzo del credito in ragione della percentua-le di soddisfazione prevista dalla proposta concordataria.

2.1. Segue: il regime delle plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni

La prima norma speciale è dettata dall’art. 86, comma 5, TUIR e prevede l’irrilevanza fiscale delle plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni ai cre-ditori in sede di concordato preventivo (ma non fallimentare

19), comprese quelle relative alle rimanenze ed al valore dell’avviamento.

Sul piano letterale la norma si riferisce alla sola “cessio bonorum” al pun-to che in un primo momento è stata oggetto di un’interpretazione restrit-tiva dalla giurisprudenza che limitava l’ambito di applicazione alla cessione dei beni ai creditori con esclusione delle plusvalenze derivanti dalle ces-sioni ai terzi

20. Evidenti ragioni di coerenza impositiva, anche rispetto alla corrispondente disciplina sulle sopravvenienze attive, hanno portato al progressivo ampliamento della sua portata sia da parte della giurispruden-za di legittimità

21, che dell’Amministrazione Finanziaria 22, al punto che ades-

so non è controverso che la norma trovi applicazione per qualsiasi ipotesi di cessione rientrante nell’ambito della procedura concordataria a pre-scindere dalla qualità del cessionario.

A seguito di tale inversione di tendenza la norma ha assunto una configu-razione più razionale ed è espressione di un beneficio generalizzato, collegato alla realizzazione dell’attivo volto ad attenuare l’incidenza dell’onere fiscale per le operazioni effettuate nel corso della liquidazione concordataria

23, non sempre apprezzato in dottrina

24. Nel rispetto di tale ratio, infatti, è irrilevan-

19 Sulle ragioni dell’esclusione del concordato fallimentare v. ZIZZO, Aspetti problemati-ci della determinazione del reddito d’impresa, cit., p. 683.

20 V. Cass., 4 giugno 1996, n. 5112, in Giur. it., n. 1, 1996, I, p. 1312; Cass., 11 dicembre 1993, n. 12216, in Boll. trib., 1994, p. 572; Cass., 21 gennaio 1993, n. 709, in Il Fallimento, 1993, p. 807.

21 Così, tra le altre, Cass., 16 ottobre 2006, n. 22168, in Corr. trib., 2006, p. 3815, con nota di ZENATI, Non sono tassabili le plusvalenze emerse dal concordato preventivo con cessione dei beni.

22 V. Risoluzione Ag. Entrate, 1° marzo 2004, n. 29/E, in Il Fallimento, 2005, p. 347. 23 In tal senso, si veda chiaramente Cass., 21 maggio 2007, n. 11701, in Banca dati fi-

sconline. 24 Ad esempio, si v. FALSITTA, La questione fiscale delle procedure concorsuali, in Rass.

trib., 1982, p. 77; MICCINESI, L’imposizione sui redditi nel fallimento e nelle altre procedure con-corsuali, Milano, 1990, p. 314.

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te il momento in cui interviene la cessione perché riguarda indistintamente tutti gli atti compiuti nel corso della procedura concordataria e, dunque, sia quelli perfezionati prima dell’omologazione, che quelli rientranti nella fase di esecuzione.

2.2. Segue: il regime delle sopravvenienze attive dovute alla riduzione del passivo

La seconda norma è stata oggetto di una recentissima modifica legislativa e tale circostanza impone di precisare il contesto sistematico in cui è inter-venuta.

In linea di principio, secondo le regole generali del reddito d’impresa, la differenza tra i debiti accumulati alla data di apertura della procedura con-cordataria e quanto il debitore si impegna a soddisfare in attuazione della proposta e del piano (il cosiddetto bonus concordatario) dovrebbe assume-re rilevanza fiscale quale sopravvenienza attiva ai sensi dell’art. 88, comma 1, TUIR. Tuttavia, in deroga alla regola generale, prima della novella il comma 4 prevedeva che «non si considerano sopravvenienze attive ... la riduzione dei debiti dell’impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo» se-condo un’impostazione, ormai datata, favorevole agli interessi dei creditori.

La norma è di origine giurisprudenziale 25 in quanto nel passato la Su-

prema Corte ha ritenuto irrilevante il bonus concordatario anche in assenza di disposizioni espresse, evidenziando che la conclusione opposta avrebbe, di fatto, vanificato gran parte delle ipotesi concordatarie anche perché l’one-re fiscale si incrementa (a danno dei creditori) con l’aumentare della misura del passivo oggetto di falcidia.

L’intuizione giurisprudenziale – di natura pragmatica ma avulsa dai prin-cipi generali del reddito d’impresa – ha trovato in seguito riconoscimento legislativo ma è stata anche oggetto di rilevanti critiche in dottrina

26 in quan-to l’irrilevanza delle sopravvenienze attive trascura che, in via di principio, i debiti possono aver partecipato (sub specie di costi deducibili) alla determi-nazione del reddito dei periodi d’imposta precedenti talché, in punto di ra-zionalità e di coerenza impositiva, la relativa riduzione del passivo dovrebbe

25 In tal senso si v. Cass., 18 luglio 1995, n. 7800, in Riv. dir. trib., 1996, II, p. 143, con nota di LA ROSA, Norme interpretative, disposizioni innovative e retroattività del Tuir.

26 Ad esempio, si v. MICCINESI, L’imposizione sui redditi nel fallimento, cit., p. 293; DO-MINICI, Profili fiscali, in TEDESCHI (a cura di), Le procedure concorsuali, Parte II, Torino, 1996, p. 815.

Franco Paparella 93

essere tassata in capo alla beneficiaria (analogamente alle rinunce ai crediti o ad altri atti di natura abdicativa

27). Anche per tale ragione si è sviluppato un ampio dibattito al fine di preci-

sare la natura della norma e, segnatamente, se essa sia espressione di un’e-senzione o di una esclusione a causa dei noti vincoli a carico del legislatore nella selezione delle fattispecie meritevoli di un regime di favore e del relati-vo sindacato di ragionevolezza. In particolare, in qualche caso è stato ravvi-sato il carattere “ibrido” della norma sulla scorta delle indicazioni presenti nella relazione di accompagnamento al Testo Unico, perché dovrebbe avere i tratti tipici sia della esclusione, che dell’esenzione

28, mentre altri studiosi hanno pragmaticamente concluso che si tratta di un beneficio che prescinde dall’esigenza di determinare il reddito effettivo, in deroga alla disciplina or-dinaria, per agevolare il buon esito del concordato preventivo (a prescinde-re dalla natura) nel solco dell’impostazione privilegiata a suo tempo dalla Suprema Corte

29. Malgrado i profili teorici, la disciplina di favore per le sopravvenienze at-

tive dei bonus concordatari da tempo integra, a pieno titolo, il sistema del red-dito d’impresa, è stato precisato che trova applicazione per qualsiasi tipo di concordato

30 ed è stata di recente espressamente estesa agli accordi di ri-strutturazione di debiti ex art. 182 bis L. fall. ed ai piani asseverati

31 a causa dell’impossibilità (o, quantomeno, della difficoltà) di ricorrere all’interpre-tazione estensiva o all’applicazione analogica

32.

27 Sulle implicazioni sistematiche di tale categoria di atti v. MASTROIACOVO, La rilevan-za delle vicende abdicative nella disciplina sostanziale dei tributi, Torino, 2012; PLASMATI, Profili tributari delle cause di estinzione non satistativa delle obbligazioni, Milano, 2012.

28 V. ANDREANI-TUBELLI, La disciplina fiscale degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis della legge fallimentare, in Il Fisco, n. 1, 2006, p. 7807, ma al riguardo si consul-tino le puntuali e condivisibili critiche formulate da CONTRINO, Procedure concordatarie, cit., p. 36.

29 In tal senso si v. MICCINESI, L’imposizione sui redditi nel fallimento, cit., p. 311. 30 V. Risoluzione ministeriale, 15 settembre 1980, n. 2/2079, in Banca dati fisconline. 31 A seguito delle modifiche apportate dall’art. 33, comma 4, D.L. 22 giugno 2012, n. 83. 32 Infatti, la dottrina era divisa tra la maggioranza che negava un’interpretazione esten-

siva della norma (v. FANTOZZI, op. cit., p. 20; FICARI, Problematiche fiscali degli accordi di ristrutturazione e relative evoluzioni normative, in PAPARELLA (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali, cit., p. 907; SALVATI, Profili fiscali degli accordi di ristrutturazione, in Rass. trib., 2009, p. 1710) e coloro che, al contrario, erano favorevoli (v. CONTRINO, Il trattamento fiscale dei «bonus» concordatari e da accordi di ristrutturazione, in Corr. trib., 2010, p. 2335).

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In questo contesto, si colloca il recente intervento legislativo ad opera del-l’art. 13, D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, che ha introdotto due nuovi com-mi all’art. 88 TUIR: il comma 4 bis, che è intervenuto sulle rinunce ai crediti da parte dei soci, ed il comma 4 ter, ove è confluita la disciplina delle ridu-zioni dei debiti dovute agli effetti tipici delle procedure concorsuali

33. La prima norma dovrebbe produrre effetti limitati per i concordati in

quanto i crediti dei soci sono notoriamente soggetti alla postergazione. Tut-tavia, essa inasprisce il regime fiscale della società beneficiaria della rinun-cia

34 – posto che adesso costituisce una sopravvenienza attiva tassabile «la parte (dei crediti) che eccede il relativo valore fiscale» – e, pertanto, d’ora in avanti il problema si presenterà in tutti i casi, per nulla infrequenti, in cui la proposta concordataria è corredata dalla rinuncia dei soci ai crediti per age-volare il buon esito della procedura.

Più rilevanti sono gli effetti dovuti all’innovativo comma 4 ter perché amplia la distinzione tra le procedure con finalità liquidatorie e quelle fon-date sulla prosecuzione dell’attività ed introduce un regime meno favorevo-le per le sopravvenienze attive (non tassabili) relative alla seconda categoria in quanto «la riduzione dei debiti non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite pregresse e di periodo di cui all’art. 84, senza considerare il limite dell’ottanta per cento, e gli interessi passivi e gli oneri fi-nanziari assimilati di cui al comma 4 dell’art. 96»

35. Nonostante la complessa ed articolata formulazione, la nuova versione

dell’art. 88 è destinata a produrre effetti sistematici interessanti in quanto an-che per il concordato, preventivo o fallimentare, per la prima volta si sanci-sce in via normativa la distinzione tra quello “liquidatorio” e quello “di risa-namento” nel solco di quanto prospettato in dottrina per la generalità delle procedure concorsuali.

Sul piano della tecnica legislativa, tuttavia, non è comprensibile la ragio-ne che ha portato ad individuare la seconda categoria con una definizione

33 Per un primo commento si v. ANDREANI-TUBELLI, Il nuovo regime fiscale delle riduzio-ni dei debiti dovute a crisi d’impresa, in Il Fisco, 2015, p. 2112, anche per gli aspetti applicati-vi delle perdite risultanti dal consolidato fiscale e delle eccedenze degli interessi passivi de-ducibili.

34 Sulle ragioni sistematiche dell’assimilazione della rinuncia ai crediti dei soci ai confe-rimenti v. FANTOZZI-PAPARELLA, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Padova, 2014, p. 167, ove ulteriori indicazioni di dottrina.

35 Un altro aspetto innovativo riguarda l’applicazione delle medesime regole alle ridu-zioni dei debiti originate dalle procedure estere “equivalenti” a quelle disciplinate dalla legge fallimentare.

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(appunto “di risanamento”) che è estranea al sistema della legge fallimentare – posto che la rubrica dell’art. 186 bis lo definisce «concordato con continui-tà aziendale» – oppure a rinunciare, più semplicemente, al rinvio qualifica-to. Rispetto alla necessità di distinguere con chiarezza le due species di con-cordati (vista la diversità del regime fiscale) è dunque auspicabile che non siano utilizzati criteri diversi da quelli maturati nell’esperienza fallimentare vi-sta anche la difficoltà riscontrata in tale ambito di distinguere talune fattispe-cie che non si prestano ad un inquadramento chiaro ed univoco

36. Il secondo aspetto sistematico desumibile dalla nuova disciplina delle so-

pravvenienze attive riguarda tipicamente la fiscalità del reddito d’impresa ed evoca i principi di coerenza impositiva avanzati nel passato per criticare la ge-neralizzata esclusione dalla tassazione dei bonus concordatari. In questa pro-spettiva, infatti, la limitazione del beneficio per i concordati di risanamento non può considerarsi irrazionale, né una penalizzazione, in quanto è idonea a preservare la simmetria tra costi dedotti nel passato e proventi tassabili fu-turi.

Tale esigenza sistematica non è stata perseguita imponendo la verifica analitica dei costi dedotti nel passato ma, comprensibilmente, è stata adotta-ta una logica di semplificazione ed un criterio di massa – secondo l’imposta-zione tipica della fiscalità delle procedure concorsuali – che obbliga ad uti-lizzare le perdite pregresse e di periodo anche se tale impostazione determi-na difficoltà applicative come vedremo in seguito. In ogni caso, poiché la nor-ma opera per le sole sopravvenienze attive originate da costi che hanno in-fluito sul reddito imponibile degli esercizi precedenti, essa non può trovare applicazione nelle ipotesi in cui i debiti derivano da componenti negativi del reddito non dedotti perché non deducibili o perché considerati tali dal dichia-rante (tipico è il caso della falcidia dei debiti tributari a seguito della transa-zione fiscale

37). Al riguardo è da accogliere con favore la disapplicazione del limite del

80% al riporto delle perdite perché evita di riproporre (ed amplificare) i dub-

36 Tra le fattispecie controverse, ad esempio, vi è l’ipotesi del concordato che, nelle mo-re della cessione dell’unica azienda, la concede in affitto con la relativa esigenza di distingue-re se la cessione interviene prima o dopo l’omologazione (per conferma, tra le tante, si veda Trib. Terni, sent. 12 febbraio 2013; Trib. Firenze, sent. 27 marzo 2013; Trib. Monza, sent. 11 giugno 2013; Trib. Busto Arsizio, sent. 1° ottobre 2014; Trib. Roma, sent. 24 marzo 2015).

37 Al riguardo, si veda CONTRINO, Procedure concordatarie, cit., p. 51, anche per ulteriori riferimenti dottrinali.

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bi evidenziati dalla dottrina sull’impostazione che favorisce comunque la tas-sazione di un “reddito minimo”

38 mentre l’utilizzo obbligatorio delle perdi-te sembra rispondere all’esigenza di limitare il beneficio a quello strettamen-te necessario per evitare l’emersione di un reddito imponibile

39. D’altro canto, l’intervento normativo riproduce il modello già adottato

dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 per gli accordi di ristrutturazione e per i piani attestati di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d), L. fall., talché, in una vi-sione sistematica e di coerenza impositiva, è apprezzabile la razionalizzazio-ne e l’equivalenza di regime fiscale per un complesso di istituti aventi la stes-sa ratio, la medesima finalità ed una chiara analogia funzionale

40. In definitiva, il nuovo comma 4 ter dovrebbe aver individuato un assetto

definitivo per le sopravvenienze attive a seguito della riduzione dei debiti do-vuta all’esecuzione del concordato ma la relativa disciplina può considerarsi solo in parte innovativa. Infatti, per il concordato, preventivo o fallimentare, di natura liquidatoria, da un lato, e per gli accordi di ristrutturazione ed i piani attestati di risanamento, dall’altro, non è intervenuta alcuna novità so-stanziale in quanto è rispettivamente ribadita la detassazione incondizionata delle sopravvenienze attive e quella soggetta al vincolo dell’utilizzo delle per-dite.

L’unico profilo innovativo riguarda dunque il concordato con prosecu-zione dell’attività, al quale infatti si applica una disciplina più penalizzante, ma, sotto questo punto di vista, non può essere trascurato che sono state eli-minate le incoerenze precedenti e che adesso è definito, con maggiore preci-sione e razionalità, il regime fiscale del complesso di procedure di natura li-quidatoria rispetto alle altre caratterizzate dalla prosecuzione dell’attività. An-

38 Tra i tanti v. PERRONE, Le perdite nell’imposta sul reddito delle persone fisiche, in Rass. trib., 2012, p. 1163; CARDELLA, Le perdite di periodo nel sistema di imposizione sul reddito. Studi preliminari, Torino, 2012, passim.

39 In termini analoghi già si era espressa L’Assonime, con la Circolare 13 maggio 2013, n. 15, nel punto in cui sottolinea «in coerenza con l’obiettivo di accordare la detassazione nei soli limiti in cui la rilevanza fiscale della sopravvenienza potrebbe determinare un one-re impositivo, a carico del debitore, occorre semplicemente confrontare l’entità della so-pravvenienza attiva con il risultato di periodo che si sarebbe prodotto in assenza di questa componente».

40 Infatti, la modifica introdotta dal D.L. n. 83/2012 ha prodotto una evidente disparità di trattamento tra i concordati preventivi “in continuità”, che beneficiavano della detassa-zione per intero delle sopravvenienze attive, e gli accordi di ristrutturazione ed i piani atte-stati di risanamento in quanto le relative sopravvenienze erano detassate solo per la parte eccedente le perdite pregresse.

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che in questa prospettiva, tuttavia, permane un’incoerenza in quanto non è razionalmente giustificabile la diversità di regime tra le sopravvenienze atti-ve e le plusvalenze: mentre le prime subiscono un vincolo ai fini della detas-sazione le seconde sono irrilevanti in ogni caso come rilevato in precedenza.

Malgrado il nuovo contesto sistematico, la formulazione della norma pre-senta qualche elemento oscuro che potrebbe determinare notevoli difficoltà applicative.

Ad esempio, è difficile apprezzare la perdita “di periodo” con riferimento ad una componente che concorre a determinarla. In linea di principio, si dovrebbe prima calcolare il risultato economico considerando la sopravve-nienza esclusa dall’imposizione e, qualora fosse conseguita una perdita, essa dovrebbe essere utilizzata nei limiti della riduzione dei debiti ma in dottrina sono state avanzate anche altre soluzioni a conferma di un modello dalla spic-cata ambiguità concettuale

41. Minori difficoltà si incontrano nell’individuazione dell’esercizio d’impo-

sta in cui la norma è applicabile in concreto; infatti, poiché essa è univoca-mente collegata alla riduzione dei debiti, è irrilevante il momento dell’omo-logazione della procedura in quanto essa si applica nell’esercizio in cui può considerarsi giuridicamente perfezionata la falcidia nel rispetto dei termini previsti dalla proposta concordataria. Nella maggioranza dei casi tale effetto consegue all’integrale esecuzione della proposta

42 ma non può escludersi che la riduzione dei debiti sia ripartita nel corso della durata del piano in corri-spondenza degli impegni di pagamento assunti nei confronti del ceto credi-torio.

Infine, un aspetto irrazionale attiene al regime intertemporale in quanto l’ambito riferito alle procedure concorsuali avrebbe suggerito di applicare la nuova disciplina alle procedure aperte dopo la sua entrata in vigore. Invece, la norma si applica dall’esercizio d’imposta in corso e tale soluzione determi-na problemi per i concordati pendenti in quanto i piani sono stati elaborati assumendo la generale irrilevanza delle sopravvenienze attive propria del re-gime precedente. In questi casi, quindi, a carico della procedura potrebbe in-tervenire un onere imprevisto all’origine che, se non trovasse capienza nei fon-di, prospetterebbe il tema della violazione degli impegni assunti con la propo-

41 Per conferma, v. ANDREANI-TUBELLI, Il nuovo regime fiscale delle riduzioni dei debiti, cit., p. 2112.

42 In questo senso si orienta anche la datata Risoluzione ministeriale, 1° settembre 1980, n. 9/1116, in Banca dati fisconline, che enfatizza il carattere della certezza e delle definitività.

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sta concordataria a seguito di una modifica legislativa sopravvenuta che in-cide sulle prospettive di soddisfazione dei creditori.

3. Gli effetti nei confronti dei creditori: la disciplina delle perdite su crediti

L’avvio di una procedura concorsuale o il perfezionamento di un istituto che agevola la composizione della crisi dell’impresa produce in capo al cre-ditore la perdita dovuta alla falcidia dei propri crediti secondo il rispettivo titolo di preferenza.

Storicamente tale profilo è stato oggetto di una considerazione specifica nel sistema delle imposte sui redditi anche se limitatamente ai crediti vantati nei confronti delle “procedure concorsuali” per cui da tempo è riconosciuta la deducibilità immediata della perdita in deroga alla regola generale fondata sulla sussistenza degli “elementi certi e precisi”. Infatti, l’art. 101 TUIR dispo-ne che l’irrecuperabilità del credito è ravvisabile “in ogni caso” se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali, prospettando una presunzione legale che consente la deducibilità della perdita senza dover valutare in concreto le caratteristiche della crisi dell’impresa oppure il concreto andamento della pro-cedura.

Rispetto a questo modello consolidato, negli ultimi anni il legislatore è intervenuto più volte per eliminare le incertezze legate all’ambito di applica-zione (limitato alle “procedure concorsuali”) ed all’individuazione del perio-do d’imposta. Una prima modifica si deve al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con la L. 7 agosto 2012, n. 134 – che ha incluso gli accordi di ristruttu-razione tra le procedure ammesse alla deducibilità immediata della perdita su crediti

43 – cui è seguita la L. 27 dicembre 2013, n. 147, che ha introdotto

43 In assenza di indicazioni normative espresse era sorto il problema dell’applicazione della regola della deducibilità immediata agli istituti di recente previsione e di incerta clas-sificazione tra le “procedure concorsuali” a causa dei dubbi originati dalla prassi ministeria-le (si v. Circolare Ag. Entrate, 13 marzo 2009, n. 8/E, in Il Fisco, 2009, p. 2082) e da qual-che sentenza di legittimità. Ma la questione è stata sopravvalutata in quanto non sempre è stata approfondita la possibilità di pervenire al medesimo risultato sulla base della regola generale fondata sugli “elementi certi e precisi” posto che entrambi gli elementi potevano considerarsi realizzati in presenza della riduzione irreversibile del credito, della causa giu-ridica che determinava la riduzione del diritto, della certezza e della oggettiva determina-zione della perdita nonché della particolare qualificazione del procedimento – in ragione dell’intervento dell’autorità giurisdizionale – che determinava la misura del credito effetti-vamente realizzabile (per approfondimenti si v. ZIZZO, Le perdite su crediti verso debitori

Franco Paparella 99

una disciplina agevolata per i crediti “di modesta entità” – intendendo per ta-li i crediti di importo non superiore ad euro 5.000 per le imprese di rilevanti dimensioni e non superiori ad euro 2.500 per gli altri soggetti – precisando che gli elementi certi e precisi “sussistono in ogni caso” se sono decorsi alme-no sei mesi dalla scadenza del pagamento

44. A seguito di tali interventi legislativi il sistema di diritto positivo è parso

(relativamente) esaustivo e l’unica questione considerata problematica (ma sopravvalutata) era quella relativa alla possibilità di rinviare la perdita al fu-turo rispetto all’esercizio di imposta individuato dall’apertura della proce-dura concorsuale.

Infatti, la prassi ministeriale ha prospettato una sorta di automatismo tra l’avvio della procedura e la deducibilità della perdita, ravvisando un obbligo non procrastinabile piuttosto che una facoltà da esercitare nel momento in cui la perdita può ragionevolmente considerarsi certa e definitiva

45. In senso opposto, invece, si è orientata una parte della dottrina e qualche sentenza della Suprema Corte

46, che hanno evidenziato l’impossibilità di prospettare una presunzione di irrealizzabilità del credito a causa del mero avvio della procedura concorsuale (il classico esempio sono i fallimenti che presentano un attivo consistente oppure i concordatari cosiddetti dilatori), la maggiore razionalità del criterio che impone di valutare in concreto la percentuale rea-lizzabile (in ragione degli atti e delle attività compiuti dal curatore, dai com-missari o dai liquidatori giudiziali) ed, in definitiva, la compatibilità del re-gime della deducibilità immediata con l’eventuale rinvio della perdita al fu-turo

47. In questo contesto si inquadra l’art. 13, comma 1, lett. c) e d), D.Lgs. n.

147/2015 che ha il pregio di superare gli ultimi dubbi applicativi e di com-pletare il sistema delle perdite su crediti. In particolare, il legislatore ha in- assoggettati a procedure concorsuali, in Corr. trib., 2010, p. 2344; PAPARELLA, La disciplina delle perdite sui crediti nei casi di debitori in crisi o sottoposti a procedure concorsuali, in AA.VV., Dal diritto finanziario al diritto tributario. Studi in onore di A. Amatucci, V, Napoli, 2011, p. 564).

44 V. BEGHIN, Perdite e svalutazioni dei crediti a seguito di rinunce, transazioni o insuffi-cienza dell’attivo, in PAPARELLA (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali, cit., p. 1009.

45 In tal senso, tra le altre, v. Circolare Ag. Entrate, 1° agosto 2013, n. 26. 46 V. Cass., 4 settembre 2002, n. 12381, in Rass. trib., 2002, p. 2070; Cass., 29 ottobre

2010, n. 22135, in Corr. trib., 2010, p. 157. 47 In proposito v. PAPARELLA, La disciplina delle perdite sui crediti, cit., p. 564, ove ampi

riferimenti di dottrina.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 100

trodotto il nuovo comma 5 bis all’art. 101 TUIR, avente i tratti tipici della norma di interpretazione autentica del precedente comma 5, che, nello spe-cifico, dispone:

a) l’estensione della disciplina ai piani attestati di risanamento ed alle ipotesi in cui il debitore è assoggettato a procedure estere equivalenti ed as-similate a quelle concorsuali negli Stati con i quali è previsto un adeguato scambio di informazioni;

b) che la perdita può essere portata in deduzione «anche in un periodo di imposta successivo a quello in cui ... il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale»

48. Pertanto, nonostante il cammino faticoso e la frammentazione degli in-

terventi legislativi, la recente modifica è da valutare positivamente perché do-vrebbe aver delineato un assetto definitivo sia sotto il profilo della comple-tezza della disciplina, che ai fini della soluzione dell’ultimo problema appli-cativo pendente.

48 Al riguardo la norma precisa che il debitore si intende sottoposto alla procedura con-corsuale dalla data: a) della sentenza dichiarativa del fallimento; b) del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa; c) del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo; d) del decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione; e) del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi im-prese in crisi; f) data di iscrizione nel registro delle imprese dei piani attestati di risana-mento.

Arnaldo Salvatore

IMPLICAZIONI INTERNAZIONALI DELLA DISCIPLINA DELL’IVA DI GRUPPO

INTERNATIONAL IMPLICATIONS OF THE VAT GROUP REGIME

Abstract Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, le prestazioni di servizi rese dalla casa madre stabilita in un paese terzo, alla propria succursale stabilita in uno Stato membro dell’Unione Europea, costituiscono operazioni imponibili ai fini IVA nel caso in cui la succursale appartenga ad un gruppo IVA considerato quale soggetto passivo unico ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. Tale imposta-zione potrà avere riflessi importanti nell’ordinamento italiano, soprattutto nella prospettiva dell’attuazione della delega in tema di gruppo IVA. Parole chiave: Corte di Giustizia dell’Unione Europea, succursale, gruppo, IVA, prestazioni di servizi According to the Court of Justice of the European Union, supplies of services made by the main establishment in a third country to its branch in a Member State constitute taxable transactions for VAT purposes when the branch belongs to a group regarded as a single taxable person for value added tax purposes (so-called VAT group). Such approach may have significant impact on the Italian scenario, especially in view of the forthcoming VAT group discipline. Keywords: Court of Justice of the European Union, branch, group, VAT, supplies of services

SOMMARIO: 1. Implicazioni transnazionali del gruppo IVA. La sentenza Skandia. – 2. Sui rapporti tra casa madre e stabile organizzazione ai fini IVA: la sentenza FCE Bank. – 3. Il gruppo IVA, ai sensi della Direttiva comunitaria 2006/112. – 3.1. Definizione di gruppo IVA. Effetti dell’esercizio del-l’opzione. – 3.2. Appartenenza di una stabile organizzazione al gruppo IVA. La tesi “controcor-

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 102

rente” dell’Avvocato Generale. – 3.3. Potenziali strumentalizzazioni del gruppo IVA in chiave evasiva od elusiva. – 4. Recenti sviluppi della sentenza Skandia in sede comunitaria. – 5. La sen-tenza Skandia dalla prospettiva dell’ordinamento italiano.

1. Implicazioni transnazionali del gruppo IVA. La sentenza Skandia

La recente sentenza della Corte di Giustizia UE, sez. II, 17 settembre 2014, C-7/13 (Skandia) ha proposto all’attenzione generale il tema delle im-plicazioni transnazionali del gruppo IVA, con particolare riguardo al caso in cui la normativa comunitaria di cui alla Direttiva comunitaria 2006/12/CE sia stata fedelmente implementata nel senso di considerare il gruppo IVA alla stregua di un soggetto passivo unico. In tale ipotesi, problematiche mol-to delicate possono insorgere nei rapporti tra tale particolare soggetto – il gruppo IVA, appunto – e gli altri soggetti passivi IVA stabiliti sia al di fuori dell’Unione Europea che all’interno della medesima. La tematica, destinata a divenire di estrema attualità nello scenario italiano non appena sarà attua-ta la legge delega concernente, appunto, il gruppo IVA, è stata affrontata dalla Corte di Giustizia in termini piuttosto sorprendenti e per certi aspetti con-troversi: muoviamo, quindi, preliminarmente dalla disamina del contenuto della sentenza Skandia.

Il caso sottoposto alla Corte di Giustizia può essere riassunto nei termini seguenti: la Skandia America Corporation (nel prosieguo: “Skandia USA”), società di diritto del Delaware (Stati Uniti d’America) acquistava servizi in-formatici da soggetti terzi. Detti servizi erano destinati ad essere distribuiti – su scala mondiale – alle diverse società e succursali del gruppo Skandia, ivi inclusa la succursale svedese. Quest’ultima “processava” il prodotto infor-matico ricevuto dalla società statunitense in funzione delle esigenze delle so-cietà del gruppo Skandia residenti in Svezia – appartenenti e non al gruppo IVA – alle quali, da ultimo, il prodotto finale veniva fornito. In occasione delle suddette forniture – sia quella da Skandia USA alla succursale svedese sia quella dalla succursale svedese alle altre società del gruppo – veniva applica-to un ricarico (“mark-up”) del 5%. La Skandia USA e la sua succursale prov-vedevano poi ad una ripartizione dei costi tramite emissione di fatture in-terne. Giova sottolineare come – per quanto ci consta – l’attività principale svolta dal gruppo multinazionale Skandia sia costituita dalla prestazione di servizi assicurativi e di natura finanziaria, in genere.

Ritenendo che le forniture di servizi effettuate dalla Skandia USA a favo-

Arnaldo Salvatore 103

re della propria succursale svedese costituissero operazioni autonomamente rilevanti ai fini IVA, dotate altresì del requisito di territorialità, lo Skattever-ket (l’autorità fiscale svedese) ha chiesto il pagamento dell’IVA alla Skandia USA, addebitando l’imposta alla sua succursale in quanto centro di attività stabile della stessa. Tale pretesa implicava, ovviamente, che le prestazioni in parola presentassero anche l’ulteriore presupposto oggettivo della territoria-lità (in Svezia).

La succursale ha impugnato il provvedimento dell’autorità fiscale. Da ta-le procedimento sono emerse due questioni pregiudiziali sottoposte al va-glio della Corte di Giustizia:

«1. Se, nel caso in cui prestazioni di servizi acquistate all’esterno vengano fornite dallo stabilimento principale di una società situata in un Paese terzo ad una succursale della società medesima stabilita in un determinato Stato mem-bro, e le forniture siano accompagnate dall’addebito alla succursale dei costi degli acquisti esterni, dette forniture costituiscano operazioni imponibili, qua-lora la succursale appartenga ad un gruppo IVA nel suddetto Stato membro.

2. In caso di soluzione affermativa della prima questione, se lo stabilimen-to principale situato nel paese terzo debba essere considerato quale sogget-to passivo non stabilito in tale Stato membro ai sensi dell’articolo 196 della Direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore ag-giunto, ragion per cui l’imposta sulle operazioni è dovuta dal destinatario».

La Corte di Giustizia, discostandosi dalle Conclusioni dell’Avvocato Ge-nerale (alle quali faremo riferimento nel prosieguo), con riferimento alla pri-ma questione pregiudiziale, ha affermato che «le prestazioni di servizi forni-te da uno stabilimento principale stabilito in un Paese terzo alla propria suc-cursale stabilita in uno Stato membro costituiscono operazioni imponibili quando la succursale appartenga ad un gruppo di soggetti che possono esse-re considerati come un singolo soggetto passivo ai fini dell’IVA»

1. In relazione, invece, alla seconda questione pregiudiziale, la Corte ha evi-

denziato che, stante la regola in base alla quale l’IVA è dovuta dal soggetto pas-sivo stabilito in uno Stato membro e beneficiario dei servizi qualora gli stessi siano resi da un soggetto non stabilito in tale Stato membro

2, in una situazio-

1 «[...] supplies of services from a main establishment in a third country to its branch in a Member State constitute taxable transaction when the branch belongs to a group of persons whom it is possible to regard as a single taxable person for value added tax purposes».

2 Art. 196 della Direttiva n. 77/388/CEE.

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ne come quella oggetto del procedimento di cui trattasi «il gruppo, in quanto acquirente di detti servizi, diventa debitore dell’IVA applicabile»

3.

2. Sui rapporti tra casa madre e stabile organizzazione ai fini IVA: la sen-tenza FCE Bank

Come illustrato nelle Conclusioni dell’Avvocato Generale presentate l’8 maggio 2014 in relazione alla causa Skandia, la questione sottoposta all’at-tenzione della Corte di Giustizia concerne la «problematica applicabilità del principio sancito dalla sentenza FCE Bank»

4 al caso concreto. Come noto, nella sentenza FCE Bank la Corte ha stabilito che «un cen-

tro di attività stabile, che non sia un ente giuridico distinto dalla società di cui fa parte, stabilito in un altro Stato membro e al quale la società fornisce prestazioni di servizi, non deve essere considerato soggetto passivo in ra-gione dei costi che gli vengono imputati a fronte di tali prestazioni»

5. In estrema sintesi, la sentenza in parola ha sancito il principio della irrilevanza ai fini IVA delle transazioni “interne” che intervengano tra casa madre e sta-bile organizzazione, in ragione della unitarietà giuridica del soggetto. Trat-tasi di un principio oggettivamente corretto e pienamente condivisibile.

Può essere utile ricordare brevemente che la definizione di stabile organiz-zazione ai fini IVA è espressa in termini puntuali dalla normativa comunitaria, segnatamente dall’art. 11 del Reg. di esecuzione UE, 15 marzo 2011, n. 282/2011 recante disposizioni di applicazione della Direttiva 2006/112/CE. Tale articolo prevede che, ai fini IVA, «la stabile organizzazione designa qual-siasi organizzazione, diversa dalla sede dell’attività economica [...] caratte-rizzata da un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea in ter-mini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di ricevere e di utilizzare i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di detta organizzazione». Tale definizione è stata ribadita e sviluppata, da ultimo, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, con la recente sentenza Welmory

6. Tanto premesso, il principio della unitarietà del soggetto giuridico e del-

la conseguente irrilevanza dei rapporti tra casa madre e stabile organizzazio-

3 «[...] group, as the purchaser of those services, becomes liable for the value added tax payable», Corte di Giustizia UE, 17 settembre 2014, causa C-7/13, Skandia America (USA).

4 V. Conclusioni dell’Avvocato Generale Machior Wathelet presentate l’8 maggio 2014. 5 V. Corte di Giustizia UE, 23 marzo 2006, causa C-210/04, FCE Bank. 6 V. Corte di Giustizia UE, 16 ottobre 2014, causa C-605/12, Welmory.

Arnaldo Salvatore 105

ne sembrerebbe ora dover cedere il passo al principio secondo cui il gruppo IVA costituisce, in ogni caso, un soggetto passivo unico ed inscindibile.

Tale complessa questione richiede di svolgere una ricognizione della no-zione di gruppo IVA ai sensi della Direttiva, sia in termini generali, sia sotto lo specifico aspetto della possibile appartenenza al gruppo IVA di una stabi-le organizzazione.

3. Il gruppo IVA, ai sensi della Direttiva comunitaria 2006/112

3.1. Definizione di gruppo IVA. Effetti dell’esercizio dell’opzione

Giova innanzitutto ricordare che il gruppo IVA è disciplinato dall’art. 11 della Direttiva 2006/112/CE (“Direttiva IVA”), il quale prevede che previa consultazione del comitato IVA «ogni Stato membro può considerare co-me un unico soggetto passivo le persone stabilite nel territorio dello stesso Stato membro che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vin-colate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi».

Ebbene – trattandosi di un regime facoltativo – mentre alcuni Stati non hanno affatto implementato il gruppo IVA (come Malta), altri lo hanno di-sciplinato dettagliatamente prevedendo normative nazionali differenti, al-cune delle quali ammettono la partecipazione delle stabili organizzazioni ai gruppi IVA (come Regno Unito, Irlanda e Paesi Bassi), ed altri ancora han-no provveduto a forme di implementazione parziali, quali quelle del conso-lidato IVA (come nel caso dell’Italia).

Tanto premesso, un prezioso contributo – sempre di origine comunita-ria – alla comprensione dell’istituto, è costituito dalla Comunicazione del 2 luglio 2009 COM(2009) 325 redatta dalla Commissione IVA presso l’U-nione Europea. Da tale documento può evincersi quanto segue. L’istituto dell’IVA di gruppo nasce con l’intento di fornire agli Stati membri uno stru-mento di «semplificazione amministrativa e contrasto a pratiche abusive (ad esempio se l’impresa è suddivisa in vari soggetti passivi in modo tale che ciascuno di questi possa avvalersi di un regime speciale)»

7. In altre parole,

7 V. in tal senso il commento all’art. 4, par. 4, della Direttiva 77/388/CE – trasfuso nel-l’attuale art. 11 della Direttiva 2006/112/CE – della «Proposal for a sixth Council Directive on the harmonization of Member States concerning turnover taxes Common system of value ad-ded tax: Uniform basis of assessment (submitted to the Council by the Commission on 29 June 1973)», Bulletin of the European Communities, Supplement, n. 11, 1973.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 106

tale istituto è stato concepito ab origine come una norma, sia di semplifica-zione, che di possibile contrasto a fenomeni potenzialmente elusivi.

Si è inteso, pertanto, a giudizio della Commissione UE «... consentire a dei soggetti passivi, vincolati tra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi, di non essere più trattati ai fini dell’IVA come soggetti distinti, bensì come un unico soggetto passivo. In altri termini, vari soggetti passivi strettamente vincolati tra loro vengono fusi in un unico soggetto passivo ai fini dell’IVA. Tale conseguenza è stata confermata dalla Corte di Giustizia europea nella causa C-162/07, Ampliscientifica. In tal senso, un gruppo IVA potrebbe essere descritto come una “finzione” creata ai fini dell’IVA, in cui la sostanza economica prevale sulla forma giuridica. Un gruppo IVA è un genere particolare di soggetto passivo che esiste soltanto ai fini dell’IVA. Si basa su reali vincoli finanziari, economici ed organizzativi tra imprese ...».

Tramite il gruppo IVA, più soggetti giuridicamente indipendenti ma le-gati da stretti rapporti di natura economico-finanziaria, perdono pertanto la propria identità per dar vita ad una nuova entità con una propria autonoma soggettività tributaria (IVA) nell’ambito delle operazioni effettuate con sog-getti esterni al gruppo stesso, mentre i rapporti interni perdono la loro rile-vanza ai fini IVA e vengono in qualche modo assimilati a mere movimenta-zioni intra-aziendali

8. Corollario di quanto appena detto è l’applicazione del-l’IVA in modo unitario da parte di fornitori terzi, nei confronti del gruppo IVA, con detrazione dell’IVA stessa, da parte del gruppo IVA, secondo cri-teri e limiti unitariamente determinati: ciò, a prescindere, quindi, dallo sta-tus – ai fini IVA – del singolo soggetto appartenente al gruppo IVA. Ed a prescindere, altresì, dal se, e dalla misura in cui, ciascun membro del gruppo IVA abbia tratto beneficio dall’acquisto del bene o del servizio. Allo stesso tempo le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate all’interno del gruppo – ancorché dotate di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi per l’ap-plicazione dell’IVA – dovrebbero risultare estranee al campo di applicazio-ne dell’imposta.

I potenziali benefici di tale istituto sono ravvisabili, principalmente, in re-lazione all’esercizio del diritto di detrazione: ciò, in tutti quei casi in cui uno o più dei soggetti partecipanti al gruppo soffra di limiti alla detrazione del-l’IVA. Infatti, attraverso il gruppo IVA, i soggetti con una percentuale di de-trazione limitata o nulla (come, ad esempio, i gruppi bancari o assicurativi)

8 V. MANTOVANI-SANTACROCE, Sentenza Skandia: è coerente la decisione della Corte comu-nitaria di bocciare il gruppo IVA internazionale, in GT-Riv. giur. trib., n. 1, 2015, p. 11.

Arnaldo Salvatore 107

non risentiranno – o risentiranno in misura attenuata – dell’indetraibilità del-l’IVA.

Al riguardo, è interessante riportare quanto affermato nella succitata Co-municazione della Commissione: «... in un gruppo IVA composto anche di soggetti passivi senza diritto o con diritto parziale a detrazione, l’effetto sul gettito d’imposta potrebbe non essere più neutro. L’IVA non detraibile che dev’essere versata per operazioni imponibili effettuate da un membro del gruppo a vantaggio di un altro membro non avente diritto o avente soltanto diritto a detrazione parziale è infatti persa per l’Erario, poiché le operazioni interne al gruppo sono inesistenti ai fini dell’IVA. Sotto questo aspetto il gruppo IVA neutralizza i costi ai fini dell’IVA sostenuti per le operazioni in-terne al gruppo. Ne consegue che un regime di IVA di gruppo può essere finanziariamente vantaggioso per i gruppi IVA che comprendono membri senza diritto, o con diritto a detrazione parziale. Tali vantaggi possono va-riare a seconda delle modalità di attuazione stabilite dagli Stati membri, in particolare per quanto riguarda le norme relative al diritto a detrazione». Vale la pena ricordare, a tal riguardo, che «... la formulazione dell’articolo 11 è concisa, il che consente agli Stati membri di stabilire dettagliate modalità di esecuzione relative all’opzione dell’IVA di gruppo»: vero è, per altro verso, che l’introduzione da parte di una Stato membro, del regime del gruppo IVA, deve preliminarmente passare il vaglio del Comitato IVA istituito presso l’Unione Europea.

3.2. Appartenenza di una stabile organizzazione al gruppo IVA. La tesi “con-trocorrente” dell’Avvocato Generale

Occorre a questo punto verificare se una stabile organizzazione possa partecipare ad un gruppo IVA.

Con particolare riferimento all’ammissibilità di una succursale all’interno di un gruppo IVA, occorre, ancora una volta, far riferimento alla citata Co-municazione della Commissione Europea COM(2009) 325. In tale atto la Commissione ha ritenuto che sono ammessi al gruppo IVA:

(i) i soggetti con la sede dell’attività economica nel territorio dello Stato membro del gruppo IVA e

(ii) le stabili organizzazioni di soggetti non residenti insediate nello Stato membro in questione.

Di contro, sempre secondo la Commissione, non sono ammessi al grup-po IVA:

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 108

(i) le stabili organizzazioni all’estero di soggetti stabiliti nello Stato del gruppo IVA e

(ii) la casa madre all’estero della stabile organizzazione insediata nello Stato membro di cui trattasi

9.

La scelta di fondo sembra pertanto essere nel senso di circoscrivere il pe-rimetro del gruppo IVA ai confini nazionali del singolo Stato membro, e-scludendo l’istituto di un gruppo IVA transnazionale di carattere europeo o mondiale.

Non solo, sempre nella citata Comunicazione, si affrontava – profetica-mente – il tema del rapporto tra l’istituto del gruppo IVA e la sentenza FCE Bank, dalla prospettiva del coinvolgimento di una stabile organizzazione:

«Nesso con la causa FCE Bank. Nel caso della Banca FCE, la Corte ha concluso che un centro di attività

stabile, che non sia un ente giuridico distinto dalla società di cui fa parte, stabilito in un altro Stato membro e al quale la società fornisce prestazioni di servizi, non dev’essere considerato un soggetto passivo in ragione dei co-sti che gli vengono imputati a fronte di tali prestazioni. Cosicché una presta-zione di servizi nell’ambito della stessa entità giuridica non rientra nel cam-po d’applicazione dell’IVA.

L’esclusione dei centri di attività stabile situati all’estero di un soggetto passivo dello Stato membro che ha introdotto il regime di IVA di gruppo può di primo acchito sembrare in contraddizione con la sentenza nella cau-sa FCE Bank. Tuttavia tale sentenza non fa alcun riferimento alla situazione di un gruppo IVA. Inoltre va osservato che, aderendo a un gruppo IVA, il soggetto passivo diventa parte di un nuovo soggetto passivo, il gruppo IVA e, quindi, si separa ai fini dell’IVA dal suo centro di attività stabile situato al-l’estero. Il che significa che se un soggetto passivo aderisce a un gruppo IVA, qualsiasi servizio che presti in seguito al suo centro di attività stabile situato all’estero sarebbe considerato come prestazione fornita tra due soggetti pas-sivi distinti. Il fatto che il centro di attività stabile situato all’estero sia esclu-so dall’ammissione ad un gruppo IVA nello stesso Stato membro non è per-tanto in contraddizione con la sentenza FCE Bank».

L’Avvocato Generale Machior Wathelet, nelle proprie Conclusioni pre-sentate l’8 maggio 2014, ha assunto una posizione controcorrente, focaliz-zando l’attenzione sull’ambito di applicazione ratione personae della norma

9 COM(2009) 325 def. del 2 luglio 2009, punto 3.3.2.

Arnaldo Salvatore 109

della Direttiva che disciplina il gruppo IVA: muovendo dall’interpretazione letterale fornita a tal proposito dal Regno Unito – secondo cui affinché un ente possa aderire ad un gruppo IVA esso deve essere «un ente che gode di personalità giuridica» – ha ritenuto che una succursale non possa far parte del gruppo IVA in quanto tale.

In particolare, sempre secondo l’Avvocato Generale, una succursale non può far parte di un gruppo IVA senza che in esso sia inclusa anche la casa madre: quest’ultima – tramite la propria succursale – può essere considerata come “persona stabilita” nel territorio dello Stato membro. Da ciò conse-guirebbe che – nel caso in esame – le prestazioni rese dalla Skandia USA alla sua succursale non sarebbero imponibili (in ossequio al principio di unita-rietà giuridica) mentre le prestazioni tra la succursale stessa ed il gruppo IVA – pur qualificabile come un unico soggetto ai fini IVA – sarebbero da considerarsi imponibili ai fini IVA.

Tale impostazione appare invero più raffinata rispetto a quella accolta dalla Corte, e prima ancora, dalla Commissione: da un lato, infatti, preserva il principio giuridico di unitarietà del soggetto-impresa espresso nella sen-tenza FCE Bank, dall’altro, apre ad un concetto di gruppo IVA transnaziona-le, anch’esso più rispettoso degli assetti giuridici sostanziali. Al tempo stesso, nel caso in esame, l’impostazione seguita dall’Avvocato Generale avrebbe comunque implicato l’applicazione dell’IVA nello Stato membro di destina-zione (Svezia), in relazione al servizio reso dalla Skandia USA (tramite la propria succursale) al gruppo IVA, unitariamente considerato. Con ciò scon-giurando il potenziale salto d’imposta di cui si parlerà nel prosieguo.

3.3. Potenziali strumentalizzazioni del gruppo IVA in chiave evasiva od elusiva

L’utilizzo dell’istituto del gruppo IVA può comportare fattispecie abusi-ve o elusive. Proprio per tale ragione, il comma 2 dell’art. 11 della Direttiva IVA ha previsto la possibilità per gli Stati di adottare tutti i provvedimenti necessari al fine di combattere gli eventuali fenomeni di elusione o evasione che tale previsione potrebbe generare.

Tornando al caso in rassegna, si può osservare come – applicando il prin-cipio di unitarietà giuridica di cui alla sentenza FCE Bank – la prestazione resa alla succursale svedese avrebbe dovuto essere estranea al campo di appli-cazione dell’IVA: il regime del gruppo IVA avrebbe poi comportato l’estra-neità al campo di applicazione dell’IVA del servizio reso tramite la succursa-le – appartenente al gruppo IVA – alle società svedesi appartenenti al grup-po IVA. Ciò vuol dire che una prestazione teoricamente imponibile nel luo-

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 110

go del committente diverrebbe esente da IVA in ragione della combinazio-ne di due principi di differente origine e natura, risultato «non voluto dal le-gislatore dell’Unione»

10. Per contro, nel caso in cui i servizi informatici fossero stati resi dalla Skan-

dia USA ad una società controllata, stabilita in Svezia, e non già alla propria succursale, l’applicazione dell’IVA da parte della società stabilità in Svezia sa-rebbe stata pacifica ed avrebbe probabilmente implicato l’indetraibilità dell’IVA medesima in capo alla società svedese – in ragione dell’attività di na-tura esente svolta dalla stessa – e dunque un costo “secco”, non recuperabile.

Alla luce delle su esposte considerazioni, non è da escludere che la sen-tenza Skandia sia da leggere, più in chiave di contrasto ad un potenziale uti-lizzo elusivo od evasivo del gruppo IVA, che non in chiave di pura e “disin-teressata” interpretazione degli istituti coinvolti nella vicenda in esame. Da tale ultima prospettiva, l’interpretazione suggerita dall’Avvocato Generale si lascia preferire per una maggiore duttilità e rispetto dei principi generali del diritto. Infatti, mentre la tesi accolta dalla Corte sacrifica un principio giuri-dico di natura sostanziale – i.e. l’unitarietà del soggetto-impresa (ex FCE Bank) – sull’altare di un rigore logico apparentemente ineccepibile, la pro-posta dell’Avvocato Generale avrebbe preservato il predetto principio e par-zialmente ridimensionato un istituto (il gruppo IVA) che per espressa am-missione della Commissione, costituisce una fictio juris.

Quanto, poi, una possibile valenza antiabuso della sentenza in rassegna, si osserva come, da un lato, tale profilo non emerga dalla lettura del testo dall’altro, il contrasto a pratiche abusive o elusive dovrebbe trovare sede – ai sensi della Direttiva – nelle singole legislazioni nazionali, piuttosto che nella supplenza – espressa o meno – della Corte di Giustizia.

A tale ultimo proposito, è il caso di ricordare come il recente D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 abbia introdotto nel nostro ordinamento – attraverso lo strumento della decretazione delegata – una clausola generale antiabuso: a seguito di tale intervento, il neonato art. 10 bis dello Statuto del Contri-buente definisce abuso del diritto le operazioni prive di sostanza economica che, pur formalmente legittime, realizzino «essenzialmente vantaggi fiscali indebiti». Il comma 4 del medesimo articolo precisa che resta ferma la li-bertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla leg-ge. Da un lato, dunque, la legislazione domestica italiana non ha posto alcun limite specifico in merito ad un possibile utilizzo in chiave abusiva o elusiva

10 V. Conclusioni dell’Avvocato Generale Melchior Wathelet presentate l’8 maggio 2014.

Arnaldo Salvatore 111

dell’istituto dell’IVA di gruppo (del resto attualmente limitato alla compen-sazione delle singole posizioni creditorie e debitorie infragruppo); dall’altro, l’esimente di cui al comma 4 dell’art. 10 bis dello Statuto del contribuente sembrerebbe prima facie rendere inattaccabile l’utilizzo dell’istituto in paro-la. A giudizio di chi scrive il tema potrà avere in futuro sviluppi complessi: in ogni modo, ai fini di una valutazione completa ed attendibile del panorama domestico, occorre necessariamente attendere l’attuazione della normativa comunitaria in tema di gruppo IVA, nel senso, sopra chiarito, della introdu-zione, nell’ordinamento italiano, di un soggetto passivo d’imposta unitario (su cui si rinvia al paragrafo finale del presente scritto).

4. Recenti sviluppi della sentenza Skandia in sede comunitaria

La rilevanza sistematica della questione affrontata nella sentenza in ras-segna ha indotto la Commissione Europea a pubblicare una Nota di com-mento

11 della sentenza stessa. In particolare, il Value Added Tax Comittee, dopo un breve excursus sulla

sentenza Skandia, ha affrontato il tema dell’interpretazione del principio di diritto in essa contenuto e delle possibili conseguenze che lo stesso può comportare.

Nello specifico la Commissione si è chiesta, inter alia, se il principio espresso dalla sentenza Skandia sia applicabile anche alle cessioni di beni ol-tre che alle prestazioni di servizi. In tal senso, dato che la sentenza di cui trattasi non ha dato rilevanza al fatto che si trattasse di prestazioni di servizi, la Commissione ha ritenuto che il medesimo principio debba valere anche per la cessione di beni.

Ancora, la Commissione ha posto l’accento sulla natura dei servizi resi, chiedendosi se il principio di diritto previsto dalla sentenza Skandia sia ap-plicabile anche alle prestazioni di servizi realizzati direttamente dalla casa madre (c.d. “Internally generated services”) oltre che a servizi acquistati da terzi (c.d. “Bought-in services”). A tal proposito la Commissione ha ritenuto che sia comunque necessaria un’analisi caso per caso.

La Commissione ha altresì chiarito che il principio espresso dalla Corte nella sentenza Skandia varrebbe – in egual misura – nel caso in cui la casa

11 Value Added Tax Committee (article 398 of directive 2006/112/EC), Working Paper n. 845, “Case Law – Issues Arising from Recent Judgments of the Court of Justice of the Euro-pean Union”, February 17, 2015.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 112

madre fosse un soggetto stabilito nella UE, piuttosto che in un Paese terzo, come accaduto nel caso di specie. Restando in tema di territorialità, la Com-missione ha sostanzialmente confermato la preferenza per un concetto di gruppo IVA nazionale, evidenziando potenziali inconvenienti di un concet-to di gruppo IVA transnazionale.

Da ultimo, è stata analizzata l’ipotesi dell’impatto della sentenza Skandia in uno Stato membro che non abbia implementato il gruppo IVA (come, ad esempio, l’Italia). La Commissione ha evidenziato che il principio espresso dalla sentenza in parola ha un impatto anche sugli Stati membri che non hanno previsto una disciplina nazionale del gruppo IVA, in ragione del fatto che in tali Stati può aver sede la casa madre di una succursale che appartiene ad un gruppo IVA in uno Stato membro diverso: ebbene, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese dalla casa madre stessa alla propria succursale (transazioni che in forza della sentenza FCE Bank non erano soggette ad IVA) dovranno considerarsi potenzialmente tassabili ai fini IVA.

5. La sentenza Skandia dalla prospettiva dell’ordinamento italiano

Per quanto concerne l’ambito nazionale, come sopra accennato, l’imple-mentazione del gruppo IVA in Italia si è limitata ad una legittimazione delle compensazioni dei debiti e dei crediti dei componenti del gruppo senza che gli stessi perdano la propria soggettività passiva ai fini IVA (e dunque la loro identità vis-à-vis con l’Amministrazione Finanziaria). Giova ricordare come la normativa domestica, di cui al D.M. 13 dicembre 1979, sia stata sottopo-sta – in passato – al vaglio della Corte di Giustizia

12. Nell’occasione, la Cor-te di Giustizia non ha riscontrato profili di incompatibilità tra le condizioni temporali e soggettive

13 richieste per l’accesso alla procedura dell’IVA di gruppo, ed i principi comunitari di proporzionalità, neutralità ed abuso del diritto. Sul punto, la dottrina

14 ha tuttavia lamentato una eccessiva semplifi-

12 Sentenza della Corte di Giustizia UE, 22 maggio 2008, causa C-162/07, Ampliscienti-fica e Amplifin.

13 Il requisito del possesso, per una percentuale superiore al 50% delle azioni o delle quote, deve sussistere almeno dal 1° gennaio dell’anno precedente a quello in cui è attuata la procedura dell’IVA di gruppo. L’accesso alla procedura è inoltre limitato ai soli enti e società di capitali.

14 Una compiuta analisi della problematica trattata nella sentenza Ampliscientifica, cita-ta, è stata svolta da RICCI, Iva di gruppo: la mancanza di soggettività salva la normativa ita-liana dalla censura comunitaria, in Dir. prat. trib., 2009, p. 998 ss.

Arnaldo Salvatore 113

cazione del problema da parte della Corte, evidenziando, in particolare, co-me la previsione dei limiti soggettivi di accesso alla procedura costituisca «elemento di potenziale alterazione concorrenziale» fra le imprese.

Sta di fatto che alla luce della Delega Fiscale del 2014

15, l’attuale norma-tiva domestica assume una dimensione crepuscolare: infatti, la predetta De-lega – ad oggi non ancora attuata e per la quale purtroppo i termini di attua-zione sono scaduti – ha previsto «l’attuazione del regime del gruppo ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), previsto dall’art. 11 della Direttiva 2006/112/CE». Il principio fissato dalla sentenza Skandia, quindi, non potrà non essere attentamente valutato dal legislatore delegato nella redazione della norma nazionale, quando, auspicabilmente, essa verrà introdotta.

