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3/2016

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G. Giappichelli editore – torino

Comitato di direzione

Fabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerralorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari

Maria cecilia Fregni, alessandro GiovanniniMaurizio logozzo, Giuseppe MariniSalvatore Muleo, Franco paparella

livia Salvini, loris tosi

3/2016

Tax Law Quarterly

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Comitato di direzioneFabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerra, lorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari, Maria cecilia Fregni, alessandro Giovannini, Maurizio logozzo, Giuseppe Marini, Salvatore Muleo, Franco paparel-la, livia Salvini, loris tosi

Comitato scientifico dei revisoriniccolò abriani, Francisco adame Martinez, antonia agulló agüero, Jacques au-tenne, Mauro Beghin, pietro Boria, Marc Bourgeois, andrea carinci, Giuseppe cipolla, Silvia cipollina, andrea colli Vignarelli, Gianluca contaldi, daria cop-pa, Giacinto della cananea, adriano di pietro, augusto Fantozzi, andrea Fedele, luigi Ferlazzo natoli, Stefano Fiorentino, Guglielmo Fransoni, Gianfranco Gaffuri, Franco Gallo, cesar Garcia novoa, alfredo Garcia prats, daniel Gutman, pedro h. herrera Molina, Manlio ingrosso, enrico laghi, Salvatore la rosa, carlos lopez espadafor, raffaello lupi, Jacques Malherbe, enrico Marello, Gianni Marongiu, enrico Marzaduri, Giuseppe Melis, Sebastiano Maurizio Messina, Marco Miccinesi, Salvo Muscarà, Mario nussi, carlos palao taboada, leonardo perrone, raffaele perrone capano, Franco picciaredda, Francesco pistolesi, ana María pita Gran-dal, Gianni puoti, José a. rozas Valdés, claudio Sacchetto, Salvatore Sammartino, roberto Schiavolin, roman Seer, Maria teresa Soler roch, paolo Stancati, dario Stevanato, Giuliano tabet, Francesco tesauro, Giuseppe tinelli, edoardo traversa, antonio Uricchio, Juan enrique Varona alabern, Marco Versiglioni, Bjorn West-berg, Giuseppe Zizzo

Comitato di redazioneantonio Viotto (coordinatore), ernesto-Marco Bagarotto, Gianluigi Bizioli, Susanna cannizzaro, pier luca cardella, anna rita ciarcia, Marco di Siena, Stefano dori-go, antonio Marinello, pietro Mastellone, Michele Mauro, annalisa pace, damiano peruzza, Federico rasi, laura torzi, caterina Verrigni

Tutti i contributi pubblicati nella Rivista sono stati sottoposti alla valutazione colle-giale da parte del Comitato di direzione e alla revisione anonima da parte di uno dei componenti del Comitato scientifico dei revisori, in base all’apposito Regolamento (consultabile sul sito www.giappichelli.it/RTDT_regolamento.html)

Amministrazione: presso la casa editrice G. Giappichelli, via po 21 – 10124 torino

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INDICE-SOMMARIO

pag.

Gli Autori e i Revisori IX

Dottrina

G. Boletto, Riflessioni sull’esclusione della condotta abusiva dal-l’area di penale rilevanza (The exclusion of abusive conduct from the scope of criminal law) 535

A. Busani, La tassazione delle donazioni “indirette” e delle donazioni “informali” (stipulate in Italia e all’estero) (The taxation of “indirect” and “informal” donations (entered into in Italy and abroad)) 553

G. Marongiu, Lo Statuto dei diritti del contribuente (The Taxpayer Bill of Rights) 579

M. Pierro, Cooperazione amministrativa tra Svizzera e UE: lo scam-bio di informazioni (Administrative cooperation between Switzer-land and EU: the exchange of information) 593

F. Pistolesi, L’impatto della giurisprudenza europea sul processo tri-butario italiano (The influence of European case law on the Italian tax trial) 621

M.E. Sánchez López, La transmisión automática de información. ¿hacia un sistema global de intercambio de datos? (Lo scambio automatico di informazioni. Verso un sistema globale di scambio di dati?) (Automatic exchange of information: towards a global sys-tem for the exchange of tax data?) 647

C. Trenta, Vanished on the way. Applicable law and VAT treatment of transported goods in intra-EU trade (Scomparsi lungo la stra-da. Diritto applicabile e regime IVA delle cessioni intracomunita-rie di beni) 677

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INDICE-SOMMARIO RTDT – n. 3/2016 VIII

pag.

A. Viotto, Considerazioni critiche, nella prospettiva costituzionale ed in quella comunitaria, sulla tassazione degli immobili e delle attività finanziarie detenuti all’estero (Critical remarks from a con-stitutional and European perspective on taxation of real properties and financial assets held abroad) 701

Giurisprudenza

Cass., sez. un., 14 aprile 2016, n. 7371 – Pres. Cicala, Rel. Greco; Cass., sez. un., 10 maggio 2016, n. 9451 – Pres. Cicala, Rel. Greco, con nota di Giovanni Consolo, IRAP e autonoma organizzazio-ne: esercizio associato di attività professionali e impiego di di-pendenti esecutivi nella giurisprudenza delle Sezioni Unite (Re-gional business tax (IRAP) and autonomous organization: profes-sional activities carried out in an associated form and the hiring of employees with executive functions in the case law of the Italian Su-preme Court) 743

Commissione Tributaria Regionale di Venezia-Mestre, sez. I, 19 mag-gio 2015, n. 874/1/15 – Pres. Tamborra, Rel. Rindone, con nota di Edoardo Carlo Leoni, Il monitoraggio fiscale dei finanziamenti esteri infruttiferi (The “tax monitoring” discipline of foreign non-interest bearing loans) 765

Cass., sez. V, 16 marzo 2016, n. 5139 – Pres. Bielli, Rel. Cirillo, con nota di Damiano Peruzza, Fermo amministrativo: confermata la “teoria dei cerchi concentrici” (Administrative hold: the Italian Supreme Court confirms the “concentric circles theory”) 789

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GLI AUTORI E I REVISORI

Giulia Boletto Professore aggregato di Diritto tributario, Università di Pisa

Angelo Busani Notaio in Milano

Giovanni Consolo Dottorando di ricerca in Diritto tributario, Università di Milano-Bicocca

Edoardo Carlo Leoni Dottorando di ricerca in Diritto tributario, Università degli Studi di Modena e Reg-gio Emilia

Gianni Marongiu Professore emerito di Diritto tributario, Università di Genova

Damiano Peruzza Assegnista di ricerca in Diritto tributario, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Maria Pierro Professore associato di Diritto tributario, Università degli Studi dell’Insubria

Francesco Pistolesi Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Siena

María Esther Sánchez López Profesora Titular de Derecho Financiero y Tributario, UCLM

Cristina Trenta Docent, Associate Professor in Tax Law

Antonio Viotto Professore associato di Diritto tributario, Università Ca' Foscari di Venezia

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GLI AUTORI E I REVISORI RTDT - n. 3/2016 X

La revisione dei contributi pubblicati è stata effettuata da: Andrea Carinci (Professore straordinario di Diritto tributario, Università di Bologna); Adriano Di Pietro (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Bologna); Augusto Fantozzi (Professore ordinario di Diritto tributario, Università Telema-tica Giustino Fortunato); Andrea Fedele (Professore ordinario di Diritto tributa-rio, Università di Roma Sapienza); Franco Gallo (Professore emerito di Diritto tributario, Università di Roma LUISS); Enrico Marello (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Torino); Mario Nussi (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Udine); Salvatore Sammartino (Professore or-dinario di Diritto tributario, Università di Palermo).

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DOTTRINA

SOMMARIO: G. Boletto, Riflessioni sull’esclusione della condotta abusiva dall’area di penale

rilevanza (The exclusion of abusive conduct from the scope of criminal law) A. Busani, La tassazione delle donazioni “indirette” e delle donazioni “infor-

mali” (stipulate in Italia e all’estero) (The taxation of “indirect” and “infor-mal” donations (entered into in Italy and abroad))

G. Marongiu, Lo Statuto dei diritti del contribuente (The Taxpayer Bill of Rights)

M. Pierro, Cooperazione amministrativa tra Svizzera e UE: lo scambio di in-formazioni (Administrative cooperation between Switzerland and EU: the ex-change of information)

F. Pistolesi, L’impatto della giurisprudenza europea sul processo tributario ita-liano (The influence of European case law on the Italian tax trial)

M.E. Sánchez López, La transmisión automática de información. ¿hacia un sistema global de intercambio de datos? (Lo scambio automatico di infor-mazioni. Verso un sistema globale di scambio di dati?) (Automatic exchange of information: towards a global system for the exchange of tax data?)

C. Trenta, Vanished on the way. Applicable law and VAT treatment of tran-sported goods in intra-EU trade (Scomparsi lungo la strada. Diritto appli-cabile e regime IVA delle cessioni intracomunitarie di beni)

A. Viotto, Considerazioni critiche, nella prospettiva costituzionale ed in quella comunitaria, sulla tassazione degli immobili e delle attività finanziarie dete-nuti all’estero (Critical remarks from a constitutional and European perspective on taxation of real properties and financial assets held abroad)

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DOTTRINA RTDT – n. 3/2016 534

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Giulia Boletto

RIFLESSIONI SULL’ESCLUSIONE DELLA CONDOTTA ABUSIVA DALL’AREA DI PENALE RILEVANZA

THE EXCLUSION OF ABUSIVE CONDUCT FROM THE SCOPE OF CRIMINAL LAW

Abstract La condotta abusiva se anche determina un’indebita riduzione del prelievo fisca-le in quanto suscettibile di riflettersi in una dichiarazione infedele, non è mai così grave da meritare di essere punita anche penalmente. Questa la soluzione adotta-ta dal legislatore delegato in punto di responsabilità connessa al comportamento abusivo, a fronte di una legge delega che chiedeva di “individuare i confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione, anche ai fini del trattamento sanziona-torio”. La soluzione mostra profili di dubbia legittimità costituzionale con riferi-mento sia all’art. 3 Cost., sia all’art. 76 e 25, comma 2, Cost. Parole chiave: condotta abusiva, sanzioni penali, disvalore, legge delega, riserva assoluta di legge The abusive behaviour, although it determines an unlawful reduction of the tax bur-den following an unfaithful tax return, it cannot be considered so serious to deserve al-so a criminal punishment. This is the solution adopted by the legislator on the respon-sibility following to abusive behaviours, as an answer of the delegation law that ex-pressly required to “identify the boundaries between tax avoidance and tax evasion, especially from the punishment point of view”. Nevertheless, the solution shows pro-files of unconstitutionality with reference to Arts. 3, 76 and 25, para. 2, Italian Con-stitution. Keywords: abuse of law, criminal penalties, seriousness of the violation, delegation law, absolute rule of law

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DOTTRINA RTDT – n. 3/2016 536

SOMMARIO: 1. Introduzione: gli aspetti critici della soluzione di merito. – 2. Profili di illegittimità costitu-zionale del D.Lgs. n. 128/2015 per violazione degli artt. 76 e 25, comma 2, Cost.

1. Introduzione: gli aspetti critici della soluzione di merito

La L. n. 23/2014 ha delegato il Governo a disciplinare l’elusione e l’abu-so del diritto attraverso la formulazione di una clausola generale ed ha altre-sì impegnato il legislatore delegato ad individuare i confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione, anche ai fini del trattamento sanzionatorio 1.

L’esigenza di certezza giuridica nell’applicazione del principio generale di divieto di abuso del diritto, imponeva, infatti, non solo di delineare un qua-dro normativo completo e preciso dell’istituto 2 ma anche di chiarire una

1 L’art. 5 della L. n. 23 cit., in particolare, ha dettato principi e criteri direttivi per unifi-care le vigenti disposizioni antielusive al principio generale del divieto dell’abuso del dirit-to (elaborato dalla giurisprudenza di legittimità) anche alla luce della raccomandazione della Commissione UE n. 2012/772 sulla c.d. pianificazione fiscale aggressiva. L’art. 8, de-dicato precipuamente alla «Revisione del sistema sanzionatorio», ha delegato il Governo ad «individuare i confini tra le fattispecie di elusione e quella di evasione, anche ai fini del trattamento sanzionatorio».

La legge delega viene emanata in un momento storico nel quale il tema dell’elusione e dell’abuso del diritto è al centro dell’interesse di dottrina e giurisprudenza, principalmente per il fatto che a fronte della clausola antielusiva speciale, contenuta nell’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973, di portata circoscritta alle sole imposte sui redditi e ad un elenco tassativo di fattispecie, la giurisprudenza di legittimità, sulla scia di quella comunitaria (v. Corte di Giustizia UE, 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax; Corte di Giustizia UE, 21 feb-braio 2008, C-425/06, Part Service, in Banca dati fisconline) aveva elaborato, con una serie di sentenze pronunciate nel 2008 (v. Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055; Id. 23 dicembre 2008, n. 30056; Id. 23 dicembre 2008, n. 30057, in Banca dati fisconline), un principio generale di divieto di abuso del diritto, applicabile a tutti i tributi, che trovava fon-damento negli stessi principi costituzionali che permeano il sistema tributario domestico (art. 53 Cost.). Sulla diretta derivabilità della clausola di interpretazione antielusiva dal-l’art. 53 Cost. v. FALSITTA, L’interpretazione antielusiva della norma tributaria come clausola generale immanente al sistema e direttamente ricavabile dai principi costituzionali, in Corr. giur., 2009, p. 293 ss. Critici rispetto al fatto che l’art. 53 Cost. sia in grado, da solo, di giu-stificare un meta principio generale antielusivo sono LUPI-STEVANATO, Tecniche interpreta-tive e pretesa immanenza di una norma generale antielusiva, in Corr. trib., 2009, p. 403 ss.

2 A fronte di un progressivo consolidamento del principio di divieto di abuso del dirit-to, tuttavia, la Corte di Cassazione non è stata sempre coerente nella sua applicazione. Sul punto v. CARPENTIERI, L’ordinamento tributario tra abuso e incertezza del diritto, in Riv. dir.

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Giulia Boletto 537

volta per tutte il tipo di responsabilità connessa al comportamento elusi-vo/abusivo; se cioè esso determinasse unicamente il recupero dell’imposta o, invece, meritasse l’irrogazione di sanzioni amministrative 3 ed, eventual-mente, anche penali 4.

trib., 2008, p. 1055 ss.; RENDA, L’evoluzione del divieto di abuso del diritto tributario nel-l’orientamento della Corte di Cassazione (2011-2013), in Dir. prat. trib., 2013, p. 20907. V., altresì, POGGIOLI, Il modello comunitario della “pratica abusiva” in ambito fiscale: elementi costi-tutivi essenziali e forza di condizionamento rispetto alle scelte legislative ed interpretative naziona-li, in Riv. dir. trib., 2008, IV, p. 252 ss.; VACCA, L’abuso e la certezza del diritto, in Corr. trib., 2014, p. 1127. STEVANATO, Ancora un’accusa di elusione senza “aggiramento” dello spirito della legge, a commento della Cass. n. 1372/2011, in Corr. trib., 2011, p. 678. Proprio l’assenza di precise linee guide per l’applicazione del principio generale di divieto di abuso del diritto ela-borato dalla Cassazione, oltre ad un forte squilibrio sul versante delle garanzie assicurate al contribuente ed emergente dal confronto con le modalità di applicazione dell’art. 37 bis cit., ha determinato pesanti ricadute quanto alla certezza e prevedibilità delle conseguenze giuri-diche discendenti dai comportamenti adottati dagli operatori economici.

3 Si ricorda che, per lungo tempo, chi si è interrogato sulla sanzionabilità del compor-tamento elusivo, si è concentrato sulla natura sostanziale ovvero procedimentale dell’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973. In particolare, chi ne riconosceva natura sostanziale in quanto norma in grado di individuare i corretti termini del dovere di contribuzione, riteneva che il contribuente ne fosse il destinatario e, proprio perché tale, fosse tenuto a darne puntuale applicazione in sede di compilazione della dichiarazione dei redditi (v., su tutti, GALLO, Rilevanza penale dell’elusione, in Rass. trib., 2001, p. 321 ss.). Di conseguenza, la dichiara-zione predisposta tenendo conto dei vantaggi fiscali indebiti doveva considerarsi infedele ai sensi dell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 471/1997. Negli stessi termini, v., fra le altre, Cass. 30 novembre 2011, n. 25537, in Banca dati fisconline.

Ad opposte conclusioni, viceversa, giungeva chi riteneva che l’art. 37 bis cit. avesse na-tura meramente procedurale, fosse quindi rivolto alla sola Amministrazione finanziaria e destinato a disciplinarne l’esercizio del potere di recupero dell’imposta elusa; questa pro-spettiva escludeva l’applicabilità delle sanzioni amministrative in sede di recupero dell’im-posta elusa. v., tra i molti, CORASANITI, Contrasto all’elusione e all’abuso del diritto nell’ordi-namento tributario, in Obbligazioni e contratti, 2012, p. 32 ss.; CORRADO, Elusione tributaria, abuso del diritto (comunitario) e inapplicabilità delle sanzioni amministrative, in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 551; CARINCI, Elusione tributaria, abuso del diritto e applicazione delle sanzioni amministrative, in Dir. prat. trib., 2012, p. 785 ss.; BASILAVECCHIA, Presupposti ed effetti della sanzionabilità dell’elusione, in Dir. prat. trib., 2012, p. 797 ss.; LA ROSA, L’accertamento tribu-tario antielusivo: profili procedimentali e processuali, in Riv. dir. trib., 2015, I, p. 499.

4 Si ricordano, a questo proposito, gli approdi più recenti della giurisprudenza di legittimità: in particolare nel 2012, per la prima volta, con la sentenza c.d. Dolce e Gabbana, afferma com-piutamente la riconducibilità, perlomeno in astratto, delle condotte elusive nell’area di precetti-vità del delitto di dichiarazione infedele, precisando, sempre in ossequio al principio di legalità, che «non qualunque condotta elusiva ai fini fiscali può assumere rilevanza penale, ma solo quella che corrisponde ad una specifica ipotesi di elusione espressamente prevista dalla legge».

Il sillogismo della Corte è semplice; la dichiarazione è fedele quando gli elementi attivi

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DOTTRINA RTDT – n. 3/2016 538

In attuazione della delega, è stato introdotto, ad opera del D.Lgs. n. 128/2015 5, l’art. 10 bis nello Statuto dei diritti del contribuente, intitolato “Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale”, che ha sostituito l’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973, e che, dopo aver individuato i tratti costitutivi essenziali del comportamento abusivo 6, dispone, per i profili che qui inte-ressano, che «le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni ammi-nistrative tributarie».

Quanto all’applicabilità delle sanzioni amministrative il legislatore dele-gato sembra riprendere le conclusioni cui era giunta una parte della dottrina e la giurisprudenza di legittimità prima dell’introduzione dell’art. 10 bis cit.: e quelli passivi sono indicati nel loro ammontare effettivo; gli atti e i negozi elusivi non so-no opponibili all’A.F. e dunque tamquam non esset; la dichiarazione che di essi tenga conto è infedele perché calcola gli elementi attivi e passivi sulla base di operazioni che non devo-no essere valutate a fini tributari. Avuto riguardo all’infedeltà della dichiarazione, allora, imposta elusa ed imposta evasa sono sostanzialmente la stessa cosa e ciò in quanto viene accolta implicitamente la tesi per la quale si devono considerare fittizi non solo i costi og-gettivamente inesistenti, ma anche quelli giuridicamente inesistenti, perché non deducibili o comunque indicati in violazione della normativa tributaria.

5 Recante «Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuen-te», in attuazione degli artt. 5, 6 e 8, comma 2, L. 11 marzo 2014, n. 23.

6 I requisiti identificativi dell’abuso del diritto, enunciati al comma 1 dell’art. 10 bis cit. sono: a) assenza di sostanza economica delle operazioni poste in essere dal contribuente; b) rispetto formale delle norme fiscali; c) realizzazione di un vantaggio fiscale indebito come causa o ragione essenziale dell’operazione. Al ricorrere di questi tre requisiti positivi, l’operazione in concreto realizzata configura un’ipotesi di abuso del diritto, come tale inopponibile all’Amministrazione finanziaria che, ai sensi del primo comma, «... ne disco-nosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni».

La nozione normativa di abuso del diritto recepisce quella già fatta propria dalla giuri-sprudenza di legittimità: v., in particolare, Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055, cit., secondo cui, «in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizio-ne, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dal-la mera aspettativa di quei benefici». In sostanza, essa riconduce il tema dell’abuso del di-ritto nell’alveo dei negozi realizzati in frode ad una legge imperativa fiscale, la cui imperati-vità deriverebbe dal combinato disposto del precetto costituzionale dell’art. 53, che preve-de il dovere di concorrere alle pubbliche spese in ragione della capacità contributiva, e del-la norma tributaria sostanziale che tale dovere rende effettivo individuando il presupposto di imposizione. V. GALLO, La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale, in Rass. trib., 2015, p. 1315.

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Giulia Boletto 539

la dichiarazione predisposta tenendo conto dei vantaggi fiscali indebiti deve considerarsi infedele e quindi sanzionabile ai sensi dell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 471/1997, in quanto l’unica condizione per l’applicazione delle san-zioni amministrative è che, al pari dell’evasione, sussista una maggiore impo-sta cui il contribuente si è sottratto (a fini elusivi) pari alla differenza tra quan-to dichiarato e quanto effettivamente dovuto in base ad accertamento 7.

La condotta abusiva, tuttavia, se anche determina evasione in quanto è suscettibile di riflettersi in una dichiarazione infedele, non è mai così grave da meritare di essere punita anche penalmente.

In assenza di un criterio direttivo chiaro e certo che, sul punto, fosse in grado di orientare il legislatore delegato, le ragioni della soluzione sono sta-te ricercate nei principi espressi nell’art. 8 della legge delega, dedicato preci-puamente alla Revisione del sistema sanzionatorio, in cui, in sintesi, si chie-deva di rivedere il sistema penale tributario limitando l’intervento punitivo alle condotte ritenute più gravi 8.

E così, assumendo come indice oggettivo di gravità il disvalore espresso dalla condotta, il legislatore delegato esclude che il comportamento abusivo possa avere rilevanza penale 9.

7 Così GALLO, Rilevanza penale dell’elusione, cit. 8 La soluzione, in altri termini, viene messa in linea con la rinnovata consapevolezza del

legislatore delegante della necessità di orientare il rapporto tra sanzione amministrativa pecuniaria e pena all’osservanza del basilare principio di sussidiarietà ed extrema ratio del diritto penale, come emerge chiaramente dall’art. 8 della legge delega, dedicato precipua-mente alla Revisione del sistema sanzionatorio. Il legislatore delegante indica i criteri diret-tivi per la riforma delle fattispecie penali tributarie nella «predeterminazione e proporzio-nalità rispetto alla gravità dei comportamenti, … dando rilievo, tenuto conto di adeguate soglie di punibilità, alla configurazione del reato per comportamenti fraudolenti, simulato-ri o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa …». Secondo qualcuno (DI VETTA, Abuso del diritto nella prospettiva penale, in Trattato di diritto sanzionatorio tri-butario, diretto da A. Giovannini, a cura di A. Giovannini, A. Di Martino e E. Marzaduri, Milano, 2016, p. 1005 ss. v., altresì, Cass. pen. n. 40272/2015, in www.penalecontemporaneo.it) già la rilevanza che veniva riconosciuta, nella conformazione delle future fattispecie incri-minatrici, alle singole modalità decettive di realizzazione della condotta tipica poteva esse-re sufficiente ad escludere la riconducibilità di comportamenti elusivi alle norme penali tributarie, trattandosi di condotte realizzate alla luce del sole, in modo trasparente, e senza ricorrere alla creazione di realtà simulate o ad altri supporti fraudolenti.

9 In generale, la gravità della condotta dei reati tributari può essere valutata secondo due parametri. Il primo parametro è quello che tiene conto dell’intrinseco disvalore sociale del comportamento in sé, e prevede un bilanciamento tra offensività della condotta rispetto al bene oggetto di tutela e diritto fondamentale di libertà dell’individuo; poiché la pena sacri-fica tale diritto, le condotte incriminate devono essere portatrici di un grado di offensività

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Molte le critiche mosse alla soluzione adottata 10. Innanzi tutto essa sembra creare un’incoerenza sistematica. Se si attri-

buisce alla condotta abusiva natura illecita in ragione del risultato che essa determina (infedeltà della dichiarazione), non appare ragionevole (ex art. 3 Cost.) escludere tout court che quel risultato possa assumere rilevanza anche penale, considerato che il sistema sanzionatorio penale tributario si caratte-rizza, da un lato, per punire non le condotte ma, appunto, il risultato di esse, e, dall’altro, per selezionare gli illeciti in base all’entità dell’imposta evasa 11.

Ciò, a maggior ragione, se già da un punto di vista ontologico si nega di poter riconoscere alla condotta abusiva un disvalore minore della condotta evasiva; il vantaggio indebito e l’assenza di sostanza economica, cioè gli ele-menti strutturali della condotta abusiva, rivelano, infatti, che essa viene po-sta in essere in frode alla legge imperativa fiscale 12, ovvero, più in generale, in e disvalore sociale tale da giustificare questo sacrificio. Il secondo parametro, viceversa, prescinde dal disvalore sociale della condotta e rapporta la gravità della stessa alla misura dell’imposta evasa, seguendo la logica del danno provocato, laddove il danno è quantifica-to sull’ammontare del tributo evaso. Se la gravità della condotta viene misurata solo sul-l’ammontare dell’imposta evasa la conseguenza sarà che condotte con diversi disvalori so-ciali vengono equiparate quanto alla sanzionabilità penale, essendo possibile operare una diversificazione solo in termini di graduazione della pena, ma non in termini di applicabili-tà della stessa. v., sul punto, PERRONE, La nuova disciplina dei reati tributari: luci ed ombre di una riforma appena varata, in Riv. dir. trib., 2015, III, p. 62 ss.

10 V. GIOVANNINI, Abuso del diritto e sanzioni, in Trattato di diritto sanzionatorio tributa-rio, diretto da A. Giovannini, a cura di A. Giovannini, A. Di Martino e E. Marzaduri, Mila-no, 2016, p. 977 ss.; PROCOPIO, La poco convincente riforma dell’abuso del diritto ed i dubbi di legittimità costituzionale, in Dir. prat. trib., n. 4, 2014, p. 10746.

11 V. DI MARTINO, La sussidiarietà del sistema sanzionatorio penale: il significato delle so-glie di punibilità, in Trattato di diritto sanzionatorio tributario, diretto da A. Giovannini, a cura di A. Giovannini, A. Di Martino e E. Marzaduri, Milano, 2016, p. 5 ss.

Si pensi al reato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4, D.Lgs. n. 74/2000, cui tradi-zionalmente venivano ricondotte le operazioni elusive e che, anche a seguito delle modifi-che apportate dall’art. 4, D.lgs. n. 158/2015, si caratterizza per un contenuto di disvalore di evento totalmente incentrato sul danno/evasione fiscale per l’amministrazione finanziaria. Per tale fattispecie delittuosa, infatti, l’art. 8 della legge delega aveva previsto che fosse fat-to un bilanciamento tra la gravità della condotta e la sanzione, con l’esclusione della san-zione penale per le fattispecie meno gravi; non era stato identificato, tuttavia, alcun criterio per la misurazione della gravità dei comportamenti, per cui la gravità della condotta conti-nua ad essere calibrata sulle soglie di punibilità e quindi sulla misura dell’imposta evasa.

12 La frode alla legge tributaria integra l’aggiramento della legge fiscale, essendo volta a realizzare un risparmio fiscale indebito, in quanto non giustificato da valide ragioni eco-nomiche. Si veda, per tutti, CIPOLLINA, La legge civile e la legge fiscale. Il problema dell’elusio-ne fiscale, Padova, 1992, spec. p. 169.

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violazione della regola generale di buona fede oggettiva 13, e ciò, sul piano del-l’offensività e riprovevolezza, non può che essere messo al pari della viola-zione espressa di norme giuridiche.

In secondo luogo, si dubita dell’effettiva utilità della previsione di cui al comma 13 dell’art. 10 bis cit. 14, dato che già la revisione del D.Lgs. n. 74/2000 andava nella direzione di sanzionare, nell’ambito dei delitti in materia di di-chiarazione, le sole condotte maggiormente lesive degli interessi dell’Erario qualificate da comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla crea-zione e all’utilizzo di documentazione falsa; ciò risulta evidente fin dalle nor-me definitorie del D.Lgs. n. 74/2000 15, anche se cruciali, a tal fine, sono le modifiche che hanno riguardato gli elementi caratterizzanti la condotta del delitto di dichiarazione infedele (art. 4, D.Lgs. 74/2000) 16 e, primo fra tutti,

13 Sul punto, e cioè sulla riconducibilità e sostanziale sovrapponibilità tra divieto di abuso del diritto e dovere di buona fede si rinvia, per la dottrina tributaria, a GIOVANNINI, Abuso del diritto e sanzioni, cit. v., altresì, PROSPERI, L’abuso del diritto nella fiscalità vista da un civilista, in Dir. prat. trib., 2012, p. 10717. In giurisprudenza, v. Cass., sez. III, 18 settem-bre 2009, n. 20106, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 231 ss., nella quale si dice che il divieto di abuso del diritto «costituisce un criterio rivelatore della violazione dell’obbligo di buona fede».

Tra i civilisti, v. BUSNELLI-NAVARRETTA, Abuso del diritto e responsabilità civile, in Diritto privato, Padova, 1997, p. 171 ss., i quali inquadrano il divieto di abuso del diritto come «principio – ponte tra i valori costituzionali e le regole codicistiche della non emulatività e della correttezza (o buona fede oggettiva)».

14 V. SANTORIELLO, La delega fiscale e le novità in materia di abuso del diritto, elusione e collaborazione volontaria, in GIARDA-PERINI-VARRASO (a cura di), La Nuova giustizia penale tributaria, Padova, 2016, p. 50 ss.

15 Si ricordano: l’art. 1, comma g bis), che definisce le operazioni simulate oggettiva-mente o soggettivamente come operazioni apparenti diverse da quelle disciplinate dall’art. 10 bis, L. n. 212/2000, poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti; l’art. 1, comma g ter), in cui si chiarisce che nella nozione di mezzi fraudolenti rientrano quelle condotte artificiose at-tive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà.

16 Si ricorda che il previgente art. 4, D.Lgs. n. 74/2000 definiva il fatto punibile concen-trando l’incriminazione sulla indicazione, nelle dichiarazioni annuali, di «elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ovvero di elementi passivi fittizi». Il profilo oggettivo dell’illecito si sostanziava, dunque, nella presentazione di una dichiarazione an-nuale contenente elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ovvero di elementi passivi fittizi, oltre che nella realizzazione di una evasione di imposta per importi superiori alle soglie di rilevanza. In questo quadro, tuttavia, la sfera applicativa del delitto dipendeva, in massima parte, dalla nozione accolta di «elementi passivi fittizi» (e in minor misura e correlativamente, di «elementi attivi effettivi»). La riforma del 2015, introdu-

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la sostituzione dell’aggettivo fittizi, riferito agli elementi passivi, con inesi-stenti 17.

L’ambizione del legislatore delegato, tuttavia, era, evidentemente, quella di definire una volta per tutte la questione della rilevanza penale della con-dotta elusiva, improntando i rapporti tra fattispecie penale e fattispecie abu-siva ad una mutua esclusione.

A questo proposito, si osserva, intanto, che rimane impregiudicata la possibilità di ravvisare illeciti penali per le ipotesi di elusione c.d. codificata, cioè per i casi di operazioni contrastanti con disposizioni specifiche che per-seguono finalità antielusive; così è stato interpretato il comma 12 dell’art. 10 cendo all’art. 4 cit. i commi 1 bis e 1 ter, (volti – sostanzialmente – a ridurre la rilevanza penale delle valutazioni e soprattutto, dei componenti negativi di reddito imputati dal con-tribuente che, seppur reali, non rilevano fiscalmente) ed abrogando il previgente art. 7, esclude tutte quelle interpretazioni che, considerando fittizi anche i costi solo “giuridica-mente” inesistenti, perché non deducibili o comunque indicati in violazione della norma-tiva tributaria, ne facevano conseguire la penale rilevanza di tutte forme di elusione. Pe-nalmente, pertanto, non rilevano ai fini del delitto di dichiarazione infedele le operazioni concernenti la classificazione in bilancio di una determinata posta contabile, o le opera-zioni di valutazione di cespiti, di partecipazioni, di titoli, di rimanenze, ecc. (a condizione che i criteri di classificazione e valutazione siano chiari ed indicati); così come non rileva-no le violazioni concernenti i criteri di determinazione dell’esercizio di competenza cui imputare un componente positivo o negativo di conto economico o le violazioni dei criteri di valutazione dell’inerenza di un costo. Se fittizi sono solo i costi “oggettivamente inesi-stenti” quella divergenza tra l’essere della dichiarazione, rispettoso della realtà fattuale, e il suo dover essere, ricostruito sulla base dei criteri indicati nelle leggi tributarie, che avrebbe-ro imposto una diversa valutazione delle operazioni effettuate e una conseguente difformi-tà nell’autoliquidazione dell’imposta da pagare, deve considerarsi illecita solo in sede ex-trapenale. V., sul punto, FASANI, I concetti penal-tributari di effettività e fittizietà: la dichiara-zione infedele al cospetto dell’elusione fiscale, in Riv. dir. trib., 2013, p. 117.

17 Per completezza, si ricorda che l’art. 3, D.Lgs. n. 74/2000, che disciplina, appunto, il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, ha subito una profonda revisione ad opera dell’art. 3, D.Lgs. n. 158/2015. A seguito di tale revisione, esso presenta adesso una maggiore flessibilità, principalmente per il fatto che risulta svincolato dalla necessità che la condotta frodatoria venga recepita anche dalle scritture contabili (da qui, l’ampliarsi del novero dei potenziali soggetti attivi del reato, non più ristretto ai soli contribuenti ob-bligati alla tenuta delle scritture contabili). Tale delitto tradizionalmente poggia su due pilastri: la dichiarazione fiscale mendace e le condotte frodatorie di supporto. Quanto alla decettività della dichiarazione, questa deve manifestarsi attraverso l’indicazione di “ele-menti attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo” o di “elementi passivi fittizi”. Le condotte frodatorie, invece, sono quelle aventi natura simulata (oggettivamente o sogget-tivamente) e quelle accompagnate dall’impiego di documenti falsi o altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e indurre in errore l’Amministrazione finanziaria (v. PERINI, La riforma dei reati tributari, in Dir. pen. proc., 2016, p. 18).

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bis, ai sensi del quale «In sede di accertamento l’abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti con-testando la violazione di specifiche disposizioni tributarie» 18. In altri termi-ni, le pratiche elusive espressamente qualificate da specifiche disposizioni tributarie che ne disconoscono i singoli vantaggi fiscali rimangono estranee alla previsione di cui al comma 13 dell’art. 10 bis cit. e possono quindi rien-trare, ricorrendone i presupposti, nell’area di rilevanza penale.

Per tutti gli altri casi, è stato detto 19, il comma 13 dell’art. 10 bis cit., lad-dove dispone che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, introduce un limite esegetico delle fattispecie in-criminatrici, un elemento negativo costitutivo del fatto tipico: esso, in prati-ca, nonostante la sua collocazione estrinseca rispetto alle disposizioni pena-li, ridisegna per sottrazione le fattispecie di reato escludendo dal loro peri-metro i comportamenti rientranti nella nozione di abuso del diritto.

