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G. Giappichelli editore – torino

Comitato di direzione

Fabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerralorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari

Maria cecilia Fregni, alessandro GiovanniniMaurizio logozzo, Giuseppe MariniSalvatore Muleo, Franco paparella

livia Salvini, loris tosi

4/2013

Tax Law Quarterly

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Comitato di direzioneFabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerra, lorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari, Maria cecilia Fregni, alessandro Giovannini, Maurizio logozzo, Giuseppe Marini, Salvatore Muleo, Franco paparel-la, livia Salvini, loris tosi

Comitato scientifico dei revisoriniccolò abriani, Jacques autenne, pietro Boria, andrea carinci, Giuseppe cipolla, Silvia cipollina, Gianluca contaldi, daria coppa, Giacinto della cananea, augusto Fantozzi, andrea Fedele, luigi Ferlazzo natoli, Giancarlo Gaffuri, alfredo Garcia prats, daniel Gutman, Manlio ingrosso, enrico laghi, Salvatore la rosa, carlos lo-pez espadafor, raffaello lupi, enrico Marello, Gianni Marongiu, enrico Marzaduri, Salvo Muscarà, Mario nussi, carlos palao taboada, leonardo perrone, raffaele perrone capano, Francesco pistolesi, Gianni puoti, claudio Sacchetto, Salvatore Sammartino, angelo Scala, roman Seer, Maria teresa Soler roch, roberto Schiavo-lin, paolo Stancati, dario Stevanato, Giuliano tabet, Francesco tesauro, Giuseppe tinelli, antonio Uricchio, Giuseppe Zizzo

Comitato di redazioneantonio Viotto (coordinatore), ernesto Bagarotto, Gianluigi Bizioli, Susanna can-nizzaro, pier luca cardella, anna rita ciarcia, Marco di Siena, Stefano dorigo, antonio Marinello, pietro Mastellone, Michele Mauro, annalisa pace, damiano pe-ruzza, Federico rasi, laura torzi, caterina Verrigni

Tutti i contributi pubblicati nella Rivista sono stati sottoposti alla valutazione colle-giale da parte del Comitato di direzione e alla revisione anonima da parte di due dei componenti del Comitato scientifico dei revisori, in base all’apposito Regolamento (consultabile sul sito www.giappichelli.it/Home/riviste10.aspx?codice=R10)

Amministrazione: presso la casa editrice G. Giappichelli, via po 21 – 10124 torino

INDICE-SOMMARIO

pag.

Gli Autori e i Revisori IX Dottrina P. Barabino, La “fiscalità” dei certificati verdi tra natura e forme di

circolazione (“Taxation” of green certificates between nature and forms of circulation) 767

M. Collet, L’impôt confiscatoire: question politique, réponses juridi-ques (L’imposta confiscatoria: questione politica, risposte giuridi-che – The confiscatory tax: political issue, juridical answers) 797

S. De Marco, Considerazioni teorico-ricostruttive sul regime di tas-sazione per trasparenza nelle società a ristretta base sociale (Theo-retical considerations-reconstruction on the transparent taxation re-gime for companies with a limited number of members) 819

L. del Federico, L’evoluzione del procedimento nell’azione imposi-tiva: verso l’amministrazione di risultato (The development of pro-cedures in the taxing action: towards an administration of result) 851

L.P. Murciano, La responsabilità dei soci per l’obbligazione d’impo-sta della società estinta (Shareholders’tax liability for the obligations of the ceased company) 891

F. Randazzo, La rivalsa successiva nella disciplina dell’Iva (The subse-quent VAT charge) 903

R. Serrentino, Dubbi di costituzionalità del reclamo e della media-zione tributaria (Constitutional doubts of the fiscal complaint and of the tax mediation) 929

INDICE-SOMMARIO RTDT - n. 4/2013

VIII

pag.

Giurisprudenza

Cass., sez. un., ord. 20 novembre 2012, n. 20323 – Pres. Preden, Rel. Biagio, con nota di G. Contaldi, Il giudice competente per l’azio-ne di risarcimento danni conseguente al pagamento di tributi in-compatibili con il diritto europeo (The competent judge to decide on claims for damages arising from the payment of taxes incompatible with EU law) 955

Cass., sez. trib., 22 gennaio 2013, n. 1429 – Pres. Merone, Rel. Chin-demi, con nota di P. Marongiu, Sulle plusvalenze da esproprio: imputazione per “cassa” ed esclusione dalla tassazione delle som-me erogate con ingiustificato ritardo (On capital gains from ex-propriation: taxation on a cash basis and tax exemption of sums paid with an unjustified delay) 969

Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184 – Pres. Luccioli, Est. Virgilio, con nota di S. Muleo, Avviso di accertamento ante tempus e vizi dell’atto (Ante tempus notice of assessment and invalidity) 989

GLI AUTORI E I REVISORI

Paolo Barabino Dottorando in Diritto tributario europeo, Università di Bologna Martin Collet Professeur de Droit public, Université Panthéon-Assas (Paris-II) Gianluca Contaldi Professore ordinario di Diritto internazionale, Università di Macerata Santa De Marco Ricercatore t.d. di Diritto tributario, Università di Messina Lorenzo del Federico Professore ordinario di diritto tributario, Università di Chieti-Pescara Paola Marongiu Ricercatore di Diritto tributario, Università di Genova Luigi P. Murciano Dottore di ricerca in Diritto processuale tributario, Università di Pisa Salvatore Muleo Professore ordinario di Diritto tributario, Università della Calabria Franco Randazzo Professore associato di Diritto tributario, Università di Catania Roberto Serrentino Ricercatore t.d. di Diritto tributario, Università eCampus

GLI AUTORI E I REVISORI RTDT - n. 3/2013

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La revisione dei contributi pubblicati è stata effettuata da: Pietro Boria (Pro-fessore ordinario di Diritto tributario, Università di Foggia); Daria Coppa (Pro-fessore ordinario di Diritto tributario, Università di Palermo); Luigi Ferlazzo Na-toli (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Messina); Giancarlo Gaffuri (già Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Milano); Man-lio Ingrosso (Professore ordinario di Diritto tributario, Seconda Università di Na-poli); Enrico Marello (Professore straordinario di Diritto tributario, Università di Torino); Mario Nussi (Professore straordinario di Diritto tributario, Università di Udine); Francesco Pistolesi (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Siena); Giovanni Puoti (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Roma Unicusano); Claudio Sacchetto (Professore ordinario di Diritto tributa-rio, Università di Torino); Salvatore Sammartino (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Palermo); Roberto Schiavolin (Professore ordinario di Di-ritto tributario, Università di Padova); Francesco Tesauro (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Milano Bicocca).

DOTTRINA

SOMMARIO: P. Barabino, La “fiscalità” dei certificati verdi tra natura e forme di circolazione

(“Taxation” of green certificates between nature and forms of circulation) M. Collet, L’impôt confiscatoire: question politique, réponses juridiques (L’im-

posta confiscatoria: questione politica, risposte giuridiche – The confiscatory tax: political issue, juridical answers)

S. De Marco, Considerazioni teorico-ricostruttive sul regime di tassazione per trasparenza nelle società a ristretta base sociale (Theoretical considerations-reconstruction on the transparent taxation regime for companies with a limited number of members)

L. del Federico, L’evoluzione del procedimento nell’azione impositiva: verso l’amministrazione di risultato (The development of procedures in the taxing action: towards an administration of result)

L.P. Murciano, La responsabilità dei soci per l’obbligazione d’imposta della so-cietà estinta (Shareholders’tax liability for the obligations of the ceased company)

F. Randazzo, La rivalsa successiva nella disciplina dell’Iva (The subsequent VAT charge)

R. Serrentino, Dubbi di costituzionalità del reclamo e della mediazione tribu-taria (Constitutional doubts of the fiscal complaint and of the tax mediation)

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LA “FISCALITÀ” DEI CERTIFICATI VERDI TRA NATURA E FORME DI CIRCOLAZIONE

“TAXATION” OF GREEN CERTIFICATES BETWEEN NATURE AND FORMS OF CIRCULATION

Abstract Il legislatore, nell’ottica della tutela ambientale, ha imposto l’obbligo ai produtto-ri di energia di generare almeno una quota di essa da fonti rinnovabili, preveden-do altresì, quale alternativo adempimento, l’acquisizione dei certificati verdi. L’ar-ticolo indaga sulla possibile natura tributaria del suddetto obbligo, e su quella del bene “certificato verde”, muovendosi tra le nozioni di tributo, agevolazione e aiu-to di Stato. Una particolare chiave di lettura tramite i concetti di gratuità, onero-sità, corrispettività e liberalità consentirà di evidenziare le caratteristiche (e le conseguenze) del momento circolatorio del certificato verde. Parole chiave: Tutela ambientale, natura, circolazione, agevolazioni, aiuti di Stato The legislator, with the aim of protecting the environment, has imposed to energy pro-ducers the obligation to generate at least a portion of energy from renewable sources or, alternatively, the acquisition of green certificates. The paper investigates the possi-ble tax nature of such obligation and of the “green certificate”, moving among notions of tax, tax relief and State aid. A peculiar reading through the concepts of gratuity, burdensomeness, valuable consideration and liberality will highlight the requirements (and the consequences) of the circulation of the green certificate. Keywords: Environmental protection, nature, circulation, tax reliefs, State aids

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SOMMARIO: 1. Introduzione: la natura dei certificati verdi e la tutela ambientale. – 2. La natura tributaria dei certificati verdi. – 2.1. I certificati verdi e le agevolazioni fiscali. – 2.2. I certificati verdi e gli aiuti di Stato. – 3. La circolazione dei certificati verdi. – 3.1. Gratuità, onerosità, corrispettività e li-beralità. – 3.2. I certificati verdi tra imposte sul reddito e IVA. – 4. Osservazioni conclusive.

1. Introduzione: la natura dei certificati verdi e la tutela ambientale

I certificati verdi rappresentano uno strumento ideato dal legislatore per incentivare la produzione di energia rinnovabile, attraverso la creazione di un mercato in cui l’intervento normativo risulta essere istitutivo e non (solo) regolamentare

1. Tale esperienza funzionale alla tutela ambientale, di origine internazionale e comunitaria

2, vede l’operatore economico produttore di

1 Il legislatore italiano ha istituito i certificati verdi per opera del D.Lgs. n. 79/1999, in attuazione della Direttiva comunitaria 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, nel rispetto degli impegni internazionali previsti dal proto-collo di Kyoto (in particolare vedasi l’art. 11 del decreto citato). Modifiche alla materia sono state apportate dal Decreto del ministero dell’industria dell’11 novembre 1999, dal D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 e dalla L. 23 luglio 2009, n. 99. Nello specifico, l’art. 11, rubricato “Energia elettrica da fonti rinnovabili” recita al comma 1: «Al fine di incentivare l’uso delle energie rinnovabili, il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni di ani-dride carbonica e l’utilizzo delle risorse energetiche nazionali, a decorrere dall’anno 2001 gli importatori e i soggetti responsabili degli impianti che, in ciascun anno, importano o producono energia elettrica da fonti non rinnovabili hanno l’obbligo di immettere nel si-stema elettrico nazionale, nell’anno successivo, una quota prodotta da impianti da fonti rinnovabili entrati in esercizio o ripotenziati, limitatamente alla producibilità aggiuntiva, in data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto». Il comma 3 prosegue introducendo i certificati verdi stabilendo che «Gli stessi soggetti possono adempiere al suddetto obbligo anche acquistando, in tutto o in parte, l’equivalente quota o i relativi di-ritti da altri produttori, purché immettano l’energia da fonti rinnovabili nel sistema elettri-co nazionale, o dal gestore della rete di trasmissione nazionale. I diritti relativi agli impianti di cui all’articolo 3, comma 7, della legge 14 novembre 1995, n. 481 sono attribuiti al ge-store della rete di trasmissione nazionale. Il gestore della rete di trasmissione nazionale, al fine di compensare le fluttuazioni produttive annuali o l’offerta insufficiente, può acquista-re e vendere diritti di produzione da fonti rinnovabili, prescindendo dalla effettiva dispo-nibilità, con l’obbligo di compensare su base triennale le eventuali emissioni di diritti in assenza di disponibilità».

2 La Commissione europea con l’elaborazione della Direttiva 96/92 “Direttiva europea concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica” ha lavorato per la creazione di un mercato unico dell’elettricità, passando attraverso la liberalizzazione degli scambi e la libertà delle iniziative delle imprese. Per la ricostruzione dei lavori comunitari in ambito energetico v. POZZO, Le politiche comunitarie in campo energetico, in Riv. giur.

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energia, da un lato, destinatario di divieti e sanzioni e, dall’altro lato, attore consapevole nel preservare l’ambiente tramite la gestione dei suddetti stru-menti giuridici di regolazione

3. Il sistema dei certificati verdi contempla, sia un obbligo legislativo che

impone ai produttori 4 di energia di immettere nella rete un determinato

quantitativo di energia prodotta da fonti rinnovabili, sia la possibilità di adempiere (al suddetto obbligo) tramite l’acquisto dei certificati verdi rap-presentanti la quota equivalente generata da produttori di energia verde. Il Gestore del Servizio Elettrico può “ritirare”

5 i certificati verdi e corrispon-dere al possessore una somma determinata. L’imprenditore dovrà effettuare una scelta tra la diretta produzione di energia rinnovabile investendo in nuovi impianti, ovvero l’acquisto dei certificati verdi da produttori non tra-dizionali. Il meccanismo mostra una doppia struttura dei certificati verdi: da un lato, un obbligo provvisto di sanzione, da altro lato, i diritti trasferibili che amb., 2009, 06, p. 841 ss., FOUQUET, Le nuove linee guida dell’Unione europea sui sussidi sta-tali riguardanti la protezione ambientale, in Riv. giur. amb., 2001, 02, p. 369 ss.

3 MERUSI, Analisi economica del diritto e diritto amministrativo, in Dir. amm., n. 3, 2007, p. 427 ss., riflette sulle conseguenze di tali strumenti, in particolare visti come “commer-cio” di autorizzazioni e concessioni, e rimanda per approfondimenti sulle esperienze anche internazionali a CLARICH, La tutela dell’ambiente attraverso il mercato, in Dir. pubbl., 2007, fasc. 1, pp. 219-239, LIPARI, Il commercio delle emissioni, in LIBERATI-DONATI (a cura di), Il nuovo diritto dell’energia tra regolazione e concorrenza, Torino, 2007, 183 ss.

4 Di recente, si sta sviluppando un filone giurisprudenziale avente ad oggetto la partico-lare fattispecie del contratto di tolling collegato al funzionamento dei certificati verdi (v. CTP Milano, sez. XXIV, 25 settembre 2012, n. 265 annotata da CONTRINO, Titoli ambien-tali, contratto di tolling e operazioni imponibili ai fini Iva: note a margine della prima giuri-sprudenza, in Rass. trib., 2013, p. 683 ss.; sul medesimo argomento v. CTP Milano, sez. XXI, 19 luglio 2012, n. 181; CTP Milano, sez. XXIII, 2 febbraio 2012, n. 23; CTP Milano, sez. XXXV, 19 gennaio 2012, n. 17; CTP Milano, sez. XVII, 10 novembre 2011, n. 297; CTP Milano, sez. XXXV, 31 marzo 2011, n. 102). Lo sforzo del giudice tributario, volto a col-mare la disciplina dei certificati verdi lacunosa nel non prevedere alcunché in relazione al contratto di tolling, si sostanzia nell’attribuzione della qualifica di produttore anche al toller, pur non essendo tale soggetto gestore degli impianti di produzione. Sulla ripartizione del rischio (commerciale o produttivo) tra toller e toll processor e per approfondire la disciplina del contratto di tolling si rinvia a GRAZIOSI, Il contratto di tolling, in Dir. com. scambi intern., n. 3, 2002, p. 511 ss.

5 Il “ritiro” dei Certificati verdi è previsto dall’art. 20, c. 3, D.M. 6 luglio 2012, il quale recita: «Fermo restando il rispetto della quota d’obbligo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo79/99, su richiesta del detentore, il GSE ritira, al prezzo stabilito all’articolo 25, comma 4, del decreto legislativo n. 28 del 2011 e secondo modalità definite dallo stesso GSE e pubblicate sul proprio sito internet» (...) i Certificati verdi relativi alle produzioni dal 2012 al 2015 entro il 2013 e 2016.

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consentono di simulare il meccanismo di mercato sotto il controllo pubblico 6.

In ambito giuridico individuare una definizione di certificato verde che esprima appieno la natura di quest’ultimo, non risulta essere un esercizio del tutto agevole, in considerazione delle differenti caratteristiche che lo distin-guono

7. Anche per le similari quote di emissione di gas serra (EU ETS) istituite

in Italia in attuazione della Direttiva Emissions Trading 2003/87/CE, si è ve-rificata la medesima difficoltà di qualificazione delle rispettive quote: “biens meubles incorporels” è la definizione legislativa presente nell’ordinamento francese, a differenza di quello italiano, ove gli interpreti del diritto si muo-vono dalla nozione di concessione amministrativa a quella di strumento fi-nanziario

8. In linea generale, i certificati verdi sono collocabili all’interno di una no-

zione ampia di bene giuridico 9. Più nello specifico, escludendo le ipotesi di

assimilazione ai titoli di credito atipici (stante la non astrazione e la non au-tonomia tra possessore del titolo e dante causa), ai titoli impropri (dato che le parti tra le quali circola il certificato verde non devono provare la legitti-mazione a pretendere la prestazione), ai titoli di legittimazione (i quali con-sentono esclusivamente di identificare agevolmente il soggetto destinatario della prestazione), ai diritti soggettivi (con i quali i certificati verdi condivi-dono solamente i caratteri della disponibilità e della trasferibilità), si può af-

6 RANGONE, Fonti rinnovabili di energia: stato della regolazione e prospettive di riforma, Nota a Corte Costituzionale 124/2010, in Giur. cost., n. 2, 2010, p. 1490 ss. Nella citata sen-tenza, in materia di energie rinnovabili, la Corte costituzionale dichiara illegittime le LL.RR. n. 38/2008 e n. 42/2008 della Regione Calabria in quanto avevano introdotto dei limiti differenti (potenza nominale inferiore o uguale a 500 kW) rispetto quelli previsti dalla nor-mativa nazionale, distorcendo per di più il principio della libera concorrenza mediante l’in-troduzione del regime semplificato della DIA solo per gli impianti destinati all’autoconsumo.

7 PERNAZZA, I certificati verdi: un nuovo “bene giuridico”?, in Rass. giur. ener. elettr., 2006, p. 180 ss.

8 Nell’ambito del diritto privato comparato vedasi JACOMETTI, La direttiva Emissions Trading e la sua attuazione in Italia: alcune osservazioni critiche al termine della prima fase, in Riv. giur. amb., 2008, 02, p. 273 ss.

9 Sulle differenti tesi vedasi COLCELLI, La natura giuridica dei certificati verdi, in Riv. giur. amb., 2012, 02, p. 179 ss., la quale approfondisce dal punto di vista del diritto civile la natura dei certificati verdi. Interessante anche il parallelismo con le quote latte (di origine co-munitaria) in ragione, da un lato, della appartenenza di queste alla categoria dei beni stru-mentali aziendali, condizionanti l’attività e la dimensione dell’impresa, da altro lato, della autonomia quale bene giuridico a contenuto patrimoniale, cedibile indipendentemente dal-l’azienda.

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fermare che i certificati oggetto del presente studio raffigurino delle new pro-perties

10: certificazioni concesse dallo Stato, assimilabili alle autorizzazioni o alle concessioni rilasciate dalla pubblica amministrazione alle quali, dottrina e giurisprudenza, hanno attribuito la veste di bene immateriale. L’autono-mia tra una concessione e il bene sottostante, la trasferibilità a terzi, ben raf-figurano il parallelismo con i certificati verdi, i quali anche grazie al provve-dimento amministrativo che li immette in circolazione, confermano un’ido-neità a costituire oggetto di situazioni soggettive, integrando, dunque, la no-zione di bene giuridico (ex art. 810 c.c.)

11.

2. La natura tributaria dei certificati verdi

Dall’ottica dell’interprete del diritto tributario occorre indagare sulle con-seguenze (fiscali) generate, per un verso, dalla natura (ibrida) dei certificati verdi e, per altro verso (e di conseguenza), dalla loro circolazione. Con mag-gior precisione, si sottolinea che l’analisi è da circoscrivere, ora, all’obbligazio-ne consistente nella produzione di energia verde, piuttosto che al “bene” cer-tificato verde.

Preliminarmente, a favore della configurabilità della “prestazione patri-moniale imposta” dei certificati verdi (meglio, dell’obbligazione rappresen-tata dai certificati verdi) si può osservare che l’obbligo di produzione di (una quota di) energia da fonti rinnovabili incide sulla parte quantitativa oltreché (ma non solo) qualitativa della composizione del patrimonio del privato (produttore di energia), riducendone (almeno inizialmente

12 il valore eco-nomico.

Nella fattispecie concreta, si ritiene possibile affermare che prevalga la ri-levanza dell’art. 23 rispetto l’art. 41 Cost., considerata l’incisione sul patri-

10 Nuovi beni di notevole interesse, rispondenti a crescenti sollecitazioni del mercato, pur determinando «una confusione crescente tra ciò che è reale e ciò che è finanziario, generando problemi nuovi di identificazione, misurazione, circolazione e controllo della ricchezza finanziaria». Così TREMONTI, Il regime fiscale dei nuovi beni, in AA.VV., Dalle res alle new properties, a cura di De Nova-Inzitari-Tremonti-Visentini, Milano, 1991, p. 99.

11 V. COLCELLI, op. cit., p. 179, la quale per approfondire la qualificazione delle autoriz-zazioni come beni immateriali rinvia anche a BELLELLI-CIANCI, Beni e situazioni giuridiche di appartenenza, Torino, 2008.

12 Successivamente alla produzione di energia verde, l’imprenditore otterrà un incre-mento del suddetto valore in virtù dell’attribuzione dei certificati verdi conseguenti al cor-retto adempimento dell’obbligazione.

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monio dell’imprenditore, la quale non è una mera limitazione della libera iniziativa economica

13. Il legislatore prevedendo l’obbligo di produzione di energia verde, quindi “interferendo” sul mercato, non solo condiziona l’atti-vità del produttore, ma crea una decurtazione patrimoniale in capo a que-st’ultimo laddove occorre o sostenere maggiori costi per la produzione di e-nergia verde o acquistare i certificati verdi, ovvero sottostare alla emanazio-ne delle sanzioni per violazione di legge: detto diversamente, l’imposizione dell’onere da parte del legislatore di generare (almeno) un determinato quan-titativo di energia da fonti rinnovabili, o in alternativa di acquistare sul mer-cato i certificati verdi (che rappresentano un’avvenuta produzione di ener-gia alternativa), pare andare oltre ad un mero onere

14, ad un vincolo, il cui conformarsi agevola l’attività imprenditoriale.

Indagando, preliminarmente, sulla finalizzazione di detta decurtazione, la funzione sottostante all’obbligo rappresentato dai certificati verdi, consi-stente nella difesa del bene ambientale attraverso l’incentivazione di produ-zione di energia alternativa in luogo di quella tradizionale, può assumere dei connotati tributari laddove si viene a delineare lo schema del tributo am-bientale

15. L’incisione patrimoniale, utile per la qualificazione tributaria dei certifi-

cati verdi, ricordando che non tutte le prestazioni imposte sono qualificabili come tributi (e viceversa)

16, si verificherebbe in quello che si potrebbe defi-nire primo periodo di vita del certificato verde, a fronte della quale il pro-duttore di energia deve farsi carico di maggiori componenti negativi di red-

13 Non si configura una prestazione patrimoniale imposta laddove manchi l’incisione del patrimonio imprenditoriale e laddove sia presente solo una deviazione della libertà di iniziativa economica. Così possono essere tradotte le considerazioni sulle ipotesi di esclu-sione dalla nozione di prestazione patrimoniale con particolare attenzione alle limitazioni alla facoltà di contrarre, effettuate autorevolmente da FEDELE, Appunti dalle lezioni di dirit-to tributario, Torino, 2005, p. 44.

14 «L’onere individua un comportamento necessitato, cui però non corrisponde alcun diritto, ma che l’ordinamento impone per la tutela d’interessi generali, subordinando all’e-secuzione del comportamento dovuto la realizzazione di un interesse dello stesso titolare dell’onere». Così, MAJELLO, Situazioni soggettive e rapporti giuridici, in BESSONE (a cura di), Istituzioni di diritto privato, Torino, 1997, p. 70.

15 Sulla natura giuridica e sulla funzione dei certificati verdi si rinvia al precedente par. 1, in particolare, per gli approfondimenti sulla assimilazione dei certificati alla nozione di tributo ambientale vedasi nota 29.

16 Sulla delimitazione della categoria delle prestazioni patrimoniali imposte FEDELE, op. cit., p. 45 ss.

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dito siano essi costituiti da maggiori costi per la produzione di energia ver-de, oppure (in mancanza di ciò) dall’acquisto dei certificati.

Tuttavia, potrebbe permanere qualche dubbio sulla realizzazione di una prestazione patrimoniale imposta nella specifica condizione del soggetto che produce energia esclusivamente da fonti rinnovabili, la cui attività non pare vada incontro a oneri ulteriori (rispetto la produzione abituale) necessari per il rispetto dell’obbligo ambientale: tale condizione, renderebbe inconsi-stente la tesi tributaria.

Circa l’onere, apparentemente di carattere autorizzatorio 17, sostenuto

dall’imprenditore, esso si manifesterebbe non tanto come corrispettivo co-attivo (carattere tipico del tributo), piuttosto come corrispettivo di mercato (in cui vengono scambiati i certificati verdi): tuttavia, la coattività sarebbe rinvenibile non nel corrispettivo in sé, ma nel prodromico obbligo di acqui-sizione.

Inoltre, non si dovrebbe dimenticare quella risalente dottrina 18 che ipo-

tizzò un tributo assolto mediate una prestazione non pecuniaria: risultereb-be allora concepibile un tributo caratterizzato da una prestazione di fare (e non solo di dare) che, nel presente lavoro, potrebbe raffigurarsi nei certifica-ti verdi rappresentanti dell’obbligazione di produzione di energia verde. Me-desima dottrina, approfondendo i concetti di obbligazione tributaria, obbliga-zione secondaria e debito d’imposta, ha inglobato nella prima anche quella di fare (allora, lo studio verteva sull’annullamento del valore bollato quale obbligazione non di dare), pur in assenza di un debito d’imposta, a condi-zione che questa non si esaurisca in una obbligazione accessoria, in quanto il corretto adempimento «determina, direttamente o indirettamente, l’ar-

17 Anche altre prestazioni coattive con caratteristiche autorizzatorie possono assumere i connotati del tributo. Concordi in tal senso DEL FEDERICO, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000, p. 254 ss.; ID., Tributi paracommutativi e finanziamento dei servizi pubblici. Caso italiano e prospettive europee, in Riv. dir. fin. sc. fin., n. 1, 2003, p. 264 ss.; FICHERA, L’oggetto della giurisdizione tributaria e la nozione di tributo, in Rass. trib., n. 4, 2007, p. 1059 ss.

18 Per una sintesi del ruolo svolto nel diritto tributario da Antonio Berliri, vedasi DE MITA, Ricordo di Antonio Berliri, in Riv. dir. trib., 2008, 04, p. 305. Il Berliri definì la tassa come «la spontanea prestazione di dare o di fare avente per oggetto una somma di danaro o un valore bollato o la spontanea assunzione di una obbligazione, costituenti una condizione necessaria per conseguire un determinato vantaggio e della quale non si può chiedere la restituzione una volta conseguito il vantaggio»; sul richiamo e sulla attualizzazione dei sottostanti concetti v. DEL FEDERICO, I tributi paracommutativi e la teoria di Antonio Berliri della tassa come onere nell’attuale dibattito su autorità e consenso, in Riv. dir. fin., 2009, 01, p. 69.

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ricchimento del soggetto attivo e il depauperamento di quello passivo» 19.

L’elemento pecuniario si manifesterebbe, senza dubbio, quando il produt-tore di energia da fonti tradizionali assolverebbe l’obbligazione di immissio-ne di energia rinnovabile mediante l’acquisto (a titolo oneroso) dei certifi-cati verdi, non (auto)producendo direttamente l’energia alternativa.

Proseguendo e richiamando una definizione “allargata” di tributo 20, ela-

borata in sede giurisprudenziale, secondo la quale sono tributarie tutte quel-le prestazioni imposte in via coattiva, senza il consenso dell’obbligato, che non rappresentino il corrispettivo privatistico di una prestazione dell’ente impositore, si vuole approfondire l’osservazione della sovrapposizione (to-tale o parziale) di tale nozione sui connotati dei certificati verdi.

Pare sia possibile estrapolare una sorta di test desumibile dalle interpre-tazioni fornite dalla dottrina

21 e dalla più recente giurisprudenza della Corte costituzionale

22 per poter qualificare una prestazione imposta come tributo: (i) autoritatività, (ii) coattività, (iii) concorso alle spese pubbliche ex art. 53 Cost., (iv) mancanza di sinallagmaticità, sono i caratteri in presenza dei qua-li si configurerebbe un tributo, definibile come prestazione avente natura coattiva ad assetto (para)

23 commutativo il cui fine coincida con la copertu-ra delle spese pubbliche tra i consociati.

I certificati verdi appaiono rispondere positivamente al test suddetto considerata (i) la legge statale di recepimento comunitario che li istituisce, (ii) l’obbligo dell’acquisto da parte dei produttori di energia in mancanza del quale trova applicazione apposita sanzione

24, (iii) il concorrere alla tute-

19 Così, BERLIRI, Appunti sul rapporto giuridico d’imposta e sull’obbligazione tributaria, in AA.VV., Scritti scelti di diritto tributario, Milano, 1990, p. 234.

20 In tali termini, chiaramente, sintetizza TESAURO, Compendio di diritto tributario3, To-rino, 2007, p. 6.

21 F. AMATUCCI, Le prestazioni patrimoniali locali ed ampliamento della giurisdizione tri-butaria, in Rass. trib., n. 2, 2007, p. 365 ss.; concorde con CIPOLLA, Le nuove materie attri-buite alla giurisdizione tributaria, in Rass. trib., n. 2, 2003, p. 463 ss.

22 A prescindere dal nomen iuris gli elementi individuati dal giudice delle leggi consistono nella doverosità della prestazione, nella mancanza di un rapporto sinallagmatico e nel colle-gamento della prestazione imposta alla pubblica spesa in ragione del presupposto economi-camente rilevante. Da ultimo vedasi le sentenze Corte cost. nn. 141/2009, 3/2009, 238/2009. Così DELLA VALLE, I contrassegni SIAE hanno natura di imposta di scopo, in Rass. trib., n. 5, 2011, p. 1337 ss.

23 DEL FEDERICO, Tasse, cit., p. 103, sottolinea la possibilità di individuare nei tributi ambientali ragionevoli criteri di riparto e nel principio del “chi inquina paga” elementi co-muni con i tributi paracommutativi.

24 In base all’entità dell’inadempienza dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas nel

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la ambientale in ragione della quantità di energia prodotta 25, (iv) l’assenza

della sinallagmaticità dell’obbligo ex lege di produrre almeno una quota di energia da fonti rinnovabili

26. Tali aspetti soddisfarebbero anche il più mo-derno (e di più agevole applicazione) concetto di tributo, nel quale si può i-dentificare quella prestazione patrimoniale imposta, caratterizzata dall’atti-tudine a determinare il concorso alle pubbliche spese

27. Lo studio della fiscalità dei certificati verdi consente, ora, di osservare ta-

le strumento a finalità ambientale dall’ottica della capacità contributiva. Se, infatti, fosse possibile attribuire natura tributaria all’obbligazione rappresen-tata dai certificati in oggetto, apparirebbe naturale associare quest’ultimi ai tributi ambientali, in considerazione del presupposto di fatto che consisterà nella relazione attività espletata/danneggiamento (reversibile

28 dell’ambiente in un rapporto di causa/effetto

29. Si pone, allora, la questione di comprendere se la produzione di energia

(l’unità fisica che genera il danno ambientale) possa essere costituzionalmen-te assunta quale presupposto del tributo ai sensi dell’art. 53 Cost., ovverosia se essa sia un atto espressivo di ricchezza economica attuale e concreta. Poi-ché non si crede di errare nel risolvere tale quesito positivamente, l’energia prodotta in modo tradizionale, non da fonti rinnovabili, depaupera l’am-biente, impoverisce il bene ambientale scarso. Così ricostruito, il meccani-

rispetto di quanto previsto dall’art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 387/2003. A titolo esemplificati-vo si cita la sanzione di 2.984.103,00 Euro irrogata dall’Autorità per l’energia alla Ottana Energia S.r.l., per non aver adempiuto all’obbligo di acquisto dei certificati verdi negli anni di produzione di energia elettrica 2003, 2004 e 2005.

25 Nella logica del tributo ambientale, il concorso alle pubbliche spese viene raffigurato dalla protezione del bene pubblico ambientale.

26 Anche nella particolare ipotesi secondo la quale i certificati verdi vengano attribuiti ad un produttore di energia rinnovabile, l’apparente veste di controprestazione (dello Sta-to che elargisce il certificato cedibile sul mercato) non pare essere reale in considerazione della non automatica attribuzione dei certificati al produttore di energia (per la quale oc-corre una ulteriore istanza). Nelle altre ipotesi di conferimento dei certificati, questi ultimi appaiono un obbligo e non una controprestazione.

27 In tal senso, DEL FEDERICO, I tributi paracommutativi, cit., p. 69 ss. 28 L’esser irreversibile del danno ambientale non sarebbe concepibile o compatibile

con la funzione del tributo, piuttosto rientrerebbe nell’area sanzionatoria. Così VERRIGNI, La rilevanza del principio comunitario “chi inquina paga” nei tributi ambientali, in Rass. trib., n. 1, 2003, p. 1614 ss., il quale richiama a tal fine la Comunicazione CE 97/C emanata dal-la Commissione europea per coordinare le tasse e le imposte ambientali nell’UE.

29 In tal senso, parlando di prelievi coattivi ecologici, FALSITTA, Manuale di diritto tribu-tario, Parte generale, Padova, 2008, p. 36.

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smo scaturente dai certificati verdi pare ben rispettare il principio di ugua-glianza (ex art. 3 Cost.) sottostante a quello di capacità contributiva (ex art. 53 Cost.) il quale si traduce in una sorta di compensazione tra l’imprendito-re che inquina e produce (tendenzialmente) utili e la collettività. Detto di-versamente, il principio comunitario del “chi inquina paga” ribaltato nell’or-dinamento italiano può essere espresso come criterio di riparto delle ester-nalità negative

30. Quanto detto è occasione per dimostrare la correttezza di quella teoria

che legge la capacità contributiva ex art. 53 Cost. quale “limite relativo” alle scelte del legislatore: in tal modo, dall’ottica della fiscalità ambientale, la ca-pacità contributiva diventa elastica, fino a inglobare la facoltà di sfruttare per il proprio interesse i beni di godimento pubblico

31. I certificati verdi (o meglio l’obbligazione che rappresentano) potrebbe-

ro essere allora inquadrati come tributo ambientale in senso proprio in con-siderazione del fatto che il presupposto proviene dalla stessa produzione di energia e, più nello specifico, all’interno dello schema dell’imposta, e non della tassa

32, poiché la funzione del risanamento ambientale non risulta im-mediatamente collegabile alla prestazione imposta ma rientra in uno dei com-piti fondamentali dello Stato

33. Concordemente con la suddetta tesi, si potrebbe propendere maggior-

mente per una qualificazione dell’obbligazione qui studiata quale imposta in

30 GALLO, Profili critici della tassazione ambientale, in Rass. trib., n. 2, 2010, p. 303 ss. Il quale definisce il prelievo ambientale come tributo in quanto «previsione di situazioni di fatto al cui verificarsi il soggetto passivo è tenuto a una corrispondente misura di concorso alle pubbliche spese». I certificati verdi, risulterebbero allora una applicazione (italiana) del tributo Climate change levy la quale si è manifestata in altri ordinamenti sia come tribu-to ambientale in senso proprio che in senso funzionale a seconda dell’inquadramento del presupposto.

31 «A questo diverso livello, la capacità contributiva si risolve in criterio di razionalità complessiva del sistema e dell’intera disciplina del concorso alle pubbliche spese». Così FEDELE, op. cit., p. 30 e 31.

32 Poiché il presupposto della tassa ambientale consisterebbe nella «richiesta e nell’uti-lizzo del servizio di risanamento del danno ambientale» sarebbe come legittimare il danno e non applicare correttamente in principio “chi inquina paga” (il quale dovrebbe avere fun-zione disincentivante e non (solo) di risanamento); inoltre, si correrebbe il rischio di qua-lificare come danno ambientale solo quello tipizzato dal legislatore, solo quello risanato dalla tassa ambientale. In tal senso, v. GALLO-MARCHETTI, I presupposti della tassazione am-bientale, in Rass. trib., n. 1, 1999, p. 115 ss.

33 Così, se sono state ben comprese le riflessioni effettuate da GALLO, op. cit., p. 304, si può desumere ribaltando tale teoria sull’argomento oggetto del presente lavoro.

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ragione della sua acausalità e non quale tributo paracommutativo, ove la causa dovrebbe necessariamente caratterizzare il presupposto, restando tale proprietà circoscritta alla ratio del tributo

34. Inoltre, l’obbligazione consistente nella produzione di energia rinnovabi-

le (in ragione di quella prodotta in maniera tradizionale) esemplifica quella teoria che identifica i tributi ambientali in senso proprio come imposte sui consumi

35: il presupposto coincidente con la produzione di energia tradi-zionale, rappresenta il beneficio del produttore che effettua la scelta inqui-nante (di produrre energia da fonti tradizionali, non rinnovabili); l’impren-ditore nel produrre energia tradizionale mantiene una certa volontarietà nella scelta di inquinare e la determinazione dell’entità del danno (e la rela-tiva quantificazione del beneficio) potrebbe essere misurata proprio in ra-gione dell’alternativa produzione di energia rinnovabile

36. Diversamente, sminuendo il nesso di causalità in quanto non risultereb-

be rinvenibile quell’oggettiva risultanza tecnico-scientifica tra presupposto e danno ambientale, il tributo rappresentato dai certificati verdi potrebbe es-sere qualificato come imposta di fabbricazione con finalità extrafiscali di tu-tela ambientale, la cui diretta conseguenza consisterebbe in una lettura del-l’art. 53 Cost. meno vincolante in quanto il presupposto dovrebbe misurare solo il valore economico della produzione

37.

34 In tal senso si ritiene applicare gli insegnamenti di DEL FEDERICO, Tasse, cit., pp. 103-104.

35 V. GALLO-MARCHETTI, op. cit., p. 115 ss., in particolare par. 7.2. “Unità fisica che de-termina il danno ambientale e sua valutazione in termini di attitudine o forza economica”.

36 Secondo tale ragionamento, il presupposto/indice unità di misura consistente nella produzione di energia tradizionale manifesta sia, la funzione incentivante/disincentivante verso la produzione di energia alternativa, sia assume l’effetto inquinante (energia tradi-zionale prodotta) come parametro di commisurazione (della quantità di energia verde da immenntere nel sistema). Così come osservato in relazione alla fattispecie del servizio idrico integrato da GUIDO, Spunti per una riflessione sulla natura giuridica della quota di tariffa per il “servizio di depurazione e scarico delle acque reflue” e del prelievo per il “servizio idrico inte-grato”, Nota a Corte Costituzionale, 335/2008, in Riv. dir. trib., n. 5, 2009, II, p. 349 ss.

37 V. GALLO-MARCHETTI, op. cit., p. 115 ss., in particolare sulla “ricostruzione del tributo ambientale in termini di imposta ambientale sui consumi”, distinguendo tra consumo di pro-dotti inquinanti e consumo di beni ambientali scarsi. Sulla stessa linea anche GIOVANNINI, Capacità contributiva e imposizione patrimoniale: discriminazione qualitativa e limite quanti-tativo, in Rass. trib., n. 5, 2012, p. 1131 ss.

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2.1. I certificati verdi e le agevolazioni fiscali Circoscrivendo ora l’analisi ai certificati verdi (e non più all’obbligazione

che rappresentano) e, in particolare, al caso in cui essi siano attributi al pro-duttore di energia verde, si osserva che nel momento della successiva ces-sione sul mercato si genereranno (tendenzialmente) componenti positivi di reddito

38 (in capo al cedente) in considerazione dell’assenza di particolari oneri aggiuntivi

39 e della loro elargizione avvenuta precedentemente senza corrispettivo.

In una prima analisi, l’elemento agevolatorio sarebbe riscontrabile laddove i certificati verdi attributi ai produttori verdi nella sostanza si concretizzano in un “alleggerimento”

40 dell’obbligazione in capo al produttore di energia da fonti rinnovabili, consistente in una copertura dei costi sostenuti per svolgere l’attività incentivata dal legislatore grazie al conseguimento di componenti positivi di reddito derivanti dalla cessione con corrispettivo dei certificati.

È utile sottolineare che la ricerca della presenza di una misura agevolativa appare lecita nella fattispecie in esame richiamando quell’affermazione «non c’è agevolazione senza tributo»

41, la quale può trovare applicazione soste-nendo che: non c’è l’agevolazione consistente nei certificati verdi attribuiti gratuitamente al produttore verde, senza l’istituto tributario dell’obbligazio-ne di produzione di energia rinnovabile. Diversamente detto – ricordando che occorre distinguere l’obbligo di produrre energia verde dalla possibilità di adempiere a tale obbligo comprando certificati verdi e dalla ricezione dei certificati verdi a seguito della avvenuta produzione di energia verde – si po-trebbe ipotizzare che i certificati verdi, attribuiti gratuitamente dal Gestore elettrico al produttore di energia rinnovabile, rappresentino per quest’ulti-mo un’agevolazione che si contrappone all’obbligazione di produzione di energia verde.

38 L’iscrizione contabile nel bilancio del produttore cedente dovrebbe avvenire, sulla base del principio contabile n. 7, valorizzando la voce “altri ricavi”, imputati per competen-za (v. nota 82).

39 Se non quelli relativi alla necessaria certificazione di qualità degli impianti richiesta dal GSE per concedere il certificato verde.

40 V. FEDELE, op. cit., p. 160, il quale argomentando sulle agevolazioni fiscali riassume la posizione della dottrina sulla elaborazione di una nozione di carattere generale delle age-volazioni fiscali comprendenti sia le esenzioni in senso proprio sia quelle che prevedono una riduzione della misura del tributo, dilazioni dei versamenti, mero “alleggerimento” de-gli oneri fiscali.

41 PEPE, Le agevolazioni fiscali “regionali” in materia ambientale, in Riv. dir. trib., n. 3, 2012, p. 281.

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In linea generale, lo studio delle agevolazioni attiene ad una serie di pro-blematiche sulla natura delle norme, ai loro rapporti, alla loro interpretazione, al collegamento con i principi costituzionali

42. L’interprete del diritto, chia-mato a dover attribuire ad una determinata misura la natura di agevolazione, percorre un terreno dai confini incerti sulla cui apposizione qualificata dottri-na ha avuto modo di esprimersi

43. Stante l’assenza di una definizione norma-tiva di agevolazione tributaria, occorre rifarsi a quelle fornite dalla dottrina

44. Come prima approssimazione, si riscontrerebbe una coerenza tra la teo-

ria funzionale 45 delle agevolazioni e i certificati verdi: questi, attribuiti senza

corrispettivo al produttore di energia da fonti rinnovabili, a seguito della lo-ro successiva circolazione (la quale si può concretizzare con l’acquisto da parte di altri produttori di energia o mediate il ritiro

46 da parte del GSE) ma-nifesterebbero il collegamento con una spesa fiscale concretizzantesi nel riti-ro dei certificati da parte dello Stato

47, garantendo un flusso finanziario a fa-vore del beneficiario, similmente a quanto potrebbe avvenire per mezzo di un contributo pubblico e non tramite lo strumento del prelievo tributario.

In seconda battuta, con richiamo alla teoria strutturale 48 delle agevola-

zioni, la sovrapposizione con i certificati verdi apparirebbe imprecisa per ca-renza del carattere derogatorio dell’agevolazione rispetto la finalità propria del tributo. Infatti, se si propendesse per la natura tributaria

49 dell’obbliga-

42 BASILAVECCHIA, Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni (dir. trib.), in Rass. trib., n. 2, 2002, p. 421, per una disamina delle possibili definizioni attribuibili alle agevolazioni.

43 V. note successive. 44 Inoltre, per una visione sia economica che giuridica, con riflessioni in ambito di effi-

cacia delle agevolazioni e di necessità di riordino, si vedano rispettivamente, DI MAJO, Le agevolazioni fiscali alle imprese: aspetti economici, in LECCISOTTI (a cura di), Le agevolazioni fiscali, Bari, 1995, p. 121 ss.; LA ROSA, Le agevolazioni fiscali alle imprese: aspetti giuridici, in LECCISOTTI (a cura di), Le agevolazioni fiscali, cit., p. 103 ss.

45 V. LA ROSA, Le agevolazioni tributarie, in A. AMATUCCI (a cura di), Trattato di diritto tributario, Padova, 1994, p. 410 ss.

46 Si ricorda che il Gestore Servizi Elettrici ritira, ex art. 20, comma 3 del D.M. 6 luglio 2012, D.Lgs. n. 28/2011, i Certificati verdi rilasciati per le produzioni da fonti rinnovabili degli anni dal 2012 al 2015, ad un prezzo di ritiro pari al 78% del valore risultante dalla dif-ferenza tra 180 €/MWh e il valore medio annuo del prezzo di cessione dell’energia elettri-ca registrato nell’anno precedente e definito dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (il prezzo di offerta dei Certificati da parte del GSE è definito dal comma 148 dell’art. 2 della L. Finanziaria 2008).

47 L’azionista unico del GSE è costituito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. 48 V. FICHERA, Le agevolazioni fiscali, Padova, 1992, p. 32 ss. 49 Così come argomentato nel relativo paragrafo del presente lavoro.

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zione di produrre energia verde, considerando che la ratio di tale tributo consisterebbe nel tutelare l’ambiente, l’agevolazione sottostante ai certificati verdi non sembrerebbe discostarsi da tale logica, anzi mirerebbe a persegui-re il medesimo fine. Il “ritiro” dei Certificati da parte del Gestore o la loro ven-dita sul mercato non si concretizzerebbe tanto in una limitazione

50 del pre-supposto del tributo, quanto nell’attribuzione di una potenziale entrata fi-nanziaria, frutto del corretto adempimento dell’obbligazione tributaria.

A dimostrazione della non facile opera di definizione di una agevolazio-ne, entrambe le teorie suddette mostrano profili di criticità

51 in quanto la prima rischierebbe di essere eccessivamente onnicomprensiva (e nel caso di specie potrebbe far propendere per qualificare i certificati verdi come agevo-lazione a discapito di altre ipotesi

52, mentre la seconda comporterebbe una concreta difficoltà di distinzione delle due ratio, del tributo e dell’agevola-zione: tale problematicità è ben rappresentata nello studio qui svolto il qua-le tende a mostrare una natura ibrida della misura ideata a tutela dell’am-biente.

Dalle suddette teorie, tenendo a mente sia il carattere derogatorio che la finalità extrafiscale della misura, se la misura sottrattiva del tributo nasce per una finalità tributaria non derogatoria e produce effetti coerenti al tributo, essa non costituisce una agevolazione fiscale

53.

50 Il richiamo è alla tradizionale discussione dottrinale avente ad oggetto l’esclusione e l’esenzione quali valori agevolativi nel sistema tributario. La più risalente è quella costituita da GIANNINI, I concetti fondamentali del diritto tributario, Torino, 1956; BERLIRI, Principi di diritto tributario, Milano, 1957; ANTONINI, La formulazione della legge e le categorie giuridi-che, Milano, 1958.

51 V. BASILAVECCHIA, Agevolazioni, cit., p. 421 ss. L’autore, in definitiva, ritiene che deve sussistere una funzione di favore, la quale sottragga «al regime comune, per ragioni estra-nee a quelle recepite nella strutturazione essenziale del singolo prelievo, le ipotesi ritenute meritevoli (per ragioni comunque extrafiscali) di ottenere una attenuazione della tassa-zione e/o degli oneri formali ad essa connessi». Egli prosegue, a tal proposito, avanzando dei dubbi la possibilità di considerare come agevolazioni fiscali in senso proprio quelle ve-re e proprie sovvenzioni che vengono concesse ai contribuenti sotto forma di buoni o cre-diti d’imposta, che pur derivino da fattispecie estranee alla disciplina del tributo: i dubbi nascono dall’osservazione che la determinazione dell’imposta dovuta non subisce deroghe e la sovvenzione (o la agevolazione?) si manifesta solo nel momento solutorio, quando il credito d’imposta potrà essere compensato con i debiti del contribuente.

52 Si rimanda alle riflessioni sulla natura dei certificati verdi, effettuate nel paragrafo 2. 53 Così dalla analisi e dalla sintesi operata da FIORENTINO, Agevolazioni fiscali e aiuti di

Stato, in INGROSSO-TESAURO (a cura di), Agevolazioni fiscali e aiuti di Stato, Napoli, 2009, p. 387 ss.

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Alla luce di tali considerazioni, i certificati verdi attribuiti al produttore di energia verde, lasciano intravedere dei connotati agevolativi che, tuttavia, non sembrano tali da poter attribuire la qualifica di agevolazione fiscale in quanto fuori dagli schemi dottrinali: se, infatti, fosse presente la finalità ex-tratributaria dell’attribuzione senza corrispettivo del certificato al produtto-re (meritevole in quanto) verde, tuttavia essa risulterebbe coerente con la finalità istitutiva dell’obbligazione tributaria di produzione di una quota di energia da fonti rinnovabili.

Di conseguenza, l’apparente natura agevolativa generata dalla distribu-zione senza corrispettivo dei certificati verdi e il conseguente “ritiro” per opera del Gestore, ovverosia, il trattamento differenziato che evidenzia pro-fili di gratuità in capo al produttore verde contrapponibili a quelli di onero-sità gravanti sul produttore tradizionale, mostra non una ratio derogatoria (e in tal caso dando luogo ad una agevolazione) ma un «logico corollario dell’applicazione del tributo»

54: da una attenta rilettura del funzionamento dei certificati verdi, si può capire che la gratuità e l’onerosità si manifestano in capo a soggetti diversi e si giustificano proprio in considerazione della produzione o meno di energia verde (trattamento differenziato pienamente coerente con la ratio di tutela ambientale della misura tributaria in questio-ne), e risultano quindi «espressione di principi che informano la stessa con-figurazione essenziale del tributo»

55. Guardando ad una tesi che si ricollega agli studi di diritto pubblico per

una alternativa lettura (e possibile definizione) delle agevolazioni, i certifi-cati verdi attribuiti gratuitamente paiono essere assimilabili alle agevolazio-ne-incentivo

56: essi, infatti, rispondono alla logica di intervento dello Stato nell’economia

57, provocano l’attuazione di una specifica attività da parte dei

54 Tale espressione è utilizzata da PEPE, op. cit., p. 281, il quale, così osservando, contri-buisce a chiarire le difficoltà interpretative delle agevolazioni fiscali in materia ambientale.

55 Tale affermazione è stata effettuata da BASILAVECCHIA, Agevolazioni, cit., p. 421, in merito alle detrazioni Irpef, per negarne la natura agevolativa.

56 Il richiamo è riferito ad DAGNINO, Agevolazioni fiscali e potestà normativa, Padova, 2008, p. 24 ss., il quale cita tra i suddetti studiosi GUARINO, Sul regime costituzionale delle leggi di incentivazione e di indirizzo, in AA.VV., Scritti di diritto pubblico dell’economia e di diritto dell’energia, Milano, 1962; IRTI, L’età della decodificazione, Milano, 1979; BOBBIO, Dal-la struttura alla funzione, Milano, 1977. Le agevolazioni-incentivo risultano differenti dalle agevolazioni-conferimento nelle quali manca la controprestazione del beneficiario della di-sposizione.

57 Esempio di quel cambiamento che ha investito l’energia e le politiche ambientali, mostrando un passaggio da un approccio amministrativo formato da divieti, ad un approc-

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privati (produzione di energia da fonti rinnovabili), prevedono un vantag-gio, una controprestazione a favore del privato (attribuzione senza corrispet-tivo del certificato, futura fonte di componenti positive di reddito), non so-no autoritativi e, in loro assenza l’attività incentivata (produzione di energia verde) non sarebbe ugualmente posta in essere. Se, in prima istanza, può apparire che i certificati in questione abbiano una componente autoritativa in ragione dell’obbligo imposto in forza di legge di produzione di una quota di energia da fonti rinnovabili, tuttavia, a ben vedere, pare che l’obbligo sud-detto sia prodromico all’attribuzione dei certificati e la componente agevo-lativa che essi possono manifestare si appalesa solamente laddove il produt-tore di energia verde decida di negoziarli, restando in capo a quest’ultimo e-lementi di volontarietà

58. Le conseguenze di taglio pratico scaturenti da una simile classificazione, attribuendo ai certificati verdi la natura di norme-in-centivo (o agevolazioni-incentivo), consisterebbero nel riconoscere i carat-teri della irretroattività, nel poter esser vincolanti (anche in capo al legislato-re), nella raffigurazione delle scelte sociali ed economiche, tendenzialmente temporanee fino al raggiungimento dell’obiettivo preposto

59.

2.2. I certificati verdi e gli aiuti di Stato

Esclusa la natura agevolativa della misura, si osserva tuttavia che il corretto adempimento (immissione nel sistema elettrico nazionale di una quota di energia rinnovabile) dando luogo pur sempre all’attribuzione (gratuita) di un bene immateriale (il certificato verde) dalla cui cessione possono originare dei componenti positivi di reddito si traduce pur sempre in un vantaggio: tale trattamento di favore, essendo rivolto ad attività economiche, potrebbe rile-vare quale alterazione della libera concorrenza configurando un aiuto di Sta-to. Se precedentemente sono stati osservati dei vincoli di legittimità costitu-zionale, ora l’ambito di riferimento trasla sulla compatibilità comunitaria

60. cio economico mediante l’uso di “tasse sull’inquinamento e premi al risanamento ambientale”. Così GERELLI-MURARO, Verso un’economia immateriale, in AA.VV., Dalle res alle new pro-perties, cit., p. 23.

58 Tali osservazioni applicate ai certificati verdi nascono dalle considerazioni di carattere generale effettuate sulle diverse tipologie di agevolazioni ad opera di DAGNINO, op. cit., p. 23 ss.

59 Così osserva (in generale) per le agevolazioni DAGNINO, op. cit., p. 35 in contrappo-sizione alle agevolazioni-conferimento, le quali possono essere retroattive, sono meno vin-colanti ed abrogabili.

60 Il riferimento è a quanto rilevato nei paragrafi precedenti, in particolare sul limite della capacità contributiva relativamente alla natura tributaria dei certificati verdi. Sul cita-

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L’UE ha regolamentato gli aiuti di Stato 61 al fine di tutelare la libertà di

concorrenza fra le imprese, messa a rischio da misure agevolative emanate dagli Stati membri a favore di determinate categorie di soggetti economici o di determinate produzioni, penalizzando i soggetti non beneficiari. Nel pre-sente lavoro, l’elemento discriminatorio sarebbe individuabile tra il produt-tore di energia da fonti tradizionali e quello da fonti rinnovabili, destinatario quest’ultimo dei certificati verdi a titolo gratuito.

Il regime degli aiuti di Stato, quale limite relativo (o assoluto) 62 di origine

comunitaria, prevede (nel secondo e terzo paragrafo dell’art. 107 TFUE) del-le condizioni di compatibilità: uno Stato membro potrebbe istituire un aiuto compatibile con l’Ordinamento comunitario se si attuasse una coincidenza dei fini della misura agevolativa con quelli dell’UE, potendo utilizzare la «tri-butarietà in funzione extrafiscale promozionale»

63 dello sviluppo economico e sociale. Tenendo a mente la definizione di aiuto fiscale estrapolabile

64 dal primo paragrafo dell’articolo sopracitato, e in linea con quanto espresso dalla Commissione

65, i certificati verdi attributi gratuitamente al produttore di energia da fonti rinnovabili a) attribuiscono a questi un vantaggio consistente nella negoziabilità del certificato; b) tale vantaggio in caso di ritiro dei certifi- to doppio ordine di limiti riscontrabile nelle agevolazioni e negli aiuti di Stato, v. FEDELE, op. cit., p. 161.

61 In particolare vedasi l’art. 107 ss. TFUE. 62 Relativo sia in quanto il Trattato non prevede un divieto di aiuti di Stato quanto un

divieto di aiuti di Stato illegali (in tal senso v. FRANSONI, Profili fiscali della disciplina comu-nitaria degli aiuti di stato, Pisa, 2007, p. 92 ss., sia in quanto esiste una deroga per quelli sot-tostanti alla soglia del c.d. regime de minimis (per il quale si rinvia a STEVANATO-PIRELLI-SERASIN, Se l’agevolazione fiscale è un illegittimo aiuto di Stato si recupera anche quella inferio-re alla soglia de minimis?, in Dialoghi trib., n. 1, 2012, p. 101). In senso contrario, INGROSSO, La comunitarizzazione del diritto tributario e gli aiuti di Stato, in INGROSSO-TESAURO (a cura di), op. cit., pp. 64-65, il quale ritiene assoluto il divieto di aiuti di Stato posto dall’Ordina-mento comunitario, ritenendo che le deroghe siano tali in quanto non costituirebbero una alterazione delle condizioni di mercato e della concorrenza.

63 Così sintetizza INGROSSO, op. cit., p. 60 richiamando, ma non condividendo, il pen-siero di BORIA, Diritto tributario europeo, Milano, 2010, FRANSONI, op. cit., BASILAVECCHIA, L’evoluzione della politica fiscale dell’Unione europea, in Riv. dir. trib., n. 1, 2009, I, p. 369 ss.

64 MAROTTA, Aiuti di Stato e aiuti fiscali: struttura e differenze, in INGROSSO-TESAURO (a cura di), op. cit., p. 147, riassume così i caratteri necessari per poter definire un aiuto fiscale di Stato: a) vantaggio che riduca gli oneri di bilancio; b) vantaggio concesso tramite risorse sta-tali; c) la misura deve incidere sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri; d) selettività della misura a favore di talune imprese o talune produzioni.

65 V. Comunicazione sull’applicazione delle norme relative agli aiuti di Stato alle misu-re di tassazione diretta delle imprese, in G.U.C.E. C-384 del 10 dicembre 1998.

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cati per opera del Gestore Servizi elettrici è concesso tramite risorse statali; c) la negoziabilità dei certificati incide sugli scambi in quanto genera componen-ti positive di reddito che altrimenti l’imprenditore non avrebbe conseguito; d) la misura favorisce la specifica produzione di energia da fonti rinnovabili a discapito di quella prodotta da fonti tradizionali, e dunque, parrebbe seletti-va

66. Tale selettività, tuttavia, alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale comunitaria

67, apparirebbe giustificabile dalla natura o dalla struttura del si-stema, in quanto la produzione di energia da fonti rinnovabili è strettamente correlata alla tutela ambientale, la quale è coerente con la logica di sviluppo del sistema economico e dei principi di tutela ambientale

68. Inoltre, a supporto di tale ultima tesi, si osserva che essa rappresenta be-

ne quel punto di contatto tra la nozione di agevolazione fiscale e la nozione di aiuto di Stato, tra il carattere derogatorio della prima e la natura del si-stema fiscale della seconda, qualifiche (di agevolazione e di aiuto di Stato illegale) entrambe negabili in considerazione della medesima ratio del pre-lievo, dell’agevolazione, dell’aiuto (compatibile)

69.

66 Sulla non selettività dei certificati verdi si è espressa anche l’Assonime laddove ha analizzato la compatibilità di tali aiuti con le agevolazioni c.d. Tremonti ter. V. Circolare Assonime, 26 febbraio 2010, n. 7. La questione della compatibilità era nata dall’art. 2, comma 152, L. n. 244/2007, il quale, per non consentire l’accumulazione tra diverse age-volazioni ha previsto l’incompatibilità dei certificati verdi con «altri incentivi pubblici di natura nazionale, regionale, locale o comunitaria in conto energia, in conto capitale o in con-to interessi con capitalizzazione anticipata». Sulla cumulabilità con altre agevolazioni a tute-la ambientale v. MARINO, Cumulabilità della Tremonti ter con gli incentivi in materia di ener-gia eolica, in Corr. trib., n. 45, 2009, p. 3659 ss.

67 Vedasi la sentenza del Tribunale di Prima Istanza (TPI), causa T-233/04, 10 aprile 2008, sul sistema olandese dei diritti di emissione di inquinanti atmosferici disciplinati dal-la Direttiva 2001/81/CE, nella quale il giudice comunitario afferma che nonostante in prima facie la misura agevolativa differenziando tra imprese apparirebbe selettiva, la differenzia-zione era conseguenza della stessa natura del sistema generale di diritti di emissione desti-nato alle sole imprese ad elevato consumo energetico. «Tale chiarimento restituisce ra-gionevolezza al controllo delle misure fiscali di vantaggio nazionali e sembra legittimare le disposizioni che risultano non derogatorie in quanto compatibili con la ratio del singolo tri-buto» così F. AMATUCCI, Il ruolo del giudice nazionale in materia di aiuti fiscali, in Rass. trib., n. 5, 2008, p. 1282. Sulla stessa linea, sentenza CGE 6 settembre 2006, causa C-88/03, Portogallo/Commissione, commentata da CARINCI, Autonomia impositiva degli enti sub sta-tali e divieto di aiuti di stato, in Rass. trib., n. 5, 2006, p. 1760 ss.

68 Per altri esempi di selettività giustificata dalla natura o dalla struttura del sistema si ri-manda a CAPUTI, La selettività in generale, in INGROSSO-TESAURO (a cura di), op. cit., p. 203 ss., il quale esprime posizioni allineate a TESAURO, Diritto comunitario, Torino, 2008, p. 800.

69 Sul raffronto tra agevolazioni fiscali e aiuti di Stato, PEPE, op. cit., p. 283.

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Di conseguenza, la misura agevolativa sopra delineata dei certificati verdi può essere collocata nell’area degli aiuti di Stato, compatibili con l’ordina-mento comunitario. Tale compatibilità, rinvenibile nella selettività giustifi-cabile come sopra delineata, è ancor più intellegibile alla luce del Reg. n. 800/2008 mediante il quale la Commissione ha disciplinato delle esenzioni per categoria, dichiarando compatibili e privi dell’obbligo di notifica quegli aiuti finalizzati alla tutela ambientale

70. La ratio del citato Regolamento mostra l’evoluzione del rapporto intercor-

rente tra tutela ambientale, tributo ambientale, aiuto di Stato, la quale con-sente di apprezzare la natura di aiuto dei certificati verdi gratuiti, rispettosi dei limiti esterni comunitari grazie alla specifica esenzione applicata agli aiu-ti ambientali

71. In tal modo, la Commissione previene un uso di aiuti di Stato non mirati

o eccessivi, distorsivi della concorrenza e (probabilmente) non efficaci nel perseguire l’obiettivo della tutela ambientale

72.

3. La circolazione dei certificati verdi

L’obbligazione di produrre una determinata quota di energia da fonti rin-novabili, possiede al suo interno una componente circolatoria dei certificati verdi dalle conseguenze fiscali strettamente connesse sia alla natura di que-st’ultimi, sia alla natura del percipiente del certificato quale produttore di energia rinnovabile, tradizionale o trader.

3.1. Gratuità, onerosità, corrispettività e liberalità

Una peculiare chiave di lettura per poter studiare la natura dei certificati verdi consiste in una loro visione tenendo a mente i concetti di gratuità, one-rosità, corrispettività e liberalità. Si tiene a precisare che tali attributi sono

70 In particolare, gli artt. 17-25 del Reg. n. 800/2008 si richiama l’attenzione i) sulla tu-tela della qualità dell’ambiente, ii) esonero degli aiuti di Stato in materia ambientale anche attraverso agevolazioni da imposte ambientali.

71 Sul superamento del tabù del divieto dell’aiuto di Stato elargito mediante agevola-zioni fiscali, vedasi PIGNATONE, Agevolazioni su imposte ambientali ed aiuti di Stato, in IN-GROSSO-TESAURO (a cura di), op. cit., p. 754.

72 In tal senso, ALFANO, Agevolazioni fiscali in materia ambientale e vincoli dell’Unione euro-pea, in Rass. trib., n. 2, 2011, p. 328 ss., la quale specifica che un aiuto è proporzionato «qua-lora non sarebbe stato possibile ottenere gli stessi risultati con un aiuto di entità minore».

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da riferire esclusivamente ai certificati verdi in quanto beni immateriali e non all’obbligo di produzione di energia rinnovabile (al quale è ricollegabile la nozione di tributo sopraesposta), nei confronti del quale i certificati verdi rappresentano o (per così dire) un regime sostitutivo di adempimento o un aiuto (compatibile) alla produzione di energia rinnovabile.

Elementi di gratuità 73 sono riscontrabili laddove i certificati verdi vengono

distribuiti al produttore di energia da fonti rinnovabili: sebbene l’acquisto dei certificati da parte dell’imprenditore verde potrebbe qualificarsi a titolo origi-nario

74 piuttosto che a titolo gratuito, certamente esso è inquadrabile quale attribuzione senza corrispettivo, quale atto gratuito (non liberale

75. Il concetto di onerosità

76, nella fattispecie qui studiata, emerge sotto diffe-renti aspetti. Specularmente alla gratuità, nell’ottica del produttore di energia da fonti rinnovabili che ottiene i certificati verdi dal Gestore del Servizio Elet-trico a titolo gratuito, si possono osservare degli elementi onerosi rappresen-tati sia dai maggiori costi sostenuti per produrre da fonti rinnovabili

77, sia da

73 In prima approssimazione la gratuità è riscontrabile in quegli atti ove «si ha, in so-stanza, un vantaggio patrimoniale di una parte non controbilanciato da un correlativo sacrifi-cio». V. CARNEVALI, Liberalità (atti di), in commento alla voce Liberalità, in Enc. dir., De-Jure, 1974, XXIV; nella quale si rimanda per approfondimenti sulle categorie dell’onerosità e della gratuità a SCALFI, Corrispettività e alea nei contratti, Milano-Varese, 1960, p. 79 ss.

74 Sarebbe l’attività caratteristica svolta dall’impresa produttrice di energia da fonti rin-novabili che consente, in quanto meritevole, di entrare in possesso dei certificati verdi a fronte di alcun corrispettivo, ovvero è l’impresa che ha prodotto (le condizioni necessarie per poter conseguire) il bene “certificato verde”. Così come avviene, in maniera analoga, per l’acquisto a titolo originario della proprietà intellettuale ove dalla lettura dell’art. 2576 c.c. e dell’art. 6, L. n. 633, si definisce la natura originaria dell’acquisto del diritto di autore tramite il collegamento con l’attività creativa, espressione del lavoro intellettuale. V. GIA-COBBE, Proprietà intellettuale, in Enc. dir., DeJure, 1988, XXXVII. Tuttavia se il momento della nascita del diritto ad ottenere i certificati verdi coincide (in quanto a titolo originario) con lo svolgimento (preordinato) dell’attività produttiva di energia, la manifestazione rea-le di tale diritto avrà luogo con la (successiva) richiesta e la percezione dei certificati verdi. Ricordando che la differente qualificazione dell’acquisizione genera anche differenti effetti di contabilizzazione, pare ragionevole preferire una soluzione che propenda per l’acquisi-zione senza corrispettivo in ragione della solo eventuale richiesta ed attribuzione dei certi-ficati da parte del Gestore dell’energia.

75 Si rimanda alle osservazioni successive sul concetto di liberalità. 76 V. SCOZZAFAVA OBERDAN, Onere, in Enc. dir., DeJure, 1980, XXX, «l’onere si identifica

come un vincolo connesso a un potere. Se il titolare del potere si uniforma al vincolo – adempie cioè l’onere – il potere si dispiega incondizionatamente e il soggetto passivo non potrà evitarne le conseguenze».

77 Maggiori se il produttore di energia possiede quale output sia energia da fonti tradi-

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quanto necessario per ottenere la certificazione dei propri impianti necessa-ria per il rilascio dei certificati.

Inoltre, una particolare assimilazione dell’obbligo di produrre energia verde al concetto di onere è osservabile, in capo al produttore di energia in quanto tale (sia esso tradizionale o verde), dovendosi attuare un comporta-mento (la produzione di energia rinnovabile o l’acquisto dei certificati ver-di) al fine di poter realizzare il proprio interesse (lo svolgimento dell’attività d’impresa)

78. La presenza di un corrispettivo pare sia distinguibile laddove i certificati

verdi vengano acquistati da una società produttrice di energia tradizionale o nella compravendita effettuata da una Società intermediaria. In tale ambito il corrispettivo coincide con un prezzo determinato dal mercato, generato dall’incontro della domanda con l’offerta.

Infine, in merito all’attributo della liberalità, in seno ai certificati verdi non pare rintracciabile né l’esser nullo iure cogente

79 né l’animus donandi, ov-verosia lo spirito di liberalità, a causa dell’interesse del soggetto erogante (lo Stato tramite il Gestore Servizi Energetici) indirizzato al perseguimento di un fine meritevole di tutela (ambientale); la liberalità caratterizzata da ele-menti di straordinarietà è qui contrapposta alla programmabilità tipica dei contributi, i quali si inseriscono in tal modo nel programma di remunera-zione dei fattori produttivi

80. Pare opportuno sottolineare che, le suddette considerazioni devono te-

ner conto del differente ambito di applicazione delle norme civilistiche ri-spetto a quelle fiscali: infatti, le attribuzioni liberali formano materia impo-nibile in quanto all’interno della categoria del reddito d’impresa sono as-soggettate a tassazione anche le «componenti reddituali innominate»

81. zionali che rinnovabili, e l’attività di quest’ultima è stata intrapresa per evitare di acquistare a titolo oneroso i certificati verdi generati da altri produttori.

78 L’onere può essere definito come quello strumento attraverso il quale l’ordinamento impone al soggetto di tenere un determinato comportamento, così evitando di subire al-cune conseguenze giuridiche sfavorevoli, differenziandosi dal dovere in quanto derivante dall’esercizio di una potere; in tal senso, SCOZZAFAVA OBERDAN, op. cit.

79 Presupposto esattamente antitetico all’adempimento, il quale rappresenta un atto dovuto. V. CARNEVALI, op. cit.

80 In generale, sui caratteri distintivi tra contributi e liberalità v. BEGHIN, I contributi e le liberalità a favore delle imprese, Milano, 1997, p. 5 ss.

81 Il richiamo è all’art. 109 TUIR il quale al comma 1 recita «I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme della presente Sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza;

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3.2. I certificati verdi tra imposte sul reddito e IVA

Nell’ambito delle imposte sul reddito, il certificato verde in capo al pro-duttore di energia rinnovabile è acquisito in assenza di corrispettivo e gene-ra componenti positive di reddito al momento della cessione. Tali compo-nenti contabilizzabili

82 come contributi in conto esercizio, fiscalmente na-scondono delle criticità. In assenza di una definizione di contributo elabora-ta dal legislatore fiscale, occorre guardare al profilo funzionale

83 al fine di qualificare la misura come contributo in conto esercizio, capitale o impianti.

Preliminarmente si constata che attribuire ai certificati verdi la natura di contributo significa applicare una definizione

84 allargata di quest’ultimo: i certificati assumeranno (compiutamente) i connotati dei contributi esclusi-vamente nel momento in cui il Gestore li ritirerà al produttore di energia, liquidandone il valore.

Le differenze di inquadramento quali contributi in conto esercizio, capi-tale, impianti rileveranno in considerazione dell’appartenenza dei primi tra i ricavi ex art. 85 TUIR, dei secondi tra le sopravvenienze attive ex art. 88 TUIR, e dell’esclusione degli ultimi dal computo del costo ammortizzabi-le

85: da notare che tali norme-chiave rispondono alla imposizione di tutte le tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni». Nel senso sopra interpretato da BEGHIN, I contributi, cit., p. 22, il quale approfondisce l’argomento anche alla luce delle modifiche normative subite nel tempo dalla disciplina del reddito d’impresa.

82 Contabilmente il recentissimo Principio contabile n. 7, rubricato “I certificati verdi”, ha stabilito che tali strumenti rappresentino «un’incentivazione alla produzione da fonti rinnovabili sotto forma di integrazione ai ricavi d’esercizio, analoga ai contributi in conto esercizio» (v. punto 22 del Principio) e, in quanto tali, debbano essere iscritti nel Conto economico alla voce A5) Altri ricavi, seguendo il principio della competenza. Per la conta-bilizzazione a seconda che i certificati siano emessi a preventivo o a consuntivo, si rimanda a MAZZOCCHI, Trattamento civilistico e corretta imputazione delle quote di CO2 e dei certifica-ti verdi, in Bilancio e reddito d’impresa, n. 4, 2012, p. 29 ss., F. DEZZANI-L. DEZZANI, Oic n. 7: certificati verdi: imputazione per competenza, in Il Fisco, n. 10, 2013, p. 1417 ss.

83 Sulla tale necessità v. GIRELLI, I contributi, commento all’art. 85, in TINELLI (a cura di), Commentario al Testo unico delle imposte sui redditi, Padova, 2009, p. 695.

84 I presupposti giuridici sulla base dei quali si possono individuare le sopravvenienze attive sono l’oggetto (percezione di proventi in denaro o in natura), la causa (assoluta man-canza di un rapporto sinallagmatico tra le prestazioni) e lo scopo (la finalità che si intende perseguire). Così GIRELLI, op. cit., p. 739.

85 Tale esclusione finalizzata alla riduzione dell’ammortamento degli impianti agevola-ti, è stata disposta ad opera della L. n. 449/1997 modificativa dell’attuale art. 110 TUIR, già art. 76 il quale prevedeva che «il costo è assunto al lordo delle quote di ammortamento

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eterogenee misure agevolative, ivi compresi gli aiuti di Stato (legittimi) 86.

Più nello specifico, così come rilevato dalla prassi contabile 87, occorre

scomporre l’analisi anche a seconda dei soggetti che verranno coinvolti nel-la circolazione del certificato verde, analizzando la questione dal punto di vi-sta del Gestore dei servizi energetici, del produttore di energia tradizionale o della Società trader.

Solo nel primo caso, si ritiene che i certificati verdi possano essere defini-ti contributi e, in particolare, contributi a causa neutra

88: infatti, poiché pare assente una chiara destinazione d’uso da parte del legislatore, si dovrà osser-vare l’utilizzo effettuato nella pratica da parte del beneficiario al fine di poterlo inquadrare fiscalmente in modo corretto. A seconda delle effettive scelte imprenditoriali sulla destinazione del contributo ricevuto – sia esso per ri-durre i costi necessari per la produzione di energia alternativa tramite un so-stegno economico di tipo ordinario (contributo in conto esercizio), sia esso per modificare la struttura dell’impresa per produrre (incrementare) ener-gia rinnovabile traducendosi in un strumento straordinario di intervento nella vita economica (contributo in conto capitale)

89 – si dovrà assolvere l’onere dichiarativo (fiscale) adottando o la disciplina dei contributi in con-to esercizio o quella in conto capitale, la cui differenza principale consiste-rebbe nel diverso criterio di imputazione temporale. Se, quindi, da un lato esi-ste la difficoltà interpretativa della qualificazione dei contributi, dall’altro, essa è compensata da una questione che si tradurrebbe in timing differences

90. In ogni caso, anche in presenza di contributi c.d. a causa neutra, sebbene

la qualificazione commerciale, la contabilizzazione e le scelte imprenditoria- già dedotte e degli eventuali contributi». V. VITALE, Commento all’art. 110, in FANTOZZI (a cura di), Commentario breve alle leggi tributarie, tomo III, Padova, 2010, p. 599.

86 Sulla mutevolezza delle forme tecniche e sulla varietà degli strumenti impiegati dal legislatore, v. BEGHIN, I contributi, cit., p. 2.

87 L’OIC 7 evidenzia la differenza di trattamento contabile che si dovrebbe generare a se-conda che il certificato verde collocato sul mercato venga ritirato dal Gestore o venga com-prato da altro produttore o da società trader: rispettivamente, contributo da contabilizzare alla voce A5) Altri ricavi, onere di sistema da registrare nella voce B14) Oneri diversi di ge-stione, bene merce da rilevare in B6) Costi della produzione e in A1) Ricavi delle vendite.

88 GRANELLI, Contributi in conto esercizio e in conto capitale, in Dir. prat. trib., n. 1, 1978, p. 60.

89 Come è noto, i contributi in conto esercizio rilevano secondo il principio di compe-tenza, mentre quelli in conto capitale per cassa. Per un quadro di sintesi sulle differenze tra contributi in conto esercizio e in conto capitale v. FALSITTA, op. cit., p. 320.

90 STEVANATO, Valutazioni civilistico-contabili per la deduzione di “altre spese” relative a più esercizi, in Corr. trib., n. 16, 2006, p. 1268 ss.

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li generino i loro effetti sulla qualificazione fiscale del contributo, devono restare salvi i principi del diritto tributario sulla determinazione del reddito d’impresa

91. Inoltre, alla registrazione dei certificati quali contributi fa da contraltare la posizione creditoria del soggetto produttore di energia nei con-fronti del GSE

92, da valutare al presumibile valore di realizzo 93.

Da segnalare, tuttavia, quella posizione della prassi della amministrazione finanziaria

94 che assimilando i certificati verdi ad altri beni immateriali quali le concessioni e le licenze richiederebbe un trattamento fiscale che veda l’emersione di plusvalenze da cessione. Percorrendo tale strada, valorizzan-do l’utilità pluriennale data dalla vita massima triennale dei certificati e con-siderando l’acquisizione senza corrispettivo, la determinazione della plusva-lenza sarebbe data dalla differenza tra il prezzo di cessione e il costo fiscal-mente riconosciuto del bene. A parere di chi scrive, simile qualificazione sa-rebbe da escludere nel caso in cui la cessione dei certificati avvenga tramite il ritiro degli stessi da parte del GSE (dovendo preferire, in tal caso, la natura di contributo) mentre potrebbe essere ammissibile in caso di cessione diret-ta ad altro produttore di energia.

L’ipotesi di circolazione del certificato che coinvolga un produttore di e-nergia tradizionale rileverà contabilmente

95 e fiscalmente alla stregua di com-ponenti negative di reddito da registrare per competenza

96.

91 Sulla «qualificazione dei contributi c.d. a causa neutra in base alle disposizioni civili-stiche e la rilevanza delle scritture contabili ai fini tributari» si rimanda a BEGHIN, I contri-buti, cit., p. 120.

92 Da registrare contabilmente nell’attivo circolante dello Stato patrimoniale quale cre-diti verso altri, voce CII 5) (in tal senso OIC 7, p. 8).

93 Similmente a quanto avviene per la contabilizzazione dei certificati bianchi. V. Asso-nime, caso 2/2012 e MARINI, Contabilizzazione dei certificati bianchi, in Boll. trib., n. 6, 2013, p. 411 ss. Sulle problematiche della deducibilità delle perdite su crediti si rimanda a TUN-DO, Atti dispositivi dei crediti: cessioni pro soluto e criteri di imputazione temporale, in Rass. trib., n. 5, 2011, p. 1137 ss., BEGHIN, Perdite su crediti, atti dispositivi del diritto ed elementi certi e precisi: un arresto giurisprudenziale bipartisan, in Riv. dir. trib., n. 2, 2008, p. 157 ss.

94 La Circolare n. 32/2009 definendo i certificati verdi come «beni immateriali strumen-tali al pari delle concessioni, licenze», propende per l’applicazione della normativa sulle plusvalenze patrimoniali ex art. 86 TUIR.

95 L’OIC 7, suggerisce di adoperare per il Conto economico il conto B14) Oneri diver-si di gestione e per lo Stato patrimoniale quello D14) Altri debiti, al fine di rilevare corret-tamente l’obbligo di consegna al GSE dei certificati verdi.

96 Sull’applicazione del principio di competenza ai certificati verdi vedasi la recente sen-tenza CTP Milano, 6 maggio 2013, n. 150, in Fisconline.

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Si supponga, ora, che i certificati verdi attribuiti al produttore di energia al-ternativa restino nella disponibilità dell’imprenditore, il quale decida di non domandare al Gestore il ritiro degli stessi, e di utilizzarli per adempiere, nel-l’anno successivo, all’obbligazione di produzione di una quota di energia da fonti rinnovabili. In tale ipotesi l’imprenditore non genererebbe alcun ricavo dalla cessione dei certificati verdi e non riceverebbe alcun contributo (mo-netario) da parte dello Stato, salvo voler comprendere, in senso lato, dentro la nozione di contributo anche l’assolvimento dell’obbligazione di produ-zione di energia verde senza produrne ulteriormente e senza acquistare altri certificati. Pare ragionevole ritenere che anche in tale situazione, i certificati assumano rilevanza fiscale in ragione della loro qualificazione di beni imma-teriali pluriennali, intercettando i principi di competenza, certezza, obiettiva determinabilità

97, essendosi già verificato quello spostamento patrimoniale, rilevante qualitativamente, necessario per dare luogo a effetti reddituali

98. Nel caso in cui una società trader effettui compravendita dei certificati ver-

di, non pare di scorgere particolari problemi in quanto quest’ultimi rappresen-teranno beni merce dell’impresa, generando quindi costi, ricavi e rimanenze.

In ambito IVA, occorre preliminarmente comprendere dove ricondurre i certificati verdi, se nell’alveo delle cessioni di beni (immateriali) o nelle pre-stazioni di servizi

99. Se apparentemente, partendo sia dal trattamento contabile che fiscale

delle imposte dirette, l’art. 2 del D.P.R. n. 633/1972 sembrerebbe dover trovare applicazione in considerazione della natura di bene (immateriale) attribuibile ai certificati verdi immessi sul mercato dell’energia, tuttavia, pa-re maggiormente in linea con la ratio della normativa IVA l’inquadramento di tali certificati come prestazione di servizi. Di conseguenza, nella presente fattispecie, sfumerebbe la differenziazione terminologica adoperata dal legi-slatore per qualificare il requisito oggettivo della cessione dei beni o della pre-

97 Per l’approfondimento dei suddetti principi v. CAZZATO, Commento all’art. 109, Norme generali sui componenti del reddito d’impresa, in FANTOZZI (a cura di), op. cit., p. 576; BEGHIN, Competenza e valutazione secondo la Suprema Corte, in Corr. trib., n. 45, 2007, p. 3684; ZIZZO, La determinazione del reddito delle società e degli enti commerciali, in FALSITTA, op. cit., p. 284.

98 Così si può desumere, mutatis mutandis, sulla base di quanto affermato da MASTROIA-COVO, La rilevanza delle vicende abdicative nella disciplina sostanziale dei tributi, Torino, 2012, p. 89 ss. Nella particolare ipotesi sopracitata, i certificati verdi resteranno capitalizza-ti tra le immobilizzazioni e verranno dedotte le relative quote di ammortamento.

99 Non si genera, in ogni caso, una cessione a titolo oneroso dei certificati verdi nel pas-saggio degli stessi dal toller al tollee (mero detentore) per la consegna al GSE. In tal senso, CONTRINO, op. cit., p. 693.

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stazione di servizi adoperando, rispettivamente, l’attributo della onerosità ov-vero della corrispettività

100. Più nello specifico, proprio in ragione dell’assenza di corrispettività l’im-

posta non troverà applicazione in capo al produttore verde dando luogo ad una operazione esclusa ex art. 3, D.P.R. n. 633/1972, mentre al momento della cessione si porrà in essere un’operazione attiva, una prestazione di ser-vizi

101: così pare di non correre in errore assimilando (e ricomprendendo) i certificati verdi a quanto indicato nel punto 2 del comma 2 dell’art. 3, D.P.R. n. 633/1972 il quale annovera tra le prestazioni di servizi le «invenzioni in-dustriali, ... marchi, ..., concessioni, licenze e simili relative a diritti o beni similari ai precedenti».

Tale presa di posizione, che trova supporto anche nella amministrazione finanziaria

102 e nella normativa comunitaria 103, esplica i suoi effetti in rela-

zione al principio della territorialità. Se ai certificati verdi si attribuisse natura ai fini IVA di beni il principio della territorialità seguirebbe il criterio generale del luogo di esistenza fisica del bene (ex art. 7 bis, D.P.R. n. 633/1972); diver-samente, propendendo per la cessione di un servizio, la territorialità si espli-cherebbe in funzione della natura del committente (ex art. 7 ter, D.P.R. n. 633/1972). Nella fattispecie specifica, poiché i certificati verdi possono essere richiesti solo sul mercato italiano si genererà un rapporto “business to business”

104 che ai fini del presupposto territoriale valorizzerà quale criterio generale la sede del committente

105.

100 Il richiamo alla “difforme formulazione normativa” deriva dagli studi di DI PIETRO, Re-gime fiscale della concessione e delle convenzioni edilizie ed urbanistiche, Rimini, 1985, p. 30 ss.; il quale ricorda che, in linea generale, l’onerosità è riferibile all’impoverimento di un soggetto a prescindere dalla prestazione, mentre la corrispettività attiene al sinallagma delle prestazioni.

101 CENTORE, Regime IVA delle cessioni di beni immateriali, in Corr. trib., n. 30, 1997, p. 2208 ss.

102 V. la Risoluzione 20 marzo 2009, n. 71/E e la Circolare 6 luglio 2009, n. 32/E, que-st’ultima incentrata sulla figura dell’imprenditore agricolo, con commento di BAGNOLI-DE LEONARDIS, È attività connessa la produzione di energia rinnovabile da parte delle imprese agricole, in Corr. trib., n. 35, 2009, p. 2868 ss.

103 Sulla nozione residuale di prestazioni di servizi sancita dall’art. 9 della VI Direttiva IVA, v. MELIS, Osservazioni a margine della Proposta di modifica della VI Direttiva CEE sul regime di imposta sul valore aggiunto applicabile a determinati servizi prestati mediante mezzi elettronici, in Rass. trib., n. 3, 2001, p. 713 ss.

104 La Risoluzione 20 marzo 2009, n. 71/E nel quale si effettua una analisi della territo-rialità ai fini IVA sia dei certificati verdi che dei certificati CO2, con particolare attenzione a quest’ultimi ove si dovrà osservare il luogo di effettivo utilizzo ex art. 7, comma 4, lett. f), D.P.R. n. 633/1972.

105 Sulle problematiche che possono emergere nell’applicazione della nuova normativa

Paolo Barabino

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Nella particolare ipotesi ove i certificati verdi vengano ritirati dal Gestore dei servizi energetici, dando luogo alla corresponsione di un contributo al produttore cedente, si ritiene che si genererebbe una operazione imponibile ai fini IVA del contributo somministrato dallo Stato

106, in considerazione della erogazione a fronte di una obbligazione di fare (la produzione di ener-gia rinnovabile)

107.

4. Osservazioni conclusive

Lo studio dei certificati verdi e dell’obbligazione sottostante (di produ-zione di una determinata quota di energia rinnovabile) ha consentito di os-servare come le esigenze di tutela ambientale hanno spinto il legislatore a ideare strumenti e mercati ad hoc, i quali tuttavia devono confrontarsi con i principi civilistici, contabili, commerciali e fiscali. Il risultato di tale inter-vento è l’istituzione di uno strumento ibrido che in quanto tale può dare luogo ad incertezza applicativa.

I certificati verdi non rappresentano una unica esperienza in tal senso: i diritti di prelievo sulle quote latte

108, le quote tonno rosso 109, il diritto di

sulla territorialità v. DELLA VALLE-D’ALFONSO, Incertezze operative sullo status di soggetti-vo passivo Iva nella localizzazione dei servizi, in Corr. trib., n. 19, 2011, p. 1549 ss.; relati-vamente alla cessione di beni, CENTORE, L’evoluzione della territorialità delle cessioni di beni, in Corr. trib., n. 12, 2010, p. 914 ss.; relativamente alla prestazione di servizi, LOGOZ-ZO, La territorialità ai fini Iva delle prestazioni di servizi generiche, in Corr. trib., n. 12, 2010, p. 919 ss.

106 Salvo deroghe specifiche, come avvenne per gli aiuti agricoli concessi dalla Azienda per gli interventi sul mercato agricolo, espressamente dichiarati non imponibili ai fini IVA ex art. 7-ter del D.L. 29 dicembre 1983, n. 746. V. CATTELAN, Disciplina dei contributi della politica agricola comune, in Corr. trib., n. 45, 2006, p. 3607 ss.

107 V. Risoluzione 27 dicembre 2002, n. 395 la quale ha affermato che «un contributo as-sume rilevanza ai fini IVA se erogato a fronte di un’obbligazione di dare, fare, non fare o permettere, ossia quando si è in presenza di un rapporto obbligatorio a prestazioni corrispet-tive». Nello stesso senso vedasi Risoluzioni 25 settembre 2002, n. 309, 24 aprile 2001, n. 54.

108 Attribuire natura tributaria alle quote latte (considerata la finalità pubblica e le spe-cifiche modalità di riscossione, GUIDO, I diritti di prelievo sulle quote latte, in DELLA VALLE-FICARI-MARINI (a cura di), Il processo tributario, Padova, 2008, p. 40 ss.) o negarla (inqua-drandole come strumento regolatore del mercato agricolo, GLENDI, Difetto di giurisdizione delle Commissioni tributarie e traslazione del giudizio al Tar, in Corr. trib., n. 9, 2007, p. 712; sulla tematica v. anche la Risoluzione n. 51/2006), dimostra la difficoltà interpretativa ge-nerata da simili quote.