A ben vedere, peraltro, anche allo stato attuale la sentenza in rassegna potrà avere rilevanti impatti sullo scenario nazionale. Ciò accadrà, in parti-colare – come sopra accennato in termini generali ed astratti – nel caso di transazioni che intervengano tra una stabile organizzazione estera apparte-nente ad un gruppo IVA estero (UE) e la casa madre italiana: in ossequio ai principi espressi dalla sentenza Skandia, dette prestazioni – ancorché irrile-vanti ai fini IVA secondo la sentenza FCE Bank – dovrebbero assumere rile-vanza ai fini IVA in Italia, in presenza del requisito di territorialità, in ragio-ne della soggettività giuridica del gruppo IVA estero: ne conseguirebbe, per la casa madre italiana, l’obbligo di applicazione del reverese charge nel caso di servizi ricevuti dalla propria stabile organizzazione estera (appartenente ad un gruppo IVA).

Tale comportamento potrebbe tuttavia essere contestato dalle autorità italiane, le quali potrebbero negare la detraibilità dell’IVA passiva insita nel procedimento di reverse charge. Per contro, l’omessa applicazione del reverse charge in ossequio ai principi di cui alla sentenza FCE Bank, i.e. il manteni-mento dello status quo, potrebbe esporre la società stabilita in Italia al ri-schio di contestazioni per omessa applicazione dell’IVA.

Il medesimo principio dovrebbe valere per le operazioni attive effettuate dalla casa madre stabilita in Italia nei confronti della succursale estera: è ipo-tizzabile, tuttavia, che nella maggior parte dei casi, le operazioni imponibili siano prive del requisito di territorialità.

15 Art. 13, comma 1, lett. b), L. 11 marzo 2014, n. 23.

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Edoardo Traversa-Francesco Cannas

LO SCAMBIO DI INFORMAZIONI TRIBUTARIE: GLI UPDATES DELL’ART. 26 DEL MODELLO OCSE ED I PROGRESSI IN DIREZIONE DELLO SCAMBIO

AUTOMATICO COME STANDARD INTERNAZIONALE *

THE UPDATES TO ART. 26 OF THE OECD MODEL AND THE EVOLUTION TOWARDS AUTOMATIC EXCHANGE

OF INFORMATION AS A GLOBAL STANDARD

Abstract Il presente contributo propone una breve rassegna dei maggiori strumenti per lo scambio di informazioni tributarie. Partendo da un’analisi dettagliata delle ulti-me modifiche all’art. 26 del Modello OCSE, gli autori inseriscono le principali in-novazioni nel quadro internazionale ed europeo (Direttive, TIEA, FATCA, ecc.). Il risultato è una situazione estremamente liquida, in continuo cambiamento, che vede intrecciarsi una serie di esigenze di natura sia fiscale che politica, proprio nel momento in cui la fiscalità internazionale è sotto la lente d’ingrandimento dei principali mezzi d’informazione e dell’opinione pubblica. In conclusione, gli autori propongono alcune riflessioni più generali riguardo ai più recenti sviluppi di questa materia, con particolare attenzione per il FATCA, che ha riscritto gli standard internazionali con una forza che solo qualche anno addietro sarebbe stata quasi impensabile. Parole chiave: fiscalità internazionale, cooperazione amministrativa, scambio automatico di informazioni, OCSE, Unione Europea

* Il presente contributo si basa su un’attività di ricerca svolta dagli autori presso l’In-stitute for Austrian and International Taxation della Vienna University of Economics and Business, i cui risultati sono stati presentati al pubblico in occasione del 21esimo Viennese Symposium presso la stessa Università in data 2 luglio 2014, e pubblicati nella collettanea che ha seguito l’evento.

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This contribution proposes an overview of the main tools for exchanging tax infor-mation. Starting from an analysis of the main changes to Art. 26 of the OECD Model, the authors contextualise them within the European and international framework (Directives, TIEA, FATCA, etc.). The outcome is an extremely changing situation, in which tax and political needs melt together while being in the spotlight of media and public opinion. As a conclusion, the authors propose some food for thoughts with regard to the most recent developments, with a special focus on FATCA, which is re-shaping the interna-tional standard in this field. Keywords: international taxation, administrative cooperation, automatic exchange of information, OECD, European Union

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. L’art. 26 e lo scambio di informazioni tributarie a livello internazionale. – 2.1. Struttura dell’art. 26 del Modello OCSE e relativi cenni storici. – 2.2. Il “TIEA”. – 2.3. L’OCSE e la Council of Europe Convention on Mutual Administrative Assistance in Tax Matters. – 2.4. Lo scambio di informazioni tributarie a livello europeo. – 2.4.1. Cenni introduttivi. – 2.4.2. La Direttiva 2011/16/EU sulla cooperazione amministrativa. – 2.4.3. La Direttiva 2003/48/CE in materia di tassazione dei “redditi da risparmio”. – 2.4.4. La Direttiva 2010/24/UE sull’assi-stenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed altre fattispecie. – 3. Analisi degli Updates del 15 luglio 2014 all’art. 26 del Modello OCSE ed al relativo Com-mentario. – 3.1. Gli Updates all’art. 26 del Modello OCSE. – 3.2. Gli Updates ai Preliminary Re-marks del Commentario all’art. 26. – 3.3. Updates del Commentario al par. 1 dell’art. 26 del Modello OCSE. – 3.4. Gli Updates del Commentario al par. 2 dell’art. 26. – 3.5. Gli Updates del Commentario ai parr. 3, 4, e dell’art. 26. – 4. Alcune riflessioni sugli sviluppi futuri e sulle altre “iniziative” che riguardano lo scambio di informazioni tributarie. – 4.1. Cenni introduttivi. – 4.2. L’OCSE ed il Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Pur-poses. – 4.3. L’OCSE ed il G8/G20: le recenti iniziative riguardanti lo scambio automatico di informazioni tributarie. – 5. Alcune considerazioni conclusive sullo scambio automatico di in-formazioni tributarie.

1. Introduzione

A causa dei fenomeni di globalizzazione e digitalizzazione che stanno in-teressando l’economia, l’elusione e l’evasione fiscale diventano sempre più so-fisticate e complesse. I nostri sistemi fiscali sono sottoposti ad una pressione sempre maggiore, e sta emergendo sempre più chiara la necessità di elabo-rare soluzioni coordinate a livello internazionale. Tra i vari strumenti che in

Edoardo Traversa-Francesco Cannas 117

questo momento sembrano più promettenti un posto di rilievo è occupato sicuramente dallo scambio di informazioni tributarie.

La storia dello scambio di informazioni tributarie inizia negli anni ’20 1,

ma solo recentemente esso è diventato uno dei punti centrali delle politiche di contrasto ai fenomeni di elusione ed evasione fiscale di varie organizza-zioni internazionali; oltre ad essere al centro di numerosi dibattiti sia all’interno che al di fuori della comunità accademica, in parte anche a causa dei recenti scandali e dalla loro eccezionale copertura mediatica

2. In questo contributo vorremmo innanzitutto approfondire le recenti mo-

difiche (Updates) proposte dall’OCSE all’art. 26 del Modello di Conven-zione Contro la Doppia Imposizione (di seguito, “Modello OCSE” o “Mo-dello”), già proposte nel 2012 ed ora integrate nella più generale revisione del Modello stesso proposta nel luglio 2014

3, e poi inquadrarle nel più am-pio panorama dei recenti sviluppi che stanno conducendo lo scambio auto-matico di informazioni tributarie a diventare lo “standard internazionale generalmente accettato”. Infatti, questa materia è oggetto di numerose ini-ziative, sia multilaterali (come ad esempio la Nordic Mutual Assistance Con-vention

4) che unilaterali (come ad esempio il FATCA 5), e sarebbe riduttivo

1 Si v. VOGEL, Introduzione, in Double Taxation Conventions, Londra, 1997, parr. 17-18. 2 Si vedano anche KEMMEREN, Double Tax Conventions on Income and Capital and the

EU: Past, Present and Future, in 21 EC Tax Rev., n. 3, 2012, pp. 157-177; MCINTYRE, Identi-fying the New International Standard for Effective Information Exchange, in LANG et al. (eds.), Tax Treaties: Building Bridges between Law and Economics, Amsterdam, 2010, pp. 491-492; RUST-FORT, Exchange of Information and Bank Secrecy, Alphen aan den Rijn, 2012, p. 88; CANNAS, The Historical Development of the Exchange of Information for Tax Purposes, in GÜNTER-TÜCHLER (eds.), Exchange of Information for Tax Purposes, Vienna, 2013, pp. 17-34; KNITTEL, Articles 25, 26, and 27: Aministrative Cooperation, in LANG et al. (eds.), Histo-ry of Tax Treaties: The Relevance of the OECD for the Interpretation of Tax Treaties, Vienna, 2011, pp. 699-700.

3 “2014 Update to the OECD Model Tax Convention” (15 luglio 2014), reperibile sul si-to ufficiale dell’OCSE www.oecd.org.

4 Si vedano VALKAMA, The Nordic Mutual Assistance Convention on Mutual Administra-tive Assistance in Tax Matters, in GÜNTER-TÜCHLER (eds.), op. cit., pp. 197-219; HELMINEN, The Problem of Duble Non-Taxation in the European Union: to What Extent Could It Be Re-solved through a Multilateral EU Tax Treaty Based on the Nordic Convention?, in 53 Europe-an Taxation, n. 7, 2013, p. 306; WISSENLINK, International Exchange of Tax Information bet-ween European and other Countries, in 6 EC Tax Review, n. 2, 1997, pp. 108-115; HENGSLE, The Nordic Multilateral Tax Treaties – for the Avoidance of Double Taxation and on Mutual Assistance, in 56 Bulletin for Internationl Taxation, n. 8, 2002, p. 371.

5 Si vedano SORIANO, Toward an Automatic but Asymmetric Exchange of Tax Information: The US Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA) as Inflection Point, in 40 Intertax,

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 118

analizzare i soli aggiornamenti dell’OCSE al Modello di Convenzione senza tenere presente la loro interazione con il BEPS, il FATCA, e le altre iniziati-ve della stessa OCSE.

Inoltre, ci soffermeremo sulle ultime iniziative dell’Unione Europea, che per sua stessa natura è uno dei maggiori innovatori nel campo della coope-razione amministrativa, ed al momento è fortemente impegnata nella promo-zione dello scambio automatico di informazioni tributarie.

2. L’art. 26 e lo scambio di informazioni tributarie a livello internazionale

2.1. Struttura dell’art. 26 del Modello OCSE e relativi cenni storici

L’art. 26 del Modello OCSE ha sempre rappresentato lo standard inter-nazionale per lo scambio di informazioni tributarie tra stati: la sua prima ver-sione apparve nel Modello del 1963, e da allora sono stati più volte modifi-cati sia la lettera dell’articolo che il Commentario

6. L’art. 26 è stato totalmente riscritto nel 2005, quando ha assunto la sua

attuale struttura, ed il relativo Commentario è stato notevolmente espanso. Come già accennato, gli aggiornamenti oggetto di questo contributo sono già stati proposti dall’OCSE nel 2012, ed ora sono stati integrati negli “Up-dates” pubblicati nel 2014. Ciò che è importante, quindi, è analizzarli nel contesto più generale dei grandi cambiamenti che stanno attualmente inte-ressando il settore. n. 10, 2012, p. 540; MARSOUL, FATCA and Beyond: Global Information Reporting and With-holding Tax Relief, 16 Derivatives & Financial Instruments, n. 1, 2014, p. 3; TELLO, FATCA: Catalyst for Global Cooperation on Exchange of Tax Information, in 68 Bulletin for Interna-tional Taxation, n. 2, 2014, p. 88; GRINBERG, Taxing Capital Income in Emerging Countries: Will FATCA open the door?, in 5 World Tax Journal, n. 3, 2013, p. 325; CAVELTI, Automatic Information Exchange versus the Withholding Tax Regime Globalization and Increasing Sov-ereignty Conflicts in International Taxation, in 5 World Tax Journal, n. 2, 2013, p. 172.

6 Si vedano il Rapporto OCSE, Promoting Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes, 2010, p. 3, reperibile sul sito ufficiale dell’OCSE www.oecd.org; ÖNER, 2012 Update to the OECD Model (2010): Exchange of Information for Non-Tax Purposes, in 53 European Taxation, n. 2-3, 2013, p. 109; OWENS, Moving Towards Better Transparency and Exchange of Information on Tax Matters, in 63 Bulletin for International Taxation, n. 11, 2009, p. 557; TANZI-ZEE, Taxation in a Borderless World: The Role of Information Exchange, in 28 Intertax, n. 2, 2000, p. 58; ÖNER, A Different Approach to the Agreement on Exchange of Information on Tax Matters, in 37 Intertax, n. 8-9, 2009, p. 483; CANNAS, op. cit., pp. 17-34; TORRES, The Extent of Exchange of Information under Article 26 OECD Model, in GÜNTER-TÜCHLER (eds.), op. cit., pp. 75-76.

Edoardo Traversa-Francesco Cannas 119

L’art. 26 contiene cinque paragrafi, il primo dei quali ne delimita il perime-tro normativo. Infatti, giova subito rilevare che anche se il Modello OCSE si applica, in linea di principio, solamente ai residenti di almeno uno dei due stati contraenti, l’applicazione dell’art. 26 eccede questo limite in forza del fatto che la stessa lettera dell’articolo recita: «lo scambio di informazioni non è ristretto dagli artt. 1 e 2 (del Modello, n.d.r.)»

7. In virtù di questa di-sposizione, la portata potenziale dello scambio di informazioni tributarie è completamente indipendente da quella degli altri articoli del Modello OCSE (ad esempio, la residenza, la nazionalità, in centro degli interessi del contri-buente, ecc.), ed essa può teoricamente fornire una base giuridica per lo scam-bio di informazioni riguardanti “tutti” i contribuenti e “tutte” le imposte

8. Inoltre, il par. 1 dell’art. 26 stabilisce lo standard della “foreseeable relevane”,

traducibile come «prevedibile rilevanza (dell’informazione, n.d.r.)». Il com-binato disposto dell’art. 26 e dei parr. 5, 5.1, 5.2, e 5.3 del relativo Commen-tario portano ad una situazione in cui da un lato lo scambio di informazioni tributarie deve essere “il più ampio possibile”, ma dall’altro va controbilan-ciato con il divieto delle c.d. “fishing expeditions”; espressione che letteral-mente significa “battute di pesca”, e che in questo contesto indica le richie-ste massive di informazioni non mirate. Ciò significa che uno stato contra-ente può richiedere informazioni tributarie solo se c’è una “ragionevole pos-sibilità che l’informazione sarà rilevante”, escludendo ovviamente le richie-ste “speculative”, e cioè quelle che non hanno “nessun nesso con un accerta-mento in corso”. Dal momento che nella pratica quotidiana può essere mol-to difficile tracciare un confine netto e preciso tra richieste di informazioni “speculative” e non, come vedremo, una delle principali finalità degli Upda-tes in questione è proprio quella di fornire indicazioni per separare queste due categorie. In ogni caso, puntualizziamo fin da subito che il fatto che l’in-formazione tributaria scambiata si riveli poi effettivamente utile è di per sé

7 Quella sopra riportata è la traduzione letterale della seguente frase «the exchange of information is not restricted by Articles 1 and 2». Essa rappresenta un esempio di quella che la dottrina chiama “major information clause”, in contrasto con la c.d. “minor information clau-se”, che permette agli Stati contraenti di scambiare informazioni tributarie solo nella misu-ra in cui siano utili all’applicazione della Convenzione stessa. Per una approfondita analisi di questi due concetti, si v. TORRES, op. cit.

8 Si vedano VOGEL, op. cit., parr. 45-47; NIJKEUTER, Exchange of Information and Free Movement of Capital between Member States and Third Countries, in 20 EC Tax Review, n. 5, 2011, p. 232; BRADSETTER, Taxes Covered: A Study of Article 2 of the OECD Model Tax Con-ventions, Amsterdam, 2011; SEER, Recent Development in Exchange of Information within the EU for Tax Matters, in 22 EC Tax Review, n. 2, 2013, p. 66.

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irrilevante: per essere classificabile come “prevedibilmente rilevante” (fore-seeable relevant) è sufficiente che sia ragionevolmente tale al momento della richiesta.

Il par. 2 dell’art. 26 regola la confidenzialità dell’informazione scambiata, ed è il solo paragrafo dell’articolo la cui lettera è stata modificata in occasione degli aggiornamenti in questione. Come vedremo più dettagliatamente in seguito, vi è stato aggiunto un periodo.

Il par. 3 dell’articolo stabilisce tre eccezioni al quadro generale delineato nei primi due, e contiene un elenco di situazioni in cui lo scambio di informa-zioni non può essere realizzato, e cioè quando implicasse: (1) atti non con-formi alle leggi, ovvero alle pratiche amministrative di uno degli stati con-traenti; (2) lo scambio di informazioni non ottenibili in base alle leggi o nel corso dei “normali procedimenti amministrativi” di uno degli Stati contra-enti; (3) la divulgazione di segreti industriali o aziendali, la violazione del se-greto professionale, ovvero rischi per “l’ordine pubblico”.

Le suddette eccezioni hanno il chiaro scopo di porre dei limiti allo scam-bio di informazioni tributarie, ed è evidente come non si vogliano creare si-tuazioni in cui vengano violate leggi e procedure ammnistrative di uno degli stati contraenti. Ciò significa che lo scambio di informazioni tributarie, al-meno in linea di principio, deve svolgersi all’interno di una cornice di “legali-tà” e “normalità” rispetto al diritto interno di tutti gli Stati coinvolti. Dal punto di vista pratico ciò significa, ad esempio, che uno stato contraente non può sfruttare un sistema di scambio di informazioni che abbia la sua ba-se giuridica nell’art. 26 per ottenere informazioni che “normalmente” non riuscirebbe a reperire. D’altro canto, l’OCSE invita esplicitamente ad utiliz-zare un approccio pragmatico nella pratica quotidiana, ed a far sì che questi limiti non si trasformino in un ostacolo all’effettività ed all’efficienza dello scambio

9.

9 Si v. “2014 Update to the OECD Model Tax Convention” (15 luglio 2014), p. 51 (par. 15 del Commentario all’art. 26 del Modello OCSE). Si v. anche NOVIS, The Limits of Ex-change of Information under Article 26 OECD Model, in GÜNTER-TÜCHLER (eds.), op. cit., pp. 115-130. A riguardo va segnalato che possono emergere anche una serie di problemi riguardanti la reciprocità dello scambio. In specie, nel Commentario si legge: «(...) a State may refuse to provide information where the requesting State would be precluded by law from obtaining or providing the information where the requesting State’s administrative practices (e.g. failure to provide sufficient administrative resources) result in a lack of reciprocity». A pagina 120 del suo contributo, Novis analizza questi problemi connessi al concetto di reci-procità applicato allo scambio di informazioni tributarie: «(...) it has to be noted that the international principle of reciprocity is not interpreted in the same way by all states. Some of

Edoardo Traversa-Francesco Cannas 121

I parr. 4 e 5 dell’art. 26 sono stati aggiunti nel 2005, ed hanno come sco-po principale quello di impedire allo Stato destinatario della richiesta di scam-bio di opporvi determinate tipologie di legislazione nazionale. Nello specifi-co, l’informazione richiesta non può essere negata: (1) solo perché lo Stato alla quale è richiesta non ha un interesse proprio nello scambio; (2) perché l’informazione è detenuta da un istituto bancario, un’istituzione finanziaria, “un’agenzia”, ovvero una fiduciaria. Le disposizioni contenute in questi due paragrafi prevalgono su quelle contenute nel par. 3, e sono una chiara dimo-strazione dell’attuale tendenza dell’OCSE a contrastare il segreto bancario. Questa tendenza è il risultato, tra gli altri, dei recenti scandali finanziari, di un rinnovato sentimento dell’opinione pubblica sull’argomento, dell’opera-to di svariate organizzazioni internazionali, e dei problemi relativi ai conti pub-blici che molti Stati stanno affrontando

10.

2.2. Il “TIEA”

Oltre all’art. 26 del Modello, l’OCSE ha sviluppato anche un altro stru-mento che può costituire la base giuridica per lo scambio di informazioni tri-butarie tra stati e contribuire alla diffusione degli standard di trasparenza pro-mossi dall’organizzazione stessa: si tratta del Model Agreement on Exchange on Information on Tax Matters, ovvero del “Modello di Accordo sullo Scam-bio di Informazioni Tributarie” (di seguito TIEA). Esso è stato pubblicato nel 2002 e costituisce la base per la negoziazione di accordi di cooperazione in materia fiscale mediante lo scambio di informazioni tributarie tra due o più stati; ne esistono due versioni: una “bilaterale”, ed una “multilaterale”

11. Gli articoli dall’1 al 3 del TIEA ne delimitano l’ambito di applicazione ed

il perimetro giuridico. Esattamente come l’art. 26 del Modello OCSE, l’art.1 them take the view that when information is exchanged this principle requires the same level of information exchanged. In order to achieve the effectiveness of Article 26 OECD Model coun-tries have to engage mutual administrative assistance by allowing other countries to access in-formation in their country that they would like to have access in the other state. The only way to remove this barrier is to harmonize the interpretation of the international principle of reciprocity with the political aim of providing tools for the states to make available requested information».

10 Si vedano anche HEUBERGER-OESTERHELL, Switzerland to Adopt OECD Standard on Exchange of Information, in 50 European Taxation, n. 2-3, 2010, p. 55; RUST-FORT, op. cit.

11 Si vedano il par. 1 dell’Introduzione dell’“OECD Agreement on Exchange of Informa-tion on Tax Matters” (OECD MODEL TIEA); ANAMOURLIS-NETHERCOTT, An Overview of Tax Information Exchange Agreements and Bank Secrecy, in 63 Bulletin for International Ta-xation, n. 12, 2009, p. 618.

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del TIEA menziona lo standard della “foreseeable relevance”, evidenziando così le stesse esigenze di bilanciamento tra l’effettività dello scambio ed i di-ritti del contribuente.

L’art. 5 del TIEA elenca e descrive le procedure per lo scambio delle in-formazioni tributarie tra stati. A differenza dell’art. 26 del Modello OCSE, il TIEA prevede unicamente lo scambio di informazioni “su richiesta” (upon request), mentre la possibilità di ampliare l’ambito dell’accordo e di utilizza-re le modalità di scambio c.d. “automatico” e “spontaneo”, oltre alle “verifi-che simultanee” (simultaneous examinations) è menzionata nel Commentario dello stesso art. 5

12. Con riguardo alle procedure descritte (come, ad esem-pio, l’obbligo dello Stato al quale viene richiesta l’informazione di confermare il ricevimento dell’istanza e di informare tempestivamente il richiedente della eventuale impossibilità di soddisfarla), segnaliamo che alcuni dei limiti posti allo scambio sono quasi speculari a quelli posti dall’art. 26 del Modello OCSE: (1) l’informazione tributaria deve essere scambiata indipendentemente dal fatto che la condotta del contribuente possa costituire un illecito nell’ordi-namento dello Stato cui la richiesta è indirizzata; (2) devono essere utilizza-ti dallo Stato cui la richiesta è indirizzata tutti gli strumenti ad esso disponi-bili, indipendentemente dal fatto che l’informazione sia utile anche a que-st’ultimo; (3) lo scambio di informazioni tributarie non può essere negato per il fatto che l’informazione è detenuta da un istituto bancario, un’istitu-zione finanziaria, un trustee, una fiduciaria, ecc.

13. Il par. 5 dell’art. 5 TIEA chiarisce i parametri che una richiesta di infor-

mazioni tributarie deve soddisfare per essere considerata “prevedibilmente rilevante” (foreseeable relevant) senza però essere una “richiesta speculativa” (fishing expedition). Nello specifico, lo stato richiedente deve fornire: (1) l’i-dentità del contribuente soggetto ad accertamento; (2) la specifica dell’in-formazione richiesta, inclusa la forma in cui deve essere inoltrata; (3) la fi-nalità dell’informazione stessa; (4) motivazioni ragionevoli per ritenere che l’informazione tributaria sia disponibile nello Stato a cui è stata richiesta, ov-vero sia nella disponibilità di un soggetto di tale giurisdizione; (5) se cono-sciuti, il nome e l’indirizzo di ogni soggetto che si ritiene essere in possesso dell’informazione richiesta; (6) una dichiarazione che attesti la conformità

12 Si v. l’OECD MODEL TIEA, Commentary on Article 5, par. 39. 13 Si v. SEER-GABERT, European and International Tax Cooperation: Legal Basis, Practice,

Burden of Proof, Legal Protection and Requirements, in 65 Bulletin for International Taxation, n. 2, 2011, p. 88.

Edoardo Traversa-Francesco Cannas 123

della richiesta alle leggi dello Stato richiedente; (7) una dichiarazione atte-stante il fatto che lo Stato richiedente ha esaurito tutti i mezzi per ottenere au-tonomamente l’informazione, con l’eccezione di quelli che avrebbero com-portato “difficoltà non proporzionate” (disproportionate difficulties)

14. Come avremo modo di analizzare in seguito, la tendenza è di rendere questi standard internazionali sempre più dinamici e flessibili.

L’art. 6 TIEA fornisce la base giuridica per attività accertative svolte al-l’estero e regolamenta sia la c.d. “partecipazione attiva”, ossia la possibilità per i funzionari dell’amministrazione di uno Stato contraente di accedere al territorio dell’altro Stato contraente per svolgere una parte dell’accertamen-to, come ad esempio l’analisi di documenti, sia la c.d. “partecipazione passi-va”, ossia la possibilità per funzionari stranieri di assistere all’attività accerta-tiva svolta dalle autorità nazionali

15. Per concludere, menzioniamo gli artt. 7 e 8 TIEA, che normano la confi-

denzialità delle informazioni scambiate, e si basano su principi che sono praticamente speculari a quelli proposti dall’art. 26 del Modello OCSE e dal relativo Commentario. In breve, essi stabiliscono che: (1) la richiesta non può avere ad oggetto informazioni che la parte richiedente non potrebbe ot-tenere in forza della propria legislazione nazionale; (2) la richiesta non può essere soddisfatta se comporta la divulgazione di segreti industriali, azienda-li o professionali; (3) la richiesta non può essere soddisfatta se comporta la divulgazione di comunicazioni di qualsiasi tipo intercorse tra un cliente ed il suo rappresentante legale; (4) lo scambio di informazioni tributarie non può avere luogo nel caso in cui sia potenzialmente pericoloso per l’“ordine pub-blico”; (5) l’informazione ricevuta deve essere trattata come “confidenziale” (confidential), e può essere comunicata solamente a soggetti in qualche mo-do coinvolti nell’attività di accertamento e/o nella riscossione, che a loro volta potranno divulgarla solo dinanzi ad un giudice.

14 Si vedano anche SEER-GABERT, op. cit., pp. 91-92. Con riguardo ai problemi di natura pratica in alcune singole legislazioni nazionali, si vedano anche NETHERCOTT-ANAMOUR-LIS, Offshore Tax Evasion and Tax Reform: A Multilateral Perspective, in 20 Asia-Pacific Tax Bulletin, n. 1, 2014, p. 23; OGUTTU, A Critique on the Effectiveness of “Exchange of Informa-tion on Tax Matters” in Preventing Tax Avoidance and Evasion: A South African Perspective, in 68 Bulletin for International Taxation, n. 9, 2014, p. 2.

15 Si vedano SEER, op. cit., pp. 66-77; NIJKEUTER, op. cit., pp. 232-241; PANKIV, Tax In-formation Exchange Agreements (TIEAs), in GÜNTER-TÜCHLER (eds.), op. cit., p. 164.

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2.3. L’OCSE e la Council of Europe Convention on Mutual Administrative Assistance in Tax Matters

Questa “Convenzione sulla Mutua Assistenza Amministrativa in Ambito Fiscale” è stata sviluppata congiuntamente dall’OCSE e dal Consiglio d’Eu-ropa, ed il suo scopo principale è quello di costituire un efficace strumento multilaterale per il contrasto dell’evasione e dell’elusione. Negli ultimi anni, molti paesi vi hanno preso parte, e la stessa è stata emendata più volte. In to-tale, più di 60 paesi hanno aderito a questa Convenzione, che tra l’altro for-nisce una serie di opportunità di cooperazione fra amministrazioni fiscali. Gli articoli dal 5 al 7 organizzano un sistema di scambio di informazioni tri-butarie, che può essere “spontaneo”, “su richiesta”, ovvero “automatico”. Come esplicitamente sancito dal Preambolo, anche in questo contesto la necessità di scambiarsi informazioni tributarie deve essere bilanciata con il diritto alla privacy del contribuente e la protezione dei c.d. “dati sensibili”. A conclusione di questo breve excursus, è opportuno segnalare che la firma della Convenzione da parte della Repubblica di San Marino e del Liechten-stein, avvenuta nel novembre del 2013, dal punto di vista politico rappre-senta un evento particolarmente significativo ed una notevole accelerazione in direzione della trasparenza fiscale e della cooperazione internazionale in materia tributaria.

2.4. Lo scambio di informazioni tributarie a livello europeo

2.4.1. Cenni introduttivi Gli strumenti fino ad ora descritti, nel contesto comunitario vanno spes-

so a sovrapporsi con quelli forniti dall’Unione Europea. Quest’ultima, infatti, ha sviluppato un alto grado di cooperazione tra gli Stati Membri, e lo scam-bio di informazioni tributarie è spesso effettuato in quella che è sicuramente la sua modalità più efficace, e cioè quella “automatica”. Importanti obiettivi sono stati raggiunti attraverso varie Direttive e Regolamenti, sia nell’ambito della tassazione diretta che in quella indiretta

16. D’altra parte, è importante sottolineare che anche se l’Unione Europea può essere a ragione considera-ta come uno dei leader in questo settore, quando si considera la possibilità

16 Per quanto riguarda la tassazione diretta, seguirà una breve esposizione nei prossimi paragrafi del contributo. Per quanto riguarda quella indiretta, invece, eccedendo in questa sede il nostro ambito di interesse, ci basterà menzionare il VIES-VAT Exchange Informa-tion System.

Edoardo Traversa-Francesco Cannas 125

di “esportare” il modello di cooperazione europea in questo ambito, non si può non tener conto delle peculiarità dei rapporti che legano gli Stati Mem-bri e della loro difficilissima replicabilità in altri contesti

17.

2.4.2. La Direttiva 2011/16/EU sulla cooperazione amministrativa La Direttiva in oggetto è stata adottata dal Consiglio in data 15 febbraio

2011, ed ha sostituito la precedente Direttiva 77/799/EEC del 19 dicembre 1977, e tutte le seguenti modifiche. Nella sua formulazione attuale, la Diret-tiva rafforza la cooperazione tra Stati Membri, anche grazie ad un ampio scambio automatico di informazioni tributarie a partire dal 1° gennaio 2015 su cinque categorie di reddito

18: redditi da lavoro dipendente; compensi dei direttori; pensioni; redditi derivanti da proprietà immobiliari; e redditi deri-vanti da alcune categorie di prodotti assicurativi.

Nel momento in cui viene redatto questo contributo, l’Ecofin del 9 di-cembre 2014 ha approvato una proposta di Direttiva

19 che amplierebbe no-tevolmente l’ambito della Direttiva 2011/16/EU. Nello specifico, è stabilito che con decorrenza dalla fine di settembre 2017 lo scambio automatico di informazioni tributarie sarà esteso anche alle seguenti categorie di reddito: interessi; dividendi; e ricavi derivanti dalla vendita di alcune tipologie di pro-dotti finanziari.

La Direttiva in questione dovrà essere recepita dagli Stati Membri entro il 31 dicembre 2015 ed è importante rilevare che nel Preambolo della stessa è esplicitamente affermato che l’estensione dell’ambito applicativo dello scambio automatico di informazioni tributarie è posto in essere con l’inten-

17 Si vedano anche PISTONE, Coordinating the Action of Regional and Global Players Dur-ing the Shift from Bilateralism to Multilateralism in International Tax Law, in 6 World Tax Journal, n. 1, 2014, pp. 3-9; KAVELAARS, EU and OECD: Fighting against Tax Avoidance, in 41 Intertax, n. 10, 2013, p. 507; CERIONI, Company Taxation in the European Union: A Key Challenge 20 Years after the Ruding Report, in 67 Bulletin for International Taxation, n. 10, 2013, p. 536; NOUWEN, The Gathering Momentum of International and Supranational Action against Aggressive Tax Planning and Harmful Tax Competition: The State of Play of Recent Work of the OECD and European Union, in 53 European Taxation, n. 10, 2013, p. 491; CAL-DERON, Taxpayer Protection within the Exchange of Information Procedure Between State Tax Administrations, in 28 Intertax, n. 12, 2000, p. 462.

18 Art. 8 della Direttiva. 19 Si tratta della Proposta di Direttiva COM(2013) 348-Final, del 12 giugno 2013. (ora

14424/14 – Interinstitutional File 2013/0188 – CNS). Gli articoli della Direttiva 2011/16/EU che vengono emendati sono i seguenti: 3 (Definizioni); 8 (Scambio Automatico di Informa-zioni); 20 (Standard Forms and Computerized Formats); 21 (Practical Arrangements); e 25 (Protezione dei Dati).

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to di adeguarsi ai nuovi standard internazionali proposti dall’OCSE, ed in particolare al c.d. “Common Reporting Standard”. Avremo modo di analiz-zare gli aspetti rilevanti di questi standard in seguito; per ora ci basti sottoli-neare come l’Unione Europea sia all’avanguardia nel recepimento e nell’im-plementazione del lavoro svolto in sede internazionale.

Concludiamo ricordando che la Direttiva in oggetto prevede anche altre forme di cooperazione amministrativa tra Stati Membri, tra cui: ispezioni di funzionari esteri sul territorio degli Stati membri (art. 11); controlli congiunti di funzionari di due o più Stati (art. 12); notifiche da effettuare al contribuen-te oggetto di accertamento (art. 13); la possibilità di fornire un feedback alla cooperazione (art. 14)

20.

2.4.3. La Direttiva 2003/48/CE in materia di tassazione dei “redditi da ri-sparmio” La Direttiva in oggetto (di seguito anche Savings Directive) è stata adot-

tata il 3 giugno 2003, ed il suo scopo principale è la regolamentazione della tassazione dei pagamenti di interessi transnazionali nello stato di residenza del beneficiario effettivo

21. Tra le altre misure, vi è da segnalare che un sistema di scambio automatico

di informazioni è previsto dagli artt. 8 e 9 per determinate categorie di reddi-to, ed in particolare per il pagamento di interessi. Dobbiamo anche sottoli-neare che, in seguito alla summenzionata estensione dello scambio automati-co di informazioni ai sensi della Direttiva 2011/16/EU, che dovrebbe partire

20 Per un’analisi della Direttiva 2011/16/EU si vedano anche SEER-GABERT, op. cit., pp. 88-98; SCHILCHER-SPIES, The Directives on Mutual Assistance in the Assessment and in the Recovery of Tax Claims in the Field of Direct Taxation, in LANG et. al. (eds.), Introduction to European Tax Law on Direct Taxation3, Vienna, 2012, p. 207 ss.; TERRA-WATTEL, European Tax Law, Alphen aan den Rijn, 2012), pp. 815-879; SPIES, Influence of International Mutual Assistance on EU Tax Law, in 40 Intertax, n. 10, 2012, p. 518.

21 Per un’analisi esaustiva della Direttiva 2003/48/CE, si vedano anche AUJEAN, Sav-ings Taxation: Is Automatic Exchange of Information Becoming a Panacea?, in 19 EC Tax Review, n. 1, 2010, pp. 2-3; VANISTENDAEL, The European Interest Savings Directive: An Ap-praisal and Proposals for Reform, in 63 Bulletin for International Taxation, n. 4, 2009, p. 152; TERRA-WATTEL, op. cit., pp. 779-797; HEIDENBAUER, The Savings Directive, in LANG et al. (eds.), Introduction to European Tax Law on Direct Taxatio, cit., p. 167 ss.; NIEKEL-NOU-WEN, The Current Tax Avoidance Debate and European Banks, in 15 Derivatives & Financial Instruments, n. 3, 2013, p. 80; GLÄSER, Taxation of Cross-Border Savings: Options for Revie-wing the European Approach, in 35 Intertax, n. 12, 2007, p. 726; LARKING, Another Go at the Savings Directive: Third Time Lucky?, in 10 EC Tax Review, n. 4, 2001, p. 220; DOURADO, The EC Draft Directive on Interest from Savings from a Perspective of International Tax Law, in 9 EC Tax Review, n. 3, 2000, p. 144.

Edoardo Traversa-Francesco Cannas 127

dal 2017, si verrebbe a creare una sovrapposizione di normative con riguardo, in particolare, agli interessi. È per questo motivo che la Commissione Euro-pea sta pensando di sostituire e/o emendare la Savings Directive

22. Ai sensi dell’art. 9 della Direttiva 2003/48/CE, lo Stato Membro del sog-

getto che paga l’interesse deve “automaticamente” fornire una serie di in-formazioni all’amministrazione finanziaria dello Stato Membro ove il bene-ficiario effettivo è residente. Ciò dovrebbe accadere almeno una volta all’an-no, e comunque non oltre sei mesi dalla chiusura dell’anno fiscale dello Sta-to Membro in cui ha residenza il soggetto pagatore dell’interesse.

L’art. 8 della Savings Directive elenca una serie di informazioni che devo-no essere scambiate in questo contesto: (1) l’identità e la residenza del be-neficiario effettivo; (2) il nome e l’indirizzo del soggetto pagatore; (3) il nu-mero di conto del beneficiario effettivo o, in alternativa, l’identificazione del credito che produce gli interessi.

2.4.4. La Direttiva 2010/24/UE sull’assistenza reciproca in materia di recupe-ro dei crediti risultanti da dazi, imposte ed altre fattispecie La Direttiva in oggetto è stata adottata dal Consiglio il 16 marzo del 2010,

e sostituisce la precedente Direttiva 79/1070/EEC e tutte le sue successive modifiche. Il suo scopo è quello di aumentare la cooperazione amministra-tiva nel recupero dei crediti tributari, dal momento che ciò può essere reso difficoltoso a causa delle libertà di movimento garantite dall’Unione anche ai “debitori” ed ai loro beni.

Dato il suo ampio perimetro normativo, la Direttiva 2010/24/UE garan-tisce l’effettività della tassazione di varie categorie di reddito, e, tra le altre misure, stabilisce un sistema di scambio di informazioni tributarie “su ri-chiesta”: ai sensi dell’art. 5, l’autorità a cui viene domandato deve fornire all’autorità richiedente le informazioni che siano “ragionevolmente rilevan-ti” (foreseeably relevant) per la riscossione dei tributi. Inoltre, l’art. 6 della medesima prevede la possibilità di uno scambio “spontaneo” di informazio-ni tributarie, oltre ad una serie di altre possibilità, tra cui quella di effettuare controlli congiunti con funzionari di amministrazioni straniere, del suppor-to nelle notifiche all’estero, ecc.

23.

22 A riguardo si consulti il sito ufficiale della Commissione Europea, www.ec.europa.eu, e più in particolare la sezione “Administrative Co-operation and Mutual Assistance – Overview”.

23 Si v., tra gli altri, VASCEGA-VAN THIEL, Assessment of Tax in Cross-border Situations: The New EU Directive on Administrative Cooperation in the Field of Taxation, in 20 EC Tax Review, n. 3, 2011, p. 148.

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3. Analisi degli Updates del 15 luglio 2014 all’art. 26 del Modello OCSE ed al relativo Commentario

3.1. Gli Updates all’art. 26 del Modello OCSE

Gli “aggiornamenti” in questione erano già stati pubblicati dall’OCSE il 17 luglio 2012, e lo stesso documento “loose-leaf” è stato ora integrato nella più generale revisione del Modello e del Commentario pubblicata il 15 lu-glio 2014. La struttura base dell’articolo è rimasta immodificata, ed un sin-golo periodo è stato aggiunto al termine del par. 2, che, come già detto pre-cedentemente, regola la confidenzialità delle informazioni scambiate: «No-nostante quanto sopra, le informazioni tributarie ricevute da uno degli Stati contraenti possono essere utilizzate per altri propositi (other purposes) quan-do ciò sia consentito dalle leggi di ambo gli Stati, e le autorità competenti dello Stato che le ha fornite ne abbiano autorizzato l’utilizzo»

24. L’OCSE fa un importante riferimento alla legislazione nazionale degli

Stati contraenti, permettendo così che lo stesso livello di confidenzialità ga-rantito a livello domestico sia di fatto garantito anche dallo Stato che riceve l’informazione. Ciò costituisce sicuramente un alto livello di protezione per il contribuente, ma va anche sottolineato che, in una serie di circostanze, l’in-formazione può comunque essere divulgata, ed in tal caso è difficile imma-ginare possibili argini ad un suo “pieno” utilizzo

25.

Questa norma di recente introduzione era precedentemente prevista dal Commentario all’art. 26, ed era indicata come “opzionale” per gli Stati con-

24 Traduzione effettuata dagli autori dalla versione inglese del seguente testo: «Notwith-standing the foregoing, information received by a Contracting State may be used for other pur-poses when such information may be used for such other purposes under the laws of both States and the competent authority of the supplying State authorizes such use».

25 A riguardo, si vedano anche OWENS, The Role of Tax Administrations in the Current Poli-tical Climate, in 67 Bulletin for International Taxation, n. 3, 2013, p. 156; SCHENK-GEERS, In-ternational Exchange of Information and the Protection of Taxpayers, Alphen aan den Rijn, 2009; REIBEL, Amnesty-Privilege-Disclosure: Managing Critical Issues in Client Relations, in 53 European Taxation, n. 5, 2013 p. 232; PISTONE, Exchange of Information ad Rubik Agree-ments: The Perspective of an EU Academic, in 67 Bulletin for International Taxation, n. 4-5, 2013, p. 216; ÖNER, Using Exchange of Information in Regard to Assistance in Tax Collection, in 51 European Taxation, n. 4, 2011, p. 123; KAUR-SAW, The EOI Standard: Past, Present and Future, in 16 Asia-Pacific Tax Bulletin, n. 1, 2010, p. 14; BETHEL, The Text of and the Com-mentaries on Articles 26 and 27: Round-Up of the Changes and Their Significance, in 66 Bulle-tin for International Taxation, n. 11, 2012, p. 618.

Edoardo Traversa-Francesco Cannas 129

traenti, che potevano quindi scegliere di includerla nei loro trattati 26. Si in-

troduce così un’eccezione all’impostazione generale, e si trasforma l’art. 26 nell’unico articolo del Modello OCSE il cui ambito si può potenzialmente estendere oltre a quello esclusivamente fiscale. Se da un lato il par. 1 dell’art. 26 stabilisce che «gli Stati contraenti scambiano le informazioni che sono prevedibilmente rilevanti per l’attuazione delle disposizioni contenute nella Convenzione, ovvero per l’attuazione delle norme previste da leggi naziona-li concernenti qualsiasi tipo di imposta»

27, dall’altro, come abbiamo visto, il periodo aggiunto al termine del par. 2 limita lo scambio di informazioni “per altri propositi” (other purposes) alle sole situazioni in cui (1) ciò sia compa-tibile con la legge di ambo gli Stati coinvolti, e (2) vi sia l’autorizzazione dell’autorità che le deve fornire.

Diventa quindi imprescindibile riflettere sul significato dell’espressione “altri propositi” (other purposes). Una prima risposta la può fornire il par. 12.3 del Commentario all’art. 26, la quale suggerisce che «uno scambio di infor-mazioni fatto per altri propositi può consistere nella condivisione di infor-mazioni con altre amministrazioni (“agenzie fiscali”) ed autorità giudiziarie per fini non-tributari». Viene poi fornita una lista di tre esempi, che, essendo esplicitamente tali (perché preceduti da “e.g.”), non deve essere considerata esaustiva, ma solo esemplificativa. Nello specifico, si tratta delle fattispecie di “riciclaggio”, “corruzione” e “terrorismo”. Lo stesso paragrafo prevede an-che che lo Stato che riceve l’informazione debba «specificare allo stato che la fornisce il fine non-tributario per il quale l’informazione dovrebbe essere utilizzata, oltre che attestare la legalità di tale utilizzo ai sensi della normati-va nazionale». Si può quindi dedurre che gli other purposes possano essere tutti i fini non-tributari leciti, e che di conseguenza tutte le informazioni ri-guardanti illeciti penali ed amministrativi possano essere scambiate su que-sta base giuridica.

L’aggiunta effettuata nel 2014 al testo dell’art. 26 deve anche essere coor-dinata con le altre norme dello stesso articolo. In particolare, devono essere presi in considerazione i limiti posti dal par. 3, in base ai quali in nessun caso lo scambio di informazioni basato sui primi due paragrafi (e, di conseguen-

26 Si v. anche ROCHA, Exchange of Tax Related Information by Brazil, in 40 Intertax, n. 8-9, 2012, p. 497.

27 Traduzione effettuata dagli autori di parte del par. 1 dell’art. 26: «(...) Contracting States shall exchange such information as is foreseeably relevant for carrying out the provisions of this Convention or to the administration or enforcement of the domestic laws concerning taxes of every kind».

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za, anche sulla norma recentemente aggiunta) potrà portare ad azioni non conformi alle leggi od alle pratiche amministrative dello Stato destinatario della richiesta; alla divulgazione di segreti industriali ed aziendali; ovvero ad atti contrari all’ordine pubblico.

Uno dei paragrafi aggiunti al Commentario dell’art. 26, il 12.4, fornisce una formulazione alternativa dell’ultimo periodo del par. 2, aggiunto al Mo-dello con gli Updates pubblicati a luglio 2014. Possiamo dire che questa for-mulazione alternativa dell’articolo, anche se di fatto più ristretta nell’ambito di applicazione, si prefigge di ottenere gli stessi risultati sostanziali, ed è così traducibile: «le autorità competenti dello Stato contraente che riceve la ri-chiesta di informazioni ai sensi del presente articolo hanno la facoltà, previa autorizzazione scritta dello Stato che fornisce le informazioni stesse, di ren-derle disponibili per altri scopi che siano previsti da altri trattati sulla mutua assistenza e che (a loro volta) autorizzino tali pratiche»

28. Se questo periodo è inserito in un Trattato firmato da due Stati, i requisi-

ti per l’utilizzo delle informazioni scambiate ai sensi dell’art. 26 per fini non-tributari sono i seguenti: (1) le autorità competenti devono dare il loro con-senso scritto per tale utilizzo; (2) lo scambio di informazioni deve comun-que essere autorizzato da un altro tipo di accordo o Trattato in vigore tra gli stati coinvolti. La differenza principale di questa formulazione della norma sta nel fatto che non si richiede che la condivisione dell’informazione sia compatibile con la legislazione nazionale di uno o più Stati, ma che sia con-forme ad un accordo di mutua assistenza in vigore tra di essi.

3.2. Gli Updates ai Preliminary Remarks del Commentario all’art. 26

Nella sezione dei Preliminary Remarks del Commentario all’art. 26 (le “Considerazioni Preliminari”) il par. 3 è stato riformulato e sono stati aggiun-ti i parr. 4.3 e 4.4. Questi aggiornamenti hanno uno scopo unitario, che è quello di chiarire meglio la ratio “generale” dell’articolo. Il primo disciplina i rapporti tra l’art. 26 del Modello, l’art. 27 sull’assistenza amministrativa per la riscossione delle imposte, e l’art. 25 sulle mutual agreement procedures,

28 La traduzione è effettuata dagli autori. Il testo originale è il seguente: «The competent authority of the Contracting State that receives information under the provisions of this Article may, with the written consent of the Contracting State that provided the information, also make available that information to be used for other purposes allowed under the provisions of a mu-tual legal assistance treaty in force between the Contracting States that allows for the exchange of information».

Edoardo Traversa-Francesco Cannas 131

precisando che, quando uno scambio di informazioni tributarie si rende ne-cessario, esso deve obbligatoriamente avvenire ai sensi dell’art. 26, anche se è effettuato nell’ambito di una procedura di assistenza amministrativa, ovve-ro entro un mutual agreement process. In tali circostanze, l’art. 26 “prevale” sugli artt. 25 e 27 del Modello OCSE.

I nuovi parr. 4.3 e 4.4 forniscono chiarimenti, rispettivamente, sul perio-do aggiunto al par. 2 dell’art. 26

29, e sulla corretta interpretazione dei sum-menzionati standard di “foreseeable relevance” e “fishing expedition”, riportan-do a tal fine alcune considerazioni: (1) di carattere generale; (2) sulla situa-zione del contribuente sottoposto ad accertamento; (3) sulle richieste che ri-guardano “gruppi di contribuenti”; (4) ed alcuni esempi “pratici”.

3.3. Updates del Commentario al par. 1 dell’art. 26 del Modello OCSE

Il par. 5 del Commentario è stato considerevolmente allungato. Anche in questo caso, lo scopo principale dell’espansione è quello di chiarire alcuni aspetti dello standard della “foreseeable relevance”, sempre bilanciando l’esi-genza di scambiare le informazioni tributarie che siano “prevedibilmente ri-levanti” ai sensi dell’art. 26 del Modello, con quella di proibire le richieste di informazioni “speculative” (fishing expeditions). Questo paragrafo descrive le informazioni “prevedibilmente rilevanti” come quelle che: «(...) al tempo in cui la richiesta è inoltrata presentano la ragionevole possibilità di essere ri-levanti»

30; precisando anche che: «(...) se l’informazione scambiata si riveli poi essere effettivamente rilevante, è ininfluente»

31. Le fishing expeditions, invece, sono descritte come quelle richieste di informazioni tributarie che non hanno nessun apparente nesso con un accertamento ovvero un’indagi-ne in corso. L’OCSE consiglia alle autorità competenti di lavorare in stretto coordinamento e di consultarsi le une con le altre nelle situazioni in cui il con-tenuto delle richieste inoltrate, le circostanze che hanno portato alla richie-sta stessa, ovvero la “prevedibile rilevanza” dell’informazione richiesta, non siano del tutto chiare o pacifiche

32.

29 Si veda a riguardo la sezione di questo contributo dedicata a tale periodo. 30 Traduzione effettuata dagli autori del testo inglese: «(...) at the time the request is

made there is reasonable possibility that the requested information will be relevant». 31 Traduzione effettuata dagli autori del testo: «(...) whether the information, once provi-

ded, actually proves to be relevant is immaterial». 32 Per un approfondimento sul concetto di “fishing expedition” si v. anche SEER, op. cit.,

pp. 66-77; OBERSON, The Development of International Assistance in Tax Matters in Switzer-land: From Evolution to Revolution, in 53 European Taxation, n. 8, 2013, p. 368.

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Il nuovo par. 5.1 del Commentario all’art. 26 del Modello OCSE amplia significativamente le possibilità di andare alla ricerca di informazioni tribu-tarie da parte degli Stati contraenti. Esso chiarisce, infatti, che una richiesta effettuata ai sensi dell’art. 26 non costituisce una fishing expedition per il sem-plice fatto di non contenere il nominativo e/o l’indirizzo del contribuente sot-toposto ad accertamento: è infatti sufficiente che siano contenuti i dati che permettono la sua identificazione oltre ogni ragionevole dubbio

33. A parere degli autori, l’inserimento di tale norma nel Commentario, sen-

za una modifica della lettera dell’art. 26, è discutibile. In specie, l’inoltro di una richiesta di informazioni che sia piuttosto dettagliata, ma che non con-tenga il nominativo del contribuente sottoposto ad accertamento, potrebbe ledere alcuni dei diritti di quest’ultimo, soprattutto per quanto riguarda la no-tificazione e le sue possibilità di “difesa”. È ragionevole ritenere che questa nuova interpretazione suggerita, a fronte di una formulazione della norma che non è cambiata, possa presentare problemi di compatibilità con la legisla-zione nazionale di alcuni paesi, e corra quindi il rischio di essere di fatto inap-plicabile. A parere di chi scrive, l’OCSE potrebbe valutare la possibilità di trasferire questa norma nell’articolo stesso, così da indicarla come standard generale, piuttosto che tenerla “relegata” nel Commentario con il rischio di renderla inefficace.

Anche il nuovo par. 5.2 del Commentario fornisce ulteriori dettagli riguar-do al concetto di “foreseeable relevance” dell’informazione tributaria richie-sta: una “prevedibile rilevanza” possono averla sia informazioni che riguarda-no un singolo, che un gruppo di contribuenti. Ovviamente, pur non essendo una richiesta “speculativa” per il solo fatto di essere “di gruppo”, in tali casi è più difficile tracciare un confine netto con le “fishing expeditions”. Questa ag-giunta al Commentario precisa che, al fine di evitarne il respingimento, la ri-chiesta di informazioni tributarie deve: «fornire una descrizione dettagliata del gruppo, oltre che dei fatti e delle circostanze specifiche utili a motivarla, della normativa nazionale applicabile (...)»

34.

33 L’OCSE specifica che lo stesso vale qualora il nominativo del contribuente sottopo-sto ad accertamento sia scritto in maniera errata (spelling) ovvero utilizzando un formato diverso (ad esempio, nome e cognome invertiti). Precisiamo inoltre che la formula “oltre ogni ragionevole dubbio” è utilizzata dagli autori per tradurre al meglio in italiano il con-cetto espresso dall’OCSE, ma che non si tratta di una traduzione letterale.

34 Traduzione libera effettuata dagli autori di una parte del paragrafo del Commentario oggetto di analisi.

Edoardo Traversa-Francesco Cannas 133

Il par. 6 è stato solo parzialmente riscritto. Esso rappresenta una sorta di introduzione ad una lunga lista di esempi pratici volti a delimitare il perime-tro dell’art. 26. Viene precisato che gli esempi in questione non devono es-sere utilizzati per giustificare una lettura restrittiva dell’articolo stesso, ma, al contrario, sono orientati ad estendere l’ambito di applicazione dello scam-bio di informazioni tributarie “il più possibile”.

Gli esempi menzionati sono elencati nel par. 8, lett. e), f), g) ed h) del Commentario, e sono tutti basati sul concetto di “beneficiario effettivo”. Ciò che li accomuna tra loro è la logica su cui sono basati, e cioè che in talu-ne circostanze la sostanza economica dell’operazione riguardo alla quale le informazioni vengono richieste debba prevalere sulla sua forma giuridica.

Elenchiamo brevemente qui di seguito gli esempi riportati nel Commen-tario:

– lett. e): riguarda i conti correnti bancari. Uno Stato contraente dovreb-be poter ottenere le informazioni relative ai conti correnti bancari di cui un soggetto identificato sia beneficiario effettivo, anche per il tramite di altri soggetti (ad esempio, un parente);

– lett. f): riguarda le transazioni effettuate con carte di credito. Uno Stato contraente dovrebbe poter ottenere le informazioni relative alle transazioni effettuate nel proprio territorio a mezzo di carte di credito estere. Nello speci-fico, la ratio di questo esempio è di fornire un efficace strumento di contrasto alla condotta dei contribuenti che utilizzano questo tipo di carte per celare materia imponibile detenuta all’estero. Secondo l’OCSE, lo Stato richiedente dovrebbe poter ottenere dalla controparte le informazioni riguardanti il bene-ficiario effettivo i tali operazioni fornendo il solo “numero della carta”;

– lett. g): riguarda le azioni e quote di società di capitali. Lo Stato richie-dente dovrebbe poter ottenere le informazioni riguardanti i beneficiari effet-tivi delle azioni emesse da società di capitali dell’altro Stato contraente. In questo caso, il fenomeno che si vuole contrastare è quello delle operazioni straordinarie che celano cambiamenti nel controllo effettivo e che possono portare a riduzioni elusive del carico fiscale;

– lett. h): riguarda i providers di servizi finanziari. Lo Stato richiedente dovrebbe poter ottenere le informazioni relative ai proprietari e beneficiari effettivi dei prodotti finanziari. Ciò per evitare che alcuni di questi possano essere utilizzati per ridurre il “normale” carico fiscale.

Vale la pena sottolineare che, sebbene nella letteratura non vi sia traccia del fatto che l’OCSE abbia elaborato questa lista di esempi sulla base di casi reali, essi danno l’impressione di essere in sintonia con i recenti “trends” del-

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 134

la policy di numerose amministrazioni fiscali. Nei paesi OCSE, infatti, la re-cente giurisprudenza testimonia numerosi tentativi, da parte delle autorità competenti, di contrastare fenomeni elusivi mediante l’utilizzo del principio del “beneficiario effettivo”. Di conseguenza, è anche possibile spiegare, alme-no in parte, la crescente attenzione intorno allo scambio di informazioni, che spesso è un “passaggio obbligato” per individuare il “beneficiario effettivo” delle operazioni transnazionali

35. Un altro paragrafo aggiunto in occasione degli Updates oggetto di questo

contributo è l’8.1, che riporta due esempi esplicativi del concetto di “fishing expedition”, ed in particolare due situazioni che si possono qualificare come tali, e che quindi non obbligano lo stato cui la richiesta viene inoltrata ad ef-fettuare lo scambio ai sensi dell’art. 26. Nello specifico, il primo esempio de-scrive la situazione in cui uno degli Stati contraenti richieda tutti i nominati-vi, date e luoghi di nascita, ed informazioni finanziarie, dei suoi residenti che siano titolari di un conto corrente, un potere di firma, ovvero di una qualche titolarità nell’accredito di interessi, presso un istituto bancario dell’altro Sta-to contraente. Il secondo descrive invece la situazione in cui uno Stato con-traente richieda tutti i nominativi degli azionisti di una società di capitali che sono residenti nell’altro Stato, oltre alle informazioni relative ai dividendi ricevuti, sulla sola base di una significativa attività economica svolta nel pro-prio territorio.

I nuovi parr. 10.4, 10.5 e 10.6 introducono nel Commentario all’art. 26 la questione dei limiti temporali dello scambio di informazioni tributarie, e, più in particolare, forniscono agli Stati contraenti la possibilità aumentare la velocità degli scambi introducendo dei termini. Il primo propone un para-grafo opzionale che può essere incluso nell’art. 26

36, e che sarebbe finalizza-

35 Si vedano anche ARNOLD, Tax Treaty Case Law News: A Trio of Recent Cases on Bene-ficial Ownership, in 66 Bulletin for International Taxation, n. 6, 2012, p. 323; e MARTIN JI-MÉNEZ, Beneficial Ownership: Current Trends, in 2 World Tax Journal, n. 1, 2010, p. 35.