Data l’integrazione tra norme 20, la qualificazione giuridico-penale di un fatto viene ora a dipendere dai requisiti descrittivi di cui all’art. 10 bis cit. 21; ciò impone di domandarsi, prioritariamente, se una data condotta, oggetto di imputazione, costituisca o meno “abuso del diritto” ai sensi dell’art. 10 bis, cit., al fine di beneficiare di una sorta di esimente. La qualifica in termini di abuso del diritto di una data operazione, insomma, è (o dovrebbe essere) dirimente rispetto all’integrazione di una fattispecie di incriminazione.

La soluzione, tuttavia, non è completamente appagante; si dubita della

18 V. Cass. pen. n. 40272/2015, in www.penalecontemporaneo.it che fornisce una prima lettura dell’art. 10 bis cit. Ci si riferisce, evidentemente, a quelle operazioni relative, ad esempio, alla disciplina cfc o sul transfer pricing ex art. 110, comma 7, TUIR ecc., oppure a quella relativa alle fattispecie di esterovestizione.

19 V. DI VETTA, Abuso del diritto nella prospettiva penale, cit. 20 D’altronde solo riconoscendo un’incidenza strutturale del novum legislativo sulla fat-

tispecie penale, e precisamente sul versante della tipicità, si offre una lettura completa e soddisfacente di una norma, il comma 13 dell’art. 10 bis cit., che altrimenti risentirebbe della sua incertezza e inconsistenza linguistica. Tale impostazione, peraltro, trova piena conferma nella sentenza Cass. pen. n. 40272/2015, cit. v., sul punto, DI VETTA, Abuso del diritto nella prospettiva penale, cit.

21 Sull’integrazione tra norme penali e norme tributarie, affiorano, peraltro, le perplessi-tà dei penalisti in punto di rispetto del principio di determinatezza e prevedibilità del fatto tipico; le fattispecie incriminatrici finiscono per “dipendere” da requisiti descrittivi del tut-to alieni alla materia penale, cioè dai concetti di “vantaggio indebito”, di “assenza di so-stanza economica”, carichi di tecnicismo e di difficile interpretazione in sede giudiziale. v. sul punto, DI VETTA, Abuso del diritto nella prospettiva penale, cit.

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sua “tenuta”, in particolare, per i casi in cui, nonostante la valenza elusiva dell’operazione, la condotta del privato sia qualificabile anche come fraudo-lenta e truffaldina 22.

Se infatti non è penalmente rilevante un comportamento negoziale del contribuente inteso a conseguire esclusivamente vantaggi fiscali indebiti, tale conclusione deve forse mutare di segno quando il privato tenga una tale condotta con modalità fraudolente, occultando l’intenzione di raggiungere finalità diverse da quelle che l’ordinamento riconnette all’esercizio delle fa-coltà in concreto esercitate o rappresentando in maniera mendace le circo-stanze in presenza delle quali si pone la sua azione o nascondendo le parti-colari e censurabili modalità con cui è stato esercitato il diritto di cui pure è titolare. Si pensi alla difficoltà, già in astratto, di distinguere tra “fronde per simulazione” e “abuso non penalmente rilevante”, e quindi all’individua-zione delle ipotesi di abuso del diritto che, in quanto tali, non siano da ri-condurre alla species delle operazioni simulate di cui all’art. 3, D.Lgs. n. 74/2000 23.

Il problema può nascere in ragione delle regole di separazione processua-le tra “binario penale” e “binario fiscale”. Ed infatti non si può escludere a priori e per la sola previsione del comma 13 dell’art. 10 bis cit. che nell’eser-cizio dell’azione penale la magistratura inquirente qualifichi la fattispecie come delitto ex art. 3, D.Lgs. n. 74/2000 e l’amministrazione finanziaria proceda secondo le regole dell’art. 10 bis cit., e ciò, vale la pena dirlo di nuo-

22 V. sul punto, diffusamente, SANTORIELLO, La delega fiscale e le novità in materia di abuso del diritto, elusione e collaborazione volontaria, cit. Si immagini il caso di un imprendi-tore che dichiari di aver trasferito la propria azienda o parte della stessa all’estero e chieda che la tassazione sia calcolata sulla base di questa circostanza ovvero dichiari di pagare all’estero i tributi o comunque che il fisco italiano riconosca che parte dell’obbligazione tributaria è assolta altrove. L’Erario può ritenere infondata tale richiesta, affermando che la tassazione debba continuare ad essere calcolata come se l’impresa operasse in Italia, per-ché la condotta del contribuente non è tale da modificare la sede effettiva dei propri affari ed il luogo ove egli matura i propri ricavi. In questo caso nulla legittima il ricorso alla san-zione penale.

Diversa invece la circostanza in cui il contribuente, per giustificare la sua affermazione di aver trasferito l’impresa all’estero rappresenta agli organi competenti una situazione di-versa da quella reale, dichiarando falsamente che all’estero ha sede ed opera il board orga-nizzativo dell’azienda o che all’estero sono presenti diversi stabilimenti operativi.

23 La sottrazione agli obblighi di contribuzione fiscale può ben realizzarsi attraverso l’utilizzo di tecniche simulatorie che rendono più difficile la ricostruzione dell’affare com-piuto. Si pensi, ad esempio, alla stipula di un contratto di comodato gratuito volto a dissi-mulare una locazione immobiliare onerosa, al fine di evitarne le conseguenze tributarie.

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vo, in ragione dell’autonomia dei due procedimenti e del fatto che l’azione penale può muovere indipendentemente dalla degnazione dell’Amministra-zione finanziaria alla competente autorità penale.

Sembra, allora, che, nonostante il comma 13 dell’art. 10 bis, alla condotta di abuso del diritto si debba riconoscere penale rilevanza quando il compor-tamento esteriore del soggetto presenta anche una connotazione fraudolen-ta, ingannatoria, capace di celare la reale struttura della vicenda in cui si cala il comportamento del singolo, di camuffarne i presupposti e le effettive con-seguenze 24.

Su questa scia, si può concludere, dunque, che esistono condotte abusive aventi – ai sensi del comma 13 dell’art. 10 bis, cit. – rilevanza solo in sede amministrativa tributaria, e condotte abusive poste in essere in violazione della legge penale; il confine tra le due è segnato da quel quid pluris di con-dotta, rispetto a quella abusiva, avente una connotazione fraudolenta, in-gannevole, mendace nei confronti del fisco. Per le prime, alla luce delle nuove formulazioni di cui agli artt. 1, lett. g-bis) e g-ter), 3 e 4, d.lgs. n. 74/2000, – e non tanto perché lo dice il comma 13 dell’art. 10 bis cit. – deve escludersi la sussistenza di una fattispecie criminosa, a prescindere dalla qualificazione che se ne sia data in sede tributaria. Per le seconde, viceversa, sembra possibile sostenere una responsabilità penale del soggetto che ha agito, per i delitti di dichiarazione fraudolenta e dichiarazione mendace, ancorché le operazioni contrattuali falsamente rappresentate dal contri-buente siano state qualificate in termini di abuso del diritto in sede ammi-nistrativa 25.

24 Si pensi alla difficoltà che in taluni casi può sussistere nel distinguere tra “frode per simulazione” e “abuso non penalmente rilevante”: l’esempio può essere quello di un con-tratto concluso per una causa diversa da quella “implicita alla forma di esso”, per il solo fine di conseguire un indebito vantaggio fiscale.

25 Ciò peraltro, non determinerebbe neppure una violazione del ne bis in idem, in quan-to la condotta penalmente rilevante si presenta diversa – per l’insidiosità della modalità di esecuzione, per i sotterfugi utilizzati, per l’atteggiamento fraudolento tenuto dal contri-buente, ecc. – rispetto al comportamento che assume rilevanza in sede tributaria. (Sulla condotta come parametro oggettivo di valutazione del rispetto del principio del ne bis in idem, v. GIOVANNINI, Il ne bis in idem per la Corte Edu e il sistema sanzionatorio tributario domestico, in Rass. trib., 2014, p. 1155 ss.).

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2. Profili di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 128/2015 per violazione degli artt. 76 e 25, comma 2, Cost.

Senza scendere in ulteriori analisi in punto di tenuta ed utilità della solu-zione adottata, va detto che, prima di tutto, essa pone dubbi da un punto di vista più strettamente formale, e cioè sul piano del rispetto dei parametri en-tro cui il Governo può esercitare il potere legislativo delegato in materia co-perta da riserva assoluta di legge 26.

La legge delega ha chiesto al legislatore delegato di “individuare i confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione, anche ai fini del trattamen-to sanzionatorio”, senza indicare i criteri ai quali riportare quella distinzio-ne, né quelli per individuare il tipo di reazione punitiva più appropriata.

Il Governo, in altri termini, è stato chiamato a compiere una valutazione in ordine al differente disvalore riconducibile alla condotta abusiva rispetto a quella evasiva, disvalore che rappresenta adesso il discrimine tra l’applica-zione e la non applicazione delle sanzioni penali.

Quest’aspetto merita un approfondimento ulteriore. La materia penale è presidiata, per mezzo, dell’art. 25, comma 2, Cost. da

una riserva assoluta di legge, la quale esclude che la scelta sull’an, quid, e quomodo della punibilità possa essere demandata a fonti di rango seconda-rio. Per il suo fondamento storico-politico, essa realizza un’esigenza di “ga-ranzia” dei sommi beni personali (libertà e dignità) limitati dalla sanzione penale, nel senso che, assegnando al Parlamento la produzione delle norme penali, garantisce che le scelte di penalizzazione corrispondano alla volontà popolare, siano cioè il risultato di un procedimento democratico, pubblico, nel quale vi sia un confronto fra maggioranza e opposizione. Tutto ciò co-stringe, da sempre, i cultori del diritto penale ad interrogarsi su come la ri-serva di cui all’art. 25 cit. possa convivere con l’istituto della delega legislati-va, istituto divenuto oggi, peraltro, lo strumento di gran lunga preferito nel moderno diritto penale 27.

Benché la tesi largamente maggioritaria sia quella della conciliabilità del decreto legislativo (e anche del decreto legge) con la riserva in materia pe-

26 Sul punto, GIOVANNINI, Abuso del diritto e sanzioni, cit. 27 Fondamentale, sul punto, BRICOLA, Legalità e crisi: l’art. 25, 2° e 3° comma, della Costi-

tuzione rivisitato alla fine degli anni ’70, in Quest. cost., 1980, p. 179. V., altresì, CUPELLI, Un difficile compromesso. Ancora in tema di rapporti tra legge delega e riforma del codice penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2007, p. 1336 ss.

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nale, è altrettanto indubbio che il meccanismo della delega legislativa è quello più lontano dallo spirito e dalla ratio della riserva; nel momento in cui si ammette un utilizzo massiccio di atti con forza di legge nella materia penale, infatti, si corre il rischio di trasformare profondamente il significato dell’art. 25, comma 2, cit., di ammettere, cioè, che non sia più il potere rap-presentativo del popolo, in un procedimento nel quale maggioranza e mino-ranza possono confrontarsi, a decidere il confine tra penalmente lecito e il-lecito 28.

A questo proposito, anche quella parte della dottrina che ritiene ammis-sibile la delega in materia penale considera comunque necessaria la massima valorizzazione dei crismi costituzionali dell’istituto, il che si traduce nell’esi-genza che il Parlamento approvi una delega legislativa quanto più analitica e chiara possibile nell’elaborazione di principi e criteri direttivi 29, in modo da “vincolare” l’operato del Governo contenendone la discrezionalità 30.

Nella materia penale, dunque, si scontrano due esigenze: da un lato quel-la della massima precisione e determinatezza dei principi e criteri direttivi cui l’art. 76 Cost. subordina l’esercizio delegato della funzione legislativa 31, d’altro lato quella di permettere al potere esecutivo di esercitare il suo pote-

28 V. DE FRANCESCO, Diritto penale. I fondamenti, Torino, 2011, p. 76 ss. 29 V. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2007, p. 52 ss.; PADOVANI, Di-

ritto penale, Milano, 2006, p. 18 ss.; TRAPANI, (voce) Legge penale, I) Fonti, in Enc. giur. Treccani, vol. XVIII, Roma, 1990, p. 4 ss.; VASSALLI, (voce) Nullum crimen, nulla poena sine lege, in Dig. disc. pen., vol. VII, Torino, 1994, p. 310 ss.; ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, sub art. 1, vol. I, Milano, 1995, p. 34.

30 Si è osservato a questo proposito che «l’attribuzione al potere esecutivo di scelte po-litiche – e, dunque, in materia penale, anche di scelte politico-criminali – è un dato imma-nente alla tecnica della delegazione legislativa, e come tale ineliminabile, in quanto, come confermato dalla pressoché costante giurisprudenza costituzionale», «la determinazione dei principi e criteri direttivi, richiesta dall’art. 76 Cost., non elimina ogni discrezionalità nell’esercizio della delega» ma vale semplicemente a circoscriverla, cosicché nel passaggio dalla delega alla normativa delegata residua per il Governo «uno spazio di discrezionalità libera, da esercitarsi secondo criteri puramente politici» (v. ROMANO, Corte costituzionale e riserva di legge, in AA.VV., Diritto penale e giurisprudenza costituzionale, a cura di Vassalli, Napoli, 2006, p. 31). V., sul punto, altresì, DICKMANN, Processo legislativo e limiti della legge, Napoli, 2006, p. 193 ss.

31 Ciò perché l’esigenza di precisione e determinatezza concerne, più che i principi ge-nerali, la regolamentazione normativa di dettaglio, per cui delegare i contenuti particolari della disciplina penale al potere esecutivo rischia di comportare una sostanziale estromis-sione del Parlamento dalla sede in cui si compiono le scelte decisive di politica criminale. Così FIANDACA, in FIANDACA-DI CHIARA (a cura di), Una introduzione al sistema penale. Per una lettura costituzionalmente orientata, Napoli, 2003, p. 60.

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re in termini non meramente ratificativi di scelte compiute integralmente in sede parlamentare 32.

Il punto di giusto equilibrio è difficile da trovare. Ruolo determinante lo può assolvere la Corte costituzionale 33 su due

fronti, e cioè valutando sia che la legge delega rispetti l’art. 76 Cost., sia che il decreto legislativo non contrasti con le indicazioni fornite dalla legge de-lega, che funge da norma interposta 34.

L’atteggiamento costante della Corte costituzionale, tuttavia, è stato normalmente quello di lasciare indenne la legge delega da pronunce di ille-gittimità rinunciando ad affrontare il problema della genericità della dele-ga 35. E questo principalmente per due motivi; da un lato, per la mancanza di parametri certi per valutare la sufficienza dei principi e criteri direttivi enun-ciati dalla legge 36, dall’altro, per la volontà della Corte di non entrare nel rapporto politico tra Parlamento e Governo 37.

La Corte costituzionale, viceversa, ha più volte censurato decreti legisla-tivi in contrasto con le rispettive leggi di delega 38. In particolare, quando ha

32 Se la delega prevedesse principi, criteri direttivi e oggetti conformi ai canoni di “rigo-re, analiticità e chiarezza”, non residuerebbe al legislatore delegato altro spazio se non quello di ratificare una norma non scritta o, al più, tradurre in fattispecie indicazioni detta-gliate e vincolanti; si ricadrebbe cioè in un eccesso di vincolatività dei principi e criteri di-rettivi, perfino in contrasto con l’art. 76 Cost., che vanificherebbe il ricorso all’istituto della delega legislativa.

33 V. VINCIGUERRA, Delegazione legislativa e disciplina penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1971, p. 1122 ss.

34 Di norme interposte parla esplicitamente la sentenza n. 224/1990. Sul tema v. SICLARI, Le norme interposte nel giudizio di costituzionalità, Milano, 1992.

35 Si è parlato di «storica ipocrisia di una giurisprudenza che al tempo stesso ammette il sindacato di costituzionalità sulle leggi di delega, al fine di verificare il rispetto dell’art. 76 Cost. che impone al Parlamento la determinazione di principi e criteri direttivi, ed esclude poi nella pratica ogni concreta operatività di quel sindacato, salvando sistematicamente tutte le leggi di delegazione, anche quelle palesemente più carenti, o addirittura radical-mente sprovviste di indicazioni di principio e direttive». Così CERRONE, Genericità della delega e sindacato della Corte in materia di sanzioni tributarie, in Giur. cost., 1986, I, p. 2511. V. altresì SICLARI, A proposito della sindacabilità delle leggi di delega da parte della Corte costi-tuzionale, in Giur. cost., 1991, p. 1515.

36 V. ABBAMONTE, Aspetti della delegazione legislativa, in Annali della Università di Mace-rata, XXIII, Milano, 1959, p. 172.

37 V. ANGIOLINI, Attività legislativa del Governo e giustizia costituzionale, in Riv. dir. cost., 1996, p. 210.

38 V. DI COSIMO, Riflessi della legge di delega sul giudizio di costituzionalità del decreto legi-slativo, in www.osservatoriosullefonti.it.

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ritenuto che la delega contenesse principi direttivi determinati e fosse quin-di un valido parametro di legittimità, si è limitata ad un mero raffronto tra decreto legislativo e delega. In presenza di deleghe ampie e generiche, di de-leghe, cioè, che non circoscrivono adeguatamente il campo della delegazio-ne, viceversa, la Corte costituzionale ha elaborato dei canoni di giudizio at-traverso “due processi interpretativi paralleli”. Attraverso il primo processo ha precisato l’oggetto e i principi e criteri direttivi della legge di delega; in pratica, usando il criterio del contesto normativo e della ratio, la Corte rico-struisce la portata dell’oggetto e dei principi e criteri direttivi facendo rife-rimento allo scopo della delega 39. Attraverso il secondo processo ha inter-pretato il decreto legislativo alla luce delle direttive dettate dal legislatore delegante, per come ricostruite dalla Corte costituzionale.

Proprio con riferimento alla materia penale, tuttavia, la Corte costituzio-nale, ultimamente, ha fatto passi ulteriori, ravvisando maggiori margini di sindacabilità dei decreti legislativi laddove la legge delega non garantisca il rispetto dell’art. 25, comma 2, Cost.

Con la sent. n. 5/2014, precisamente, la Corte costituzionale ha dichiara-to l’illegittimità per carenza di delega di alcuni decreti legislativi che abroga-vano il reato di associazione militare con scopi politici, determinando così la reviviscenza di una fattispecie incriminatrice 40.

La sentenza ha una portata istituzionale di notevole rilievo perché, da un la-to, conferma il sindacato di legittimità su norme penali favorevoli (produttive di effetti di abolitio criminis) sospette di aver ecceduto i vincoli costituzionali derivanti, ex art. 76 Cost., dal rispetto della legge di delega 41, dall’altro lato, sot-

39 V. la sentenza della Corte cost. n. 7/1999, in www.cortecostituzionale.it, dove si preci-sa che nel valutare la conformità del decreto delegato alla legge occorre «considerare la ratio della delega, ossia le ragioni e finalità che hanno ispirato il legislatore delegante». Sul punto, CERVATI, La delega legislativa, Milano, 1972, p. 154.

40 Disponibile sul sito www.penalecontemporaneo.it. v. SCOLETTA, La sentenza n. 5/2014 della Corte costituzionale: una nuova importante restrizione delle “zone franche” dal sindacato di legittimità nella materia penale, in Diritto penale contemporaneo, 2014, p. 242 ss.

41 In questo caso la censura di incostituzionalità che la Corte ritiene legittimamente azionabile in malam partem attiene alla carenza di potere del Governo nell’adozione della norma impugnata. Vi è un solo precedente in tal senso, e cioè la sent. n. 28/2010, nella quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una lex mitior intermedia con-trastante con una direttiva comunitaria, riconosciuta come parametro interposto per di-chiarare la violazione degli artt. 11 e 117 Cost. (per un commento si rinvia a MAUGERI, La dichiarazione di incostituzionalità di una norma per la violazione di obblighi comunitari ex artt. 11 e 117 Cost.: si aprono nuove prospettive?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2011, p. 1147).

Si ricorda, a tal proposito, che all’ammissibilità di pronunce di incostituzionalità in ma-

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tolinea la valenza sostanziale della riserva di legge dicendo che il Governo che legifera in materia penale in assenza o fuori dai limiti di una valida legge di de-lega, finisce per assumere scelte di politica criminale autonome e contrastanti con quelle del legislatore delegante, cioè proprio con quelle espresse dal Par-lamento, al quale tali scelte sono riservate in via esclusiva in forza del principio consacrato dall’art. 25 Cost.

L’aver individuato contestualmente alla violazione dell’art. 76 Cost., anche quella dell’art. 25, comma 2, Cost., significa, in altri termini, riconoscere il mo-nopolio politico-criminale del Parlamento, costituzionalmente sancito, su tutti i confini dell’intervento punitivo, non solo in positivo (“quando punire”) ma anche in negativo (“quando non punire”). Si assiste in sostanza ad un’estensio-ne del contenuto di garanzia della legalità penale, che determina il superamen-to di una visione dell’art. 25, comma 2 Cost., orientata esclusivamente al favor rei e alla tutela del cittadino.

Nella sentenza si legge: «La verifica sull’esercizio da parte del governo della funzione legislativa delegata diviene allora strumento di garanzia del rispetto del principio della riserva di legge in materia penale, sancito dall’art. 25, c. 2, Cost., e non può essere limitata in considerazione degli eventuali effetti che una sentenza di accoglimento potrebbe produrre sul giudizio a quo. Si rischie-rebbe altrimenti di creare zone franche dell’ordinamento, sottratte al controllo di costituzionalità, entro le quali sarebbe di fatto consentito al governo di effet-tuare scelte politico-criminali, che la Costituzione riserva al Parlamento, svin-colate dal rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dal legislatore delegante, eludendo così il disposto dell’art. 25, c. 2, Cost.».

Il principio della riserva di legge risulta quindi rafforzato e arricchito di nuovi significati che rendono prospettabili ulteriori futuri sviluppi anche del sindacato di legittimità costituzionale dei decreti legislativi adottati in materia penale.

Che dire allora per la L. n. 23/2014?

lam partem si oppone un granitico orientamento della giurisprudenza costituzionale se-condo il quale a ciò osterebbe la riserva di legge penale: la Corte non si stanca di ripetere come l’art. 25, comma 2, Cost. attribuisca al Parlamento il monopolio esclusivo del potere punitivo dello Stato, in quanto solo il procedimento legislativo è in grado di attribuire alla sanzione penale la piena legittimazione democratica di cui è costituzionalmente bisogno-sa. Sul punto v. SCOLETTA, La sentenza n. 5/2014 della Corte costituzionale: una nuova im-portante restrizione delle “zone franche” dal sindacato di legittimità nella materia penale, cit., il quale ripercorre le tappe dell’evoluzione giurisprudenziale che ha nel tempo smussato l’originaria inflessibilità di tale limite al sindacato di legittimità sulle norme penali favore-voli.

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Già si è detto che l’art. 8 si limitava a chiedere al Governo di individuare i con-fini tra le fattispecie di elusione e quella di evasione, anche ai fini del trattamento san-zionatorio; in questo modo ha, di fatto, rimesso interamente al legislatore delega-to la valutazione circa la gravità della condotta abusiva, cioè del rapporto tra gra-do di offensività/disvalore di essa e configurazione della stessa come reato.

Secondo il nuovo orientamento della Corte costituzionale, pare, allora, che il D.Lgs. n. 128/2015, attuativo della delega, laddove esclude la rilevanza pena-le della condotta abusiva, presenti un profilo di dubbia legittimità costituziona-le non solo per aver ecceduto i vincoli costituzionali derivanti, ex art. 76 Cost., dal rispetto della legge di delega, ma anche per aver violato il principio di legali-tà (art. 25, comma 2, Cost.), principio che vuole che l’opera di bilanciamento tra offensività/disvalore sociale della condotta, da un lato, e limitazione al diritto fondamentale di libertà dell’individuo che si esprime nella pena, dall’altro, debba essere operata dal Parlamento, in quanto è solo il Parlamento che può valutare se il grado di offensività della condotta e il suo disvalore sociale siano tali da giustificare il sacrificio del diritto di libertà.

È mia opinione, in conclusione, che la scelta di escludere la condotta abusi-va dall’area di penale rilevanza mostri profili di dubbia legittimità costituziona-le non solo nel merito – e cioè con riferimento all’art. 3 Cost. –, ma anche da un punto di vista formale, e cioè con riferimento agli artt. 76 e 25, comma 2, Cost. Non vi è dubbio, tuttavia, che il primo profilo, quello sulla ragionevolezza e proporzionalità, desti maggiori perplessità per la coerenza intrinseca del siste-ma e per la sua non contraddittorietà. Ed è proprio su questi profili che verosi-milmente la Corte costituzionale dovrà prima o poi pronunciarsi.

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Angelo Busani

LA TASSAZIONE DELLE DONAZIONI “INDIRETTE” E DELLE DONAZIONI “INFORMALI”

(STIPULATE IN ITALIA E ALL’ESTERO)

THE TAXATION OF “INDIRECT” AND “INFORMAL” DONATIONS (ENTERED INTO IN ITALY AND ABROAD)

Abstract Con questo contributo si intende dimostrare che per le donazioni “indirette”, non ri-sultanti da atti soggetti a registrazione, non vi è l’obbligo di registrazione; e che delle donazioni “indirette” risultanti invece da atti soggetti a registrazione (diverse da quel-le per cui vi è l’esonero da tassazione sancito dall’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 346/1990) pure non vi è l’obbligo della registrazione, avendo peraltro i contraenti la facoltà regi-strarle in vista dell’evenienza che essi si trovino a dover riferire dello spostamento pa-trimoniale a titolo gratuito, non assoggettato a tassazione, nel contesto di un proce-dimento finalizzato all’accertamento di altri tributi. Quanto infine alla donazione sti-pulata all’estero tra un donante non residente in Italia e un donatario ovunque resi-dente, si intende dimostrare che si tratta di atto non soggetto a registrazione in Italia. Parole chiave: donazione, donazione indiretta, donazione informale, liberalità, imposta di donazione This essay aims at demonstrating that “indirect” donations, not resulting from acts subject to registration, are not subject to registration. On the other side, also for “indi-rect” donations resulting from acts subject to registration (other from those expressly exempted from the gift tax according to Art. 1, para. 4-bis, Legislative Decree no. 346/1990), there is no duty of registration, since the contracting parties have the pos-sibility to register the act in case they have to justify such tax-exempted donation to the Italian Tax Authorities. Finally, the paper tries to proof that a donation made abroad between a donor not resident in Italy and a donee, resident in Italy or else-where, is not subjected to registration in Italy. Keywords: donation, indirect donation, informal donation, liberality, gift tax

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DOTTRINA RTDT - n. 3/2016 554

SOMMARIO: 1. Possibili fattispecie di attribuzione liberale. – 2. Donazione “diretta”, “indiretta” e “informa-le”. – 3. La tassazione della donazione “indiretta” e della donazione “informale”. – 4. La liberali-tà diversa dalla donazione “formale” che non risulta da un atto soggetto a registrazione. – 5. La tassazione della liberalità diversa dalla donazione “formale” che risulta da un atto soggetto a registrazione. – 6. Conclusione sulla tassazione delle donazioni “indirette” e “informali”. – 7. La stipula delle donazioni al di fuori del territorio nazionale.

1. Possibili fattispecie di attribuzione liberale

Analizzando quel che accade nella concretezza della quotidiana vita di relazione, le situazioni in cui un soggetto intende beneficiare un altro sog-getto (senza ricevere, in cambio, una controprestazione) si possono proba-bilmente ridurre alle seguenti tre casistiche:

a) la stipula di un formale contratto di donazione (e cioè del contratto di cui all’art. 769 c.c., «col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione»);

b) la confezione di un atto giuridico o di un negozio giuridico (diverso dalla donazione di cui all’art. 769 c.c.) 1 che abbia lo stesso effetto 2 di una donazione

1 Si veda, ad esempio, di recente, Cass. 21 ottobre 2015, n. 21449, in Riv. Nel diritto, 2015, p. 2155, secondo cui «la donazione indiretta è l’attribuzione di una liberalità che, tuttavia, viene effettuata non per il tramite dello strumento negoziale tipico di cui all’art. 769 c.c. ma mediante un negozio a titolo oneroso che determina la produzione, accanto al suo effetto proprio, di un ulteriore effetto, ovvero l’arricchimento – sorretto dall’animus donandi – di colui che della liberalità è destinatario»; nonché Cass. 4 settembre 2015, n. 17604, in Rep. Foro it., 2015, (voce) Successione ereditaria, n. 100, secondo cui «nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, si configura la do-nazione indiretta dell’immobile e non del denaro impiegato per l’acquisto, sicché, in caso di collazione, secondo le previsioni dell’art. 737 c.c., il conferimento deve avere ad oggetto l’immobile e non il denaro»; Cass. 16 aprile 2015, n. 7683, in Foro it., 2015, I, c. 3937, se-condo cui «nell’assicurazione sulla vita la designazione quale terzo beneficiario di persona non legata al designante da alcun vincolo di mantenimento o dipendenza economica deve presumersi, fino a prova contraria, compiuta a titolo di liberalità e costituisce una dona-zione indiretta; ne consegue che, se compiuta da un incapace naturale, è annullabile a pre-scindere dal pregiudizio che quest’ultimo possa averne risentito»; e Cass. 25 marzo 2013, n. 7480, in Famiglia e dir., 2013, p. 554, con nota di Oberto, secondo cui «l’attribuzione patrimoniale effettuata dalla convivente more uxorio che, nel corso della relazione para-matrimoniale, ha proceduto all’acquisto di un immobile in comunione con il partner per

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Angelo Busani 555

“formale”, e cioè l’intenzione 3 del donante (condivisa dal donatario) di provo- quote uguali, pur avendo sborsato l’intero prezzo per l’acquisto, è qualificabile alla stregua di una donazione indiretta della quota dell’immobile stesso; tale liberalità è valida malgra-do il mancato rispetto delle forme solenni previste per la donazione, inapplicabili alla do-nazione indiretta».

2 Sul punto, AMADIO, La nozione di liberalità non donativa nel codice civile, in AA.VV., Liberalità non donative e attività notarile, I Quaderni della Fondazione del Notariato, Milano, 2008, p. 18, per il quale la nozione di liberalità “atipica” dovrebbe ritenersi «comprensiva di tutte le fattispecie negoziali volte a procurare al beneficiario un vantaggio economico, in vista della realizzazione di un interesse non patrimoniale del disponente , mediante strut-ture precettive diverse dalla diretta disposizione di un proprio diritto e dall’assunzione di un obbligo da parte del secondo nei confronti del primo».

3 Questa intenzione (e cioè lo “spirito di liberalità” o animus donandi) è un aspetto da tenere sempre in primaria considerazione, perché di fondamentale importanza ai fini della materia in esame: infatti, facendosi ad esempio riferimento a una compravendita per la quale sia pattuito un prezzo inferiore a quello di mercato, in tanto si avrà una liberalità in-diretta (di valore pari alla differenza tra il prezzo pattuito e quello di mercato) in quanto il venditore abbia effettivamente l’intenzione di beneficiare l’acquirente (e, nel caso in cui si tratti di genitore e figlio, questa situazione può essere considerata senz’altro quale un fatto da cui scaturisce una presunzione grave, precisa e concordante della sussistenza dell’inten-to donativo); nel caso in cui non vi sia invece questo intento di beneficiare il compratore, si avrà, volta a volta, una situazione in cui l’acquirente ha fatto “un affare” per incapacità commerciale del venditore, piuttosto che una situazione di necessità di “svendita” da parte del venditore, magari al cospetto di situazioni debitorie da sanare con urgenza.

Circa la individuazione della natura dello “spirito di liberalità”, come noto, dapprima venne avanzata l’idea della liberalità come causa della donazione (OPPO, Adempimento e liberalità, Milano, 1947, p. 76).

Questa tesi venne però sottoposta al rilievo critico circa il suo carattere “aspecifico” (se per liberalità si intenda la spontaneità dell’atto), il suo carattere “tautologico” (se si identi-fichi lo scopo di liberalità con la volontà di donare) e la sua confusione con la motivazione soggettiva che sospinge il donante ad effettuare la donazione: con l’esito che venne avan-zata l’idea di concepire la liberalità non più come causa, bensì come effetto, e cioè come «effetto economico del contratto» (CATAUDELLA, Successioni e donazioni. La donazione, in BESSONE (diretto da), Trattato di diritto privato, V, Torino, 2005, p. 6), vale a dire il risulta-to degli atti posti in essere al fine di realizzare un oggettivo incremento del patrimonio del beneficiario (in tal senso cfr. anche CARNEVALI, (voce) Liberalità (atti di), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, p. 215).

Anche questa opinione però non è stata scevra di rilievi critici, in quanto ad essa si è obiettato che l’arricchimento del donatario, pur essendo un naturale negotii, non è un caratte-re invariabile di una donazione: ad esempio, nella donazione modale, il valore delle cosa do-nata può essere per intero assorbito (art. 793 c.c.) dall’adempimento del modus; inoltre, la donazione può avere a oggetto beni privi di valore economico (ma solo morale, affettivo o storico: si pensi alla donazione di carte di famiglia). Astraendo dalla vita concreta (e quindi con un ragionamento svolto sotto un profilo più prettamente teorico), inoltre, non può non osservarsi che la donazione non è il contratto che arricchisce il donatario tout court, ma è

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care un incremento del patrimonio del soggetto beneficiario con il correlativo depauperamento del patrimonio del soggetto disponente (per un esempio di atto unilaterale: l’adempimento di un pagamento dovuto da altri 4, la rinuncia a un credito o a un diritto reale 5, la electio amici in dipendenza della stipula di un

quello che arricchisce «per spirito di liberalità» (art. 769 c.c.); e che focalizzando l’atten-zione sul mero profilo dell’arricchimento del donatario non si riesce poi a distinguere l’atto liberale dall’atto gratuito (si pensi al mutuo infruttifero concesso al socio di maggioranza alla “sua” società; si pensi all’erogazione a fondo perduto effettuata da una banca – a fini di pro-mozione della propria immagine – per un’iniziativa di carattere solidaristico). Ne consegue la proposta di qualificare la liberalità (rispetto all’atto gratuito) come la fattispecie nella quale vi è bensì una attribuzione senza corrispettivo, ma qualificata dallo «scopo di soddisfare un in-teresse di natura non patrimoniale del disponente» (CECCHINI, L’interesse a donare, in Riv. dir. civ., 1976, I, p. 262; tesi poi ripresa e sviluppata da MANZINI, “Spirito di liberalità” e con-trollo sull’esistenza della “causa donandi”, in Contr. e impresa, 1985, p. 419; dal medesimo CEC-CHINI, Regolamento contrattuale e interessi delle parti (intorno alla nozione di causa), in Riv. dir. civ., 1991, I, p. 229; e da GIANOLA, Atto gratuito, atto liberale – ai limiti della donazione, Mila-no, 2002, p. 149). In sostanza, si ritorna all’idea della liberalità come causa del contratto, ma non più, come in origine, nel senso di causa in astratto del negozio liberale, bensì come causa in concreto del negozio specificamente posto in essere al fine di attribuire un diritto al donata-rio, senza che questi debba effettuare una controprestazione e senza che la volontà del do-nante sia mossa da un interesse di natura patrimoniale.