109 V. la Risoluzione n. 20/2011, la quale ha offerto una interpretazione secondo la qua-

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reimpianto dei vigneti 110, sono altri esempi che hanno dato luogo a proble-

matiche di (rispettivamente) giurisdizione, trattamento ai fini IVA, indivi-duazione della categoria reddituale.

La chiave di lettura tramite i concetti di gratuità, onerosità, corrispettivi-tà e liberalità ha consentito di far emergere in ambito fiscale le criticità e la natura ibrida dei certificati verdi ed esporre le possibili soluzioni interpreta-tive: onerosità per l’acquisto da produttori di energia verde, gratuità per l’acquisizione direttamente dal GSE, contributo in conto esercizio o in con-to capitale per il produttore di energia verde, onere d’esercizio per il produt-tore tradizionale, infine, merce di scambio per le società trader.

Inoltre, aver evidenziato i punti di contatto tra l’obbligazione della pro-duzione di energia rinnovabile con il concetto di tributo, d’imposta, di tassa, potrebbe consentire di vedere, ora, un parallelismo tra la «struttura bino-mia della Tia»

111 e la struttura ibrida dei certificati verdi, in particolare con-siderando il termine del 2015 relativo al passaggio dei certificati verdi ad una logica di incentivo

112. Come pure ha consentito di osservare il doppio controllo di costituzionalità interna e di compatibilità comunitaria dei certi-ficati che si sono dimostrati essere un’applicazione preventiva del principio comunitario del “chi inquina paga”

113. Nell’ottica del superamento

114 dei certificati verdi e delle problematiche

le il trasferimento delle suddette quote costituisce una prestazione di servizi relativa alla cessione di un bene immateriale ex art. 3, comma 2, D.P.R. n. 633/1972.

110 V. la Risoluzione n. 51/2006 la quale ha ritenuto che la cessione dei diritti di reim-pianto dei vigneti siano da ricomprendere nella categoria del reddito agrario, da determi-nare su base catastale ex art. 32 TUIR.

111 F. AMATUCCI, Le prestazioni patrimoniali locali, cit., p. 365 ss., con tale termine sinte-tizza la posizione divergente della dottrina sulla natura della Tia come tariffa o tributo, di-mostrando una denominazione impropria, in ragione da un lato di indici reddituali, dall’al-tro di una efficiente ripartizione dei costi del servizio per la salvaguardia ambientale.

112 Nei primi mesi del 2013 il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare lo schema di de-creto legislativo per l’attuazione della Direttiva europea sulle rinnovabili n. 2009/28/CE, con una conversione del diritto ai certificati verdi in incentivo.

113 V. RENNA, I principi in materia di tutela dell’ambiente, in Riv. quadr. dir. amb., n. 1-2, 2012, p. 62 ss.

114 Pur ricordando che non sarebbe sufficiente un mutamento del nomen, dovendo ac-certare se l’assetto tributario verrà sostituito da uno di tipo negoziale. In tal senso, SEPE, La nuova giustizia tributaria: oggetto e limiti, in F. AMATUCCI-D’IPPOLITO (a cura di), Sistema di garanzie e processo tributario, Napoli, 2005, p. 215. Sulle problematiche interpretative per il passaggio dalla Tarsu alla Tia v. MASTROIACOVO, La tariffa di igiene ambientale, in DELLA VALLE-FICARI-MARINI (a cura di), op. cit., p. 34 ss.; GREGGI, La tariffa di igiene ambientale al

Paolo Barabino

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di simili strumenti ibridi, si potrebbe propendere verso l’uso di tariffe o in-centivi, i quali potrebbero dimostrarsi maggiormente flessibili ed efficienti rispetto lo strumento tributario

115. In definitiva, la duplice valenza dei certificati verdi, ovverosia l’obbligazione

consistente nella produzione di energia rinnovabile e l’agevolazione (in senso lato) ottenibile a seguito del corretto adempimento, hanno dimostrato di at-teggiarsi quali elementi di fondamentale importanza nelle scelte imprendito-riali in considerazione delle limitazioni alle scelte imprenditoriali, della mo-dificazione del programma imprenditoriale, dell’attitudine a far leva su quel-l’elemento razionale contenuto nel singolo comportamento capace di inci-dere sulla funzionalità e sull’economicità dell’impresa

116.

vaglio della consulta: nuovi orientamenti giurisprudenziali sulla nozione di tributo e sull’appli-cabilità dell’IVA, in Nuove leggi civ. comm., n. 1, 2010, p. 3 ss.

115 GALLO-MARCHETTI, op. cit., p. 115 ss. suggerivano come preferibile allo strumento tributario quello della tariffa o dei contributi o dei prezzi pubblici, in ragione del l’esser pre-stazioni imposte maggiormente flessibili (sposando il modello OCSE a discapito di quello proposto dalla UE). Tuttavia, anche tenendo conto delle esperienze straniere (si pensi ai precios publicos spagnoli configurabili come entrate pubbliche intermedie, collocabili tra i tributi ed i corrispettivi di diritto privato, aventi fonte e natura contrattuale: istituiti con la L. n. 8/1989 al fine di ripartire su basi più chiare le spese pubbliche collegate alle attività della pubblica amministrazione, talvolta sono state attratte dalla giurisprudenza nella sfera delle prestazioni imposte. In tal senso e per approfondimenti, DEL FEDERICO, Tasse, cit., p. 247 ss.; in particolare le conclusioni a p. 265 sul confronto con l’esperienza italiana), po-trebbe apparire estremo l’uso dei prezzi pubblici in materia ambientale proprio considera-ta la difficoltà di conciliare il principio del beneficio e della controprestazione che li carat-terizza con un tributo ambientale istituito sotto la forma dell’imposta in quanto riferibile ad un servizio non divisibile come la tutela ambientale.

116 Sul programma imprenditoriale e sull’orientamento dei comportamenti dell’im-prenditore, v. FICARI, Reddito di impresa e programma imprenditoriale, Padova, 2004, p. 9 ss.; LOFFREDO, Economicità ed impresa, Torino, 1999, p. 73 ss.

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L’IMPOT CONFISCATOIRE: QUESTION POLITIQUE, REPONSES JURIDIQUES

L’IMPOSTA CONFISCATORIA: QUESTIONE POLITICA, RISPOSTE GIURIDICHE

THE CONFISCATORY TAX: POLITICAL ISSUE, JURIDICAL ANSWERS

Abstract Con alcune decisioni rese nel 2012, il Consiglio costituzionale francese per la prima volta ha dichiarato incostituzionali numerose disposizioni tributarie sulla base dei loro effetti potenzialmente confiscatori. Accolte favorevolmente da buona parte dei commentatori, queste decisioni sollevano tuttavia questioni delicate. Estendendo in misura ampia il suo controllo sulla legge fiscale, il Consiglio costi-tuzionale non soltanto ha compresso l’ambito del dibattito pubblico mettendo fine alle discussioni che fino ad allora avevano riguardato il confronto politico. Allo stesso tempo esso ha ridisegnato l’equilibrio dei poteri che caratterizza il sistema istituzionale francese e ne determina la natura. Parole chiave: Consiglio costituzionale francese, imposta confiscatoria, equili-brio dei poteri, imposta di solidarietà sulla ricchezza, controllo di costituzionalità The French Constitutional Court, with several decisions delivered in 2012, for the first time has declared uncostitutional and void tax laws for their potential confiscatory ef-fect. These decisions have been shared by the majority of scholars, but they raise some controversial issues. The Constitutional Court, while extending broadly its own control over tax law, has calmed down the public debate and the discussions which had charac-terized the political debate; at the same time, it has reshaped the balance of powers on which the French institutional system is based and which influences its nature. Keywords: French Constitutional Court, confiscatory tax, balance of powers, solida-rity tax on wealth, constitutional control

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SOMMARIO: Introduction. – I. L’émergence d’un contrôle de proportionnalité du prélèvement fiscal. – II. L’instauration d’un principe de plafonnement de l’ISF. – II.1. Les dispositifs législatifs de pla-fonnement de l’ISF. – II.2. Les hésitations du Conseil constitutionnel face à l’assiette de l’ISF. – II.3. L’avènement d’un principe constitutionnel de plafonnement de l’ISF. – III. La consécra-tion d’une limite constitutionnelle aux taux de l’impôt. – III.1. Les taux jugés excessifs par la décision du 29 décembre 2012. – III.2. Les modalités d’appréciation du caractère confiscatoire de l’impôt. – Conclusion.

Introduction

En confiant au législateur la tâche de fixer «l’assiette, le taux et les moda-lités de recouvrement des impositions de toutes natures», la Constitution française de la Vème République

1 réitère un principe fondateur du système démocratique national, consacré dès 1789: celui selon lequel il revient au peu-ple et à ses représentants de “consentir” à l’impôt et de déterminer l’en-semble de ses caractéristiques.

Évidemment, dans cet exercice, le Parlement, n’est pas libre de tout faire: il doit respecter le texte de la Constitution du 4 octobre 1958 comme un en-semble de principes de valeur constitutionnelle

2. Au premier rang, figure le principe posé solennellement par l’article 13 de la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen (DDHC) du 26 août 1789, selon lequel l’imposition «doit être également répartie entre tous les citoyens en raison de leurs fa-cultés». Cette affirmation a rencontré depuis une fortune considérable. C’est sur le fondement principal de cet article de la Déclaration de 1789 que

1 Constitution du 4 octobre 1958, art. 34. 2 Et cela depuis une décision essentielle – sans doute la plus importante jamais prise

par le Conseil constitutionnel – rendue le 26 juillet 1971 (dite “Liberté d’association”). Au terme d’un raisonnement assez sophistiqué, le Conseil y considère que, désormais, il lui appartient de contrôler les lois non seulement sur le fondement du texte de la Constitution de 1958, ce qui va de soi, mais aussi sur la base de différents principes de valeur constitu-tionnelle, inscrits dans la Déclaration du 26 août 1789 ou même seulement évoqués par le Préambule de la Constitution de 1946 (sachant que le Préambule de la Constitution de 1958 renvoie – mais de manière suffisamment discrète pour que cela n’ait eu aucune con-séquence avant 1971 – aux principes en question). Ce coup de force interprétatif reste cé-lébré aujourd’hui comme l’un des exploits majeurs du Conseil constitutionnel. De fait, c’est cette décision fondatrice de 1971, suscitée à l’époque par un projet de réforme restrei-gnant fortement la liberté d’association, qui lui a permis par la suite de confronter l’ensem-ble des textes soumis à son contrôle aux principes les plus fondamentaux du système dé-mocratique français.

Martin Collet

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le Conseil constitutionnel a développé un ensemble de règles aussi subtiles que contraignantes, guidant aujourd’hui l’élaboration de la loi fiscale par le gouvernement et par le Parlement. En particulier, le Conseil annule réguliè-rement des dispositifs fiscaux qu’il juge incohérents par rapport aux motifs d’intérêt général qu’ils sont censés poursuivre

3, ou encore des dispositions qui menacent la cohérence d’ensemble d’un mécanisme qu’elles viennent modifier

4. De tels défauts de cohérence impliquent en effet, d’après le Con-seil, une rupture de l’égalité devant les charges publiques et violent ainsi l’article 13 de la Déclaration.

Toutefois, jusqu’à récemment, le juge constitutionnel s’abstenait en prin-cipe de contrôler la manière dont le législateur détermine le taux des diffé-rents impôts comme, plus généralement, le niveau de pression fiscale pesant sur telle ou telle catégorie de contribuable. En un mot, il trouvait là des que-stions relevant du débat démocratique et ne donnant guère prise à une ap-préhension en termes juridiques. Pourtant, en 2012, le Conseil constitu-tionnel change radicalement d’attitude

5. Pour la première fois, il s’affranchit

3 C’est par exemple sur ce fondement que le Conseil constitutionnel a annulé en 2009 le projet – politiquement très sensible – de “taxe carbone” (déc. n. 2009-599 DC, 29 déc. 2009, cons. 82). Le texte voté par le Parlement avait multiplié les exonérations, réductions, remboursements partiels et taux spécifiques réservés à telle ou telle catégorie d’assujettis, au point que, in fine «93% des émissions de dioxyde de carbone d’origine industrielle auraient été totalement exonérées». Dès lors, le dispositif adopté n’apparaissait plus cohérent au re-gard de l’objectif qu’il était censé concrétiser – à savoir la lutte contre le réchauffement climatique. Il impliquait donc une violation du principe d’égalité devant l’impôt.

4 C’est sur ce fondement que la Conseil a annulé en 2012 le projet de “taxe à 75%” frappant les revenus supérieurs à 1 million d’euros. Il estime en effet qu’en visant des indivi-dus, le projet contrariait la logique même de l’impôt sur le revenu, que cette taxe était cen-sée “prolonger” (l’impôt sur le revenu frappant quant à lui des “foyers fiscaux”, éventuel-lement composés de plusieurs individus).

5 Cela faisait néanmoins des décennies que certains parlementaires (issus pour l’essen-tiel des rangs de la droite républicaine) tentaient de faire admettre par le Conseil constitu-tionnel que, au-delà d’un certain niveau, l’impôt pourrait revêtir un caractère “confisca-toire” et, ce faisant, violerait la Constitution. À l’appui de ces tentatives, dont on trouve la trace dans d’innombrables requêtes adressées au Conseil, le droit de propriété inscrit aux articles 2 et 17 de la Déclaration de 1789 était fréquemment invoqué, mais sans succès. Cela ne surprend guère: accepter de contrôler l’éventuel caractère confiscatoire ou excessif d’un impôt sur le fondement de ces articles supposerait un effort interprétatif des plus é-nergiques. L’article 17 limite en effet les atteintes à la propriété aux cas où la «nécessité publique légalement constatée l’exige évidemment» et, dans tous les cas, «sous la condi-tion d’une juste et préalable indemnité». Pertinente lorsqu’il s’agit de contrôler une expro-priation conduite par l’État (en cas par exemple d’acquisition autoritaire des actions d’une entreprise, à la faveur d’une loi de nationalisation), cette règle n’a aucun sens en matière fi-

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de sa prudence passée en annulant plusieurs dispositions fiscales qui, selon lui, feraient peser sur certains contribuables une “charge excessive”

6 – au-trement dit, qui apparaissent “confiscatoires”

7. Disons-le d’emblée, cette évolution n’allait pas de soi: la question du ni-

veau du prélèvement fiscal (et, dès lors, du taux des impôts) est sans doute l’une des questions les plus essentiellement politiques qui soit. En France, l’intensité des débats sur les taux de l’impôt sur le revenu, durant la cam-pagne présidentielle de 2012

8, ou, plus nettement encore, sur l’opportunité d’instaurer (en 2006 et 2007) puis de maintenir (en 2011) un “bouclier fis-cal”

9, illustre cette évidence: la détermination du niveau optimal de l’impôt repose sur des déterminants économiques, philosophiques, politiques – bref, sur des jugements de valeur – que le droit n’a pas coutume de régenter. Pour rester sur l’exemple du “bouclier fiscal”, la mise en place du mécanisme, dans l’esprit même de son principal promoteur, Nicolas Sarkozy, constituait un combat éminemment politique: celui visant à faire admettre qu’imposer chaque année plus de la moitié des revenus d’un contribuable était excessif. Or, cette opinion est indissociable de considérations subjectives, liées à une perception particulière de la valeur du travail, à l’importance qu’on attache à l’idée de solidarité, à la place qu’on entend assigner à l’État dans la société, aux modalités de redistribution des richesses qu’on souhaite promouvoir, etc. Et c’est bien l’honneur de la démocratie que de permettre à de telles ques- scale, où une telle idée d’indemnisation est hors de propos. La définition même de l’impôt, régulièrement rappelée par le Conseil constitutionnel, consiste précisément à le considérer comme un prélèvement d’argent effectué par l’État sans aucune contrepartie directe – et donc, bien entendu, sans aucune forme d’indemnisation. Quant à l’article 2 de la Déclara-tion, qui range le droit de propriété parmi les «droits naturels et imprescriptibles de l’hom-me», il ne peut être lu sans égard pour l’article 4 qui accorde précisément à la loi le soin d’établir des “bornes” à ces droits.

6 Cf. not.: Décision n. 2012-662 DC du 29 décembre 2012. 7 La différence entre ces deux notions n’apparaît pas évidente, quand bien même le

Conseil prend parfois soin de les distinguer, en indiquant que l’article 13 de la Déclaration serait violé «si l’impôt revêtait un caractère confiscatoire ou faisait peser sur une catégorie de contribuables une charge excessive au regard de leurs facultés contributives» (cf. par exemple la décision n. 2005-530 DC du 29 décembre 2005 qui énonce ces deux notions, sans toute-fois, à l’époque, en tirer de conséquence).

8 Pour une présentation de ces débats, cf. M. COLLET, Fiscalité: les enseignements de la campagne présidentielle, en Revue juridique de l’économie publique, étude n. 6, 2012.

9 Cette expression de “bouclier fiscal” désigne un mécanisme consistant à plafonner le montant des différents impôts directs frappant un contribuable (impôt sur le revenu, impôt sur la fortune, impôts locaux, etc.) par rapport au montant de ses revenus.

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801

tions d’être discutées, à la faveur d’une campagne électorale ou dans un hé-micycle parlementaire.

Néanmoins, avec les décisions rendues en 2012 par le Conseil constitu-tionnel, ces discussions changent de nature. En approfondissant son con-trôle sur les taux de l’impôt, le Conseil vient mécaniquement réduire le pou-voir de décision du gouvernement et du Parlement, en faisant entrer sur le terrain de la discussion juridique ce qui, jusqu’alors, relevait seulement du débat politique, au sens le plus noble de l’expression. Ces évolutions ne sont évidemment pas anodines: elles modifient profondément les règles du jeu démocratique.

Au regard de la grande portée de ces décisions, qui s’étend bien au-delà du seul terrain de la technique fiscale, il apparaît utile de décrire les grandes étapes ayant marqué l’évolution de la jurisprudence constitutionnelle en ma-tière de contrôle des taux d’imposition. En effet, c’est d’une manière très pro-gressive qu’a d’abord émergé l’hypothèse d’un contrôle de proportionnalité du prélèvement fiscal (I), avant que ne s’affirme en 2012 une véritable exi-gence constitutionnelle de plafonnement spécifique à l’impôt de solidarité sur la fortune (II) puis, plus généralement, que ne se concrétise le principe d’une limitation des taux de l’impôt (III).

I. L’émergence d’un contrôle de proportionnalité du prélèvement fiscal

Dès avant 2012, quelques décisions passées relativement inaperçues ont conduit le Conseil constitutionnel à ébaucher un contrôle du niveau de cer-tains prélèvements fiscaux. Il s’agissait alors de vérifier que certaines différen-ces de traitement fiscal n’apparaissant pas, à certains égards, disproportion-nées. Rarement mobilisée, cette technique n’a toutefois concerné que des dispositifs d’importance secondaire et n’a ainsi guère eu l’occasion de susci-ter l’émoi des parlementaires.

Ce contrôle de proportionnalité a d’abord pu porter sur une disposition offrant un nouvel avantage fiscal à une catégorie de contribuables. Par exem-ple, le Conseil constitutionnel fut saisi en 1995 d’une disposition instituant un abattement de 50% sur la valeur de biens professionnels cédés à titre gra-tuit. Cette disposition visait à favoriser la transmission des entreprises fami-liales du vivant de leur patron, pour faciliter le passage de témoin et, finale-ment, garantir la survie de l’entreprise. Elle était pourtant limitée à certains cas (en posant notamment des conditions d’âge du donateur). Or, le Con-

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seil a considéré que cet abattement, ainsi défini, impliquait une rupture de l’égalité entre les contribuables en cause et ceux héritant “normalement” des mêmes biens, «eu égard à l’importance de l’avantage consenti». C’est cette disproportion qui entraîne une «rupture caractérisée de l’égalité entre les contribuables», selon qu’ils bénéficient du régime de la donation ou de celui de la succession

10. En somme, on comprend ici que la Conseil entend as-treindre le législateur à une certaine pondération dans la définition des ca-deaux fiscaux dont il gratifie certains contribuables pour les encourager à adopter un comportement conforme à l’intérêt général – sans toutefois que l’on sache très bien comment le juge localise la frontière entre le raisonnable et l’excessif.

Ensuite, une autre forme de contrôle de proportionnalité, plus audacieu-se, a pu être expérimentée: plutôt que de comparer des différences de traite-ment au regard de différences de situation, le Conseil constitutionnel se concentre sur le traitement réservé à une catégorie pour vérifier qu’elle ne se trouve pas excessivement maltraitée (certes, par rapport au sort des autres contribuables en général – mais sans qu’ils apparaissent dans le raisonne-ment). Une importante – quoique très peu motivée – décision de 1986 sem-ble avoir inauguré un tel contrôle

11. Le Conseil y annula, pour la première fois, une disposition fiscale au motif qu’elle aurait conduit à imposer une part excessive de la rémunération brute de certains salariés en situation de cumul emploi-retraite

12. En l’espèce, la «rupture caractérisée du principe de l’égalité devant les charges publiques» que cette disposition pouvait enga-ger ne tenait sans doute pas au seul taux de la contribution litigieuse. Celui-ci était de 50% des revenus salariaux (au-dessus de 2,5 SMIC), pour les re-traités refusant de renoncer au bénéfice de leur pension. Toutefois, ce taux se cumulait avec ceux des autres impositions et, en particulier, à celui de l’im-pôt sur le revenu (IR), dû sur les mêmes revenus. Or, le taux marginal supé-rieur de l’IR était en 1986 de 65%. Ainsi, l’imposition globale frappant ces revenus aurait pu atteindre un taux marginal de 115%, et un taux moyen s’approchant dans certains cas extrêmes des 100%. On devine sans peine que c’est le caractère exceptionnellement élevé de ce prélèvement qui, dans ce cas particulier, a convaincu le Conseil constitutionnel de sortir de sa ré-serve habituelle en matière de contrôle des taux de l’impôt.

10 Décision n. 95-369 DC du 28 décembre 1995. 11 Cf. Y. GAUDEMET, Une nouvelle dimension du principe d’égalité devant la contribution

publique?, en Droit social, 1986, p. 372. 12 Décision n. 85-200 DC du 16 janvier 1986.

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À la suite de l’affaire jugée en 1986, les parlementaires – en tous cas ceux situés à droite de l’hémicycle – se sont faits de plus en plus insistants pour tenter de faire admettre par le Conseil constitutionnel qu’une limite juri-dique au niveau des prélèvements fiscaux méritait d’être dégagée. À chaque augmentation de la pression fiscale pesant sur telle ou telle catégorie de con-tribuable, le juge constitutionnel se trouvait ainsi sommé de répondre à di-vers griefs articulés par les parlementaires contre le dispositif fiscal litigieux, griefs parmi lesquels le caractère prétendument “confiscatoire” ou “excessif” du dispositif en question revenait de manière quasiment systématique.

Même si le Conseil a longtemps préféré écarter sèchement l’argument 13,

en restant très évasif sur le sens même qu’il entendait attacher aux notions d’impositions “confiscatoires” ou “faisant peser une charge excessive” sur certains, il n’en a pas moins été conduit à employer ces expressions afin de répondre aux requêtes dont il était saisi. C’est ainsi que, décision après déci-sion, ces expressions ont fini par entrer dans le vocabulaire du juge, au point d’acquérir une certaine consistance juridique. Mais à coup sûr, c’est à la fa-veur du contrôle opéré sur les réformes successives de l’impôt de solidarité sur la fortune que le Conseil constitutionnel a véritablement donné corps à la notion d’impôt “confiscatoire”, à mesure qu’il prenait conscience de l’ef-ficacité que celle-ci pouvait revêtir en tant qu’outil d’approfondissement de son contrôle de la législation fiscale.

II. L’instauration d’un principe de plafonnement de l’ISF

L’impôt sur les grandes fortunes (IGF), entre 1982 et 1986, puis l’impôt de solidarité sur la fortune (ISF), à compter de 1988, a toujours suscité une puissante contestation, au nom du caractère potentiellement confiscatoire qu’il pourrait revêtir. À première vue, cela peut étonner: non seulement par-ce que la plupart des assujettis à l’ISF payent chaque année bien plus au titre de l’impôt sur le revenu et des impôts locaux qu’au titre de l’ISF, mais aussi parce que cet impôt a toujours connu des taux relativement faibles et une as-siette étroite.

Ainsi, l’actuel taux marginal de l’ISF, c’est-à-dire le taux le plus élevé, frappant seulement la part du patrimoine dont la valeur excède 10 millions d’euros, est de 1,5%. Surtout, ce taux frappe une assiette sérieusement “mi-

13 Cf. par exemple la décision n. 2000-441 DC du 28 décembre 2000 ou encore la déci-sion n. 89-268 DC du 29 décembre 1989.

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tée”: de nombreux biens ne sont pas pris en compte au titre de l’ISF, ou ne sont pris en compte que pour une fraction de leur valeur. En premier lieu, les biens professionnels, qui représentent en quelque sorte l’outil de travail du contribuable (les actions de sa propre entreprise, par exemple), échap-pent à l’impôt sur la fortune. Il en va de même pour les objets d’arts ou de collection, les bois et forêts exploités à concurrence de trois quarts de leur valeur, des pensions, retraites et rentes viagères, des droits de propriété litté-raires, artistiques et industrielle ...

Ne touchant que les foyers fiscaux dont le patrimoine dépasse 1,3 million d’euros (sans tenir compte des biens non imposables qu’on vient d’évo-quer), l’ISF concerne environ 300.000 foyers, sur les 37 millions assujettis à l’impôt sur le revenu. En 2014, il ne devrait rapporter à l’État que 4 milliards d’euros, soit environ 1% de l’ensemble de ses recettes. Ces chiffres nourris-sent l’idée que l’ISF serait un impôt imbécile, dont le rendement apparaî-trait trop faible au regard du coût généré par son prélèvement et, surtout, au regard de son coût “psychologique”: l’assujettissement à l’impôt sur la for-tune – suggérant pourtant l’accession à une certaine aisance patrimoniale – semble généralement très mal vécu, même par les “nouveaux entrants” dont la cotisation peut se limiter à quelques centaines d’euros.

En tant qu’impôt assis sur le patrimoine, l’ISF possède effectivement une caractéristique problématique, souvent dénoncée: celle d’être déconnecté du niveau des revenus du contribuable et, en un mot, de sa capacité à dispo-ser des liquidités nécessaires pour acquitter sa dette. Dans certains cas ex-trêmes, le contribuable peut ainsi être conduit (théoriquement au moins) à se séparer d’une partie de son patrimoine pour régler sa contribution fiscale. En l’absence de mécanisme de plafonnement, cette situation peut se pro-duire lorsque le patrimoine du contribuable ne génère pas de revenus suffi-sants pour couvrir l’impôt et que, par ailleurs, ce contribuable ne dispose guère d’autres sources de revenus (on peut penser à un retraité possédant un important patrimoine immobilier dont il ne tire que de faibles loyers). Ce cas de figure – très rare, en pratique – a toujours fait office d’épouvantail, en per-mettant de caractériser une situation présentée comme “confiscatoire”.

Sur le terrain des principes, il est évident que la perspective d’être con-traint de vendre une partie de ses biens pour acquitter ses obligations fis-cales soulève d’importantes questions et interroge directement le rôle de l’impôt. C’est la raison pour laquelle, depuis la création de l’ISF en 1988, les gouvernements successifs se sont saisi du problème, en instaurant des mé-canismes de plafonnement du montant de l’ISF au regard des revenus du contribuable (II.1). De son côté, le Conseil constitutionnel est longtemps

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resté hésitant face à l’assiette de l’ISF (II.2), ne sachant guère de quelle ma-nière l’appréhender. Pourtant, c’est bien lui qui, d’une manière pour le moins surprenante a finalement décidé en 2012 de constitutionnaliser le principe même d’un plafonnement de l’ISF (II.3).

II.1. Les dispositifs législatifs de plafonnement de l’ISF

Pour déterminer un tel plafond, ces mécanismes ont toujours pris en compte – de diverses manières – les impôts acquittés par ailleurs par l’assu-jetti à l’ISF, au titre de ses revenus de l’année précédente: l’idée étant alors de corréler le montant maximal de la dette d’ISF au revenu effectivement di-sponible, après donc que le contribuable a acquitté, notamment, son impôt sur le revenu.

Ainsi, en 1988, le gouvernement de Michel Rocard instaure un plafonne-ment du montant cumulé de l’ISF et de l’IR, qui ne peut excéder 85% des revenus engrangés l’année précédente par le contribuable. Le gouvernement d’Alain Juppé porte ce rapport à 70% en 1995, avant que le gouvernement de Dominique de Villepin puis, surtout, celui de François Fillon – directe-ment inspiré des propositions de Nicolas Sarkozy – mettent en place un dis-positif sensiblement différent, aussitôt qualifié de “bouclier fiscal”. D’abord, le taux maximal d’imposition est abaissé à 60% en 2006 puis à 50% en 2007; ensuite et surtout, la liste des impôts concernés par cette nouvelle forme de plafonnement est étendue. Outre les montants cumulés d’IR et d’ISF, le di-spositif intègre les impôts locaux en 2006 (taxe d’habitation et taxes fon-cières) puis la contribution sociale généralisée (CSG)

14 en 2007 15. Le bou-

clier bénéficie ainsi à des contribuables non soumis à l’ISF (des personnes disposant de très faibles revenus mais appelées à payer de lourds impôts lo-caux, ou des personnes bénéficiant d’importants revenus, fortement taxés au titre de l’IR et de la CSG, mais ne possédant aucun patrimoine), alors que les plafonds “Rocard” et “Juppé” ne pouvaient être atteints par des contri-buables assujettis à l’ISF (puisque l’IR ne conduit jamais à capter 85% ou même 70% des revenus).

Toutefois, les contestations suscitées par ce bouclier ont conduit son prin-cipal promoteur à en devenir le fossoyeur, à quelques mois d’un scrutin prési-dentiel qui s’annonçait pour lui difficile: en 2011, parallèlement à la réduction

14 La CSG est un impôt affecté à la sécurité sociale, qui frappe à la fois les revenus du travail et les revenus du capital.

15 Loi n. 2007-1223 du 21 août 2007.

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drastique de l’assiette et des taux de l’ISF, le législateur a ainsi supprimé pu-rement et simplement le dispositif, à l’invitation de Nicolas Sarkozy

16. Ce destin chaotique montre à quel point la question du plafonnement de

l’impôt, qu’il s’agisse du principe d’un tel plafonnement ou de ses modalités techniques (niveau du plafond, détermination des impôts concernés, etc.), relève de choix éminemment politiques – au sens le plus fort du terme. Il s’agit toujours de répondre à la question de savoir ce qu’il est juste de taxer. Cela explique que le Conseil constitutionnel soit resté longtemps très pru-dent en la matière, ne trouvant guère de norme juridique à mobiliser pour en-cadrer effectivement la liberté de choix du gouvernement et du Parlement.

II.2. Les hésitations du Conseil constitutionnel face à l’assiette de l’ISF

Le juge constitutionnel a longtemps entretenu un rapport ambivalent avec l’idée selon laquelle les caractéristiques propres de l’ISF pourraient conduire à une forme de “confiscation”.

Certes, en 1981, il estime que cet impôt a vocation «normalement à être acquitté sur les revenus des biens imposables»

17 et réaffirme cette approche en 1998

18. Autrement dit, la capacité contributive frappée par l’impôt sur la fortune ne serait pas tant la détention d’un patrimoine que les avantages, en argent ou en nature, que cette détention implique. En conséquence, l’assiette de cet impôt devrait veiller à ne pas porter atteinte au patrimoine lui-même, mais à seulement ponctionner une partie de ses fruits potentiels ou avérés.

Le Conseil opère pourtant un changement assez radical de jurisprudence en 2010, revenant à une approche sans doute plus conforme à l’esprit de l’ISF. Il indique alors qu’à travers cet impôt, «le législateur a entendu frapper la capacité contributive que confère un ensemble de biens ou de droits; que la prise en compte de cette capacité contributive n’implique pas que seuls les biens productifs de revenus entrent dans l’assiette de l’ISF»

19. Il suggère ainsi que rien ne s’oppose à ce que le prélèvement de l’impôt conduise à ponction-ner autre chose que les revenus et avantages procurés par le patrimoine con-cerné (sans toutefois évoquer l’hypothèse d’une aliénation du patrimoine).

Comme on peut l’imaginer, ces différentes décisions ont nourri d’abon-dants commentaires, souvent heureux d’y trouver des arguments véritable-

16 Loi n. 2011-900 du 29 juillet 2011, articles 5 et 30. 17 Décision n. 81-133 DC du 30 décembre 1981. 18 Décision n. 98-405 DC du 29 décembre 1998. 19 Décision n. 2010-44 QPC du 29 septembre 2010.

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ment juridiques permettant de conforter l’idée selon laquelle le paiement de l’impôt ne devrait jamais conduire le contribuable à se séparer d’une partie de ses biens, sauf à devenir “confiscatoire”. Il est pourtant utile de rappeler que ce “principe” n’a jamais relevé de l’évidence juridique.

Le fait que le paiement d’un impôt assis sur le patrimoine puisse con-duire le contribuable à se dépouiller d’une partie du patrimoine en question est même, en réalité, d’une grande banalité: la plupart des successions d’une certaine ampleur conduisent les héritiers à se séparer d’une fraction des biens du défunt pour acquitter les droits de mutation. Quoi qu’on pense de cette situation, force est de constater que jamais aucun principe juridique ne s’est soucié de l’interdire. Certes, l’ISF vient frapper un stock de patrimoine et non un flux, ce qui implique qu’il est prélevé périodiquement, alors que la transmission (entre vifs ou par héritage) ne l’est qu’une fois pour toute. Mais cela n’enlève rien au constat selon lequel, en pratique, le paiement de l’impôt implique parfois de se séparer d’une partie des biens sur lesquels il est assis.

Enfin, sur le terrain de l’équité, l’idée selon laquelle l’imposition du pa-trimoine devrait nécessairement porter sur les revenus disponibles de son détenteur mérite tout de même discussion. En effet, il n’est pas invraisem-blable de considérer que la détention d’un patrimoine révèle en soi une ca-pacité contributive, et que l’État soit autorisé à “se servir” sur ce dernier – en obligeant le contribuable à se séparer chaque année d’une fraction de celui-ci. Est-il vraiment “juste” qu’un retraité disposant d’un patrimoine immobi-lier de plusieurs millions d’euros mais prenant la décision de n’en louer qu’une petite partie, et ne dégageant donc qu’un revenu mineur, échappe à l’ISF du fait de ce seul choix de gestion?

Étonnamment, cette discussion politique semble avoir trouvé un point final avec la décision rendue le 9 août 2012 par le Conseil constitutionnel. Il y apporte une réponse juridique aussi nette sur le fond que surprenante sur le terrain de la technique jurisprudentielle.

II.3. L’avènement d’un principe constitutionnel de plafonnement de l’ISF

Contre toute attente, deux ans après avoir douché les espoirs de ceux qui l’appelaient à reconnaître que l’ISF ne devrait porter que sur les fruits du pa-trimoine, le juge constitutionnel vient consacrer le 9 août 2012 l’existence d’une limitation globale de ce prélèvement. Mais, plutôt que de faire décou-ler directement de la Déclaration de 1789 une hypothétique limite constitu-tionnelle au niveau d’imposition du patrimoine, le Conseil a privilégié une autre voie beaucoup plus subtile car moins “voyante” et donc moins sujette à

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polémique: celle d’une sorte d’“effet-cliquet” anti-retour, interdisant au légi-slateur de revenir en arrière sur sa manière d’interpréter et de mettre en œuvre l’article 13 de la Déclaration.

Pour le comprendre, rappelons que l’adoption de la deuxième loi de finan-ces rectificative pour 2012, au lendemain des élections législatives de juin, permit au Parlement de modifier le barème et les taux de l’ISF acquitté à compter du 1er janvier 2013, et aussi d’instaurer pour la seule année 2012 un barème transitoire (pour des raisons essentiellement techniques qui interdi-saient de revoir totalement, en cours d’année, le mécanisme alors en vigueur).

Or, dans sa décision du 9 août 2012 20, le Conseil ne valide ce barème tran-

sitoire qu’après avoir invité le législateur à aménager, à compter de 2013, un mécanisme de plafonnement de l’ISF. D’après le juge constitutionnel, cette invitation serait justifiée par le constat selon lequel «pour ne pas entraîner de rupture caractérisée de l’égalité devant les charges publiques, le législa-teur a, depuis la création de l’impôt de solidarité sur la fortune par la loi du 23 décembre 1988 (…), inclus dans le régime de celui-ci des règles de pla-fonnement qui ne procèdent pas d’un calcul impôt par impôt et qui limitent la somme de l’impôt de solidarité sur la fortune et des impôts dus au titre des revenus et produits de l’année précédente à une fraction totale des re-venus nets de l’année précédente».

C’est donc au nom de cette sorte de tradition que, d’après le Conseil con-stitutionnel, «le législateur ne saurait établir un barème de l’impôt de solida-rité sur la fortune tel que celui qui était en vigueur avant l’année 2012 sans l’assortir d’un dispositif de plafonnement ou produisant des effets équiva-lents destiné à éviter une rupture caractérisée de l’égalité devant les charges publiques».

La démarche laisse pantois. Au nom d’on ne sait quelle exigence, ce qui n’était qu’un fait (l’adoption d’un dispositif de plafonnement de l’ISF par plu-sieurs majorités parlementaires successives) devient, par la magie du verbe juridictionnel, une norme (selon laquelle le Parlement doit désormais ins-taurer un tel dispositif). Une simple pratique législative ne datant que d’une vingtaine d’années, ayant, comme on l’a vu, pris des formes très variables au cours de cette période, et ne pouvant même pas se targuer d’avoir été conti-nue depuis 1988 (la première loi de finances rectificative pour 2011 ayant purement et simplement abrogé le “bouclier fiscal” tout comme le méca-nisme de plafonnement de l’ISF hérité du gouvernement Juppé) se trouve

20 Décision n. 2012-654 DC.

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ainsi “constitutionnalisée” au même titre que les principes les plus illustres de notre système juridique

21. Certes, le Conseil constitutionnel avait déjà dit, par le passé, son souci de

cristalliser les caractéristiques fondamentales de certains impôts 22. Il a eu

plusieurs fois l’occasion de vérifier qu’une déduction fiscale ne remettait pas en cause «le caractère progressif du montant de l’imposition globale du re-venu des personnes physiques

23», respectant ainsi l’article 13 de la Déclara-tion de 1789, ou encore d’affirmer qu’il appartenait au législateur de pré-voir, «afin de ne pas remettre en cause le caractère progressif du montant de l’imposition du revenu», que la déductibilité d’une imposition ne béné-ficiait qu’à certains contribuables

24. Mais le principe du plafonnement de l’ISF tranche avec ces derniers cas de figure, tant il apparaît à la fois moins ancien et moins inhérent aux dispositifs successifs d’imposition du patri-moine que ne l’est la progressivité pour l’imposition des revenus

25. Finalement, quoi qu’en penseront les majorités parlementaires qui, de-

main, sortiront des urnes, l’ISF ne pourra donc plus, dorénavant, être préle-vé sans tenir compte du montant des revenus disponibles du contribuable. La crainte souvent manifestée que ce prélèvement puisse conduire à une aliénation du patrimoine n’a ainsi plus lieu d’être. Il est parfaitement pos-sible de s’en féliciter. Reste toute de même que la consécration d’un tel ver-rou constitutionnel par la voie jurisprudentielle plutôt que par celle d’une réforme de la Constitution en bonne et due forme est tout sauf anodin. Et ce d’autant que le Conseil constitutionnel ne s’est pas arrêté en si bon che-min: dorénavant, un contrôle serré des taux des différents impôts vient éga-lement réduire les marges de manœuvre du législateur.

21 Si l’injonction faite au gouvernement de Jean-Marc Ayrault (par la décision du 9 août 2012) d’instaurer un tel mécanisme n’a, sur le coup, guère suscité d’émoi, c’est tout simplement que François Hollande avait annoncé lors de sa campagne qu’il entendait de toute façon accompagner la modification du barème de l’ISF de la mise en place d’un pla-fond comparable à celui instauré en 1988 (Le Monde, 16 mars 2012). Autrement dit, ce verrouillage constitutionnel ne constituait pas une mise en cause directe du programme présidentiel. La loi de finances pour 2013 a effectivement mis en place un nouveau méca-nisme de plafonnement, selon lequel, à l’heure actuelle, le montant cumulé de l’IR, de l’ISF et de la CSG ne doit pas dépasser 75% des revenus du contribuable.

22 D’une manière qu’on peut déjà trouver fort contestable, cela dit (cf. notamment: X. PRETOT, Le principe de progressivité de l’impôt sur le revenu revêt-il un caractère constitution-nel?, en Droit social, n. 9-10, 1993, p. 790).

23 Décision n. 93-320 DC du 21 juin 1993. 24 Décision n. 97-395 DC du 30 décembre 1997. 25 Depuis sa création en 1914, l’impôt sur le revenu est un impôt progressif.

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III. La consécration d’une limite constitutionnelle aux taux de l’impôt

Dans sa décision sur la loi de finances pour 2013 26, le Conseil constitu-

tionnel procède à une série d’annulations sans précédent de dispositions qui entendaient relever le taux de plusieurs impositions. Ces annulations sont toutes justifiées par le souci d’éviter qu’une “charge excessive” vienne peser sur les contribuables concernés. Il importe de décrire précisément, dans un premier temps, les dispositifs concernés (III.1) – qui sont évidemment as-sez techniques – pour comprendre ensuite en quoi les modalités de mise en œuvre de ce contrôle de proportionnalité apparaissent à plusieurs égards contestables (III.2).

III.1. Les taux jugés excessifs par la décision du 29 décembre 2012

A. “Retraites chapeau”, stock-options et terrains à bâtir En premier lieu, le relèvement du taux marginal

27 d’imposition global (c’est-à-dire la somme des taux les plus élevés de l’ensemble des impositions que pourrait être conduit à acquitter un même contribuable pour un même revenu) susceptible de frapper les “retraites chapeau” est jugé contraire à la Constitution. Rappelons que cette expression désigne un mécanisme de pensions dites “surcomplémentaires”, financées par les entreprises au profit de certains de leurs salariés, et consistant à verser à ces derniers une rente s’ajoutant à celle versée par les caisses de retraite.

Depuis une loi dite “Fillon” de 2003, ce mécanisme bénéficie de nom-breux avantages fiscaux (exonération de cotisations patronales, déductibilité de la rente des résultats de l’entreprise…), au point d’être quelque peu dé-tourné de son objet par certaines grandes entreprises – la constitution de telles rentes leur coûtant moins cher que le versement de salaires d’un mon-tant équivalent. D’après Le Figaro, ces rentes étaient «avec les parachutes dorés, devenues le symbole des avantages rondelets dont bénéficient les pa-trons après avoir quitté leur poste

28». Cette situation a fini par émouvoir plusieurs candidats à l’élection présidentielle de 2012. Ainsi, après avoir convaincu le Parlement d’augmenter la taxation des retraites chapeau en 2011, Nicolas Sarkozy était allé, durant sa campagne, jusqu’à proposer une

26 Décision n. 2012-662 DC du 29 décembre 2012. 27 Sur cette notion de taux marginal, cf. supra, note de bas de page n. 13. 28 Le Figaro, 23 février 2012.

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suppression pure et simple du mécanisme pour les cadres dirigeants des plus grandes entreprises.

La loi de finances pour 2013 n’envisageait quant à elle rien d’aussi radi-cal. Néanmoins, d’après le Conseil constitutionnel, l’institution par cette loi d’une nouvelle tranche marginale à 45% de l’impôt sur le revenu a eu, indi-rectement, pour conséquence de rendre contraire à la Constitution le relè-vement de la taxation des retraites chapeau opéré en 2011. En effet, la créa-tion de la tranche à 45% devait conduire à porter le taux marginal d’imposi-tion de ces revenus de remplacement à 75,04% pour ceux perçus en 2012 et à 75,34% pour ceux perçus à compter de 2013: outre les 45% d’IR, une con-tribution exceptionnelle de 4% sur les hauts revenus, la CSG à 6,1%, la con-tribution au remboursement de la dette sociale (CRDS) à 0,5% et une nou-velle contribution à 0,3%, ces revenus sont en effet frappés par une contri-bution spécifique, dont le taux a été augmenté en 2011 (comme on l’a dit ci-dessus), passant alors de 14 à 21%. La somme de ces différentes impositions aurait ainsi conduit à ce qu’un taux marginal d’imposition d’environ 75% puisse frapper la fraction des retraites chapeau excédant les 24.000 euros par mois (qui, évidemment, ne concerne pas grand monde). C’est donc ce taux marginal que le Conseil juge excessif et, partant, contraire au principe d’éga-lité devant les charges publiques.

Comme il paraissait difficile d’annuler la hausse du taux de l’IR unique-ment pour la catégorie de revenu en question, le Conseil a privilégié une élégante pirouette technique, consistant à revenir sur un texte déjà entré en vigueur, mais affecté par les dispositions du nouveau texte soumis à son con-trôle. Ainsi a-t-il annulé, pour l’avenir, l’augmentation du taux marginal de la contribution spécifique sur les retraites chapeau de 14 à 21% à laquelle avait procédé le législateur en 2011. Cette différence de 7 points implique que, finalement, la fraction la plus élevée de ces rentes (fraction supérieure, rap-pelons-le, à 24.000€ mensuels s’ajoutant à la pension de retraite) sera frappée par un taux marginal d’imposition global de 68,34% (au lieu de 75,34%). Au-trement dit, d’après le juge constitutionnel, la frontière exacte entre le tolé-rable et le confiscatoire se situe, au moins pour l’imposition de cette catégo-rie de revenu, entre ces deux chiffres.

Au terme d’un raisonnement similaire, le Conseil constitutionnel a éga-lement jugé contraire au principe d’égalité la hausse du taux de la contribu-tion salariale frappant les gains et avantages tirés des stock-options et autres actions attribuées gratuitement. Dès lors que ces gains étaient désormais sou-mis au barème de l’IR (ce que le Conseil n’a pas remis en cause), leur taux

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d’imposition marginal global aurait pu atteindre les 72% ou 77% (selon la durée de détention des titres), après addition des taux marginaux de l’IR, de la contribution exceptionnelle de 4%, des prélèvements sociaux et de la con-tribution salariale litigieuse. Le Conseil a considéré que ces taux marginaux globaux seraient excessifs et a annulé les nouveaux taux de la contribution salariale, ramenant ainsi la taxation marginale maximale des revenus en que-stion à 64,5%.

Un même raisonnement a conduit à l’annulation des dispositions du pro-jet de loi de finances modifiant l’imposition des plus-values immobilières sur les terrains à bâtir. Ces dispositions entendaient «inciter les propriétaires à vendre des terrains à bâtir afin d’augmenter l’offre de logement pour réduire la pénurie existant dans ce secteur», d’après les observations du gouverne-ment transmises au Conseil constitutionnel. Dans certains cas extrêmes, les plus-values dégagées auraient pu être frappées par un taux marginal d’impo-sition atteignant les 82%. Ce niveau maximal d’imposition d’une fraction même minime de ces plus-values est considéré par le juge constitutionnel comme faisant peser sur les contribuables concernés une charge excessive au regard de leur capacité contributive.

B. Le cas des “bons anonymes”

Le taux auquel le législateur envisageait de soumettre les “bons anonymes” connut le même sort funeste. Le projet de loi avait en effet augmenté le tarif du prélèvement visant les intérêts versés aux détenteurs de ces titres dits “au por-teur” dont l’établissement bancaire ne communique pas l’identité à l’admini-stration fiscale. Ajouté aux taux des différents impôts frappant les revenus du capital, le taux d’imposition de ces bons anonymes serait ainsi passé de 75,5% à 90,5% (le Parlement entendait en effet porter de 60% à 75% le taux du prélè-vement forfaitaire, auquel s’ajoutent les 15,5% de prélèvements sociaux).

L’existence même de ce régime d’anonymat, spécifique aux “bons au por-teur”, peut apparaître comme une bizarrerie. Le plus souvent, ces titres sont souscrits pour éviter de déclarer une donation à l’administration fiscale et d’acquitter les droits de mutation afférents voire, parfois, pour céder discrè-tement une part de son patrimoine à un tiers sans que les futurs héritiers s’en rendent compte. Plutôt que de transmettre des liquidités, une personne peut en effet privilégier la souscription de tels bons, qu’il pourra ensuite offrir à un tiers, afin que ce dernier bénéficie tant des intérêts que du capital qui lui sera finalement remboursé.

À défaut d’interdire cette pratique, le législateur a fait le choix de dissuader les contribuables de s’y adonner, en soumettant ces bons, singulièrement de-

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puis 1998, à un régime fiscal désavantageux: non seulement leurs intérêts font l’objet de divers prélèvements (ceux-là mêmes qui, mis bout à bout, at-teignent les 75,5% et devaient être augmentés de 15%), mais encore le capi-tal est-il soumis à un prélèvement annuel de 2% de la valeur des bons. Ce dernier prélèvement est censé compenser le fait que ces titres ne sont pas, par hypothèse, déclarés à l’administration fiscale et échappent donc à l’ISF (tout comme, en pratique, leur éventuelle donation échappe généralement aux droits de succession).

En annulant l’augmentation de 15% du prélèvement spécial, le Conseil entend donc s’opposer à ce que l’imposition des bons anonymes devienne excessive. Pour autant, le régime qui demeure en vigueur après cette annula-tion n’en reste pas moins dissuasif. En effet, si l’on envisage globalement les mécanismes d’imposition des bons anonymes dans leur version validée par le Conseil (c’est-à-dire après maintien du taux de 75,5%), on constate que, bien souvent, leurs titulaires subissent un prélèvement supérieur à 100% des revenus tirés de ces titre. Prenons le cas d’une personne se voyant remettre des bons souscrits anonymement pour une valeur de 10.000€, rémunérés par un taux d’intérêt de 2%. Au bout de 5 ans (durée de vie moyenne de ce genre de titres), lorsque le porteur demande le remboursement, il récupère-ra une somme inférieure à celle misée: la valeur du bon atteint 11.000€; le prélèvement sur les intérêts est de 755€ (75,5% de 1.000€) et le prélève-ment sur la valeur du capital est de 1.000€ (5 x 2% de 10.000€); le montant global des prélèvements est donc de 1.755€; le porteur se verra rembourser 9.245€. Outre l’intégralité du revenu, près d’un dixième de la valeur initiale du bien est ainsi absorbé par l’impôt. Ce cas particulier a le mérite de mon-trer que, tout comme pour l’ISF, aucun principe de valeur constitutionnelle ne s’oppose à ce que, parfois, l’imposition du capital absorbe plus de 100% des fruits de ce dernier.

C. Le barème de l’ISF

D’une manière plus discrète, le Conseil s’est également attaché à appro-fondir son contrôle des taux d’imposition inscrits dans le barème de l’ISF, en le rapportant, plus généralement, au niveau de taxation pesant sur les reve-nus du patrimoine. Cette démarche – cohérente avec celle qui l’a conduit à constitutionnaliser le principe du plafonnement de l’ISF – apparaît, elle aus-si, inédite. Elle le porte à s’approprier très largement le raisonnement des par-lementaires de l’opposition qui entendaient faire condamner l’alourdisse-ment de l’ISF au regard, notamment, de l’augmentation parallèle de la taxa-tion des revenus du capital: la conjonction de ces mesures, prenant place sur

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un fond conjoncturel de faible rentabilité des capitaux, ferait peser, d’après l’opposition, une charge excessive sur les détenteurs de gros patrimoines. Sans tirer de telles conclusions, le Conseil admet toutefois qu’on puisse établir un lien entre le barème de l’ISF et son nouvel environnement fiscal, lié à l’alour-dissement de l’imposition des revenus du capital.

C’est ainsi que, d’après le Conseil, le taux marginal de l’ISF de 1,5%, ap-plicable à la fraction de la valeur nette taxable du patrimoine supérieure à dix millions d’euros, n’est apparemment conforme à la Constitution qu’au re-gard de l’assiette particulièrement étroite de cet impôt. On croit compren-dre que ce dernier élément permet en quelque sorte de “compenser” le fait que, par ailleurs, les fruits du capital se trouvent lourdement taxés.

Au-delà de l’ISF, cette démarche consistant à apprécier le taux d’un impôt au regard du paysage fiscal dans lequel il prend place, plutôt qu’en se concen-trant sur l’impôt pris isolément, est sans doute l’une des nouvelles modalités d’appréciation les plus novatrices du caractère confiscatoire de l’impôt.

III.2. Les modalités d’appréciation du caractère confiscatoire de l’impôt

A. Une appréciation globale Techniquement, le contrôle du caractère confiscatoire ou excessif de l’im-

pôt ne s’opère plus, comme cela était jusqu’alors le principe, pour «chaque imposition prise isolément

29». Dorénavant, le Conseil entend prendre en compte «l’ensemble des impositions portant sur le même revenu et ac-quittées par le même contribuable

30»: non seulement l’IR mais aussi, com-me on l’a vu, les prélèvements sociaux et les différentes taxes frappant une même assiette taxable.

Cette approche était déjà en germe dans la manière dont la décision du 9 août 2012 avait apprécié la constitutionnalité de la “contribution excep-tionnelle” venant compléter, pour la seule année 2012, le barème de l’ISF alors en vigueur: le Conseil avait procédé à une analyse globale des effets con-jugués de ces deux impositions sur la situation des personnes concernées pour évaluer le respect du principe d’égalité

31. Dès lors qu’on admet la pertinence d’un contrôle portant sur le caractère

éventuellement confiscatoire de l’impôt, cette nouvelle approche dévelop-

29 Décision n. 90-285 DC du 28 décembre 1990. 30 Décision n. 2012-662 DC du 29 décembre 2012. 31 Décision n. 2012-654 DC du 9 août 2012.

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pée par le Conseil paraît irréprochable. Il semble en effet opportun de consi-dérer la situation globale du contribuable, pour ne pas être esclave d’un éventuel “saucissonnage” d’impôts par un législateur multipliant les imposi-tions aux caractéristiques différentes mais venant, en pratique, s’additionner pour frapper une même base imposable.

Cette approche globalisante reste toutefois complexe à mettre en œuvre. Comme le soulignait le gouvernement dans ses observations sur le projet de loi de finances déféré au Conseil constitutionnel, «l’approche cumulative des impositions est difficile car de très nombreux paramètres doivent être pris en compte pour effectuer une comparaison pertinente en termes consti-tutionnels. A tout le moins, l’appréciation d’un taux d’imposition général pour un même bien ou un même revenu impose de conduire un raisonne-ment qui intègre non seulement le taux de chaque imposition, mais aussi les caractéristiques de son assiette, en intégrant les divers abattements et réduc-tions dont le contribuable peut bénéficier».

De plus, comme le relevait à nouveau le gouvernement, en forme de mise en garde, cette démarche globalisante constitue potentiellement un «élar-gissement considérable de l’office du juge de la constitutionnalité de la loi de finances qui serait amené, à chaque réforme, à statuer sur l’ensemble de la fiscalité relative aux biens et revenus concernés, alors même que les autres dispositifs ne seraient pas touchés par la loi».

Évidemment, il existe une façon simple de lever ces difficultés: plutôt que d’envisager d’une manière véritablement globale le niveau d’imposition visant un contribuable ou un bien, il suffit de se concentrer sur les seuls taux marginaux des impositions litigieuses. C’est précisément la démarche qu’a adopté le Conseil constitutionnel. Sans pour autant convaincre.

B. La prise en compte des seuls taux “marginaux”

Comme on vient de le voir, l’ensemble des taux d’imposition jugés exces-sifs par le Conseil dans sa décision sur la loi de finances pour 2013 étaient des taux marginaux (ou, plus exactement, la somme de plusieurs taux mar-ginaux susceptibles de frapper cumulativement un même revenu).

La prise en compte de ces seuls taux a le mérite de la simplicité: elle con-duit à se focaliser sur des chiffres bruts, indépendamment des situations aux-quelles ils s’appliquent. De plus, il peut sembler a priori cohérent d’appré-hender les taux marginaux qui constituent des taux plafonds, dès lors que le Conseil entend justement déterminer une limite supérieure à l’imposition. Enfin, la notion de taux marginal n’est pas dénuée de toute signification é-conomique: elle indique la part effectivement consacrée au paiement de

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l’impôt au-delà d’un certain niveau de gain. Or, cette donnée peut effecti-vement influencer le comportement des acteurs économiques, en les dissua-dant par exemple de travailler plus. L’idée que, au-delà d’un certain niveau de revenu, les sommes supplémentaires engrangées soient ponctionnées aux deux-tiers ou aux trois-quarts a évidemment quelque chose de démobilisa-teur: à quoi bon s’épuiser à la tâche pour ne garder qu’une petite fraction des fruits de ce travail supplémentaire?

Toutefois, cette approche conduit à perdre un peu vite de vue que la ques-tion du plafonnement de l’impôt est juridiquement indissociable du prin-cipe d’égalité devant les charges publiques. Or, prendre en compte un taux marginal sans s’intéresser aux capacités contributives appréhendées par le taux en question conduit nécessairement à amalgamer des situations incom-parables. Pour le dire en un mot, un taux marginal très élevé ne touchant qu’une fraction infime d’un revenu est beaucoup moins coûteux pour le con-tribuable (et donc potentiellement moins confiscatoire) qu’un taux margi-nal plus faible mais frappant une fraction plus large de revenu. De même, deux personnes concernées par le même taux marginal d’un impôt, l’IR par exemple, peuvent, en réalité, être conduites à verser au fisc une somme re-présentant une fraction très différente de leur revenu (selon la part du reve-nu frappé par ce taux, et aussi selon les caractéristiques de leur foyer fiscal). Ainsi, pour ce qui concerne les impôts fondés sur un barème progressif (l’IR, l’ISF et les droits de mutation, pour l’essentiel), il pouvait sembler assez évident qu’une logique de plafonnement ne pourrait avoir de sens qu’appli-quée à des taux moyens d’imposition, indiquant la part du revenu (ou encore la fraction de la valeur d’un patrimoine) effectivement consacrée au paiement de l’impôt. Le Conseil constitutionnel a néanmoins préféré passer outre cette évidence, en se focalisant sur les taux marginaux.

Pourtant, une autre technique permettant de plafonner efficacement le montant d’un prélèvement fiscal était à la disposition du juge constitutionnel. Cette technique est bien connue du droit français, puisqu’elle fonde les di-vers mécanismes de plafonnement de l’ISF évoqués plus haut. Elle consiste tout simplement à fixer un taux d’imposition effectif maximal (bref, un taux moyen) et à engager l’administration à rembourser après coup l’éventuel trop-perçu. Ce dispositif permet de tenir compte de la situation particulière de chaque contribuable, dès lors que l’appréciation de l’éventuel dépasse-ment du taux plafond s’opère après application des règles d’assiette et du ba-rème spécifique attaché à l’impôt ou aux impôts concernés.

Or, quitte à instaurer un mécanisme de plafonnement, rien n’empêchait le Conseil constitutionnel de mettre en place un tel dispositif par la voie d’une

Martin Collet

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réserve d’interprétation (en indiquant par exemple que le montant effecti-vement acquitté au titre de tel ou tel impôt ne saurait dépasser telle fraction du revenu, sauf à devoir être remboursé par l’administration). Il a déjà eu l’oc-casion de suivre une telle démarche, à propos notamment du risque de dou-ble imposition attaché à un dispositif anti-fraude

32. Quoi qu’il en soit, en approfondissant son contrôle des taux d’imposi-

tion, le Conseil vient sérieusement limiter la liberté du Parlement de déter-miner jusqu’à quel point l’impôt reste acceptable. Si de nombreux observa-teurs se félicitent de cette évolution jurisprudentielle, il est nécessaire de s’in-terroger sur la légitimité du juge à empiéter de la sorte sur une prérogative qui, jusqu’alors, était réservée aux élus du peuple.

Conclusion

Les décisions rendues à la fin de l’année 2012 par le Conseil constitutionnel resteront vraisemblablement dans les mémoires comme ayant marqué une étape décisive dans l’approfondissement du contrôle juridictionnel de la loi. Dans l’ensemble, cette évolution semble avoir été accueillie avec satisfaction. C’est que, pour beaucoup, les annulations prononcées par le Conseil constitu-tionnel apparaissent, au fond, raisonnables. Les principes sur lesquels elles se fondent compromettront en effet les tentations que pourraient avoir les par-lementaires d’instaurer une taxation punitive à l’égard de certains contribua-bles ou encore, à l’inverse, leurs velléités d’accorder à d’autres des avantages injustifiés, avec, dans les deux cas, d’inavouables arrière-pensées électoralistes.

Mais le fait que, sur le fond, on puisse adhérer aux principes ainsi consti-tutionnalisés et que, en bon pragmatique, on soit porté à se féliciter de la manière dont ils viendront désormais discipliner l’élaboration des politiques fiscales, ne doit pas éclipser un élément essentiel: ces principes ont été con-sacrés par le Conseil constitutionnel et non par le Constituant, c’est-à-dire par un juge plutôt que par le peuple ou ses élus. Cet élément n’est pas seu-lement formel ou procédural: il renvoie à la question de savoir qui, dans une démocratie, a le dernier mot. Or, lorsque la “sagesse” des juges prend l’a-scendant sur la parole des élus, l’étymologie nous rappelle que la méfiance est de mise: le gouvernement par les sages – ou par “les meilleurs” – n’est pas la démocratie; c’est l’aristocratie.

32 Décision n. 2010-70 QPC du 26 novembre 2010.

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Santa De Marco

CONSIDERAZIONI TEORICO-RICOSTRUTTIVE SUL REGIME DI TASSAZIONE PER TRASPARENZA

NELLE SOCIETÀ A RISTRETTA BASE SOCIALE

THEORETICAL CONSIDERATIONS-RECONSTRUCTION ON THE TRANSPARENT TAXATION REGIME FOR COMPANIES

WITH A LIMITED NUMBER OF MEMBERS

Abstract La riforma fiscale attuata con la L. n. 80/2003, rivisitando il sistema impositivo delle società, ha esteso il regime di tassazione per trasparenza – generalmente applicato alle società di persone di cui all’art. 5 TUIR – anche alle società di capi-tali (artt. 115 e 116 TUIR), prevedendo che l’imposizione avvenga in capo ai soci in relazione alla quota di partecipazione agli utili, indipendentemente dalla loro distribuzione. Il presente contributo, traendo spunto dalla riforma fiscale e societaria, intende effettuare alcune brevi considerazioni sul regime di tassazione per trasparenza delle società a ristretta base sociale (art. 116 TUIR), esaminando il particolare rapporto che intercorre tra soci e società ed i riflessi sull’imputazione del reddito e delle perdite, non tralasciando di effettuare alcune brevi considerazioni sull’ac-certamento. Parole chiave: Tassazione, trasparenza, immedesimazione, soci, società The tax reform enacted by Law L. n. 80/2003, overhauling the company taxation system, widened the transparent taxation regime – generally applied to partnerships pursuant to art. 5 of the TUIR (Consolidated Income Taxation Law) – to limited companies (articles 115 and 116 TUIR), providing for members to be taxed in rela-tion to their share of the profits, regardless of how these are distributed. Starting from the reform of company taxation, this paper sets out to briefly consider the transparent taxation regime for companies with a limited number of members (art. 116 TUIR), examining the particular relationship that exists between members

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and the company and the effects on income and loss imputation, some brief considera-tions are also made regarding assessment. Keywords: Taxation, transparency, identification, members, companies

SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive sulla “trasparenza”. – 2. La trasparenza delle s.r.l.: condizioni e vincoli, differenza rispetto alla trasparenza delle società di persone. – 3. Gli effetti della traspa-renza sul piano reddituale. – 4. Modalità di esercizio dell’opzione – 5. Cause di decadenza dal regime di trasparenza – 6. Le perdite nella “piccola trasparenza”. – 7. Brevi riflessioni sull’accer-tamento. – 8. Considerazioni conclusive.

1. Considerazioni introduttive sulla “trasparenza”

Il principio di tassazione per trasparenza, regime tipico delle società di persone di cui all’art. 5 TUIR

1, per effetto della riforma Tremonti, attuata con la L. 7 aprile 2003, n. 80, è stato esteso – pur nell’ambito di rigide limita-zioni soggettive ed oggettive – anche alle società di capitali di cui agli artt. 115 e 116 TUIR, rendendolo, tuttavia, un regime opzionale e non ordinario co-me per le società di persone. Certamente il contesto in cui operano le socie-tà di capitali è diverso, pertanto, il regime di trasparenza non si può acco-gliere semplicemente come estensione del principio già conosciuto nelle so-cietà di persone, ma comporta alcune differenziazioni.

Traendo spunto dalla riforma fiscale, con la presente indagine, intendia-mo esaminare l’applicazione del regime di trasparenza nelle società a ristret-ta base sociale di cui all’art. 116 TUIR (società a responsabilità limitata par-tecipata da soli soci persone fisiche), con il quale si fa riferimento a quella particolare tecnica giuridica che imputa il reddito riferito ai soggetti colletti-vi in capo ai soci in modo tale da rendere la società trasparente.

La società partecipata considerata trasparente rappresenta, infatti, uno “schermo”

2 in cui i soci esercitano collettivamente un’attività economica, con lo scopo ultimo di dividerne gli utili.

1 Sul punto si vedano: BORIA, Il principio di trasparenza nella imposizione delle società di persone, Milano, 1996, p. 15 ss.; FILIPPI, Redditi prodotti in forma associata, in Enc. giur. Treccani, 1991, XXVI, p. 1 ss.

2 Così la definisce BORIA, op. cit., p. 35.

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Ciò ci consentirà di evidenziare come, attraverso questo modello imposi-tivo, sia stato superato il modello imputazione/organizzazione solitamente attribuito alla società, determinando un trasferimento degli effetti fiscali dal-la sfera giuridica dell’ente collettivo a quella dei soci e la ratio si individua nella capacità riconosciuta ai soci di incidere in modo determinante sulle scelte strategiche ed operative della società.

La determinazione degli utili o delle perdite in capo al socio, indipenden-temente dalla effettiva imputazione, comporta che le società trasparenti non assumano la veste di soggetto passivo

3 ma, semplicemente, “soggetti stru-mentali”

4 per la determinazione del reddito. Logico corollario che la società trasparente non riveste soggettività pas-

siva d’imposta, giacché, per effetto del regime impositivo in oggetto, l’utile o la perdita da essa realizzate sono parte integrante del reddito dei soci.

Tralasciando di esaminare gli aspetti relativi alla soggettività giuridica e l’iter storico normativo della tassazione per trasparenza delle società di capi-tali, già approfonditi in altra sede

5, ci sembra opportuno, traendo spunto dalla tassazione per trasparenza delle società di persone e dalla riforma fisca-le e societaria, soffermarci ad effettuare alcune considerazioni sul regime di trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria. Tenteremo, dunque, di analizzare il rapporto che intercorre tra soci e società nonché i ri-flessi che tale regime implica sull’imputazione del reddito e delle perdite, volgendo la nostra attenzione anche al rapporto di consequenzialità tra de-terminazione del reddito dei soci e della società, inducendoci a chiederci chi sia il soggetto cui notificare l’avviso di accertamento.

3 Si veda FILIPPI, op. cit., p. 1, la quale afferma che «La considerazione in forma unitaria dei redditi prodotti in forma associata viene così ad avere una mera funzione procedimen-tale, permettendo la più facile individuazione della quota di partecipazione agli utili del sin-golo socio o associato. Ne consegue che la società o associazione ha l’obbligo di presentare la dichiarazione dei propri redditi sia agli effetti dell’Ilor da essa dovuta sia agli effetti del-l’imposta personale dovuta dai soci o associati (art. 6, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600); il reddito viene accertato e determinato unitariamente nei confronti della società o associa-zione (art. 40 dello stesso decreto) che ha l’obbligo di tenere le scritture contabili».

4 V. ANTONINI, Le società a base personale: trasparenza fiscale del reddito, in AA.VV., In-contri con il Banco di Roma. Il reddito d’impresa, Milano, 1974, III, p. 1.

5 Ci sia consentito rinviare a DE MARCO, Il principio di trasparenza per le società di capi-tali: dubbi su soggettività giuridica e responsabilità, in Dir. prat. trib., 2008, p. 1; ID., Il tratta-mento fiscale delle perdite alla luce dei più recenti interventi normativi, in Dir. prat. trib., 2012, p. 446.

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2. La trasparenza delle s.r.l.: condizioni e vincoli, differenza rispetto alla tra-sparenza delle società di persone

La riforma del diritto societario, attuata con il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, ha apportato notevoli modifiche alle s.r.l. volte a rendere questa forma societaria più flessibile alle esigenze dei soci e consentendo, inoltre, di valo-rizzare i connotati di carattere personale, presenti particolarmente nelle pic-cole e medie imprese

6. Per diverso tempo la s.r.l era stata identificata come “sorella minore”

7 della s.p.a. e normativamente assoggettata, attraverso norme di rinvio, a que-st’ultima; oggi la riforma consente alla s.r.l. di avere un proprio quadro legale attribuendo, di conseguenza, maggiore enfasi alla figura del socio che pren-de parte personalmente e quotidianamente all’attività sociale.

In seguito alla riforma sopra menzionata, la s.r.l. si colloca in una posi-zione intermedia tra le società per azioni e le società di persone prediligen-do, dunque, gli aspetti di carattere personale, presenti in particolar modo nelle piccole e medie imprese.

Nello stesso tempo, tale forma societaria rappresenta il giusto connubio tra le società di capitali e le società di persone. Segnatamente, sussiste la li-mitazione della responsabilità dei soci, giacché è la società a rispondere con il proprio patrimonio, e la libertà decisionale dei soci di modellare la struttu-ra della società in relazione alle necessità della stessa, elemento tipico delle società di persone

8.

6 V. CAMPOBASSO, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2003, p. 325, il quale evi-denzia che l’obiettivo fondamentale della riforma sia «quello di accentuare il distacco del-la s.r.l. dalla s.p.a. e di farne un modello societario particolarmente elastico, che consenta di valorizzare i profili di carattere personale presenti soprattutto nelle piccole e medie impre-se. In breve, di realizzare meglio di quanto seppe fare il legislatore del 1942, l’idea della s.r.l. come tipo di società di capitali che si presta meglio della società per azioni per l’orga-nizzazione di imprese di modeste dimensioni, a base familiare e comunque con compagine societaria ristretta e attiva».

7 V. BUONOCORE, La società a responsabilità limitata, in ID. (a cura di), La riforma del diritto societario, Commento ai D.lgs. n. 5-6 del 17 gennaio 2003, Torino, 2003, p. 136 ss.

8 Si veda, al riguardo, D’AMATI, I rapporti soci-società nella legge di delega 825/1971 e nella legge di delega 80/2003, in PERRONE-BERLIRI (a cura di), Diritto tributario e Corte co-stituzionale, Napoli, 2006, p. 563, il quale afferma che: «... Il principio dell’imputazione ai soci dei redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice, propor-zionalmente alla quota di partecipazione agli utili. Questo principio, ispirato all’esigenza di imprimere carattere personale all’imposizione, determina una rottura nella disciplina tri-butaria delle società, facendo affluire il reddito societario ai soci, esclude gli accantona-

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Occorre, tuttavia, evidenziare che, a differenza del sistema previgente, la s.r.l. attualmente è disciplinata da un organico complesso di norme, model-lato sulla ristretta base sociale, senza fare più alcun rinvio alle s.p.a., per cui il legislatore nel porre in essere queste disposizioni tiene in considerazione il carattere eminentemente personale della società

9 e dei rapporti che inter-corrono tra i soci, quali l’autonomia statutaria, la libera scelta della forma organizzativa e così via

10. Sul versante tributario, con la L. 7 aprile 2003, n. 80, il Parlamento dele-

gava il Governo ad emanare una riforma fiscale di ampia portata, che logi-camente, alla luce delle innovazioni in ambito societario, ha introdotto tra gli altri, il regime opzionale della trasparenza fiscale (art. 116 TUIR) per le società che rientrano nell’ambito degli studi di settore e con soci tutte per-sone fisiche a ristretta base sociale

11. menti a riserva, con la conseguenza che, nei casi in cui occorrono investimenti, i soci de-vono farvi fronte con utili assoggettati ad imposta».

9 Per effetto della L. 24 gennaio 2012, n. 1, all’art. 2463 bis c.c., è stata introdotta una nuova tipologia di società: la società semplificata a responsabilità limitata, la quale può es-sere costituita sia in forma di s.r.l. pluripersonale, sia da un’unica persona, quindi, uni per-sonale, inoltre, il capitale sociale deve essere superiore a 1 euro ed inferiore 10.000 euro e deve essere interamente versato e sottoscritto alla data della costituzione. L’art. 25, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, con l’obiettivo di sviluppare le imprese che operano nella produzione e commercializzazione dei beni o servizi al alto valore tecnologico, ha previsto, inoltre, le Società innovative ad alto valore tecnologico o start-up innovative, le quali godono di una semplificazione degli adempimenti, una riduzione degli oneri e contemplano una partico-lare disciplina dei rapporti di lavoro, incrementando gli investimenti, sostenendo, inoltre, gli incubatori d’imprese start-up innovative, vale a dire coloro i quali effettuano una fase di tutoraggio nella fase di avvio e di crescita, affiancando e formando i fondatori, attribuendo loro un supporto operativo e strumenti di lavoro, mettendoli in contatto con gli investitori. Per ulteriori approfondimenti sulla tematica si rinvia a FERRANTI, La detassazione degli in-vestimenti nelle start-up innovative, in Corr. trib., 2012, p. 3233. Il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, c.d. “decreto crescita bis” è intervenuto, tra l’altro, sulle misure a sostegno della nascita e sviluppo delle imprese start-up innovative e degli incubatori certificati, sull’argomento si veda ANDREANI-TUBELLI, Misure di favore per nascita e sviluppo di imprese start-up innovative e incubatori certificati, in Corr. trib., 2013, p. 254.

10 La relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 6/2003, all’art. 3, comma 1, ha chiarito che con questa riforma si è voluto «offrire agli operatori economici uno strumento caratte-rizzato da una significativa ed accentuata elasticità ... che, imperniato fondamentalmente su una considerazione delle persone dei soci e dei loro rapporti personali, si volge a soddisfare esigenze particolarmente presenti nell’ambito del settore delle piccole e medie imprese».

11 Si veda FICARI, L’imposizione “per trasparenza” delle “piccole” società di capitali, in ANTI-ASSOCIAZIONE NAZIONALE TRIBUTARISTI ITALIANI (a cura di), L’IRES due anni do-po: considerazioni, critiche e proposte – libro bianco, Milano, 2005; ID., Art. 115 (Opzione per

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Se da un primo approccio sembra che il legislatore fiscale abbia tratto spunto dalla riforma societaria estendendo il regime di tassazione per tra-sparenza anche alle s.r.l., di fatto esiste una divergenza tra le due discipline.

In effetti, la riforma societaria si applica a tutte le s.r.l. prevedendo, addi-rittura, nuove tipologie di s.r.l. tali da adeguarsi ai nuovi contesti economici e commerciali. La relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 6/2003, all’art. 3, comma 1, ha chiarito che con questa riforma si è voluto «offrire agli operatori economici uno strumento caratterizzato da una significativa ed accentuata elasticità ... che, imperniato fondamentalmente su una consi-derazione delle persone dei soci e dei loro rapporti personali, si volge a sod-disfare esigenze particolarmente presenti nell’ambito del settore delle picco-le e medie imprese», includendo tutte le s.r.l.

Il legislatore tributario, invece, prevede l’estensione del regime di tassa-zione per trasparenza, di cui all’art. 116 TUIR, soltanto alle s.r.l. che abbiano alcuni requisiti, quantitativi e qualitativi quali la compagine sociale, costitui-ta da soci che siano solo persone fisiche di un numero non superiore a 10 o a 20 per le società cooperative a responsabilità limitata ed, inoltre, il volume di ricavi non superiore alla soglia prevista per gli studi di settore

12. Notiamo, quindi, una perfetta asimmetria tra il diritto commerciale e quel-

lo tributario, sebbene il legislatore fiscale, per certi versi, abbia voluto trarre spunto dalla riforma societaria, nel caso de quo, ha «individuato un modello proprio di società a responsabilità limitata»

13, utilizzando in prevalenza gli spunti offerti dalla giurisprudenza la quale, in occasione dei maggiori utili extracontabili accertati ad una società a ristretta base sociale, sottolinea che il fatto noto da cui deriva il fatto ignoto non è l’esistenza di un maggior red-dito accertato, ma la ristretta base sociale da cui consegue un rapporto di familiarità e complicità e tra i soci.

Emerge chiaramente come, in questo contesto, la società rappresenti il veicolo mediante il quale opera il socio, dando luogo così ad un rapporto di stretta intimità tra soci e società

14. la trasparenza fiscale) – Art. 116 (Opzione per la trasparenza fiscale delle società a ristretta base proprietaria), in Commentario al Testo Unico delle Imposte sui redditi, a cura di Tinelli, Padova, 2009; FICARI-GIAMPAOLINO, Profili fallimentari e tributari, in Trattato delle Socie-tà a Responsabilità Limitata, diretto da Ibba-Marasà, Padova, 2012.

12 V. FERLAZZO NATOLI, La riforma tributaria dell’Ires, Soveria Mannelli, 2004. 13 Così, RASI, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprie-

taria – Profili ricostruttivi di un modello impositivo, in GALLO (a cura di), Problemi Attuali di Diritto Tributario, Torino, 2012, p. 193.

14 A tal proposito, FEDELE, La nuova disciplina Ires: i rapporti fra soci e società, in Riv. dir.

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Il limite introdotto degli studi di settore ci suggerisce come il legislatore abbia voluto indicare prioritariamente le dimensioni delle s.r.l., al fine di dif-ferenziarle certamente dalle altre società di da parte della società è finalizza-ta capitali i cui soci siano società di capitali, di cui all’art. 115 TUIR.

Senz’altro nella tassazione per trasparenza delle società a ristretta base proprietaria è possibile rilevare degli aspetti comuni con la trasparenza delle società di persone ma anche qualche differenza.

Le società di persone, le associazioni professionali, le società di armamen-to e le imprese familiari, pur essendo dotate civilisticamente di una propria autonomia patrimoniale, non rivestono un’autonoma soggettività ai fini IRPEF, poiché fra l’altro la dichiarazione dei redditi presentata da parte del-la società è finalizzata alla determinazione dell’imposta facente capo ai soci. Il rapporto di immedesimazione dei soci nella società ha indotto il legislato-re a prediligere questo modello impositivo. L’estensione del regime fiscale delle s.r.l. a quello delle società di persone, trova la sua ratio proprio nella mancanza (assenza) di separazione tra proprietà e gestione, sebbene carat-terizzate da una stretta connessione tra di loro.

Inevitabilmente l’opzione per tale regime modifica senz’altro il rapporto tra soci e società, perché se non si fosse optato per il regime in questione, il socio non sarebbe responsabile verso il Fisco, infatti, le società di capitali li-mitano la responsabilità dei soci al solo patrimonio sociale. A differenza del-le società di persone l’art. 115, comma 8, TUIR, sancisce l’obbligo della so-cietà partecipata di rispondere solidalmente con ciascun socio per l’imposta le sanzioni e gli interessi conseguenti all’obbligo di imputazione del reddito.

La responsabilità solidale della società per il pagamento del debito d’im-posta interessi e sanzioni dovute dal socio è, a nostro parere, incompatibile con il regime di trasparenza delle s.r.l. Sebbene si tratti di società di capitali, le dimensioni ridotte della società e la presenza di soci persone fisiche, desi-gna una struttura organizzativa e sociale in cui sussiste un rapporto di “im-medesimazione” tra soci e società, allora ci chiediamo perché differenziarle dalle società di persone se entrambe perseguono la stessa finalità.

trib., 2004, p. 485, evidenzia come «il legislatore abbia apprezzato l’influenza esercitata dai soci sull’indirizzo e la gestione dell’attività sociale che non rappresenterebbero più degli investitori ma veri e propri partecipanti all’impresa sociale e conclude a favore di una valenza sistematica “speciale” ed affatto agevolativi della disciplina della trasparenza».

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3. Gli effetti della trasparenza sul piano reddituale

Il regime di tassazione delle s.r.l. che abbiano optato per la trasparenza, è assimilabile a quello delle società di persone

15; il reddito è imputato ai soci a fine esercizio, indipendentemente dalla distribuzione dei dividendi e in re-lazione alla quota di partecipazione agli utili

16. L’utile che è automaticamente trasferito dalla società ai soci, è qualificato

come reddito d’impresa (eseguendo in caso di contabilità ordinaria, le op-portune modifiche, aumentative o diminutive).

La quota di reddito imputata al socio concorrerà alla formazione del reddito complessivo dello stesso ai fini IRPEF, attraverso applicazione delle aliquote progressive proprie dell’imposta e non ad IRES, come generalmen-te potrà avvenire in regime ordinario.

In tale contesto, il reddito del socio conferitogli dalla società, considerato reddito d’impresa, risulta determinato dalle disposizioni dettate per le società di capitali ed imputato alla chiusura del periodo d’imposta della partecipata

17. Il problema si pone nell’ipotesi in cui una s.r.l., durante il triennio del-

l’opzione, modifica la compagine sociale a seguito della cessione di alcune

15 Il regime di trasparenza di cui all’art. 5 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 stabilisce che: – nelle società di persone, nonché, in quelle ad esse equiparate, il reddito prodotto in

forma associata viene successivamente imputato ai singoli soci; – il criterio di ripartizione tra i soci degli utili conseguiti dalla società di persone è san-

cito dal comma 2, art. 5: opera la presunzione di proporzionalità delle quote di partecipa-zione al valore dei conferimenti. Questa presunzione può essere superata con diversa pat-tuizione contenuta nell’atto costitutivo o in atto pubblico o scrittura privata autenticata;

– le quote di reddito attribuite concorrono, insieme agli altri redditi del socio, alla for-mazione del reddito complessivo da assoggettare ad imposizione;

– la ripartizione proporzionale alle quote riguarda, nel caso di soci persone fisiche non solo il reddito complessivo della società, ma anche le ritenute d’acconto subite, i crediti d’imposta spettanti, nonché, le perdite.

16 L’art. 7 del D.M. 23 aprile 2004, ha precisato che la ripartizione tra i soci avviene in relazione alla quota di partrecipazione agli utili maturati alla data di chiusura della società partecipata, peraltro, ancor prima di questo provvedimento normativo, la dottrina Ravvi-sava questo principio; sul punto, si veda FEDELE, op. cit., p. 487.

17 Al riguardo FORTUNATO, Le modifiche della compagine sociale nelle società tassate per trasparenza: spunti per una interpretazione sistematica, in Rass. trib., 2005, p. 1872, il quale sottolinea che «Il legislatore fissa il momento di “produzione” del reddito nella fine dell’e-sercizio, a nulla rilevando se chi è socio in quella data non lo è al momento dell’approva-zione del rendiconto, o non lo sarà al momento dell’effettiva percezione del reddito».

Altra dottrina, URICCHIO, I redditi prodotti in forma associata e le società senza impresa, in Dir. prat. trib., 1990, I, p. 276 ss., il quale sostiene come sia necessario effettuare una suddivisione pro-quota tra socio uscente e socio entrante, in modo da attribuire l’utile o la perdita d’esercizio proporzionalmente al periodo in cui è stato socio.

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partecipazioni. A quali soci partecipanti dovrà essere imputato il reddito della partecipata?

18. Nel caso di mutamento della compagine sociale nel corso d’esercizio

19, si ritiene che, anche se a percepire i dividendi fossero persone fisiche diverse dai soci cui originariamente è stato imputato il reddito per trasparenza, detti dividendi vanno attribuiti a coloro i quali sono soci alla chiusura del periodo d’imposta

20. Questo principio è stato accolto anche dalla giurisprudenza della Corte

di Cassazione 21 che afferma come: «nel caso in cui nel corso dell’esercizio

della società di persone si sia verificato il mutamento della compagine socia-le, con il subentro di un socio nella posizione giuridica di un altro, il reddito della società va imputato esclusivamente al contribuente che sia socio al momento dell’approvazione del rendiconto e non già al socio uscente e a quello subentrante in funzione della rispettiva durata del periodo di parteci-pazione nella società; ciò in quanto la produzione del reddito non è né con-tinua né uniforme nel tempo e secondo i principi civilistici il diritto agli utili matura solo con l’approvazione del rendiconto».

Con riferimento ai casi di cessioni di quote in società che hanno deciso di optare per il regime di trasparenza, si pone la questione attinente al pe-riodo in cui assume efficacia la suddetta la cessione.

In conformità alle società di persone, il comma 2 dell’art. 5 TUIR e la successiva Circolare dell’Agenzia delle Entrate 22 novembre 2004, n. 49/E,

18 Si potrebbero presentare diverse soluzioni: imputare il reddito al socio uscente, effet-tuando le opportune considerazioni sui componenti positivi e negativi di reddito, o al con-trario al socio entrante, oppure attribuirlo ad entrambi i soci. Concorde con quanto rileva-to da autorevole dottrina, si attribuisce importanza ai soci che rappresentano la compagine sociale alla chiusura del periodo d’imposta. Per ulteriori approfondimenti, sul punto si ve-dano, NUSSI, L’imputazione del reddito nel diritto tributario, Padova, 1996, p. 406; BELLI CONTARINI, Modificazioni della compagine societaria nelle società di persone a seguito di scio-glimento parziale del rapporto sociale: aspetti fiscali, in Riv. dir. trib., 1995, I, p. 839 ss.; PO-TITO, Il sistema delle imposte dirette, Milano, 1989, p. 24 ss.

19 La variazione in corso d’anno dei soggetti cui imputare il reddito in regime di traspa-renza fiscale, nonostante nel corso degli anni abbia dato luogo numerosi dibattiti, ha avuto chiarimenti grazie all’art. 7, commi 1 e 2, del D.M. 23 aprile, 2004, dal comma 3, dell’art. 115 TUIR, orientamento confermato ulteriormente dalla Circolare Agenzia delle Entrate 22 novembre 2004, n. 49/E, par. 3.10.

20 Ai sensi dell’art. 2262 c.c., il diritto al percepimento degli utili sorge al momento dell’approvazione del redinconto, dunque, il diritto agli utili sorge a fine esercizio.

21 Così, Cass., sez. trib., 16 dicembre 2003, n. 19238, in linea con la sentenza del 15 ot-tobre 1994, n. 8423. In passato la Cassazione si era espressa in tal senso anche con la sen-tenza del 15 ottobre del 1994, n. 8423.

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hanno sostenuto che le variazioni nelle quote di partecipazioni sono rilevate fiscalmente dal periodo d’imposta successivo a quello nel quale sono effet-tuati (purché, non riguardi una modifica della compagine sociale).

Questo principio è esteso anche in caso di cessione del diritto di usufrut-to sulla quota di partecipazione, dunque, la cessione ai fini dell’imputazione del reddito della partecipata, manifesterà i propri effetti a partire dal periodo d’imposta successivo alla modifica in oggetto.

La ratio di questo provvedimento è di carattere antielusivo, al fine di im-pedire che il reddito sia indirizzato durante l’anno ai soci che presentano le aliquote marginali IRPEF più basse.

Diverso è il caso in cui, entro la data di chiusura del periodo d’imposta, si verifichino trasferimenti a nuovi soci di parziali quote purché, non vengano modificati i requisiti soggettivi, come sancito dall’art. 116 TUIR.

Le stesse producono i loro effetti già a partire dallo stesso periodo d’imposta

22 nonostante la suddivisione del reddito tra più individui possa

22 L’individuazione del periodo d’imposta nelle società tassate per trasparenza non de-sta particolari problemi, infatti, come abbiamo già anticipato, l’opzione ha durata triennale al quale coincide un autonomo periodo d’imposta.

Tra le società di persone e di capitali sussiste una divergenza del trattamento impositi-vo, dovuto all’individuazione di un differente momento in cui entrano in possesso del red-dito: i soci di una società di persone, sono tassati in concomitanza con l’approvazione del rendiconto ai sensi dell’art. 2262 c.c.; quelli di una società di capitali, vedranno imputati i loro redditi nel periodo d’imposta di percezione dell’utile dopo l’approvazione del bilancio e dopo una conseguente delibera di distribuzione di utili.

Più sfumato è l’individuazione del periodo d’imposta nelle società a ristretta base so-ciale di cui all’art. 116 TUIR, in presenza di distribuzione di utili extrabilancio, come in più occasioni affermato dalla giurisprudenza e dalla dottrina, consegue l’inapplicabilità della disposizione prevista dall’art. 2433 c.c., comma 1, giacché gli utili extra contabili accertati si considerano distribuiti ai soci nell’esercizio in cui sono stati realizzati, salvo prova con-traria. Si tratta di utili che non hanno formalmente avuto l’approvazione in bilancio; dunque, il periodo d’imposta in cui gli stessi devono essere imputati, è quello in cui sono stati con-seguiti. In tal senso si vedano Cass. 15 febbraio 2008, n. 3986; Cass. 11 ottobre 2007, n. 21415; Cass. 26 dicembre 2006, n. 24491; Cass. 15 maggio 2003, n. 7564.

La Corte di Cassazione in più circostanze (tra le altre si vedano sent. 8 marzo 2000, n. 2606; 20 marzo 2000, n. 3254; 28 maggio 2001, n. 7218; 16 maggio 2002, n. 7173; 11 no-vembre 2003, n. 16885; 8 luglio 2008, n. 18640; 10 giugno 2009, n. 13338) ha ritenuto che il maggior reddito accertato in una s.r.l. a ristretta base azionaria in relazione al rappor-to di complicità, dovesse essere imputato ai soci, indipendentemente dalla prova della ef-fettiva percezione.