36 Riportiamo di seguito il testo proposto: «The competent authorities of the Contracting States may agree on time limits for the provision of information under this Article. In the ab-sence of such an agreement, the information shall be supplied as quickly as possible and, except where the delay is due to legal impediments, within the following time limits: (a) Where the tax authorities of the requested Contracting State are already in possession of the requested infor-mation, such information shall be supplied to the competent authority of the other Contracting State within two months of the receipt of the information request; (b) Where the tax authorities of the requested Contracting State are not already in the possession of the requested information, such information shall be supplied to the competent authority of the other Contracting State within six months of the receipt of the information request.

Edoardo Traversa-Francesco Cannas 135

to a stabilire dei termini precisi, oltre alla generale indicazione del fatto che l’informazione richiesta deve essere scambiata “il più velocemente possibile” (“as quick as possible”). In particolare, essa andrebbe scambiata entro due mesi se già in possesso delle autorità al momento della richiesta, ovvero en-tro sei mesi in caso contrario. Tuttavia, si deve anche rilevare che l’eventuale aggiunta di tale norma, che andrebbe a costituire il sesto paragrafo dell’arti-colo, non creerebbe difficoltà all’operatività del sistema in ogni caso, perché le informazioni scambiate oltre tali termini sarebbero comunque “utilizzabili” in sede di accertamento. A parere degli autori, quest’ultimo aspetto può por-tare a sostenere che anche un’eventuale inclusione del paragrafo in questio-ne nell’art. 26 sarebbe di fatto inefficace in un’ottica di velocizzazione delle procedure; in primo luogo, perché garantendo l’utilizzabilità dell’informa-zione scambiata tardivamente verrebbe a mancare qualsiasi tipo di “incenti-vo” alla cura della tempistica dello scambio da parte delle autorità; ed in se-condo luogo perché esso sarebbe comunque reso superfluo dai principi ge-nerali di “efficacia” ed “efficienza” che in molti ordinamenti già regolano l’at-tività amministrativa.

I nuovi parr. 10.5 e 10.6, invece, lasciano agli Stati contraenti la possibili-tà di accordarsi su limiti temporali diversi, anche “caso per caso” (case-by-case), quando, ad esempio, ci sia accordo sul fatto che la richiesta è caratte-rizzata da una complessità che sia meritevole di un termine dilatato.

3.4. Gli Updates del Commentario al par. 2 dell’art. 26

Alcune modifiche sono state apportate ai parr. 11 e 12.3 del Commenta-rio al par. 2 dell’art. 26, che disciplina la confidenzialità delle informazioni scambiate. Nello specifico, il par. 11 stabilisce che l’amministrazione riceven-te debba trattare l’informazione ricevuta “with proper confidence”, ossia “con la dovuta riservatezza”. La prima delle modifiche in questione estende questo standard allo scambio epistolare mediante il quale la richiesta è stata inoltra-ta, il cui contenuto può essere rivelato nella misura in cui sia strettamente necessario per l’ottenimento dell’informazione stessa. Nello stesso par. 11, il Commentario prevede anche la possibilità di sospendere la cooperazione ex art. 26 nel caso in cui la controparte non ottemperi alle disposizioni inerenti la confidenzialità delle informazioni.

Provided that the other conditions of this Article are met, information shall be considered to have been exchanged in accordance with the provision of this Article even if it is supplied after these time limits».

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 136

Come già menzionato in precedenza, il par. 12.3 del Commentario ri-guarda gli “altri propositi non-tributari” (other non-tax purposes) per i quali l’informazione può essere scambiata dalle autorità competenti, e per la sua analisi si rinvia alla sezione ad esso dedicata del presente contributo.

La confidenzialità dell’informazione tributaria scambiata ai sensi dell’art. 26 è anche oggetto di estensiva trattazione da parte della «Joint OECD/Glo-bal Forum Guide on the Protection of Confidentiality of Information Exchanged for Tax Purposes»

37, pubblicata nel 2012 e finalizzata a diventare il punto di riferimento per gli standard di riservatezza delle informazioni scambiate sia mediante gli “strumenti” sviluppati dall’OCSE, come ad esempio il Model-lo, il TIEA, ecc., che dalle varie legislazioni nazionali. Tra le altre cose, esso include una serie di raccomandazioni alle amministrazioni tributarie per quan-to concerne

38 (1) il fatto che gli “strumenti” utilizzati per lo scambio di in-formazioni debbano contenere riferimenti espliciti alla confidenzialità delle informazioni stesse; (2) che le legislazioni nazionali debbano contenere nor-mative volte a tutelare la confidenzialità delle informazioni scambiate in for-za di trattati; (3) il fatto che il “diritto di accesso” (agli atti amministrativi) e/o il principio della “libertà di informazione” presenti negli ordinamenti nazionali non debbano poter giustificare la divulgazione di questo tipo di in-formazioni; (4) e che debbano essere previste adeguate sanzioni, anche con effetto deterrente, in caso di violazione della confidenzialità.

3.5. Gli Updates del Commentario ai parr. 3, 4, e dell’art. 26

Il par. 3 dell’art. 26 contiene alcune limitazioni alla “regola generale” pre-vista dai primi due paragrafi dello stesso articolo. La ratio di queste limita-zioni è da ricercare nel fatto che lo Stato contraente non debba essere obbli-gato a “violare” la propria legislazione nazionale o le proprie “prassi ammi-nistrative” nella messa a disposizione di un altro Stato delle informazioni tributarie richieste, così da evitare situazioni in cui un’amministrazione pos-sa “avvantaggiarsi” di un sistema giuridico diverso dal proprio, e che magari offre possibilità di accesso alle informazioni più ampie di quelle che gli con-sentirebbe la normativa nazionale. A tal riguardo, il Commentario al par. 3

37 Si veda il Report OCSE, “Keeping It Safe: The OECD Guide on the Protection of Confi-dentiality of Information Exchanged for Tax Purposes”, 2012, disponibile sul sito ufficiale del-l’OCSE www.oecd.org.

38 Ibidem, p. 33.

Edoardo Traversa-Francesco Cannas 137

dell’art. 26 ha visto l’aggiunta di alcuni periodi ai parr. 15 e 16, oltre all’introduzione di un par. 16.1.

I periodi aggiunti alla parte finale del par. 15 del Commentario sono fina-lizzati a “controbilanciare” le conseguenza di quanto stabilito dall’art. 26(5). Il principio generale di “reciprocità” che sta alla base dell’art. 26 deve essere interpretato in maniera “pragmatica”, così da non frustrare la pratica quoti-diana.

Il par. 16 è stato parzialmente riscritto, e stabilisce che le autorità prepo-ste allo scambio di informazioni debbano avere a disposizione tutte le risorse ed i poteri necessari a garantire l’effettiva funzionalità del meccanismo “nella misura più ampia possibile” (to the widest possible extent), mentre il nuovo par. 16.1 regola il rapporto tra le varie norme dell’art. 26. Quest’ultimo è prin-cipalmente finalizzato a chiarire che i punti a) e b) del par. 3 non consento-no di declinare una eventuale richiesta di informazioni, perché tali norme sono comunque subordinate ai parr. 4 e/o 5 dello stesso articolo, con il ri-sultato che le legislazioni nazionali che proteggono il segreto bancario non “prevalgono” mai quando “entrano in conflitto” con una richiesta di infor-mazioni presentata ai sensi dell’art. 26.

Per concludere questa analisi, dobbiamo infine menzionare che il par. 19.7 del Commentario al par. 4 dell’art. 26 è stato notevolmente ampliato, principalmente con il fine di garantire che lo scambio di informazioni tribu-tarie avvenga indipendentemente dal fatto che esso sia utile allo Stato con-traente cui la richiesta è inoltrata, oltre che di garantire che esso venga utiliz-zato solo allorquando non sia più possibile utilizzare “strumenti domestici” per decorrenza dei termini.

4. Alcune riflessioni sugli sviluppi futuri e sulle altre “iniziative” che riguarda-no lo scambio di informazioni tributarie

4.1. Cenni introduttivi

Lo scambio di informazioni tributarie non è materia di grande interesse solo per l’OCSE, che sta significativamente contribuendo allo sviluppo di un quadro giuridico orientato alla stretta collaborazione tra Stati, ma è oggetto di numerosissime iniziative internazionali anche da parte di altri soggetti, tra cui spicca, ad esempio, la legislazione FATCA degli USA. Come abbiamo già avuto modo di dire, la tendenza sembra quella di andare verso una generale accettazione dello scambio automatico di informazioni tributarie come stan-

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 138

dard internazionale, e le suddette iniziative vanno chiaramente in questa di-rezione. Lo scopo di questo paragrafo è l’analisi dei recenti Updates all’art. 26 alla luce di questa generale tendenza, soprattutto in virtù del fatto che es-so, non menzionando mai “l’automaticità” dello scambio, sembrerebbe non conformarvisi. È convinzione degli autori che l’analisi appena effettuata vada contestualizzata, e non possa essere considerata come un qualcosa di comple-tamente avulso dalle altre iniziative volte a rendere più efficiente la coopera-zione in questa materia

39.

4.2. L’OCSE ed il Global Forum on Transparency and Exchange of Infor-mation for Tax Purposes

Nell’anno 2000, l’OCSE ha creato il Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes (di seguito, Global Forum)

40. Esso segue la pubblicazione di un report sui paradisi fiscali ed i regimi fiscali “pre-ferenziali”

41, che individua nella mancanza di trasparenza e di scambio di in-formazioni tributarie una delle principali cause dell’evasione fiscale. Lo sco-po principale del Global Forum è di contribuire allo sviluppo delle politiche dell’OCSE mirate alla promozione della trasparenza

42. Al momento fanno parte del Global Forum 123 giurisdizioni, l’Unione

Europea e 14 osservatori. Esso include una notevole varietà di realtà socio-

39 Per una panoramica dei recenti trends in materia di scambio di informazioni tributa-rie, si vedano anche BRAUNER, BEPS: An Interim Evaluation, in 6 World Tax Journal, n. 1, 2014, p. 39; LENNARD, Update on the United Nations Tax Commettee Developments, in 20 Asia-Pacific Tax Bulletin, n. 1, 2014, p. 17; LAUERMANN, Thoughts on the Taxation of Global Banking, in 68 Bulletin for International Taxation, n. 2, 2014, p. 67; PISTONE, The Long March of International Taxation towards a Global Tax Legal Order, in 5 World Tax Journal, n. 3, 2013, p. 303.

40 Per una panoramica dettagliata sul suo funzionamento e sulle sue finalità, si vedano anche le sezioni “Wo we are” e “What we do”, rispettivamente a pagina 15 e 23 del Report pubblicato dallo stesso Global Forum “Tax Transparency – 2014 Report on Progress”, dispo-nibile sul sito ufficiale dell’OCSE www.oecd.org.

41 Rapporto OCSE, “Harmful Tax Competition: An Emerging Global Issue”, 1998, repe-ribile sul sito ufficiale dell’OCSE www.oecd.org.

42 Si vedano anche VAN WEEGHEL-EMMERINK, Global Developments and Trends in Inter-national Tax Avoidance, in 67 Bulletin for International Taxation, n. 8, 2013, p. 428; FALCÃO, Exchanging Information with the Developing World: A Digression on the Global Forum Exchan-ge of Information’s Interaction with Developing Economies, in 39 Intertax, n. 12, 2011, p. 603; AFANDI, The Role and the Work of the Global Forum on Transparency and Exchange of In-formation, in GÜNTER-TÜCHLER (eds.), op. cit., pp. 35-51.

Edoardo Traversa-Francesco Cannas 139

giuridico-politiche, tra cui, ad esempio, tutti i paesi del G20, centri finanziari di primaria importanza, paesi in via di sviluppo e paesi che non sono mem-bri dell’OCSE. Una delle sue principali attività consiste nello svolgere un processo di “peer review” per ogni giurisdizione, finalizzato a verificare se es-se rispettano gli standard di trasparenza proposti in sede OCSE. Questo pro-cesso consiste in un insieme di verifiche formali e di colloqui informali con i rappresentanti della giurisdizione “esaminata”, ed inizia con la somministra-zione di una serie di questionari, le cui risposte sono analizzate a vari livelli, così da garantire un alto livello di indipendenza, imparzialità e terzietà.

4.3. L’OCSE ed il G8/G20: le recenti iniziative riguardanti lo scambio automa-tico di informazioni tributarie

Nel corso del 2012 l’OCSE ha pubblicato, su impulso del G20, un report intitolato “Automatic Exchange of Information: What is, How it works, Bene-fits, What Remains to Be Done”

43 (Lo Scambio di Informazioni Automatico: cosa è; come funziona; i benefici; cosa rimane da fare), che presenta una serie di linee guida per l’implementazione di un sistema automatico di scambio di informazioni tributarie. In particolare, l’OCSE indica: (1) uno standard per l’information reporting; (2) le basi legali per lo scambio stesso; (3) alcune so-luzioni “tecniche”.

In questo report, lo scambio automatico di informazioni è definito come «la periodica e sistematica trasmissione di una certa “mole” di informazioni sul contribuente da parte del paese della fonte, indirizzate al paese di resi-denza e concernenti varie categorie di reddito (ad esempio, dividendi, inte-ressi, royalties, redditi da lavoro, pensioni, ecc.). L’informazione scambiata “automaticamente” è solitamente reperita nel paese della fonte nel corso “del-l’ordinaria attività amministrativa”, ad esempio, tramite istituzioni finanzia-rie, datori di lavoro, ecc.»

44. Esso è già largamente utilizzato, ed in particola-re nell’Unione Europea è alla base di numerosi flussi di informazioni.

43 Il Report è disponibile sul sito ufficiale dell’OCSE www.oecd.org. 44 La traduzione è effettuata dagli autori. Il periodo in questione è a p. 7 del Report:

«(...) the systematic and periodic transmission of “bulk” taxpayer information by the source country to the residence country concerning various categories of income (e.g. dividends, interest, royalties, salaries, pensions, etc.). The information which is exchanged automatically is normally collected in the source country on a routine basis, generally through reporting of the payments by the payer (financial institution, employer, etc.)».

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Il 13 febbraio 2014 l’OCSE ha pubblicato lo Standard for Automatic Ex-change of Financial Account Information: Common Reporting Standard (di se-guito, Common Standard)

45. Esso segue le numerose dichiarazioni politiche rilasciate a margine dei vertici del G8/G20 nel biennio 2012/2013, che sot-tolineavano la necessità di elaborare un modello per lo scambio automatico bi – e multilaterale di informazioni tributarie

46, e rappresenta il primo passo verso la sua accettazione come standard internazionale.

Il Common Standard è formato da due parti: la prima è una parte intro-duttiva, mentre la seconda contiene (1) il testo di un Model Competent Au-thority Agreement

47 ed (2) il Common Reporting and Due Diligence Stan-dard

48. La ratio principale di questo strumento è quella di fornire agli Stati contraenti la possibilità di ottenere automaticamente informazioni dagli in-termediari finanziari e condividerle con le amministrazioni finanziarie degli altri Stati contraenti su base annuale. Il suo ambito applicativo è molto am-pio, in primo luogo, perché include tutte le informazioni riguardanti gli asset finanziari ed i relativi ricavi, ed inoltre perché il termine “intermediario fi-nanziario” (financial institution) è da interpretarsi nella sua accezione più ampia, e quindi comprensivo anche delle compagnie di assicurazione, dei brokers, dei fondi d’investimento, ecc.

Sostanzialmente, il Competent Authority Agreement è una bozza di accor-do che serve a “collegare” il Common Reporting and Due Diligence Standard alla base giuridica che permette lo scambio di informazioni nel caso specifi-co, come, ad esempio, un Trattato contro la doppia imposizione che includa una norma modellata sull’art. 26 Modello OCSE. È basato sulla reciprocità, ma è anche facilmente adattabile a meccanismi di scambio che non abbiano questa caratteristica, come il caso di uno Stato che voglia prendere parte a questi accodi ed il cui sistema fiscale non preveda alcuna imposta sui redditi. Esso include principalmente una serie di definizioni riguardanti il tipo di in-formazioni da scambiare, il tipo di collaborazione da realizzare, la confiden-

45 Il Report è disponibile sul sito ufficiale dell’OCSE www.oecd.org. 46 A riguardo si veda l’Annex del Report OCSE, Automatic Exchange of Financial Ac-

count Information: Background Information Brief, disponibile sul sito ufficiale dell’Organiz-zazione www.oecd.org, nel quale si riportano numerose di queste dichiarazioni, che sono state rilasciate al termine, tra gli altri, dei vertici del G20 di San Pietroburgo del 6 Settem-bre 2013, di Los Cabos del 18-19 giugno 2013, del vertice dei Ministri delle Finanze e dei Banchieri Centrali del G20 a Mosca il 19-20 luglio 2013, ecc.

47 Nel documento ufficiale anche indicato con l’acronimo CAA. 48 Nel documento ufficiale anche indicato con l’acronimo CRS.

Edoardo Traversa-Francesco Cannas 141

zialità delle informazioni scambiate, ecc. A sua volta, il Common Reporting and Due Diligence Standard contiene le “modalità” di reporting e due diligence ed alcune linee guida riguardanti le procedure amministrative su cui deve basarsi lo scambio automatico di informazioni. Queste modalità sono diver-se per scambi riguardanti (1) persone fisiche e giuridiche; (2) operazioni ri-guardanti conti e rapporti pre-esistenti ed instaurati successivamente alla tra-sposizione di tali norme negli ordinamenti degli Stati contraenti; (3) opera-zioni il cui ammontare supera una determinata soglia di valore (fissata a USD 250.000, o l’equivalente in “valuta locale”).

L’intento del Common Standard di fissare uno standard unico interna-zionalmente accettato tiene anche conto della necessità di evitare che “pro-liferino molteplici standard differenti”, con un conseguente aggravio di costi sia per i governi che per gli intermediari finanziari

49. Come esplicitamente affermato nell’Introduzione

50, il Common Standard è ampiamente modella-to sulla legislazione FATCA statunitense, e più precisamente sugli accordi c.d. “IGA” (Inter-governmental Agreements). A parere degli autori, è interes-sante notare la dimensione politica di questa circostanza, che vede il FAT-CA nascere come strumento unilaterale degli Stati Uniti per la lotta all’eva-sione fiscale “domestica”, per poi trasformarsi gradualmente in uno stru-mento bilaterale, ed infine diventare il “nuovo standard globale” proposto dall’OCSE.

Molto recentemente, il 28 e 29 ottobre 2014, si è tenuto a Berlino il setti-mo meeting del Global Forum, a cui hanno partecipato più di 300 delegati in rappresentanza di 101 paesi e 14 organizzazioni internazionali e gruppi regio-nali. Questo vertice, rappresenta una pietra miliare del percorso che stiamo descrivendo, perché 89 paesi tra quelli che hanno partecipato si sono impe-gnati a rendere effettivi meccanismi di scambio automatico di informazioni tributarie modellati sugli standard elaborati in sede OCSE a partire dall’anno 2017, ovvero dal 2018 nel caso in cui i passaggi legislativi necessari richiedano un tempo lungo. I paesi interessati si sono anche impegnati a presentare dei dettagliati “piani di implementazione” nel corso dell’anno 2015.

Ovviamente, è appena il caso di ricordare come l’implementazione di tali misure, anche se sottoposta a rigide scadenze, possa nella realtà dei fatti in-contrare numerosi potenziali ostacoli, tra cui, ad esempio, difficoltà di adat-tamento alla realtà giuridica ed economica dei vari paesi.

49 A riguardo, si veda p. 3 del Report. 50 A riguardo, si veda p. 6 del Report.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 142

5. Alcune considerazioni conclusive sullo scambio automatico di informazioni tributarie

Per concludere questa analisi, gli autori intendono proporre alcune con-siderazioni generali sullo strumento dello scambio automatico di informa-zioni. Il vantaggio principale di tale strumento è che facilita notevolmente la condivisione di una grande quantità di informazioni tra paesi a costi che si presumono inferiori rispetto ad altre forme organizzative, perché esse en-trano in possesso dell’amministrazione nel corso della sua “normale attivi-tà”. Tuttavia, bisogna anche ricordare che al momento mancano dati precisi riguardanti il gettito generato da questo tipo di scambio, ed è quindi difficile arrivare a conclusioni definitive ed esaurienti

51. Il fatto che l’informazione tributaria sia scambiata automaticamente ren-

de certamente meno gravoso, per l’amministrazione del paese di residenza del contribuente, effettuare controlli tempestivi, oltre ad aumentare notevol-mente le probabilità di scoprire condotte evasive che sarebbero altrimenti difficilmente scopribili. D’altra parte, gli autori ritengono che vi siano anche alcune questioni che meriterebbero di essere ulteriormente approfondite in materia di scambio automatico di informazioni, e che fino a questo momen-to non hanno trovato risposte pienamente soddisfacenti. La prima riguarda la privacy del contribuente. Le informazioni tributarie, infatti, contengono spesso dati considerati “sensibili” in molte giurisdizioni, ed un loro tratta-mento “improprio” potrebbe danneggiare il contribuente, ovvero la sua at-tività economica. Alcune problematiche potrebbero sorgere per il fatto che, da un lato, le regole e gli standard dello scambio sono fissati a livello inter-nazionale, mentre la tutela della privacy è una questione puramente dome-stica dello Stato che riceve l’informazione

52. Da un puto di vista pratico man-cano sia dei criteri uniformi “transazionali”, che la possibilità di un loro en-forcement anche qualora venissero elaborati. Inoltre, va anche ricordato che la trattazione e trasmissione automatica di un gran numero di informazioni richiede una notevole “capacità amministrativa” da parte degli Stati coinvol-ti, e ciò potrebbe portare ad una situazione di svantaggio e/o di inefficacia dell’attività qualora paesi in via di sviluppo con un limitato potenziale tecno-

51 Si veda anche PARIDA, Automatic Exchange of Information, in GÜNTER-TÜCHLER (eds.), op. cit., pp. 431-433.

52 Si v. anche MCCRACKEN, Going, Going, Gone ... Global: A Canadian Perspective on In-ternational Tax Administrtion Issues in the Exchane of Information Age, in 50 Canadian Tax Journal, n. 6, 2012, pp. 1896-1897.

Edoardo Traversa-Francesco Cannas 143

logico venissero coinvolti, oltre a sollevare dubbi sull’opportunità stessa di richiedere a tali paesi uno sforzo economico in questo senso. Infine, ci si dovrebbe anche interrogare sull’opportunità di stabilire a livello internazio-nale dei limiti alla gestione di tali meccanismi di scambio automatico, o di parti di essi, da parte di soggetti privati (ad esempio, un appaltatore).

La seconda questione riguarda il fatto che l’effettività dello scambio au-tomatico dipenda in larga misura dall’utilizzo di formats appropriati: negli ultimi anni, l’OCSE ha lavorato in maniera significativa alla loro standardiz-zazione

53, ma rimane irrisolto quello che potremmo chiamare “il problema linguistico”. Con questa espressione gli autori non intendono indicare il raggiungimento di un eventuale accordo sull’utilizzo di una lingua comune, ma piuttosto le incongruenze che si possono manifestare a causa, ad esempio, delle diverse tradizioni giuridiche dei vari sistemi fiscali, ecc. Questo pro-blema non è affrontato compiutamente né nei recenti Updates dell’art. 26, né in nessun’altra fonte.

Infine, ci preme sottolineare due questioni riguardanti la “democraticità” dei meccanismi automatici di scambio di informazioni tributarie, in parte già sollevate anche da altri studiosi

54. La prima riguarda il fatto che a livello nazionale le autorità amministrative sono sottoposte ad un certo tipo di con-trollo, consistente, ad esempio, nella richiesta di statistiche, di dati contabili, ecc., che a livello internazionale è molto meno stringente, se non addirittura

53 Si v. anche PARIDA, Automatic Exchange of Information, in GÜNTER-TÜCHLER (eds.), op. cit., p. 436. L’autore ripercorre le principali tappe di questo processo: «In the year 1981, the OECD introduced a paper-based form prescribing for standardization of information. Sub-sequently in 1992, the OECD proposed the Standard Magnetic Format (SMF) for transmission of tax information on magnetic tapes. This format was revised in 1997 to improve the matching of information received automatically from the source state with the income reported by the tax-payer in the residence countries. The revised format uses the international standards (ISO codes) established by the International Organization for Standardization for codification of names, currencies, dates, file structure and labeling of the media. The OECD has subsequently designed a new generation of transmission format, the Standard Transmission Format (STF) for automatic exchange, which is designed as the successor of the SMF. This format, which is based on the XML (Extensible Markup Language), is a modern and advanced version of the SMF designed to support automatic exchange and to remain close to the SMF format so that the two formats can coexist for some period of time. The OECD has also developed a Bridging Pro-gram for the conversion of the information in the two formats. This will facilitate the bilateral au-tomatic exchange of information between treaty partners irrespective of the type of format they use».

54 Si v. STEWART, Transnational Tax Information Exchange Networks: Steps Towards a Globalized, Legitimate Tax Administration, in 4 World Tax Journal, n. 2, 2012, p. 152.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 144

del tutto assente. C’è un’evidente distanza tra il controllo esercitato a livello nazionale, dove comunque l’amministrazione è vista come il terminale di un processo democratico, ed il controllo esercitato su questi networks transna-zionali sui quali lo scambio di informazioni tributarie si basa. Nella pratica quotidiana alcuni problemi potrebbero sorgere, ad esempio, nel contesto di uno scambio di informazioni con un paese non democratico. La seconda que-stione riguarda invece la partecipazione del contribuente al procedimento amministrativo che porta allo scambio delle informazioni tributarie. Il fatto è che né l’art. 26, né alcuna altra fonte, indica chiaramente i criteri da seguire per quanto riguarda il contraddittorio e la partecipazione del contribuente al procedimento di trasmissione delle informazioni all’estero. Ciò potrebbe creare potenziali frizioni con la legislazione nazionale di alcuni paesi, ad e-sempio, nel caso in cui sia prevista una qualche notificazione al contribuente le cui informazioni sono oggetto di scambio.

Dall’analisi svolta risulta evidente come lo scambio di informazioni tribu-tarie sia uno degli hot topic del momento all’interno della tax community. Anche se la direzione che sta prendendo la materia sembra essere abbastan-za univoca, è altrettanto evidente che si tratta di un percorso non privo di insidie, e con passaggi intermedi che presentano un esito incerto e rendono necessario trovare un giusto equilibrio tra i diritti del contribuente e l’effica-cia di contrasto ai fenomeni elusivi ed evasivi.

Damiano Zardini

LA PARTECIPAZIONE DEL CONTRIBUENTE ALL’ATTIVITÀ DI ACCERTAMENTO, D’IRROGAZIONE

DELLE SANZIONI E D’ISCRIZIONE A RUOLO

TAXPAYER’S PARTICIPATION IN THE TAX ASSESSMENT, IN THE IMPOSITION OF PENALTIES AND IN THE INSCRIPTION

IN THE OFFICIAL TAXPAYERS’ROLL

Abstract L’articolo tratta il tema della partecipazione del contribuente all’attività dell’Am-ministrazione Finanziaria. Dapprima cerca di delineare i caratteri generali della partecipazione in chiave difensiva; poi li confronta con le singole fattispecie in cui essa è stata espressamente prevista. Infine, si chiede se il diritto per il contri-buente di partecipare, in chiave difensiva, all’attività dell’Amministrazione operi in maniera generalizzata o solo nei casi in cui essa è espressamente prevista e con-clude per l’opportunità di un intervento chiarificatore del legislatore. Parole chiave: contribuente, partecipazione, singole fattispecie, principio gene-rale, contraddittorio The article analyses the taxpayer’s participation in the assessment activity carried out by the tax authorities. Firstly, it tries to outline the general characters of such partici-pation in the light of the right of defense; then, it analyses their effective enforcement in the various situations in which it is provided. Finally, it tries to resolve the issue whether the taxpayer’s right to defend himself through his participation right during tax as-sessment proceedings finds general application in all cases or only where it is expressly provided for. The author considers necessary a clarification from the lawmaker. Keywords: taxpayer, participation, various cases; general principle, principle of audi alteram partem

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 146

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Inquadramento generale della partecipazione. – 3. La partecipazione co-me esercizio di attività difensiva. – 4. Le singole ipotesi di partecipazione (nella fase anteceden-te all’emissione dell’accertamento o dell’atto d’irrogazione delle sanzioni o dell’atto d’iscrizio-ne a ruolo). – 5. I limiti dell’obbligo, per l’Amministrazione, di confrontarsi con il contribuente prima di emettere un atto per questo pregiudizievole.

1. Introduzione

Questo contributo intende occuparsi della partecipazione del contribuen-te, in una prospettiva difensiva, all’attività di accertamento, cioè dei principi e degli istituti che dovrebbero consentire al contribuente di interloquire con l’Amministrazione Finanziaria, al fine di introdurre elementi che permetta-no di ricostruire correttamente la sua situazione contributiva. E ciò ante-riormente all’emissione dell’atto-impositivo, sanzionatorio o d’iscrizione a ruolo-da cui derivino effetti pregiudizievoli nei suoi confronti.

Il tema, come noto, è già stato affrontato più volte in dottrina 1.

1 Fra le monografie di diritto amministrativo: MIELE, La manifestazione di volontà del privato nel diritto amministrativo, Roma, 1931; BARONE, L’intervento del privato nel procedi-mento amministrativo, Milano, 1969; BERGONZINI, L’attività del privato nel procedimento amministrativo, Padova, 1975; più di recente e in relazione all’ambito comunitario, BARUFFI, La tutela dei singoli nei procedimenti amministrativi comunitari, Milano, 2001. Fra le mono-grafie di diritto tributario: SALVINI, La partecipazione del privato all’accertamento (nelle im-poste sui redditi e nell’Iva), Padova, 1990; TOSI, Le predeterminazioni normative nell’imposi-zione reddituale. Contributo alla trattazione sistematica dell’imposizione su basi forfettarie, Milano, 1999; RAGUCCI, Il contraddittorio nei procedimenti tributari, Torino, 2009; MAR-CHESELLI, Il “giusto procedimento tributario”. Principi e discipline, Padova, 2012; ID., Accer-tamenti tributari e difesa del contribuente. Poteri e limiti nelle procedure fiscali, Milano, 2012; TUNDO, Procedimento tributario e difesa del contribuente, Padova, 2013. Fra i manuali di di-ritto tributario, occorre segnalare la completa ricostruzione dell’evoluzione della parteci-pazione del privato alla fase di accertamento fatta da FANTOZZI, L’accertamento, in FAN-TOZZI (a cura di), Diritto tributario, Roma, 2012, pp. 533-553. Fra gli altri principali con-tributi della dottrina tributaria e senza presunzione di completezza: MOSCHETTI, Avviso di accertamento tributario e garanzie del cittadino, in Dir. prat. trib., 1983, I, pp. 1911-1940; SALVINI, La “nuova” partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo statuto del contribuente ed oltre), in Riv. dir. trib., 2000, 1, p. 13; MOSCATELLI, Il contraddittorio nella fase di liquidazione e controllo formale del tributo alla luce dell’art. 6, comma 5, dello Statuto dei diritti del contribuente, in FANTOZZI-FEDELE (a cura di), Statuto dei diritti del contribuen-te, Milano, 2005, pp. 258-279; GALLO, Contraddittorio procedimentale e attività istruttoria, in GLENDI-UCKMAR (a cura di), La concentrazione della riscossione nell’accertamento, Padova, 2011, pp. 201-215.

Damiano Zardini 147

Negli ultimi anni, però, nell’ordinamento tributario sono intervenute importanti novità legislative (il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, sulla determina-zione sintetica del reddito; la L. 11 marzo 2014, n. 23, cioè la legge delega per la riforma fiscale) e giurisprudenziali (la sentenza della Corte di Giusti-zia del 18 dicembre 2008 nella nota causa C-349/2007 Sopropè; le sentenze delle Sezioni Unite 18 dicembre 2009, n. 26635 sugli accertamenti standar-dizzati, 29 luglio 2013, n. 18184 sull’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, 18 settembre 2014, n. 19667 sulla comunicazione preventiva d’iscrizione ipo-tecaria e 9 dicembre 2015, n. 24823 sugli accertamenti “a tavolino”).

Anche alla luce di tali novità, appare dunque opportuno fare il punto del-la situazione e verificare se sia possibile giungere a qualche forma di sistema-tizzazione.

2. Inquadramento generale della partecipazione

La partecipazione del privato all’attività dell’Amministrazione Finanzia-ria è una species del genus partecipazione del privato all’attività della pubblica Amministrazione.

La partecipazione del privato nell’ambito del diritto tributario si distingue però dalla partecipazione nell’ambito del diritto amministrativo per almeno due elementi.

In primo luogo, mentre il procedimento amministrativo è talvolta carat-terizzato dall’agire discrezionale dell’Amministrazione, il procedimento tri-butario

2 è caratterizzato dai principi di tendenziale vincolatezza dell’azione dell’Amministrazione Finanziaria e di indisponibilità della potestà impositi-

2 Si è consapevoli delle criticità legate al ricorso alla figura del procedimento nell’ambi-to del diritto tributario. Tuttavia sembra condivisibile l’opinione di chi (FANTOZZI, L’accer-tamento, cit., p. 538) ritiene utile ricorrere alla figura del procedimento (pur inteso in sen-so atecnico, o comunque in un senso peculiare alla materia fiscale) per la ricostruzione e la qualificazione giuridica delle attività di attuazione del tributo. Per il significato e l’estensio-ne che si è sopra voluto attribuire al termine “procedimento”, pare utile richiamare il con-tributo di chi (VANZ, I poteri conoscitivi e di controllo dell’Amministrazione finanziaria, Padova, 2012, p. 66) ha ritenuto invocabile la figura del procedimento anche rispetto alla sola atti-vità di accertamento in senso stretto, cioè alla sola attività autoritativa dell’Amministrazio-ne di determinazione degli imponibili e delle imposte. Si evidenzia poi che, anche in giuri-sprudenza (fra tutte, si veda la sent., sez. un. n. 18184/2013) si fa spesso riferimento all’at-tività accertativa parlando di “procedimento” e all’accertamento come “atto conclusivo del procedimento” senza problematizzare tali categorie.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 148

va 3, sebbene sia pacifico che nella fase di selezione dei soggetti da sottopor-

re a controllo e di determinazione dei poteri da impiegare vi sia uno “spazio di manovra” per l’Amministrazione Finanziaria.

Di conseguenza: nell’ambito del diritto amministrativo, la partecipazione è funzionale anche all’introduzione nel procedimento dei diversi interessi che dovranno essere ponderati dalla Pubblica Amministrazione nel suo agi-re discrezionale; nell’ambito del diritto tributario, invece, sia l’Amministra-zione Finanziaria che il contribuente perseguono astrattamente il medesimo interesse (quello all’obbiettiva determinazione del tributo) e la partecipa-zione del privato non trova spazio nel procedimento se non è rivolta alla obbiettiva individuazione ed, eventualmente, quantificazione del debito nei confronti dell’Erario

4. In secondo luogo, la partecipazione del privato nell’ambito del diritto

amministrativo si distingue da quella nel diritto tributario per il fatto che so-lo la prima è stata disciplinata in maniera organica e generale dal legislatore.

Il Capo III della L. n. 241/1990, non applicabile – per espressa previsio-ne dell’art. 13 della medesima legge – ai procedimenti tributari

5, disciplina

3 Sui principi di vincolatezza dell’azione dell’Amministrazione Finanziaria e di indisponi-bilità della potestà impositiva, si rinvia, fra i moltissimi, a PERRONE, Discrezionalità e norma interna nell’imposizione tributaria, Milano, 1969; ID., (voce) Discrezionalità amministrativa (dir. trib.), in CASSESE, Dizionario di diritto pubblico, III, Milano, 2006, p. 1993; PAPARELLA, Le situazioni giuridiche soggettive e le loro vicende, in FANTOZZI (a cura di), Diritto tributario, cit., pp. 481-487.

4 Nel testo si è detto “astrattamente” in quanto all’atto pratico il privato ha interesse ad introdurre punti di vista diversi da quelli dell’Amministrazione sia su elementi di fatto e sia su elementi di diritto, nonché circostanze di fatto ignote all’Amministrazione, al fine di minimizzare il proprio carico fiscale.

5 Secondo la dottrina prevalente (VIOTTO, I poteri di indagine dell’amministrazione fi-nanziaria nel quadro dei diritti inviolabili di libertà sanciti dalla Costituzione, Milano, 2002, p. 318; LA ROSA, Accesso agli atti dispositivi di verifiche fiscali e tutela del diritto alla riserva-tezza, in Riv. dir. trib., 1996, II, pp. 1128-1129) la ratio dell’art. 13, L. n. 241/1990 non è quel-la di escludere che nel diritto tributario possa trovare spazio una qualsivoglia forma di par-tecipazione del privato all’attività dell’Amministrazione, ma è quella di escludere soltanto che nel diritto tributario possa trovare applicazione la partecipazione del privato nelle forme e con le modalità delineate dal Capo III, L. n. 241/1990. Con ciò il legislatore avrebbe in-teso riconoscere la specificità dell’ordinamento tributario e delle sue esigenze. In giuri-sprudenza, si segnala la sentenza della Cass., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19667, secon-do cui l’art. 13, L. n. 241/1990 non comporterebbe l’esclusione tout court dell’applicazione nei procedimenti tributari degli istituti previsti dalla L. n. 241/1990, ma si limiterebbe a rinviare «per la concreta regolamentazione dei medesimi alle norme speciali che disciplina-no il procedimento tributario».

Damiano Zardini 149

infatti nel dettaglio ogni fase della partecipazione del privato: comunicazio-ne di avvio del procedimento; intervento; diritti del partecipante (diritto di prendere visione degli atti del procedimento e diritto di presentare memo-rie scritte e documenti); nei procedimenti ad istanza di parte, comunicazio-ne dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza; infine, possibilità di sti-pulare accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discre-zionale del Provvedimento finale o in sostituzione di esso.

La partecipazione del privato nell’ambito del diritto tributario, invece, è oggetto di una disciplina disorganica, perché il legislatore si è sostanzial-mente limitato:

– in alcuni casi, a delineare – peraltro in maniera sommaria – le modalità con cui l’Amministrazione può interloquire con il privato (ad esempio in-viando i questionari di cui all’art. 32, comma 1, n. 4, D.P.R. n. 600/1973);

– in altri, a individuare – sempre a grandi linee – le modalità con cui il pri-vato può partecipare all’attività dell’Amministrazione (per esempio, comuni-cando osservazioni e richieste, ai sensi dell’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000).

Nell’ambito della partecipazione del privato all’attività dell’Amministra-zione Finanziaria, occorre poi distinguere fra la partecipazione del terzo e la partecipazione del contribuente destinatario dell’attività di controllo.

La prima 6 è sempre funzionale alla cooperazione all’attività di controllo e

non assume connotati difensivi. Nella maggior parte dei casi è indotta dal-l’Amministrazione, la quale può inviare al terzo questionari relativi a dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei confronti di contribuenti con cui questi abbia intrattenuto rapporti, può chiedere dati, notizie e documen-ti a banche e imprese assicuratrici, può chiedere copia o estratti degli atti e dei documenti depositati presso i notai, può domandare, ai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, dati, notizie e documenti relativi ai rappor-ti con i loro clienti, fornitori e prestatori di lavoro autonomo e, infine, può invitare «ogni altro soggetto» (e, quindi, non solo chi è obbligato alla tenu-ta delle scritture contabili) a esibire o trasmettere atti o documenti fiscal-mente rilevanti concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuen-te e a fornire i chiarimenti relativi. Quando viene indotta dall’Amministra-

6 La partecipazione del terzo all’attività di controllo è stata approfondita, in particolare, da SALVINI, La partecipazione del privato all’accertamento, cit., pp. 247-315. L’Autrice si è occupata sia della partecipazione spontanea, sia di quella obbligatoria nelle varie forme previ-ste dall’ordinamento e si è soffermata sulla rilevanza delle informazioni provenienti dal terzo ai fini dell’accertamento.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 150

zione, la partecipazione è obbligatoria per il privato-terzo, il quale, se non adempie, può vedersi irrogata una sanzione amministrativa

7. Infine, può es-sere spontanea e, in tal caso, può anche manifestarsi in forma anonima

8. La seconda, cioè la partecipazione del contribuente destinatario dell’atti-

vità di controllo, non è, a differenza della partecipazione del terzo, necessa-riamente funzionale all’attività di controllo, ma può anche essere posta in essere per finalità preminentemente difensive. Inoltre, è obbligatoria quan-do è funzionale all’attività di controllo, mentre è facoltativa (cioè, anche nei casi in cui l’Amministrazione è obbligata ad attivarla, il contribuente può scegliere se interloquire o meno) quando assume carattere difensivo. Infine, può essere spontanea e tale forma si manifesta – come è ovvio – più frequen-temente quando la partecipazione ha finalità difensive e non di cooperazio-ne al controllo.

Ciò posto, nel prosieguo ci si soffermerà sulla partecipazione con finalità difensive.

3. La partecipazione come esercizio di attività difensiva

In prima battuta, si può ritenere che la partecipazione del contribuente con finalità difensive ricomprenda tutti gli istituti e tutti i momenti della fase di accertamento in cui l’ordinamento riserva al contribuente la facoltà di rappresentare all’Amministrazione Finanziaria elementi di fatto e di diritto a sua difesa, al fine ultimo di giungere ad una più obbiettiva determinazione dell’an e del quantum di un eventuale debito d’imposta.

Istituti e momenti che sono pensati e costruiti per dare centralità al con-tribuente e non alle esigenze di controllo dell’Amministrazione

9 e che do-

7 Da euro 158,00 a 250,00 ai sensi dell’art. 11, D.Lgs. n. 471/1997, come modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.

8 La migliore dottrina (SALVINI, La partecipazione del privato all’accertamento, cit., pp. 260-261) sostiene però che le notizie anonime possano costituire cause d’innesco di con-trolli tributari, ma non elementi di prova su cui fondare l’accertamento.

9 La definizione di contraddittorio con finalità difensive come strumento per rappresen-tare all’Amministrazione Finanziaria elementi di fatto e di diritto utili per giungere a un’o-biettiva determinazione della materia imponibile, è rinvenibile già in SALVINI, La “nuova” par-tecipazione del contribuente, cit., p. 13. Come anticipato, la medesima Autrice (La cooperazio-ne del contribuente e il contraddittorio nell'accertamento, in Corr. trib., 2009, p. 3570) distingue anche fra partecipazione-contraddittorio e partecipazione-cooperazione e individua, solo nella prima, una posizione centrale per il contribuente e non per l’Amministrazione.

Damiano Zardini 151

vrebbero collocarsi – come detto – nella fase di accertamento e non in quelle precedenti di verifica o comunque istruttorie e di controllo.

Infatti, affinché questo tipo di partecipazione possa assumere sembianze effettivamente difensive, è necessario, da un lato, che l’Amministrazione ab-bia già elaborato un progetto di accertamento o almeno raccolto elementi tali per cui ritenga di dover sollevare una contestazione e, dall’altro, che il contribuente possa individuare l’oggetto delle sue difese e in quali direzioni esse debbano svilupparsi.

Diversamente, anche questa forma di partecipazione si ridurrebbe ad es-sere più una collaborazione all’accertamento che non un’opportunità di di-fesa

10. Circa i principi di cui la partecipazione – come sopra intesa – sia espres-

sione, si può ormai 11 ritenere che essi siano rinvenibili nelle norme costitu-

zionali e in quelle sovra-nazionali. Quanto ai principi costituzionali, vengono sicuramente in rilievo i prin-

cipi di imparzialità e buon andamento della pubblica Amministrazione ed il principio di capacità contributiva:

– il principio di imparzialità, perché solo se l’Amministrazione prende in esame gli elementi di cui soltanto il contribuente è a conoscenza (o, almeno,

10 In questi termini: MICELI, L’attività istruttoria tributaria, in A. FANTOZZI (a cura di), Diritto tributario, cit., p. 636. Secondo VANZ, I poteri conoscitivi, cit., p. 66 ss., il contraddit-torio preventivo trova la sua naturale collocazione nella fase di accertamento e non in quel-la precedente del controllo e ciò anche al fine di evitare che gli enti impositori si adagino acriticamente sugli elementi raccolti dai verificatori. Sembra andare in questa direzione an-che la Corte di Giustizia UE, la quale, nella sent. 22 ottobre 2013 (causa C-276/12 Jiri Sa-bou), ha affermato che, nell’ambito dei procedimenti di controllo fiscale, occorre distinguere tra una “fase di indagine” (nella quale l’Amministrazione raccoglie il materiale istruttorio e non è tenuta a informare il contribuente e a raccoglierne il punto di vista) e una “fase con-traddittoria”, la quale inizia con l’invio al contribuente di una proposta di rettifica.

11 Occorre però segnalare che la giurisprudenza costituzionale, seppur nel contesto di pronunce relative a materie extrafiscali, si è più volte dichiarata contraria a rinvenire nel-l’art. 97 o in altre norme della Costituzione il fondamento del principio del giusto proce-dimento (fra le molte, si vedano le sentenze: 2 marzo 1962, n. 13; 20 marzo 1978, n. 23; 25 ottobre 1985, n. 234), sostenendo che esso integri al più un principio generale dell’ordina-mento. Più di recente, la Corte costituzionale (ord. 16 luglio 2009, n. 244), senza peraltro arrivare a pronunciarsi in termini generali sull’esistenza o meno di un fondamento costitu-zionale per il principio del giusto procedimento e per il diritto/obbligo del contraddittorio preventivo, ha escluso che il suddetto principio possa trovare fondamento nei principi contenuti negli artt. 24 e 111 Cost., dal momento che il campo di applicazione di questi ultimi sarebbe quello processuale cui resterebbe estraneo il “procedimento di accertamen-to tributario”.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 152

solo se concede al contribuente lo spazio per rappresentare tali elementi) il suo agire può essere ritenuto effettivamente imparziale

12; – buon andamento, perché il corretto e prudente utilizzo delle risorse pub-

bliche postula un confronto con il destinatario dell’attività dell’Amministra-zione onde evitare che, una volta emesso l’atto, il contribuente rappresenti elementi di fatto o di diritto che conducano l’Amministrazione stessa o un organo giurisdizionale ad annullarlo e a far venire meno, in tutto o in parte, la pretesa;

– il principio di capacità contributiva, perché il confronto pre-accertativo fra Amministrazione e contribuente incrementa la possibilità che venga in-dividuato correttamente il presupposto da sottoporre ad imposizione.

Quanto ai principi sovranazionali, si può ritenere che la partecipazione in chiave difensiva del contribuente rappresenti: da un lato, una diretta espres-sione del diritto ad una buona Amministrazione di cui all’art. 41, comma 2, lett. a), della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, secondo cui tale diritto comprende quello «di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un Provvedimento individuale che le rechi pregiudizio»

13; dall’altro, un diritto fondamentale di ogni soggetto tu-

12 In senso contrario a rinvenire nell’art. 97 Cost. e nel principio di imparzialità il fon-damento del principio del contraddittorio anticipato, si v. però TESAURO, In tema di invali-dità dei provvedimenti impositivi e di avviso di accertamento notificato ante tempus, in Rass. trib., n. 5, 2013, p. 1137. Secondo l’Autore, il principio d’imparzialità riguarda la Pubblica Amministrazione quando agisce come soggetto terzo, in attività discrezionali, nei confronti di più cittadini. Nel procedimento d’imposizione tributaria, però, l’Amministrazione non è un terzo, dal momento che essa è parte del rapporto ed, anzi, è l’autorità procedente. Inol-tre, tale procedimento non è caratterizzato da discrezionalità, ma è espressione di una fun-zione vincolata e, in quanto tale, sarebbe retto dal principio di legalità e non da quello di imparzialità.

13 In questo senso si è espresso anche l’Avvocato Generale nelle conclusioni depositate il 25 febbraio 2014, nelle controversie C-129/13 e C-130/13 avanti alla Corte di Giustizia UE. Quanto alla natura dei vincoli nascenti dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unio-ne Europea, l’art. 6 TUE, così come modificato dal Trattato di Lisbona, ha previsto che essa abbia il medesimo valore giuridico vincolante dei trattati istitutivi dell’Unione. Inoltre, quanto previsto dalla Carta deve essere ritenuto vincolante per l’Amministrazione italiana anche in virtù di quanto stabilito dall’art. 1, L. n. 241/1990, il quale è comunemente ritenuto applicabile anche nell’ambito del diritto tributario in quanto principio generale dell’attività amministrativa (sull’applicabilità dell’art. 1, L. n. 241/1990 anche in materia tributaria, si vedano, fra gli altri: DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea; RAGUCCI, Il contraddittorio come principio generale del diritto comunitario, cit., p. 592; TE-SAURO, Istituzioni di diritto tributario (parte generale), Torino, 2011, il quale, più in genera-le, sostiene che «il diritto comunitario e, in virtù di quanto disposto dal citato art. 1 della

Damiano Zardini 153

telato dagli ordinamenti costituzionali degli Stati membri e, in quanto tale, un principio generale del diritto comunitario

14. Appare invece più problematico sostenere che la partecipazione in chia-

ve difensiva trovi fondamento nell’art. 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (CEDU) e ciò, sia perché tale norma fa espressamente riferimento ai diritti di chi è coinvolto in un procedimento giudiziale e non amministrativo, sia perché è controverso se la materia tributaria rientri o meno nel campo di applicazio-ne della predetta norma

15.

L. 241/1990, il diritto interno abbiano reso obbligatorio il contraddittorio anticipato»; VANZ, I poteri conoscitivi, cit., p. 65).

14 In questi termini si è espressa la Corte di Giustizia delle Comunità Europee nella fa-mosa sentenza Sopropè del 18 dicembre 2008, causa C-349/07. Tale sentenza non costi-tuisce un arresto isolato, ma si inserisce in un filone consolidato della giurisprudenza co-munitaria, secondo cui il diritto di difesa in sede amministrativa – da esercitarsi prima che venga emesso il Provvedimento – rappresenta un diritto fondamentale tutelato dall’ordi-namento comunitario (per una ricostruzione articolata di tale giurisprudenza si v. RAGUCCI, Il contraddittorio come principio generale del diritto comunitario, cit., pp. 584-589). In epoca più recente si segnala la sentenza Sabou del 22 ottobre 2013, causa C-276/12. Inoltre, ap-pare opportuno sottolineare che i principi ricavabili dall’ordinamento comunitario oggetto di applicazione nella sentenza Sopropè vincolano l’ordinamento interno non solo rispetto ai tributi comunitari, ma anche rispetto alle imposte sui redditi, all’Irap, all’imposta di regi-stro, ecc., perché, diversamente, si verrebbe a creare un ingiustificabile differenza di trat-tamento (in questo senso: RAGUCCI, ult. op. cit., pp. 595-598; MARCHESELLI, Il diritto al contraddittorio nel procedimento amministrativo tributario è diritto fondamentale del diritto comunitario, in Giur. trib., n. 3, 2009, p. 214; VANZ, I poteri conoscitivi, cit., p. 65). Anche secondo le Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 18184/2013) i principi espressi dalla sentenza Sopropè hanno «evidenti riflessi di ordine generale» e non possono quindi rima-nere confinati nell’ambito dei tributi di derivazione comunitaria. In senso contrario, si ve-da, però, la recente sent., sez. un. n. 24823/2015.

15 Nonostante la lettera dell’art. 6 della CEDU faccia riferimento soltanto all’ambito giudiziario, secondo la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sent. 28 giugno 1994, caso 19178/91) e secondo la migliore dottrina amministrativistica (ad esem-pio: CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2012, p. 462) le garanzie previste dal citato art. 6 possono essere estese anche ad alcuni procedimenti amministrativi (ad e-sempio, alcuni procedimenti relativi all’irrogazione delle sanzioni). La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo tende però ad escludere la materia tributaria dall’ambito di applicazione dell’art. 6 della Convenzione, salva qualche apertura rispetto alle sanzioni tributarie (si ve-da, per esempio e comunque solo con riferimento all’ambito giudiziario e non anche proce-dimentale, la sent. 23 novembre 2006, ricorso n. 73053/01 – caso Jussila, con note di MAR-CHESELLI, L’inapplicabilità dei principi del giusto processo al contenzioso tributario può essere derogata se si controverte sulle sanzioni, in Giur. trib., n. 5, 2007, p. 389 ss. e di GREGGI, Giu-sto processo e diritto tributario europeo: la prova testimoniale nell’applicazione della Cedu, in

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 154

A proposito delle modalità di attivazione, la partecipazione come eserci-zio di attività difensiva, come anche (pur trattandosi di un caso di scuola

16) quella con finalità di cooperazione al controllo e quella del terzo, può essere spontanea

17 oppure può essere indotta dall’Amministrazione 18.

In ogni caso, sia quando è spontanea sia quando è provocata, la partecipa-zione in chiave difensiva rimane una facoltà per il contribuente

19, dal momen-to che questo è libero di attivarsi o di rispondere alle sollecitazioni dell’Ammi-nistrazione, ma non subisce alcun pregiudizio se preferisce astenersi

20. Viceversa, per l’Amministrazione, se prevista dalla legge, l’attivazione delle

forme di partecipazione del contribuente rappresenta un obbligo, il quale si articola secondo i tre seguenti profili: innanzitutto, obbligo di sollecitare la partecipazione del contribuente oppure, nei casi in cui il legislatore si sia li- Rass. trib., n. 1, 2007, pp. 216-258, secondo cui l’art. 6 della Convenzione e il sindacato del-la Corte per i Diritti dell’Uomo opererebbero, in materia tributaria, «sicuramente in fase processuale e verosimilmente anche in quella procedimentale». Sui rapporti fra la Conven-zione e il diritto tributario, si veda anche: MARCHESELLI, Accessi, verifiche fiscali e giusto pro-cesso: una importante sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Giur. trib., n. 9, 2008, p. 746 ss.) e rispetto alle garanzie (anche in questo caso, però, di tipo giurisdizionale) di cui il contribuente dovrebbe godere nel caso in cui, nel corso di una verifica fiscale, sia og-getto di un accesso domiciliare (si veda, per esempio, la sent. 21 febbraio 2008, causa C-18497/03 Ravon e altri c. Francia con nota di MULEO, L’applicazione dell’art. 6 Cedu anche all’istruttoria tributaria a seguito della sentenza del 21 febbraio 2008 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Ravon e altri c. Francia e le ricadute sullo schema processuale vigente, in Riv. dir. trib., 2008, IV, pp. 182-218). Invece MICELI, L’attività istruttoria tributaria, cit., pp. 646-647, sembra ritenere che i principi generali del giusto processo sanciti dall’art. 6 della Convenzione siano applicabili anche all’istruttoria tributaria e che quindi la partecipa-zione in chiave difensiva trovi fondamento anche nell’art. 6 della Convenzione.

16 Esempio di partecipazione spontanea con finalità di cooperazione al controllo po-trebbe forse essere la voluntary disclosure di cui alla L. 15 dicembre 2014, n. 186.

17 Ad esempio quella di cui all’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000. Nell’ambito del pro-cedimento amministrativo, la partecipazione spontanea è stata espressamente prevista dall’art. 9, L. n. 241/1990. L’applicabilità di tale norma nel diritto tributario è esclusa – con le cautele esposte sopra nella nota n. 5 – dall’art. 13 della medesima legge.

18 Ad esempio quella di cui all’art. 10 bis, L. n. 212/2000 o di cui all’art. 16, comma 6, D.Lgs. n. 472/1997.

19 SALVINI, La cooperazione del contribuente, cit., p. 3570 ss., precisa che tale facoltà pos-sa, in alcuni casi, rappresentare un onere. Secondo TUNDO, Procedimento tributario, cit., pp. 169-173, sussisterebbe un diritto al silenzio del contribuente.

20 Peraltro, in materia di studi di settore, la sentenza della Cassazione, sez. un., n. 26635/2009 ha affermato che l’inerzia del contribuente in sede di contraddittorio pre-ac-certamento, da un lato legittima l’Ufficio a motivare l’atto con il solo riferimento alle risul-tanze degli studi, dall’altro può essere valutata dal giudice ai fini della decisione.

Damiano Zardini 155

mitato a prevedere dei tempi nei quali il contribuente possa esercitare la sua partecipazione spontanea, di non comprimere tali tempi; poi, obbligo di in-formare il contribuente della natura delle contestazioni

21; infine, obbligo di esaminare gli elementi forniti dal contribuente e di dare conto, nella moti-vazione dell’eventuale successivo Provvedimento, delle ragioni per cui i sud-detti elementi non sono stati ritenuti sufficienti ad evitare l’emissione di det-to Provvedimento

22. Venendo alle conseguenze sul Provvedimento finale dalla mancata atti-

vazione del contraddittorio o dalla compressione dei tempi stabiliti per con-sentire la partecipazione, bisogna distinguere i casi in cui esse sono state previste espressamente dal legislatore (il quale punisce con la «nullità» del-l’atto la violazione della disciplina approntata o di alcuni degli obblighi in-combenti sull’Ufficio in virtù di tale disciplina) da quelli in cui tale previsio-ne è assente.

Nei primi, perfino chi è più restio a riconoscere la partecipazione in chia-ve difensiva non può, ovviamente, dubitare del fatto che la conseguenza del-la violazione sia l’invalidità dell’atto.