4 Si vedano Cass. 23 maggio 2014, n. 11491, in Rep. Foro it., 2014, (voce) Donazione, n. 13, secondo cui «le donazioni di denaro finalizzate all’acquisto di un bene (nella specie, azioni) costituiscono donazione indiretta di quel bene poiché, in presenza di collegamento tra la messa a disposizione del denaro e il fine specifico dell’acquisto del bene, la compraven-dita costituisce lo strumento del trasferimento del bene, oggetto dell’arricchimento del pa-trimonio del destinatari»; Cass. 31 gennaio 2014, n. 2149, in Rep. Foro it., 2014, (voce) Do-nazione, n. 11, secondo cui «la donazione indiretta dell’immobile non è configurabile quan-do il donante paghi soltanto una parte del prezzo del bene, giacché la corresponsione del de-naro costituisce una diversa modalità per attuare l’identico risultato giuridico-economico dell’attribuzione liberale dell’immobile esclusivamente nell’ipotesi in cui ne sostenga l’intero costo»; e Cass. 22 settembre 2000, n. 12563, in Rep. Foro it., 2000, (voce) Donazione, n. 22, secondo cui «nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto che il disponente intende in tal modo beneficiare, l’atto integra una donazione indiretta del bene stesso costituendo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario».

5 Si vedano Cass. 25 febbraio 2015, n. 3819, in Foro it., 2015, I, c. 2833; in Nuova giur. civ., 2015, I, p. 577, con nota di Mazzariol; in Riv. giur. ed., 2015, I, p. 384; in Riv. not., 2015, p. 807, con nota di Milloni, secondo cui «la rinuncia alla quota di comproprietà di un be-ne, fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comproprietari, costituisce donazione indiretta e come tale non richiede la forma dell’atto pubblico»; e Cass., 30 di-cembre 1997, n. 13117, in Notariato, 1998, p. 407, con nota di Tordiglione, secondo cui «la rinuncia all’usufrutto, se ispirata da animus donandi, è suscettibile di integrare una do-nazione indiretta a favore del nudo proprietario dei beni gravati dal diritto reale parziario

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Angelo Busani 557

contratto “per persona da nominare” 6, il rilascio di una “delega” ad operare su un conto corrente senza obbligo di rendiconto 7, l’istituzione di un trust 8; per un esempio di contratto: la vendita con corrispettivo volutamente irrisorio 9,

rinunciato, perché, comportando un’estinzione anticipata di tale diritto, si risolve nel con-seguimento da parte di detto dominus dei vantaggi patrimoniali inerenti all’acquisizione del godimento immediato del bene, che gli sarebbe sottratto se l’usufrutto fosse durato fino alla sua naturale scadenza: il controvalore di tali vantaggi è, pertanto, senz’altro passi-bile di convogliamento nella massa ereditaria di cui all’art. 556 c.c.».

6 Si veda MAGLIULO, La dichiarazione di nomina di terzo tra preliminare e definitivo im-mobiliare, in AA.VV., Liberalità non donative e attività notarile, I Quaderni della Fondazione del Notariato, Milano, 2008, p. 48.

7 Si veda Cass. 14 gennaio 2010, n. 468, in Giust. civ., 2011, I, p. 527, secondo cui «la delega ad operare su conto corrente e sul deposito titoli, ancorché senza obbligo di rendi-conto – in occasione, nel caso di specie, di ricovero in ospedale del titolare del conto a di-stanza di meno di un mese dalla morte dello stesso – non è sufficiente a provare l’esistenza dell’animus donandi».

8 Si veda BARTOLI, Trust interno e liberalità non donativa, in AA.VV., Liberalità non do-native e attività notarile, I Quaderni della Fondazione del Notariato, Milano, 2008, p. 59.

9 Si vedano Cass. 3 novembre 2009, n. 23297, in Giust. civ., 2010, I, p. 1134; in Questio-ni dir. famiglia, 2010, 2, 36, con nota di Piccione, secondo cui «nel negotium mixtum cum donatione, la causa del contratto ha natura onerosa ma il negozio commutativo stipulato tra i contraenti ha lo scopo di raggiungere per via indiretta, attraverso la voluta spropor-zione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell’arricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello tra i con-traenti che riceve la prestazione di maggior valore realizzandosi così una donazione indi-retta; per la validità di tale negotium non è necessaria la forma della donazione ma quella prescritta per lo schema negoziale effettivamente adottato dalle parti, sia perché l’art. 809 c.c., nel sancire l’applicabilità delle norme sulle donazioni agli altri atti di liberalità realizza-ti con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., non richiama l’art. 782 c.c., che pre-scrive la forma dell’atto pubblico per la donazione, sia perché, essendo la norma appena richiamata volta a tutelare il donante, essa, a differenza delle norme che tutelano i terzi, non può essere estesa a quei negozi che perseguono l’intento di liberalità con schemi ne-goziali previsti per il raggiungimento di finalità diverse»; e Cass. 29 settembre 2004, n. 19601, in Rep. Foro it., 2004, (voce) Donazione, n. 9, secondo cui «nel c.d. negotium mix-tum cum donatione, la causa del contratto ha natura onerosa, ma il negozio commutativo stipulato dai contraenti ha la finalità di raggiungere, per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quel-la dello scambio, consistente nell’arricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello dei contraenti che riceve la prestazione di maggior valore, con ciò realizzando il negozio posto in essere una fattispecie di donazione indiretta; ne consegue che la compravendita ad un prezzo inferiore a quello effettivo non integra, di per sé stessa, un negotium mixtum cum donatione, essendo, all’uopo, altresì necessario non solo la sussistenza di una sproporzione tra prestazioni, ma anche la significativa entità di tale sproporzione, oltre alla indispensabi-le consapevolezza, da parte dell’alienante, dell’insufficienza del corrispettivo ricevuto ri-

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l’assicurazione 10 o un altro contratto a favore di un terzo 11) 12; c) lo svolgimento di un’attività materiale 13 (ad esempio: effettuare un

bonifico bancario; cointestare un rapporto bancario 14; consegnare un asse-gno circolare intestato al donatario affinché questi lo incassi sul proprio conto corrente bancario 15; consegnare un titolo al portatore; incrementare spetto al valore del bene ceduto, funzionale all’arricchimento di controparte acquirente della differenza tra il valore reale del bene e la minore entità del corrispettivo».

10 Si veda Cass. 19 febbraio 2016, n. 3263, in Banca Dati BIG Suite, Ipsoa, sulla quale cfr. BUSANI, Le polizze sulla vita sono donazioni indirette, in Il Sole 24 Ore, 15 marzo 2016.

11 Si veda TAGLIAFERRI, L’intestazione di immobile in nome altrui tramite contratto a favo-re di terzo, in AA.VV., Liberalità non donative e attività notarile, I Quaderni della Fondazione del Notariato, Milano, 2008, p. 107.

12 Al risultato di una donazione indiretta si giunge anche mediante il compimento di operazioni societarie (si veda sul punto MALTONI, Le liberalità non donative realizzate at-traverso atti costitutivi e modificativi di società, in AA.VV., Liberalità non donative e attività notarile, I Quaderni della Fondazione del Notariato, Milano, 2008, p. 98): ad esempio, Ti-zio, unico socio di una società con capitale sociale di 10mila euro, il cui patrimonio è del valore di 1milione di euro, permette a Caio un aumento di capitale di 30mila euro con il quale questi diviene “proprietario” del 75 per cento della società; Tizio, unico socio della società Alfa con capitale sociale di 10mila euro, il cui patrimonio è del valore di 990mila euro, consente la fusione di Alfa con Beta (società unipersonale di Caio, con capitale so-ciale 10mila euro e valore patrimoniale di 10mila euro), con il rapporto di cambio di 1:1, con la conseguenza che la società Gamma, risultante dalla fusione, ha il valore di 1milione di euro e il capitale sociale di 20mila euro, ripartito al 50 per cento tra Tizio e Caio; ancora, Tizio e Caio costituiscono la newco Omega conferendo Tizio denaro per 490mila euro e Caio denaro per 10mila euro, convenendo che il capitale di Omega (di 10mila euro) sia ripartito per 7mila euro in capo a Caio e per 3mila euro in capo a Tizio.

13 Sul punto che lo «spirito di liberalità» sia «ricollegabile a specifici comportamenti umani, non necessariamente ad atti formali aventi contenuto negoziale» si veda ad esem-pio TASSINARI, Ipotesi dubbie di liberalità non donative, in AA.VV., Liberalità non donative e attività notarile, I Quaderni della Fondazione del Notariato, Milano, 2008, p. 107.

14 Invece, per la considerazione della cointestazione di rapporti bancari come donazio-ne “indiretta”, si vedano Cass. 16 gennaio 2014, n. 809, in Nuova giur. civ., 2014, I, p. 594, con nota di Tomat; in Famiglia e dir., 2015, p. 121, con nota di Alvisi; Cass. 9 maggio 2013, n. 10991, in Rep. Foro it., 2013, (voce) Donazione, n. 15; Cass. 12 novembre 2008, n. 26983, in Foro it., 2009, I, c. 1103; in Riv. not., 2009, p. 1213, con nota di Nicodemo; in Famiglia, persone e successioni, 2009, p. 968, con nota di Ambanelli; Cass. 10 aprile 1999, n. 3499, in Giur. it., 1999, c. 2017, le cui massime sono oltre riportate. Si veda, sul punto, an-che MUSTO, Il conto corrente cointestato: da fattispecie “tipica” a “tipologia” di liberalità non donativa?, in Nuova giur. civ., 2012, II, p. 552.

15 È questa la fattispecie considerata in Cass. 24 giugno 2016, n. 13133, inedita, sulla quale si veda BUSANI, Donazioni indirette a rischio tasse, in Il Sole 24 Ore, 30 agosto 2016, che ha deciso per la tassabilità della donazione indiretta, realizzata mediante la dazione di un assegno circolare dal padre al figlio (destinato a servire come pagamento del prezzo di

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il fondo altrui con costruzioni o piantagioni; ecc.) o la tenuta di un compor-tamento consapevolmente omissivo (come quello di lasciare decorrere un termine di prescrizione o di usucapione; oppure come quello di lasciare ope-rare il meccanismo di cui all’art. 177, comma 1, lett. a), c.c., vale a dire la stipu-la di un contratto di acquisto da parte di uno solo dei coniugi in comunione legale dei beni con impiego di suo denaro personale, provocando la sottopo-sizione del bene acquistato al regime di comunione legale) che abbia come conseguenza, anche in questo caso, la diminuzione del patrimonio del sogget-to disponente e l’aumento del patrimonio del soggetto beneficiario 16.

2. Donazione “diretta”, “indiretta” e “informale”

Utilizzando un linguaggio sintetico, nel caso a), si parla di donazione “formale” o “diretta” (o di donazione, senz’altro); nel caso b), si parla di donazione “indiretta”; nel caso c), si parla di donazione “informale” 17.

Il caso a) (la donazione “formale”) si distingue nettamente dai casi b) (do-nazione “indiretta”) e c) (donazione “informale”), per la necessaria presenza, nel caso a), dell’atto pubblico a pena di nullità (ai sensi dell’art. 782 c.c.).

Più difficile distinguere tra i casi b) e c) (i quali, anzi, non infrequente-mente – sia nel linguaggio “comune” sia in contesti tecnico-giuridici – sono accumunati, e forse in modo acritico). Per effettuare la distinzione, occorre partire dal presupposto che:

un acquisto immobiliare da compiersi dal figlio medesimo), per il fatto che nell’atto di ac-quisto, nel quale quel denaro venne poi utilizzato, non era stata fatta menzione della inter-venuta donazione del denaro.

16 Si vedano Cass. 23 maggio 2014, n. 11491, in Rep. Foro it., 2014, (voce) Donazione, n. 13, secondo cui «le donazioni di denaro finalizzate all’acquisto di un bene (nella specie, azioni) costituiscono donazione indiretta di quel bene poiché, in presenza di collegamento tra la messa a disposizione del denaro e il fine specifico dell’acquisto del bene, la compra-vendita costituisce lo strumento del trasferimento del bene, oggetto dell’arricchimento del patrimonio del destinatario»; e App. Venezia, 24 settembre 2013, in Foro pad., 2014, I, p. 315, secondo cui «l’acquisto di un immobile, successivamente al matrimonio da parte di uno dei coniugi (in relazione al quale è stato provato il diretto versamento del prezzo all’alienante ad opera dell’altro, negando rilievo alla contraria dichiarazione di quest’ulti-mo contenuta nell’atto di acquisto), va qualificato come donazione indiretta, conseguen-temente assoggettandola a collazione».

17 Si veda, ad esempio, SALANITRO, Brevi appunti sulla tassabilità della donazione infor-male, in Riv. dir. trib., 2014, II, p. 273.

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– nel caso b) (e cioè quello della donazione “indiretta”) 18 si è in presenza di un cosiddetto “negozio-mezzo” 19 (quello che viene posto in essere dal solo soggetto disponente, se si tratta di un atto unilaterale; oppure il con-tratto che viene stipulato dal soggetto disponente e il soggetto beneficiario, se si tratta di un atto bilaterale), diverso dalla donazione “formale”, attraver-so il quale si perviene allo stesso risultato economico (il cosiddetto “nego-zio-fine”) che si raggiungerebbe se si stipulasse una donazione “formale” (la quale è, dunque, il “negozio-fine” che si intende effettivamente stipulare seppur non ponendo in essere una donazione “formale”, ma, appunto, po-nendo in essere il “negozio-mezzo”, e cioè la donazione “indiretta”) 20;

– nel caso c) (e cioè quello della donazione “informale”), non si ha la formazione di alcun atto giuridico o negozio giuridico, ma si ha solo lo svol-gimento di una attività meramente materiale con la quale si provoca, in capo al beneficiario, un incremento patrimoniale e, in capo al disponente, un cor-relativo depauperamento.

18 Si vedano AMADIO, La nozione di liberalità non donativa nel codice civile, cit., p. 17; CARNEVALI, Sull’azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota di legit-tima, in Studi in onore di L. Mengoni , I, Milano, 1995, p. 133; CARNEVALI, Successioni, II, in Tr. dir. privato, diretto da Rescigno, vol. 6, 1997, p. 498; MATARRESE, Azione di riduzione di liberalità atipica, in Giust. civ., 2011, 5, p. 1287; MENGONI, Successioni per causa di morte. Successione necessaria, Milano, 2000, p. 43; PALAZZO, Atti gratuiti e donazioni, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 2000, p. 347; TORRENTE, La donazione, in Trattato dir. civ. comm. Cicu-Messineo, Milano, 1956, p. 15.

19 Si vedano Cass. 16 marzo 2004, n. 5333, in Guida al dir., 2004, 15, p. 60, con nota di Sacchettini, secondo cui «la donazione indiretta è caratterizzata dal fine perseguito di rea-lizzare una liberalità, e non già dal mezzo, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall’ordinamento; realizzazione dunque che può venire attuata anche mediante un colle-gamento tra più negozi, ossia un preliminare e il pagamento del prezzo, procurando in tal modo al destinatario della liberalità il diritto di rendersi intestatario del bene, non essendo necessaria la forma dell’atto pubblico prevista per la donazione, ma bastando l’osservanza della forma richiesta per l’atto da cui la donazione indiretta risulta»; Cass., sez. un., 5 ago-sto 1992, n. 9282, in Foro it., 1993, I, c. 1544, con note di De Lorenzo e Fabiano; in Vita not., 1993, p. 261; in Nuova giur. civ., 1993, I, p. 373, con nota di Regine; in Resp. civ., 1993, p. 283, con nota di Basini; in Riv. not., 1993, p. 144, secondo cui «l’atto con cui in vita il de cuius abbia procurato al discendente l’acquisto di un immobile mediante il suo pagamento costituisce donazione indiretta del bene, sì che, ai fini della collazione, va conferito l’im-mobile e non il denaro».

20 Secondo l’Amministrazione Finanziaria (Circolare n. 30/E dell’11 agosto 2015) le «liberalità indirette» sono «quegli atti di disposizione non formalizzati in atti pubblici, che perseguono le stesse finalità delle donazioni tipiche (si veda la circolare n. 207/E del 16 novembre 2000, par. 2.2.10)».

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La distinzione tra il caso b) (donazione “indiretta”) e il caso c) (dona-zione “informale”) è però complicata dalla considerazione che, ove si segua la tradizionale idea secondo cui, in tanto una donazione sia valida in quanto vi sia il rispetto 21 delle prescrizioni formali di cui al predetto art. 782 c.c. 22, il caso della donazione “informale” dovrebbe essere relegato o al rango di una fattispecie giuridicamente inesistente (perché rilevante solo sotto un profilo meramente materiale, fatta salva peraltro l’osservazione che da essa comun-que deriva al “donante”, il quale intenda esercitarla, l’azione per ripetere l’indebita dazione dal medesimo effettuata) oppure (se la considerasse ori-ginatrice di una situazione giuridicamente rilevante) affetta da nullità per violazione della norma secondo la quale appunto per porre validamente in essere una donazione vi deve essere ossequio della forma pretesa dall’art. 782 c.c. 23; quando, invece, il caso della donazione “indiretta” non solo è af-

21 Si veda, per tutti, BIONDI, Le donazioni, Torino, 1961, p. 157. La ragione è quella di rendere consapevole il donante della spogliazione che la donazione provoca nel suo pa-trimonio: in tal senso si veda, ad esempio, GALGANO, Diritto civile e commerciale, Le obbli-gazioni e i contratti, II, t. 1, Padova, 1993, p. 217.

22 Che pare sottinteso in Cass. 24 febbraio 2004, n. 3642, in Riv. not., 2005, p. 583, ove si afferma che, per integrare la fattispecie della donazione indiretta è necessario che la dazione della somma di denaro sia effettuata quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto dell’immobile: deve cioè sussistere incontrovertibilmente un collegamento teleologico tra elargizione del denaro e acquisto dell’immobile: «nel caso di soggetto che abbia erogato il denaro per l’acquisto di un immobile in capo ad uno dei figli si deve distinguere l’ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal figlio in un acquisto immobilia-re, in cui, ovviamente, oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il do-nante fornisce il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione. In tale caso il collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione (indiretta) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto».

23 Si vedano Trib. Milano, 21 aprile 2011, in Banca Dati BIG Suite, Ipsoa, secondo cui «è affetta da nullità, per difetto del requisito di forma, la donazione diretta di una somma di denaro, nel caso in cui avvenga mediante il trasferimento di titoli dal conto deposito del donante al conto di deposito del donatario. Trattasi di un negozio a titolo gratuito in forza del quale vi è un’attribuzione patrimoniale priva di controprestazione. Lo spirito di libera-lità che caratterizza la donazione, non si identifica con un intento benefico o altruistico, bensì con lo scopo obiettivo che si raggiunge attraverso la gratuita attribuzione del bene al donatario. Essa, però, ove non effettuata nelle forme di cui all’art. 782 c.c., è nulla con la conseguenza che il controvalore dei titoli trasferiti va fatto rientrare nel patrimonio del donante per effetto della collazione»; e Cass. 6 novembre 2008, n. 26746, in Giust. civ., 2009, I, p. 2384, secondo cui «ai fini della configurabilità della donazione indiretta d’im-mobile, è necessario che il denaro venga corrisposto dal donante al donatario allo specifico scopo dell’acquisto del bene o mediante il versamento diretto dell’importo all’alienante o mediante la previsione della destinazione della somma donata al trasferimento immobilia-re; non ricorre, pertanto, tale fattispecie quando il danaro costituisca il bene di cui il do-

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francato dal problema della invalidità per difetto di forma 24 ma è ritenuto (dal legislatore stesso) integrare una fattispecie meritevole di attenzione e, quindi, necessitante di normazione positiva 25.

Conseguenza di questo orientamento (ragionando in termini di tassa-zione) sarebbe che il caso della donazione “informale” non dovrebbe essere nemmeno preso in considerazione: una attività materiale non consistente in una situazione giuridicamente rilevante o, tutt’al più, originante una situa-zione giuridicamente rilevante ma affetta da nullità, non può evidentemente subire tassazione 26; invero, stipulando un negozio nullo, non si avrebbe al-cuna manifestazione di capacità contributiva, poiché manca la definitività nante ha inteso beneficiare il donatario e il successivo reimpiego sia rimasto estraneo alla previsione del donante» (nel caso di specie la Suprema Corte ha stabilito che la mera elar-gizione di somme di danaro mediante assegni circolari, non potesse qualificarsi donazione indiretta ed ha invalidato il negozio concluso per il difetto di forma solenne).

24 Si vedano Cass. 25 febbraio 2015, n. 3819, in Foro it., 2015, I, c. 2833; in Nuova giur. civ., 2015, I, p. 577, con nota di Mazzariol; in Riv. giur. ed., 2015, I, p. 384; e in Riv. not., 2015, p. 807, con nota di Milloni, secondo cui «la rinuncia alla quota di comproprietà di un bene, fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comproprietari, costituisce donazione in-diretta e come tale non richiede la forma dell’atto pubblico»; e Cass. 25 marzo 2013, n. 7480, in Famiglia e dir., 2013, p. 554, con nota di Oberto, secondo cui «l’attribuzione patrimoniale effettuata dalla convivente more uxorio che, nel corso della relazione paramatrimoniale, ha proceduto all’acquisto di un immobile in comunione con il partner per quote uguali, pur avendo sborsato l’intero prezzo per l’acquisto, è qualificabile alla stregua di una donazione in-diretta della quota dell’immobile stesso; tale liberalità è valida malgrado il mancato rispetto delle forme solenni previste per la donazione, inapplicabili alla donazione indiretta».

25 Si veda l’art. 809 c.c., che equipara alle donazioni anche «le liberalità» che «risultano da atti diversi da quelli previsti dall’articolo 769» sotto il profilo che esse «sono soggette alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa d’ingratitudine e per so-pravvenienza di figli nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari». Cfr. pure l’art. 737, comma 1, c.c., per il quale «I figli e i loro discen-denti ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defun-to non li abbia da ciò dispensati». In pratica, la normativa “sostanziale” della donazione si applica qualunque sia il “veicolo” formale attraverso il quale si giunge all’effetto della dona-zione, con ciò evidenziandosi come al legislatore civilistico sia ben chiaro che allo stesso ri-sultato concreto (depauperamento del donante; arricchimento del donatario) si può giunge-re sia per vie formali (la donazione “diretta”) che per vie informali; ciò che conta è che, es-sendo l’effetto il medesimo, anche le regole applicabili siano le medesime.

26 Al riguardo, non pare possibile far ricorso all’art. 38, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, il quale invero non dispensa dall’obbligo di registrazione (e dal pagamento della imposta di registro) in caso di «nullità … dell’atto» (presentato per la registrazione): infatti, detta norma presuppone l’esistenza di un «atto» (da presentare alla registrazione), ciò che, nel-la fattispecie, manca (trattandosi, appunto, di una attività materiale, quale la mera dazione del denaro). Sull’inapplicabilità dell’art. 38, D.P.R. n. 131/1986, ai contratti verbali, cfr. STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, Padova, 2000, p. 37.

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dell’attribuzione (potendo il donante esercitare, sia pur nel termine pre-scrizionale, l’azione di ripetizione della dazione indebita) e, inoltre, non si vedrebbe perché, negata la rilevanza ai principi civilistici in tema di forma ad substantiam della donazione, alla tassazione si dovrebbe far luogo solo in caso di consegna materiale di un bene mobile (come il denaro) ma non anche in caso di consegna materiale (gratuita e definitiva) di un bene im-mobile 27.

Qualora, invece, si segua un orientamento meno formalistico e, perciò, meno ancorato su concezioni “tradizionali” , e si dia prevalenza allo “spirito di liberalità” che possa informare l’attività materiale dalla quale origini un arric-chimento del patrimonio del beneficiario e un correlativo depauperamento del soggetto disponente, allora la donazione “informale” (sempre ragionando in termini di tassazione) non verrebbe più a costituire una fattispecie a sé stante rispetto alla donazione “indiretta”, ma andrebbe a rappresentare una possibile variante di una donazione “indiretta” 28 se non una donazione “diret-

27 Sono considerazioni di SALANITRO, Brevi appunti sulla tassabilità della donazione in-formale, cit., p. 280.

28 Si vedano Cass. 16 gennaio 2014, n. 809, in Nuova giur. civ., 2014, I, p. 594, con nota di Tomat; in Famiglia e dir., 2015, p. 121, con nota di Alvisi, secondo cui «affinché le somme depositate nel tempo da un correntista su un conto cointestato, acceso senza prov-vista, integrino l’oggetto di una donazione, indiretta in favore dell’altro cointestatario è ne-cessario che lo spirito di liberalità assista ogni versamento»; Cass. 9 maggio 2013, n. 10991, in Rep. Foro it., 2013, (voce) Donazione, n. 15, secondo cui «la cointestazione di buoni postali fruttiferi, nella specie operata da un genitore per ripartire fra i figli anticipa-tamente le proprie sostanze, può configurare, ove sia accertata l’esistenza dell’animus do-nandi, una donazione indiretta, in quanto, attraverso il negozio direttamente concluso con il terzo depositario, la parte che deposita il proprio denaro consegue l’effetto ulteriore di attuare un’attribuzione patrimoniale in favore di colui che ne diventa beneficiario per la corrispondente quota, essendo questi, quale contitolare del titolo nominativo a firma di-sgiunta, legittimato a fare valere i relativi diritti»; Cass. 12 novembre 2008, n. 26983, in Foro it., 2009, I, c. 1103; in Riv. not., 2009, p. 1213, con nota di Nicodemo; in Famiglia, persone e successioni, 2009, p. 968, con nota di Ambanelli, secondo cui «non si configura una liberalità d’uso, né una donazione indiretta in caso di cointestazione di un libretto bancario su cui erano state in precedenza depositate somme di denaro appartenenti ad uno solo dei cointestatari, allorquando difetti la prova che, all’atto della cointestazione, il proprietario del denaro non avesse altro scopo che quello di liberalità»; e Cass. 10 aprile 1999, n. 3499, in Giur. it., 1999, c. 2017, secondo cui «le donazioni indirette si sottraggo-no alla necessità della forma solenne e sono valide qualora sia stata osservata la forma pre-scritta per il negozio tipico che è stato utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità» (nella specie, è stata ritenuta donazione indiretta la cointestazione, con firma e disponibilità di-sgiunte, di una somma di danaro – depositata presso un istituto di credito – appartenuta, all’atto della cointestazione, ad uno solo dei contestatari).

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ta” (che, seppur civilisticamente nulla, sarebbe sorprendentemente tassata 29 perché comunque ritenuta quale manifestazione di capacità contributiva, es-sendo irrilevante la formale stipula di un atto ed essendo invece rilevante il fatto economico provocato dal trasferimento materiale del bene “donato”, ad esempio il denaro versato o bonificato sul conto corrente del donatario) 30.

Ci si deve, a questo punto, occupare 31 della considerazione della donazio-

29 Si vedano Cass. 18 gennaio 2012, n. 634, in Vita not., 2012, p. 336; in Rass. trib., 2012, p. 761; in Fisco 1, 2012, p. 1323, secondo cui «presupposto per l’applicabilità del-l’imposta sulle donazioni è il trasferimento per scopo di liberalità di un diritto o della tito-larità di un bene, anche se realizzato senza l’osservanza della forma dell’atto pubblico, ri-chiesta a pena di nullità dell’art. 782 c.c. per l’atto di donazione e la sua accettazione» (in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto, in particolare, soggetto al tri-buto in parola il trasferimento senza redazione di un atto pubblico – da parte del nonno in favore dei nipoti – di valuta estera e oro); e Cass. 29 ottobre 2010, n. 22118, in Rep. Foro it., 2010, (voce) Successioni (imposta), n. 17, secondo cui «il presupposto per l’applicabili-tà dell’imposta sulle donazioni va individuato, giusto quanto previsto dall’art. 1 d. leg. n. 346 del 1990, nel trasferimento per scopo di liberalità di un diritto o della titolarità di un bene senza che abbia rilevanza alcuna l’inosservanza della forma dell’atto pubblico, richie-sta a pena di nullità dell’art. 782 c.c., per l’atto di donazione e la sua accettazione» (in ap-plicazione del principio, la Suprema Corte ha ritenuto assoggettabili all’imposta sulle do-nazioni atti di liberalità aventi ad oggetto denaro e beni mobili effettuati da un genitore verso i figli pur in assenza di un atto pubblico di donazione e della relativa accettazione).

30 Interessante notare che nella fattispecie giudicata dalla predetta Cass. n. 634/2012, si trattava di un versamento di denaro effettuato dai nonni sul conto corrente bancario dei nipoti minorenni; quindi, non vi era alcun documento scritto (se non le contabili banca-rie) ed è stata ritenuta essersi manifestata una capacità contributiva in capo a soggetti le-galmente incapaci, destinatari, ma non partecipi, dell’attività liberale dei nonni. La senten-za cassa Comm. Trib. Reg. Toscana, 26 aprile 2006, inedita, la quale aveva ritenuto inap-plicabile l’imposta di donazione a una fattispecie di donazione ritenuta nulla per violazione delle prescrizioni formali di cui all’art. 782 c.c. e non perfezionata per mancanza di una va-lida dichiarazione di accettazione da parte dei donatari.

31 Si dà per qui presupposta, in senso affermativo (lo ha esplicitamente affermato la Cir-colare n. 30/E dell’11 agosto 2015), la risposta alla domanda se, con la riesumazione dell’imposta di successione e donazione (dopo la sua soppressione sancita con L. 18 ottobre 2011, n. 383), disposta dall’art. 2, commi 47-53, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito in L. 24 novembre 2006, n. 286, siano tornate in vigore (in quanto «compatibili») anche le nor-me del D.Lgs. n. 346/1990 inerenti la tassazione delle donazioni “indirette”. Invero, un giu-dizio di incompatibilità avrebbe potuto trarsi, non infondatamente, a causa della previsione, nelle norme riesumate, di aliquote e franchigie diverse da quelle attualmente applicabili (e, quindi, di un sistema di tassazione incompatibile con quello oggi vigente). Sul tema della ri-tenuta incompatibilità tra l’attuale sistema di imposizione delle donazioni e la normativa sul-la tassazione delle donazioni “indirette” contenuta nel D.Lgs. n. 346/1990, si vedano Consi-glio Nazionale del Notariato, Studio n. 168-2006/T, Prime note a commento della nuova im-posta sulle successioni e donazioni; Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 135-2011/T, Rilevanza fiscale delle liberalità indirette nell’attività notarile; FEDELE, Il regime fiscale di succes-sioni e liberalità, in RESCIGNO (a cura di), Successioni e donazioni, vol. II, Padova, 2010, p. 605;

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ne “indiretta” (e della donazione “informale”, sia che la si consideri una fatti-specie a sé stante rispetto alla donazione “indiretta”, sia che la si consideri una species del genus donazione “indiretta”) da parte del legislatore tributario 32.

3. La tassazione della donazione “indiretta” e della donazione “informale”

Nel testo unico dell’imposta di successione e donazione (il D.Lgs. 31 ot-tobre 1990, n. 346), le liberalità diverse dalla donazione “formale” sono os-servate in una pluralità di norme:

a) l’art. 1, comma 1, ove si sancisce che l’imposta sulle donazioni si appli-ca ai trasferimenti di beni e diritti «per donazione o altra liberalità tra vivi»;

b) l’art. 1, comma 4, ove si sancisce che l’imposta di donazione non si applica ai casi di «donazione o liberalità di cui agli articoli 742 e783 del co-dice civile» (vale dire per le “spese non soggette a collazione”, di cui all’art. 742 c.c., e per le donazioni “di modico valore”, di cui all’art. 783 c.c.);

c) l’art. 1, comma 4 bis, ove si sancisce che, ferma restando «l’applica-zione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione», l’imposta però non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità «collegate» 33 ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, Padova, 2008, p. 143; GHINASSI, Le liberalità indirette nel nuovo tributo successorio, in Rass. trib., 2010, p. 394; ZANNI REBECCA TRENTIN, La tassazione delle liberalità indirette, in Il Fisco, 2010, p. 4448.

32 In materia, in generale, si vedano GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, cit., p. 143; LUPI, Riforma delle successioni: il nodo delle liberalità indirette, in Rass. trib., 2000, p. 855; LUPI, Le liberalità non formalizzate nella riforma del tributo successorio, in Rass. trib., 2001, p. 330; STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, cit., passim.

33 Pare potersi convenire che si hanno «donazioni» o «altre liberalità collegate» ad at-ti traslativi (soggetti a imposta proporzionale di registro o a Iva) ogni qualvolta, implicita-mente o esplicitamente, vi sia un nesso tra l’atto traslativo compiuto dall’acquirente/do-natario e la formazione, in capo a tale soggetto, della provvista occorrente per effettuare il pagamento di tale acquisto.

Quindi, si può ricorrere, ad esempio, al diretto intervento del donante, nel contesto dell’atto traslativo, per permettergli una dichiarazione circa la provenienza dal suo patrimo-nio del denaro usato dall’acquirente/donatario per pagare il prezzo dovuto al cedente; oppu-re si può ricorrere a una semplice dichiarazione del donatario/acquirente, nel contesto dell’atto di acquisto, circa la provenienza del denaro da lui utilizzato per pagare il prezzo (suf-fragata da comprova recata da idonea documentazione bancaria); ma non è impensabile di ritenere il presupposto del “collegamento”, voluto dalla legge esonerativa, verificato ogni qualvolta sia dimostrabile, seppur in mancanza di dichiarazioni o di espressioni in tal senso contenute nell’atto traslativo, che il denaro servito per il pagamento del prezzo del contratto traslativo sia pervenuto all’acquirente/donatario in circostanze tali (ad esempio, un bonifico

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di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per tali atti sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto 34;

o un giroconto bancario nel giorno stesso del closing o nei giorni immediatamente preceden-ti) da rendere oggettivamente verificabile come tale afflusso fosse indiscutibilmente finalizza-to al pagamento di quel prezzo (che, in ipotesi, il donatario mai avrebbe potuto pagare stante la consistenza del suo patrimonio e la sua capacità reddituale).

Invece, per la sopra menzionata Cass. n. 13133/2016, non si può avere l’esenzione di cui all’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. n. 346/1990, qualora nell’atto di acquisto, effettuato dal donatario impiegando il denaro corrispostogli dal donante, non sia fatta menzione della provenienza del denaro dal donante: secondo la Cassazione, per «regola generale», l’esen-zione da un tributo e la fruizione di una agevolazione presuppongono che il contribuente faccia «esplicito esercizio» del diritto e pure ne faccia «espressa dichiarazione in atto». Pretendendo un comportamento che la legge non impone, la Suprema Corte compie un evidente passo falso, per svariate ragioni. Anzitutto perché quando il legislatore tributa-rio vuole che in atto risultino dichiarazioni necessarie per l’ottenimento di un’agevola-zione, lo dice espressamente: nell’agevolazione “prima casa” non basta all’acquirente di non essere proprietario di altre abitazioni, ma occorre che lo dichiari espressamente.