Il meccanismo di tassazione per trasparenza, non costituisce di certo il rafforzamento delle tesi sostenute dalla Cassazione, di attribuire in capo ad ogni socio, il maggior reddito accertato. Anche se, la trasparenza delle s.r.l. riguarda un ristretto numero di soci, comun-

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que, rappresenta una tecnica impositiva con la finalità di evitare la duplicazione d’imposta sui dividendi percepiti dagli stessi.

La tecnica impositiva della trasparenza e la presunzione dei maggiori utili distribuiti in capo ai soci, sono due aspetti da non confondere, poiché, come sostenuto da LUPI, Tecnica impositiva e questioni probatorie: due profili da non confondere, in Dialoghi trib., 2004, p. 1124, «l’imputazione per trasparenza, sia essa di società di persone o di capitali, è un sistema di dirit-to sostanziale, di tecnica impositiva per attribuire redditi realizzati e regolarmente dichiarati».

Secondo quest’orientamento si ritiene che, dal fatto noto sia desunto il fatto ignoto (cioè la distribuzione di utili occulti), poiché, la presunzione ha i requisiti di gravità, preci-sione e concordanza. Il fatto noto da cui derivare il fatto ignoto, non è l’esistenza di un maggior reddito accertato, ma il legame della ristretta base azionaria che comporta un rap-porto di familiarità, complicità e reciproco controllo, condizione sufficiente per far rite-nere che il reddito occultato al Fisco è stato distribuito tra i soci (si veda Cass., sez. trib., 8 agosto 2005, n. 16729).

Secondo la Suprema Corte «la rigorosa separazione tra la posizione della società di capitali e quella dei soci non può ... costituire uno schermo invalicabile tale da sottrarre i soci dall’obbligo di corrispondere i tributi dovuti, quando risulti l’esistenza di maggiori uti-li percepiti extra bilancio. In tal caso soccorre la prova presuntiva la quale porta a ritenere che gli utili non contabilizzati siano entrati nella disponibilità dei soci ... La ristretta base familiare della società può essere elemento atto a far presumere che il maggior utile non contabilizzato sia distribuito ai soci».

In relazione a questa logica, il rapporto di particolare “complicità” è condizione necessa-ria e sufficiente per ritenere che «sul piano degli indizi la prova dell’avvenuta distribuzione».

Considerato che questa presunzione rappresenta ormai l’espressione consolidata della Suprema Corte, non manca di certo di rilievi critici. In realtà, concorde con quanto soste-nuto in dottrina dottrina (LUPI, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, Milano, 2011, p. 588 ss.; BEGHIN, L’occulta distribuzione dei dividendi nell’ambito della società di ca-pitali “a ristretta base” tra automatismi argomentativi e prova per presunzioni, in Giur. trib., 2004, p. 435, il quale evidenzia come «L’amministrazione finanziaria non può ignorare come il contatto con la fattispecie di evasione possa attuarsi a favore di alcuni ed a sfavore di altri i quali potrebbe, pertanto rimanere in concreto esclusi dalla fase di distribuzione del maggior reddito societario»), la presunzione di distribuzione degli utili appare fondata su elementi non sempre accettabili; spesso i soci di maggioranza preferiscono rinunciare ai maggiori redditi, pur di autofinanziare l’azienda, oppure si trovano a dover impiegare i mag-giori redditi in attività extra contabili, quali ad esempio, tangenti, operazioni straordinarie, ecc. In questo caso, gli utili non sono in possesso dei soci, ma sono reinvestiti all’interno della società, dunque, la presunzione non ha alcun fondamento.

Quanto alle ritenute delle società di capitali che optano per la tassazione per trasparen-za, invece, nel corso del tempo sono state oggetto di numerose interpretazioni da parte dell’Agenzie delle Entrate, originariamente con la Circolare n. 49/E/2004, era stato chiari-to che, in relazione a quanto disposto dal comma 3 dell’art. 115 TUIR, le ritenute d’ac-conto spiccate dalle società partecipate ed i conseguenti crediti d’imposta dovevano essere imputati obbligatoriamente ai soci, in relazione alla quota di partecipazione agli utili, per-tanto, da questi ultimi potevano essere portate in compensazione dal proprio reddito (o dalle propie imposte).

La società partecipata dopo aver proceduto agli obblighi prodromici, doveva obbliga-toriamente riversare ai soci, le ritenute, gli acconti ed crediti conseguenti. Successivamente

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con la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 56/E/2009, questa interpretazione è stata rivisitata, perché, attribuisce alle società di persone (regime al quale sono equiparate le so-cietà che optano per la tassazione per trasparenza) la facoltà di poter fruire delle ritenute non utilizzate dai soci.

A dipanare questa diversità sull’ambito soggettivo di applicazione delle ritenute è in-tervenuta la Risoluzione 3 ottobre 2011, n. 99/E che a seguito di un’istanza d’interpello proposto da parte di una società che ha optato per il regime di tassazione per trasparenza, evidenzia come il regime opzionale deve essere effettuato previa comunicazione da parte della società partecipata all’Agenzia delle Entrate, non assumono rilevanza i fatti conclu-denti effettuati dalle società interessate, inoltre, come detto in precedenza, il comma 3 dell’art. 115 TUIR, dispone che «le ritenute operate a titolo d’acconto sui redditi della so-cietà interessata, i relativi crediti d’imposta e gli acconti versati si scomputano dalle impo-ste dovute dai singoli soci secondo la percentuale di partecipazione agli utili».

Logico corollario è che l’interpretazione effettuata dalla Circolare n. 56/E/2009, non può essere accolta, infatti, le società di capitali che hanno optato per il regime di tassazione per trasparenza di cui agli artt. 115 e 116 TUIR, non possono usufruire della possibilità di portare in compensazione (scomputare) le ritenute operate e non utilizzate dai soci, inve-ce, per le società di persone tale facoltà è consentita.

Sebbene il regime di tassazione per trasparenza delle società di capitali, tende ad assi-milarsi a quello delle società di persone, tale differenzazione è dovuta alla circostanza che «la riattribuzione delle ritenute in capo alla società che ha optato per il regime della tra-sparenza avrebbe l’affetto di ricondurre (anche se solo limitatamente alle ritenute) il sog-getto “trasparente” all’ordinaria modalità di tassazione IRES, in evidente contraddizione con la scelta operata». Così si esprime la Risoluzione 3 ottobre 2011, n. 99/E.

In altri termini, il credito maturato per effetto delle ritenute non può essere utilizzato in compensazione dalla società, ma soltanto da soci che lo riportano nella propria dichia-razione dei redditi, a cui spetta di recuperare il credito, generalmente tramite la presenta-zione di un’istanza di rimborso. La Risoluzione evidenzia, inoltre, come la Circolare 23 dicembre 2009, n. 56, «nel fornire una lettura coordinata dell’articolo 22 del Tuir con l’articolo 17 del decreto legislativo 241 del 1997, ha previsto che i soci o associati alle so-cietà ed associazioni di cui all’articolo 5 del Tuir possano acconsentire in maniera espressa a che le ritenute che residuano, una volta operato lo scomputo dal loro debito IRPEF, sia-no utilizzate dalla società o associazione affinché il credito ad esse relativo, inevitabilmente maturato dalla società o associazione per assenza di imposta a debito, possa essere dalle stesse utilizzato in compensazione per i pagamenti di altre imposte e contributi mediante il modello F24 ex articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997».

Al riguardo si profila, pertanto, un trattamento differenziato tra società di persone e so-cietà di capitali e la soluzione prospettata dall’Amministrazione finanziaria desta alcune perplessità. Segnatamente l’Agenzia delle Entrate ricorda che i regimi opzionali della tas-sazione per trasparenza di cui agli artt. 115 e 116 TUIR, sono metodo impositivi opzionali per cui l’attribuzione delle ritenute alla società trasparente disattenderebbe le scelte opera-te dalla società e dai soci, quindi, l’effetto è quello di riportare il contribuente all’ordinaria modalità di tassazione IRES. Nelle società di persone di cui all’art. 5 TUIR la tassazione per trasparenza, invece, è un metodo impositivo naturale ed unico.

Orbene, l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate che è ritornata sul tema con diver-si documenti di prassi, quali le Circolari nn. 49/E/2004, n. 56/E/2009, 12/E/2010, le quali prevedono in modo restrittivo e semplicistico l’esclusione delle ritenute alle società

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determinare effetti favorevoli volti a rendere le aliquote progressive più basse

23.

4. Modalità di esercizio dell’opzione

Il comma 1 dell’art. 116 TUIR disciplina l’accesso al regime di trasparen-za per le società a ristretta base azionaria, con le stesse disposizioni previste in materia di trasparenza intersocietaria di cui all’art. 115 TUIR. Le condi-zioni richieste per l’esercizio dell’opzione devono perdurare per tutto il trien-nio, diversamente viene meno retroattivamente l’opzione.

L’art. 2, comma 1 del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 c.d. decreto semplifica-zioni fiscali, convertito con la L. 6 aprile 2012, n. 44, ha introdotto l’istituto della remissione in bonis, volto ad evitare che l’adempimento tardivo da par-te del contribuente impedisca di esercitare l’opzione, nonché di fruire di al- di cui agli artt. 115 e 116 TUIR, senza esaminare la ratio della norma con la quale è stata introdotta la tassazione per trasparenza opzionale delle società di capitali.

Sebbene l’art. 115, al comma 3, preveda che «che le ritenute operate a titolo d’acconto sui redditi di tale società, i relativi crediti d’imposta e gli acconti versati si scomputano dal-le imposte dovute dai singoli soci secondo la percentuale di partecipazione agli utili», ab-biamo già avuto modo di rilevare che, gli artt. 115 e 116 TUIR, rispondono a finalità diffe-renti, quindi se la restrizione prevista dall’Agenzia delle Entrate potrebbe essere ammissi-bile per le società di capitali partecipate da società di capitali come sancito dall’articolo predetto, (le quali optano con l’obiettivo di consentire una sorta di consolidato minore qualora le società non abbiano i requisiti di controllo).

Questa limitazione non dovrebbe essere estesa alle società a ristretta base proprietaria, dove l’equiparazione del regime fiscale delle s.r.l. a quello delle società di persone, trova la sua ratio nell’immedesimazione dei soci nella società; poiché, non sussiste separazione tra proprietà e gestione, sovente caratterizzate da una stretta connessione tra di loro.

Per cui in tal caso, non sussistono notevoli divergenze tra le società di persone e di ca-pitali, quindi, l’attribuzione delle ritenute in capo alla società non avrebbe disatteso le scel-te effettuate dal contribuente, ma semplicemente, determinato la parità di trattamento con le società di persone, come sancito dall’art. 116 TUIR.

Questa interpretazione, inoltre, sembra ignorare la natura opzionale del regime in que-stione, giacché si tende ad equiparare il regime delle società di capitali con quello delle so-cietà di persone, quindi non si capisce quale sia la logica che ha portato a differenziare il regime delle ritenute delle società di persone con quello delle società di capitali, che me-diante il regime opzionale tendono ad equipararsi.

Si veda sul punto SCANU, La presunzione di distribuzione degli utili nelle “piccole” società di capitali tra ragione fiscale e difesa del contribuente, in Riv. trim. dir. trib., 2012, p. 443.

23 L’unico provvedimento che l’Agenzia delle Entrate può prendere, è ai sensi del comma 3, art. 37, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, cioè casi di interposizione soggettiva fittizia.

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cuni benefici fiscali, pur avendo i requisiti sostanziali per accedere al regime di tassazione per trasparenza

24. La relazione di accompagnamento al D.L. n. 16/2012, precisa quali siano

le fattispecie sanabili mediante la remissioni in bonis, in particolare, rientrano il regime di tassazione per trasparenza di cui agli artt. 115 e 116 TUIR, il re-gime del consolidato fiscale ed, infine, il regime agevolato previsto per gli enti associativi di cui all’art. 148 TUIR.

L’opzione effettuata dalla società partecipata deve esercitarsi entro il primo dei tre periodi d’imposta a decorrere dal quale la stessa intende far valere il regime di trasparenza. Infatti, come precisato dalla Circolare dell’A-genzia delle Entrate 18 giugno 2008, n. 47/E in caso di opzione inviata tar-divamente, l’invio della comunicazione di opzione al regime predetto costi-tuisce condizione essenziale per l’ammissione al regime, essendo ininfluenti gli eventuali comportamenti concludenti tenuti dal contribuente

25. Con la remissione in bonis è consentito accedere al predetto regime opzio-

nale anche nell’ipotesi di tardiva presentazione della comunicazione, purché, la società partecipata abbia i requisiti sostanziali richiesti dagli artt. 115 e 116 TUIR, sia stata presentata entro il termine di presentazione della prima dichiarazione

26 e non siano stati avviati accessi, ispezioni e verifiche 27.

Per le società di persone questo regime impositivo rappresenta il regime ordinario, invece, per le s.r.l. è una facoltà che determina la perdita della sog-gettività tributaria ai fini IRES.

24 Questa particolare forma di ravvedimento operoso come chiarito dalla Circolare del-l’Agenzia delle Entrate 28 settembre 2012, n. 38/E «intende salvaguardare il contribuente in buona fede, esclude che il beneficio possa essere fruito o il regime applicato nelle ipotesi in cui il tardivo assolvimento dell’obbligo di comunicazione ovvero dell’adempimento di natura formale rappresenti un mero ripensamento, ovvero una scelta a posteriori basata su ragioni di opportunità. L’esistenza della buona fede, in altri termini, presuppone che il contribuente abbia tenuto un comportamento coerente con il regime opzionale prescelto ovvero con il beneficio fiscale di cui intende usufruire (c.d. comportamento concludente), ed abbia soltanto omesso l’adempimento formale normativamente richiesto, che viene po-sto in essere successivamente».

25 Sull’argomento si segnala la Circolare Assonime n. 14/2012. 26 In questo caso bisogna versare la sanzione prevista dall’art. 11, comma 1, lett. a), del

D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 nella misura minima prevista dalla disposizione (258.000 euro).

27 A tal proposito, è opportuno precisare che la Circolare dell’Agenzia delle Entrate 28 settembre 2012, n. 38/E afferma che «l’inizio di un’attività di accesso, ispezione, verifi-ca o di altra attività amministrativa di accertamento che abbia ad oggetto comparti imposi-tivi diversi da quello cui si riferisce il beneficio fiscale o il regime opzionale non sia ostativo alla possibilità di avvalersi dell’istituto in esame».

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La scelta del regime di trasparenza, comporta la modifica della tassazione del reddito complessivo, transitando l’imposizione nei confronti dei soci se-condo la quota di partecipazione agli utili, anche se non distribuiti

28. A dif-ferenza della tassazione per trasparenza di cui all’art. 115 TUIR, nella piccola trasparenza, il reddito d’impresa anche se determinato in capo alla società se-condo le disposizioni IRES, è in seguito assoggettato in capo ai soci persone fisiche secondo le aliquote progressive IRPEF.

Con tale regime si elimina il duplice passaggio impositivo, prima nei con-fronti della società e poi nei riguardi dei soci, ottenendo, così, l’eliminazione della doppia imposizione ed avere una rapida imposizione sulla base impo-nibile; essa comporta che ai soci siano ripartiti gli acconti d’imposta

29, i cre-diti d’imposta e le ritenute operate a titolo di acconto sui redditi della stessa società, secondo le disposizioni di cui all’art. 115 TUIR.

In merito alle modalità, va evidenziato che il diritto d’opzione è vincolan-te per tre periodi d’imposta, ed in considerazione del carattere strettamente personale, deve essere espresso da tutte le persone fisiche

30 che partecipano al regime di trasparenza. Proprio l’unanimità è l’espressione della partecipa-zione dei soci alle scelte strategiche della società.

Tale opzione deve essere comunicata dalla società partecipata all’Ammi-nistrazione Finanziaria, entro il primo dei tre periodi di imposta, in relazio-

28 V. POGGIOLI, Appunti sul regime di tassazione per trasparenza intersocietario di cui all’art. 115 Tuir: profili funzionali, aspetti applicativi e risvolti problematici, in Dir. prat. trib., 2006, p. 47ss.

29 Il comma 7 dell’art. 115 TUIR, stabilisce che «nel primo esercizio di efficacia del-l’opzione gli obblighi di acconto permangono anche in capo alla partecipata. Per la deter-minazione degli obblighi di acconto della partecipata stessa e dei suoi soci, nel caso venga meno l’efficacia dell’opzione, si applica quanto previsto nell’articolo 124, comma 2».

30 Sul punto, si veda RUSSO, I soggetti passivi dell’Ires e la determinazione della base imponi-bile, in Riv. dir. trib., 2004, p. 325 ss., il quale afferma che «l’unanime consenso dei soci, che deve essere all’origine della tassazione per trasparenza della s.r.l., ricompone a nostro avviso la diversità con la società di persone: mentre per queste ultime il diritto all’immediata perce-zione degli utili è direttamente sancita dal codice civile e la norma fiscale si limita a prender-ne atto, per la prima questo diritto, non attribuito dalla legge civile, è implicitamente dato per presupposto dalla norma fiscale laddove richiede obbligatoriamente l’opzione unanime per la trasparenza. Alle spalle di una scelta (fiscale) di questo tipo vi sarà infatti, verosimilmente, l’intesa tra i soci (magari recepita in un patto parasociale se non addirittura nello statuto) di procedere alla distribuzione periodica degli utili onde consentire ad essi di far fronte al pre-lievo gravante sui medesimi; e ciò per l’appunto, consente di ritenere, secondo il canone del-l’id quod plerumque accidit, come per i soci delle s.r.l. che avranno optato per la trasparenza vi sarà un diritto in qualche misura simile, quanto a contenuto, a quello vantato dal socio di una società di persone alla percezione degli utili emergenti approvato».

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ne alle modalità disposte in un provvedimento del Direttore dell’Agenzia del-le Entrate.

Affinché sia valida l’opzione è necessario che:

a) il socio manifesti la propria volontà ad optare per il regime della tra-sparenza, mediante invio alla partecipata di una raccomandata con ricevuta di ritorno;

b) la società partecipata comunichi all’Agenzia delle Entrate l’esercizio del-l’opzione per il regime di trasparenza;

c) la partecipata comunichi all’Agenzia delle Entrate il verificarsi di uno degli eventi che provocano la decadenza dal regime, entro i successivi trenta giorni, decorrenti:

– dall’avvenuta modifica della compagine sociale, per l’ingresso di nuovi soci, che determini il superamento del numero massimo dei soci ammessi;

– dall’avvenuta modifica della compagine sociale, per l’ingresso anche di un nuovo socio che non sia persona fisica;

– dalla data in cui il socio estero non possegga la quota attraverso una stabile organizzazione.

Il rinnovo dell’opzione, al termine del triennio, deve avvenire con le stes-se modalità effettuate per la prima opzione, così come previsto dalle società di capitali in genere. In base all’art. 5 del decreto ministeriale, quindi, i soci dovranno reiterare la raccomandata e la società dovrà effettuare una nuova comunicazione all’Agenzia delle Entrate, entro il primo periodo di imposta successivo al triennio di efficacia del regime in precedenza scelto

31.

31 Costituiscono, invece, cause di esclusione dal regime di cui all’art. 116 TUIR, l’op-zione della partecipata per il consolidato nazionale o mondiale e l’assoggettamento della stessa alle procedure concorsuali di cui all’art. 101 del TUIR. Con il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, tra le cause di esclusione al regime opzionale della tassazione per trasparenza delle società a ristretta base sociale vi era il possesso da parte della società trasparente di partecipazioni esenti di cui all’art 87 TUIR.

Questa causa di esclusione trovava la sua ratio, nell’impossibilità concessa di trasferire quote sociali tramite una s.r.l. alla persona fisica e beneficiare, dunque, di regimi fiscali più favorevoli attribuiti generalmente ai soggetti IRES. Il semplice possesso di una partecipazio-ne qualificata pex, anche se irrilevante era sufficiente, affinché, fosse preclusa l’opzione al re-gime di trasparenza; certamente, non mancavano gli escamotage, considerato che poteva ag-girarsi l’ostacolo, intestando alle società una partecipazione “non pex” e consentire alla per-sona fisica socia di usufruire della tassazione del 5% sui dividendi. Nel corso del tempo, si è cercato più volte di emendare la norma, originariamente con l’art. 14, comma 3, del D.M. 23 aprile 2004, il quale escludeva tra le cause di inammissibilità al regime, le quote di partecipa-zione acquistate in conseguenza di un obbligo di legge, atto amministrativo o regolamentare.

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5. Cause di decadenza dal regime di trasparenza

Per quanto concerne le cause di decadenza dal regime fiscale di nostro interesse, è necessario fare riferimento al comma 2, dell’art. 14 del decreto ministeriale che disciplina la decorrenza degli effetti della perdita di effica-cia dell’opzione, nel caso in cui vengano meno i requisiti previsti per l’accesso alla trasparenza (relativamente al superamento della soglia mas-sima dei ricavi e al mutamento della compagine sociale cioè un numero

In seguito, l’Agenzia delle Entrate con la Circolare 22 novembre 2004, n. 49/E, am-pliava l’ambito delle deroghe alle cause di esclusione, inserendo le partecipazioni che per propria intrinseca caratteristica non possono generare plusvalenze, poiché, risultano intra-sferibili o per legge o per statuto e trasferibili semplicemente al valore nominale, le parte-cipazioni rappresentano una causa limitativa quando per legge o per statuto si può realiz-zare la plusvalenza. La Circolare in questione, dunque, si è ben armonizzata con quanto disposto nella relazione illustrativa del decreto di attuazione della delega fiscale, pur non riuscendo a eliminare del tutto le distorsioni normative che il decreto presenta.

Rileviamo come il limite posto ai sensi dell’art 87 TUIR nel corso del tempo sia stato esagerato rispetto agli obiettivi prefissati tanto che il comma 16, dell’art. 36 del D.L. 4 lu-glio 2006, n. 223, convertito con la L. 4 agosto 2006, n. 248 modifica il comma 1 dell’art. 116 TUIR, eliminando la causa di esclusione al regime di trasparenza, qualora la società detenesse una partecipazione con i requisiti per l’esenzione.

Le plusvalenze aventi i requisiti per l’esenzione (art. 87 TUIR), i dividendi percepiti ai sensi dell’art. 89 TUIR e i proventi ad essi equiparati concorrono a formare il reddito im-ponibile della partecipata nella misura del 40%, prevista per i soggetti IRPEF, ai sensi del comma 2, dell’art. 58 e art. 59 TUIR, anziché nella misura inferiore prevista ai fini IRES.

Sostanzialmente, si presentava un evidente contrasto con i principi dettati dalla legge de-lega n. 80/2003, comma 1, art. 4, in cui è prevista «equiparazione ai fini delle imposte dirette delle società a responsabilità limitata che esercita l’opzione ad una società di persone». Il punto di divergenza, atteneva al fatto che i dividendi di cui all’art. 89 TUIR, erano esenti per il 95%, dunque, il reddito imponibile era tassato in misura pari al 5% come i soggetti IRES.

In realtà con la tassazione per trasparenza, le s.r.l. sono equiparate alle società di perso-ne, perché si applicava l’aliquota prevista per i soggetti IRES e non l’aliquota IRPEF visto che l’imputazione avviene in capo al socio?

Da qui l’esigenza di determinare il reddito d’impresa della s.r.l. trasparente seguendo le disposizioni dell’IRPEF, eliminando, infatti, gli arbitraggi che per lungo tempo hanno ca-ratterizzato questo sistema.

Questa modifica normativa ha corretto da un lato quell’incoerenza che determinava che i dividendi fossero tassati in capo al socio secondo la disciplina IRES, conseguente-mente dall’altro, consente di evitare che una persona fisica godesse dell’esenzione parziale delle plusvalenze, destinate esclusivamente alle società di capitali.

Alla luce della riforma in esame, il reddito imponibile prodotto dalla società trasparente è trasferito ai soci e tassato con l’aliquota marginale IRPEF, nella misura pari al 40% del loro ammontare. Orbene, con la modifica in oggetto è stato adottato finalmente lo stesso criterio di quantificazione delle quote imponibili delle partecipazioni delle società di persone.

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complessivo superiore a dieci o venti per le società cooperative) 32.

Quanto detto comporta che la decadenza dall’opzione produce effetti immediati dal periodo di imposta

33 nel corso del quale si verifica la modifica della compagine sociale.

Ci si chiede se, in caso di mutamento della compagine sociale e conside-rato lo stretto rapporto di complicità che vige tra i soci, sia richiesto o meno che il socio subentrante eserciti il proprio consenso all’opzione, perché è già vincolato da quanto già espresso precedentemente; siffatto quesito si pone sia nel caso in cui subentri un nuovo socio, sia in caso di aumento della compagine sociale, fermo restando, il limite numerico imposto dalle dispo-sizioni in esame.

Nel caso de qua al nuovo socio viene esteso il regime di trasparenza prece-dentemente esercitato senza richiedere un’espressa accettazione del socio su-bentrante, si ritiene, pertanto, come proprio in virtù dell’intuitu persone e dello stretto legame di familiarità che regna all’interno delle società a ristretta base proprietaria, sia necessario che il socio il quale si addossi adempimenti ed oneri, manifesti chiaramente la propria volontà, poiché, non sussiste alcuna sanzione in caso di mancata (omissione) comunicazione al nuovo socio.

Orbene, concordiamo nel ritenere che «ogni evento giuridico (inter vi-vos o mortis causa) da cui consegue un mutamento della compagine sociale deve comportare il riconoscimento del diritto dei soci subentranti di con-fermare o meno l’opzione per il regime di tassazione per trasparenza. Si trat-ta di un passaggio ineludibile, tanto che ogni altra soluzione espone la disci-plina in esame a censure di incostituzionalità

34». Per ciò che attiene l’ambito oggettivo, il comma 1 dell’art. 116 TUIR,

stabilisce che: «l’opzione di cui all’art. 115 può essere esercitata ... dalle so-cietà a responsabilità limitata il cui volume di ricavi non supera le soglie pre-

32 V. FANTOZZI-SPOTO, Prime osservazioni in materia di trasparenza fiscale delle società di capitali, in Riv. dir. trib., 2003, p. 685.

33 In caso di trasformazione, la decadenza dall’opzione esplica i propri effetti a partire: – dalla data di trasformazione; – dall’inizio del periodo di imposta, in caso di trasformazione in società di cui all’art. 115,

diverse dalle s.r.l.; in tal caso, infatti, avvenendo la trasformazione nell’ambito di società soggette alla medesima imposta, il periodo di imposta è unico e può essere riferito intera-mente alla società trasformata; per cui, l’assenza, fin dall’inizio del periodo di imposta, del-la forma giuridica richiesta dall’art. 116 TUIR, produrrà effetti sulla decadenza dal regime fin dal suddetto inizio.

34 Così, RASI, op. cit., p. 219.

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viste per l’applicazione degli studi di settore ...». È pienamente condivisibile l’idea di ancorare il limite quantitativo per l’esercizio dell’opzione al volume di ricavi previsto per gli studi di settore, innanzitutto perché tende a circo-scrivere la ristretta base sociale ed, inoltre

35, le “gravi incongruenze” tra i ri-cavi dichiarati ed i ricavi predeterminati, rappresentano, il trait d’union tra i dati di normalità economica, forniti dallo studio sulla base di medie statisti-che e la reale situazione del contribuente sottoposto ad accertamento

36. In altri termini, l’Amministrazione finanziaria è obbligata a rapportare i

dati di normalità economica all’effettiva situazione del contribuente creando, in tal senso, «quell’effetto di sostituzione tra il dato reale ed il dato offerto dall’applicazione del modello matematico-statistico»

37. Precisiamo che il rinvio effettuato dall’art. 116 TUIR agli studi di settore,

attiene semplicemente al volume di ricavi e non all’iter procedimentale rela-tivo allo studio medesimo. Quindi la ristrettezza della base sociale viene sempre parametrata sulla reale situazione della società e nel caso in oggetto il volume dei ricavi ha la finalità di scindere le piccole dalle grandi imprese.

Se esaminiamo il dato normativo, rileviamo come l’art. 116 TUIR, di-spone che «l’opzione di cui all’art. 115 Tuir, può essere esercitata dalla so-cietà ... dalle società a responsabilità limitata il cui volume di ricavi non su-pera la soglia prevista per gli studi di settore»; si evince quanto sia inin-fluente l’esistenza o meno degli studi di settore, poiché, la norma fa riferi-mento al volume di ricavi

38. Con il termine “ricavi” il legislatore non ha ben chiarito quali ricavi si in-

35 V. BEGHIN, L’illegittimità dell’avviso di accertamento carente di specifica motivazione quanto alle “gravi incongruenze” previste dall’art. 62-sexies, comma 3, del D.L. n. 331/1993: un’adeguata reazione alla connotazione “statistico probabilistica” degli studi di settore, in Riv. dir. trib., 2005, p. 454, il quale afferma che «gli studi sembrano così declinare la connota-zione di strumenti direttamente preordinati alla rettifica della dichiarazione, ripiegando invece, sul versante funzionale, verso l’area dei mezzi di mera selezione dei contribuenti da accertare. Nell’accogliere codesta chiave di lettura della disciplina, gli studi di settore si uni-formano alla (pur laconica) previsione di cui all’art. 62 bis del D.L. n. 331/1993, stando al quale i citati strumenti avrebbero dovuto contribuire ad incrementare l’efficacia dell’azio-ne accertatrice, senza trasformarla, per questa parte, in un controllo di tipo cartolare: con-trollo, questo, strutturalmente disattento alla reale situazione economica del singolo im-prenditore e dominato, invece, dall’applicazione di strumenti – come tosto diremo – di chia-ra impronta statistico-probabilistica».

36 Sul punto, si vedano tra tutte, le sentenze della Cass. n. 19556/20007 e n. 22938/2007. 37 Così BEGHIN, I soggetti sottoposti all’applicazione degli studi di settore, in FALSITTA (a

cura di), Manuale di Diritto Tributario. Parte Speciale, Milano, 2008, p. 643 ss. 38 Si veda Circolare dell’Agenzia delle Entrate 16 marzo 2005, n. 10/E.

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tendono, a dissipare il dubbio è intervenuto il D.M. 23 aprile 2004 che, al comma 1, lett. a), precisa come questo regime, sia consentito anche per co-loro i quali non rientrino negli studi di settore, purché non venga superata la soglia consentita di ricavi

39, facendo riferimento ai ricavi tipici, attribuendo, pertanto, importanza soltanto ai ricavi relativi alla gestione caratteristica della società

40. In altri termini, nel caso in cui la società partecipata

41 oltrepassi la soglia massima di ricavi

42, essa decade dal regime di trasparenza a partire dal pe-riodo d’imposta successivo

43. Il comma 1, lett. a) dell’art. 14 del decreto ministeriale, stabilisce, inoltre,

ai fini del diritto di opzione, di prendere in considerazione «... il volume di ricavi della società partecipata indicati in dichiarazione dei redditi preceden-te a quello di opzione ...»

44.

39 Evidenziamo come questo limite faccia riferimento ai ricavi tipici, di cui, comma 1, lett. a), art. 14 del D.M. 23 aprile 2004.

40 Sono esclusi tutti quei ricavi che ai sensi dell’art. 85, comma 1, lett. c) e) del TUIR, segnatamente la lett. c) contempla «i corrispettivi delle cessioni di azioni o quote di parte-cipazioni, anche non rappresentate da titoli, al capitale di società ed enti di cui all’art. 73, che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diverse da quelle cui si applica l’esen-zione di cui all’art. 87, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa», invece, la lett. e), prevede «i corrispettivi delle cessioni di obbligazioni e di altri titoli in serie o di massa diversi da quelli di cui alle lett. c) e d) precedenti che non co-stituiscono immobilizzazioni finanziarie, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa».

41 Come disposto dall’art. 9 del D.M. 23 aprile, 2004, per le altre cause di decadenza dal regime. I soci a loro volta, possono cedere alla partecipata gli acconti ed i saldi IRPEF ver-sati, in proporzione al reddito precedentemente imputato loro per trasparenza.

42 Logicamente, quest’analisi dovrà considerare gli aggiornamenti e le integrazioni ai parametri degli studi di settore.

43 Questo dato va rilevato sulla base della dichiarazione dei redditi presentata per l’anno precedente, che prende in considerazione l’eventuale adeguamento ai ricavi risultanti dal-l’applicazione degli studi di settore e concordato preventivo. V. comma 2, art. 14 del D.M. 23 aprile 2004.

44 Seguendo questa interpretazione, l’opzione alla trasparenza fiscale non sarebbe con-cessa alle società neo-costituite, ma questo orientamento non è in linea con quanto previ-sto dalla Circolare 22 novembre, 2004, n. 49/E, la quale ha evidenziato che:

– sono sempre ammesse al regime di trasparenza di cui all’art. 116 TUIR, poiché, non è consentito effettuare nessuna verifica sull’entità dei ricavi, relativi all’anno che precede quello a partire dal quale si opta per la trasparenza;

– per il mantenimento del regime nell’anno successivo al primo deve, essere effettuato un controllo dei ricavi conseguiti, mediante il loro ragguaglio all’anno.

A titolo esemplificativo, una società costituita nel 2007, può optare per questo periodo

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Un accertamento che rettificherà ad una s.r.l. un volume di ricavi che ol-trepassa la soglia consentita per l’esercizio dell’opzione

45, determina la de-cadenza dal regime, dunque, l’Amministrazione finanziaria dovrà provvede-re ad applicare il regime ordinario «recuperando l’IRES dovuta, ed appli-cando le sanzioni e gli interessi relativi alla minore imposta versata, senza al-cuna solidarietà tra i soci»

46. Le altre cause che determinano la decadenza dal regime di trasparenza,

come già esaminato nel regime di trasparenza di cui all’art. 115 TUIR, sono: l’assoggettamento della partecipata ad una delle procedure concorsuali, fu-sione o scissione della società partecipata; il trasferimento all’estero della re-sidenza di quest’ultima società.

In merito alla trasformazione della s.r.l. in società di persone, il problema non sembra sussistere giacché la tassazione per trasparenza costituisce il re-gime ordinario di tassazione, differente sarebbe la situazione in cui la s.r.l. si trasformasse in società di capitali, perché in tal caso non sussisterebbe la ri-strettezza della base sociale, quindi verrebbe meno il requisito per cui il re-gime decaderebbe.

6. Le perdite nella “piccola trasparenza”

Il regime delle perdite d’impresa è caratterizzato da frequenti interventi normativi, ispirati prevalentemente a finalità semplificative e nel contempo di stabilizzazione del gettito

47, hanno reso particolarmente articolato il si-stema

48. d’imposta per il regime in questione, indipendentemente dai ricavi realizzati, in conse-guenza al ragguaglio se i limiti di ricavi consentiti risultano oltrepassati, il regime opzionale decade a partire dal periodo d’imposta successivo, cioè dal 2008.

45 Sul punto ROSSI, La trasparenza “minore” delle S.r.l. e cooperative – Le problematiche connesse all’accesso ed al mantenimento del regime di trasparenza, in Il Fisco, 2005, p. 14486, sostiene che «La partecipazione decade altresì dalla trasparenza, ma con effetti a partire dal periodo d’imposta successivo (art. 14, c. 2, del decreto ministeriale), quando consegue ricavi superiori alla soglia massima di ricavi: trattasi di un dato rilevabile a consuntivo sulla base della dichiarazione dei redditi presentata per l’anno precedente, che tiene conto an-che dell’eventuale adeguamento ai ricavi risultanti dall’applicazione dei parametri, studi di settore e concordato preventivo».

46 V. DODERO, Nuovi chiarimenti sulla trasparenza fiscale, in Corr. trib., 2005, p. 835 ss. 47 A tal proposito si rinvia alla lettura della relazione illustrativa al D.L. n. 98/2011. 48 Per una completa ricostruzione sull’evoluzione della disciplina delle perdite si rin-

via a FRANSONI, Finanziaria 2008 e modifiche alla disciplina delle perdite, in Riv. dir. trib.,

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Significativa è stata la c.d. “Manovra correttiva” che, all’art. 23, comma 9, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98

49, ha ridisegnato il riporto in avanti delle perdi-te d’impresa di cui all’art. 84 TUIR, uniformandosi al regime già in vigore ne-gli altri Paesi comunitari

50. L’art. 23, comma 9, del D.L. n. 98/2011

51, ha apportato significative mo-difiche al regime fiscale delle perdite d’impresa in ambito IRES

52, modifi-cando i commi 1 e 2 dell’art. 84 TUIR

53, prevedendo che la riportabilità del-le perdite in diminuzione dagli utili dei successivi periodi d’imposta, possa avvenire in misura non superiore all’80% del reddito imponibile, superando il limite quantitativo del riporto quinquennale

54. Questa nuova disposizione 2008, p. 651, il quale giustamente afferma che «questa situazione non è nuova, perché la stessa evoluzione della disciplina in questione si presenta ispirata a criteri che quasi mai si prestano ad essere ricondotti ad una logica univoca».

49 Conv. con modificazioni dalla L. 15 luglio 2011, n. 111. 50 V. ZIZZO, Considerazioni sistematiche in tema di utilizzo delle perdite fiscali, in Rass.

trib., 2008, p. 929, il quale evidenzia che «stabiliscono un termine di cinque anni, oltre all’Italia, la Grecia, la Repubblica Ceca, la Lettonia, la Lituania, la Polonia e la Slovacchia; il Portogallo fissa un termine di 6 anni, la Slovenia di 7, la Finlandia di 10, la Spagna di 15; gli altri tredici Stati non indicano alcuna scadenza».

51 Intitolato “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, conv. con modifica-zioni dalla L. 15 luglio 2011, n. 111.

52 Sull’argomento si vedano Circolare dell’Agenzia delle Entrate 6 dicembre 2011, n. 53/E nonché quella dell’istituto di ricerca del Consiglio Nazionale dei Dottori Commer-cialisti 14 settembre 2011, n. 24/IR e dell’Assonime 22 dicembre 2011, n. 33.

53 Sotto il profilo soggettivo, il legislatore ha modificato i commi 1 e 2 dell’art. 84 TUIR, lasciando immutata la disciplina dei soggetti passivi IRPEF e contemplando soltanto i sog-getti passivi IRES previsti nell’art. 73 TUIR, esclusi gli enti non commerciali. Il legislatore in relazione alle perdite maturate nei primi tre periodi d’imposta, ha previsto al comma 12 del-l’art. 84 TUIR, che «le perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta dalla data di costitu-zione possono, con le modalità previste al 1 comma, essere computate in diminuzione dal reddito complessivo dei periodi d’imposta successivi entro il limite del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza nel reddito imponibile di ciascuno di essi a condizione che si riferiscano ad una nuova attività produttiva».

54 V. DELLA VALLE, Perdite fiscali e recessione, in Corr. trib., 2009, p. 987, il quale rico-struisce l’impostazione dottrinale del tema de quo e offre tre chiavi di lettura sull’origine del vincolo quinquennale. Secondo una corrente maggioritaria (FRANSONI, op. cit., p. 651; CROVATO, L’imputazione a periodo nelle imposte sui redditi, Padova, 1996, p. 33; GARGIULO, Sulla non contestabilità, nell’esercizio del riporto della perdite di un periodo d’imposta definito, in Riv. giur. trib., 2007, p. 1004; LUPI Riporto delle perdite e fusioni di società, in Rass. trib., 1988, p. 281) la ratio del vincolo quinquennale va ricercata nella necessità di correlare il periodo di riporto con il termine per l’accertamento, anche se attualmente è quadriennale. Secondo altri (GIOVANARDI, Riporto delle perdite, in AA.VV., Imposta sul reddito delle persone

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trova applicazione solo per le perdite pregresse 55, vale a dire per le perdite

maturate prima dell’esercizio dell’opzione per la tassazione per trasparenza, pertanto queste perdite sono utilizzabili solo dai soggetti che li hanno rea-lizzate, quindi, concorrono a ridurre il gettito

56. Per un esame più attento del regime delle perdite maturate in regime di

tassazione per trasparenza, esaminiamo prioritariamente le perdite maturate durante il periodo di opzione e, successivamente, le perdite pregresse.

Come espressamente previsto dall’art. 116 TUIR, le perdite fiscali delle s.r.l. maturate durante il periodo di opzione al regime de qua, sono imputate al socio persona fisica

57 con le stesse modalità previste per la “grande traspa-renza”. Il comma 3 dell’art. 115 TUIR, disciplina il riporto delle perdite nel regime di tassazione per trasparenza delle società di capitali, e stabilisce che le perdite della società partecipata, relative ai periodi in cui è valida l’opzio-ne, possono essere imputate alle società partecipanti in relazione alla quota di partecipazione agli utili; entro il limite dalla quota di patrimonio netto con-tabile

58 della società partecipata 59.

Le perdite sopra individuate possono essere utilizzate dai soci in diminu-zione dei redditi conseguiti, pertanto, alle perdite maturate durante l’opzio-ne, la nuova disciplina non ha apportato modifiche significative poiche’ le innovazioni involgono soltanto il regime delle perdite pregresse. giuridiche, nella collana Giurisprudenza sistematica di diritto tributario a cura di Tesauro, Torino, 1996, p. 191) il limite quinquennale sarebbe dettato da esigenze di snellezza e ra-pidità dei rapporti tributari. Altra dottrina (ZIZZO, Profili di incostituzionalità del regime dell’utilizzo delle perdite nelle imposte sul reddito, in Corr. trib., 2007, p. 1990), invece, so-stiene che il limite temporale tende generalmente ad incrementare il gettito, di cui l’Ammi-nistrazione finanziaria ha sempre necessità.

55Sul punto LUPI, Riporto delle perdite, cit., p. 282, il quale giustamente afferma che «trova giustificazione alla luce dello stesso principio di capacità contributiva, essendo un modo di considerare sotto tale profilo anche vicende verificatesi in periodi d’imposta pre-cedenti o, come avverrebbe per il riporto all’indietro, successivi; l’eliminazione degli in-convenienti connessi alla divisione del tempo in periodi d’imposta non costituisce perciò un’esenzione od una agevolazione, bensì un correttivo intrinseco alla logica del tributo».

56 Per un esame più approfondito della tematica ci sia consentito rinviare a DE MARCO, Il trattamento fiscale, cit., p. 446.

57 In merito alla tassazione per trasparenza delle società di persone, si veda tra tutti BO-RIA, op. cit.

58 Nel silenzio normativo l’Amministrazione finanziaria ritiene doversi riferire al patri-monio esistente al momento di imputazione dei redditi e cioè alla data di chiusura del pe-riodo d’imposta.

59 V. DI SIENA, Note sparse a margine del rinnovato regime di riporto delle perdite fiscali da parte dei soggetti Ires, in Riv. trim. dir. trib., 2012, p. 629.

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L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 53/E/2011, chiarisce che per i regimi della tassazione per trasparenza e del consolidato le nuove disposi-zioni normative non si applicano alle perdite generatesi durante l’opzione, poiché, si tratta di compensazione di risultati “coevi”

60. In altri termini, la per-dita realizzata dalla società trasparente può essere portata in diminuzione dal reddito d’impresa delle partecipanti, trattandosi di una perdita di perio-do e quindi, non influisce la nuova regola.

Così come previsto per le perdite di cui all’art. 115 TUIR, quelle riferite all’art. 116 TUIR, sono imputate ai soci in relazione alle quote di partecipa-zione ed entro il limite della quota di patrimonio netto contabile della socie-tà partecipata

61. Con il D.L. 4 luglio 2006, n. 223 il legislatore, oltre a correggere una so-

stanziale diversità tra il regime delle perdite pregresse maturate durante il re-gime opzionale della tassazione per trasparenza e del consolidato

62, ai commi 10 e 11 dell’art. 36 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, prevede che le perdite dei soci, relative a periodi anteriori alla tassazione per trasparenza, non possano essere utilizzate per compensare i redditi imputati dalla società partecipata

63. Con la stessa ratio è stato introdotto il comma 10 dell’art. 36, del D.L. 4

luglio 2006, n. 223, convertito con L. 4 agosto 2006, n. 248, il quale ha este-so la limitazione all’utilizzo delle perdite pregresse del socio di cui al comma 2, art. 116 TUIR, anche alla trasparenza a ristretta base sociale

64. È fatto di-

60 Così come definiti nella Circolare Assonime 22 dicembre 2011, n. 33. 61 Per l’individuazione dei soggetti cui imputare pro-quota le perdite, bisogna fare rife-

rimento alla compagine sociale esistente alla chiusura del periodo d’imposta della società partecipata, infatti, non saranno interessati per le perdite maturate coloro le quali abbiano perso la qualifica di socio allo scadere del periodo d’imposta.

62 Prima dell’intervento appena esaminato, infatti, era più vantaggioso l’utilizzo delle perdite fiscali pregresse in regime di trasparenza, rispetto a quanto disciplinato in caso op-zione per il consolidato nazionale tanto da favorire la scelta in conformità a una pianifica-zione fiscale.

63 Il regime di trasparenza prevedeva per le società partecipanti la possibilità di utilizza-re le perdite pregresse sia per compensare i propri redditi che quelli imputati per traspa-renza dalla società partecipata. Al fine di evitare queste possibili “asimmetrie”, il legislatore con il comma 9, dell’art. 36, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, ha aggiunto alla fine del comma 3, dell’art. 115 TUIR, il seguente periodo: «Le perdite fiscali dei soci relative agli esercizi an-teriori all’inizio della tassazione per trasparenza non possono essere utilizzate per compen-sare i redditi imputati dalle società partecipate». Il legislatore, così ha inteso uniformare la disciplina a quanto previsto per il consolidato fiscale.

64 V. DEOTTO-MICHELUTTI, Il trattamento dei redditi e perdite nel regime di trasparenza fiscale, in Dir. prat. soc., 2005, p. 34 ss.

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vieto utilizzare in compensazione verticale, perdite pregresse imputate ai so-ci, attinenti ad altri redditi d’impresa.

Sostanzialmente tale divieto permane non solo nell’ipotesi in cui le per-dite provengano da altra attività di impresa

65, ma anche nel caso in cui esse siano state attribuite per trasparenza in precedenti periodi d’imposta

66. Questa statuizione normativa, invece, non è prevista per le società di per-

sone, a cui si ispira il regime di trasparenza. Appare evidente, dunque, la di-sparità di trattamento tra i soggetti IRES

67 ed IRPEF, nonostante in en-trambe le circostanze il reddito o le perdite vengano imputate direttamente in capo ai soci.

Con riferimento alla questione relativa al limite quantitativo della ripor-tabilità delle perdite in diminuzione dagli utili dei successivi periodi d’impo-sta, l’art. 84 TUIR, ha previsto che essa possa avvenire in misura non supe-riore all’80% del reddito imponibile. Esso trova applicazione per le perdite maturate prima dell’esercizio dell’opzione per la tassazione per trasparenza; la norma stabilisce, infatti, che queste perdite siano utilizzabili solo dai sog-getti che le hanno realizzate per portarle successivamente in diminuzione dal proprio reddito

68. In buona sostanza, queste perdite riducono solo il reddito formato in capo alla partecipata, senza possibilità di trasferirle ai soci.

Ciò è stato voluto per evitare di creare confusione tra le perdite pregresse e quelle maturate durante il periodo di validità dell’opzione.

Le limitazioni poste al regime di trasparenza delle società a ristretta base proprietaria, sembrano trovare la loro giustificazione nell’esigenza di incre-mentare le casse dell’Erario e non di fornire uno strumento con finalità anti-elusive

69 come per le società di cui all’art. 115 TUIR 70.

65 Si veda POGGIOLI, La limitata spendibilità delle perdite pregresse nei regimi opzionali della trasparenza, in Corr. trib., 2006, p. 3169 ss.

66 Ad esempio nel caso in cui si è avuta una trasformazione da società di persone a so-cietà di capitali, che decidono di optare per il regime di trasparenza fiscale.

67 Si intendono in questo contesto esclusivamente i soggetti che esercitano l’opzione per la trasparenza fiscale.

68 V. FERRANTI, La disciplina del riporto delle perdite si adegua alla crisi economica, in Corr. trib., 2011, p. 2477.

69 V. LUPI-STEVANATO, Antielusione e dintorni nelle operazioni societarie: casistica in mar-gine ad un convegno, in Rass. trib., 1994, p. 198 ss.

70 BEGHIN, L’illimitato riporto delle perdite nell’Ires tra “nuovi” soggetti e nuove attività, in Corr. trib., 2006, p. 2945 ss.; CIANI, Nuovi limiti nella deduzione delle perdite fiscali, in Boll. trib., 2007, p. 683 ss.

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Orbene, concordiamo con chi 71 sostiene come «la tassazione per traspa-

renza di cui all’art. 116 manifesta (nel quadro del consolidato fiscale e della trasparenza) un tratto peculiare. Mentre tutti gli altri istituti nominati (conso-lidati e tassazione per trasparenza di cui all’art. 115 TUIR) operano esclusi-vamente a livello societario, permettendo (...) di includere nell’imponibile di una società il reddito o la perdita di un’altra società (partecipata), la tassazio-ne per trasparenza di cui all’art. 116 si spinge a livello di persone fisiche».

Questa limitazione, in talune circostanze, renderebbe più vantaggiosa la trasformazione delle società a responsabilità limitata in società di persone

72 considerato che sarebbe consentito l’utilizzo di perdite pregresse, poiché, non sussisterebbe alcun limite.

Il legislatore nel porre rimedio alla divergenza tra le perdite del regime di trasparenza e del consolidato, non ha tenuto conto delle gravi incoerenze che ha generato nella piccola trasparenza, trovandosi in contrasto con la ratio dell’istituto in questione, anche con la riforma del diritto societario (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), che ha voluto attribuire alle s.r.l., la veste non di so-rella minore della s.p.a., ma di una società intermedia tra le società di capitali e le società di persone, dotata di autonomia normativa e snellezza decisionale.

Conclusivamente si può affermare come l’Erario certamente abbia rim-pinguato le “casse”, ma generato non pochi problemi alle s.r.l. che decidono di optare per l’opzione per trasparenza.

7. Brevi riflessioni sull’accertamento

Il particolare rapporto di consequenzialità tra determinazione del reddi-to dei soci e della società

73, ci induce a chiederci chi sia il soggetto cui noti-

71 V. ZIZZO, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, a cura di Falsitta, Padova, 2005, p. 431 ss.

72 Si veda Risoluzione 16 maggio 2005, n. 60, in Corr. trib., 2005, p. 1927, con com-mento di Stevanato.

73 Il rapporto che intercorre tra i soci e la società ci consente di individuare una fatti-specie in cui si traccia un regime di solidarietà dipendente in relazione al rapporto tra de-terminazione/dichiarazione della società dichiarazione/liquidazione da parte del socio poi-ché la società partecipata è obbligata come garante del debito dei soci. In tale contesto, la società partecipata – seppur formalmente – assume soggettività passiva esclusivamente in merito ad alcuni adempimenti quali la determinazione e la dichiarazione del reddito d’im-presa da imputare poi ai soci. La responsabilità della partecipata dovrebbe, pertanto, indi-viduarsi in una responsabilità a titolo di garanzia, di tipo dipendente, determinando così

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ficare l’avviso di accertamento 74. Così come previsto per le società di capita-

li di cui all’art. 115 TUIR, anche per le società a ristretta base sociale che op-tano per la tassazione per trasparenza (art. 116 TUIR), si applicano le di-sposizioni di cui al comma 2, art. 40, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600

75. In tale contesto la società partecipata è tenuta ad adempiere agli obblighi

prodromici, pertanto, quest’ultima assume la veste di responsabile della vio-lazione, ossia di soggetto obbligato a dichiarare il reddito d’impresa da im-putare ai soci, comportando la posizione debitoria della stessa nei confronti del Fisco.

Da ciò ne consegue che l’Amministrazione finanziaria in fase di accerta-mento procede, dunque, alla rettifica della dichiarazione presentata dalla so-cietà trasparente con unico atto ai fini IRAP, IRPEF ed IRES dovute dai sin-goli soci.

L’unicità dell’accertamento 76 di cui all’art. 115 TUIR si traduce nella ne-

come lo definisce RUSSO, I soggetti passivi dell’Ires, cit., p. 327 un particolarismo tributario alla cui origine non ci sono ragioni sistematiche ma solo esigenze di cautela fiscale.

74 V. BORIA, op. cit., p. 292; CARINCI, L’accertamento nel regime di trasparenza delle so-cietà: responsabilità, garanzie e tutele per la società e per i soci, in Rass. trib., 2006, p. 192. Nel-la solidarietà dipendente il nesso di pregiudizialità/dipendenza riguarda innanzitutto le fat-tispecie e, soltanto in via riflessa gli atti e i giudicati. Nei redditi di società di persone a cui si equiparano le società che hanno optato per la trasparenza, la dipendenza logica si riferi-sce agli atti in conseguenza di un’unica fattispecie anche se complessa. Per questo motivo si è preferito parlare di dipendenza logica che esprime il collegamento tra gli atti e non tra i rapporti, evitando di prendere posizione sulla complessa e dibattuta questione della pregiu-dizialità. Diversamente FICARI, L’evoluzione delle vicende processuali dei rapporti tra soci e società trasparenti, in Rass. trib., 2007, p. 1132 ss., sostiene che «nel caso delle società tra-sparenti, in particolare, la pregiudizialità non pare solo logica ma, anche, giuridica in ragione degli effetti dell’imputazione ai soci del reddito determinato dalla società non potendosi con-figurare un maggior reddito del socio che non derivi da un maggior reddito complessivo».

75 Il comma 2, dell’art. 40, D.P.R. n. 600/1973, sancisce che «alla rettifica delle dichia-razioni presentate dalle società e associazioni indicate nell’art. 5 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, si procede con unico atto ai fini dell’imposta locale sui redditi dovuta dalle so-cietà stesse e ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche o delle persone giuridi-che dovute dai singoli soci o associati». Si veda TESAURO, L’accertamento «unitario» dei red-diti delle società di persone, in Boll. trib., 1979, p. 437.

76 Secondo BAFILE, Alcune osservazioni sulla pluralità soggettiva e sulla società di persone, in Riv. dir. trib., 1993, p. 343, «l’unitarietà dell’accertamento nei confronti della società di persone si giustifica in quanto esiste una “immedesimazione dei soci nella società”, in conse-guenza della quale è sempre il soggetto societario a porsi come interlocutore dell’Ammini-strazione finanziaria»; da ciò deriva che i singoli soci per contestare l’accertamento unita-rio debbono necessariamente passare attraverso la società; questa unitarietà si riflette an-che sul piano del processo tributario, «con l’effetto che il giudicato sul reddito societario

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cessità di notificare l’avviso di accertamento sia alla società trasparente, poi-ché «titolare dell’attività-fonte del reddito societario»

77, che ai singoli soci che si trovano ad assumere una posizione di dipendenza

78, intesa riguardo al comportamento omissivo della società partecipata e alla responsabilità del socio

79.

può essere uno soltanto efficace per la società e per i soci; ritenendo superflua l’ipotesi di un litisconsorzio necessario tra società e soci».

RUSSO, voce Processo tributario, in Enc. dir., 1987, XXVI, p. 767 ss., in tema di necessità della partecipazione di tutti i soci ai fini della unitarietà della determinazione del reddito, sostiene che l’art. 5 imponga il litisconsorzio necessario tra soci e società, «ove alla fase amministrativa di liquidazione segua un giudizio di stime, a quest’ultimo debbano parteci-pare tutti i condebitori; realizzandosi, pertanto e per l’appunto, una situazione di litiscon-sorzio necessario in conformità a quanto sancito dall’art. 102 del codice di procedura civile». FERLAZZO NATOLI-ACCORDINO, Solidarietà tributaria paritetica e litisconsorzio necessario, in Il Fisco, 2007, p. 2514 ss.; FABBRINI, Litisconsorzio, in Enc. dir., 1974, XXVI, p. 820 ss.; RUSSO-FRANSONI, Commento a Cass. n. 14788 del 22 novembre 2001, in Il Fisco, 2002, p. 2148 ss. A tal proposito, si vedano, Cass., sez. un., 18 gennaio 2007, n. 1052; Cass., sez. un., 18 gennaio 2007, n. 1057.

77 Così BORIA, op. cit., p. 276, il quale afferma che «l’attività di accertamento dei redditi di partecipazione in società di persone si presenta pertanto come una tipica sequenza pro-cedimentale, in cui gli effetti finali (l’applicazione dell’imposta) conseguono ad una serie di atti, in primo luogo all’accertamento unitario funzionale alla ricostruzione del presup-posto ed alla determinazione della base imponibile e successivamente agli accertamenti singolari volti in sostanza alla liquidazione dell’imposta».

78 L’applicabilità del rapporto di pregiudizialità/dipendenza alla fattispecie complessa dell’imputazione per trasparenza dei redditi di società personali è stata criticata tra gli altri anche da TESAURO, Profili sistematici del processo tributario, Padova, 1980, p. 101, il quale sostiene che tale rapporto sia istituibile tra due effetti giuridici “finali” e non tra un effetto intermedio (come l’accertamento unitario) ed uno finale. In tal senso si esprime anche RUSSO, Redditi delle società di persone: problemi in tema di accertamento e sanzioni, in Riv. guar. fin., 1981, p. 170, il quale afferma che il nesso di pregiudizialità riguardi fattispecie sostanziali, non fattispecie procedimentali quali sarebbero quelle relative all’accertamento del reddito societario. Su questo orientamento si esprime anche BRIGHENTI, L’accertamen-to unitario dei redditi di società di persone, in Rass. trib., 1985, p. 391 ss.

Per ciò che riguarda il diritto di difesa del socio, si vedano FERLAZZO NATOLI, La tutela del contribuente nel procedimento istruttorio (tra conventio ad excludendum ed uguaglianza costi-tuzionale), in Dir. prat. trib., 2006, p. 577; MUSCARÀ, Prime considerazioni sull’istituendo «rie-same preventivo» dell’oggetto delle controversie tributarie, in Boll. trib., 1991, p. 981 ss.; ID., An-cora in tema di applicabilità della definizione agevolata (D.l. n. 429 del 1982) alla fattispecie dell’accertamento di maggior valore (divenuto) definitivo, in Riv. dir. trib., 1995, p. 1142 ss.; ID., Contributo allo studio della funzione di riesame sostanziale, in Rass. trib., 1996, p. 1332 ss.

79 Si evince, pertanto che, la posizione giuridica dei soci è dipendente dalla posizione della società, in quanto l’imputazione del reddito pro-quota discende dalla determinazione del reddito della società stessa, anche se l’avviso di accertamento emesso nei confronti del-

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847

Si individua, infatti, una “dipendenza” logica indirizzata agli atti nell’am-bito della stessa fattispecie

80, anche se complessa, in cui sia i soci che la so-cietà (centri d’imputazione diversi), concorrono alla realizzazione di un uni-co presupposto (che consiste nella successione automatica di eventi che rap-presentano la fattispecie complessa, allo svolgimento dell’attività da parte della società, da cui scaturisce il reddito pro-quota imputato ai soci)

81. Attraverso la dichiarazione presentata dalla società partecipata, è deter-

minata la base imponibile che i soci dovranno indicare nella loro dichiara-zione dei redditi: sostanzialmente la società partecipante, o il socio, dovrà ri-portare in sede dichiarativa «ciò che altri hanno dichiarato»

82. Consolidata giurisprudenza di legittimità

83 afferma che l’attività accerta-tiva espletata nei riguardi della società partecipata non può essere disgiunta

la società come sostenuto in dottrina, (si v. COPPA, L’ accertamento dei redditi prodotti in forma associata tra principio di trasparenza e garanzia del diritto di difesa, in Rass. trib., 2008, p. 413) si atteggia come «presupposto procedimentale dell’atto emesso nei confronti dei singoli soci, non esplica, tuttavia, alcuna efficacia automatica in capo a questi ultimi se ad essi non sia stato notificato».

80 V. BORIA, op. loc. cit., p. 295, nota 24, il quale ha affermato, inoltre, come il nesso di pregiudizialità dipendenza sia proprio di fattispecie distinte anche se connesse e non di una fattispecie unica, anche se complessa come quella propria della produzione e di impu-tazione per trasparenza del reddito delle società di persone per la quale si dovrebbe più propriamente richiamare uno schema di “successione/dipendenza” che esprima un colle-gamento solo fra atti e non fra rapporti.

81 V. FICARI, Profili applicativi e questioni sistematiche dell’imposizione “per trasparenza” delle società di capitali, in Rass. trib., 2005, p. 17, il quale afferma che «l’unitarietà dell’ac-certamento non deve, però, essere scollegata, dal punto di vista logico, dallo sviluppo quasi procedimentale dell’imposizione del reddito societario per trasparenza e non deve, quindi, frammentarsi in due diverse strade (notifica alla sola società oppure anche ai soci) in ra-gione dell’ambito della solidarietà e dell’oggetto della rettifica. La notifica dell’avviso di accertamento solo al socio appare motivata nel caso in cui questi non abbia dichiarato il reddito correttamente imputato. Al contrario essa appare necessaria in capo sia alla società che al socio perché sistematicamente coerente qualora si tratti di contestazioni che gli uffi-ci muovono all’esistenza e determinazione del reddito societario dal momento che le risul-tanze della dichiarazione della società trasparente possono essere considerate un elemento pregiudicante con valenza non solo informativa ma anche sostanziale».

82 Così TESAURO, Profili sistematici, cit., p. 103. Sulla esistenza di un nesso di consequenzialità tra dichiarazione della società e dichia-

razione dei soci si veda CTC 14 marzo 1975, n. 824, in La Comm. trib. centr., 1975, I, p. 58; CTC 19 giugno 1975, n. 1208; CTC 4 giugno 1980, n. 4724.

83 Si vedano, a tal proposito, le sentenze della Cass., 4 giugno 2008, n. 14815; 29 otto-bre 2008, n. 25941; 18 febbraio 2010, n. 3830; 11 aprile 2011, n. 8166.

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da quella dei soci, poiché, essendo unica la fattispecie imponibile, unico è il risultato dell’accertamento

84. Come giustamente sostenuto in dottrina

85 «l’attività di accertamento dei redditi di partecipazione in società di persone si presenta pertanto come una tipica sequenza procedimentale, in cui gli effetti finali (l’applicazione dell’imposta) conseguono ad una serie di atti, in primo luogo all’accerta-mento unitario funzionale alla ricostruzione del presupposto ed alla deter-minazione della base imponibile e successivamente agli accertamenti singo-lari volti in sostanza alla liquidazione dell’imposta».

L’accertamento, al fine di produrre effetti in capo ai soci, deve essere no-tificato loro singolarmente

86 è escluso, infatti, ogni automatismo, in quanto ciascun socio potrebbe essere interessato ad impugnare autonomamente

87 l’avviso di accertamento.

Nel corso del tempo, in dottrina 88, si è delineato un principio indiscutibi-

le secondo cui «sull’unitarietà dell’accertamento e sui vincoli di pregiudizia-lità dipendenza prevale il diritto di difesa e la tutela del contraddittorio»,

84 V. FICARI, Profili applicativi, cit., p. 17, il quale afferma che «l’unitarietà dell’accerta-mento non deve, però, essere scollegata, dal punto di vista logico, dallo sviluppo quasi pro-cedimentale dell’imposizione del reddito societario per trasparenza e non deve, quindi, fram-mentarsi in due diverse strade (notifica alla sola società oppure anche ai soci) in ragione dell’ambito della solidarietà e dell’oggetto della rettifica. La notifica dell’avviso di accerta-mento solo al socio appare motivata nel caso in cui questi non abbia dichiarato il reddito correttamente imputato. Al contrario essa appare necessaria in capo sia alla società che al socio perché sistematicamente coerente qualora si tratti di contestazioni che gli uffici muo-vono all’esistenza e determinazione del reddito societario dal momento che le risultanze della dichiarazione della società trasparente possono essere considerate un elemento pre-giudicante con valenza non solo informativa ma anche sostanziale».

85 Si veda BORIA, op. cit., p. 298. 86 V. Cass., 8 settembre 2005, n. 17936; Cass., 27 giugno 2005, n. 13814; Cass., 5 ago-

sto 2002, n. 11673; Cass., 3 maggio 2002, n. 6330; Cass., 12 febbraio 2001, n. 1946. 87 V. Cass. 15 giugno 2007, n. 14011, in Corr. trib., 2007, p. 2596, con commento di

COPPA. 88 V. TABET, Efficacia ultra partes dell’accertamento tributario nel giudizio penale e viola-

zione del diritto alla difesa, in Riv. dir. fin., 1983, p. 240 ss.; BASILAVECCHIA, Accertamento unitario e motivazione “per relationem”, in Riv. giur. trib., 2002, p. 1121; ID., Effetti dell’accer-tamento societario sulle rettifiche ai soci, in Riv. giur. trib., 2006, p. 203; ID., Rapporti tra sen-tenze nell’accertamento unitario su soci e società, in Riv. giur. trib., 2007, p. 757; ID., L’accerta-mento unitario trova un assetto stabile (nota a Cass. SS.UU., 4 giugno 2008, n. 14815), in Corr. trib., 2008, p. 2270.

Sul punto si veda, Cass., sez. trib., ord. 7 maggio 2007, n. 10327.

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principio ulteriormente avvalorato dal Consiglio di Stato, il quale 89 ha soste-

nuto che «l’Amministrazione può considerare definitivi gli accertamenti so-lo quando questi siano decisi nell’ambito di un procedimento contenzioso in cui sia intervenuto il singolo socio, ovvero quando sia decorso nei con-fronti dello stesso il termine per impugnare».

Sebbene la notifica dell’avviso di accertamento unitario in capo ai soci non rappresenti un obbligo espressamente previsto dalla legge, l’Ammini-strazione finanziaria

90 – alla luce dello Statuto dei diritti del contribuente 91–

dovrebbe necessariamente notificarlo a tutti i soci, ai sensi degli artt. 3, 24, 97 e 53 Cost.

Tale notifica individuale consentirebbe, infatti, di parametrare l’atto di accertamento alla reale capacità contributiva del singolo socio, il quale, tra l’altro, potrebbe avere interesse ad opporsi alla determinazione del reddito della società.

89 Con il parere 17 gennaio 1984, n. 68. 90 Il Consiglio di Stato con il parere n. 68/1984, ha precisato che «tale estensione della

notifica è nell’interesse della medesima Amministrazione, in quanto semplifica il conten-zioso e le successive procedure di accertamento».

91 Sullo Statuto dei diritti del contribuente si vedano, tra gli altri, MARONGIU, Contribu-to alla realizzazione della “Carta dei diritti del contribuente”, in Dir. prat. trib., 1991, p. 585; ID., Statuto del contribuente: primo consuntivo a un anno dall’entrata in vigore, in Corr. trib., 2001, p. 2069 ss.; ID., Statuto del contribuente, affidamento e buona fede, in Rass. trib., 2001, p. 1275; ID., Lo Statuto dei diritti del contribuente, in Il Fisco, 2006, p. 20; DELLA VALLE, Af-fidamento e certezza del diritto tributario, Milano, 2001, p. 147; URICCHIO, voce Statuto del contribuente, in Dig. disc. priv., sez. comm., Agg., 2003, p. 845; GRIPPA SALVETTI, Lo Statuto del contribuente tra valore formale e portata interpretativa, in Rass. trib., 2004, p. 1719; FER-LAZZO NATOLI-INGRAO, Lo Statuto dei diritti del contribuente nella recente giurisprudenza del-la Cassazione, in Rass. trib., 2005, p. 1276 ss.; SERRANÒ, Lo Statuto dei diritti del contribuen-te: tra realtà e telenovela, in Boll. trib., 1997, p. 1 ss.; ID., Il diritto all’informazione e la tutela della buona fede nell’ordinamento tributario italiano, in Riv. dir. trib., 2001, p. 321; ID., Sulla sostanziale superiorità della fonte statutaria nella sentenza della Cassazione n. 7080/2004, in Boll. trib., 2005, p. 1293; ID., Il principio dell’affidamento del contribuente nella sentenza della Cassazione n. 21513/2006, in Boll. trib., 2007, p. 207; SERRANÒ-FERLAZZO NATOLI, Lo Statuto dei diritti del contribuente ad un decennio dalla sua approvazione: un bilancio comun-que positivo, in Boll. trib., 2010, p. 741, i quali affermano che «senza entrare nella specifica indicazione dei principi introdotti dallo Statuto, ci sia consentito, in estrema sintesi e senza alcuna enfasi, affermare che esso ha significativamente contribuito: ad una maggior coopera-zione e trasparenza fra le parti del rapporto giuridico tributario, a rafforzare la certezza del diritto, associata ad una tecnica legislativa più efficace, a snellire le procedure, a tutelare l’affidamento, ad introdurre il diritto all’informazione, il diritto di interpello generalizzato, il Garante dei diritti del contribuente».

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8. Considerazioni conclusive

Tirando le fila di quanto argomentato, rileviamo come, la facoltà conces-sa alla s.r.l. di optare per la trasparenza fiscale, crea inevitabilmente dei van-taggi considerato che:

– il reddito della società partecipata viene trasferito dall’imposizione IRES, cui corrisponde una tassazione pari al 27,5, alla sfera impositiva IRPEF, nel-la quale per i redditi di minore ammontare vigono delle aliquote inferiori a quella proporzionale prevista per le società;

– il regime di trasparenza permette di evitare ulteriore tassazione degli utili al momento della loro distribuzione, eliminando la doppia imposizione eco-nomica, che altrimenti anche se parzialmente si riscontrerebbe con il regime ordinario;

– è consentito superare la disparità di trattamento fiscale tra chi parteci-pa in società di persone e chi opera in società di capitali

92.

Anche se non manchiamo di rilevare che nonostante il legislatore abbia voluto equiparare il regime di tassazione per trasparenza delle società di ca-pitali a quello delle società di persone, in concreto, siffatta equiparazione ap-paia come una forzatura che genera non pochi problemi riguardo al coordi-namento tra norme fiscali e norme societarie.

In particolare, apparentemente i regimi di cui agli artt. 115 e 116 TUIR possono sembrare simili, ma in concreto rispondono a logiche differenti. Sarebbe stato opportuno, dunque, che il legislatore, nel rinviare semplicisti-camente all’art. 5 TUIR o in alcuni casi all’art. 115 TUIR, ponesse maggiore attenzione alla ratio della norma esaminando dettagliatamente il contesto in cui operano le differenti società.

In definitiva, come già sostenuto 93, sebbene il legislatore abbia apportato

diverse modifiche al regime della tassazione per trasparenza delle società di capitali, permangono ancora molte incertezze nella normativa de qua.

Auspichiamo, pertanto, un intervento chiarificatore da parte del legisla-tore al fine di armonizzare la disciplina fiscale con quella civilistica, in modo tale da rendere più efficace, conveniente e snella la tassazione per trasparen-za delle società a ristretta base sociale.

92 V. SALVINI, La tassazione per trasparenza, in Rass. trib., 2003, p. 1511. 93 V. DE MARCO, Il principio di trasparenza, cit., p. 30.

Lorenzo del Federico

L’EVOLUZIONE DEL PROCEDIMENTO NELL’AZIONE IMPOSITIVA: VERSO L’AMMINISTRAZIONE DI RISULTATO

THE DEVELOPMENT OF PROCEDURES IN THE TAXING ACTION: TOWARDS AN ADMINISTRATION OF RESULT

Abstract Nello studio del diritto tributario il procedimento e l’obbligazione sono stati con-trapposti e fatti oggetto della endemica polemica tra teorie costitutiviste e teorie dichiarativiste. Tale risalente prospettiva deve essere superata. Si deve prendere atto che nel diritto tributario, così come nel diritto amministra-tivo, il procedimento rappresenta il naturale ambito di emersione degli interessi, pubblici e privati, investiti dalla decisione dell’autorità. Il fatto che l’azione impo-sitiva sia tendenzialmente vincolata non sminuisce la rilevanza del procedimen-to. Ormai si deve tener conto del mutato quadro normativo e teorico a seguito della novella alla L. 7 agosto 1990, n. 241, del depotenziamento dei vizi procedi-mentali e formali, dell’affermarsi dell’amministrazione di risultato. Ma ciò non comporta affatto una svalutazione del procedimento: se è vero che è recessivo il garantismo procedimentale è innegabile che emergono i qualificanti valori del-l’economicità, dell’efficacia, della trasparenza, ecc.; del procedimento si attenua la tutela garantistica, ma si esalta la funzione gestoria. Tutto il sistema dell’azione impositiva, dell’attuazione delle norme tributarie e dei controlli resta incentrato sul procedimento; la dichiarazione e l’autoliquidazione del tributo rivestono un ruolo fondamentale, ma di certo lungi dall’essere autosuf-ficiente. È quindi necessario valorizzare lo studio della tipologia, dei contenuti e degli effetti dei procedimenti tributari, evitando l’appiattimento sui fondamentali e classici temi dell’accertamento del tributo, ma sopratutto cercando di focalizzare i mutevoli assetti tra meccanismi di mera attuazione della legge ed attività in cui ri-levano scelte, apprezzamenti complessi, ponderazioni tra interessi, ecc. Parole chiave: Azione impositiva, procedimento tributario, statuto dei diritti del contribuente, vizi degli atti impositivi, vizi dell’istruttoria

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In the study of tax law, tax procedures and tax obligations have always been separated and made object of the endemic contrast between the “constitutive” and “declarative” theories. Such old perspective shall be overcome. In tax law, as well as in administrative law, it should be remarked that the procedure represents the natural environment where public and private interests are subject to the decision of the public authority. The fact that the taxing power is generally re-stricted does not reduce the importance of the tax procedure. It is true that nowadays it shall be considered the modified legal and theoretical framework resulting from the reform made by Law of 7 August 1990, No. 241, of the weakening of procedural and formal defects, of the path towards an administration of result. But this does not im-ply at all a debasement of the procedure: if it is true that the procedure’s guarantees have a recessive character, it cannot be denied that the qualifying values of economy, efficiency, transparency, etc. emerge very clearly; this lowers the safeguard nature of the procedure, but it exalts its managerial function. The whole system of the tax action, of the enforcement of tax provisions and of tax controls remains focused on the procedure; the tax declaration and the self-assessment have a fundamental role, which cannot be considered autonomous. This makes it ne-cessary to study the type, the contents and the effects of tax procedures, avoiding a flat-tening on fundamental and classical topics of the tax assessment, and especially trying to focus on the changing equilibrium between mechanisms of mere law enforcement and activities where choices, evaluations and selections of relevant interests play an utmost role. Keywords: Tax action, tax procedure, taxpayer bill of rights, defects of tax acts, defects of the tax assessment

SOMMARIO: Premessa. – 1. Il procedimento tributario: profilo ordinamentale, dato normativo e dogmatica. – 2. L’azione impositiva e l’azione amministrativa. – 3. La legge generale sull’azione amministra-tiva ed il procedimento tributario. – 4. I rapporti tra lo Statuto del contribuente e la legge gene-rale sull’azione amministrativa. – 5. La codificazione dei vizi del provvedimento e l’amministra-zione di risultato. – 6. I vizi dell’istruttoria. – 7. La centralità del procedimento nell’azione im-positiva. – 8. La tipologia e le fasi dei procedimenti tributari. – 9. Segue: l’iniziativa. – 10. Segue: l’istruttoria. – 11. Segue: l’atto finale. – 12. Segue: il contraddittorio e la partecipazione. – Con-clusioni.

Lorenzo del Federico

853

Premessa

Nell’affrontare il tema del procedimento tributario ci si imbatte in alcuni tradizionali condizionamenti, che rendono difficoltosa la corretta percezio-ne della sua evoluzione. Si intende far riferimento in primo luogo alla risa-lente contrapposizione tra obbligazione tributaria ed atto impositivo, e quindi tra teorie dichiarativiste e costitutiviste; ma ostacolano la corretta percezio-ne del ruolo del procedimento anche l’endemico particolarismo del diritto tributario e la tendenza a sovraesporre il procedimento di accertamento e la natura vincolata delle norme relative alla determinazione del tributo.

Tuttavia ormai da tempo lo scontro fra dichiarativisti e costitutivisti si è alquanto attenuato, venendo prospettate sia dalla giurisprudenza

1, sia dalla dottrina

2, soluzioni pragmatiche, e spesso palesemente sincretiste, che ten-

1 Un primo orientamento, ormai alquanto risalente, ritiene che il giudizio tributario abbia ad oggetto meramente l’an ed il quantum dell’obbligazione tributaria, e quindi sia in-centrato sul “riesame nel merito del rapporto” (v. ad es. Cass., sez. un., 8 marzo 1980, n. 1471, in Riv. dir. fin., 1980, II, p. 101, in piena sintonia con le dogmatiche dichiarativiste); l’indirizzo contrapposto tende a valorizzare il giudizio tributario come giudizio di annulla-mento degli atti impositivi (v. ad es.: Cass., 23 marzo 1985, n. 2085, in Riv. dir. fin., 1985, II, p. 137, con nota di TESAURO, Sviluppi giurisprudenziali in tema di natura del giudizio di-nanzi le Commissioni tributarie; Cass., 26 ottobre 1988, n. 5786, in Boll. trib., 1988, p. 1828; tuttavia anche tale orientamento non giunge a recepire appieno la teoria più chiara e netta del processo tributario come giudizio di annullamento dell’atto impugnato – sulla quale v. ad es. TESAURO, Manuale del processo tributario, Torino, 2013, p. 75 s.; BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela: lezioni sul processo tributario, Torino, 2013, pp. 71, 209 s.). Per la nota e diffusa concezione sincretista del processo tributario come giudizio di “impugnazione merito” v.: Cass., sez. un., 25 maggio 1993, n. 5841, in Riv. dir. fin., 1993, II, p. 605; Cass., sez. trib., 19 dicembre 2003, n. 19515; Cass., sez. trib., 2 febbraio 2004, n. 1853; Cass., sez. trib., 10 febbraio 2004, n. 2506; in dottrina v. specificamente RUSSO-FRANSONI, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2005, p. 36 s.

2 V. ad es.: GIOVANNINI, Ipotesi normative di reddito e accertamento nel sistema d’impresa, Milano, 1992, p. 39 s., il quale, pur valorizzando l’obbligazione ex lege ed il ruolo della di-chiarazione, evidenzia che i continui mutamenti legislativi «non consentono o, almeno, ostacolano notevolmente precise tipizzazioni delle nozioni ...», e quindi impediscono di «racchiudere i fenomeni ... in ... schemi logici radicati su “dogmi” di pretesa validità “uni-versale” ...» (op. cit., p. 54); MULEO, Contributo allo studio del sistema probatorio nel proce-dimento di accertamento, Torino, 2000, p. 413 s., il quale si colloca pur sempre in un’ottica moderatamente costitutivista; SELICATO, L’attuazione del tributo nel procedimento ammini-strativo, Milano, 2001, p. 127 s., che si pone in prospettiva marcatamente sincretista (op. cit., pp. 127-128, note 173, 131, 138); VIOTTO, I poteri di indagine dell’amministrazione fi-nanziaria, Milano, 2002, p. 3 s., partic. nota 5, che marginalizza del tutto il dibattito sulle teoriche dichiarativiste e costitutiviste; GARBARINO, Imposizione ed effettività nel diritto tri-butario, Padova, 2003, pp. 116-117, il quale per un verso afferma che «tanto la legge quanto

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dono ad aggirare le più radicali e tradizionali ricostruzioni dogmatiche. Resta comunque centrale il rapporto tra l’azione impositiva e le tecniche

di tutela. L’indiscutibile esperibilità di azioni di mero annullamento degli atti impositivi (per vizi tipici del provvedimento amministrativo, quali il difetto di motivazione, l’incompetenza, e tout court la violazione di legge) palesa per un verso la natura autoritativa e provvedimentale degli atti tributari e, per altro verso, la compresenza di profili di annullamento affianco ai profili di merito, accentuati oltre misura dalle teoriche che si rifanno alla diffusa con-cezione dell’impugnazione-merito (oggi spiazzate dalla codificazione dei vizi del provvedimento amministrativo). A ciò aggiungasi l’acclarata emar-ginazione dell’obbligazione (unitariamente intesa) rispetto al tipico thema decidendum del giudizio tributario, inevitabilmente limitato a quella mera porzione di rapporto obbligatorio racchiusa tra la motivazione dell’atto di ac-certamento ed i motivi di ricorso

3; inoltre l’intero sistema della giurisdizio-ne tributaria tende a rendere supreflua l’identificazione della natura delle si-tuazioni soggettive fatte valere dal contribuente, avendo da tempo valorizza-to la logica della giurisdizione per oggetto rispetto al tradizionale criterio di riparto tra le giurisdizioni, fondato sulla classica contrapposizione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi

4. il provvedimento costituiscono il diritto di credito ... nell’ambito di un rapporto potere/ soggezione», assimilando discutibilmente profilo legislativo e profilo amministrativo, e poi aggiunge che tale «costitutività delle norme generali e singolari provvedimentali è ... intesa in termini di teoria generale, e non deve essere quindi collegata ad impostazioni di dogma-tiche costitutive ovvero dichiarative»; GARCEA, La pretesa tributaria nella moderna dinami-ca impositiva. Una proposta di integrazione della teoria dichiarativa classica, Padova, 2003; MISCALI, Il diritto alla restituzione: dal modello autoritativo al modello partecipativo nel si-stema delle imposte, Milano, 2004, p. 78 s.

3 Sul superamento della globalità dell’atto di accertamento e della centralità dell’obbli-gazione tributaria, unitariamente intesa, v. per tutti BASILAVECCHIA, L’accertamento parziale, Milano, 1988, pp. 125 s., 322 s.; ID., Funzione impositiva, cit., pp. 69 s., 197 s.; sul rapporto tra motivazione dell’atto e delimitazione del thema decidendum v. da ultimo CALIFANO, La motivazione degli atti impositivi, Torino, 2012, p. 195 s.

4 Secondo gran parte della dottrina e della giurisprudenza le controversie tributarie han-no ad oggetto il rapporto e l’obbligazione tributaria, e vertono quindi su diritti soggettivi; ne deriva che la giurisdizione tributaria è concepita come giurisdizione sui diritti soggettivi (per le posizioni più radicali: RUSSO, Contenzioso tributario, in Dig. disc. priv., sez. comm., 1989, pp. 492-493; BAFILE, Il nuovo processo tributario, Padova, 1994, pp. 8-11; in giuri-sprudenza tra le tante: Cass., sez. un., 1° marzo 1988, n. 2157, in CTC, 1988, II, p. 906). Viceversa da più parti è stato convincentemente evidenziato l’emergere nel processo tributa-rio di situazioni di interesse legittimo, che si intrecciano con le situazioni di diritto soggettivo (per le posizioni più rigorose: MUSCARÀ, Giurisdizione di accertamento e giurisdizione di an-

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Quanto alla sovraesposizione del procedimento e dell’atto di accerta-mento, è stata ormai dimostrata la necessità di passare dallo studio del mero accertamento ad una più ampia considerazione dell’attività amministrativa tributaria

5, nella sua dimensione settoriale qualificabile appunto come azio-ne impositiva. Nell’analisi avente ad oggetto «le regole dell’agire della Pub-blica amministrazione in materia tributaria»

6, la «distinzione tra le diverse aree tipiche di azione amministrativa può essere utilmente operata guardando agli aspetti contenutistici delle mediazioni normative tra interessi pubblici e privati in vario modo implicati nelle vicende del prelievo dei tributi»

7. Si tratta di puntualizzazioni importanti, in quanto tralaticiamente i prin-

cipali dibattiti della dottrina tributaria sono sempre stati incentrati sull’atti-vità di accertamento, ritenuta assorbente ed omnicomprensiva, o comun-que sovraesposta rispetto agli altri profili dell’azione impositiva.

Tuttavia la doverosa distinzione tra le diverse aree dell’azione impositiva non può legittimare quella logica di separatezza e di frammentazione, cui sotto taluni profili è giunta la dottrina che più ha marcato l’autonomia tra i diversi tipi di attività. Di tale tesi risulta sintomatica l’affermazione – radi-calmente smentita dalla giurisprudenza (v. infra, par. 6) – secondo cui l’e-sercizio dei poteri conoscitivi si estrinseca in autonomi provvedimenti ex se impugnabili innanzi al giudice amministrativo; si pensi poi al corollario del- nullamento nella nuova disciplina del processo tributario, in Dir. prat. trib., 1983, I, p. 1193 s.; GLENDI, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, pp. 681 s., 813 s.; BASILAVECCHIA, Funzione impositiva, cit., p. 36 s.; per talune aperture giurisprudenziali v. altresì: Cass., sez. un., 16 gennaio 1986, n. 210, in Rass. trib., 1986, II, p. 236; Cass., sez. un., 3 marzo 1986, n. 1322, ibidem, p. 254; Cass., sez. un., 3 giugno 1987, n. 4853, in Boll. trib., 1987, p. 1152; per la compresenza nel processo tributario di interessi legittimi e diritti soggettivi v.: TESAURO, Le situazioni soggettive nel processo tributario, in Riv. dir. fin., 1988, I, p. 413 s.; MUSCARÀ, Giurisdizione di accertamento, cit.; MAFFEZZONI, La giurisdizione tributaria nell’ambito della giurisdizione amministrativa, in Boll. trib., 1982, p. 581 s.; FERLAZZO NATOLI, La tutela del-l’interesse legittimo nella fase procedimentale dell’accertamento tributario, in Riv. dir. trib., 1999, I, p. 772 s.). Per la verità sembra che, al di là di talune retoriche contrapposizioni dogmati-che, la indistinguibile compresenza di entrambe le situazioni soggettive sia comprovata per un verso dalla esclusiva rilevanza dell’oggetto come criterio di riparto in favore della giuri-sdizione tributaria, e per altro verso dalla peculiarità delle liti da rimborso, anche a pre-scindere, quindi, dalla pervasiva concezione del processo tributario come giudizio di im-pugnazione-merito.

5 LA ROSA, Accertamento tributario, in Dig. it. disc. priv., sez. comm., 1987, p. 3 s.; ID., Amministrazione finanziaria e giustizia tributaria, Torino, 2000, p. 29 s.

6 Regole che in definitiva non possono non rispondere agli stessi modelli dell’agire della P.A. negli altri settori del diritto pubblico.

7 Così LA ROSA, Amministrazione finanziaria, cit., p. 42.

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la irrilevanza delle illegittimità istruttorie ai fini della validità dell’atto di ac-certamento

8. È quindi utile delineare diverse aree, ma resta la tendenziale unitarietà

dell’azione impositiva. Comunque sia una volta differenziata l’attività di accertamento dalle al-

tre attività, diventa più agevole distinguere i segmenti dell’azione impositiva caratterizzati dall’esercizio di poteri vincolati (in primis la quantificazione del tributo), dagli altri segmenti caratterizzati dall’esercizio di poteri discre-zionali; diventa altresì possibile superare l’opprimente cappa della bieca ra-gion fiscale, affiancando al primario interesse fiscale ex art. 53 Cost. – con-cepito come interesse alla percezione dei tributi, pronta e perequata alla ca-pacità contributiva, mediante l’esatto funzionamento del sistema tributario considerato globalmente – gli altri interessi pubblici secondari, e gli interes-si dei privati, variegatamene coinvolti nell’esercizio dell’azione impositiva

9, ed il tutto non solo nella ponderazione normativa dei valori

10, ma anche nel-la ponderazione amministrativa, che caratterizza profili sempre più signifi-cativi della fiscalità.

In tale prospettiva va orientata l’indagine sulla evoluzione del procedi-mento tributario.

1. Il procedimento tributario: profilo ordinamentale, dato normativo e dog-matica

In termini generali l’agire dell’Amministrazione Finanziaria (e delle varie Agenzie fiscali che ad essa fanno capo) – così come in generale l’agire di tutte le pubbliche amministrazioni – si articola in atti ed attività (per lo più) di natura pubblicistica, diretti al perseguimento di un fine pubblico (l’attuazio-ne del prelievo tributario), ed è certamente riconducibile all’azione ammini-strativa ed al procedimento amministrativo; nello stato di diritto il procedi-

8 Si tratta della nota tesi di LA ROSA, da ultimo puntualizzata in Principi di diritto tribu-tario, Torino, 2006, pp. 324-326, nel cui svolgimento l’illustre autore si spinge a prospetta-re la mera inutilizzabilità delle sole prove illecitamente acquisite, mentre per i casi meno gravi di esercizio illegittimo del potere conoscitivo palesa una assoluta irrilevanza della vio-lazione di legge. Tale tesi – minoritaria in dottrina – è da ritenersi ormai superata dal nuo-vo sistema dei vizi del provvedimento amministrativo (v. par. 10).

9 BORIA, L’interesse fiscale, Torino, 2002, p. 301 s. 10 Prospettiva di indagine privilegiata da BORIA, op. cit., passim e partic. pp. 8-9, e p. 458 s.,

e VIOTTO, op. cit., pp. 31 s., 87 s.

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857

mento è il naturale alveo per l’adozione di qualsiasi decisione amministrati-va e dunque per l’esercizio di qualsiasi funzione pubblica

11. Tuttavia in materia tributaria la dottrina e la giurisprudenza risultano

spesso condizionate da logiche “particolaristiche” e da approcci settoriali, per cui si tende a svalutare il riferimento dell’azione impositiva all’azione amministrativa e del procedimento tributario al procedimento amministra-tivo.