Anzi, proprio chi è più restio a riconoscere la partecipazione in chiave di-fensiva, utilizza il fatto che alcune violazioni siano state espressamente san-zionate con l’invalidità dell’atto come argomento per sostenere che tutte le altre violazioni non pregiudichino in alcun modo la validità dell’atto.

Nei casi in cui le norme non stabiliscano espressamente le conseguenze che discendono dalle violazioni degli obblighi relativi al contraddittorio an-ticipato, invece si sono sviluppate due posizioni

23.

21 Una conferma del fatto che l’obbligo del contraddittorio preventivo – quando sussi-stente – si articoli anche nel mettere, con precisione, a conoscenza del contribuente gli ele-menti sui quali si svilupperanno la pretesa impositiva e/o l’irrogazione delle sanzioni è rinve-nibile anche nella formulazione letterale delle disposizioni che disciplinano due ipotesi, co-munemente riconosciute, di contraddittorio anticipato con finalità difensive: quella di cui all’art. 37 bis, comma 4, D.P.R. n. 600/1973 e quella di cui all’art. 16, D.Lgs. n. 472/1997. Un’ulteriore conferma viene dalla citata sentenza Sopropè.

22 Se così non fosse, del resto, non ci sarebbe alcun modo per verificare se l’Ammini-strazione abbia effettivamente preso in considerazione gli elementi portati dal contribuen-te a sua difesa e la fase del contraddittorio preventivo verrebbe completamente vanificata finendo anzi per rendere inutilmente più laborioso l’agire dell’Amministrazione. In questo senso, si vedano, ad esempio, la sent. 22 febbraio 2008, n. 4624 e quella del 6 maggio 2014, n. 9712, nonché la più volte citata sentenza Sopropè. In dottrina, fra i molti: SALVINI, La cooperazione del contribuente, cit., p. 3570 e MARCHESELLI, Il diritto al contraddittorio nel pro-cedimento amministrativo tributario, cit., pp. 214-215.

23 A dire il vero, si può forse individuare anche una terza tesi, secondo cui sarebbe ne-

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 156

La prima sostiene che, quando mancano sanzioni espressamente com-minate, le violazioni degli obblighi relativi al contraddittorio anticipato non pregiudicano la validità degli atti.

Gli argomenti generalmente usati per sostenere tale tesi sono: il princi-pio di tassatività delle nullità, in base al quale la sanzione dell’invalidità po-trebbe essere comminata solo in presenza di una espressa previsione norma-tiva. Tale principio, secondo un orientamento giurisprudenziale

24, varrebbe tanto più nell’ambito dello Statuto dei diritti del contribuente, dove sarebbe evidente che il legislatore ha voluto sanzionare solo alcune violazioni con l’invalidità; la natura meramente procedimentale delle violazioni degli ob-blighi relativi al contraddittorio anticipato e il carattere vincolato dell’atto im-positivo e dell’atto d’irrogazione delle sanzioni, i quali non potrebbero avere contenuto differente da quello del verbale di constatazione o comunque da quello desumibile dagli argomenti raccolti nel corso dell’istruttoria e che, in quanto tali, ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, della L. n. 241/1990, non potrebbero venire annullati per un mero vizio del procedimento

25; il fatto che, successivamente all’emissione dell’atto, il contraddittorio fra il contri-buente e l’Amministrazione Finanziaria troverebbe comunque spazio sia in sede amministrativa che contenziosa.

Tali argomenti non sembrano condivisibili. Quanto al primo, il principio delle tassatività delle nullità è infatti un

principio di natura processuale (previsto dagli artt. 156 ss. c.p.c.), funziona-le alla salvaguardia del pieno esercizio del diritto di difesa e ad evitarne ec-cessive e sproporzionate compressioni.

Viceversa, in ambito procedimentale opera il principio delle nullità vir-tuali, in base al quale è possibile far discendere la nullità di un atto anche in cessario effettuare una valutazione, caso per caso, degli interessi tutelati dalle singole nor-me che prevedono le varie forme di contraddittorio. L’invalidità dell’atto sarebbe la conse-guenza delle violazioni nei soli casi in cui la partecipazione del privato possa essere consi-derata essenziale in virtù dell’interesse generale presidiato dalla norma (FANTOZZI, Viola-zioni del contraddittorio e invalidità degli atti tributari, in Riv. dir. trib., 2011, I, p. 157).

24 Ad esempio: le sentenze della Cass., 13 ottobre 2011, n. 21103 e del 5 ottobre 2012, n. 16992.

25 La Corte di Giustizia UE, sent. 3 luglio 2014 (C-129/13 e C-130/13), ha affermato: «Il giudice nazionale … può, nel valutare nel valutare le conseguenze di una violazione dei diritti della difesa, in particolare dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, tenere conto della circostanza che una siffatta violazione determina l’annullamento della decisione adottata al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltan-to se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso».

Damiano Zardini 157

via interpretativa per contrasto con le norme ed i principi dell’ordinamento e ciò al fine di garantire nel modo più ampio possibile i diritti sostanziali del cittadino amministrato/contribuente nei rapporti con l’Amministrazione

26. Quanto al secondo, non sembra invocabile la disciplina dell’art. 21 octies,

comma 2, L. n. 241/1990, perché, almeno per quanto riguarda gli avvisi di accertamento, sebbene il potere amministrativo che viene esercitato con la loro emanazione sia tendenzialmente vincolato

27, non pare che si possa so-stenere che sia palese che, in ogni caso, il loro contenuto non avrebbe potu-to essere diverso da quello in concreto adottato: al di là del fatto che la pro-va dell’identità fra il Provvedimento adottato e quello che avrebbe potuto essere adottato a seguito del contraddittorio sarebbe diabolica, sembra tut-t’altro che improbabile che il contraddittorio possa influenzare il contenuto del Provvedimento finale.

Quanto all’argomento secondo cui il contraddittorio troverebbe comun-que spazio in momenti successivi all’emissione del Provvedimento, esso non pare meritevole di accoglimento, perché le occasioni di contraddittorio (o comunque le forme di tutela) amministrative o giudiziali previste per momenti successivi all’emissione dell’atto non sono in grado di svolgere la stessa funzione e tutelare i medesimi interessi cui è preposto il contradditto-rio anteriore all’emissione del Provvedimento. Infatti, il contribuente subisce un pregiudizio semplicemente a causa dell’emissione dell’atto (si pensi, per esempio, al fatto che a seguito dell’emissione di un accertamento potrebbe diventare più complesso l’accesso al credito, potrebbero venire ridimensio-nate le prospettive d’investimento e/o i progetti di vita, o, nel caso di una società, potrebbe essere necessario effettuare accantonamenti a bilancio)

28.

26 Il principio delle nullità virtuali trova applicazione, ad esempio, nella sentenza della Cass., 12 febbraio 2014, n. 3142. L’inesistenza, tanto nell’ambito del diritto amministrati-vo quanto in quello del diritto tributario, del principio della tassatività delle nullità viene ben illustrata da TESAURO, In tema di invalidità dei provvedimenti impositivi, cit., p. 1137.

27 La recente sentenza della Suprema Corte 11 novembre 2015, n. 23050 ha illustrato in maniera molto chiara le ragioni per cui un avviso di accertamento non possa essere piena-mente ritenuto un atto vincolato. Secondo i giudici di legittimità, infatti, se lo si ritenesse tale si finirebbe per banalizzare la categoria degli atti vincolati, riducendo l’elemento di vin-colatività dell’atto, «quanto all’an, al generale dovere dell’Amministrazione Finanziaria di esercitare le proprie attribuzioni svolgendo i controlli, le verifiche, le ispezioni e gli accessi necessari all’accertamento dei tributi, e quanto al quid, agli effetti giuridici degli avvisi di accertamento e rettifica, quali strumenti idonei a costituire il credito erariale in presenza del presupposto impositivo».

28 Sul fatto che il contribuente subisca un pregiudizio semplicemente a causa dell’emis-

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La seconda tesi – a parere di chi scrive da preferirsi – circa le conseguen-ze che discendono dalle violazioni degli obblighi relativi al contraddittorio anticipato nel caso in cui esse non siano espressamente previste a livello nor-mativo, è quella che sostiene che il contraddittorio anticipato rappresenti un principio fondamentale immanente al nostro ordinamento, espressione di principi costituzionali e sovranazionali. La sua violazione cagiona l’illegitti-mità dell’atto conclusivo del procedimento anche nei casi in cui tale nullità non è stata espressamente sancita. Infatti, una volta che si è riconosciuto che il contraddittorio anticipato deriva direttamente da principi costituzionali e sovranazionali sarebbe arduo sostenere che la sua violazione possa rientrare fra quelle non invalidanti perché di lieve entità o perché non idonea ad inci-dere sul contenuto dell’atto

29.

4. Le singole ipotesi di partecipazione (nella fase antecedente all’emissione del-l’accertamento o dell’atto d’irrogazione delle sanzioni o dell’atto d’iscrizio-ne a ruolo)

Alcune ipotesi di partecipazione esistenti nel nostro ordinamento sono comunemente ritenute ipotesi di partecipazione-difensiva.

Si tratta, in primo luogo, delle forme di partecipazioni sorte nell’ambito degli accertamenti forfettari

30. sione dell’avviso di accertamento, si v. VIOTTO, op. cit., p. 146. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella citata sent. 3 luglio 2014 (C-129/13 e C-130/13), ha affermato che la tutela successiva all’emissione del Provvedimento potrebbe essere in grado di tute-lare i medesimi interessi cui è preposto il contraddittorio preventivo solo nel caso in cui il destinatario del Provvedimento abbia la possibilità, in maniera pressoché automatica, di ottenere la sospensione del Provvedimento in attesa di una decisione sulla sua legittimità.

29 Si tratta della tesi accolta, seppur con specifico riferimento alla violazione dell’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, anche dalle sentenze della Suprema Corte n. 18184/2013 (sez. un.) e n. 3142/2014. Tale tesi è stata poi ribadita in termini generali, cioè oltre le fattispe-cie rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, dalle Se-zioni Unite nella citata sent. n. 19667/2014 e non è stata contraddetta neppure dalla sent. n. 24823/2015, la quale non ha revocato in dubbio che, quando sussiste l’obbligo del con-traddittorio anticipato (cioè, secondo tale sentenza, nei casi espressamente previsti dal le-gislatore e, rispetto ai soli tributi armonizzati, in maniera generalizzata a patto che il con-tribuente provi che, con il contraddittorio, l’atto avrebbe potuto avere un contenuto diver-so), la violazione di tale obbligo comporti l’illegittimità dell’atto.

30 Sulla funzione e il contenuto del contraddittorio anticipato nell’ambito degli accer-tamenti forfettari, i mezzi di prova a disposizione del contribuente, la possibilità di avanza-

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Fra queste, le prime 31 sono quelle previste nelle discipline degli accerta-

menti fondati su coefficienti, parametri e studi di settore (l’art. 10, comma 3 bis, L. 8 maggio 1998, n. 146 ha espressamente previsto che «l’ufficio, prima della notifica dell’avviso di accertamento, invita il contribuente a comparire, ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218»).

In esse, il contraddittorio consente di adeguare il dato di normalità eco-nomica ricavabile da tali forme di accertamento alle specifiche condizioni ambientali, sociali ed economiche in cui opera il contribuente, il quale, sia mediante documenti sia mediante presunzioni, ha la possibilità di giustifica-re lo scostamento rilevato dall’Ufficio o comunque di dimostrare la non ap-plicabilità dello standard di riferimento

32. Già l’Amministrazione Finanziaria aveva riconosciuto l’importanza del

contraddittorio con il contribuente nell’ambito degli accertamenti fondati su coefficienti, parametri e studi di settore

33, ma la sua indefettibilità è stata re istanze istruttorie, nonché gli effetti preclusivi eventualmente derivanti dalla mancata risposta, da parte del contribuente, alle richieste istruttorie dell’Ufficio, si v. TOSI, Le prede-terminazioni normative nell’imposizione reddituale, cit., pp. 510-528.

31 A dire il vero, la prima forma di partecipazione nell’ambito degli accertamenti forfet-tari è stata quella disciplinata dall’art. 2, comma 29, D.L. 19 dicembre 1984, n. 853 (in questo senso, SALVINI, La “nuova” partecipazione del contribuente, cit., p. 13; FANTOZZI, Violazioni del contraddittorio, cit., p. 139; MICELI, L’attività istruttoria tributaria, cit., p. 13).

32 Sull’importanza del contraddittorio nell’ambito degli accertamenti fondati su coeffi-cienti, parametri e studi di settore, si vedano, fra i moltissimi: ROSSI, I metodi di accertamen-to, in FANTOZZI (a cura di), Diritto tributario, cit., pp. 699-708; BEGHIN, Studi di settore, au-tomatismi accertativi e motivazione della rettifica, in Riv. giur. trib., n. 5, 2009, pp. 452-456; ID., Gli studi di settore, le “gravi incongruenze” ex art. 62-sexies del D.L. n. 331/1993 e l’inso-stituibile opera di adattamento del dato di normalità economica della fattispecie concreta, in Riv. dir. trib., 2007, II, pp. 749-754; anche per un approfondimento complessivo sulla di-sciplina di coefficienti, parametri e studi di settore, MARONGIU, Coefficienti presuntivi, pa-rametri e studi di settore, in Dir. prat. trib., 2002, I, pp. 707-734.

33 Relativamente ai parametri, si vedano, ad esempio, le Circolari del Ministero delle Finanze del 13 maggio 1996, n. 117/E, con cui gli Uffici venivano invitati (il verbo utilizza-to è “dovranno”) ad inviare ai contribuenti una proposta di accertamento con adesione; del 21 giugno 1999, n. 136/E; del 7 agosto 2000, n. 157/E, con cui veniva evidenziata l’impor-tanza del contraddittorio per consentire «all’Amministrazione di conoscere e considerare le specifiche caratteristiche dell’attività esercitata» e veniva inoltre specificato che gli ac-certamenti «dovranno essere puntualmente motivati» anche rispetto alle «risultanze del contraddittorio». Relativamente agli studi di settore, fra le più recenti, si veda la Circolare Ag. Entrate, 23 gennaio 2008, n. 5/E con cui gli Uffici accertatori sono stati invitati a non utilizzare in modo “automatico” gli studi, dal momento che il contenuto dell’accertamento dipende dall’esito del contraddittorio. Per quanto riguarda i coefficienti, come già sopra esposto, l’indefettibilità del contraddittorio era stata già acclarata dal fatto che l’art. 62 quater,

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definitivamente sancita dalla sent. 18 dicembre 2009, n. 26635 delle Sezioni Unite della Cassazione, la quale ha cristallizzato i seguenti principi: il con-traddittorio è un elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedi-mento che legittima l’azione amministrativa; il contraddittorio è il mezzo più efficace per consentire il necessario adeguamento della elaborazione pre-suntiva alla realtà concreta del contribuente; la motivazione dell’accerta-mento deve esplicitare le ragioni per cui l’Ufficio ha ritenuto di disattendere le giustificazioni fornite dal contribuente durante il contraddittorio; sull’Uf-ficio incombe l’onere di provare l’applicabilità dello standard prescelto, mentre sul contribuente, il quale può avvalersi anche di presunzioni sempli-ci, incombe l’onere di provare la sussistenza delle condizioni che giustifica-no l’esclusione dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli stan-dard o la specifica situazione in cui si trovava nel periodo d’imposta cui la contestazione si riferisce; il contraddittorio non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, nel senso che in sede processuale il contribuente può sol-levare eccezioni e produrre prove anche non sollevate o non prodotte nel cor-so del contraddittorio e ciò anche nel caso in cui sia rimasto inerte rispetto all’invito al contraddittorio. In quest’ultimo caso, però, il Giudice può valu-tare, ai fini della decisione, questo comportamento e l’Ufficio può motivare l’accertamento anche soltanto sulla base delle risultanze dei parametri/studi di settore; in conclusione, i metodi di accertamento standardizzati mediante parametri o studi di settore rappresentano un sistema di presunzioni sem-plici, la cui gravità, precisione e concordanza non è predeterminata ex lege, ma nasce in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente

34. I principi espressi dalle sezioni unite confermano il carattere difensivo

35 del contraddittorio nell’ambito degli accertamenti fondati sugli studi di set-tore (e, prima, sui coefficienti o sui parametri).

Un altro metodo di accertamento forfettario nel cui ambito è prevista la partecipazione del contribuente è quello sintetico, rispetto al quale, le modifi-che apportate dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78 all’art. 38, D.P.R. n. 600/1973 hanno definitivamente chiarito che la partecipazione del contribuente è una D.L. n. 331/1993 aveva modificato l’art. 12, D.L. n. 69/1989 prevedendo la nullità degli accertamenti fondati su coefficienti non preceduti dalla “richiesta di chiarimenti” al con-tribuente.

34 I principi espressi dalle Sezioni Unite della Cassazione sono stati condivisi e ribaditi dalla stessa Agenzia delle Entrate nella Circolare 14 aprile 2010, n. 19/E.

35 In questo senso TUNDO, Procedimento tributario, cit., p. 342.

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mera facoltà soltanto per il contribuente, mentre è un obbligo per l’Ammi-nistrazione

36, caratterizzato, secondo la comune opinione, dal fatto che la sua violazione comporta l’illegittimità dell’accertamento, dall’obbligo per l’Uffi-cio di motivare circa le ragioni per le quali ha ritenuto di non poter accoglie-re le giustificazioni addotte e dall’assenza di preclusioni, in giudizio, per il con-tribuente(il quale può produrre qualsiasi prova anche se è rimasto, in tutto o in parte, inerte durante il contraddittorio amministrativo)

37. Al di fuori dell’ambito degli accertamenti forfettari, le tre forme più artico-

late di partecipazione in chiave difensiva sono: quella prevista dall’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973 (ora art. 10 bis, L. n. 212/2000), quella di cui all’art. 16, D.Lgs. n. 472/1997 e quella disciplinata dall’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000.

La prima rappresenta una delle forme più evolute di partecipazione di-fensiva

38, sia perché la norma esplicita l’obbligo, per l’Amministrazione, di attivare il contraddittorio e la sanzione della nullità nel caso della mancata attivazione

39, sia perché presuppone che l’Amministrazione, prima di invia-

36 In questo senso TUNDO, Procedimento tributario, cit., pp. 309-315. Anche l’Agenzia delle Entrate, nella Circolare 6 agosto 2014, n. 25/E ha affermato che, nell’ambito degli ac-certamenti sintetici, il contraddittorio pre-accertativo è un «elemento essenziale del proce-dimento». Secondo VIOTTO, op. cit., pp. 304-305, però, anche prima delle modifiche intro-dotte dal D.L. n. 78/2010, l’Ufficio era obbligato a coinvolgere il contribuente. Infatti, po-sto che nessuna norma impediva al contribuente di interagire con l’Amministrazione prima dell’emissione dell’accertamento, l’unico significato attribuibile all’art. 38, comma 6, D.P.R. n. 600/1973 era quello di configurare un obbligo in capo all’Ufficio. Con argomenti simili si era già espresso anche TOSI, Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, cit., p. 389, secondo cui, anche prima delle modifiche introdotte nel 2010, la partecipazio-ne pre-accertativa del contribuente rappresentava una facoltà per il contribuente mentre un obbligo per l’Amministrazione.

37 Si vedano, fra i molti: TUNDO, Procedimento tributario, cit., pp. 309-315; TOSI, Com-mento all’art. 38 del D.P.R. 600/1973, in FALSITTA-FANTOZZI-MARONGIU-MOSCHETTI, Commentario breve alle leggi Tributarie, tomo II, Accertamento e sanzioni, Padova, 2011, p. 229; BAGAROTTO, L’Accertamento sintetico dopo le modifiche apportate dal D.L. n. 78/2010, in Riv. dir. trib., n. 10, 2010, p. 967; ROSSI, I metodi di accertamento, cit., pp. 686-693.

38 In questo senso TUNDO, Procedimento tributario, cit., p. 366. In argomento, fra gli al-tri: ID., Natura del termine e tutela del contribuente nel procedimento di accertamento delle fat-tispecie potenzialmente elusive, in Riv. giur. trib., 2011, p. 988 ss.; BEGHIN, Commento all’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, in FALSITTA-FANTOZZI-MARONGIU-MOSCHETTI, Commentario breve alle leggi Tributarie, tomo II, cit., pp. 224-225; RAGUCCI, Il contraddittorio nei proce-dimenti tributari, cit., pp. 76-84, secondo cui la disciplina delineata dall’art. 37 bis si presta ad essere applicata analogicamente ad altre forme di partecipazione ispirate ai medesimi principi di legalità e imparzialità; TOSI, Gli aspetti procedurali nell’applicazione delle norme antielusive, in Corr. trib., 2006, p. 3119 ss.

39 La Corte costituzionale, con la sent. 7 luglio 2015, n. 132, ha rigettato la questione di

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re la richiesta di chiarimenti 40, abbia compiuto un’attività istruttoria e abbia

elaborato un progetto di accertamento (dal momento che la predetta ri-chiesta deve indicare le ragioni per cui l’Amministrazione ritiene applicabili le disposizioni antielusive), sia perché esplicita l’obbligo, nel caso di manca-to accoglimento delle giustificazioni, di dotare l’accertamento di una moti-vazione “rafforzata” con cui l’Amministrazione deve espressamente prende-re posizione sulle giustificazioni fornite dal contribuente ritenute non sod-disfacenti, sia infine perché, nel caso di approssimarsi del termine di deca-denza per l’emissione dell’atto impositivo, tale termine è automaticamente prorogato in modo tale che fra la data di ricevimento della richiesta di chia-rimenti e il predetto termine di decadenza esista sempre un lasso temporale di almeno sessanta giorni.

La seconda costituisce la forma di partecipazione in chiave difensiva più chiaramente disciplinata

41, dal momento che l’atto di contestazione deve, a illegittimità costituzionale che era stata sollevata dalla Corte di Cassazione, affermando che: il principio generale antielusivo non impedisce, con riguardo alle fattispecie non ricondu-cibili all’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973, che debba essere instaurato il contraddittorio pre-ventivo fra l’Amministrazione e il contribuente, né esclude che il vizio del contraddittorio conseguente alla violazione del termine produca la nullità dell’atto impositivo; la sanzione della nullità dell’atto conclusivo del procedimento assunto in violazione del termine trova dunque ragione in una divergenza dal modello normativo che, lungi dall’essere qualificabi-le come meramente formale o innocua, o come di lieve entità, è invece di particolare gravi-tà, in considerazione della funzione di tutela dei diritti del contribuente della previsione presidiata dalla sanzione della nullità. Nello stesso senso di quest’ultima statuizione si è espressa anche la Suprema Corte nella citata sent. n. 23050/2015.

40 La richiesta di chiarimenti poteva essere formulata anche in forma orale (Cass., sentt. 11 maggio 2012, n. 7393 e 12 gennaio 2009, n. 351). L’art. 10 bis, L. n. 212/2000, invece, richiede oggi la forma scritta.

41 Sul fatto che il meccanismo di contestazione-irrogazione delle sanzioni non collegate a tributo rappresenti una tipica e paradigmatica forma di partecipazione difensiva, si veda-no, fra i molti: MICELI, Il sistema sanzionatorio tributario, in FANTOZZI, Diritto tributario, cit., p. 946; MICELI, Il contraddittorio pre-contenzioso nei procedimenti di irrogazione delle sanzioni, in Riv. dir. trib., 2002, I, p. 1124; RAGUCCI, La partecipazione del privato all’irroga-zione della sanzione tributaria, in Riv. dir. fin. cit., 2001, I, p. 261; TOSI, Commento agli artt. 16 e 17 del D.Lgs. 472/1997, in MOSCHETTI-TOSI (a cura di), Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, Padova, 2000, pp. 518-521; BEL-LÈ, Procedimenti di irrogazione delle sanzioni e tutela giurisdizionale, in Dir. prat. trib., 1999, I, p. 1215, secondo cui, a seguito della presentazione delle deduzioni difensive, l’Ufficio non può riformare in pejus l’atto di contestazione; FICARI, La partecipazione del trasgressore al procedimento, in TABET (a cura di), La riforma delle sanzioni amministrative tributarie, To-rino, 2000, pp. 237-240, il quale ricorda che già l’art. comma 133, lett. m) della legge dele-ga, individuava quale criterio e principio direttivo per il legislatore delegato la previsione di

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pena di nullità, indicare i fatti attribuiti al trasgressore e gli elementi di prova raccolti contro di lui (in tal modo, il contribuente ha piena cognizione di ciò che gli viene imputato e può contro dedurre in maniera compiuta) e deve contenere l’invito a presentare deduzioni difensive (ma è facoltà del contri-buente decidere se produrle o meno). L’eventuale atto d’irrogazione deve poi motivare anche in ordine alle ragioni del mancato accoglimento delle dedu-zioni difensive. Infine, l’efficienza e la speditezza dell’agire dell’Amministra-zione vengono garantite perché, se il contribuente non definisce l’atto di con-testazione e non presenta deduzioni difensive, l’atto di contestazione viene considerato atto d’irrogazione delle sanzioni senza che alcun altro adempi-mento incomba sull’Amministrazione

42. La terza, infine, rappresenta una delle forme più tipiche di partecipazione

in chiave difensiva 43, dal momento che comporta l’obbligo per l’Ammini-

strazione di compendiare le contestazioni in un verbale 44, lascia la facoltà al

contribuente di produrre osservazioni e richieste, obbliga l’Amministrazio-ne a prendere in considerazione, qualora vengano presentate, le giustifica-zioni fornite e a dare conto, nella motivazione dell’eventuale atto impositi-vo, delle ragioni per cui non sono state accolte e, da ultimo, obbliga l’Ammi-nistrazione a concedere, salve ragioni di particolare e motivata urgenza, al un procedimento “unitario” e «tale da garantire la difesa e nel contempo da assicurare la sollecita esecuzione del provvedimento». In senso contrario DEL FEDERICO, Prime note sui procedimenti sanzionatori disciplinati dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in Rass. trib., 1999, p. 1045, secondo cui, le deduzioni difensive concorrono all’acquisizione di elementi istrut-tori, i quali potrebbero anche essere sfavorevoli al contribuente e potrebbero anche a raf-forzare l’apparato motivazionale e probatorio a sostegno della pretesa sanzionatoria.

42 Occorre ricordare che, in materia di sanzioni, il principio del contraddittorio è stato generalizzato dalla previsione dell’art. 6, comma 2, L. n. 212/2000, secondo cui «L’ammi-nistrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il rico-noscimento, seppure parziale, di un credito». Sul punto: MICELI, Il contraddittorio pre-contenzioso, cit., p. 1135, la quale ha affermato che la predetta norma dello Statuto rappre-senta «la conferma della generale operatività del contraddittorio nell’ambito del procedi-mento sanzionatorio, sottolineandone l’inderogabilità anche per il settore tributario».

43 Secondo TUNDO, Procedimento tributario, cit., p. 242, si tratta della forma più tipica di partecipazione difensiva.

44 Secondo alcune sentenze della Corte di Cassazione (ad esempio: dell’11 settembre 2013, n. 20770 e del 12 maggio 2011, n. 10381), però, il processo verbale di constatazione potrebbe limitarsi a illustrare le attività istruttorie svolte dai verificatori e non dovrebbe ne-cessariamente contenere già contestazioni e addebiti che saranno invece oggetto dell’atto impositivo.

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contribuente un termine di sessanta giorni per consentirgli, qualora lo riten-ga, di presentare osservazioni e richieste

45. Altre forme, un po’meno strutturate, di partecipazione difensiva sono

46: quella prevista dall’art. 6, D.L. 28 giugno 1990, n. 167 nell’ambito della pre-sunzione di fruttuosità degli investimenti esteri e delle attività di natura fi-nanziaria trasferiti o costituiti all’estero senza che ne risultino dichiarati i red-diti effettivi (in questo caso, la norma non specifica alcunché né sul contenuto della richiesta, né sulle conseguenze della mancata richiesta, né sulla moti-vazione del successivo avviso di accertamento rispetto alle difese del contri-buente, tuttavia non sembra dubitabile il carattere eminentemente difensivo di tale forma di partecipazione, dal momento che essa è espressamente fina-lizzata a consentire al contribuente di superare una presunzione legale, che rischia di non condurre al corretto accertamento del presupposto)

47; quella

45 Le Sezioni Unite, con la sent. n. 18184/2013 più volte citata, hanno affermato che l’accertamento emanato in violazione di tale disposizione è nullo nonostante l’assenza di un’espressa previsione normativa. La giurisprudenza si è invece pronunciata in maniera alta-lenante sull’applicazione dell’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 non solo nel caso di verifi-che fiscali, ma anche in presenza di accessi finalizzati alla mera acquisizione di documenti. In senso favorevole: la citata sent. n. 20770/2013, la sent. 15 marzo 2011, n. 6088 e la sent. 5 febbraio 2014, n. 2593. Secondo recenti pronunce (CTR Bologna, sent. 9 febbraio 2015, n. 337 e CTR Milano, sent. 14 aprile 2015, n. 1478), l’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 dovrebbe addirittura trovare applicazione nel caso in cui, durante l’attività di controllo, l’Uf-ficio non abbia effettuato alcun tipo di accesso, neppure finalizzato alla sola acquisizione di documenti, ma si sia limitato a svolgere attività istruttoria “a tavolino” chiedendo al con-tribuente di esibire documenti o svolgendo indagini finanziarie, cioè esercitando meri poteri di invito e richiesta. In senso contrario, però, recenti arresti della Suprema Corte (nn. 16354/2012, 15583/2014, 7598/2014 e 13588/2014, nonché e soprattutto n. 24823/2015 delle Sezioni Unite) hanno escluso l’applicabilità dell’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 nel caso di controlli effettuati soltanto “a tavolino”, cioè senza svolgere alcun accesso, neppure al solo fine di acquisire documenti. La CTR Toscana, con ord. 10 gennaio 2016, n. 736/1/15 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 nella parte in cui riconosce il diritto al contraddittorio anticipato nelle sole ipotesi in cui l’Amministrazione abbia effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali desti-nati all’esercizio dell’attività del contribuente.

46 Altre forme di partecipazione erano: quella prevista dai commi 10 e 11 dell’art. 110 TUIR, ma essi sono stati abrogati, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, dall’art. 1, comma 142, L. 28 dicembre 2015, n. 208; quella prevista nell’ambito delle società non operative, ma essa è venuta meno a seguito della so-stituzione del testo dell’art. 30, comma 4, L. 23 dicembre 1994, n. 724 ad opera dell’art. 35, comma 15, D.L. 4 luglio 2006, n. 223.

47 La richiesta di cui all’art. 6, D.L. n. 167/1990 viene annoverata fra le forme di parte-cipazione difensiva da SOZZI, Contraddittorio anticipato e motivazione dell’atto di accerta-mento, in Rass. trib., n. 6, 2008, p. 1739.

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di cui al D.Lgs. n. 218/1997 nel caso in cui il procedimento di accertamento con adesione venga attivato dall’Amministrazione, mediante un invito a com-parire (art. 5), oppure nel caso in cui il suddetto procedimento venga intro-dotto dal contribuente, nei cui confronti siano stati effettuati accessi, ispe-zioni o verifiche (art. 6, comma 1). Rispetto a tale forma di partecipazione, i tratti tipici del contraddittorio in funzione difensiva consistono nell’esisten-za di un progetto di accertamento o comunque nella presenza di accessi, i-spezioni e verifiche, nel fatto che il contribuente può rimanere inerte e ciò sia nel senso che può non comparire quando l’Amministrazione gli spedisce l’invito

48, sia nel senso che, a seguito di accessi, ispezioni e verifiche, ha la facoltà, ma non l’obbligo di presentare l’istanza di accertamento con ade-sione e, infine, nel fatto che l’Amministrazione, nel caso di mancata adesio-ne, deve motivare l’avviso di accertamento specificando per quali motivi le giustificazioni fornite dal contribuente non le abbiano consentito di archi-viare il procedimento o di non emettere l’avviso di accertamento

49. Le pecu-liarità di tale forma di partecipazione sono invece rappresentate dal fatto che l’Amministrazione non è obbligata né a trasmettere l’invito di cui all’art. 5 (eccezion fatta, ai sensi dell’art. 38, comma 7, secondo periodo, D.P.R. n. 600/1973, per il caso degli accertamenti redditometrici e, ai sensi dell’art. 10, comma 3 bis, L. 146/1998, per gli accertamenti fondati sugli studi di set-tore), né, almeno secondo il criticabile orientamento della giurisprudenza di legittimità

50, a convocare il contribuente che ne abbia fatto istanza a seguito di accessi, ispezioni e verifiche; quella di cui all’art. 6, comma 5, L. n. 212/ 2000 e agli artt. 36 bis e 36 ter, D.P.R. n. 600/1973 e l’art. 54 bis, D.P.R. n.

48 ROSSI, L’atto di accertamento, in FANTOZZI (a cura di), Diritto tributario, cit., p. 756. 49 In questo senso, ad esempio: ROSSI, L’atto di accertamento, cit., p. 756; RAGUCCI, Il

contraddittorio nei procedimenti tributari, cit., p. 94. 50 Cass., sent. 5 dicembre 2012, n. 21760, in Corr. trib., 2013, p. 562, con nota di TUN-

DO, Possibili rimedi al mancato invito del contribuente al contraddittorio nell’accertamento con adesione e sent. 30 dicembre 2009, n. 28501. Per una condivisibile critica a tale orienta-mento, si veda ancora TUNDO, Procedimento tributario, cit., pp. 287-297. Sull’argomento e, in particolare, sui diversi orientamenti della giurisprudenza di merito, si vedano: BORGO-GLIO, Mancata convocazione del contribuente all’adesione e legittimità dell’avviso di accerta-mento, in Il Fisco, n. 36, 2009, pp. 5970-5976; FUSCONI-ANTICO, Accertamento con adesione. Gli effetti del mancato invito al contraddittorio. Dalla sentenza di Ragusa alla sentenza di Mes-sina, in Boll. trib., n. 6, 2006, pp. 457-461; SALLUSTIO, L’istanza di accertamento per adesione: funzione procedimentale, natura recettizia ed effetti sospensivi, in Rass. trib., n. 1, 2004, p. 193 ss; CAMPISI, Accertamento con adesione: la mancata convocazione del contribuente istante, in Il Fisco, n. 29, 2004, p. 4506 ss.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 166

633/1972 (l’obbligo di coinvolgere il contribuente e la nullità 51 dell’iscrizio-

ne a ruolo e della successiva cartella di pagamento nel caso di mancato coin-volgimento fanno propendere per il carattere difensivo anche di tale forma di partecipazione e ciò pur in assenza di un espresso obbligo di motivazione rafforzata nel caso in cui i chiarimenti forniti dal contribuente non siano sta-ti ritenuti sufficienti ad evitare l’iscrizione a ruolo)

52; da ultimo, la più re-cente forma di partecipazione sembra essere quella introdotta, nell’ambito della disciplina relativa alle imprese estere controllate di cui all’art. 167 TUIR, dall’art. 8, comma 1, lett. f), D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 (anche tale forma di partecipazione, dunque, ha carattere eminentemente difensivo in quanto è caratterizzata dall’obbligatorietà del coinvolgimento del contri-buente – pure in questo caso funzionale ad evitare che l’Amministrazione non tenga conto di elementi conoscibili solo dal contribuente – e dalla pre-senza della c.d. motivazione “rafforzata”).

Quanto alla partecipazione prevista, nell’ambito dei cosiddetti accerta-menti bancari, dall’art. 32, comma 1, n. 2, D.P.R. n. 600/1973 e, in termini simili, dall’art. 51, comma 2, n. 2, D.P.R. n. 633/1972, la collocazione te-stuale nell’ambito dei poteri istruttori degli Uffici e il dato letterale (gli ele-menti che l’Amministrazione è chiamata a raccogliere devono essere “rile-vanti ai fini dell’accertamento”) hanno fatto ritenere alla giurisprudenza e al-l’Amministrazione

53 che tale forma di partecipazione sia finalizzata alla coo-

51 Secondo un orientamento della Suprema Corte, l’iscrizione a ruolo sarebbe nulla per mancanza del coinvolgimento del contribuente solo nei casi in cui sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione (ad esempio: sent. 29 dicembre 2010, n. 26316 e sent. 22 maggio 2015, n. 10599. La sanzione della nullità, nell’ambito dei procedimenti di cui all’art. 36 ter, D.P.R. n. 600/1973, dell’iscrizione a ruolo non preceduta dal coinvolgimen-to del contribuente è stata affermata dalla Corte di Cassazione nella recente sent. 4 luglio 2014, n. 15311.

52 Anche in questo caso, la partecipazione sembra prevista per evitare che la pretesa non tenga nell’adeguata considerazioni fatti noti solo al contribuente (si pensi al caso delle cosiddette “cartelle pazze”). Sul carattere difensivo della partecipazione di cui all’art. 6, com-ma 5, dello Statuto dei diritti del contribuente si v. CARINCI, Commento all’art. 6 della L. 212/2000, in FALSITTA-FANTOZZI-MARONGIU-MOSCHETTI, Commentario breve alle leggi Tributarie, tomo I, Diritto costituzionale tributario e Statuto del contribuente, Padova, 2011, p. 512, il quale si sofferma accuratamente anche sulla portata dell’obbligo della comunica-zione preventiva dell’iscrizione a ruolo, sull’ambito di operatività di tale obbligo, sul contenu-to della comunicazione preventiva, sulla forma della predetta comunicazione e sulla sua im-pugnabilità.

53 La giurisprudenza della Suprema Corte si è – a quanto consta – costantemente pro-nunciata a favore della mera facoltatività del coinvolgimento, da parte dell’Amministrazio-

Damiano Zardini 167

perazione all’accertamento (e sia quindi facoltativa per l’Amministrazione). In dottrina

54, valorizzando il fatto che la partecipazione del contribuente è comunque funzionale a fornire una prova contraria («se il contribuente non dimostra»), si è invece sostenuto il carattere difensivo di tale forma di partecipazione.

5. I limiti dell’obbligo, per l’Amministrazione, di confrontarsi con il contri-buente prima di emettere un atto per questo pregiudizievole

Fino a qui ci si è occupati dei caratteri della partecipazione del contri-buente in chiave difensiva al procedimento di accertamento e delle singole fattispecie in cui essa è stata prevista dal legislatore o dal diritto vivente.

Non si è però ancora affrontata quella che probabilmente è la questione più importante rispetto al tema della partecipazione del contribuente: se l’ob-bligo, per l’Amministrazione, di confrontarsi con il contribuente prima di emettere un atto per questo pregiudizievole sorga ogni qual volta l’Ammini-strazione debba emettere un atto di accertamento, d’irrogazione delle san-zioni o d’iscrizione a ruolo a seguito di controlli automatici o formali

55, o solo ne, del contribuente nell’ambito degli accertamenti bancari. Fra le molte sentenze, si veda-no, ad esempio: 26 settembre 2014, n. 20420; 10 gennaio 2013, n. 446; 13 febbraio 2006, n. 3115; infine, 29 marzo 2002, n. 4601. L’Amministrazione sia nella Circolare 19 ottobre 2006, n. 32/E, sia nella Circolare 6 agosto 2014, n. 25/E ha affermato l’importanza e l’oppor-tunità del contraddittorio preventivo onde evitare un acritico automatismo fra i dati ban-cari e la pretesa impositiva. Nella prima Circolare (nella seconda non ha invece preso posi-zione sulla questione) l’Amministrazione ha però affermato che il contraddittorio antici-pato è sì volto a consentire al contribuente di esercitare il suo diritto di difesa già in fase amministrativa ed è ispirato da ragioni di economia processuale, ma la sua instaurazione rappresenta «una mera facoltà dell’ufficio e non un obbligo».

54 Fra i molti: TUNDO, Procedimento tributario, cit., pp. 419-450; MICELI, L’attività istruttoria tributaria, cit., p. 660; VANZ, Commento all’art. 32 del D.P.R. 600/1973, in FAL-SITTA-FANTOZZI-MARONGIU-MOSCHETTI, Commentario breve alle leggi Tributarie, tomo II, cit., p. 187; MULEO, Commento all’art. 51 del D.P.R. 633/1972, in FALSITTA-FANTOZZI-MARONGIU-MOSCHETTI, Commentario breve alle leggi Tributarie, tomo IV, Imposta sul valo-re aggiunto e imposte sui trasferimenti, Padova, 2011, pp. 477-480; VIOTTO, op. cit., p. 304; CORDEIRO GUERRA, Accertamenti basati su indagini bancarie, in Rass. trib., n. 2, 1998, p. 564, il quale ha però una posizione più sfumata, limitandosi a ritenere che, in assenza di con-traddittorio preventivo, le presunzioni bancarie degradino da presunzioni legali relative a presunzioni semplici; TOSI, Segreto bancario: irretroattività e portata dell’art. 18 della legge 413 del 1991, in Rass. trib., 1995, p. 1395.

55 Tale tesi viene sostenuta, fra gli altri, da: VANZ, I poteri conoscitivi, cit., p. 65.

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nel caso in cui tale obbligo sia stato espressamente previsto dal legislatore 56.

Gli argomenti più frequentemente invocati a sostegno della prima solu-zione sono i seguenti:

– il fatto che la partecipazione del contribuente nella fase pre-accertativa, se non principio costituzionale, sia quanto meno espressione di principi co-stituzionali e che da ciò discenda anche la possibilità di vedere sanzionati con l’illegittimità gli atti emessi in assenza di contraddittorio, anche nei casi in cui le conseguenze di tale mancanza non siano state espressamente previste;

– il fatto che la partecipazione del contribuente in una fase amministrati-va antecedente all’emissione di un atto pregiudizievole nei suoi confronti sia espressione di principi comunitari

57 e comunque sovranazionali cui l’attività amministrativa è chiamata a uniformarsi anche ai sensi dell’art. 1, L. n. 241/1990;

– il fatto che le fattispecie in cui il legislatore o il diritto vivente hanno previsto il contraddittorio anticipato siano ormai sempre più numerose

58 e che potrebbe risultare irragionevole lasciare poche fattispecie accertative

59 prive di un momento di confronto difensivo antecedente all’emissione del-l’atto.

56 Si tratta della tesi sostenuta dalla dottrina maggioritaria. Solo a titolo d’esempio e fra i moltissimi: FANTOZZI, Violazioni del contraddittorio, cit., p. 141; SALVINI, La “nuova” par-tecipazione del contribuente, cit., p. 13.

57 Secondo MICELI, L’attività istruttoria tributaria, cit., il mancato adeguamento dell’or-dinamento interno al principio del contraddittorio pre-accertativo previsto a livello comu-nitario potrebbe esporre l’Italia anche il rischio di responsabilità comunitarie.

58 Da ultimo, le sezioni unite della Corte di Cassazione, con la sent. n. 19667/2014 so-pra richiamata, sancendo l’obbligo per l’Amministrazione di comunicare al contribuente – anche prima dell’entrata in vigore del comma 2 bis dell’art. 77, D.P.R. n. 602/1973, in-trodotto dal D.L. n. 70/2011 – l’avviso che in assenza di pagamento entro trenta giorni pro-cederà ad iscrivere ipoteca, sono giunte ad affermare l’obbligo, per l’Amministrazione, di consentire la partecipazione, in chiave difensiva, del contribuente anche nella fase di riscos-sione (in senso lato) dei tributi. Di tale forma di partecipazione non ci si è occupati perché essa attiene a un momento successivo a quello di emissione dell’avviso di accertamento o dell’atto d’irrogazione delle sanzioni.

59 A seguito dell’estensione, ad opera di sentenze sempre più frequenti della Suprema Corte (ad esempio n. 20770/2013 e n. 6088/2011 citate nella nota 47), dell’obbligo di redi-gere il p.v.c. e di concedere al contribuente i termini di cui all’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 anche nel caso di accessi finalizzati alla mera acquisizione di documenti, le fatti-specie in cui non sembra prevista alcuna forma di contraddittorio pre-accertativo sembrano sempre più ridotte: si pensi, ad esempio, ai casi di accertamento “a tavolino” nei confronti di un contribuente (ad esempio un fornitore “in nero”) sulla base soltanto dei dati acquisi-ti nel corso di una verifica effettuata nei confronti del suo cliente.

Damiano Zardini 169

A favore della tesi dell’insussistenza di un obbligo generalizzato di con-traddittorio pre-accertativo, si potrebbe invece sostenere proprio il fatto che il legislatore sia intervenuto prevedendo l’obbligo del contraddittorio in sin-gole fattispecie invece che introducendo un’unica norma generale, potrebbe condurre a ritenere che, nei casi in cui si è scelto di non prevederlo, non esi-sta un obbligo di contraddittorio. La Corte costituzionale, seppur non in am-bito tributario, ha già in più occasioni

60 affermato che il principio del giusto procedimento non rappresenta un principio costituzionale, ma solo un prin-cipio generale dell’ordinamento come tale derogabile dal legislatore a patto di non introdurre discriminazioni irragionevoli; il fatto che la legge delega del 2014 per la riforma fiscale abbia inserito il contraddittorio pre-accertati-vo fra i principi e i criteri direttivi generali e, a proposito del rafforzamento dell’attività conoscitiva e di controllo dell’Amministrazione, abbia espres-samente enunciato il principio della «subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio proce-dimentale» significa che tale obbligo, ad oggi, non esiste in forma generaliz-zata nell’ordinamento tributario.

La prima tesi sembra in realtà preferibile e ciò per almeno tre motivi:

– innanzitutto, perché il fatto che il legislatore sia intervenuto in maniera frammentaria su singole fattispecie è al più emblematico di un’assenza di organicità nell’ordinamento, ma non può essere ritenuto il sintomo di una precisa volontà di esonerare, in determinati casi, l’Amministrazione dall’ob-bligo del contraddittorio pre-accertativo. Tanto più se si considera che gli interventi sono avvenuti in maniera molto diluita nel tempo;

– poi, perché la giurisprudenza costituzionale, oltre a riferirsi a fattispecie – come detto – extrafiscali è in realtà risalente e non è da escludersi che, alla luce di una cultura giuridica ormai diffusamente sensibile al tema del con-traddittorio in sede amministrativa soprattutto in ambito fiscale, se venisse chiamata a pronunciarsi oggi potrebbe giungere a conclusioni differenti (e, in parte lo ha già fatto con la sent. n. 132/2015 – con una posizione in con-trasto con quella che è poi stata presa dalle sezioni unite con la sent. n. 24823/2015);

– la legge delega per la riforma fiscale più che introdurre un principio non esistente a livello generale, sembra voler sistematizzare un principio già esi-stente seppur espresso in forma frammentaria e disorganica.

60 Si vedano, ad esempio, le sentenze della Corte cost., 2 marzo 1962, n. 13; 20 marzo 1978, n. 23 e 12 luglio 1995, n. 312.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 170

Tale tesi ha trovato un conforto nella citata sent. n. 19667/2014 delle se-zioni unite, la cui importanza discende dal fatto che non solo ha confermato che il contraddittorio endoprocedimentale è un principio fondamentale im-manente nell’ordinamento tributario, espressione di principi sovranazionali (come già affermato dalla sentenza Sopropè e ribadito, con alcune differen-ze, dalla sentenza della Corte di Giustizia del 3 luglio 2014 che ha deciso le cause C-129 e C-130/13) e costituzionali (come già affermato dalla sent., sez. un. n. 18184/2013), la cui violazione comporta la nullità del Provvedi-mento, ma ha anche aggiunto che il contraddittorio anticipato è un diritto che deve essere garantito al contribuente anche quando non è esplicitamen-te previsto da alcuna norma e che, in assenza di espressa previsione norma-tiva, il periodo di tempo che deve essere garantito al contribuente per inter-loquire con l’Amministrazione non deve essere inferiore a trenta giorni.

La sentenza delle Sezioni Unite appena citata non ha però rappresentato un punto fermo nei rapporti tra Amministrazione e contribuente. Infatti, come anticipato, con la sent. n. 24823/2015, le medesime sezioni unite del-la Suprema Corte hanno affermato che, esclusi i casi in cui sia stato espres-samente statuito, l’obbligo del contraddittorio preventivo sussisterebbe solo nell’ambito dei tributi armonizzati e a patto che il contribuente enunci le ra-gioni (non pretestuose) che avrebbe voluto addurre nel corso dell’omesso contraddittorio

61. Sarebbe, quindi, auspicabile

62 che si intervenisse per dirimere ogni con-

61 Nel dettaglio, le sezioni unite hanno escluso che la fonte di un obbligo generalizzato di contraddittorio anticipato possa essere rinvenuta nell’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, nelle altre disposizioni di legge interne che prevedono – in casi specifici – il contradditto-rio o negli artt. 24 e 97 Cost. e hanno affermato che l’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 non si applica anche agli accertamenti formati esclusivamente “a tavolino” e che l’obbligo genera-lizzato di contraddittorio preventivo sussisterebbe solo nell’ambito dei tributi armonizzati e a patto che il contribuente enunci le ragioni che avrebbe voluto far valere nel contraddit-torio e, infine, che tali ragioni non siano pretestuose. Per un primo commento a tale pro-nuncia, si vedano CARINCI-DEOTTO, Il contraddittorio tra regola e principio: considerazioni critiche sul revirement della Suprema Corte, in Il Fisco, 2016, p. 207. Come illustrato nella nota 45 cui si rinvia, la CTR Toscana, ord. n. 736/1/15, preso atto dell’interpretazione che le sezioni unite hanno dato all’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale di tale norma.

62 GALLO, Accertamento e garanzie del contribuente: prospettive di riforma, in Dir. prat. trib., 1989, I, pp. 66-69, è stato fra i primi ad auspicare l’introduzione di un obbligo genera-lizzato per l’Ufficio di subordinare l’emissione dell’avviso di accertamento a un confronto con il contribuente. Confronto che avrebbe comportato anche l’obbligo, sempre per l’Uffi-cio, di motivare nell’avviso di accertamento il mancato accoglimento delle deduzioni del con-

Damiano Zardini 171

trasto sulla questione, generalizzando l’obbligo del contraddittorio con il con-tribuente in ogni circostanza in cui l’Amministrazione intenda emettere un atto pregiudizievole nei suoi confronti, facendo salve e tipizzando rigorosa-mente particolari ragioni d’urgenza che, a tutela della pretesa erariale, potreb-bero consentire all’Amministrazione di omettere il confronto con il contri-buente

63. Quanto alle sembianze che il contraddittorio potrebbe assumere, salve

le fattispecie già dotate di una specifica disciplina e altre che potrebbero venire introdotte con la previsione di una forma speciale, esse potrebbero essere simili a quelle previste, in ambito tributario, dall’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 e, in ambito penale, dall’art. 415 bis c.p.p.

Conclusa l’attività di controllo, l’Amministrazione dovrebbe essere ob-bligata ad inviare al contribuente un verbale riassuntivo dell’attività svolta

64, delle circostanze rilevate per ogni periodo d’imposta oggetto di controllo, delle eventuali norme che si assumono violate e dell’avvertimento al contri-buente della facoltà di estrarre copia della documentazione raccolta, di pro-durre memorie contenenti osservazioni e richieste rivolte all’Amministra-zione, di depositare documenti a sua difesa e di chiedere all’Amministrazio-ne di essere convocato per un confronto cui partecipare personalmente o mediante un procuratore di cui all’art. 63, D.P.R. n. 600/1973. Nel caso in cui il contribuente dovesse dedurre argomenti difensivi in tale fase ammini-strativa, l’Amministrazione dovrebbe essere obbligata a valutarli e, qualora non li ritenesse sufficienti a giustificare i rilievi, nella motivazione dell’atto d’imposizione o d’irrogazione delle sanzioni dovrebbe comunque tenere con-to degli elementi addotti dal contribuente a sua difesa e delle ragioni per cui abbia deciso di procedere comunque.

Per consentire tale contraddittorio, l’atto pregiudizievole non potrebbe venire emanato, salve particolari e motivate ragioni d’urgenza, prima del de- tribuente. Uno degli interventi più recenti volti ad auspicare la generalizzazione del contrad-dittorio prima dell’emissione dell’atto di accertamento è quello di CARINCI, Il frutto avvele-nato della ricerca di gettito, in Il Sole 24 Ore, 24 febbraio 2014, p. 7 e ID., La mediazione ha ridotto il ricorso al giudice fiscale, in Il Sole 24 Ore, 25 febbraio 2014, p. 29, secondo cui però sarebbe auspicabile che il contraddittorio pre-accertativo si svolgesse davanti a un Ufficio diverso da quello che ha svolto l’attività di controllo.

63 Ad esempio: i casi in cui anche il minimo ritardo potrebbe mettere a repentaglio il soddisfacimento della pretesa erariale, cioè i casi nei quali sussisterebbero i presupposti per l’iscrizione nei ruoli straordinari di cui all’art. 15 bis, D.P.R. n. 602/1973.

64 Già l’art. 24, L. 7 gennaio 1929, n. 4 prevede che: «Le violazioni delle norme conte-nute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale».

DOTTRINA RTDT - n. 1/2016 172

corso del termine concesso al contribuente per esercitare il suo diritto al con-traddittorio difensivo.

Si tratterebbe, del resto, di attuare anche in ambito tributario i principi del giusto procedimento già sviluppati in ambito amministrativo e di far fare un “salto di qualità” ai rapporti tra Amministrazione e contribuente sotto la cor-nice dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’Ammi-nistrazione, nonché di capacità contributiva.

GIURISPRUDENZA

SOMMARIO:

Cass., sez. lav., 9 aprile 2014, n. 8379 – Pres. Roselli, Rel. Napoletano, con nota di A. Amori, Inibita la riscossione dei contributi previdenziali in caso di impu-gnazione dell’accertamento “unificato” dinanzi le Commissioni Tributarie (The collection of social security contributions shall be inhibited if the “unitary” notice of assessment is challenged before Tax Courts)

Cass., sez. trib., 20 marzo 2015, n. 5639 – Pres. Piccininni, Rel. Olivieri, con nota di V. Bassi, Sulla soggettività IVA dei consorzi per le aree di sviluppo indu-striale e sul loro potere di imporre tributi (On the VAT subjectivity of public consortia for industrial developing and on their power to impose taxes)

Cass., sez. trib., 6 agosto 2014, n. 17663 – Pres. Cappabianca, Rel. Iofrida, con nota di S. Colella, Redditometro e incrementi patrimoniali: la durata della disponibilità finanziaria supera la presunzione sintetica (Presumptive taxation and asset increases: the duration of the financial availability overcomes the tax presumption)

Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823 – Pres. Rovelli, Rel. Cappabianca, con nota di S. Muleo, Il contraddittorio procedimentale: un miraggio evanescen-te? (The audi alteram partem principle in tax proceedings: an evanescent mi-rage?)

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2012 174

Cass., sez. lav., 9 aprile 2014, n. 8379 – Pres. Roselli, Rel. Napoletano Processo tributario – Accertamento “unificato” – Impugnazione dinanzi le Com-missioni Tributarie – Riscossione contributi previdenziali in pendenza di giudi-zio – Inibita

Qualora l’avviso di accertamento tributario, che oltre alla rettifica della dichiara-

zione dei redditi, rechi la rideterminazione dei contributi previdenziali, venga impugnato dinanzi le Commissioni Tributarie, la riscossione di questi ultimi non potrà essere in-trapresa, indipendentemente dalla conoscenza da parte dell’Istituto della proposizione del gravame, se non a seguito della definizione del contenzioso tributario.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Firenze, confermando la sentenza di primo grado, accoglie-

va il ricorso di D.P., avente ad oggetto l’opposizione all’iscrizione a ruolo della pretesa dell’INPS concernente il recupero di contribuzione relativa alla parte variabile di con-tribuzione per la gestione commercianti in dipendenza del maggior reddito accertato dalla Agenzia delle Entrate.

A base del decisum la Corte del merito poneva il rilievo fondante secondo il quale, D.Lgs. n. 46 del 1999, ex art. 29, stante l’impugnazione, dinanzi al giudice tributario, del-l’accertamento fiscale di un maggiore reddito, su cui si radicava la pretesa dell’INPS, era inibito all’INPS sino alla definitività dell’accertamento in sede di giustizia tributaria d’iscrivere al ruolo la relativa somma.

Avverso questa sentenza l’INPS ricorre in cassazione sulla base di un’unica censura. Parte intimata non svolge attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE Con l’unico motivo l’INPS, deducendo violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs.

n. 46 del 1999, art. 24, comma 3, sostiene, per un verso che l’accertamento, cui fa rife-rimento il richiamato art. 24, deve essere quello operato dallo stesso INPS, e dall’altro che, comunque, pur a voler ammettere la riferibilità dell’accertamento a quello esegui-to da un qualsiasi ufficio pubblico, l’iscrizione a ruolo è inibita solo nella ipotesi in cui esso Istituto viene messo a conoscenza della sussistenza del giudizio innanzi alla Com-missione Tributaria provinciale.

La censura è infondata. Il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, rubricato “Iscrizioni a ruolo dei crediti degli enti pre-

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 176

videnziali” stabilisce che: “1. I contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali non versati dal debitore nei termini previsti da disposizioni di legge o dovuti in forza di ac-certamenti effettuati dagli uffici sono iscritti a ruolo, unitamente alle sanzioni ed alle somme aggiuntive calcolate fino alla data di notifica della cartella di pagamento, al netto dei pa-gamenti effettuati spontaneamente dal debitore.

2. L’ente ha facoltà di richiedere il pagamento mediante avviso bonario al debitore. L’iscrizione a ruolo non è eseguita, in tutto o in parte, se il debitore provvede a pagare le som-me dovute entro trenta giorni dalla data di ricezione del predetto avviso. Se, a seguito della ricezione di tale avviso, il contribuente presenta domanda di rateazione, questa viene defini-ta secondo la normativa in vigore e si procede all’iscrizione a ruolo delle rate dovute. Fatto salvo quanto previsto dall’art. 25, l’iscrizione a ruolo è eseguita nei sei mesi successivi alla data prevista per il versamento.