Inoltre, se si pensa a un procedimento impositivo come quello dell’imposta di registro (ove vengono tassate le risultanze dell’atto esibito per la registrazione), è inevitabile ritenere che i presupposti per l’applicazione di una tassazione diversa da quella ordinaria debbano es-sere esplicitati in atto, anche se la legge non lo richiede (lo afferma implicitamente l’art. 3 ter, D.Lgs. n. 463/1997, in tema di autoliquidazione dell’imposta di registro, sancendo che l’Uffi-cio la controlla «sulla base degli elementi desumibili dall’atto» sottoposto a registrazione). Ma se si pensa alla pretesa impositiva verso una liberalità indiretta, la quale necessariamente deriva da una approfondita attività di accertamento (perché comporta l’analisi della capacità contributiva dell’acquirente/donatario e l’indagine sulla provenienza delle risorse finanziarie dal medesimo impiegate), non si può credere che, nell’ambito di questo iter, il fisco non si ac-corga del “collegamento” tra l’afflusso del denaro e il suo impiego per pagare un prezzo (si pensi al bonifico fatto dal genitore al figlio nullatenente, qualche giorno prima del rogito, di una somma pari a quella del prezzo da pagare; oppure all’assegno circolare, direttamente inte-stato al venditore, emesso addebitando il conto corrente dei genitori dell’acquirente).

Infine, più in generale, secondo l’art. 10 dello statuto del contribuente, i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria devono essere improntati al principio della collaborazione e della buona fede. Allora, se la legge solamente richiede che esista un col-legamento (e, quindi, un fatto oggettivo) tra due fattori, quali la dazione del denaro e il suo successivo impiego, non appare che si possa escludere la maturazione del presupposto dell’esenzione (e, quindi, il collegamento) solamente perché non lo si è dichiarato. Per la stessa ragione, nel campo dell’agevolazione “prima casa”, dove pure la legge richiede alcu-ne dichiarazioni come presupposto di concessione dell’agevolazione, è pacifico che la mancanza di dette dichiarazioni possa essere rimediata con un atto integrativo (circolari 38/E/2005 e 18/E/2013, nonché risoluzione 110/E/2006). Concludere quindi che una liberalità indiretta sia tassata per il solo fatto di non essere stata enunciata, non richieden-dolo la legge, pare insomma una conclusione abbastanza frettolosa.

34 Probabilmente, nel dettare queste prescrizioni, il legislatore ha inteso sacrificare la percezione dell’imposta di donazione sull’altare dell’interesse all’emersione della reale pro-

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d) l’art. 55, comma 1 bis, ove si sancisce che sono soggetti a registrazione in termine fisso anche «gli atti aventi ad oggetto donazioni, dirette o indi-rette», formati all’estero nei confronti di beneficiari residenti nello Stato;

e) l’art. 56 bis, comma 1, ove si sanciscono i presupposti per l’accerta-mento, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, delle «liberalità diverse dalle donazioni»;

f) l’art. 58, comma 5, ove si sancisce che «Le disposizioni» del Titolo III (rubricato “Applicazione dell’imposta alle donazioni”) del D.Lgs. n. 346/1990 «si applicano, in quanto compatibili, anche per gli atti di liberalità tra vivi diversi dalla donazione».

A questo punto, occorre chiedersi a cosa il legislatore del D.Lgs. n. 346/1990 abbia inteso riferirsi (e quale scopo abbia perseguito) parlando variamente (o confusamente) di «altra liberalità tra vivi» (all’art. 1, comma 1), di «liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione» (all’art. 1, comma 4 bis), di «donazioni … indirette» (all’art. 55, comma 1 bis), di «liberalità diverse dalle donazioni» (all’art. 56 bis, comma 1) e di «atti di liberalità tra vivi diversi dalla donazione» (all’art. 58, comma 5) 35.

Si tratta dunque di un fenomeno unitario o di una pluralità di fattispe-cie? Si tratta della considerazione unitaria di qualsiasi fattispecie in cui sia civilisticamente ravvisabile una donazione “indiretta” o una donazione “informale”?

L’Amministrazione Finanziaria ha sbrigativamente espresso, sul punto, la seguente osservazione: «Come già chiarito dalla circolare n. 3/E del 22 gennaio 2008, par. 2 36, quindi, l’imposta sulle successioni e donazioni si ap-

venienza della provvista occorrente per effettuare acquisti immobiliari o di aziende. In altri termini, il legislatore ha offerto l’esonero da tassazione all’afflusso finanziario in capo al soggetto acquirente alla condizione che venga acclarato il “collegamento” tra la liberalità (e quindi tra il titolare della forza finanziaria) e l’atto traslativo di immobili o di aziende. In C.M. 16 novembre 2000, n. 207/E è stato affermato che «per tutti gli acquisti immobiliari finanziati da terzi sarà possibile dichiarare in atto che il pagamento è avvenuto a cura del soggetto donante, così da consentire alle famiglie di rendere trasparenti i loro rapporti economici (ad esempio, la dazione di denaro dal padre al figlio ovvero il pagamento del relativo prezzo da parte del padre per l’acquisto di una casa)». Si veda, sul punto, anche GHINASSI, Le liberalità indirette nel nuovo tributo successorio, cit., p. 400.

35 Si vedano CASALINI CHIZZINI, La tassazione delle liberalità indirette, in Corr. trib., 2001, p. 629.

36 Per il vero, che nel paragrafo 2 della Circolare n. 3/E del 2008 sia affrontato questo argomento, pare essere affermazione non corrispondente a quanto effettivamente scritto in detto paragrafo 2 (il quale pare non affrontare questo argomento).

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plica alle “liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione” (arti-colo 1, comma 4-bis, del TUS), nonché alle altre “liberalità tra vivi” che si caratterizzano per l’assenza di un atto scritto (soggetto a registrazione)».

Questa opinione dell’Amministrazione pare errata e, comunque, assai frettolosa e, perciò, imprecisa e incompleta: essa infatti sembra evocare un (invero inesistente) generalizzato obbligo di registrazione sia delle dona-zioni risultanti da atti soggetti a registrazione sia delle liberalità derivanti da atti non formati per iscritto. Il che appare contestabile per le ragioni che se-guono.

4. La liberalità diversa dalla donazione “formale” che non risulta da un atto soggetto a registrazione

Anzitutto, occorre considerare almeno tre dati: a) il rilievo che «[g]li atti di donazione sono soggetti a registrazione se-

condo le disposizioni del testo unico sull’imposta di registro» (art. 55, comma 1, D.Lgs. n. 346/1990);

b) il rilievo che l’art. 1, comma 4 bis 37, D.Lgs. n. 346/1990, disponga la non applicazione dell’imposta di donazione in talune fattispecie, dopo aver esordito sancendo che resta «[f]erma … l’applicazione dell’imposta [di donazione] anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registra-zione»;

c) il rilievo che l’art. 55, comma 1 bis, D.Lgs. n. 346/1990, disponga la registrazione in termine fisso degli «atti aventi ad oggetto donazioni, dirette o indirette» formati all’estero nei confronti di beneficiari residenti nello Stato.

Da questi tre dati normativi parrebbe doversi desumere che, in tanto la donazione “indiretta” sarebbe rilevante ai fini dell’imposta di donazione, in quanto essa “risulti” (anche per effetto di enunciazione, ai sensi dell’art. 22, D.P.R. n. 131/1986) da un “atto” soggetto alla registrazione; e, quindi, non vi sarebbe una situazione rilevante ai fini dell’imposta di donazione (salvo per i casi, di cui oltre, della registrazione “volontaria” e della donazione che

37 Per il quale «l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collega-te ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il tra-sferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto».

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venga “confessata” dal contribuente nell’ambito di una procedura di accer-tamento) se la donazione non risulti da un “atto” soggetto alla registrazione (e, come noto, per esserci obbligo di registrazione, deve esserci, anzitutto, di regola, la formazione «per iscritto» dell’atto da tassare «nel territorio dello Stato»: art. 1, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 131/1986). Pertanto:

a) da un lato, non pare rilevante per l’imposta di donazione la donazione “indiretta” che non risulti (anche per effetto di enunciazione, ai sensi dell’art. 22, D.P.R. n. 131/1986) da un atto formato «per iscritto» «nel ter-ritorio dello Stato» (fatta eccezione per i casi, di cui oltre, della registrazio-ne “volontaria”, della donazione “confessata” dal contribuente nell’ambito di una procedura di accertamento e della donazione effettuata all’estero); per-tanto, ad esempio, le donazioni “informali” (non stipulate per iscritto né enun-ciate in un atto scritto) non sarebbero un possibile oggetto di tassazione 38;

b) d’altro lato, resta da verificare se qualsiasi donazione “indiretta” che risulti (anche per via di enunciazione) da un atto formato «per iscritto» «nel territorio dello Stato» sia da sottoporre a tassazione (fatta eccezione per la già accennata fattispecie di esonero da tassazione di cui all’art. 1, comma 4-bis, D.Lgs. n. 346/1990).

5. La tassazione della liberalità diversa dalla donazione “formale” che risulta da un atto soggetto a registrazione

Pare dover essere negativa la risposta alla predetta domanda se qualsia-si liberalità (diversa dalla donazione “formale”) che risulti (anche per ef-fetto di enunciazione, ai sensi dell’art. 22, D.P.R. n. 131/1986) da un atto formato «per iscritto» «nel territorio dello Stato» sia da sottoporre a tas-sazione.

Infatti, quando il D.Lgs. n. 346/1990 si occupa (all’art. 56 bis, D.Lgs. n. 346/1990, rubricato “Accertamento delle liberalità indirette”) della tassazio-ne delle liberalità diverse dalla donazione “formale”, enuncia due principi:

38 Si vedano, in tal senso, STEVANATO LUPI, Trasferimenti informali di ricchezza e impo-sta di donazione, in Dialoghi trib., 2012, p. 542. Nel senso invece della sottoposizione delle donazioni “informali” a imposta di donazione, si vedano le già menzionate sentenze di Cass. 18 gennaio 2012, n. 634, in Vita not., 2012, p. 336; in Rass. trib., 2012, p. 761; in Fisco 1, 2012, p. 1323; e di Cass. 29 ottobre 2010, n. 22118, in Rep. Foro it., 2010, (voce) Succes-sioni (imposta), n. 17.

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a) la facoltà del contribuente di registrare «volontariamente» le liberalità indirette (art. 56-bis, comma 3, D.Lgs. 346/1990) 39;

b) il potere dell’Amministrazione di accertare le liberalità indirette solo al ricorrere di due presupposti: (i) «quando l’esistenza» della liberalità in-diretta «risulti da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedi-menti diretti all’accertamento di tributi»; e (ii) «quando le liberalità abbia-no determinato, da sole o unitamente a quelle già effettuate nei confronti del medesimo beneficiario, un incremento patrimoniale superiore all’im-porto di 350 milioni di lire» 40 (art. 56 bis, comma 1, D.Lgs. n. 346/1990).

Nel caso a), l’imposizione è identica a quella applicabile a una donazione “diretta” (art. 56 bis, comma 3, D.Lgs. n. 346/1990) 41 e, quindi, a seconda delle concrete fattispecie, con le aliquote del 4, del 6 e dell’8 per cento e con le franchigie di 100mila euro, 1 milione di euro e di 1,5 milioni di euro.

Nel caso b), «si applica l’aliquota del sette 42 per cento, da calcolare sulla parte dell’incremento patrimoniale che supera l’importo di 350 milioni di lire» 43 (art. 56 bis, comma 2, D.Lgs. n. 346/1990) (con la precisazione che non è comunque irrogabile alcuna sanzione) 44.

39 Fatta salva la difficoltà pratica rappresentata dalla mancata approvazione del model-lo, previsto dall’art. 69, comma 11, L. n. 342/2000, per la registrazione volontaria delle donazioni “indirette”.

40 Secondo la Circolare n. 30/E dell’11 agosto 2015, questa espressione normativa de-ve essere interpretata come se si riferisse alle franchigie attualmente vigenti (invece che alla soglia rappresentata da 350 milioni di lire), fissate in euro 1 milione se beneficiari della donazione siano il coniuge o i parenti in linea retta del donante, in euro 100mila se benefi-ciari della donazione siano i fratelli e le sorelle del donante e in euro 1 milione 500mila se beneficiari della donazione siano soggetti portatori di grave handicap (art. 2, comma 49, D.L. n. 262/2006).

41 In tal senso la Circolare n. 30/E dell’11 agosto 2015. 42 Secondo la Circolare n. 30/E dell’11 agosto 2015, questa espressione normativa de-

ve essere interpretata come se si riferisse alle aliquota massima attualmente vigente, vale a dire all’aliquota dell’8 per cento.

43 Secondo la Circolare n. 30/E dell’11 agosto 2015, questa espressione normativa de-ve essere interpretata come se si riferisse alle franchigie attualmente vigenti (invece che alla soglia rappresentata da 350 milioni di lire), fissate in euro 1 milione se beneficiari della donazione siano il coniuge o i parenti in linea retta del donante, in euro 100mila se benefi-ciari della donazione siano i fratelli e le sorelle del donante e in euro 1 milione 500mila se beneficiari della donazione siano soggetti portatori di grave handicap (art. 2, comma 49, D.L. n. 262/2006).

44 Si veda in tal senso Circolare n. 30/E dell’11 agosto 2015.

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Se, dunque, il potere dell’Amministrazione di accertare donazioni “indi-rette” si ha solo al ricorrere dei predetti due presupposti 45, pare potersi con-cludere che non vi sia un obbligo generalizzato di registrare tutte le dona-zioni “indirette” risultanti (anche per via di enunciazione) da atti soggetti a registrazione, ma si pongano solo le seguenti ipotesi di tassazione delle do-nazioni “indirette” risultanti da atti soggetti a registrazione (fermo restando l’esonero da tassazione per le donazioni “indirette” rientranti nel perimetro di quelle identificate nell’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. n. 346/1990):

a) la facoltà di registrazione volontaria delle donazioni “indirette”, cui evidentemente ricorrerà chi tema l’accertamento previsto nell’art. 56 bis, comma 2, D.Lgs. n. 346/1990, di cui appena oltre;

b) la tassazione delle donazioni “indirette” (non rientranti nel perimetro di esenzione di cui all’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. n. 346/1990) la cui «esi-stenza» «risulti da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di proce-dimenti diretti all’accertamento di tributi» (evidentemente diversi dall’im-posta di donazione).

6. Conclusione sulla tassazione delle donazioni “indirette” e “informali”

Dal descritto panorama normativo pare potersi desumere che 46: a) quanto alle donazioni “informali” (e alle donazioni “indirette” non ri-

sultanti – anche per enunciazione – da atti soggetti a registrazione) non ri-corre il presupposto per la loro sottoposizione a tassazione; e che:

b) quanto alle donazioni “indirette” risultanti (anche in via di enuncia-

45 Si vedano in tal senso Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 135-2011/T, Ri-levanza fiscale delle liberalità indirette nell’attività notarile; GAFFURI, Le liberalità informali, in AA.VV., L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Milano, 2000, p. 285; GHINASSI, Liberalità informali e tributo successorio, in Rass. trib., 3/2012, p. 764; MASSA-ROTTO, Liberalità indirette: chiariti i dubbi su “voluntary disclosure” e trasferimenti di ricchez-za, in Corr. trib., 37/2015, p. 3809; PETTORUTI, Le liberalità non donative nell’imposizione indiretta, in AA.VV., Liberalità non donative e attività notarile, Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, n. 1/2008; PISCHETOLA, Liberalità indirette e imposta di donazione, in Notariato, 6/2015, p. 653.

46 Non si condividono queste conclusioni in CARUNCHIO, La tassazione delle liberalità indirette e informali, in Il fisco, 36/2015, p. 3429, ove invece si sostiene la tassabilità in ogni caso delle donazioni “informali” e la tassabilità delle donazioni “indirette” (senza distin-guere quelle risultanti e quelle non risultanti da atto soggetti a registrazione) al ricorrere dei presupposti sanciti dall’art. 56 bis, D.Lgs. n. 346/1990.

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zione) da atti soggetti a registrazione (diverse da quelle per cui vi è l’esone-ro da tassazione sancito dall’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. n. 346/1990), i con-tribuenti non siano messi al cospetto di un ineludibile obbligo di registrarle, bensì sia loro offerta una “opportunità” di registrazione delle donazioni “in-dirette” (che risultino da atti soggetti a registrazione) con riguardo all’eve-nienza che donante e donatario si trovino a doversi riferire a uno sposta-mento patrimoniale a titolo gratuito, non assoggettato a tassazione, nel con-testo di un procedimento (tipico è il caso di una verifica circa la capacità reddituale) 47 finalizzato all’accertamento di altri tributi (la cui maggiore en-tità, rispetto all’imposta di donazione, “solleciti” il contribuente sotto accer-tamento di “confessare” la donazione, scontando il relativo carico fiscale, piuttosto che subire il maggior esborso che deriverebbe dalla mancata “con-fessione” della donazione).

In vista di questa evenienza, e della tassazione che ne conseguirebbe, al contribuente è, dunque, offerta l’opportunità di una minor tassazione in conseguenza del suo spontaneo attivarsi per la registrazione della donazione “indiretta”.

Se, infatti, vi fosse un obbligo generalizzato di registrazione delle dona-zioni “indirette” (formate, o meno, mediante un atto scritto), si avrebbe che la norma sulla registrazione volontaria delle donazioni indirette non avreb-be alcun senso; e poco senso pure avrebbe la norma in tema di tassazione delle donazioni indirette “confessate”, essendovi nel sistema la previsione della sanzionabilità della mancata registrazione degli atti e degli eventi che, invece, vi dovrebbero essere soggetti.

È chiaro, infine, che, se vi fosse nel sistema un obbligo di registrazione delle donazioni “indirette”, si dovrebbe far luogo all’applicazione della nor-ma per effetto della quale l’Amministrazione decade dal potere di accertare la mancata registrazione con la scadenza del quinto anno successivo alla da-ta in cui la registrazione avrebbe dovuto avvenire (art. 76, comma 1, D.P.R. n. 131/1986, applicabile alla imposta di donazione ai sensi dell’art. 55, comma 1, D.Lgs. n. 346/1990). Poiché, come osservato, un obbligo in tal senso non sussiste, ma pur sempre esiste nel sistema il principio della pre-scrizione decennale (art. 78, D.P.R. n. 131/1986), dovrebbe concludersi che non possano pretendersi imposte per donazioni “confessate” che abbia-no data anteriore al decimo anno rispetto alla data della “confessione” (e

47 Si vedano Comm. Trib. Prov. Udine, 3 giugno 2010, n. 77, in Dialoghi trib., 2010, p. 458; e Comm. Trib. Prov. Savona, 19 febbraio 2010, n. 24, in Dialoghi trib., 2010, p. 460.

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che la “confessione” non possa certo essere considerata quale dies a quo per il decorso del termine prescrizionale).

Tipo di donazione Casi particolari Tassazione

Donazione “informale” non risultante da atto soggetto a registrazione

– Non sussiste il presupposto per la sua tassazione

Donazione “indiretta” non risultante da atto soggetto a registrazione

– Non sussiste il presupposto per la sua tassazione

Donazione “indiretta” o “in-formale” risultante (anche per enunciazione) da atto soggetto a registrazione

Rientrante nell’esonero da tassazione di cui all’art. 1,

comma 4 bis, D.Lgs. n. 346/1990

Non sussiste il presupposto per la sua tassazione

Facoltà di registrazione volontaria

Aliquote “ordinarie” (4%, 6%, 8%)

Franchigie “ordinarie” (100mila, 1 milione,

1,5 milioni)

Donazione dichiarata nell’ambito di un procedi-

mento di accertamento

Aliquota dell’8% Franchigie “ordinarie” (100mila, 1 milione,

1,5 milioni)

7. La stipula delle donazioni al di fuori del territorio nazionale

Per la trattazione di questo argomento occorre anzitutto una ricognizio-ne della normativa rilevante in materia.

Anzitutto, si deve prendere in considerazione l’art. 2, D.Lgs. n. 346/1990, il quale sancisce che:

a) se il donante è residente in Italia, l’imposta di donazione è dovuta in relazione a tutti i beni e diritti trasferiti, ancorché esistenti all’estero;

b) se il donante non è residente in Italia, l’imposta di donazione è dovuta limitatamente ai beni e ai diritti esistenti in Italia.

Inoltre, si deve considerare il disposto dell’art. 55, D.Lgs. n. 346/1990, il quale:

– nel comma 1, assoggetta le donazioni a registrazione «secondo le di-

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sposizioni del testo unico dell’imposta di registro» e, dunque, attrae nel-l’imposta di donazione il principio per il quale in tanto si fa luogo a registra-zione in quanto si tratti di attività giuridica incorporata in un documento formato «per iscritto» «nel territorio dello Stato», fatta eccezione per il caso di atti aventi a oggetto il «trasferimento della proprietà ovvero costitu-zione o trasferimento di altri diritti reali, anche di garanzia, su beni immobili o aziende esistenti nel territorio dello Stato» (art. 1, comma 1, lett. a) e d), D.P.R. n. 131/1986);

– nel comma 1-bis, sancisce che se la donazione (“diretta” o “indiretta”) è formata all’estero a favore di beneficiari residenti in Italia, la donazione è soggetta a registrazione in termine fisso (detraendo le imposte che siano pagate all’estero); conseguendone che, se la donazione è effettuata all’estero da un soggetto non residente in Italia:

a) a favore di un donatario residente in Italia: a.1. qualora i beni donati siano esistenti in Italia, si deve far luogo a tassa-

zione della donazione in Italia, detraendo l’imposta assolta all’estero; a.2. qualora i beni donati non siano esistenti in Italia, la donazione non è

tassabile in Italia 48; b) a favore di un donatario non residente in Italia, qualora i beni donati

siano esistenti in Italia, si deve far luogo a tassazione della donazione in Ita-lia, detraendo l’imposta assolta all’estero.

Infine, ai sensi dell’art. 56 bis, comma 1, D.Lgs. n. 346/1990, l’accerta-mento delle donazioni «diverse … da quelle risultanti da atti di donazione effettuati all’estero a favore di residenti» può essere effettuato solo quando non siano state già oggetto di registrazione volontaria (ai sensi dell’art. 56 bis, comma 2, D.Lgs. n. 346/1990) e ricorrano le seguenti due condizioni: (i) l’esistenza della donazione risulti da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi; (ii) la libera-lità determini, considerata unitariamente o sommata ad altra liberalità già

48 In senso contrario a questa ricostruzione (e quindi ritenendo che la donazione a un donatario residente in Italia sia tassabile ovunque siano esistenti i beni oggetto di donazione) si sono espressi FEDELE, Le innovazioni nella Legge n. 342 del 2000, le defini-zioni della ratio del tributo. I rapporti con l’imposta di registro, in AA.VV., L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Milano, 2001, p. 79; e NASTRI, Liberalità indiret-te e prassi negoziale, in AA.VV., L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Milano, 2001, p. 318.

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effettuata dal medesimo donante al medesimo beneficiario, un incremento patrimoniale superiore all’importo di 350 milioni di lire 49.

Da questo panorama normativo emerge dunque che: a) se il donante è residente in Italia: a.1. la donazione “diretta” stipulata in Italia (a favore di qualsiasi donata-

rio) è tassata con riferimento a tutti i beni donati, anche se esistenti al-l’estero;

a.2. la donazione “indiretta” posta in essere in Italia (a favore di qualsiasi donatario) è soggetta a tassazione al ricorrere dei presupposti sopra indicati (nel paragrafo del presente articolo denominato “Conclusioni”);

a.3. la donazione “diretta” stipulata all’estero (a favore di qualsiasi donata-rio) 50 è tassata con riferimento a tutti i beni donati, anche se esistenti all’estero;

a.4. la donazione “indiretta” posta in essere all’estero (a favore di qualsia-si donatario) è soggetta a tassazione al ricorrere dei presupposti sopra indi-cati (nel paragrafo del presente articolo denominato “Conclusioni”);

b) se il donante non è residente in Italia: b.1. la donazione “diretta” stipulata in Italia (a favore di qualsiasi donata-

rio) è tassata con riferimento ai soli beni donati esistenti in Italia (detraendo le imposte che siano pagate all’estero);

b.2. la donazione “indiretta” posta in essere in Italia (a favore di qualsiasi donatario) è tassata (al ricorrere dei presupposti sopra indicati nel paragrafo del presente articolo denominato “Conclusioni”) con riferimento ai soli beni donati esistenti in Italia (detraendo le imposte che siano pagate all’estero);

b.3. la donazione “diretta” stipulata all’estero (a favore di qualsiasi dona-tario) è tassata con riferimento ai soli beni donati esistenti in Italia (de-traendo le imposte che siano pagate all’estero) 51;

49 Secondo la Circolare n. 30/E dell’11 agosto 2015, questa espressione normativa de-ve essere interpretata come se si riferisse alle franchigie attualmente vigenti (invece che alla soglia rappresentata da 350 milioni di lire), fissate in euro 1 milione se beneficiari della donazione siano il coniuge o i parenti in linea retta del donante, in euro 100mila se benefi-ciari della donazione siano i fratelli e le sorelle del donante e in euro 1 milione e 500mila se beneficiari della donazione siano soggetti portatori di grave handicap (art. 2, comma 49, D.L. n. 262/2006).

50 Invece, secondo STEVANATO, Le liberalità tra vivi nella riforma del tributo successorio, in AA.VV., L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Milano, 2001, p. 271, l’art. 55, comma 1 bis, andrebbe letto nel senso che la donazione del donante residente in Italia, se effettuata all’estero, sarebbe soggetta a tassazione solo se sia effettuata a favore di un donatario residente in Italia.

51 Si veda in tal senso Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 194-2009/T, I crite-

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DOTTRINA RTDT - n. 3/2016 576

b.4. la donazione “indiretta” posta in essere all’estero (a favore di qualsia-si donatario) è tassata (al ricorrere dei presupposti sopra indicati nel para-grafo del presente articolo denominato “Conclusioni”) con riferimento ai soli beni donati esistenti in Italia (detraendo le imposte che siano pagate all’estero);

b.5. la donazione “diretta” stipulata all’estero (a favore di un donatario residente in Italia) avente a oggetto beni esistenti all’estero non deve essere registrata in Italia 52;

b.6. la donazione “indiretta” posta in essere all’estero (a favore di un do-natario residente in Italia) avente a oggetto beni esistenti all’estero (stante quanto precede, al punto b.5, a fortiori) non deve essere registrata in Italia.

ri di collegamento territoriale nell’imposta sulle successioni e donazioni.

Si veda anche la risposta di Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale della Lombar-dia, Settore Servizi e Consulenza, Ufficio Consulenza, alla richiesta (datata 20 maggio 2015) di consulenza giuridica n. 904-3/2015 da parte dell’Ordine dei Dottori Commercia-listi ed Esperti Contabili di Milano, secondo cui «rilevano, dunque, ai fini dell’imposta di registro e, conseguentemente, ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle donazioni, solo gli atti formati all’estero che hanno ad oggetto beni immobili o aziende esistenti sul territorio dello Stato».

52 Si vedano in tal senso GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, Trust e patti di famiglia, Padova, 2008, p. 462; e anche Consiglio Nazionale Del Notariato, Studio n. 194-2009/T, I criteri di collegamento territoriale nell’imposta sulle successioni e donazioni.

L’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Normativa, Settore Imposte Indirette, Uf-ficio Registro e altri tributi indiretti, in una risposta a interpello, datata 26 agosto 2014, senza protocollo, ha concluso che, se la donazione sia effettuata da un donante non resi-dente in Italia a favore di un donatario residente in Italia e abbia a oggetto beni non esi-stenti in Italia (sella specie si trattava di denaro e titoli non emessi da ente italiano), non vi è il presupposto per l’applicazione dell’imposta di donazione né per la registrazione in Ita-lia dell’atto di donazione. Alla medesima conclusione è giunta l’Agenzia delle Entrate, Di-rezione Regionale della Lombardia, Settore Servizi e Consulenza, Ufficio Consulenza, nel-la risposta alla richiesta (datata 20 maggio 2015) di consulenza giuridica n. 904-3/2015 da parte dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Milano.

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Angelo Busani 577

Residen-za del

donante Tipo di donazione Luogo di

stipula

Residen-za del

donatarioTassazione

Donante residente in Italia

Donazione diretta (di beni ovunque esistenti)

In Italia

Donatario ovunque residente

Tassazione relativa a tutti i beni, ovun-que esistenti

Donazione indiretta (di beni ovunque esistenti)

Tassazione relativa a tutti i beni, ovun-que esistenti (al ricorrere dei presup-posti di cui all’art. 1, comma 4 bis, e

all’art. 56 bis, comma 1, D.Lgs. n. 346/1990)

Donazione diretta (di beni ovunque esistenti)

All’estero

Tassazione relativa a tutti i beni, ovun-que esistenti

Donazione indiretta (di beni ovunque esistenti)

Tassazione relativa a tutti i beni, ovun-que esistenti (al ricorrere dei presup-posti di cui all’art. 1, comma 4 bis, e

all’art. 56 bis, comma 1, D.Lgs. n. 346/1990)

Donante non resi-dente in Italia

Donazione diretta (di beni ovunque esistenti)

In Italia

Tassazione relativa ai soli beni esistenti in Italia

Donazione indiretta (di beni ovunque esistenti)

Tassazione relativa ai soli beni esistenti in Italia (al ricorrere dei presupposti di cui all’art. 1, comma 4 bis, e all’art. 56

bis, comma 1, D.Lgs. n. 346/1990)

Donazione diretta (di beni ovunque esistenti)

All’estero

Tassazione relativa ai soli beni esistenti in Italia

Donazione indiretta (di beni ovunque esistenti)

Tassazione relativa ai soli beni esistenti in Italia (al ricorrere dei presupposti di cui all’art. 1, comma 4 bis, e all’art. 56

bis, comma 1, D.Lgs. n. 346/1990)

Donazione diretta (di beni esistenti all’estero)

Donatario ovunque residente (e quindi anche se residente in Italia)

Non si deve registrare

Donazione indiretta (di beni esistenti all’estero)

Donatario ovunque residente (e quindi anche se residente in Italia)

Non si deve registrare

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DOTTRINA RTDT - n. 3/2016 578

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Gianni Marongiu

LO STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE *

THE TAXPAYER BILL OF RIGHTS

Abstract Una semplice scorsa del presente contributo dimostra quanta strada abbia per-corso, dal 2000 ad oggi, lo Statuto dei diritti del contribuente applicato ogni giorno dalle magistrature di merito e di legittimità. Certo il legislatore lo ha violato e lo viola, ma se il conteggio dei relativi strappi fosse assunto a misura del suo radicamento (come qualcuno ancora fa) dovrebbe dirsi fal-lita anche la Costituzione della Repubblica. La vitalità dell’uno e dell’altra non sta nel numero delle violazioni ma nella dimostrata capacità di reazione dell’ordinamento. Parole chiave: Statuto dei diritti del contribuente, applicazione, effettività, dirit-ti costituzionalmente protetti, violazioni A quick overview of this paper clearly demonstrate how far the Taxpayer Bill of Rights has evolved, from 2000 to date, through the daily enforcement made by lower and higher tax judges. Of course, the legislator has violated and continues to violate the Taxpayer Bill of Rights, but if the count of its infringements was sized to its root-ing (as someone still does), also the Republican Constitution should be considered a failure. The vitality of the one and the other shall not be identified in the number of violations, but in the demonstrated responsiveness of the tax system. Keywords: Taxpayer Bill of Rights, application, effectiveness, constitutionally pro-tected rights, violations

* Contributo non soggetto a revisione esterna. Si vedano oltre ai lavori citati nel testo: 1) la rivista “Neotera” dell’Anti che in ogni nume-

ro, a cura di Lunelli, pubblica una rassegna di giurisprudenza con ampi riferimenti allo “Sta-tuto”; 2) Lo statuto dei diritti del contribuente, a cura di Fantozzi e di Fedele, Milano, 2005, pp. 1-847; 3) Consenso, equità e imparzialità nello Statuto del contribunte, Studi in onore del prof. Gianni Marongiu, a cura di Bodrito, Contrino, Marcheselli, Torino, 2012, pp. 1-690.

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DOTTRINA RTDT - n. 3/2016 580

SOMMARIO: 1. La valenza dello Statuto. – 2. Le sue disposizioni quali principi generali dell’ordinamento tributario e la loro applicazione a tutti gli enti impositori. – 3. Chiarezza, trasparenza e reperibi-lità degli orditi normativi. – 4. La tutela dall’abuso del decreto-legge. – 5. La irretroattività qua-le principio generale dell’ordinamento tributario. – 6. La tutela dell’affidamento e della buona fede. – 7. Le loro rilevanti e poliedriche applicazioni. – 8. Un monito della Corte di Cassazione.

1. La valenza dello Statuto

Il Parlamento, dopo un lungo e travagliato dibattito, approvò la L. 27 lu-glio 2000, n. 212, recante lo “Statuto dei diritti del contribuente” che, per la prima volta, ha codificato i principi generali dell’ordinamento tributario ita-liano. Esso, quindi, va ben al di là di ciò che suggerisce il suo titolo e di ciò che fino ad oggi hanno attuato Paesi che lo Statuto hanno da tempo 1.

Significativamente l’art. 1 della legge statuisce che le sue disposizioni so-no attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost.

La novità è stata bene colta dal Supremo Collegio secondo il quale le au-toqualificazioni delle disposizioni come “principi generali” dell’ordinamen-to tributario «trovano puntuale rispondenza nella effettiva natura della maggior parte delle disposizioni stesse, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei con-fronti di altre norme della legislazione e dell’ordinamento tributari, e dei re-lativi rapporti».

A queste specifiche “clausole rafforzative” di autoqualificazione delle di-sposizioni stesse «deve essere attribuito, perciò – soggiunge la Corte smen-tendo i pavidi e i conformisti – un preciso valore normativo e interpretativo sia se hanno la funzione di dare attuazione alle norme costituzionali richia-mate dallo Statuto sia se costituiscono “principi generali dell’ordinamento tributario”».

«Il legislatore, infatti, ha manifestato esplicitamente l’intenzione di attri-buire ai principi espressi nelle disposizioni dello Statuto, o desumibili da es-so una rilevanza del tutto particolare nell’ambito della legislazione tributaria e una sostanziale superiorità rispetto alle altre disposizioni vigenti in mate-ria. Nella categoria dei principi giuridici è insita inoltre – come si desume dal 2° comma dell’art. 12 delle preleggi – la funzione di orientamento erme-

1 Si veda MARONGIU, Lo Statuto dei diritti del contribuente2, Torino, 2010, p. 41 s.

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Gianni Marongiu 581

neutico e applicativo vincolante nell’interpretazione del diritto». Ne consegue, insegna ancora la Corte di Cassazione, che, «enucleati,

dall’art. 1, comma 1, quattro enunciati – a) l’autoqualificazione delle dispo-sizioni dello Statuto come attuative della Costituzione; b) il valore di tali norme, come principi generali dell’ordinamento tributario: c) il divieto di deroga o modifica delle norme, in modo tacito; d) il divieto di deroga o modifica mediante leggi speciali, Quale che possa essere l’incidenza dei quattro enunciati normativi contenuti nel 1° comma dell’art. 1 della legge n. 212 del 2000 … è certo, però, che alle specifiche clausole rafforzative di au-toqualificazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costi-tuzionali richiamate e come principi generali dell’ordinamento tributario, deve essere attribuito un preciso valore normativo». E poiché «… il tratto co-mune ai quattro distinti significati della locuzione “principi generali dell’or-dinamento tributario” è costituito, quanto meno, dalla superiorità assiologi-ca dei principi espressi o desumibili dalle disposizioni dello Statuto e, quin-di, dalla loro funzione di orientamento ermeneutico vincolante per l’inter-prete» … «il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla por-tata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali di-sciplinati dalla legge n. 212 del 2000, deve essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi statutari» 2.