Nei risalenti dibattiti dogmatici che hanno lungamente caratterizzato la materia, sia le teorie dichiarativiste (che ricollegano la nascita dell’obbliga-zione tributaria al verificarsi del presupposto dell’imposta), sia quelle costi-tutiviste (che la ricollegano ad un successivo atto di imposizione dell’Ammi-nistrazione Finanziaria), hanno inquadrato nello schema procedimentale lo svolgersi, rispettivamente, del rapporto di imposta o dell’esercizio del pote-re di imposizione; tale schema è stato ritenuto idoneo a ricomprendere atti-vità ed atti, anche di carattere strumentale, tanto dell’Amministrazione Fi-nanziaria quanto del contribuente o di terzi, necessari o meno, previsti dalle norme che disciplinano i diversi tributi

12. Il riferimento al procedimento è quindi diffuso, ma le accezioni e le op-

zioni dogmatiche sono molto differenziate. Le teorie dichiarativiste svalutano il procedimento intendendolo, in ter-

mini essenzialmente descrittivi, come modalità di svolgimento del rapporto obbligatorio: l’obbligazione tributaria nasce ex lege al verificarsi del presup-posto e costituisce il perno intorno al quale ruotano le situazioni soggettive del contribuente e dell’Amministrazione Finanziaria

13. Le teorie costitutiviste concepiscono invece il procedimento come l’uni-

co mezzo atto a collegare situazioni soggettive non corrispondenti, quali gli obblighi del contribuente ed i poteri dell’Amministrazione Finanziaria, in uno schema dinamico preordinato a fondare la pretesa impositiva

14.

11 In tal senso v. per tutti SANDULLI, Procedimento amministrativo, in S. CASSESE (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, vol. V, Milano, 2006, p. 4510.

12 Su tali orientamenti v. le variegate posizioni di: SALVINI, La partecipazione del privato all’accertamento (nelle imposte sui redditi e nell’Iva), Padova, 1990, p. 38 s.; SELICATO, op. cit., p. 50 s.; COMELLI, Poteri e atti nell’imposizione tributaria, Padova 2012, p. 58 s.

13 V. inizialmente A.D. GIANNINI, I concetti fondamentali del diritto tributario, Torino, 1956, p. 291 s.; ma la concezione più matura e moderna è quella di CAPACCIOLI, L’accerta-mento tributario, in Riv. dir. fin., n. 1, 1966, p. 10 s., e RUSSO, L’accertamento tributario nel pensiero di Ezio Capaccioli,: profili sostanziali e processuali, in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 661 s.

14 Per le teorie costitutiviste che hanno maggiormente valorizzato il procedimento v. MAFFEZZONI, Il procedimento d’imposizione nell’imposta generale sull’entrata, Napoli, 1965,

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L’evoluzione della legislazione tributaria, maturata sulla base della rifor-ma dei primi anni ’70, ha comportato l’abbandono del tentativo di ricostrui-re l’attività dell’Amministrazione Finanziaria secondo un unico modello pro-cedimentale e di subordinare, in ogni caso, allo svolgimento del procedi-mento impositivo la nascita dell’obbligazione tributaria. Le teorie costituti-ve attraversano quindi una fase critica segnata: dalla sempre maggiore arti-colazione delle diverse modalità di attuazione dei tributi; dalla marcata con-notazione dell’attività dell’Amministrazione Finanziaria come controllo de-gli adempimenti del contribuente; dalla centralità delle molteplici e variega-te situazioni soggettive del contribuente e dell’Amministrazione Finanziaria, che si articolano in modalità difficilmente riconducibili allo schema del pro-cedimento, sempre più incentrate sul sistema dell’autoliquidazione in base a dichiarazione

15. Anche a prescindere dalle più radicali concezioni paracivilistiche del rap-

porto tributario, il rilievo del procedimento è stato spesso depotenziato e ridotto a valenza descrittiva di un’attività dell’Amministrazione Finanziaria meramente eventuale; la nozione di procedimento tributario è risultata tal-mente sfumata da risultare inutile, o comunque atecnica, ovvero estranea alle categorie del diritto amministrativo

16. Comunque a partire dagli anni ’90 la contrapposizione tra teorie dichia-

rativiste e teorie costitutiviste si è andata attenuando; oggi il problema cen-trale della materia tributaria non è più quello della fonte dell’obbligazione tributaria, e della natura dichiarativa o costitutiva degli atti impositivi, quan-to piuttosto quello – da sempre latente – dell’equilibrio tra autoritatività del prelievo e dell’azione impositiva e pariteticità del rapporto obbligatorio. Equi-librio oggi più incerto che mai, se è vero che lo stesso diritto amministrativo sta vivendo una profonda trasformazione, che vede ritrarsi sempre più l’au-toritatività sotto la spinta di concezioni consensualistiche, che tendono a va-lorizzare gli assetti paritetici nell’attività amministrativa.

In tale ottica non può essere sottovalutato il fatto che il ricorso alla no-zione di procedimento ha permesso di evidenziare, accanto alle situazioni sog- p. 65 s.; per le successive variegate impostazioni v.: AA.VV., Studi sul procedimento ammini-strativo tributario, a cura di Micheli, Milano, 1971; FEDELE, A proposito di una recente rac-colta di saggi sul procedimento amministrativo tributario, in Riv. dir. fin., n. 1, 1971, p. 433 s.; MICHELI, Considerazioni sul procedimento tributario d’accertamento nelle nuove leggi di impo-sta, ibidem, 1974, I, p. 620 s.

15 V. per tutti BASCIU, Imposizione (procedimento di), in Enc. giur. Treccani, 1989, XVI, p. 7. 16 Per tali orientamenti si rinvia soprattutto a RUSSO, Manuale di diritto tributario, Mi-

lano, 2002, p. 123 s., e LA ROSA, Il giusto procedimento tributario, in Giur. imp., 2004, p. 763.

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gettive del contribuente e dell’Amministrazione Finanziaria direttamente collegate all’attuazione del prelievo, numerose altre situazioni di carattere stru-mentale, che si attuano in procedimenti collegati, consentendo altresì di da-re a tali situazioni il giusto risalto ed una organica collocazione

17; sotto altro profilo la natura procedimentale delle modalità amministrative di attuazio-ne del tributo e la natura provvedimentale degli atti impostivi risultano basi-lari per configurare correttamente il processo tributario come giudizio di im-pugnazione annullamento dell’atto impositivo, salve le peculiarità delle azioni di rimborso

18. In base all’emanazione della legge generale sul procedimento ammini-

strativo, 7 agosto 1990, n. 241, l’attenzione per i profili procedimentali del-l’attuazione del tributo ha trovato nuovi e significativi spunti

19. Ciononostante la dottrina e la giurisprudenza prevalenti hanno continuato

a svalutare il procedimento tributario, basandosi su asserite peculiarità delle procedure tributarie, tali da distaccarle dal modello del procedimento ammi-nistrativo

20. Tuttavia questo orientamento sovraespone il particolarismo tri-butario, trascura la variegata tipologia dei procedimenti amministrativi, enfa-tizzandone l’archetipo astratto, ma soprattutto non percepisce l’evoluzione in atto nello stesso diritto amministrativo.

2. L’azione impositiva e l’azione amministrativa

Ormai da tempo si è aperta una nuova fase, che ha posto le basi per la ri-visitazione dell’azione impositiva:

– nel 2000 lo Statuto dei diritti del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212) è stato emanato espressamente in attuazione, non solo degli artt. 23 e 53, ma, anche degli artt. 3 e 97 Cost., e quindi in una prospettiva che raf-forza la connotazione amministrativistica dell’azione impositiva;

17 In tal senso SALVINI, Procedimento amministrativo (dir. trib.), in S. CASSESE (a cura di), op. cit., vol. V, pp. 4532-4533.

18 TESAURO, Manuale, cit., p. 75 s.; BASILAVECCHIA, Funzione impositiva, cit., p. 209 s.; ma per la prevalente tesi secondo cui il giudizio tributario è di impugnazione merito v. per tutti RUSSO-FRANSONI, op. cit., p. 101 ss.

19 V. per tutti SELICATO, op. cit., p. 269 s. 20 PERRONE, Riflessioni sul procedimento tributario, in Rass. trib., 2009, p. 52 s., ed in

AA.VV., Studi in memoria di G.A. Micheli, Napoli, 2010, p. 81; ID., La disciplina del procedi-mento tributario nello Statuto del contribuente, ibidem, vol. I, 2011, p. 563; COMELLI, op. cit.

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– la L. 7 agosto 1990, n. 241 è stata significativamente modificata dalla novella 11 febbraio 2005, n. 15, e trasformata in una legge generale sull’azio-ne ammnistrativa;

– la recente valorizzazione dei profili consensualistici nel rapporto Fisco-contribuenti, è risultata pressoché contestuale alla analoga vicenda dei rap-porti fra pubblica amministrazione e cittadini, ed è stata riassorbita nella lo-gica dell’azione amministrativa, piuttosto che subire derive paracivilistiche;

– i principi del diritto comunitario hanno influenzato indistintamente e costantemente l’azione amministrativa e l’azione impositiva, rafforzandone l’osmosi

21.

Su tali basi è ormai ineludibile ricondurre l’azione impostiva all’azione amministrativa, e poi concepire unitariamente l’agire funzionalizzato della pubblica amministrazione, si realizzi esso mediante provvedimenti autorita-tivi, discrezionali o vincolati che siano, ovvero mediante atti consensuali, pur con tutte la peculiarità della funzione impositiva

22. L’Amministrazione Fi-nanziaria deve attenersi sempre al principio di legalità ed orientare la pro-pria azione secondo i canoni di imparzialità e buon andamento, così da ga-rantire, in ogni caso, la finalizzazione dei propri atti alla cura dell’interesse fiscale ex art. 53 Cost.; «sul piano normativo generale si deve tener presente che il procedimento amministrativo, anche quello tributario, è forma della funzione», cui è riconducibile anche l’accertamento tributario

23. L’approvazione dello Statuto del contribuente ha accentuato le connes-

sioni con la legge generale sul procedimento amministrativo, esplicitando inequivocabilmente l’opzione legislativa in favore della “procedimentalizza-zione” delle procedure tributarie, e della “provvedimentalizzazione” degli atti impositivi (v. part. gli artt. 6, comma 4, e 7, comma 1).

La riforma della L. n. 241/1990 assume poi notevole rilevanza anche per quanto riguarda specificamente il procedimento tributario.

Ad oltre venti anni dall’entrata in vigore della legge generale sul procedi-mento amministrativo, è ormai chiara la rispondenza del procedimento tri-butario al più ampio genere del procedimento amministrativo, con la conse-guenziale applicabilità della L. n. 241/1990 anche nell’ambito del diritto tri-

21 DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010, p. 220 s.; CALIFANO, op. cit., p. 51 s.

22 LUPI, La disciplina delle entrate, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto ammini-strativo. Diritto amministrativo speciale, vol. III, I servizi pubblici, finanza pubblica e privata, Milano, 2003, p. 2647.

23 Così Cass., sez. trib., 23 gennaio 2006, n. 1236, in Dir. prat. trib., 2006, II, p. 731.

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butario, sia pure con taluni limiti, primi tra tutti quelli esplicitati dall’art. 13 (secondo cui le disposizioni relative alla partecipazione al procedimento amministrativo non si applicano ai procedimenti tributari).

Debbono ritenersi quindi superate alla radice le strenue argomentazioni, ancora oggi, invocate per giustificare il particolarismo tributario, e la proble-matica sussunzione del procedimento tributario al procedimento ammini-strativo, e degli atti tributari al genus del provvedimento amministrativo.

Partendo dalla innegabile assenza di discrezionalità nel procedimento tri-butario di accertamento per quanto concerne la determinazione del tributo, si giunge a sovraesporre la natura vincolata della funzione impositiva, anche a scapito di quei significativi margini di discrezionalità rinvenibili in alcuni peculiari segmenti dell’azione impositiva (si pensi alla scelta del contribuen-te da sottoporre a controllo e poi alle modalità dell’istruttoria, allo scambio di informazioni fra autorità fiscali, all’accertamento con adesione, alle ra-teizzazioni, alle misure cautelari ed ai variegati accordi in tema di riscossio-ne, all’annullamento in sede di autotutela, ecc.).

L’assenza di discrezionalità giustificherebbe una netta differenziazione tra procedure tributarie e procedimento amministrativo, rendendo inappli-cabili alla materia tributaria le categorie, i principi e gli istituti della L. n. 241/1990

24. Per quanto riguarda la natura provvedimentale ed autoritativa degli atti

di accertamento parte della dottrina la circoscrive esclusivamente al profilo della loro efficacia preclusiva, cioè dell’attitudine a consolidarsi se non im-pugnati tempestivamente nello stringente termine di decadenza di sessanta giorni, dovendosi escludere la loro natura strictu sensu provvedimentale sul piano dei contenuti; agli atti impositivi potrebbe attribuirsi natura provve-dimentale soltanto in termini descrittivi, giacché sul piano tecnicamente più rigoroso della teoria del provvedimento amministrativo l’assenza di discre-zionalità propria di tali atti dovrebbe comportarne la qualificazione come meri atti e non come veri e propri provvedimenti amministrativi

25. Si tratta di argomentazioni ricorrenti nel dibattito dottrinale, nella giuri-

sprudenza e nella prassi. Ma in questa sede non vi è spazio per una specifica confutazione, invero superflua laddove uscendo dal particolarismo tributa-rio ci si collochi nella più vasta prospettiva del diritto amministrativo, che ben conosce procedimenti e provvedimenti caratterizzati dall’esercizio di po-teri vincolati.

24 PERRONE, La disciplina del procedimento, cit., p. 569 s. 25 RUSSO-FRANSONI, op. cit., p. 120 s.

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Del resto tutte le teorie che contrappongono attività discrezionale ed atti-vità vincolata, svalutano il ruolo dell’autoritatività, e configurano funzione, provvedimento ed interesse legittimo soltanto in presenza del potere discre-zionale, sono ormai smentite dal Legislatore. Infatti la novella del 2005 ha modificato la L. n. 241/1990 identificando uno statuto unitario dell’azione amministrativa, che resta incentrato sull’autoritatività (art. 1, comma 1 bis), ed al quale esplicitamente viene ricondotto il provvedimento discrezionale, così come quello vincolato (art. 21 octies), salva una parziale differenzazione per quanto riguarda i vizi formali.

Comunque la tesi che riconduce il procedimento tributario 26 al proce-

dimento amministrativo, e che riconosce la natura provvedimentale dell’ac-certamento tributario, del provvedimento sanzionatorio, del ruolo e degli altri atti impositivi è assolutamente prevalente

27.

3. La legge generale sull’azione amministrativa ed il procedimento tributario

Come già ampiamente evidenziato, la L. n. 15/2005 dal titolo “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali dell’azione amministrativa” ha introdotto molteplici innovazioni, con notevoli ricadute sull’azione impositiva e sul procedimento tributario.

Si deve preliminarmente puntualizzare che la novella del 2005 non ha toc-cato l’art. 13 della L. n. 241/1990, secondo cui le disposizioni contenute nel Capo III della legge, “partecipazione al procedimento amministrativo”, non si applicano ai procedimenti tributari. Resta quindi confermato che tutti gli altri Capi della L. n. 241/1990, ab origine, ed ora così come modificati dalla

26 È opportuno individuare la fase storica in cui la dottrina ha maturato la consapevo-lezza della rilevanza teorica della categoria del procedimento in materia tributaria, a partire del contributo di MAFFEZZONI, Il procedimento d’imposizione, cit., sino alla fondamentale collettanea, Studi sul procedimento amministrativo tributario, curata da Micheli nel 1971 (cui adde, nello stesso anno, FEDELE, A proposito di una recente raccolta di saggi sul procedi-mento, cit.).

27 FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, p. 358 s., il quale evidenzia come sia ormai «sterile insistere sull’improprietà della nozione di “procedimento d’imposizione”, afferman-do l’assenza di un necessario provvedimento finale», argomentando sotto diversi profili sull’opportunità di utilizzare le nozioni di procedimento e di provvedimento; ID., La pro-spettiva tributaria, in AA.VV., Nuove forme di tutela delle situazioni soggettive nelle esperienze processuali. Profili pubblicistici, Milano, 2004, p. 225. V. altresì le puntuali considerazioni di MUSCARÀ, Riesame e rinnovazione degli atti nel diritto tributario, Milano, 1992, p. 46 s.

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novella, debbono trovare applicazione, per quanto compatibili, anche in ma-teria tributaria

28; addirittura la giurisprudenza opta per un’interpretazione costituzionalmente orientata anche di fronte a norme formulate in modo pa-lesemente restrittivo, come nel caso dell’art. 24

29, che parrebbe escludere il diritto di accesso

30. La legge generale sull’azione amministrativa si pone quindi come pilastro

di tutta l’attività delle pubbliche amministrazioni, ed anche dell’attività am-ministrativa in materia tributaria.

Sul piano sistematico assume particolare interesse il rafforzamento dei principi generali di cui all’art. 1, comma 1. Tale norma, certamente applicabi-le alla materia tributaria, attribuisce fondamentale rilievo ai principi di econo-micità, efficacia, pubblicità e trasparenza, nonché ai principi dell’ordinamen-to comunitario.

Infatti risulta estremamente significativa la previsione del passante legi-slativo che consente l’ingresso nel nostro ordinamento di tutti i principi del-l’ordinamento comunitario, e quindi per es. anche del principio di proporzio-nalità, nonché di quel principio del contraddittorio, ampiamente recepito, sin dal 1990, nel Capo III della legge, ma oggi rilevante per l’intera azione ammi-nistrativa anche a prescindere dagli artt. 7-12 di cui al cit. Capo III

31. Pertanto per la materia tributaria, ferma l’inapplicabilità delle specifiche

disposizioni del Capo III sulla “partecipazione al procedimento amministra-tivo”, dovrà comunque essere osservato anche il principio del contradditto-rio, sia pure senza i formalismi e le minuziose disposizioni legislative degli artt. 7-12

32.

28 TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, vol. I, Torino, 2006, p. 216 s.; PIANTAVIGNA, Osservazioni sul “procedimento tributario” dopo la riforma della legge sul procedimento ammi-nistrativo, in Riv. dir. fin., 2007, I, p. 75 s.; RAGUCCI, Il contraddittorio nei procedimenti tribu-tari, Torino, 2009, p. 222 s.; FEDELE, Diritto tributario ed evoluzione del pensiero giuridico, in AA.VV., Studi in memoria di G.A. Micheli, cit., p. 18; contra decisamente PERRONE, La disci-plina del procedimento, cit.; per ulteriori indicazioni v. infra, par. 12.

29 Al riguardo v. per tutti la decisa critica di FERLAZZO NATOLI-MARTINES, La L. n. 15/2005 nega l’accesso agli atti del procedimento tributario. In claris non fit interpretatio?, in Rass. trib., 2005, p. 1490.

30 Cons. Stato, sez. IV, 21 ottobre 2008, n. 5144, in Dialoghi trib., 2009, p. 48, con commenti adesivi di, BASILAVECCHIA-DI SIENA-LUPI, I principi generali del diritto ammini-strativo “salvano” l’accesso agli atti tributari.

31 Su tali profili sia consentito rinviare a DEL FEDERICO, Tutela del contribuente, cit., pp. 220 s., 230 s.

32 In termini generali v. Corte cost., 8 marzo 2006, n. 104, in cui si valorizzato la regola del giusto procedimento alla luce della L. n. 241/1990, giungendo a chiarire che il diritto

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In ordine agli altri punti caratterizzanti la novella, la riaffermazione del principio di legalità non pone particolari questioni sul versante tributario, salvo che sotto il profilo dell’amministrazione di risultato (v. infra). Altresì scarso interesse suscita per la materia tributaria la facoltà delle pubbliche amministrazioni di utilizzare gli strumenti di diritto privato, anche nel per-seguimento dei propri fini istituzionali. Infatti la funzione impositiva, per sua natura marcatamente autoritativa in quanto volta ad assicurare il finan-ziamento delle spese pubbliche mediante il trasferimento, per lo più coatti-vo, delle risorse dall’economia dei privati all’economia pubblica, non può proficuamente e significativamente utilizzare gli strumenti del diritto privato. Nell’azione impositiva gli strumenti di diritto privato sono inevitabilmente destinati a svolgere un ruolo del tutto marginale. L’imposizione tributaria nasce come tratto essenziale della sovranità; con l’affermarsi dello stato di diritto la sovranità fiscale si attenua mediante il riconoscimento della dove-rosa razionalità ed equità dei criteri di riparto delle spese pubbliche fra i consociati, della concezione solidaristica della capacità contributiva, ecc., ma l’imposizione tributaria continua ad esprimersi tramite potestà marcata-mente autoritative; la doverosità del concorso alle pubbliche spese fa si che la potestà di imposizione conservi queste sue specificità, nonostante il gene-rale progressivo attenuarsi delle connotazioni autoritative dell’azione am-ministrativa.

Viceversa per quanto riguarda l’azione impositiva ed il procedimento tri-butario presentano grande interesse la codificazione dei vizi dell’atto ammi-nistrativo e ed il depotenziamento dei vizi procedimentali e formali (v. in-fra), che danno corpo al nuovo trend dell’amministrazione di risultato

33. di difesa, mediante contraddittorio procedimentale, anche se non assistito da una garanzia costituzionale diretta, integra un “criterio di orientamento” per il legislatore e l’interprete, per cui deve essere sempre «salvaguardata una possibilità di contraddittorio che garanti-sca un nucleo essenziale dei valori inerenti ai diritti inviolabili della persona»; tale senten-za riconduce il giusto procedimento al buon andamento ed all’imparzialità dell’azione am-ministrativa, ma invoca anche i «principi del patrimonio costituzionale comune dei Paesi europei»; al riguardo v. per tutti LAZZARA, L’azione amministrativa ed il procedimento in cinquant’anni di giurisprudenza costituzionale, in AA.VV., Diritto amministrativo e Corte co-stituzionale, a cura di G. della Cananea-M. Dugato, Napoli, 2006, p. 438 s. D’altro canto in tale prospettiva si era già collocato lo Statuto del contribuente, come evidenziato da MA-RONGIU, Lo Statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2008, pp. 140-143, e RAGUCCI, Il contraddittorio nei procedimenti tributari, cit., p. 57 s. – v. amplius, par. 12.

33 Sull’amministrazione di risultato v.: IANNOTTA, Principio di legalità ed amministrazio-ne di risultato, in AA.VV., Amministrazione e legalità, a cura di C. Pinelli, Milano, 2000, p. 37 s.; SPASIANO, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Torino, 2003; AA.VV., Prin-

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Al riguardo è opportuna una breve digressione sul contesto in cui è anda-ta prendendo corpo l’attenzione per l’amministrazione di risultato nella teo-ria generale.

Rispetto alla tradizione formalistico-legalitaria sono ormai noti i rilievi critici di base:

– nella nostra esperienza legislativa le norme concernenti l’azione ammi-nistrativa sono troppe; ogni passaggio procedimentale è minuziosamente re-golato; sono previste in genere troppe fasi per giungere ad un determinato risultato; tutte tali norme sono cogenti;

– ciò comporta che ogni violazione di norme nell’ambito di un’azione am-ministrativa dà (dava) luogo ad invalidità degli atti giuridici relativi, con un dispendio di attività, di tempo ed anche di mezzi finanziari, del tutto ingiu-stificato, trattandosi in molti casi di violazioni di carattere meramente for-male che non toccano gli interessi degli amministrati;

– tale situazione intralcia l’esercizio dell’azione amministrativa; l’ammi-nistrazione si impantana nei vincoli del formalismo, mostrandosi incapace di gestire efficacemente i suoi compiti;

– si è ritenuto quindi improcrastinabile il passaggio dall’amministrazione come mera attività di attuazione ed esecuzione della legge, all’amministra-zione di risultato, volta all’assolvimento dei valori e dei servizi che le sono stati attribuiti;

– laddove «il cittadino ha diritto ad ottenere qualcosa dall’amministra-zione, deve poter ottenere il bene che gli spetta senza necessità di corse ad ostacoli nell’ambito del procedimento amministrativo, o nell’ambito del pro-cesso, per contrastare le pretese dei controinteressati, sostanzialmente in-fondate ma rese forti dall’ancoraggio a prescrizioni formali»

34.

cipio di legalità e ammnistrazione di risultati, Atti del Convegno, Palermo 27-28 febbraio 2003, a cura di Immordino-Police, Torino, 2004. Anche la dottrina tributaria ha iniziato a percepire queste nuove tendenze, v. i pregevoli contributi di ZAGÀ, Le invalidità degli atti impositivi, Padova, 2012, p. 150 s., e PEPE, Contributo allo studio delle invalidità degli atti impositivi, Torino, 2012, p. 121 s.

34 Si tratta di rilievi critici tratti in parte dalla Relazione parlamentare del Senatore Bas-sanini, ma per lo più formulati da CERULLI IRELLI, Relazione introduttiva. Innovazioni del diritto amministrativo e riforma dell’amministrazione, in Rass. Astrid, 2002.

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4. I rapporti tra lo Statuto del contribuente e la legge generale sull’azione amministrativa

Emerge però qualche dubbio in merito alla nuova prospettiva dell’ammi-nistrazione di risultato ed al depotenziamento dei vizi formali: si tratta di scelte che risultano condivisibili per i procedimenti ed i provvedimenti am-pliativi della sfera giuridica dei privati, nonché per quelli di governo del ter-ritorio, di gestione dei servizi pubblici, ecc., ma suscitano perplessità per quanto riguarda i procedimenti ed i provvedimenti direttamente limitativi della sfera giuridica dei privati. Il passaggio dall’amministrazione come mera esecuzione della legge, all’amministrazione di risultato, convince laddove l’amministrato esprime un interesse pretensivo, allarma laddove l’ammini-strato esprime un interesse oppositivo

35. Sintomatica è la situazione che si verifica nella materia tributaria in cui

mancano i controinteressati ed i contribuenti esprimono interessi oppositivi (salvo che in tema di rimborso, di esenzioni ed agevolazioni, ecc.).

Tuttavia proprio laddove sono più forti e caratterizzanti le connotazioni autoritative, la portata limitativa dei provvedimenti, gli effetti di decurtazio-ne patrimoniale e la natura oppositiva degli interessi, assume un fondamen-tale ruolo di riequilibrio lo Statuto dei diritti del contribuente, quale secon-do pilastro dell’azione impositiva e baluardo garantistico.

In merito è stato convincentemente evidenziato che «ad alcuni dei prin-cipi generali dell’azione amministrativa, codificati nella L. n. 241/1990, po-trebbero ... opporre resistenza i principi statutari, se difformi, alla stregua di un singolare rapporto di specialità tra normative entrambe di carattere ge-nerale, delle quali una ha però una valenza (con i relativi limiti, ma anche con la connessa capacità di resistenza) di regolazione settoriale»

36.

35 Per un’ampia panoramica sulle categorie degli interessi pretensivi e degli interessi op-positivi, alla luce delle recenti trasformazioni che hanno interessato la giustizia amministra-tiva, v. POLICE, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo, vol. I, Profili teorici ed evoluzione storica della giurisdizione esclusiva nel contesto del diritto europeo, Padva, 2000, p. 226 s.; su tali categorie nel sistema processuale tributario v. per tutti GLENDI, op. cit., p. 202 s., p. 256.

36 BASILAVECCHIA, La nullità degli atti impositivi. Considerazioni sul principio di legalità e funzione impositiva, in Riv. dir. fin., 2006, I, pp. 357-358; in senso analogo DEL FEDERICO, I rapporti tra lo Statuto e la legge generale sull’azione amministrativa, in Rass. trib., 2011, I, 1393; ZAGÀ, op. cit., p. 156 s. In merito si segnalano altresì: MARONGIU, op. cit., p. 202, il quale pur ritenendo la L. n. 241/1990 applicabile in materia tributaria, tende a valorizzare la forza di resistenza dello Statuto rispetto alla riforma di cui alla L. n. 15/2005, accentuandone

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Partendo da tali condivisibili spunti, e dalla diffusa concezione dello Sta-tuto come nucleo normativo contenente i fondamentali principi di garanzia del contribuente, va ora puntualizzata una plausibile ipotesi ricostruttiva dei rapporti tra Statuto e legge generale sull’azione amministrativa, anche in me-rito alla delicata problematica del depotenziamento delle violazioni di nor-me sul procedimento o sulla forma degli atti.

Il Legislatore ha ritenuto di dover individuare una griglia di norme e principi posti specificamente a garanzia del contribuente, il quale evidente-mente per la peculiare connotazione marcatamente autoritativa ed ablatoria della potestà impositiva, meritava un apposito “statuto” rafforzativo ed ampliativo del normale quadro garantisco assicurato all’amministrato dalla L. n. 241/1990.

Le norme ed i principi posti dallo Statuto si configurano quindi come parte qualificante delle garanzie fondamentali del contribuente (si configura una superiorità assiologia dei principi statutari, cui fa capo la loro funzione di orientamento ermeneutico vincolante per l’interprete

37. Tali garanzie non possono essere svuotate per via indiretta, mediante il

depotenziamento della violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti ex art. 21 octies, comma 2, della novellata L. n. 241/1990. Risulte-rebbe arbitrario ed irragionevole stravolgere le fondamentali garanzie speci-ficamente poste dallo Statuto in ragione di una norma che attiene al genera-le regime delle garanzie dell’amministrato (se è vero che il contribuente ne-cessitava di un apposito Statuto). il “carattere speciale” e l’anteriorità (lo spunto è comunque circoscritto al problema del responsabile del procedimento ed ai rapporti tra l’art. 7 dello Statuto e l’art. 21 octies, comma 2); RAGUCCI, Il contraddittorio nei procedimenti tributari, cit., che rinviene una so-stanziale coincidenza di principi tra i due nuclei normativi (p. 60, nota 20), tendendo co-munque a risolvere i problemi interpretativi sul piano del grado di specialità e nella pro-spettiva di fondo di salvaguardia della funzione garantistica dello Statuto (p. 222 s.); PIAN-TAVIGNA, op. cit., pp. 88-89, che tende ad elaborare un coerente ed organico “codice di com-portamento” basato sia sulla L. n. 241/1990 sia sullo Statuto; degna di particolare atten-zione risulta la diffusa tesi, elaborata ed argomentata da PERRONE, La disciplina del proce-dimento, cit., p. 569 s., secondo cui ormai lo Statuto avrebbe superato alla radice ogni esi-genza e plausibile margine per l’ipotetica applicabilità in materia tributaria della L. n. 241.

37 Per l’elaborazione teorica di tale approccio v. per tutti MARONGIU, op. cit., p. 54 s.; per la conforme giurisprudenza v.: Cass., sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17576, in Giur. it., 2003, I, p. 2194; Cass., sez. trib., 14 aprile 2004, n. 7080; Corte cost., ord. 6 luglio 2004, n. 216; Cass., sez. trib., 6 maggio 2005, n. 9407; sui principi dello Statuto v. altresì l’ampio inquadramento sistematico di MASTROIACOVO, Valenza ed efficacia delle disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente, in AA.VV., Statuto dei diritti del contribuente, a cura di Fantozzi-Fedele, Milano, 2005, p. 1 s.

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Certo l’applicabilità della regola generale del depotenziamento della vio-lazione di norme sul procedimento o sulla forma non può essere del tutto preclusa in materia tributaria, giacché l’azione impositiva appartiene al genus dell’azione amministrativa, ma la sua operatività può e deve essere preclusa a fronte della violazione delle specifiche norme statutarie, che in quanto nor-me fondamentali di garanzia non possono essere riduttivamente considera-te mere norme sul procedimento o sulla forma degli atti, svilite nella logica delle irregolarità non invalidanti. Resta fermo che il depotenziamento delle violazioni ex art. 21 octies, potrà operare, con tutti i suoi normali limiti, ed alle condizioni previste, a fronte delle semplici norme procedimentali o for-mali disseminate nella legislazione tributaria, laddove non risultino rafforza-te dal baluardo statutario.

5. La codificazione dei vizi del provvedimento e l’amministrazione di risultato

Dalla logica efficientista dell’amministrazione di risultato scaturisce il depotenziamento dei vizi formali, cui fa da pendant la codificazione dei vizi e la valorizzazione della nullità, intesa in senso stretto: per le violazioni più gravi si supera la teoria dell’equiparazione dell’atto illegittimo all’atto legit-timo sul piano degli effetti, e si sottrae la tutela dell’amministrato dalla rigi-da logica del giudizio impugnatorio da incardinare entro il classico tema de-cadenziale. Ma anche nel nuovo assetto della codificazione dei vizi resta normalmente annullabile il provvedimento adottato in violazione di legge, o viziato da eccesso di potere o da incompetenza (art. 21 octies, comma 1). Vi-ceversa, ed è questa la novità più significativa, non è annullabile il provve-dimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti «qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in con-creto adottato» (art. 21 octies, comma 2).

Ai nostri fini il problema di fondo è quello di capire se tali norme risulti-no applicabili ai procedimento ed ai provvedimento tributario.

Posto che si tratta di un nuovo Capo IV bis della L. n. 241/1990, si pro-pende per l’applicabilità, non solo in ragione della invariata formulazione letterale dell’art. 13, ma anche per la mancanza di un’apposita disciplina tri-butaria e la sostanziale compatibilità tra tale nuova tipologia dei vizi e l’espe-rienza legislativa tributaria, in cui frequentemente si rinvengono espresse previsioni di nullità.

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Si ritiene quindi che la L. n. 241/1990, così come novellata dalla L. n. 15/2005 – e segnatamente il nuovo regime dei vizi – si applichi anche in materia tributaria, in quanto compatibile e salvo deroghe, dovendosi risol-vere ogni problema interpretativo salvaguardando la fondamentale e speci-fica funzione garantistica dello Statuto

38. Come risulta dal contesto teorico nel quale è maturata la novella, tutto

ruota su una nuova concezione del principio del buon andamento dell’azio-ne amministrativa ex art. 97 Cost., impregnato non più dal formalismo lega-litario, ma da finalità di risultato ed efficienza. È palpabile il disagio che si prova passando dall’area degli interessi pretensivi degli amministrati, cui age-volmente si attaglia la filosofia della riforma, all’area degli interessi oppositi-vi, nella quale spiccano gli interessi oppositivi dei contribuenti. Ed è disagio profondo e politicamente sensibile, in quanto nella dialettica diritti dei sin-goli-libertà patrimoniali-interesse pubblico-interesse della collettività, il new deal dell’azione amministrativa favorisce gli interessi pubblici e collettivi. Ne è chiara testimonianza il depotenziamento dei vizi formali e della tutela dei singoli, e la scarsa attenzione mostrata dalla riforma per i procedimenti e provvedimenti limitativi, tra i quali spiccano quelli tributari.

Tuttavia anche nell’ambito della funzione impositiva e della giustizia tri-butaria la nuova filosofia dell’amministrazione di risultato, il favor per gli in-

38 In tal senso v.: TESAURO, L’invalidità dei provvedimenti impositivi, in Boll. trib., 2005, p. 1447 s.; BASILAVECCHIA, La nullità degli atti impositivi, cit., p. 356 s.; PIANTAVIGNA, op. cit., p. 75 s.; BUTTUS, Implicazioni tributarie del nuovo regime dei vizi del provvedimento am-ministrativo, in Dir. prat. trib., 2008, I, p. 468 s.; RAGUCCI, Il contraddittorio nei procedimenti tributari, cit., p. 222 s.; DEL FEDERICO, La rilevanza della legge generale sull’azione ammini-strativa in materia di invalidità degli atti impositivi, in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 729; CALIFANO, op. cit., p. 303 s. La prevalente dottrina tributaria evita di affrontare il tema; tuttavia contro l’applicabilità del nuovo regime dei vizi v.: MULEO-LUPI, Motivazione degli atti impositivi e (ipotetici) riflessi tributari delle modifiche alla legge n. 241/90, in Dialoghi trib., 2005, p. 533; PERRONE, La disciplina del procedimento, cit., p. 574; FEDELE, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, p. 355, il quale tuttavia, in un successivo contributo, pur conser-vando ampie riserve sul nuovo regime dei vizi, riconosce l’operatività nella materia tributa-ria delle norme e dei principi del diritto amministrativo, parlando di «risultato positivo, almeno in parte imputabile ... all’indirizzo dato da Micheli agli studi sull’attuazione dei tri-buti» (Diritto tributario, cit., p. 18).

Due recenti studi hanno affrontato la questione ex professo: ZAGÀ, op. cit., p. 85 s., è in sintonia con le tesi qui esposte; viceversa PEPE, op. cit., p. 115 s. opta per una soluzione ra-dicalmente restrittiva, palesando molteplici profili di incompatibilità tra il nuovo regime dei vizi, l’azione impositiva e la giustizia tributaria.

In giurisprudenza per l’applicabilità dell’art. 21 octies in materia tributaria v. Cass., sez. trib., 21 marzo 2012, n. 4516 e 31 gennaio 2013, n. 2373.

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teressi pubblici e collettivi, il nuovo regime dei vizi ed il depotenziamento dei vizi formali possono trovare adeguata implementazione; del resto il dato positivo è insuperabile (e si rammenta che già nel vigore del vecchio D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, l’art. 21, “Rinnovazione dell’atto impugnato”, con-sentiva alla Commissione Tributaria di sollecitare l’Amministrazione Fi-nanziaria alla rinnovazione dell’atto affetto da taluni vizi

39. Infatti nella nostra materia lo Statuto dei diritti del contribuente costitui-

sce un solido baluardo, che si innesta nella disciplina generale dell’azione am-ministrativa, ed orienta in chiave garantistica l’interpretazione e l’attuazione di tutte le leggi tributarie. Come si è avuto modo di precisare il depotenzia-mento della violazione di norme sul procedimento o sulla forma non può operare a fronte della violazione delle specifiche norme contenute nello Sta-tuto del contribuente, che, in quanto espressione di fondamentali esigenze di garanzia, non possono essere riduttivamente considerate mere norme pro-cedimentali o formali. Tuttavia tale depotenziamento potrà operare, con tutti i suoi normali limiti, ed alle condizioni previste, a fronte delle semplici nor-me procedimentali o formali disseminate nella legislazione tributaria, lad-dove non risultino rafforzate dal baluardo statutario.

Comunque la funzione impositiva è caratterizzata da alcune specificità, che consentono un innesto armonioso ed equilibrato del nuovo regime dei vizi, con significativi margini di recupero a favore degli interessi oppositivi dei contribuenti: i poteri impositivi debbono essere esercitati entro termini decadenziali, per cui, a prescindere dai limitati casi di azione di nullità (ad effetto dichiarativo), la normale azione di annullamento ad effetto costituti-vo non potrà che produrre effetti caducatori del provvedimento impositivo impugnato; l’accesso al rapporto è precluso al giudice tributario in quanto è l’Amministrazione Finanziaria a dover emanare l’atto idoneo ad evitare la de-cadenza.

Un problema particolare riguarda le nullità. L’art. 21 septies prevede la nullità del provvedimento amministrativo man-

cante degli elementi essenziali, viziato da difetto assoluto di attribuzione, adottato in violazione o elusione del giudicato, e negli altri casi espressamente previsti dalla legge. Tale rinvio pone problemi delicatissimi in materia tribu-taria; invero frequentemente le leggi tributarie parlano di nullità, ed il termine è utilizzato anche dallo Statuto dei diritti del contribuente (artt. 6, comma 5, ed 11, comma 2); si tratta di capire come si atteggiano tali pregresse nullità

39 V. per tutti MUSCARÀ, Riesame e rinnovazione, cit., p. 155 s.

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a seguito del nuovo regime dei vizi. Un primo orientamento sollecita prag-maticamente la riqualificazione delle pregresse ipotesi di nullità in ragione della effettiva gravità della violazione

40; altro orientamento, più ancorato al dato positivo, è favorevole all’applicabilità del regime del vizio di nullità ogni qual volta se ne rinvengano pregresse ipotesi, quand’anche in passato con-cepite come normali annullabilità-illegittimità, o nullità sanabili

41; sembra preferibile una soluzione intermedia, più sostanzialista ma rispettosa del ruo-lo garantistico dello Statuto del contribuente, per cui ferme restando le nul-lità contemplate dallo Statuto, da intendersi strictu sensu proprio in base al rinvio ex art. 21 septies, alle altre pregresse ipotesi risulta applicabile il regi-me base del vizio di nullità, salvo deroghe sopraggiunte o preesistenti che rendano sanabile il vizio o ne attenuino la gravità (v. ad es. l’art. 59, comma 2, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e l’art. 61, comma 2, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600)

42.

6. I vizi dell’istruttoria

Tanto premesso risulta chiaro che quella che è stata chiamata “illegalità utile”, o “illegalità praticabile”

43, può trovare ingresso anche in materia tribu-taria, ed anzi può consentire di ricondurre a sistema talune soluzioni radi-calmente sostanzialistiche cui in via interpretativa giungono quelle frequenti sentenze della Corte di Cassazione che sterilizzano i vizi dell’istruttoria pro-cedimentale in termini di mera inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita.

40 MULEO-LUPI, op. cit., p. 541; BASILAVECCHIA, La nullità degli atti impositivi, cit., pp. 363-367.

41 TESAURO, L’invalidità dei provvedimenti impositivi, cit., p. 1447, note 8, 9 e 10; BUT-TUS, op. cit., p. 489.

42 Per interessanti spunti sull’azione di nullità v. ZAGÀ, op. cit., pp. 144-150, secondo cui la nullità è rilevabile anche d’ufficio in ogni fase e grado, ancorché sia vanamente decorso il termine di decadenza per l’impugnazione dell’atto; v. altresì, ma in senso contrario, PEPE, op. cit., p. 11 s., che giunge ad escludere l’applicabilità dell’art. 21 septies agli atti impositivi, mostrandosi altrettanto restrittivo sia rispetto alla configurazione di una vera e propria azione di nullità, sia rispetto all’ipotetica operatività, nel processo tributario, dell’art. 231 c.p.a. (che ha codificato tale azione nel sistema della giustizia amministrativa).

43 CIVITARESE MATTEUICCI, La forma presa sul serio. Formalismo pratico, azione ammini-strativa ed illegalità utile, Torino, 2006, pp. 132 s., 281 ss., che riprende gli spunti di LUH-MANN, Funktionen und Folgen formaler Organisation, Berlin, 1999 (I ed. 1964), p. 304.

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Come è noto la giurisprudenza è fluttuante:

– un primo orientamento, sulla base del principio della “invalidità deriva-ta”, ritiene annullabile l’avviso di accertamento per effetto dell’illegittimità degli atti istruttori

44; – un secondo orientamento considera inutilizzabili le prove illegittima-

mente acquisite, con conseguente “infondatezza” dell’avviso di accertamen-to laddove esso non sia supportato da altri elementi ritualmente acquisiti

45; – un terzo orientamento, infine, sempre più pervasivo, giunge ad affermare

l’utilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, salvo i limiti derivanti da specifiche preclusioni o da violazione di diritti costituzionalmente garan-titi

46.

Sul piano teorico la questione va ricondotta ai rapporti tra attività istrut-toria e funzione impositiva, ed alla connotazione autoritativa, o meno, dell’i-struzione probatoria procedimentale.

La tesi più diffusa e pervasiva è quella secondo cui l’autonomia tra attivi-tà istruttoria ed attività impositiva ha come necessaria conseguenza che un vizio dell’istruttoria non può riverberarsi nel provvedimento impositivo, dan-do luogo ad una pura e semplice inutilizzabilità della prova

47. Si ritiene che il nuovo regime dei vizi procedimentali e formali debba com-

portare una profonda revisione dei pregressi orientamenti: laddove nell’ac-certamento confluiscano prove illegittimamente acquisite, ai sensi dell’art. 21 octies l’atto non potrà essere annullato soltanto qualora sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; ormai non vi è più spazio per la teoria della mera inutiliz-zabilità delle prove illegittimamente acquisite (e tantomeno per quella della loro utilizzabilità); ma anche in termini più generali risulta superata la que-stione della c.d. infondatezza, nel senso che l’atto potrà essere soltanto valido o invalido, annullabile o non annullabile (le questioni di “merito” riverberano sul piano della difformità o conformità dell’atto dalle norme sostanziali); la

44 Cass., sez. un., 21 novembre 2002, n. 16424, in Rass. trib., 2003, p. 2088; Cass., sez. trib., 18 luglio 2003, n. 11283, in Corr. trib., 2003, p. 3245.

45 Cass., sez. trib., 19 giugno 2001, n. 8344, in Riv. giur. trib., 2002, p. 351; Cass., sez. trib., 1° aprile 2003, n. 4987, ibidem, 2003, p. 621.

46 Cass., sez. trib., 4 novembre 2008, n. 26454; Cass., sez. trib., 19 febbraio 2009, n. 4001; Cass., sez. trib., 20 marzo 2009, n. 6836.

47 LA ROSA, Principi di diritto tributario, Torino, 2006, p. 324 s.; ID., Sui riflessi procedi-mentali e processuali delle indagini tributarie irregolari, in Riv. dir. trib., 2002, II, p. 292; ID., Istruttoria e poteri dell’ente impositore, ibidem, 2009, I, p. 523.

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prova illegittimamente acquisita non porterà all’annullamento dell’atto di accertamento laddove risulterà irrilevante rispetto al suo contenuto disposi-tivo

48.

7. La centralità del procedimento nell’azione impositiva

Non è dubitabile che nel diritto amministrativo, così come nel diritto tri-butario, il procedimento rappresenti il naturale ambito di emersione degli in-teressi, pubblici e privati, investiti dalla decisione dell’autorità.

Secondo la dottrina prevalente «il fatto che l’attività dell’amministrazio-ne finanziaria sia tendenzialmente vincolata e che quindi non vi siano inte-ressi contrapposti, pubblici e privati, da far emergere, da valutare e da tutela-re non sminuisce ... l’utilità del ricorso alla nozione di procedimento. Il pro-cedimento (anche) nel campo tributario è infatti principalmente il luogo dove si attuano le regole e le garanzie del rapporto tra amministrazione e privato»

49. Come anticipato, autorevole parte della dottrina nega al procedimento

una funzione sostanziale e ricorre alla nozione di procedimento in materia tributaria con una finalità meramente descrittive, o addirittura in modo di-chiaratamente atecnico; ma si ritiene che ciò svilisca il vincolo al doveroso «rispetto, da parte dell’amministrazione, delle regole procedimentali che l’or-dinamento fiscale prevede in funzione di garanzia delle situazioni soggettive del privato (contribuente o soggetto terzo) coinvolto nell’esercizio dell’atti-vità amministrativa. Il rischio è infatti che la svalutazione degli effetti dell’at-to finale e la negazione della sua natura provvedimentale (o comunque della sua idoneità ad incidere sulle posizioni soggettive del contribuente) portino a sottovalutare il rispetto delle norme e dei principi in materia di procedi-mento, relegando la loro inosservanza a mera irregolarità e privilegiando e-sclusivamente il risultato sostanziale, la «giusta imposizione» che si assume essere correlata al verificarsi del presupposto, comunque sia stata accertata dall’amministrazione l’esistenza di quest’ultimo»

50. Questi sono i tratti essenziali del dibattito nella dottrina tributaria e della

contrapposizione tra gli altalenanti orientamenti giurisprudenziali; ma è or-

48 Per analoghe considerazioni v. ZAGÀ, op. cit., p. 257 s. 49 SALVINI, Procedimento amministrativo, cit., p. 4534; per analoghe considerazioni v. al-

tresì CALIFANO, op. cit., p. 110 s. 50 SALVINI, Procedimento amministrativo, cit., p. 4534.

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mai necessario tener conto del mutato quadro normativo e teorico a seguito della novella alla L. n. 241/1990, del generalizzato depotenziamento dei vizi procedimentali e formali, dell’affermarsi della nuova logica dell’amministra-zione di risultato in luogo del tradizionale approccio legalistico-formale.

Per quanto riguarda la materia tributaria va certamente riconosciuto il ruolo fondamentale dell’interesse fiscale, desumibile dall’art. 53 Cost., inte-so quale interesse alla percezione dei tributi, pronta e perequata, mediante l’esatto funzionamento del sistema tributario; ma non può essere obliterato il principio di capacità contributiva espressamente posto al centro del siste-ma dei valori costituzionali. Interesse fiscale e capacità contributiva vanno però contemperati in modo coerente. In una prospettiva formalistica, l’equi-librio e la reciproca salvaguardia rispondono a logiche formali, mentre in una prospettiva sostanzialistica dovranno necessariamente rispondere a lo-giche sostanziali.

Il principio di uguaglianza, il diritto di difesa, le regole del buon andamen-to e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, impongono una interpreta-zione equilibrata e coerente della salvaguardia dell’interesse fiscale e del prin-cipio di capacità contributiva. È specificamente il dovere di imparzialità ad imporre all’Amministrazione Finanziaria di tollerare nei confronti del con-tribuente quegli stessi vizi procedimentali e formali, che ad essa sono tollerati dall’art. 21 octies della L. n. 241/1990.

Per tale via può e deve essere valorizzato in via interpretativa il supera-mento del rigido formalismo che condiziona gli adempimenti dei contribuen-ti, gli obblighi dichiarativi e strumentali, la modulistica, ecc.

Esempi importanti di questa prospettiva sono offerti dallo Statuto del contribuente: si pensi all’art. 6, dedicato alla conoscenza degli atti ed alla sem-plificazione, secondo cui l’Amministrazione Finanziaria deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa de-rivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di san-zioni, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti; si consideri poi l’art. 10, sulla tutela dell’affidamento, che per un verso incentra i rapporti fra contribuente ed Amministrazione Finanziaria sui principi di collaborazione e di buona fede, e per altro verso esclude la punibilità delle violazioni formali.

Su tali basi va fondato il rifiuto di interpretazioni formalistiche ed il dove-roso rispetto dei comportamenti sostanzialmente corretti dei contribuenti.

Ma tutto ciò non comporta affatto una svalutazione del procedimento: tan-to nel diritto amministrativo, quanto nel diritto tributario, se è vero che è re-cessivo il garantismo procedimentale è innegabile che emergono i qualificanti valori dell’economicità, dell’efficacia, della pubblicità, della trasparenza, ecc.

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Il procedimento resta il naturale ambito di emersione degli interessi, pub-blici e privati, investiti dalla decisione dell’autorità, che va assunta nel rispet-to di tali principi. Del procedimento si attenua la tutela garantistica, ma si esalta la funzione gestoria. Nonostante i suindicati profili di depotenziamento dell’invalidità, le norme procedimentali continuano ad avere una notevole rilevanza: sul piano della validità per tutti i provvedimenti discrezionali o che comunque non siano integralmente vincolati, ed entro i limiti posti dall’art. 21 octies anche per i provvedimenti del tutto vincolati; sul piano della respon-sabilità disciplinare; sul piano della responsabilità per danno erariale; sul piano della responsabilità risarcitoria in favore dei cittadini danneggiati; sul piano penale, ecc.

Per quanto riguarda la fiscalità tutto il sistema dell’azione impositiva, dell’attuazione delle norme tributarie e dei controlli resta incentrato sul pro-cedimento; la dichiarazione e l’autoliquidazione rivestono un ruolo fonda-mentale, ma di certo lungi dall’essere autosufficiente, come dimostrano la marcata connotazione autoritativa dei rapporti tributari e l’innegabile rile-vanza dei controlli e della repressione degli illeciti.

Del resto la discrezionalità amministrativa come pilastro su cui fondare la dicotomia tra procedimento amministrativo e procedure tributarie, per un verso è sempre stata svalutata da tutte le prevalenti teorie che hanno posto al centro delle proprie elaborazioni l’autoritatività (o l’imperatività o l’unila-teralità), e per altro verso va perdendo consistenza. Invero già si assiste ad una evoluzione del concetto di attività vincolata, proprio in ragione del de-potenziamento dei vizi formali, ritenuto inapplicabile agli atti «solo parzial-mente vincolati». Autorevole dottrina ha infatti chiarito che «in linea teorica, un atto ... può considerarsi vincolato quando si è in presenza di una fattispe-cie in relazione alla quale la legge stabilisce che, in presenza di un presupposto di fatto che l’amministrazione deve limitarsi ad accertare, senza operare scelte o valutazioni opinabili, l’amministrazione stessa può legittimamente pren-dere un solo provvedimento, predeterminato dalla legge, senza alcun mar-gine di scelta, neanche relativamente all’an»; la presenza di margini di scelta da luogo ad atti «solo parzialmente vincolati»

51. D’altro canto è ricorrente l’identificazione di differenti profili di discrezionalità in relazione all’an, al quid, o al quantum, ed al quomodo.

51 SORACE, Il principio di legalità e i vizi formali dell’atto amministrativo, in Dir. pubbl., 2007, p. 395, in sintonia con VILLATA-RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, p. 63.

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Nel diritto tributario risulta ancora dominante l’orientamento tradizio-nale secondo cui la discrezionalità amministrativa si concretizza attraverso una ponderazione, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, fra l’interesse primario e gli interessi secondari, e tale ponderazione risulta del tutto estra-nea rispetto alla quantificazione del tributo

52. Su tali basi si ritiene che il procedimento tributario (ma sarebbe il caso

di riferirsi al solo procedimento di accertamento del tributo) presenti delle peculiari caratteristiche (rinvenibili del resto in tutti i procedimenti atti-nenti a settori dell’azione amministrativa a connotazione vincolata). Auto-revole dottrina ha osservato che «dato tale carattere, la partecipazione del contribuente non può svolgere quella che è di norma la funzione principa-le della partecipazione del privato, e cioè la funzione di veicolare nel pro-cedimento le situazioni soggettive private che dovranno essere oggetto di ponderazione nello svolgimento dell’attività amministrativa» (laddove ta-le attività sia a connotazione discrezionale). «Tanto l’attività dell’ammini-strazione finanziaria, quanto la partecipazione del contribuente sono dun-que, almeno in linea di principio, funzionali al medesimo obiettivo indivi-duato in modo inderogabile dalla legge, che è quello di giungere alla de-terminazione di un’obbligazione tributaria corrispondente alla reale capa-cità contributiva ... Peraltro, in concreto, le opinioni dell’amministrazione finanziaria e del contribuente possono divergere in ordine alla obiettiva determinazione dell’obbligazione; e ciò, o in conseguenza dell’asimmetria conoscitiva delle due parti in ordine alle reali caratteristiche del presuppo-sto e alla quantificazione dell’obbligazione tributaria, o a seguito dell’ado-zione di diverse opzioni interpretative, ovvero di diverse ricostruzioni di fatti opinabili, o per altri motivi ancora»

53.

52 V. per tutti PERRONE, Discrezionalità e norma interna nell’imposizione tributaria, Milano, 1969, p. 22 s., il quale riprende la teoria classica elaborata da M.S. Giannini; contra LUPI, So-cietà, diritto e tributi, Milano, 2005, p. 113 s., che tende a delineare un concetto molto più ampio di discrezionalità come bilanciamento funzionale tra interessi, criteri interpretativi, parametri tecnici e valori giuridici; per una sintesi del più recente dibattito v. ancora PER-RONE, Discrezionalità amministrativa (dir. trib.), in S. CASSESE (a cura di), Dizionario di di-ritto pubblico, vol. III, Milano, 2005.

53 Così SALVINI, Procedimento amministrativo, cit., p. 4536; ID., La partecipazione, cit., p. 27 s.; per analoghe considerazioni v. pure: FERLAZZO NATOLI, La rilevanza del principio del contraddittorio nel procedimento di accertamento tributario, in AA.VV., L’evoluzione dell’ordi-namento tributario italiano, Atti del Convegno I settanta anni di Diritto e pratica tributaria, Genova 2-3 luglio 1999, coordinati da Uckmar, Padova, 2000, p. 538.

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Tuttavia, a prescindere dalla rivisitazione del tradizionale concetto di di-screzionalità, e dalla sovraesposizione del procedimento di accertamento del tributo, rispetto a tutti gli altri procedimenti tributari, si vanno diffon-dendo sempre più norme che attribuiscono all’Amministrazione Finanziaria pregnanti poteri di “scelta”, basti pensare: alla vasta tipologia degli interpelli disapplicativi ed autorizzatori; all’individuazione del contribuente, dei pe-riodi di imposta, dei comportamenti e degli adempimenti da sottoporre a ve-rifica, alle modalità ed ai contenuti della verifica; all’utilizzo delle metodolo-gie di accertamento, dei poteri istruttori e dei mezzi di prova, ecc.; all’annul-lamento in sede di autotutela, all’accertamento con adesione, alla concilia-zione ed al reclamo/mediazione; alle rateizzazioni, alle misure cautelari, alla transazione fiscale ed ai variegati accordi in tema di riscossione, ecc. Parlare di mera discrezionalità tecnica (in conformità della risalente tradizione) sem-bra ormai privo di senso a fronte dell’art. 21 octies cit., che porta a contrap-porre gli atti assolutamente vincolati, in cui l’attuazione della legge risponde a meri automatismi, a tutti gli altri, in cui rilevano scelte, apprezzamenti com-plessi, ponderazioni tra interessi, ecc.

Comunque soltanto nell’ambito del procedimento e del provvedimen-to è configurabile un controllo sull’esercizio dell’azione impositiva: con-trollo orientato non solo garantisticamente a tutela dell’interesse del con-tribuente (mediante la partecipazione al procedimento e, se del caso, me-diante il sindacato giurisdizionale – del tutto eventuale), ma anche e soprat-tutto controllo (interno, diretto e costante) a tutela dell’interesse pubbli-co, sia in termini di buon andamento ed imparzialità, sia in termini di effi-cacia e verifica della corretta attuazione della capacità contributiva e dei risultati amministrativi.

Risulta quindi indubbia e persistente la centralità del procedimento nell’a-zione impositiva.

8. La tipologia e le fasi dei procedimenti tributari

Secondo alcune delle più diffuse e risalenti critiche all’impiego della ca-tegoria del procedimento in materia tributaria:

– le procedure tributarie non sono riconducibili al modello tipico e non hanno schema unitario;

– per l’attuazione del prelievo possono essere sufficienti solo gli atti del contribuente (dichiarazione e versamento);

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– l’atto finale di un procedimento iniziato può mancare se l’Ufficio non ne ritiene sussistenti i presupposti;

– gli schemi di attuazione del prelievo variano a seconda dei diversi tri-buti

54.

Come si è avuto modo di anticipare si tratta di critiche inconferenti, condizionate da approcci particolaristici (endemici del diritto tributario), che non tengono conto di analoghe situazioni configurabili anche nell’ambi-to della normale azione amministrativa.

A prescindere dai molteplici dati normativi che supportano la sussunzio-ne dell’azione impositiva nell’azione amministrativa, e del procedimento tri-butario nel procedimento amministrativo (supra, par. 2), si osserva che:

– anche i procedimenti amministrativi non sono riconducibili ad un mo-dello tipico e non hanno schema unitario

55; – non è esatto affermare che per l’attuazione del prelievo possono essere

sufficienti solo gli atti del contribuente, basti pensare all’attività amministra-tiva necessaria per l’elaborazione e l’approvazione dei modelli di dichiarazio-ne, di versamento, ecc. ed all’attività amministrativa relativa alla ricezione e gestione di tali adempimenti del contribuente; inoltre vi sono ormai vaste aree del diritto amministrativo in cui l’attuazione è devoluta a modelli con-trattualistici, accordi, attività privata, ecc.

56; – anche nell’azione amministrativa l’atto finale può mancare ove la P.A.

ritenga insussistenti i presupposti per adottare il provvedimento, e ciò se-gnatamente in tutti i procedimenti ad attivazione officiosa; ma ciò che più conta è che seppure manca un atto finale esterno, normalmente viene adot-tato un atto finale interno;

– infine che gli schemi di attuazione del prelievo siano variabili a seconda dei diversi tributi, non vuol dire nulla, ove si consideri che nel diritto ammi-nistrativo le modalità di attuazione della norma mutano notevolmente a se-conda dei settori, della natura degli interessi in gioco, della tipologia di pro-cedimento, ecc.

Vi è poi la tendenza a concentrare l’analisi sui controlli e sull’accertamen-to in materia di imposte sui redditi e di IVA, trattandosi dei più importanti

54 V. da ultimo COMELLI, op. cit., p. 102 s. 55 V. ad es. SANDULLI, op. cit., pp. 4511-4512. 56 V. per tutti CIVITARESE MATTEUCCI, Regime giuridico dell’attività amministrativa e di-

ritto privato, in Dir. pubbl., 2003, p. 419 s.

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tributi e dei più critici segmenti del rapporto Fisco-contribuente, ma si trat-ta di una prospettiva influenzata da interessi applicativi, che porta a sovrae-sporre tali tributi ed a trascurare tutte le altre procedure attuative in tema di sanzioni, agevolazioni, riscossione, rimborsi, ecc.; si sovraespongono altresì i tributi erariali gestiti dall’Agenzia delle Entrate rispetto a tutti gli altri tribu-ti, ed all’attività delle altre Agenzie fiscali e degli altri enti impositori.

La stessa dottrina del diritto amministrativo enfatizza la rilevanza dell’ac-certamento tributario, qualificando e collocando i procedimenti tributari nell’ambito dei procedimenti ablatori obbligatori, con le quali si richiede al destinatario del provvedimento l’adempimento di un’obbligazione, «instau-rando, tra autorità e cittadino, un rapporto di pretesa-obbligo»

57. È necessario recuperare quindi attenzione per lo studio della tipologia,

dei contenuti e degli effetti dei procedimenti tributari 58, distinguendo tra:

– procedimenti di controllo; – procedimenti giustiziali; – procedimenti ampliativi dei diritti dei contribuenti (in capo ai quali si

configurano interessi pretensivi); – procedimenti limitativi dei diritti dei contribuenti (in capo ai quali si

configurano interessi oppositivi); – procedimenti di accertamento; – procedimenti di liquidazione; – procedimenti di riscossione; – procedimenti di rimborso; – procedimenti sanzionatori, ecc.

Per comprendere appieno la fenomenologia dell’azione impositiva va evi-tato l’appiattimento sui fondamentali e classici temi dell’accertamento del tributo (su cui ancora oggi indugia gran parte della dottrina

59, cercando di focalizzare i mutevoli assetti tra meccanismi di mera attuazione della legge ed attività in cui rilevano scelte, apprezzamenti complessi, ponderazioni tra interessi, ecc.).

Comunque la dottrina nel privilegiare nettamente lo schema del proce-dimento di controllo sostanziale delle dichiarazioni nelle imposte sui redditi e nell’IVA, è giunta ad elaborare un modello di procedimento di accerta-

57 SANDULLI, op. cit., p. 4520. 58 Per un’applicazione di tale approccio allo studio della motivazione degli atti dell’Am-

ministrazione Finanziaria v. CALIFANO, op. cit., p. 264 s. 59 V. ad es. COMELLI, op. cit., p. 112 s.

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mento in senso stretto, nell’ambito del quale ha individuato le tipiche fasi procedimentali dell’iniziativa, dell’istruttoria, della decisione e dell’emissione dell’atto finale

60.

9. Segue: l’iniziativa

Ormai da tempo l’iniziativa è imperniata su criteri selettivi stabiliti da atti amministrativi di carattere generale, diretti ad individuare categorie di con-tribuenti la cui posizione fiscale manifesta elementi di anomalia o per i quali risulta comunque opportuno effettuare controlli.

Tuttavia tali criteri non sono vincolanti; l’Agenzia può procedere al con-trollo anche nei confronti di contribuenti “fuori lista”

61. La legge attribuisce anche alla Guardia di Finanza il potere di effettuare

controlli e quindi il potere di iniziativa procedimentale. Sotto il profilo soggettivo merita un cenno l’art. 44, D.P.R. n. 600/1973

sulla partecipazione dei comuni all’accertamento dei redditi delle persone fisiche: sino ad una recente modifica (art. 18, D.L. 2 marzo 2010, n. 78, conv. dalla L. 30 luglio 2010, n. 122) i comuni potavano formulare una vera e propria proposta di accertamento, ora il loro ruolo si articola in una parteci-pazione istruttoria a finalità informativa.

60 SALVINI, Procedimento amministrativo, cit., p. 4534. 61 In genere anche in presenza di decreti amministrativi volti a regolamentare l’effettua-

zione dei controlli, e ad identificare i contribuenti da verificare mediante il sistema delle liste, permane ampio margine di scelta, in quanto viene espressamente prevista la destina-zione di una quota di capacità operativa ai controlli ai quali gli uffici “riterranno di proce-dere” fuori lista (in merito v. ad es. art. 3, comma 6, D.M. 28 dicembre 1994; Min. Fin. Circ., 10 luglio 1997, n. 119; Min. Fin. Nota, 6 ottobre 1999, n. 167143). L’orientamento prevalente esclude che il contribuente possa sindacare il criterio di scelta, il c.d. controllo fuori lista e/o la scelta dei periodi d’imposta da sottoporre a verifica: FAVARA, La programma-zione dei controlli fiscali in Italia: aspetti giuridici, in Riv. dir. fin., 1982, I, p. 222; GALLO, Di-screzionalità nell’accertamento tributario e sindacabilità delle scelte dell’ufficio, in Riv. dir. fin., 1992, 1, p. 539; SALVINI, La partecipazione, cit., pp. 87-91; PORCARO, Riflessioni sulla natura del potere amministrativo nell’ambito dell’attività istruttoria tributaria, in Dir. prat. trib., 2007, I, p. 1124; TAR Lazio, 20 dicembre 1991, n. 2176, in CTC, 1992, IV, p. 455. Viceversa per l’ammissibilità del sindacato: FANTOZZI, I rapporti tra fisco e contribuente nella nuova prospettiva dell’accertamento tributario, in Riv. dir. fin., 1984, I, 228; TRIVELLIN, I decreti mi-nisteriali sui criteri selettivi per il controllo delle dichiarazioni nei recenti orientamenti giuri-sprudenziali, in Riv. dir. trib., 1997, II, p. 559; SELICATO, op. cit., p. 224; LUPI, Manuale giu-ridico professionale di diritto tributario, Milano, 2001, p. 405.

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Altrettanto degno di nota è il potere del Garante del contribuente di atti-vare le procedure di autotutela nei confronti degli atti di accertamento o di riscossione notificati al contribuente (art. 13, comma 6, Statuto).

Sul piano generale è indiscutibile che il procedimento di accertamento deve essere qualificato come procedimento officioso

62, risultando del tutto superata la risalente tesi che attribuiva (in ben altro quadro normativo) alla dichiarazione la funzione di impulso procedimentale

63. L’Amministrazione Finanziaria non è tenuta a comunicare al contribuen-

te l’avvio del procedimento, giacché – come ormai ampiamente chiarito – secondo l’art. 13, L. n. 241/1990 le disposizioni relative alla partecipazione al procedimento amministrativo – Capo II, artt. 7-12 – non si applicano ai procedimenti tributari (che normalmente, in ragione di peculiari esigenze in-vestigative, presentano forti connotazioni inquisitorie).

10. Segue: l’istruttoria

Nella fase istruttoria vengono individuate e raccolte le prove su cui basa-re l’eventuale atto di accertamento (che ha natura provvedimentale), me-diante l’esercizio di poteri istruttori specificamente disciplinati ed attribuiti dalla legge (v. ad es.: artt. 32 s., D.P.R. n. 600/1973; artt. 51 s., D.P.R. n. 633/1972), che si dedica particolare attenzione anche alle modalità opera-tive, prevedendo tempi, modi di esercizio dell’attività conoscitiva, l’obbligo di redigere appositi processi verbali giornalieri e processi verbali di consta-tazione, ecc.; tali poteri possono essere esercitati non solo dall’Agenzia delle Entrate, ma anche dalla Guardia di Finanza.

Si tratta certamente della fase più articolata e complessa del procedimento di accertamento, non solo per la molteplicità e l’invasività dei poteri istruttori, ma anche per la varietà delle situazioni soggettive dell’Amministrazione Fi-nanziaria e dei privati coinvolti, talvolta terzi non direttamente interessati all’attuazione del prelievo, tanto da configurare dei subprocedimenti

64. La giurisprudenza nazionale è decisamente orientate ad escludere la pos-

sibilità di impugnare immediatamente un atto della verifica fiscale, quand’an-che rivolto a soggetto terzo, che quindi rimarrà estraneo all’eventuale giudi-

62 V. per tutti GLENDI, op. cit., p. 97 s. 63 FANTOZZI, La solidarietà nel diritto tributario, Torino, 1968, p. 167; MAGNANI, La di-

chiarazione annuale dei redditi, Padova, 1974, p. 100. 64 SALVINI, Procedimento amministrativo, cit., p. 4534.

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zio sull’atto di accertamento; anche una ipotetica immediata lesività dell’at-to istruttorio non consente deroghe al principio della tutela differita alla fase dell’eventuale emanazione dell’atto di accertamento

65; tuttavia emergono si-gnificative aperture in ambito europeo

66. L’intensa autoritatività dei controlli, degli accessi, delle ispezione e delle

verifiche, da corpo ad un vero e proprio potere di polizia tributaria, per cui i diritti e le garanzie dei contribuenti sottoposti a verifiche fiscali hanno tro-vato espressa salvaguardia nello Statuto dei diritti del contribuente, laddove l’art. 12 delimita l’esercizio delle verifiche e l’art. 15 prevede un apposito co-dice di comportamento per i verificatori.

Tempi e modalità dell’azione di verifica sono stati disciplinati, in modo tale da contemperare l’interesse pubblico alla completa acquisizione degli elementi utili ai fini del controllo con i diritti e gli interessi del contribuente.

Peraltro il contemperamento tra le opposte esigenze delle parti non si li-mita alla ricerca di un assetto equilibrato sul piano normativo; la formula-zione letterale dell’art. 12 e la sua evidente ratio esprimono sotto diversi pro-fili la necessità di una ponderazione dei contrapposti interessi del Fisco e del contribuente nel corso delle attività di verifica, dando corpo a quei profili di vera e propria discrezionalità amministrativa immanenti all’attività conosci-tiva, da tempo acutamente evidenziati dalla più attenta dottrina

67; inoltre, rispetto ai tradizionali principi dell’istruttoria emerge l’innesto del principio di proporzionalità (che in base all’art. 1, comma 1, della novellata L. n. 241/ 1990, permea tutta l’area dell’azione amministrativa e dell’azione impositiva).

65 Cons. Stato, sez. IV, 5 dicembre 2008, n. 6045, in Corr. trib., 2009, p. 536; Cass., sez. un., 16 marzo 2009, n. 6315, ibidem, 2009, p. 1918; ma v. ibidem le note critiche di MAR-CHESELLI, Il Consiglio di Stato “limita” le garanzie formali negli accessi agli studi professionali, e di MULEO, Le Sezioni Unite dichiarano non impugnabili dinanzi al TAR gli atti istruttori del procedimento.

66 CEDU, 21 febbraio 2008, Ravon c. Francia, in Riv. dir. trib., 2008, p. 181, con nota adesiva di MULEO, L’applicazione dell’art. 6 della Cedu anche all’istruttoria tributaria a segui-to della sentenza del 21 febbraio 2008 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Ra-von e altri c. Francia e le ricadute sullo schema processuale vigente, p. 198, e di MARCHESELLI, Accessi, verifiche fiscali e giusto processo: una importante sentenza della Corte europea dei dirit-ti dell’uomo, in Riv. giur. trib., 2008, p. 746; per un quadro generale della giurisprudenza della CEDU v. DEL FEDERICO, Tutela del contribuente, cit., p. 28 s.

67 GALLO, op. cit., p. 661; SAMMARTINO, I diritti del contribuente nella fase delle verifiche fiscali, in MARONGIU, op. cit., p. 125 s., qualifica le situazioni soggettive di cui all’art. 12 co-me situazioni di interesse legittimo; v. altresì MICELI, La partecipazione del contribuente alla fase istruttoria, in AA.VV., Statuto dei diritti del contribuente, cit., p. 673.

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Le illegittimità emergenti nel corso delle verifiche fiscali possono essere censurate dal contribuente, il quale «può rivolgersi anche al Garante», come recita ambiguamente l’art. 12, comma 6, cit. Restano fermi i normali mezzi di tutela, per cui il contribuente potrà eccepire i vizi di legittimità (compre-so ovviamente l’eccesso di potere), mediante l’impugnazione dell’atto di ac-certamento nel quale sono confluite le risultanze istruttorie della verifica.

11. Segue: l’atto finale

Ai fini dell’emanazione dell’atto finale il vaglio delle prove acquisite duran-te la fase istruttoria può essere effettuato solo dall’Ufficio delle Entrate com-petente ad emanare l’atto di accertamento, anche se l’istruttoria è stata con-dotta dalla Guardia di Finanza.

Al termine dell’attività di controllo i verificatori procedono alla redazione di un processo verbale di constatazione, nel quale debbono descrivere i ri-sultati dell’attività svolta, esprimono le proprie valutazioni in merito, propon-gono l’eventuale recupero delle imposte, l’irrogazione delle sanzioni, ecc. Nell’emanazione dell’atto di accertamento l’Ufficio delle Entrate deve effet-tuare una propria autonoma e specifica valutazione dei risultati dell’attività di controllo, ma spesso si limita a recepire acriticamente i rilievi del processo verbale.

Laddove l’Ufficio ritenga di non poter condividere i rilievi dovrà essere emanato un vero e proprio atto di archiviazione, sia pure a rilevanza essen-zialmente interna; ciò non soltanto per ragioni di imparzialità e di buon anda-mento dell’azione impositiva, ma anche per prudenziali esigenze interne agli uffici, attinenti alla esplicitazione delle scelte operative.

In base alle premesse di carattere sistematico già ampiamente illustrate, l’atto di accertamento ha natura provvedimentale.

12. Segue: il contraddittorio e la partecipazione

Come si è avuto modo di chiarire la novella del 2005 non ha toccato l’art. 13 della L. n. 241/1990, secondo cui le disposizioni contenute nel Capo III della legge, “partecipazione al procedimento amministrativo”, non si appli-cano ai procedimenti tributari; tuttavia sul piano sistematico spicca il raffor-zamento dei principi generali di cui all’art. 1, comma 1, che consente l’in-

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gresso nel nostro ordinamento di tutti i principi dell’ordinamento comuni-tario, e quindi per es. anche del principio del contraddittorio.

Pertanto per l’azione impositiva, ferma l’inapplicabilità del cit. Capo III, il principio del contraddittorio dovrà comunque essere osservato, quand’an-che senza i formalismi e le minuziose disposizioni legislative degli artt. 7-12.

In buona sostanza il contraddittorio è nucleo insopprimibile di rilievo so-stanziale, nel senso che prima o poi nell’ambito del procedimento deve essere salvaguardato un momento di confronto fra le parti, mentre le forme parte-cipative possono essere limitate (si pensi alla preliminare comunicazione ed al contenuto dell’avvio del procedimento, all’accesso agli atti, alla libertà delle forme di intervento, ecc.). Questa tesi trova conforto in alcune norme dello Statuto del contribuente e nella più recente giurisprudenza.

Lo Statuto grava l’Agenzia delle Entrate, a pena di nullità, dell’obbligo di invitare il contribuente a fornire chiarimenti o documenti prima di procede-re all’iscrizione a ruolo (art. 6, comma 5); viene poi riconosciuto il diritto del contribuente di presentare deduzioni dopo la notifica del processo verbale di constatazione, gravandosi l’Agenzia di specifici obblighi di vaglio istrutto-rio prima di emanare l’accertamento (art. 12, comma 7)

68. Per quanto riguarda la giurisprudenza a fronte dei risalenti orientamenti

svalutativi del contraddittorio sembrano ormai risolutive le sentenze del 2009 con le quali le Sezioni Unite, in tema di accertamenti standardizzati, hanno, infine, riconosciuto che «il contraddittorio deve ritenersi un elemento essen-ziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normati-va) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa ...»)

69; ma persistono pronunce di segno opposto

70. Il quadro dell’evoluzione giurispru-denziale si completa con alcuni decisi arresti garantistici della Corte di Giusti-zia

71. Venendo alle forme partecipative l’autorevole dottrina che più attenta-

mente ha studiato il tema ne identifica due distinte tipologie 72:

68 La dottrina ne ha desunto la generalizzata, sia pure implicita, implementazione del principio del contraddittorio; v. per tutti MARONGIU, op. cit., pp. 140-143.

69 Cass., sez. un., 1-18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638. 70 V. ad es. Cass., sez. trib., 28 febbraio 2013, n. 15319. 71 V. soprattutto la sentenza 18 dicembre 2008, Sopropé, causa C-349/07, con nota

adesiva di RAGUCCI, Il contraddittorio come principio generale del diritto comunitario, in Rass. trib., 2009, p. 580.

72 SALVINI, La partecipazione, cit.; ID., La «nuova» partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo statuto del contribuente ed oltre), in Riv. trib., n. 1, 2000, p. 13 s.; ID., Procedimento amministrativo (dir. trib.), cit., p. 4540.

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– la partecipazione collaborativa, mediante la quale l’Amministrazione Fi-nanziaria può acquisire nei confronti del contribuente, partecipe, ma sotto-posto a poteri autoritativi, elementi probatori utili ai fini del controllo

73; – la partecipazione difensiva, mediante la quale l’Amministrazione Finan-

ziaria consente al contribuente di apportare motivi, eccezioni, prove, ecc., a tutela dei propri interessi, affinché vengano valutati prima di emettere il prov-vedimento impositivo (si pensi all’accertamento antielusivo ex art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973, all’iscrizione a ruolo a seguito di liquidazione della di-chiarazione ex art. 6 ed alle deduzioni a fronte del PVC ex art. 12, L. n. 212/ 2000; alle deduzioni nel procedimento sanzionatorio ex art. 16, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, ecc.

74.

Tuttavia tale bipartizione risulta scarsamente utile sul piano applicativo; in entrambe le forme partecipative si sovrappongono ed ibridano acquisi-zioni conoscitive proficue per l’Amministrazione Finanziaria ed iniziative del contribuente a tutela dei propri interessi.

Sembra invece più significativa la identificazione – già da tempo ampia-mente argomentata

75 – della peculiare forma partecipativa configurabile nel caso in cui i poteri istruttori vengono esercitati nei confronti di soggetti di-versi dal contribuente sottoposto a controllo; soggetti terzi che in ragione dei rapporti intrattenuti con il contribuente, sono in possesso di documenti, da-ti e notizie utili ai fini del controllo (v. ad es. art. 32, comma 1, nn. 5 s., D.P.R. n. 600/1973, ed art. 51 D.P.R. n. 633/1972).

È stato evidenziato che «l’esercizio di tali poteri nei confronti dei terzi non può evidentemente essere ricondotto alla posizione passiva di questi nel rap-porto di imposta, né può assegnarsi alla loro partecipazione una funzione di-fensiva, data l’estraneità al rapporto e alle relative situazioni soggettive. I terzi assumono dunque una funzione ausiliaria dell’amministrazione finanziaria e gli atti relativi all’attività svolta nei loro confronti e gli elementi di prova even-tualmente acquisiti con il loro ausilio entrano a far parte del procedimento re-lativo al contribuente controllato»

76.

73 Si tratta della parte centrale dell’attività di accertamento, v.: MULEO, Contributo allo studio del sistema probatorio, cit.; VIOTTO, op. cit.; CIPOLLA, La prova tra procedimento e pro-cesso tributario, Padova, 2005.

74 V. per tutti RAGUCCI, Il contraddittorio nei procedimenti tributari, cit. 75 SALVINI, La partecipazione, cit., p. 247 s.; COPPA, Gli obblighi fiscali dei terzi, Padova,

1990, p. 189 s. 76 SALVINI, Procedimento amministrativo, cit., p. 4541.

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La funzione ausiliaria fa si che i terzi possano intervenire nel procedimento di controllo nei confronti del contribuente, fornendo spontaneamente dati e notizie all’Amministrazione Finanziaria; è altresì ipotizzabile che possano da-re impulso all’azione impositiva fornendo elementi conoscitivi a carico di con-tribuenti non ancora sottoposti a controllo.

Ovviamente il ruolo ausiliario non esclude che, a seguito di inottemperan-za alle richieste istruttorie, ovvero laddove emergano elementi rilevanti sul piano della violazione di specifici obblighi sostanziali e/o strumentali, il terzo possa essere sottoposto a procedimenti sanzionatori e/o di accertamento.

Altro profilo partecipativo peculiare potrebbe essere quello relativo alle fi-gure del sostituto e del responsabile d’imposta (art. 64, D.P.R. n. 600/1973), anch’essi qualificabili terzi rispetto al contribuente, ma con uno status tribu-tario quanto mai articolato e significativo.

Risulta evidente che la particolare attenzione della dottrina tributaria alle forme partecipative è stata sollecitata dalla esplicita inapplicabilità degli artt. 7-12 della L. n. 241/1990.

Conclusioni

Come si è avuto modo di evidenziare è ormai necessario tener conto del mutato quadro normativo e teorico, del depotenziamento dei vizi procedi-mentali e formali, e più in generale dell’affermarsi dell’amministrazione di ri-sultato. Nel momento in cui risultano recessive le tradizionali logiche formali-stiche, interesse fiscale e capacità contributiva vanno ora contemperati in mo-do coerente nell’attuale prospettiva sostanzialistica.

Il principio di uguaglianza, il diritto di difesa, le regole del buon andamen-to e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, impongono una gestione equilibrata e coerente dei rapporti tributari. Il dovere di imparzialità impone all’Amministrazione Finanziaria di tollerare nei confronti del contribuente quegli stessi vizi procedimentali e formali, che ad essa sono ormai tollerati in ragione della logica dell’amministrazione di risultato.

Pertanto deve essere valorizzato in via interpretativa il superamento del rigido formalismo che condiziona gli adempimenti dei contribuenti, gli ob-blighi dichiarativi e strumentali, la modulistica, ecc.; su tali basi va fondato il rifiuto di interpretazioni formalistiche ed il doveroso rispetto dei comporta-menti sostanzialmente corretti dei contribuenti, in ossequio alla concezione sostanzialistica della capacità contributiva, che ne richiede la salvaguardia in termini di risultato utile ed effettività.

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Tuttavia questi nuovi assetti dell’azione impositiva non comportano af-fatto una svalutazione del procedimento: se è vero che è recessivo il garanti-smo è innegabile che emergono i qualificanti valori dell’economicità, dell’ef-ficacia, della pubblicità, della trasparenza, ecc.; il procedimento resta il natu-rale ambito di emersione degli interessi, pubblici e privati, investiti dalla de-cisione dell’autorità; del procedimento si attenua la tutela garantistica, ma si esalta la funzione gestoria. Soltanto nell’ambito del procedimento è confi-gurabile un controllo sull’esercizio dell’azione impositiva: controllo orientato non solo garantisticamente a tutela dell’interesse del contribuente (median-te la partecipazione al procedimento e, se del caso, mediante il sindacato giu-risdizionale – del tutto eventuale), ma anche e soprattutto controllo (inter-no, diretto e costante) a tutela dell’interesse pubblico, sia in termini di buon andamento ed imparzialità, sia in termini di efficacia e verifica della corretta attuazione della capacità contributiva e dei risultati amministrativi.

Tutto il sistema dell’azione impositiva resta incentrato sul procedimento; la dichiarazione e l’autoliquidazione rivestono un ruolo fondamentale, ma di certo lungi dall’essere autosufficiente, come dimostrano la marcata connota-zione autoritativa dei rapporti tributari e l’innegabile rilevanza dei controlli e della repressione degli illeciti.

Del resto, nonostante il depotenziamento dell’invalidità, le norme pro-cedimentali continuano ad avere una notevole rilevanza anche ai fini della tutela del contribuente: sul piano della validità per tutti i provvedimenti di-screzionali o che comunque non siano integralmente vincolati, ed entro cer-ti limiti anche per i provvedimenti del tutto vincolati; sul piano della respon-sabilità civile, della responsabilità disciplinare, della responsabilità erariale e/o della responsabilità penale.

Vi sono poi due dati settoriali che in materia tributaria assumono uno specifico rilievo garantistico e sostanziale.

Per quanto riguarda l’azione impositiva è lo Statuto dei diritti del contri-buente a costituire un solido baluardo, che si affianca alla disciplina generale dell’azione amministrativa, ed orienta in chiave garantistica l’interpretazio-ne e l’attuazione di tutte le leggi tributarie.

Per quanto riguarda il processo e le tecniche di tutela i poteri impositivi debbono essere esercitati entro termini decadenziali, per cui l’azione costitu-tiva di annullamento non potrà che produrre effetti caducatori del provve-dimento impositivo impugnato, precludendo al giudice tributario l’accesso al rapporto, in quanto è l’Amministrazione Finanziaria a dover emanare l’atto idoneo ad evitare la decadenza.

La logica di fondo resta (deve restare) quella classica, centrata sulla divi-

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sione dei poteri, base ineludibile di ogni stato di diritto: il Potere Legislativo emana le leggi, il Potere Esecutivo le attua e quindi amministra, il Potere Giu-risdizionale giudica sulla corretta attuazione delle leggi e sul corretto opera-to dell’amministrazione.

Sul piano teorico, chiarito che nei procedimenti tributari la partecipazione del privato (contribuente, terzo, ecc.) assume peculiari forme, notevolmen-te delimitate, circoscritte e depotenziate rispetto alla disciplina base della legge generale, acclarato che tali limitazioni trovano giustificazione nella na-tura marcatamente inquisitoria ed autoritativa dei controlli, enucleate le dif-ferenze tra forma della partecipazione e nucleo del contraddittorio, sembra che a questo punto – in ragione del nuovo regime dei vizi formali e proce-dimentali e dell’ormai indiscutibile sussunzione dell’azione impositiva nella attività amministrativa – l’analisi dei procedimenti tributari debba essere in-centrata sulla loro tipologia, sui contenuti e sugli effetti. Sotto altro profilo la nuova prospettiva dell’amministrazione di risultato porterà a valorizzare la funzione gestoria del procedimento, spostando l’attenzione degli operatori, e l’eventuale sindacato giurisdizionale, dal rispetto delle forme alla salvaguar-dia sostanziale dei diritti e degli interessi.

Un ultimo spunto va riservato al disegno di legge delega in corso di ela-borazione (atto Senato n. 1058/2013), non tanto per la convinzione che ta-le disegno di legge possa approdare a qualcosa di concreto, quanto piuttosto per tastare le sensibilità politico-istituzionali in materia.

Per quanto riguarda il procedimento, la tipologia dei vizi e il trend del-l’amministrazione di risultato, i principi e criteri direttivi di cui all’art. 1, com-ma 1, si limitano a richiedere:

– «coordinamento e semplificazione delle discipline concernenti gli ob-blighi contabili e dichiarativi dei contribuenti, al fine di agevolare la comuni-cazione con l’amministrazione finanziaria in un quadro di reciproca e leale collaborazione, anche attraverso la previsione di forme di contraddittorio propedeutiche all’adozione degli atti di accertamento dei tributi» (lett. b);

– «coerenza e tendenziale uniformità dei poteri in materia tributaria e del-le forme e modalità del loro esercizio, anche attraverso la definizione di una disciplina unitaria della struttura, efficacia ed invalidità degli atti dell’ammini-strazione finanziaria e dei contribuenti, escludendo comunque la possibilità di sanatoria per la carenza di motivazione e di integrazione o di modifica della stessa nel corso del giudizio» (lett. c).

La laconicità e genericità di tali indicazioni scoraggia un commento a pri-ma lettura, ci si limita però a segnalare che:

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– i precedenti abortiti tentativi di legge delega non contenevano (nem-meno) previsioni del genere;

– la previsione di forme di contraddittorio limitate agli atti di accerta-mento dei tributi, pregiudica la salvaguardia del contraddittorio per tutti gli altri atti in tema di sanzioni, liquidazione, riscossione, ecc.;

– traspare una ragionevole esigenza di semplificazione procedimentale; – traspare una esigenza di unitaria disciplina della struttura, efficacia ed

invalidità degli atti dell’amministrazione; – si pone il vincolo di un unitario regime dell’efficacia e della invalidità

per gli atti dell’amministrazione e per quelli del contribuente; – il potenziamento delle ipotesi di sanatoria non potrà inficiare il fonda-

mentale ruolo della motivazione degli atti impositivi.

Per quanto timide e vaghe, emergono buone premesse, ma come spesso avviene il Legislatore delegante tende a rimettersi totalmente al Governo de-legato, per cui è incombente il rischio di interventi troppo sbilanciati a favore dell’Amministrazione Finanziaria.

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LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI PER L’OBBLIGAZIONE D’IMPOSTA DELLA SOCIETÀ ESTINTA

SHAREHOLDERS’TAX LIABILITY FOR THE OBLIGATIONS OF THE CEASED COMPANY

Abstract Le Sezioni Unite della Cassazione hanno riaffermato il principio per cui la can-cellazione della società dal registro delle imprese ne determina l’estinzione. Hanno chiarito, però, che l’estinzione dell’ente non determina quella delle obbligazioni ad esso facente capo, ma apre una vicenda successoria, assimilabile a quella mor-tis causa. Nella nota, si esaminano le conseguenze che l’interpretazione dell’art. 2495 c.c. proposta dalla Corte di Cassazione può produrre sulla limitazione della responsabilità, propria delle società di capitali, e sul rapporto tributario e si pro-pone una ricostruzione della norma fondata sulla valorizzazione dell’abuso dello schermo societario, del beneficio economico del socio e dell’art. 53 Cost. Parole chiave: IRES, società di capitali, estinzione, abuso, responsabilità dei soci The Grand Chamber of the Italian Supreme Court (ISC) has confirmed the principle according to which the removal of a company from the register determines its extinc-tion, but it makes clear that such extinction does not determine also the extinction of all its obligations, opening a procedure similar to the mortis causa succession. This comment focuses on the consequences that the interpretation of Art. 2495 Civil Code proposed by the ISC may have on the limited liability of corporations and on tax obli-gations, and it proposes a reading of the provision based on the abuse of corporate veil, on the shareholder’s economical benefice and on Art. 53 of the Constitution. Keywords: Corporate tax, corporations, extinction, abuse, shareholders’tax liability

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SOMMARIO: 1. La tesi successoria delle Sezioni Unite e il “nodo” dell’art. 2495 c.c. sulla responsabilità dei soci in generale. – 2. L’abuso dello schermo societario e gli interessi dei singoli soci in generale. – 3. L’applicabilità dell’art. 2495 c.c. all’obbligazione d’imposta e l’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973. – 4. Il destino dell’obbligazione d’imposta nella prospettiva tracciata dalle Sezioni Unite. – 5. La necessità di superare logiche meramente successorie nella prospettiva dell’“abuso” della persona-lità giuridica e del beneficio indebito del socio: una lettura dell’art. 2495 c.c. costituzionalmente orientata dall’art. 53 della Carta fondamentale.