3. Se l’accertamento effettuato dall’ufficio è impugnato davanti all’autorità giudiziaria, l’iscrizione a ruolo è eseguita in presenza di provvedimento esecutivo del giudice.

4. In caso di gravame amministrativo contro l’accertamento effettuato dall’ufficio, l’iscri-zione a ruolo è eseguita dopo la decisione del competente organo amministrativo e comun-que entro i termini di decadenza previsti dall’art. 25.

5. Contro l’iscrizione a ruolo il contribuente può proporre opposizione al giudice del la-voro entro il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento. Il ricorso va notificato all’ente impositore ed al concessionario.

6. Il giudizio di opposizione contro il ruolo per motivi inerenti il merito della pretesa contributiva è regolato dall’art. 442 c.p.c. e ss. Nel corso del giudizio di primo grado il giu-dice del lavoro può sospendere l’esecuzione del ruolo per gravi motivi.

7. Il ricorrente deve notificare il provvedimento di sospensione al concessionario. 8. Resta salvo quanto previsto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462”. L’INPS prospetta che il comma 3, del trascritto art. 24, il quale inibisce l’iscrizio-

ne a ruolo della pretesa contributiva se l’accertamento su cui si fonda è impugnato davanti all’autorità giudiziaria, è da riferirsi esclusivamente a quello eseguito da esso Istituto, o, quantomeno se ricollegabile anche ad accertamenti operati da altri uffici, l’inibizione è subordinata alla conoscenza che esso Istituto ha della pendenza del giudizio.

La tesi dell’INPS non trova riscontro alcuno nella disposizione legislativa. Questa, infatti, non distingue affatto tra accertamento eseguito dall’Istituto previ-

denziale e accertamento operato da altro ufficio, né esclude l’inibizione all’emissione del ruolo nell’ipotesi in cui l’accertamento, su cui il credito dell’ente previdenziale si ra-dica, sia impugnato davanti al Giudice tributario.

Neppure subordina, la norma, la non iscrivibilità a ruolo alla conoscenza che l’ente previdenziale abbia dell’impugnazione dell’accertamento davanti alla autorità giudiziaria.

La lettera della legge, infatti, è tale da non consentire alcuna interpretazione che subordini, nell’ipotesi di cui trattasi, la detta non iscrivibilità a ruolo alla sussistenza di condizioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle normativamente previste.

Cass., sez. lav., 9 aprile 2014, n. 8379 177

Diversamente si opererebbe una integrazione della volontà legislativa che, non es-sendo avallabile in via interpretativa, non è consentita nel nostro ordinamento giuridico.

Deve, quindi, affermarsi il seguente principio di diritto: “in materia d’iscrizioni a ruolo dei crediti degli enti previdenziali il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3, il quale prevede la non iscrivibilità a ruolo del credito previdenziale sino a quando non vi sia prov-vedimento esecutivo del giudice qualora l’accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all’autorità giudiziaria, va interpretato nel senso che l’accertamento, cui la norma si riferisce, non è solo quello eseguito dall’ente previdenziale, ma anche quello operato da altro ufficio pubblico come l’Agenzia delle Entrate, né è necessario, ai fini di det-ta non iscrivibilità a ruolo, che, in quest’ultima ipotesi, l’INPS sia messo a conoscenza del-l’impugnazione dell’accertamento davanti all’autorità giudiziaria anche quando detto ac-certamento è impugnato davanti al Giudice tributario”.

La sentenza impugnata, espressione di un analogo principio è, pertanto, corretta in diritto e conseguentemente il ricorso va rigettato.

Inibita la riscossione dei contributi previdenziali in caso di impugnazione dell’accertamento “unificato”

dinanzi le Commissioni Tributarie

The collection of social security contributions shall be inhibited if the “unitary” notice of assessment is challenged before Tax Courts

Abstract Nella sentenza in commento la Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui l’impugnazione dinanzi le Commissioni Tributarie di un avviso di accerta-mento emesso dall’Agenzia delle Entrate, che oltre alla pretesa tributaria rechi anche la rideterminazione dei contributi previdenziali derivanti dal maggior red-dito accertato, determina il divieto di iscrizione a ruolo o di notifica dell’avviso di addebito esecutivo da parte dell’Ente previdenziale. Tale effetto, peraltro, opera direttamente in ragione della proposizione del gra-vame, e indipendentemente dal fatto che l’istituto sia stato messo a conoscenza di tale impugnazione. Parole chiave: contributi previdenziali, riscossione, iscrizione a ruolo o notifica

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 178

dell’avviso di addebito, sospensione della riscossione, notifica del ricorso tributa-rio all’Ente previdenziale In the commented decision, the Italian Supreme Court (ISC) has confirmed the prin-ciple that, in case a notice of assessment issued by tax authorities and also relevant for Social Security Contribution purposes – calculated on the higher income assessed – is appealed before Tax Courts, it is prohibited to register the tax debt in the Official Taxpayers’Roll or to serve the notice of forced tax collection. Such effect directly results from the act of appeal and regardless of the previous notifi-cation of such appeal to the Social Security Authority. Keywords: social security contributions, tax collection, record in the Official Taxpa-yers’Roll or serving of the notice of forced tax collection, suspension of the tax collec-tion, serving of the appeal to the Social Security Authority

SOMMARIO: Premessa. – 1. La riscossione dei contributi previdenziali: tra iscrizione a ruolo e avviso di ad-debito con valore di titolo esecutivo. – 2. Il regime delle impugnazioni. – 3. Il “falso” problema della duplicazione dell’attività giurisdizionale. – 4. Conclusioni.

Premessa

La Corte di Cassazione, con una pronuncia evidentemente ispirata a criteri in-terpretativi squisitamente letterali, ma non per questo priva di rilievo logico-siste-matico, interviene in merito ai rapporti tra impugnazione dell’avviso di accerta-mento tributario, recante, oltre alla rettifica della dichiarazione dei redditi, anche la rideterminazione dei contributi previdenziali, e attività di riscossione di questi ul-timi per impulso dell’Istituto previdenziale.

Il problema relativo a detti rapporti deriva dal fatto che, per espressa previsione di legge 1, l’attività di controllo e di accertamento effettuata dall’Agenzia delle En-

1 L’art. 1, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462 prevede che: «Per la liquidazione, l’accertamento e la riscossione dei contributi e dei premi previdenziali ed assistenziali che, ai sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, recante norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di mo-dernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni, devono essere determinati nelle dichiara-zioni dei redditi, si applicano le disposizioni previste in materia di imposte sui redditi». I successivi articoli della medesima disposizione disciplinano, rispettivamente la riscossione dei contributi pre-videnziali, oltre che dei tributi, derivanti da: controlli automatici, controlli formali, e avvisi di accer-

Cass., sez. lav., 9 aprile 2014, n. 8379 179

trate assume rilievo anche ai fini della rideterminazione dei contributi previdenzia-li direttamente derivanti dal reddito dichiarato dal contribuente.

Difatti, con riferimento ai lavoratori autonomi iscritti alle gestioni degli artigia-ni ed esercenti attività commerciali, la determinazione dei contributi dovuti sulla quota di reddito eccedente il c.d. “minimale” viene effettuata direttamente nella dichiarazione dei redditi in sede di autoliquidazione.

Ciò in quanto il reddito da assoggettare all’imposizione previdenziale corri-sponde al totale dei redditi d’impresa conseguiti, al netto delle eventuali perdite dei periodi d’imposta precedenti 2.

Gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate che, oltre alla retti-fica della dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente, recano anche la ri-determinazione dei contributi previdenziali (in caso di superamento dei c.d. mini-mali) vengo denominati “unificati”.

L’avviso di accertamento “unificato” è impugnabile, per la parte relativa alla pretesa tributaria, nel termine di sessanta giorni dinanzi le Commissioni Tributarie.

Analogamente, l’iscrizione a ruolo, e/o l’avviso di addebito con valore di titolo esecutivo 3, recanti la pretesa previdenziale scaturente dall’avviso di accertamento “unificato”, ed emessi sulla base di quest’ultimo, sono altresì impugnabili, ai sensi dell’art. 24, D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, dinanzi al giudice del lavoro.

Tale assetto delle impugnazioni è stato ritenuto da una parte della dottrina in-coerente e foriero di inutili duplicazioni di procedimenti giurisdizionali 4, con con-seguente possibile contrasto di giudicati in merito al medesimo fatto generatore (come detto difatti, sia le maggiori imposte che i maggiori contributi previdenziali derivano, all’evidenza, dal maggior reddito accertato in capo al contribuente) 5. tamento. Tali norme, nella parte in cui prevedono il termine ultimo per l’iscrizione a ruolo, vanno evidentemente coordinate con quelle oggi vigenti di cui all’art. 25, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e all’art. 25, D.Lgs. n. 46/1999. Attualmente, peraltro, a seguito dell’abrogazione dell’art. dell’art. 32 bis, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, inserito in sede di conversione nella L. 28 gennaio 2009, n. 2, da parte del 7, comma 2, lett. t), n. 1, D.L. 13 maggio 2011, n. 70, conv. con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, n. 106; l’iscrizione a ruolo dei contributi previdenziali derivanti da controlli e accerta-menti dell’Agenzia delle Entrate avviene direttamente ad opera dell’ente previdenziale.

2 V. Circolare 12 giugno 2003, n. 102. 3 V. infra, sub par. 2. 4 Il rischio paventato dalla dottrina rievoca una problematica assai simile a quella relativa all’im-

pugnazione dell’iscrizione di ipoteca, o del fermo amministrativo, qualora detti provvedimenti si basino su crediti sia tributari sia extratributari. Sul punto v. GIOVANNINI, Il Diritto Tributario per principi, Milano, 2014, p. 183.

5 In particolare v. TOSI-LUPI, Controversie previdenziali collegate ad accertamenti fiscali, in Dialoghi trib., 2009, p. 522. Gli Autori, considerato che le controversie in materia previdenziale riguardano il medesimo oggetto delle controversie tributarie, e che detto oggetto è accertabile da parte di un uni-co organo e sulla base delle medesime prove, rilevano uno sdoppiamento tra processo tributario e processo previdenziale, con conseguenti gravi conseguenze in termini di dispendio di attività pro-cessuale e rischio di contrasto di giudicati.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 180

Per far fronte a tale rinvenuto cortocircuito normativo sono state avanzate varie ipotesi, tra le quali, la sospensione necessaria del giudizio previdenziale in attesa delle definizione di quello tributario 6 e l’ampliamento della giurisdizione delle Com-missioni Tributarie anche ai contributi previdenziali 7.

Tale seconda possibilità peraltro, è stata ancorata in parte sulla giurisprudenza di legittimità che, in diverse occasioni, ha affermato la riconducibilità alla nozione di tributo dei contributi previdenziali 8.

Inoltre, ci si è interrogati sugli effetti della mancata impugnazione, da parte del contribuente, dell’atto emesso per la riscossione dei contributi previdenziali, nell’ipotesi in cui il maggior reddito sia stato già contestato dinanzi al competente giudice tributario 9.

La decisione, seppure non occupandosi espressamente dei rapporti tra le diver-se impugnazioni esperibili avverso l’avviso di accertamento tributario da un lato, e il ruolo recato nella cartella e/o l’avviso di addebito con valore di titolo esecutivo relativi alla contribuzione previdenziale dall’altro, e delle connesse problematiche

6 V. VALLEBONA, Conferme sull’unitarietà della determinazione del reddito ai fini tributari e contri-butivi, in Dialoghi trib., 2010, p. 1. Secondo l’Autore, in ragione del collegamento dell’imponibile pre-videnziale con quello fiscale previsto dall’art. 10, comma 1, D.Lgs. n. 241/1997, sarebbe ipotizzabile la pregiudizialità della controversia tributaria rispetto a quella previdenziale ai fini della sospensione necessaria di quest’ultima ai sensi dell’art. 295 c.p.c. Analogamente viene prospettata l’inibizione dell’iscrivibilità a ruolo da parte dell’ente previdenziale nelle ipotesi in cui i maggiori contributi pre-videnziali dipendono dall’accertamento di un maggior reddito ancora sub iudice.

7 In tal senso: TOSI-LUPI, op. cit., in dottrina, per una ricostruzione sistematica della nozione di contributo previdenziale, e la sua riconducibilità a quella di imposta: PURI, Destinazione previdenziale e prelievo tributario, Milano, 2005, p. 115, BORIA, Il sistema tributario, Milano, 2008, p. 874. Per i pro-fili teorici in materia di entrate pubbliche v. DEL FEDERICO, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000.

8 V. Cass. pen., sez. III, 25 maggio 2011, n. 20845, in Riv. dir. trib., 2011, II, p. 295, con nota D’AYALA VALVA, Anche il contributo previdenziale è un tributo. Conseguenze e prospettive secondo cui, tra le conseguenze della riconosciuta natura tributaria dei contributi previdenziale vi è il loro “pre-potente” ed “esclusivo” ingresso nella giurisdizione tributaria, con conseguente alleggerimento del giu-dice ordinario dal carico relativo alle liti in materia di contribuzione previdenziale. La pronuncia, peral-tro intervenuta a breve distanza di tempo dal pronunciamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che, con sent. 18 marzo 2010, n. 6539, avevano ribadito la giurisdizione del G.O. in ma-teria di contribuzione previdenziale, seppure espressiva di un principio di indubbia forza innovativa, appare limitata alla configurabilità dell’illecito penale di omesso versamento di contributi previden-ziale. In relazione a tale fattispecie la Cassazione ha rilevato che i contributi previdenziali non costi-tuiscono retribuzione ma “tributo” la cui finalità è quella di assicurare i benefici assistenziali e previ-denziali ai lavoratori.

9 VALLEBONA, op. cit., secondo cui, nelle ipotesi in cui i maggiori contributi previdenziali derivino direttamente ed esclusivamente dal maggior reddito accertato in via non ancora definitiva, in consi-derazione della piena corrispondenza dell’imponibile fiscale con quello previdenziale, sarebbe as-surdo collegare una decadenza alla mancata impugnazione dell’atto di riscossione in pendenza di accertamento di maggior reddito.

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di duplicazione dell’attività giurisdizionale, ha risolto alla radice ogni possibile ipo-tesi di incongruenza del sistema.

Il principio secondo cui l’inibizione dalla riscossione prevista dall’art. 24, com-ma 3, D.Lgs. n. 46/1999 trova applicazione anche nel caso in cui l’accertamento impugnato sia emesso da un soggetto diverso dall’ente previdenziale, consente di-fatti di scongiurare ogni possibile rischio di duplicazione di procedimenti giurisdi-zionali e di mantenere fermo il rapporto di corrispondenza tra imponibile fiscale e contributivo.

Nella concreta fattispecie il contribuente aveva impugnato la cartella di paga-mento, emessa dall’INPS sulla base di un avviso di accertamento “unificato”, e tem-pestivamente impugnato dinanzi la competente Commissione Tributaria.

I giudici toscani avevano affermato che, essendo stato impugnato l’avviso di ac-certamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, recante anche la rideterminazione dei contributi previdenziali, l’iscrizione a ruolo di questi ultimi avrebbe potuto es-sere effettuata solamente a seguito della definizione del giudizio tributario 10.

10 L’art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 6/1999 prevede che in caso di impugnazione dinanzi l’Autorità giudiziaria, l’iscrizione a ruolo può essere eseguita solamente in presenza di un “provvedimento esecu-tivo del giudice”. Sul punto deve rilevarsi che la L. n. 353/1990, modificando il disposto dell’art. 282 c.p.c., ha affermato il principio generale secondo cui «la sentenza di primo grado è provvisoriamen-te esecutiva tra le parti». L’esecutività provvisoria, a seguito di detta modifica, non discende più da un provvedimento ad hoc del giudice, me è generalizzata e non più limitata ad ipotesi particolari. Peral-tro il disposto dell’art. 282 c.p.c. non prevede alcuna distinzione tra sentenze costitutive, di condan-na, e di mero accertamento. La dottrina processualcivlista si è quindi chiesta se la previsione circa l’esecutività provvisoria sia applicabile alle sole sentenze di condanna, suscettibili di esecuzione for-zata, ovvero riguardi tutti gli effetti che possono scaturire dalla sentenza e quindi riguardi anche le sentenze costitutiva e di mero accertamento. Tale esecutività immediata è stata negata alle sentenze di accertamento e costitutive, tra gli altri, da CONSOLO, in CONSOLO-LUISO-SASSANI, La riforma del processo civile, Milano, 1993, p. 263; ATTARDI, Le nuove disposizioni sul processo civile e il progetto del Senato sul giudice di pace, Padova, 1991, p. 117; COMOGLIO, Le riforme della giustizia civile, a cura di Taruffo, Torino, 1993, p. 368, FAZZALARI, Il processo ordinario di cognizione di primo grado, Torino, 1989, p. 224. Per una lettura meno restrittiva, quantomeno rispetto alle sentenze costitutive, TAR-ZIA, Lineamenti del nuovo processo civile di cognizione, Milano, 1996, pp. 194-195. Ciò posto, conside-rato che la sentenza di rigetto delle Commissioni Tributarie non «qualifica, né convalida, né dichia-ra legittimo né conferma, stabilizzandolo» l’avviso di accertamento – v. BASILAVECCHIA, Funzione im-positiva e forme di tutela, Torino, 2009, p. 144, – essa può essere ricondotta nell’ambito delle senten-ze di accertamento negativo, alle quali, in ragione di quanto sopra, la dottrina non ritiene applicabile la disposizione di cui all’art. 282 c.p.c. In riferimento a tale tipologia di pronuncia è stata esclusa l’idoneità alla iscrizione a ruolo del credito contributivo da DE SANTIS, Profili delle opposizioni a car-tella esattoriale, con particolare riferimento alle opposizioni a cartella previdenziale, in Inf. Prev., 2005, p. 901, secondo cui l’espressione provvedimento esecutivo consente di escludere che tale funzione possa essere svolta anche dalla sentenza non coperta da giudicato, in quanto frutto di un giudizio di mero accertamento negativo e quindi priva del carattere della esecutività. In ragione di quanto so-pra, si ritiene quindi che l’iscrizione a ruolo o la notifica dell’avviso di addebito, in caso di rigetto del ricorso del contribuente dinanzi le Commissioni Tributarie, possano essere legittimamente intraprese solamente a seguito della definizione del giudizio tributario, con il passaggio in giudicato della sen-

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A sostegno dell’impugnazione l’INPS eccepiva la violazione dell’art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 46/1999, proponendone l’interpretazione secondo cui l’effetto di ini-bire la riscossione, in pendenza di impugnazione del propromico avviso di accer-tamento, si verifica unicamente nel caso in cui detto accertamento sia emesso dal-l’Istituto previdenziale.

L’Ente previdenziale sosteneva, quindi, in primo luogo, che l’avviso di accerta-mento cui fa riferimento l’art. 24 è unicamente quello emesso dall’Ente previden-ziale, e che, a tutto concedere, nel caso in cui l’accertamento sia stato emesso da altro ente, il divieto di iscrizione a ruolo dei contributi previdenziali opera solo nel-le ipotesi in cui l’Istituto è a conoscenza dell’intervenuta impugnazione.

La Cassazione, confermando la sentenza della Corte di Appello, ha chiarito che l’effetto di inibire l’iscrizione a ruolo o la notifica dell’avviso di addebito con valore d titolo esecutivo 11 deriva, ex lege, dall’impugnazione del prodromico avviso di ac-certamento, indipendentemente dal soggetto che lo ha emesso e dal fatto che l’En-te previdenziale sia stato messo a conoscenza dell’intervenuta impugnazione.

Come si vedrà, il decisum si pone in perfetta armonia non solo rispetto alla let-tera della legge, ma anche rispetto alla sua ratio.

Al fine di comprendere la portata e gli effetti della pronuncia pare opportuno delineare brevemente il quadro normativo relativo al procedimento di riscossione dei contributi previdenziali ed al regime delle impugnazioni esperibili.

1. La riscossione dei contributi previdenziali: tra iscrizione a ruolo e avviso di addebito con valore di titolo esecutivo

In materia di riscossione dei contributi previdenziali, le disposizioni di cui al D.P.R. n. 602/1973 debbono essere coordinate con gli artt. 24 ss. del D.Lgs. n. 46/1999 12.

Dette ultime norme, situate nel Capo II del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, so-no inoltre da armonizzare con l’art. 30, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, conv. con mo-dificazioni L. 30 luglio 2010, n. 122, che ha introdotto lo strumento dell’avviso di addebito esecutivo quale atto di riscossione delle somme dovute all’Istituto Na-zionale di Previdenza Sociale. tenza di rigetto, o di parziale accoglimento, del ricorso. Peraltro, nel processo tributario anche le sentenze di condanna favorevoli al contribuente non erano provvisoriamente esecutive. Solo a se-guito della modifica dell’art. 69, D.Lgs. n. 546/1992 ad opera dell’art. 9, comma 1, lett. gg), D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° giugno 2016, detti provvedimenti sono immediatamente esecutivi.

11 V. infra, sub par. 1. 12 Per un quadro generale v. DAMASCELLI, L’espropriazione forzata a mezzo ruolo, Milano, 2005.

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La passata tendenza espansiva della riscossione a mezzo ruolo (sancita dall’art. 17, D.Lgs. n. 46/1999), di cui l’art. 24 è certamente sintomatico, ha trovato un li-mite nell’esigenza, successivamente emersa, di sgravare in parte l’attività dell’Agen-te della Riscossione, esonerandolo dell’oneroso compito dell’attività di confezio-namento e notificazione della cartella di pagamento, rendendo al tempo stesso più snella ed efficace l’attività di recupero.

In virtù dell’intervento del 2010, e con decorrenza dal 1° gennaio 2011, l’attività di riscossione relativa al recupero delle somme a qualunque titolo dovute all’INPS, è effettuata mediante la notifica di un avviso di addebito, motivato, con valore di ti-tolo esecutivo, contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligo di pagamento nel termine di sessanta giorni dalla notifica 13.

Tale intimazione è accompagnata dall’avvertimento che, in caso di mancato pa-gamento nel predetto termine, l’Agente della Riscossione porrà in essere tutti gli strumenti attribuitigli dalla legge per la riscossione del credito.

La nuova modalità di riscossione sostituisce la struttura bifasica che caratteriz-zava il procedimento a mezzo ruolo, in ragione della quale l’ente creditore forma il ruolo (elenco di debitori con l’indicazione delle generalità, del periodo di riferimen-to, della natura e dell’ammontare del debito e dei relativi accessori) e lo trasmette all’Agente della Riscossione, che provvede alla formazione e alla notificazione della cartella di pagamento 14.

L’avviso di addebito esecutivo riassume in se quindi la duplice funzione del ti-tolo esecutivo e del precetto, ovvero del ruolo e della cartella di pagamento.

L’avviso di addebito viene notificato, per i soggetti obbligati alla tenuta di un indirizzo di posta certificata, direttamente in via informatica presso tale indirizzo, ovvero previa eventuale Convenzione tra comune e INPS, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale.

L’art. 30 cit. prevede, infine, che i riferimenti contenuti in norme vigenti, al ruo-lo, alle somme iscritte a ruolo e alla cartella di pagamento, si intendono effettuati, ai fini del recupero delle somme dovute a qualunque titolo all’INPS, al titolo ese-cutivo emesso dallo stesso Istituto, costituito dall’avviso di addebito in precedenza descritto nei suoi lineamenti essenziali.

13 Si rinvia a DE LUCA, La riscossione dei contributi previdenziali, Milano, 2012; GHEIDO-CASOTTI, L’avviso di addebito esecutivo per i crediti previdenziali «anticipa» la riscossione dei tributi, in Corr. trib., 2011, p. 2708.

14 Sul procedimento di formazione e la struttura del ruolo: LUBELLI, Evoluzione del sistema di ri-scossione: dal suolo esattoriale all’accertamento esecutivo, in AA.VV., La riscossione dei tributi, a cura di Basilavecchia-Cannizzaro-Carinci, Milano, 2011, p. 43; CARINCI, La riscossione a mezzo ruolo nell’at-tuazione del tributo, Pisa, 2008; DAMASCELLI, op. cit.; CUCCHI, La nuova disciplina della riscossione coattiva mediante ruolo, Padova, 1999; BASILAVECCHIA, Il ruolo e la cartella di pagamento: profili evolu-tivi della riscossione dei tributi, in Dir. prat. trib., 2007, I, p. 127; ID., La riscossione di tributi, in Rass. trib., 2008, p. 22.

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Proprio in forza di tale disposizione, analogamente a quanto previsto in materia tributaria, in relazione alla quale, l’art. 29 del medesimo D.L. 31 maggio 2010, n. 78, ha comportato la concentrazione delle due fasi della riscossione e dell’accertamen-to mediante l’introduzione del c.d. accertamento esecutivo per le imposte sui red-diti, l’IVA e l’IRAP 15, l’iscrizione a ruolo e la notificazione della cartella di paga-mento vengono sostituite dall’emanazione di un atto complesso e suscettibile, a se-guito del decorso del tempo, di assumere la natura di titolo esecutivo legittimante l’esecuzione forzata.

Dunque, l’avviso di addebito esecutivo assorbe, limitatamente all’attività di re-cupero delle somme dovute all’INPS, le funzioni in precedenza svolte dal ruolo e dalla cartella, assumendo la doppia natura di atto “impositivo” ed esattivo 16.

Peraltro lo strumento del ruolo non viene definitivamente a scomparire dal pa-norama della riscossione dei contributi previdenziali dal momento che, per chiara disposizione di legge, l’avviso di addebito esecutivo può essere emesso solamente dall’INPS e può avere ad oggetto sia somme dovute a titolo di contributi previden-ziali ed assistenziali non versati alle rispettive scadenze, sia somme dovute a segui-to di attività di accertamento e vigilanza svolta anche da altri enti.

Tutti gli altri enti previdenziali dovranno continuare a utilizzare lo strumento dell’iscrizione a ruolo, con conseguente notificazione della cartella di pagamento da parte dell’Agente della Riscossione.

In considerazione di tale innovativo intervento normativo, e della norma di adeguamento di cui all’art. 30, comma 14, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, i riferimenti contenuti nella norme di legge vigenti, e dunque anche in quella in esame, all’iscri-zione a ruolo, si intendono effettuati ai fini del recupero delle somme dovute a qua-lunque titolo all’INPS, all’avviso di addebito esecutivo.

15 ATTARDI, Forma, contenuto ed effetti dell’atto di riscossione: dalla cartella all’accertamento esecutivo, in BASILAVECCHIA-CANIZZARO-CARINCI (a cura di), La riscossione dei tributi, Milano, 2011; ID., Accer-tamento esecutivo e superamento del ruolo: profili sistematici, in Il Fisco, 2010, pp. 1-6323; CARINCI, Prime considerazioni sull’avviso di accertamento “esecutivo” ex D.L. n. 78/10, in Riv. dir. trib., 2011, p. 159; ID., L’accertamento esecutivo tra punti fermi e perduranti profili di criticità, in Il Fisco, 2010, pp. 29-2863); COPPOLA, La concentrazione della riscossione nell’accertamento: una riforma dagli incerti profili di ragionevolezza e coerenza interna, in Rass. trib. 2011, p. 1421; GIOVANNINI, Riscossione in base al ruolo e agli atti d’accertamento, in Rass. trib., 2011, p. 22, per una prima ricostruzione delle principali riforme in materia di riscossione operate dal D.L. n. 78/2010, v. altresì LOI, I nuovi avvisi di accerta-mento in materia di IVA e imposte sui redditi, in Boll. trib., n. 13, 2011, p. 981.

16 Le modalità ed i termini di consegna dell’avviso di addebito all’Agente della Riscossione sono stati definiti con la Determinazione del Presidente INPS del 30 luglio 2010, n. 72. In tale documen-to è previsto che l’avviso di addebito, da emettersi in assenza di ricorso amministrativo ovvero, a segui-to di reiezione dello stesso, viene consegnato all’Agente della Riscossione contestualmente all’invio al debitore, mediante trasmissione telematica.

La consegna deve essere effettuata mensilmente: – entro il giorno 25, per i crediti per i quali la scadenza per la formazione dell’avviso si colloca tra i 1° e il 15 di ogni mese; – entro il giorno 10, per i crediti per i quali la scadenza per la formazione dell’avviso si colloca tra il 16 e il 31 del mese.

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Di conseguenza, l’art. 24, che continua a prevedere che la riscossione dei con-tributi previdenziali dovuti e non versati o dovuti a seguito di attività di accerta-mento da parte degli uffici preposti avvenga mediante iscrizione a ruolo, unitamente alle sanzioni e agli interessi maturati alla data della consegna dello stesso all’Agente della Riscossione, è ormai riferibile, quanto alle modalità di riscossione, esclusiva-mente ai contributi gestiti da enti previdenziali diversi dall’INPS.

Per detti enti, difatti, continua a trovare applicazione lo strumento classico del-l’iscrizione a ruolo, seguita dalla notifica della cartella di pagamento.

2. Il regime delle impugnazioni

Tratteggiati i lineamenti dei diversi procedimenti di riscossione dei contributi previdenziali, in particolare di quelli derivanti da attività di accertamento, occorre soffermarsi brevemente sul regime delle impugnazioni esperibili avverso il ruolo, recato nella cartella di pagamento notificata dall’Agente della Riscossione, e, in forza della norma di coordinamento di cui all’art. 30, comma 14, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, conv. con modificazioni L. 30 luglio 2010, n. 122, avverso l’avviso di addebi-to esecutivo.

Ciò al fine di individuare gli effettivi limiti delle diverse forme di tutela esperibi-li nelle varie fasi di accertamento e riscossione dei contributi previdenziali, e me-glio comprendere la portata sistematica della sentenza resa dalla Suprema Corte 17.

Occorre immediatamente evidenziare che l’opposizione ex art. 24, D.Lgs. non costituisce l’unica impugnazione esperibile avverso l’iscrizione a ruolo o la notifica dell’avviso di addebito con valore di titolo esecutivo, essendo in ogni caso propo-nibili le ordinarie opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi.

A differenza di quanto previsto in caso di impugnazione (amministrativa o giuri-sdizionale) dell’atto di accertamento, da cui deriva l’inibizione della successiva fase di iscrizione a ruolo, nell’ipotesi di opposizione al ruolo (ex art. 24, comma 5, D.Lgs. n. 46/1999) la sospensione della riscossione (o dell’esecuzione) è rimessa ad un eventuale provvedimento cautelare da parte del giudice 18.

La differenza è intuitivamente spiegabile: l’impugnazione ai sensi dell’art. 24, comma 5, D.Lgs. n. 46/1999, così come le impugnazioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, hanno ad oggetto una pretesa derivante dall’atto di accertamento dive-

17 V. infra, sub par. 3. 18 L’art. 24, D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 prevede che, esperita l’impugnazione di cui al comma

5, il giudice può sospendere la riscossione dei contributi nell’ipotesi in cui ricorrano “gravi motivi”. Analoga previsione è contenuta nell’art. 29, D.Lgs. n. 46/1999, per il caso in cui venga proposta op-posizione agli atti escuti o all’esecuzione, prima dell’inizio di quest’ultima (qualora dette opposizio-ni siano esperite ad esecuzione iniziata, la sospensione è subordinata alla ricorrenza del duplice pre-supposto dei gravi motivi e del fondato pericolo di grave e irreparabile danno).

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nuto definitivo per mancata impugnazione ovvero confermato a seguito del ricor-so del contribuente; in tale contesto è evidente che la tutela cautelare sia limitata alle ipotesi di ricorrenza di “gravi motivi” operando al contrario in maniera presso-ché automatica, in caso di impugnazione – giurisdizionale o amministrativa – del-l’accertamento.

Quanto ai termini, il ricorso avverso il ruolo recato nella cartella di pagamento o l’avviso di addebito esecutivo per motivi attinenti al merito della pretesa avanza-ta dall’Istituto (e dunque ai sensi dell’art. 24, comma 5, cit.) deve essere proposto entro quaranta giorni dalla notifica di tali atti.

Qualora invece il debitore intenda impugnare il ruolo o l’avviso di addebito contestando il diritto di agire in via esecutiva o la regolarità formale del titolo ese-cutivo o del precetto, dovrà proporre, in virtù del disposto dell’art. 29, D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, opposizione agli all’esecuzione o agli atti esecutivi nelle forme ordinarie, ovvero, giusto il richiamo effettuato dall’art. 168 bis c.p.c., ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c. 19.

Il termine per proporre opposizione gli atti esecutivi è, in forza del disposto dal-l’art. 617 c.p.c., di venti giorni dalla notifica della cartella di pagamento o dell’avvi-so di addebito esecutivo qualora l’esecuzione non sia ancora iniziata.

Successivamente all’inizio dell’esecuzione le opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi devono essere proposte al giudice dell’esecuzione, giusto disposto degli artt. 615 ss. c.p.c.

Il termine per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi precedente-mente all’inizio dell’opposizione è perentorio per espressa previsione di legge.

Competente a conoscere sulle impugnazioni, tanto ex art. 24, comma 5, D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, quanto ex artt. 615 e 617 c.p.c., purché proposte prima dell’inizio dell’esecuzione, è il giudice del lavoro, la cui competenza territoriale è regolata dall’art. 444 c.p.c.

Tale ultima disposizione prevede, al comma 1, che le controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie indicate nell’art. 442 sono di competenza del Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione ha la resi-denza l’attore.

Il successivo comma 3 prevede poi che per le controversie relative agli obblighi dei datori di lavoro e all’applicazione delle sanzioni civili per l’inadempimento di

19 È interessante rilevare che l’art. 29, D.Lgs. n. 46/1999, nell’ammettere le opposizioni all’ese-cuzione e agli atti esecutivi avverso l’iscrizione a ruolo dei contributi previdenziali, esclude espres-samente l’applicabilità a tali procedimenti del disposto dell’art. 57, D.P.R. n. 602/1973, che limita drasticamente la proponibilità di dette azioni, riservando quelle di cui all’art. 615 c.p.c., alla sola con-testazione della pignorabilità dei beni, ed escludendo quelle di cui all’art. 617 c.p.c., se relative alla re-golarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo. Ben potrebbe quindi accadere che un’oppo-sizione ad un atto di esecuzione, fondato su ruolo derivante dal medesimo accertamento “unificato”, sia ammissibile solamente per la parte previdenziale e non per quella tributaria.

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tali obblighi, è territorialmente competente il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, del luogo in cui ha sede l’ufficio dell’ente.

La Corte di Cassazione, in numerose sentenze 20 ha fornito l’interpretazione di tale seconda fattispecie nel senso che la competenza territoriale per le controversie di cui all’art. 444, comma 3, c.p.c., deve essere determinata con riguardo non già al-la sede legale dell’ente previdenziale, bensì all’ufficio – non sempre coincidente con detta sede – che, in quanto investito di potere di gestione esterna, sia legittimato, per legge o per statuto, a ricevere i contributi e conseguentemente a pretenderne giudizialmente il pagamento o a restituirne l’eccedenza.

Tale criterio, in passato sospettato di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 2, 24 e 25 Cost. in quanto ritenuto potenzialmente idoneo a consentire all’Istituto previdenziale di influire sulla competenza giurisdizionale mediante atti di organizzazione interna, è tuttavia stato confermato dalla Corte costituzionale 21.

Considerata la competenza del giudice del lavoro a conoscere tanto delle impu-gnazioni ex art. 24 quanto di quelle ex artt. 615 e 617 c.p.c. proposte precedente-mente all’inizio dell’esecuzione, ben può accadere che il debitore, con unico ricor-so, sollevi sia questioni attinenti al merito della pretesa sia questioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e/o del precetto.

In questo caso, affinché l’opposizione agli atti esecutivi possa essere considera-ta tempestiva, è necessario che il ricorso sia incardinato entro il termine di venti giorni dalla notifica della cartella o dell’avviso di addebito esecutivo.

In tal caso, il giudice sarà correttamente investito di tutte le domande; la succes-siva sentenza sarà impugnabile mediante appello limitatamente alla parte che decide sull’impugnazione ex art. 24 e/o comunque sull’opposizione all’esecuzione, e trami-te ricorso per cassazione per la parte riferibile all’opposizione agli atti esecutivi.

Occorre segnalare tuttavia che, nel caso in cui l’opposizione sia fondata su ec-cezioni di natura sia formale che sostanziale, il giudice dell’opposizione, che riten-ga illegittima l’iscrizione a ruolo per l’esistenza di vizi formali, ovvero dell’avviso di addebito esecutivo, non potrà limitarsi a dichiarare tale illegittimità, dovendo esa-minare la fondatezza nel merito della domanda di pagamento avanzata dall’Istituto previdenziale 22.

Per le opposizioni agli atti esecutivi e le opposizioni all’esecuzione proposte dopo l’inizio di questa, la competenza è attribuita al giudice dell’esecuzione.

20 Cass., sez. lav., 12 ottobre 1987, n. 7558; Cass., sez. lav., 17 aprile 1989, n. 1826; Cass., sez. lav., 25 settembre 1993, n. 9716; Cass., sez. lav., 17 dicembre 1996, n. 11266; Cass., sez. lav., 7 mar-zo 2002, n. 3303; Cass., sez. lav., 23 dicembre 2004, n. 23893.

21 Corte cost., 19 febbraio 1991, n. 477. 22 Cass., sez. lav., 6 novembre 2012, n. 14149 – in senso critico, in dottrina BUONCRISTIANI, Il re-

cupero coattivo del credito previdenziale e il gioco della parti (modalità di notifica della cartella e doman-da riconvenzionale dell’ente), in Riv. it. dir. lav., 2010, p. 593.

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Quanto all’opposizione ex art. 24, commi 4 e 5, D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, la questione circa la natura del termine di quaranta giorni previsto per la sua pro-posizione è stata a lungo oggetto di dibattito in dottrina e giurisprudenza 23.

La problematica è stata ormai risolta, tanto che la giurisprudenza, sia di legitti-mità che di merito, è ormai pacifica nell’affermare la natura perentoria di tale ter-mine 24.

In particolare, la ratio di tale perentorietà è ravvisata nella necessità di rendere incontrovertibile il credito contributivo azionato dell’Istituto 25.

Da ciò deriva, evidentemente, la preclusione per il debitore di contestare la pre-tesa sostanziale con una successiva azione di accertamento negativo 26.

Ai fini che ci interessano, tale preclusione, evidentemente, delimita i limiti del successivo ed eventuale giudizio di opposizione all’esecuzione e/o agli atti esecutivi.

L’art. 24, D.Lgs. n. 46/1999, al comma 5, prevede poi che il ricorso debba esse-re notificato all’ente creditore.

Orbene, tale norma deve essere adattata alla particolare struttura che caratte-rizza la riscossione dei crediti INPS.

Difatti i crediti incartati in avvisi di addebito esecutivi, e precedentemente nei ruoli formati dall’Ente, sono ceduti a titolo oneroso alla società di cartolarizzazione dei crediti INPS (SCCI), la quale emette titoli da collocare sul mercato 27.

All’esito di tale cessione la società di cartolarizzazione diventa l’effettiva titolare del credito.

23 Nel senso della perentorietà del predetto termine si segnalano, in giurisprudenza, Corte app. Venezia, 1° marzo 2005, in Lavoro e giur., 2005, p. 763; Trib. Parma, 9 novembre 2004, in Lavoro e giur., 2005, p. 563; Trib. Milano, 7 marzo 2003, in Lavoro e giur., 2003, p. 889; Trib. Parma, 24 gen-naio 2003, in Lavoro e giur., 2003, p. 556, con nota adesiva di FARRAÙ, Riscossione dei contributi previ-denziali a mezzo ruolo: la controversa natura del termine del termine di opposizione alla cartella; Trib. Vicenza, 23 novembre 2001, in Inf. Prev., 2001, p. 1380; Trib. Modena, 8 giugno 2001, in Lavoro e giur., 2001, p. 847; in dottrina nel medesimo senso della perentorietà del termine, CAPURSO, Per uno studio sulle opposizioni alle iscrizioni a ruolo dei crediti contributivi, in Riv. dir. sic. soc., 2006, p. 196; ID., Iscrizione a ruolo dei crediti contributivi e processo del lavoro, in Lavoro e giur., 2001, p. 124; PERINA, Cessione, cartolarizzazione e riscossione a mezzo ruolo dei crediti contributivi, in Lavoro e giur., 2003, p. 627; ID., Questioni processuali inerenti il ruolo, in Inf. Prev., 2002. Contra, in giurisprudenza, Corte app. Bologna, 2 agosto 2003, in Lavoro e giur., 2004, p. 480, con nota adesiva di NODARI, Crediti con-tributivi: Perentorietà o mera ordinatorietà del termine?; Trib. Udine, 29 luglio 2005, in Lavoro e giur., 2006, p. 57, con nota adesiva di ROSSI, La natura del termine di opposizione a cartella esattoriale; Trib. Ancona, 20 settembre 200; in dottrina in senso intermedio, ALBERTO, Iscrizione a ruolo e termine per l’opposizione: un problema di metodo, in Riv. it. dir. lav., 2007, p. 784.

24 Cass., sez. lav., 27 febbraio 2007, n. 4506, con nota critica di ALBERTO, op. cit.; Cass., sez. lav., 25 giugno 2007, n. 6674; Cass., sez. lav., 5 febbraio 2009, n. 2835; Cass., sez. IV, 19 aprile 2011, n. 8931; Trib. Pistoia 27 gennaio 2011.

25 Cass., sez. lav., 27 febbraio 2007, n. 4506, con nota critica di ALBERTO, op. cit. 26 Di contrario avviso, in dottrina, NICOLINI, I problemi della contribuzione previdenziale, Macera-

ta, 2008, p. 45. 27 BUONCRISTIANI, op. cit.

Cass., sez. lav., 9 aprile 2014, n. 8379 189

L’art. 13, comma 8, L. 23 dicembre 1998, n. 448 prevede la sussistenza di un li-tisconsorzio necessario nel lato passivo tra INPS e società cessionaria del credito in caso di opposizioni successive alla trasmissione dei ruoli o alla notifica degli av-visi di addebito.

Pertanto, in tal caso, il ricorso dovrà essere proposto sia contro l’INPS sia con-tro la società di cartolarizzazione del credito.

Al contrario, il ricorso ex art. 24, vertendo su questioni di merito, non deve es-sere proposto anche nei confronti dell’Agente della Riscossione, non essendo in questo caso configurabile alcun litisconsorzio.

Invero, la norma in commento prevede che, nel caso di sospensione giurisdi-zionale del ruolo o dell’avviso di addebito esecutivo, tale provvedimento debba es-sere notificato all’Agente della Riscossione.

Qualora invece la contestazione del debitore abbia ad oggetto la regolarità formale dell’atto impugnato, e sia quindi qualificabile come opposizione agli atti esecutivi ex art. 615 c.p.c., il ricorso dovrà essere proposto anche nei confronti del-l’Agente della Riscossione, unico soggetto legittimato a difendersi sul punto.

Ulteriori questioni attengono alla eventuale natura sostitutiva della pronuncia giurisdizionale di illegittimità parziale rispetto al provvedimento impugnato e ai rapporti tra le illegittimità formali dell’atto e la verifica della fondatezza nel merito della pretesa avanzata dall’ente.

Quanto al primo profilo, una parte della dottrina 28 aveva sostenuto che, in caso di accertamento della parziale debenza dei contributi ingiunti, il giudice deve limi-tarsi a dichiarare l’illegittimità o l’inefficacia parziale dell’iscrizione a ruolo (o del-l’avviso di addebito) per i crediti portati dalla cartella e ritenuti non dovuti, sicché la cartella resta valida e conserva la sua efficacia esecutiva per la restante parte.

Tale interpretazione ha trovato conforto nella giurisprudenza di legittimità. La Suprema Corte 29 è giunta ad affermare che ove venga accertata, nel giudizio

di opposizione a cartella esattoriale con il quale si contesta la sussistenza del credi-to, la sola parziale fondatezza dell’opposizione, non si determina per questa unica ragione la totale inefficacia della cartella.

In tale ipotesi difatti il giudice è tenuto, anche d’ufficio, dichiarare l’inefficacia della cartella soltanto in relazione alle somme non dovute, potendo imporsi una declaratoria di totale inefficacia solo nel caso in cui, tenuto conto anche della nor-mativa sostanziale applicabile, l’ente creditore non abbia assolto all’onere di prova-re anche nel quantum il suo credito.

Dunque, nel caso di accoglimento parziale dell’opposizione per questioni atti-nenti al merito (ex art. 24, comma 5, D.Lgs. n. 46/1999), la sentenza non costitui-

28 PERINA, Questioni processuali inerenti al ruolo, in Inf. Prev., 2002, p. 1513. 29 Cass., sez. lav., 10 settembre 2009, n. 19502.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 190

sce provvedimento sostitutivo dell’atto impugnato, il quale rimane valido ed effi-cace solamente per la parte confermata dal provvedimento giurisdizionale.

Quanto al secondo profilo, costituisce oramai principio acquisito quello secon-do cui il giudice dell’opposizione alla cartella esattoriale, che ritenga illegittima l’i-scrizione a ruolo, non può limitarsi a dichiarare tale illegittimità, ma deve esamina-re la fondatezza della domanda di pagamento dell’istituto previdenziale, valendo gli stessi principi che governano l’opposizione a decreto ingiuntivo 30.

Il regime delle impugnazioni sopra illustrato, attiene evidentemente ad una fase successiva alla notifica dell’avviso di accertamento e, in ragione della pronuncia in commento, inerisce ad una ambito nel quale la rettifica della dichiarazione dei red-diti operata dall’Agenzia delle Entrate per il mezzo dell’avviso di accertamento uni-ficato, è divenuta incontrovertibile per mancata impugnazione, o rigetto, del ricorso.

L’assetto delle impugnazioni del ruolo e/o dell’avviso di addebito deve essere quindi analizzato alla luce della tutela giurisdizionale riconosciuta al contribuente in sede di ricorso avverso l’atto di accertamento.

3. Il “falso” problema della duplicazione dell’attività giurisdizionale

Alla luce del quadro sopra delineato emerge che il fisiologico regime delle im-pugnazioni, nell’ambito della sequela procedimentale dell’accertamento/riscossio-ne dei contributi previdenziali derivanti da un’attività di verifica ispettiva o da avvi-so d’ufficio, è costituita dall’impugnabilità, in primo luogo, dell’accertamento e, suc-cessivamente del ruolo o, a seconda dei casi, dell’avviso di addebito.

Sono inoltre esperibili le impugnazioni all’esecuzione e agli atti esecutivi di cui agli artt. 615 e 617 c.p.c.

Orbene, nell’ipotesi in cui l’accertamento sia stato emesso dallo stesso Istituto di credito, è evidente che l’impugnazione del ruolo ex art. 24, comma 5, D.Lgs. n. 46/1999, o le opposizioni esperibili nella fase esecutiva, non possano costituire una mera duplicazione del giudizio incardinato avverso l’atto di accertamento.

Tralasciando le opposizioni proponibili a valle dell’iscrizione a ruolo o della no-tifica dell’avviso di addebito, di cui si è trattato retro, occorre ora analizzare i rap-porti tra impugnazione dell’accertamento e quella del ruolo o dell’avviso di addebito per motivi di merito ex art. 24, cit.

L’avviso di accertamento prodromico all’iscrizione a ruolo, se emesso dall’Isti-tuto previdenziale, può essere impugnato, oltre che in sede giurisdizionale, anche in sede amministrativa (art. 24, commi 3 e 4, D.Lgs. n. 46/1999).

30 Cass., sez. lav., 19 settembre 2015, n. 10218; Cass., sez. lav., 27 maggio 2014, n. 11839; Cass., sez. lav., 6 agosto 2012, n. 14149.

Cass., sez. lav., 9 aprile 2014, n. 8379 191

Dal raffronto delle due disposizioni emerge immediatamente una fondamenta-le differenza che sarà fatta oggetto di indagine nel prosieguo: nel caso di impugna-zione amministrativa, a differenza di quella giurisdizionale, l’iscrizione a ruolo deve comunque avvenire entro i termini di decadenza di cui al successivo art. 25.

In questa fase, appare sufficiente rilevare che, una volta accertato il giusto im-ponibile contributivo nell’ambito del giudizio avverso l’accertamento emesso del-l’Istituto, l’impugnazione ai sensi dell’art. 24, comma 5, non potrà più avere lo stes-so oggetto, dovendo essere limitata a questioni evidentemente residuali, attinenti alla fase della riscossione.

La rilevanza del decisum relativo al giudizio avverso il verbale o l’accertamento, ai fini della successiva fase dell’iscrizione a ruolo o di notifica dell’avviso di addebi-to, è confermata dal divieto di intraprendere la riscossione in pendenza dei opposi-zione avverso l’atto prodromico.

Non avrebbe senso difatti sospendere la riscossione in pendenza del ricorso contro l’accertamento, nel caso in cui l’opposizione all’iscrizione a ruolo o all’avvi-so di addebito si risolvesse in una mera ripetizione del giudizio già in essere.

Deve quindi coerentemente ritenersi che l’impugnazione del ruolo ex art. 24, comma 5, D.Lgs. n. 46/1999 sia esperibile, nella maggior parte dei casi, in fattispe-cie connaturate da omissione contributiva.

In questa ultima ipotesi, difatti, il ruolo è preceduto da un mero avviso bonario, e non da un vero e proprio provvedimento impugnabile.

In tale contesto, l’ambito della tutela riconosciuta alla parte privata deve neces-sariamente abbracciare qualsivoglia tipo di contestazione, anche relativa al merito della vicenda che ha dato origine alla maggiore pretesa.

Ciò posto, nel caso di accertamento “unificato” (emesso, quindi, dall’Agenzia delle Entrate) si verifica una scansione procedimentale analoga a quella derivante da verifica ispettiva o avviso d’ufficio da parte dell’Ente previdenziale.

La particolarità è tuttavia costituita dalla scissione delle giurisdizioni nell’ambi-to dell’iter delle impugnazioni esperibili.

L’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate è difatti impugnabi-le dinanzi le competenti Commissioni Tributarie; l’opposizione incardina un giu-dizio di impugnazione volto all’annullamento dell’atto impositivo.

Il maggior imponibile derivante dalla rettifica, operata dall’Agenzia delle Entra-te, e confermata dal giudice tributario, della dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente, costituisce presupposto della maggiore pretesa contributiva 31.

Difatti, così come la contribuzione, nell’ipotesi fisiologica, deriva direttamente dalla dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente, analogamente questa, nell’ipotesi patologica, discenderà dalla dichiarazione “rettificata”, ma ciò solamente

31 Ma v. sul punto nota 1.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 192

– nel caso di impugnazione di detto atto – a seguito della sua conferma da parte del giudice tributario.

La successiva ad eventuale fase di impugnazione del ruolo o dell’avviso di ad-debito, pertanto, non potrà che riguardare aspetti diversi rispetto alla ridetermina-zione dell’imponibile, e relativi esclusivamente al merito della vicenda contributiva quali, ad esempio l’applicazione delle aliquote e/o delle franchigie 32.

Affermare che, nel successivo giudizio di impugnazione del ruolo ex art. 24, comma 5, D.Lgs. n. 46/1999 l’oggetto del giudizio possa riguardare l’esistenza del maggiore imponibile accertato dall’Agenzia delle Entrate, e confermato dalla Com-missione Tributaria, porterebbe difatti ad ammettere, in linea teorica, la scissione del medesimo fatto generatore ai fini dell’imposizione e della contribuzione.

Potrebbe accadere, in detta ipotesi, che un maggiore imponibile “esista” e costi-tuisca base per l’imposizione, e “non esista” ai fini contributivi.

Ad ogni modo, in ossequio alla necessaria armonia del sistema ed al principio della reciprocità dei rapporti sostanziali e processuali, se l’Istituto di credito non può iscrivere a ruolo o notificare l’avviso di addebito sulla base del maggiore im-ponibile derivante dall’impugnazione dell’avviso di accertamento “unificato” annul-lato dal giudice tributario, analogamente il contribuente, nel caso in cui l’avviso sia stato confermato, non potrà, nel giudizio avverso il ruolo o l’avviso di addebito, tor-nare e dedurre l’insussistenza del maggiore imponibile accertato.

Per vero, ogni possibile effetto distorsivo è comunque escluso ab origine dall’in-terpretazione offerta dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento.

La Suprema Corte difatti, affermato che il differimento dell’iscrizione a ruolo o della notifica dell’avviso di addebito, in caso di impugnazione dell’accertamento, trovi applicazione anche agli atti emessi da soggetti diversi dall’Istituto previden-ziale, ha salvaguardato il principio di corrispondenza tra imponibile fiscale e contri-butivo, evitando alla radice qualsivoglia ipotesi di inutile duplicazione di procedi-menti giurisdizionali e di contrasto di giudicati.

Tale interpretazione, rispettosa del dato letterale, ma anche della ratio della di-sposizione, salvaguarda il principio di economicità dell’azione amministrativa ed evita la duplicazione di giudizi aventi ad oggetto i medesimi fatti generatori.

32 In ragione di ciò non sembra pienamente condivisibile l’assunto di CANNIZZARO, L’impugna-zione dell’accertamento “sospende” la riscossione dei contributi previdenziali, in Corr. trib., 2014, p. 2025, secondo cui la stretta dipendenza tra l’accertamento fiscale e quello previdenziale non impat-terebbe, allo stato, sulla tutela giurisdizionale, in quanto il contribuente dovrebbe infatti seguire due strade diverse: l’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate e il ruolo previdenziale, con conseguente rischio di conflitto. In considerazione, difatti, dei diversi margini di tutela ammessi avverso l’accertamento, tramite lo strumento del ricorso tributario, e l’iscrizione a ruolo, tramite l’impugnazione ex art. 24, cit., nessun contrasto di giudicati è configurabile. Tale se-conda azione resta difatti circoscritta a questioni differenti rispetto a quelle già affrontate nella pre-cedente fase del ricorso tributario.

Cass., sez. lav., 9 aprile 2014, n. 8379 193

In ragione di tale interpretazione sembrerebbero superati i rimedi proposti dal-la dottrina, ci si riferisce in particolare alla sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., e all’allargamento della giurisdizione tributaria alla materia previdenziale.

La Corte di Cassazione, poi, ha escluso che l’inibizione dalla riscossione dei contributi, in caso di impugnazione dell’avviso di accertamento “unificato” possa o-perare solamente ove l’Ente previdenziale sia stato messo a conoscenza dell’inter-venuta proposizione del gravame nei confronti dell’avviso di accertamento “unifi-cato” emesso dall’Agenzia delle Entrate.

Anche il fondamento di tale affermazione è rinvenuto nel dato letterale di cui all’art. 24, comma 3, il quale non subordina l’effetto inibitorio nei confronti della riscossione alla conoscenza, da parte dell’Istituto, della pendenza della lite avverso l’accertamento.

Così ricostruito il regime delle impugnazioni avverso l’atto di imposizione e l’atto di esazione, al fine di evitare fenomeni di duplicazione di tutela e di possibili contrasti di giudicato, si ritiene evidente la sussistenza di un rapporto tra azioni, in base al quale il decisum relativo all’atto di accertamento, anche se effettuato da giu-dice tributario in sede di impugnazione dell’avviso di accertamento unificato, non può essere rimesso in discussione nella successiva fase di impugnazione del ruolo o dell’avviso di addebito esecutivo ai seni dell’art. 24, comma 5, D.Lgs. n. 46/1999.

Inoltre, la lettura in combinato disposto dell’art. 24, commi 3 e 4, consente di ul-teriormente indagare in merito ai presupposti per l’iscrizione a ruolo o per la notifica dell’avviso di addebito in presenza di impugnazione dell’avviso di accertamento.

Come anticipato retro, l’Ente previdenziale non ha la possibilità di iscrivere a ruolo (o di notificare l’avviso di addebito) nel caso in cui l’accertamento da cui deriva il cre-dito sia stato gravato da impugnazione, sia essa amministrativa o giurisdizionale.

Tuttavia, se nel caso di contestazione amministrativa, la norma prevede espres-samente che l’iscrizione a ruolo è eseguita dopo la decisione del competente orga-no amministrativo «e comunque entro i termini di decadenza previsti dall’art. 25» analoga precisazione non è contenuta nel precedente comma, relativo all’impu-gnazione dinanzi l’Autorità giudiziaria, il quale prevede semplicemente che «l’i-scrizione è eseguita in presenza di un provvedimento esecutivo del giudice».

In altri termini, nel caso di impugnazione dinanzi l’Autorità giudiziaria, la so-spensione della successiva attività di riscossione, a differenza di quanto previsto in presenza di gravame amministrativo, non è condizionata dai termini di cui all’art. 25, che quindi ben possono essere superati.

Ne deriva che, in caso di impugnazione giurisdizionale dell’accertamento, la successiva iscrizione a ruolo (o notifica dell’avviso di addebito) parrebbe essere fon-data non più sulla base dell’originario avviso di accertamento, ma sulla quella del provvedimento esecutivo del giudice 33.

33 Se dunque nell’ambito dei rapporti tra procedimento/processo tributario può ragionevolmente

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 194

Oltre che ad un rapporto tra azioni, la norma sembra introdurre pertanto una condizione di procedibilità della fase esecutiva, dal momento che, in ragione della proposizione del ricorso giurisdizionale, l’iscrizione a ruolo o la notifica dell’avviso di addebito non possono legittimamente essere effettuate se non in presenza di un provvedimento esecutivo del giudice 34.

La sentenza consente, infine, di svolgere alcune ulteriori riflessioni in merito all’ipotesi in cui l’ente previdenziale, non venuto a conoscenza dell’impugnazione dell’avviso di accertamento “unificato”, attivi il procedimento di riscossione me-diante iscrizione a ruolo o la notifica di avviso di addebito.