E «questa prescrizione non è diretta soltanto al futuro legislatore tribu-tario, ma si riflette come criterio interpretativo sull’esercizio della stessa at-tività applicativa dell’interprete, che è chiamato ad applicare quei principi anche con riferimento a leggi tributarie che non siano state oggetto di cor-rezione, vale a dire virtualmente tutte le altre norme dell’ordinamento tribu-tario» 3.

Fondamentale è, quindi, il ruolo dello Statuto nell’interpretazione delle disposizioni tributarie di rango legislativo, così come il Supremo Collegio, con la sentenza ora citata (Cass. n. 17576), mostra di condividere l’imposta-zione secondo la quale lo Statuto contiene disposizioni volte a orientare in senso garantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario, per cui, dopo questa sentenza, il collegamento tra diritto tributario e diritto costituzionale appare più stretto e la Costituzione appare più vicina.

2 Così Cass., sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17576, e anche Cass., sez. trib., 30 marzo 2001, n. 4760.

3 Così Cass., sez. trib., 14 aprile 2004, n. 7080.

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DOTTRINA RTDT - n. 3/2016 582

2. Le sue disposizioni quali principi generali dell’ordinamento tributario e la loro applicazione a tutti gli enti impositori

In coerenza con il suo impianto, per cui «le disposizioni dello Statuto costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario» (e quindi di tutto l’ordinamento tributario), l’art. 1 statuisce, al comma 3, che «le Re-gioni a stutato ordinario regolano le materie disciplinate dalla presente leg-ge in attuazione delle disposizioni in essa contenute».

Soggiunge il comma 4 che «gli enti locali provvedono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad adeguare i rispettivi statuti e gli atti normativi da essi emanati ai principi dettati dalla presente legge».

In adesione a una delle interpretazioni prospettate in dottrina sulle con-seguenze del mancato adeguamento allo Statuto da parte delle province e dei comuni, la giurisprudenza ha, correttamente e inequivocabilmente, de-ciso che le norme dello Statuto (nel caso concreto si trattava della disposi-zione che ha reso obbligatoria l’allegazione dell’atto richiamato al provve-dimento impositivo) sono immediatamente applicabili anche agli atti delle amministrazioni locali a prescindere dal termine assegnato agli stessi per ade-guare i rispettivi statuti e regolamenti ai principi desumibili dallo Statuto 4.

Soluzione condivisibile e ribadita dalla stessa Corte di Cassazione, con riguardo anche alla potestà legislativa delle Regioni perché la superiorità as-siologica delle disposizioni dello Statuto deve essere intesa come formula-zione sintetica di quattro diversi e specifici significati: «in primo luogo quel-lo di principi generali del diritto, dell’azione amministrativa e dell’ordina-mento tributario particolare (artt. 3 e 5-19 che dettano disposizioni volte a disciplinare l’efficacia temporale delle norme tributarie, sia ad assicurare la trasparenza dell’attività stessa, sia … a riscontrare in senso garantistico tutta le prospettiva costituzionale del diritto tributario); in secondo luogo, quello di “principi fondamentali della legislazione tributaria”, tesi a vincolare in vario modo l’attività del futuro legislatore tributario, statale e regionale, sia nella scelta della fonte di produzione (artt. 1, 2° comma e 4) e del relativo oggetto (art. 2, 2° comma), sia nella tecnica di redazione delle leggi (art. 2, 1°, 3° e 4° comma); in terzo luogo, quello di “principi fondamentali della materia tri-butaria”, in relazione all’esercizio della relativa potestà legislativa “concor-rente” da parte delle regioni…; e infine, quello di “norme fondamentali di

4 Così Cass., sez. trib., 22 marzo 2005, n. 6201 e Cass., sez. trib., n. 21513/2006.

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Gianni Marongiu 583

grande riforma economico sociale”, in relazione all’esercizio della potestà legislativa “esclusiva” da parte delle regioni ad autonomia speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano …; naturalmente laddove, in tutte o in alcune delle disposizioni statutarie, sia possibile individuare, secondo i criteri elaborati dalla Corte costituzionale, siffatta caratteristica» 5.

3. Chiarezza, trasparenza e reperibilità degli orditi normativi

Lo statuto intende contribuire non solo alla chiarezza delle disposizioni tributarie (esigenza che oggi non è solo delle norme fiscali) ma anche, e prio-ritariamente, alla reperibilità e quindi alla conoscibilità effettiva degli artico-lati normativi. Lo si desume dalla lettura dei quattro commi dell’art. 2 ma anche da altre disposizioni dello stesso Statuto tant’è che, secondo l’art. 5, «l’amministrazione finanziaria deve assumere idonee iniziative volte a con-sentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria, anche curando la predisposi-zioni di testi coordinati e mettendo gli stessi a disposizione dei contribuente presso ogni ufficio impositore».

Ma è un obbligo che grava, innanzi tutto, sul legislatore che, ai sensi dell’art. 2, deve garantire, ai destinatari delle norme fiscali, la loro individua-zione e la loro, non anodina, lettura. Il che, si badi, costituisce, logicamente, un “prius” rispetto alla cronica mutevolezza di cui soffre l’ordinamento (si fa per dire) tributario italiano.

Lo insegna oggi (seppure senza averne fatto ancora un’applicazione con-creta), il Supremo Collegio secondo il quale «l’esame complessivo di que-ste disposizioni chiarisce che la correttezza e la buona fede nei confronti del contribuente debbono essere osservate non solo dall’amministrazione fi-nanziaria in fase applicativa, ma anche dallo stesso legislatore tributario al-l’atto dell’emanazione delle fonti normative, come emerge in particolare dal-l’art. 2 che detta i criteri di chiarezza e trasparenza che debbono essere os-servati nelle disposizioni tributarie» 6.

E le conseguenze della violazione dell’art. 2 potrebbero impingere pro-prio sulla applicabilità delle sanzioni. Infatti, considerando che lo Stato, sul versante sanzionatorio, deve adempiere ai propri doveri e quindi deve «esi-

5 Così Cass., sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17576. 6 Così Cass., sez. trib., 14 aprile 2004, n. 7080.

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stere per l’agente l’oggettiva possibilità di conoscere le leggi penali», anche per le norme tributarie il dovere di conoscerle diventa concretamente pos-sibile se esse si rendono conoscibili.

Orbene, considerato che, ai sensi dell’art. 10 dello Statuto, «le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria» a maggior ragione esse non possono essere applicate quando (non è incerto il significato della norma ma) addirittura la norma la si è dovuta scovare dentro centinaia di commi di un unico articolo di legge, privo di titolo, di partizioni interne e delle loro specifiche individuazioni o quando ci si è imbattuti in una disposizione fiscale contenuta in un provve-dimento che di fiscale non ha nulla, né nel titolo né nell’oggetto o quando, infine, come spesso accade, siano violati il 3° e 4° comma dell’art. 2 dello Statuto 7.

4. La tutela dall’abuso del decreto-legge

Alla luce di queste prime osservazioni appare già inequivocabile l’intento del legislatore dello Statuto di dettare alcune regole che valgano a garantire anche la stabilità della legislazione fiscale, ordinata, come prescrive il com-ma 2 dell’art. 53 Cost. “a sistema”.

Intento encomiabile che ha trovato la sua genesi non solo nella frequen-za degli interventi legislativi, non solo nella loro sovrapposizione ma anche e soprattutto per l’abuso del decreto-legge 8.

Ciò spiega il disposto dell’art. 4 che, recuperando la volontà “dei padri costituenti”, per anni e da anni mortificata, statuisce che «non si può di-sporre con decreto legge l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applica-zione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti».

Al riguardo, connotando l’abuso del decreto-legge l’intero ordinamento, e non solo quello fiscale, non resta che rinviare a quanto si è scritto, non ri-nunciando, però, al richiamo di ben più autorevoli contributi.

Invero, scrive un valente costituzionalista «Le note sentenze n. 171 del

7 Si veda MARONGIU, Ad impossibilia nemo tenetur: conoscibilità dell’ordito normativo” e sanzioni tributarie, in Riv. trim. dir. trib., 2015, n. 4, p. 879 s.

8 Si veda MARONGIU, Il Parlamento convertito alle conversioni: l’abuso del decreto legge fi-scale in Riv. trim. dir. trib., 2012, n. 3, pp. 653-684.

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2007 e 128 del 2008, implementando le affermazioni programmatiche della sentenza n. 29 del 1995 (fondamentale, n.d.r.), sono approdate finalmente a dispositivi di annullamento di decreti legge (e delle relative leggi di conver-sione) per l’evidente mancanza dei necessari presupposti costituzionali. Oggi più di ieri, dunque, sussistono le condizioni perché il ricorso a decreti legge “interpretativi” venga sottoposto a uno scrutinio davvero stretto, capace di verificare se, caso per caso, vi sia compatibilità o meno tra lo strumento della decretazione d’urgenza e la funzione d’interpretazione autentica» 9.

«Compatibilità di cui, fondamentalmente, si può dubitare – soggiunge lo stesso studioso. E così volendo semplificare: se l’interpretazione autenti-ca interviene a distanza di anni dall’entrata in vigore della legge interpretata, dov’è l’urgenza del provvedimento governativo? Se il governo, vestendo i panni dell’interprete, approva un decreto legge al fine di rovesciare un dirit-to vivente radicatosi da molto tempo, dov’è la straordinarietà (da intendersi come imprevedibilità) di una situazione giurisprudenziale riconoscibile da anni e non consolidatasi improvvisamente dall’oggi al domani? Se il decreto legge interpretativo mira a imporre una soluzione normativa più coerente con la linea di politica del diritto dell’Esecutivo e della sua maggioranza, dov’è la necessità del provvedimento, in considerazione del fatto che essa non va più correlata a una valutazione esclusivamente politica, dovendo an-zi presentare un’apprezzabile valenza oggettiva? Del resto, in assenza degli altri requisiti ex art. 77 Cost., tale finalità non dovrebbe essere perseguita at-traverso la via ordinaria del disegno di legge di iniziativa governativa?» 10.

Alla luce delle considerazioni svolte appare esemplare, nei contenuti e nei toni, il monito, severo, rivolto dal Supremo Collegio al legislatore.

Si legge, infatti, nella relativa sentenza: «Infine, osserva il Collegio, l’in-tervento interpretativo, da parte del legislatore, piuttosto che dare forza alla soluzione adottata, che sarebbe stata recepita anche in mancanza della im-posizione ex auctoritate, l’ha indebolita, in quanto può apparire inutilmente e dichiaratamente di parte. Infatti, il legislatore è intervenuto quando già le Sezioni Unite erano state investite del contrasto e, quindi, era imminente la rimozione del contrasto stesso da parte di un giudice terzo, nell’esercizio della specifica funzione istituzionale di garante dell’uniforme interpretazio-

9 Sulla qualificazione di legge di interpretazione autentica si veda Cass., sez. un., 2 mag-gio 2014, n. 9560.

10 Così PUGIOTTO, Le leggi interpretative a Corte: vademecum per i giudici a quibus, in Giur. cost., 2009, p. 1749.

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ne della legge (artt. 65, comma 1, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, e 374, comma 2, c.p.c.). Si aggiunge, poi, che, come è accaduto nel caso di specie, in mate-ria fiscale gli interventi interpretativi sono sempre pro Fisco, in quanto detta-ti da ragioni di cassa (nell’intento di realizzare maggiori entrate). Non sono ispirati, quindi, alla esigenza di realizzare la certezza del diritto, ma soltanto a garantire gli interessi di una delle parti in causa. Ciò non facilita l’instau-rarsi di un rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente, basato sul principio della collaborazione e della buona fede, come vorrebbe lo Statuto del contribuente (art. 10, comma 1, L. n. 212/2000).

Nel caso di specie, poi, non è facile distinguere l’Amministrazione finan-ziaria, parte in causa, dal legislatore, posto che la norma interpretativa è sta-ta approvata con decreto-legge del Governo, convertito in una legge, la cui approvazione è stata condizionata dal voto di fiducia del Governo. Tanto che se fosse stato diverso l’orientamento del Collegio (rispetto alla scelta legislativa), non ci si sarebbe potuti esimere dal valutare la compatibilità della procedura di approvazione dell’art. 36, comma 2, D.L. n. 23/2006, con il parametro costituzionale di cui all’art. 111 Cost., che presuppone una po-sizione di parità delle parti nel processo posto che, nella specie, l’Ammini-strazione finanziaria ha avuto il privilegio di rivestire il doppio ruolo di parte in causa e di legislatore e che, in questa seconda veste, nel corso del giudizio ha dettato al giudice quale dovesse essere, pro domo sua, la corretta interpre-tazione della norma sub iudice.

L’intervento è apparso inopportuno anche perché la Pubblica Ammini-strazione, anche quando è parte in causa, ha sempre l’obbligo di essere e di apparire imparziale, in forza dell’art. 97 Cost.» 11.

5. La irretroattività quale principio generale dell’ordinamento tributario

Del programma statutario di procedere per principi si trova una impor-tante enunciazione nella norma per la quale le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo (art. 3, comma 1).

Anche al riguardo non si può indugiare sull’insegnamento della dottrina e della giurisprudenza e riandare agli anni lontani nei quali la stessa Corte

11 Così Cass., sez. un., 30 novembre 2006, n. 25506, in Giur. trib., 2007, n. 2, p. 105, con nota di M. Basilavecchia.

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costituzionale individuò nel principio di capacità contributiva un limite alle leggi retroattive 12.

Oggi, del divieto statutario si può ragionare muovendo dall’insegna-mento della Corte costituzionale per la quale «il divieto di irretroattività della legge costituisce fondamentale valore di civiltà giuridica e principio ge-nerale dell’ordinamento, cui il legislatore deve, in linea di principio attenersi» anche se «non è stato elevato a dignità costituzionale, salva la previsione dell’art. 25 Cost., relativo alla materia penale, sicché il legislatore ordinario, nel rispetto di tale limite, può emanare norme retroattive purché esse trovi-no adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti così da incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali posta in essere da leggi precedenti» 13.

Conseguentemente «il citato comma 1 dell’art. 3, pur potendo essere di-satteso da successive norme di pari grado gerarchico, costituisce comunque un criterio interpretativo di fondo operante per i casi dubbi, allorché la suc-cessiva disposizione tributaria di pari grado nulla espressamente preveda circa la sfera temporale della sua efficacia, come nel caso in esame» 14.

Con buona pace degli scettici, che avevano ironizzato sulla formulazione dell’art. 10, comma 1 («i rapporti tra contribuente e amministrazione finan-ziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede»), l’affidamento va, quindi, tutelato non solo nei confronti delle aspettative create da atti dell’amministrazione.

Lo si può dire con le parole della Corte di Cassazione che «il principio dell’affidamento costituisce un preciso limite all’esercizio sia dell’attività le-gislativa sia dell’attività amministrativa e tributaria in particolare» e anche «un altrettanto preciso vincolo ermeneutico per l’interprete delle disposi-zioni tributarie, in forza di quanto stabilito dall’art. 10, 1° comma, dello Sta-tuto» 15.

E questo principio il Supremo Collegio ha applicato, controvertendosi sull’applicazione (retroattiva) di una accisa sull’acquavite di vino invecchia-ta, poiché «l’art. 3 dello Statuto, sul divieto di retroattività, si inquadra

12 Corte cost., 23 maggio 1966, n. 44. 13 Così Corte cost., 13 ottobre 2000, n. 419 e anche Corte cost., 4 novembre 1999, n.

416 e Id., 24 luglio 2000, n. 341. 14 Così Cass., sez. trib., 2 aprile 2015, n. 6743. 15 Così Cass. n. 17576/2002 e Cass. n. 7080/2004.

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all’interno di un principio più generale di correttezza e di buona fede cui de-vono essere improntati i rapporti tra amministrazione e contribuente e che trova espressione non solo nell’art. 10 che ha per oggetto la tutela dell’affi-damento e della buona fede, ma anche in una serie di altre norme dello Sta-tuto, vale a dire nell’art. 6, nell’art. 7 e nell’art. 5» 16.

Principio generale, ben si intende, che si applica a tutti i tributi e non so-lo a quelli periodici e a tutti i rapporti tributari anche se sorti in epoca ante-riore all’entrata in vigore della L. n. 212/2000 17 e anche controvertendosi sull’applicazione di un decreto sul redditometro posteriore ai periodi di im-posta accertati 18.

Già si è detto dei limiti che anche le leggi interpretative incontrano quan-to alla loro portata retroattiva e quindi non resta che ricordare la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità di una norma nella sola parte che estende anche al passato l’interpretazione autentica dell’art. 38, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 19.

6. La tutela dell’affidamento e della buona fede

Lo Statuto dei diritti del contribuente esplicitamente richiama non solo gli artt. 3, 23 e 53 Cost., ma anche l’art. 97 per il quale «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».

Il riferimento non deve stupire perché già il Supremo Collegio insegnò e insegna che «l’Amministrazione finanziaria non è un qualsiasi soggetto giu-ridico, ma è una Pubblica Amministrazione. Tale veste, come le attribuisce speciali diritti funzionali che assicurino nella maniera più ampia e spedita il perseguimento delle sue finalità nell’interesse collettivo, così per la stessa ragione la obbliga all’osservanza di particolari doveri prima fra tutti quello dell’imparzialità espressamente sancito dall’art. 97 Cost.» 20.

Fondamentale è questo riferimento normativo perché la dottrina ammi-

16 Cass. 30 marzo 2001, n. 4760. 17 Così Cass. n. 17576/2002 e Cass. n. 7080/2004. 18 Cass., sez. trib., 29 aprile 2009, n. 10028. 19 Corte cost., 22 novembre 2000, n. 525. 20 Così Cass., sez. I, 29 marzo 1990, in Dir. prat. trib., 1990, II, p. 1230 e anche Cass.,

sez. un., 30 novembre 2006, n. 26606.

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nistrativistica, da anni, insegna che l’art. 97 Cost. costituisce il cardine di un rapporto tra cittadino e amministrazione non improntato a criteri di alterità il che comporta il necessario contraddittorio con i destinatari nell’ipotesi di provvedimenti ablatori, la previa ricerca del consenso del destinatario dell’atto, la conoscibilità del procedimento di formazione del provvedimen-to, il perseguimento della parità di trattamento degli amministrati.

E soggiunge che «se è vero che l’imparzialità può essere vista sotto un profilo oggettivo come norma di comportamento dell’amministrazione e come tutela della stessa amministrazione, collegandosi così al principio di legalità e a quello di uguaglianza, non può nemmeno escludersi che essa debba essere vista sotto il profilo soggettivo che, in definitiva, significa non tanto che l’amministrazione debba proporsi il perseguimento di interessi obiettivi, quando il dovere di adozione di criteri di equità, di buona fede, di parità di trattamento, ciò che qualifica la sua azione come quella di un sog-getto teso alla soddisfazione di fini pubblici.

L’imparzialità si risolve, dunque, in un dovere di buona fede oggettivo» 21. In sintesi, la nozione di buon andamento non si riduce più solo alla rapidi-

tà, alla semplicità, all’efficacia dell’attività amministrativa perché “Buon anda-mento” significa collaborazione e solidarietà delle quali sono espressione im-prescindibile il rispetto della fiducia dei cittadini e la lealtà dello Stato.

Si può, quindi, muovere dalla premesse e concludere (scrive la Corte di Cassazione), con specifico riferimento al principio della «tutela del legitti-mo affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica», che «il principio stesso, mutuato da quelli civilistici della buona fede e dell’affidamento in-colpevole nei rapporti fondati sulla autonomia privata, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico – e, quindi, anche in quelli tributari – e costi-tuisce un preciso limite all’esercizio sia dell’attività legislativa, sia dell’attività amministrativa e tributaria in particolare» 22.

Quindi, soggiunge la Corte di Cassazione, proprio perché, «A differenza di altre norme dello Statuto, che presentano un contenuto innovativo ri-spetto alla legislazione preesistente, la previsione del citato art. 10 è espres-siva di principi generali, anche di rango costituzionale, immanenti nel diritto e nell’ordinamento tributario anche prima della legge n. 212 del 2000, essa vincola l’interprete, in forza del canone ermeneutico dell’interpretazione

21 Così BENVENUTI, Per un diritto amministrativo paritario, in Studi in memoria di Enrico Guicciardi, Padova, 1975, p. 818 s.

22 Sulle condizioni di applicabilità si veda Cass., sez. trib., 9 novembre 2011, n. 23309.

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adeguatrice a Costituzione, risultando così applicabile sia ai rapporti tribu-tari sorti in epoca anteriore alla sua entrata in vigore 23 sia ai rapporti fra con-tribuente ed ente impositore diverso dall’amministrazione finanziaria dello Stato» 24.

7. Le loro rilevanti e poliedriche applicazioni

Tutto lo Statuto lega, con una sorta di “filo rosso”, i principi di coopera-zione, di collaborazione, di informazione 25 e non a caso diverse sono le ap-plicazioni dei cennati principi. Fra le più importanti si può ricordare che: 1) i casi di tutela espressamente enunciati dal comma 2 del citato art. 10 e rife-riti alla non applicazione delle sanzioni e degli interessi sono meramente esemplificativi ma non limitano la portata generale della regola, idonea a di-sciplinare una serie indeterminata di casi concreti e quindi riferibili anche alla non debenza del tributo 26; 2) l’ufficio non competente che abbia ricevu-to un’istanza di rimborso è tenuto a trasmetterla all’ufficio competente 27; 3) analogamente «le articolazioni degli uffici e l’intera organizzazione dell’am-ministrazione finanziaria sono tenute a trasmettere agli uffici competenti le impugnazioni proposte dai contribuenti contro uffici non competenti onde non sussiste alcuna causa di inammissibilità o decadenza» 28; 4) il contrad-dittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento 29; 5) l’amministrazione finanziaria, che intenda contestare fattispecie elusive, anche diverse da quelle contemplate dall’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973 è tenuta a pena di nullità dell’atto impositivo a chiedere chiarimenti al contri-buente e ad osservare il termine dilatorio di sessanta giorni prima di emette-

23 Cass. n. 7080/2002. 24 Così Cass. 10 dicembre 2002, n. 17576. 25 Su questa ultima, importante novità si veda PIERRO, Il dovere di informazione del-

l’amministrazione finanziaria, Torino, 2013. 26 Così Cass., sez. trib., 6 ottobre 2006, n. 21513 e Cass. 20 agosto 2007, n. 18218. 27 Così Cass. 27 febbraio 2009, n. 4773. 28 Così Cass., sez. trib., 20 aprile 2010, n. 9505. 29 Così Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 25535, sul recente disorientamento della

Corte di Cassazione si vedano MARONGIU, Il contraddittorio non è d’obbligo?, in Dir. prat. trib., 2016, I, p. 702 s. e soprattutto l’ordinanza del 18 gennaio 2016 della CTR di Firenze in G.U. del 29 giugno 2016.

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re l’avviso di accertamento 30; 6) proprio in attuazione del principio di buo-na fede sono emendabili tutti gli errori del contribuente, testuali e extrate-stuali, di fatto e di diritto, riconoscibili e non 31; 7) è invalido il provvedi-mento adottato in violazione dell’art. 12, comma 7, pur in mancanza di una espressa comminatoria di nullità 32 non costituendo specifiche ragioni che giustificano l’emanazione dell’avviso di accertamento ante temporis la neces-sità, per l’amministrazione, di evitare la decadenza dal potere accertativo 33.

8. Un monito della Corte di Cassazione

In sintesi solo esigenze di spazio ci impediscono di ricordare gli ulteriori, innumerevoli casi in cui la dottrina e la giurisprudenza hanno ritenuto ap-plicabili i principi e le disposizioni dello Statuto 34.

Vale a conclusione di questo contributo la sintesi che, dello Statuto, ha fatto il Supremo collegio là dove scrive: «L’immanenza nell’ordinamento tributario dei principi di collaborazione e di buona fede trovano il loro radi-camento, specie per quel che riguarda l’amministrazione tributaria, nella forma dello Stato italiano e nei due principi fondamentali nei quali essa si manifesta, che sono costituiti dal principio dello Stato di diritto e dello Stato sociale».

«Per il primo, oltre alle argomentazioni utilizzate dalla sentenza di que-sta Corte poc’anzi richiamata e alla quale per questo si rinvia, può valere an-che la considerazione che la regola tendenziale della separatezza della sfera del singolo (governato) da quella dell’autorità (governante) e della fissazio-ne della linea del loro contatto (confine privato/pubblico) attraverso la ga-ranzia della legge trova un limite nei “doveri inderogabili di solidarietà poli-tica, economica e sociale” (art. 2 Cost., seconda proposizione), tra i quali rientrano anche i vincoli – obblighi e obbligazioni – di natura tributaria del cittadino. Ma, proprio perché le intromissioni nella sfera del governato sono

30 Così Cass., sez. trib., 14 gennaio 2015, n. 406 e anche Corte cost., 7 luglio 2015, n. 132.

31 Così Cass., sez. un., 15 ottobre 2002, n. 15063 e Cass., sez. trib., 19 ottobre 2007, n. 21944.

32 Così Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184. 33 Così Cass., sez. trib., 28 marzo 2014, n. 7315. 34 Si veda MARONGIU, Lo Statuto dei diritti del contribuente nell’accertamento e nel proces-

so, in Dir. prat. trib., 2014, I, pp. 954-996.

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delle eccezioni rispetto alla regola della sua intangibilità, derivante dall’as-sunzione, da parte dello Stato italiano, della forma dello Stato di diritto (art. 2 Cost., prima proposizione), esse devono essere, non solo ridotte al mini-mo indispensabile, secondo un altro principio – quello di proporzionalità – immanente anch’esso nell’ordinamento ed esplicitato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 1, 2° comma (“La Pubblica Amministrazione non può ag-gravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze impo-ste dallo svolgimento dell’istruttoria”) ma, devono essere ispirate al princi-pio di collaborazione e di lealtà e devono essere tali da non indurre in errore il governato».

«Contribuisce a rafforzare questa soluzione – ha aggiunto il Supremo Collegio – anche il necessario richiamo al principio dello Stato sociale, che l’art. 2 Cost. annoda a quello dello Stato di diritto. In estrema sintesi, poi-ché, in quanto Stato sociale, lo Stato italiano è vincolato dal legislatore co-stituente a premurarsi di fornire, non solo le garanzie formali dei diritti del cittadino, ma a provvedere ai suoi bisogni sostanziali (art. 3, 2° comma, Cost.), i governanti sono tenuti ad operare, come s’è detto con espressione efficace per altri ordinamenti simili al nostro, come “Helfer des Buerges”, co-me assistenti del cittadino, come suoi aiutanti, se non addirittura come ser-vitori» 35.

Come servitori non ce lo meritiamo. Sarebbe sufficiente che il Parlamen-to e la giurisprudenza della Corte di Cassazione garantissero una maggiore stabilità dell’ordinamento e della sua interpretazione. Essa, infatti, riduce l’arbitrio che dello Stato di diritto è la negazione.

35 Così Cass., sez. trib., 13 febbraio 2009, n. 3559.

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Maria Pierro

COOPERAZIONE AMMINISTRATIVA TRA SVIZZERA E UE: LO SCAMBIO DI INFORMAZIONI *

ADMINISTRATIVE COOPERATION BETWEEN SWITZERLAND AND EU: THE EXCHANGE OF INFORMATION

Abstract L’OCSE e l’Unione Europea hanno individuato nello scambio automatico di in-formazioni lo strumento più efficace per contrastare l’elusione, l’evasione e la frode fiscale. La Svizzera, per contro, ha sempre negato lo scambio di informazioni, salvo in ipotesi “sospettate di frode fiscale”. Tuttavia per rimanere competitiva sulle piazze finanziarie la Confederazione Elvetica si è impegnata a rinunciare al segreto bancario. E a questo fine ha sottoscritto numerose Convenzioni bilaterali che con-sentono lo scambio informazioni su richiesta, e poi ha approvato una serie di atti normativi – la Convenzione di Strasburgo, il Multilateral Competent Authority Agreement (MCAA), la legge federale sullo scambio automatico di informazioni (LSAI), l’accordo con l’UE – che introducono anche la possibilità di attivare lo scambio automatico di informazioni finanziarie e patrimoniali. L’attività di coope-razione prevista dalla legislazione svizzera, a differenza di quella disciplinata dalla normativa internazionale ed europea, presenta un sistema di garanzie più solido: impone all’Amministrazione finanziaria delle Contribuzioni di informare imme-diatamente i soggetti interessati della richiesta di assistenza per consentire, anche in questa fase, l’esercizio del diritto di difesa. Lo scambio di informazioni su richie-sta e automatico è stato implementato e la Svizzera è stata cancellata dall’elenco dei Paesi Black list ed inserita nell’elenco dei Paesi white list da settembre 2016. Parole chiave: Svizzera, Europa, scambio di informazioni automatico e su richie-sta, segreto bancario, dovere di informazione dell’Amministrazione finanziaria

* L’articolo, in versione ridotta, è stato pubblicato in lingua inglese in AA.VV., The free movement of persons between Switzerland and the European Union, a cura di V. Salvatore, Giappichelli, Torino, 2016, p. 187 ss.

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DOTTRINA RTDT – n. 3/2016 594

The OECD and the European Union have identified the automatic exchange of in-formation as the most effective tool to counter tax avoidance, evasion and tax frauds, and they started to enforce it. Switzerland, on the contrary, has always denied the ex-change of information, except in cases of “suspected tax fraud”. However, in order to remain competitive on the financial markets, Switzerland has recently decided to abolish the bank secrecy. And, to this end, it has signed numerous bilateral agreements that introduce the exchange of information on request and, subsequently, it has ap-proved a package of legislative instruments – i.e. the Strasbourg Convention, the Mul-tilateral Competent Authority Agreement (MCAA), the federal law on the automatic exchange of information (LSAI), the agreement with the EU – which allow the intro-duction of an automatic exchange of financial and banking information. Swiss legisla-tion, unlike the international and the European, is characterised by a stronger system of guarantees: it imposes to the Tax Authorities to immediately inform the taxpayer interested by a request for assistance, in order to allow the exercise, even at this early stage, of his right of defense. The exchange of information, automatic and on request, has been fully enforced, and Switzerland has been deleted from the so-called black list and included in the so-called white list since september 2016. Keywords: Switzerland, Europe, automatic exchange of information and upon re-quest, bank secrecy, duty to be informed by the Tax Authorities on the ongoing ex-change

SOMMARIO: 1. Scambio automatico di informazioni e trasparenza fiscale. – 2. Le fonti normative dello scambio di informazioni: l’art. 26 del Modello di Convenzione OCSE. – 3. La Svizzera e lo scambio di informazioni. – 4. La partecipazione del contribuente nelle procedure di coopera-zione internazionale e la disciplina svizzera.

1. Scambio automatico di informazioni e trasparenza fiscale

L’aumento di operazioni transfrontaliere, la loro dimensione transazio-nale e l’incremento della circolazione dei capitali e delle persone hanno de-terminato numerosi effetti positivi (investimenti in Paesi via di sviluppo, mobilità internazionale dei lavoratori), ma hanno anche favorito l’instabilità finanziaria e la diffusione di reati economici e finanziari, tra i quali si eviden-ziano l’infedele e l’omessa dichiarazione fiscale, la frode fiscale, il riciclaggio di denaro, l’insider trading.

La globalizzazione dei fenomeni economici, infatti, ha indotto i piccoli e

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i grandi contribuenti da un lato ad approfittare degli incentivi fiscali previsti dalle legislazioni nazionali per attirare investimenti sul territorio e incorag-giare la localizzazione di attività e/o di iniziative produttive e, dall’altro, a sfruttare la complessità e le asimmetrie delle normative domestiche, dei Paesi UE ed extra UE per attenuare il carico impositivo.

La fruizione dei “meccanismi” di pianificazione fiscale c.d. “aggressiva” ha consentito di spostare la ricchezza (base imponibile) da Paesi ad alta fi-scalità in “spazi” o giurisdizioni ove è (stato) possibile sottoporre a una tas-sazione minima, o escludere del tutto da imposizione (tramite esenzione nel luogo di residenza del contribuente e in quello di produzione), quote rile-vanti di reddito 1. Con l’effetto di: a) erodere le basi imponibili (e conte-stualmente massimizzare i profitti); b) alterare la ripartizione del carico fi-scale tra contribuenti; c) pregiudicare la riscossione dei tributi con una rile-vante contrazione del gettito fiscale; d) alterare, più in generale, il corretto funzionamento del mercato unico e la concorrenza leale tra Stati.

La causa principale di questi fenomeni è stata individuata nel difetto di trasparenza 2, ossia nella impossibilità per le Autorità fiscali di accedere ad informazioni, anche di natura finanziaria e patrimoniale, necessarie per una corretta determinazione della ricchezza del contribuente da sottoporre ad imposizione. Impossibilità determinata dalla carente cooperazione e colla-borazione tra Stati che invece consentirebbe sia di garantire una giusta im-posizione, sia di destinare le risorse “sottratte all’evasione” alla promozione

1 La Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio sulla trasparenza fiscale per combattere l’evasione e l’elusione fiscale del 18 marzo 2015, n. 136 segnalava che «Utilizzando tecniche di pianificazione fiscale aggressiva, alcune società sfruttano le lacune giuridiche dei sistemi fiscali e i disallineamenti tra le norme nazionali per evitare di pagare la loro giusta quota di tasse. Inoltre i regimi fiscali di molti paesi con-sentono alle società di trasferire artificiosamente gli utili nelle loro giurisdizioni, con l’effetto di incoraggiare tale pianificazione fiscale aggressiva». http://www.parlamento.it/-

web/docuorc2004.nsf/8fc228fe50daa42bc12576900058cada/7f5700cb678b3647c1257e0d003d73a4/$FILE/COM2015_0136_IT.pdf.

In dottrina in tema si segnala il saggio di CIPOLLINA, I redditi “nomadi” delle società mul-tinazionali nell’economia globalizzata, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2014, I, p. 23 ss.

2 Il rapporto OCSE 2001, par. 37 evidenzia che «l’assenza di caratteristiche non traspa-renti nel sistema fiscale di una certa giurisdizione» può essere contrastata solo con l’attri-buzione ai Governi della possibilità di accedere ai dati bancari (che potrebbero essere rile-vanti ai fini fiscali, penali e civili) e a quelli che consentono l’identificazione del titolare ef-fettivo di entità patrimoniali, finanziarie o reddituali di qualunque genere. I dati acquisiti devono poi essere messi a disposizione delle autorità amministrative degli Stati richiedenti al fine di consentire un efficace contrasto all’evasione e all’elusione fiscale internazionale.

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di nuove attività economiche e al potenziamento di quelle esistenti. La necessità di favorire lo scambio di informazioni utili ai fini dell’accer-

tamento dei tributi è stata da tempo unanimemente avvertita 3. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OC-

SE) e l’Unione Europea si sono da tempo impegnate su questo versante e, su sollecitazione dei Ministri delle Finanze e dei Governatori delle banche centrali del G20 (19 aprile 2013), hanno individuato nello scambio automa-tico di informazioni tra autorità fiscali lo strumento più efficace e adeguato per prevenire e contrastare distorsioni di sistema e per combattere fenome-ni elusivi, evasivi e fraudolenti.

L’approdo a questa modalità “avanzata” di scambio di informazioni è un’acquisizione relativamente recente, frutto di un progressivo percorso che ha visto convergere, più o meno naturalmente, la volontà dei Governi del-l’Unione Europea, del G20 e anche di gran parte dei Paesi terzi; tutti acco-munati dal desiderio di contrastare il fenomeno evasivo 4 dietro il quale a volte si celano reati che contribuiscono, insieme ad altri fattori, ad alimenta-re anche i fenomeni di terrorismo internazionale.