1. La tesi successoria delle Sezioni Unite e il “nodo” dell’art. 2495 c.c. sulla responsabilità dei soci in generale

Con la sentenza che si annota, le Sezioni Unite della Cassazione sono tornate sulla vexata quaestio degli effetti che la cancellazione delle società di capitali dal registro delle imprese può determinare, nel sistema tratteggiato dal novellato art. 2495 c.c.

1. Il Collegio ha tenuto fermo il principio affermato nelle sentenze nn.

4060, 4061 e 4062/2010, per il quale dalla cancellazione dal registro delle imprese segue, necessariamente ed irrevocabilmente, l’estinzione dell’ente. Ha precisato, però, che da tale estinzione non può derivare quella dei rap-porti della società, bensì l’apertura di una vicenda successoria. Pertanto, al suo verificarsi, la titolarità di quelle situazioni giuridiche viene trasferita ai soci, che, nel caso in cui siano debitorie, ne rispondono nei limiti delle utili-tà loro assegnate col bilancio di liquidazione; quando, invece, siano credito-rie, possono disporne soltanto alla condizione di non averle previamente ri-nunciate.

Secondo i giudici questa conclusione s’impone come necessaria per evi-tare che la scelta – unilaterale – dei soggetti che hanno utilizzato lo stru-mento societario per realizzare proprie utilità economiche possa pregiudica-re terzi creditori, privi del potere di interdirla. Conclusione che sarebbe legit-timata, del resto, anche dalla considerazione che l’attribuzione di personali-tà giuridica ad un ente è una mera fictio iuris, funzionale alla realizzazione

1 Il principio affermato nella sentenza che si annota è stato immediatamente ripreso e confermato dalla giurisprudenza delle Sezioni semplici della Cassazione, con una serie di pronunce che attestano non solo l’urgenza della questione, ma anche il rapido consolidarsi di un orientamento, cui va senz’altro riconosciuto il merito di offrire una soluzione di ap-parente semplicità ad una problematica assai complessa. Si vedano Cass., sez. III, sent. 8 agosto 2013, n. 18932, in Fisconline; Cass., sez. I, sent. 17 luglio 2013, n. 17467, in Fisconline.

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degli interessi individuali delle persone, fisiche o giuridiche, che nell’ente me-desimo convengono e che, pertanto, ben può accettarsi che le obbligazioni sorte in capo ad esso si trasferiscano a chi è l’effettivo portatore degli inte-ressi, conservando, tali obbligazioni, “la propria causa e la propria originaria natura giuridica”.

Si tratta, dunque, di arresto importante, che scioglie il nodo intrecciato dalla riforma civilistica del 2003 attraverso, da un lato, l’imputazione ai sin-goli soci degli interessi economici riferibili, in prima battuta, alla società; e, dall’altro, l’ipostatizzazione delle logiche successorie; logiche che fondano un meccanismo automatico di traslazione della responsabilità, idoneo a sal-vare, ad un tempo, l’estinzione della persona giuridica e la sopravvivenza delle situazioni giuridiche di cui essa era titolare.

L’esigenza che s’intende soddisfare con questa ricostruzione è condivisi-bile: elevare, con l’affermazione di una responsabilità diretta dei soci, un ba-luardo contro possibili forme di abuso del novellato regime, bensì volto a garantire la certezza dei rapporti giuridici, ma senz’altro utilizzabile – pur fra le maglie strette delle disposizioni che sanzionano quanti operino fraudo-lentemente a danno dei creditori – nel tentativo di “cancellare” gli obblighi assunti nell’esercizio dell’impresa collettiva

2. D’altra parte, nell’ambito del dibattito sviluppatosi con la riforma, la ri-

costruzione in termini successori ha trovato autorevoli sostenitori 3, in con-

2 Sul rilievo che, nell’esame della normativa in materia di estinzione delle società, as-sume il difficile contemperamento tra l’esigenza di certezza del diritto (peraltro valorizzata come preminente dalla Corte costituzionale, nella sent. 21 luglio 2000, n. 319) e l’interesse dei creditori sociali e sui rischi di abuso dello strumento disciplinato dall’art. 2495 c.c., si vedano, tra gli altri, FICARI, Cancellazione dal registro delle imprese delle società di capitali, “abuso della cancellazione” e buona fede nei rapporti tra amministrazione finanziaria e contri-buente, in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 1037; CONSOLO-GODIO, Le Sezioni Unite sull’estinzione di società: la tutela creditoria “ritrovata” (o quasi), in Corr. giur., 2013, p. 691; ZANALDA, Fal-limento della società ed estinzione delle sanzioni amministrative, in Giur. it., 2013, p. 7; SALA-FIA, Estinzione della sanzione amministrativa ex d.lgs. 231 per estinzione della società, in Le Società, 2012, p. 294 ss.

3 V., in particolare, GABELLINI, L’estinzione delle società: prime riflessioni sulle ricadute pro-cessuali conseguenti al revirement della Corte Suprema, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 321 ss.; DALFINO, La successione tra enti nel processo, Padova, 2002, p. 392; SPERANZIN, L’estinzione delle società di capitali in seguito alla iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese, in Riv. soc., 2004, p. 533 ss., e, con specifico riferimento alle questioni relative alla obbligazione di imposta, STEVANATO, Dopo la liquidazione della società chi è l’interlocutore del Fisco?, in Dia-loghi trib., 2008, p. 142. Si tratta, peraltro, di posizione che ha radici antiche e nobili: v. GRE-CO, Le società nel sistema legislativo italiano. Lineamenti generali, Padova, 1959, p. 447 ss., e ASCARELLI, Personalità giuridica e problemi delle società, in Riv. soc., 1957, p. 921 ss.

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trapposizione a quanti hanno ipotizzato, invece, che, alla scomparsa dal mon-do del diritto del centro d’imputazione rappresentato dalla società, conse-gua l’estinzione anche di diritti ed obblighi, con il contestuale sorgere, per quanto riguarda le posizioni debitorie, di una diversamente titolata obbliga-zione nei confronti dei soci in sede di bilancio di liquidazione

4.

2. L’abuso dello schermo societario e gli interessi dei singoli soci in generale

Fin qui la tesi delle Sezioni Unite, che con un ragionamento all’apparen-za semplice tenta di dar soluzione ad una questione assai complessa. È tut-tavia possibile che il suo sviluppo faccia correre il rischio, per un verso, di se-guire un strada ricostruttiva non pienamente coerente coi princìpi dell’ordi-namento, e, per altro, di forzare in qualche misura il sistema per accreditare quella semplicità che, in verità, è tale solo a prima vista.

Invero, prevedere che i soci possano essere chiamati a rispondere delle obbligazioni della società estinta iure successionis, soltanto per aver rivestito la qualità, e che questa loro responsabilità trovi nella misura delle utilità da ciascuno di essi ritratte in base al bilancio di liquidazione solo un limite ester-no e quantitativo opponibile in via d’eccezione, significa incrinare il princi-pio della limitazione della responsabilità, che costituisce il tratto distintivo e fondante delle società di capitali

5. Questa forzatura non può essere giustificata invocando generiche esi-

genze di tutela degli interessi dei terzi creditori. Tali interessi, infatti – pro-prio per il carattere strutturale che la limitazione di responsabilità assume negli enti dotati di personalità giuridica – intanto possono rilevare, in quan-to la loro lesione sia conseguenza di un abuso dello schermo societario o

4 V., tra i tanti, GUIZZI, Le Sezioni Unite, la cancellazione delle società e il “problema” del soggetto: qualche considerazione critica, in Società, 2013, p. 559 ss.; IACCARINO, Interpreta-zione della valenza innovativa dell’art. 2495 c.c. ad opera della Cassazione dal 2008 al 2013, in Notariato, 2013, p. 251 ss.; GLENDI, Cancellazione delle società, attività impositiva e pro-cesso tributario, in GT-Riv. giur. trib., 2010, p. 749 ss.; ID., L’estinzione postliquidativa delle società cancellate dal registro delle imprese. Un problema senza fine?, in Corr. giur., 2013, p. 7. Per una ricostruzione puntuale del dibattito sulla questione degli effetti dell’estinzione del-la società, si veda, inoltre, QUERCI, Il lungo requiem delle società: se la cancellazione dal regi-stro delle imprese ne comporti o meno l’estinzione, alla luce della riforma del diritto societario, in Dir. prat. trib., 2009, II, p. 681 ss.

5 Nello stesso senso, CONSOLO-GODIO, op. cit., nota 10.

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della gestione illecita delle sue dinamiche operative, oppure di un arricchi-mento non titolato del socio.

Seguendo la tesi della Cassazione, invece, si offre a quegli interessi, per così dire, un ombrello dall’apertura automatica, secondo le forme successo-rie di trasmissione dell’obbligazione.

In questo modo è la Corte stessa, forse inavvertitamente, che finisce per oscurare, nella ricostruzione della fattispecie legittimante la responsabilità del socio, proprio l’esigenza che intendeva soddisfare: sanzionare l’abuso del-lo schermo societario. Abuso che, rispetto alla nostra materia, finisce per co-incidere con il beneficio fiscale illegittimamente ritratto dai soci e che, per-tanto, è il solo elemento in grado di sorreggere quella fattispecie, senza, per-ciò, che ricorra la necessità di richiamarsi alla disciplina successoria di stam-po civilistico. In definitiva, utilizzando il meccanismo successorio si è finito per invertire la regola, rappresentata dalla limitazione di responsabilità dei soci delle società di capitali, con l’eccezione, costituita dalla chiamata di re-sponsabilità dei soci per le obbligazioni sociali. Se fosse stato utilizzato il giu-sto meccanismo, ossia quello dell’abuso, regola ed eccezione avrebbero con-tinuato ad occupare la corretta posizione e il ragionamento si sarebbe svolto con maggiore coerenza sistematica, senza incrinare quel principio fondante del sistema delle società di capitali.

Del resto, sono indotto a pensare che sia lo stesso legislatore a orientare nel senso qui suggerito. L’art. 2495 c.c., infatti, nel fondare la responsabilità dei soci per le obbligazioni della società, dà rilievo allo specifico e concreto beneficio che abbiano ritratto, a danno degli altri stakeholders, in sede di li-quidazione del patrimonio sociale e che sia stato rappresentato nel bilancio finale di liquidazione. Ponendo in primo piano l’abuso dello schermo socie-tario, come a me sembra corretto fare, potrebbe risultare più coerente con la lettera della legge e con lo spirito del sistema una ricostruzione dell’istituto che occupa non in termini propriamente successori, bensì alla stregua di una fattispecie costituiva di responsabilità fondata sulla ingiusta locupleta-zione dei soci; sull’essersi, cioè, costoro indebitamente avvantaggiati rispet-to ai creditori sociali, accettando utilità che avrebbero dovuto invece essere destinate alla soddisfazione dei debiti dell’ente estinto

6.

6 Soluzione, quella prospettata nel testo, già autorevolmente sostenuta, anche nel di-battito ante riforma. Si vedano, infatti, FERRI, Chiusura della liquidazione ed estinzione della società, in Foro it., 1939, I, p. 1320 ss.; CARNELUTTI, In tema di estinzione della società com-merciale, in Foro it., 1940, V, p. 30 s.; DOSSETTO, Problemi in tema di liquidazione di società, in Riv. dir. comm., 1951, II, p. 151 ss.; MINERVINI, La fattispecie estintiva delle società per azioni e il problema delle cc.dd. sopravvenienze, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1953, p. 1009 ss.

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Ritengo, d’altronde, che una soluzione così articolata non obblighi a re-cidere il legame tra l’obbligazione originaria, sorta in capo alla società, e quella costituita in capo ai soci, giacché la prima, nella sua dimensione oggettiva, può continuare ad apprezzarsi come elemento costitutivo della seconda e pre-servare, così, il rilievo della propria causa e della propria natura giuridica, con-dizionando il regime normativo dell’altra

7.

3. L’applicabilità dell’art. 2495 c.c. all’obbligazione d’imposta e l’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973

Il superamento della logica successoria, quale chiave di lettura dell’art. 2495 c.c., si impone, a mio modo di vedere, se si riporta il ragionamento al-l’obbligazione d’imposta.

Vi è un aspetto preliminare, però, sul quale giova soffermarsi prima di scen-dere in una analisi dettagliata del rapporto tra art. 2495 e obbligazione a titolo contributivo, vero cuore dell’intera problematica. Secondo autorevole dot-trina, la disciplina degli effetti che l’estinzione della società produce sull’ob-bligazione tributaria dovrebbe essere ricercata non nella norma civilistica, ma nell’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973

8.

7 Mi pare che la soluzione di cui si discute non possa essere censurata neppure sotto il profilo che costringerebbe i terzi che volessero ottenere tutela, avverso i soci beneficiari di assegnazioni in sede di bilancio finale di liquidazione, ad iniziative processuali ulteriori e diverse, rispetto a quelle eventualmente già avviate contro la società, prima della sua estin-zione. Non voglio negare che, prediligendo l’opzione interpretativa qui sommariamente trat-teggiata, diventi arduo ipotizzare il ricorso ai meccanismi di cui all’art. 110 c.p.c., di succes-sione processuale dei soci, in vece della società estinta. Né voglio negare che quei medesi-mi meccanismi potrebbero, invece, essere agevolmente legittimati, se si assumesse che i primi siano eredi, a titolo universale, della seconda. Può darsi, dunque, che, ponendosi nel-la prospettiva suggerita, si debba ritenere che la tutela del creditore sociale possa essere ricercata solo attraverso l’esperimento di un’autonoma azione, nell’ambito della quale egli è onerato anche di provare che il socio abbia ottenuto utilità, dalla liquidazione. Credo, però, che così si agiti un falso problema, perché l’esigenza di economia degli strumenti pro-cessuali non può valere a legittimare forzature di sistema, sul piano sostanziale. L’econo-mia di questo lavoro impedisce di ripercorrere, anche solo per tratti, l’amplissimo dibattito che ha riguardato gli effetti processuali dell’estinzione delle società di capitali. Sia consen-tito rinviare, al riguardo, peraltro senza alcuna pretesa di esaustività, a CONSOLO-GUIDO, op. cit. ed a WEIGMAN, La difficile estinzione delle società, in Giur it., 2010, p. 1610 ss. Sul punto, si veda, anche, Corte cost., ord. 17 luglio 2013, n. 198, in cortecostituzionale.it. Nello stesso senso, v. IACCARINO, op. loc. cit.

8 Si vedano, in particolare, STEVANATO, op. cit., e, seppur con l’evidenziazione che l’art. 36

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L’art. 36, però, non può assolvere a questa funzione: da un lato, per gli ef-fetti dell’art. 19 del D.Lgs. n. 46/1999, non può trovare diretta applicazione in ambiti diversi da quello della riscossione delle imposte sui redditi; da un altro – per la costante giurisprudenza del giudice di legittimità – presuppo-ne l’esistenza di un’obbligazione d’imposta liquida ed esigibile. E, dunque, mentre potrebbe aiutare ad individuare la regula iuris di settore nel caso in cui l’obbligazione fosse già stata accertata al momento della cancellazione della società dal registro delle imprese, senz’altro non sarebbe di ausilio quando l’accertamento, a quella stessa epoca, non fosse compiuto

9. D’altra parte, non credo che una “fuga” dal diritto comune possa essere

legittimata dalla considerazione per la quale l’interesse acché sia assoggetta-ta ad imposizione la manifestazione di capacità contributiva riferita alla so-cietà potrebbe essere probabilmente soddisfatto ricercando qualche dispo-sizione della legge tributaria che consenta di ipotizzare un’obbligazione d’im-posta, per quella stessa ricchezza, in capo a chi abbia strumentalmente uti-lizzato lo strumento societario. Nella maggior parte dei casi, infatti, il presup-posto dell’imposta è normativamente costruito in maniera tale da non poter essere riferito a soggetti diversi dalla società, neppure portando alle estreme conseguenze la tesi per la quale l’ente sarebbe mero schermo degli interessi dei suoi partecipanti.

Se è così, allora, può ritenersi ragionevole sostenere che, nel caso di estin-zione dell’ente, i soci possano essere chiamati a rispondere anche per l’ob- continua ad operare come norma speciale esclusivamente nell’ambito dell’imposizione di-retta e idonea a fornire solo parametro per la ricostruzione di un procedimento incardina-to sull’art. 2495 c.c., GLENDI, Cancellazione delle società, cit. Si veda, in senso contrario, LU-PI, Dividendi, palesi e occulti, in danno al fisco e carenze di attrezzature mentali, in Dialoghi trib., 2008, p. 142 ss., che pure evidenzia, però, che «il debito tributario [...] mal si adatta al contesto civilistico di garanzia dei creditori».

9 L’economia dello spazio impedisce di prendere compiuta posizione sulla sopravvi-venza o l’abrogazione dell’art. 36 cit., per gli effetti della novella dell’art. 2495 c.c. Pur rite-nendo che l’art. 36 non possa costituire, per la ragioni indicate nel testo, il parametro nor-mativo in base al quale risolvere le questioni che l’estinzione della società di capitale può porre, con riferimento alle obbligazioni d’imposta delle quali era titolare, credo di poter dire che la norma – in conseguenza dei tratti di specialità rispetto a quella codicistica e che riguardano anche l’individuazione dei parametri della responsabilità patrimoniale dei soci – conserva un proprio ambito di applicazione, che non solo impedisce di considerarla inuti-le, ma impone all’interprete, in ossequio al principio per cui la legge generale successiva non deroga quella speciale anteriore, di concludere per la sua applicabilità quando si tratti di riscuotere, a carico di soci di società estinte, debiti per imposte dirette già accertate. Sul punto, si veda anche per un’ipotesi di possibile cumulo fra le due disposizioni, CONSOLO-GUIDA, op. cit., nota 7.

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bligazione d’imposta societaria che avrebbe dovuto far capo all’ente stesso se-condo le regole generali desumibili dall’art. 2495 c.c., e non in ragione di una norma “speciale” di settore.

Del resto, la nostra obbligazione – pur nella specificità della fonte e del-l’interesse pubblico che mira a soddisfare – conserva la struttura propria del-l’obbligazione civilistica e, in ogni caso, l’istituto disciplinato dall’art. 2495 incide non tanto sulla dimensione oggettiva dell’obbligazione, quanto sui criteri per la sua imputazione soggettiva, una volta che ne sia venuto meno l’originario titolare.

4. Il destino dell’obbligazione d’imposta nella prospettiva tracciata dalle Se-zioni Unite

Siamo finalmente giunti al nocciolo del discorso, per il cui svolgimento ul-teriore ritengo necessario, dapprima, muovere dalla prospettiva esegetica pro-posta dalle Sezioni Unite della Cassazione.

A questa stregua, è giocoforza ritenere, come già detto, che delle obbliga-zioni della società estinta rispondano, nei limiti quantitativi fissati dalla norma appena richiamata, i soci che la partecipavano al momento della can-cellazione, secondo le logiche proprie di una successione mortis causa e, per gli effetti dell’art. 65 del D.P.R. n. 600/1973, in via solidale tra di loro

10. In questa prospettiva, la concreta dinamica della chiamata di responsabi-

lità di costoro dovrà variare a seconda che il rapporto sia stato già accertato con provvedimento o sentenza divenuti definitivi; debba ancora esserlo o, ricostruito in un provvedimento impositivo, sia ancora sub iudice.

Nella prima ipotesi, l’atto impositivo divenuto definitivo dovrà ritenersi loro opponibile, in via immediata, per gli effetti dell’art. 2909 c.c. L’adem-pimento dell’obbligazione della società potrà dunque essere richiesto attra-verso l’avvio direttamente a loro carico (rectius: a carico anche di uno solo di essi), delle procedure di riscossione

11. Vi potranno, ovviamente, resistere per via giudiziale, ma solo per eccepirne vizi propri o, se del caso, opporre l’in-

10 La norma di cui all’art. 65 del D.P.R. n. 600/1973 mi pare, invero, inequivocabilmente applicabile alle fattispecie delle quali ci stiamo occupando, una volta che si decida di rico-struire in termini successori la vicenda estintiva delle società di capitali.

11 Salvo, ovviamente, quanto affermato infra, in ordine all’ambito di applicabilità del-l’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973.

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capienza, rispetto alle pretese erariali, delle somme che abbiano ottenuto in base al bilancio di liquidazione.

Nel caso di obbligazione ancora da accertare, invece, si potrà avviare nei confronti di uno qualsiasi dei soci un procedimento di accertamento, all’esi-to del quale dovrà essere emanato un provvedimento unitario, perché volto a determinare l’unico presupposto d’imposta realizzatosi in capo alla socie-tà, ma plurisoggettivo, perché necessariamente rivolto, in virtù del vincolo di solidarietà, a tutti i soci responsabili dell’unica obbligazione.

In questo caso l’accertamento potrà riguardare i fatti fiscalmente rilevan-ti accaduti nella sfera dell’ente estinto, che dovranno essere qualificati se-condo le regole proprie del rapporto d’imposta riferibile alla società. Ma il canovaccio ricostruttivo intessuto dalla sentenza che si annota non consen-te di attribuire automaticamente rilievo alla limitazione di responsabilità ga-rantita ai soci dall’art. 2495 citato, se non in fase di riscossione e, comunque, a seguito di apposita e tempestiva eccezione di parte. L’eventuale giudizio di impugnazione dell’atto dovrà ragionevolmente svolgersi, poi, nel litiscon-sorzio necessario di tutti i soci, ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 546/1992, e potrà avere ad oggetto, come detto, i limiti che alla pretesa erariale potrà opporre ciascun socio, in ragione del criterio di delimitazione della respon-sabilità consacrato dall’art. 2495 c.c.

Nel caso di rapporto ancora contenzioso o contendibile, infine, accadrà che i soci saranno chiamati alla successione nella posizione, anche proces-suale, della società, secondo le regole dettate dall’art. 110 del codice del rito civile, mentre la vicenda giudiziale troverà la propria disciplina negli artt. 40 e ss. del D.Lgs. n. 546/1992. Talché, se la fattispecie estintiva dell’ente si perfezionerà durante il termine per la proposizione del ricorso, quel termine sarà prorogato di sei mesi, a decorrere dalla data dell’evento, per consentire a ciascun socio di introdurre, nel litisconsorzio con gli altri, il giudizio che avrebbe potuto introdurre la società estinta. Invece, se essa si perfezionerà dopo la litispendenza e sarà dichiarata per iscritto o in pubblica udienza, il processo si interromperà e potrà essere riassunto, nel termine di sei mesi, da uno qualsiasi dei soci, nel litisconsorzio necessario degli altri

12, ovvero dal-l’amministrazione resistente, nei confronti di tutti i soci, litisconsorti neces-sari, presentando istanza di trattazione ai sensi dell’art. 30 del D.Lgs. n. 546/ 1992; nel caso di mancata o intempestiva riassunzione, si estinguerà, per inattività delle parti, con il conseguente consolidarsi del provvedimento (inu-tilmente) impugnato.

12 V. CONSOLO-GUIDA, op. cit., p. 694.

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In ogni caso, nella prospettiva ora considerata, l’estinzione della società determina semplicemente una modificazione del profilo soggettivo del rap-porto tributario che le era originariamente riferibile. Rapporto, invece, che mantiene intatti i suoi connotati oggettivi: anche quelli attraverso i quali si estrinseca la potestà amministrativa dell’amministrazione finanziaria.

La fermezza dell’effetto estintivo prodotto dalla cancellazione dal regi-stro delle imprese obbliga a ritenere, invero, che, dopo il suo verificarsi, l’en-te non possa più costituire centro d’imputazione di alcuna situazione giuri-dica, né essere destinatario di provvedimenti o attore di procedimenti che accertino o definiscano, a suo carico, posizioni di debito o di credito

13. D’altra parte, se si assume, come fanno le Sezioni Unite, che con la “mor-

te” della società si apre una vicenda successoria, ancorché sui generis, nel contesto della quale le obbligazioni dell’ente conservano intatti titolo e na-tura giuridici, credo si debba poi ipotizzare che la fattispecie costitutiva del-l’obbligazione sopravvissuta all’estinzione sia quella originaria e che debba essere accertata, pertanto, in ossequio alla stesse regolae iuris, salvo imputarne gli effetti ai soggetti che la legge individua come aventi causa dell’ente estin-to, e cioè i soci che rivestono la qualitas alla data di deposito del bilancio di liquidazione, sui quali incomberà poi l’onere di allegare e provare la operati-vità dei limiti (quantitativi) all’esigibilità di quelle obbligazioni, posti a ga-ranzia delle loro posizioni individuali.

5. La necessità di superare logiche meramente successorie nella prospettiva dell’“abuso” della personalità giuridica e del beneficio indebito del socio: una lettura dell’art. 2495 c.c. costituzionalmente orientata dall’art. 53 della Carta fondamentale

Ragionando in questi termini si corre un rischio ricostruttivo che, a mio parere, è invece opportuno evitare accuratamente: si finisce per legittimare una lettura dell’art. 2495 che rischia di obliterare il vero presupposto in forza del quale si può predicare la responsabilità dei soci per l’obbligazione d’im-posta dell’ente. Presupposto che, come ho accennato fin dall’inizio, non è da ricercare nell’estinzione pura e semplice della società quale soggetto giu-

13 La conclusione nel senso ipotizzato nel testo pare comunque pacifica, all’esito della riforma dell’art. 2495 c.c. V. TASSANI, La responsabilità di soci, amministratori e liquidatori per i debiti sociali della società, in Rass. trib., 2012, p. 359 ss.

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ridico, ma nell’abuso della personalità giuridica 14. Abuso che porta con sé il

beneficio indebitamente conseguito dai soci a danno dell’amministrazione fi-nanziaria.

Il beneficio di cui si parla, tuttavia, può non coincidere con la minore im-posta pagata dall’ente, potendo risultare composto anche dalla ripartizione occulta di ricavi o altre somme comprensivi eventualmente dell’IVA evasa, oppure del “risparmio” illecitamente realizzato con il minore debito d’impo-sta iscritto in bilancio. In questi casi, l’utilità conseguita dal socio sulla base del bilancio finale può non crescere in misura identica al minor debito iscrit-to ed anzi il beneficio reale può essere, nella massima parte dei casi, maggio-re, corrispondendo all’intera ricchezza impropriamente acquisita

15. È il beneficio complessivamente riguardato, dunque, a costituire titolo

legittimante la responsabilità individuale dei soci rispetto ad un’obbligazio-ne d’imposta sorta in costanza del rapporto societario

16. Una lettura costituzionalmente orientata della previsione civilistica fin

qui esaminata può confortare ulteriormente questa ricostruzione. Infatti, pri-vilegiare l’art. 53 della Carta e leggere alla sua luce l’art. 2495, consente di vedere in questa disposizione l’affermazione di un principio di responsabilità per il quale i soci sono chiamati a rispondere delle obbligazioni sociali non in quanto “eredi” della società, ma, appunto, in quanto soci; in quanto parteci-pi del progetto economico ad essa sotteso e, dunque, non in vece dell’ente, ma in forza di un’obbligazione loro propria, che trova fonte nella legge e ti-

14 Sull’abuso della personalità giuridica, anche e soprattutto rispetto alla nostra materia, muovendo dalle teorie tradizionali, v. GIOVANNINI, Persona giuridica e sanzione tributaria: idee per una riforma, in Rass. trib., 2013, p. 509 ss.

15 L’omessa registrazione di un’obbligazione tributaria può discendere dall’omessa o infedele registrazione delle manifestazioni di ricchezza direttamente o indirettamente emer-se nella sfera giuridica della società, che costituiscono il presupposto di quella stessa obbli-gazione. V. LUPI, op. cit. E questa circostanza implica che essa può determinare non solo la sottrazione, all’amministrazione creditrice, delle risorse che avrebbero dovuto essere de-stinate alla soddisfazione del suo credito, ma anche l’esclusione delle ricchezze-presuppo-sto dal patrimonio sociale o, per lo meno, dal circuito attraverso il quale fluiscono, ordina-riamente, le dinamiche economiche e finanziarie dell’ente e, dunque, la possibilità che esse siano destinate alla soddisfazione di interessi pure diversi da quelli propriamente societari, al di fuori da un trasparente monitoraggio contabile. Nella prospettazione qui avanzata si privilegia la ricostruzione della natura dell’obbligazione d’imposta secondo lo schema della teoria dichiarativa. Per tutti, v. RUSSO, Diritto e processo nella teoria dell’obbligazione tribu-taria, Milano, 1969; ID., L’obbligazione tributaria, in Trattato di diritto tributario, diretto da Amatucci, vol. II, tomo 1, Padova, 1994, p. 3 ss.

16 Sul beneficio come titolo di imputazione soggettiva, v. ampiamente GIOVANNINI, op. cit.

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tolo nell’aver ciascuno di essi tratto un beneficio economico specifico, per essersi attribuiti utilità in misura superiore al consentito, distraendo risorse che avrebbero dovuto concorrere alla quantificazione del presupposto im-positivo e, in generale, essere destinate alla soddisfazione dei creditori sociali.

Ebbene, se il titolo sul quale si radica l’obbligo dei soci è il beneficio, que-sto non può che essere individuato nelle utilità singolarmente ottenute, va-lutate anche in conseguenza, oltre che del minor debito d’imposta iscritto, dell’occultamento dei ricavi, indipendentemente dalle risultanze formali del bilancio finale di liquidazione.

Franco Randazzo

LA RIVALSA SUCCESSIVA NELLA DISCIPLINA DELL’IVA

THE SUBSEQUENT VAT CHARGE

Abstract Con l’art. 93 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. nella L. 24 marzo 2012, n. 27, è stato modificato l’ultimo comma dell’art. 60 della disciplina dell’IVA (D.P.R. n. 633/1972) consentendosi al cedente, che sia stato destinatario di un avviso di accertamento o di rettifica, il diritto alla rivalsa “successiva” nei confronti del ces-sionario o committente. Il lavoro affronta questo tema occupandosi preliminarmente del quadro norma-tivo anteriore alla modifica di legge, individuando le ragioni del precedente di-vieto di rivalsa successiva nell’IVA, e ricostruendo le differenti posizioni della dottrina intervenuta sull’argomento. Successivamente, sono affrontate le ricadu-te che la nuova disciplina della rivalsa successiva avrà sul piano applicativo: dalla questione della possibilità di esercitare la rivalsa anche nel caso di accertamenti di tipo induttivo o basati su elementi presuntivi standardizzati, alla questione delle conseguenze che l’esercizio della rivalsa successiva potrà avere nel caso in cui l’accertamento, all’esito del giudizio, venga annullato dal giudice. L’argomen-to trattato fornisce poi l’occasione per tracciare il quadro generale dei tempi e delle modalità in cui è possibile l’emissione della fattura, o la sua integrazione, in un momento successivo a quello di effettuazione dell’operazione economica; e delle conseguenze che questa iniziativa determina sulla sfera del destinatario del-la fattura. A questo proposito viene differenziata la posizione del cessionario che ha diritto alla detrazione dell’IVA addebitatagli in rivalsa, rispetto a quella del cessionario che acquista in qualità di consumatore finale del bene e che in quan-to tale non ha il diritto di detrarre l’imposta, con analisi degli strumenti di tutela di cui in tal caso egli potrà avvalersi nei confronti del cedente. Parole chiave: Rivalsa successiva IVA, detrazione IVA, fattura, accertamento, responsabilità da contatto sociale

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Art. 93 of Law Decree 24 January 2012, No. 1, converted by Law 24 March 2012, No. 27, modified the last paragraph of Art. 60 of the “VAT Act” (Presidential Decree No. 633/1972) allowing to the transferor, addressee of a notice of assessment, the right of a subsequent VAT refund towards the transferee. The paper debates this issue, first of all dealing with the discipline before its modifica-tions, identifying the reasons for the previous prohibition of the subsequent VAT charge and analysing the different positions of scholars on this specific issue. Then the research faces the effects of the application of the new discipline of subsequent charge: from the possibility to exercise the charge in case of tax assessments based on (standar-dized) presumptive elements, to the consequences that that the subsequent charge will have in case the tax assessment is annulled by the judge. The topic treated also provides the opportunity to make an overview of the deadlines and cases where the invoice shall be issued, or integrated, after the transaction was made; and of the consequences that this innovation determines on the sphere of the invoice addressee. In this respect, it shall be distinguished the position of the transferee that has the right to deduct the VAT charged on him, from the one of the transferee who acquires a good as a final consumer and, as such, is not allowed to deduct VAT. In relation to this situation, the paper will analyse the various instruments of protec-tion that the transferee may use against the transferor. Keywords: VAT subsequent charge, VAT deduction, invoice, tax assessment

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Le ragioni alla base del precedente divieto di rivalsa successiva. – 3. Segue: ... e l’ambito applicativo della disposizione che vietava la rivalsa successiva. – 4. Il diritto di rivalsa successiva dell’IVA, sancito ora dalla legge, nel quadro del principio comunitario di neutralità dell’imposta. – 5. Alcune considerazioni sul momento in cui sorge il diritto alla rivalsa successi-va. – 6. Breve quadro riepilogativo delle differenti tipologie di esercizio oggi della rivalsa suc-cessiva. – 7. Il diritto di detrazione del soggetto che ha subito la rivalsa successiva. – 8. L’eser-cizio della rivalsa successiva nei confronti del soggetto privato.

1. Introduzione

Con l’art. 93 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 1, è stato riformulato l’ultimo

comma dell’art. 60 della disciplina dell’IVA (D.P.R. n. 633/1972) consen-tendosi al cedente, che sia stato destinatario di un avviso di accertamento o

1 Conv. nella L. 24 marzo 2012, n. 27.

Franco Randazzo

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di rettifica, il diritto alla rivalsa c.d. “successiva” nei confronti del cessionario o committente.

Con questa nuova disposizione il legislatore ha ribaltato, con un tratto di penna, il precedente consolidato assetto disciplinare che si esprimeva con il divieto, nel caso segnalato, di esercitare la rivalsa.

Occorre vedere in che misura questa nuova disposizione inciderà sui rap-porti cui mette capo l’esercizio della rivalsa nell’IVA, rapporti da definirsi plurilaterali

2 se si ha riguardo sia agli effetti che la rivalsa determina sul ces-sionario del bene o committente del servizio (al quale la legge riconosce il diritto alla detrazione dell’IVA addebitata), sia alla posizione del cedente nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Caratterizzano, infatti, questa nuo-va disposizione, alcune specificità procedimentali le cui ricadute, sul piano applicativo, sono ancora da indagare

3. Per un verso, la norma subordina il diritto di rivalsa alla condizione che il

soggetto passivo abbia materialmente effettuato il pagamento dell’imposta all’erario, maggiorata delle sanzioni e degli interessi. Per altro verso, il ces-sionario o committente potrà esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui “ha corrisposto” il tributo addebitatogli in rivalsa, seppure alle condizioni esi-stenti al momento di effettuazione dell’originaria operazione.

Quest’ultima, evidente sfasatura temporale tra il momento di esercizio della rivalsa e quello al quale occorre riferirsi per le condizioni della detraibi-lità, da sola basta per evidenziare l’alto tasso di problematicità che la nuova disposizione pone sul piano della concreta applicazione.

Prima di affrontare nello specifico queste questioni è opportuno, seppure in breve sintesi, riassumere il dibattito che principalmente nella dottrina si è sviluppato intorno al divieto della rivalsa successiva secondo il disposto del previgente ultimo comma dell’art. 60 del D.P.R. n. 633/1972.

2. Le ragioni alla base del precedente divieto di rivalsa successiva

Nel vigore della precedente versione della disposizione residuavano al fondo di questa norma tre questioni.

2 V. Cass., 14 marzo 2012, n. 4020. 3 Tanto numerose sono le questioni applicative poste dalla nuova disposizione che l’A-

genzia delle Entrate ha ritenuto opportuno dare risposta ai numerosi quesiti dei contri-buenti con la recente Circolare 17 dicembre 2013, n. 35/E.

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La prima, consisteva nell’individuazione del motivo che aveva indotto il legislatore a rendere esplicito il divieto della rivalsa successiva. La seconda questione era se la rivalsa, vietata espressamente ove l’obbligo di pagamento dell’imposta fosse sorto in conseguenza di accertamento o di rettifica, fosse invece consentita senza limiti di tempo in tutti gli altri casi. Infine, una terza questione, era se in presenza di accertamento o rettifica fosse in ogni caso precluso l’esercizio della rivalsa successiva, o dovesse invece differenziarsi a seconda delle situazioni; attribuendosi a questo scopo rilevanza al compor-tamento assunto dal soggetto passivo al momento dell’effettuazione dell’o-perazione.

A riguardo, in ordine alla prima questione, la posizione prevalente nella dottrina, seppure con accenti e sfumature diverse, era che la disposizione avesse natura sanzionatoria

4. Nell’ambito di questa problematica, si eviden-zia l’impostazione di chi

5 individuava la giustificazione della norma nel di-stacco che la rivalsa successiva determina sullo schema attuativo del tributo, nel senso «che poiché l’evasione ha spezzato il nesso che esiste nel proce-dimento di riscossione dell’IVA, tra le varie fasi di trasformazione e di scam-bio», non sussiste «più l’esigenza di favorire la rivalsa, mentre sussiste la necessità di recuperare l’imposta evasa»

6.

4 V. COMELLI, IVA comunitarie e IVA nazionale, Contributo alla teoria generale dell’impo-sta sul valore aggiunto, Padova, 2000, p. 663, spec. nota 156; BEGHIN, Nota a Cass. 25.7.1997, n. 6714, in Corr. trib., 1997, p. 1031; DEL FEDERICO, Le sanzioni amministrative nel diritto tributario, Milano, 1993, p. 281; GALLO, Profili di una teoria dell’imposta sul valore aggiunto, Roma, 1974, p. 75; BOSELLO, L’imposta sul valore aggiunto. Aspetti giuridici, Bologna, 1979, p. 95; TESAURO, Il principio europeo di neutralità dell’IVA e le norme nazionali non compati-bili in materia di rimborso dell’indebito, in Giur. it., 2011, p. 1942, ad avviso del quale, in conseguenza del principio comunitario di neutralità dell’IVA, il divieto di rivalsa successi-va, già disposto dall’art. 60, ultimo comma, impediva di fatturare e di esercitare la rivalsa solo nel caso di evasione, e non negli altri casi di accertamento del tributo in cui, ad esem-pio, l’operazione fosse stata contabilizzata e fatturata, ma senza applicazione dell’IVA, in conseguenza di errore.

5 PERRONE CAPANO, L’imposta sul valore aggiunto, Napoli, 1977, p. 425. 6 Converge su queste considerazioni anche Cass., 26 maggio 2010, n. 12882, nella cui

motivazione si legge che la disciplina (già) dettata dall’art. 60, ultimo comma, del D.P.R. n. 633/1972 «è ispirata dall’esigenza di garantire la stabilità dei rapporti giuridici, che sa-rebbe compromessa da rivalse su operazioni ormai remote e dal tentativo del cessionario – se soggetto passivo d’Iva – di detrarre la relativa imposta; esigenza che prevale rispetto alle ragioni di politica tributaria ispiratrici della neutralità dell’Iva e della tassazione del so-lo consumo finale». Si vedrà, invece, che è proprio l’esigenza di assicurare l’effettività della neutralità dell’IVA che alla fine ha avuto prevalenza, inducendo il legislatore a modificare la disposizione in esame.

Franco Randazzo

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La rivalsa è nell’IVA principalmente lo strumento attraverso il quale si producono effetti nella sfera giuridica del destinatario della fattura, il quale si trova nella condizione (“legittimazione”)

7 di detrarre l’IVA addebitatagli in fattura. La stessa obbligatorietà della rivalsa nell’IVA rimarca la natura pub-blicistica degli interessi che ad essa si accompagnano, e la sua appartenenza alla complessiva disciplina del tributo . Se si rompe questo imprescindibile rapporto tra le due sfere interessate dalla dinamica del prelievo IVA, viene meno anche la ragione stessa della rivalsa propriamente intesa.

Si vedrà che, nel consentire oggi la rivalsa successiva, il legislatore si è preoccupato proprio di salvaguardare questo rapporto tra le due, per così di-re, interfacce del fenomeno della rivalsa nell’IVA.

Questa impostazione prende ovviamente le distanze dal prevalente orien-tamento della Corte di Cassazione

8, secondo cui il rapporto tra cedente e cessionario avrebbe natura esclusivamente privata e sarebbe rapporto del tutto autonomo rispetto a quello d’imposta. Al contrario, l’effetto di legitti-mazione della fattura, attributivo principalmente del diritto di detrazione del tributo in favore del cessionario, dà rilevanza al reciproco combinarsi delle differenti situazioni soggettive implicate dall’assoggettamento ad IVA del-l’operazione imponibile, e della rilevanza pubblicistica della rivalsa (quale strumento necessario per l’attuazione della dinamica del tributo) anche nel rapporto intercorrente tra il cedente ed il cessionario, allorquando siano en-trambi soggetti passivi dell’imposta

9.

7 Per l’approfondimento di questi profili, nel quadro di un lavoro a carattere sistemati-co avente ad oggetto il fenomeno della rivalsa nel diritto tributario, sia consentito il rinvio a RANDAZZO, Le rivalse tributarie, Milano, 2012, passim.

8 V. Cass., sentt. nn. 24794/2005; 6419/2003; 8783/2001; 1147/2000. Su questo ar-gomento, per maggiori approfondimenti si rinvia ancora a RANDAZZO, op. cit., p. 122 ss.

9 Sottolinea la rilevanza di questo rapporto tra rivalsa e detrazione l’espressione di LUPI, Imposta sul valore aggiunto, in Enc. giur. Treccani, 1989, XVI, p. 16, secondo il quale la rivalsa «appare come un momento logico anteriore alla detrazione». Va ancora osservato che l’art. 18 del D.P.R. n. 633/1972 dispone l’obbligatorietà della rivalsa, e commina la nullità dei patti contrari che escludano la rivalsa dell’imposta, in considerazione del collegamento che intercorre tra il versamento dell’imposta a monte ed il diritto di detrazione a valle, diritto di detrazione riconosciuto al soggetto che acquista beni o servizi nell’esercizio di un’atti-vità economica (d’impresa o di arti e professioni). La propugnata ricostruzione della natu-ra “pubblicistica” della rivalsa nell’IVA anche per quanto riguarda il rapporto tra il cedente ed il cessionario, risolvendosi essa principalmente nello strumento (espressione del potere a questo scopo assegnato dalla legge al soggetto che emette la fattura; v. RANDAZZO, op. cit., passim) che legittima il destinatario della fattura (se anch’egli soggetto passivo dell’IVA) a detrarre l’imposta assolta sull’acquisto, fa ritenere non condivisibile la posizione di chi

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3. Segue: ... e l’ambito applicativo della disposizione che vietava la rivalsa successiva

In ordine alla seconda questione, relativa al momento ultimo in cui la ri-valsa successiva dovesse ritenersi consentita senza che il contribuente po-tesse incorrere nel divieto (per allora) dell’art. 60, ultimo comma del D.P.R. n. 633/1972, la dottrina

10 era prevalentemente orientata (così anche Cass., 4 febbraio 1992, n. 1212)

11 nell’ammettere che, al di fuori dell’ipotesi tipi-camente individuata dalla disposizione in esame (ossia, di recupero a tassa-zione dell’IVA a seguito di accertamento o rettifica), l’esercizio per così dire tardivo della rivalsa fosse in ogni altro caso consentito. In questa direzione l’impostazione trovava avallo nella determinazione assunta dalla stessa Amministrazione finanziaria

12, ad avviso della quale il cedente del bene o

(v. STEVANATO, La rivalsa dell’IVA accertata, tra ripristino della neutralità del tributo e pro-blematiche applicative, in Dialoghi trib., 2012, p. 68 e, in part. nota 4) ha sostenuto che nel vigore della precedente disposizione fosse comunque consentito un accordo di rivalsa suc-cessiva tra cliente e fornitore, con la conseguenza che «dunque una rivalsa stabilita patti-ziamente tra le parti avrebbe avuto l’effetto di ripristinare l’ordinario meccanismo del fun-zionamento dell’Iva».

10 Così, per FLORENZANO, Il diritto di rivalsa, in AA.VV., L’imposta sul valore aggiunto. Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, a cura di Tesauro, Torino, 2001, p. 287, la rivalsa successiva, secondo la disposizione precedente, doveva ritenersi consentita anche al contribuente nei confronti del quale fosse in corso la verifica fiscale, o fosse stato notificato il processo verbale di constatazione.

11 In Riv. dir. trib., 1992, II, p. 415, con la nota di LUPI, Un caso di “rivalsa successiva” nell’imposta sul valore aggiunto.

12 Si vedano la Circolare 11 luglio 1986, n. 43/3153 e la nota 31 gennaio 2006, n. 2006/17074 dell’Agenzia delle Entrate. Con la prima, l’Amministrazione finanziaria ha espresso a suo tempo il parere secondo cui nel caso di fattura “successiva” emessa nei limiti temporali del c.d. ravvedimento operoso (già art. 48 del D.P.R. n. 633/1972, ed ora art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997) e sempreché la violazione non fosse già stata constatata, si sareb-be dovuto ammettere l’esercizio della rivalsa tardiva, con attenuazione delle sanzioni. Se, invece, la fattura fosse stata emessa oltre questo limite temporale, la rivalsa successiva an-che in questo caso sarebbe stata consentita, ma avrebbe determinato l’applicazione delle sanzioni nella misura edittale. Con il secondo intervento (nota n. 2006/17074, che può leggersi con il commento di FANELLI, Rivalsa e detrazione IVA ammesse anche in presenza di accertamento, in Corr. trib., 2011, p. 272) l’Amministrazione finanziaria aveva escluso l’esercizio della rivalsa «dopo l’inizio dell’attività di controllo»; a tal fine precisando che «per controllo deve intendersi ogni attività di cui al titolo IV del decreto IVA e non soltan-to il ricevimento di un avviso di accertamento o rettifica»; con ciò lasciando intendere, a correzione del precedente orientamento, che una volta iniziato l’accesso non fosse più consentito l’esercizio della rivalsa. Come sottolinea STEVANATO, op. cit., p. 70, vi era la pos-

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prestatore del servizio poteva emettere fattura successivamente al momento di effettuazione dell’operazione, utilizzando l’istituto del ravvedimento ope-roso, disciplinato dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997. Quest’ultima facoltà è infatti riconosciuta in modo generalizzato «sempreché la violazione non sia già stata constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifi-che o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore, o i soggetti solidalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza» (v. art. 13 cit.).

Questa questione ne involgeva tuttavia un’altra, circa il raccordo tra il di-vieto di esercizio successivo della rivalsa, allora sancito dall’art. 60 del D.P.R. n. 633/1972, e la disposizione dell’art. 26, dello stesso D.P.R., riguardante la fatturazione integrativa delle operazioni, stabilita anche per le inesattezze compiute al momento della loro effettuazione e della loro fatturazione ori-ginaria

13. L’art. 26 in questione, concernente al comma 1 le variazioni in aumento

dell’ammontare imponibile o dell’imposta, non contempla termini per l’ef-fettuazione di questo adempimento. Nel vigore (prima d’ora) del divieto di rivalsa tardiva, l’eventualità che la variazione fosse intervenuta entro il ter-mine della “regolarizzazione” previsto dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997 assumeva sicura rilevanza in ordine all’attenuazione degli effetti sanzionato-ri dell’illecito, ma non si escludeva che la fattura integrativa ai sensi dell’art. 26, in assenza di avviso di accertamento dell’Ufficio, potesse essere emessa anche in un momento successivo.

Si era pertanto indotti a concludere che, mentre la rivalsa successiva a fronte di omessa fatturazione fosse possibile in assenza di accertamento sol-tanto entro il termine per la regolarizzazione dell’art. 13, D.Lgs. n. 472/1997, invece quella conseguente alla fatturazione integrativa, ossia effettuata con la nota di variazione del comma 1 dell’art. 26, D.P.R. n. 633/1972, fosse pos-sibile anche in un momento successivo, sempre a condizione che, ovviamen-te, non fosse intervenuto l’accertamento

14. sibilità di intendere il riferimento normativo in esame, più che agli atti, al procedimento di accertamento, inteso in senso lato: «a questa stregua, dunque, anche l’IVA pagata a segui-to di un rilievo contenuto in un processo verbale sarebbe rientrata nella sfera del divieto di rivalsa».

13 Su questi profili si veda la Norma di comportamento n. 179 dell’Associazione Dottori Commercialisti di Milano, in Boll. trib., 2010, p. 1782.

14 Si veda, in senso conforme, Cass., 24 novembre 2005, n. 24794. L’esercizio, in tal caso, della rivalsa successiva con l’utilizzazione della rettifica in aumento prevista dal comma 1 dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, presuppone l’esistenza della fatturazione, che alla stregua

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Con ulteriore passo in avanti rispetto a questa ricostruzione, si è infine sostenuto che anche in presenza di accertamento o rettifica fosse, in alcuni casi, possibile l’esercizio della rivalsa successiva.

A tal fine differenziandosi la posizione di colui che non avesse in origine né contabilizzato né fatturato l’operazione oggetto dell’avviso di accerta-mento, dalla posizione di chi, invece, l’operazione avesse contabilizzato e fatturato, ma senza applicazione dell’IVA (in conseguenza di un errore). Con la conclusione che in questo secondo caso l’operatore potesse integrare l’originaria fattura, ai sensi dell’art. 26, comma 1, dell’IVA, (ove si prevede l’onere di fatturazione successiva al momento di originaria effettuazione del-l’operazione, anche per cause imputabili ad errore del contribuente), senza che a ciò ponesse ostacolo l’intervenuta rettifica dell’operazione ad opera del-l’Amministrazione finanziaria. Con il conseguente risultato, sul piano erme-neutico, di limitare la portata del divieto di rivalsa successiva alle sole opera-zioni per le quali non fosse applicabile l’obbligo della fatturazione integrati-va: ossia per le operazioni che non fossero state oggetto di annotazione con-tabile e di fatturazione (ancorché errata) nel momento dell’originaria effet-tuazione

15. E tuttavia, nel quadro della precedente disposizione recata dall’art. 60,

ultimo comma, si era in tutti i casi costretti a precisare (proprio in conse-guenza del ruolo di carattere pubblicistico da ascrivere al potere di rivalsa nell’IVA) che in tanto la rivalsa poteva essere esercitata in questi termini estremi, in quanto concretamente avesse consentito al destinatario della fat-tura di legittimamente detrarre l’imposta.

Si faceva cioè conseguire dal limite temporale posto dall’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972 per l’esercizio del diritto di detrazione del cessionario (ossia il «secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto») il termine ultimo posto, in ognuna delle ricostruzioni che si sono brevemen-te richiamate, all’esercizio della rivalsa tardiva

16. di questa disposizione è da integrare «tutte le volte che successivamente all’emissione del-la fattura o alla registrazione di cui agli artt. 23 e 24 l’ammontare imponibile di un’opera-zione o quello della relativa imposta viene ad aumentare per qualsiasi motivo, compresa la inesattezza della fatturazione o registrazione». Sul perimetro applicativo di questa norma si veda LOGOZZO, L’obbligo di fatturazione nell’IVA, Milano, 2005, p. 119, il quale oppor-tunamente distingue tra “variazioni proprie” e “variazioni in aumento assimilate”, indivi-duando in queste ultime la regolarizzazione della fattura in origine “inesatta”.

15 Si tratta dell’opinione espressa da TESAURO, Il principio europeo, cit., p. 1942, in linea con le conclusioni della Norma di comportamento AIDC del 1° dicembre 2010, n. 179.

16 Deve tuttavia segnalarsi che a conclusioni differenti giungeva TESAURO, Il principio

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4. Il diritto di rivalsa successiva dell’IVA, sancito ora dalla legge, nel quadro del principio comunitario di neutralità dell’imposta

Già nel vigore del divieto della rivalsa tardiva dell’IVA, la dottrina aveva tuttavia avvertito l’esigenza che la norma in questione fosse sottoposta al «test della sua compatibilità con il principio comunitario di neutralità del tributo»

17, per la ragione che il diritto-dovere, del soggetto passivo che ef-fettua operazioni imponibili, di esercitare la rivalsa è connaturato alla finali-tà dell’imposizione sul valore aggiunto di far gravare il tributo unicamente sul consumatore finale, ciò secondo l’approccio di tipo economico sostanziale che ravvisa nel consumo il presupposto dell’IVA, in aderenza con quanto ri-petutamente affermato dalla Corte di Giustizia

18. Se si ponessero limiti a questo diritto, si farebbe gravare il tributo su un

soggetto diverso dal consumatore finale, tradendosi il principio comunitario di neutralità dell’IVA.

Questa esortazione della dottrina è stata raccolta dal legislatore, che ha modificato la disposizione sostituendo al divieto di rivalsa successiva il diritto europeo, cit., p. 1942, per il quale, movendo dalla premessa che per il diritto/dovere di ri-valsa non vi sarebbe norma che ne limiti in modo specifico l’esercizio nel tempo (sicché essa dovrebbe potersi esercitare entro il termine prescrizionale di dieci anni), e poiché il principio di neutralità dell’IVA è principio riconosciuto dal diritto comunitario e, come tale, esso è direttamente applicabile nell’ordinamento interno, anche al cessionario doveva ritenersi consentito di detrarre l’IVA nello stesso termine prescrizionale riconosciuto al cedente per l’esercizio della rivalsa. Secondo l’Autore, «il principio comunitario di neutra-lità dell’IVA impone di interpretare il termine previsto dall’art. 19, comma 1, secondo pe-riodo, del D.P.R. n. 633/1972, in modo conforme al principio di neutralità dell’IVA, o, se l’interpretazione conforme non fosse possibile, di disapplicarlo».

17 Vd. TESAURO, op. ult. cit., p. 1942. Test di compatibilità la cui necessità era resa anco-ra più evidente dal fatto che il divieto di rivalsa successiva non era assistito da alcuna di-sposizione della Direttiva 2006/112/CE. È anzi opportuno soggiungere che la modifica normativa è stata dettata dalla necessità dello Stato italiano di arrestare la procedura d’in-frazione 2011/4081 avviata dalla Commissione europea per i dubbi sulla compatibilità del divieto di rivalsa successiva con la disciplina comunitaria dell’IVA. Segnatamente su questi aspetti si rinvia a IACONO, La compatibilità con il diritto dell’Unione europea dei “nuovi” limiti nazionali al diritto di rivalsa e detrazione dell’IVA, in Il Fisco, 2012, p. 5603.

18 Ex multis, Corte di Giustizia CE, 3 luglio 1997, causa C-330/95; Corte di Giustizia CE, 23 novembre 1988, causa C-230/87, secondo cui il principio base dell’IVA risiede «nel fatto che essa mira a gravare unicamente il consumatore finale. Di conseguenza la base im-ponibile dell’Iva riscossa dalle autorità fiscali non può essere superiore al corrispettivo ef-fettivamente pagato dal consumatore finale e sul quale è stata calcolata l’Iva dovuta in de-finitiva da tale consumatore».

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di suo esercizio, sebbene condizionato al previo pagamento dell’imposta o della maggiore imposta accertata, maggiorata delle sanzioni e degli interessi.

Il collegamento dell’esercizio della rivalsa successiva al diritto di detra-zione da parte del destinatario della fattura è rimarcato dalla presenza nella norma della disposizione che guarda alla posizione del cessionario o com-mittente del servizio, cui il legislatore si è preoccupato di assicurare in modo espresso il diritto alla detrazione del tributo, addebitatogli in un momento successivo rispetto a quello dell’originaria operazione

19. Nei primi commenti a caldo della nuova disposizione si è detto che essa

permetterà d’ora in poi di valutare con maggiore serenità l’acquiescenza al-l’accertamento, mediante pagamento della sanzione in misura ridotta, anche a seguito di procedura di adesione o conciliazione, giacché si avrà la possibi-lità di addebitare l’IVA senza che essa divenga un costo, né per il fornitore né per il cliente

20. E si è anche espressa l’opinione che la nuova disposizione avrebbe a rife-

rimento i soli casi del soggetto che abbia emesso fattura ad aliquota inferio-re a quella dovuta, oppure abbia fatturato in esenzione o non imponibilità IVA, a fronte di un’operazione che, poi, venga accertata imponibile. Mentre resterebbero fuori dal suo perimetro le vendite “in nero”, per le quali «l’as-senza di una rilevazione contabile, ancorché errata, impedisce geneticamen-te l’esercizio ex post della rivalsa»

21; e l’IVA relativa alle fatture “false”, ove l’inesistenza dell’operazione si riverbera sull’inesistenza dell’imposta e, quin-di, sulla sua indetraibilità da parte del cessionario o del committente

22. In realtà, il caso di fattura emessa a fronte di operazioni inesistenti resta

estraneo all’ambito di applicazione della norma per la ragione che in queste ipotesi manca lo stesso presupposto, ai sensi dell’art. 18 dell’IVA, per l’eser-cizio della rivalsa.

Ed invece l’esclusione dell’applicabilità della nuova disposizione alle c.d. vendite “in nero”, sul presupposto che in questi casi non è conosciuta la con-troparte economica da assoggettare a rivalsa, è fondata su circostanze non condivisibili.

19 Il principio di necessaria simmetria tra esigibilità e detrazione dell’IVA è sancito dal-l’art. 167 della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006.

20 In questi termini, CENTORE, Possibile la rivalsa dell’IVA accertata se l’imposta dovuta è versata all’Erario, in Corr. trib., 2012, p. 542.

21 Op. ult. cit., p. 544. 22 Op. ult. cit., p. 542.

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Non può infatti escludersi a priori che l’accertamento porti all’individua-zione del cessionario con il quale è intervenuta l’operazione economica non fatturata. Nelle c.d. vendite in nero la controparte economica può infatti emergere dalle indagini compiute dall’Amministrazione finanziaria o dalla Guardia di Finanza, e scaturire dai rilievi contenuti nel processo verbale di constatazione. Con la conseguenza che sarebbe un errore, per evidente con-trasto con la lettera della nuova disposizione, escludere in linea di principio, e perciò in ogni caso, la possibilità di esercizio della rivalsa nel caso di ope-razione in origine non fatturata.

In questa direzione è la posizione di un Autore 23 per il quale quale, tutta-

via, l’affermazione che la rivalsa potrà riguardare anche le ipotesi in cui sia stata accertata la mancata fatturazione ab origine è legata all’assunto che il problema che pone la rivalsa successiva riguarderebbe un fatto interno, rela-tivo al rapporto relazionale che intercorre tra il cliente ed il suo fornitore; e che di conseguenza affinché la rivalsa successiva possa essere esercitata sa-rebbe sufficiente che il primo, il cedente, «sappia benissimo a chi era stata ceduta la merce»

24. E sempre in base a questa premessa giunge anche alla conclusione, seppure in termini dubitativi, che la rivalsa successiva sia con-sentita negli accertamenti di tipo induttivo ed in quelli nei quali si sia fatto ricorso agli studi di settore, in relazione ai quali al soggetto passivo accertato dovrebbe consentirsi di «sceverare, nell’ambito di una massa indistinta di operazioni imponibili contestate dall’Amministrazione, specifiche transazioni riferibili a questo piuttosto che a quel cliente».

Si ha difficoltà a condividere un’interpretazione così estesa della norma in esame.

La rivalsa successiva nel caso di accertamento di vendite in “nero” pre-suppone che l’individuazione del cessionario risulti da elementi desumibili dal medesimo avviso di accertamento o dagli atti ed elementi conoscitivi che ne costituiscono il presupposto, essendo necessaria l’opponibilità oggettiva al-l’Amministrazione finanziaria del rapporto contrattuale che ha dato causa giu-ridica all’operazione accertata. Laddove si accedesse alla tesi che l’individua-zione del contraente o dei contraenti delle operazioni non fatturate interessi la sola sfera del rapporto interno tra le parti contrattuali, la norma sulla ri-valsa successiva si presterebbe a facili strumentalizzazioni, potendo il ceden-

23 STEVANATO, op. ult. cit., p. 72. Su queste problematiche si veda anche PINI, Note in tema di rivalsa dell’IVA accertata, in Boll. trib., 2013, p. 337.

24 STEVANATO, op. cit., p. 72.

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te orientare l’individuazione del contraente dell’operazione in nero secondo ragioni di mera convenienza e opportunità.

Queste conclusioni convergono con la posizione espressa dall’Agenzia del-le Entrate

25, secondo la quale l’esercizio della rivalsa successiva presuppone sempre la riferibilità dell’imposta accertata ad individuate operazioni; e que-sta circostanza ricorre anche nei casi in cui la maggiore imposta sia stata cal-colata su una base imponibile determinata in via forfetaria, «laddove sia co-munque riferibile a specifiche operazioni effettuate nei confronti di determi-nati cessionari o committenti». Circostanza che porta ad escludere l’esercizio della rivalsa successiva per l’IVA dovuta a seguito di accertamento induttivo.

5. Alcune considerazioni sul momento in cui sorge il diritto alla rivalsa suc-cessiva

La nuova norma oggetto delle presenti annotazioni, prevede che il diritto di rivalsa dell’IVA accertata sorge con il pagamento dell’imposta o della mag-giore imposta, della sanzione e degli interessi

26. Si ha pertanto che in questi casi, in via d’eccezione rispetto all’ordinario

meccanismo di funzionamento dell’IVA, la rivalsa non è un effetto legale della fattura, dovendo concorrere con l’emissione del documento il previo versamento del tributo all’Erario, con gli accessori e la sanzione.

Questo collegamento del momento della nascita del diritto-dovere di ri-valsa col pagamento dell’imposta accertata pone delicati problemi, anche di economia procedimentale, in tutti i casi in cui il pagamento del tributo do-vesse risentire, a sua volta, delle vicende che possono interessare l’atto impo-sitivo. Il provvedimento in questione potrà, infatti, essere stato impugnato dal contribuente, così determinandosi l’operare della riscossione provvisoria in pendenza di giudizio, astrattamente suscettibile di dare luogo all’esercizio della rivalsa successiva. Ma se l’esito del giudizio dovesse poi volgere a favore del contribuente, e ciò può accadere anche in seconde cure, con conseguente recupero dell’IVA a suo tempo corrisposta, sorgerebbe il problema di coor-dinare questo effetto con la necessità di rettificare la detrazione dell’IVA ef-

25 V. Circolare n. 35/E/2013, cit., risposta al quesito 1.1. 26 Si è sostenuto che l’omesso versamento delle sanzioni e degli interessi non possa co-

stituire circostanza ostativa all’esercizio della rivalsa, per la ragione che, in caso contrario, il risultato non sarebbe coerente con l’obiettivo della nuova disposizione, che è quello di as-sicurare soltanto la neutralità dell’imposta accertata; v. IACONO, op. cit., p. 5607.

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fettuata dal cliente del soggetto accertato. Problema questo per di più ag-gravato dal fatto che probabilmente neppure sarebbe utilizzabile allo scopo la procedura di variazione prevista dall’art. 26 delle norme sull’IVA, avendo essa per presupposto che l’operazione sia stata in origine fatturata e comun-que patologie originarie dell’operazione non accostabili a quella qui in esame.

La soluzione più ragionevole, in grado di superare questi profili proble-matici, è quella già avanzata da altri

27 (che presuppone, come ha riconosciu-to il suo stesso sostenitore, “un certo sforzo interpretativo”), di ritenere eser-citabile la rivalsa successiva in presenza di accertamento intendendo il ter-mine di legge “pagamento dell’imposta” come pagamento effettuato “a tito-lo definitivo”, e cioè all’esito di accertamento divenuto definitivo per man-cata impugnazione, ovvero per adesione, oppure a seguito di sentenza pas-sata in giudicato.

Come ha evidenziato l’Autore che per primo ha sostenuto questa tesi, of-fre notevole supporto argomentativo a questa interpretazione della norma la circostanza che in altra occasione, accostabile per il segnalato profilo a quella in esame, e segnatamente nel caso disciplinato dal comma 7 dell’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973, il legislatore nel consentire ai soggetti, diversi da quelli destinatari di accertamento basato sulla norma antielusiva, di richiedere il rimborso delle imposte pagate a seguito dei comportamenti disconosciuti dall’Amministrazione, fa decorrere il termine per la domanda di rimborso dal momento in cui l’accertamento è divenuto definitivo.

A questo riferimento può aggiungersi anche il disposto del comma 4 del-l’art. 37 dello stesso D.P.R. n. 600, che riguardo alla rettifica con imputazio-ne al contribuente di redditi di cui appaiono titolari altri soggetti, consente a questi ultimi, in presenza delle condizioni di legge, il rimborso delle imposte pagate quali persone interposte, ed anche in tal caso solo dopo che l’accerta-mento, nei confronti del soggetto interponente, è divenuto definitivo.

In base a questa interpretazione, condizionandosi l’esercizio della rivalsa successiva alla stabilità dell’accertamento, si eliminano in radice tutte le pro-blematiche cui si faceva cenno, connesse con la riscossione a titolo provvi-sorio dell’IVA in pendenza di giudizio avverso l’avviso di accertamento.

A queste conclsuioni è giunta anche l’Agenzia delle Entrate, che ha espres-so l’avviso

28 che l’operatività dell’art. 60, comma 7, qui in esame, presuppo-ne la definizione dell’accertamento (anche a seguito di adesione, o perchè

27 V. STEVANATO, op. cit., p. 73. 28 V. Circolare n. 35/E/2013, cit., risposta ai quesiti 1.2, 2.1, 2.2 e 2.3.

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non impugnato, oppure divenuto definitivo in forza di sentenza passata in giudicato) avvenuta successivamente all’entrata in vigore della nuova dispo-sizione (24 gennaio 2012).

Per l’Agenzia delle Entrate deve, pertanto, escludersi la possibilità di esercitare il diritto alla rivalsa successiva per l’IVA versata in pendenza del giudizio avverso l’avviso di accertamento che ne contiene la liquidazione, «in quanto la stessa risulta pagata all’Erario a titolo provvisorio».

Nel caso, infine, di pagamento rateale dell’imposta definitivamente ac-certata (si pensi alla rateazione conseguente all’accertamento con adesione, ai sensi degli artt. 6 ss. del D.Lgs. n. 218/1997), dal momento che la proce-dura di reateazione si perfeziona con il pagamento della prima rata, il diritto di rivalsa potrà essere esercitato di volta in volta in realzione alla singola rata corrisposta.

6. Breve quadro riepilogativo delle differenti tipologie di esercizio oggi della rivalsa successiva

In conclusione, tenendo presenti le considerazioni precedentemente svol-te, può individuarsi in via riepilogativa il quadro disciplinare, oggi, dell’eser-cizio della rivalsa successiva, a seconda delle differenti situazioni in cui può trovarsi il cedente, e segnatamente:

a) nel caso di omessa fatturazione, sarà data al cedente la possibilità di regolarizzare l’operazione con l’emissione della fattura nei termini ed alle con-dizioni stabilite dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997. Questa facoltà è infatti riconosciuta in modo generalizzato «sempreché la violazione non sia già stata constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore, o i soggetti soli-dalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza» (v. art. 13 cit.).

In tal caso la rivalsa sarà esercitata mediante l’emissione della fattura e fuori dallo schema ora previsto dall’art. 60, ultimo comma del D.P.R. n. 633/1973, da considerare norma speciale rispetto alle ordinarie modalità di esercizio della rivalsa;

b) nel caso in cui, invece, l’operazione fosse stata originariamente fattu-rata ma per un ammontare inferiore al dovuto, la fatturazione integrativa ri-entrerebbe nell’ambito dell’art. 26, comma 1, dell’IVA, con la conseguenza che, se è decorso il termine per il ravvedimento operoso, questa integrazione in linea astratta non incontra limiti di tempo. Tuttavia essa va raccordata con

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il limite temporale posto dall’art. 19 al diritto di detrazione del cessionario, con la conseguenza che ad avviso di chi scrive la rivalsa successiva potrà in tal caso essere esercitata nelle forme ordinarie (e quindi, anche qui, al di fuori della speciale modalità di rivalsa tardiva dettata dalla nuova disposizione dell’art. 60, ultimo comma) non oltre il termine del secondo anno successi-vo a quello in cui è stata effettuata l’operazione imponibile, dovendosi assi-curare, al cessionario che ne avesse il diritto, la detraibilità dell’imposta ai sen-si della norma che si è richiamata;

c) il carattere speciale della disposizione oggi contenuta nell’ultimo com-ma dell’art. 60 del D.P.R. n. 633/1972, in esame, e la specialità delle modalità d’esercizio in questo caso della rivalsa successiva (per il che all’emissione della fattura deve accompagnarsi il pagamento all’erario dell’imposta con la sanzione e gli interessi ed il termine di detrazione dell’IVA da parte del ces-sionario acquista la natura di termine “mobile”, in quanto legato al momen-to in cui egli avrà a sua volta corrisposto l’IVA addebitatagli in rivalsa)

29 fanno ritenere che l’operatività di questa disposizione, non legata eccezio-nalmente ai limiti temporali precedentemente visti, vada limitata al caso ri-chiamato dalla fattispecie normativa, ossia alla rivalsa dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o di rettifica.

7. Il diritto di detrazione del soggetto che ha subito la rivalsa successiva

Sull’altro versante, del soggetto destinatario dell’esercizio della rivalsa successiva, le problematiche poste dalla nuova disposizione sono molteplici.

Il secondo periodo del nuovo ultimo comma dell’art. 60 consente al ces-sionario o committente il diritto alla detrazione dell’IVA soltanto a decorre-re dal momento in cui egli avrà corrisposto al suo dante causa l’IVA addebi-tatagli in rivalsa. Si tratta, anche in questo caso, di un’eccezione all’ordinario meccanismo di applicazione dell’IVA, visto che l’art. 19 del D.P.R. n. 633/ 1972, conformemente a quanto disposto dall’art. 168 della Direttiva IVA, consente la detrazione dell’imposta addebitata in rivalsa con la fattura, indi-pendentemente dal suo pagamento.

L’avere il legislatore subordinato, in questo caso, il diritto alla detrazio-ne dell’IVA al suo pagamento al fornitore ha l’effetto di rendere rilevanti le sorti del rapporto interno, tra fornitore e cliente, che sono per loro natura estranee alla dinamica di attuazione del tributo, ed implica un coinvolgi-

29 V. infra.

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mento dell’Amministrazione finanziaria, in caso di successivo controllo del-la detrazione operata, su profili che normalmente non assumono rilevan-za nella disciplina di questo tributo ai fini dell’esercizio del diritto in que-stione

30. Il diritto di detrazione dell’IVA gravante sull’operazione è attivato, in li-

nea di principio, dall’esercizio della rivalsa del fornitore. A questa regola fanno eccezione i casi di fatturazione invertita, sempre più frequenti attual-mente nella disciplina dell’IVA. Ma in entrambi, la spettanza del diritto alla detrazione dell’imposta (fatta salva l’inerenza dell’operazione e l’esistenza delle condizioni soggettive ed oggettive per l’esercizio di questo diritto) pre-scinde dal pagamento degli importi al fornitore del bene o del servizio.

Si tende perciò ad individuare la giustificazione della speciale disposizione qui in esame nella volontà del legislatore di dare al soggetto che ha subito la tardiva rivalsa un nuovo termine decadenziale per l’esercizio del diritto di de-trazione. E poiché questo termine di decadenza, per le stesse finalità della norma, andava sganciato dal momento di effettuazione dell’operazione, es-so non poteva che avere a riferimento il pagamento dell’IVA addebitata in via di rivalsa

31. Comune, invece, sia alla disciplina ordinaria dell’esercizio della detrazio-

ne che a quella speciale qui in esame, la misura di salvaguardia che impone al soggetto di esercitare questo diritto «alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione». Si tratta di una disposizione che scongiura il rischio di accordi collusivi tra il fornitore ed il cliente finalizzati allo spostamento del momento di rilevanza della detrazione, e di scelta se-condo convenienza del periodo d’imposta in cui operare la detrazione .

Un problema inoltre posto dalla nuova disposizione è correlato con le speciali modalità dettate dalla norma per l’esercizio della rivalsa. Modalità che impongono il pagamento all’erario dell’imposta con la sanzione e con gli in-teressi.

Si è rimarcata la circostanza che in questi casi la rivalsa non è effetto lega-le della (sola) emissione della fattura, dovendo concorrere con essa anche il comportamento concludente del soggetto passivo, di corresponsione del-l’IVA all’erario con i menzionati accessori.

30 In ordine al profilo della compatibilità di questa disposizione con la Direttiva IVA, si rinvia a IACONO, op. cit., p. 5608.

31 Si noti la differente disciplina dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972 per il caso ordinario di esercizio della detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti, ove la decadenza è ancorata al momento «in cui il diritto alla detrazione è sorto».

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L’interrogativo allora che si pone è se il Fisco possa in questi casi contesta-re al cessionario la detraibilità dell’IVA qualora il cedente avesse esercitato la rivalsa in esame senza tuttavia versare all’erario gli importi dovuti. Ed ancora, se la norma implicitamente ponga sul cessionario l’onere di acquisire la prova dell’avvenuto versamento dell’IVA all’erario da parte del cedente, quale con-dizione per il corretto esercizio del diritto di detrazione dell’imposta.

Ad avviso di chi scrive la risposta a questi interrogativi è nel senso che as-sumerà senz’altro rilevanza sostanziale, anche nella sfera del soggetto che ha subito la rivalsa ed ai fini della detrazione del tributo, la circostanza che sia stata versata l’imposta all’erario, con gli accessori. Se questo pagamento non è avvenuto, per quanto il soggetto passivo possa avere emesso la fattura (tar-diva) addebitando al cliente l’imposta, non potrà con ciò ritenersi la rivalsa validamente esercitata. L’esercizio della rivalsa, che nelle ipotesi ordinarie consegue dall’emissione della fattura, richiede in questo caso, per il valido esercizio, anche il pagamento di tributo e sanzioni.

Per quanto riguarda, dunque, la sfera del soggetto cui viene addebitata l’im-posta per rivalsa successiva nel caso qui considerato può tentarsi un acco-stamento alla situazione in cui si trova l’appaltatore nei contratti di subap-palto di opere e servizi nei quali è responsabile in solido con il subappaltato-re per il versamento all’erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro di-pendente da quest’ultimo dovute; ciò secondo il disposto dell’art. 35, com-ma 28, del D.L. n. 223/2006

32. Questa norma dispone che la responsabilità solidale viene meno se l’appaltatore verifica, acquisendo la documentazione prima del versamento del corrispettivo, che gli adempimenti fiscali di cui s’è detto sono stati correttamente eseguiti dal subappaltatore. Inoltre dispone che, fino all’esibizione di questa documentazione, «l’appaltatore può sospen-dere il pagamento del corrispettivo del contratto di subappalto».

Ora, a parere di chi scrive, tornando alla rivalsa IVA successiva, il cessio-nario potrà opporsi al pagamento dell’imposta eccependo la carenza di legit-timazione del cedente all’esercizio della rivalsa, dal momento che questa non è validamente esercitata se non è stato effettuato il versamento all’erario degli importi dovuti.

In ordine al quesito se il cessionario, prima di esercitare il diritto di de-trazione dell’imposta, sia tenuto a procurarsi una prova concreta dell’avve-

32 A seguito della conversione nella L. 9 agosto 2013, n. 98 del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, è stata esclusa (art. 50) la responsabilità in questione per il «versamento dell’impo-sta sul valore aggiunto dovuta». V. GAVELLI-SIRRI, Responsabilità solidale sugli appalti tra modifiche approvate e mancate, in Corr. trib., 2013, p. 3088.

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nuto pagamento dell’Iva da parte del cedente, l’Agenzia delle Entrate 33 ha

espresso l’avviso che poiché la norma non prevede particolari oneri a carico del cessionario/committente in ordine al riscontro dell’avvenuto versamen-to all’erario dell’imposta oggetto di accertamento, «questi è tenuto solo all’osservanza degli ordinari doveri di diligenza e cautela in ordine alla veri-fica della correttezza e regolarità della fattura (o della nota di variazione in aumento) emessa da parte del cedente/prestatore»

34.

8. L’esercizio della rivalsa successiva nei confronti del soggetto privato

La recente dottrina che si è occupata della tematica qui in esame 35, ha

messo in risalto che la nuova ipotesi di esercizio della rivalsa successiva gene-rerà con ogni probabilità numerosi conflitti di natura privatistica tra il sogget-to accertato ed il suo avente causa, in tutti i casi in cui quest’ultimo abbia mo-tivo di contestare l’asserito credito di rivalsa, opponendo che l’IVA richiesta non era in realtà dovuta e che di conseguenza non avrebbe dovuto essere pa-gata all’erario. Si pensi alla scelta del soggetto passivo di non impugnare l’ac-certamento nonostante la pretesa dell’Ufficio fosse palesemente infondata.

È evidente che questi problemi sorgeranno soprattutto nei casi in cui il soggetto sottoposto a rivalsa non abbia, per un qualunque motivo, il diritto alla detrazione dell’imposta (come può accadere, in concreto al cessionario o committente che essendo consumatore finale del bene o del servizio non ha la possibilità di detrarre l’IVA addebitatagli con la fattura).

Peraltro, nelle situazioni immaginate, queste “liti tra privati” sull’IVA, devolute alla giurisdizione del giudice ordinario

36, rischiano di essere pesan-

33 V. la Circolare n. 35/E/2013, cit., risposta al quesito 4.1. 34 La Circolare n. 35/E/2013, cit., dell’Agenzia delle Entrate ha inoltre fornito alcuni

chiarimenti in ordine agli adempimenti contabili che conseguono dall’esercizio del diritto di rivalsa successiva. In particolare (v. risposta al quesito 4.1) la fattura o nota di variazione in aumento emessa dal cedente dovrà contenere, tra l’altro, gli estremi identificativi dell’atto di accertamento che costituisce titolo della rivalsa. Questo documento andrà poi annotato nel registro delle fatture “solo per memoria”, poiché l’imposta recuperata a titolo di rivalsa non dovrà partecipare alla liquidazione periodica, né essere indicata in una posta a debito nella dichiarazione annuale. Per quanto riguarda, invece, il cessionario, fermo restando che il dirit-to alla detrazione dell’imposta è subordinato all’avvenuto versamento dell’IVA all’erario da parte del cedente, il documento integrativo sarà annotato nel registro degli acquisti.

35 Per quanto si dirà il riferimento è principalmente a STEVANATO, op. cit., p. 74. 36 In questo senso, l’orientamento della Cassazione è costante ed è espresso dalla mas-

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temente condizionate dal fatto che l’esercizio della rivalsa si fonda su un ac-certamento dell’Ufficio finanziario che è divenuto definitivo, oppure su un giudicato a cui tuttavia è rimasto estraneo il soggetto che successivamente subisce la rivalsa

37. In ordine, in questi casi, alla posizione del soggetto che ha subito la rival-

sa valgono le considerazioni che vengono normalmente svolte circa il neces-sario coordinamento dei rapporti che si instaurano in conseguenza dell’e-missione della fattura, tra cedente e cessionario. Rapporti per i quali la valu-tazione dell’assoggettabilità dell’operazione ad IVA spetta al solo soggetto passivo dell’imposta, mentre la controparte deve adeguarsi, almeno nei rap-porti con il fisco, alle valutazioni del primo. Resta quindi esclusa la possibili-tà, per quest’ultimo, di esperire l’azione d’indebito pagamento, dal momen-to che l’esercizio della rivalsa ha la sua giustificazione nell’obbligo del ce-dente di versare l’IVA all’erario.

Ne consegue che il cessionario danneggiato dall’illegittimo esercizio del-la rivalsa avrà il rimedio risarcitorio.

Quanto all’inquadramento di questa problematica nel perimetro della tutela risarcitoria, si tratta di conclusione che è stata già sostenuta autore-volmente da parte della dottrina

38, con argomentazione persuasiva alla qua- sima in base alla quale: «In tema di Iva, spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordi-ne alla domanda proposta dal consumatore finale nei confronti del professionista o del-l’imprenditore che abbia effettuato la cessione del bene o la prestazione del servizio per ottenere la restituzione delle maggiori somme addebitategli in via di rivalsa per effetto del-l’applicazione di un’aliquota asseritamente superiore a quella prevista dalla legge: poiché, infatti, soggetto passivo dell’imposta è esclusivamente colui che effettua la cessione dei be-ni o prestazione di servizi, la controversia in questione non ha ad oggetto un rapporto tri-butario tra contribuente ed Amministrazione finanziaria, ma un rapporto di natura privati-stica tra soggetti privati, che comporta un mero accertamento incidentale in ordine all’am-montare dell’imposta applicata in misura contestata» (Cass., 8 febbraio 2007, n. 2775, ma si vedano nella stessa direzione: Cass., 7 febbraio 2007, n. 2686; Cass., 8 marzo 2006, n. 4896; Cass., 4 maggio 2005, n. 9191; Cass., 29 aprile 2004, n. 6632; Cass., 7 novembre 2000, n. 1147).

37 Opportunamente fa presente STEVANATO, op. ult. cit., situazioni siffatte potrebbero indurre il giudice civile ad assumere come un dato di fatto incontestabile l’assoggettabilità all’IVA dell’operazione e dunque come incontrovertibile il diritto di rivalsa esercitato dal soggetto accertato nei confronti del cliente.

38 Il riferimento è a LA ROSA, L’erronea applicazione dell’IVA, tra le norme e il dogma del-la condictio indebiti, in Riv. dir. trib., 1999, II, p. 201; MESSINA, Note in tema di rimborso e risarcimento dei danni per erronea applicazione dell’IVA, in Riv. dir. trib., 1991, I, p. 948; ID., Le conseguenze dell’erronea applicazione dell’IVA tra la ripetizione dell’indebito, la detrazione ed il risarcimento dei danni, in Riv. dir. trib., 1993, II, p. 261.

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le si aderisce. Non si condivide, invece, l’inquadramento di questa tutela ri-sarcitoria nell’ambito dell’azione ex art. 2043 c.c.

Ciò per la ragione che l’equiparazione della responsabilità del soggetto che emette la fattura errata con quella di chi è tenuto al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 c.c. reca invero in sé una contraddizione di fondo.

Da un lato, si assume (condivisibilmente) che l’erroneità dell’applicazione dell’IVA in fattura non rende di per se stesso indebito il rapporto di rivalsa

39; dall’altro lato, si riconosce al cessionario, che quel documento abbia ricevuto, la risarcibilità del danno subito con la rivalsa; risarcibilità che presuppone che la condotta del cedente sia illecita.

In altri termini, se l’effetto che scaturisce dalla rivalsa, anche se erronea-mente operata, è il diritto del cedente a ricevere l’imposta addebitata, dovreb-be da ciò farsi ragionevolmente discendere che il danno arrecato al cessiona-rio non è un danno “ingiusto”, e come tale esso è dunque irrisarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c.

Per quale motivo dovrebbe essere, infatti, risarcibile il danno provocato dall’esercizio errato del potere di rivalsa se è lo stesso legislatore a stabilire che anche la rivalsa erroneamente operata mantiene inalterati i propri effetti, che con riguardo alla sfera del cedente sono quelli propriamente di legitti-marlo a richiedere il pagamento del tributo addebitato in rivalsa? Egli, in defi-nitiva, non fa altro che esercitare un proprio diritto; e qui iure suo utitur ne-minem laedit.

All’inquadramento della responsabilità dell’emittente una fattura errata nell’ambito dell’art. 2043 c.c. può opporsi, poi, una seconda considerazione.

È noto che la responsabilità extracontrattuale trae origine dalla mera in-vasione dell’altrui sfera giuridica, e sanziona perciò l’inosservanza di un do-vere finalizzato a preservare l’integrità (e, quindi, il mero rispetto) delle po-sizioni giuridiche di qualsiasi terzo, come è dato desumere dalla generica re-sponsabilità del “chiunque” cagioni un danno ingiusto ad altri, cui all’art. 2043 c.c.

Detto in altri termini, la responsabilità risarcitoria dell’art. 2043 c.c. nasce in caso di lesione di un interesse rilevante in via generale nella vita di relazio-

39 Come si è già detto, l’erronea fatturazione non esime il soggetto che ha emesso il do-cumento dall’obbligo di versare all’erario la relativa IVA. Quest’obbligo è disposto dal comma 7 dell’art. 21 della disciplina IVA, e vale ad escludere che possa configurarsi in que-sti casi la fattispecie dell’indebito oggettivo. Le numerose problematiche che nascono dal-l’applicazione di questa disposizione sono state diffusamente analizzate da LOGOZZO, op. cit., p. 161 ss.

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ne, ossia in caso di violazione del c.d. dovere generale del neminem laedere. Nell’ipotesi dell’errata fatturazione ai fini dell’IVA la violazione dalla quale

consegue la responsabilità risarcitoria attiene invece più propriamente alla violazione di un dovere specifico, cui il cedente è tenuto nei confronti di un soggetto “determinato”. Già di per sé questo elemento, ricavato dalla distin-zione condotta sul piano della fattispecie, rende problematico l’inquadra-mento della responsabilità in questione nell’ambito dell’art. 2043 c.c.

Escludere, come si è prospettato, che la responsabilità risarcitoria dell’e-mittente la fattura errata abbia natura extracontrattuale non equivale ad af-fermare, per diretta conseguenza, che essa sia perciò responsabilità da con-tratto.

È pacificamente riconosciuto in dottrina, che le formule “responsabilità contrattuale-responsabilità extracontruattuale” sono improprie, e non van-no prese alla lettera. Si ritiene, infatti, che l’espressione “responsabilità con-trattuale” racchiude una sineddoche, dal momento che designa il tutto (la violazione di specifici obblighi) mediante una parte (l’inadempimento del-l’obbligazione nascente dal contratto). Ne consegue che anche la violazione d’un obbligo verso un determinato soggetto, che nasca da fonte diversa dal contratto, ossia da un atto unilaterale o dalla legge (si pensi all’obbligazione alimentare di cui all’art. 433 c.c.), darà luogo a responsabilità di natura con-trattuale, e non extracontrattuale

40. Sul terreno civilistico negli ultimi anni la dottrina italiana, sulla scorta di

quella tedesca, ha individuato ipotesi di responsabilità contrattuale che pre-scindono dall’esistenza del contratto, e che si collocano nella zona di confine tra responsabilità da inadempimento e responsabilità aquiliana; ossia in

40 La linea di demarcazione tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracon-trattuale è d’altra parte interessata da un inevitabile, lento e progressivo affievolimento dei tradizionali confini anche in conseguenza dell’orientamento comunitario che impone spe-cifici obblighi ex lege all’operatore professionista nei confronti del consumatore o utente; od ancora in conseguenza della rilevanza e qualificazione giuridica che tendono ad assu-mere obblighi di protezione nei confronti di terzi soggetti, che prescindono dall’esistenza di vincoli contrattualmente assunti e che, come si avrà modo di esaminare infra nel testo, si impongono al soggetto agente per il particolare status professionale in cui egli eventualmente si trovi. Su quello che si è chiamato il «debordare dell’area della responsabilità contrattua-le rispetto a quella identificata dall’inadempimento dell’obbligazione» si veda il saggio, in particolare, di CASTRONOVO, Le due specie della responsabilità civile e il problema del concor-so, in Eur. e dir. priv., 2004, p. 97; dello stesso Autore, in ordine poi alla problematica tratta-ta, si vedano ID., L’obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto e torto, in AA.VV., Le ragioni del diritto. Scritti in onore di Luigi Mengoni, Milano, 1995, p. 147; ID., La nuova responsabilità civile, Milano, 2006.

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quella che con felice espressione si è chiamata la «terra di nessuno tra con-tratto e fatto illecito»

41. Questa peculiare responsabilità, che si è denominata «responsabilità da

contatto sociale» 42, si connota per il rapporto intercorrente tra danneggiante

e danneggiato, rapporto qualificato giuridicamente da obblighi e aspettati-ve, e che non trova la sua origine in un vero e proprio vincolo contrattuale, quanto piuttosto nella particolare posizione che ha il danneggiante in con-fronto al soggetto danneggiato. Una posizione per così dire “qualificata”, dalla quale è dato attendersi da questo soggetto il compimento di tutti gli atti giu-ridici e/o materiali che si rendessero necessari alla salvaguardia dell’interes-se della controparte, nella misura in cui essi non comportino un apprezzabi-le sacrificio a suo carico.

Come ha posto bene in risalto la giurisprudenza di legittimità, che questo filone interpretativo ha non solo condiviso ma ulteriormente stimolato, l’area della responsabilità da contatto sociale comprende tutte quelle ipotesi in cui la responsabilità extracontrattuale appare insufficiente, in quanto generica responsabilità del “chiunque”, e nelle quali per altro verso manca il fulcro del rapporto obbligatorio, costituito dalla doverosità della prestazione. In questa specifica responsabilità, la fonte della prestazione risarcitoria non è perciò né la violazione del neminem laedere, né l’inadempimento di una prestazione contrattualmente assunta, «ma la lesione di un obbligo di protezione, di com-portamento, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi esposti a peri-colo in occasione del contatto stesso»

43. In concreto, la giurisprudenza di legittimità ha ravvisato la responsabilità

da contatto sociale in capo al medico, dipendente da struttura sanitaria, nei confronti del paziente

44, o dell’insegnante, dipendente dall’istituto scolastico,

41 BUSNELLI, Itinerari europei nella “terra di nessuno tra contratto e fatto illecito”: la re-sponsabilità da informazioni inesatte, in Contr. e impresa, 1991, p. 539.