In passato è stato sostenuto, evidentemente sulla base del principio della preva-lenza delle situazioni giuridiche sostanziali in favore di quelle formali, che non sa- affermarsi che la sentenza delle Commissioni Tributarie non ha affetto sostitutivo dell’atto impu-gnato, e che, a seguito del rigetto del ricorso del contribuente «la pretesa cessa di essere un proble-ma del processo per tornare ad essere oggetto di attività amministrativa», seppure nei limiti di cui all’art. 68, D.Lgs. n. 546/1992, v. BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela, cit., p. 144, sembrerebbe potersi affermare che la proposizione del gravame dinanzi l’Autorità giudiziaria com-porti la rinuncia all’accertamento quale titolo legittimante la successiva attività di riscossione, con perdita di rilevanza dei relativi termini, e con la precisazione che la predetta iscrizione a ruolo (o notifica dell’avviso di addebito esecutivo) dovrà avvenire in presenza di un provvedimento esecuti-vo del giudice.

34 Sotto questo profilo l’indagine evoca il dibattito, non affrontato ex professo in questa sede in quanto non strettamente rilevante ai fini che qui occupano, che ha coinvolto la dottrina tributaristi-ca, nell’ambito delle contrappose teorie dichiarativiste e costitutiviste, in merito alla figura del ruolo d’imposta. Orbene, se nell’ambito della concezione dichiarativista l’iscrizione a ruolo aveva rilevan-za ai soli dell’esigibilità, in terminis GIANNINI, Istituzioni di Diritto tributario, Milano, 1972, p. 90, le posizioni dei sostenitori della teoria costitutivista appaiono più articolate ma comunque riconduci-bili a due principali orientamenti. Secondo il primo orientamento, v. BERLIRI, Principi di Diritto tri-butario, III, Milano, 1964, p. 288 ss., nelle imposte riscosso a mezzo ruolo, proprio quest’ultimo atto ha l’effetto di costituire l’obbligazione tributaria. In termini sostanzialmente analoghi anche INGROS-SO, Diritto finanziario, Napoli, 1954, p. 325. Il secondo orientamento sviluppatosi in seno ai costituti visti è riconducibile ad ALLORIO, Diritto processuale tributario, Torino, 1969, p. 91, che riconduce all’atto di accertamento la natura di atto impositivo ricollegava al ruolo il diritto per il creditore ad agire in via esecutiva.

La tesi di Allorio è stata condivisa tra gli altri da COCIVERA, L’iscrizione a ruolo del debito d’im-posta, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1950, I, p. 279, TESAURO, Il rimborso dell’imposta, Torino, 1975, p. 173 Con il superamento del concetto dell’unicità dell’obbligazione tributaria, v. PAPARELLA, Le situazioni giu-ridiche soggettive e le loro vicende, in FANTOZZI (a cura di), Diritto tributario, Torino, 2011, p. 497 venne attenuto anche il dibattito tra le due teorie dichiarativista e costitutivista. All’esito del superamento del concetto di unicità dell’obbligazione tributaria una parte della dottrina, GLENDI, L’oggetto del proces-so tributario, Padova, 1984, p. 131, ha ritenuto superato l’interesse che si era incentrato sul ruolo quale atto costitutivo dell’obbligazione mentre altri Autori hanno spostato l’interesse in relazione alla funzione svolta dal ruolo nell’ambito dell’attuazione del prelievo tributario, tentando di ricondurre il ruolo nell’ambito dell’alternativa tra atto di accertamento e atto di riscossione. In tal senso in par-ticolare, CARINCI, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, cit., FREGNI, Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1998, p. 74, MAGNANI, Il processo tributario, Padova, 1965, FALSITTA, Il ruolo di riscossione, Padova, 1972.

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rebbe possibile ricollegare alcuna decadenza in capo a quel contribuente che, tem-pestivamente contestato l’avviso di accertamento “unificato”, non abbia impugna-to la successiva cartella di pagamento recante il ruolo emesso dall’Istituto previden-ziale 35.

Tuttavia, sia l’assenza di qualsivoglia onere di comunicazione, nei confronti del-l’Istituto previdenziale, dell’intervenuta impugnazione dell’avviso di accertamento “unificato”, sia il regime delle invalidità dell’atto amministrativo, che non ricollega alla illegittimità del provvedimento la sua inefficacia, sembrano portare alla con-clusione opposta.

Sotto il primo profilo, in assenza di un obbligo informativo in merito all’inter-venuta impugnazione dell’avviso di accertamento, l’Istituto previdenziale potrebbe iscrivere a ruolo o notificare l’avviso di addebito sulla base dell’accertamento “uni-ficato”.

Solo il ricorso avverso il ruolo recato nella cartella di pagamento o l’avviso di addebito esecutivo consentirebbe all’Istituto di venire a conoscenza dell’interve-nuta proposizione del ricorso avverso l’accertamento “unificato”.

Qualora il contribuente ometta di impugnare il ruolo o l’avviso di addebito, l’A-gente della Riscossione e l’Istituto previdenziale, non sarebbero informati dell’in-tervenuta proposizione del gravame avverso l’accertamento “unificato”, né al mo-mento del ricorso dinanzi le Commissioni Tributarie (non vi è alcun obbligo in tal senso), né al momento in cui il debitore riceve la cartella di pagamento.

Deve quindi ritenersi che mancata impugnazione dell’atto di riscossione – sia esso ruolo o avviso di addebito – comporti, la cristallizzazione del credito e l’at-tivazione di ogni attività esecutiva volta al recupero coattivo delle somme.

Sul punto, preso atto dei diversi orientamenti dottrinali che definiscono la fun-zione del ruolo nell’ambito del procedimento della riscossione 36, ammettendo o

35 V. VALLEBONA, op. cit., secondo la ricostruzione dell’Autore «Si può comunque escludere che la mancata impugnazione del ruolo previdenziale, quando pende ricorso avverso l’accertamento del mag-gior reddito, comporti decadenze in capo al contribuente. L’impugnazione (…) potrebbe essere am-messa per i consueti profili cautelari connessi alla riscossione in pendenza di giudizio e alle possibilità di sospensiva. Tuttavia sarebbe assurdo collegare una decadenza alla mancata impugnazione di un atto di riscossione, mentre pende il processo sull’atto di accertamento del maggior reddito. L’esito di que-st’ultimo processo, per quanto attiene alla determinazione del reddito, si rifletterebbe comunque ai fini previdenziali indipendentemente dalla impugnazione o meno dell’atto di riscossione».

36 Orbene, se non può essere messo in dubbio che la mancata impugnazione dell’avviso di adde-bito, in quanto atto sostanzialmente riconducibile alla struttura dell’accertamento, porti alla defini-tività della pretesa, più complessa appare la questione relativa all’eventuale attitudine del ruolo, re-cato nella cartella di pagamento, a determinare una cristallizzazione del credito. Sul punto la dottri-na ha visto contrapporsi due diverse tesi, tale funzione del ruolo in particolare è stata negata da RUSSO, Il nuovo processo tributario, Milano, 1974, p. 528, FALSITTA, op. cit., p. 329; TESAURO, op. cit., p. 172, e da DE MITA, Le iscrizioni a ruolo delle imposte sui redditi, Milano, 1979, p. 109. In senso contrario TREMONTI, Imposizione e definitvità nel diritto tributario, Milano, 1977, p. 249, GLENDI, op. cit., p. 289.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 196

escludendo che a detto atto possa attribuirsi l’effetto di stabilizzare la pretesa in esso recata, la convinzione di chi scrive si riferisce ad una fattispecie patologica (iscrizione a ruolo e/o notifica dell’avviso di addebito esecutivo in presenza di im-pugnazione del prodromico avviso di accertamento).

In questo ambito non può ignorarsi che, se nel fisiologico dispiegamento dei procedimenti accertativo-riscossivo, la dottrina maggioritaria non attribuisce la fun-zione di stabilizzazione della pretesa, ma di renderla esigibile, esiste una regola pro-cessuale 37 che introduce un onere di impugnazione, e ricollega ad esso un rigido regime di decadenze.

In tale contesto, e nella patologia del procedimento, costituita dall’iscrizione a ruolo o dalla notifica dell’avviso di addebito in assenza del provvedimento esecutivo del giudice, il contribuente sarebbe comunque tenuto ad impugnare l’atto di riscos-sione al fine di denunciare l’assenza di titolo legittimante la riscossione.

L’Agente della Riscossione, difatti, sulla base della presa in carico dell’avviso di addebito o della mancata impugnazione del ruolo recato nella cartella di pagamen-to sarebbe legittimato ad iscrivere ipoteca, fermo amministrativo, e a procedere a esecuzione forzata.

Ove, ragionando in via ipotetica, la mancata impugnazione dell’atto di riscos-sione illegittimamente emesso in presenza di gravame avverso l’accertamento, fos-se priva di conseguenze per il contribuente, quest’ultimo ben potrebbe omettere la tempestiva contestazione dell’atto esattivo, riservandosi tale “facoltà” solamente al momento dell’opposizione all’atto di esecuzione, con evidente dispendio di attivi-tà amministrativa.

Ed anzi si potrebbe arrivare a ipotizzare che il contribuente si determini ad ec-cepire tale vizio quale nullità insanabile e/o inesistenza giuridica originaria dell’at-to esattivo, opponendolo in sede di esecuzione, anche successivamente all’even-tuale rigetto del ricorso tributario, con conseguente impossibilità da parte dell’Isti-tuto previdenziale di procedere a nuova iscrizione e ruolo o notifica di avviso di addebito per intervenuto spirare del termine decadenziale.

Orbene, operando l’inibizione dall’attività di riscossione indipendentemente dal-la conoscenza, da parte dell’Istituto previdenziale, della proposizione del ricorso avverso l’avviso di accertamento “unificato”, si deve ragionevolmente concludere che il contribuente sia onerato di eccepire tempestivamente la violazione dell’art. 24, comma 3 al momento della ricezione dell’atto di riscossione.

Del resto, sotto il secondo profilo, e ragionando in una logica di sistema, è evi-dente che l’illegittimità del provvedimento (nel caso di specie ruolo o dell’avviso di addebito) per violazione del divieto di attivazione della riscossione, costituisce motivo di illegittimità (e nel caso di specie, forse addirittura di nullità 38 – v. infra),

37 Art. 19, D.Lgs. n. 546/1992. 38 Non sembra che sussistano i presupposti per ricondurre il vizio di che trattasi alle ipotesi nulli-

Cass., sez. lav., 9 aprile 2014, n. 8379 197

da far comunque valere attraverso l’impugnazione dell’atto. Tale illegittimità dovrà essere comunque denunciata tramite l’impugnazione

dell’atto notificato in violazione del divieto previsto dalla legge, e nello specifico dal-l’art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 46/1999.

Sul punto è utile un confronto tra la fattispecie in esame, caratterizzata dall’e-missione dell’atto esattivo in pendenza di impugnazione avverso l’atto di accerta-mento che, in forza del disposto dell’art. 24, comma 3, D.L.gs. n. 46/1999, è ini-doneo a fondare la riscossione in assenza di un provvedimento esecutivo del giudi-ce, con quella della omessa notifica dell’atto prodromico nell’ambito del procedi-mento di accertamento-riscossione dei tributi.

In relazione a tale seconda fattispecie, nella quale il profilo di illegittimità appa-re ben più grave (omissione di un atto tipico all’interno della sequela procedimen-tale) rispetto a quello della notifica dell’atto di riscossione in pendenza di impugna-zione dell’accertamento, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito agli ef-fetti dell’omissione della notifica di un atto all’interno del procedimento di forma-zione della pretesa tributaria 39.

Dette pronunce hanno espresso principi in gran parte applicabili anche nell’am-bito del procedimento di riscossione dei contributi previdenziali in ragione della sovrapponibilità degli strumenti nonché della analoga sequela del procedimento.

Le Sezioni Unite hanno affermato che la correttezza del procedimento di for-mazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatali, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa.

Hanno poi chiarito che l’omissione, nell’ambito della sequela procedimentale, di un atto tipico, comporta la nullità dell’atto successivo.

Il principio enunciato dalle Sezioni Unite, rilevante ai fini che ci occupano, ri-guarda la natura dell’invalidità dell’atto successivo emesso in assenza di quello pro- tà (in senso stretto) del provvedimento amministrativo ai sensi dell’art. 21 septies, L. 7 agosto 1990, n. 241, la cui sussistenza darebbe vita ad un’ipotesi inefficacia dell’atto, v. CERULLI IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, 2006, p. 472, per un ulteriore approfondimento si rimanda CIVI-TARESE MATTEUCCI, La forma presa sul serio, Torino, 2006, p. 2013 ss. In merito all’applicabilità della L. n. 241/1990, così come novellata dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15 alla materia tributaria ed alle rica-dute sul regime delle invalidità degli atti impositivi v. DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed inte-grazione giuridica europea, Milano 2010, ID., L’evoluzione del procedimento nell’azione impositiva: ver-so l’amministrazione di risultato, in questa Rivista, 2013, p. 851.

39 V., tra le altre, Cass., sez. un., 25 luglio 2007, 16412, con nota di MARELLO, Le Sezioni Unite sanci-scono la nullità dell’avviso di mora non preceduto da cartella di pagamento, in Giur. it., n. 2, 2008, e con nota di INGRAO, L’omessa notifica dell’atto presupposto tra vizio del procedimento e vizio proprio dell’“atto consequenziale”, in Riv. dir. trib., 2007, p. 544; Cass., sez. un., 4 marzo 2008, n. 5791, con nota di CAR-DILLO, “Atto successivo” non preceduto dalla notifica dell’atto presupposto, in Riv. dir. trib., 2009, p. 2.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 198

dromico (ipotesi assimilabile a quella in cui l’Ente previdenziale proceda a iscri-zione a ruolo o a notifica di avviso di addebito prima della definizione del giudizio avente ad oggetto l’avviso di accertamento e dell’emissione di un provvedimento esecutivo del giudice) nonché i margini di difesa del contribuente.

Affermato che quella invalidità deve essere ricondotta nell’ambito della nullità, le Sezioni Unite hanno tuttavia precisato che tale nullità deve comunque essere ec-cepita mediante l’impugnazione dell’atto successivo 40.

Applicando tali principi al caso di specie si può ipotizzare che il ruolo recato nella cartella di pagamento, o l’avviso di addebito esecutivo, viziati per violazione del di-vieto di cui all’art. 24, comma 3, cit., ove non tempestivamente impugnati, diven-gono definitivi e irretrattabili e, ai sensi dell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, non po-tranno più essere contestati in sede di impugnazione di successivi atti.

La soluzione proposta è, peraltro, confermata dalla stessa natura, pacificamente perentoria, del termine per proporre opposizione al ruolo o all’avviso di addebito ex art. 24, D.Lgs. n. 46/1999.

La conseguenza della mancata proposizione dell’impugnazione avverso il ruolo o l’avviso di addebito è difatti la definitiva irretrattabilità del credito 41.

Si deve quindi concludere ne senso che, nell’ipotesi in cui l’Ente previdenziale, in pendenza del ricorso avverso l’avviso di accertamento unificato, dia impulso alla riscossione.

Il contribuente è dunque onerato di impugnare tempestivamente il ruolo reca-to nella cartella di pagamento o l’avviso di addebito.

4. Conclusioni

La stretta dipendenza dell’imponibile contributivo da quello fiscale determina che, affinché sia possibile procedere alla riscossione dei contributi previdenziali deri-vanti da accertamento tributario “unificato”, la rettifica della dichiarazione presenta-

40 La conseguenza dell’obbligo di impugnazione dell’atto nullo per mancata notifica dell’atto pro-dromico è confermato da MARELLO, op. cit., secondo cui la posizione delle Sezioni Unite «ammanta un sistema delle invalidità che resta monista, che conosce la sola annullabilità e che non ravvisa nella mancata notifica dell’atto presupposto un vizio di gravità diversa da quelli ordinari; questo anodino “vizio di procedura”, nel decisum della Corte resta un vizio causa di annullabilità: se il contribuente non impugna l’avviso di mora (da solo o congiuntamente), l’atto consolida irrimediabilmente i pro-pri effetti». V. anche INGRAO, op. cit., il quale precisa che, anche nell’ipotesi in cui l’omessa notifica dell’atto prodromico venga inquadrata nell’ambito del vizio della procedimento e non dell’atto, re-sta comunque fermo il principio secondo cui la non impugnazione dell’atto consequenziale notifica-to ne consolida i suoi effetti, con la conseguenza che l’Agente della Riscossione dà corso alla proce-dura esecutiva, senza che il contribuente possa eccepire la mancata notifica dell’atto originario dal quale scaturisce la pretesa impositiva.

41 Ma vedi note 24 e 25.

Cass., sez. lav., 9 aprile 2014, n. 8379 199

ta dal contribuente – qualora impugnata – sia stata confermata dal giudice tributario. Tale principio, emergente dalla sentenza in commento, ma invero già adombrato

dall’INPS nella propria prassi, seppure in relazione alla pressoché analoga fattispe-cie di proposizione di gravame amministrativo 42, risulta del tutto condivisibile ed in armonia del quadro normativo di riferimento; consente inoltre di superare alla radice qualsivoglia possibile ipotesi di duplicazione di procedimenti giurisdizionali e di contrasto di giudicati.

In ragione di tale corretta interpretazione la riscossione dei contributi previ-denziali derivanti da accertamento tributario “unificato” avviene evidentemente in un momento successivo rispetto a quella dei tributi accertati.

Né potrebbe rilevarsi in ciò un’incongruenza di sistema 43, in considerazione del fatto che i tributi accertati vengono riscossi anche in pendenza di giudizio ex art. 68, D.Lgs. n. 546/1992 mentre i maggiori contributi derivanti dallo stesso accer-tamento sono riscossi solo a seguito di definizione del contenzioso tributario 44.

La non riscuotibilità dei contributi previdenziali in presenza di impugnazione dell’accertamento, difatti, non deriva dalla mera inapplicabilità delle disposizioni sulla riscossione in pendenza di giudizio alla porzione del credito recata nella parte “contributiva” dell’accertamento “unificato”, quanto piuttosto da una precisa scel-ta legislativa relativa a tutti i casi in cui l’accertamento (anche se emesso dallo stes-so Ente previdenziale) sia gravato da impugnazione.

Tale scelta è sancita espressamente dall’art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 46/1999, il quale esclude che un credito contributivo il cui accertamento sia ancora in conte-stazione possa dar vita ad iscrizione a ruolo ovvero a notifica di avviso di addebito.

In considerazione di ciò si ritiene che soluzione offerta dalla Corte di Cassazio-ne abbia definitivamente chiarito i rapporti tra le impugnazioni dell’avviso di ac-certamento “unificato” e la riscossione del credito contributivo, nel senso che tale fattispecie non costituisce eccezione rispetto all’assetto ordinario previsto dall’art. 24, D.Lgs. n. 46/1999.

Seppure con motivazione sintetica e ancorata a un’interpretazione puramente letterale la Corte ha espresso un principio che si incardina perfettamente nella logica sistematica del regime delle impugnazioni delineato dall’art. 24, D.Lgs, n. 46/1999 e che, con ogni probabilità, verrà confermato dalla successive pronunce.

Alberto Amori

42 V. Circolare INPS 13 dicembre 2010, n. 168. 43 Sul punto v. CANNIZZARO, op. cit., secondo cui, al fine di ovviare a tale ritenuta incongruenza,

sarebbe auspicabile l’inclusione delle liti aventi ad oggetto i contributi previdenziali nell’ambito del-la giurisdizione tributaria.

44 Sul punto v. nota 33.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 200

Cass., sez. trib., sent. 20 marzo 2015, n. 5639 – Pres. Piccininni, Rel. Olivieri Consorzi per le aree di sviluppo industriale – Interesse pubblico – Canoni con-sortili – Potestà impositiva – IVA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In riforma della decisione di primo grado, la Commissione tributaria della regione

Sicilia con sentenza 1.10.2007 n. 88, accogliendo l’appello dell’Ufficio di Caltanissetta della Agenzia delle Entrate, dichiarava legittimi gli avvisi notificati al Consorzio ASI di Caltanissetta, con i quali venivano determinate le maggiori imposte dovute a titolo IVA, IRPEG ed ILOR per l’anno 1997 in relazione a ricavi non contabilizzati, oltre le san-zioni irrogate per dichiarazione infedele ed omessa fatturazione.

Rilevava la Commissione territoriale che al Consorzio ASI doveva riconoscersi natu-ra di soggetto passivo d’imposta, trattandosi di ente pubblico economico, ai sensi della L. n. 317 del 1991, al quale si applicava la normativa prevista per le società per azioni (D.L. n. 149 del 1993 conv. in L. n. 237 del 1993). Nel caso concreto rimaneva accer-tato lo svolgimento di attività imponibile da parte del Consorzio, in quanto: a) l’ente aveva affidato direttamente, senza alcun intervento autorizzativo od assenso preventi-vo della Regione Sicilia, l’incarico di progettazione ad alcuni professionisti i quali ave-vano poi provveduto a fatturare i corrispettivi al Consorzio ASI, ciò che escludeva che il Consorzio avesse agito come longa manus (funzionario delegato) dell’ente regiona-le; b) la Regione Sicilia aveva erogato un finanziamento pubblico al Consorzio ASI, a copertura delle spese tecniche da questo sostenute per la realizzazione dell’opera pub-blica i cui lavori erano stati eseguiti dal Consorzio ASI “in piena autonomia e respon-sabilità”.

Avverso la sentenza, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione il Consor-zio ASI, deducendo quattro mezzi, ai quali resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate, svolgendo difese esclusivamente in relazione al primo ed al secondo motivo di ricorso.

Il Consorzio ha depositato memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE (Omissis) Premesso che la delegazione di competenze amministrative – sia nella forma inte-

rorganica che trova titolo nel rapporto organizzativo di gerarchia o direzione che infor-ma i pubblici uffici, sia in quella intersoggettiva, ove espressamente prevista dalla legge

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 202

ordinaria – è istituto, peculiare al diritto pubblico, e realizza un’ipotesi di conferimento, da parte dell’ente – o dell’organo – delegante, il quale è investito in via originaria ex lege della competenza a provvedere in una determinata materia, del relativo potere autori-tativo ad altro soggetto – od organo –, in virtù del quale quest’ultimo diviene, nei con-fronti dei terzi medesimi, unico titolare delle situazioni soggettive, attive e passive, cor-relate all’esercizio delle attribuzioni delegate, così rispondendo in proprio delle obbli-gazioni assunte (cfr. Corte cass. 1 sez. 29.10.2003 n. 16281; id. 2 sez. 20.4.2006 n. 9284), e considerato che, in via generale, il rapporto di delegazione amministrativa che da luogo, verso l’esterno, ad una responsabilità esclusiva del delegato (e tale che – salva ovviamente la ipotesi in cui il potere conferito venga espressamente revocato dalla au-torità delegante – gli atti emessi nell’esercizio del potere delegato sono a quello esclu-sivamente imputabili, non essendo quindi ipotizzabile un concorrente esercizio del medesimo potere da parte del delegante), deve necessariamente trovare fondamento – trattandosi di rapporto intersoggettivo – in una norma di legge ed in un atto tipizza-to (decreto di delega; provvedimento di concessione amministrativa traslativa) che definisce la misura del potere che viene delegato, con la conseguenza che la prova della esistenza e dei limiti di tale potere non può che essere data attraverso l’atto ammini-strativo di delega, ebbene tutto ciò premesso osserva il Collegio che l’esame del moti-vo, inteso a censurare la sentenza nella parte in cui riconosce la natura di “ente pubblico economico” al Consorzio ASI di Caltanissetta, in contrasto con la L.R. (n. 1 del 1984) che qualifica detti Consorzi come “enti pubblici istituzionali” (dovendo ritenersi le successive Leggi Statali n. 317 del 1991 e Legge Statale n. 237 del 1993 – secondo l’as-sunto della parte ricorrente – invasive dell’ambito di competenza legislativa riservata dallo Statuto speciale alla regione Sicilia nella materia della “Industria”), appare reces-sivo rispetto all’esame degli altri motivi di ricorso, atteso che, sia in materia di imposte sui redditi, per il combinato disposto dall’art. 88 TUIR (...), sia in materia IVA, secon-do quanto dispone il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4 (...), emerge che anche l’ente pub-blico che non svolge in modo abituale attività economica (ente pubblico strumentale od istituzionale) rimane comunque soggetto alla applicazione dell’IVA e delle II.DD., qualora ricorrano i rispettivi presupposti impositivi, e dunque nel caso in cui abbia ef-fettuato operazioni attive da cui derivino redditi imponibili anche nel caso in cui detto ente agisca in veste di pubblica autorità.

L’art. 4 della direttiva CEE del Consiglio in data 17 maggio 1977 n. 388 (Sesta di-rettiva del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari. Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme), considera infatti soggetto passivo d’imposta chiunque eser-citi in modo indipendente un’attività economica dalla quale ritragga introiti aventi un certo carattere di stabilità (art. 4, paragr. 1 e 2).

Al principio generale di assoggettabilità ad imposta deroga la disposizione del par. 5 del medesimo art. 4, che sottrae al regime IVA «Gli Stati, le regioni, le province, i co-muni e gli altri organismi di diritto pubblico ... per le attività od operazioni che esercitano in

Cass., sez. trib., sent. 20 marzo 2015, n. 5639 203

quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepi-scono diritti, canoni, contributi o retribuzioni, venendo tuttavia di nuovo ripristinata la re-gola generale di imponibilità se la deroga comporti “distorsioni di concorrenza” di una certa importanza».

Orbene la norma dell’art. 4, paragr. 5 della Sesta direttiva è stata interpretata nel senso che le attività esercitate “in quanto pubbliche autorità” sono soltanto quelle svolte dagli enti di diritto pubblico nell’ambito del regime giuridico loro proprio, e-scluse le attività da essi svolte in forza dello stesso regime cui sono sottoposti gli opera-tori economici privati (cfr. Corte di Giustizia CE, sentenza in data 17 ottobre 1989, cause riunite C-231/87 e C-129/88, Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Fioren-zuola d’Arda ed altri contro Comune di Carpaneto Piacentino ed altri; Corte di Giustizia UE (grande sezione) del 16 settembre 2008, in causa C-288/07, Commissioners of Her Majesty’s Revenue & Customs contro Isle of Wight Council e altri), ed è stato, pertanto, chiarito che “l’analisi di questa norma, alla luce degli obiettivi della direttiva, mette in evidenza che per l’applicazione dell’esenzione devono essere congiuntamente soddisfatte due condizioni, vale a dire l’esercizio di attività da parte di un ente pubbli-co e l’esercizio di attività in veste di pubblica autorità” (cfr. Corte di Giustizia CE sen-tenza 11 luglio 1985, in causa C-107/84, Commissione Repubblica federale di Ger-mania; id. sentenza 26 marzo 1987, in causa C-235/85, Commissione Regno dei Paesi Bassi, entrambe richiamate nella sentenza 17.10.1989 cit.) – Tanto premesso appare evidente come la qualificazione legale del Consorzio ASI come ente pubblico “stru-mentale” od ente pubblico “economico”, possa rilevare al fine di individuare il caratte-re esclusivo o prevalente della natura commerciale dell’attività svolta, ma non appaia affatto determinante ai fini della esclusione dell’assoggettabilità alle imposte sui redditi ed all’IVA, dovendo questa essere esaminata in relazione alla natura ed all’oggetto del-l’attività o della operazione in concreto svolta dal Consorzio.

In proposito è stato chiarito come, anche dopo la qualificazione di “enti pubblici economici” attribuita dalla L. n. 317 del 1991, art. 36, comma 4, ai consorzi per le aree di sviluppo industriale – previsti dal D.P.R. n. 1968 del 1978, art. 50 – non è stata im-mutata la struttura di tali enti, né i compiti e le attribuzioni, che attengono a funzioni pubblicistiche di interesse generale, “prevalenti rispetto alle eventuali attività di tipo imprenditoriale”, in particolare, venendosi ad inquadrare nell’ambito dei poteri autori-tativi afferenti all’assetto e alla industrializzazione del territorio le attività provvedi-mentali relative alla individuazione dei privati futuri assegnatari di aree da espropriare (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 781. del 16/11/1999; id. Sez. U, Sentenza n. 14293 del 15/06/2010). Tali Consorzi, che sono inclusi dall’allegato 1 alla direttiva CEE 14 giugno 1993, n. 93/37 tra le categorie di “organismi di diritto pubblico” ai quali si applica la disciplina comunitaria dettata per gli appalti di valore superiore ad un de-terminato importo, esercitano infatti anche poteri di pianificazione urbanistica attuativa e di esecuzione d’infrastrutture nell’ambito delle aree individuate del territorio regionale, sulla base di convenzioni concluse con le stesse regioni, delle quali possono conside-

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 204

rarsi concessionari per i relativi servizi attinenti all’urbanistica (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 9601 del 27/04/2006).

Ne deriva che il Consorzio ASI non può, come tale, essere considerato una vera impresa assimilabile alle società di capitali e dunque con attività assoggettata alla im-posta sul valore aggiunto, essendo necessario, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 4, accertare se l’ente abbia per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di atti-vità commerciali, potendosi in tal caso applicare la presunzione di cui al D.P.R. 26 ot-tobre 1972, n. 633, art. 4, comma 2, per cui le cessioni di beni e la prestazione di servizi si considerano in ogni caso effettuate nel regime di impresa, mentre, se tale accerta-mento dimostri che il consorzio non ha per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, è necessario accertare in concreto quali siano le cessioni di beni e di servizi effettuate verso corrispettivi di natura privatistica (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 22685 del 09/09/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 20070 del 18/09/2009; id. Sez. 5, Sentenza n. 8842 del 14/04/2010).

Analogamente in materia di imposte sui redditi, la esenzione dalla imposta è limita-ta all’esercizio delle sole funzioni pubbliche e non si estende all’esercizio dell’attività commerciale, che può essere esclusiva o principale (art. 87, lett. b, TUIR) o non avere tale caratteristica (art. 87, lett. c), incidendo tale distinzione sui criteri di determina-zione della base imponibile (art. 89) e del reddito su cui calcolare l’imposta (rispettiva-mente artt. 95 e 108 TUIR), non potendosi escludere, in caso di struttura con attività plurime, la possibilità del contemporaneo esercizio di funzioni statali ed attività com-merciale, dovendo procedersi all’accertamento della natura dell’attività svolta, anche in questo caso, non soltanto sul piano formale (scopi istituzionali previsti dallo Statuto o dall’atto costitutivo), ma anche sul piano sostanziale, in base all’attività effettivamen-te esercitata, desumibile dalla documentazione disponibile o, comunque, da dati con-creti, tenendo comunque presente che la commercialità dell’ente, a tali fini, va valutata in relazione all’oggetto e non agli scopi dello statuto (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 8841 del 14/04/2010).

Pertanto l’eventuale errore di diritto commesso dalla CTR estendendo al Consor-zio siciliano la qualifica di ente pubblico economico attribuita dalla Legge Statale n. 317 del 1991, in difformità dalla previsione della L.R. 4 gennaio 1984, n. 1, art. 2, comma 1 (che qualifica il Consorzio ASI come ente di diritto pubblico non economi-co, sottoposto alla vigilanza e tutela dell’assessore regionale per l’industria della regio-ne Sicilia), potrà assumere rilevanza soltanto all’esito dell’esame degli altri motivi del ricorso per cassazione con i quali si investono le statuizioni della sentenza volte ad ac-certare la natura dell’attività esercitata, nella concreta fattispecie, dal Consorzio ASI di Caltanissetta, nel caso in cui la natura giuridica dell’ente pubblico venisse a rivestire il carattere di argomento determinante a supporto della decisione impugnata.

Cass., sez. trib., sent. 20 marzo 2015, n. 5639 205

Sulla soggettività IVA dei consorzi per le aree di sviluppo industriale e sul loro potere di imporre tributi

On the VAT subjectivity of public consortia for industrial developing and on their power to impose taxes

Abstract I consorzi per le aree di sviluppo industriale, disciplinati dall’art. 36, L. 5 ottobre 1991, n. 317 (qui di seguito “Consorzi”), secondo quanto precisato recentemen-te dalla Suprema Corte di Cassazione, non sono da considerare imprese e come tali soggetti passivi IVA, quando svolgono attività perché “pubbliche autorità” esercitando i poteri connessi al regime giuridico loro proprio, anche quando «per-cepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni». Partendo proprio da questa posizione consolidata della giurisprudenza della Corte di Cassazione, si è spiega-to quando i Consorzi non svolgono alcuna attività economica e/o imprendito-riale e perché le sue prestazioni non possono ritenersi rilevanti ai fini IVA se trat-tasi di servizi non “a domanda individuale” ma indivisibili – servizi che i Consor-zi finanziano richiedendo i c.d. canoni consortili a quegli imprenditori localizzati nelle aree assegnate sempre ai Consorzi. Oltre a non essere soggetti a IVA, tali canoni partecipano della natura delle obbligazioni pubblicistiche, equiparabili ai tributi (imposte reali). Infatti, il dovere in merito al pagamento dei canoni con-sortili ha il proprio fondamento non in un documento contrattuale ma nella leg-ge, ovvero nell’art. 11, D.L. n. 244/1995. A ciò si aggiunge che il Consorzio è ob-bligatorio e i consorziati non sono lasciati liberi di aderirvi o meno, mentre i ca-noni consortili hanno una finalità di pubblico interesse. Ne consegue, da una parte, che i canoni consortili non devono essere assoggettati a IVA, e, dall’altra, che i Consorzi, essendo gli enti preposti allo svolgimento delle attività di gestione e manutenzione delle aree consortile, sono titolari di una potestà tributaria di tipo speciale e quindi prevalente rispetto a quella dell’ente locale. Come corollario, poi-ché i canoni consortili servono a finanziare non servizi a domanda individuale ma servizi indivisibili da svolgere sulle aree di pertinenza dei Consorzi, gli enti locali, per ragioni di equità, devono ridurre l’imposizione TARES, IUC (TASI) per quelle imprese che già versano i canoni a favore dei Consorzi, e ciò allo scopo di evitare la doppia imposizione. Parole chiave: consorzi per le aree di sviluppo industriale, interesse pubblico, canoni consortili, potestà impositiva, IVA According to the Italian Supreme Court (ISC), public consortia for industrial develo-ping pursuant to Art. 36 of Italian Law no. 317 of 5 October 1991 (hereinafter “Con-

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 206

sortia”) shall not be considered as commercial entities and then subject to VAT, since they act as “public authorities” by carrying out public powers and functions even when «they receive rights, royalties, contributions or other payments». Starting from this clear position emerging from the ISC case law, it has been explained when Con-sortia do not carry out any economic and/or business activity and why their services cannot be subject to VAT being not required by single operators but by a broad com-munity – i.e. services that Consortia finance by requesting the so-called consortia fees to those entrepreneurs established in areas under their competence. Such consortia fees not only are not subject to VAT, but shall be considered as obligations having the same public nature as taxes. In this respect, the duty to pay consortia fees is not rooted in a contract, but in Art. 11, Law Decree no. 244/1995. Moreover, Consortia are compulsory and their members are not free to adhere, and, therefore, consortia fees have a public interest purpose. This implies that, on the one side, consortia fees are not subject to VAT; on the other side, being Consortia the bodies entrusted to carry out the activities of management and maintenance of the relevant areas, have a special taxing power that shall prevail over the one of the local government. As a consequence of this, since consortia fees are aimed at financing not services required by single oper-ators but indivisible services to be rendered in the areas of competence, local entities – for tax justice reasons – shall reduce the claim of local taxes for those enterprises that are already paying consortia fees, in order to avoid double taxation. Keywords: public consortia for industrial developing, public interest, consortia fees, taxing power, VAT

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Servizi indivisibili e natura dei canoni consortili. – 3. Tributi locali a copertura dei servizi indivisibili. – 4. Conclusione.

1. Premessa

In merito alla soggettività IVA dei consorzi per le aree di sviluppo industriale, disciplinati dall’art. 36, L. 5 ottobre 1991, n. 317 (qui di seguito “Consorzi”), si è pronunciata recentemente la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza in epi-grafe, confermando che in materia IVA, secondo quanto dispone l’art. 4, D.P.R. n. 633/1972, anche «l’ente pubblico che non svolge in modo abituale attività eco-nomica (ente pubblico strumentale od istituzionale) rimane comunque soggetto alla applicazione dell’IVA e delle II.DD., qualora ricorrano i rispettivi presupposti impositivi, e dunque nel caso in cui abbia effettuato operazioni attive da cui derivi-

Cass., sez. trib., sent. 20 marzo 2015, n. 5639 207

no redditi imponibili anche nel caso in cui detto ente agisca in veste di pubblica autorità».

Ai sensi dell’art. 9 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto «chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendente-mente dallo scopo o dai risultati di detta attività». Tale principio generale di as-soggettabilità a IVA subisce una deroga.

Infatti, ai sensi del comma 1 dell’art. 13 della stessa Direttiva, gli organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi IVA quando svolgono attivi-tà “in quanto pubbliche autorità” esercitando i poteri connessi al regime giuridico loro proprio, anche quando «percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzio-ni» 1. In concreto, a prescindere della sua remunerazione, un organismo di diritto pubblico non è soggetto passivo ai fini IVA se esercita la sua attività «in veste di pubblica autorità».

Secondo la Corte di Cassazione nella sentenza citata, quindi, la qualificazione le-gale del Consorzio come ente pubblico “strumentale” o ente pubblico “economico” non appare «... determinante ai fini della esclusione dell’assoggettabilità alle imposte sui redditi ed all’IVA, dovendo questa essere esaminata in relazione alla natura ed all’oggetto dell’attività o della operazione in concreto svolta dal Consorzio».

Pertanto, il giudizio sulla natura tributaria dei Consorzi dipende dal giudizio sulla natura economica o meno della loro attività.

Sul punto va ricordato che il requisito dell’economicità non sussiste se un ente pubblico, pur organizzando professionalmente la gestione continuativa del proprio patrimonio, manca dell’“autonomia economica” 2. Ciò avviene, per esempio, quan-do disposizioni normative specifiche impongono regole precise per l’impiego delle risorse dell’ente. Tali regole limitano l’autonomia economica e finanziaria dell’ente che quindi non dispone, liberamente, delle proprie risorse finanziarie.

È perciò rilevante riprendere quanto sostenuto in altre circostanze dalla Su-prema Corte, ovvero che a prescindere dalla qualificazione di “enti pubblici eco-nomici” attribuita dall’art. 36, comma 4, L. n. 317/1991, i Consorzi svolgono fun-zioni pubblicistiche di interesse generale, «prevalenti rispetto alle eventuali attività di tipo imprenditoriale». Tali funzioni pubblicistiche sono svolte attraverso “pote-ri autoritativi” afferenti all’assetto e alla industrializzazione del territorio e consi-

1 V. Corte di Giustizia UE, sentenza in data 17 ottobre 1989, cause riunite C-231/87 e C-129/88, Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Fiorenzuola d’Arda ed altri contro Comune di Carpaneto Piacentino ed altri; Corte di Giustizia UE (Grande sezione) del 16 settembre 2008, in causa C-288/07, Commissioners of Her Majesty’s Revenue & Customs contro Isle of Wight Council e altri.

2 Cass., sez. un., 4 marzo 1974, n. 594. A proposito delle caratteristiche dell’attività imprendito-riale, secondo la cassazione esse consistono nei «due requisiti della economicità e della autonomia, gestionale, finanziaria e contabile ...» (Cass., 15 giugno 2011, n. 13093).

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stono in attività provvedimentali da esercitare nei confronti dei privati imprendito-ri, assegnatari delle aree 3.

A conferma della loro natura prevalentemente pubblicistica, i Consorzi sono inclusi dall’allegato 1 alla Direttiva CEE 14 giugno 1993, n. 93/37 tra le categorie di “organismi di diritto pubblico”, ed «esercitano infatti anche poteri di pianifica-zione urbanistica attuativa e di esecuzione d’infrastrutture nell’ambito delle aree individuate del territorio regionale, sulla base di convenzioni concluse con le stesse regioni, delle quali possono considerarsi concessionari per i relativi servizi attinenti all’urbanistica» 4.

Le risorse finanziarie dei Consorzi sono dunque vincolate all’esercizio dei loro poteri di pianificazione urbanistica e di esecuzione d’infrastrutture, con ciò limi-tando l’autonomia economica e finanziaria dei Consorzi.

Ne deriva che i Consorzi, come tali, non possono essere considerati in astratto alla stessa stregua di imprese, «con attività (economica n.d.r.) assoggettata alla im-posta sul valore aggiunto, essendo necessario, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 4, accertare se l’ente abbia per oggetto esclusivo o principale l’eserci-zio di attività commerciali, potendosi in tal caso applicare la presunzione di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4, comma 2». Pertanto, è necessario accertare in concreto se i Consorzi effettuano cessioni di beni o prestazioni di servizi verso corrispettivi di natura privatistica 5.

2. Servizi indivisibili e natura dei canoni consortili

A questo punto, va chiarito innanzitutto se i Consorzi, quando gestiscono l’as-setto e l’industrializzazione delle aree a loro assegnate, prestano servizi come qual-siasi ente pubblico economico o impresa commerciale, oppure nell’ambito dei pro-pri poteri autoritativi sono titolari altresì di un potere impositivo.

In particolare, la questione non riguarda l’ipotesi in cui i Consorzi svolgono servizi a “domanda individuale”, ovvero quei servizi richiesti direttamente dalle im-prese per le quali i Consorzi svolgono le funzioni di un normale fornitore.

Al contrario, il dubbio afferisce a quei servizi non “a domanda individuale”, che i Consorzi finanziano richiedendo i c.d. canoni consortili a quegli imprenditori lo-calizzati nelle aree assegnate sempre ai Consorzi.

A tal proposito è utile ricordare che tra i servizi non “a domanda individuale”

3 V. Cass., sez. un., 6 novembre 1999, n. 781; Id., sez. un., 15 giugno 2010, n. 14293. 4 V. Cass., sez. un., 27 aprile 2006, n. 9601. 5 V. Cass., sez. 5, 9 settembre 2008, n. 22685; Id., sez. 5, 18 settembre 2009, n. 20070; Id., sez. 5,

14 aprile 2010, n. 8842.

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rientrano tutti quei servizi pubblici c.d. “indivisibili” 6. Tra questi servizi indivisibili, oltre alla sicurezza e all’anagrafe, rientrano sicuramente anche l’illuminazione pub-blica e la manutenzione delle strade 7.

Ebbene, nell’ambito della gestione dell’assetto e dell’industrializzazione delle aree a loro assegnate, è compito dei Consorzi anche quello di svolgere i servizi di manutenzione delle opere e per la gestione degli impianti assegnati ai Consorzi. In particolare trattasi di servizi quali l’accessibilità, la viabilità stradale e ferroviaria, l’allontanamento delle acque meteoriche, l’illuminazione stradale, ecc. 8.

Quanto ai canoni consortili, si può in linea di principio affermare che i Consor-zi, da una parte, determinano, in modo autonomo, la qualità, la quantità e la tipo-logia dei servizi di manutenzione da svolgere, dall’altra, determinano, ai sensi del-l’art. 11, D.L. 23 giugno 1995, n. 244, l’ammontare dei canoni consortili curando-ne la riscossione. I canoni consortili sono a carico delle imprese i cui stabilimenti sono ubicati nelle aree assegnate dagli enti locali ai Consorzi.

Dal canto loro, le imprese non hanno alcuna discrezionalità nella determina-zione né della quantità, né della qualità né della tipologia del servizio prestato dai Consorzi.

Ma non solo, le stesse imprese sono titolari di un obbligo di tipo personale, senza alcun vincolo di solidarietà con gli altri consorziati. In altre parole, ciascun consorziato è tenuto personalmente al pagamento dei canoni consortili, mentre il mancato pagamento da parte di uno solo dei consorziati non determina ripercus-sioni nei confronti degli altri consorziati adempienti.

Dovendo ragionare sulla natura del canone consortile, va ricordato il principio secondo cui si deve riconoscere l’intrinseca natura tributaria di un esborso se esso «... concorre a finanziare un servizio di cui il privato bensì si avvantaggia senza pe-rò aver chiesto di usufruire, e senza potervi rinunciare» 9.

6 Sono a domanda individuale servizi come per esempio gli asili nido o il trasporto scolastico. 7 Secondo la giurisprudenza amministrativa il «servizio pubblico è un’attività che l’ente svolge a

beneficio dei terzi, sia a domanda individuale (c.d. servizi divisibili) che prescindendo da essa (c.d. servizi indivisibili: illuminazione pubblica, manutenzione del verde e delle strade pubbliche, nettez-za urbana, ecc.). Il corrispettivo del servizio può essere assolto o direttamente dall’utente ovvero in parte dal medesimo ed in parte dal soggetto, generalmente privato, gestore del servizio su affidamento concorsuale da parte dell’ente pubblico; il gestore poi ne sopporta il costo mediante i proventi deri-vanti dalla gestione del servizio» (ex pluribus TAR Campania-Napoli, sez. III, 27 settembre 2013, n. 4464).

8 A titolo di esempio, all’art. 3, comma 2 dello Statuto dell’Azienda Regionale delle Attività Pro-duttive (ARAP) della Regione Abruzzo si afferma che «l’ARAP eroga obbligatoriamente i Servizi Es-senziali ...». Per Servizi Essenziali all’art. 5 dello stesso Statuto si intendono «a titolo esemplificativo e non esaustivo: l’accessibilità, la viabilità stradale e/o ferroviaria, l’allontanamento delle acque me-teoriche, l’approvvigionamento idrico per uso potabile e industriale, il convogliamento e la depura-zione delle acque reflue, il verde, la cartellonistica, la pubblica illuminazione, la segnaletica».

9 CICALA, La giurisprudenza tributaria, in Il Fisco, 2005, p. 2048.

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Alla luce di questo principio, il canone consortile potrebbe dunque avere una struttura sinallagmatica e rientrerebbe quindi nella categoria civilistica dei corrispet-tivi se il suo fondamento avesse una natura contrattuale ravvisabile nell’adesione di ciascun consorziato ai Consorzi. Tuttavia, si potrebbe parlare di adesione, solo se il consorziato fosse lasciato libero di decidere di associarsi o meno ai Consorzi.

Inoltre, altro aspetto che connota la natura tributaria del canone, è rappresenta-to dalla questione se il dovere di versare il canone de quo deriva dalla legge 10. Infat-ti, se la risposta fosse positiva, sarebbe la legge e non il consorziato a considerare essenziale, per il conseguimento delle finalità proprio dei Consorzi, la comparteci-pazione alle spese da parte dei titolari dei beni inclusi nel perimetro dell’area con-sortile 11. I canoni, dunque, rientrerebbero, in questo caso, nell’ambito dell’art. 23 Cost. 12.

Nel caso di specie, il dovere in merito al pagamento dei canoni consortili ha il proprio fondamento non in un documento contrattuale ma nella legge, ovvero nell’art. 11, D.L. n. 244/1995.

A ciò si aggiunge che il Consorzio è obbligatorio e i consorziati non sono lascia-ti liberi di aderirvi o meno, mentre le prestazioni fornite oggi dai Consorzi non co-stituiscono atto di giustizia commutativa (ovvero l’adeguata controprestazione in forza di un contratto a prestazioni corrispettive), perché non vi è ragionevolmente nesso di corrispettività tra i singoli consorziati e i servizi svolti sempre da Consorzi a loro favore.

Infine sempre con riferimento ai canoni consortili è indubbia la loro finalità di pubblico interesse, come sancito dall’art. 36, L. n. 317/1991.

Alla luce di una tale ricostruzione, i canoni consortili, non costituendo corri-spettivi specifici, non sono assoggettabili a IVA ai sensi degli artt. 3 e 4, comma 4, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

Ma non solo, gli stessi canoni partecipano della natura delle obbligazioni pub-blicistiche, equiparabili ai tributi 13. In particolare, i canoni sono riconducibili alla no-

10 Né può valere il criterio utilizzato da certa dottrina civilistica in materia di contributi ai consorzi di bonifica, secondo cui il criterio delimitante il concetto di prestazione imposta è quello della com-promissione e del sacrificio patrimoniale (cfr. RESCIGNO, Codice civile, tomo I (art. 864), Milano, 2008, p. 1603).

11 Sul punto interessante e utilizzale al caso di specie è la ricostruzione in materia di natura di contributi a favore dei consorzi di bonifica di MINUTOLI, Riflessioni sistematiche in tema di contributi con-sortili, parte II, in Riv. dir. fin., pp. 121-122.

12 Per un approfondimento in chiave sistematica dell’argomento anche con riferimento agli ele-menti essenziali dei tributi, v. DEL FEDERICO, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000, p. 206 ss.

13 Per analogia si veda altresì il canone di spettanza del Consorzio Obbligatorio Oli Usati, che (i) svolge una attività di pubblico interesse diretta al recupero ed allo smaltimento degli oli usati, (ii) svol-ge nei confronti dei consorziati un servizio avente, nella specie, natura corrispettiva, (iii) non ha, peral-

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zione di imposta di tipo reale, attese le inconfutabili particolarità proprie di una prestazione patrimoniale imposta a fronte di servizi indivisibili e non a domanda in-dividuale.

3. Tributi locali a copertura dei servizi indivisibili

Al di fuori delle aree industriali assegnate ai Consorzi, spetta all’ente comunale l’erogazione dei c.d. servizi indivisibili da finanziare attraverso i tributi locali.

I servizi indivisibili (che sono sempre stati finanziati ai sensi dell’art. 119, commi 1 e 2, Cost., in linea di principio dai tributi ed entrate proprie come l’ICI e l’IMU, e dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali) sono ora da colle-gare, principalmente, alla TARES 14, prima (per il periodo d’imposta 2013), e alla IUC (TASI) 15, dopo (a partire dal 2014).

Si tratta di tributi che presentano i requisiti propri delle imposte locali di tipo reale (e non personale) 16, sebbene il loro gettito debba essere vincolato a copertu-ra dei servizi indivisibili 17.

Ebbene, sia con riferimento alla TARES che alla IUC (TASI), spetta all’ente comunale disporre con regolamento la riduzione di imposizione, e ciò soprattutto per ragioni di equità, ovvero per evitare discriminazioni che renderebbero la tassa-zione irragionevole e arbitraria.

In particolare, con riferimento alla TARES, anche relativamente alla maggiora-zione da disporre a copertura dei servizi indivisibili (ai sensi del combinato dispo-sto dei commi 15, 21 e 16, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201), il legislatore ha previsto una riduzione nell’ipotesi in cui il servizio non è svolto da parte dell’ente locale. Nello specifico, il contribuente deve beneficiare di una riduzione pari al 40% della maggiorazione TARES.

tro, esso stesso fonte in un rapporto di natura negoziale (l’adesione al Consorzio in parola è infatti espressamente obbligatoria per effetto del D.P.R. n. 691/1982 emesso anch’esso in adesione alla Diret-tiva 439/75 CE). In tal caso la dottrina ha dato la qualificazione giuridica di “tributo” (SACCHETTO, (voce) Tassa, in Enc. dir., XLIV, 1992).

14 L’art. 14, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 ha istituito la TARES, ovvero il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi.

15 L’art. 1, comma 639, L. 27 dicembre 2013, n. 147 ha istituito la IUC (imposta unica comunale), composta dalla TASI (tributo sui servizi indivisibili), e dalla TARI (tributo sui rifiuti).

16 Per una differenza tra imposte e tasse e tra imposte reale e quelle personali vedasi FALSITTA, Manuale di diritto tributario, parte generale, Padova, 2007, pp. 20 ss. e 258 ss. Sul tema, per ulteriori ap-profondimenti, DEL FEDERICO, op. cit., pp. 189 ss. e 306.

17 Si tratta di un’eccezione al divieto di imposte di scopo, secondo cui ogni entrata deve essere destinata al finanziamento del totale delle spese e, reciprocamente (sul punto v., VEGAS, Il nuovo bi-lancio pubblico, Bologna, 2010, p. 109).

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Con riferimento alla IUC (TASI), invece, il regolamento comunale (ai sensi dell’art. 1, commi 682 e 683, L. 27 dicembre 2013, n. 147) deve prevedere (i) la di-sciplina delle riduzioni, tenendo conto chiaramente della capacità contributiva (an-che delle famiglie ma non solo), (ii) «l’individuazione dei servizi indivisibili e l’in-dicazione analitica, per ciascuno di tali servizi, dei relativi costi alla cui copertura la TASI è diretta». Pertanto, le aliquote della TASI «possono essere differenziate in ragione del settore di attività nonché della tipologia e della destinazione degli im-mobili».

Sulla base di quanto sopra riportato, in considerazione delle particolarità dei territori spetterà all’ente impositore, ovvero all’ente locale, in forza della sua auto-nomia regolamentare, applicare il disposto legislativo alla luce dei principi ugua-glianza e di capacità contributiva, eliminando così situazioni di iniquità fiscale che si determinerebbero in forza dell’applicazione letterale della legge nazionale.

Pertanto, con riferimento ai tributi in esame (TARES e TASI) se ci fossero casi di doppia imposizione giuridica in relazione al possesso di immobili ubicati nel pro-prio territorio, l’ente locale sarebbe di fronte a un’ipotesi chiara di iniquità fiscale, che lo stesso ente locale deve contribuire a risolvere.

Occorre a tal proposito verificare se la doppia imposizione si manifesta tra tri-buti dello stesso ente locale, oppure se è l’effetto di una situazione di conflitto tra potestà impositiva di enti diversi.

In quest’ultima ipotesi sussiste realmente un conflitto se la provvista derivan-te dall’onere tributario è utilizzata obbligatoriamente per realizzare lo stesso obiettivo, come per esempio lo svolgimento di servizi indivisibili. In questo caso, occorre verificare a quale ente spetta la potestà tributaria generale e a quale quel-la speciale.

Nella fattispecie in esame, non c’è dubbio che i Consorzi sono enti pubblici economici strumentali degli enti regionali, e svolgono un servizio spettante in via generale ai Comuni. In questo modo le casse di tali enti sono oggettivamente sgra-vate dalla gestione dei servizi di manutenzione, che sono infatti attribuiti, con leg-ge speciali, proprio ai Consorzi 18.

Pertanto, in ossequio ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adegua-tezza di cui all’art. 118, comma 1, Cost. 19, e conseguentemente al principio della corrispondenza tra la responsabilità amministrativa e quella finanziaria, per cui non può essere giustificata un’entrata tributaria se essa non è collegata a una re-

18 Sul punto v. l’art. 2, comma 6, L.R. Abruzzo, 22 agosto 1994 n. 56 secondo cui i «Consorzi, ferme restando l’autonomia dell’esercizio delle funzioni di cui ai commi precedenti e la loro natura di enti pubblici economici, sono anche strumenti della Regione per la promozione industriale, se-condo le direttive, il coordinamento ed il controllo degli organi regionali».

19 BASSI, Autonomia finanziaria e sussidiarietà nell’ordinamento costituzionale italiano, Roma, p. 58 ss.

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sponsabilità di tipo amministrativo 20, è chiaro che l’ente locale non può rivendi-care a sé una piena potestà impositiva da esercitare su una determinata area, se tale area è stata, in esecuzione di una legge 21, assegnata obbligatoriamente ai Con-sorzi, cui è altresì delegata obbligatoriamente tutta la relativa gestione di servizi indivisibili collegati sempre a quell’area. Infatti, solo rispettando la correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio, per ciò che concerne le entrate tributarie, è così «esclusa ogni doppia imposizione, fatte salve le addizionali previste dalla legge statale o regionale» 22. In questo modo tale sistema di finanziamento è coerente con il principio di capacità contributiva stabilito dall’art. 53 Cost. 23.

Alla luce di quanto sopra argomentato, sulla base dei criteri direttivi generali appena illustrati e accettati anche dalla prassi attuativa degli enti locali, si può ra-gionevolmente affermare che in presenza di un conflitto tra potestà tributarie degli enti locali e dei Consorzi, prevale quella dei Consorzi. Ciò in quanto, i Consorzi, come sono titolari di una responsabilità amministrativa di tipo speciale, prevalente rispetto a quella degli enti locali, così sono titolari di una potestà tributaria di tipo speciale, prevalente rispetto a quella degli enti locali.

In altri termini, solo i Consorzi, essendo titolari di specifiche funzioni in mate-ria di gestione dei servizi di manutenzione sulle aree loro assegnate dalla legge, so-no altresì titolari, nell’ambito dell’autonomia finanziaria disposta dalla legge, del potere di imporre tributi il cui gettito sarà necessariamente impiegato allo svolgi-

20 CARUSO-FONTANA-PETRINA-RICCI, Sintesi dei principali documenti prodotti dall’Alta Commis-sione di studio per la definizione dei meccanismi strutturali del Federalismo Fiscale, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2006, p. 15 che, nel descrivere i principi di coordinamento formulati dall’ACoFF, mette in risalto quel-lo «della correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate. Tale principio si basa sulla considerazione che debba sussistere un legame tra il prelievo fiscale e il beneficio fornito dall’ente che percepisce il gettito. In altre parole, è diretto a garantire la corrispondenza tra responsabi-lità finanziaria e amministrativa ...».