Lo schema classico di condivisione dei dati fiscali tra Governi è da sem-pre stato lo scambio di informazioni su richiesta 5 disciplinato, prima fra tutti,

3 Sull’argomento, per un inquadramento generale, FREGNI, Problemi e prospettive del-l’Unione fiscale europea, in Rass. trib., 2013, p. 1061 ss.; sul tema in particolare BORIA, Dirit-to tributario, Torino, 2016, p. 406 ss.; ID., Diritto tributario europeo, Milano, 2015, p. 421 ss.; BARASSI, Lo scambio d’informazioni nella UE, in Riv. dir. trib. int., 2001, p. 327 ss.; ID., Cooperazione tra amministrazioni fiscali, in Diz. Cassese, Milano, 2006, p. 1525 ss.; ID., Ex-change of tax information. The legislative framework – Lo scambio di informazioni in materia fiscale. La normativa vigente, in Riv. dir. trib. int., n. 1-2/2009, p. 99 ss.; FEDELE, Prospettive e sviluppi della disciplina dello “scambio di informazioni” fra Amministrazioni finanziarie, in Riv. dir. trib., 1999, p. 49 ss.; FERNANDEZ MARIN, Il principio di cooperazione tra le ammini-strazioni finanziarie, in AA.VV., I principi europei del diritto tributario, a cura di Di Pietro, Padova, 2013, p. 380 ss.; ID., La tutela de la Unión Europea al contribuyente en el intercambio de información tributaria, Barcellona, 2007, p. 29 ss.

4 Si veda CORDEIRO GUERRA, Criminalità economica e paradisi fiscali, Relazione tenuta al Convegno Nazionale dell’Associazione Italiana Professori di diritto tributario in Napoli il 14-15 ottobre 2015 su “Nuovi elementi di capacità contributiva e ricchezze nascoste”, p. 12 ss. del dattiloscritto, in http://www.aipdt.it/atti-provvisori-convegno-annuale-aipdt-2015/, ove viene analizzato l’impatto della cooperazione fiscale internazionale sulle nor-mative antiriciclaggio.

5 L’art. 26 del Modello di Convenzione Ocse è norma di riferimento in materia di traspa-renza e scambio di informazioni. Il par. 9 del Commentario disciplina tre tipologie di scam-bio di informazioni: su richiesta, spontaneo e automatico come sarà illustrato nel testo.

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dal Modello di Convenzione contro le doppia imposizione elaborato dal-l’OCSE.

Tuttavia la libera circolazione di patrimoni finanziari e la necessità di rendere più efficiente l’attività di accertamento e di riscossione dei tributi ne hanno indebolito l’efficacia, sino a chiedere – sempre al fine di favorire l’emer-sione della ricchezza nascosta – oltre al potenziamento di quelle già esisten-ti, l’individuazione di modalità di scambio di informazioni (fiscalmente sen-sibili) più efficienti.

Modalità che hanno trovato concretizzazione prima nella individuazione e proposizione, e poi nell’adozione a livello internazionale, europeo e do-mestico, come detto, dello scambio automatico di informazioni o cd. Stan-dard for automatic Exchange of financial account information in tax matters, tecnica mutuata dalla legislazione FATCA (accordo bilaterale sullo scambio di informazioni sottoscritto tra Stati Uniti e Paesi Terzi) 6 che costituisce il modello al quale i Paesi del G20 e l’Unione europea si sono poi ispirati per l’attuazione della nuova metodologia.

Il nuovo Standard contempla uno schema di accordo intergovernativo (Multilateral Competent Authority Agreement – MCAA 7) che definisce le norme che regolano lo scambio automatico di informazioni – utilizzabili so-lo a fini fiscali e relative ad un determinato periodo – e che costituisce il te-sto di riferimento sulla base del quale stipulare accordi bilaterali.

Lo Standard, oltre al MCAA, prevede poi regole comuni che disciplinano le procedure per l’adempimento degli obblighi di adeguata verifica e di co-municazione (Common Reporting Standard – CRS 8). In particolare indivi-

6 La normativa FACTA è stata adottata da Stati Uniti nel 2012 ed è entrata in vigore nel 2013. Essa impone agli intermediari finanziari esteri (Foreign Financial Institutions – FFI) l’obbligo di comunicare automaticamente e con cadenza annuale all’autorità fiscale Statunitense (Internal Reveue Service- IRS) i nominativi dei soggetti fiscalmente statuniten-si (cittadini americani) che hanno conti esteri (financial information: interessi, dividendi, saldo dei conti correnti, redditi percepiti da cessioni di strumenti finanziari). In tema cfr. BARBIERI, International exchange of information in tax matters: recent developments in the lights of the conclusion of. FACTA – related intergovernamental agreements – Scambio inter-nazionale di informazioni in material fiscale: i recenti sviluppi alla luce della conclusione degli accordi intergovernativi FACTA, in Diritto del commercio internazionale, 2015, p. 137 ss.

7 Il MCAA, accordo internazionale sui principi relativi all’esecuzione dello scambio di informazioni, è stato sottoscritto il 29 ottobre 2014 da 51 Stati e territori.

8 Il Modello di Common Reporting Standard, pubblicato il 13 febbraio 2014 (http://-

www.oecd.org/ctp/exchange-of-tax-information/automatic-exchange-of-financial-account-in-

formation.htm), divulgato nel luglio 2014, comprensivo dei commentari sul modello di ac-

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dua il tipo di informazioni finanziarie oggetto di scambio automatico (vale a dire i dati identificativi del titolare di conto [“reportable account”], il numero e il saldo del conto, gli interessi, i dividendi, i ricavi della vendita di asset transitati da conti detenuti da persone fisiche e giuridiche, nonché i dati identificativi dell’intermediario per i soli conti finanziari oggetto di comuni-cazione individuati attraverso l’attività di due diligence), nonché le procedu-re a cui gli Istituti finanziari devono attenersi per la loro acquisizione e tra-smissione.

L’adozione del Common Reporting Standard dovrebbe consentire di cen-sire le informazioni relative ad investitori non residenti che hanno conti e depositi presso le Istituzioni finanziarie (banche, intermediari finanziari, brokers, compagnie assicurative, organismi di investimento collettivo [OICVM], fondi comuni) di uno Stato, per poi condividerle con cadenza periodica (annuale) – senza preventiva richiesta, né su iniziativa spontanea dei Go-verni – con le autorità amministrative degli Stati di residenza degli investito-ri che hanno aderito allo Standard e/o che hanno stipulato accordi bilaterali che ne prevedono l’implementazione.

Lo Standard – che contribuirà in modo decisivo all’accertamento dei redditi e delle disponibilità finanziarie anche schermate (società, trust o entità opache c.d. “look through approach”) – è stato adottato da alcuni Stati tramite accordi bilaterali (primo tra tutti l’accordo FACTA) e/o con l’adesione ad accordi multilaterali (Convenzione di Strasburgo sulla mu-tua assistenza amministrativa fiscale, siglata nel 1988, e presupposto es-senziale per la successiva stipulazione di accordi bilaterali che ad esso danno attuazione), nonché, come ha fatto l’UE, tramite l’adozione della Diret-tiva 2014/107/UE 9 che garantisce «l’uniformità della cornice normativa di cordo sullo Standard comune di comunicazione di informazioni, e approvato dai Ministri delle Finanze e dei Governatori delle Banche Centrali del G20 nel settembre 2014, è stato redatto dall’OCSE in collaborazione con alcuni Paesi (Italia, Francia, Spagna, Germania e Inghilterra) sulla base di un accordo analogo siglato con gli Usa (accordo FACTA – Fo-reign Account Tax Compliance Act).

9 La Direttiva 9 dicembre 2014/107/UE – entrata in vigore in Italia dal 5 gennaio 2015 – e la Direttiva 8 dicembre 2015, n. 2015/2376 (G.U.U.E. n. 332 del 18 dicembre 2015 Se-rie L) – entrata in vigore in Italia dal 18 dicembre 2015 – hanno modificato la Direttiva 2011/16/UE sulla cooperazione amministrativa nel settore fiscale (quest’ultima recepita in Italia con D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 29). Con questi due interventi è stato esteso gra-dualmente l’ambito oggettivo dello scambio di informazioni automatiche. Originariamen-te previsto in relazione ai redditi di lavoro, alle remunerazione degli amministratori e/o dei dirigenti, alle assicurazioni sulla vita non contemplate in altri strumenti giuridici UE sullo

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riferimento, lasciando viceversa agli Stati il compito di adattare ad essa il pro-prio sistema interno» 10.

Lo scambio automatico di informazioni potrebbe dunque essere conte-stualmente regolato da più fonti (nulla esclude infatti che uno stesso Paese possa aver stipulato un accordo bilaterale, sottoscritto la Convenzione di Strasburgo e essere Paese UE), e la loro sovrapposizione potrebbe poten-zialmente determinare, in sede di applicazione, distorsioni di sistema, nono-stante lo Standard sia comune a tutte le discipline. In questi casi, ossia se si dovessero verificare conflitti o incertezze nell’attuazione dello scambio di informazioni, l’Autorità amministrativa dovrebbe optare, come suggerisce l’indicazione normativa (art. 1, par. 3, Direttiva 2011/16/UE 11 e art. 27, par. 2 Convezione multilaterale di Strasburgo sull’assistenza amministrativa 12),

scambio di informazioni e altre misure analoghe, alle pensioni, e alle proprietà e ai redditi immobiliari, lo scambio automatico di informazioni è stato esteso (2014) anche ai redditi di capitali quali interessi, dividendi e tipologie analoghe di redditi, saldi di conto e proventi delle rendite di attività finanziarie, nonché (2015) ai ruling preventivi e agli accordi pre-ventivi sui prezzi di trasferimento. La Direttiva pone a carico degli intermediari finanziari l’obbligo sia di raccogliere le informazioni relative ai conti correnti e agli investimenti fi-nanziari, sia di trasmetterle all’Autorità amministrativa competente che li deve mettere a disposizione in via automatica degli Stati che possono avervi interesse. Gli Stati europei si sono impegnati ad adottare lo Standard a partire dal 1° gennaio 2016, con l’eccezione dell’Austria per la quale l’applicazione è prevista dal 1° gennaio 2017 (art. 2).

La Direttiva 2014/107/UE e la L. 18 giugno 2015, n. 95 sono state attuate dal Decreto 28 dicembre 2015 pubblicato in GU. n. 303 del 31 dicembre 2015 – Serie Generale. Si se-gnala che con la L. n. 95/2015 l’Italia non solo ha ratificato l’Accordo tra il Governo degli Stati Uniti d’America finalizzato a migliorare la compliance fiscale internazionale e ad ap-plicare la normativa FATCA, ma ha anche introdotto le disposizioni relative agli adempi-menti a cui sono tenute le istituzioni finanziarie italiane ai fini dell’attuazione dello scam-bio automatico di informazioni derivante da altri Accordi e intese tecniche concluse dal-l’Italia con i Governi di Paesi esteri secondo lo standard OCSE.

10 DORIGO, Scambio di informazioni nel diritto tributario internazionale, in Dig. disc. priv., sez. comm., Torino, 2015, p. 480 ss. ed in particolare p. 486.

11 La disposizione stabilisce che la direttiva «non pregiudica … gli obblighi degli Stati membri con riguardo ad una cooperazione amministrativa più ampia risultante da altri stru-menti giuridici, tra cui gli accordi bilaterali o multilaterali.» (corsivo aggiunto dall’autore).

12 L’art. 27 della Convenzione sulla mutua assistenza amministrativa stabilisce che «1. Le possibilità di assistenza previste dalla presente Convenzione non si limitano a, né sono limitate da quelle contenute in accordi o altre intese internazionali esistenti o futuri tra le Parti interessate, o da altri strumenti relativi alla cooperazione in materia fiscale. 2. Nono-stante le disposizioni della presente Convenzione, le Parti che sono membri della Comuni-tà economica europea applicano nelle loro reciproche relazioni le regole comuni in vigore nella Comunità stessa.».

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per l’applicazione della soluzione che favorisce la cooperazione amministrati-va tra Stati, l’unica in grado di garantire non solo l’interesse erariale ma anche i diritti del soggetto in relazione al quale le informazioni sono reclamate 13.

La Svizzera – da sempre e da tutti riconosciuta quale roccaforte dove al-locare patrimoni dei quali non si vuole (rectius non si voleva) far conosce né la provenienza, né la destinazione, né l’esistenza, né la titolarità – per evitare di essere esclusa dalle piazze finanziarie più importanti e di subire “sanzioni” commerciali e finanziarie, ha dovuto prestare il suo consenso al piano di azione predisposto per combattere l’evasione e la frode fiscale. E per questa ragione ha dovuto porre tra i suoi obbiettivi principali la trasparenza fiscale, e impegnarsi a rinunciare al segreto bancario sino a poco tempo fa garantito a tutti coloro che avevano investito nel territorio, residenti e non residenti.

Qui di seguito, dopo aver dato conto della disciplina sull’assistenza am-ministrativa tra Stati contemplata dall’art. 26 Modello OCSE, saranno illu-strati i passi fondamentali compiuti dalla Confederazione Elvetica verso la realizzazione dello scambio di informazioni prima su richiesta e poi automa-tico, con l’Unione Europea.

2. Le fonti normative dello scambio di informazioni: l’art. 26 del Modello di Convenzione OCSE

Lo scambio di informazioni tra autorità fiscali è disciplinato da differenti fonti normative. Il loro coordinamento non è facile, anche perché i testi, seppure accomunati dalla medesime finalità (trasparenza e contrasto all’eva-sione), sono stati adottati in tempi e contesti assolutamente differenti. Gli interventi si collocano a livello internazionale, europeo e domestico.

Lo scambio di informazioni trova la sua base legale nell’art. 26 del Mo-dello OCSE 14, disposizione che viene riprodotta nelle convenzioni bilaterali siglate tra Stati. La disposizione, rispetto alla sua prima versione (1963) 15, ha subito una serie di interventi modificativi – l’ultimo nel luglio 2012 16 –

13 Sul punto cfr. DORIGO, op. cit., p. 486. 14 Sul Modello OCSE cfr. per tutti CORDEIRO GUERRA, Il Modello OCSE contro la dop-

pia imposizione internazionale, in CORDEIRO GUERRA (a cura di), Diritto tributario interna-zionale. Istituzioni, Padova, 2012, p. 341 ss.

15 Art. 26 Modello OCSE 1963. 16 In tema GARUFI-GARBARINO, Le modifiche all’art. 26 del modello OCSE sullo scambio

di informazioni, in Fiscalità & Commercio Internazionale, 2013, p. 19 ss.

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che hanno esteso la sua portata applicativa 17 sotto il profilo sia soggettivo, sia oggettivo.

Si è passati dallo scambio di informazioni “necessarie” ai fini della applica-zione delle norme convenzionali e nazionali relative alle “imposte previste” dalla Convenzione con riferimento ai contribuenti residenti in uno Stato contraente, allo scambio tra le autorità amministrative di informazioni “ve-rosimilmente pertinenti” 18, riguardanti imposte di qualsiasi genere e denomi-nazione (anche non espressamente previste dalla Convenzione), applicate nell’ambito dei rispettivi ordinamenti giuridici (ivi incluse quelle degli enti locali), con riguardo a contribuenti residenti anche in Paesi diversi da quelli contraenti 19.

Lo scambio di informazioni può essere su richiesta, spontaneo o automati-co (art. 26, paragrafo 9, Commentario OCSE).

A) Scambio di informazioni su richiesta

Lo Stato richiedente, nell’esercizio della funzione di controllo fiscale, “esperiti tutti i rimedi” domestici per l’acquisizione di dati ed elementi utili all’attività istruttoria finalizzata alla rettifica o alla riscossione del tributo,

17 Lo scambio di informazioni (bilaterale tra Stati) è stato introdotto e istituzionalizza-to a livello internazionale inizialmente per evitare il fenomeno della doppia imposizione (o non imposizione tramite un uso distorto dei regimi convenzionali), e solo successivamen-te per contrastare l’evasione fiscale e per dare attuazione alle normative fiscali nazionali relative alle imposte, nonché per assolvere ad «una funzione più ampia, consentendo agli Stati …di condividere informazioni per scopi ulteriori e diversi rispetto a quelli tipici del singolo strumento pattizio». È stata qualificata «a tutti gli effetti un mezzo autonomo nel-la disponibilità della comunità internazionale, nel suo complesso e nelle specifiche orga-nizzazioni anche regionali che la compongono, per perseguire i propri obiettivi non necessa-riamente di tipo tributario.», così DORIGO, op. cit., p. 480 ss. ed in particolare p. 482.

18 Questa modifica è stata introdotta nel 2005. La qualifica di «verosimilmente perti-nenti» è stata meglio specificata nella versione dell’art. 26 pubblicata dall’OCSE il 18 lu-glio 2012 (OCSE, Update to Article 26 of the OECD Model Tax Convention and its Com-mentary, Parigi, 2012). Il requisito si considera integrato quando la richiesta di informa-zioni è relativa a un singolo o a una pluralità di contribuenti, purché specificatamente iden-tificati (par. 5.2 nuovo commentario).

19 Cfr. FEDELE, op. cit., p. 49 ss. il quale, a fronte delle modificazioni normative, eviden-ziava anche un mutamento di funzione dello scambio di informazioni: inizialmente «ordi-nato esclusivamente ad impedire o limitare» il fenomeno della doppie imposizioni, lo scambio è poi diventato nel tempo «strumento per la corretta applicazione degli ordina-menti tributari dei singoli Stati, la prevenzione dell’evasione, delle frodi fiscali, dell’elu-sione».

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può (ha la facoltà di) reclamare informazioni che devono essere, secondo una valutazione ex ante, rilevanti (foreseebly relevant) «to the widest possible extent» ai fini dell’accertamento della posizione fiscale di un contribuente che possiede disponibilità o interessi economici nello Stato a cui la richiesta è indirizzata. La domanda deve essere circostanziata: oltre a indicare espres-samente la finalità per la quale viene inoltrata e i fatti che hanno determina-to l’autorità amministrativa a formulare la richiesta, deve contenere gli ele-menti che consentono l’identificazione del soggetto in relazione al quale si richiedono informazioni o, nel caso in cui sia relativa a più contribuenti, la descrizione dettagliata delle caratteristiche che qualificano la classe o il gruppo di persone, nonché le motivazioni per le quali si assume che le con-dotte dei soggetti possano essere fiscalmente illegittime o illecite.

Le domande relative ad un gruppo (group requests) non devono configu-rarsi alla stregua di “fishing expedition” (c.d. battute di pesca), «speculative requests that have no apparent nexus to an open inquiry or investigation» 20, os-sia «prive di alcun collegamento, neppure apparente, con un’indagine o un accertamento in corso» 21.

Se vi sono dubbi in merito alla “pertinenza” delle informazioni richieste o anche solo a una parte di queste, gli Stati devono consultarsi e formulare le proprie osservazioni. In ogni caso lo Stato a cui è stata inoltrata la richiesta, se non dispone delle informazioni, deve attivarsi per reperirle seguendo il procedimento previsto dalla sua legislazione, e non può opporre il proprio rifiuto se la domanda è supportata da giustificazioni tali da fare ritenere fon-data l’istanza avanzata dal Paese richiedente.

Per garantire la tempestiva acquisizione delle informazioni, gli Stati pos-sono poi accordarsi sul termine entro il quale provvedere allo scambio; ter-

20 Il Commentario OCSE, come modificato il 17 luglio 2012, par. 5.1, precisa che non configura tale ipotesi il caso in cui il nome o l’indirizzo (o entrambi) del contribuente, soggetto ad indagine o verifica, sia indicato in maniera non corretta o in un formato diver-so dallo Standard. In questi casi lo Stato richiedente deve fornire informazioni adeguate e sufficienti a consentire l’identificazione del contribuente.

In realtà la richiesta di gruppo (o collettiva) è ammessa nel caso in cui lo Stato richie-dente dimostri la capacità dell’operatore finanziario dello Stato estero di attrarre – offrire rifugio – agli evasori fiscali, cfr. http://www.oecd.org/ctp/exchange-of-tax-information/12-

0718_Article%2026-ENG_no%20cover%20(2).pdf. 21 L’esigenza di escludere la possibilità di porre domande generiche ed indeterminate

risponde alla necessità da un lato di tutelare la sovranità dello Stato al quale la domanda è inoltrata, e dall’altra di limitare il ricorso a questa forma di cooperazione solo a casi in cui risulti indispensabile.

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mine che può essere prorogato in costanza di impedimenti giuridici che ostacolano l’utile acquisizione dei dati. In mancanza di accordo sul punto, il termine (da considerare ordinatorio 22) entro il quale procedere allo scam-bio è di due mesi dalla richiesta, se l’autorità è già in possesso dell’informa-zione, o, in caso contrario, di sei 23.

Le informazioni acquisite (art. 26, paragrafo 2) devono essere tenute se-grete (obbligo di riservatezza) e devono essere comunicate solo a chi (com-presa l’autorità giudiziaria e gli organi amministrativi) le potrà utilizzare per finalità fiscali, in sede amministrativa (controllo, accertamento, riscossione, rimborsi) e/o in sede giurisdizionale. Un loro diverso impiego (si pensi in sede penale) è oggi consentito solo nei casi in cui sia espressamente previsto dalla legge di entrambi gli Stati contraenti, e le Autorità del Paese al quale la richiesta è stata inoltrata abbiano prestato il loro consenso.

L’acquisizione dei dati e delle notizie richieste e offerte in comunicazio-ne deve avvenire nel rispetto di regole uniformi, applicabili in tutti gli Stati contraenti, in modo da non creare diseguaglianze o asimmetrie di sistema (principio di reciprocità). L’obbligo di assistenza amministrativa e l’obbligo di scambiare informazioni vengono meno, dunque, se lo Stato contraente è costretto ad adottare provvedimenti amministrativi in deroga alla propria legislazione o alla propria prassi amministrativa, o a fornire dati che non sa-rebbero acquisibili in base alla propria legislazione o alle indicazione appli-cative dell’autorità amministrativa, o che potrebbero rivelare un segreto commerciale, industriale, professionale o un processo commerciale, o la cui comunicazione potrebbe essere contraria all’ordine pubblico.

Lo Stato richiesto non può invece opporre un rifiuto quando le informa-zioni di cui si chiede la trasmissione non siano dallo stesso considerate rile-vanti (cd. assenza di interesse domestico – “domestic tax interest” – art. 26, par. 4) o – e questo è il dato più importante – siano detenute da una banca o da altra Istituzione finanziaria o comunque coperte da segreto bancario (art. 26, par. 5).

Molte convenzioni bilaterali per lungo tempo hanno previsto una riserva all’art. 26, e hanno opposto il divieto di scambio per le informazioni coperte da segreto bancario. Questa la situazione in cui, in tempi ancora recenti, si trovavano Austria, Belgio, Lussemburgo e Svizzera che hanno poi tolto il ve-

22 Il mancato rispetto del termine non è da considerare causa di inutilizzabilità o di inam-missibilità dell’informazione acquisita.

23 Par. 10.4 del Commentario OCSE.

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to e hanno aperto alla possibilità di scambiare informazioni su richiesta e, come si dirà, anche in via automatica.

In particolare, il 23 febbraio 2015 la Confederazione Elvetica e l’Italia hanno sottoscritto un Protocollo 24 che modifica la Convenzione bilaterale contro la doppia imposizione (siglata il 9 marzo 1976, successivamente emendata il 28 aprile 1978), e che consente lo scambio di informazioni su richiesta ai fini fiscali (art. 27) in modo conforme a quanto previsto dal-l’art. 26 OCSE 25. Il procedimento di ratifica è stato completato sia in Sviz-zera, sia in Italia 26. La Confederazione Elvetica, pur avendone la possibili-tà, non ha indetto il referendum (facoltativo) volto all’approvazione defi-nitiva della modifica; in Italia la Ratifica è stata pubblicata in Gazzetta Uf-ficiale (18 maggio 2016). La “nuova” Convenzione Italo-Svizzera dunque è ufficialmente operativa: il Protocollo è entrato in vigore in entrambi gli Stati il 13 luglio 2016, e la Svizzera con D.M. 9 agosto 2016 pubblicato in G.U. il 22 agosto 2016 è stata inserita tra i Paesi collaboratori (white list). Questo consentirà alla Amministrazione finanziaria italiana di acquisire dalla Confederazione elvetica informazioni anche sui rapporti bancari in essere al momento dello sottoscrizione dell’accordo 27 (efficacia retroatti-

24 Il Protocollo disciplina in particolare le richieste relative ai conti correnti chiusi suc-cessivamente all’Accordo, ma prima della sua esecuzione; a conti correnti che sono stati svuotati o con un saldo pari a zero in esito a condotte del titolare nel periodo decorrente dalla sottoscrizione dell’Accordo e la sua entrata in vigore. L’introduzione di una disciplina di dettaglio è volta a semplificare gli obblighi di indagine che gravano sullo Stato richie-dente.

25 Oltre alla Svizzera anche il Liechtenstein (26 febbraio 2015) e il Principato di Mona-co (2 marzo 2015) hanno sottoscritto accordi che prevedono lo scambio di informazioni su richiesta secondo lo Standard OCSE.

26 Il 1° marzo 2016, la Svizzera ha ratificato il Protocollo di modifica della Convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia. La ratifica avrebbe potuto essere sottoposta, in Svizzera, a referendum popolare entro luglio 2016. Così non è stato e la ratifica è da ritene-re automaticamente e pienamente efficace.

In Italia, il disegno di legge di ratifica ed esecuzione del Protocollo è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 27 agosto 2015. Dopo l’approvazione della Camera dei Depu-tati nel novembre 2015, il disegno di legge – DDL S. 2125 – è passato al Senato, dove sono state sollevate alcune questioni relative, in particolare, alla condizione fiscale dei lavoratori frontalieri e alla imposizione su particolari categorie di immobili di proprietà di cittadini italiani. Il 20 aprile 2016 il Protocollo di modifica della Convenzione Italo Svizzera è stato definitivamente approvato anche dal Senato.

27 L’art. III, relativo all’entrata in vigore del Protocollo, al par. 2 consente allo Stato ri-chiedente di inoltrare dalla data di sottoscrizione del Protocollo richieste di informazioni re-lative «a fatti e, o, circostanze esistenti o realizzate» relativa a conti, movimenti, disponibilità

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va 28) relative ai contribuenti (non necessariamente residenti in uno dei due Paesi) che hanno trasferito e/o detengono beni, attività, e capitali all’estero e hanno omesso di dichiararli in Italia.

L’accordo, concluso in occasione dell’adozione in Italia della c.d. volun-tary disclosure 29, consente dunque alla Svizzera di non essere più considerata un Paese black list, ai fini dell’applicazione della disciplina della collabora-zione volontaria, con la conseguente limitazione dei periodi di imposta og-getto di contestazione a quelli ordinari di accertamento (cinque anni in caso di omessa dichiarazione) 30 e riduzione delle sanzioni amministrative irro- finanziarie e patrimoniali esistenti al 23 febbraio 2015. Tuttavia le domande potranno essere evase dall’Amministrazione a cui la domanda è stata inoltrata solo dopo entrata in vigore del Protocollo, ossia dal giorno successivo alla pubblicazione della sua ratifica in G.U.

28 In realtà l’art. III del Protocollo si potrebbe porre in contrasto con la Convenzione Strasburgo sull’assistenza amministrativa in materia fiscale, firmata dalla Svizzera il 13 ot-tobre 2013, che prevede l’applicazione retroattiva (tre anni) delle disposizioni della Con-venzione stessa dal momento della sua ratifica. La Convenzione non è stata ancora ratifica-ta, ma qualora la Svizzera dovesse perfezionare il procedimento, per esempio, entro il 2016, le richieste di assistenza amministrativa potrebbero riguardare fattispecie in essere al 1° febbraio 2014 (art. 1, cpv. 4 lett. a del progetto del decreto federale relativo all’applica-zione e attuazione della Convenzione). In questo caso si potrebbe verificare un conflitto tra fonti normative. Infatti, nel caso in cui dovesse essere ratificato prima il Protocollo di modifica della Convenzione Bilaterale (come è stato) e successivamente la Convenzione di Strasburgo, in applicazione del noto brocardo lex posteriori derogat lex priori, potrebbe dover trovare applicazione quest’ultima che consente agli Stati di avere informazioni rela-tive a fattispecie verificatesi fino a tre anni precedenti la sua entrata in vigore. Vero è tutta-via che lex specialis (Convenzione Italo Svizzera) derogat lex generalis (Convenzione multi-laterale sull’assistenza amministrativa fiscale), e in questo caso la norma sulla retroattività della Convenzione sull’assistenza amministrativa dovrebbe cedere il passo a quella conte-nuta nella Convenzione bilaterale che consente lo scambio di informazioni relative a situa-zioni patrimoniali e finanziarie esistenti al febbraio 2015. Il problema non è di poco conto e si auspica venga risolto con una espressa disposizione.

29 Sul tema cfr. MARONGIU, La Voluntary disclosure nei rapporti tributari fra principi ge-nerali e interventi legislativi, in Riv. trim. dir. trib., 2015, p. 636 ss. La voluntary disclosure, in-trodotta dalla L. n. 186/2014 ed entrata in vigore il 1° gennaio 2015, ha avuto un arco temporale di applicazione limitato, conclusosi il 30 dicembre 2015 (termine ultimo per l’inoltro delle relazioni illustrative relative alle istanze presentate entro e non oltre il 30 no-vembre 2015). Si dà atto, tuttavia, che l’art. 7 D.L. n. 193/2016 (decreto fiscale collegato alla legge di bilancio 2017) ha riaperto i termini per accedere alla procedura di dichiara-zione volontaria (voluntary bis).

30 Per fruire del termine breve (termine ordinario di accertamento) era inoltre necessa-rio che il contribuente rilasciasse all’intermediario finanziario presso il quale erano o sono detenute le attività, l’autorizzazione a trasmettere (waiver) all’Amministrazione finanziaria italiana i dati oggetto di procedura, e che allega copia dell’autorizzazione controfirmata

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gabili (3% in luogo del 6% del patrimonio che avrebbe dovuto essere indica-to annualmente in dichiarazione).

B) Scambio spontaneo di informazioni

L’Amministrazione finanziaria, venuta a conoscenza durante l’istruttoria di dati e fatti ritenuti potenzialmente rilevanti o d’interesse per un Governo estero, può decidere di trasmetterli spontaneamente alla competente autorità straniera che valuta se e come farne uso. Di regola questa forma di coopera-zione viene esercitata nei casi in cui si configurano violazioni aventi rilevan-za penale (frodi fiscali) finalizzate o collegate anche alla commissione di al-tri reati. Come è successo con la c.d. lista Falcianì – nella quale erano indica-ti i contribuenti stranieri che detenevano conti correnti presso una filiale svizzera di un istituto di credito inglese (uffici ginevrini della HSBC) – entrata in possesso (dietro pagamento di corrispettivo) delle autorità governative francesi. La Francia ha ritenuto opportuno trasmettere copia del documen-to agli Stati i cui cittadini erano inclusi nella lista, avvalendosi dello scambio di informazioni spontaneo. L’utilizzo di questo meccanismo ha consentito poi alle Amministrazioni finanziarie nazionali, in modo del tutto criticabile, di ripulire, meglio, “riciclare” le informazioni contenute nella lista, e di con-siderarle utilizzabili ai fini dell’accertamento in Italia a prescindere dalla ori-ginaria illegittimità della loro acquisizione 31.

dall’intermediario all’istanza di collaborazione finanziaria. Si segnala che a decorrere dai periodi di imposta in corso al 31/12/2016 il termine ordinario di accertamento nei casi di omessa dichiarazione è stato fissato a sette anni (art. 1, comma 132, L. 28 dicembre 2015, n. 208).

31 Si veda Cass., sez. VI, ord. n. 8605-8606 del 28 aprile 2015 la quale ha affermato che «L’Amministrazione finanziaria, nella sua attività di accertamento della evasione fiscale può – in linea di principio – avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, con esclu-sione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una disposizione di legge o dal fatto di es-sere stati acquisiti dalla Amministrazione in violazione di un diritto del contribuente. Sono perciò utilizzabili, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal di-pendente infedele di un istituto bancario, senza che assuma rilievo l’eventuale reato com-messo dal dipendente stesso e la violazione del diritto alla riservatezza dei dati bancari (che non gode di tutela nei confronti del fisco). Spetterà quindi al giudice di merito, in ca-so di contestazioni fiscali mosse al contribuente, valutare se i dati in questione siano atten-dibili, anche attraverso il riscontro con le difese del contribuente». L’Ordinanza è stata annotata da TURCHI, Legittimi gli accertamenti fiscali basati sulla lista Falciani, in Giur. it., 2015, p. 1614 ss. per il quale l’ordinanza suscita riserve sia nella parte in cui svaluta il dirit-to dei contribuenti al contraddittorio amministrativo, sia laddove ammette la valutazione

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C) Scambio automatico di informazioni

Lo scambio automatico di informazioni prevede la condivisione da par-te degli Stati di dati bancari, finanziari, patrimoniali e reddituali, aggiornati in modo sistematico e periodico. L’implementazione di questo meccani-smo richiede la predisposizione di una piattaforma comune nella quale far confluire le notizie acquisite dagli Stati presso i propri Istituti finanziari e dalla quale le Autorità amministrative dei medesimi Paesi che hanno opta-to per l’applicazione di questa forma di assistenza amministrativa possono attingere, in qualunque momento, le informazioni utili ai fini dell’accerta-mento, della riscossione o di ogni altra attività amministrativa fiscalmente rilevante.

Come accennato, lo scambio automatico di informazioni è stato elevato – in sostituzione di quello su richiesta – a Standard comune dall’OCSE (ve-di par. 1) ed è stato fatto oggetto di un accordo multilaterale, il Multilateral Competent Authority Agreement, sulla base del quale gli Stati che vi hanno aderito si sono impegnati ad adottare le disposizioni necessarie a dare attua-zione alla raccolta centralizzata di dati in possesso di Istituzioni finanziarie, con riguardo a conti ed investimenti posseduti o detenuti da individui, enti, trust, fondazioni, ecc. Dati messi in condivisione in modo automatico.

di qualsiasi elemento probatorio, anche illecitamente formato, che il giudice qualifichi co-me «possibile punto di appoggio per dimostrare l’esistenza di un fatto rilevante e non di-rettamente conosciuto». Si veda anche il commento di ARMELLA, Ammesso l’uso della lista Falcianì per gli accertamenti fiscali, ma è mero indizio, in Corr. trib., 2015, p. 1995 ss. la quale evidenzia che la Corte considera legittimo l’uso delle prove acquisite contra legem, perché la condotta illecita è riconducibile ad un terzo e si colloca a monte dell’azione dell’Amministrazione finanziaria francese. L’A. rileva poi che non è affrontato invece il te-ma delle disposizioni convenzionali sullo scambio di informazioni tra Stati contraenti, possibile solo in relazione a informazioni legittimamente acquisite sulla base della propria normativa interna e con la normale attività istruttoria. Si veda poi MASTELLONE, Tutela del contribuente nei confronti delle prove illecitamente acquisite all’estero, in Dir. prat. trib., 2013, p. 791 ss. Sul tema cfr. D’AYALA VALVA, Acquisizione di prove illecite. Un caso pratico: la lista Falciani, in Riv. dir. trib., 2011, II, p. 396. Sulla possibilità di utilizzo in sede penale delle informazioni acquisite cfr. BERNASCONI, Effetti fiscali del trafugamento di informazioni dal Liechtentein a favore delle autorità fiscali dei paesi dell’Unione Europea, in Dir. Commerciale internazionale, 2008, II, p. 259 ss.