42 Sulla responsabilità da “contatto sociale”, nonostante si tratti di figura di responsabi-lità relativamente recente, la letteratura è vastissima. Per i riferimenti bibliografici sull’ar-gomento può rinviarsi allo scrupoloso lavoro d’inventariazione di ROSSI, Contatto sociale (fonte di obbligazione), in Dig. disc. civ., 2010, p. 346.

43 Così Cass., 21 luglio 2011, n. 15992. Come afferma CASTRONOVO, La nuova respon-sabilità civile, cit., p. 552, quella c.d. da contatto è «una responsabilità da violazione degli obblighi creati dalla buona fede sulla scorta di un affidamento socialmente rilevante; non riconducibile all’inadempimento dell’obbligazione come prestazione, né tampoco all’ob-bligazione nata da contratto, ma parimenti lontana dalla responsabilità del passante».

44 A partire dalla ormai nota sentenza Cass., 22 gennaio 1999, n. 589, questo richiamo della giurisprudenza alla figura del contatto sociale per fondare la responsabilità del medi-

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nei confronti dello studente, per il danno cagionato dall’alunno a se stesso 45.

È importante far rilevare, come ha bene espresso la stessa giurisprudenza della Cassazione, che il dato caratterizzante, comune alle due fattispecie in-dicate, è, oltre all’assenza di un contratto tra presunto danneggiante e dan-neggiato, la particolare “qualità dell’attività” svolta dal possibile danneggian-te. Più precisamente si legge nella motivazione di Cass., 21 luglio 2011, n. 15992, il dato caratterizzante questa responsabilità «potrebbe dirsi, pro-prio per gli echi pubblicistici legati alla destinazione dell’attività, la qualità della funzione svolta dal danneggiante, alla quale l’ordinamento giuridico col-lega obblighi di comportamento anche a tutela dei valori costituzionali».

Risulta a questi fini particolarmente significativo il caso esaminato dalla sentenza della Cassazione che si è precedentemente richiamata

46, in cui la Suprema Corte ha individuato una nuova ipotesi di responsabilità da “con-tatto sociale” a carico di un Comune che avendo certificato erroneamente cir-costanze di fatto ad una persona, che in un periodo precedente, aveva pre-stato attività lavorativa alle sue dipendenze e con la quale, nel momento in cui l’attestazione era stata resa, non era legata da alcun vincolo contrattuale, è stato ritenuto responsabile, appunto, da contatto sociale per il danno subi-to dall’interessato nell’utilizzazione dell’attestazione inesatta.

Quanto sopra è elemento di estrema rilevanza nell’indagine che si sta svolgendo.

Chi emette la fattura assume un margine di rischio nell’esercizio del potere di rivalsa, in quanto il suo comportamento deve rispondere ai canoni di dili-genza nell’assolvere un obbligo, quello dell’esercizio della rivalsa, che è pro-duttivo di immediati effetti nella sfera del cessionario. Con la conseguenza che egli non andrà esente da responsabilità verso il cessionario se nel compor-tamento assunto sia mancata la diligenza e correttezza che l’esercizio della funzione di rivalsa imponeva. Elementi tutti da valutare nel quadro della re-sponsabilità risarcitoria che si è definita da “contatto sociale”.

La conseguenza di questa impostazione è che, sul piano disciplinare, il rap-porto che scaturisce dal “contatto” è ricondotto allo schema dell’obbligazio-

co dipendente di una struttura sanitaria, nei confronti del paziente affidato alle sue cure, appare indiscusso. Si vedano anche Cass., 13 luglio 2010, n. 16394; Cass., 26 gennaio 2010, n. 1538; Cass., 16 gennaio 2009, n. 975.

45 V. Cass., 18 luglio 2003, n. 11245. La Cassazione ha fatto uso del paradigma della responsabilità da contatto sociale anche in tema di mediazione (v. Cass., 14 luglio 2009, n. 16382).

46 Cass. n. 15992/2011.

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ne da contratto. Ne discende che il regime probatorio sarà quello segnato dall’art. 1218 c.c., per cui incombe sull’emittente la fattura l’onere di dimo-strare che l’errore nella fatturazione è dipeso da causa a lui non imputabile.

Questo inquadramento della responsabilità in esame nel perimetro della responsabilità contrattuale, anziché in quella extracontrattuale, ha un duplice, importante effetto.

In primo luogo, essa connota in termini di maggiore rigore la diligenza con la quale il soggetto passivo dell’IVA deve esercitare la rivalsa, e, guar-dando all’altro versante, è soluzione più equilibrata per il cessionario, che quella rivalsa è tenuto a subire. Costui, nell’ottica della responsabilità extra-contrattuale, sarebbe costretto a provare la colpa dell’emittente la fattura in quanto ai sensi dell’art. 2043 c.c. il criterio della colpa (o del dolo) si presen-ta come elemento costitutivo del fatto illecito foriero del danno risarcibile. Com’è noto, con la locuzione di illecito si intende un quid pluris rispetto alla violazione di un comando o di un divieto. Ed invece, nel quadro della re-sponsabilità contrattuale e della disciplina disegnata dall’art. 1218 c.c., la re-sponsabilità è direttamente imputata al soggetto agente, salvo che egli non provi l’elemento impeditivo per causa non imputabile, come – ad esempio – l’essersi attenuto alle istruzioni delle circolari o risoluzioni ministeriali che quel comportamento indicavano essere conforme alla legge. L’individuazio-ne, nel caso in esame, di una responsabilità da contatto sociale risponde quindi all’esigenza di oggettivizzare la colpa, e superare così l’ostacolo in cui verrebbe a trovarsi il cessionario ove fosse costretto a provare l’illiceità del comportamento del cedente a fronte di quella che è invece una violazione di legge, la quale attiene al mancato rispetto delle norme che regolano l’eserci-zio del potere e che di per sé non involge valutazioni di tipo soggettivo.

In secondo luogo, l’altro effetto, di grande importanza, dell’inquadra-mento della responsabilità in esame nel perimetro della responsabilità con-trattuale, è costituito dal differente termine di prescrizione dell’azione di ri-sarcimento.

Questo diritto si prescrive nella responsabilità contrattuale con il decorso di dieci anni (art. 2946 c.c.), contro il minor termine di prescrizione di cinque anni del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito (art. 2947 c.c.).

Anche in considerazione di questo secondo, rilevante effetto, la soluzio-ne che si è qui proposta in ordine alla problematica in esame appare dunque più equilibrata per la considerazione che, nell’IVA, come si è detto, la valuta-zione dell’assoggettabilità dell’operazione al tributo e la sua misura spetta al solo soggetto passivo dell’imposta, mentre la controparte deve adeguarsi, al-meno nei rapporti con il fisco, alle valutazioni del primo; con la conseguen-

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za che l’esercizio del potere di rivalsa richiama doveri molto rigorosi di dili-genza e di correttezza, e ciò si pone in stretta aderenza con le considerazioni svolte in precedenza circa il connotato di potere che caratterizza l’esercizio del diritto/dovere di rivalsa nell’IVA.

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Roberto Serrentino

DUBBI DI COSTITUZIONALITÀ DEL RECLAMO E DELLA MEDIAZIONE TRIBUTARIA

CONSTITUTIONAL DOUBTS OF THE FISCAL COMPLAINT AND OF THE TAX MEDIATION

Abstract L’istituto del reclamo/mediazione tributaria, benché di recente introduzione, ha suscitato sin da subito un vivace dibattito dottrinario sui suoi presupposti, sulla sua opportunità, sulla eventuale compatibilità con altri istituti operanti da tem-po. Nel presente contributo vengono affrontati alcuni dei nodi problematici sol-levati dalla dottrina, prendendo spunto da tre recenti ordinanze di rimessione al-la Corte costituzionale. Ed invero alcune delle questioni più spinose sono ivi sin-tetizzate, quali l’inammissibilità del ricorso esperito in assenza dell’attivazione della procedura di reclamo nei casi previsti, nonché l’inapplicabilità della disci-plina cautelare al procedimento di reclamo. Le citate ordinanze rappresentano dunque l’occasione per una riflessione sugli aspetti procedurali dell’istituto e sul-la sua compatibilità con la tutela cautelare, al fine di trarre qualche conclusione preliminare sull’opportunità o meno di ripensare tale strumento di deflazione delle controversie. Parole chiave: Mediazione tributaria, tutela cautelare, reclamo tributario, proces-so tributario, giudizio di costituzionalità The legal institution of fiscal complaint/tax mediation, although recently introduced, immediately led to a great debate among scholars on its requirements, on its opportu-nity and on its compatibility with other longstanding legal institutions. This paper fa-ces some of the core problems debated in literature taking the cue from three recent re-ferrals to the Constitutional Court. In this respect, some of the most controversial is-sues are analysed in this paper, such as the inadmissibility of the action started wi-thout the previous activation of the fiscal complaint procedure (when provided) and the inapplicability of the precautionary measures discipline to the fiscal complaint pro-

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cedure. These referrals represent, therefore, the occasion for a reflection on procedural aspects of such legal institution and on its compatibility with precautionary measures, in order to reach some provisional conclusions on the opportunity or not to re-shape this instrument for reducing tax litigation. Keywords: Tax mediation, precautionary measures, fiscal complaint, tax trial, con-trol of constitutionality

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. L’istituto del reclamo/mediazione tributaria: caratteri e presupposti ap-plicativi. – 2.1. La novella legislativa – Caratteri dell’istituto. – 2.2. Riflessioni sulla natura del reclamo. – 3. Il difficile rapporto tra reclamo e tutela del contribuente alla luce dell’art. 24 Cost. – 3.1. Il reclamo quale ipotesi di giurisdizione condizionata. – 3.2. Segue: accertamento con ade-sione e reclamo. – 3.3. Alcuni effetti indiretti sul diritto alla difesa del contribuente. – 4. La tu-tela cautelare e la sospensione dell’esecutività degli atti di accertamento: profili critici.

1. Introduzione

Gli istituti del reclamo e della mediazione tributaria, benché di recente introduzione, hanno suscitato sin da subito un vivace dibattito dottrinario sui relativi presupposti, sulla opportunità e sulla loro eventuale compatibilità con altri istituti operanti da tempo.

Reclamo e mediazione, introdotti nella medesima disposizione, quasi fos-sero «legati in un’inscindibile sequela procedimentale»

1, appaiono tuttavia, ad un’attenta disamina, quali strumenti differenti, l’uno di natura prettamente amministrativa, l’altro di tipo stragiudiziale. Partendo da tale presupposto, nel presente contributo ci si soffermerà per lo più sulle problematiche ine-renti il reclamo, condizione di ammissibilità per l’esperimento dei rimedi giu-risdizionali previsti dall’ordinamento tributario. E l’occasione di una rifles-sione su alcune delle tematiche emergenti è data da tre recenti ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale, della Commissione Tributaria Provin-ciale di Perugia, della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso e di quella di Benevento

2, che sollevano il dubbio di costituzionalità dell’isti-

1 GIOVANNINI, Reclamo e mediazione tributaria: per una riflessione sistematica, in Rass. trib., n. 1, 2013, p. 51. V. anche DE MITA, Il reclamo tributario limita i diritti del contribuente, in Il Sole 24 Ore, 22 settembre 2013, p. 25.

2 Si fa riferimento alle ordd. n. 75/2/13 della CTP di Campobasso, n. 75/2/13 della CTP di Perugia e n. 126/7/13 della CTP di Benevento.

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tuto con riferimento alle questioni più spinose rilevate dalla dottrina, quali l’inammissibilità del ricorso esperito in assenza dell’attivazione della proce-dura di reclamo nei casi previsti e l’inapplicabilità della disciplina cautelare al procedimento di reclamo.

Le tre ordinanze di rimessione rappresentano dunque l’occasione, in at-tesa che su di esse si pronunci il Giudice delle leggi, per una riflessione sugli aspetti procedurali dell’istituto e sulla sua compatibilità con la tutela caute-lare, al fine di trarre qualche conclusione preliminare sull’opportunità o me-no di ripensare tale strumento di deflazione delle controversie.

Sui suesposti punti ci si soffermerà, non prima di aver, seppur brevemen-te, esposto i caratteri principali dell’istituto in questione, a partire dai suoi aspetti fondamentali e dai provvedimenti reclamabili.

2. L’istituto del reclamo/mediazione tributaria: caratteri e presupposti appli-cativi

2.1. La novella legislativa – Caratteri dell’istituto

L’art. 17 bis del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, introdotto dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, regola il reclamo e la mediazione in ambito tributario per liti di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall’agen-zia delle entrate.

Come è noto, l’obiettivo dell’intervento legislativo è stato quello di alleg-gerire il carico di contenzioso che grava sulle Commissioni Tributarie

3, per quelle contestazioni che possano essere risolte in sede amministrativa, «attra-verso un esame volto ad anticipare l’esito ragionevolmente atteso del giudi-zio, tenuto conto della situazione di fatto e di diritto sottesa alla singola fat-tispecie»

4; con l’ulteriore, positivo effetto di rendere definitivo il rapporto d’imposta in tempi brevi e diminuire quelli per la riscossione del credito,

3 La nuova procedura amministrativa riguarda circa il 70% del contenzioso fiscale e se-condo le stime dell’Agenzia delle Entrate rientrano nella sfera del reclamo circa 110 mila controversie: il lavoro dei giudici tributari verrà sgravato da tutte quelle questioni di rilevanza economica ridotta e magari anche inammissibili. Il vantaggio per il contribuente è rappresen-tato dallo sconto del 40% sulle sanzioni. V. in tal senso LUCATI, Il filtro della mediazione obbli-gatorio anche per le liti tributarie, in Resp. civ., 2012, p. 396 ss. V. anche LOGOZZO, Profili critici del reclamo e della mediazione tributaria, in Boll. trib., 2012, p. 1505; FICARI, La mediazione fiscale, in Treccani. Libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, p. 432 ss.

4 Agenzia delle Entrate, Circolare 19 marzo 2012, n. 9/E.

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migliorando «la qualità dell’ingranaggio procedimentale e del sistema pro-cessuale complessivamente riguardati»

5. Il citato art. 17 bis introduce dunque il reclamo obbligatorio per le con-

troversie di valore non superiore a 20.000 euro (determinato ai sensi del-l’art. 12, comma 5, dello stesso decreto) relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate a decorrere dal primo aprile 2012. La presentazione del recla-mo è condizione di ammissibilità del ricorso, e l’inammissibilità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (comma 2). Il reclamo va presen-tato alla Direzione provinciale o alla Direzione regionale che ha emanato l’at-to, le quali provvedono attraverso apposite strutture, diverse e autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili (comma 5) 6. Al proce-dimento di reclamo si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sul processo tributario e in particolare l’art. 12 in materia di assistenza tecnica, essendo necessaria la difesa di un soggetto a ciò abilitato per le controversie di valore superiore a euro 2.582,28; l’art. 18 con riferimento al contenuto del reclamo; l’art. 19 inerente l’oggetto del reclamo, che deve riguardare atti emessi dall’Agenzia delle Entrate; l’art. 20, per ciò che concerne la proposizio-ne del reclamo; l’art. 21, relativo al termine di proposizione del reclamo; l’art. 22, comma 4, circa i documenti da allegare al reclamo.

Pertanto con il reclamo il difensore del contribuente dovrà richiedere all’erario l’annullamento totale o parziale dell’atto, e potrà contestualmente, ove lo ritenga opportuno, formulare una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa.

L’organo destinatario del reclamo a sua volta potrà accoglierlo, annul-lando l’atto impositivo, ovvero potrà formulare una proposta di mediazione che abbia riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al gra-do di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione am-ministrativa, ove non intenda accogliere né la richiesta di annullamento, né la proposta di mediazione presentata dal contribuente

7.

5 GIOVANNINI, op. cit., p. 51. 6 Come ha chiarito l’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 9/E, tali strutture si

identificano con gli «Uffici legali delle Direzioni provinciali, nonché le analoghe struttu-re delle Direzioni regionali e del Centro operativo di Pescara per i procedimenti di com-petenza di quest’ultimo». V’è da chiedersi, tuttavia, quanto ciò sopperisca alla carenza di terzietà dell’organo deputato a vagliare l’istanza di reclamo, identificandosi, quest’ul-timo, con il medesimo ufficio deputato alla difesa tecnica degli interessi dell’Agenzia in giudizio.

7 TURCHI, Reclamo e mediazione nel processo tributario, in Rass. trib., 2012, p. 898 ss.

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Decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo né conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso, e i termini per la costituzione in giudizio delle parti decorrono dalla predetta data.

Se il reclamo è respinto in data antecedente, i termini di costituzione de-corrono dalla data di ricezione dell’atto di diniego. In caso di accoglimento parziale, essi decorrono dalla data di notificazione dell’atto di accoglimento parziale (commi 7, 8 e 9).

La parte soccombente è condannata a rimborsare, in aggiunta alle spese di giudizio, una somma pari al 50% a titolo di rimborso delle spese del pro-cedimento di reclamo. Fuori dei casi di soccombenza reciproca, la Commis-sione Tributaria può compensare in tutto o in parte le spese tra le parti solo se ricorrono giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, che hanno indotto la parte soccombente a disattendere la proposta di media-zione (comma 10)

8.

2.2. Riflessioni sulla natura del reclamo

Sulla natura amministrativa del reclamo la dottrina ha discusso sin da su-bito, sul presupposto che il reclamo amministrativo non ha necessariamente forma di ricorso giurisdizionale e non è fatto obbligo alla parte di presentar-lo per mezzo di un difensore. Al riguardo si è infatti sostenuto che esso altro non sarebbe che una forma di ricorso in opposizione ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. n. 1199/1971. E difatti, pur se strettamente connesso con il ricorso, sino a produrne i medesimi effetti, il reclamo viene presentato agli organi del-l’Agenzia delle Entrate che hanno emesso il contestato provvedimento fi-scale perché decidano in via amministrativa, emanando un atto sostanzial-mente qualificabile come annullamento in autotutela

9.

8 GIOVANNINI, op. cit., p. 51 ss. Secondo l’Autore si potrebbe raffigurare la situazione creata dal legislatore con la figura mitologica dell’ircocervo, per descrivere «un atto a metà tra diritto amministrativo e diritto processuale, tra contestazione amministrativa e grava-me giurisdizionale. Questa raffigurazione agevola l’introduzione di un profilo ulteriore, che può contribuire a distinguere più nettamente le fasi del procedimento entro le quali “scor-re” l’atto assunto nella doppia veste di ricorso in opposizione e di ricorso giurisdizionale, e agevola anche la messa a fuoco del fondamento che determina, quoad effectum, la “muta-zione” dell’atto, appunto, da ricorso in opposizione a ricorso giurisdizionale».

9 V. MARINI, Profili costituzionali del reclamo e della mediazione, in Corr. trib., 2012, p. 856. Si vedano anche BASILAVECCHIA, Reclamo, mediazione fiscale e definizione delle liti pendenti, in Corr. trib., 2011, p. 2494 ss., secondo il quale il reclamo altro non è se non «un riesame

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Ciò non vale tuttavia a qualificare del tutto la natura giuridica del recla-mo introdotto dalla novella legislativa, nella misura in cui esso assurga an-che ad atto introduttivo del processo, in grado di produrne i medesimi effet-ti ove il reclamo stesso non venga accolto.

Un atto, dunque, suscettibile «di radicare due diversi tipi di procedimen-to: amministrativo e giurisdizionale». Scopo immediato della legge sarebbe, in tal senso, quello di riconoscere all’amministrazione finanziaria uno spazio preprocessuale di natura “contenzioso-giustiziale”, assai simile, quanto agli ef-fetti, all’autotutela in annullamento o revoca su impulso di parte

10. Con la conseguenza, tuttavia, che «i confini soggettivi e oggettivi della lite apud iu-dicem, cioè i temi di cognizione e decisione che saranno demandati alla Com-missione tributaria, restano tassativamente definiti già all’atto della proposi-zione dell’istanza di annullamento in via di autotutela, proprio in virtù della predetta attitudine di quest’ultima, in ipotesi di mancato accoglimento, a convertirsi ipso iure nel ricorso da sottoporre alla Commissione»

11. Il mo-dello predisposto dall’Agenzia delle entrate configura infatti il reclamo come un vero e proprio ricorso con allegata l’istanza all’amministrazione finanzia-ria; tant’è che la fase introduttiva del giudizio si scinde in tre momenti diver-si: la notificazione del ricorso/reclamo resta invariata, ma nel momento in cui si effettua, l’atto non può svolgere la funzione che gli è propria, essendo provvisoriamente degradato a reclamo, cioè a istanza di revisione dell’atto contro cui si ricorre; vi è poi un tempo intermedio in cui si sviluppano re-clamo e mediazione e, solo successivamente, decorre il termine per la costi-tuzione in giudizio

12.

obbligatorio in autotutela, per prevedere il quale, anche oltre il limite di 20.000 euro, sarebbe stata sufficiente una circolare interna di carattere organizzativo, senza creare alcuna inter-ferenza con il processo. E lo stesso discorso vale per la mediazione: sarebbe stato sufficien-te che la Direzione centrale chiedesse agli Uffici di proporre a tappeto la conciliazione fuo-ri udienza, in tutti i casi minori in cui sussistessero le condizioni ora previste dalla legge per mediare. Magari raccordandosi con l’accertamento con adesione di cui all’art. 6 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218».

10 GIOVANNINI, op. cit., p. 51 ss. 11 V. MONTANARI, Il processo tributario nel segno della mediazione, in Dir. prat. trib.,

2013, p. 153 ss. 12 Così BASILAVECCHIA, Dal reclamo al processo, in Corr. trib., 2012, p. 841.

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3. Il difficile rapporto tra reclamo e tutela del contribuente alla luce dell’art. 24 Cost.

3.1. Il reclamo quale ipotesi di giurisdizione condizionata

Nel quadro così delineato, prendono forma i diversi dubbi che parte del-la dottrina ha sollevato, poi confluiti nelle ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale cui si è fatto cenno in premessa, primo fra tutti il requisito della obbligatorietà del reclamo amministrativo, non già mera condizione di procedibilità rispetto all’esperimento delle vie giudiziarie, quanto piuttosto vera e propria condizione di ammissibilità del successivo ricorso in Commis-sione Tributaria

13. Non a torto si è dunque parlato di un caso di c.d. giuri-sdizione condizionata al previo esperimento di un’istanza amministrativa, os-sia di una ipotesi in cui l’accesso alla tutela giudiziale appare subordinato al previo esperimento di procedure di composizione della controversia in sede stragiudiziale, a condizione che l’onere di esperimento del rimedio ammini-strativo non comprometta il diritto di proporre l’azione giudiziale.

Benché la Corte costituzionale abbia, in passato, riconosciuto in più oc-casioni la legittimità della giurisdizione condizionata in relazione al parame-tro offerto dall’art. 24 Cost., la sanzione dell’inammissibilità posta a presidio del reclamo tributario potrebbe effettivamente determinare il rischio della perdita di tutela per il ricorrente ove non esperisca previamente il rimedio amministrativo

14. Ed infatti è ormai consolidato l’orientamento in virtù del quale una compressione del diritto di difesa si giustifica soltanto, nel bilan-ciamento degli interessi in gioco, con l’interesse al miglior funzionamento della giustizia, con il limite, invalicabile, del rispetto dell’accesso non troppo

13 V. D’AYALA VALVA, La Corte costituzionale preannuncia le ragioni di illegittimità costi-tuzionale della mediazione tributaria, in Riv. dir. trib., 2013, p. 82 ss.; CORASANITI, Art. 17-bis del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in AA.VV., Commentario breve alle leggi del processo tributario, a cura di Consolo-Glendi, Padova, 2012, pp. 223-240.

14 V. CARINCI, Il rispetto dei termini per l’esaurimento della procedura di reclamo condiziona l’ammissibilità del ricorso, in Corr. trib., n. 31, 2013, p. 2457, nonché la giurisprudenza ivi citata: Corte cost., sentt. 18 gennaio 1991, n. 15; 13 dicembre 1972, n. 186; 26 luglio 1979, n. 93; 30 novembre 1989, n. 530, che ha ritenuto illegittima la previsione di forme di giurisdizione condizionata comportanti una «compressione penetrante del diritto di azione» tale da osta-colarne e renderne l’esercizio difficoltoso, «in particolare comminando la sanzione della de-cadenza». V. anche MARINI, Profili costituzionali del reclamo, cit., p. 854, che sottolinea come non siano mancati i casi in cui la Corte costituzionale ha riconosciuto l’opportunità di un dif-ferimento dell’azionabilità del diritto in ragione di “esigenze di ordine generale”, di “superiori finalità i giustizia”, di “pericoli di abusi” e di “particolari interessi sociali”.

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difficoltoso alla tutela giurisdizionale, pena la violazione degli artt. 24 e 113 Cost. Ed è in tale prospettiva che la Corte costituzionale ha considerato con crescente severità proprio le disposizioni che condizionano l’ammissibilità della tutela giurisdizionale al previo esperimento di un ricorso amministrati-vo, dichiarando costituzionalmente illegittimo, ad esempio, l’art. 33, ultimo comma del D.P.R. n. 672/1972 sull’imposta del bollo, «nella parte in cui non prevede, in materia di rimborsi d’imposta, l’esperibilità dell’azione giu-diziaria anche in mancanza del preventivo ricorso amministrativo. Gli artt. 24 e 113 Cost. non impongono una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilità, la quale può essere differita ad un momento suc-cessivo ove ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalità di giu-stizia. Tuttavia, anche nel concorso di queste circostanze, il Legislatore è sempre tenuto ad osservare il limite imposto dall’esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa, in conformità al principio della piena attuazione della gerarchia stabilita dalle suddette norme costitu-zionali. La previsione in materia di rimborsi dell’imposta di bollo, della de-cadenza dall’azione giudiziaria in conseguenza della mancata proposizione del ricorso amministrativo, si pone contrasto con l’art. 24 Cost.»

15. Leggendo le motivazioni rese dalla Corte nel caso cui si è fatto cenno

non può non riflettersi sulle analogie con il caso del reclamo tributario, la cui mancata attivazione preclude definitivamente l’accesso alla giustizia del con-tribuente, con conseguente definitività della pretesa tributaria.

E ciò, come pure è stato rilevato, è di per sé idoneo a suscitare dubbi sulla legittimità della norma sotto il profilo della limitazione all’azionabilità del di-ritto

16, anche perché il reclamo si colloca in una fase precontenziosa, nella quale tuttavia non è improbabile che siano già stati esperiti, se ne ricorrono i presupposti, gli altri rimedi già previsti dalle norme tributarie

17: ove il con-

15 V. Corte cost., 23 novembre 1993, n. 406. 16 MARINI, Profili costituzionali del reclamo, cit., p. 855. 17 Non è dello stesso avviso PISTOLESI, Il reclamo e la mediazione nel processo tributario,

in Rass. trib., 2012, p. 65, secondo cui non si possono fondatamente avanzare dubbi sulla liceità costituzionale del reclamo tributario. «Invero, anche qualora il reclamo si potesse qualificare come un rimedio amministrativo preventivo rispetto all’introduzione della lite (ciò che mi pare di dover escludere poiché lo stesso reclamo si può poi tramutare in ricor-so), si ravvisano nel caso – e sono state testé segnalate – le “esigenze di ordine generale” o le “superiori finalità di giustizia” che, secondo la Corte Costituzionale, legittimano la pre-visione delle ipotesi di cosiddetta “giurisdizione condizionata”». V. anche, dello stesso Au-tore, Ambito applicativo della mediazione tributaria e sospensione della riscossione, in Corr. trib., 2012, p. 1429 ss. Tesi analoghe sono supportate da ATTARDI, Reclamo e mediazione:

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tribuente abbia avanzato istanza di accertamento con adesione, e il contrad-dittorio abbia avuto esito negativo; ovvero quando il contribuente abbia fat-to istanza di autotutela, e questa sia stata respinta o sia ancora sotto esame da parte dell’ente impositore

18.

3.2. Segue: accertamento con adesione e reclamo

Quanto alla prima ipotesi, basti pensare che, nei casi ove sia proponibile, la presentazione della domanda di accertamento con adesione sospende i termini di impugnazione per un periodo di 90 giorni, sia per un eventuale ri-corso, sia per il pagamento delle imposte accertate; il contraddittorio instau-rato potrebbe non condurre ad alcun accordo, come sovente accade e, quale strumento a propria tutela, a quel punto il contribuente dovrebbe inoltrare a quegli stessi uffici già pronunciatisi in sede di accertamento con adesione un reclamo amministrativo, che sospenda per ulteriori 90 giorni i termini per l’eventuale impugnazione in sede giudiziaria. Se si somma ai 180 giorni così risultanti, anche l’eventuale sospensione feriale dei termini, potrebbero tra-scorrere anche 7-8 mesi dall’emissione di un atto di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, prima di poter presentare ricorso in Commissio-ne Tributaria. Sarebbe stato dunque indispensabile un coordinamento fra le due modalità di composizione stragiudiziale, onde limitare al minimo il ri-schio di eccessiva dilazione temporale dei tempi di azione

19. Anche perché, com’è stato correttamente evidenziato, se il tentativo di accertamento con costituzionalità e ricadute sulla teoria generale del processo tributario, in Corr. trib., 2013, p. 1446 ss.

18 CISSELLO, Reclamo e mediazione: decorrenza e limite dei 20.000,00 euro, in Il Fisco, 2012, p. 1763 ss., secondo il quale «la necessità di proporre reclamo anche ove le parti non siano pervenute ad una soluzione concordataria nelle more dell’accertamento con adesione ap-pare sostanzialmente inutile. Oltre a ciò, è bene ricordare che il contribuente è, anche negli atti reclamabili, indotto a presentare istanza di adesione, siccome, tra l’altro, in tale proce-dura la pretesa può essere diminuita e le sanzioni sono ridotte ad un terzo del minimo edit-tale, quindi in una misura maggiore di quella applicabile nella mediazione. Ad ogni modo, si ricorda che il reclamo ha un ambito applicativo più ampio dell’accertamento con ade-sione, potendo riguardare le liti di rimborso e le impugnazioni dei ruoli».

19 V. PISTOLESI, Il reclamo e la mediazione nel processo tributario, cit., secondo il quale, benché sia vero che «l’ambito degli atti impugnabili ai quali si applica l’art. 17 bis cit. risul-ta più ampio rispetto a quello dei provvedimenti per i quali i privati possono presentare la richiesta di accertamento con adesione e che l’istituto regolato dal D.L.vo n. 218/1997 non consente – di nuovo, secondo l’indirizzo che mi sembra corretto seguire – una defini-zione transattiva della possibile controversia tributaria», ma un «coordinamento fra le due modalità di composizione stragiudiziale sarebbe stato opportuno».

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adesione è fallito, è arduo che il reclamo e la mediazione possano consentire di evitare l’introduzione del giudizio. «Sicché la proposizione del reclamo ri-schia di rappresentare solo un inutile aggravio tanto per il contribuente quan-to per l’organo deputato ad esaminarlo»

20. Del resto, se è vero che nello spirito della novella legislativa, il differi-

mento dell’azione giurisdizionale è previsto per permettere alle parti di in-staurare una fase di mediazione amministrativa intesa a prevenire la lite pro-cessuale

21, così rispondendo ad una esigenza di carattere generale, è pur ve-ro che i passaggi intermedi attraverso cui il contribuente passa finiscono per apparire una corsa ad ostacoli che potrebbe rendere oltremodo difficoltosa la difesa dei propri diritti ed interessi legittimi

22. Ed è in tale contesto che dovrebbe valutarsi l’eccessiva gravosità del reclamo rispetto alla tutela degli interessi del contribuente, su cui ricade l’onere di attivare necessariamente un procedimento che è causa di inammissibilità dell’azione, e non mera condizione di procedibilità, con conseguente definitività della pretesa tribu-taria

23, a maggior ragione in quanto la previsione di una fase conciliativa ag-giuntiva quale quella prevista all’art. 17 bis non sembra essere idonea a de-

20 V. PISTOLESI, op. ult. cit. 21 E perciò assimilabile ai tentativi obbligatori di conciliazione già previsti dall’ordina-

mento e ritenuti legittimi dalla Corte costituzionale. 22 Sostiene al riguardo MARINI, Profili costituzionali del reclamo, cit., p. 856, che gli isti-

tuti del reclamo e della mediazione vengono a concorrere con quello preesistente, facolta-tivo, dell’accertamento con adesione e l’autotutela amministrativo, con cui il contribuente e l’Agenzia delle entrate disponevano già degli strumenti per addivenire a una composi-zione pregiudiziale della controversia. Peraltro l’art. 17 bis non dispone, secondo l’Autore, quegli «effetti premiali in termini di riduzione della sanzione previsti dal D.Lgs. n. 218/ 1997, sicché il contribuente potrà trovare maggiore convenienza nel ricorrere all’accerta-mento con adesione invece che tentare la via del reclamo o della proposta di mediazione. Alla luce di tali considerazioni, la previsione di una fase conciliativa aggiuntiva come quella di cui all’art. 17 bis non sembra idonea a determinare vantaggi significativi nel funziona-mento della giustizia tributaria, sicché la compressione del diritto di difesa determinata dal rinvio dell’instaurazione del giudizio non risulta adeguatamente bilanciata».

23 GARGANI, La mediazione e il reclamo: la proposta di mediazione, limiti e discrezionalità. Il punto di vista del giudice. Intervento al seminario Giusto processo tributario, Roma, 19 di-cembre 2012, disponibile al link http://www.giustizia-tributaria.it/documenti/seminari_corsi_ formazione/ROMA_LUISS-19DIC2012/mediazione%20tributaria.pdf. Come sostiene l’Au-tore, in assenza del reclamo amministrativo il ricorso è inammissibile e tale inammissibilità può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Se anche, quindi, il ricorso giurisdizionale sia stato presentato tempestivamente entro i 60 giorni dalla notifica del-l’atto impugnato, ma non viene presentato il reclamo amministrativo, rilevata l’inammissi-bilità, il provvedimento impugnabile diventa definitivo e non più suscettibile di impugna-zione: al contribuente resta la sola via della autotutela.

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terminare quei vantaggi significativi nel funzionamento della giustizia tribu-taria che giustificherebbero, nei termini fissati dalla giurisprudenza costitu-zionale, la compressione del diritto di difesa del contribuente

24. Coglie allora nel segno l’ordinanza di rimessione alla Corte costituziona-

le della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso che rileva, sul punto che anche laddove il legislatore imponga legittimi oneri per l’esperi-mento dei rimedi giurisdizionali, finalizzati alla salvaguardia di interessi ge-nerali, «giammai può sacrificare eccessivamente il diritto di azione, potendo la tutela giurisdizionale, al limite, essere solo procrastinata, ponendosi come sanzione alla violazione dell’onere la improcedibilità dell’azione, si d accon-sentire al giudice, che verifichi la omessa presentazione del reclamo, di con-cedere alle parti un termine per la presentazione della domanda». Come del resto era stato statuito con l’introduzione della mediazione obbligatoria per le cause civili.

Seguendo tale linea, la Commissione Tributaria Provinciale di Campo-basso ha sostenuto che non sussisterebbero quelle «esigenze di carattere ge-nerale e superiori finalità di giustizia» che sole potrebbero giustificare il ri-medio, in presenza di altri istituti deflattivi del contenzioso, quali appunto l’accertamento con adesione

25. È dunque da condividersi la tesi secondo cui, anche ove la Corte costituzionale ritenesse legittima l’obbligatorietà del re-clamo tributario, dovrebbe comunque statuire che l’omessa presentazione del reclamo comporti la sola sospensione del giudizio

26. Altrettanto corretto è il rilievo in virtù del quale anche la mancata previ-

sione di un rimborso al contribuente, per le spese sostenute nel caso di ac-coglimento del reclamo, è causa d’illegittimità

27. Se, infatti, questi è tenuto a

24 Nello stesso senso MARINI, Profili costituzionali del reclamo, cit., p. 856. 25 Nello stesso senso si veda CARINCI, Perduranti profili di criticità della presentazione del

reclamo, in Corr. trib., 2012, p. 2878 ss. 26 MARINI, Diversi ostacoli si frappongono al successo applicativo della procedura di recla-

mo e mediazione, in Corr. trib., 2013, p. 2050. 27 V. MARINI, op. ult. cit., p. 2051 ss., che richiama, al riguardo, l’esperienza dell’art. 46,

comma 3, del D.Lgs. n. 546/1992, che disponeva la compensazione ope legis delle spese processuali nel caso di cessazione della materia del contendere ed è stata, perciò, ritenuta lesiva del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., con conseguente declaratoria di incostituzionalità, per l’ingiustificato privilegio provocato accordato alla parte che pone in essere un comportamento (il ritiro dell’atto, nel caso dell’Amministrazione, o l’acquiescenza della pretesa tributaria, nel caso del contribuente) di regola determinato dal riconoscimen-to della fondatezza delle altrui ragioni, e, corrispondentemente, per un del pari ingiustifica-to pregiudizio per la controparte, specie quella privata, «obbligata ad avvalersi, nella nuova disciplina del processo tributario, dell’assistenza tecnica di un difensore, e, quindi, costret-

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retribuire l’assistenza tecnica in termini sostanzialmente analoghi a quelli pre-visti in caso di ricorso giurisdizionale, prevedere che i relativi costi ricadano interamente su di lui non sembra essere in linea con il dettato costituzionale, a maggior ragione nelle ipotesi di accoglimento totale del reclamo, con con-seguente annullamento dell’atto di accertamento. Certo, come sottolinea nel-la propria ordinanza di rimessione la Commissione Tributaria di Benevento, anche nella fase introduttiva del contenzioso le spese sono anticipate dal con-tribuente, ma con una sostanziale differenza: infatti in tale ultimo caso la parte può comunque trovare ristoro nella successiva condanna alle spese di lite dell’amministrazione finanziaria la quale, invece, nel caso dell’accoglimento del reclamo, «non solo non corre alcuna alea in riferimento alla eventuale soccombenza alle spese di giudizio, ma addirittura beneficia di un notevole risparmio per la mancata instaurazione della fase contenziosa»

28.

3.3. Alcuni effetti indiretti sul diritto alla difesa del contribuente

V’è da osservare, a completamento di quanto sostenuto, che l’eccessiva difficoltà per il contribuente di instaurare un giudizio per la tutela dei propri diritti potrebbe derivare, quale effetto indiretto, proprio dalla natura ibrida del reclamo tributario che, pur avendo carattere amministrativo, deve essere formulato in base all’art. 18 del D.Lgs. n. 546/1992, deve cioè rispecchiare i requisiti previsti per il ricorso giurisdizionale. Sennonché potrebbe accade-re, come sottolinea nella Circolare 19 marzo 2012, n. 9/E dell’Agenzia delle Entrate, che in ragione della sostanziale coincidenza tra il contenuto dell’i-stanza e dell’eventuale ricorso, nell’esaminare la stessa l’Ufficio valuti la con-figurabilità di motivi di inammissibilità del ricorso giurisdizionale ai sensi dell’art. 18 del D.Lgs. n. 546/1992

29. In tal caso l’Ufficio stesso rigetterà ta a ricorrere alla mediazione (onerosa) di un professionista abilitato alla difesa in giudizio». V. Corte cost., 12 luglio 2005, n. 274. Si veda anche MARINI, Profili costituzionali del reclamo, cit., p. 857.

28 Si confronti l’ordinanza di rimessione alla Corte cost. n. 126/7/13 della CTP di Be-nevento, secondo la quale, peraltro, risulta evidente la disparità di trattamento, lesiva del-l’art. 3 Cost., tra contribuenti in relazione agli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate da un lato, e quelli provenienti da altri Enti impostori dall’altro. In tale ultimo caso, i debitori si troverebbero ad avere una serie di garanzie maggiori ed un iter processuale più spedito, anche in ordine alla richiesta di eventuali sospensive e condanna alle spese.

29 Al di fuori delle fattispecie appena individuate, l’istanza può essere comunque am-messa alla trattazione e quindi costituire valido impulso di un procedimento che – come si è detto – deve risultare funzionale a soluzioni legittime che l’Ufficio dovrà affermare anche indipendentemente dal contenuto dell’istanza. L’assenza di una motivata proposta di me-

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l’istanza per assoluta inammissibilità e ciò determinerà anche «l’inammissi-bilità del ricorso eventualmente proposto senza che possa considerarsi as-solto l’onere di attivare la fase di mediazione». Come dire che l’inammissi-bilità di un reclamo amministrativo per carenza di uno dei requisiti previsti per il ricorso sarebbe suscettibile di estendere i propri effetti sulla fase giuri-sdizionale, senza alcuna possibilità, per il contribuente, di intervenire sul vizio rilevato dall’amministrazione finanziaria, poiché – giova ricordarlo – ai sensi del nuovo art. 17 bis così come interpretato dalla stessa Agenzia, il reclamo altro non è se non un ricorso giurisdizionale la cui proposizione è sottoposta a un periodo di sospensiva, pertanto non modificabile dal contribuente.

Ma che un ricorso debba essere dichiarato inammissibile spetterebbe tut-tavia ad un giudice terzo e imparziale stabilirlo, non ad una amministrazione chiamata a vagliare un ricorso amministrativo senza la qualifica di terzo con potere giudicante, in quanto – di fatto – parte del contraddittorio.

Semmai, tenuto conto dello scopo deflattivo della novella legislativa e degli effetti lesivi per il contribuente che potrebbe provocare una dichiara-zione d’inammissibilità, l’Agenzia delle Entrate dovrebbe essere stimolata a chiedere, ove sia possibile, di sanare il vizio del reclamo, onde evitare una inutile dilazione temporale. Pena, la configurazione di una violazione del di-ritto di difesa del contribuente.

Altro possibile effetto indiretto della procedura obbligatoria di reclamo, suscettibile di ledere il diritto di difesa del contribuente, è quello della plura-lità di parti resistenti, che può verificarsi allorché gli atti impugnati vengano emessi anche da amministrazioni diverse dall’Agenzia delle entrate. La cir-colare citata ha preso in considerazione, al riguardo, proprio la tipica, quan-to frequente, ipotesi dell’impugnazione della cartella di pagamento emanata dall’agente della riscossione

30. diazione da parte del contribuente, prevista in via eventuale, non costituisce motivo di ri-getto dell’istanza. Anche nei casi di palese inammissibilità l’istanza può comunque essere trattata come una richiesta di autotutela. Si evidenzia che ove l’istanza sia improponibile in quanto la controversia non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 17 bis del D.Lgs. n. 546/1992, i termini di costituzione in giudizio si computano nei modi ordinari previsti dall’art. 22 del medesimo decreto.

30 Come è stato rilevato da CARINCI, op. ult. cit., p. 2879, il problema si pone principal-mente nel caso in cui la cartella di pagamento venga impugnata congiuntamente al ruolo (atto proprio dell’Agenzia delle Entrate), ovvero per vizi propriamente riferibili al ruolo. Nel primo caso, oggetto d’impugnazione sono due atti distinti con due diversi legittimati passivi, Agenzia delle entrate e agente della riscossione. Dunque due atti strettamente cor-relati, sicché appare naturale la trattazione congiunta, nel medesimo processo, delle rispet-tive impugnazioni; del resto, la notifica del ruolo è operativa mediante la notifica della car-

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Ora, immaginando il caso che si voglia ottenere l’annullamento della car-tella di pagamento per omessa notifica dell’avviso di accertamento e interve-nuta prescrizione per decorso dei termini, secondo l’Agenzia sarebbe neces-sario presentare istanza di reclamo/mediazione, poiché i vizi dedotti riguar-derebbero anche l’atto presupposto la cui eventuale caducazione riversereb-be i propri effetti sull’atto conseguente. Sennonché la cartella di pagamento, per espresso disposto legislativo, deve essere impugnata entro sessanta gior-ni, termine che potrebbe decorrere ugualmente, trattandosi di atto formal-mente escluso dal novero di quelli reclamabili, con evidente danno per il con-tribuente costretto ad attendere il decorso di 90 giorni dalla presentazione del reclamo.

Per poter trovare una soluzione a quello che sembra essere un caso di mancato coordinamento normativo, o di vuoto che spetta all’interprete col-mare, l’Agenzia delle entrate è stata costretta ad immaginare che il termine dilatorio tassativamente previsto per differire la costituzione in giudizio debba valere per la lite nel suo complesso, quindi anche per la parte del ricorso non soggetta a mediazione (la cartella di pagamento)

31. Si legge infatti nella cir-colare che «la formulazione e la ratio della norma non consentono di sdop-piare gli adempimenti processuali inerenti ad un’unica controversia. In caso contrario, si verificherebbe l’inammissibile conseguenza di una costituzione in giudizio circoscritta alla parte del ricorso riguardante l’Agente della ri-scossione, effettuata entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza, vale a dire quando il termine di novanta giorni per l’esame dell’istanza stessa, li-mitatamente all’attività dell’Agenzia, è ancora pendente. Peraltro, siffatta con-seguenza sarebbe ulteriormente inammissibile con riguardo alle controversie in cui il contribuente impugni, oltre alla cartella di pagamento, anche l’avviso tella. «Sennonché il reclamo, in virtù della limitazione soggettiva degli atti cui torna appli-cabile, è prescritto solo per il ruolo. Per evitare che il ricorso avverso i due atti intraprenda percorsi differenti (procedimento di reclamo, limitatamente al ruolo, e ricorso ordinario per la cartella) e quindi assicurare l’unitarietà del procedimento, occorrerebbe ipotizzare una vis attrattiva del reclamo contro il ruolo nei confronti del ricorso avverso la cartella. E in questo senso effettivamente si è pronunciata l’Agenzia».

31 In particolare, è stato evidenziato che il contribuente, se solleva eccezioni concer-nenti sia l’attività svolta dall’Agenzia delle entrate sia quella dell’Agente della riscossione, notificando il ricorso a entrambi, è tenuto comunque a presentare l’istanza prevista dall’art. 17 bis del D.Lgs. n. 546/1992. Anche in tal caso il termine di trenta giorni per la costitu-zione in giudizio decorre, ai sensi del comma 9 dell’art. 17 bis in esame, dal giorno succes-sivo alla scadenza di novanta giorni dal ricevimento dell’istanza ovvero dal giorno succes-sivo alla data di comunicazione del provvedimento di rigetto dell’istanza o dell’atto con il quale l’Agenzia, prima del decorso di novanta giorni, accoglie parzialmente l’istanza.

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di accertamento, assumendo che quest’ultimo non gli sia stato notificato ov-vero sollevi vizi inerenti sia al ruolo sia alla cartella. In tali fattispecie, la even-tuale conclusione positiva del procedimento di mediazione con l’Agenzia del-le entrate farebbe venir meno l’intera controversia e, dunque, l’interesse del contribuente alla costituzione in giudizio. Una rinuncia successiva al proce-dimento giurisdizionale ormai già avviato risulterebbe, oltretutto, ben più onerosa e, come tale, contraria ai principi di economia amministrativa e pro-cessuale, nonché alla funzione dell’istituto deflativo in questione».

Una soluzione ardita, come pure è stato sostenuto, poiché estendere l’i-nammissibilità del mancato reclamo anche a una lite per la quale non è pre-visto, non necessariamente troverebbe sostegno nella giurisprudenza

32, a maggior ragione in quanto l’omessa notifica di un atto presupposto costitui-sce, per consolidata giurisprudenza di cassazione, vizio procedurale che com-porta la nullità dell’atto successivo; ne consegue, sul piano processuale, che l’azione del contribuente diretta a farne accertare la nullità possa indifferen-temente essere svolta nei confronti dell’ente creditore ovvero del conces-sionario della riscossione

33. Spetterebbe poi a quest’ultimo, ai sensi dell’art. 39 del D.Lgs. n. 112/1999, chiamare in causa l’ente creditore interessato; e non può certo escludersi che l’agente della riscossione proceda ad eccepire l’impugnazione tardiva della cartella di pagamento in giudizio da parte del contribuente che abbia atteso la decisione amministrativa.

Pertanto le indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate trasformano, di fatto, un onere imposto all’agente della riscossione in un onere del contri-buente, doppiamente penalizzato, sia in quanto costretto a trattare una que-stione procedurale come se fosse di merito, sia per il rischio di essere indot-to in errore in ogni caso, o presentando due atti introduttivi – il reclamo al-l’Agenzia delle entrate e il ricorso avverso la cartella di pagamento – o inol-

32 BASILAVECCHIA, Instaurazione del giudizio con il ricorso/reclamo, in Corr. trib., 2012, p. 1457. L’Autore evidenzia al riguardo come in caso di omessa notifica dell’atto presup-posto, la giurisprudenza di cassazione autorizzi il ricorrente anche a sollevare il solo vizio di carattere procedimentale, che, se riconosciuto sussistente, ha effetto invalidante dell’at-to consequenziale. In questa ipotesi, in cui il ricorso è proposto contro l’atto consequen-ziale che può non essere stato emesso dall’Agenzia delle Entrate, costringere il contribuen-te al reclamo comporta implicitamente una riconversione verso i profili di merito del ri-corso/reclamo, e una ingerenza dell’Agenzia in una lite che, a rigore, non la coinvolge. «Tale conclusione va dunque rimeditata e attenuata, limitandola al solo caso in cui il ri-corrente sollevi profili di merito dell’atto presupposto».

33 Secondo CARINCI, op. ult. cit., p. 2880, non andrebbe proposto il reclamo in tale fatti-specie, «giacché vorrebbe dire tramutare in oggetto del ricorso quello che – invece – è so-lo un motivo di gravame».

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trando solo il primo e attendendo l’esito della procedura. In un modo o nel-l’altro il suo ricorso potrebbe essere dichiarato inammissibile, con buona pace del diritto di difesa.

E, sebbene debba ammettersi che in linea di principio è corretto il ragio-namento che conduce a configurare una vis attrattiva del reclamo

34, poiché in caso contrario si arriverebbe a conseguenze paradossali, deve comunque rilevarsi che una siffatta soluzione non può in alcun modo essere affidata ad una circolare interpretativa, che ben potrebbe essere contestata in sede giu-risdizionale.

Inoltre in tale ipotesi, proprio per l’incertezza normativa che si è venuta a creare (ed è qui che gli effetti indiretti dell’istituto del reclamo potrebbero incidere maggiormente sulla tutela del contribuente), è ancora più sentita l’e-sigenza di garantire al contribuente l’utilizzo di una formula sospensiva del-l’esecutività della cartella, che eviti un danno grave e irreparabile. E di tutela cautelare non v’è traccia nel provvedimento, tant’è che uno dei punti mag-giormente contestati dalla dottrina è proprio questo. Sarebbe dunque neces-sario chiarire gli effetti giuridici della sovrapposizione cui si è fatto cenno, al contempo provvedendo a tutelare il contribuente rispetto al pericolo di un danno grave e irreparabile per aver dovuto presentare reclamo per l’annulla-mento di un atto che formalmente non sarebbe reclamabile, per il quale si interromperebbe il decorso del termine per l’impugnativa in Commissione Tributaria, ma che ciò nondimeno manterrebbe la propria efficacia esecuti-va, senza possibilità alcuna di utilizzare l’istituto della sospensione cautelare in questa fase precontenziosa.

Infine, come ha sottolineato la Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso nella propria ordinanza di rimessione alla Corte costituziona-le, la violazione del diritto di difesa del contribuente potrebbe essere seria-mente compromessa anche a causa dell’anticipazione della “discovery” della tesi difensiva alla fase amministrativa, «con conseguente immodificabilità di ulteriori prospettazioni difensive nell’eventuale giudizio in relazione ad un provvedimento ancora da valutare, che costituisce grave pregiudizio difen-sivo». Ciò in quanto il meccanismo introdotto altera la parità tra le parti

35,

34 Di “vis attrattiva” parla CARINCI, op. ult. cit., p. 2879. 35 Alterazione della parità tra le parti cui si potrebbe, forse, porre rimedio prescrivendo

all’Agenzia delle Entrate, in caso di esito negativo della procedura di reclamo, di svolgere in-tegralmente le proprie controdeduzioni nei confronti del reclamante/ricorrente, senza poter beneficiare dell’ulteriore termine per la costituzione in giudizio della parte resistente se non ai limitati fini del deposito formale in segreteria. In tal senso CARINCI, op. ult. cit., p. 2880.

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poiché da un lato il contribuente è tenuto ad impostare la propria difesa in via preventiva, depositando anche, benché non obbligatoriamente, tutta la documentazione utile a sostegno della propria pretesa; dall’altro lato l’A-genzia delle entrate, in caso di mancato accoglimento del reclamo, non è co-stretta a dispiegare quelle difese che si trasformerebbero in controdeduzioni in giudizio, potendo poi articolare eccezioni e argomentazioni nel corso del processo, con un indubbio vantaggio processuale

36. Conoscendo l’intero qua-dro difensivo a disposizione del ricorrente, l’Agenzia può vagliarlo, ai fini della costituzione, non nel canonico termine dei 60 giorni previsto dall’art. 23 del D.Lgs. n. 546/1992, bensì in quello di 150 giorni, comprensivi della fase precontenziosa

37. Con una evidente disparità di trattamento, ben argo-mentata nell’ordinanza della Commissione Tributaria Provinciale di Campo-basso

38, nonché con evidente pregiudizio del proporzionale riparto dell’o-nere della prova e un corretto svolgimento del contraddittorio e della dina-mica processuale alla luce dei principi del giusto processo ex art. 111 Cost. L’anticipazione della difesa rende infatti incerto il momento a partire dal qua-le assumere la novità dei documenti e dei motivi ai fini della presentazione di memorie in sede processuale: ove lo si fissasse in quello della presentazione dell’istanza e non della conversione, sarebbero inevitabili frequenti memorie integrative per sopravvenuta conoscenza di nuovi documenti

39.

36 Si è persino ipotizzato che l’Ufficio possa modificare l’impostazione motivazionale dell’atto impugnato, ove il contribuente sia acquiescente. V. BASILAVECCHIA, Dal reclamo al processo, cit., p. 844.

37 CARINCI, op. ult. cit., p. 2881. 38 Di contrario avviso MARINI, Diversi ostacoli, cit., p. 2051, secondo il quale il supposto

svantaggio strategico del contribuente è infondato, atteso che anche il ricorso, come il re-clamo, è diretto all’Agenzia delle Entrate al fine di metterla a conoscenza dei motivi di im-pugnazione della pretesa impositiva.

39 V. FICARI, Possibili scenari futuri per la mediazione tributaria, in Corr. trib., n. 40, 2013, p. 3188 ss., secondo il quale «la conversione ex lege dell’istanza/reclamo in ricorso rende difficile considerare non “nuovi” i documenti conosciuti prima della presentazione in via amministrativa ma valorizzati non nell’istanza, bensì nei successivi novanta giorni o, addi-rittura, ancora oltre. Ammettere che sia incondizionata la producibilità di documenti ulte-riori rispetto a quelli allegati all’istanza suscettibile di conversione ex lege in ricorso al fine di risolvere il problema della legittimità costituzionale rappresenterebbe una forzatura del testo e costringerebbe l’Ufficio ad una costituzione in giudizio composta da due diversi atti: la risposta negativa all’istanza ed un atto successivo (ma di natura corrispondente al-l’atto di controdeduzioni) nel quale prendere posizione sui documenti successivamente allegati sebbene già conosciuti». V. anche BASILAVECCHIA, Instaurazione del giudizio con il ricorso/reclamo, cit., p. 1456.

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4. La tutela cautelare e la sospensione dell’esecutività degli atti di accertamen-to: profili critici

Come si è già accennato supra, un altro dei dubbi che la novella legislativa ha sollevato in dottrina è quello della tutela ante causam del contribuente che, nelle more della definizione del reclamo, nonché della eventuale mediazione proposta da una delle parti, non può ottenere la sospensione degli effetti del-l’atto impugnato per via giudiziale, ex art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992, poiché, come pure riconosciuto dalla circolare interpretativa dell’Agenzia delle En-trate, la sospensione giudiziale dell’esecuzione può essere richiesta alla Com-missione Tributaria Provinciale “solo in pendenza di controversia giurisdi-zionale”, escludendosi dunque che nella fase precontenziosa, ancorché sia già stato presentato l’atto introduttivo del giudizio, possa usufruirsi di tale possibilità.

Tuttavia, se il reclamo non sospende l’esecutività dell’atto, ciò implica che l’Amministrazione finanziaria possa decidere di avviare, medio tempore, l’esecuzione coattiva dell’atto impugnato, o le misure cautelari e conservati-ve a tutela della propria posizione, sino al punto da iscrivere al ruolo le rela-tive imposte. Discorso ancora più complesso in presenza dei nuovi atti im-poesattivi

40, nonché dei ruoli formati a seguito di liquidazione delle imposte dovute in base alle dichiarazioni o ai controlli formali. Pertanto, a fronte di atti di natura eterogenea soggetti al reclamo potrebbero configurarsi esigen-

40 Peraltro proprio in relazione a tali atti si pone una questione particolarmente rilevan-te, quella della tutela cautelare medio termine rispetto alla conclusione della procedura di reclamo tributario, poiché una volta decorsi i termini prescritti, l’agente della riscossione può procedere all’esecuzione forzata in forza del solo avviso di accertamento, senza dover notificare un nuovo atto al contribuente. Ebbene, rispetto agli atti impoesattivi, per i quali non sembrano sussistere impedimenti di sorta a concedere la tutela cautelare ex art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 già in sede di impugnazione dell’avviso di accertamento, il ritardo nel-la sottoposizione del ricorso al giudice, imposto dalla necessaria proposizione del reclamo quale condizione di ammissibilità del ricorso medesimo, si traduce in un ritardo di tutela cautelare nei confronti di un atto già idoneo a legittimare atti espropriativi e misure caute-lari e conservative. V. in tal senso CARINCI, La riscossione provvisoria e l’acquiescenza dopo l’introduzione del reclamo, in Corr. trib., 2012, p. 778. L’autore al riguardo ipotizza una ra-gionevole soluzione a tale situazione, suggerendo che gli Uffici dell’agenzia delle entrate non affidino agli agenti della riscossione i predetti atti per la riscossione prima che sia ac-clarato il fallimento della procedura di mediazione, in modo che il reclamo non comporti un effetto pregiudizievole in termini di riscossione frazionata. Di contrario avviso ATTAR-DI, Reclamo e mediazione: costituzionalità e ricadute sulla teoria generale del processo tributa-rio, in Corr. trib., 2013, p. 1450 ss.

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ze di tutela cautelare disattese dall’applicazione della normativa de qua, an-che con effetti potenzialmente paradossali. Basti pensare all’art. 6, comma 3, del D.Lgs. n. 218/1997, che dispone che il termine per l’impugnazione del-l’avviso di accertamento o di rettifica e quello per il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto accertata, restano sospesi per un periodo di novanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza di accertamento con adesione. Ipo-tesi, questa, che il legislatore avrebbe potuto pensare di estendere analogi-camente anche al reclamo, per tutti quegli atti espressivi di pretese suscetti-bili di essere soddisfatte coattivamente prima che il procedimento innescato dal reclamo si perfezioni, quantomeno per evitare che si verifichino situa-zioni ai limiti del paradosso, per cui mentre il contribuente è in attesa che si definiscano le procedure di reclamo ed eventuale mediazione, è tenuto cor-rispondere quanto preteso dall’Agenzia delle Entrate e si espone alle inizia-tive esecutive od anche solo cautelari e conservative dell’Agente della Ri-scossione

41. In assenza di puntuali riferimenti normativi al riguardo non è tuttavia pos-

sibile sostenere l’ipotesi di una tutela anticipata del contribuente conseguente al deposito del reclamo in Commissione Tributaria prima che la procedura di reclamo stesso sia terminata, al solo fine di ottenere un provvedimento cautelare d’urgenza. È la stessa interpretazione dell’art. 17 bis citato ad esclu-dere tale possibilità, posto che il reclamo va presentato entro il termine di notificazione del ricorso e, di regola, decorso detto termine le pretese eraria-li possono, in tutto o in parte, essere soddisfatte anche in via coattiva e pos-sono essere avviate le relative azioni cautelari e conservative

42. Ad ogni modo, in attesa che si definisca la questione, per via legislativa o

giurisprudenziale, potrebbe valorizzarsi quanto già sottolineato dall’Agenzia delle Entrate nella citata circolare interpretativa, ove si precisa che, esclusa l’applicazione dell’art. 47 del decreto legislativo summenzionato, nulla e-sclude l’applicazione dell’art. 2 quater, comma 1 bis del D.L. 30 settembre 1994, n. 564 conv., con modificazioni, dalla L. 30 novembre 1994, n. 656, secondo il quale nell’ambito del potere di annullamento o di revoca ricono-sciuto agli uffici dell’amministrazione finanziaria, «deve intendersi compre-so anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell’atto che appaia

41 Si veda, in tal senso, PISTOLESI, op. ult. cit. 42 V. PISTOLESI, op. ult. cit., secondo il quale, peraltro v’è bisogno «di un puntuale inter-

vento normativo che espliciti la sospensione dell’obbligo di pagamento delle pretese im-positive e sanzionatorie e l’inibizione delle iniziative cautelari e conservative finché è in corso il procedimento ex art. 17-bis».

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illegittimo o infondato». Come dire che, al di là della tutela cautelare vera e propria, è comunque possibile, anche nel corso del riesame del provvedi-mento attivato dal reclamo, concedere la sospensione degli effetti dell’atto, per sua natura funzionale al riesame ed eventuale rideterminazione della pre-tesa: «quando le eccezioni sollevate nell’istanza non appaiono infondate, la Direzione può dunque concedere, su istanza formulata contestualmente al-l’atto introduttivo del procedimento di mediazione, ovvero separatamente, la formale sospensione, in tutto o in parte, dell’esecuzione dell’atto in presen-za del richiamato presupposto»

43. È tuttavia evidente che trattasi di una tutela non necessariamente legata,

sotto il profilo soggettivo, al “periculum in mora” del contribuente quanto, per lo più, all’aspetto del “fumus”. Ove l’Agenzia fosse convinta della bontà del proprio operato, pur in presenza del rischio di un danno grave per il con-tribuente, non sarebbe in alcun modo tenuta a concedere la sospensiva. È qui uno dei tratti più problematici di quell’assenza di terzietà che da più par-ti si denuncia; ma, benché l’Agenzia abbia individuato nei propri uffici legali la gestione dei reclami/mediazioni, non può per ciò solo escludersi che pos-sa mancare un bilanciamento obiettivo degli interessi in gioco

44. Secondo parte della dottrina, potrebbe tuttavia accogliersi la tesi secon-

do cui, nelle more del procedimento di reclamo, ovvero sino a quando non

43 Con la precisazione che «il periodo di sospensione degli effetti dell’atto non può co-munque protrarsi oltre il tempo necessario alla conclusione della fase di mediazione. All’e-ventuale esito negativo del procedimento di mediazione consegue ovviamente l’iscrizione a ruolo o l’affidamento del carico all’Agente della riscossione e l’immediata revoca della sospensione precedentemente concessa».

44 Si legge nella circolare con riferimento alla mediazione, anche se il discorso potrebbe essere esteso anche alla valutazione dei reclami, la circolare precisa che nell’eventualità che la posizione assunta nell’atto impugnato contrasti con l’orientamento giurisprudenziale della Cassazione si rende opportuno favorire un accordo di mediazione, sulla base dell’e-ventuale proposta formulata dal contribuente o, diversamente, elaborata dall’Ufficio. «In assenza di prassi amministrativa e di pronunce della Suprema Corte, la proposta di media-zione sulla questione giuridica può essere motivata sulla base della presenza di un orien-tamento delle Commissioni Tributarie, favorevole alle posizioni espresse dal contribuente, se del caso tenuto conto altresì degli altri due criteri della sostenibilità della pretesa in giu-dizio e dell’economicità dell’azione amministrativa. Come infatti già chiarito precedente-mente, l’Ufficio procede con la fase di vera e propria mediazione ogniqualvolta, in caso di possibile esito sfavorevole o parzialmente sfavorevole del contenzioso, non siano ravvisa-bili i presupposti per l’appello». Queste linee guida, se prese come punto di riferimento generale per la trattazione della fase precontenziosa da parte degli Uffici delle direzioni, po-trebbero allora servire per evitare situazioni in cui vi sia uno sbilanciamento a favore dell’A-genzia delle Entrate.

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scattano i termini per la costituzione in giudizio (momento in cui il reclamo produce gli effetti del ricorso), nessuna riscossione potrebbe essere avviata. Ciò prende le mosse dal fatto che la fase di reclamo/mediazione è, dal pun-to di vista strutturale, incompatibile con la prosecuzione della riscossione, visto che è funzionale alla definizione della lite

45. E tuttavia questa appare più una regola di buonsenso che potrebbe trasformarsi in prassi amministra-tiva, e che tuttavia potrebbe facilmente essere contestata in sede di conten-zioso, senza un intervento almeno interpretativo.

Per tali ragioni le Commissioni Tributarie Provinciali menzionate in pre-messa, quella di Perugia e quella di Campobasso, hanno contestato proprio tale carenza, ritenuta «del tutto irrazionale, contraria al principio di ugua-glianza e assolutamente non giustificabile trattandosi della tutela giurisdi-zionale di posizioni giuridiche soggettive che devono essere garantite in mo-do particolare in presenza di immediata esecutività degli avvisi di accerta-mento (art. 29, D.L. n. 78/2010) o in caso di ricorso avverso cartelle esatto-riali (ex art. 36 bis, D.P.R. n. 600/1973 o 54 bis, D.P.R. n. 633/1972 o in ca-so di ricorso avverso il ruolo»

46. Del resto proprio l’art. 3 Cost. imporrebbe, tenuto conto dell’interesse pubblico a uno snellimento del contenzioso, un pari trattamento rispetto a situazioni analoghe e non può certo affermarsi

45 CISSELLO, Reclamo e mediazione: tutela cautelare e litisconsorzio, in Il Fisco, n. 14, 2012, p. 2103. Tuttavia l’Autore sostiene, in modo non del tutto condivisibile, che una soluzione al problema esposto potrebbe consistere nella notifica della richiesta di sospensiva all’A-genzia delle Entrate (quindi o notificare il reclamo comprensivo della richiesta cautelare o notificare una vera e propria istanza cautelare, evidenziando debitamente il fumus boni iuris ricavandolo dai motivi di ricorso/reclamo e il periculum in mora) e depositarla presso la segreteria della Commissione Tributaria. Ciò sul presupposto che il reclamo sia già un atto introduttivo del giudizio, avendo forma di ricorso, benché in qualche modo congelato per 90 giorni. Così all’atto della costituzione in giudizio inerente la sola domanda cautelare, dovrebbe esser depositata copia dell’atto reclamato, in modo da consentire alla Commis-sione Tributaria di vagliare la concedibilità della sospensiva. Una soluzione difficilmente ap-plicabile, stante il tenore normativo della legislazione processuale tributaria.

46 In questo senso si pronuncia la Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso, facendo eco a quanto, seppur per grandi linee, sostenuto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Perugia. Aggiunge inoltre che una conseguenza dell’esclusione della tutela cautelare è «la violazione degli artt. 24 e 25 Cost. poiché solo dopo la presentazione del ricorso, ovvero successivamente all’inutile esperimento della procedura amministrativa con-seguente al reclamo, il contribuente potrà rivolgersi al proprio giudice naturale per ottene-re un provvedimento cautelare, il che comporta che, nelle more del procedimento ammi-nistrativo del reclamo, il contribuente, in presenza di un danno grave e irreparabile, è pri-vato della tutela cautelare giurisdizionale, potendo nelle more usufruire unicamente della autotutela sospensiva concessa dalla A.F. che in materia ha ampio potere discrezionale».

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che un accertamento di importo inferiore ai 20.000 euro emesso dall’Agen-zia delle Entrate sia diverso da un accertamento di importo superiore

47. Certo, sotto il profilo oggettivo la nuova procedura amministrativa ri-

guarda circa il 70% del contenzioso fiscale e, secondo le stime dell’Agenzia delle Entrate, rientrano nella sfera del reclamo circa 110 mila controversie. Pertanto il lavoro dei giudici tributari dovrebbe essere sgravato da tutte quelle questioni di rilevanza economica più modesta. Nondimeno questa considera-zione, alla base della scelta deflattiva, ha carattere oggettivo, ma non può inci-dere negativamente sulla sfera soggettiva del contribuente il cui accertamento potrebbe avere i medesimi requisiti e presupposti di un altro da cui differireb-be solo negli importi. E tuttavia i due contribuenti sarebbero trattati in modo difforme, l’uno costretto a pagare, in mancanza di una sospensiva in autotute-la da parte dell’amministrazione finanziaria, l’altro tutelato dalla possibilità di presentare istanza cautelare nel corso del processo instaurato senza dover pre-sentare reclamo. Discorso analogo potrebbe essere condotto con riferimento a tutti quei tributi non di competenza dell’Agenzia delle Entrate.

Non è semplice trovare un equilibrio quando in gioco vi sono l’interesse pubblico alla riscossione e il diritto a una giustizia efficiente, efficace e impar-ziale da parte dei singoli. E si comprende bene come, in un periodo di con-trazione economica, anche uno strumento quale il reclamo tributario possa ben servire ad evitare inutili spese per l’erario, soprattutto in tutte quelle con-troversie di valore non elevato che non riescono comunque ad essere smal-tite dalle Commissioni Tributarie

48. Ciò non di meno è necessario riflettere sulla necessità di potenziare altri strumenti deflattivi, piuttosto che intro-

47 Nello stesso senso GLENDI, Tutela cautelare e mediazione tributaria, in Corr. trib., n. 12, 2012, p. 852, il quale evidenzia che la carenza di qualsivoglia tutela cautelare è su-scettibile di ledere anche gli artt. 24 e 111 Cost., «per conclamata preclusione di ogni tute-la giurisdizionale immediata, cautelare e di merito che ne deriva, stante il previsto hiatus del reclamo mediatorio, alla luce del risalente, consolidato e più volte ribadito insegna-mento dei giudici delle leggi, che hanno sempre ravvisato la violazione dei parametri costi-tuzionali appena ricordati in qualsiasi esclusione della tutela giurisdizionale, soggettiva ed oggettiva, e di qualsiasi limitazione che ne renda impossibile o anche difficile l’esercizio, indipendentemente dal possibile esperimento, nel periodo di inibita tutela giurisdizionale, di attività giustiziali di stampo amministrativo».

48 Al riguardo si segnala che, secondo le stime dell’Agenzia delle Entrate, al 31 dicem-bre 2012, a fronte di 47.740 istanze presentate, 23.395 erano già state esaminate. Le istan-ze già definite erano 11.658, il 49,8% di quelle esaminate. Mentre quelle rigettate sono sta-te 6.504, il 27,8% del totale delle istanze esaminate. Le istanze con proposta di mediazione ancora in corso alla stessa data erano 5.233, con un indice di definizione superiore al 49,8%. Il Sole 24 Ore, 12 febbraio 2013.

Roberto Serrentino

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durne uno nuovo, che nel tempo soppianterà gli altri, se non altro per l’ob-bligatorietà. Il rischio che la Corte costituzionale si pronunci dichiarando l’incostituzionalità parziale della disposizione de quo non è isolato, soprat-tutto sotto i profili sui quali si è ragionato brevemente. Alle tre ordinanze di rimessione potrebbero seguirne altre che approfondiscano questi punti o ne affrontino altri.

Sarebbe stato sufficiente sostituire l’inammissibilità con l’improcedibilità del ricorso per cambiare il volto del reclamo tributario, evitando al contribuen-te di rischiare di pagare ingiustamente l’esigenza di snellire l’intenso lavoro dei giudici. Sotto altro profilo, non ci si può illudere che, da un giorno all’al-tro, gli uffici delle Direzioni territoriali dell’Agenzia delle Entrate smettano la veste di difensori dell’Erario per indossare quella di terzo imparziale, e nella decisione dei reclami, e – soprattutto – nelle proposte di mediazione. Ad ogni modo, per testare le tesi esposte sarà necessario attendere che la prassi amministrativa si consolidi e che le prime sentenze dei giudici tributari si pronuncino sui punti esposti

49.

49 Si veda al riguardo D’EPISCOPO, Criteri di valutazione da parte degli uffici dell’istanza di reclamo-mediazione, in Corr. trib., 2013, p. 975 ss.

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GIURISPRUDENZA

SOMMARIO: Cass., sez. un., ord. 20 novembre 2012, n. 20323 – Pres. Preden, Rel. Biagio, con

nota di G. Contaldi, Il giudice competente per l’azione di risarcimento danni conseguente al pagamento di tributi incompatibili con il diritto europeo (The competent judge to decide on claims for damages arising from the payment of ta-xes incompatible with EU law)

Cass., sez. trib., 22 gennaio 2013, n. 1429 – Pres. Merone, Rel. Chindemi, con no-ta di P. Marongiu, Sulle plusvalenze da esproprio: imputazione per “cassa” ed esclusione dalla tassazione delle somme erogate con ingiustificato ritardo (On capital gains from expropriation: taxation on a cash basis and tax exemp-tion of sums paid with an unjustified delay)

Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184 – Pres. Luccioli, Est. Virgilio, con nota di S. Muleo, Avviso di accertamento ante tempus e vizi dell’atto (Ante tempus notice of assessment and invalidity)

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Cass., sez. un., ord. 20 novembre 2012, n. 20323

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Cass., sez. un., ord. 20 novembre 2012, n. 20323 – Pres. Preden, Rel. Biagio Risarcimento danni per violazione del diritto UE – Ripetizione di indebito – Di-sapplicazione – Giurisdizione delle commissioni tributarie

È di competenza del giudice tributario l’azione diretta ad ottenere il rimborso del-l’imposta, mentre spetta alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda di risarci-mento del danno per violazione del diritto dell’Unione europea, avendo il ricorrente fat-to valere, alla base della domanda di ristoro patrimoniale per mancato tempestivo ade-guamento della legge interna alla normativa comunitaria, una situazione giuridica avente natura e consistenza di diritto soggettivo, da ricondurre allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato.

FATTO

1. B) propone istanza di regolamento della giurisdizione in pendenza del giudizio

da lui promosso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma avverso il si-lenzio rifiuto opposto dall’Agenzia delle entrate, Ufficio di Palestrina, all’istanza di rimborso, presentata dal ricorrente nel luglio 2009, della metà delle ritenute operate, a titolo di IRPEF, dalla Banca in qualità di sostituto d’imposta, sulle somme erogategli per incentivo all’esodo nel periodo maggio 2001-maggio 2005 (in virtù di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, avvenuta quando il ricorrente aveva l’età di 52 an-ni). La domanda di rimborso si basava sulla circostanza che l’art. 17, comma 4 bis, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (poi divenuto art. 19, comma 4 bis, a seguito del d.lgs n. 344 del 2003, in vigore dal 1° gennaio 2004), il quale aveva stabilito che il beneficio della riduzione a metà dell’aliquota IRPEF sulle somme anzidette spettava alle donne se avevano superato l’età di 50 anni e agli uomini se avevano superato l’età di 55 anni, era stato dichiarato in contrasto con il diritto comunitario in quanto introduceva una di-sparità di trattamento, in materia di condizioni inerenti al licenziamento, fondata sul ses-so dei lavoratori e perciò vietata dalla Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/ CEE – con sentenza della Corte di giustizia del 21 luglio 2005, causa C-128/07, Verga-ni (seguita dall’ordinanza del 16 gennaio 2008, cause C-128/07 ed altre). La norma in questione è stata poi abrogata dall’art. 36, comma 23, del d.l. n. 223 del 2006 (conver-tito nella legge n. 248 del 2006), ma con effetto dal 4 luglio 2006.

il B) ha quindi chiesto al giudice adito, in primo luogo, il riconoscimento del diritto al rimborso, sostenendo la non operatività, nella fattispecie, del termine di decadenza quadriennale stabilito dall’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973. In via subordinata, ha pro-posto domanda di risarcimento del danno per il mancato adeguamento della legge na-zionale alla disciplina comunitaria.

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2. Con il presente ricorso, illustrato con memoria, il B) chiede che sian dichiarata la giurisdizione del giudice tributario su entrambe le domande proposte.

3. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, chiedendo che sia dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di risarcimento del danno.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente, premesso che è indubbia la sussistenza della giurisdizione del giudice

tributario sulla domanda di rimborso parziale delle ritenute subite a titolo di IRPEF sulle somme erogategli, sostiene la configurabilità della giurisdizione del medesimo giudice anche in ordine alla domanda subordinata, di ristoro patrimoniale per mancato tem-pestivo adeguamento della legge tributaria interna alla normativa comunitaria, in virtù del principio di concentrazione della tutela, il quale impone di devolvere al giudice del rapporto principale – nella specie di natura tributaria – anche la competenza sui rap-porti consequenziali, primo fra tutti quello relativo al risarcimento del danno che costi-tuisca effetto diretto dell’operato dell’amministrazione finanziaria, e come tale da consi-derarsi “accessorio” al rapporto principale, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992. Cita al riguardo, in particolare, le sentenze delle Sezioni unite n. 16871 del 2007 e n. 14499 del 2010, con le quali, proprio richiamando il detto principio di concentrazione, è stata riconosciuta la giurisdizione del giudice tributario, adito per il rimborso di impo-ste non dovute, anche sulle domande di condanna dell’erario al pagamento degli inte-ressi, al risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria e alla restituzione dell’importo versato dal contribuente per la prestazione di una cauzione necessaria per ottenere il rimborso del credito d’imposta.

2. La tesi non può essere condivisa. Ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, per quanto qui interessa, “appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio”. È stato più volte affermato dal-le Sezioni unite di questa Corte, sia con riguardo al testo originario del citato art. 2, che faceva riferimento agli “interessi ed altri accessori” relativi ai tributi specificamente elen-cati, sia a quello vigente – che per “accessori” si intendono gli aggi dovuti all’esattore, le spese di notifica, gli interessi moratori ed il maggior danno da svalutazione moneta-ria (Cass. Sez. un. nn. 722 del 1999, 15 del 2007, 10826 del 2008). In questo orienta-mento giurisprudenziale si inseriscono, pertanto, a pieno titolo le sentenze citate dal ricorrente, le quali si riferiscono anch’esse ad elementi “accessori” alla domanda princi-pale di rimborso, dovendo per tali intendersi quelli aventi, rispetto a quest’ultima, na-tura strettamente complementare ed aggiuntiva. Appare evidente, invece, l’assenza di detti caratteri nella domanda di ristoro patrimoniale per mancato adeguamento della legge interna alla disciplina comunitaria, la quale è del tutto autonoma ed avulsa dal

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rapporto tributario e si presenta, a ben vedere, come domanda alternativa, piuttosto che subordinata, a quella concernente il rimborso dell’imposta.

3. Va, poi, ricordato che la Corte costituzionale, nell’intervenire più volte su que-stioni concernenti l’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, e quindi l’ambito della giurisdizio-ne tributaria, premesso che questa “deve essere considerata un organo speciale di giu-risdizione preesistente alla Costituzione”, ha riconosciuto che l’oggetto di tale giuri-sdizione, così come la disciplina degli organi speciali, ben possano essere modificati dal legislatore ordinario, il quale, tuttavia, incontra precisi limiti costituzionali consi-stenti nel “non snaturare (come elemento essenziale e caratterizzante la giurisdizione speciale) le materie attribuite” a dette giurisdizioni speciali e nell’assicurare la confor-mità a Costituzione delle medesime giurisdizioni. Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha affermato che la giurisdizione tributaria “deve ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto” e che l’attribuzione alla giurisdizione tri-butaria di controversie non aventi natura tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali. Tale illegittima attribuzioni può derivare, di-rettamente, da una espressa disposizione legislativa che ampli la giurisdizione tributa-ria a materie non tributarie ovvero, indirettamente, dall’erronea qualificazione di “tri-butaria” data dal legislatore (o dall’interprete) ad una particolare materia (cfr, in parti-colare, le sentenze nn. 64 e 130 del 2008, 238 del 2009, 39 del 2010).

4. In conclusione, la giurisdizione va regolata con la separazione delle domande e la devoluzione di ciascuna al giudice rispettivamente fornito della giurisdizione. Va, per-tanto, dichiarata la giurisdizione del giudice tributario sulla domanda relativa al rim-borso dell’imposta e la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di risarci-mento del danno, avendo indubbiamente il ricorrente fatto valere, alla base della do-manda di ristoro patrimoniale per mancato tempestivo adeguamento della legge interna alla normativa comunitaria, una situazione giuridica avente natura e consistenza di di-ritto soggettivo, da ricondurre allo schema della responsabilità per inadempimento del-l’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria, inquadrabile nell’area della responsabilità contrattuale (Cass., Sez. un., n. 9147 del 2009 e, da ult. Cass. n. 10813 e 17350 del 2001; cfr. anche Cass, Sez. n. 13909 del 2011) (Omissis).

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Il giudice competente per l’azione di risarcimento danni conseguente al pagamento di tributi incompatibili

con il diritto europeo

The competent judge to decide on claims for damages arising from the payment of taxes incompatible with EU law

Abstract Secondo la Corte di Cassazione le azioni di ripetizione di tributi indebitamente corrisposti, perché contrastanti con previsioni dell’Unione europea, e quella per l’azione danni da violazione del diritto sovranazionale, sono di competenza di giuridici diversi. La prima appartiene infatti alla giurisdizione delle commissioni tributarie, mentre l’azione di risarcimento danni deve essere proposta davanti al giudice ordinario. Esse appaiono infatti, nella ricostruzione delle Sezioni Unite, quali azioni autonome e alternative. Tale assetto non sembra porsi in contrasto con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale normalmente lascia agli Stati membri la competenza a stabilire i rimedi utilizza-bili dai singoli per far valere i diritti di origine europea, a patto che questi ri-spondano ai principi di equivalenza ed effettività. Pertanto, l’ordinanza della Suprema Corte in commento appare rispettosa sia del diritto europeo, sia del principio di specialità che caratterizza la giurisdizione delle commissioni tribu-tarie. Il punto che si spiega con qualche difficoltà attiene alla qualificazione dei rimedi come “alternativi”. Parole chiave: risarcimento danni, diritto UE, ripetizione di indebito, disappli-cazione, giurisdizione According to the Italian Supreme Court (ISC), the jurisdiction in relation to actions for refund of taxes unduly paid because incompatible with EU law and the jurisdic-tion in relation to actions for damages arising from the violation of EU law belong to different judges. The first, in fact, belongs to the jurisdiction of tax courts, while the ac-tion for damages shall be proposed before the “ordinary” civil judge. In the view of the Grand Chamber, these actions appear to be autonomous and alternative. Such ap-proach does not appear to be in contrast with the Court of Justice case law, which normally leaves to the Member States the power to determine the remedies available to individuals for enforcing their rights guaranteed by EU law, provided that these comply with the principles of equivalence and effectiveness. Therefore, the commented decision of the ISC is in line both with EU law and with the principle of speciality that

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characterises the jurisdiction of tax courts. The only point that leaves open some diffi-culties concerns the qualification of the remedies as “alternative”. Keywords: compensation for damages, EU Law, recovery of sums paid though not due, duty to set aside national incompatible rules, jurisdiction

SOMMARIO: 1. La fattispecie sottoposta all’analisi delle Sezioni Unite. – 2. Il Giudice competente per l’azione di ripetizione dei tributi incompatibili con il diritto dell’Unione Europea. – 3. L’azione per il risar-cimento dei danni discendenti da violazione del diritto comunitario e i suoi rapporti con l’azione da indebito. – 4. Conseguenze (ipotetiche) della supposta “alternatività” delle due azioni.

1. La fattispecie sottoposta all’analisi delle Sezioni Unite

L’ordinanza della Suprema Corte che si commenta concerne una questione da lungo tempo dibattuta nella dottrina specialistica 1. In particolare essa attiene al-l’ampiezza della giurisdizione del Giudice tributario in relazione sia all’azione di-retta ad ottenere il rimborso di tributi incompatibili con l’ordinamento dell’Unio-ne Europea, sia alla richiesta di risarcimento danni per violazione, da parte del legi-slatore, dei precetti del sistema giuridico sovraordinato.

La controversia concerne l’opposizione avverso il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle Entrate rispetto ad una richiesta di rimborso delle ritenute operate dal datore di lavoro (in qualità di sostituto d’imposta) sulle somme erogate al ricorrente a ti-tolo di incentivo all’esodo. La domanda di rimborso si basava sulla circostanza che l’allora vigente art. 17, comma 4 bis, del D.P.R. n. 917/1986, con il quale era stabi-lito che il beneficio della riduzione alla metà dell’aliquota IRPEF sulle somme ero-gate a titolo di incentivo all’esodo spettava alle donne con più di cinquanta anni di età e agli uomini che avevano superato i cinquantacinque anni, era stato dichiarato in contrasto con il diritto comunitario dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in quanto introduceva una discriminazione fondata sul sesso dei lavoratori 2. Conte-stualmente alla domanda di rimborso, il ricorrente propone pertanto anche un’a-zione di risarcimento danni per violazione del diritto dell’Unione Europea.

Mentre la Commissione tributaria è certamente competente rispetto alla doman-da di ripetizione del tributo indebitamente versato, dubbi sussistono circa la compe-tenza di tale Giudice rispetto all’azione risarcitoria.

1 Cass., sez. un., 20 novembre 2012, n. 20323. 2 Corte di Giustizia UE, 13 novembre 2008, causa C-46/07, in Racc., 2008, pp. I-151.

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Per risolvere tale questione, nel corso del giudizio di primo grado, il contribuen-te, con il ricorso per regolamento di giurisdizione, ha ritenuto di risolvere la questio-ne in limine litis, chiedendo alle sezioni unite della Corte di Cassazione di dichiarare la giurisdizione del Giudice tributario su entrambe le domande proposte ovvero sia in relazione a quella di ripetizione dei tributi indebitamente corrisposti, sia sulla do-manda di risarcimento danni per violazione del diritto comunitario. A sostegno di tale soluzione, il ricorrente prospettava argomenti quali quello della maggiore eco-nomicità e speditezza processuale. L’Agenzia delle Entrate, viceversa, resisteva chie-dendo che la domanda risarcitoria fosse devoluta alla giurisdizione ordinaria.

La Corte Suprema, con l’ordinanza in commento, ha di fatto, respinto la tesi del contribuente, stabilendo la separazione delle domande: ovvero ha dichiarato la sus-sistenza della giurisdizione del giudice tributario in relazione alla richiesta di rim-borso e quella del giudice ordinario per la domanda di ristoro del danno patrimonia-le per violazione del diritto comunitario.

2. Il Giudice competente per l’azione di ripetizione dei tributi incompatibili con il diritto dell’Unione Europea

La decisione appare indubbiamente corretta da un punto di vista formale. Co-me è noto, gli artt. 2, 19 della legge regolatrice del processo tributario (D.Lgs. n. 546/1992) prevedono una competenza esclusiva delle commissioni tributarie in relazione all’azione di restituzione dei tributi indebitamente versati. Secondo la co-stante lettura giurisprudenziale, detta competenza ha carattere esclusivo, nel senso che preclude ad altri giudici, ivi incluso quello ordinario, di conoscere delle que-stioni attribuite alla cognizione del giudice tributario 3.

È d’altronde pacifico che il diritto di ottenere il rimborso delle somme riscosse da uno Stato membro in violazione di norme del diritto dell’Unione Europea costitui-sce «il complemento dei diritti attribuiti agli amministrati dalle disposizioni del di-ritto dell’Unione», con la conseguenza che «gli Stati membri sono ... tenuti, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione» 4.

In altri termini, l’obbligo di restituzione del tributo contrastante con disposi-zioni comunitarie è una conseguenza dell’effetto diretto o della diretta applicabili-

3 DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010, p. 199; GAFFURI, Diritto tributario. Parte generale e parte speciale7, Padova, 2012, p. 283 s.

4 Corte di Giustizia UE, 19 luglio 2012, causa C-591/10, Littlewoods Retail Ltd, punto 24; v. anche 9 novembre 1983, causa 199/82, San Giorgio, in Racc., p. 3595, punto 12; 14 gennaio 1997, cause riuni-te C-192/95 e C-218/95, Comateb, in Racc., pp. I-180, punto 20; 8 marzo 2001, causa C-397/98, Me-talgesellschaft, in Racc., pp. I-1760, punto 84; 2 ottobre 2003, causa C-147/01, Weber’s Wine World, in Racc., pp. I-11365, punto 93; 12 dicembre 2006, causa C-446/04, in Racc., pp. I-11753, punto 202.

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tà che spesso assiste le previsioni poste da fonti europee; è evidente, infatti, che la caducazione della norma impositiva determini l’insorgenza di un obbligo restituto-rio in capo all’amministrazione finanziaria e un corrispondente diritto soggettivo a favore del contribuente 5.

In questa ipotesi, il legislatore non dispone, a ben vedere, di alcuna discreziona-lità: egli può soltanto intervenire per stabilire le modalità procedurali per l’eserci-zio dell’azione, ma non può certo escludere i diritti a favore del contribuente discen-denti dalle norme sovraordinate.

Semmai potrebbero residuare dei dubbi nel caso in cui le norme comunitarie violate siano prive di effetti precettivi immediati e non siano pertanto invocabili in giudizio in assenza di attuazione da parte dello Stato, come in genere si verifica nel caso in cui queste siano contenute in direttive, prive, di per sé, di effetti diretti, al-meno nella misura in cui riconoscano un certo margine di discrezionalità agli Stati membri 6.