21 Nel caso di Consorzi abruzzesi la legge è l’art. 2, L.R. Abruzzo n. 56/1994. 22 In questo senso proprio si è pronunciata proprio l’IFEL-Fondazione ANCI, nel dossier del 22

ottobre 2010 “FEDERALISMO FISCALE, Principi e criteri Prima fase attuativa”, p. 13. Chiaramente la doppia imposizione di cui si discute è la doppia imposizione giuridica, secondo cui una stessa im-posta o imposte diverse vengono a gravare più volte sul medesimo soggetto, a causa del verificarsi di un unico presupposto. Da doppia imposizione giuridica contraria al principio di capacità contributi-va, si distingue la doppia imposizione economica che si ha quando la medesima manifestazione eco-nomica (per esempio il reddito) è tassato due volte, in capo a soggetti diversi, rispettivamente il sogget-to produttore e quello percipiente, i quali rappresentano contribuenti formalmente diversi ma nella sostanza legati da vincoli economici forti.

23 Infatti, il divieto di doppia imposizione giuridica si ispira ai principi degli artt. 3, 53 e 97 Cost., e se detto divieto risulta disatteso, allora vuol dire che la disposizione normativa lede «i canoni di uguaglianza dei cittadini di fronte alle leggi; di concorso alle spese pubbliche in ragione della singola capacità contributiva; di imparzialità dell’Amministrazione Pubblica» (sul punto v. Corte cost., ord., 27 luglio 2000, n. 384).

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mento delle suddette funzioni amministrative, con ciò rispettando il citato princi-pio, posto alla base del federalismo fiscale, della corrispondenza tra la responsabili-tà amministrativa e quella finanziaria.

Come corollario a questa conclusione, si deve dedurre la legittimità di riduzioni dell’imposizione TARES e IUC (TASI) per quelle imprese che già versano i cano-ni a favore dei Consorzi.

In concreto, con specifico riferimento alla IUC (TASI) (che – come visto – è applicabile a partire dal 1° gennaio 2014) il regolamento comunale, ai sensi dell’art. 1, commi 682 e 683, L. n. 147/2013, dovrà necessariamente prevedere specifiche riduzioni al fine di evitare illegittime doppie imposizioni giuridiche contrarie al principio della capacità contributiva.

Una tale riduzione, proprio perché necessaria alla luce del principio di capacità contributiva, rientra nell’ambito non delle esenzioni/agevolazioni (e come tali re-vocabili) ma delle misure “permanenti” 24 di esclusione da tassazione (e come tali irrevocabili) perché costituiscono disposizioni di equità 25.

Alla stessa conclusione, ovvero alla necessità della riduzione della TASI (e con riferimento all’anno d’imposta 2013 della TARES) si può pervenire anche nell’ipo-tesi in cui non si riconoscesse ai canoni consortili una natura tributaria.

In questo caso, infatti, sarebbero comunque violati i citati principi di sussidia-rietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’art. 118, comma 1, Cost., e conse-guentemente il principio della corrispondenza tra la responsabilità amministrativa e quella finanziaria.

Ma non solo, pur non riconoscendo la natura tributaria ai canoni consortili, non verrebbe meno la situazione di iniquità fiscale ai danni dei suddetti imprendi-tori, e ciò in aperta violazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 (capacità contributiva) della Costituzione.

Infatti, gli imprenditori sono obbligati due volte e con norme di legge diverse (l’art. 36, L. n. 317/1991 e le leggi istitutive della TARES e TASI), al concorso alle spese pubbliche:

24 Quanto alla qualità della “permanenza” di tale spese, si tratta chiaramente di un giudizio rela-tivo che sussiste fintantoché “permane” una situazione di doppia imposizione giuridica.

25 Sulla differenza tra esclusione e agevolazione tributaria, si consideri che la detassazione con-seguente ad un’agevolazione è, infatti, il frutto di una scelta legislativa discrezionale (ordinanze della Corte cost., 7 novembre 2003, n. 336 e 2 marzo 2005, n. 87), e quindi non obbligatoria, insuscettibi-le di interpretazione analogica (a meno di non dimostrarne l’irragionevolezza), diretta a tutelare situa-zioni che per ragioni di politica economica e sociale mirano a creare posizioni di vantaggio a favore di determinati soggetti (LA ROSA, (voce) Esenzione (dir. trib.), in Enc. dir., XV, 1966). Con le norme di esclusione, invece, il legislatore assolve a un obbligo di autolimitazione del suo potere impositivo. In particolare dette norme servono a mettere “a fuoco” i fatti ritenuti manifestazione della specifica capacità contributiva che si vuole colpire con un determinato tributo (RUSSO, Manuale di diritto tri-butario, Milano, 1999, p. 133). Ne deriva che la tassazione di fattispecie invece da escludere è con-traria al disposto costituzionale.

Cass., sez. trib., sent. 20 marzo 2015, n. 5639 215

a) in modo diretto, versando i canoni consortili a fronte dello svolgimento di servizi indivisibili, e

b) in modo indiretto, versando i tributi (TARES e IUC) a copertura, in parte, degli stessi servizi indivisibili 26.

In aggiunta è oltremodo evidente che le imprese i cui stabilimenti sono ubicati sulle aree assegnate ai consorzi, sarebbero discriminate ratione loci (ovvero in ra-gione dell’ubicazione della sede in un determinato territorio), senza riduzioni delle aliquote TARES e IUC, rispetto a tutte le altre imprese. Tutto ciò in aperto con-trasto al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.

Si tratta tuttavia di conclusioni inaccettabili; l’ente locale, esercitando in modo costituzionalmente orientato la sua autonomia regolamentare sopradescritte, do-vrà dunque prevedere riduzioni delle aliquote TARES e UIC (TASI) per quelle imprese che già versano i canoni a favore dei Consorzi.

4. Conclusione

I canoni richiesti dai Consorzi ai consorziati, trovando la loro fonte nella legge, rientrano nell’ambito dell’art. 23 Cost., partecipando della natura delle obbliga-zioni pubblicistiche, equiparabili ai tributi. Infatti, le prestazioni fornite oggi dai Consorzi non costituiscono atto di giustizia commutativa (ovvero l’adeguata con-troprestazione in forza di un contratto a prestazioni corrispettive), perché non vi è ragionevolmente nesso di corrispettività tra i singoli consorziati e i servizi svolti sempre dai Consorzi a loro favore.

Ne consegue, da una parte, che i canoni consortili non devono essere assoggettati a IVA, e, dall’altra, che i Consorzi, essendo gli enti preposti allo svolgimento delle

26 Infatti, l’imposizione fiscale non costituisce l’unica modalità di contribuzione alle spese pubbli-che (a proposito della rilevanza giuridica del concorso diretto alle spese pubbliche vedasi le conside-razioni svolte con riguardo al terzo settore da parte di MISCALI, Contributo allo studio dei profili costi-tuzionali del principio di sussidiarietà fiscale, in Riv. dir. trib., 2011, I, p. 959). In particolare, ex art. 53 Cost. è stabilito che i contribuenti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche, mentre nulla è det-to a proposito degli strumenti giuridici tipici idonei alla contribuzione, che infatti non sono definiti a priori. Conseguentemente ciò che rileva, in linea di principio, non è tanto il tipo di strumento giu-ridico idoneo alla contribuzione, quanto piuttosto il finanziamento delle spese pubbliche attraverso il concorso dei contribuenti. Da qui l’affermazione, ragionevole, secondo cui la corresponsione dei tributi, fornendo agli enti impositori le risorse finanziarie da impiegare nello svolgimento di funzioni di rilievo pubblico e costituzionale, rappresenta solo la modalità di concorso alle spese pubbliche più comunemente utilizzata tra gli Stati contemporanei.

Pertanto possono ragionevolmente considerarsi legittime, forme di concorso alle spese pubbli-che, alternative all’imposizione fiscale. In particolare, costituisce una delle possibili forme di concor-so alle spese pubbliche, la circostanza in cui il contribuente, in via diretta e in ossequio al principio di sussidiarietà, finanzia, in via obbligatoria, servizi pubblici come i servizi indivisibili senza la necessità di ulteriori oneri per l’ente impositore.

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attività di gestione e manutenzione delle aree consortili, sono titolari di una potestà tributaria di tipo speciale e quindi prevalente rispetto a quella dell’ente locale.

Come corollario, poiché i canoni consortili servono a finanziare non servizi a domanda individuale ma servizi indivisibili da svolgere sulle aree di pertinenza dei Consorzi, gli enti locali, per ragioni di equità, devono ridurre l’imposizione TARES, IUC (TASI) per quelle imprese che già versano i canoni a favore dei Consorzi, e ciò allo scopo di evitare la doppia imposizione.

Vincenzo Bassi

Cass., sez. trib., 6 agosto 2014, n. 17663 – Pres. Cappabianca, Rel. Iofrida Imposta reddito persone fisiche e giuridiche – Accertamento – Redditometro

RITENUTO IN FATTO

Q.C.E. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti dell’A-

genzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commis-sione Tributaria Regionale del Piemonte n. 21/02/2008, depositata in data 16/05/2008, con la quale, in una controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accerta-mento, emesso, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38 (stante l’acquisto di due unità immobi-liari per un valore non compatibile con il reddito dichiarato), per maggiore IRPEF dovu-ta per l’anno d’imposta 2000, è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della contribuente. In particolare, i giudici d’appello hanno sostenu-to che, a fronte dell’incremento patrimoniale provato dall’acquisto di due unità immobi-liari, la contribuente non aveva fornito la prova della provenienza del maggior reddito da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, attesa l’irrilevanza di alcuni elementi documentali offerti dalla medesima in prova contraria (quali: la disponibilità, al 31/12/1999 di un saldo “di Euro 255.129” su conto corrente cointestato ovvero di un saldo di “Euro 323.264,93”, non essendo state comunque dette somme impiegate per fornire la provvista necessaria all’acquisto degli immobili, ma per altre operazioni;

l’ottenimento, il giorno della stipula del rogito notarile, di un’anticipazione banca-ria di oltre Euro 278.000,00, non essendone stato dimostrato l’utilizzo, attraverso pro-duzione di copie degli assegni emessi o dei bonifici effettuati, per finanziare l’acquisto degli immobili e trattandosi di somme solitamente concesse dalla banca “a fronte di disponibilità liquide a breve, le quali, in assenza di prova contraria, presuppongono l’e-sistenza di redditi sottratti all’imposizione”).

CONSIDERATO IN DIRITTO

La ricorrente lamenta, con il primo motivo, l’illogica e contraddittoria motivazio-

ne, ex art. 360 c.p.c., n. 5, su fatto decisivo e controverso, vale a dire la disponibilità su conto corrente della provvista necessaria per gli acquisti immobiliari, avendo i giudici ritenuto non dimostrata “la lecita provenienza fiscale” di tale disponibilità finanziaria, ovvero che essa derivasse da redditi che avessero assolto l’imposta.

Con il secondo motivo, viene dedotta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, non avendo i giudici dell’appello ritenu-

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to sufficiente la prova contraria offerta dalla contribuente, malgrado essa avesse dimo-strato di avere acquisito, su conto corrente a lei sola intestato, la disponibilità econo-mica necessaria per gli acquisti immobiliari attraverso affidamenti bancari ed un mu-tuo. Infine, con il terzo motivo, la Q. lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., avendo i giudici fatto cattivo uso del potere di pru-dente apprezzamento nella valutazione della prova, disconoscendo la legittimità della disponibilità economica necessaria alle compravendite immobiliari, provata dalla con-tribuente, ipotizzando altri ed indeterminati redditi sottratti all’imposizione. La seconda censura è fondata.

Recitano del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, i commi 5 e 6 nella versione ratione tem-poris vigente all’epoca del presente giudizio:

“Qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazio-ne alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei cinque precedenti. Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della noti-ficazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinte-ticamente è costituito, in tutto o in parte, da redditi esenti o da redditi soggetti a rite-nuta alla fonte a titolo d’imposta. L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”. Secondo un indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’Ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto, in relazione alla spesa per incre-menti patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, non “riguarda la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, e non già con qualsiasi altro red-dito (dichiarato)” (Cass. n. 6813/2009; Cass. n. 23785/2010; Cass. n. 4183/2013).

Come, invece, da ultimo ritenuto da questa Corte (Cass. n. 6396/2014) “nessu-n’altra prova deve dare la parte contribuente circa l’effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli incrementi patrimoniali se non la dimo-strazione dell’esistenza di tali redditi” né può evincersi “un onere di dimostrazione, aggiuntivo, circa la provenienza oltre che l’effettiva disponibilità finanziaria delle som-me occorrenti per gli acquisti operati dal contribuente”, in quanto “una diversa inter-pretazione, in nessun modo correlata al tenore testuale del ricordato art. 38, comma 6, ult. cit., determinerebbe in definitiva, una sorta di trasfigurazione del presupposto im-positivo, non più correlato all’esistenza di un reddito ma, piuttosto, all’esistenza di una spesa realizzata da redditi imponibili ordinar e congrui o da redditi esenti o da redditi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo d’imposta”.

Con recente pronuncia questa Corte (Cass. n. 8995/2014) ha ulteriormente chia-rito i confini della prova contraria a carico del contribuente, a fronte di un accertamen-to induttivo sintetico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38: “A norma del D.P.R. n. 600 del

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1973, art. 38, comma 6 l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedi-sce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che ‘l’entità di tali redditi e la durata del loro posses-so devono risultare da idonea documentazione’”.

La norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicita-mente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese conte-state, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomati-che del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo speci-fico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità ditali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la di-sponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contri-butiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non conside-rate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non di-chiarati. Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolar-mente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del possesso dei redditi in esame; quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente (nella specie, dalla sentenza impugnata risultava accertato che il con-tribuente aveva fornito la prova dell’esistenza e dell’ammontare della disponibilità, nel periodo in contestazione, di redditi risultanti da disinvestimenti azionari, ma non risul-tava accertato che avesse altresì fornito idonea prova, tantomeno documentale, della “durata” del possesso dei suddetti redditi esenti, prova necessaria a consentire la riferi-bilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi; perciò la Corte ha cassato con rinvio la sentenza di merito favorevole al contribuente).

Ora i giudici d’appello hanno motivato la decisione, escludendo ogni valore proba-torio alla documentazione prodotta dalla contribuente sul presupposto, errato in dirit-to, che la stessa fosse tenuta altresì a dimostrare la “lecita provenienza” dei redditi esenti e l’effettivo impiego della disponibilità finanziaria per l’effettuazione delle ac-quisizioni patrimoniali.

Gli stessi giudici non hanno invece vagliato il profilo della durata della disponibilità economica in capo alla contribuente, rappresentata, soprattutto, dall’anticipazione ban-caria, ottenuta in data coincidente con quella di stipula del rogito notarile.

I restanti motivi sono comunque assorbiti. Per tutto quanto sopra esposto, il ricor-

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so deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte per nuovo esame.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giu-dizio di legittimità.

P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordi-

ne alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, ad altra Sezione del-la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta sezione civile, il 15 mag-gio 2014.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2014.

Redditometro e incrementi patrimoniali: la durata della disponibilità finanziaria supera la presunzione sintetica

Presumptive taxation and asset increases: the duration of the financial availability overcomes the tax presumption

Abstract Con la sentenza annotata, la Suprema Corte ha introdotto importanti principi in tema di redditometro in relazione all’onere della prova incombente sul contri-buente. Superando un precedente orientamento più volte ribadito, il giudice di legittimità ha di fatto ritenuto sufficiente per il contribuente dimostrare l’esisten-za della provvista per un determinato periodo di tempo. La Cassazione, dunque, ha ritenuto che la disposizione ex art. 38, comma 6, D.P.R. n. 600/1973, pur non prevedendo esplicitamente la prova diretta che determinati redditi siano stati utilizzati per coprire determinate spese contestate dal fisco, richiede d’ora innan-zi una mera prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere. Viene così accantonato il nesso eziologico ovve-ro la prova diretta tra provvista patrimoniale e spesa contestata. Una congrua va-lutazione del rapporto tra entità e durata della provvista, in relazione alla spesa contestata, costituisce sufficiente elemento fattuale e circostanza probatoria atta a superare la presunzione sintetica.

Cass., sez. trib., 6 agosto 2014, n. 17663 221

Parole chiave: redditometro, maggiori redditi, onere della prova, durata e pos-sesso della provvista, nesso eziologico With the commented decision, the Italian Supreme Court (ISC) has introduced im-portant principles on the system for assessing income presumptively (so-called red-ditometro) related to the taxpayer’s burden of proof. Overcoming a previous ap-proach followed for a long time, the ISC has considered sufficient for the taxpayer to prove the existence of the asset for a given period of time. The ISC, therefore, held that the rule laid down by Art. 38, para. 6, Presidential Decree no. 600/1973, although it does not explicitly provide the direct proof that certain sources of income were used for hiding costs claimed by tax authorities, shall be interpreted as requiring a mere docu-mentary evidence on symptomatic circumstances of the fact that this has happened or could have happened. In this way, the causal link or the direct evidence between the assets and the challenged cost are set aside. An appropriate assessment of the relation-ship between size and duration of the asset, in relation to the challenged cost, constitutes a sufficient factual element and an evidentiary circumstance able to overcome the system for assessing income presumptively. Keywords: system for assessing income presumptively, higher income, burden of proof, asset duration and ownership, causal link

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La controversia. – 3. La Suprema Corte supera il nesso eziologico tra esisten-za e utilizzo della provvista. – 4. La sufficienza del rapporto entità-durata della provvista supera la presunzione sintetica in ossequio all’attualità ed effettività della capacità contributiva.

1. Premessa

La pronuncia in commento interviene per ridisegnare e meglio definire i confi-ni della legittimità dell’accertamento sintetico in relazione alla valenza probatoria del redditometro.

Per superare la presunzione sintetica nell’ambito del redditometro, appare in-novativo l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione che ha ritenuto suffi-ciente dimostrare l’esistenza del possesso di redditi esenti o già tassati alla fonte in relazione ad un determinato periodo di tempo, compatibile con la successiva spesa per incrementi patrimoniali.

La necessaria ed imprescindibile valutazione del rapporto tra entità e durata della provvista in relazione alla spesa patrimoniale, secondo la giurisprudenza di legittimità, costituisce l’analisi concreta oggetto di accertamento e osservazione da

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parte del giudice di merito, che assume una importante rilevanza probatoria. In tale prospettiva, appare superato l’orientamento più restrittivo 1, che, vice-

versa, richiedeva come necessaria la prova da parte del ricorrente, non solo dell’esi-stenza del reddito, ma anche che lo stesso avesse finanziato effettivamente e diret-tamente la spesa patrimoniale contestata.

Sembra evidente, dunque, il tentativo della Suprema Corte di accogliere un o-rientamento più favorevole al contribuente, oltreché costituzionalmente orientato, in ossequio ai principi di effettività ed attualità sottesi alla capacità contributiva.

2. La controversia

Nella fattispecie oggetto di analisi, la ricorrente promuoveva ricorso per Cassa-zione avverso la sentenza della CTR Piemonte n. 21/02/2008, depositata in data 16 maggio 2008, con la quale – a seguito di un avviso di accertamento per una maggiore IRPEF dovuta per l’anno d’imposta 2000, emesso, ex art. 38, D.P.R. n. 600/1973, relativo all’acquisto di due unità immobiliari per un valore non compa-tibile con il reddito dichiarato – veniva confermata la decisione di primo grado che aveva rigettato il ricorso della contribuente.

I giudici di seconde cure avevano motivato il rigetto dell’appello, e di conse-guenza la fondatezza dell’accertamento per redditometro a fronte dell’acquisto di due unità immobiliari, avendo ritenuto che la contribuente non avesse fornito la prova della provenienza del maggior reddito, ai sensi dell’art. 38, comma 6, D.P.R. n. 600/1973, considerata l’irrilevanza – ad avviso degli stessi giudicanti – di alcuni elementi documentali non utili a fondare la prova contraria.

Non veniva dimostrata la provenienza del maggior reddito derivante da redditi esenti o già tassati alla fonte per finanziare l’acquisto degli immobili; né risultava sufficiente aver provato l’esistenza di un considerevole saldo contabile su alcuni conti correnti, atteso che quest’ultima provvista non veniva utilizzata per sostenere la spesa patrimoniale. Inoltre, non veniva ritenuto sufficiente l’ottenimento, il giorno della stipula del rogito notarile, di una rilevante anticipazione bancaria, non essen-do stato dimostrato l’utilizzo della stessa, attraverso produzione di copie degli as-segni emessi o dei bonifici effettuati, per finanziare l’acquisto degli immobili, poi-ché si trattava di somme solitamente concesse dalla banca «a fronte di disponibili-

1 V. Cass., sent. n. 6813/2009 «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’uf-ficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi pa-trimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dall’art. 38 comma 6 D.P.R. n. 600 del 1973 non riguarda la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi sog-getti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’essere stata la spesa per incrementi patrimo-niali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, e non già con qualsiasi altro reddito (dichiarato)».

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tà liquide a breve, le quali, in assenza di prova contraria, presuppongono l’esistenza di redditi sottratti all’imposizione» 2.

La CTR, pertanto, aveva motivato la sentenza escludendo qualsiasi valore pro-batorio alla documentazione prodotta dalla contribuente, ritenendo che la stessa avesse dovuto provare la “lecita provenienza” dei redditi esenti e l’effettivo impiego di quella disponibilità finanziaria per l’effettuazione del predetto acquisto patri-moniale. La CTR, in definitiva, richiedeva la prova certa che una determinata prov-vista detenuta dalla contribuente avesse finanziato effettivamente la spesa patri-moniale contestata.

La ricorrente eccepiva l’illogica e contraddittoria motivazione, in relazione al-l’art. 360 n. 5 c.p.c., su un fatto decisivo per la controversia, giacché, sebbene venis-se accertata la disponibilità sul conto corrente della provvista necessaria per l’ac-quisto immobiliare, i giudici del gravame avevano ritenuto non dimostrata “la leci-ta provenienza fiscale” della predetta disponibilità finanziaria, ovvero non dimostra-to se le provviste economiche derivanti da redditi avessero o meno assolto l’im-posta.

Veniva eccepita, inoltre, la violazione e falsa applicazione dell’art. 38, D.P.R. n. 600/1973 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., poiché i giudici di seconde cure non avevano ritenuto sufficientemente soddisfatta la prova contraria ed il superamento della presunzione, nonostante fosse stato dimostrato che sul proprio conto corren-te personale ci fosse la provvista necessaria per l’acquisto, oltre a non aver conside-rato sufficiente l’ottenimento dell’anticipazione bancaria.

Si contestava, infine, un cattivo uso del potere di prudente apprezzamento nella valutazione della prova, non riconoscendo la legittimità della disponibilità econo-mica necessaria per le compravendite immobiliari.

Nella sentenza in rilievo risultava accertato, tuttavia, che la contribuente avesse fornito la prova dell’esistenza e dell’ammontare della disponibilità, nel periodo in contestazione, nonostante non risultava parimenti accertata l’esistenza di idonea prova documentale della “durata” del possesso dei suddetti redditi esenti o già tas-sati alla fonte. La contribuente, invero, non aveva provato il rapporto di durata del-la provvista.

Peraltro, i giudici del gravame avevano motivato la decisione escludendo ogni valore probatorio alla documentazione prodotta dalla contribuente, giacché que-st’ultima – ad avviso della CTR – avrebbe dovuto provare la “lecita provenienza” dei redditi esenti e l’effettivo impiego della disponibilità finanziaria per l’effettua-zione delle contestate acquisizioni patrimoniali. Tuttavia, non veniva provata la durata del possesso della disponibilità economica della contribuente.

Con le predette premesse in fatto, la questione controversa è stata rimessa al-l’esame di legittimità della Suprema Corte la quale, seguendo un orientamento più

2 CTR Piemonte n. 21/02/2008, dep. il 16 maggio 2008.

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favorevole al contribuente, ha ritenuto che la norma ex art. 38, comma 6, D.P.R. n. 600/1973, «chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplici-tamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitati-vo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contri-buente proprio a tali ulteriori redditi» 3.

3. La Suprema Corte supera il nesso eziologico tra esistenza e utilizzo della provvista

La giurisprudenza di legittimità ha attraversato un articolato e complesso per-corso logico-interpretativo dell’art. 38, D.P.R. n. 600/1973, nella parte in cui disci-plina l’accertamento sintetico 4, nella declinazione antecedente alle recenti modifi-che legislative 5.

Prima di addivenire all’innovativo orientamento giurisprudenziale, contenuto nel-la sentenza in commento, appare opportuno ricordare preliminarmente che il reddi-tometro è lo strumento da utilizzare ai fini dell’accertamento sintetico 6 che consente di ricostruire il reddito delle persone fisiche mediante una analisi delle manifestazio-ni più tipiche di capacità contributiva 7, basate appunto sulla spesa personale.

3 V. Cass. n. 17663/2014. 4 La disposizione contenuta nel previgente art. 38, comma 6, D.P.R. n. 600/1973, disponeva che

«Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da reddi-ti esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. L’entità di tali redditi e la durata de loro possesso devono risultare da idonea documentazione».

5 Il nuovo comma 5, art. 38, D.P.R. n. 600/1973, come modificato dall’art. 22, comma 1, D.L. n. 78/2010, che regola le modalità e condizioni per la rideterminazione sintetica del reddito – fondata su elementi induttivi di capacità contributiva –, rinvia espressamente anche alla caratteristica del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza del singolo contribuente per corroborare un accertamento sintetico.

6 Per uno studio recente sull’accertamento sintetico si v. AMATUCCI (a cura di), L’accertamento sintetico e il nuovo redditometro, Torino, 2015. Anche AMATUCCI, L’accertamento sintetico e il nuovo red-ditometro, in Dir. prat. trib., n. 3, 2014, p. 457.

7 Per ulteriori approfondimenti si v.: LA ROSA, Principi di diritto tributario, Torino, 2006, p. 368; INGRAO, L’accertamento tributario, in FERLAZZO NATOLI, Lineamenti di diritto tributario, Milano, 2007,

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I fatti indice di spesa, come acquisti immobiliari, anche nell’ambito familiare, come quelli oggetto della sentenza annotata, sono idonei a determinare una mag-giore capacità contributiva, seppur presuntiva, del singolo contribuente, tali da com-portare una inversione dell’onere della prova 8, con la conseguenza che sarà il con-tribuente a dover dimostrare l’inattendibilità dello strumento sintetico esperito dal-l’Ufficio. La ricostruzione, anche presuntiva, della capacità contributiva di ogni sin-golo contribuente è l’obiettivo che giustifica l’applicazione concreta dello strumen-to redditometrico. Sembrerebbe una presunzione legale, non meramente semplice, poiché il collegamento logico tra due fatti – uno noto e l’altro ignoto – è conse-guenza di un sillogismo imposto dal legislatore, non già rimesso al libero apprez-zamento del giudice 9.

La Cassazione con un primo indirizzo giurisprudenziale aveva ritenuto che, al-lorquando l’Ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto, in rela-zione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria am-messa dal contribuente ex art. 38, comma 6, D.P.R. n. 600/1973 non riguarda «la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’essere stata la spesa per incrementi patrimo-niali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’im-posta, e non già con qualsiasi altro reddito (dichiarato)» (Cass. n. 6813/2009; Cass. n. 23785/2010; Cass. n. 4183/2013).

Secondo questo orientamento, per superare la presunzione relativa del reddi-tometro, risulta necessario un doppio onere probatorio, sia in ordine all’esistenza della provvista, sia la circostanza fattuale che la predetta provvista abbia finanziato direttamente l’investimento patrimoniale contestato dal fisco. Tale argomentazio-ne impone, di fatto, la diretta corrispondenza tra esistenza della provvista ed utiliz-zo della stessa per finanziare una determinata spesa. Il predetto iter logico si identi-fica con il nesso eziologico il cui doppio onere probatorio grava inevitabilmente sul contribuente, il quale sarà onerato della prova contraria.

È evidente, dunque, che con tale precedente la Suprema Corte aveva evidenzia-to la necessità di una prova contraria in capo al contribuente non solo in ordine alla provenienza ed alla esistenza di siffatti redditi esenti o assoggettati a ritenuta p. 99. Nello stesso senso sembrano orientarsi anche BIANCHI-LUPI, Accertamento sintetico e dei cd. “privati”, in Il diritto – Enc. giur., in Il Sole-24 Ore, Milano, 2007.

8 Sul punto si v. MULEO, Limitazioni probatorie nella difesa del contribuente dall’accertamento sinte-tico, in Corr. trib., 2009, p. 1558 ss.; e BEGHIN, Accertamento sintetico, dimostrazione del nesso eziologi-co e “probatio diabolica”, in Corr. trib., n. 4/, 2013, p. 275 ss.

9 Diversamente dalle presunzioni semplici, in quelle legali relative (iuris tantum) l’Amministra-zione Finanziaria è tenuta a provare soltanto il fatto indiziante, a cui la legge ricollega il fatto presun-to, essendo la stessa Amministrazione Finanziaria dispensata dalla prova di quest’ultimo. In tale pro-spettiva l’onere probatorio in capo all’Amministrazione si riduce notevolmente. V. AMATUCCI (a cura di), L’accertamento sintetico e il nuovo redditometro, cit., p. 215.

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alla fonte, utili a giustificare la spesa, ma anche il necessario collegamento tra que-sti ultimi redditi e la spesa per l’incremento patrimoniale. Veniva richiesta una ne-cessaria corrispondenza tra esistenza, disponibilità dei redditi e sostenibilità della spesa con i medesimi redditi.

Un onere probatorio aggiuntivo e gravoso, dunque, veniva chiesto al contri-buente: l’uno sulla esistenza e provenienza del reddito, l’altro sulla destinazione fun-zionale e diretta del reddito esente, o già tassato, strumentale all’acquisto patrimo-niale su cui si fonda l’accertamento sintetico. Né risultava sufficiente, pertanto, la dimostrazione della sola esistenza del reddito, essendo determinante, ai fini della prova, anche la provenienza e la tipologia dei redditi accantonati necessari per so-stenere la spesa; una sorta di correlazione certa tra causa-effetto di un determinato reddito che finanziava una specifica spesa patrimoniale. Una ricostruzione logico-procedimentale ed un onere probatorio che giocoforza celavano una probatio dia-bolica, ovvero una presunzione difficilmente superabile, poiché arduo era riuscire a provare che l’acquisto fosse stato finanziato esattamente con quelle disponibilità derivanti da quei redditi esenti o già tassati alla fonte.

L’evoluzione giurisprudenziale della Suprema Corte, ossequiando ad un diver-so orientamento più favorevole al contribuente, ha successivamente condiviso il principio secondo cui «nessun’altra prova deve dare la parte contribuente circa l’ef-fettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli in-crementi patrimoniali se non la dimostrazione dell’esistenza di tali redditi», né può evincersi «un onere di dimostrazione, aggiuntivo, circa la provenienza oltre che l’effettiva disponibilità finanziaria delle somme occorrenti per gli acquisti operati dal contribuente, in quanto una diversa interpretazione, in nessun modo correlata al tenore testuale del ricordato art. 38, comma 6, ult. cit., determinerebbe in definiti-va, una sorta di trasfigurazione del presupposto impositivo, non più correlato all’esi-stenza di un reddito ma, piuttosto, all’esistenza di una spesa realizzata da redditi imponibili ordinari e congrui o da redditi esenti o da redditi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo d’imposta» (Cass. n. 6396/2014) 10. Con tale indirizzo, invero, la Suprema Corte aveva ridotto notevolmente l’onere probatorio in capo al contri-buente in ordine alla provenienza delle somme ed alla natura del reddito, fatta sal-va la dimostrazione della sola disponibilità dello stesso, superando di fatto il nesso eziologico tra reddito e spesa patrimoniale 11.

10 Sulla sentenza della Cass. n. 6396/2014 si v. ACCORDINO, Limiti e ambiti della prova contraria nell’accertamento sintetico, in Boll. trib., n. 19, 2014. p. 1424 ss. Ad avviso dell’Autore «La Suprema Corte, dopo aver affrontato il tema del nesso eziologico, superandolo, si sofferma proprio su tale ulti-mo profilo della vicenda in esame (ovvero vicende relative ad atti di liberalità familiari) ... I Supremi Giudici rilevano che l’omesso esame della documentazione relativa alla donazione da parte della Com-missione tributaria regionale ha costituito elemento condizionante l’esito della vicenda».

11 Il nesso eziologico implica la necessaria dimostrazione che la spesa contestata dal fisco sia ef-fettivamente e direttamente finanziata con una determinata provvista.

Cass., sez. trib., 6 agosto 2014, n. 17663 227

Difatti, secondo quest’ultimo orientamento, la mera esistenza del reddito, ov-vero la sola disponibilità della provvista economica, è stata considerata dalla suc-cessiva giurisprudenza della Corte quale unico elemento da provare, non più ricor-rendo alla natura del reddito ed alla provenienza dello stesso. Nessun onere proba-torio aggiuntivo ed ulteriore, ritengono gli Ermellini, ma la prova della mera esi-stenza del reddito o disponibilità, poiché diversamente ragionando si determine-rebbe una «trasfigurazione del presupposto impositivo» non più fondato sulla esi-stenza del reddito, e dunque sulla capacità di spesa, ma su un criterio di collega-mento funzionale tra esistenza di un reddito esente o assoggettato a ritenuta alla fon-te e sostenibilità della spesa.

Dunque, da una interpretazione rigorosa, fondata su un eccessivo onere pro-batorio, quasi insuperabile (Cass. n. 6813/2009; Cass. n. 23785/2010; Cass. n. 4183/2013), la giurisprudenza della Suprema Corte approdava ad una interpre-tazione più indulgente e più favorevole al contribuente (Cass. n. 6396/2014 12), su-perando di fatto il nesso eziologico tra esistenza della provvista e spesa sostenuta. Sul punto è stato già evidenziato che anche con riferimento al citato art. 38, com-ma 6, a seguito delle modifiche del 2010, l’interpretazione più costituzionalmente confacente sarebbe quella per la quale l’Ufficio dovrebbe verificare quali siano le fonti di reddito esistenti nella fattispecie concreta in relazione alla durata del pos-sesso, anche riferibili al nucleo familiare 13 di appartenenza, senza onerare il contri-buente della prova della corrispondenza specifica e funzionale tra l’incremento pa-trimoniale e la spesa sopportata 14.

Difatti, risulta opportuno evidenziare che nell’ambito della recente modifica in-tervenuta all’art. 38, D.P.R. n. 600/1973, il legislatore ha osservato una connota-zione non più personalistica, bensì familiare nella rideterminazione dei redditi del-le persone fisiche mediante redditometro, con ciò riferendosi proprio alle caratte-ristiche del nucleo familiare di appartenenza 15. Invero, la disposizione che regola le

12 Cass., sent. n. 6396/2014. Secondo questo orientamento, dinanzi alla presunzione di un mag-gior reddito derivante da spese per investimenti patrimoniali, il contribuente assolve al proprio one-re probatorio mediante l’indicazione e documentazione comprovante la disponibilità di risorse fi-nanziarie, non essendo necessaria la prova che quegli investimenti siano stati finanziati proprio da quelle disponibilità (fattispecie in cui la Corte si pone in consapevole e motivato contrasto con altre precedenti pronunce che avevano fissato il principio opposto, più restrittivo per il contribuente). Nella medesima sentenza, la Corte ha altresì affermato il principio per cui la disponibilità di una da-ta somma versata sul conto corrente del contribuente può ben essere provata da una scrittura priva-ta di donazione, non autenticata e priva di data certa.

13 Si v. GIOVANNINI, Famiglia e capacità contributiva, in Riv. dir. trib., n. 3, 2013, p. 221; PINO, Il ruolo della famiglia fiscale per un redditometro più efficace, in Corr. trib., n. 5, 2013, p. 395.

14 In tal senso ACCORDINO, Limiti, cit., p. 1424 ss. V. CTR Friuli Venezia Giulia, sez. X, 10 luglio 2013, n. 50, in Boll. trib., 2014, p. 788, con nota di ACCORDINO, Notazioni in tema di accertamento sintetico del reddito complessivo delle persone fisiche.

15 Tale circostanza è venuta in evidenza mediante l’introduzione del nuovo comma 5 dell’art. 38, D.P.R. n. 600/1973, come modificato dall’art. 22, comma 1, D.L. n. 78/2010.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 228

modalità e condizioni per la rideterminazione sintetica del reddito – fondata su elementi induttivi di capacità contributiva – rinvia ora espressamente alla caratte-ristica del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza del singolo con-tribuente per corroborare un accertamento sintetico.

Già concorde sul punto anche la giurisprudenza in sede di legittimità la quale, peraltro, ha ritenuto che in caso di accertamento con metodo sintetico effettuato in base al redditometro, la prova contraria, ammessa dal comma 6 dell’art. 38, D.P.R. n. 600/1973, implica un riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’in-tero nucleo familiare, intendendosi con tale espressione esclusivamente la famiglia naturale e non anche i meri conviventi 16.

Peraltro, questa ricostruzione, unitamente alla valorizzazione del contradditto-rio 17 endo-procedimentale, oltre a rappresentare un importante aspetto evolutivo, contribuisce ad una valutazione più concreta ed effettiva della situazione giuridica soggettiva del contribuente, atteso che in tale fase «il contribuente, in sede di pri-mo contraddittorio con l’ufficio, potrà fornire una diversa rappresentazione della propria situazione familiare, con conseguente attribuzione della nuova tipologia fa-miliare» 18.

16 Cass., sez. trib., 7 marzo 2014, n. 5365. In senso conforme anche Cass., sez. trib., 28 luglio 2006, n. 17202.

17 La Circolare 24/E/2013 ha precisato che «Il contraddittorio avrà ad oggetto: le “spese certe”, per le quali il contribuente può dimostrare con prove certe e dirette basate su idonea documenta-zione l’errata imputazione della spesa o l’inesattezza delle informazioni in possesso dell’Amministra-zione; la concreta disponibilità di un bene di cui l’Amministrazione possiede tutte le informazioni relative alle specifiche caratteristiche tecniche (ampiezza, categoria catastale, potenza, dimensioni, etc.), a cui sono direttamente riconducibili le spese di mantenimento (“spese per elementi certi”). Per questa tipologia di spesa il contribuente, oltre a dimostrare l’eventuale inesattezza delle informa-zioni contenute nell’invito, potrà dare evidenza di fatti, situazioni e circostanze, supportate anche in-direttamente da documentazione, da cui si possa riscontrare l’inesattezza relativa alla ricostruzione della spesa, o la diversa imputazione della stessa (ad esempio: l’inagibilità dell’immobile relativa-mente alla quantificazione delle spese di acqua, condominio e manutenzione ordinaria; il sequestro temporaneo del mezzo di trasporto per provvedimento dell’autorità municipale o giudiziaria relati-vamente alla quantificazione delle spese per carburanti, pezzi di ricambio, etc.); le spese per investi-menti sostenute nell’anno, in relazione alle quali potrà essere fornita la prova della formazione della provvista e dell’utilizzo della stessa per l’effettuazione dello specifico investimento; il risparmio, in relazione al quale il contribuente fornirà ogni utile informazione relativa alla quota formatasi nell’an-no. Se il contribuente fornisce chiarimenti esaustivi in ordine alle “spese certe”, “spese per elementi certi”, agli investimenti ed alla quota di risparmio dell’anno, l’attività di controllo basata sulla rico-struzione sintetica del reddito si esaurisce nella prima fase del contraddittorio».

18 Circolare 11 marzo 2014, n. 6/E.

Cass., sez. trib., 6 agosto 2014, n. 17663 229

4. La sufficienza del rapporto entità-durata della provvista supera la presunzio-ne sintetica in ossequio all’attualità ed effettività della capacità contributiva

Con l’orientamento giurisprudenziale in commento 19 la Suprema Corte di Cassazione compie un ulteriore sviluppo ermeneutico nell’interpretazione logico-sistematica dell’art. 38, comma 6, del decreto sull’accertamento.

Ed invero, oltre a confermare l’orientamento favorevole al contribuente, i giu-dici di piazza Cavour hanno delimitato e determinato ulteriormente i confini della prova contraria in capo al contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sin-tetico ex art. 38, D.P.R. n. 600/1973, ritenendo sufficiente provare, mediante ido-nea documentazione, l’entità di detti redditi in relazione alla durata del loro pos-sesso. Richiede la Corte un quid pluris rispetto al mero possesso della provvista ri-chiesto con il precedente orientamento 20, essendo pur sempre necessaria, in tutto o in parte, il collegamento e derivazione, anche presuntiva, tra maggior reddito ac-certato e reddito esente o già tassato alla fonte posto a giustificazione della mag-giore spesa 21.

Se da un lato non basta provare la mera disponibilità di ulteriori redditi, dal-l’altro non è più necessario provare la diretta destinazione funzionale di detta prov-vista con l’incremento di spesa, risultando sufficiente una prova documentale su «circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere)». Più precisamente, risulta sufficiente provare la detenzione di detti redditi già tassa-ti e accumulati per un lungo periodo in relazione alla possibilità che, utilizzando gli stessi, si possa giustificare in astratto la spesa per incrementi patrimoniali contesta-ta dall’Ufficio, non essendo, viceversa, più necessaria la prova in concreto che que-gli investimenti siano stati effettivamente finanziati proprio da quelle disponibilità; provare, di conseguenza, anche in via presuntiva, la circostanza che detti redditi esenti o già tassati, in astratto, avrebbero potuto sostenere potenzialmente quella spesa per incrementi patrimoniali.

Ritiene la Suprema Corte che in tal senso vada interpretata la prova in ordine alla idonea documentazione comprovante l’entità della provvista in relazione alla

19 Cass., sentt. n. 8995/2014 e n. 17663/2014 (sentenza in commento). 20 Cass., sent. n. 6397/2014. 21 Cass., sent. n. 8995/2014 «A norma dell’art. 38, comma sesto d.p.r. n. 600 del 1973, l’accerta-

mento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso ido-nea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costitui-to in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tutta-via la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devo-no risultare da idonea documentazione”. La norma chiede qualcosa di più della mera prova delle di-sponibilità di ulteriori redditi (...), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova do-cumentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). ...».

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 230

durata del possesso della stessa. Infatti, ad avviso dei giudici di legittimità, «in tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documenta-zione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo pos-sesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quan-titativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità del-la maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contri-buente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbe-ro ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali do-vrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati» 22.

Nella sentenza in commento (Cass., sent. 6 agosto 2014, n. 17663), dunque, la Suprema Corte aggiunge un ulteriore tassello all’interpretazione dell’art. 38, co-niugando, difatti, la detenzione del reddito con l’entità dello stesso e la durata del suo possesso. Dunque, non soltanto la detenzione, il transito o l’utilizzo potenziale della provvista, ma necessari risultano la quantità del reddito, ovvero l’entità, e il rap-porto di durata della disponibilità; peraltro entrambi gli elementi, definiti dalla Suprema Corte quali «fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale)», erano ri-chiamati espressamente dal legislatore nella versione previgente dell’ultimo perio-do del comma 6 dell’art. 38 citato.

Con tale indirizzo la Suprema Corte supera in concreto, da un lato, il requisito probatorio della mera disponibilità della provvista, e, dall’altro, l’ulteriore e più gra-vosa prova in capo al contribuente del nesso eziologico, richiedendo come impre-scindibili – ancorché sufficienti – il rapporto di entità e durata della provvista tale da giustificare la spesa patrimoniale contestata. Dunque, detenere talune somme per un determinato arco temporale è sufficiente a superare la presunzione sintetica del redditometro.

Secondo l’interpretazione della Suprema Corte i fattori quantità-tempo sono sufficienti e nel contempo necessari a superare la presunzione sintetica, non occor-rendo la prova della destinazione diretta tra utilizzo di un determinato reddito e spe-sa patrimoniale finanziata con lo stesso.

22 Cass., sent. 6 agosto 2014, n. 17663 «In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quan-titativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capa-cità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori red-diti, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’ac-certamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbe-ro pertanto ascriversi a redditi non dichiarati».

Cass., sez. trib., 6 agosto 2014, n. 17663 231

È sempre la Suprema Corte ad offrire spunti interessanti di riflessione sul fronte probatorio evidenziando come la prova, così richiesta, non risulti necessariamente onerosa, potendo essere fornita mediante «l’esibizione degli estratti dei conti cor-renti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del pos-sesso dei redditi in esame; quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente». Dunque, rinviando ad un principio di proporzionalità, corro-borato da “fatti oggettivi”, il rapporto tra entità e la durata temporale della provvista risulta sufficiente a superare la presunzione sintetica.

Detta prova, sulla entità e sulla durata della provvista, risulta necessaria per pre-sumere la riferibilità della maggiore capacità contributiva, accertata con il metodo sintetico, in capo al contribuente, sebbene detta riferibilità non sia certa ed acclarata.

Alcun onere probatorio circa il c.d. “nesso eziologico” va dunque provato, non ri-sultando legittima la dimostrazione del fatto che gli incrementi patrimoniali siano realizzati impiegando proprio quei redditi esenti o già tassati alla fonte. Tale ultima prova appare, infatti, particolarmente complessa soprattutto da parte delle persone fisiche prive di una contabilità, risultando l’onere probatorio, in tal caso, una prova diabolica e, dunque, difficilmente superabile.

Nella fattispecie in commento, invero, risultava accertata l’esistenza della sola provvista, anche mediante alcuni disinvestimenti azionari, ma non risultava pari-menti accertata la prova del rapporto di durata temporale della stessa. Per detto mo-tivo e confermando l’innovativo indirizzo giurisprudenziale, la Corte ha cassato con rinvio ad altra sezione della CTR del Piemonte la sentenza di merito di secon-do grado, poiché i giudici del gravame avevano omesso di valutare, in punta di fat-to, proprio il rapporto tra entità e durata della disponibilità finanziaria in capo alla ricorrente, che risultava sufficiente ai fini presuntivi, unitamente all’anticipazione bancaria ottenuta all’epoca della stipula dell’atto.

È evidente che con l’orientamento condiviso nell’annotata sentenza della Su-prema Corte, all’esito di un sofferto iter giurisprudenziale ed in ossequio ad un prin-cipio di proporzionalità tra entità e durata della disponibilità della provvista, si è giunti ad un contemperamento tra i limiti posti all’accertamento sintetico e l’onere della prova, in ossequio al principio di effettività sotteso alla capacità contributiva.

D’altra parte, l’orientamento citato è stato già recepito dalla giurisprudenza di merito 23 la quale recentemente, in sede di gravame, ha rigettato la tesi dell’ufficio

23 V. CTR Milano n. 292/45/2015. Ad avviso del Collegio del gravame è determinante la dimo-strazione fornita dal contribuente «di aver effettuato disinvestimenti sufficienti a garantire la liquidità necessaria all’acquisto dell’immobile, che ha costituito fonte d’innesco dell’accertamento in questione ... indipendentemente dalla puntuale correlazione tra l’incremento patrimoniale e i disinvestimenti ef-fettuati, può essere sostenuto che l’onere gravante sulla contribuente non sia stato assolto ...». Infonda-ta risulta «l’eccezione dell’Ufficio relativa alla mancata produzione degli estratti integrali dei conti correnti su cui erano transitate le somme in questione, onde dimostrare che le somme derivanti dai disinvestimenti non erano state utilizzate per altrettanti investimenti realizzati prima dell’incremento

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 232

finanziario il quale sosteneva che, a seguito di spese per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria richiesta in capo al contribuente non doveva limitarsi alla dimostrazione dei redditi esenti o provviste proporzionate alla spesa, ma oc-correva un diretto collegamento tra l’impiego della provvista e la spesa per acqui-sti, atteso che le provviste finanziarie potrebbero pur sempre esser state utilizzate anche in diverso modo, e non anche per finanziarie gli incrementi patrimoniali contestati. In tale ultimo caso 24, l’ufficio sosteneva ai fini probatori la necessità di un onere aggiuntivo ed ulteriore in capo al contribuente – sebbene non più richie-sto dalla Suprema Corte –, non limitato alla mera prova del rapporto esistenza e durata della provvista 25, rinviando nuovamente alla prova in ordine al superato nes-so eziologico.

In definitiva anche il giudice di merito ha ritenuto che in tema di accertamento per redditometro, al fine di giustificare la spesa per incrementi patrimoniali, è suf-ficiente che il contribuente abbia dimostrato di aver effettuato disinvestimenti ido-nei ad originare una maggiore capacità contributiva, non essendo necessario di-mostrare che la spesa sostenuta sia stata finanziata proprio con la provvista ottenu-ta dai predetti disinvestimenti. Non risulta, dunque, necessario dimostrare la cor-relazione tra disponibilità della provvista e le somme effettivamente impiegate per finanziare le spese contestate (c.d. nesso eziologico).

Pertanto, anche nella più recente giurisprudenza di merito 26 è emerso che non è necessario fornire prova del collegamento causale e della diretta corrispondenza che quelle provviste abbiano finanziato le spese contestate dal fisco, ma risulta, tut-tavia, sufficiente una prova documentale su «circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere)» 27.

Sossio Colella patrimoniale de quo. Infatti, eventuali altri investimenti che fossero stati effettuati dalla contribuente sarebbero emersi dai controlli incrociati dell’amministrazione finanziaria e avrebbero costituito og-getto di ulteriori indagini fiscali».

24 V. CTR Milano n. 292/45/2015. 25 V. CTR Milano n. 292/45/2015. È evidente che la prova contraria risulta notevolmente appe-

santita da tale ulteriore richiesta. La sentenza della CTR di Milano ritiene, dunque, non indispensa-bile la prova in ordine alla correlazione tra la spesa sostenuta e le disponibilità evidenziate, essendo sufficiente provare la sussistenza di una capacità di spesa idonea a coprire gli acquisti accertati e con-testati dal fisco.

26 Sempre la CTR di Milano, con la sent. n. 5062/39/2014, ha osservato che le disponibilità fi-nanziarie risultanti dal conto corrente del contribuente fossero compatibili con l’investimento patri-moniale. In particolare, il collegamento causale tra le spese effettuate e le disponibilità finanziarie rilevate è insito nella contiguità temporale dei movimenti economici. Il contribuente, in pratica, è chia-mato solo a dimostrare l’esistenza di altre fonti reddituali sufficienti a giustificare gli incrementi pa-trimoniali, ma non la specifica destinazione di questi redditi alle spese che gli vengono contestate dal Fisco tramite il redditometro.

27 Cass., 6 agosto 2014, n. 17663.

Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823 – Pres. Rovelli, Rel. Cappabianca Accertamento tributario – Contraddittorio endoprocedimentale – Tributi “ar-monizzati” – Obbligatorietà – Inosservanza – Conseguenze – Onere del contri-buente – Tributi “non armonizzati” – Applicabilità – Condizioni – Specifica pre-visione normativa – Necessità

(Omissis)

MOTIVI DELLA DECISIONE VII – Conclusioni. 1. Principio di diritto Alla stregua delle considerazioni che precedono, può affermarsi il seguente princi-

pio di diritto: “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica pre-scrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportan-te, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi ‘non armonizzati’, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoproce-dimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi ‘ar-monizzati’, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giu-dizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato con-traddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, svia-mento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

2. Applicazione alla fattispecie concreta La decisione impugnata si pone in contrasto con l’enunciato principio di diritto. Ha, infatti, disposto l’annullamento dell’atto impositivo dedotto in controversia

per difetto di contraddittorio endoprocedimentale, ancorché, quanto all’accertamento a fini irpeg ed irap (esclusivamente assoggettato alla normativa nazionale), non sussi-stesse in capo all’Amministrazione fiscale, vertendosi in tema d’indagine “a tavolino”, alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale e, quanto all’accertamento a fini

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 234

iva (oggetto della diretta applicazione del diritto dell’Unione Europea), mancassero indicazioni circa l’assolvimento, da parte della società contribuente, dell’onere di spe-cifica enunciazione delle ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di procedimento amministrativo.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e la causa rinviata, anche per la rego-lamentazione delle spese del presente giudizio, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte, a sezioni unite, accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassa la sen-

tenza impugnata e rinvia la causa, anche per la regolamentazione delle spese del pre-sente giudizio, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2015. Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2015 Il contraddittorio procedimentale: un miraggio evanescente?

The audi alteram partem principle in tax proceedings: an evanescent mirage?

Abstract La sentenza in commento, movendosi controcorrente rispetto all’indirizzo giuri-sprudenziale della stessa Corte di Cassazione che valorizza sempre più il con-traddittorio procedimentale, ha concluso che l’obbligo del contraddittorio sussi-ste solo per le imposte armonizzate e solo se esso avrebbe dato luogo ad un risul-tato utile. La soluzione non è convincente sia perché il giudizio sull’utilità del contraddittorio svilisce la sua stessa funzione garantista sia perché la differenzia-zione tra le imposte può esser messa in discussione, a maggior ragione quando l’accertamento sia effettuato con unico atto. Poco dopo tale sentenza è stata sol-levata questione di legittimità costituzionale. Parole chiave: procedimento, contraddittorio, accertamento, difesa, vizi, annul-lamento

Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823 235

The decision under review runs counter the interpretative trends of the same Italian Supreme Court (ISC) that has emphasised how important the audi alteram partem principle is during tax audits, and concludes that such principle shall find application only for harmonised taxes and only if it should have produced useful effects. This in-terpretation is not convincing because the judgment of usefulness of the audi alteram partem principle jeopardises its function of guarantee, but also because the different nature of taxes does not represent a clear criterion, since the notice of assessment often refers to different taxes. Shortly after this decision, a question of constitutional com-patibility has been raised in front of the Italian Constitutional Court (ICC). Keywords: tax proceedings, audi alteram partem principle, tax assessment, right of defense, defects, annulment

SOMMARIO: 1. Il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte nei suoi punti cardine. – 2. Inquadra-mento storico della problematica e sviluppi della giurisprudenza della Corte di Giustizia: la na-scita dell’affermazione del vizio dell’atto solo se il contraddittorio sarebbe stato “utile”. – 3. La soluzione negatoria adottata dalla sentenza in commento per gli atti impositivi relativi a tributi non armonizzati e non scaturenti da accessi, ispezioni e verifiche in sede. – 4. Possibili ipotesi ricostruttive alternative. – 5. L’artificiosa separazione del procedimento ed il rilievo del vizio solo per alcuni tributi anche nel caso di unico procedimento e unico atto. – 6. Una soluzione interlocutoria? Verso una nuova pronuncia della Corte costituzionale?

1. Il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte nei suoi punti cardine

Con la sentenza in commento le Sezioni Unite della Suprema Corte sono inter-venute sulla discussa questione dell’indefettibilità del contraddittorio procedimenta-le 1 negli accertamenti non scaturenti da indagini effettuate presso la sede del contri-buente ed hanno enunciato un principio di diritto che, anche alla luce delle motiva-zioni espresse e del caso di specie esaminato, può esser articolato come segue:

a) con esclusione delle ipotesi in cui ciò sia espressamente previsto, non esiste nel diritto italiano un obbligo generalizzato per l’Amministrazione fiscale di porre in essere il contraddittorio endoprocedimentale, prima di emettere un atto imposi-tivo a carico del contribuente e pena l’invalidità dell’atto stesso;

b) il vizio dell’atto sussiste con riferimento ai tributi armonizzati e, riguardo ai tributi non armonizzati, solo per i casi espressamente previsti dalle leggi italiane;

1 Sul tema, per tutti, si v. RAGUCCI, Il contraddittorio nei procedimenti tributari, Torino, 2009.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 236

c) qualora con unico procedimento ed unico atto l’Amministrazione fiscale ab-bia accertato tributi armonizzati e tributi non armonizzati per i quali non è previsto obbligo di contraddittorio, il vizio si verifica solo per quanto concerne i tributi ar-monizzati;

d) l’invalidità dell’atto esiste, tuttavia, solo se il contribuente assolve l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contrad-dittorio fosse stato attivato, e tali ragioni si rivelino non puramente pretestuose né tali da configurare sviamento dello strumento difensivo.

Si tratta, come si vede, rispetto alle posizioni della stessa Corte di un notevole passo indietro, che merita una specifica analisi, a iniziare proprio dall’asserzione finale, che pericolosamente può privare, soprattutto se mal applicata, l’istituto del contraddittorio procedimentale di ogni utilità e persino di ogni riconoscimento.

2. Inquadramento storico della problematica e sviluppi della giurisprudenza del-la Corte di Giustizia: la nascita dell’affermazione del vizio dell’atto solo se il contraddittorio sarebbe stato “utile”

L’istituto del contraddittorio procedimentale ha avuto un’evoluzione ben nota. Il problema sorge a causa dell’infelice scelta organizzativa italiana di mancata

adozione di una norma sul procedimento amministrativo tributario, a differenza di quanto accade in ordinamenti viciniori e l’attenzione del legislatore si è appuntata, quindi, sui profili che maggiormente, di volta in volta, apparivano come meritevoli di rimedi.

Con la L. n. 241/1990 sul procedimento amministrativo è stata opportuna-mente operata all’art. 13 la scelta di non applicare de plano gli istituti rientranti nel novero della “partecipazione”, per evitare che il soggetto sottoposto ad indagine, se informato anche solo dell’avvio dell’indagine a suo carico, modificasse il quadro degli elementi probatori che l’Amministrazione stava per sottoporre ad esplora-zione.

Dalla statuizione dell’art. 13 L. n. 241 non era possibile tuttavia evincere la vo-lontà del legislatore di escludere l’istituto del contraddittorio dai procedimenti tri-butari 2, poiché quella statuizione era piuttosto espressiva di una volontà di “non intervento” in un settore dominato da regole e, soprattutto, logiche sue proprie.

D’altro canto, nella riformulazione del sistema sanzionatorio con il D.Lgs. n. 472/1997 non era stata perduta l’occasione per inserire, laddove era possibile sen-za intervenire su temi esterni alla delega, la fase della contestazione, consentendo

2 Sulla partecipazione v. SALVINI, La partecipazione del privato all’accertamento (nelle imposte sui redditi e nell’iva), Padova, 1990.

Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823 237

al soggetto passivo la difesa al termine dell’istruttoria procedimentale e prima del-l’introduzione della fase processuale, così realizzando un principio di complessiva economia.