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3. La Svizzera e lo scambio di informazioni

La Svizzera è da sempre stata considerata un paradiso fiscale, non solo per i “modesti” livelli di tassazione del reddito (aliquote applicate a livello federale e cantonale), ma anche e soprattutto perché ha negato lo scambio di informazioni su questioni diverse da quelle relative all’applicazione delle disposizioni delle Convenzioni per evitare la doppia tassazione, e ha oppo-sto agli Stati richiedenti la riservatezza dei rapporti e il segreto bancario.

Questa posizione è stata nel corso degli anni temperata, seppure limita-tamente ai comportamenti “sospettati di frode fiscale” (o “fattispecie analo-ghe”) 32 per i quali, su richiesta, il Governo svizzero si è da tempo impegnato a scambiare informazioni.

32 Lo scambio di informazioni tra Svizzera e Paesi dell’Unione Europea, in costanza di reati di frode fiscale, è stato previsto dall’art. 10 dell’ Accordo sul risparmio e relativo me-morandum CE – Svizzera del 26 ottobre 2004 (G.U.C.E. n. L. 385 del 29 dicembre 2004), entrato in vigore il 1° luglio 2005 tra la Comunità europea e la Confederazione Elvetica su misure equivalenti a quelle definite nella Direttiva 2003/48/CE del Consiglio in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi, a mente del quale «Le autorità competenti della Svizzera e di ciascuno degli Stati membri si scambia-no informazioni sui comportamenti che costituiscono frode fiscale a norma della legisla-zione dello Stato interpellato, o sulle violazioni analoghe, per i redditi contemplati dal pre-sente accordo. Per “violazioni analoghe” si intendono unicamente le violazioni che presen-tano lo stesso livello di illiceità della frode fiscale quale definita dalla legislazione dello Sta-to interpellato». L’Italia ha raggiunto un’intesa con la Svizzera sull’individuazione delle fattispecie analoghe alla frode fiscale in merito alle quali, su richiesta, può essere dato scam-bio di informazioni (Comunicato stampa 25 ottobre 2005). Lo Stato fornisce le informa-zioni richieste al Paese richiedente che abbia un ragionevole sospetto che il comportamen-to in questione costituisca una frode fiscale o una violazione analoga. I sospetti in merito a una frode fiscale o a una violazione analoga possono fondarsi su: documenti, autenticati o meno, ivi compresi, ma non esclusivamente, documenti aziendali, libri contabili o docu-mentazione relativa a conti bancari; testimonianze del contribuente; informazioni ottenu-te da persone sentite a titolo informativo, o da altre terze persone, che risultino suffragate da fonti e/o elementi indipendenti o che appaiono comunque attendibili oppure elementi di prova indiziari.

Il Paese interpellato fornisce informazioni, sulla base di una domanda debitamente motivata, che potranno essere esaminate in sede amministrativa, civile o penale. Le infor-mazioni devono essere scambiate secondo le procedure previste dalle Convenzioni inter-nazionali contro le doppie imposizioni in vigore tra la Svizzera e gli Stati membri interessa-ti. Il trattamento confidenziale di tali informazioni è assicurato nei modi previsti dalle Convenzioni. L’esame preliminare delle domande è affidato all’Amministrazione federale delle contribuzioni cui spetta anche il compito di informare le autorità estere se la doman-da può o non può essere accolta.

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La Confederazione elvetica, in ogni caso, in risposta alle sollecitazioni dell’OCSE, si era formalmente impegnata a intervenire per porre le condi-zioni che consentissero lo scambio di informazioni e, quale naturale conse-guenza e nonostante il segreto bancario, nel 2000 non è stata inserita nella blacklist degli “uncooperative tax haven” elaborata dall’OCSE.

Tuttavia, nel 2009 dopo la decisione del G-20 di inasprire l’azione di contrasto contro i Paesi non collaborativi, e accertato che, pur avendo as-sunto l’impegno non aveva poi rispettato le indicazioni poste dall’OCSE sullo scambio di informazioni, la Svizzera è stata inclusa nella Grey list. Per uscirne avrebbe dovuto ritirare la riserva opposta all’art. 26 OCSE sullo scambio di informazioni e stipulare almeno dodici accordi che prevedessero una clausola di assistenza amministrativa ampliata in materia fiscale (TIAE – Tax Information Exchange Agreement). Come ha fatto in poco meno di due anni, anche tramite la rinegoziazione delle Convenzioni contro le dop-pie imposizioni già in precedenza siglate 33.

La Svizzera, uscita dalla grey list, non aveva però ancora adottato provve-dimenti volti all’effettiva abolizione del segreto bancario. Per questa ragione la pressione sulla Confederazione, come su altri Paesi che ancora non aveva-no prestato effettiva adesione alle indicazioni dell’OCSE, non si è allentata.

E così, a fronte delle numerose raccomandazioni del Forum Globale 34

33 Il 13 marzo 2009 il Consiglio Federale ha deciso di adeguarsi alle indicazione del-l’OCSE in tema di scambio di informazioni e di ritirare la riserva all’art. 26 OCSE. Al 27 novembre 2015 la Svizzera ha firmato complessivamente 53 CDI secondo lo standard in-ternazionale, di cui 46 sono in vigore, e 10 TIEA, di cui 7 sono in vigore. https://www.sif.-admin.ch/sif/it/home/themen/internationale-steuerpolitik/doppelbesteuerung-und-amtshilfe.html.

34 Il Forum Globale, organismo dell’OCSE (http://www.oecd.org/tax/transparency «The Global Forum is the continuation of a forum which was created in the early 2000s in the context of the OECD’s work to address the risks to tax compliance posed by non-cooperative jurisdictions. The original members of the Global Forum consisted of OECD countries and ju-risdictions that had agreed to implement transparency and exchange of information for tax purposes. The Global Forum was restructured in September 2009 in response to the G20 call to strengthen implementation of these standards. The Global Forum now has 130 members on equal footing and is the premier international body for ensuring the implementation of the in-ternationally agreed standards of transparency and exchange of information in the tax area. Through an in-depth peer review process, the restructured Global Forum monitors that its members fully implement the standard of transparency and exchange of information they have committed to implement. It also works to establish a level playing field, even among countries that have not joined the Global Forum») vigila sul rispetto delle norme internazionali in materia di trasparenza e di scambio di informazioni attraverso un processo di valutazione completo fra Stati. La Peer Review si svolge in due fasi. Nella prima fase viene esaminata

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sulla Trasparenza e sullo scambio di informazioni dell’OCSE, la Svizzera ha dunque deciso di stipulare nuove Convenzioni che prevedono forme di as-sistenza allargata e ha posto in consultazione la legge che disciplina l’appli-cazione unilaterale dello scambio di informazioni su richiesta (LASSI) 35. Non solo. Per rendere la sua piazza finanziaria ancora «competitiva, stabile, integra e dotata di condizioni accettate a livello internazionale» nel marzo 2009 36 ha prestato il suo assenso al recepimento dello scambio di informa-zioni su richiesta.

Tuttavia mentre la Svizzera si accingeva a compiere i primi passi sulla strada della cooperazione e dell’assistenza amministrativa, la maggior parte degli Stati – europei ed OCSE – avevano già individuato nello scambio au-tomatico di informazioni lo strumento più efficiente per garantire la traspa-renza fiscale, e come detto, lo avevano elevato a Standard comune, acco-standolo, nella Convenzione di Strasburgo (2010), allo scambio su richiesta e allo scambio spontaneo.

l’esistenza delle basi giuridiche per lo scambio di informazioni su domanda. Nella seconda fase viene valutata l’applicazione dello scambio di informazioni in concreto. La Svizzera è stata ammessa ala seconda fase della valutazione il 15 marzo 2015. Il Forum Globale ha ri-conosciuto gli sforzi compiuti per adempiere lo Standard internazionale in materia di scambio di informazioni su richiesta.

35 Per accelerare il processo di adeguamento delle Convenzioni contro le doppie impo-sizioni, il Consiglio federale il 19 febbraio 2014 ha posto in consultazione il progetto di Legge federale che prevede l’applicazione unilaterale dello scambio di informazioni su ri-chiesta (LASSI) a tutti gli Stati con i quali la Svizzera ha stipulato Convenzioni contro le doppie imposizioni che non soddisfano ancora lo Standard internazionale (https://www.-

news.admin.ch/message/index.html?%20%20lang=it&msgid=54902%20[13.04.2015). L’ap-plicazione unilaterale dello scambio di informazioni su domanda (è escluso quello auto-matico e quello spontaneo) deve avvenire con garanzia di reciprocità e in modo da salva-guardare la confidenzialità delle informazioni scambiate. Questa legge ha carattere resi-duale: può trovare applicazione unicamente se lo Stato o territorio interessato non è dota-to di strumenti normativi che consentono di presentare la domanda di assistenza ammini-strativa. Potrebbe entrare in vigore già nel 2016 per essere abrogata non appena verrà si-glato, per tutti gli Stati e territori interessati, un accordo (bilaterale o multilaterale) che preveda uno scambio di informazioni su domanda conforme allo Standard OCSE origina-riamente previsto. Essa non trova applicazione nei confronti dell’Italia a seguito della firma del Protocollo che modifica la Convenzione Bilaterale in vigore con effetto dal 23 febbraio 2015.

36 Il 13 marzo 2009 il Consiglio Federale Svizzero ha aderito allo Standard OCSE (in quegli anni su richiesta), ossia all’estensione dello scambio di informazioni anche nei casi in cui si profili la fattispecie definita di semplice “sottrazione fiscale”. Altrettanto hanno fatto Austria, Lussemburgo e Singapore.

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La Convenzione di Strasburgo sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale (Convenzione MAAT) ha subordinato (art. 6) però l’intro-duzione del nuovo Standard ad uno specifico patto (Multilateral Competent Autority Agreement – MCAA) – al quale si è più volte fatto cenno – sotto-scritto tra le Autorità competenti nel 2014, che permette di garantire un’ap-plicazione uniforme dello Standard (CRS) per lo scambio automatico di in-formazioni dell’OCSE.

Questo accordo (MCAA) – come già è stato anticipato – prevede che lo scambio automatico di informazioni venga attuato in modo bilaterale tra gli Stati firmatari che, a questo fine, hanno ratificato la Convenzione di Stra-sburgo, sottoscritto il MCAA e adottato i provvedimenti normativi necessa-ri per darvi attuazione concreta.

Il Consiglio Federale svizzero, per rimanere al passo con i tempi, il 15 ot-tobre 2013 ha deciso di (non ha potuto fare altro che) sottoscrivere la Con-venzione multilaterale di Strasburgo – già siglata dagli Stati membri del Con-siglio d’Europa e l’OCSE (25 gennaio 1988, n. 127) 37 – che garantisce l’as-sistenza tra Stati in particolare: a) nelle verifiche fiscali svolte in simultanea e in quelle condotte all’estero che richiedono la presenza di funzionari dello Stato richiedente; b) nell’attività di riscossione dei crediti tributari all’estero anche tramite l’adozione di misure esecutive; c) nella notificazione dei rela-tivi documenti.

Dopo il Rapporto 2014 del Forum Globale nel quale veniva segnalato che «dal 2009 la Svizzera ha compiuto notevoli progressi nel campo del-l’assistenza amministrativa ma, […] in alcuni punti non soddisfa, o soddisfa solo in parte, le condizioni richieste per uno scambio efficace di informazio-ni», l’Assemblea Federale ha deliberato il Decreto di approvazione e la

37 L’Italia ha ratificato la Convenzione di Strasburgo sulla mutua assistenza amministra-tiva in materia fiscale con L. 10 febbraio 2005, n. 19, entrata in vigore il 1° maggio 2006. Il 27 maggio 2010 è stato sottoscritto a Parigi il Protocollo che emenda la Convenzione, al fine di allinearla allo Standard dell’OCSE sullo scambio automatico di informazioni. Si prevede in particolare che lo Stato al quale viene richiesta l’informazione non può rifiutarsi di prestare assistenza opponendo il segreto bancario o l’interesse fiscale nazionale, e che le Parti – Stati membri dell’Unione europea – possano applicare nelle reciproche relazioni le disposizioni convenzionali ogniqualvolta esse consentano una cooperazione più ampia rispetto alle possibilità offerte dalle norme dell’Unione europea. Il Protocollo è stato ratifi-cato dall’Italia il 17 gennaio 2012 ed entrato in vigore il 1° maggio 2012. In tema DORIGO, La cooperazione fiscale internazionale dopo il protocollo di modifica alla Convenzione di Stra-sburgo: qualche luce e molte ombre, in Riv. dir. trib., 2011, p. 157 ss.

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messa in esecuzione 38 della Convenzione nella sua versione modificata, en-trata in vigore il 1° giugno 2011 e, contestualmente, ha approvato il MCAA e la legge federale sullo scambio automatico internazionale di informazioni a fini fiscali (LSAI). Tutti atti normativi che, anche in assenza di referendum, attribuiscono alla Svizzera le basi giuridiche per introdurre lo scambio au-tomatico di informazioni con i Paesi interessati 39.

Nel frattempo, come accennato, alcuni Stati europei (Italia, Francia, Spa-gna, Germania e Inghilterra) avevano promosso un’intesa intergovernativa con gli Stati Uniti conclusasi con l’adozione del FACTA, vera e propria disclosure sistematica di dati finanziari rilevanti sotto il profilo fiscale.

La legislazione FACTA prevede la sottoscrizione di un accordo tra auto-rità governative (accordo tra Stati) 40 o, in alternativa, tra Istituti finanziari e l’Autorità governativa Americana. Questa seconda possibilità è stata scelta dagli Stati che non “sono ancora pronti” a scambiare informazioni in via au-tomatica, e che vogliono demandare la trasmissione dei dati direttamente all’Istituto finanziario (non dunque all’autorità amministrativa) che abbia acquisito il preventivo consenso alla trasmissione dal cliente statunitense.

La Svizzera ha preferito questa strada e il 14 febbraio 2013 ha siglato l’accordo FATCA, entrato in vigore il 2 giugno 2014, che prevede «la noti-fica diretta [delle informazioni bancarie] da parte degli istituti finanziari svizzeri all’autorità fiscale statunitense (Internal Revenue Service)». Questa forma di trasmissione, realizzata senza alcuna mediazione, consente di “eso-nerare” l’Amministrazione fiscale svizzera dall’obbligo di scambio automati-co e autorizza gli intermediari svizzeri a rilasciare i dati su espressa richiesta (l’art. 5 prevede un’applicazione “agevolata” della normativa).

Con la firma di questo accordo la Svizzera ha dunque compiuto un passo molto importante sulla strada della trasparenza fiscale. Passo che però non è

38 Il 18 dicembre 2015. 39 Per introdurre lo scambio automatico di informazioni con uno Stato partner è neces-

sario siglare un accordo bilaterale che implica l’iscrizione del Paese in un elenco da deposi-tare presso il Segretariato dell’Organo di coordinamento del MCAA. Il Consiglio federale ha avuto mandato di comunicare che la Svizzera ha firmato nel gennaio 2016 dichiarazioni congiunte per l’introduzione del reciproco scambio automatico di informazioni a fini fisca-li con le Dipendenze della Corona Britannica, Jersey, Guernsey e Isola di Man, l’Islanda e la Norvegia.

40 L’Italia ha scelto questa soluzione e ha sottoscritto un accordo intergovernativo con gli Stati Uniti (Intergovernal Agreement IGA ratificato con L. n. 95/2015 ed entrato in vigo-re l’8 luglio 2015) in base al quale l’Agenzia delle Entrate si impegna a trasmettere i dati acquisiti dagli Istituti Finanziari italiani direttamente all’IRS.

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stato spontaneo, quale esito naturale del percorso volto a dare attuazione alla cooperazione internazionale, ma è stato piuttosto determinato dall’esi-genza di evitare di rimanere esclusa dal mercato finanziario statunitense. La mancata adesione al FACTA avrebbe infatti comportato l’applicazione di una ritenuta alla fonte del 30% a titolo d’imposta (sanzione impropria) su ogni tipo di pagamento di origine statunitense – indipendentemente dal fat-to che il beneficiario del provento di origine americana fosse o non fosse re-sidente fiscalmente negli U.S.A. – con vero e proprio danno per l’interme-diario finanziario.

La Svizzera, sottoscritto il FACTA, approvati la Convenzione di Stra-sburgo, il MCAA e la legge sullo scambio automatico di informazioni ha poi firmato con UE un’intesa (19 marzo 2015) sullo scambio automatico d’in-formazioni in materia fiscale 41. Intesa che si è tradotta in un vero e proprio accordo sottoscritto a Bruxelles il 27 maggio 2015 che prevede l’adozione dello Common Reporting Standard, e quindi la definitiva scomparsa del se-greto bancario per i residenti all’estero che detengono disponibilità finan-ziarie nella Confederazione.

Formalmente si tratta di un Protocollo che rielabora e modifica l’Accor-do sulla fiscalità del risparmio – (Accordo sull’Euroritenuta) in vigore dal 2005 42, tra la Svizzera e UE che stabiliva misure equivalenti a quelle definite nella Direttiva 2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da rispar-mio – e lo trasforma in un accordo sullo scambio di informazioni. Esso pre-vede e disciplina lo scambio di informazioni automatico e su richiesta, l’esenzione da imposizione di interessi, dividendi e canoni trasfrontalieri tra società consociate.

L’Accordo potrà essere attivato per quanto riguarda lo scambio automa-tico di informazioni solo tramite un’apposita legge (LSAI – legge sullo

41 Nel corso del 2015, l’Unione Europea ha firmato accordi simili con il Liechtenstein, la Repubblica di San Marino ed Andorra. Il 22 febbraio 2016 il Principato di Monaco e l’Unione europea hanno parafato l’Accordo sulla trasparenza fiscale con il quale si obbli-gano reciprocamente a scambiare automaticamente le informazioni finanziarie relative ai loro residenti, a partire dal 2018. Informazioni che potranno essere raccolte dalle autorità competenti delle Parti contraenti già a partire dal 1° gennaio 2017.

42 Tale Accordo prevedeva l’applicazione di una ritenuta alla fonte del 35% sugli interessi corrisposti al contribuente che voleva mantenere l’anonimato e non consentiva lo scambio di alcuna informazione, nonché la ripartizione del gettito derivante dall’imposizione tra la Sviz-zera (25%) e lo Stato di residenza del percettore. Nel nuovo Accordo resta ferma l’esenzione dall’imposta alla fonte dei dividendi, interessi e canoni tra società consociate.

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scambio automatico di informazione) sottoposta all’approvazione del Par-lamento, e per i casi di scambio su richiesta, in base alla Legge sull’assistenza amministrativa (LAAF).

Il Protocollo è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale europea il 19 di-cembre 2015 ed entrerà in vigore dal 1° gennaio 2017, con scambi automa-tici a partire dal 2018. I due rami del Parlamento – Consiglio Nazionale e Consiglio degli Stati – hanno infatti ratificato (17 giugno 2016) l’Accordo preventivamente sottoposto alle procedure amministrative di approvazione intese ad assicurare la sua attuazione e il rispetto delle regole previste in ma-teria di comunicazione e di adeguata verifica in materia fiscale.

L’iter si è dunque perfezionato e anche la Svizzera, al pari di tutti i Paesi UE, è oggi considerata uno Stato collaborativo.

Il suo approdo allo scambio di informazioni automatico, fino a poco fa neppure immaginabile, è frutto di un lungo percorso che consentirà alla Confederazione Elvetica di essere percepita e apprezzata in modo diverso rispetto al passato, di essere considerata una piazza finanziaria solida ed effi-ciente per i servizi prestati dal suo sistema bancario, e non solo rifugio per capitali e investimenti non dichiarati o frutto e profitto, si assume, di attività non legittime o non lecite.

La strada seguita in questi ultimi anni per dare attuazione alla coopera-zione tra Stati, sempre nel rispetto dei diritti del contribuente, determinerà una svolta epocale. La Confederazione, entrate in vigore le disposizioni che prevedono lo scambio di informazioni su richiesta e/o automatico, come detto, è stata cancellata dall’elenco dei Paesi Black list, e proprio per questo continuerà ad essere riconosciuta quale territorio in cui i diritti e le libertà fondamentali dell’individuo sono sempre garantiti e rispettati al pari degli interessi, non solo fiscali, degli Stati.

4. La partecipazione del contribuente nelle procedure di cooperazione inter-nazionale e la disciplina svizzera

Una particolare attenzione merita l’analisi dei diritti del contribuente du-rante la fase di scambio di informazioni tra Amministrazioni finanziarie 43.

43 Sul tema si veda ADONNINO, Lo scambio di informazioni fra amministrazioni finanzia-rie, in UCKMAR (a cura di), Corso di Diritto tributario internazionale, Milano, 1999, p. 1126; MELIS, (voce) Coordinamento fiscale nell’Unione europea, in Enc. dir., Annali, I, Milano,

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La normativa internazionale, così come quella europea, non attribuisce al contribuente – nei cui confronti sia stata inoltrata una richiesta di assi-stenza amministrativa – né il diritto ad essere informato della istanza for-mulata dallo Stato che sta svolgendo l’attività di controllo, né il diritto ad essere consultato preventivamente sull’oggetto della domanda, né tanto-meno il diritto a partecipare alla fase di raccolta dei dati per contestare, se del caso, la loro veridicità e/o l’assunta illegittimità delle modalità di ac-quisizione.

Il Modello OCSE nulla dice al riguardo. La Convenzione di Strasburgo si limita ad evidenziare che «Nessuna di-

sposizione della presente Convenzione può limitare i diritti e le garanzie concessi ai soggetti dalla legislazione o dalla prassi amministrativa dello Sta-to richiesto».

Le Direttive Europee (77/799/CE, 2011/16/UE, Dir. 2014/107/UE) utilizzano formule generiche e affermano che la normativa garantisce i «di-ritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, compreso il diritto alla prote-zione dei dati personali».

Non vi sono dunque disposizioni che prevedono in modo espresso diritti a tutela del contribuente 44, anche se il Protocollo di modifica della Conven-zione di Strasburgo prescrive che la cooperazione tra Stati assicura «ade-quate protection to the rights of taxpayers».

Nel migliore dei casi la normativa internazionale e/o europea rinvia alla 2007, p. 394 ss.; DEL FEDERICO, Scambio di informazioni fra autorità fiscali e tutela del con-tribuente: profili internazionalistici, comunitari ed interni, in Riv. dir. trib. internazionale, 2010, p. 221 ss.; SELICATO, Scambio di informazioni, contraddittorio e Statuto del contribuen-te, in Rass. trib., 2012, p. 321, in particolare, par. 5.; FERNANDEZ MARIN, op. cit., p. 380 ss.; BORIA P., Diritto tributario europeo, cit., p. 427 ss.

44 Si veda in particolare BORIA, Diritto tributario, Torino, 2016, p. 413 il quale segnala che «La normativa comunitaria e internazionale non contiene riferimenti a forme di tutela del contribuente nel casi in cui si determini un pregiudizio nel corso dell’attività di indagi-ne, poiché si limita a definire le ipotesi in cui l’informazione non devono essere trasmesse (segreto industriale, commerciale, professionale, contrasto con l’ordine pubblico) e ad imporre un generico obbligo di segretezza per tutti i dati ricevuti. Pertanto, nei casi in cui le informazioni vengono trasmesse in violazione dei requisiti previsti ovvero non rispetta-no le disposizioni procedimentali stabilite, si pone un problema di tutela del contribuente. La questione in tale ipotesi non riguarda i rapporti fra gli stati, ma si sposta sul piano della protezione di una posizione giuridica garantita al contribuente dal sistema normativo». In questo senso già FEDELE, op. cit., p. 49 ss.

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disciplina nazionale 45-46 che sul punto, generalmente – in questa fase che può essere definita di “pre-istruttoria” 47 – non prevede strumenti a garanzia del contribuente 48.

La ragione di questa scelta può essere individuata anche nella natura dell’informazione richiesta la quale, secondo quanto previsto dall’art. 26 OCSE, deve essere “rilevante”, o meglio “pertinente”. Questi requisiti po-stulano che gli elementi e i fatti che costituiscono l’oggetto dello scambio o del procedimento di assistenza possono, ma non devono, essere utilizzati nella

45 Sul punto cfr. MASTELLONE, Tutela del contribuente nei confronti delle prove illecita-mente acquisite all’estero, cit., p. 791 ss. il quale evidenzia che la tutela del contribuente, nel silenzio della disciplina europea ed internazionale in tema di cooperazione fiscale interna-zionale, è rimessa alla «disorganica regolamentazione rinvenibile nelle normative dome-stiche» che attribuisce di frequente ai giudici tributari un ruolo fondamentale. L’assenza di tutela – continua l’A. – diventa allarmante in costanza situazioni “patologiche” come si è verificato nelle ipotesi di “compravendita” da parte delle Amministrazioni finanziarie di dati bancari trafugati all’estero da dipendenti di istituti di credito, e utilizzati in danno dei contribuenti.

46 In dottrina – cfr. MICELI, L’attività istruttoria tributaria, in FANTOZZI (a cura di), Di-ritto tributario, Milano, 2013, p. 672 – si osserva che in mancanza di un rinvio alla discipli-na nazionale, ed in riferimento allo scambio di informazioni in ambito europeo, l’unica so-luzione possibile è il ricorso ai principi generali europei i quali garantiscono «la corretta applicazione del diritto comunitario, in assenza di normative specifiche predisposte a tale fine. In questo senso, la tutela a fronte delle violazioni istruttorie, realizzate contravvenen-do alla disciplina sullo scambio di informazioni, deve essere individuata sulla base dei prin-cipi di equivalenza ed effettività in senso stretto, note articolazioni del principio generale di effettività, oggi contenuto nell’art. 4 del TFUE. Pertanto a fronte di tutte le violazioni delle disposizioni sullo scambio di informazioni deve essere garantita una tutela “equivalente” a quella riconosciuta a livello nazionale in conseguenza della illegittimità istruttorie.». Nello stesso senso BORIA, op. ult. cit., p. 414. Sul principio di effettività cfr. MICELI, Indebito co-munitario e sistema tributario interno. Contributo allo studio del rimborso d’imposta secondo il principio di effettività, Milano, 2009, p. 7 ss. e in particolare pp. 36-49.

47 FEDELE, op. cit., p. 49 ss., ha osservato che l’assistenza tra Stati «è ordinata esclusiva-mente alla trasmissione di dati ad altra Amministrazione» che la stessa ha la facoltà ma non l’obbligo di porre a fondamento, se ritenuti utili, di un atto impositivo.

48 Ancora BORIA, op. ult. cit., p. 414 il quale segnala che, in relazione alla situazione do-mestica italiana, «sul piano dell’effettività, la tutela nazionale a fronte delle illegittimità istruttorie potrebbe non essere sufficiente, a garantire una protezione allineata ai parametri europei, soprattutto alla luce delle forti resistenze (nazionali) in merito alla tutela imme-diata o a quella esperibile sul piano di un piano differente rispetto alla fondatezza della pre-tesa impositiva». L’A. auspica, quindi, che in applicazione del principio di effettività della tutela, vengano individuate «in futuro forme di protezione più incisive» a tutela del con-tribuente e di terzi soggetti coinvolti nell’istruttoria.

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eventuale fase di controllo condotta in sede nazionale dall’Autorità fiscale che ne ha fatto richiesta.

In sostanza non è necessario che i dati offerti in comunicazione si dimo-strino in concreto effettivamente necessari allo scopo per il quale sono stati richiesti, né che vengano utilizzati in ambito domestico ai fini dell’accerta-mento fiscale. Si richiede invece che le informazioni ottenute siano poten-zialmente utili per il fine perseguito dall’Autorità dello Stato richiedente.

Questa soluzione, che risponde alla necessità di tutelare in via primaria l’interesse dello Stato a un efficace scambio di informazioni, potrebbe appa-rire criticabile, tenuto conto dell’esigenza fondamentale di garantire la tute-la dei diritti dell’individuo/contribuente, e tra questi, in particolare il diritto di difesa.

Tuttavia si conviene che il diritto del soggetto ad essere informato della richiesta di assistenza e il diritto di partecipare al procedimento in chiave di-fensiva debbano essere garantiti solo quando dalle informazioni acquisite possano derivare conseguenze negative per il contribuente, come emerge sia dalla normativa europea, sia da quella nazionale (art. 41 CED e art. 6, comma 2, Statuto dei diritti del contribuente) 49, nonché da giurisprudenza costante della Corte di Giustizia. Possibilità che si concretizza, di regola 50, quando l’Autorità richiedente, in sede nazionale, valutati come rilevanti i dati che sono entrati nella sua disponibilità, decida di assumerli quali ele-menti probatori o indiziari a fondamento di una “proposta” di rettifica (pro-cesso verbale di constatazione, invito a comparire, atto di contestazione di

49 In argomento ci si permette di rinviare a PIERRO, Il dovere di informazione dell’Ammi-nistrazione finanziaria, Torino, 2013, p. 52 ss. nonché p. 91 ss. ove si evidenzia che il diritto di difesa in sede procedimentale – diritto inalienabile dell’individuo – è garantito dall’art. 41 della Carta europea dei diritti fondamentali dell’uomo (diritto ad una buona ammini-strazione), recepita dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009, e in quanto tale ap-plicabile nell’ordinamento nazionale di tutti i Paesi UE, nonché anche, e in funzione raf-forzativa, dalle norme nazionali di molti Stati, e in Italia dall’art. 6, comma 2, Statuto dei diritti del contribuente e da altre disposizioni specifiche. Si veda anche PIERRO, Il dovere di informazione dell’Amministrazione finanziaria e il diritto al contraddittorio preventivo, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2, 2016, p. 193 ss.

50 Non si esclude certo la possibilità che gli elementi e i dati relativi al contribuente pos-sano essere stati acquisiti in modo illegittimo, in violazione di diritti costituzionalmente garantiti. In questo caso la tutela del contribuente può essere garantita in via differita, tra-mite l’impugnazione del provvedimento che l’Autorità finanziaria ha adottato al termine del procedimento, oppure nello Stato in cui l’illecito è stato compiuto, attivando i rimedi amministrativi o giurisdizionali ivi previsti.

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un illecito, richiesta di chiarimenti, ecc.), che precede l’adozione di un prov-vedimento definitivo.

Fuori da questi casi, ossia quando l’Amministrazione finanziaria ritenga le informazioni trasmesse “ininfluenti” ai fini dell’accertamento, si ritiene che la comunicazione al contribuente e la sua partecipazione non solo non siano dovute, ma anzi siano sconsigliate, poiché potrebbero pregiudicare l’efficacia dell’attività investigativa. In questo senso si è pronunciata anche la Corte di Giustizia per la quale peraltro «Occorre distinguere, nell’am-bito dei procedimenti di controllo fiscale, la fase d’indagine nel corso della quale vengono raccolte le informazioni e che comprende la richiesta d’informazioni da parte di un’amministrazione fiscale ad un’altra, dalla fase contraddittoria, tra l’amministrazione fiscale e il contribuente cui es-sa si rivolge, la quale inizia con l’invio a quest’ultimo di una proposta di rettifica» 51.

Diversa la situazione in cui versa la Svizzera, che ha optato invece per una soluzione più garantista.

La legge sull’assistenza amministrativa internazionale in materia fiscale (LAAF) del 28 settembre 2012, entrata in vigore il 1° febbraio 2013, succes-sivamente modificata, a differenza della legislazione internazionale ed euro-pea, pone a carico dell’Amministrazione finanziaria delle Contribuzioni l’ob-bligo di informare preventivamente sia la persona in relazione alla quale sono state richieste informazioni, sia i soggetti che potrebbero essere coinvolti nel procedimento 52, sia ancora coloro che fanno parte di un gruppo, nei casi

51 Si tratta della Corte di Giustizia UE, Grande sezione, 22 ottobre 2013 (sentenza Sabou – causa C-276/12) con commento di FERNANDEZ MARIN, La tutela nazionale del contribuente nello scambio comunitario d’informazioni, in Rass. trib., 2014, p. 1421 ss. Si segnala in particolare anche MASTELLONE, L’Unione Europea non riconosce “participation rights” al contribuente sottoposto a procedure di mutua assistenza amministrativa tra autori-tà fiscali, in Riv. dir. trib., 2013, p. 349 ss. il quale rileva come la Corte escluda che dalla Direttiva 77/799/CEE possano ricavarsi in via interpretativa diritti di partecipazione (c.d. participation rights) del contribuente sottoposto a procedure di mutua assistenza amministrativa in materia tributaria; la Corte ritiene che l’attività di raccolta di informa-zioni fiscalmente rilevanti non è – di per sé – in grado di incidere negativamente sulla sfera del singolo, posto che il diritto di difesa sarà comunque garantito nell’eventuale fase successiva di accertamento, così come regolato dalle legislazioni domestiche degli Stati membri.

52 L’art. 14 dispone che la persona interessata deve essere informata in merito agli ele-menti essenziali della domanda, mentre si esclude che debba avere notizia dei provvedi-menti d’inchiesta presi sino a quel momento dallo Stato richiedente e che potrebbe avere interesse a tenere segreti. Se il soggetto risiede all’estero, l’Amministrazione provvede ad

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in cui sia stata inoltrata una richiesta collettiva 53. L’affermazione normativa del diritto di informazione dei soggetti coin-

volti dalla richiesta di assistenza, consente non solo di conoscere in anticipo quali sono le violazioni contestate e di assumere i comportamenti ritenuti più idonei alla sua tutela, ma anche di preparare per tempo la difesa nel caso in cui il contribuente decida di impugnare le decisioni che possono essere adottate in esito a questa fase amministrativa (art. 19 LAAF). La legge tut-tavia dispone che l’Amministrazione Federale delle Contribuzioni, in casi eccezionali – ossia quando l’informazione preliminare potrebbe vanificare lo scopo dell’assistenza amministrativa, pregiudicare il buon esito del pro-cedimento, o rendere inefficaci le attività investigative mettendo in pericolo i rapporti della Svizzera con lo Stato estero – sia tenuta a mantenere la riser-vatezza e ad informare le persone interessate solo al termine dell’attività di scambio di informazioni (art. 21 a LAAF).

Questa previsione, frutto di un intervento di riforma determinato dalle sollecitazioni del Forum Globale sulla trasparenza 54, ha imposto alla Confe-derazione Elvetica una rivisitazione, in senso peggiorativo, delle garanzie ri-conosciute ai soggetti, con l’introduzione di limiti al diritto del contribuente ad essere informato.

L’intervento non può essere demonizzato. Esso risponde alla necessità di garantire la cooperazione tra Stati.

Il problema è un altro, e cioè quello di garantire che le legislazione degli Stati che potranno utilizzare i dati acquisiti durante lo scambio di informa-zioni prevedano forme di tutela del contribuente da esercitare prima del-l’adozione di un provvedimento definitivo.

informarlo direttamente – se vi è un accordo bilaterale con lo Stato estero – oppure trami-te colui che detiene l’informazione (istituto di credito, banca, ecc.). In tema, ed in partico-lare con riferimento alle rogatorie di gruppo avanzate alla Svizzera, si veda BERNASCONI-SCHURCH, Fishing expedition e rogatorie di gruppo nella cooperazione internazionale con la Svizzera in materia fiscale. Norme e prassi recenti ed imminenti, in Riv. dir. trib., IV, 2015, p. 109 ss.