Il legislatore italiano tuttavia ha previsto un’azione di restituzione unica, che conseguentemente si svolge secondo le stesse modalità tanto nel caso in cui la nor-ma europea sia produttiva di effetti diretti (e, conseguentemente, determini la ca-ducazione delle previsioni interne incompatibili), quanto nell’ipotesi in cui la norma sovranazionale sia invece priva di tale carattere.

L’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992, non opera, infatti, distinzioni di sorta, con la conseguenza che l’azione di restituzione risulta proponibile, davanti al giudice tributario, indipendentemente dai caratteri della fonte comunitaria dalla quale discende l’indebito.

In altri termini, l’azione di cui all’art. 21 della legge sul contenzioso tributario costituisce un rimedio generale utilizzabile in ogni azione con finalità restitutoria, a prescindere dalla ragione specifica dalla quale discende il diritto ad ottenere la ri-petizione, che risulta pertanto esperibile sempre davanti alle commissioni tributa-rie territorialmente competenti.

5 V. MICELI, Nuove prospettive nazionali in materia di rimborso IVA, in Riv. trim. dir. trib., 2012, pp. 767 ss., 772, in nota.

6 Tipica l’ipotesi delle accise, in relazione alle quali le norme europee si limitano in genere a sta-bilire un margine di fluttuazione tra un minino ed un massimo, lasciando poi al legislatore nazionale il compito di stabilire l’entità effettiva dell’imposta dovuta dal contribuente (v., in via esemplificati-va, la Direttiva 2011/64/UE, relativa alla struttura e alle aliquote dell’accisa applicata al tabacco la-vorato).

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3. L’azione per il risarcimento dei danni discendenti da violazione del diritto comunitario e i suoi rapporti con l’azione da indebito

Rispetto a tale assetto, sufficientemente consolidato nei suoi caratteri essenziali, è, in tempi relativamente recenti, sopravvenuta un’ulteriore possibilità a favore dei contribuenti che abbiano versato somme all’erario in virtù di disposizioni imposi-tive successivamente dichiarate incompatibili con le norme dell’Unione Europea.

A partire dalla sentenza della Corte di Giustizia nel caso Francovich, il contri-buente ha infatti la possibilità di chiedere anche il risarcimento dei danni, nei con-fronti degli Stati membri, per violazione del diritto dell’Unione Europea. Come è noto tale risarcimento ricorre in presenza di tre condizioni. Occorre infatti che il ri-sultato prescritto dalla previsione europea implichi l’attribuzione di diritti a favore dei singoli. In secondo luogo è necessario che il contenuto di tali diritti possa esse-re individuato sulla base delle disposizioni della direttiva. Deve, infine, sussistere un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi 7.

Anche il risarcimento danni per violazione del diritto dell’Unione Europea, al pari dell’azione restitutoria, sussiste sia in ipotesi di violazione di norme comunita-rie produttive di effetti diretti, sia nell’ipotesi in cui le fonti sovraordinate siano prive di detto carattere.

In presenza di norme produttive di effetti diretti la tutela risarcitoria costituisce una sorta di “corollario necessario” di tale efficacia ovvero una garanzia supplemen-tare di attuazione da parte del legislatore 8. Sembra infatti corretto ricondurre que-sta ipotesi nell’alveo della lettura giurisprudenziale secondo la quale l’effetto diret-to rappresenta una garanzia minimale per l’effettività delle fonti dell’Unione Euro-pea. In questa prospettiva la tutela risarcitoria costituisce eminentemente uno stru-mento rafforzativo dei tradizionali meccanismi sanzionatori, quali quelli normal-mente utilizzabili dalla Commissione europea 9. In tal modo si consente ai singoli di salvaguardare le proprie posizioni giuridiche con mezzi la cui esperibilità risulte-rebbe, viceversa, preclusa sul piano del Trattato istitutivo.

7 Corte di Giustizia UE, 19 novembre 1991, cause riunite n. 6 e 9/90, Francovich, in Racc., 1991, pp. I-5357, spec. punto 40. Sul risarcimento danni esiste una copiosa letteratura: v., anche per ulte-riori riferimenti: DI MAJO, Responsabilità e danni nelle violazioni del diritto comunitario, in Eur. e dir. priv., 1998, p. 745 ss.; ROPPO, La responsabilità civile dello Stato per violazione del diritto comunitario, in Cont. imp. Europa, 1999, p. 101 ss.; FUMAGALLI, La responsabilità degli Stati membri per la violazio-ne del diritto comunitario, Milano, 2000; CALZOLAIO, L’illecito dello Stato tra diritto comunitario e dirit-to interno, Milano, 2004; FERRARO, La responsabilità risarcitoria degli Stati per violazione del diritto dell’Unione2, Milano, 2012.

8 Corte di Giustizia UE, 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du Pêcheur, in Racc., pp. I-1029, punto 22.

9 V. artt. 258 e 260 TFUE.

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Viceversa, nel caso in cui l’obbligo risarcitorio discenda dall’inosservanza di nor-me prive di efficacia diretta, detta tutela non può invece avere altra funzione che quella di indennizzare il singolo per la mancata attuazione: in questo caso, se il ci-tato art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992 non avesse quel carattere di onnicomprensività che abbiamo evidenziato nel precedente paragrafo, l’azione risarcitoria costituirebbe l’unico rimedio ipoteticamente esperibile.

Fino alla decisione delle Sezioni Unite non era tuttavia chiaro quale rapporto intercorresse tra le due azioni (quella di restituzione dei tributi non dovuti e quella di risarcimento danni per violazione del diritto dell’Unione Europea). Si tratta, in-vero, di una questione non regolata dalle fonti europee.

D’altro canto, il diritto europeo non si preoccupa delle partizioni processuali di diritto interno. Nella specie è sufficiente che uno Stato preveda degli strumenti che rispondano ai principi di equivalenza e di effettività, nel senso che questi «non de-vono essere meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi di natura in-terna né essere congegnati in modo tale da rendere praticamente impossibile l’eser-cizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione» 10.

A questo punto, l’individuazione del giudice competente per l’una e per l’altra azione dipende, invero, solo dall’assetto dell’ordinamento nazionale.

Sul piano interno appare in effetti inevitabile concludere che, per le due azioni, risultino competenti giudici diversi. Come ha correttamente rilevato la Corte di Cassazione, la domanda di risarcimento dei danni non è affatto accessoria a quella di restituzione del tributo indebitamente percetto. La «domanda di ristoro patri-moniale per mancato adeguamento della legge interna alla disciplina comunitaria ... è del tutto autonoma ed avulsa dal rapporto tributario e si presenta, a ben vedere, come domanda alternativa, piuttosto che subordinata, a quella concernente il rim-borso dell’imposta».

Secondo la Corte la logica conseguenza dell’autonomia dei due rimedi è che vada «dichiarata la giurisdizione del Giudice tributario sulla domanda relativa al rim-borso dell’imposta e la giurisdizione del Giudice ordinario sulla domanda di risar-cimento del danno».

Questa impostazione corrisponde, d’altro canto, a quella seguita – ancor prima dell’arresto della Suprema Corte – dalla dottrina maggioritaria. È infatti pacifico che la giurisdizione del Giudice tributario riguardi solo la restituzione del tributo e

10 Corte di Giustizia UE, 19 luglio 2012, causa C-591/10, in Littlewoods Retail Ltd, cit., punto 27. Sul tema v. ADINOLFI, L’influenza del diritto comunitario sul diritto processuale interno, in Dir. Un. Eur., 2001, pp. 41 ss., 45 s.; BIAGIONI, Norme processuali e principio di effettività ulteriori sviluppi nella giuri-sprudenza comunitaria, ivi, 2004, p. 201 ss.; BECKER, Application of Community Law by Member Sta-tes’ Public Authorities: between Autonomy and Effectiveness, in Common Market Law Review, 2007, p. 1035 ss.; GALETTA, L’autonomia procedurale degli Stati membri dell’Unione Europea: Pardise Lost?, Tori-no, 2009.

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i relativi accessori (tra i quali in primis gli interessi legali); e che, trattandosi di giu-risdizione speciale preesistente alla Costituzione, questa non possa estendersi al di là dei limiti espressamente previsti dall’ordinamento 11.

In questo contesto l’azione di ripetizione può essere proposta davanti al Giudi-ce ordinario solo in due ipotesi specifiche. La prima ricorre quando l’amministra-zione abbia espressamente riconosciuto il diritto di credito 12; la seconda si verifica nel caso in cui si sia in presenza di un contribuente di fatto, ovvero di un soggetto passivo della rivalsa, per effetto della traslazione del tributo (come di regola avvie-ne in materia di IVA) 13.

In altri termini la giurisdizione delle commissione tributarie attiene esclusiva-mente all’azione di restituzione relative all’an e al quantum del tributo e ai relativi accessori (interessi o liquidazione o svalutazione monetaria). Tutti gli ulteriori dan-ni, anche indirettamente discendenti dal pagamento di un tributo illegittimo devono essere invece richiesti al giudice ordinario. Tra questi possono avere rilievo i danni comunque connessi al pagamento del tributo, quali la revoca dei fidi bancari, la mancata conclusione di determinati affari per effetto della carenza della liquidità ne-cessaria o, addirittura, il danno all’immagine, come potrebbe verificarsi in ipotesi quali la concessione di misure cautelari o la revoca dell’autorizzazione a costituire deposito fiscale 14.

Tale assetto normativo risulta certamente farraginoso e, in una certa misura, po-tenzialmente pregiudizievole per la tutela del contribuente. A meno che non si tratti di danni particolarmente ingenti, raramente il singolo proporrà una azione separata davanti al giudice ordinario. Nonostante la diminuzione di tutela che ne possa di-scendere in pratica, non sembra tuttavia che possano sussistere dubbi circa la com-

11 V. Cass., sez. trib., 16 aprile 2007, n. 8958, in Il Fisco, 2007, p. 4633; Cass., 18 gennaio 2007, n. 4055, in Foro it., 2007, 1, 2073. In dottrina v. MANZON-MODOLO, La tutela giudiziale del contribuente avverso le illegalità istruttorie ed i comportamenti illeciti dell’amministrazione finanziaria nell’attività impositiva. Considerazioni sulla giurisdizione in materia tributaria, in Riv. dir. trib., 2001, II, p. 243 ss.; FANTOZZI, Nuove forme di tutela delle situazioni giuridiche soggettive nelle esperienze processuali. Il pro-cesso tributario, ivi, 2004, I, p. 3 ss.; TABET, Profili di responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria, ivi, 2009, I, p. 21 ss.; GRANDINETTI-MONZANI, L’effettività della tutela giurisdizionale nell’ottica comu-nitaria: riflessioni in ordine alla tutela cautelare e alla restituzione di tributi riscossi in violazione del dirit-to comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2008, p. 927 ss.; BATISTONI FERRARA, Il risarcimento del dan-no, in BASILAVECCHIA-TABET (a cura di), La giurisdizione tributaria nell’ordinamento giurisdizionale, Bologna, 2009, p. 25 ss.; MICELI, Indebito comunitario e sistema tributario interno, Milano, 2009, p. 251 ss.

12 V. Cass., sez. un., 3 marzo 2005, n. 18120. In dottrina v. MISCALI, Il diritto alla restituzione, Mi-lano, 2004, p. 75; MICELI, La restituzione del credito riconosciuto, in AA.VV., Il processo tributario, Pa-dova, 2008, p. 74 ss.

13 MICELI, Indebito comunitario, cit., p. 185 ss., spec. 196. 14 V., in senso analogo, ROSSI, La giurisdizione tributaria e l’azione di responsabilità ex art. 2043 c.c.,

in AA.VV., Il processo tributario, cit., p. 99 s.

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patibilità della separazione dei rimedi restitutorio e risarcitorio con il diritto del-l’Unione Europea. Benché la Corte di Giustizia, in una diversa situazione fattuale, aveva accertato che la separazione delle azioni potesse dare luogo ad una violazio-ne dell’ordinamento sovraordinato, non sembra, infatti, che ricorra tale eventualità nel caso in cui i petita delle due azioni sono integralmente diversi l’uno dall’altro 15.

4. Conseguenze (ipotetiche) della supposta “alternatività” delle due azioni

La sentenza in commento non suscita, pertanto, perplessità di sorta; essa appa-re conforme all’orientamento prevalente nella dottrina ed è sicuramente condivi-sibile alla luce del principio di specialità che caratterizza l’esercizio della potestà giurisdizionale da parte delle commissioni tributarie. Essa appare inoltre conforme all’orientamento della Corte di Giustizia Europea.

Ciò che tuttavia non appare agevolmente spiegabile nella ricostruzione della Suprema Corte è la ricostruzione del rapporto intercorrente tra le due azioni in termini di alternatività dei rimedi 16. Il senso di questa supposta alternatività non è, in realtà, chiaro. Se le due domande sono autonome, perché le stesse si pongono in rapporto di alternatività e non piuttosto di subordinazione o di mera autonomia?

15 V. Corte di Giustizia, 15 aprile 2009, causa C-268/06, Impact, punto 51: «In tale situazione, quando il legislatore nazionale ha operato la scelta di conferire a giudici speciali la competenza a cono-scere delle domande fondate sulla legge di trasposizione della direttiva 1999/70, l’obbligo che verrebbe imposto a singoli i quali versino nella situazione dei ricorrenti nella causa principale, che hanno inteso adire siffatto giudice speciale con una domanda fondata sulla violazione della suddetta legge, di adire parallelamente un giudice ordinario con una domanda distinta al fine di far valere i diritti che potrebbe-ro derivare direttamente dalla direttiva medesima per il periodo compreso tra la data di scadenza del termine di trasposizione di quest’ultima e la data di entrata in vigore della legge che ne assicura la tra-sposizione, risulterebbe contrario al principio di effettività se dovessero risultarne per i singoli in que-stione, ciò di cui la verifica spetta al giudice nazionale, inconvenienti procedurali in termini, segnata-mente, di costo, durata e regole di rappresentanza, tali da rendere eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti fondati sulla suddetta direttiva». La fattispecie esaminata in detta decisione era tuttavia di-versa da quella analizzata dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza in commento. Nel caso Impact si trattava difatti della medesima azione che, a seconda della circostanza che il legislatore avesse o meno tempestivamente trasposto una direttiva europea, doveva essere proposta davanti a giudici diversi: a quello ordinario prima dell’adempimento del legislatore, benché il termine per l’adempimento era già scaduto da tempo; la medesima richiesta doveva invece essere avanzata davanti al giudice speciale, suc-cessivamente alla trasposizione della direttiva in norme interne. È evidente la differenza con l’ipotesi analizzata nel testo, nella quale le azioni proposte hanno un petitum chiaramente diverso. Non vi è per-tanto alcun rischio di lesione della tutela, neppure alla luce del principio di equivalenza.

16 Per comodità di lettura, riportiamo il passo decisivo dell’ordinanza della Suprema Corte: «domanda di ristoro patrimoniale per mancato adeguamento della legge interna alla disciplina co-munitaria ... è del tutto autonoma ed avulsa dal rapporto tributario e si presenta, a ben vedere, come domanda alternativa, piuttosto che subordinata, a quella concernente il rimborso dell’imposta» (ord. n. 20323/2012).

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Si tratta, d’altro canto, di un’alternatività del tutto ipotetica. Innanzitutto per-ché, anche ammesso che ricorra, essa può sussistere soltanto in un’unica direzione.

È infatti evidente che l’azione di ripetizione del tributo non possa essere alter-nativa a quella di risarcimento danni da violazione del diritto europeo, perché essa non può – proprio per il principio di specialità che caratterizza la giurisdizione tri-butaria – estendersi anche ai danni ulteriori. Pertanto, se alternatività sussiste, essa può ricorrere solo nel senso che l’azione di risarcimento danni comprende al pro-prio interno anche la ripetizione del tributo indebitamente percetto: una parte del danno subito per la violazione della previsione europea, evidentemente, è data dal-la corresponsione della somma effettuata dal contribuente.

Si potrebbe in altri termini ipotizzare che tra le due azioni ricorra una sorta di rapporto di “continenza” ovvero che l’azione risarcitoria contiene anche quella di restituzione.

Si tratta tuttavia, a ben vedere, di una mera illusione prospettica. È infatti ovvio che la continenza, ai sensi dell’art. 39, comma 2, c.p.c., non possa determinare an-che una modifica della competenza giurisdizionale; e che pertanto il Giudice ordi-nario, anche nell’ipotesi in cui sia stato adito con un’azione risarcitoria, non possa estendere la propria area di cognizione alla domanda di restituzione del tributo (di competenza, per l’appunto, esclusivamente del Giudice tributario).

Se questa riflessione è corretta, residuano solo due spiegazioni per giustificare la supposta relazione di “alternatività” intercorrente tra le due azioni; ovvero si può ipotizzare di equiparare il riconoscimento del credito del contribuente da parte dell’amministrazione finanziaria alla incompatibilità – accertata con sentenza della Corte di Giustizia – della norma interna impositiva per contrasto con il diritto del-l’Unione Europea.

In altri termini, la Suprema Corte sembra dire che allorché venga meno, per ef-fetto di una sentenza interpretativa della Corte di Giustizia, la fonte normativa del-l’atto impositivo, come si potrebbe verificare nell’ipotesi in cui un altro Giudice sol-levi una questione pregiudiziale in un caso simile, l’atto impositivo diviene non so-lo annullabile, ma del tutto inesistente. Verseremmo, in sostanza, in una di quelle ipotesi di cui all’art. 21 septies, L. n. 241/1990 (legge istitutiva del procedimento amministrativo) di “nullità”, per difetto assoluto di attribuzione, rilevabile – in quan-to tale – anche davanti al giudice ordinario.

Ove così fosse si tratterebbe di una modifica rilevante rispetto alla consueta impostazione giurisprudenziale, dal momento che nel caso in cui la previsione im-positiva interna sia in contrasto con il diritto dell’Unione Europea non vi sarebbe neppure bisogno di promuovere il ricorso nel consueto termine decadenziale sta-bilito dall’art. 21, del D.Lgs. n. 546/1992.

È peraltro opportuno porre in rilievo che questa ricostruzione, per quanto ac-cattivante, non trova riscontro nella giurisprudenza amministrativa. Il Consiglio di Stato è infatti solito considerare meramente “annullabile” (e non semplicemente

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nullo) l’atto amministrativo assunto in violazione di previsioni comunitarie pro-duttive di effetto diretto 17. La Corte di Cassazione, ove si desse effettivamente cre-dito alla supposta alternatività dei due rimedi, sembra invece propensa ad estende-re l’area della nullità assoluta ad ogni ipotesi di supposto contrasto con il diritto dell’Unione Europea, nella misura in cui consente di proporre un’azione di risarci-mento anche direttamente al Giudice ordinario, senza necessità di promuovere un giudizio per ottenere la restituzione davanti alla giurisdizione tributaria.

Se così fosse si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione copernicana nella consueta disciplina che gli atti amministrativi interni contrastanti con il diritto del-l’Unione Europea ricevono all’interno del nostro ordinamento.

Se fosse questa la corretta lettura della decisione, la tutela del contribuente ne riceverebbe sicuro giovamento: in ipotesi di contrasto con il diritto dell’Unione Eu-ropea, il contribuente potrebbe infatti sempre chiedere la restituzione, anche al di là del termine di cui all’art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992.

Nonostante l’auspicio verso un’interpretazione diretta ad ampliare i margini di tutela del contribuente, ci sembra forse più banale (ma forse ... anche più rassicu-rante, per le nostre categorie dogmatiche) ritenere che si sia trattato soltanto di un mero obiter dictum che, molto probabilmente, non sussistendo alcun rapporto di alternatività tra l’azione risarcitoria e quella di ripetizione di indebito, non produrrà alcuna effettiva conseguenza sul riparto della competenza giurisdizionale tra giudi-ci ordinari e tributari 18.

Gianluca Contaldi

17 Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2003, n. 35, in Foro it., 2004, III, c. 413 ss.; sez. VI, 31 marzo 2011, n. 1983. In dottrina v. CHITI, I signori del diritto comunitario: la Corte di giustizia e lo sviluppo del diritto amministrativo europeo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1991, p. 796 ss.; ID., L’invalidità degli atti amministrativi per violazione di disposizioni comunitarie e il relativo regime processuale, in Dir. amm., 2003, p. 687 ss.; ID., Diritto amministrativo europeo2, Milano, 2004, spec. p. 469 ss.; GRECO, Incidenza del diritto comunitario sugli atti amministrativi italiani, in CHITI-GRECO (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 1997, p. 555 ss.; MUSONE, Il regime di invalidità dell’atto amministra-tivo anticomunitario, Napoli, 2007; CONTALDI, Atti amministrativi contrastanti con il diritto comuni-tario, in Dir. Un. Eur., 2007, p. 747 ss.; PIGNATELLI, L’illegittimità “comunitaria” dell’atto ammini-strativo, in Giur. cost., 2008, p. 3635 ss.; RAMAJOLI-VILLATA, Contrasto di un atto con il diritto euro-peo, consultabile al sito http://www.treccani.it/enciclopedia/contrasto-di-un-atto-con-il-diritto europeo_ (Libro_ dell’anno_del_Diritto_2012).

18 D’altro canto, la stessa Corte di Cassazione sembra fornire una lettura limitativa della pronun-cia delle Sezioni Unite in esame. Nell’ord. 19 aprile 2013, n. 9531, le Sezioni Unite hanno infatti espressamente connotato la domanda risarcitoria come meramente “subordinata” rispetto a quella più strettamente restitutoria.

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Cass., sez. trib., 22 gennaio 2013, n. 1429 – Pres. Merone, Rel. Chindemi IRPEF – Plusvalenze da esproprio – Tassazione – Momento impositivo – Cassa – Esclusione – Ritardo – Pubblica Amministrazione – Art. 97 Cost. – CEDU

La richiesta di un tributo non può avvenire qualora sia oggetto di un comportamento capzioso e manifestamente dilatorio ad opera dell’Amministrazione, in quanto i princi-pi di imparzialità, efficienza della Pubblica Amministrazione e del “giusto processo” devono sempre essere tenuti in debita considerazione dall’Agenzia delle Entrate e, in ge-nerale, dagli enti impositori.

Per questo motivo, è stato negato l’assoggettamento a tassazione di una plusvalenza relativa ad un’indennità di esproprio che sarebbe spettata nel 1982, ma che il Comune ha erogato ben quindici anni dopo.

In base alla giurisprudenza della CEDU, il soggetto che ha subito danni da compor-tamenti oltremodo dilatori della Pubblica amministrazione ha diritto ad un indenniz-zo, e la tassazione della plusvalenza, in tal caso, sarebbe stata incompatibile con tale principio.

FATTO

La Commissione tributaria regionale dell’Emilia, con sentenza (omissis), rigettava

l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado con cui veniva accolta, avverso il silenzio rifiuto, l’istanza di rimborso (omissis), pari alla ritenuta del 20% effettuata a titolo di imposta Irpef, ex art. 11, comma quinto, legge 413 del 1991, sull’importo cor-risposto nel corso dell’anno 1997 dal Comune a titolo di conguaglio per la cessione volontaria a detto Comune, di aree di proprietà delle intimate.

Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidato ad un unico mo-tivo, con cui si deduce la violazione falsa applicazione dell’art. 11, commi 5, 6 e 9 della legge 413 del 1991 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., ritenendo legittima la tassazione applicata sulla somma liquidata nel 1997 e pagata in data successiva all’entrata in vigo-re della legge 413 del 1991, escludendo l’applicazione retroattiva della norma.

Si costituiva con controricorso M.L., chiedendo il rigetto del ricorso, proponendo ricorso incidentale affidato a quattro motivi di gravame, sollevando, in subordine, que-stione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge n. 413 del 1991 ove interpre-tata in maniera favorevole all’Agenzia.

MOTIVI DELLA DECISIONE

(omissis). Il ricorso principale è infondato.

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Il comma 9 della legge n. 413 del 1991, in combinato disposto con i commi 5 e 8, consente di ritenere tre ipotesi differenti, con riferimento all’assoggettamento ad im-posta delle somme pagate a titolo transattivo relative ad una espropriazione-cessione:

a) espropri successivi all’entrata in vigore della normativa (1 gennaio 1992): assog-gettabilità ad imposta;

b) espropri compiuti fra il 31/12/1988 e l’entrata in vigore della normativa: assog-gettamento ad imposta con le seguenti modalità:

(omissis) c) espropri precedenti al 31/12/1988: occorre accertare la assoggettabilità ad im-

posta. Con riferimento a tale ultima evenienza, il comma 9 dell’art. 11 della legge n. 413

del 1991, prevede che “le disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 7 si applicano anche alle somme percepite in conseguenza di atti anche volontari o provvedimenti emessi suc-cessivamente al 31 dicembre 1988 e fino alla data di entrata in vigore della presente legge ...”. Il tenore letterale della norma fa riferimento agli “atti o provvedimenti” espropriativi e, come anche desumibile dalla estensione anche agli “atti volontari” non può non riferirsi anche agli atti di cessione volontaria intervenuti nel corso di una pro-cedura di esproprio.

Nel caso di specie è pacifico che la cessione volontaria degli appezzamenti di terre-no sia avvenuta in epoca antecedente il 31 dicembre 1988 (15 ottobre 1981 e 3 otto-bre 1982).

La questione concerne la imponibilità o meno della plusvalenza con riferimento al-la data di pagamento del conguaglio (1997).

Questa Corte ha più volte avuto occasione di affermare che, ai fini del prelievo fi-scale di cui all’art. 11, comma 5, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rile-vando che il trasferimento del bene sia intervenuto prima del 1° gennaio 1989, rile-vando che, sotto il profilo impositivo, l’unico momento rilevante è quello della perce-zione della plusvalenza in quanto il diverso trattamento costituisce un effetto tipico della disciplina della successione delle leggi nel tempo, il cui decorso è di per sé ele-mento diversificatore (da ultimo Cass. Sez. 5, Sentenza n. Cass. 2194 del 16/02/2012; Cass. 10811/2010; Cass. n. 24156/2004).

Una precedente giurisprudenza, più articolata, riteneva, invece, che il presupposto impositivo relativo alla tre ipotesi di plusvalenze indicate dall’art. 11 comma quinto della legge n. 413 del 1991 non può identificarsi nella mera percezione della somma di denaro corrispondente all’incremento di valore integrante la plusvalenza, ma deve ravvisarsi nella verificazione del trasferimento del bene, cui la plusvalenza si ricollega, e precisamente nell’emissione del decreto di esproprio, con riferimento alla plusvalenza conseguente alla percezione dell’indennità di esproprio, nella conclusione della ces-sione volontaria nel corso del procedimento espropriativo, con riferimento alla plusva-lenza conseguente a detta cessione, e nel prodursi della fattispecie della cosiddetta oc-

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971

cupazione acquisitiva, con riferimento alla plusvalenza derivante dall’acquisizione coat-tiva conseguente ad occupazione di urgenza divenuta illegittima. Ne consegue che tanto la norma dell’art. 11 comma quinto (con riguardo alle plusvalenze percepite dopo il primo gennaio 1992, data di entrata in vigore della l. n. 413 del 1991), quanto la nor-ma dell’art. 11, comma nono, della stessa L. n. 413 del 1991 (che assoggetta – retroat-tivamente – ad imposizione le plusvalenze di cui alle ipotesi indicate nel quinto com-ma della norma, con riferimento a somme percepite in conseguenza di atti anche vo-lontari – formula nella quale può farsi rientrare l’occupazione acquisitiva, fondandosi essa su un “atto”, sia pure illecito della Pubblica Amministrazione – o provvedimenti emessi successivamente al 31 dicembre 1988 e fini alla data di entrata in vigore della legge n. 413 del 1991, purché la percezione sia avvenuta in tale lasso di tempo), deb-bono ritenersi applicabili soltanto a condizione che siano intervenuti in epoca succes-siva al 31 dicembre 1988 gli atti integranti il trasferimento cui consegue la plusvalenza, cioè, rispettivamente, il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l’occupazione acquisitiva, mentre non possono ritenersi applicabili ove detti atti siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, restando in questo caso la plusvalenza non imponibile senza che quanto all’occupazione acquisitiva possa in contrario rilevare la circostanza che essa sia stata accertata da sentenza successiva a quella data, posto che detta sen-tenza non rappresenta l’atto mediante il quale viene realizzata la plusvalenza (Cass. Sez. 1, Sentenza Cass. n. 14673 del 29/12/1999; Cass. Sez. 1, Sentenza Cass. n. 1688 del 15/02/2000, Cass. Sez. 1, Sentenza Cass. n. 1687 del 15/02/2000).

Questa Corte non intende mettere in discussione il principio generale di cassa con riferimento a tale ultima tipologia di atti, sotto il profilo impositivo, in quanto momen-to rilevante è quello della percezione della plusvalenza ed il diverso trattamento costi-tuisce un effetto tipico della disciplina della successione delle leggi nel tempo.

Trattasi, invece, di verificare se tale principio generale, di natura giurisprudenziale, possa soffrire eccezioni, con riferimento a peculiari situazioni in cui, a seguito di un ingiustificato ritardo da parte della Pubblica Amministrazione nel corrispondere l’in-dennità di esproprio o il corrispettivo pattuito, il soggetto possa avere subito un danno a seguito della modifica normativa nel frattempo intervenuta e che non avrebbe subito ove il pagamento fosse avvenuto nel termine “ragionevole” di definizione dei procedi-menti amministrativi.

(omissis). Nel caso di specie evidente tale termine risulta abbondantemente superato (oltre

15 anni). (omissis). Occorre, ai fini della decisione del presente giudizio, anche esaminare la decisione

CEDU 16.3.2010 (Caso D.B.c.I) che si riferisce ad una fattispecie analoga alla presente. Nel caso sottoposto all’attenzione della CEDU tratta vasi del ritardato pagamento

di una indennità di espropriazione anteriore all’entrata in vigore della L. 4123/del 1991. (omissis).

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La Corte Europea ha rilevato che anche se una eventuale applicazione retroattiva della legge n. 413 del 1991 al caso del ricorrente non avrebbe costituito di per se una violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1, poiché questa disposizione non vieta, come tale, l’applicazione retroattiva di una legge fiscale (omissis), tuttavia assume rilevanza il ritardo da parte della Pubblica Amministrazione nel dare esecuzione al rimborso, con un’influenza determinante sull’applicazione del nuovo regime fiscale (omissis), in quanto l’indennità concessa al ricorrente non sarebbe stata assoggettata all’imposta prevista dalla nuova legislazione fiscale se l’esecuzione della sentenza fosse stata regolare e tem-pestiva.

La Corte Europea ha quindi ritenuto che l’applicazione della legge n. 413 del 1991 ha infranto il “giusto equilibrio” che deve sussistere fra le esigenze dell’interesse gene-rale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’indi-viduo, ritenendo sussistere la violazione dell’articolo uno del Protocollo n. 1.

(omissis). La CEDU è una delle principali fonti di diritto internazionale di fonte pattizia e, in

caso di contrasto non sanabile da una interpretazione conforme alle norme nazionali, la Carta Costituzionale costituisce parametro interposto di legittimità costituzionale delle leggi, da sottoporre al previo riscontro di conformità con la Costituzione.

La c.d. “interpretazione conforme”, sarà, tuttavia, possibile ove solo la norma, co-me già evidenziato, non sia “rigida”, e si presti ad una differente opzione interpretativa, stante il suo significato suscettibile di diversa valutazione.

(omissis). Nel caso di specie, tenendo conto di tali principi, come già evidenziato e come ri-

sulta evidente dal diverso significato già attribuito alla normativa in esame da una par-te della giurisprudenza della Corte di Cassazione, appare possibile una interpretazione della legislazione nazionale conforme ai principi comunitari.

(omissis). Va quindi affermato il seguente principio di diritto: “ai fini del prelievo fiscale di

cui all’art. 11, comma 5, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, è sufficiente che la per-cezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti e-spropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rilevan-do che il trasferimento del bene sia intervenuto prima del 1° gennaio 1989. Tuttavia qualora gli atti integranti il trasferimento cui consegue la plusvalenza, cioè, rispettiva-mente, il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l’occupazione acquisitiva, siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, ma il pagamento sia intervenuto dopo l’en-trata in vigore della legge n. 413 del 1991, la plusvalenza non è imponibile nel caso di ingiustificato ritardo della P.A. nel pagamento della plusvalenza”.

La diversa interpretazione, sia pure prospettata dalla giurisprudenza di legittimità, sarebbe anche in contrasto con i principi costituzionali:

a) di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.) non po-

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tendosi consentire che lo Stato, sempre inteso quale Stato “apparato”, nella sua veste di debitore, possa trarre vantaggio dal proprio inadempimento costituito dall’aver tardato ingiustificatamente (nella fattispecie per ben tre lustri) di corrispondere il conguaglio a seguito di cessione bonaria di beni nell’ambito di una procedura espro-priativa;

b) degli obblighi internazionali come limite generale di validità della legislazione statale e regionale (art. 117 Cost.);

c) del giusto processo e della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) do-vendosi evitare che il contribuente, già danneggiato dal comportamento dilatorio della P.A., sia costretto a un ulteriore iter giudiziario davanti agli organi sovranazionali al fine di ottenere il risarcimento del danno, quando il medesimo risultato perseguito dall’interessato (c.d. “bene della vita”) può essergli riconosciuto in forza di una inter-pretazione convenzionalmente orientata della normativa nazionale (omissis).

(omissis).

P.Q.M. Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso inciden-

tale. Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

Sulle plusvalenze da esproprio: imputazione per “cassa” ed esclusione dalla tassazione delle somme erogate

con ingiustificato ritardo

On capital gains from expropriation: taxation on a cash basis and tax exemption of sums paid with an unjustified delay

Abstract Secondo la Suprema Corte di Cassazione la percezione di somme in relazione all’iter di esproprio è condizione necessaria e sufficiente affinché si configuri una plusvalenza tassabile, affermando un principio generale di imposizione per cassa, salva l’eccezione di un ingiustificato ritardo nell’erogazione, causato da un com-portamento capzioso e dilatorio, da parte della Pubblica Amministrazione.

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I principi costituzionali dell’imparzialità, dell’efficienza e del giusto processo, sul versante nazionale, e la giurisprudenza della CEDU, su quello comunitario, im-pongono che la Pubblica Amministrazione, cui non si sottrae l’Agenzia delle En-trate, non possa trarre indebito vantaggio da comportamenti lesivi dei diritti e degli interessi legittimi del cittadino. Parole chiave: plusvalenze, esproprio, criteri di tassazione, imparzialità, vantaggio According to the Italian Supreme Court, the receiving of sums following to expropria-tion is a necessary and sufficient condition to realise a taxable capital gain, in applica-tion of a general principle of taxation on a cash basis, except in case of unjustified de-lay in the payment caused by a captious and delaying behaviour of the Public Admi-nistration. The constitutional principles of impartiality, efficiency and due process of law – on the national level – and the ECtHR case law – on the European level – provide that the Public Administration, which includes also Tax Authorities, shall not receive an un-fair advantage from behaviours infringing citizen’s rights and legitimate interests. Keywords: capital gains, expropriation, taxation criteria, impartiality, advantage

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il quadro normativo. – 3. L’affermazione del principio di cassa quale criterio di tassazione delle plusvalenze da esproprio. – 4. La posizione della Corte costituzionale. – 5. L’o-rientamento minoritario della giurisprudenza della Cassazione. – 6. La soluzione al caso di spe-cie. – 7. Osservazioni di sintesi.

1. Premessa

La Corte di Cassazione, in una sentenza di notevole interesse, ha affrontato la questione relativa alla tassabilità della plusvalenza derivante da procedimento espro-priativo 1, con particolare riferimento al momento impositivo delle somme pagate a tale titolo.

1 Sull’espropriazione per pubblica utilità e sull’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale in pun-to di quantificazione dell’indennizzo, si rinvia a CAPACCIOLI, Sulla natura dell’indennità di espropria-zione per pubblica utilità, in Riv. trim. dir. pubbl., 1953, p. 363 ss.; LANDI, Espropriazione per pubblica utilità (principi generali), in Enc. dir., 1966, XV, p. 806 ss.

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I Supremi Giudici hanno mantenuto fermo il proprio orientamento, già espres-so in altre sentenze, sulla tassazione per cassa delle somme de quibus, ma hanno aggiunto un nuovo, importante tassello, ricorrendo, per negarne la tassabilità in caso di ingiustificato ritardo nell’erogazione imputabile ad un comportamento capzioso e dilatorio della Pubblica Amministrazione, alla giurisprudenza della Corte Euro-pea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e ai precetti costituzionali e, in particolare, agli artt. 97, 111 e 117.

Ciò in ragione del fatto che la Convenzione Europea del 1950 costituisce fonte del diritto comunitario, alla quale l’interprete e i Giudici nazionali devono cercare di conformarsi, se la norma non si presenta “rigida” e si presta ad una differente so-luzione interpretativa, salvo il ricorso alla prospettazione della questione di legit-timità costituzionale.

2. Il quadro normativo

L’art. 11, con due commi separati, della L. 31 dicembre 1991 2, n. 413, la c.d. legge Formica, ha introdotto, nella categoria dei redditi diversi, due distinte e nuo-ve ipotesi di plusvalenze, il cui comune tratto distintivo è di essere generate non da un’attività produttiva del proprietario o del possessore, ma dalla mera destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica dei terreni, novellando l’allora art. 81 (ora art. 67) del T.U. delle imposte sui redditi. Il comma 1 prevede che «le plu-svalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di uti-lizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione», mentre il successivo comma 5 3, ampliandone la portata, vi ha inserito «le plusvalenze conseguenti alla percezione, da parte di soggetti che non esercita-no attività di imprese commerciali, di indennità di esproprio o di somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi nonché di somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad oc-cupazioni di urgenza divenute illegittime relativamente a terreni destinati ad opere pubbliche o ad infrastrutture urbane all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C, D, di cui al D.M. 2 aprile 1968 4, definite dagli strumenti urbanistici ovvero ad

2 La legge si intitola “Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e po-tenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione dell’amnistia per reati tributari; istituzioni di cen-tri di assistenza fiscale e del conto fiscale”.

3 Tale comma è inserito all’interno del Titolo I (“Disposizioni per contrastare l’evasione fiscale e al-largare la base imponibile”) nel Capo IV (“Adempimenti strumentali e disposizioni per contenere l’elu-sione e per reprimere il contrabbando di tabacchi”).

4 Il decreto ministeriale in questione definisce le “zone territoriali omogenee”, cioè la descrizio-

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interventi di edilizia residenziale pubblica ed economica popolare di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni».

Innanzitutto, una prima precisazione sul dato normativo. Come si evince dalla lettura del comma 5, sono escluse da tassazione le inden-

nità per espropriazione o occupazioni di fabbricati e relative pertinenze e le indenni-tà di servitù, al pari delle somme ottenute in conseguenza di esproprio in zone F), nelle aree, cioè, destinate ad attrezzature e impianti di interesse generale, sì che, in li-nea generale, l’elemento discriminante, ai fini dell’assoggettamento a tassazione del-le indennità, sia nel caso di terreni destinati ad opere pubbliche o infrastrutture ur-bane, sia nel caso di edilizia economica e popolare, non risiede nella suscettibilità edificatoria dei terreni, quanto, come ha avuto modo di precisare l’Amministrazio-ne finanziaria – ci si riferisce alle Risoluzioni nn. 111/E/1996, 30/E/1997 e alla Circolare n. 194/E/1998 5 – nella collocazione degli stessi all’interno delle zone omogenee espressamente indicate nella norma 6.

Con l’ulteriore corollario che è soggetta a tassazione anche l’indennità di espro-prio per un terreno non edificabile 7 se inserito in una delle zone omogenee, non dovendosi operare – hanno precisato i Giudici di ultima istanza in diverse occa-

ne topografica del territorio, fissando, per ciascuna zona, le quote standard, vale a dire le caratteristi-che inderogabili di spazi destinati alle infrastrutture e ai servizi pubblici. In particolare, la zona A ri-guarda i centri storici o di pregio ambientale, la B le zone diverse dalle precedenti totalmente o par-zialmente edificate, la C si riferisce alle zone di espansione, totalmente o parzialmente edificate, la C si riferisce alle zone totalmente o parzialmente inedificate e la zona D i nuovi insediamenti industriali.

5 In tale atto l’Amministrazione finanziaria ha definito “tassativo” il riferimento alle zone omo-genee, nel senso che, ai fini della tassabilità, assume rilievo solo la collocazione dell’area nelle zone già indicate.

6 Nella stesura originaria della norma si richiedeva, invece, la edificabilità dei terreni, requisito che, nella versione definitivamente approvata, è stato espunto.

7 A seguito di alcune sentenze di Cassazione (Cass., sez. un., 2 febbraio 1993, n. 1280; Cass., sez. I, 1° luglio 1994, n. 6388), nonché di alcuni pareri dell’Avvocatura di Stato (nota 14 giugno 1993, n. 69315 e nota CS 9 agosto 1995, n. 2971), la stessa Direzione Centrale dei Servizi Tecnici Erariali ha precisato che, sotto l’aspetto tecnico, l’edificabilità di un’area non è più subordinata alla sussistenza congiunta delle due condizioni previste dalla legge – l’edificabilità legale (destinazione di P.R.G.) ed effettiva (presenza in zona delle infrastrutture primarie: strade, fognature, rete elettrica, idrica) – sì che un terreno allo stato agricolo, ancorché inserito dallo strumento urbanistico in zona edificatoria, non è stimato al valore rurale, ma deve considerarsi a tutti gli effetti edificatorio. In giurisprudenza, sulla nozione di area edificabile, si segnala Cass., sez. trib., 15 gennaio 2003, n. 467, la quale ribadi-sce la nozione di “area edificabile”, rilevante a fini fiscali, subordinandola alla destinazione edificato-ria contenuta in strumenti perfezionati ed efficaci, ma escludendola per quei terreni i cui piani rego-latori sono stati adottati solo dal Comune ma non anche approvati dalla Regione. In dottrina, si rin-via a CAPOLUPO, L. n. 413/1991. Tassazione delle plusvalenze da terreni, in Il Fisco, 1992, pp. 4079-4080; URICCHIO, La tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di aree fabbricabili e da prov-vedimenti espropriativi, in Riv. dir. trib., 1992, I, p. 733 ss.; DEL FEDERICO, Brevi riflessioni in tema di qualificazione di terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria e trattamento ai fini IVA, in Il Fisco, 1995, p. 1339 ss.

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sioni – «alcuna ulteriore distinzione fra aree aventi vocazione edificatoria e terreni agricoli», concludendo che «ai fini dell’assoggettamento a tassazione, occorre so-lo verificare se l’area, in relazione alla quale si verifica il presupposto impositivo, sia inserita in una di queste zone» 8.

Inoltre, sotto il profilo del titolo, vi è irrilevanza, essendo la plusvalenza attratta a tassazione sia nel caso in cui il trasferimento operi a titolo oneroso, frutto di una libera e autonoma scelta del cedente, sia nel caso in cui il trasferimento sia forzoso, a seguito di espropriazione, cessione volontaria ovvero occupazione espropriativa.

Al pari vi è irrilevanza della finalità per la quale si procede, da parte dell’Ente pubblico all’espropriazione, nel senso che essa può essere dettata tanto dalla co-struzione di un’opera pubblica quanto dal compimento di un’opera di pubblica utilità, categoria alla quale sono ascrivibili gli insediamenti produttivi e gli impianti industriali, ancorché realizzati da privati, previsti dagli strumenti urbanistici 9.

Il quadro normativo si completa, poi, con il comma 7, per il quale tali somme so-no soggette ad un prelievo alla fonte, a titolo di imposta 10, nella misura del 20% 11 salva la facoltà per il contribuente di optare per la tassazione ordinaria 12, con la conseguenza di considerare la ritenuta a titolo di acconto 13 e con il comma 9 (abro-gato a decorrere dal giugno 2002), nel quale possono idealmente confluire tre dif-

8 Le parole virgolettate si riferiscono a Cass., sez. trib., 18 gennaio 2012, n. 652 che rinvia a Cass., n. 9455/2006 e, nella stessa direzione, Cass., sez. trib., 7 maggio 2004, n. 8698. Di recente, si segnala per aver ribadito il medesimo principio Cass., sez. trib., 15 maggio 2013, n. 11647.

9 In tal senso, si rinvia a Cass., sez. trib., 30 giugno 2011, n. 14362, la quale ha ritenuto tassabile la plusvalenza conseguita a seguito di procedura espropriativa volta alla realizzazione di un P.I.P., in cui solo una parte delle aree occupate era finalizzata ad infrastrutture urbane, mentre la restante par-te era stata destinata alla successiva assegnazione in lotti ad imprese private.

10 Nella sent. 25 luglio 2013, n. 12533 la Corte di Cassazione, richiamandosi ad un proprio pre-cedente – la sent. 21 novembre 2011, n. 24689 – ha affermato, ribadendolo, che la ritenuta del 20%, a titolo di imposta, non va effettuata solamente sulle indennità da espropriazione, ma anche sul ri-sarcimento del danno dovuto per la perdita del diritto dominicale conseguente alla irreversibile tra-sformazione del fondo con la realizzazione dell’opera pubblica.

11 L’Amministrazione finanziaria ha precisato, nella nota 14 dicembre 1994, n. 865, che questa è la modalità di tassazione dell’indennità da esproprio.

12 Circa la possibilità, in capo al contribuente, di scegliere quale forma di tassazione – ritenuta a titolo di imposta ovvero a titolo di acconto – si segnala la sentenza di Cass. 8 febbraio 2005, n. 2490, secondo cui il prelievo del 20%, operato dall’Ente espropriante, sull’intera indennità corrisposta, se effettuato a titolo di imposta, non accorda al percipiente la possibilità di chiedere all’Amministrazio-ne finanziaria la rideterminazione della base imponibile, tenendo conto del costo di acquisto, con conseguente rimborso delle imposte applicate in eccesso.

13 In merito alla modalità di tassazione – ritenuta a titolo di imposta ovvero a titolo di acconto, se scelto dal contribuente – delle plusvalenze da indennità da esproprio, vi è da notare la differenza che intercorre con le altre plusvalenze, anch’esse introdotte dalla L. n. 413, derivanti dalla cessione, a titolo oneroso, delle aree edificabili, di cui all’art. 67, comma 1, lett. b), T.U., che soggiacciono, in-vece, al regime di tassazione separata ex art. 17 del medesimo corpus normativo.

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ferenti ipotesi con riferimento all’assoggettamento a tassazione delle somme ero-gate a titolo transattivo relative ad un’espropriazione-cessione.

Le prime due [che nella sentenza sono contraddistinte con le lett. a) e b)] ri-guardano, rispettivamente, gli espropri successivi all’entrata in vigore della norma-tiva (che coincide con il 1° gennaio 1992) e quelli intervenuti nel triennio fra il 31 dicembre 1988 e la stessa entrata in vigore, il cui assoggettamento a tassazione non è messo in dubbio, seppure in relazione all’ipotesi sub b), con differenti modalità ri-spetto a quanto previsto per quella sub a). La sentenza prende in esame, individuan-dolo con la lett. c), il caso in cui l’esproprio sia avvenuto prima del 31 dicembre 1988, ipotesi per la quale sorgono alcune perplessità sull’assoggettamento ad im-posta, poiché lo stesso comma 9, con un regime transitorio, dispone(va) che «le disposizioni precedenti si applicano anche alle somme percepite in conseguenza di atti espropriativi emessi successivamente alla data del 31 dicembre 1988 e fino alla data di entrata in vigore della legge».

3. L’affermazione del principio di cassa quale criterio di tassazione delle plusva-lenze da esproprio

Ora, posto che la fattispecie sottoposta all’attenzione dei Supremi Giudici è ascrivibile all’ipotesi sub c), essendo la cessione volontaria degli appezzamenti di terreni intervenuta negli anni fra il 1981 e il 1982 (in un’epoca, quindi, antecedente al 31 dicembre 1988), il thema decidendum della controversia ha riguardato «l’im-ponibilità, o meno, della plusvalenza con riferimento alla data del pagamento» (così si legge testualmente nella sentenza in rassegna) perfezionato nel 1997.

In altre parole, l’interrogativo che si è posto era se, ai fini dell’assoggettamento a tassazione delle plusvalenze in commento, dovesse darsi rilievo al momento del-l’emissione del titolo ovvero a quello della percezione e, quindi, nel caso di diffe-renza temporale degli stessi, se potesse ritenersi attratta a tassazione, in qualità di redditi diversi, un’attribuzione patrimoniale erogata sì in vigenza della L. n. 413, ma riferita ad un titolo ovvero ad una procedura espropriativa conclusasi in epoca antecedente al 31 dicembre 1988.

A tale quesito la Suprema Corte, nella sentenza in rassegna, ha dato risposta positiva, assumendo che il momento rilevante, ai fini dell’imponibilità delle som-me de quibus, coincide con quello percettivo. Depongono, infatti, in tal senso non solo l’art. 67, comma 1, lett. b) del TUIR, che prevede, nell’ambito dei redditi di-versi, le cessioni, a titolo oneroso, dei terreni edificabili (norma, come sopra ricor-dato, introdotta dalla stessa legge in commento) e al cui regime fiscale le plusvalenze da esproprio sono equiparate, ma ancora più, l’art. 11, comma 5, della L. n. 413, il quale dispone, a chiare lettere, che la plusvalenza è conseguente alla “percezione”

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di somme dovute a seguito di procedimenti espropriativi, con l’ulteriore precisa-zione, rafforzativa dell’interpretazione seguita, contenuta nel successivo comma 7, per cui la ritenuta a titolo di imposta deve effettuarsi all’atto della “corresponsione” delle somme per risarcimento danni da occupazione acquisitiva.

Il sistema fiscale delle plusvalenze, quali redditi diversi (non conseguiti, come precisa il comma 5, nell’esercizio di arti, professioni e imprese commerciali) è im-prontato, pertanto, al principio di cassa e non, come accade per i redditi di impre-sa 14, a quello di competenza 15, risultando, irrilevante, prosegue la Corte nella sen-tenza de qua, che «il trasferimento del bene sia avvenuto prima del 1° gennaio 1989», in quanto – motivano i Giudici di ultima istanza – «il diverso trattamento costituisce un effetto tipico della disciplina della successione delle leggi nel tempo, il cui decorso è di per sé, elemento diversificatore», richiamandosi ad una prece-dente recente giurisprudenza.

4. La posizione della Corte costituzionale

Sebbene la Corte, nella sentenza in rassegna, abbia seguito un percorso giurispru-denziale già formato e consolidato, non ritenendo di discostarsene, non può, tutta-via, sottacersi che una simile interpretazione ha dato luogo, nel corso degli anni, ad un vivace dibattito giurisprudenziale inducendo alcune Commissioni Tributarie a sollevare questione di legittimità costituzionale sotto il profilo dell’applicazione re-troattiva della disposizione transitoria – il comma 9 dell’art. 11, ancorché poi abro-gato – in relazione agli artt. 3 e 53 Cost.

E ciò per due distinte ragioni. In primo luogo, perché si riteneva che le somme, percepite a seguito di una pro-

cedura espropriativa, fossero prive di quel carattere speculativo che connota, inve-ce, le altre plusvalenze, derivanti dalla cessione, a titolo oneroso, di terreni suscet-tibili di utilizzazione edificatoria, costituendo, infatti, solo il ristoro per un’attività unilaterale della Pubblica Amministrazione, sì che il relativo assoggettamento a tas-sazione sarebbe in conflitto con l’art. 3. Se tale precetto è espressione, infatti, del principio di uguaglianza, formale e sostanziale, significa che a situazioni uguali de-

14 Sulla tassabilità, o meno, di somme corrisposte ad un contribuente imprenditore per indenni-tà di occupazione e risarcimento del danno dipendente da accessione invertita di un immobile, si segnala Cass., sez. I, 9 marzo 1995, n. 2726, con commento di BATISTONI FERRARA, Reddito, espro-priazione e risarcimento del danno, in Rass. trib., 1995, pp. 920-925.

15 Già Cass., sez. trib., 29 dicembre 1999, n. 14673 aveva fatto riferimento, per distinguerlo da quel-lo di cassa applicabile a tale materia, al principio di competenza valido per la tassazione dei redditi di impresa. Per più ampi approfondimenti sulla posizione assunta, nella sentenza indicata, dai Giudici di ultima istanza si rinvia alla nota di LAMBERT, La tassazione delle plusvalenze in caso di espropri im-mobiliari e i criteri di tassazione, in www.ilfisco.it.

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vono corrispondere uguali ragioni impositive e, correlativamente, a situazioni di-verse un trattamento tributario disuguale. Sottoporre, invece, al medesimo regime fiscale le plusvalenze, quale indennità percepita per effetto dell’esproprio (o di al-tre procedure similari), e le plusvalenze, quale corrispettivo per la cessione di un ter-reno edificabile, non avrebbe potuto certo sottrarsi al sindacato di legittimità.

In secondo luogo, per violazione dell’art. 53 Cost., il quale, sancendo il princi-pio di capacità contributiva, impone sì la concorrenza «di tutti alle spese pubbli-che», ma presuppone anche l’esistenza di indici rivelatori di ricchezza, ai quali non può ascriversi una somma non espressione di una forza economica nuova e concreta, quale è un indennizzo per la realizzazione di un interesse pubblico (o di pubblica uti-lità), percepito solo quale controvalore di una proprietà sottratta. Inoltre, dovendo la capacità essere attuale, essa deve riferirsi ad un fatto generatore non passato, al-trimenti, per dirla con le parole della stessa Corte costituzionale, «il rapporto che deve sussistere fra imposizione e capacità contributiva può risultare spezzato e il precetto costituzionale violato» 16.

E così, muovendo da questa conclusione, la giurisprudenza tributaria di merito 17 rilevò, già all’indomani dell’entrata in vigore della L. n. 413, che una siffatta previsio-ne normativa – il comma 9 dell’art. 11 per il quale erano attratte a tassazione anche le plusvalenze erogate nel triennio fra il 31 dicembre 1988 e il 1° gennaio 1992 – non era sorretta da una razionale presunzione tale per cui gli effetti economici della situa-zione passata permanessero nella sfera patrimoniale dell’obbligato, il quale potrebbe anche non essere più nella disponibilità dell’indennità, avendola potuta acquisire in un tempo notevolmente remoto, in cui non era neppure prevedibile l’istituzione del-l’imposta 18.

16 Corte cost., 26 giugno 1965, n. 50, in www.cortecostituzionale.it, la quale, ricorrendo al verbo “può”, fece intendere che il legame fra capacità contributiva e presupposto impositivo non necessa-riamente risulta vulnerato per effetto di una legge retroattiva, dovendone verificare la sussistenza, “di volta in volta”, in relazione a ciascuna legge tributaria.

17 Così, CT I grado Santa Maria Capua Vetere, ord. 21 aprile 1994; CT I grado Milano, sez. XXVI, dec. 2 giugno 1994, la quale ha sollevato la questione di legittimità costituzionale anche per viola-zione dell’art. 97 Cost., in ragione del fatto, con una motivazione quasi ante litteram rispetto alla sen-tenza in commento, che «l’imposizione retroattiva viene sostanzialmente a dipendere dalla maggio-re o minore solerzia dell’ente espropriante nell’emanazione del decreto di esproprio»; CTP Terni, ord. 21 settembre 2000; CTP Reggio Calabria, ord. 18 febbraio 2003. In dottrina, BERLIRI, Cessioni ed espropriazioni di aree fabbricabili. Dubbi interpretativi e di costituzionalità dell’art. 11 della L. 30 dicembre 1991, n. 413, in Il Fisco, 1992, p. 7583 ss, aveva ravvisato profili di incostituzionalità, in rela-zione all’art. 53 Cost., con riguardo alla retroattività delle disposizioni che assoggettavano a tassazione, a seguito di procedimento espropriativo, le relative plusvalenze.

18 Al concetto di non prevedibilità è ricorsa la Corte costituzionale, allorquando, sul solco trac-ciato pochi anni addietro (v. nota 11), fu chiamata a decidere sulla compatibilità con i precetti costi-tuzionali del comma 2 dell’art. 25 della L. 5 marzo 1963, n. 246, istitutiva di un’imposta sugli incre-menti di valore delle aree fabbricabili, che consentiva ai Comuni di applicarla a coloro i quali avessero alienato aree successivamente alla data di riferimento fissata, ma in un’epoca antecedente l’entrata in

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Le questioni di legittimità costituzionale sollevate sono state, tuttavia, respinte dal Giudice delle leggi 19, il quale le ha ritenute non fondate 20, non ravvisando, in relazione all’art. 3 Cost., alcuna discriminazione fra le due tipologie di plusvalenze – quelle per cessione di terreni edificabili e quelle derivanti dall’esproprio – in quan-to la tassazione delle prime, quale reddito, è correlata non ad un’attività speculativa del percettore, quanto al mero dato oggettivo della lievitazione dei prezzi, a segui-to dell’avvenuta destinazione edificatoria dei terreni, venendo meno, ad avviso del-la Corte costituzionale, quel presunto profilo di incostituzionalità, per violazione del principio di uguaglianza, denunciato dalle Commissioni Tributarie.

Al pari la Corte costituzionale ha respinto l’eccezione di illegittimità costitu-zionale, in riferimento all’art. 53 Cost., poiché la percezione della somma realizza quell’incremento di ricchezza che è attuazione del principio di capacità contributi-va, a prescindere dal suo riconoscimento: il presupposto impositivo può dirsi inte-grato nel momento in cui il privato riceve dall’Ente erogante una indennità che non può sottrarsi al prelievo fiscale, con ciò dando, seppur implicitamente, anche al principio di cassa una qualche copertura costituzionale.

Da ciò si potrebbe desumere che la Corte costituzionale abbia equiparato, onde ritenere non violato il precetto dell’art. 53 Cost., la semplice percezione di una somma al possesso, che, in quanto costituisce, ex art. 1 T.U. e in relazione a determi-nati redditi (fra cui quelli diversi), il presupposto dell’IRPEF, integra quel fatto gene-ratore espressivo di capacità contributiva, assoggettabile, in quanto tale, a tassazione.

Quanto, poi, al profilo della retroattività del comma 9 dell’art. 11 21, la Corte co- vigore, sì da tassare plusvalori conseguiti anche dieci anni prima. Nella sent. 23 maggio 1966, n. 44 (in www.cortecostituzionale.it), il Giudice delle leggi dichiarò l’illegittimità costituzionale della norma, che spezzava quel rapporto fra capacità contributiva e imposizione – mutuando il concetto espresso nella sentenza già ricordata e ora applicato concretamente – senza che l’efficacia retroattiva fosse supportata da una valida ragione, non potendo gravare il contribuente di un onere fiscale non pre-vedibile al momento dell’alienazione.

19 In dottrina, si rinvia a MAZZAROLLI, Considerazioni sulla indennità da espropriazione alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale, in Giur. cost., 1980, I, p. 1254 ss.

20 Per maggiori approfondimenti, v. Corte cost., 29 dicembre 1995, n. 533; Corte cost., 19 gen-naio 1995, n. 14, in Foro amm., 1997, p. 1597 e Corte cost., ord. 1° giugno 2000, n. 171.

21 In dottrina, quanto alla retroattività della norma relativamente al triennio precedente l’entrata in vigore, si rinvia a RUSSO, Riflessioni in tema di tassazione retroattiva delle plusvalenze realizzate a seguito dell’esproprio di terreni o della cessione volontaria dei medesimi in seno alle procedure ablative, in Rass. trib., 1995, p. 37; ID., Ancora in tema di tassazione retroattiva delle indennità da esproprio, in Rass. trib., 1998, pp. 225-227, in commento, peraltro critico, alla sentenza di Cass. n. 6620/1997, che ha as-soggettato a tassazione, ai sensi del comma 9 dell’art. 11, e, quindi, retroattivamente, somme percepite negli anni 1990 e 1991 per effetto della sentenza di quantificazione del danno mentre il trasferimen-to della proprietà era avvenuto negli anni 1985 e 1986. L’Autore, in particolare, ha osservato che, in tema di procedure espropriative, essendo l’atto economicamente rilevante il trasferimento della proprietà, la Corte è incorsa nell’errore di «ravvisare gli atti anche volontari e i provvedimenti men-zionati nel comma 9 dell’art. 11 non in quelli (per l’appunto, volontari o provvedimentali) traslativi

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stituzionale ne ha escluso la illegittimità sia per un’assunta prevedibilità della misu-ra impositiva successivamente adottata, sia per il breve lasso di tempo – un trien-nio dal 1° gennaio 1989 al 31 dicembre 1991 – entro il quale la retroattività era de-stinata ad operare 22.

Nonostante la posizione assunta dal Giudice costituzionale, si sviluppò un va-sto contenzioso in ordine alla imponibilità delle somme indennitarie, soprattutto nei casi in cui, peraltro non infrequenti, l’erogazione dell’attribuzione patrimoniale da parte dell’ente espropriante avesse avuto luogo nel vigore della legge, ma in vir-tù di un titolo emesso anni prima.

La Corte di Cassazione, investita, quale giudice di ultima istanza, della questio-ne, si assestò, nel corso degli anni, sul riconoscimento della tassazione delle inden-nità da esproprio, facendo leva sul momento della percezione del corrispettivo, che genera un aumento della capacità contributiva, a prescindere dalla data di emana-zione del provvedimento ablativo che ne ha determinato la corresponsione.

La plusvalenza che si realizza è costituita dall’incremento del valore di scambio di un bene fra il momento in cui esso entra nel patrimonio del soggetto e quello in cui ne fuoriesce, sì che il prelievo fiscale si giustifica ed è imputabile al solo dato oggettivo economico dell’incremento di valore conseguito, a prescindere dal titolo che determina l’uscita del bene, equiparando, quanto alla ratio della tassabilità, le plusvalenze di cui all’art. 67, comma 1, lett. b) e quelle da esproprio, non intercor-rendovi, almeno sotto il profilo delineato, alcuna distinzione.

Inoltre, vi è da notare come le norme in esame non contengano alcun cenno al “tempo” di emissione del provvedimento ablativo, ma – prosegue la Corte di Cas-sazione nella motivazione delle sentenze (quasi sempre ricorrente) – tale circo-stanza non è casuale, in quanto il sistema generale di imposizione dell’IRPEF è tracciato sul concetto di “possesso” di reddito, sì che, ai fini della tassabilità delle della proprietà e generatori della plusvalenza, bensì negli atti giurisdizionali intesi a liquidare le somme dovute a titolo di indennità». Ha, inoltre, soggiunto che il dubbio attiene, piuttosto, alla tassa-bilità di indennità pagate dopo l’entrata in vigore della L. n. 413/1991 a fronte di atti espropriativi verificatisi anteriormente al 31 dicembre 1988, propendendo per una soluzione negativa, onde evitare di «incorrere in quella sopravvalutazione del criterio di cassa imputabile alla sentenza in esame»; ID., Plusvalenze derivanti dalla cessione di terreni edificabili e di altre tipologie di immobili: analisi delle diverse fattispecie, in Il Fisco, 1999, p. 13447 ss.

22 Nella copiosità degli interventi della Corte costituzionale, si segnalano le sent. 20 luglio 1994, n. 315, in Riv. dir. trib., 1994, II, p. 537, con nota di BONALDO, L’“assoluzione” della tassazione retroat-tiva delle indennità da esproprio; 20 luglio 1995, n. 410; 22 aprile 1997, n. 111 e l’ord. 12 aprile 2002, n. 109. Muovendo dall’insegnamento espresso dal Giudice delle leggi, il Ministero delle Finanze, nella Circolare n. 194/1998, cit., ha precisato che è legittima la tassazione delle indennità da esproprio per-cepite nel periodo fra il 1° gennaio 1989 e il 31 dicembre 1991 e, cioè, prima dell’entrata in vigore della normativa in rassegna, perché ricorrono le condizioni cui la Corte costituzionale subordina una possi-bile retroattività delle norme tributarie nonché risulta rispettato il rapporto fra imposizione e capacità contributiva. Con questa pronuncia il Dicastero ha voluto porre un punto fermo nell’interpretazione delle disposizioni, ripercorrendo tutte le proprie precedenti posizioni.

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plusvalenze da esproprio, tale ultimo presupposto è integrato solo all’atto della percezione del corrispettivo, non ad un momento anteriore, risultando, pertanto, irrilevante, «accertare se il titolo che giustifica l’attribuzione patrimoniale è stato formato prima dell’entrata in vigore della L. n. 413/91» 23.

5. L’orientamento minoritario della giurisprudenza della Cassazione

Sebbene costituisca ius receptum il principio espresso dalla Cassazione nella sentenza in rassegna, una giurisprudenza minoritaria ha, invece, affermato che le somme percepite, a seguito di procedura espropriativa o di indennizzo per occu-pazione abusiva, nel triennio precedente il 31 dicembre 1991 (la nuova normativa è entrata in vigore il 1° gennaio 1992), potessero essere sì soggette al prelievo fisca-le purché nello stesso arco temporale fosse intervenuto anche il titolo, fonte della plusvalenza.

Il legislatore non ha, infatti, annoverato, nell’ambito dei redditi diversi, la mera riscossione di una somma di denaro, ma la plusvalenza realizzata, il cui venire ad esistenza presuppone necessariamente il concorso, oltre che dell’incremento di valo-re del bene, anche dell’atto di cessione del bene e, in ultima analisi, del pagamento di un corrispettivo superiore al prezzo di acquisto.

Solo una siffatta interpretazione, ad avviso dei Giudici, è coerente con il com-ma 9 dell’art. 11: «il legislatore non si è limitato ad ancorarne la retroattività alla sola percezione delle somme successivamente al 31 dicembre 1988 e prima del-l’entrata in vigore della legge, ma anche all’ulteriore fatto che successivamente al 31 dicembre 1988 fossero intervenuti gli atti (...), così riconoscendo l’idoneità di tali fatti ad incidere sulla portata retroattiva della legge» 24, non potendo la discipli-na transitoria essere estesa, sul piano interpretativo, alle riscossioni di plusvalenze successive all’entrata in vigore della legge, senza che – motiva in altre pronunce la Cassazione – «una simile disciplina né possa essere sospettata di contrastare l’art. 53 della Costituzione (...), né possa essere sospettata di irragionevolezza» 25.

23 Così, ex multis, Cass., sez. trib., 7 novembre 1998, n. 11229; Cass., sez. trib., 7 luglio 2000, n. 9154; Cass., sez. trib., 1° agosto 2000, n. 10056; Cass., sez. trib., 10 novembre 2000, n. 14628; Cass., sez. trib., 21 febbraio 2001, n. 2537; Cass., sez. trib., 19 luglio 2002, n. 10585; Cass., sez. trib., 27 giugno 2003, n. 10218; Cass., sez. trib., 18 novembre 2011, n. 24261; Cass., sez. trib., 18 gennaio 2012, n. 652; Cass., sez. trib., 16 febbraio 2012, n. 2194 e la giurisprudenza ivi richiamata.

24 Le parole in virgolette sono tratte da Cass., sez. trib., 9 febbraio 2000, n. 1430. 25 Questa argomentazione si rinviene in Cass., sez. trib., 14 maggio 2003, n. 7449.

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6. La soluzione al caso di specie

Pur non avendo i Giudici di ultima istanza messo in discussione, quale momento rilevante ai fini della tassabilità, il criterio della percezione delle indennità da espro-prio, in qualità di redditi diversi, a prescindere dalla eventuale anteriorità del titolo che le ha generate, la sentenza in commento si segnala per aver rivolto l’attenzione, ponendolo in discussione, all’operato della Pubblica Amministrazione.

La Cassazione si è chiesta se l’ingiustificato ritardo nella corresponsione della somma – quindici anni dopo l’avvenuta cessione volontaria da parte del privato – potesse assurgere a giustificazione del mancato assoggettamento a tassazione, do-vendo verificare se «il soggetto possa aver subito un danno a seguito della modifi-ca normativa nel frattempo intervenuta e che non avrebbe subito ove il pagamento fosse avvenuto nel termine ragionevole di definizione dei procedimenti ammini-strativi».

Nel risolvere questo nodo, la Cassazione ha seguito un “doppio binario”, fa-cendo leva, da un lato, sulla normativa CEDU e sulla giurisprudenza in tema di tu-tela del diritto di proprietà e di giustizia e ragionevole durata del processo, e, dal-l’altro lato, sul potenziale vulnus ai precetti costituzionali, con particolare riferi-mento ai principi di buon andamento e di imparzialità (art. 97), del giusto proces-so e della sua ragionevole durata (art. 111) e del rispetto, oltre che della Carta co-stituzionale, dei vincoli comunitari e internazionali all’esercizio della potestà legi-slativa da parte dello Stato e delle Regioni (art. 117).

Muovendo dall’art. 2 bis della L. n. 241/1990 sul procedimento amministrativo, il quale impone alla pubblica Amministrazione l’obbligo al risarcimento del danno ingiusto provocato dall’inosservanza colposa o dolosa del termine di conclusione del procedimento, i Giudici di ultima istanza sono giunti ad analizzare la decisione CEDU 26 – Di Belmonte contro Italia del 16 marzo 2010 – analoga alla presente.

Nel caso sottoposto al vaglio della Corte di Strasburgo, il ricorrente chiedeva se la riduzione dell’indennità da esproprio, imputabile ad un ritardo del Comune e al-l’applicazione retroattiva della L. n. 413 entrata in vigore dopo il decreto di espro-prio e il passaggio in giudicato della sentenza del Giudice di secondo grado, non violasse l’art. 1, Protocollo n. 1, il quale tutela il diritto di proprietà e, al contempo, riconosce agli Stati il diritto di introdurre leggi «necessarie per disciplinare l’uso

26 La CEDU, integrata e modificata da 14 Protocolli aggiuntivi, è un Trattato internazionale re-datto dal Consiglio di Europa, firmato a Roma il 4 novembre 1950 dagli allora Stati membri ed en-trato in vigore il 3 settembre 1953, ma, per l’Italia, il 10 ottobre 1955. In Italia, la L. 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. legge Pinto) ha introdotto il diritto ad una equa riparazione a favore di chi è stato leso nella ragionevole durata del processo, ex art. 6 della CEDU. La sent. n. 11984/2010, resa dal Tribu-nale Amministrativo Regionale del Lazio, ha invocato per la prima volta il Trattato di Lisbona, con il quale è stata accordata all’Unione Europea la competenza a stipulare l’accessione alla CEDU, per affermare l’effetto diretto della CEDU nell’ordinamento nazionale.

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dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento del-le imposte».

Se è vero che gli Stati possono introdurre misure capaci di comprimere il diritto di proprietà conformemente all’interesse generale 27, è altresì vero che un’ingeren-za, quale può qualificarsi l’istituzione di un’imposta 28, deve «tenere conto di un giusto equilibrio fra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli impera-tivi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo».

Quindi, conclude la Corte di Strasburgo, nella sentenza, cui si riferisce la stessa Cassazione, «l’obbligazione finanziaria nata dal prelevamento di imposte può por-si in contrasto con la garanzia sancita da questa disposizione (l’art. 1, Protocollo 1, CEDU) se essa impone alla persona in oggetto un carico eccessivo». Hanno ri-scontrato, poi, i Giudici europei, un comportamento negativo della pubblica Am-ministrazione nell’erogazione delle indennità, il cui ritardo ha inciso sull’applica-zione del regime fiscale, convenendo per la violazione dell’art. 1, Protocollo 1, CEDU, in quanto «l’applicazione retroattiva della legge n. 413 del 1991 non ha garantito quel giusto equilibrio fra l’interesse generale e la tutela dei diritti fonda-mentali dell’individuo» 29.

All’impostazione della Corte Europea i Giudici di ultima istanza aderiscono, forti anche del fatto che la CEDU è una delle «principali fonti di diritto interna-zionale di fonte pattizia», sì che – essi concludono – è necessario previamente ac-certare e tentare un’applicazione della normativa interna compatibile con i principi sanciti in sede comunitaria.

Infine, solo una lettura con uno sguardo rivolto anche all’“esterno” impedisce un possibile sindacato di legittimità costituzionale per violazione del principio consacrato nell’art. 97, il cui rispetto preclude alla pubblica Amministrazione, ob-bligata ad adottare un particolare contegno di imparzialità e di buon andamento,

27 Che la riscossione dei tributi sia un interesse fondamentale dello Stato, seppur non di qualsi-voglia tributo, è certo, ma – scrive MARCHESELLI, La (in)dipendenza del giudice tributario nella lente della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, in Dir. prat. trib., 2013, I, p. 387 – «il sacrificio che, in forza di tale supremazia può imporsi è solo quello imposto conformemente alla capacità contributiva così come misurata dalle norme di legge», precisando tuttavia, che «non esi-ste un interesse fiscale come generica posizione preminente, di vantaggio, del fisco, tale da dero-gare alla legge e ai principi», come si evince dall’applicazione dell’art. 1, Protocollo 1 alla materia tributaria.

28 Per ulteriori approfondimenti circa la valenza dei principi CEDU, si rinvia ad autorevole dot-trina, DEL FEDERICO, I principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in materia tributaria, in Riv. dir. fin., 2010, pp. 206-227, il quale pone in luce come i principi CEDU abbiano ricevuto, negli ultimi anni, sempre più frequente applicazione anche alla materia tributaria.

29 Negli stessi termini si è espressa la Corte di Strasburgo nel caso Stornaiolu c. Italia dell’8 agosto 2006, nel quale, constatata la violazione dell’art. 1, Protocollo 1, ha ulteriormente ribadito l’obbligo delle autorità nazionali di assumere le iniziative opportune e necessarie al ravvicinamento ai principi convenzionali, in conformità al principio di sussidiarietà.

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di trarre indebito vantaggio da un comportamento omissivo non altrimenti giusti-ficabile nel ritardo.

Al pari sono invocati, quale parametro della corretta interpretazione seguita, l’art. 117 il quale fa divieto agli Stati e alle Regioni di esercitare il potere legislativo in modo non conforme agli obblighi internazionali assunti e l’art. 111, il quale intro-duce, nel complesso dei diritti costituzionalmente tutelati, quello del giusto pro-cesso e della ragionevole durata, in ossequio all’art. 6 della CEDU 30, non potendo gravare sul contribuente un ulteriore iter giudiziario.

7. Osservazioni di sintesi

La Cassazione, con la sentenza in commento, ha confermato sì il principio di cassa, quale criterio per l’assoggettamento a tassazione, ma lo ha, al contempo, e-scluso perché, in conformità alla giurisprudenza comunitaria e ai precetti costitu-zionali, un ritardo di tal portata integra un inadempimento omissivo della parte pubblica, le cui conseguenze non possono riflettersi sul privato.

La soluzione ermeneutica appare rispettosa, pertanto, dei principi costituzionali e attuativa della giurisprudenza comunitaria, non potendo la Pubblica Amministra-zione, e, quindi, anche l’Agenzia delle Entrate, trarre indebito vantaggio da compor-tamenti che, come definiti in altre occasioni, sono “capziosi e dilatori”.

D’altro canto, una diversa statuizione, oltre a prestare il fianco ad una possibile questione di legittimità costituzionale per violazione delle disposizioni indicate, avrebbe leso quel più generale principio non scritto di certezza del diritto, il quale permea tutta la Carta costituzionale e l’ordinamento giuridico nel suo complesso, cui non fa eccezione il sistema fiscale.

Ora, se si muove dalla concezione per cui la certezza del diritto connota i rap-porti fra Stato e cittadino, nel senso che il primo, nella sua duplice funzione, legi-slativa e amministrativa, deve tutelare le aspettative create nel secondo 31, è agevole arguire che “certezza” significa anche non pretendere sacrifici più onerosi rispetto a quelli previsti e in qualche modo prevedibili: e tale è l’attesa per quindici anni di un’indennità di esproprio, attesa che ne ha comportato la tassazione.

30 In Athanasiou Vassilios e altri c. Grecia del 21 dicembre 2010, la Corte Europea dichiara, con questa prima sentenza pilota emessa nei confronti della Grecia, la violazione dell’art. 6.1 in materia di irragionevole durata dei procedimenti, invitando al contempo il Governo ad adottare, entro un anno, sistemi giurisdizionali effettivi volti a risolvere definitivamente il problema dell’eccessiva durata dei processi.

31 Fra gli interessi costituzionalmente garantiti – insegna la Corte costituzionale – va annoverato «l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica che, quale essenziale elemento dello Stato di dirit-to, non può essere leso da disposizioni retroattive, le quali trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti», così in Corte cost., 4 novembre 1999, n. 416.

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E la certezza, con riguardo alla Pubblica Amministrazione, si concretizza ap-punto nel dovere consacrato nell’art. 97 Cost., e cioè nel dovere, in capo alla stessa, di predeterminare i criteri e le modalità di attuazione delle scelte, dettate dalla con-gruità e dalla ragionevolezza nel contemperamento degli interessi in gioco, doven-do la parte pubblica agire nel modo più conveniente e adeguato possibile.

Nozione di “interessi in gioco” che la stessa Corte di Cassazione ha ben tenuto presente nello sviluppo logico-argomentativo della sentenza in rassegna, avendo ne-gato l’assoggettamento a tassazione di una plusvalenza relativa ad un’indennità di esproprio che sarebbe spettata nel 1982, ma che il Comune ha erogato ben 15 anni dopo (!).

Del resto, i Supremi Giudici altro non hanno fatto che recepire l’insegnamento di fonte comunitaria, il quale, pur mantenendo fermo il potere delle autorità na-zionali di decidere la tipologia di imposte o delle contribuzioni da applicare, ha im-putato all’applicazione retroattiva della L. n. 413 (la stessa del caso sottoposto ai Giudici di ultima istanza) di non aver garantito «quel giusto equilibrio fra l’interes-se generale e la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo per la violazione del-l’art. 1, Protocollo 1, CEDU».

“Interessi in gioco” che, in ultima analisi, hanno ricevuto, con riguardo alla ma-teria fiscale, un’espressa codificazione e collocazione nell’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente, nella norma, cioè, che ha positivizzato il principio di buona fede e di collaborazione dei rapporti fra Amministrazione finanziaria e contribuente.

Norma, quella statutaria, che, con riguardo alla parte pubblica, in applicazione dell’art. 97 Cost., le vieta di adottare un comportamento incompatibile con il ri-spetto dell’affidamento del contribuente e in contrasto con il concetto di equo eser-cizio della funzione impositiva.

In via conclusiva, si può, quindi, affermare che la sentenza in rassegna si segnala per aver focalizzato l’attenzione sull’operato della Pubblica Amministrazione, rite-nuto non satisfattivo del precetto costituzionale testè invocato, in quanto il soggetto percipiente non avrebbe subito alcun danno, in termini di tassazione delle somme ricevute, se l’Amministrazione comunale avesse provveduto alla relativa erogazione nel termine “ragionevole” di definizione dei procedimenti amministrativi.

Ma soprattutto, un comportamento siffatto si rivela, ad avviso dei Supremi Giu-dici, non conforme alle ammonizioni che gli organi di giustizia comunitaria hanno rivolto e rivolgono all’Italia, nel senso di garantire, in ossequio ai principi CEDU e vincolanti anche il sistema giuridico interno e i Giudici stessi, l’attuazione, effettiva e sostanziale, delle ragioni del privato.

È vero, infatti, che un atto della pubblica autorità, capace di incidere, negativa-mente, sul diritto di proprietà, deve soddisfare un giusto bilanciamento fra le esi-genze dell’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fonda-mentali dell’individuo. Ed è, altresì, vero – si potrebbe obiettare – che, in realtà, le sentenze di matrice comunitaria accordano allo Stato un ampio margine di apprez-

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zamento nel verificare il rispetto di questo equilibrio, ma è sempre compito dello Stato – né lo si potrebbe obliterare – assumere tutte le misure necessarie ad attuare il ravvicinamento ai principi convenzionali, nel caso in cui si constati una disfunzione nel sistema di protezione dei diritti umani.

E la Corte di Cassazione ha giustamente ravvisato, nella fattispecie in esame, una simile disarmonia avendo il Comune erogato con quindici anni di ritardo una som-ma che, nell’ipotesi di maggiore celerità ed efficienza, non sarebbe stata certamente attratta a tassazione, né un simile contegno può ripercuotersi sul cittadino incolpe-vole.

Paola Marongiu

Cass., sez. un., sent. 29 luglio 2013, n. 18184 – Pres. Luccioli, Est. Virgilio Procedimento di accertamento – Garanzie del contribuente – Violazione termine di sessanta giorni per deduzioni difensive – Annullamento avviso di accertamen-to – Motivi di urgenza – Necessità della sussistenza anche se non rappresentati nell’atto

In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, art. 12, comma 7, della L. 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosser-vanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accerta-mento è termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effet-tuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contrad-dittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di deriva-zione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.

Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella con-creta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio.

RITENUTO IN FATTO Omissis

CONSIDERATO IN DIRITTO 1. omissis 2. Con l’unico motivo formulato, la ricorrente formula il quesito “se ha violato la

L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, la CTR di Palermo che ha ritenuto che la notifica dell’avviso di accertamento prima dello scadere del termine di sessanta giorni ne de-termini ipso iure la nullità”.

Su tale questione la giurisprudenza della quinta sezione ha dato luogo, come pun-tualmente rilevato nell’ordinanza di rimessione al Primo Presidente, ad orientamenti variegati.

In estrema sintesi, si è infatti ritenuto che l’avviso di accertamento emesso prima del decorso del termine di sessanta giorni previsto dalla norma in esame:

a) è in ogni caso valido, per il principio di tassatività delle nullità, “sanzione” non

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comminata dalla norma (e che, anzi, era prevista nel testo originario del disegno di legge e poi fu soppressa); per la natura vincolata dell’atto rispetto al verbale di consta-tazione sul quale si fonda; perché il contribuente ha comunque altri strumenti a dispo-sizione (accertamento con adesione, istanza di autotutela, ecc.); perché è errato riferi-re la nullità al difetto di motivazione sull’urgenza, in quanto le norme sulla motivazio-ne degli atti tributari attengono al contenuto della pretesa, non ai tempi di emanazione dell’atto; perché, infine, la nullità costituirebbe una conseguenza sproporzionata ri-spetto agli interessi costituzionali contrapposti (in tali sensi, sia pure con differenti sotto-lineature, cfr. Cass. nn. 19875 del 2008; 3988, 18906 – la quale, tuttavia, conclude in senso opposto, in ossequio all’orientamento all’epoca prevalente e quindi al criterio interpretativo della conformità ai precedenti – e 21103 del 2011; 16992 del 2012);

b) è invalido solo in assenza di motivazione dell’urgenza che ne ha determinato l’adozione ante tempus: tale indirizzo, in applicazione di quanto affermato da Corte cost. n. 244 del 2009, appunta, quindi, l’invalidità dell’atto al difetto di motivazione sulle ra-gioni dell’urgenza di provvedere, vizio sanzionato, in generale, dalla L. n. 241 del 1990, art. 21 septies, (introdotto dalla L. n. 15 del 2005) e, in materia tributaria, dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, e dal D.Lgs. n. 32 del 2001, (Cass. nn. 22320 del 2010; 10381 e 14769 del 2011; 4687, 11347 e 16999 del 2012);

c) è invalido in mancanza di motivi di urgenza, poiché il mancato rispetto del ter-mine sacrifica un diritto riconosciuto al contribuente, con conseguente illegittimità del-l’accertamento, senza bisogno di specifica previsione (Cass. nn. 5652 e 6088 del 2011); in particolare, inoltre, poiché la norma impone un termine per l’esercizio dell’azione impositiva piuttosto che un obbligo di motivazione circa il requisito dell’urgenza (ob-bligo che non rientra nella previsione della L. n. 212 del 2000, art. 7), l’esistenza di quest’ultimo opera ex se, senza che, ai fini dell’esonero dall’osservanza del termine, sia necessario che il fatto che determina l’urgenza sia enunciato nell’atto impositivo (Cass. n. 11944 del 2012).

3.1. La L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, (Disposizioni in materia di statuto dei di-ritti del contribuente), rubricato Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifi-che fiscali, dispone, al comma 7, che: “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comu-nicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici im-postori.

L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.

Per gli accertamenti e le verifiche aventi ad oggetto i diritti doganali di cui all’art. 34 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, si applicano le disposizioni del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11” (l’ultimo periodo è stato aggiunto dal D.L. n. 1 del 2012, art. 92, con-vertito in L. n. 27 del 2012).

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La questione sottoposta all’esame delle sezioni unite consiste nello stabilire se l’i-nosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di ac-certamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia sta-to effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio del-la propria attività (art. 12, comma 1), della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – costituisca, nel silenzio della norma, una mera irregolarità sostanzialmen-te priva di conseguenze esterne, ovvero dia luogo, ad eccezione di casi di “particolare e motivata” urgenza, ad un vizio di legittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, che può essere fatto valere dal contribuente al fine di ottenere, per ciò solo, in sede contenziosa, l’annullamento dell’atto stesso.

Il Collegio ritiene di dover adottare la seconda soluzione, per le ragioni e con le precisazioni che seguono.

3.2. Va, innanzitutto, attribuito il dovuto rilievo già al solo fatto che la norma in esame è inserita nello Statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212 del 2000 cit.), il cui art. 1, com’è noto, stabilisce, al comma 1, che “le disposizioni della presente legge, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., costituiscono principi generali dell’ordina-mento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”.

Anche se è consolidato il principio secondo il quale alle norme statutarie non può es-sere attribuito, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria (e quindi esse non costituiscono, neppure come norme interposte, parametro idoneo a fondare il giudizio di legittimità costituzionale) (da ult., Corte cost., ord. n. 112 del 2013; Cass. nn. 8254 del 2009, 8145 del 2011), tuttavia alla specifica “clausola rafforzativa” di au-toqualificazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali ri-chiamate e come “principi generali dell’ordinamento tributario” non può non essere attribuito un preciso valore normativo: quest’ultima espressione, in particolare, e per quanto qui interessa, deve essere intesa nel significato di “principi generali del diritto, dell’azione amministrativa e dell’ordinamento tributari” e si riferisce evidentemente, in primo luogo, a quelle disposizioni statutarie che dettano norme volte ad assicurare la trasparenza e il buon andamento dell’attività amministrativa e ad orientare in senso garantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario (Cass. n. 17576 del 2002). A buona parte di dette disposizioni va attribuito il ruolo di espressione di prin-cipi immanenti nell’ordinamento tributario, già prima dell’entrata in vigore dello Sta-tuto, e quindi di criteri guida per orientare l’interprete nell’esegesi delle norme, anche anteriormente vigenti (oltre a Cass. n. 17576 del 2002, cit., cfr. Cass. nn. 7080 del 2004, 9407 del 2005, 21513 del 2006, 9308 del 2013).

3.3. Nell’ambito delle norme statutarie, l’art. 12 assume una rilevanza del tutto pe-culiare, in ragione del suo oggetto (Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a ve-rifiche fiscali) e delle finalità perseguite.

L’incipit del comma 7, in particolare, nel richiamare il “rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente”, qualifica chiaramente la norma

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come espressiva dei principi di “collaborazione” e “buona fede”, i quali, ai sensi del pre-cedente art. 10, comma 1, devono improntare i rapporti tra contribuente e fisco e vanno considerati (analogamente al principio di tutela dell’affidamento, più specificamente contemplato nello stesso art. 10, comma 2) quali diretta applicazione dei principi co-stituzionali di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), di capacità contributiva (art. 53) e di uguaglianza, intesa sotto il profilo della ragionevo-lezza (art. 3), e quindi, in definitiva, come fondamenti dello Stato di diritto e canoni di civiltà giuridica (cfr., tra le altre, oltre a quelle già indicate, Cass. nn. 24217 del 2008, 3559 e 25197 del 2009, 21070 del 2011, 6627 del 2013).

La norma, poi, introduce nell’ordinamento una particolare e concreta forma di “col-laborazione” tra amministrazione e contribuente, attraverso la previsione di un termi-ne dilatorio di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, prima della cui scadenza, e salvo le eccezioni di cui si dirà, l’atto impositivo – come la norma prescrive con espressione “forte” – “non può essere emanato”: tale intervallo temporale è desti-nato a favorire l’interlocuzione tra le parti anteriormente alla (eventuale) emissione del provvedimento, e cioè il contraddittorio procedimentale.

Quest’ultimo è andato assumendo, in giurisprudenza e in dottrina (e nella stessa le-gislazione), proprio con specifico riferimento alla materia tributaria, un valore sempre maggiore, quale strumento diretto non solo a garantire il contribuente, ma anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva, il quale, nell’interesse anche dell’ente impositore, risulterà tanto più efficace, quanto più si rivelerà conformato ed adeguato – proprio in virtù del dialogo tra le parti, ove reso possibile – alla situazione del contribuente, con evidenti riflessi positivi anche in termini di deflazione del con-tenzioso (se non, ancor prima, nel senso di indurre l’amministrazione ad astenersi da pretese tributarie ritenute alfine infondate).