In mancanza quindi di una regola espressa che obbligasse l’Amministrazione Finanziaria al contraddittorio procedimentale, si sono incrementate le ipotesi di contraddittorio isolatamente previste (difatti richiamate nella sentenza in commen-to come riprova della fondatezza della tesi dell’inesistenza di un principio generale immanente al sistema) e, soprattutto, si è riusciti a giungere alla previsione di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente, nonostante le resistenze di quelle lobbies che per molti anni hanno ostacolato l’emanazione dello Statuto stesso e che poi hanno cercato di sminuirne la portata di norma di garanzia, valorizzando in senso negativo la mancata espressa previsione di sanzioni nella regola statutaria appena detta.

In un quadro giurisprudenziale altalenante è intervenuta, ed ha segnato un vero e proprio punto di svolta, la sent. 18 dicembre 2008, emessa dalla Corte di Giusti-zia nella causa C-349-07 nella causa Sopropé – Organizações de Calçado Lda c. Fa-zenda Pública 3, in cui la Corte ha dichiarato che:

1. per quanto riguarda la riscossione di un debito doganale al fine di procedere al recupero a posteriori di dazi doganali all’importazione, un termine da otto a quindici giorni concesso all’importatore sospettato di aver commesso un’infrazio-ne doganale affinché questi presenti le proprie osservazioni è, in linea di principio, conforme alle prescrizioni del diritto comunitario;

2. spetta al giudice nazionale adito stabilire se, alla luce delle circostanze parti-colari della causa, il termine concretamente concesso a detto importatore gli abbia consentito di essere utilmente ascoltato dalle autorità doganali;

3. il giudice nazionale deve inoltre verificare se, in considerazione del periodo intercorso tra il momento in cui l’Amministrazione interessata ha ricevuto le os-servazioni dell’importatore e la data in cui ha adottato la sua decisione, sia possibi-le o meno ritenere che essa abbia tenuto adeguatamente conto delle osservazioni che le sono state trasmesse.

E quella sentenza è stata estremamente rilevante poiché in essa la Corte di Giu-stizia, pur mancando una specifica disposizione comunitaria, ha riconosciuto il contraddittorio procedimentale come principio immanente del sistema ed ha sot-tolineato che l’Amministrazione fiscale ha l’obbligo di valutare seriamente le os-servazioni del soggetto passivo (inoltre, dimostrando l’abituale concretezza e di-stanziandosi dal formalismo, ha stabilito che la previsione, da parte dell’ordina-

3 Corte di Giustizia UE, sez. II, sent. 18 dicembre 2008, causa C-349/07, in GT-Riv. giur. trib., 2009, p. 203 s., con nota di MARCHESELLI, Il diritto al contraddittorio nel procedimento amministrativo tributario è diritto fondamentale del diritto comunitario.

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mento domestico, di un termine da otto a quindici giorni per presentare osserva-zioni, in relazione ad un’importazione alla quale aveva dato luogo il soggetto passi-vo, può anche esser congrua, ma a seconda delle circostanze particolari).

In effetti il profilo comunitario non riserva incertezze interpretative con riferi-mento alla fase procedimentale.

L’art. 41 della Carta di Nizza-Strasburgo, che ai sensi dell’art. 6 del Trattato di Lisbona ha lo stesso valore giuridico del Trattato stesso, stabilisce il diritto alla buona amministrazione. E proprio dai principi comunitari la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha tratto il principio secondo il quale esiste il diritto di essere sentiti nel corso di un procedimento che abbia effetti anche nei confronti delle parti interessate ad esso o che possa sortire effetti lesivi di situazioni soggettive tutelate, anche se la norma del Paese membro non contempli ciò espres-samente.

Proprio dalla giurisprudenza comunitaria è tuttavia derivato, in tempi recenti, il principale colpo di maglio all’affermazione dell’immanenza del principio del con-traddittorio procedimentale, giacché, pur esprimendosi in sostanziale conformità con il proprio precedente orientamento, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sent. 3 luglio 2014, nelle cause riunite C-129/13 e C-130/13, intraprese da Kamino International Logistics BV (C-129/13) e Datema Hellmann Worldwide Lo-gistics BV (C-130/13) c. Staatssecretaris van Financiën, ed aventi ad oggetto le do-mande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dallo Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi), in relazione al diritto al contrad-dittorio per il destinatario della decisione di recupero che non è stato sentito dalle autorità doganali prima dell’adozione di tale decisione, bensì nella successiva fase di reclamo, ha aggiunto un elemento criticabile, che giustamente non è scampato alla censura da parte della sentenza in commento.

Difatti, la Corte dapprima ha concluso che:

1. il principio del rispetto dei diritti della difesa da parte dell’Amministrazione e il diritto che ne deriva, per ogni persona, di essere sentita prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi, quali si applicano nell’ambito del Reg. (CEE) n. 2913/1992 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal Reg. (CE) n. 2700/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000, pos-sono essere fatti valere direttamente, dai singoli, dinanzi ai giudici nazionali;

2. il principio del rispetto dei diritti della difesa e, segnatamente, il diritto di ogni persona di essere sentita prima dell’adozione di un provvedimento individua-le lesivo, devono essere interpretati nel senso che, quando il destinatario di un’inti-mazione di pagamento adottata a titolo di un procedimento di recupero a poste-riori di dazi doganali all’importazione, in applicazione del Reg. n. 2913/1992, co-me modificato dal Reg. n. 2700/2000, non è stato sentito dall’Amministrazione prima dell’adozione di tale decisione, i suoi diritti della difesa sono violati quand’an-

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che abbia la possibilità di fare valere la sua posizione nel corso di una fase di recla-mo amministrativo ulteriore, se la normativa nazionale non consente ai destinatari di siffatte intimazioni, in mancanza di una previa audizione, di ottenere la sospen-sione della loro esecuzione fino alla loro eventuale riforma. È quanto avviene, in ogni caso, se la procedura amministrativa nazionale che attua l’art. 244, comma 2, Reg. n. 2913/1992, come modificato dal Reg. n. 2700/2000, limita la concessione di siffatta sospensione allorché vi sono motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata alla normativa doganale, o si teme un danno irreparabile per l’interessato;

3. le condizioni in cui deve essere garantito il rispetto dei diritti della difesa e le conseguenze della violazione di tali diritti rientrano nella sfera del diritto naziona-le, purché i provvedimenti adottati in tal senso siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli in situazioni di diritto nazionale comparabili (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’eser-cizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effet-tività).

Sin qui la sentenza della Corte di Giustizia non è apparsa che confermativa del-l’orientamento precedente.

A questo punto però ha aggiunto che il giudice nazionale, avendo l’obbligo di ga-rantire la piena efficacia del diritto dell’Unione, può, nel valutare le conseguenze di una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, te-nere conto della circostanza che una siffatta violazione determina l’annullamento della decisione adottata al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi «soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso».

Tuttavia, la discutibile indicazione della sentenza Kamino (circa la facoltà del giudice di annullare l’atto impositivo se in mancanza dell’irregolarità ci sarebbe stato un risultato diverso 4)5 potrebbe non costituire un limite per il giudice nazionale,

4 Trattandosi di garanzie, si deve rilevare che, come si è già detto, esse non si possono giudicare a posteriori, poiché ciò significherebbe sminuire, se non addirittura azzerare, il loro valore: esse o operano o non operano. Un ragionamento che porti a reputare sussistente una garanzia a seconda dell’utilità di quel che sarebbe accaduto se essa fosse stata rispettata in realtà la sta azzerando. Si consideri, ad esempio, il caso delle indagini effettuate nel domicilio del contribuente: seguendo lo stesso ragionamento, si giungerebbe a reputare l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica come non indispensabile o come surrogabile da valutazioni successive. E ciò evidentemente cancellerebbe la norma di garanzia. Pertanto, si condivide la conclusione di Cass., sez. VI, 5 marzo 2015, n. 4543, che ha spiegato che non occorre verificare se il mancato rispetto del termine di sessanta giorni abbia o meno determinato una effettiva compressione del diritto di difesa del contribuente, provocando esso comunque una lesione del contraddittorio tale da far derivare l’illegittimità dell’atto impositivo successivo. In senso conforme Cass., sez. V, 14 gennaio 2015, n. 406 e Cass., sez. V, 17 aprile 2015, n. 7843. Si v. anche Cass., sez. V, 5 dicembre 1979, n. 25759.

5 Per la critica della soluzione indicata dalla sentenza Kamino v. anche LA SCALA, L’effettiva appli-

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ma, trattandosi per l’appunto di diritti della difesa, solo ed al contrario denotare il minimum standard da riconoscere, ferma restando la maggior tutela che gli ordi-namenti domestici dovessero giungere a riconoscere 6; come si desume anche dal-l’uso del verbo “può” e non di quello “deve” nella cennata sentenza Kamino.

Come si accennava, la stessa sentenza della Corte di Cassazione in commento ha criticato detta aggiunta, rilevando condivisibilmente che ciò implicherebbe un totale depauperamento assiologico del contraddittorio, derubricandolo da princi-pio in sé, atto a tutelare il diritto di difesa, a finto criterio, poiché la demolizione dell’atto sarebbe subordinata non già alla violazione del precetto del contradditto-rio bensì alla dimostrazione che il risultato sarebbe stato differente 7.

E peraltro questa aggiunta della Corte di Giustizia appare ancor meno condivi-sibile per l’aver previsto che il giudice nazionale “può” e non “deve” effettuare tale valutazione, lasciando incomprensibili spazi di discrezionalità al giudicante.

Tuttavia, l’aggiunta della sentenza Kamino e Datema della Corte di Giustizia se da un lato è stata censurata d’altro canto ha lasciato delle tracce: la sentenza in commento difatti, come esplicato in motivazione e come enunciato nel finale prin-cipio di diritto, ha concluso che nei casi in cui si applica il contraddittorio (vale a cazione del principio del contraddittorio nel procedimento amministrativo tributario tra svolte, ripensa-menti e attese, in Riv. dir. fin., 2015, p. 411 s., che ha giustamente sottolineato che essa «può condur-re all’erroneo risultato interpretativo di considerare la questione sulla violazione dell’omesso con-traddittorio assorbita nell’ambito del giudizio sulla fondatezza della pretesa impositiva», restando co-me unica soluzione «quella di considerare l’emanazione del provvedimento conclusivo inaudita altera parte viziato di per sé» (p. 413), costituendo l’omissione del contraddittorio «un vizio capitale del procedimento». Per la tesi svalutativa v. GIOVANNINI, Azione e processo tributario: una discussione sulla tutela dei “beni della vita”, in Rass. trib., 2015, p. 59 s., ID., Note controcorrente su nullità dell’av-viso senza contraddittorio e non rilevabilità d’ufficio dell’abuso, in Corr. trib., 2015, p. 4506 s., che ha concluso per la riconducibilità del vizio alla previsione dell’art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/1990. Per le ragioni già riportate, tuttavia, anche ammettendo l’applicabilità dell’art. 21 octies al provvedi-mento tributario, siffatta tesi non è condivisibile, poiché in tema di garanzie la norma ora detta non è, ad avviso di chi scrive, comunque applicabile (l’A. è coerente con la propria impostazione, poiché non considera il contraddittorio come rispondente ad un “bene della vita”, per adoperare le sue espres-sioni; ma è proprio questo il punto di distacco di chi scrive, giacché il contraddittorio appare, come più volte riportato, funzionale al rispetto di principi superiori). Sulla discussa applicabilità dell’art. 21 octies, L. n. 241/1990 alla disciplina tributaria v. FANTOZZI, Violazione del contraddittorio e invali-dità degli atti tributari, in Riv. dir. trib., 2011, p. 137.

6 Così testualmente il punto 82 della sentenza Kamino: «Il giudice nazionale, avendo l’obbligo di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione, può, nel valutare le conseguenze di una viola-zione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, tenere conto della circostanza che una siffatta violazione determina l’annullamento della decisione adottata al termine del procedi-mento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso».

7 Né si comprende ad opera di chi dovrebbe avvenire tale dimostrazione: ove si concluda che l’onere gravi sul contribuente, si avrebbe il risultato di chiedere ad un soggetto di fornire ex post una dimostrazione di utilità di una fase di previa esposizione delle contestazioni, senza che queste conte-stazioni gli siano rese. Con inevitabile lesione del diritto di difesa.

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dire, a giudizio della Suprema Corte, i tributi armonizzati in relazione ai procedi-menti amministrativi conclusisi dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, av-venuta il 1° dicembre 2009) il contribuente deve assolvere l’onere «di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni ... si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare ... sviamento dello strumento difensi-vo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è sta-to predisposto».

Insomma, la mancanza di dimostrazione della diversità del differente risultato della sentenza Kamino e Datema è divenuta, nella sentenza in commento, mancan-za di dimostrazione della pretestuosità dell’opposizione. Non si tratterebbe, quin-di, se non si è mal compreso, di dimostrazione piena, ma, in qualche modo, di di-mostrazione dell’infondatezza del contrario.

In realtà, anche posto in questi termini, il principio di diritto enunciato non può sfuggire alla critica secondo cui, ponendosi per definizione il problema della dimostrazione della mancata pretestuosità comunque in sede di ragionamento giu-diziale, esso si risolve in una valutazione ex post fisiologicamente (ed anche subli-minalmente) influenzata dalla coeva valutazione degli argomenti addotti in ordine alla legittimità o meno dell’atto impositivo.

La conclusione della Suprema Corte di riconoscere valore al contraddittorio procedimentale solo ove il contribuente proponga in giudizio opposizioni “serie” può concludersi in realtà nell’affermazione solo apparente del principio, poiché ri-chiederebbe un vero sdoppiamento del ragionamento al giudice, che, dopo aver ritenuto magari anche con fatica l’opposizione infondata nel merito, dovrebbe pro-cedere al suo accoglimento per la lesione di un contraddittorio che a suo stesso giu-dizio sarebbe stato infecondo.

E peraltro occorre domandarsi come si comporterà la giurisprudenza futura di-nanzi all’accoglimento di alcuni soli rilievi dell’atto impositivo. Nel caso, ad esem-pio, in cui un atto, emesso con violazione del contraddittorio procedimentale, ri-porti la ripresa di diverse poste ed il giudice riconosca che una di esse è infondata (o lo sono alcune, ma non tutte), dovrebbe esser provato, ad avviso di chi scrive, che il contraddittorio avrebbe avuto una sua utilità; e quindi l’atto dovrebbe esser annullato totalmente. Ma, di fronte alla divaricazione tra rilievi relativi all’iva e ri-lievi pertinenti alle imposte dirette che la stessa Corte ha fatto nella sentenza in commento (su cui si dirà appresso), non ci si meraviglierebbe se qualche giudice procedesse ad isolare il vizio al solo rilievo reputato infondato; con ciò di fatto pri-vando di alcun valore il principio del contraddittorio e definitivamente sancendo-ne la deprivazione di alcun valore.

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3. La soluzione negatoria adottata dalla sentenza in commento per gli atti impo-sitivi relativi a tributi non armonizzati e non scaturenti da accessi, ispezioni e verifiche in sede

La negazione, da parte della sentenza in commento, della sussistenza dell’obbli-go generalizzato di porre in essere il contraddittorio procedimentale è passata ov-viamente attraverso la rivisitazione, in chiave limitativa se non svalutativa, dei pre-cedenti della stessa Corte nonché della Corte costituzionale.

Il primo precedente richiamato è la sent. n. 18184 emessa dalla Corte di Cassa-zione a Sezioni Unite il 29 luglio 2013 8, che ha concluso per la nullità dell’atto im-positivo in caso di inosservanza del precetto di cui all’art. 12, ult. comma, dello Sta-tuto dei diritti del contribuente, nonostante detta norma non indicasse espressa-mente la sanzione della nullità per il caso della violazione del precetto ivi contem-plato 9, mediante emissione dell’avviso di accertamento antecedentemente al de-corso del termine di sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura.

In quella sentenza – valorizzando il ruolo dello Statuto dei diritti del contri-buente ma al tempo stesso ribadendo la necessità che l’azione amministrativa fosse esercitata in senso garantistico ed esprimesse principi immanenti nell’ordinamen-to tributario, anche prima dell’entrata in vigore dello Statuto medesimo – la Corte

8 Su cui v. TABET, Spunti controcorrente sulla invalidità degli accertamenti “ante tempus”, in GT-Riv. giur. trib., 2013, p. 853 s.; TESAURO, In tema di invalidità dei provvedimenti impositivi e di avviso di accertamento notificati ante tempus, in Rass. trib., 2013, p. 1144 s.

9 Come noto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si era divisa in tre diversi indirizzi (ed ovviamente altrettanto aveva fatto la giurisprudenza di merito: v. COLLI VIGNARELLI, La Cassazione si pronuncia in modo discorde in tema di invalidità dell’accertamento per violazione del contraddittorio anticipato, in Rass. trib., 2012, p. 453 s., nota 23). In un primo indirizzo potevano esser raggruppate quelle sentenze che avevano cassato con rinvio le sentenze di merito che avevano annullato gli atti impositivi, rilevando la mancanza del controllo della rispondenza della motivazione degli atti rispet-to alle ragioni che avevano determinato l’urgenza ed avevano indotto l’Amministrazione Finanziaria all’emissione anticipata degli atti stessi (ad esempio, Cass., sez. trib., n. 3 novembre 2010, n. 22.320; Cass., sez. trib., 12 maggio 2011, n. 10.381; Cass., sez. VI, ord. 5 luglio 2012, n. 11.347; Cass., sez. trib., 23 marzo 2012, n. 4.687). In un secondo orientamento, che aveva attribuito valore decisivo alla mancanza della espressa previsione di nullità nello Statuto dei diritti del contribuente, potevano es-ser annoverate quelle sentenze per le quali la violazione dell’art. 12 dello Statuto avrebbe dato luogo a mera irregolarità, poiché il contraddittorio procedimentale non sarebbe consistito in una garanzia indefettibile (v. Cass., sez. trib., ord. 18 febbraio 2011, n. 3.988; Cass., sez. trib., 13 ottobre 2011, n. 21.103; Cass., sez. trib., 13 luglio 2012, n. 11.944; Cass., sez. trib., 28 settembre 2012, n. 16.557; Cass., sez. trib., 5 ottobre 2012, n. 16.992). Infine per un terzo indirizzo il termine dilatorio in esame ha funzione di garanzia per il contribuente e conseguentemente la sua lesione provoca un vizio che invalida l’atto impositivo successivo (Cass., sez. trib., 15 marzo 2011, n. 6.088; Cass., sez. trib., 16 settembre 2011, n. 18.906; Cass., sez. V, ord. 28 dicembre 2011, n. 29.156; Cass., sez. trib., 5 ottobre 2012, n. 16.999; Cass., sez. trib., 9 marzo 2011, n. 5.652).

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era giunta, condivisibilmente, a riconoscere il ruolo cardine che l’art. 12 assume nei rapporti tra contribuente e Fisco, e rimarcando la centralità del contraddittorio procedimentale e l’idoneità di tale istituto a soddisfare gli obiettivi perseguiti dalle norme costituzionali 10.

E peraltro, in quella sentenza, la Corte aveva ricordato, a conferma dell’orienta-mento favorevole al riconoscimento del contraddittorio, la nota sentenza Sopropè, emessa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel 2008, condivisibilmente riportata come archetipo dei comportamenti che le amministrazioni finanziarie dei Paesi membri dell’Unione Europea devono tenere, consentendo al contribuente di far valere le proprie osservazioni in procedimenti tributari dai quali possano scatu-rire conseguenze negative per il suo patrimonio.

Ancora, la Corte aveva menzionato anche i suoi precedenti in tema di accerta-menti emessi con il metodo dei parametri o degli studi di settore 11, ove pure man-cava ogni espresso riferimento all’indefettibilità del contraddittorio procedimenta-le (e difatti anche tale arresto è stato oggetto di riconsiderazione da parte della sen-tenza in commento, che ha reputato quella conclusione derivante dalla specifica considerazione delle specifiche caratteristiche ontologiche e normative degli ac-certamenti standardizzati 12) ed a proposito di invii di questionari al contribuente sottoposto ad accertamento 13.

10 Le tensioni divergenti nell’ambito della Suprema Corte sono peraltro affiorate quasi immedia-tamente dopo la ricordata sent., sez. un. n. 18184/2013. Si vedano ad esempio Cass., sez. trib., ord. 5 novembre 2013, n. 24739 (per il tentativo di depotenziare l’art. 37 bis, comma 4, D.P.R. n. 600/1973 nonché di reputar non grave la concessione del termine di giorni cinquantaquattro in luogo dei sessan-ta previsti dalla legge) e Cass., sez. trib., 13 novembre 2013, n. 25515 (per la ritenuta non applicazione dell’art. 12, ult. comma, dello Statuto per le sanzioni tributarie e per i soggetti a carico dei quali siano emessi atti impositivi in conseguenza di verifiche effettuate a terzi, su cui gli accertamenti sono basati).

11 Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26.635. 12 L’affermazione secondo la quale negli accertamenti standardizzati il contraddittorio sarebbe utile

ai fini probatori («per consentire un necessario adeguamento della elaborazione parametrica – che, essendo un’estrapolazione statistica a campione di una platea omogenea di contribuenti, soffre delle incertezze da approssimazione dei risultati proprie di ogni strumento statistico – alla concreta realtà reddituale oggetto dell’accertamento nei confronti di un singolo contribuente»), può esser pure criti-cata, poiché la funzione del contraddittorio non è quella di colmare una prova monca, per giunta ad opera di chi non è onerato, bensì di consentire l’esplicazione del diritto di difesa. Ad avviso di chi scrive, tale enunciato della Corte, che peraltro è a base della sent. n. 26.625/2009 richiamata, è censurabile poiché, se lo strumento degli studi di settore è insufficiente a soddisfare l’onere della prova gravante sull’Amministrazione Finanziaria, non per questo può dirsi idoneo se si è in presenza di un contraddit-torio effettivo, in cui l’Amministrazione nulla aggiunga ed il contribuente nulla deduca. In quel con-traddittorio le parti ripeteranno le loro argomentazioni: l’Amministrazione ribadirà il distacco dalle ricorrenze statistiche (di cui peraltro è ancora sconosciuta la formula) e il contribuente sottolineerà nuovamente la veridicità dei propri assunti. Affidare ad un siffatto contraddittorio una funzione inte-grativa in chiave probatoria non appare corretto, poiché, sotto quel profilo, o l’accertamento era valido anche prima o continua a rimanere basato su elementi non sufficientemente provati.

13 Cass., sez. trib., 30 dicembre 2009, n. 28.049.

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Ciò fatto, aveva affermato che, nel sistema comunitario e nazionale in cui la norma opera, il vizio nel procedimento tributario si traduce in una inaccettabile di-vergenza dal modello normativo e pertanto non può che condurre alla nullità del-l’atto che sia scaturito dal procedimento viziato, esattamente individuando il fulcro nelle garanzie del contribuente 14, viste anche nella prospettiva comunitaria.

La sentenza in commento ha affermato invece che il precedente emerso con la sent. n. 18184/2013 è stato circoscritto alle sole ipotesi di accesso, ispezione e ve-rifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività del contribuente, senza alcuna ap-plicazione ad ambiti ulteriori.

L’ordinanza di rimessione, 15 gennaio 2015 n. 527, è stata oggetto di severa analisi e rigida critica da parte delle Sezioni Unite, a partire dalle stesse distonie giurisprudenziali 15, che sono state fortemente ridimensionate (ad esempio, ciò è av-venuto con riferimento alla sentenza della Corte, sez. un. n. 26635/2009, così co-me pure la sent. n. 7960/2014 che ad essa fa richiamo, come si è detto per gli ac-certamenti standardizzati, oppure per le sentt. n. 25759/2014 e n. 406/2015, ove l’obbligo del contraddittorio è stato giustificato vista la vertenza in tema di abuso del diritto, ovvero ancora per le sentt. n. 16036/2015, n. 6232/2015, n. 5632/2015, n. 992/2015 e n. 961/2015, ove è stato rimarcato che vertevano in materia di iva e pertanto si trattava di tributo armonizzato).

L’ordinanza di rimessione aveva anche richiamato le sentt. n. 19667 e n. 19668/2014 (c.d. sentenze “Botta”), sottolineandone i passaggi più significativi e mettendo in evidenza sia il principio colà stabilito circa la portata generale del con-traddittorio procedimentale 16 sia i corollari che dallo stesso derivano, rimettendo la questione alle Sezioni Unite, poiché la Sezione remittente aveva avuto perplessi-tà circa la tesi secondo cui anche gli avvisi di accertamento conseguiti a verifiche effettuate nella sede dell’Ufficio e non preceduti da contraddittorio procedimenta-le sarebbero stati nulli per due ragioni:

a) sarebbero rimaste significative incertezze in ordine ai limiti di applicazione del principio stesso;

b) l’eventuale riaffermazione dell’esistenza dell’obbligo di attivazione di un con-traddittorio procedimentale da parte dell’Amministrazione Finanziaria avrebbe po-

14 Peraltro, Cass., sez. trib., ord. 17 marzo 2016, n. 5361 ha concluso che quanto al computo dei sessanta giorni ai fini del rispetto del diritto al contraddittorio va esaminata la data di emissione dell’atto e non quella di notifica dello stesso.

15 Nella giurisprudenza di merito, per aperture alle verifiche c.d. “a tavolino”, v. CTP Milano, 10 maggio 2010, n. 126; CTP Cosenza, 14 maggio 2012, n. 380; nonché CTR Lombardia, 23 febbraio 2011, n. 38 (sulla necessità dell’ossequio dell’art. 12 dello Statuto anche in caso di accessi brevi), CTR, 29 ottobre 2013, n. 118/19/13 (sull’applicabilità dell’art. 12, ult. comma, anche in caso di accessi brevi).

16 V. in proposito CICALA, Attività di accertamento e contraddittorio amministrativo: verso un nuovo intervento delle Sezioni Unite, in Boll. trib., 2015, p. 90.

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stulato la precisazione delle concrete modalità di esplicazione del contraddittorio e degli effetti dell’eventuale inosservanza di tali modalità.

La sentenza in commento ha quindi ridimensionato anche la portata delle sen-tenze “Botta”, racchiudendo il loro impatto entro le iscrizioni ipotecarie, oggetto specifico del loro intervento, con argomentazioni probabilmente non irresistibili. La soluzione adottata nelle sentenze sul contraddittorio nelle iscrizioni ipotecarie, difatti, sarebbe giustificata poiché si tratterebbe di atti impugnabili dinanzi al giu-dice tributario, ma nel frattempo forieri di potenziali effetti pregiudiziali per il de-stinatario anche in carenza di comunicazione. Tale asserzione, però, si espone alla critica, poiché non appare significativamente differente il caso dell’accertamento c.d. “a tavolino”, che è pure dotato di una esecutività immediata anche in pendenza di impugnazione; e, riflettendo sugli effetti dell’emissione di un tale avviso di ac-certamento nel caso in cui sia in corso un rimborso, ci si accorge che anche in tale ipotesi si può verificare un effetto pernicioso insciente domino.

Le sentenze “Botta”, attuando l’opera di “dialogo tra Corti” che caratterizza fe-licemente la fase odierna, parevano a chi scrive aver ribadito l’esistenza del diritto al contraddittorio procedimentale anche qualora le leggi d’imposta non abbiano per nulla previsto tale facoltà (considerando il caso dell’iscrizione di ipoteca ex art. 77, D.P.R. n. 602/1973 a garanzia dei crediti tributari) sottolineandone la portata generale, e derivandolo direttamente dai principi generali comunitari, ed in specie dal principio della buona amministrazione portato dall’art. 41 della Carta di Nizza-Strasburgo; avevano però concluso per la nullità dell’atto impositivo non precedu-to dal contraddittorio.

E ciò condivisibilmente la Corte aveva fatto, in quell’occasione, non subordi-nando la tutela del diritto al contraddittorio alla prova di resistenza circa quella che sarebbe stata in concreto l’utilità del contraddittorio medesimo: il diritto al con-traddittorio era stato tutelato in sé, evitando di ricadere nella tentazione di seguire tesi riduttive e rilevando che la mancata instaurazione del contraddittorio proce-dimentale costituisce una immediata lesione del diritto del contribuente. Non ave-va quindi seguito l’equivoca indicazione della Corte di Giustizia nella sentenza Kamino e Datema, sopra ricordata, secondo cui il giudice nazionale “può” tenere conto della mancanza del contraddittorio, ai fini dell’annullamento dell’atto impo-sitivo, solo se ritiene che, in mancanza di tale irregolarità, il risultato sarebbe stato diverso 17.

17 La tesi svalutativa è stata seguita solo parzialmente in dottrina da MARCHESELLI, Il contraddit-torio va sempre applicato ma la sua omissione non può eccepirsi in modo pretestuoso, in Corr. trib., 2014, p. 2536 s., secondo il quale chi eccepisce la violazione del contraddittorio avrebbe semplicemente l’onere di allegare che, se il contraddittorio vi fosse stato, egli avrebbe detto qualcosa (e quindi non an-che l’onere di dimostrare che il risultato sarebbe stato diverso). Nemmeno questa versione della tesi svalutativa è in realtà convincente, perché le garanzie non sono valutabili a posteriori in base agli ef-

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Del pari è stata circoscritta dalla sentenza in commento la pronunzia della Cor-te cost. n. 132/2015, che aveva concluso per l’infondatezza della questione di ille-gittimità costituzionale dell’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973, prospettata in relazio-ne alla previsione del contraddittorio procedimentale negli accertamenti in cui era contestata l’elusione. Secondo la sentenza in commento, l’evocazione del principio generale di diritto comunitario del rispetto dei diritti della difesa sarebbe stata, nel-l’economia della sentenza della Corte costituzionale, funzionale al solo controbi-lanciamento dell’assunto della Presidenza del Consiglio dei Ministri per cui l’ob-bligo di contraddittorio contemplato nella norma in esame poteva esser sacrificato in nome del principio dell’effettività del diritto comunitario e quindi dalla pronun-cia sul diniego di incostituzionalità di quella norma non si potrebbe trarre alcun principio 18.

Ciò posto, la sentenza in esame ha concluso escludendo che, sulla base della normativa nazionale, si possa affermare l’esistenza di un principio generale per il quale l’Amministrazione Finanziaria debba necessariamente procedere ad attivare il contraddittorio procedimentale prima dell’emissione di un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente. E tanto ha fatto anzitutto sulla scorta della valorizza-zione del dato testuale, dal quale ha desunto che la disciplina dell’art. 12 dello Sta-tuto è limitata alle sole verifiche in loco e che le differenti ipotesi in cui il contrad-dittorio è stato previsto sono comunque limitate. Sotto il profilo sistematico, la Corte ha derivato dalle più recenti previsioni normative in ordine all’obbligatorietà del contraddittorio negli accertamenti sintetici e negli accertamenti doganali l’ar-gomentazione a contrario, secondo la quale sarebbe smentita l’immanenza di un principio generale; come sarebbe confermato, secondo la sentenza in commento, fetti delle lesioni. Probabilmente l’A. ha cercato di mitigare gli effetti della sentenza della Corte di Giu-stizia, che però, per le ragioni esposte nel testo, non è condivisibile nemmeno nella interpretazione suggerita.

18 La Corte costituzionale, peraltro, con l’ord. 24 luglio 2009, n. 244, ha rigettato l’eccezione di incostituzionalità ex artt. 24 e 111 Cost. dell’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, poiché il giudice re-mittente avrebbe dovuto valutare la questione della legittimità dell’avviso di accertamento non ri-spettoso dell’obbligo di motivazione, anche sotto il profilo dell’urgenza, alla luce del combinato di-sposto degli artt. 12, L. n. 212/2000, 7, comma 1, della stessa legge, e 3 e 21 septies, L. n. 241/1990, come modificata nel 2005 (in proposito v. MARCHESELLI, Nullità degli avvisi di accertamento senza contraddittorio con il contribuente, in Corr. trib., 2009, p. 2915 s., BASILAVECCHIA, Quando le ragioni di urgenza possono giustificare l’anticipazione dell’accertamento?, in Corr. trib., 2010, p. 3969 s., BRUZZO-NE, Diritto al contraddittorio preventivo e motivazione del provvedimento impositivo nell’interpretazione adeguatrice “suggerita” dalla Consulta, in GT-Riv. giur. trib., 2010, p. 121 s.). Avendo la Corte costitu-zionale adottato un’ordinanza di inammissibilità per insufficiente sforzo interpretativo e non una deci-sione interpretativa di rigetto, essa non ha assunto valore vincolante né per il giudice remittente né, tanto meno, per gli altri giudici, pur costituendo un autorevole precedente (come rilevato da TABET, La sospensione del potere impositivo per 60 giorni tra interpretazione adeguatrice e diritto vivente, in GT-Riv. giur. trib., 2011, p. 926. V. anche TABET, Ancora incerta la sorte degli accertamenti emessi prima del termine di sessanta giorni, in Corr. trib., 2011, p. 3693 s.).

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anche dalla previsione del rafforzamento del contraddittorio con la L. n. 23/2014 di delega per la riforma del sistema fiscale.

Così, dopo aver ritenuto che l’art. 24 Cost. fosse attinente alla sola sfera giudi-ziale e che non potrebbe il contraddittorio esser utilizzato ai fini dell’ampliamento dei poteri partecipativi del contribuente nella fase procedimentale non potendo esser raccolte prove costituende nel processo tributario, la Corte ha denegato, nel-la sentenza in esame, che il giudizio tributario, pur nella sua particolarità, violasse il principio di “parità delle armi”; e, per quanto concerne l’art. 97 Cost., ha smentito che da esso potesse derivarsi l’indefettibilità del contraddittorio nel procedimento amministrativo e tanto più in quello tributario.

Per altro verso, la sentenza in commento ha riconosciuto che la giurisprudenza comunitaria riconosce il rispetto del contraddittorio procedimentale in ambito tri-butario come esplicazione del diritto di difesa, basandolo sull’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione, anche se ha rimarcato che tale diritto non deve trovare compiutezza in ogni momento d’indagine e di acquisizione di elementi pro-batori, ma solo al termine delle attività procedimentali, purché sia garantita l’effetti-vità della tutela. E soprattutto ha rinviato alla sentenza Kamino per la sottolineatura della doverosità dell’annullamento dell’atto solo qualora il risultato fosse stato diffe-rente.

Così, preso atto della ritenuta differenziazione tra la disciplina europea e quella domestica, la Corte ha concluso che per i tributi non armonizzati 19 il contradditto-rio non sia indefettibile, al di fuori dei casi espressamente previsti da specifiche norme di legge, dovendo invece ritenere il contrario per i tributi armonizzati.

Tuttavia, sempre per la sentenza in esame, a tale ultima conclusione si dovreb-be giungere solo qualora, in mancanza di violazione dell’obbligo, il procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso, secondo il più volte ricordato orientamento. E di ciò si è già detto in precedenza.

La stessa Corte, peraltro, si è resa conto di quanto sia angusta la soluzione indi-viduata, reputando tuttavia che solo il legislatore possa farsi carico del superamen-to, ove lo intenda.

Tuttavia, dopo una diffusa ed esaustiva motivazione, la sentenza è giunta alla indi-cazione di un principio di diritto che sottende una questione ulteriore, che discende dalla lettura dei fatti di causa riportati, e che non ha trovato espressa enunciazione.

Ci si riferisce alla possibilità, che la Corte ha evidentemente ritenuto, che la so-luzione possa esser differenziata, tra tributi armonizzati e tributi non armonizzati, anche quando il procedimento tributario sia unico e l’atto impositivo sia unico. La

19 Per la critica alla differenziazione tra tributi armonizzati e non v. LAMBERTI, Per le Sezioni Unite della Cassazione il contraddittorio endoprocedimentale va attivato nei soli tributi armonizzati, in GT-Riv. giur. trib., 2016, p. 26 s. nonché BEGHIN, Il contraddittorio endoprocedimentale tra disposizioni igno-rate e principi generali poco immanenti, in Corr. trib., 2016, p. 479 s.

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sentenza, cioè, ha dato per scontato che l’atto unico possa esser annullato solo in parte, limitando gli effetti del rilevato vizio solo alle imposte armonizzate.

4. Possibili ipotesi ricostruttive alternative

Le conclusioni della sentenza in commento possono forse esser messe in di-scussione.

I dubbi circa l’applicazione degli artt. 24 e 97 Cost. alla fase procedimentale ed alla derivazione da essi dell’obbligo di instaurare il contraddittorio anche in assen-za di una norma espressa 20 sono risalenti.

I detrattori dell’obbligo sostenevano che i precetti di buon andamento e di im-parzialità dell’azione della Pubblica Amministrazione, disposti dall’art. 97 Cost. insieme con i corollari dell’economicità e dell’efficacia della stessa, non dessero al-la materia una copertura tale da intendersi come costituzionalmente illegittime le disposizioni del procedimento tributario che non obbligassero al contraddittorio procedimentale.

Difatti, la tematica del contraddittorio era classicamente ricondotta alla garan-zia del diritto di difesa e del diritto di azione di cui all’art. 24 Cost., e quindi alla sfera processuale, in forza del riferimento al “giudizio”, ordinariamente individuato nel processo e non nel procedimento dalla giurisprudenza della Corte costituzio-nale italiana 21. La Corte costituzionale italiana, cioè, mentre a partire dalla famosa sent. n. 70/1961, pur con alcune soluzioni di continuità 22, riconosceva la tutela co-stituzionale del diritto alla prova e quindi non tollerava che delle acquisizioni pro-batorie fossero effettuate prima del processo e senza che la parte potesse parteci-parvi, in genere non ha ritenuto che l’art. 24 Cost. potesse estendersi sino a riguar-dare anche i procedimenti non processuali.

Peraltro, il termine “contraddittorio”, con riferimento alla nozione di “giusto processo”, è stato inserito nella Carta costituzionale per la prima volta all’art. 111 novellato, mentre sino a quel momento era derivato in dottrina dall’art. 24 Cost. (e quindi dal suo riferimento al diritto di difesa) 23.

20 Per FERLAZZO NATOLI, La rilevanza del principio del contraddittorio nel procedimento di accerta-mento tributario, in AA.VV., L’evoluzione dell’ordinamento tributario italiano, Padova, 2000, pp. 551-552, invece, la costituzionalizzazione del principio del contraddittorio è desumibile dall’art. 24, comma 2, Cost. anche per il procedimento, in forza dell’interpretazione letterale.

21 La non costituzionalizzazione del principio del giusto procedimento è una risalente costante della Corte costituzionale: v. ad esempio Corte cost., 14 dicembre 1995, n. 505, in Cons. Stato, 1995, II, p. 2124, o già Corte cost., 20 marzo 1978, n. 23, in Giur. it., n. 1, 1979, I, p. 209, o Corte cost., 2 marzo 1962, n. 13, in Giur. it., n. 1, 1962, I, p. 920.

22 Ad esempio Corte cost., 9 aprile 1963, n. 45, in Giur. cost., 1963, p. 170. 23 V., per tutti., COMOGLIO, Rapporti civili. Art. 24, in Commentario della Costituzione, a cura di

Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 65 ss.

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E le conclusioni esposte a proposito dei principi costituzionali applicabili in ma-teria potrebbero forse esser rivisitate, poiché il riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. potrebbe trovar ingresso per altro verso.

Come noto, difatti, esistono analogie strutturali tra l’ambito tributario ed il processo penale, quanto alla relazione sussistente tra i soggetti ed il fatto oggetto di prova, evidenziate dai simmetrici rinvii integrativi, ai fini dell’accertamento delle vio-lazioni, delle norme sull’accertamento delle imposte dirette e dell’IVA al codice di procedura penale (artt. 70, D.P.R. n. 600/1973 e 75, D.P.R. n. 633/1972). Pertan-to, la novella costituzionale dell’art. 111 Cost. relativa al processo penale per que-sta via potrebbe influenzare anche l’ambito procedimentale tributario, che si trove-rebbe quindi a subire indirettamente gli influssi derivanti dai mutamenti dei prin-cipi informatori delle regole di rito richiamate.

E giacché le norme sull’accertamento delle violazioni, sia nelle imposte dirette sia nell’imposta sul valore aggiunto, richiamano espressamente il codice di proce-dura penale quale fonte integrativa, per tale via l’art. 111 Cost. potrebbe esser rile-vante anche in ambito procedimentale tributario, giacché illumina l’interprete sui principi superiori ai quali il codice deve essere informato. Ed allora, anche qui, la prova deve formarsi in contraddittorio tra le parti; ovvero, utilizzando un efficace slogan, deve esservi contraddittorio “per” la prova e non “sulla” prova.

In quest’ottica, la regola posta dall’art. 111, comma 4, Cost. sarebbe di grande suggestione anche in ambito tributario procedimentale in forza dei rinvii integrativi richiamati. E l’ossequio del principio del contraddittorio nella formazione della prova comporta la verifica del medesimo principio in ogni momento relativo alla formazio-ne stessa, e cioè sia nell’acquisizione o nell’assunzione degli elementi probatori (con la sola esclusione della fase delle indagini, relativamente ai casi in cui il pericolo di in-quinamento del quadro probatorio impedisca una siffatta attuazione) sia nella valuta-zione degli stessi (ricomprendendo in tale profilo l’esame dell’ammissibilità e della rilevanza dei mezzi di prova), rimanendo non coinvolta la sola fase della decisione (che non può che essere attribuzione unilaterale dell’Amministrazione Finanziaria).

Già considerando i soli profili costituzionali e quelli emergenti dall’ordinamen-to interno, è emersa quindi la difficoltà di concepire l’organo dell’Amministrazione Finanziaria come un solitario ed autonomo ricercatore della verità dei fatti 24 anche nella fase procedimentale 25.

24 Per adoperare un’efficace espressione di Beccaria, così rielaborata e riferita al ruolo del giudice nel processo civile continentale da TARUFFO, Modelli di prova e di procedimento probatorio, in Riv. dir. proc., 1990, p. 436, che ha rilevato che il giudice, relativamente ai mezzi di prova la cui assunzione è consentita d’ufficio, deve comunque permettere lo sviluppo del contraddittorio, che significa lasciare alle parti la possibilità di a) contestare la rilevanza e l’ammissibilità, b) partecipare alla loro assunzione, c) poter de-durre prove contrarie e d) poter discutere l’efficacia delle prove d’ufficio, prima della loro assunzione.

25 Per l’affermazione del principio del contraddittorio in sede amministrativa tributaria v. DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010, p. 21 s.

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E peraltro, considerando un ambito che ricomprenda sia la fase procedimentale sia quella (eventuale) processuale, la migliore applicazione del principio di eco-nomia processuale ex art. 111 Cost. potrebbe aversi, nell’interpretazione suggerita, predisponendo tutti i mezzi e gli strumenti per evitare la fase processuale.

Qualunque sia la nozione di contraddittorio adoperata – esposizione dialogica di ragioni ed argomentazioni ovvero partecipazione attiva delle parti in connessio-ne con il principio di parità delle armi – la previsione della facoltà per la parte di farsi “sentire” prima dell’emissione di un provvedimento ad essa sfavorevole si pre-senta, ad avviso di chi scrive, come requisito minimo ed indefettibile, costantemente garantito dal nostro ordinamento (prevalentemente in ossequio al precetto di cui all’art. 24 Cost., ma in realtà anche sotto ulteriori profili degni di rilevanza costitu-zionale, ed anzitutto per il comando di cui all’art. 111 Cost.).

La sentenza in esame è fortemente basata sulla convinzione che dell’art. 12 del-lo Statuto si possa fare solo un’interpretazione letterale e che da ciò consegua l’applicabilità dell’istituto solo entro i confini così tratteggiati.

A tale conclusione la Corte è pervenuta, come si è cennato, sulla scorta dell’os-servazione delle diverse ipotesi in cui l’ordinamento tributario ha talora previsto che il contraddittorio procedimentale debba esser rispettato.

Tuttavia, pur condividendo la premessa (vale a dire, che dall’interpretazione let-terale dell’art. 12 dello Statuto si comprenda la previsione dell’applicazione alle so-le indagini in loco 26), occorre chiedersi se non possa esser messa in dubbio la con-seguenza dell’inapplicabilità dell’analogia alle indagini c.d. “a tavolino”.

E l’interpretazione analogica può esser operata, probabilmente, sia come analo-gia legis (rispetto alla fattispecie regolata dall’art. 12, ult. comma, L. n. 212/2000 27 ovvero rispetto alle altre fattispecie previste dalle norme tributarie, ricordate dalla sentenza in commento) sia come analogia juris, giacché tutte le norme ricordate si esprimono in quel senso 28. E, se le perplessità delle Sezioni Unite derivano an-che 29 dall’impossibilità di creare una norma derivandola dai principi costituzionali, l’applicazione dell’interpretazione analogica dovrebbe risolvere il problema.

26 Appare non condivisibile la sottolineatura del testo letterale della rubrica legis dell’art. 12 dello Statuto effettuata da CT Trento, primo grado, 7 febbraio 2011, n. 7.

27 È questa la soluzione prospettata, se non si è mal compreso, da BEGHIN, Contraddittorio endo-procedimentale, verifiche “a tavolino” e diritto di difesa: avvertenze per l’uso (in attesa delle Sezioni Uni-te), in GT-Riv. giur. trib., 2015, p. 306.

28 Non si vuol qui concludere per una interpretazione che adoperi congiuntamente due criteri, poiché la preferenza di chi scrive è per l’analogia legis rispetto all’art. 12 dello Statuto, che costituisce un modello compiuto di contraddittorio procedimentale. Si vuol, invece, rappresentare che ad egual conclusione si giunge, ad avviso di chi scrive, seguendo entrambi i procedimenti interpretativi.

29 Poiché esse hanno in realtà denegato che i principi di cui agli artt. 24 e 97 Cost. avessero diret-ta applicabilità in materia

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E, d’altronde, l’ulteriore argomento a contrario – che la previsione del contrad-dittorio procedimentale nella legge delega 11 marzo 2014, n. 23 possa confermare l’attuale inesistenza dell’obbligo stesso – potrebbe esser svalutato, poiché, come rilevato 30, non è norma di interpretazione autentica ed è un tipico caso in cui la le-gislazione “segue” la giurisprudenza (tali ricorrenze sono invero sempre più fre-quenti).

Ed anche il dubbio circa le modalità da seguire per il caso di riconoscimento dell’esistenza del contraddittorio procedimentale potrebbe esser risolto, come ave-va ipotizzato la Sezione rimettente la questione alle Sezioni Unite, ricorrendo al-l’applicazione analogica della regola 31 stabilita dall’art. 12 dello Statuto, che con-templa ipotesi tipiche, ma che non hanno le caratteristiche di fattispecie eccezio-nali 32.

Per quanto concerne i principi europei, come la stessa sentenza in commento ha riconosciuto, movendosi dall’art. 41, in sede procedimentale, si desume il dirit-to al contraddittorio per ogni individuo prima che nei suoi confronti sia posto in essere un provvedimento lesivo (ed analogamente avviene quanto, in sede proces-suale, per via degli artt. 47 e 48 della Carta di Nizza-Strasburgo). Le Sezioni Unite, tuttavia, hanno riferito l’applicabilità di tali principi generali alle sole imposte ar-monizzate e di ciò potrebbe dubitarsi, anche perché sarebbe stridente e forse non convincente sotto i profili europei.

Si vuole qui esporre il dubbio che, allorquando l’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea ha rifermato il diritto ad una buona ammini-strazione, tale principio non sia confinabile entro la materia comunitaria, e debba quindi prendersi atto della sua essenza di diritto del cives europeo.

Ed allora, se si riconosce che il diritto alla buona amministrazione non può che passare attraverso l’attuazione di un contraddittorio procedimentale – che dopo il contesto di ricerca (fase delle indagini) attui il contesto di verificazione (fase delle giu-stificazioni) 33, stimolando il contribuente alla produzione anticipata delle giustifi-

30 V. CICALA, op. cit., p. 94. 31 E quindi ammettendo la ricorrenza dell’obbligo di attendere sessanta giorni dalla comunica-

zione al contribuente del processo verbale di chiusura e valutando motivatamente le eventuali dedu-zioni presentate dallo stesso entro tale termine. Da ciò evidentemente deriva l’obbligo per l’Ammini-strazione Finanziaria di inviare al contribuente un atto dal quale emergano le contestazioni che allo stesso intende rivolgere con il successivo atto impositivo.

32 Era la soluzione che era stata ipotizzata, commentando la sent. n. 18184/2013: v. MULEO, Av-visi di accertamento “ante tempus” e vizi dell’atto, in Riv. trim. dir. trib., n. 4, 2013, pp. 996-1005.

33 Ciò significa però che, se a seguito delle deduzioni rese dal contribuente in esito alla prospet-tazione a questi degli addebiti a suo carico l’indagine riparte, occorrerà procedere, al termine del supplemento di indagine, ad una nuova prospettazione degli elementi a carico. Per questa ragione non si condivide la soluzione adottata da Cass., sez. V, 21 gennaio 2015, n. 992, che ha ritenuto as-solto l’obbligo di rappresentazione al contribuente ex art. 12, nonostante il processo verbale di con-statazione comunicato al contribuente fosse del 2001, l’Amministrazione Finanziaria avesse poi in-

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 252

cazioni ed ottenendo altresì quell’obiettivo della riduzione dei processi che, insie-me con la tutela del contribuente anche nella fase procedimentale, costituisce uno degli scopi di tale contraddittorio –, non si può poi ridurre l’applicabilità dell’istitu-to ai soli tributi armonizzati.

In altri termini, se la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea pre-vede delle garanzie, queste garanzie sono incomprimibili 34 ed anzi possiedono quella caratteristica vis espansiva che abitualmente le connota.

5. L’artificiosa separazione del procedimento ed il rilievo del vizio solo per alcuni tributi anche nel caso di unico procedimento e unico atto

Tale considerazione parziale dei vizi dell’atto ingenera dubbi. Difatti, l’apprezzamento dei vizi dell’atto quanto alle sole imposte armonizzate

anche nel caso in cui esso riporti anche imposte non armonizzate implica, in qual-che modo, una cesura nell’ambito di un procedimento unitario, difficilmente con-ciliabile con i principi del diritto tributario e, ancor prima, del diritto amministrati-vo generale (nel quale, del resto, non è dato rinvenire precedenti in termini).

Invero, nei casi in cui l’accertamento avente ad oggetto diversi tributi sia unita-rio e si concluda con un unico atto impositivo, i vizi che interessano una delle ga-ranzie procedimentali costituiscono, in ogni caso, vizi dell’intero procedimento e sono suscettibili, come tali, di inficiare l’(unico) atto impositivo emesso a sua con-clusione.

Differenziazioni in punto di regime giuridico applicabile non appaiono ammis-sibili.

Sul punto, non è dirimente l’obiezione che potrebbe sollevarsi (e che, in ogni ca-so, non è stata oggetto di analisi da parte della sentenza in commento) circa il neces-sario contemperamento delle presenti riflessioni con il principio di conservazione degli atti amministrativi. Sulla base di tale principio dovrebbe ritenersi che i vizi cir-

viato un questionario nel 2004 e l’atto impositivo fosse del 2005: all’esito dell’istruttoria aggiuntiva effettuata con il questionario si sarebbe dovuta svolgere, ad avviso di chi scrive, una nuova fase di contestazione procedimentale.

34 E devono sussistere, ad avviso di chi scrive, per ogni soggetto destinatario di un atto impositi-vo. Non si condivide pertanto la statuizione di Cass., sez. V, 17 dicembre 2014, n. 26493 (e quindi antecedente all’ordinanza di rimessione n. 527/2015 alle Sezioni Unite), secondo cui le garanzie del-l’art. 12 dello Statuto sussistono per il contribuente sottoposto a verifica, ma non anche per il terzo nei confronti del quale siano emersi dalla stessa verifica dati, informazioni ed elementi utili per l’e-missione di un avviso di accertamento nei suoi confronti. Il risultato, difatti, sarebbe paradossale: men-tre il contribuente sottoposto a controllo avrebbe frammenti di informazioni reputati insufficienti dal-l’ordinamento, l’altro contribuente non avrebbe nessuna informazione sino alla ricezione dell’atto im-positivo. E ciò appare fortemente stridente.

Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823 253

coscritti a talune parti del procedimento non siano suscettibili di inficiare anche quelle parti dell’atto che non ne sono interessate. Tuttavia, ciò che in questa sede si vuole affermare non è tanto la necessità di operare, a valle, l’estensione all’intero provvedimento di un vizio parziale dell’atto, quanto la necessità di accrescere, a monte, rispetto all’intero procedimento, talune garanzie fondamentali, formalmente apprestate soltanto per alcune fattispecie.

Volendo analizzare la questione in un’ottica sistematica e funzionale al perse-guimento di una buona amministrazione, secondo il citato art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, non può non ritenersi che le garanzie sovranazionali, come quella in materia di contraddittorio procedimentale, costitui-scano solo il livello minimo di tutela che gli Stati membri sono obbligati ad appre-stare, senza limitazioni rispetto a previsioni in melius.

Di conseguenza, qualora nel caso concreto concorrano fattispecie senz’altro coperte da tali garanzie e fattispecie che, invece, in linea di principio ne sono esclu-se (rispettivamente, tributi armonizzati e non armonizzati), la regola dovrebbe es-sere quella dell’innalzamento dello standard di tutela anche per tali ultime fattispe-cie, con unificazione migliorativa della disciplina del singolo procedimento, pro-prio in forza della sopra richiamata vis espansiva dei principi di cui si discute.

D’altra parte, come affermato dalla dottrina 35 all’indomani dell’emanazione della citata sentenza Kamino, quanto all’applicazione del principio del contraddit-torio per i tributi armonizzati non potrebbe certo ritenersi che tali principi non si applichino ai procedimenti recanti unitariamente anche l’accertamento delle im-poste sui redditi, o che, in un procedimento unico avente ad oggetto diverse impo-ste possa delinearsi un diverso livello di garanzie rispetto a porzioni dell’atto artifi-ciosamente separate. In tali ipotesi, si è affermato, il principio del contraddittorio andrebbe applicato, direttamente e immediatamente, persino nei casi in cui una norma ipotetica lo escludesse o prevedesse dei limiti non compatibili con il diritto europeo (tale norma andrebbe, sul punto, senz’altro disapplicata).

Vige, dunque, una regola stringente per la quale, nell’ambito di accertamenti unitari, i tributi armonizzati non possono sottostare al trattamento deteriore previ-sto per i tributi non armonizzati, ma nulla osta a che la disciplina più garantista prevista per i primi sia estesa anche ai secondi, specie quando l’esigenza di un re-gime unitario discende dalla unitarietà del procedimento di accertamento.

Ed anzi, tale soluzione appare necessaria, essendo la più ragionevole non sol-tanto per una migliore tutela del contribuente, il quale così argomentando può be-neficiare di un regime giuridico più garantista, ma anche in funzione di una più completa istruttoria (la quale è senz’altro arricchita dall’apporto conoscitivo del contribuente) e, in ultima analisi, di una più efficiente azione amministrativa. Pre-

35 MARCHESELLI, Procedimento tributario, questioni scottanti: il contradditorio e i suoi limiti, in Quo-tidiano Ipsoa, 6 agosto 2014.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 254

vedere, al contrario, diversi regimi giuridici nell’ambito dello stesso contesto di ve-rificazione significa consentire l’emissione di atti impositivi recanti pretese più o meno fondate, solo in ragione del tributo che viene in rilievo, con inammissibili ef-fetti distorsivi.

6. Una soluzione interlocutoria? Verso una nuova pronuncia della Corte costitu-zionale?

Come si è visto, la soluzione enunciata dalle Sezioni Unite non è riuscita a dare definitivo assetto all’istituto del contraddittorio procedimentale.

Di ciò, del resto, si è perfettamente resa conto la Suprema Corte, che in più pas-saggi della sentenza in commento ha stimolato l’intervento del legislatore, ritenendo che mancassero spazi per desumere positivamente la sussistenza del principio (come si è visto, tale soluzione non è condivisa da chi scrive).

Di altro avviso, però, si è dimostrata la giurisprudenza di merito, che, poco tempo dopo il deposito della sentenza in commento, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 per la sospetta vio-lazione degli artt. 3, 24, 53, 111 e 117 Cost. «nella parte in cui riconosce al contri-buente il diritto a ricevere copia del verbale con cui si concludano le operazioni di accertamento e di disporre di un termine di 60 giorni per eventuali controdedu-zioni, nelle sole ipotesi in cui la Amministrazione abbia “effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività” del contri-buente» 36.

Per altro verso, si devono anche registrare arresti giurisprudenziali successivi al-la sentenza in commento, come quello di cui alla sent. 12 febbraio 2016, n. 2879 della VI sezione della Corte di Cassazione, che verteva in ipotesi di iscrizione ipo-tecaria senza preavviso e come tale rientrante nel solco delle sentenze “Botta” del 2014, richiamate e non smentite dalla sentenza in esame. Tuttavia, la mancata men-zione in essa della sentenza in commento potrebbe forse far desumere la perma-nenza di un dibattito intero alla Suprema Corte, tale da consentire di affermare che la vicenda del discusso istituto del contraddittorio avrà ulteriori sviluppi 37.

Salvatore Muleo

36 Così CTR Toscana, ord. 10 gennaio 2016, n. 736/1/2016. A commento della stessa v. DE MI-TA, Il contraddittorio è principio non aggirabile, in Il Sole 24 Ore, 28 febbraio 2016.

37 Non sono mancate, poi, sentenze nelle quali il contraddittorio è stato ritenuto indefettibile an-che nelle indagini “a tavolino”: v., tra le altre, CTR Calabria, 14 marzo 2016, n. 410; CTP Reggio Emi-lia, 16 marzo 2016, n. 59.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2016 256

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