In ambito giurisprudenziale è sufficiente ricordare le seguenti pronunce: a) Corte di giustizia dell’Unione Europea, sentenza 18 dicembre 2008, in causa C-

349/07, Sopropè, con la quale, sia pure in materia di tributi doganali, ma con evidenti riflessi di ordine generale, è stato valorizzato il principio della partecipazione del con-tribuente – il quale “deve essere messo in condizione di far valere le proprie osserva-zioni” – a procedimenti in base ai quali l’amministrazione si proponga di adottare nei suoi confronti un atto di natura lesiva;

b) Cass., sez. un., n. 26635 del 2009, con la quale, in materia di accertamento “stan-dardizzato”, è stato affermato che “il contraddittorio deve ritenersi un elemento essen-ziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa” (la Corte è così pervenuta ad affermare la nullità – non esplicitamente comminata – degli avvisi di accertamento emessi con il metodo dei “parametri” o degli studi di settore, in assenza di previa attiva-zione del contraddittorio con il contribuente);

c) Cass. n. 28049 del 2009, nella quale, con riguardo alla norma che prevede l’invio di un questionario al contribuente sottoposto ad accertamento (D.P.R. n. 600 del 1973,

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art. 32, comma 1, n. 4), si afferma che essa, così come quella che prevede la compari-zione personale del contribuente (art. 32, comma 1, n. 2), si prefigge “il meritorio sco-po (...) di favorire il dialogo e l’intesa tra fisco e cittadino – rapporti che debbono esse-re necessariamente improntati a lealtà, correttezza e collaborazione, in quanto siano in gioco obblighi di solidarietà come quello in materia tributaria (C. cost., sent. n. 351/ 2000) – e di evitare, per quanto possibile, il ricorso a procedure contenziose”; nonché, recentemente, Cass. n. 453 del 2013, la quale, riprendendo il precedente ora citato, ha ritenuto, sulla base del “canone di lealtà” che trova fondamento negli artt. 6 e 10 dello Statuto del contribuente, che l’omissione dell’avvertimento – prescritto dalla norma a carico dell’Ufficio – in ordine alle conseguenze derivanti al contribuente dalla mancata risposta al questionario, e cioè l’inutilizzabilità in sede amministrativa e contenziosa di dati e notizie non addotti, comporta l’inoperatività di tale preclusione.

3.4. Le considerazioni sin qui svolte consentono di giungere ad una prima conclu-sione: l’inosservanza del termine dilatorio prescritto dall’art. 12, comma 7, in assenza di qualificate ragioni di urgenza, non può che determinare l’invalidità dell’avviso di ac-certamento emanato prematuramente, quale effetto del vizio del relativo procedimen-to, costituito dal non aver messo a disposizione del contribuente l’intero lasso di tem-po previsto dalla legge per garantirgli la facoltà di partecipare al procedimento stesso, esprimendo le proprie osservazioni (che l’Ufficio è tenuto a valutare, come la norma prescrive), cioè di attivare, e coltivare, il contraddittorio procedimentale.

La “sanzione” della invalidità dell’atto conclusivo del procedimento, pur non e-spressamente prevista, deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e nazionale, nella quale la norma opera e, in particolare, dal rilievo che il vizio del pro-cedimento si traduce, nella specie, in una divergenza dal modello normativo (non cer-to innocua o di lieve entità – non paragonabile, ad es., alla omessa indicazione del re-sponsabile del procedimento, ora sanzionata ex lege da nullità per le cartelle di paga-mento: Cass., sez. un., n. 11722 del 2010 –, bensì) di particolare gravità, in considera-zione della rilevanza della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali, cui la norma stessa assolve – sopra delineata – e della forza impediente, rispetto al pie-no svolgimento di tale funzione, che assume il fatto viziante.

A fronte di ciò, è vano addurre sia il preteso carattere “vincolato” dell’avviso di ac-certamento rispetto al verbale di constatazione sul quale si basa (tesi, almeno se riferi-ta – per quanto qui interessa – al contenuto del provvedimento, chiaramente infonda-ta), sia l’esistenza di ulteriori strumenti di tutela per il contribuente (istanza di autotu-tela, accertamento con adesione, ecc.), rilievo che, a prescindere dalle considerazioni attinenti al momento in cui tali mezzi sono esperibili, si rivela in ogni caso inidoneo ad escludere autonoma rilevanza alla portata precettiva della norma in esame.

4.1. Si tratta ora di precisare come opera, in relazione al vizio di legittimità dell’atto emesso ante tempus, la deroga prevista per i “casi di particolare e motivata urgenza”, in presenza dei quali l’Ufficio è esonerato dal rispetto del termine dilatorio. La norma, infatti, come detto, dopo aver stabilito l’obbligo dell’amministrazione, per le ragioni so-

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pra ampiamente esposte, di attendere almeno sessanta giorni dalla fine delle operazio-ni di verifica prima di procedere all’emanazione dell’atto (obbligo, va rilevato, di age-vole osservanza con l’uso della minima diligenza), ha, poi, adottando un bilanciamen-to del tutto ragionevole dei valori in campo, introdotto l’eccezione derivante dall’urgen-za di provvedere.

4.2. Premesso che spetta all’interprete il compito di delineare l’oggetto e i confini di una ipotesi di invalidità introdotta per via ermeneutica, ritiene il Collegio di dover preferire l’orientamento che fa derivare l’illegittimità non già dalla mancanza, nell’atto notificato, della motivazione circa la ricorrenza di un caso di urgenza, bensì dalla non configurabilità, in fatto, del requisito dell’urgenza.

Deve, infatti, condividersi l’osservazione (presente in più pronunce di questa Cor-te, sopra citate, anche se poi pervenute ad esiti diversi) secondo cui l’obbligo di moti-vazione degli atti tributari, assistito da sanzione di nullità in caso di inottemperanza, è quello che ha ad oggetto il contenuto sostanziale della pretesa tributaria, cioè “i pre-supposti di fatto e le ragioni giuridiche” che hanno determinato la decisione dell’am-ministrazione (art. 7, comma 1, dello Statuto, seguito, in relazione alle singole impo-ste, dal D.Lgs. n. 32 del 2001), non essendo, invece, necessario dar conto, in quella se-de (e, comunque, non a pena di invalidità, salvo eccezioni espresse), del rispetto di re-gole procedimentali, quali, come nella specie, quelle attinenti al tempo di emanazione del provvedimento: l’osservanza delle regole del procedimento, infatti, ove contestata, sarà oggetto di dibattito e di valutazione nelle sedi stabilite (amministrativa in caso di istanza di autotutela, contenziosa in caso di ricorso al giudice tributario).

Né, in senso contrario, è condivisibile la tesi secondo la quale, nella norma in esa-me, la motivazione dell’urgenza è esplicitamente prescritta.

In primo luogo, l’espressione “salvo casi di particolare e motivata urgenza” non ap-pare in sé decisiva, poiché non individua con certezza nell’atto impositivo la (unica) sede in cui la “motivata urgenza” deve essere addotta dall’Ufficio: l’uso del termine “mo-tivata” non implica, infatti, necessariamente il richiamo alla motivazione dell’avviso di accertamento.

In secondo luogo, e comunque, deve ritenersi che risponda a criteri di equilibrio degli interessi coinvolti e di ragionevolezza far dipendere la validità o meno dell’atto emesso ante tempus dalla sussistenza o meno, nella realtà giuridico-fattuale, del requi-sito dell’urgenza, anziché dalla circostanza (avente valore del tutto secondario) che tale requisito sia, o no, enunciato nell’atto: ciò che conta, in definitiva, ai fini dell’eso-nero dell’Ufficio dall’osservanza del termine dilatorio, è unicamente il fatto che la par-ticolare urgenza di provvedere effettivamente nella fattispecie vi sia stata.

Ne deriva che la questione si sposta in sede contenziosa, nel senso che, a fronte di un avviso di accertamento emesso prima della scadenza del termine de quo e privo dell’enunciazione dei motivi di urgenza che lo legittimano, il contribuente potrà, ove lo ritenga, anche limitarsi ad impugnarlo per il solo vizio della violazione del termine (cfr. Cass., sez. un., nn. 16412 del 2007 e 5791 del 2008, in tema di mancato rispetto

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della sequenza procedimentale prevista per la formazione della pretesa tributaria): spet-terà, quindi, all’Ufficio l’onere di provare la sussistenza (all’epoca) del requisito esone-rativo dal rispetto del termine e, dunque, in definitiva, al giudice, a seguito del dibattito processuale (e senza, perciò, che il contribuente subisca alcuna menomazione del di-ritto di difesa), stabilire l’esistenza di una valida e “particolare” – cioè specificamente riferita al contribuente e al rapporto tributario in questione – ragione di urgenza, ido-nea a giustificare l’anticipazione dell’emissione del provvedimento.

5. In conclusione, deve essere enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del ter-mine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termi-ne decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un ac-cesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della co-pia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddit-torio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di deriva-zione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuen-te ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio inva-lidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio”.

6. In applicazione dell’anzidetto principio, il ricorso dell’Agenzia delle entrate deve essere rigettato.

Come detto in narrativa, infatti, il giudice di merito ha accertato che nella specie l’emanazione anticipata dell’atto impugnato non è stata sorretta da validi motivi di ur-genza, mai addotti dall’Ufficio.

7. L’esistenza del contrasto giurisprudenziale che ha dato luogo all’intervento delle sezioni unite induce a disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso e compensa le spese. Così deciso in Roma, il 14 maggio 2013. Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2013

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Avviso di accertamento ante tempus e vizi dell’atto

Ante tempus notice of assessment and invalidity

Abstract La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha deciso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio del processo verbale di chiusura delle ope-razioni di verifica comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento, riconoscen-do quindi la necessità di un contraddittorio procedimentale. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che il vizio invalidante non sussista nell’omissione della rappresentazio-ne nella motivazione dell’atto delle ragioni di urgenza, bensì nella loro effettiva assenza, da verificarsi anche in sede processuale nonostante non se ne sia fatta menzione nell’atto; e ciò non è condivisibile. Parole chiave: procedimento, contraddittorio, avviso di accertamento, urgenza, motivazione The Grand Chamber of the Italian Supreme Court held that the failure to comply with the sixty-days term from the issuance of the conclusive tax report implies the in-validity of the notice of assessment, thus recognising the need for a procedure in which both parties are heard. Nevertheless, the Court held that no invalidity occurs in case the notice of assessment does not specify the reasons of urgency, but only in case of their effective absence that shall be verified also during the tax trial; and this does not appear to be shareable. Keywords: Proceeding, notice of assessment, taxpayer bill of rights, procedural gua-rantees, justification

SOMMARIO: 1. L’intervento delle Sezioni Unite sulla discussa questione delle conseguenze derivanti dall’i-nosservanza delle regole previste dall’art. 12, ultimo comma, dello Statuto. – 2. La soluzione individuata in merito alla motivazione delle ragioni di urgenza legittimanti la mancata conces-sione del termine di garanzia: critica. – 3. Il principio individuato dalla Corte è applicabile an-che alle verifiche effettuate in ufficio?

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1. L’intervento delle Sezioni Unite sulla discussa questione delle conseguenze de-rivanti dall’inosservanza delle regole previste dall’art. 12, ultimo comma, del-lo Statuto

La questione portata all’esame delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza in commento riguardava la conseguenza derivante dall’inosservanza del precetto di cui all’art. 12, ultimo comma, dello Statuto dei diritti del contribuen-te, che prevede che, terminata la verifica, sia rilasciato un processo verbale di chiu-sura al contribuente, che questi possa comunicare entro sessanta giorni osserva-zioni e richieste, da valutarsi necessariamente dall’ufficio impositore, e che l’atto impositivo non possa essere emanato prima della scadenza di detto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione, come noto, ha percorso tre diversi indirizzi giurisprudenziali, riepilogabili come segue 1.

Ad un primo indirizzo sono ascrivibili quelle sentenze che hanno cassato con rinvio le sentenze di merito che avevano annullato gli atti impositivi, rilevando la mancanza del controllo della rispondenza della motivazione degli atti rispetto alle ragioni che avevano determinato l’urgenza ed avevano indotto l’amministrazione finanziaria all’emissione anticipata degli atti stessi 2.

Un altro orientamento, invece, ha negato l’indefettibilità della garanzia del con-traddittorio procedimentale e, attribuendo valore decisivo alla mancanza della e-spressa previsione di nullità nello Statuto dei diritti del contribuente, ha concluso per la qualificazione di mera irregolarità della violazione dell’art. 12 dello Statuto stesso 3.

1 V. in proposito TABET, Ancora incerta la sorte degli accertamenti emessi prima del termine di ses-santa giorni, in Corr. trib., 2011, p. 3693 s., la cui catalogazione è stata ripresa dall’ordinanza della Cass., sez. trib., 11 maggio 2012, n. 7318, che ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite per dirimere il con-trasto giurisprudenziale. Anche la giurisprudenza di merito si è andata dividendo tra i filoni interpre-tativi seguiti dalla Corte di legittimità: per un riepilogo v. COLLI VIGNARELLI, La Cassazione si pro-nuncia in modo discorde in tema di invalidità dell’accertamento per violazione del contraddittorio antici-pato, in Rass. trib., 2012, p. 453 s., nota 23.

2 Si tratta, ad esempio, di Cass., sez. trib., 3 novembre 2010, n. 22320, con nota di RENDA, La nul-lità degli atti impositivi che non esplicitano le ragioni della soppressione del contraddittorio preventivo, in GT-Riv. giur. trib., 2011, p. 213 s., Cass., sez. trib., 12 maggio 2011, n. 10381; Cass., sez. VI, ord. 5 luglio 2012, n. 11347; Cass., sez. trib., 23 marzo 2012, n. 4687.

3 V. Cass., sez. trib., ord. 18 febbraio 2011, n. 3988; Cass., sez. trib., 13 ottobre 2011, n. 21103, con nota di RENDA, L’impossibilità di esercitare il diritto al contraddittorio anticipato non determina l’invalidità dell’atto impositivo, in GT-Riv. giur. trib., 2011, p. 1028 s., Cass., sez. trib., 13 luglio 2012, n. 11944; Cass., sez. trib., 28 settembre 2012, n. 16557; Cass., sez. trib., 5 ottobre 2012, n. 16992. A commento delle sentenze n. 18906/2011 e n. 21103/2011 v. anche RUSSO, Le conseguenze del man-cato rispetto del termine di cui all’art. 12, ultimo comma, della legge n. 212/2000, in Riv. dir. trib., 2011, I, p. 1077 s.

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Un terzo indirizzo, infine, ha riconosciuto che il termine dilatorio in esame ha funzione di garanzia per il contribuente ed ha conseguentemente deciso che la sua lesione provoca un vizio che invalida l’atto impositivo successivo 4.

Ovviamente ogni filone giurisprudenziale è stato costretto a tener conto della no-ta ord. 24 luglio 2009, n. 244 emessa dalla Corte costituzionale, che, intervenendo a proposito della legittimità costituzionale ex artt. 24 e 111 Cost. dell’art. 12, com-ma 7, della L. n. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), ha rigettato l’eccezione di incostituzionalità 5, poiché il giudice remittente avrebbe dovuto valu-tare la questione della legittimità dell’avviso di accertamento non rispettoso del-l’obbligo di motivazione, anche sotto il profilo dell’urgenza, alla luce del combina-to disposto degli artt. 12 della L. n. 212/2000, 7, comma 1, della stessa legge, e 3 e 21 septies della L. n. 241/1990, come di recente modificata. Anche di tale ordinan-za ogni indirizzo giurisprudenziale ha incidentalmente fornito una propria inter-pretazione, coerente con il risultato raggiunto. Ed ha potuto far ciò grazie al fatto che la Corte costituzionale ha adottato un’ordinanza di inammissibilità per insuffi-ciente sforzo interpretativo e non una decisione interpretativa di rigetto; essa, quindi, non ha valore vincolante né per il giudice remittente né, tanto meno, per gli altri giudici 6, pur costituendo un autorevole precedente.

Le Sezioni Unite hanno risolto le divergenze interpretative anzitutto conclu-dendo per l’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso antecedentemente al decorso del termine di sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura, contemplato dall’art. 12, ultimo comma, dello Statuto dei diritti del con-tribuente.

Le argomentazioni della Corte sulla questione sono particolarmente convin-centi.

Anzitutto, la Corte ha ricordato che lo Statuto, sebbene abbia rango di legge ordinaria, in virtù della speciale clausola rafforzativa di autoqualificazione delle di-sposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come prin-

4 Così Cass., sez. trib., 15 marzo 2011, n. 6088 (che si veda anche per il riconoscimento della qualifica di processo verbale di chiusura, di cui all’art. 12 dello Statuto, a due verbali meramente de-scrittivi dell’accesso, ai quali non erano seguiti altri atti del procedimento portati a conoscenza del contribuente), Cass., sez. trib., 16 settembre 2011, n. 18906 (ove in specie è interessante il richiamo alla salvaguardia dell’unità dell’interpretazione), con nota di COLLI VIGNARELLI, op. cit., p. 453 s., Cass., sez. V, ord. 28 dicembre 2011, n. 29156; Cass., sez. trib., 5 ottobre 2012, n. 16999; Cass., sez. trib., 9 marzo 2011, n. 5652.

5 Sul tema v. MARCHESELLI, Nullità degli avvisi di accertamento senza contraddittorio con il contri-buente, in Corr. trib., 2009, p. 2915 s., BASILAVECCHIA, Quando le ragioni di urgenza possono giustificare l’anticipazione dell’accertamento?, in Corr. trib., 2010, p. 3969s., BRUZZONE, Diritto al contraddittorio preventivo e motivazione del provvedimento impositivo nell’interpretazione adeguatrice “suggerita” dalla Consulta, in GT-Riv. giur. trib., 2010, p. 121 s.

6 Come rilevato da TABET, La sospensione del potere impositivo per 60 giorni tra interpretazione adeguatrice e diritto vivente, in GT-Riv. giur. trib., 2011, p. 926.

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cipi generali del diritto, dell’attività amministrativa e dell’ordinamento tributario, ha il compito di assicurare che l’azione amministrativa sia esercitata in senso garanti-stico ed esprima principi immanenti nell’ordinamento tributario, da reputarsi vi-genti anche prima dell’entrata in vigore dello Statuto medesimo. È la nota posizio-ne della Corte, che riconosce allo Statuto una particolare forza (ancorché ciò non si tramuti in supremazia sulle altre leggi 7), per l’essere espressione di principi co-stituzionali.

Ma se, in passato, la Corte aveva attribuito tale qualità alle prime norme dello Statuto, nella sentenza in commento essa è giunta, condivisibilmente, a riconosce-re il ruolo cardine che l’art. 12 assume nell’economia dei rapporti tra contribuente e Fisco, sottolineando che in esso sono disciplinati i diritti e le garanzie del contri-buente sottoposto a verifiche fiscali. E difatti la Corte dapprima ha sottolineato il profilo collaborativo cui la norma è sottesa (anche come diretta applicazione degli artt. 97 Cost. 8, 53 Cost. e 3 Cost.), ma poi più opportunamente ha messo a fuoco il vero punto centrale: il contraddittorio procedimentale, rispetto al quale ha ri-marcato il generale riconoscimento che la giurisprudenza 9 e la dottrina 10 hanno espresso.

La Corte peraltro ha proseguito, anche nella sentenza in esame, quell’opera di “dialogo tra Corti” che è virtuosa caratteristica dei tempi più recenti. Non a caso, la prima sentenza citata a conferma dell’indirizzo giurisprudenziale favorevole alla valorizzazione del contraddittorio procedimentale è la ben nota sentenza Sopro-pè 11, emessa dalla Corte di Giustizia UE nel 2008, con ragione assunta quale para-digma dei comportamenti che le amministrazioni finanziarie dei Paesi membri del-l’Unione Europea devono tenere, consentendo al contribuente di far valere le pro-prie osservazioni in procedimenti tributari dai quali possano scaturire conseguen-ze negative per il suo patrimonio. Ciò fatto, la Corte ha citato anche i suoi prece-denti in tema di accertamenti emessi con il metodo dei parametri o degli studi di settore 12, ove pure mancava ogni espresso riferimento all’indefettibilità del contrad-dittorio procedimentale, ed a proposito di invii di questionari al contribuente sot-

7 E solo entro questi termini si condivide. 8 Ciò facendo, la Corte si è posta in dialogo con la dottrina (G. TABET, Ancora incerta la sorte de-

gli accertamenti, cit., p. 3695), che aveva avvisato che la conclusione dell’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso prima del termine poteva esser raggiunta solo premettendo che il principio della collaborazione e del contraddittorio anticipato tra contribuente ed amministrazione finanzia-ria sia desumibile direttamente dall’art. 97 Cost.

9 Si veda anzitutto la stessa giurisprudenza citata dalla Corte nella sentenza in commento. 10 Per tutti, si veda RAGUCCI, Il contraddittorio nei procedimenti tributari, Torino, 2009. 11 Corte di Giustizia UE, sez. II, sent. 18 dicembre 2008, causa C-349/07, in GT-Riv. giur. trib.,

2009, p. 203 s., con nota di MARCHESELLI, Il diritto al contraddittorio nel procedimento amministrativo tributario è diritto fondamentale del diritto comunitario.

12 Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635.

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toposto ad accertamento 13. Ed è giunta, quindi, ad affermare che, nel sistema co-munitario e nazionale in cui la norma opera, il vizio nel procedimento tributario si traduce in una inaccettabile divergenza dal modello normativo 14.

Opportunamente la Corte ha evitato di prendere espressa posizione sulla que-stione dell’inquadramento della violazione nel novero delle nullità ex art. 21 septies della L. n. 241/1990, come modificata dalla novella del 2005. Non persuade, difatti, la posizione di chi ha sostenuto che l’accertamento emesso prima del termine fosse riconducibile a siffatta nullità poiché si risolverebbe in un difetto di motivazione dell’atto e sotto tale profilo rientrerebbe in un difetto degli elementi essenziali, in-tendendosi per tali anche le risultanze dell’istruttoria 15, di cui all’art. 3 della stessa L. n. 241/1990: nell’art. 7 dello Statuto, come noto, il richiamo all’art. 3 della L. n. 241 è stato accompagnato da una (non necessaria, quanto deprecabile) ripetizione dei requisiti dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche, aprendo il fianco a facili censure di defettibilità dell’esposizione delle risultanze dell’istruttoria tributaria. E l’applicazione analogica dell’art. 3 della L. n. 241/1990 trova ostacolo in una di-zione espressa, che parrebbe esprimere una volontà contraria 16.

Più suggestivo appare il tentativo di ricomprendere la violazione in esame nelle nullità ex art. 21 septies della L. n. 241/1990 sotto il profilo della carenza di pote-re 17 che vizierebbe l’atto emesso prima del termine. Ma anche una siffatta osserva-

13 Cass., sez. trib., 30 dicembre 2009, n. 28049. 14 Per TABET, Spunti controcorrente sulla invalidità degli accertamenti “ante tempus”, in GT-Riv.

giur. trib., 2013, p. 851, la Corte ha in realtà introdotto, piuttosto che desunto, una sanzione di inva-lidità nell’ordinamento. Siffatta rigorosa affermazione è motivata sulla scorta dell’innegabile argo-mento storico, derivante dalla previsione della nullità degli accertamenti emessi ante tempus in una versione del testo originario del disegno di legge dello Statuto, poi successivamente eliminata poiché ritenuta eccessiva. Tuttavia, la condivisione della decisione operata dalla Corte, effettuata nel testo, non deriva dalla negazione di tale argomento né dalla negazione dei vari episodi normativi in cui il contraddittorio procedimentale è previsto, bensì dalla valorizzazione dei principi europei come ri-marcato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

15 Sembrerebbe la posizione di TUNDO, Diritto di difesa del contribuente in caso di emissione “anti-cipata” dell’avviso e mancata valutazione delle osservazioni difensive, in GT-Riv. giur. trib., 2012, p. 331, il quale ha fatto riferimento alla necessità di rappresentazione delle risultanze dell’istruttoria, seppur con riferimento alla valutazione delle osservazioni formulate dal contribuente esercitando la facoltà di cui all’art. 12, ultimo comma. Tale posizione peraltro sottende una nozione di istruttoria alquanto lata, che pure può esser messa in discussione.

16 Pur non mancando argomentazioni, sebbene non unanimemente condivise, per sostenere la tesi dell’applicazione analogica: v. MULEO, Contributo allo studio del sistema tributario nel procedimen-to di accertamento, Torino, 2000, p. 357 s.

17 MARONGIU, Contribuente più tutelato nell’interazione con il Fisco anche prima dell’avviso di accerta-mento, in Corr. trib., 2011, p. 1721; TUNDO, Validità dell’avviso di accertamento emesso “ante tempus”: i difformi orientamenti richiedono l’intervento delle Sezioni Unite, in GT-Riv. giur. trib., 2012, p. 679. Anche FANTOZZI, Violazioni del contraddittorio e invalidità degli atti tributari, in Riv. dir. trib., 2011, I, p. 157, ha concluso per l’invalidità/annullabilità dell’atto, ma solo se si dovesse ritenere l’essenzialità delle

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zione potrebbe trovare un ostacolo, atteso che si tratterebbe di affermare che la ca-renza di potere in concreto, storico motivo di annullabilità dell’atto amministrati-vo, dia luogo a difetto assoluto di attribuzione; e ciò è stato criticato 18.

La chiave di volta esattamente individuata dalla Corte è, invece, proprio quella delle garanzie del contribuente 19, viste nella prospettiva comunitaria.

Tali garanzie sono evidentemente incomprimibili, una volta terminata l’esigen-za della segretezza delle indagini, giacché il contribuente ben può subire lesioni a seguito del provvedimento tributario emesso nei suoi confronti; provvedimento ri-spetto al quale, occorre ricordare, potrebbe reputare opportuno compiere non so-lo atti difensivi in un processo da intraprendere, ma anche atti di disposizione del suo patrimonio mediante adesione a forme di definizione agevolata. In considera-zione di tale esigenza, le disposizioni positive devono esser lette, e se del caso inte-grate, in modo che al contribuente sia consentito fornire il proprio (interessato) apporto cognitivo nel contraddittorio procedimentale, che ha la particolarità di essere “a due” e non “a tre” per l’ovvia mancanza della figura giudiziale, ma che non può e non deve risentire delle specifiche modalità organizzative delle procedure tributarie domestiche 20: quale che sia la soluzione adottata, il contraddittorio pro-cedimentale va garantito.

2. La soluzione individuata in merito alla motivazione delle ragioni di urgenza legittimanti la mancata concessione del termine di garanzia: critica

Meno condivisibile è, invece, la statuizione della Corte in merito all’insussisten-za dell’obbligo di rappresentazione nella motivazione dell’atto impositivo delle ra- norme sulla partecipazione del privato, anche in funzione dell’interesse generale. Sul tema v. pure RUSSO, op. cit., p. 1085. In senso contrario all’applicazione dell’art. 21 septies della L. n. 241/1990 quale regola dalla quale far scaturire ipotesi di nullità v. PISTOLESI, La “invalidità” degli atti impositivi in difetto di previsione normativa, in Riv. dir. trib., 2012, p. 1131 s.

18 V. CERULLI IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, 2012, p. 487, CASETTA, Ma-nuale di diritto amministrativo, Milano, 2011, p. 536 s. Come ha rilevato TESAURO, L’invalidità dei provvedimenti impositivi, in Boll. trib., 2005, p. 1446, il difetto assoluto di attribuzione sussiste allor-quando l’atto impositivo è emesso da un ufficio privo della funzione impositiva esercitata; occorre insomma che sussite carenza di potere in astratto e non in concreto.

19 Sulla funzione di garanzia svolta dal processo verbale di chiusura v. PIERRO, Rilevanza procedi-mentale del processo verbale di constatazione e tutela del contribuente, in Rass. trib., 2013, p. 125.

20 Il riferimento è alla nota questione dell’esistenza di un archetipo di procedimento o di più procedimenti: sul tema – condivisibilmente ritenuto irrilevante sotto il profilo pratico da LA ROSA, Intervento alla tavola rotonda, in AA.VV., La tutela europea ed internazionale del contribuente nell’ac-certamento tributario, a cura di Di Pietro, Milano, 2009, p. 99 – v. LA ROSA, I procedimenti tributari: fasi, efficacia e tutela, ora in ID., Scritti scelti, vol. II., Torino, 2011, p. 635 s., GALLO, L’istruttoria nel sistema tributario, in Rass. trib., 2009, p. 25 s., PERRONE, La disciplina del procedimento tributario nello Statuto del contribuente, in Rass. trib., 2011, p. 563 s.

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gioni di urgenza che permettono l’emissione dell’atto medesimo prima del termi-ne; tali ragioni andrebbero semplicemente provate dall’Ufficio nel processo in pre-senza di apposita contestazione 21. Difatti, la Corte ha ritenuto che l’illegittimità del-l’atto impositivo derivasse non già dalla mancanza della motivazione circa la sussi-stenza di validi motivi di urgenza, ma dalla non configurabilità, in fatto, del requisi-to dell’urgenza stessa 22.

Per far ciò la Corte è stata costretta ad affermare che l’obbligo di motivazione sussiste solo sul “contenuto sostanziale” della pretesa tributaria e non anche sul ri-spetto delle regole procedimentali, come quelle attinenti al tempo di emanazione del provvedimento; ove fosse contestata la mancata osservazione della disciplina procedimentale, secondo la Corte tali profili potrebbero essere oggetto di giudizio in sede processuale.

Tale interpretazione non può essere accolta sia per ragioni letterali sia per ra-gioni funzionali.

Sotto il primo aspetto, la distinzione introdotta dalla Corte tra “contenuto so-stanziale” e, si deve ritenere, “contenuto formale” o “procedurale” dell’atto imposi-tivo non riesce ad esser utile alla tesi da essa sostenuta rispetto alla regola posta dall’art. 7 dello Statuto sulla necessità di rappresentare in motivazione i presuppo-sti di fatto e le ragioni giuridiche dell’atto impositivo. Invero, anche i presupposti legittimanti dell’azione amministrativa sono in parte presupposti di fatto (quanto agli elementi fattuali che costituiscono il sostrato) ed in parte ragioni giuridiche (quanto al loro inquadramento nelle fattispecie legali legittimanti l’azione ammini-strativa). Tali presupposti, ad avviso di chi scrive, non sono, quindi, “risultanze del-l’istruttoria” (riguardo alle quali, come già detto, si è discusso se l’imperfetta ripeti-zione nello Statuto degli elementi di cui all’art. 3 della L. n. 241/1990 sia espres-sione di una volontà contraria alla necessità di esposizione in motivazione 23), ma

21 Con le parole del principio di diritto elaborato dalla Corte nella sentenza in commento, difatti, «il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (eso-nerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio».

22 Tale statuizione è stata concordemente criticata in dottrina. V. TABET, Spunti controcorrente, cit., p. 853, che ha icasticamente rilevato come «lo spostamento dell’indagine dalla motivazione, ex ante, alla prova nel processo, ex post, rischia di dilatare maggiormente, anziché ridurre, i poteri degli Uffici, sempre inclini a difendere con ogni mezzo accertamenti notificati in extremis»; TESAURO, In tema di invalidità dei provvedimenti impositivi e di avviso di accertamento notificati ante tempus, in Rass. trib., 2013, p. 1144, che ha condivisibilmente affermato che l’obbligo di motivazione attiene non solo al contenuto sostanziale degli atti amministrativi, ma in generale alla “decisione” e vale an-che per la decisione di utilizzare il termine raddoppiato nei casi previsti dalla legge; TUNDO, Illegitti-mo l’atto impositivo emesso “ante tempus”: le Sezioni Unite chiudono davvero la questione?, in Corr. trib., 2013, p. 2830, che ha rilevato un “non marginale “strabismo” della pronuncia; per un più diffuso svi-luppo di questa critica v. ID., Procedimento tributario e difesa del contribuente, Padova, 2013, p. 276 s.

23 Sul punto, per tutti, v. CALIFANO, La motivazione degli atti tributari, Torino, 2012, p. 159 s.

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rientrano anche nei “presupposti di fatto” e nelle “ragioni giuridiche”, il cui obbligo di rappresentazione in motivazione è indefettibile.

Sotto il profilo funzionale, si deve osservare che il ruolo della motivazione sa-rebbe frustrato laddove si permettesse all’amministrazione tributaria 24 di esporre gli elementi legittimanti l’azione in una fase successiva alla loro contestazione “al buio” da parte del contribuente 25. Se la regola serve a far comprendere al contri-buente (oltre che alla stessa amministrazione 26) le ragioni legittimanti la pretesa, la rappresentazione solo di una parte di tali ragioni non è certamente idonea al raggiungimento dello scopo 27-28.

3. Il principio individuato dalla Corte è applicabile anche alle verifiche effettuate in ufficio?

Non v’è dubbio che il principio di diritto stabilito dalla Suprema Corte valga ai sensi dell’art. 374 c.p.c. a vincolare gli interpreti 29. Esso tuttavia scaturisce da un procedimento nel quale erano state effettuate verifiche in situ mediante accessi, ispezioni o verifiche; e difatti anche nello stesso principio di diritto sono richiama-te tali fattispecie.

Occorre però domandarsi se detto principio possa ritenersi valevole anche per le verifiche effettuate in ufficio.

24 Per antica abitudine letteraria l’autorità deputata all’effettuazione dei controlli ed all’emissio-ne degli atti impositivi è denominata “amministrazione finanziaria” in ossequio all’organizzazione ministeriale postunitaria. Sarebbe tempo forse di utilizzare il termine “amministrazione tributaria”.

25 V. TUNDO, Illegittimo l’atto impositivo emesso “ante tempus”, cit., p. 2834 s. 26 Come insegnava ALLORIO, Diritto processuale tributario, Torino, 1969, p. 393. 27 E ciò non tanto per evitare ipotesi di giustificazioni “a posteriori” delle ragioni di urgenza, ma

soprattutto nell’ottica di consentire al contribuente la difesa in sede procedimentale e la definizione dei propri assetti già all’esito del procedimento cognita re.

28 Come è stato da più parti evidenziato, è peraltro inaccettabile l’imminenza del decorso del ter-mine per l’accertamento come usuale ragione di particolare urgenza, atteso che è compito dell’ammini-strazione tributaria organizzarsi in modo adeguato a consentire il rispetto delle garanzie dei contri-buenti: in questi termini COLI, Sull’invalidità degli atti d’accertamento adottati in violazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente, in Rass. trib., 2009, p. 1787 s., TESAURO, In tema di inva-lidità, cit., p. 1144, TUNDO, Illegittimo l’atto impositivo emesso “ante tempus, cit., p. 2835.

29 Stupiscono non poco, quindi, le forze “centrifughe” dimostrate dalla giurisprudenza della Su-prema Corte quasi nell’immediatezza della pronunzia delle Sezioni Unite. Si vedano Cass., sez. trib., ord. 5 novembre 2013, n. 24739 (per il tentativo di depotenziare l’art. 37 bis, comma 4, D.P.R. n. 600/1973 nonché di reputar non grave la concessione del termine di giorni cinquantaquattro in luogo dei sessanta previsti dalla legge), Cass., sez. trib., 13 novembre 2013, n. 25515 (per la ritenuta non applicazione dell’art. 12, ultimo comma, dello Statuto per le sanzioni tributarie e per i soggetti a carico dei quali siano emessi atti impositivi in conseguenza di verifiche effettuate a terzi, su cui gli accer-tamenti sono basati). Per l’impostazione seguita nel testo tali orientamenti non sono condivisibili.

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La giurisprudenza di merito in proposito ha espresso significative aperture, mo-tivando sia sulla scorta di applicazioni analogiche 30 sia in base a più opinabili rico-struzioni letterali includenti il testo della rubrica legis 31-32.

Pare a chi scrive che l’interpretazione letterale dell’art. 12, ultimo comma, dello Statuto non lasci spazi per un’inclusione delle verifiche effettuate in ufficio nella fattispecie ivi contemplata. D’altro canto, però, sembrando la disciplina delle verifi-che in situ la principale preoccupazione del legislatore dello Statuto, potrebbero non sussistere ostacoli ad un’applicazione analogica della regola stabilita dall’art. 12 in esame, che contempla ipotesi tipiche, ma non aventi le caratteristiche di fattispecie eccezionali.

La soluzione però deve rinvenirsi nella nozione di giusto procedimento comu-nitario, quale emerge dalla ben nota sentenza Sopropè 33: ogni procedimento ri-guardante i tributi deve consentire l’espletamento di un contraddittorio 34, permet-tendo al contribuente, già al termine di esso, di presentare le proprie osservazioni, da valutarsi da parte dell’amministrazione 35.

30 CTP Milano, 10 maggio 2010, n. 126; CTP Cosenza, 14 maggio 2012, n. 380; nonché CTR Lombardia, 23 febbraio 2011, n. 38 (sulla necessità dell’ossequio dell’art. 12 dello Statuto anche in caso di accessi brevi), CTR 29 ottobre 2013, n. 118/19/13 (sull’applicabilità dell’art. 12, ultimo comma, anche in caso di accessi brevi).

31 CT I grado Trento, 7 febbraio 2011, n. 7, in cui il tentativo di sopravvalutare la rubrica legis, che menziona le verifiche fiscali tout court, rispetto al testo dell’art. 12, che disciplina in tutto l’articolo le verifiche fiscali effettuate nei locali del contribuente, appare alquanto acrobatico, anche vista la necessaria sinteticità che le rubriche devono avere.

32 Non appare pertinente alla questione Cass., sez. trib., 23 marzo 2012, n. 4687, giacché in quel-la sentenza la Suprema Corte ha concluso per l’inapplicabilità dell’art. 12, ultimo comma, dello Sta-tuto all’avviso di recupero del credito ex lege 23 dicembre 2000, n. 388 in quanto non si tratta di av-viso di accertamento.

33 Si veda la precedente nota 11. 34 Il contraddittorio deve applicarsi al termine di qualsiasi atto istruttorio indipendentemente

dal nomen di esso: in tal senso TOMASSINI, Contraddittorio anticipato a tutela del contribuente nelle verifiche fiscali, in GT-Riv. giur. trib., 2011, p. 536. Si veda da ultimo Cass., sez. trib., 11 settembre 2013, n. 20770, per il riconoscimento della necessità di redazione di processo verbale di chiusura (e quindi per il riconoscimento della violazione dell’art. 12, ultimo comma della L. n. 212/2000 e l’an-nullamento dell’atto impositivo) anche nel caso in cui vi sia stato un accesso nei locali solo finalizza-to al solo reperimento di documentazione e senza effettuazione di indagini istruttorie.

35 Riprendendo quanto esposto nella nota 29, non si condivide, quindi, l’orientamento espresso da Cass., sez. trib., ord. 18 ottobre 2013, n. 23690, secondo la quale le garanzie assicurate al soggetto sottoposto ad accesso, ispezione o verifica, non si estendono al terzo, a carico del quale emergano dati, informazioni o elementi utili per l’emissione di un avviso di accertamento. Il risultato al quale è giunto il Collegio (che in un obiter dictum pare ignorare la sentenza delle Sezioni Unite in commen-to, concludendo per la validità dell’accertamento emesso prima del termine senza che sussistano le ragioni di urgenza) è paradossale: il sistema offrirebbe garanzie al soggetto che, per l’esser stato veri-ficato, ha avuto parziale cognizione delle acquisizioni probatorie effettuate, sebbene non dell’ipotesi ricostruttiva finale, e non ne offrirebbe alcuna al soggetto terzo, che si vedrebbe raggiunto ex abrupto da un atto impositivo.

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Il diritto vivente comunitario obbliga ovviamente ad integrare la disciplina po-sitiva domestica che sia insufficiente ed a superarne l’eventuale asfittica previsione.

E non a caso la sentenza in commento, per risolvere la questione sottoposta al vaglio della Corte, ha menzionato la sentenza Sopropè come primo degli arresti giurisprudenziali considerati a giustificazione della decisione assunta.

Salvatore Muleo

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Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184 – Pres. Luccioli, Est. Virgilio Procedimento di accertamento – Garanzie del contribuente – Violazione termine di sessanta giorni per deduzioni difensive – Annullamento avviso di accertamen-to – Motivi di urgenza – Necessità della sussistenza anche se non rappresentati nell’atto

In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, art. 12, comma 7, della L. 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosser-vanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accerta-mento è termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effet-tuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contrad-dittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di deriva-zione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.

Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella con-creta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio.

RITENUTO IN FATTO Omissis

CONSIDERATO IN DIRITTO 1. omissis 2. Con l’unico motivo formulato, la ricorrente formula il quesito “se ha violato la

L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, la CTR di Palermo che ha ritenuto che la notifica dell’avviso di accertamento prima dello scadere del termine di sessanta giorni ne de-termini ipso iure la nullità”.

Su tale questione la giurisprudenza della quinta sezione ha dato luogo, come pun-tualmente rilevato nell’ordinanza di rimessione al Primo Presidente, ad orientamenti variegati.

In estrema sintesi, si è infatti ritenuto che l’avviso di accertamento emesso prima del decorso del termine di sessanta giorni previsto dalla norma in esame:

a) è in ogni caso valido, per il principio di tassatività delle nullità, “sanzione” non

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comminata dalla norma (e che, anzi, era prevista nel testo originario del disegno di legge e poi fu soppressa); per la natura vincolata dell’atto rispetto al verbale di consta-tazione sul quale si fonda; perché il contribuente ha comunque altri strumenti a dispo-sizione (accertamento con adesione, istanza di autotutela, ecc.); perché è errato riferi-re la nullità al difetto di motivazione sull’urgenza, in quanto le norme sulla motivazio-ne degli atti tributari attengono al contenuto della pretesa, non ai tempi di emanazione dell’atto; perché, infine, la nullità costituirebbe una conseguenza sproporzionata ri-spetto agli interessi costituzionali contrapposti (in tali sensi, sia pure con differenti sotto-lineature, cfr. Cass. nn. 19875 del 2008; 3988, 18906 – la quale, tuttavia, conclude in senso opposto, in ossequio all’orientamento all’epoca prevalente e quindi al criterio interpretativo della conformità ai precedenti – e 21103 del 2011; 16992 del 2012);

b) è invalido solo in assenza di motivazione dell’urgenza che ne ha determinato l’adozione ante tempus: tale indirizzo, in applicazione di quanto affermato da Corte cost. n. 244 del 2009, appunta, quindi, l’invalidità dell’atto al difetto di motivazione sulle ra-gioni dell’urgenza di provvedere, vizio sanzionato, in generale, dalla L. n. 241 del 1990, art. 21 septies, (introdotto dalla L. n. 15 del 2005) e, in materia tributaria, dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, e dal D.Lgs. n. 32 del 2001, (Cass. nn. 22320 del 2010; 10381 e 14769 del 2011; 4687, 11347 e 16999 del 2012);

c) è invalido in mancanza di motivi di urgenza, poiché il mancato rispetto del ter-mine sacrifica un diritto riconosciuto al contribuente, con conseguente illegittimità del-l’accertamento, senza bisogno di specifica previsione (Cass. nn. 5652 e 6088 del 2011); in particolare, inoltre, poiché la norma impone un termine per l’esercizio dell’azione impositiva piuttosto che un obbligo di motivazione circa il requisito dell’urgenza (ob-bligo che non rientra nella previsione della L. n. 212 del 2000, art. 7), l’esistenza di quest’ultimo opera ex se, senza che, ai fini dell’esonero dall’osservanza del termine, sia necessario che il fatto che determina l’urgenza sia enunciato nell’atto impositivo (Cass. n. 11944 del 2012).

3.1. La L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, (Disposizioni in materia di statuto dei di-ritti del contribuente), rubricato Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifi-che fiscali, dispone, al comma 7, che: “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comu-nicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici im-postori.

L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.

Per gli accertamenti e le verifiche aventi ad oggetto i diritti doganali di cui all’art. 34 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, si applicano le disposizioni del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11” (l’ultimo periodo è stato aggiunto dal D.L. n. 1 del 2012, art. 92, con-vertito in L. n. 27 del 2012).

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La questione sottoposta all’esame delle sezioni unite consiste nello stabilire se l’i-nosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di ac-certamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia sta-to effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio del-la propria attività (art. 12, comma 1), della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – costituisca, nel silenzio della norma, una mera irregolarità sostanzialmen-te priva di conseguenze esterne, ovvero dia luogo, ad eccezione di casi di “particolare e motivata” urgenza, ad un vizio di legittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, che può essere fatto valere dal contribuente al fine di ottenere, per ciò solo, in sede contenziosa, l’annullamento dell’atto stesso.

Il Collegio ritiene di dover adottare la seconda soluzione, per le ragioni e con le precisazioni che seguono.

3.2. Va, innanzitutto, attribuito il dovuto rilievo già al solo fatto che la norma in esame è inserita nello Statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212 del 2000 cit.), il cui art. 1, com’è noto, stabilisce, al comma 1, che “le disposizioni della presente legge, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., costituiscono principi generali dell’ordina-mento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”.

Anche se è consolidato il principio secondo il quale alle norme statutarie non può es-sere attribuito, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria (e quindi esse non costituiscono, neppure come norme interposte, parametro idoneo a fondare il giudizio di legittimità costituzionale) (da ult., Corte cost., ord. n. 112 del 2013; Cass. nn. 8254 del 2009, 8145 del 2011), tuttavia alla specifica “clausola rafforzativa” di au-toqualificazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali ri-chiamate e come “principi generali dell’ordinamento tributario” non può non essere attribuito un preciso valore normativo: quest’ultima espressione, in particolare, e per quanto qui interessa, deve essere intesa nel significato di “principi generali del diritto, dell’azione amministrativa e dell’ordinamento tributari” e si riferisce evidentemente, in primo luogo, a quelle disposizioni statutarie che dettano norme volte ad assicurare la trasparenza e il buon andamento dell’attività amministrativa e ad orientare in senso garantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario (Cass. n. 17576 del 2002). A buona parte di dette disposizioni va attribuito il ruolo di espressione di prin-cipi immanenti nell’ordinamento tributario, già prima dell’entrata in vigore dello Sta-tuto, e quindi di criteri guida per orientare l’interprete nell’esegesi delle norme, anche anteriormente vigenti (oltre a Cass. n. 17576 del 2002, cit., cfr. Cass. nn. 7080 del 2004, 9407 del 2005, 21513 del 2006, 9308 del 2013).

3.3. Nell’ambito delle norme statutarie, l’art. 12 assume una rilevanza del tutto pe-culiare, in ragione del suo oggetto (Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a ve-rifiche fiscali) e delle finalità perseguite.

L’incipit del comma 7, in particolare, nel richiamare il “rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente”, qualifica chiaramente la norma

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come espressiva dei principi di “collaborazione” e “buona fede”, i quali, ai sensi del pre-cedente art. 10, comma 1, devono improntare i rapporti tra contribuente e fisco e vanno considerati (analogamente al principio di tutela dell’affidamento, più specificamente contemplato nello stesso art. 10, comma 2) quali diretta applicazione dei principi co-stituzionali di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), di capacità contributiva (art. 53) e di uguaglianza, intesa sotto il profilo della ragionevo-lezza (art. 3), e quindi, in definitiva, come fondamenti dello Stato di diritto e canoni di civiltà giuridica (cfr., tra le altre, oltre a quelle già indicate, Cass. nn. 24217 del 2008, 3559 e 25197 del 2009, 21070 del 2011, 6627 del 2013).

La norma, poi, introduce nell’ordinamento una particolare e concreta forma di “col-laborazione” tra amministrazione e contribuente, attraverso la previsione di un termi-ne dilatorio di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, prima della cui scadenza, e salvo le eccezioni di cui si dirà, l’atto impositivo – come la norma prescrive con espressione “forte” – “non può essere emanato”: tale intervallo temporale è desti-nato a favorire l’interlocuzione tra le parti anteriormente alla (eventuale) emissione del provvedimento, e cioè il contraddittorio procedimentale.

Quest’ultimo è andato assumendo, in giurisprudenza e in dottrina (e nella stessa le-gislazione), proprio con specifico riferimento alla materia tributaria, un valore sempre maggiore, quale strumento diretto non solo a garantire il contribuente, ma anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva, il quale, nell’interesse anche dell’ente impositore, risulterà tanto più efficace, quanto più si rivelerà conformato ed adeguato – proprio in virtù del dialogo tra le parti, ove reso possibile – alla situazione del contribuente, con evidenti riflessi positivi anche in termini di deflazione del con-tenzioso (se non, ancor prima, nel senso di indurre l’amministrazione ad astenersi da pretese tributarie ritenute alfine infondate).

In ambito giurisprudenziale è sufficiente ricordare le seguenti pronunce: a) Corte di giustizia dell’Unione Europea, sentenza 18 dicembre 2008, in causa C-

349/07, Sopropè, con la quale, sia pure in materia di tributi doganali, ma con evidenti riflessi di ordine generale, è stato valorizzato il principio della partecipazione del con-tribuente – il quale “deve essere messo in condizione di far valere le proprie osserva-zioni” – a procedimenti in base ai quali l’amministrazione si proponga di adottare nei suoi confronti un atto di natura lesiva;

b) Cass., sez. un., n. 26635 del 2009, con la quale, in materia di accertamento “stan-dardizzato”, è stato affermato che “il contraddittorio deve ritenersi un elemento essen-ziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa” (la Corte è così pervenuta ad affermare la nullità – non esplicitamente comminata – degli avvisi di accertamento emessi con il metodo dei “parametri” o degli studi di settore, in assenza di previa attiva-zione del contraddittorio con il contribuente);

c) Cass. n. 28049 del 2009, nella quale, con riguardo alla norma che prevede l’invio di un questionario al contribuente sottoposto ad accertamento (D.P.R. n. 600 del 1973,

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art. 32, comma 1, n. 4), si afferma che essa, così come quella che prevede la compari-zione personale del contribuente (art. 32, comma 1, n. 2), si prefigge “il meritorio sco-po (...) di favorire il dialogo e l’intesa tra fisco e cittadino – rapporti che debbono esse-re necessariamente improntati a lealtà, correttezza e collaborazione, in quanto siano in gioco obblighi di solidarietà come quello in materia tributaria (C. cost., sent. n. 351/ 2000) – e di evitare, per quanto possibile, il ricorso a procedure contenziose”; nonché, recentemente, Cass. n. 453 del 2013, la quale, riprendendo il precedente ora citato, ha ritenuto, sulla base del “canone di lealtà” che trova fondamento negli artt. 6 e 10 dello Statuto del contribuente, che l’omissione dell’avvertimento – prescritto dalla norma a carico dell’Ufficio – in ordine alle conseguenze derivanti al contribuente dalla mancata risposta al questionario, e cioè l’inutilizzabilità in sede amministrativa e contenziosa di dati e notizie non addotti, comporta l’inoperatività di tale preclusione.

3.4. Le considerazioni sin qui svolte consentono di giungere ad una prima conclu-sione: l’inosservanza del termine dilatorio prescritto dall’art. 12, comma 7, in assenza di qualificate ragioni di urgenza, non può che determinare l’invalidità dell’avviso di ac-certamento emanato prematuramente, quale effetto del vizio del relativo procedimen-to, costituito dal non aver messo a disposizione del contribuente l’intero lasso di tem-po previsto dalla legge per garantirgli la facoltà di partecipare al procedimento stesso, esprimendo le proprie osservazioni (che l’Ufficio è tenuto a valutare, come la norma prescrive), cioè di attivare, e coltivare, il contraddittorio procedimentale.

La “sanzione” della invalidità dell’atto conclusivo del procedimento, pur non e-spressamente prevista, deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e nazionale, nella quale la norma opera e, in particolare, dal rilievo che il vizio del pro-cedimento si traduce, nella specie, in una divergenza dal modello normativo (non cer-to innocua o di lieve entità – non paragonabile, ad es., alla omessa indicazione del re-sponsabile del procedimento, ora sanzionata ex lege da nullità per le cartelle di paga-mento: Cass., sez. un., n. 11722 del 2010 –, bensì) di particolare gravità, in considera-zione della rilevanza della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali, cui la norma stessa assolve – sopra delineata – e della forza impediente, rispetto al pie-no svolgimento di tale funzione, che assume il fatto viziante.

A fronte di ciò, è vano addurre sia il preteso carattere “vincolato” dell’avviso di ac-certamento rispetto al verbale di constatazione sul quale si basa (tesi, almeno se riferi-ta – per quanto qui interessa – al contenuto del provvedimento, chiaramente infonda-ta), sia l’esistenza di ulteriori strumenti di tutela per il contribuente (istanza di autotu-tela, accertamento con adesione, ecc.), rilievo che, a prescindere dalle considerazioni attinenti al momento in cui tali mezzi sono esperibili, si rivela in ogni caso inidoneo ad escludere autonoma rilevanza alla portata precettiva della norma in esame.

4.1. Si tratta ora di precisare come opera, in relazione al vizio di legittimità dell’atto emesso ante tempus, la deroga prevista per i “casi di particolare e motivata urgenza”, in presenza dei quali l’Ufficio è esonerato dal rispetto del termine dilatorio. La norma, infatti, come detto, dopo aver stabilito l’obbligo dell’amministrazione, per le ragioni so-

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pra ampiamente esposte, di attendere almeno sessanta giorni dalla fine delle operazio-ni di verifica prima di procedere all’emanazione dell’atto (obbligo, va rilevato, di age-vole osservanza con l’uso della minima diligenza), ha, poi, adottando un bilanciamen-to del tutto ragionevole dei valori in campo, introdotto l’eccezione derivante dall’urgen-za di provvedere.

4.2. Premesso che spetta all’interprete il compito di delineare l’oggetto e i confini di una ipotesi di invalidità introdotta per via ermeneutica, ritiene il Collegio di dover preferire l’orientamento che fa derivare l’illegittimità non già dalla mancanza, nell’atto notificato, della motivazione circa la ricorrenza di un caso di urgenza, bensì dalla non configurabilità, in fatto, del requisito dell’urgenza.

Deve, infatti, condividersi l’osservazione (presente in più pronunce di questa Cor-te, sopra citate, anche se poi pervenute ad esiti diversi) secondo cui l’obbligo di moti-vazione degli atti tributari, assistito da sanzione di nullità in caso di inottemperanza, è quello che ha ad oggetto il contenuto sostanziale della pretesa tributaria, cioè “i pre-supposti di fatto e le ragioni giuridiche” che hanno determinato la decisione dell’am-ministrazione (art. 7, comma 1, dello Statuto, seguito, in relazione alle singole impo-ste, dal D.Lgs. n. 32 del 2001), non essendo, invece, necessario dar conto, in quella se-de (e, comunque, non a pena di invalidità, salvo eccezioni espresse), del rispetto di re-gole procedimentali, quali, come nella specie, quelle attinenti al tempo di emanazione del provvedimento: l’osservanza delle regole del procedimento, infatti, ove contestata, sarà oggetto di dibattito e di valutazione nelle sedi stabilite (amministrativa in caso di istanza di autotutela, contenziosa in caso di ricorso al giudice tributario).

Né, in senso contrario, è condivisibile la tesi secondo la quale, nella norma in esa-me, la motivazione dell’urgenza è esplicitamente prescritta.

In primo luogo, l’espressione “salvo casi di particolare e motivata urgenza” non ap-pare in sé decisiva, poiché non individua con certezza nell’atto impositivo la (unica) sede in cui la “motivata urgenza” deve essere addotta dall’Ufficio: l’uso del termine “mo-tivata” non implica, infatti, necessariamente il richiamo alla motivazione dell’avviso di accertamento.

In secondo luogo, e comunque, deve ritenersi che risponda a criteri di equilibrio degli interessi coinvolti e di ragionevolezza far dipendere la validità o meno dell’atto emesso ante tempus dalla sussistenza o meno, nella realtà giuridico-fattuale, del requi-sito dell’urgenza, anziché dalla circostanza (avente valore del tutto secondario) che tale requisito sia, o no, enunciato nell’atto: ciò che conta, in definitiva, ai fini dell’eso-nero dell’Ufficio dall’osservanza del termine dilatorio, è unicamente il fatto che la par-ticolare urgenza di provvedere effettivamente nella fattispecie vi sia stata.

Ne deriva che la questione si sposta in sede contenziosa, nel senso che, a fronte di un avviso di accertamento emesso prima della scadenza del termine de quo e privo dell’enunciazione dei motivi di urgenza che lo legittimano, il contribuente potrà, ove lo ritenga, anche limitarsi ad impugnarlo per il solo vizio della violazione del termine (cfr. Cass., sez. un., nn. 16412 del 2007 e 5791 del 2008, in tema di mancato rispetto

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della sequenza procedimentale prevista per la formazione della pretesa tributaria): spet-terà, quindi, all’Ufficio l’onere di provare la sussistenza (all’epoca) del requisito esone-rativo dal rispetto del termine e, dunque, in definitiva, al giudice, a seguito del dibattito processuale (e senza, perciò, che il contribuente subisca alcuna menomazione del di-ritto di difesa), stabilire l’esistenza di una valida e “particolare” – cioè specificamente riferita al contribuente e al rapporto tributario in questione – ragione di urgenza, ido-nea a giustificare l’anticipazione dell’emissione del provvedimento.

5. In conclusione, deve essere enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del ter-mine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termi-ne decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un ac-cesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della co-pia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddit-torio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di deriva-zione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuen-te ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio inva-lidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio”.

6. In applicazione dell’anzidetto principio, il ricorso dell’Agenzia delle entrate deve essere rigettato.

Come detto in narrativa, infatti, il giudice di merito ha accertato che nella specie l’emanazione anticipata dell’atto impugnato non è stata sorretta da validi motivi di ur-genza, mai addotti dall’Ufficio.

7. L’esistenza del contrasto giurisprudenziale che ha dato luogo all’intervento delle sezioni unite induce a disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso e compensa le spese. Così deciso in Roma, il 14 maggio 2013. Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2013

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Avviso di accertamento ante tempus e vizi dell’atto

Ante tempus notice of assessment and invalidity

Abstract La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha deciso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio del processo verbale di chiusura delle ope-razioni di verifica comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento, riconoscen-do quindi la necessità di un contraddittorio procedimentale. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che il vizio invalidante non sussista nell’omissione della rappresentazio-ne nella motivazione dell’atto delle ragioni di urgenza, bensì nella loro effettiva assenza, da verificarsi anche in sede processuale nonostante non se ne sia fatta menzione nell’atto; e ciò non è condivisibile. Parole chiave: procedimento, contraddittorio, avviso di accertamento, urgenza, motivazione The Grand Chamber of the Italian Supreme Court held that the failure to comply with the sixty-days term from the issuance of the conclusive tax report implies the in-validity of the notice of assessment, thus recognising the need for a procedure in which both parties are heard. Nevertheless, the Court held that no invalidity occurs in case the notice of assessment does not specify the reasons of urgency, but only in case of their effective absence that shall be verified also during the tax trial; and this does not appear to be shareable. Keywords: Proceeding, notice of assessment, taxpayer bill of rights, procedural guar-antees, justification

SOMMARIO: 1. L’intervento delle Sezioni Unite sulla discussa questione delle conseguenze derivanti dall’i-nosservanza delle regole previste dall’art. 12, ultimo comma, dello Statuto. – 2. La soluzione individuata in merito alla motivazione delle ragioni di urgenza legittimanti la mancata conces-sione del termine di garanzia: critica. – 3. Il principio individuato dalla Corte è applicabile an-che alle verifiche effettuate in ufficio?

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1. L’intervento delle Sezioni Unite sulla discussa questione delle conseguenze de-rivanti dall’inosservanza delle regole previste dall’art. 12, ultimo comma, del-lo Statuto

La questione portata all’esame delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza in commento riguardava la conseguenza derivante dall’inosservanza del precetto di cui all’art. 12, ultimo comma, dello Statuto dei diritti del contribuen-te, che prevede che, terminata la verifica, sia rilasciato un processo verbale di chiu-sura al contribuente, che questi possa comunicare entro sessanta giorni osserva-zioni e richieste, da valutarsi necessariamente dall’ufficio impositore, e che l’atto impositivo non possa essere emanato prima della scadenza di detto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione, come noto, ha percorso tre diversi indirizzi giurisprudenziali, riepilogabili come segue 1.

Ad un primo indirizzo sono ascrivibili quelle sentenze che hanno cassato con rinvio le sentenze di merito che avevano annullato gli atti impositivi, rilevando la mancanza del controllo della rispondenza della motivazione degli atti rispetto alle ragioni che avevano determinato l’urgenza ed avevano indotto l’amministrazione finanziaria all’emissione anticipata degli atti stessi 2.

Un altro orientamento, invece, ha negato l’indefettibilità della garanzia del con-traddittorio procedimentale e, attribuendo valore decisivo alla mancanza della e-spressa previsione di nullità nello Statuto dei diritti del contribuente, ha concluso per la qualificazione di mera irregolarità della violazione dell’art. 12 dello Statuto stesso 3.

1 V. in proposito TABET, Ancora incerta la sorte degli accertamenti emessi prima del termine di ses-santa giorni, in Corr. trib., 2011, p. 3693 s., la cui catalogazione è stata ripresa dall’ordinanza della Cass., sez. trib., 11 maggio 2012, n. 7318, che ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite per dirimere il con-trasto giurisprudenziale. Anche la giurisprudenza di merito si è andata dividendo tra i filoni interpre-tativi seguiti dalla Corte di legittimità: per un riepilogo v. COLLI VIGNARELLI, La Cassazione si pro-nuncia in modo discorde in tema di invalidità dell’accertamento per violazione del contraddittorio antici-pato, in Rass. trib., 2012, p. 453 s., nota 23.

2 Si tratta, ad esempio, di Cass., sez. trib., 3 novembre 2010, n. 22320, con nota di RENDA, La nul-lità degli atti impositivi che non esplicitano le ragioni della soppressione del contraddittorio preventivo, in GT-Riv. giur. trib., 2011, p. 213 s., Cass., sez. trib., 12 maggio 2011, n. 10381; Cass., sez. VI, ord. 5 luglio 2012, n. 11347; Cass., sez. trib., 23 marzo 2012, n. 4687.

3 V. Cass., sez. trib., ord. 18 febbraio 2011, n. 3988; Cass., sez. trib., 13 ottobre 2011, n. 21103, con nota di RENDA, L’impossibilità di esercitare il diritto al contraddittorio anticipato non determina l’invalidità dell’atto impositivo, in GT-Riv. giur. trib., 2011, p. 1028 s., Cass., sez. trib., 13 luglio 2012, n. 11944; Cass., sez. trib., 28 settembre 2012, n. 16557; Cass., sez. trib., 5 ottobre 2012, n. 16992. A commento delle sentenze n. 18906/2011 e n. 21103/2011 v. anche RUSSO, Le conseguenze del man-cato rispetto del termine di cui all’art. 12, ultimo comma, della legge n. 212/2000, in Riv. dir. trib., 2011, I, p. 1077 s.

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Un terzo indirizzo, infine, ha riconosciuto che il termine dilatorio in esame ha funzione di garanzia per il contribuente ed ha conseguentemente deciso che la sua lesione provoca un vizio che invalida l’atto impositivo successivo 4.

Ovviamente ogni filone giurisprudenziale è stato costretto a tener conto della no-ta ord. 24 luglio 2009, n. 244 emessa dalla Corte costituzionale, che, intervenendo a proposito della legittimità costituzionale ex artt. 24 e 111 Cost. dell’art. 12, com-ma 7, della L. n. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), ha rigettato l’eccezione di incostituzionalità 5, poiché il giudice remittente avrebbe dovuto valu-tare la questione della legittimità dell’avviso di accertamento non rispettoso del-l’obbligo di motivazione, anche sotto il profilo dell’urgenza, alla luce del combina-to disposto degli artt. 12 della L. n. 212/2000, 7, comma 1, della stessa legge, e 3 e 21 septies della L. n. 241/1990, come di recente modificata. Anche di tale ordinan-za ogni indirizzo giurisprudenziale ha incidentalmente fornito una propria inter-pretazione, coerente con il risultato raggiunto. Ed ha potuto far ciò grazie al fatto che la Corte costituzionale ha adottato un’ordinanza di inammissibilità per insuffi-ciente sforzo interpretativo e non una decisione interpretativa di rigetto; essa, quindi, non ha valore vincolante né per il giudice remittente né, tanto meno, per gli altri giudici 6, pur costituendo un autorevole precedente.

Le Sezioni Unite hanno risolto le divergenze interpretative anzitutto conclu-dendo per l’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso antecedentemente al decorso del termine di sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura, contemplato dall’art. 12, ultimo comma, dello Statuto dei diritti del con-tribuente.

Le argomentazioni della Corte sulla questione sono particolarmente convin-centi.

Anzitutto, la Corte ha ricordato che lo Statuto, sebbene abbia rango di legge ordinaria, in virtù della speciale clausola rafforzativa di autoqualificazione delle di-sposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come prin-

4 Così Cass., sez. trib., 15 marzo 2011, n. 6088 (che si veda anche per il riconoscimento della qualifica di processo verbale di chiusura, di cui all’art. 12 dello Statuto, a due verbali meramente de-scrittivi dell’accesso, ai quali non erano seguiti altri atti del procedimento portati a conoscenza del contribuente), Cass., sez. trib., 16 settembre 2011, n. 18906 (ove in specie è interessante il richiamo alla salvaguardia dell’unità dell’interpretazione), con nota di COLLI VIGNARELLI, op. cit., p. 453 s., Cass., sez. V, ord. 28 dicembre 2011, n. 29156; Cass., sez. trib., 5 ottobre 2012, n. 16999; Cass., sez. trib., 9 marzo 2011, n. 5652.

5 Sul tema v. MARCHESELLI, Nullità degli avvisi di accertamento senza contraddittorio con il contri-buente, in Corr. trib., 2009, p. 2915 s., BASILAVECCHIA, Quando le ragioni di urgenza possono giustificare l’anticipazione dell’accertamento?, in Corr. trib., 2010, p. 3969s., BRUZZONE, Diritto al contraddittorio preventivo e motivazione del provvedimento impositivo nell’interpretazione adeguatrice “suggerita” dalla Consulta, in GT-Riv. giur. trib., 2010, p. 121 s.

6 Come rilevato da TABET, La sospensione del potere impositivo per 60 giorni tra interpretazione adeguatrice e diritto vivente, in GT-Riv. giur. trib., 2011, p. 926.

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cipi generali del diritto, dell’attività amministrativa e dell’ordinamento tributario, ha il compito di assicurare che l’azione amministrativa sia esercitata in senso garanti-stico ed esprima principi immanenti nell’ordinamento tributario, da reputarsi vi-genti anche prima dell’entrata in vigore dello Statuto medesimo. È la nota posizio-ne della Corte, che riconosce allo Statuto una particolare forza (ancorché ciò non si tramuti in supremazia sulle altre leggi 7), per l’essere espressione di principi co-stituzionali.

Ma se, in passato, la Corte aveva attribuito tale qualità alle prime norme dello Statuto, nella sentenza in commento essa è giunta, condivisibilmente, a riconosce-re il ruolo cardine che l’art. 12 assume nell’economia dei rapporti tra contribuente e Fisco, sottolineando che in esso sono disciplinati i diritti e le garanzie del contri-buente sottoposto a verifiche fiscali. E difatti la Corte dapprima ha sottolineato il profilo collaborativo cui la norma è sottesa (anche come diretta applicazione degli artt. 97 Cost. 8, 53 Cost. e 3 Cost.), ma poi più opportunamente ha messo a fuoco il vero punto centrale: il contraddittorio procedimentale, rispetto al quale ha ri-marcato il generale riconoscimento che la giurisprudenza 9 e la dottrina 10 hanno espresso.

La Corte peraltro ha proseguito, anche nella sentenza in esame, quell’opera di “dialogo tra Corti” che è virtuosa caratteristica dei tempi più recenti. Non a caso, la prima sentenza citata a conferma dell’indirizzo giurisprudenziale favorevole alla valorizzazione del contraddittorio procedimentale è la ben nota sentenza Sopro-pè 11, emessa dalla Corte di Giustizia UE nel 2008, con ragione assunta quale para-digma dei comportamenti che le amministrazioni finanziarie dei Paesi membri del-l’Unione Europea devono tenere, consentendo al contribuente di far valere le pro-prie osservazioni in procedimenti tributari dai quali possano scaturire conseguen-ze negative per il suo patrimonio. Ciò fatto, la Corte ha citato anche i suoi prece-denti in tema di accertamenti emessi con il metodo dei parametri o degli studi di settore 12, ove pure mancava ogni espresso riferimento all’indefettibilità del contrad-dittorio procedimentale, ed a proposito di invii di questionari al contribuente sot-

7 E solo entro questi termini si condivide. 8 Ciò facendo, la Corte si è posta in dialogo con la dottrina (G. TABET, Ancora incerta la sorte de-

gli accertamenti, cit., p. 3695), che aveva avvisato che la conclusione dell’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso prima del termine poteva esser raggiunta solo premettendo che il principio della collaborazione e del contraddittorio anticipato tra contribuente ed amministrazione finanzia-ria sia desumibile direttamente dall’art. 97 Cost.

9 Si veda anzitutto la stessa giurisprudenza citata dalla Corte nella sentenza in commento. 10 Per tutti, si veda RAGUCCI, Il contraddittorio nei procedimenti tributari, Torino, 2009. 11 Corte di Giustizia UE, sez. II, sent. 18 dicembre 2008, causa C-349/07, in GT-Riv. giur. trib.,

2009, p. 203 s., con nota di MARCHESELLI, Il diritto al contraddittorio nel procedimento amministrativo tributario è diritto fondamentale del diritto comunitario.

12 Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635.

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toposto ad accertamento 13. Ed è giunta, quindi, ad affermare che, nel sistema co-munitario e nazionale in cui la norma opera, il vizio nel procedimento tributario si traduce in una inaccettabile divergenza dal modello normativo 14.

Opportunamente la Corte ha evitato di prendere espressa posizione sulla que-stione dell’inquadramento della violazione nel novero delle nullità ex art. 21 septies della L. n. 241/1990, come modificata dalla novella del 2005. Non persuade, difatti, la posizione di chi ha sostenuto che l’accertamento emesso prima del termine fosse riconducibile a siffatta nullità poiché si risolverebbe in un difetto di motivazione dell’atto e sotto tale profilo rientrerebbe in un difetto degli elementi essenziali, in-tendendosi per tali anche le risultanze dell’istruttoria 15, di cui all’art. 3 della stessa L. n. 241/1990: nell’art. 7 dello Statuto, come noto, il richiamo all’art. 3 della L. n. 241 è stato accompagnato da una (non necessaria, quanto deprecabile) ripetizione dei requisiti dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche, aprendo il fianco a facili censure di defettibilità dell’esposizione delle risultanze dell’istruttoria tributaria. E l’applicazione analogica dell’art. 3 della L. n. 241/1990 trova ostacolo in una di-zione espressa, che parrebbe esprimere una volontà contraria 16.

Più suggestivo appare il tentativo di ricomprendere la violazione in esame nelle nullità ex art. 21 septies della L. n. 241/1990 sotto il profilo della carenza di pote-re 17 che vizierebbe l’atto emesso prima del termine. Ma anche una siffatta osserva-

13 Cass., sez. trib., 30 dicembre 2009, n. 28049. 14 Per TABET, Spunti controcorrente sulla invalidità degli accertamenti “ante tempus”, in GT-Riv.

giur. trib., 2013, p. 851, la Corte ha in realtà introdotto, piuttosto che desunto, una sanzione di inva-lidità nell’ordinamento. Siffatta rigorosa affermazione è motivata sulla scorta dell’innegabile argo-mento storico, derivante dalla previsione della nullità degli accertamenti emessi ante tempus in una versione del testo originario del disegno di legge dello Statuto, poi successivamente eliminata poiché ritenuta eccessiva. Tuttavia, la condivisione della decisione operata dalla Corte, effettuata nel testo, non deriva dalla negazione di tale argomento né dalla negazione dei vari episodi normativi in cui il contraddittorio procedimentale è previsto, bensì dalla valorizzazione dei principi europei come ri-marcato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

15 Sembrerebbe la posizione di TUNDO, Diritto di difesa del contribuente in caso di emissione “anti-cipata” dell’avviso e mancata valutazione delle osservazioni difensive, in GT-Riv. giur. trib., 2012, p. 331, il quale ha fatto riferimento alla necessità di rappresentazione delle risultanze dell’istruttoria, seppur con riferimento alla valutazione delle osservazioni formulate dal contribuente esercitando la facoltà di cui all’art. 12, ultimo comma. Tale posizione peraltro sottende una nozione di istruttoria alquanto lata, che pure può esser messa in discussione.

16 Pur non mancando argomentazioni, sebbene non unanimemente condivise, per sostenere la tesi dell’applicazione analogica: v. MULEO, Contributo allo studio del sistema tributario nel procedimen-to di accertamento, Torino, 2000, p. 357 s.

17 MARONGIU, Contribuente più tutelato nell’interazione con il Fisco anche prima dell’avviso di accerta-mento, in Corr. trib., 2011, p. 1721; TUNDO, Validità dell’avviso di accertamento emesso “ante tempus”: i difformi orientamenti richiedono l’intervento delle Sezioni Unite, in GT-Riv. giur. trib., 2012, p. 679. Anche FANTOZZI, Violazioni del contraddittorio e invalidità degli atti tributari, in Riv. dir. trib., 2011, I, p. 157, ha concluso per l’invalidità/annullabilità dell’atto, ma solo se si dovesse ritenere l’essenzialità delle

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zione potrebbe trovare un ostacolo, atteso che si tratterebbe di affermare che la ca-renza di potere in concreto, storico motivo di annullabilità dell’atto amministrati-vo, dia luogo a difetto assoluto di attribuzione; e ciò è stato criticato 18.

La chiave di volta esattamente individuata dalla Corte è, invece, proprio quella delle garanzie del contribuente 19, viste nella prospettiva comunitaria.

Tali garanzie sono evidentemente incomprimibili, una volta terminata l’esigen-za della segretezza delle indagini, giacché il contribuente ben può subire lesioni a seguito del provvedimento tributario emesso nei suoi confronti; provvedimento ri-spetto al quale, occorre ricordare, potrebbe reputare opportuno compiere non so-lo atti difensivi in un processo da intraprendere, ma anche atti di disposizione del suo patrimonio mediante adesione a forme di definizione agevolata. In considera-zione di tale esigenza, le disposizioni positive devono esser lette, e se del caso inte-grate, in modo che al contribuente sia consentito fornire il proprio (interessato) apporto cognitivo nel contraddittorio procedimentale, che ha la particolarità di essere “a due” e non “a tre” per l’ovvia mancanza della figura giudiziale, ma che non può e non deve risentire delle specifiche modalità organizzative delle procedure tributarie domestiche 20: quale che sia la soluzione adottata, il contraddittorio pro-cedimentale va garantito.

2. La soluzione individuata in merito alla motivazione delle ragioni di urgenza legittimanti la mancata concessione del termine di garanzia: critica

Meno condivisibile è, invece, la statuizione della Corte in merito all’insussisten-za dell’obbligo di rappresentazione nella motivazione dell’atto impositivo delle ra- norme sulla partecipazione del privato, anche in funzione dell’interesse generale. Sul tema v. pure RUSSO, op. cit., p. 1085. In senso contrario all’applicazione dell’art. 21 septies della L. n. 241/1990 quale regola dalla quale far scaturire ipotesi di nullità v. PISTOLESI, La “invalidità” degli atti impositivi in difetto di previsione normativa, in Riv. dir. trib., 2012, p. 1131 s.

18 V. CERULLI IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, 2012, p. 487, CASETTA, Ma-nuale di diritto amministrativo, Milano, 2011, p. 536 s. Come ha rilevato TESAURO, L’invalidità dei provvedimenti impositivi, in Boll. trib., 2005, p. 1446, il difetto assoluto di attribuzione sussiste allor-quando l’atto impositivo è emesso da un ufficio privo della funzione impositiva esercitata; occorre insomma che sussite carenza di potere in astratto e non in concreto.

19 Sulla funzione di garanzia svolta dal processo verbale di chiusura v. PIERRO, Rilevanza procedi-mentale del processo verbale di constatazione e tutela del contribuente, in Rass. trib., 2013, p. 125.

20 Il riferimento è alla nota questione dell’esistenza di un archetipo di procedimento o di più procedimenti: sul tema – condivisibilmente ritenuto irrilevante sotto il profilo pratico da LA ROSA, Intervento alla tavola rotonda, in AA.VV., La tutela europea ed internazionale del contribuente nell’ac-certamento tributario, a cura di Di Pietro, Milano, 2009, p. 99 – v. LA ROSA, I procedimenti tributari: fasi, efficacia e tutela, ora in ID., Scritti scelti, vol. II., Torino, 2011, p. 635 s., GALLO, L’istruttoria nel sistema tributario, in Rass. trib., 2009, p. 25 s., PERRONE, La disciplina del procedimento tributario nello Statuto del contribuente, in Rass. trib., 2011, p. 563 s.

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gioni di urgenza che permettono l’emissione dell’atto medesimo prima del termi-ne; tali ragioni andrebbero semplicemente provate dall’Ufficio nel processo in pre-senza di apposita contestazione 21. Difatti, la Corte ha ritenuto che l’illegittimità del-l’atto impositivo derivasse non già dalla mancanza della motivazione circa la sussi-stenza di validi motivi di urgenza, ma dalla non configurabilità, in fatto, del requisi-to dell’urgenza stessa 22.

Per far ciò la Corte è stata costretta ad affermare che l’obbligo di motivazione sussiste solo sul “contenuto sostanziale” della pretesa tributaria e non anche sul ri-spetto delle regole procedimentali, come quelle attinenti al tempo di emanazione del provvedimento; ove fosse contestata la mancata osservazione della disciplina procedimentale, secondo la Corte tali profili potrebbero essere oggetto di giudizio in sede processuale.

Tale interpretazione non può essere accolta sia per ragioni letterali sia per ra-gioni funzionali.

Sotto il primo aspetto, la distinzione introdotta dalla Corte tra “contenuto so-stanziale” e, si deve ritenere, “contenuto formale” o “procedurale” dell’atto imposi-tivo non riesce ad esser utile alla tesi da essa sostenuta rispetto alla regola posta dall’art. 7 dello Statuto sulla necessità di rappresentare in motivazione i presuppo-sti di fatto e le ragioni giuridiche dell’atto impositivo. Invero, anche i presupposti legittimanti dell’azione amministrativa sono in parte presupposti di fatto (quanto agli elementi fattuali che costituiscono il sostrato) ed in parte ragioni giuridiche (quanto al loro inquadramento nelle fattispecie legali legittimanti l’azione ammini-strativa). Tali presupposti, ad avviso di chi scrive, non sono, quindi, “risultanze del-l’istruttoria” (riguardo alle quali, come già detto, si è discusso se l’imperfetta ripeti-zione nello Statuto degli elementi di cui all’art. 3 della L. n. 241/1990 sia espres-sione di una volontà contraria alla necessità di esposizione in motivazione 23), ma

21 Con le parole del principio di diritto elaborato dalla Corte nella sentenza in commento, difatti, «il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (eso-nerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio».

22 Tale statuizione è stata concordemente criticata in dottrina. V. TABET, Spunti controcorrente, cit., p. 853, che ha icasticamente rilevato come «lo spostamento dell’indagine dalla motivazione, ex ante, alla prova nel processo, ex post, rischia di dilatare maggiormente, anziché ridurre, i poteri degli Uffici, sempre inclini a difendere con ogni mezzo accertamenti notificati in extremis»; TESAURO, In tema di invalidità dei provvedimenti impositivi e di avviso di accertamento notificati ante tempus, in Rass. trib., 2013, p. 1144, che ha condivisibilmente affermato che l’obbligo di motivazione attiene non solo al contenuto sostanziale degli atti amministrativi, ma in generale alla “decisione” e vale an-che per la decisione di utilizzare il termine raddoppiato nei casi previsti dalla legge; TUNDO, Illegitti-mo l’atto impositivo emesso “ante tempus”: le Sezioni Unite chiudono davvero la questione?, in Corr. trib., 2013, p. 2830, che ha rilevato un “non marginale “strabismo” della pronuncia; per un più diffuso svi-luppo di questa critica v. ID., Procedimento tributario e difesa del contribuente, Padova, 2013, p. 276 s.

23 Sul punto, per tutti, v. CALIFANO, La motivazione degli atti tributari, Torino, 2012, p. 159 s.

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rientrano anche nei “presupposti di fatto” e nelle “ragioni giuridiche”, il cui obbligo di rappresentazione in motivazione è indefettibile.

Sotto il profilo funzionale, si deve osservare che il ruolo della motivazione sa-rebbe frustrato laddove si permettesse all’amministrazione tributaria 24 di esporre gli elementi legittimanti l’azione in una fase successiva alla loro contestazione “al buio” da parte del contribuente 25. Se la regola serve a far comprendere al contri-buente (oltre che alla stessa amministrazione 26) le ragioni legittimanti la pretesa, la rappresentazione solo di una parte di tali ragioni non è certamente idonea al raggiungimento dello scopo 27-28.

3. Il principio individuato dalla Corte è applicabile anche alle verifiche effettuate in ufficio?

Non v’è dubbio che il principio di diritto stabilito dalla Suprema Corte valga ai sensi dell’art. 374 c.p.c. a vincolare gli interpreti 29. Esso tuttavia scaturisce da un procedimento nel quale erano state effettuate verifiche in situ mediante accessi, ispezioni o verifiche; e difatti anche nello stesso principio di diritto sono richiama-te tali fattispecie.

Occorre però domandarsi se detto principio possa ritenersi valevole anche per le verifiche effettuate in ufficio.

24 Per antica abitudine letteraria l’autorità deputata all’effettuazione dei controlli ed all’emissio-ne degli atti impositivi è denominata “amministrazione finanziaria” in ossequio all’organizzazione ministeriale postunitaria. Sarebbe tempo forse di utilizzare il termine “amministrazione tributaria”.

25 V. TUNDO, Illegittimo l’atto impositivo emesso “ante tempus”, cit., p. 2834 s. 26 Come insegnava ALLORIO, Diritto processuale tributario, Torino, 1969, p. 393. 27 E ciò non tanto per evitare ipotesi di giustificazioni “a posteriori” delle ragioni di urgenza, ma

soprattutto nell’ottica di consentire al contribuente la difesa in sede procedimentale e la definizione dei propri assetti già all’esito del procedimento cognita re.

28 Come è stato da più parti evidenziato, è peraltro inaccettabile l’imminenza del decorso del ter-mine per l’accertamento come usuale ragione di particolare urgenza, atteso che è compito dell’ammini-strazione tributaria organizzarsi in modo adeguato a consentire il rispetto delle garanzie dei contri-buenti: in questi termini COLI, Sull’invalidità degli atti d’accertamento adottati in violazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente, in Rass. trib., 2009, p. 1787 s., TESAURO, In tema di inva-lidità, cit., p. 1144, TUNDO, Illegittimo l’atto impositivo emesso “ante tempus, cit., p. 2835.

29 Stupiscono non poco, quindi, le forze “centrifughe” dimostrate dalla giurisprudenza della Su-prema Corte quasi nell’immediatezza della pronunzia delle Sezioni Unite. Si vedano Cass., sez. trib., ord. 5 novembre 2013, n. 24739 (per il tentativo di depotenziare l’art. 37 bis, comma 4, D.P.R. n. 600/1973 nonché di reputar non grave la concessione del termine di giorni cinquantaquattro in luogo dei sessanta previsti dalla legge), Cass., sez. trib., 13 novembre 2013, n. 25515 (per la ritenuta non applicazione dell’art. 12, ultimo comma, dello Statuto per le sanzioni tributarie e per i soggetti a carico dei quali siano emessi atti impositivi in conseguenza di verifiche effettuate a terzi, su cui gli accer-tamenti sono basati). Per l’impostazione seguita nel testo tali orientamenti non sono condivisibili.

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1004

La giurisprudenza di merito in proposito ha espresso significative aperture, mo-tivando sia sulla scorta di applicazioni analogiche 30 sia in base a più opinabili rico-struzioni letterali includenti il testo della rubrica legis 31-32.

Pare a chi scrive che l’interpretazione letterale dell’art. 12, ultimo comma, dello Statuto non lasci spazi per un’inclusione delle verifiche effettuate in ufficio nella fattispecie ivi contemplata. D’altro canto, però, sembrando la disciplina delle verifi-che in situ la principale preoccupazione del legislatore dello Statuto, potrebbero non sussistere ostacoli ad un’applicazione analogica della regola stabilita dall’art. 12 in esame, che contempla ipotesi tipiche, ma non aventi le caratteristiche di fattispecie eccezionali.

La soluzione però deve rinvenirsi nella nozione di giusto procedimento comu-nitario, quale emerge dalla ben nota sentenza Sopropè 33: ogni procedimento ri-guardante i tributi deve consentire l’espletamento di un contraddittorio 34, permet-tendo al contribuente, già al termine di esso, di presentare le proprie osservazioni, da valutarsi da parte dell’amministrazione 35.

30 CTP Milano, 10 maggio 2010, n. 126; CTP Cosenza, 14 maggio 2012, n. 380; nonché CTR Lombardia, 23 febbraio 2011, n. 38 (sulla necessità dell’ossequio dell’art. 12 dello Statuto anche in caso di accessi brevi), CTR 29 ottobre 2013, n. 118/19/13 (sull’applicabilità dell’art. 12, ultimo comma, anche in caso di accessi brevi).

31 CT I grado Trento, 7 febbraio 2011, n. 7, in cui il tentativo di sopravvalutare la rubrica legis, che menziona le verifiche fiscali tout court, rispetto al testo dell’art. 12, che disciplina in tutto l’articolo le verifiche fiscali effettuate nei locali del contribuente, appare alquanto acrobatico, anche vista la necessaria sinteticità che le rubriche devono avere.

32 Non appare pertinente alla questione Cass., sez. trib., 23 marzo 2012, n. 4687, giacché in quel-la sentenza la Suprema Corte ha concluso per l’inapplicabilità dell’art. 12, ultimo comma, dello Sta-tuto all’avviso di recupero del credito ex lege 23 dicembre 2000, n. 388 in quanto non si tratta di av-viso di accertamento.

33 Si veda la precedente nota 11. 34 Il contraddittorio deve applicarsi al termine di qualsiasi atto istruttorio indipendentemente

dal nomen di esso: in tal senso TOMASSINI, Contraddittorio anticipato a tutela del contribuente nelle verifiche fiscali, in GT-Riv. giur. trib., 2011, p. 536. Si veda da ultimo Cass., sez. trib., 11 settembre 2013, n. 20770, per il riconoscimento della necessità di redazione di processo verbale di chiusura (e quindi per il riconoscimento della violazione dell’art. 12, ultimo comma della L. n. 212/2000 e l’an-nullamento dell’atto impositivo) anche nel caso in cui vi sia stato un accesso nei locali solo finalizza-to al solo reperimento di documentazione e senza effettuazione di indagini istruttorie.

35 Riprendendo quanto esposto nella nota 29, non si condivide, quindi, l’orientamento espresso da Cass., sez. trib., ord. 18 ottobre 2013, n. 23690, secondo la quale le garanzie assicurate al soggetto sottoposto ad accesso, ispezione o verifica, non si estendono al terzo, a carico del quale emergano dati, informazioni o elementi utili per l’emissione di un avviso di accertamento. Il risultato al quale è giunto il Collegio (che in un obiter dictum pare ignorare la sentenza delle Sezioni Unite in commen-to, concludendo per la validità dell’accertamento emesso prima del termine senza che sussistano le ragioni di urgenza) è paradossale: il sistema offrirebbe garanzie al soggetto che, per l’esser stato veri-ficato, ha avuto parziale cognizione delle acquisizioni probatorie effettuate, sebbene non dell’ipotesi ricostruttiva finale, e non ne offrirebbe alcuna al soggetto terzo, che si vedrebbe raggiunto ex abrupto da un atto impositivo.

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Il diritto vivente comunitario obbliga ovviamente ad integrare la disciplina po-sitiva domestica che sia insufficiente ed a superarne l’eventuale asfittica previsione.

E non a caso la sentenza in commento, per risolvere la questione sottoposta al vaglio della Corte, ha menzionato la sentenza Sopropè come primo degli arresti giurisprudenziali considerati a giustificazione della decisione assunta.

Salvatore Muleo

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VIOLAZIONI E SANZIONIDELLE LEGGI TRIBUTARIE

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n. 4IL REGIME TRIBUTARIO DELLE PLUSVALENZE DA PARTECIPAZIONIThe tax regime of capital gains on participationsdi Antonio Viotto | pp. XXII-410 | € 46,00 | ISBN 978-88-348-7638-1

Abstract. – Premessa. – I. Il regime di esenzione delle plusvalenze azionarie nel quadro degli obiettivi per-seguiti dalla riforma degli anni 2003-2004. – II. Inquadramento sistematico dell’esenzione delle plusvalenze azionarie nel sistema dell’imposizione reddituale. – III. Inquadramento dell’esenzione delle plusvalenze azio-narie nel sistema dell’imposizione del reddito delle società. – IV. Profili strutturali dell’esenzione delle plusva-lenze azionarie di cui all’art. 87 del TUIR. – Conclusioni. – Indice degli autori. – Indice analitico.

n. 3IL FERMO E L’IPOTECA NELLA RISCOSSIONE COATTIVA DEI TRIBUTISeizure of registered movable property and mortgages in the forcible tax collectiondi Susanna Cannizzaro | pp. XXII-218 | € 26,00 | ISBN 978-88-348-7300-7

Abstract. – Premessa. – I. Il procedimento di riscossione coattiva tramite ruolo e i poteri dell’agente. Evo-luzione normativa. – II. La natura giuridica del “fermo” e dell’ipoteca. – Sez. I: Il fermo dei beni mobili registrati. – Sez. II: L’iscrizione d’ipoteca. – III. L’esecuzione “indiretta” e le misure coercitive. – IV. La tutela giurisdizionale. – Sez. I: La giurisdizione in tema di fermo e ipoteca. – Sez. II: La tutela nei confronti del provvedimento di fermo dei beni mobili registrati e dell’iscrizione d’ipoteca. – Conclusioni. – Indice degli autori. – Indice analitico.

n. 2LE OPERAZIONI ESENTI NEL SISTEMA DELL’IVAExemptions in the vat systemdi Francesco Montanari | pp. XVIII-406 | € 45,00 | ISBN 978-88-348-8992-3

Abstract. – Introduzione – I. Le agevolazioni e le esenzioni nel sistema dell’IVA. – II. Le operazioni di interes-se pubblico. – III. Le operazioni immobiliari. – IV. Le operazioni e i servizi finanziari. – Conclusioni. – Indice degli autori. – Indice analitico.