53 In questi casi l’obbligo grava sugli istituti di credito o sulle banche che devono invita-re il proprio cliente o ex cliente a designare un rappresentante in Svizzera. Si ritiene non necessario identificare il c.d. detentore delle informazioni, essendo sufficiente che il mo-dello di comportamento adottato da più soggetti appartenenti al medesimo gruppo siano chiaramente identificabili, e quindi riconducibili ad una certa tipologia di soggetti che di-spongono delle informazioni richieste.

54 Terms of Reference, B.2.1 (n. 4); commento OCSE «Agreement on Exchange of Infor-mation on Tax Matters», p. 14, art. 1 n. 6.

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L’esigenza primaria dell’OCSE e del G20 è contrastare i reati di evasione ed evitare l’erosione fiscale con conseguente recupero delle basi imponibili e del gettito fiscale. Esigenza che deve essere bilanciata dal riconoscimento dei diritti del contribuente in sede domestica e tra questi, primo tra tutti, quello di difesa che deve essere garantito sempre, anche in fase procedimentale.

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Francesco Pistolesi

L’IMPATTO DELLA GIURISPRUDENZA EUROPEA SUL PROCESSO TRIBUTARIO ITALIANO*

THE INFLUENCE OF EUROPEAN CASE LAW ON THE ITALIAN TAX TRIAL

Abstract L’impatto della giurisprudenza europea in ambito tributario viene esaminato sot-to due punti di vista. Anzitutto, per verificare la coerenza dell’odierno assetto del giudizio tributario rispetto al principio del “giusto processo”. Poi, per esaminare alcune questioni di attuale o potenziale “dialogo” fra la giurisprudenza europea e quella nazionale. A seguito della prima verifica, si registrano tuttora alcuni aspetti di possibile contrasto fra la disciplina processuale tributaria ed il ricordato prin-cipio: per quanto attiene, in particolare, al meccanismo di reclutamento dei Giu-dici tributari, al divieto di prova testimoniale, al diverso regime della costituzione nel giudizio di primo grado della parte ricorrente e di quella resistente, alla pre-clusione a produrre in giudizio documenti non forniti nel corso dell’istruttoria amministrativa e all’inapplicabilità dell’equa riparazione per l’eccessiva durata del processo. Infine, il “dialogo” fra le Corti europee ed i Giudici italiani si pro-spetta più vivace e foriero di interessanti sviluppi sui temi del contraddittorio preprocessuale e dell’attuazione del principio del “ne bis in idem”. Parole chiave: giurisprudenza europea, giusto processo, dialogo tra le Corti, contraddittorio preprocessuale, principio del ne bis in idem The impact of European case law in the field of tax law is discussed from two perspec-tives: firstly, the coherence of the current tax litigation framework with the due process of law and, secondly, the potential reciprocal “dialogue” between European and Ital-ian case law. As regards the first, nowadays there are still some problems in relation

* Testo della relazione al convegno in programma a Genova il 14 e 15 ottobre 2016 sul tema “Per un nuovo ordinamento tributario”.

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to: discipline of judges’ recruitment, non-admittance of witnesses, different regime of standing before the Tax Court of first instance for the appellant and for the defend-ant, impossibility of providing documents in tax litigation not exhibited during the administrative proceedings and absence of fair compensation for excessive length of the process. Finally, the “dialogue” between European and Italian judges promises to be particularly lively and may lead to interesting developments regarding the the audi alteram partem principle in the pre-trial phase and the application of the ne bis in idem principle. Keywords: European case-law, due process of law, dialogue between Courts, right to be heard, ne bis in idem principle

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Il principio del “giusto processo”. – 3. Il principio del “giusto processo” ed il giudizio tributario. – 4. La rilevabilità d’ufficio dell’abuso del diritto. – 5. Il contraddittorio preprocessuale. – 6. Il principio del “ne bis in idem”. – 7. La sentenza “Taricco”.

1. Introduzione

L’analisi dell’impatto della giurisprudenza europea sul nostro processo tributario può offrire almeno due campi d’indagine.

Il primo attiene direttamente al giudizio che si svolge dinanzi alle Com-missioni Tributarie ed è teso a verificarne la coerenza rispetto ai principi dell’ordinamento europeo ed alla lettura che di essi viene offerta dalla giuri-sprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (d’ora in poi, indi-cata solo come CGUE) e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (in se-guito, Corte EDU).

Il secondo investe le questioni sulle quali si registra o si potrà registrare, per così dire, un “dialogo”, nella materia tributaria, fra la giurisprudenza na-zionale (di legittimità e di merito) e quella europea.

Questo lavoro, pertanto, si articola in due parti, una dedicata alla rilevan-za che assumono il diritto europeo e, per l’effetto, la giurisprudenza della CGUE e della Corte EDU nel processo tributario e l’altra concernente al-cuni temi che stimolano o potranno stimolare un confronto fra i Giudici na-zionali e quelli europei.

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Francesco Pistolesi 623

2. Il principio del “giusto processo”

Secondo un diffuso e condivisibile convincimento 1, per la disciplina pro-cessuale tributaria assume decisivo rilievo l’art. 6 della Convenzione Euro-pea dei Diritti dell’Uomo (poi, solo CEDU), che sancisce il diritto di cia-scuno ad un “equo processo” in ordine ad i «suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale».

A sua volta, l’art. 6, par. 3 del Trattato sull’Unione Europea (in seguito, TUE) prevede che i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri costituiscono prin-cipi generali del diritto dell’Unione Europea (in seguito, solo UE).

Poi, l’art. 111 Cost., sul versante interno, recepisce, in larga parte, la di-sciplina in tema di “equo processo”.

Per quanto ci interessa, dall’art. 6 della CEDU e dall’art. 111 Cost. si ri-traggono i precetti della terzietà ed imparzialità del Giudice, della parità del-le parti, della pienezza del diritto di difesa e del contraddittorio fra le parti medesime e della ragionevole durata del processo. Ove essi siano rispettati, il processo può senz’altro considerarsi “equo”.

A questo punto, occorre verificare – anche alla luce della “declinazione” che di siffatti precetti offre la giurisprudenza europea – la conformità della disciplina processualtributaria italiana rispetto al menzionato canone del “processo equo”.

Prima di assolvere tale compito, va ricordato che i rammentati precetti sul “giusto processo”, quali principi generali del diritto dell’UE, trovano di-retta attuazione ed impongono la disapplicazione delle norme nazionali in contrasto con essi in tutti i giudizi ove si discute dei tributi “armonizzati”, ossia quando viene in rilievo il diritto europeo.

Negli altri casi, il conflitto con le disposizioni interne impone di denun-

1 Cfr., fra i contributi più recenti e significativi, PODDIGHE, Giusto processo e processo tri-butario, Milano, 2010; DEL FEDERICO, I principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in materia tributaria, in AA.VV., Studi in onore di E. De Mita, I, Napoli, 2012, p. 254 ss.; DELLA VALLE, Il giusto processo tributario. La giurisprudenza della Corte EDU, in Rass. trib., 2013, p. 435 ss.; DI PIETRO, Giusto processo, giustizia tributaria e giurisprudenza comunitaria, ibidem, p. 405 ss.; AA.VV., Diritti fondamentali dei contribuenti tra riforma fi-scale e Statuto europeo, a cura dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Con-tabili di Genova, 2014; CONTI, Diritto tributario, giusto processo e altre questioni convenzio-nalmente sensibili, in AA.VV., Il nostro sistema tributario all’esame della CEDU. Le questioni ancora aperte, Vicalvi, 2016, p. 113 ss.

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ciare alla Corte costituzionale la violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., stante l’asserito mancato rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento eu-ropeo 2.

Tuttavia, i precetti in parola si ritraggono, oltre che dall’art. 6 della CEDU, dall’art. 111, comma 2, Cost.

Pertanto, potrebbe prospettarsi anche la violazione della norma da ulti-mo indicata, qualora non sia possibile offrire una lettura costituzionalmente orientata della disposizione interna che disattenda le regole sul “processo equo”.

Ancora, bisogna tener presente che, secondo la Corte EDU, l’art. 6 della CEDU, in linea di principio, non si applica al processo tributario poiché non ha ad oggetto “diritti e doveri di carattere civile” o “accuse penali”.

Trattasi di impostazione senz’altro criticabile poiché frutto di un approc-cio formalistico e basato su una concezione autoritativa del rapporto tribu-tario non più attuale. È irrazionale, contrario all’odierno assetto dei rapporti impositivi e comunque inaccettabile, infatti, affermare una compressione delle garanzie giurisdizionali nei rapporti fra il privato e la Pubblica Ammi-nistrazione 3.

Peraltro, la stessa Corte EDU ha varie volte sostenuto – come meglio si evidenzierà in prosieguo – che la sanzione amministrativa tributaria (sic-come avente valenza punitiva e deterrente) è assimilabile a quella penale. Ciò comporta, stando a tale Organo giurisdizionale, l’applicazione nel rela-tivo giudizio dei precetti sul “giusto processo”.

Inoltre, in altre occasioni 4, il medesimo Organo giurisdizionale ha assun-to l’estensione delle garanzie in discussione, rispettivamente, alle liti sulle agevolazioni fiscali e sul rimborso dei tributi (ma solo allorché l’indebito sia già accertato fra le parti in causa), nonché alle controversie sugli atti istrut-

2 Secondo Corte cost., 22 ottobre 2007, n. 349, «al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale ‘interposta’, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al pa-rametro dell’art. 117, primo comma». Nello stesso senso, e più recentemente, v. anche Corte cost., 11 marzo 2011, n. 80. Sul tema, cfr., inoltre e per tutti, TESAURO, Diritto del-l’Unione Europea, Padova, 2012, p. 199 ss. e BIAVATI, Diritto processuale dell’Unione Euro-pea, Milano, 2015, p. 408 ss.

3 Analogamente, v. DEL FEDERICO, I principi, cit., p. 259 e DELLA VALLE, Il giusto proces-so tributario, cit., p. 436.

4 Con le sentt. 26 marzo 1992, “Editions Périscope”, e 22 ottobre 2003, “Cabinet Diot”.

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tori in materia tributaria 5. Poi, ha affermato il diritto al silenzio del privato nell’istruttoria fiscale (in base al noto brocardo “nemo tenetur se detegere”), quale corollario del “giusto processo” 6, sancendo che la sanzione ammini-strativa a fronte della mancata produzione di documenti richiesti dal Fisco viola l’art. 6 della CEDU.

Sennonché, non è agevole postulare – anzitutto dal punto di vista logico – il diritto al “giusto processo” nelle cause che riguardano le sanzioni, le agevo-lazioni, i rimborsi (seppure solo quando non sia in dubbio la sussistenza dell’indebito), gli atti istruttori e non in quelle sui tributi 7. In particolare, è in-coerente riferire tale diritto alle sanzioni, aventi – di regola – una veste acces-soria rispetto alle imposte, che invece non ne sarebbero interessate.

In ogni caso, di fatto, nel nostro ordinamento, attesa la tendenziale unita-rietà delle controversie sui tributi e sulle relative sanzioni (dal momento che con un unico atto impositivo vengono pretesi tanto i primi quanto le secon-de), le disposizioni sul “processo equo” riguardano pressoché tutte le cause fiscali.

Si aggiunga, ulteriormente, che siffatti precetti trovano comunque presi-dio nell’art. 111 Cost., che senz’altro concerne anche il giudizio tributario.

Quindi, sia che si consideri l’art. 6 della CEDU sia che si faccia leva sul-l’art. 111 cit., il processo tributario deve rispettare le garanzie di cui si di-scorre.

La differenza, come poc’anzi anticipato, si coglie solo nei giudizi nei quali si controverta dei tributi “armonizzati”. In questi ultimi, infatti, è prospetta-bile la disapplicazione, da parte del Giudice nazionale, delle norme interne che ledono l’art. 6 cit.

3. Il principio del “giusto processo” ed il giudizio tributario

La recente riforma del processo tributario (ad opera del D.Lgs. n. 156/2015, adottato in attuazione della L. n. 23/2014) ha eliminato alcune criticità che

5 Cfr. la sent. 21 febbraio 2008, “Ravon”. 6 Cfr. la sent. 5 aprile 2012, “Chambaz”. Il “diritto al silenzio” è stato affermato anche

dalla CGUE: per riferimenti e ragguagli in proposito, v. DEL FEDERICO, I principi, cit., p. 270 ss.

7 Così cfr., di nuovo, DEL FEDERICO, I principi, cit., p. 260 e DELLA VALLE, Il giusto pro-cesso tributario, cit., p. 445.

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il processo tributario presentava al cospetto del principio del “giusto pro-cesso”.

Mi riferisco, anzitutto, alla nuova disciplina della tutela cautelare dopo il primo grado del giudizio 8.

Invece, non si è colta l’occasione per chiarire che la misura cautelare pos-sa essere concessa anche laddove il privato agisca per conseguire il rimborso dei tributi indebitamente corrisposti e qualora impugni atti di diniego o di revoca di agevolazioni o di rigetto di domande di definizione agevolata dei rapporti tributari. E ciò è necessario per assicurare la pienezza del diritto di difesa, stante la riconosciuta essenzialità della tutela cautelare da parte della giurisprudenza europea 9.

Sempre con l’ultima riforma si è eliminato un aspetto che evidenziava una censurabile disparità fra le parti del nostro giudizio. Ossia è venuta me-no l’impossibilità di eseguire la sentenza di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente prima del suo passaggio in giudicato. Adesso, anche tale pronuncia (al pari di quella, sempre in favore del privato, in materia catastale) è immediatamente esecutiva. Ed il fatto che il nuovo art. 69, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 preveda che il pagamento di somme superiori all’importo di euro diecimila, diverse dalle spese di lite, possa esse-re subordinato dal Giudice alla prestazione di idonea garanzia non elide, a mio avviso, l’apprezzabilità della novella 10. Difatti, siffatta garanzia può ra-gionevolmente contemperare il diritto del contribuente all’immediata per-cezione degli importi richiesti in restituzione con la comprensibile esigenza di assicurare all’Ente impositore di poter recuperare le somme che, al defini-tivo esito del processo, risultassero indebitamente versate al privato.

Per altro verso, l’indirizzo giurisprudenziale sulla c.d. “impugnazione fa-coltativa” degli atti, seppur non indicati fra quelli impugnabili dall’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, che siano espressivi di una definitiva pretesa impositi-va 11 soddisfa il canone del “processo equo”, consentendo un pieno ed effet-

8 V., in particolare, gli artt. 52, 62 bis e 65, D.Lgs. n. 546/1992. 9 In proposito, v. DI PIETRO, Giusto processo, cit., p. 420 ss., anche per gli opportuni rife-

rimenti alla giurisprudenza della CGUE. 10 Sull’argomento, v. GLENDI, Commento agli artt. 69 e 69 bis del D.L.vo n. 546/1992, in

AA.VV., Abuso del diritto e novità sul processo tributario. Commento al D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 e al D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a cura di C. Glendi, C. Consolo, A. Contrino, Mila-no, 2016, p. 275 ss., che avanza varie considerazioni critiche in ordine alla nuova disciplina.

11 V. Cass., sez. trib., 5 ottobre 2012, n. 17010 e Cass., sez. un., 18 febbraio 2014, n. 3773.

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tivo esercizio del diritto di difesa 12 (che, peraltro, nella materia tributaria non può spingersi al punto di ammettere un’azione di accertamento negati-vo preventivo 13).

Ancora, la possibilità riconosciuta dalla giurisprudenza 14 all’Ente imposi-tore di allegare le prove a supporto della propria pretesa in corso di causa non viola il principio in esame per quanto attiene alla parità delle parti: in-vero, pure il privato può produrre i propri mezzi di prova successivamente alla notificazione del ricorso introduttivo del giudizio tributario.

Restano, tuttavia, alcuni profili che paiono in contrasto con il principio in oggetto.

Anzitutto, l’attuale composizione delle Commissioni Tributarie (ossia il fatto che esse siano composte da Magistrati onorari, che possono svolgere talune ulteriori attività professionali o giurisdizionali e che non sono nomi-nati in esito ad un concorso pubblico) e la relativa dipendenza, dal punto di vista retributivo ed organizzativo, dal Ministero dell’Economia e delle Fi-nanze inducono fondatamente a ritenere insoddisfatto il principio di cui ci stiamo occupando sotto il profilo della terzietà ed imparzialità dei Giudici tributari 15.

Poi, non può sottacersi l’anacronistico 16 divieto della prova testimoniale, che evidenzia due profili di contrasto con il canone del “giusto processo”:

a) con riferimento alla parità delle parti, poiché l’Ente impositore può

12 Sulla rilevanza che il “diritto al ricorso” riveste nell’ordinamento europeo e, di rifles-so, in quello nazionale, con specifico riferimento alla materia tributaria, v. DI PIETRO, Giu-sto processo, cit., p. 409 ss. Anche secondo l’Autore, poi, «Consentire … la ricorribilità di tutti gli atti in cui si sostanzia la pretesa tributaria contribuisce certo a rendere pienamente efficace il diritto al ricorso con un più ampio e diretto accesso al processo tributario» (op. cit., p. 415).

13 Per maggiori ragguagli sul punto, sia consentito rinviare a PISTOLESI, Credito tributa-rio del contribuente esecutato, in AA.VV., Il libro dell’anno del diritto 2015, Roma, 2015, pp. 434-435. Invece, secondo DI PIETRO, Giusto processo, cit., p. 418, l’effettività del diritto di difesa in ambito tributario dovrebbe prescindere dalla necessità che un atto autoritativo consenta l’accesso alla tutela giurisdizionale.

14 Cfr., per esempio, Cass., sez. trib., 2 aprile 2015, n. 6734. 15 In proposito, v. le giuste considerazioni critiche svolte sull’attuale sistema di recluta-

mento dei Giudici tributari da TABET, Giusto processo e giustizia tributaria nella giurispru-denza della Corte Costituzionale, in Rass. trib., 2013, p. 383 ss. e TESAURO, Giustizia tributa-ria e giusto processo, ibidem, pp. 313-314.

16 Egualmente v. TABET, Giusto processo, cit., p. 390, nonché, fra gli altri, RUSSO, Manua-le di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2013, p. 206 ss.

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reperire dichiarazioni da parte dei terzi poi utilizzabili in giudizio 17, nel cor-so delle indagini fiscali e grazie ai poteri istruttori che la legge gli riconosce, più agevolmente rispetto al contribuente;

b) in relazione alla pienezza ed effettività del diritto di difesa, in quanto risulta precluso un mezzo istruttorio ammesso nel processo civile, cui quello tributario si deve conformare [ai sensi dell’art. 30, lett. g), L. n. 413/1991], ed idoneo ad offrire la compiuta ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della lite tributaria.

Ancora, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale 18, la costitu-zione in giudizio dell’Ente impositore dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale non deve avvenire entro un termine perentorio, diversamente da quanto previsto per il ricorrente.

V’è, di nuovo, un profilo di contrasto con il principio del “giusto proces-so” per ciò che concerne la parità delle parti.

Poi, non si rivela conforme a tale valore la preclusione (sancita dall’art. 32, comma 4, D.P.R. n. 600/1973) alla utilizzabilità in sede contenziosa dei documenti non forniti dal contribuente nel corso dell’istruttoria fiscale con riguardo al profilo della pienezza del diritto di difesa ed alla luce dell’affer-mazione del diritto al silenzio del soggetto interessato dalla verifica tributa-ria, affermato dalla giurisprudenza della Corte EDU.

Vero è che tale preclusione si giustifica, nell’ordinamento nazionale, in ragione del principio di collaborazione e buona fede espresso dall’art. 10, comma 1, L. n. 212/2000, ma essa non può prevaricare l’attuazione di un principio generale dell’ordinamento dell’UE qual è, appunto, quello del “giusto processo” 19.

17 La giurisprudenza riconosce valore indiziario alle dichiarazioni dei terzi: cfr., per tut-te, Cass., sez. trib., 8 aprile 2015, n. 6946. Sulla questione, sia concesso rinviare a PISTOLE-SI, L’efficacia probatoria delle informazioni rese da terzi nel processo tributario, in Corr. trib., 2007, p. 2360 ss.

18 V., di recente, Cass., sez. trib., 2 aprile 2015, n. 6734, secondo cui la costituzione tar-diva della parte resistente determina solo la decadenza dalla facoltà di fare istanza di chia-mata di terzi. Si è anche ipotizzato che l’insussistenza di alcuna sanzione per la costituzione tardiva della parte resistente nel giudizio tributario di primo grado comportasse una viola-zione degli artt. 3 e 111 Cost., ma la Corte costituzionale lo ha escluso con l’ordinanza n. 144 del 7 aprile 2006 (nei cui riguardi si esprime criticamente TABET, Giusto processo, cit., p. 391). Sull’argomento, v. anche PODDIGHE, Giusto processo, cit., p. 128 ss., parimenti cri-tico nei riguardi del riferito indirizzo giurisprudenziale.

19 Sempre a questo proposito, DELLA VALLE, Il giusto processo tributario, cit., p. 443 rile-va il contrasto fra il segnalato indirizzo interpretativo della Corte EDU e la sanzione, con-

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Non solo, il divieto in questione contrasta con il canone di proporziona-lità, sempre di matrice europea, poiché sanziona in termini eccessivi detta mancata collaborazione.

Di modo che un ragionevole equilibrio fra le più che condivisibili esigen-ze di assicurare la collaborazione del privato alle indagini fiscali e la necessi-tà di garantire un “processo equo” potrebbe essere rappresentato, per un verso, dalla soppressione di siffatta preclusione e, per l’altro, dall’applicazio-ne di una sanzione amministrativa (del genere di quella contemplata dal-l’art. 11, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997) laddove il contribuente produca, nell’ulteriore sviluppo del procedimento istruttorio o in giudizio, la docu-mentazione richiestagli e non fornita.

Infine, contrasta con il principio del “giusto processo” l’inapplicabilità dei rimedi, previsti dall’ordinamento nazionale, per la durata irragionevole del giudizio tributario.

La L. n. 89/2001 (c.d. “Legge Pinto”) non menziona il processo tributa-rio fra quelli che danno titolo ad ottenere un’equa riparazione in caso di re-lativa eccessiva durata e la Corte di Cassazione è ferma nell’escluderne l’operatività nella materia fiscale per le stesse ragioni fatte valere dalla Corte EDU per assumere l’irrilevanza dell’art. 6 della CEDU per le liti tributarie. Fanno eccezione le sole cause in tema di sanzioni e di ripetizione dell’inde-bito versamento dei tributi già riconosciuto dall’Ente impositore 20.

Cosicché, stante la rilevata circostanza per cui quasi ogni controversia fi-scale ha ad oggetto la debenza delle sanzioni oltre che dei tributi, è inevita-bile riconoscere come la L. n. 89 cit. abbia, in realtà, una portata inevitabil-mente più ampia di quella riconosciutagli dalla giurisprudenza di legittimità.

Restano – è vero – le cause di rimborso dei tributi che si asseriscono in-debitamente corrisposti da parte del contribuente.

Però, pena altrimenti un’irrazionale ed ingiustificata disparità di tratta-mento, la L. n. 89 cit. va estesa pure alle cause da ultimo indicate. Non si ravvisa alcuna fondata ragione che possa legittimare l’inapplicabilità di tale provvedimento normativo ai processi nei quali si controverta del diritto del templata dall’art. 11, D.Lgs. n. 471/1997, per la mancata restituzione dei questionari invia-ti dal Fisco al contribuente o a un terzo. Lo stesso, evidentemente, potrebbe dirsi per la medesima sanzione prevista per l’inottemperanza all’invito a comparire ed a qualsiasi altra richiesta formulata dall’Amministrazione finanziaria e dalla Guardia di Finanza nell’eserci-zio dei rispettivi poteri istruttori.

20 Cfr., fra le varie sentenze in materia, Cass., sez. VI, 24 settembre 2012, n. 16212 e Cass., sez. VI, 3 marzo 2015, n. 4282.

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privato a vedere accertato l’indebito pagamento effettuato a titolo d’im-posta.

Del resto, stando all’art. 111, comma 2, Cost., «La legge … assicura la ragionevole durata» di ogni processo. Talché il fatto che la L. n. 89 cit. rife-risca espressamente ed esclusivamente il «diritto ad una equa riparazione» al «mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6» della CEDU rende palese la sussistenza della prospettata indebita differenza di tratta-mento. Spetta, quindi, al Giudice fornire una lettura costituzionalmente corretta, alla luce del rammentato art. 111, comma 2 cit., della L. n. 89 cit. e riconoscerne l’applicabilità per ciascuna controversia tributaria.

4. La rilevabilità d’ufficio dell’abuso del diritto

Possono ora esaminarsi alcune questioni di attuale o potenziale confron-to fra la giurisprudenza europea e quella italiana.

Prendiamo le mosse proprio da un’ipotesi di eventuale “dialogo” cui po-trebbe in futuro assistersi.

Come noto, per affermare il primato del diritto europeo se ne riconosce, in dottrina ed in giurisprudenza 21, l’applicabilità d’ufficio ad opera del Giu-dice nazionale nelle cause che investono materie di competenza unionale, anche a costo di sancire la non operatività delle norme interne con esso con-trastanti.

Si pone, quindi, il dubbio sull’efficacia precettiva dell’art. 10 bis, comma 9, L. n. 212/2000, secondo cui l’abuso del diritto non è rilevabile d’ufficio.

Oltretutto, se si considera che nel preambolo del D.Lgs. n. 128/2015 (che ha introdotto l’art. 10 bis cit.) si legge che «le disposizioni legislative delegate vanno emanate in attuazione del diritto dell’Unione Europea in materia di abuso del diritto» e che l’art. 5, L. n. 23/2014 (recante la delega in esito alla quale è stato adottato il D.Lgs. n. 128 cit.) niente dispone circa la rilevabilità o meno d’ufficio dell’abuso del diritto, tale dubbio si prospetta senz’altro fondato.

21 In dottrina, v., per tutti, DI PIETRO, Giusto processo, cit., p. 424 ss. e CONTI, Diritto tri-butario, giusto processo, cit., p. 135 ss. Poi, per quanto concerne la giurisprudenza nazionale, v. Cass., sez. trib., 11 maggio 2012, n. 7393 e Cass., sez. trib., 19 ottobre 2012, n. 17949, proprio in tema di rilevabilità d’ufficio dell’abuso del diritto.

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Non è, dunque, azzardato chiedersi se sia prospettabile la rilevabilità d’ufficio dell’abuso del diritto (così disapplicando il comma 9 dell’art. 10 bis cit.) allorché vengano in rilievo i tributi “armonizzati” 22. Solo per essi, difat-ti, si pone l’esigenza di assicurare la preminenza del principio generale del diritto unionale del divieto dell’abuso del diritto a scapito della norma na-zionale che ne limita l’operatività.

Prima di cercare di rispondere a tale quesito, occorre precisare che, in ogni caso, detta rilevabilità d’ufficio dovrebbe consentire il rispetto del con-traddittorio e della c.d. “parità fra le armi” tra le parti del giudizio tributario.

In specie, siccome il contraddittorio preprocessuale – come meglio si vedrà fra breve – rappresenta uno dei cardini fondamentali dell’azione am-ministrativa in materia tributaria e ne viene espressamente preteso il rispet-to dall’art. 5, lett. f), L. n. 23 cit., occorrerà verificare se l’ipotizzata rilevabili-tà d’ufficio dell’abuso del diritto contrasti o meno con questo principio.

In apparenza, tale verifica dovrebbe sempre condurre a ravvisare il pa-ventato contrasto poiché l’art. 10 bis cit. prescrive (ai commi 6, 7 e 8) che, a pena di nullità dell’atto impositivo, il Fisco chieda chiarimenti al privato cir-ca la presunta condotta abusiva e fornisca poi adeguata motivazione, nel proprio avviso di accertamento, «in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonché ai chiarimenti forniti dal contribuente».

Sennonché, atteso l’apprezzamento “sostanzialistico” del contraddittorio che ne offre la giurisprudenza europea (e di cui sempre dirò in seguito), sif-fatta rilevabilità potrebbe ammettersi ogni qual volta il contribuente non sia in grado di dimostrare che, se fosse stato sentito prima dell’enunciazione dell’addebito fondato sull’abuso del diritto, sarebbe stato in grado di addur-re seri elementi potenzialmente idonei a confutare la prospettata censura.

Fra l’altro, solo offrendo al privato la possibilità di fornire detta prova, il Giudice può consentire a quest’ultimo l’esercizio del diritto di difesa e può altresì assicurare il rispetto del principio della “parità delle armi” fra le parti in causa.

Pertanto, potrebbe ipotizzarsi la rilevabilità d’ufficio laddove il contri-buente, invitato a farlo dal Giudice, non possa dar conto della sostanziale violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale.

22 Sul punto, v. CONTRINO-MARCHESELLI, La non rilevabilità d’ufficio dell’abuso e i poteri del giudice, in AA.VV., Abuso del diritto e novità sul processo tributario, cit., p. 49 ss., che sot-topongono a critica la rilevabilità d’ufficio dell’abuso del diritto.

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DOTTRINA RTDT – n. 3/2016 632

V’è, ulteriormente, da considerare il profilo della motivazione dell’atto impositivo che, in caso di rilievo d’ufficio dell’abuso del diritto, non sarebbe “specificamente” motivato a questo riguardo e, quindi, sarebbe nullo, secon-do quanto previsto dall’art. 10 bis, comma 8, cit.

Tuttavia, compete soltanto al contribuente denunciare la nullità dell’atto impugnato per carenza motivazionale e, laddove costui non l’abbia fatto (perché, evidentemente, non poteva dolersi di una motivazione che taceva in ordine ad una condotta abusiva che non gli era stata addebitata dall’Am-ministrazione finanziaria), non può il Giudice rilevare d’ufficio detto vizio.

Inoltre, se si richiedesse siffatta specifica motivazione dell’avviso di ac-certamento, si escluderebbe sempre e comunque la possibilità di rilevare d’ufficio l’abuso del diritto, in contrasto con il riferito indirizzo interpretati-vo volto ad affermare la “primazia” del diritto europeo.

Quel che conta, come sopra segnalato, è che il privato possa adeguata-mente difendersi a fronte della contestazione fondata sull’abuso del diritto. Ma tale difesa ben può esplicarsi anche ammettendo la rilevabilità d’ufficio, purché il Giudice ne consenta l’adeguato esercizio.

Resta, però, un ostacolo che è, forse, quello più arduo da superare per af-fermare la rilevabilità d’ufficio di cui si discorre.

Il Giudice tributario non può esaminare ed articolare il proprio convin-cimento su fatti diversi da quelli allegati e provati dai contraddittori. Ciò che può fare è fornire una diversa qualificazione giuridica degli elementi fattuali rimessi alla sua cognizione dalle parti. E questo rappresenta un irrinunciabi-le caposaldo dell’assetto della giustizia tributaria nel nostro Paese, che si giustifica anche alla luce del principio europeo e costituzionale sulla terzietà ed imparzialità del Giudice 23.

Significa, dunque, che devono essere acquisiti al giudizio tutti gli elemen-ti che consentono di configurare l’abuso del diritto perché quest’ultimo possa essere rilevato ex officio dal Giudice. In particolare, occorre che vi sia la prova che dalla vicenda oggetto del giudizio il privato realizzi essenzial-mente un indebito risparmio d’imposta, com’è richiesto tanto dall’art. 10 bis, comma 1 cit. quanto dalla giurisprudenza comunitaria 24.

23 Del resto, le Sezioni Unite della Cassazione hanno sì riconosciuto la rilevabilità d’uf-ficio dell’abuso del diritto, ma solo se «il carattere elusivo dell’operazione può …. desu-mersi, senza necessità di alcuna ulteriore indagine di fatto, sulla base della compiuta de-scrizione che se ne rinviene in atti» (cfr. la sent. 23 dicembre 2008, n. 30055).

24 V., per tutte, la nota sentenza “Halifax” della CGUE, 21 febbraio 2006, C-255/02, § 74.

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Francesco Pistolesi 633

In conclusione, solo ove tutti gli elementi fattuali costitutivi della fatti-specie di cui trattasi siano già dedotti in giudizio, il Giudice – nella causa ri-guardante i tributi “armonizzati” – potrebbe darne una qualificazione diver-sa rispetto a quella enunciata dall’Amministrazione finanziaria, affermando appunto la sussistenza dell’abuso del diritto 25. Ipotesi, insomma, prospetta-bile ma certamente non di ricorrente realizzazione.

5. Il contraddittorio preprocessuale

Un altro profilo di confronto fra la giurisprudenza europea e quella nazio-nale si ravvisa nell’ultimo arresto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazio-ne (n. 24823 del 9 dicembre 2015) sul contraddittorio preprocessuale in ma-teria tributaria (per l’esattezza, sulla sussistenza del diritto del contribuente al contraddittorio al termine dell’indagine eseguita dal Fisco e prima dell’even-tuale emissione del provvedimento impositivo che ne recepisca gli esiti) 26.

Secondo la CGUE 27, il contraddittorio è esplicazione del diritto di difesa ed è, quindi, un principio fondamentale dell’ordinamento europeo.

Del resto, è codificato dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali del-l’UE (in seguito, solo CDFUE), che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati europei.

Esso, perciò, deve trovare applicazione ogni volta che l’Amministrazione finanziaria si proponga di adottare nei confronti del privato un atto per co-stui lesivo (non anche nella fase d’indagine in cui si raccolgono informazio-ni da altre Amministrazioni e/o da terzi).

25 Anche CONTRINO-MARCHESELLI, La non rilevabilità d’ufficio, cit., p. 54 esprimono questo convincimento ed aggiungono che si tratterebbe di una «ipotesi di rarissima verifi-cazione». Gli Autori, inoltre, sostengono che la mancata contestazione dell’abuso del di-ritto allorché vengano in rilievo i tributi “armonizzati” non si risolve consentendone la rile-vabilità d’ufficio al Giudice ma facendo valere la responsabilità dell’Organo amministrati-vo nazionale che ha omesso di avanzare detta censura.

26 Per i primi commenti, tutti di carattere critico, alla sent. n. 24823/2015, v. STEVANA-TO, Sul contraddittorio procedimentale la Cassazione decide (forse bene), ma non spiega, in Dialoghi trib., 2015, p. 383 ss.; BEGHIN, Il contraddittorio endoprocedimentale tra disposizioni ignorate e principi generali immanenti, in Corr. trib., 2016, p. 479 ss.; CARINCI-DEOTTO, Il contraddittorio tra regola e principio: considerazioni critiche sul revirement della Suprema Cor-te, in Il fisco, 2016, p. 207 ss.

27 Cfr., in specie, le sentt. 18 dicembre 2008, C-349/07, “Sopropé” e 3 luglio 2014, C-129/13, “Kamino International Logistics”.

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DOTTRINA RTDT – n. 3/2016 634

La CGUE 28 riconosce che il contraddittorio è rispettato anche quando si permetta al contribuente di interloquire con l’Ente impositore dopo l’ado-zione dell’atto per costui lesivo e prima che si avvalga della tutela giurisdi-zionale, a condizione che nella fase di reclamo amministrativo si sospenda automaticamente l’efficacia esecutiva dell’atto medesimo (ciò che difetta, per esempio, nella disciplina italiana in tema di diritti doganali ed ha così in-dotto la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9278 del 6 maggio 2016, a sottoporre alla CGUE la questione pregiudiziale circa la legittimità o meno della rilevata mancanza di automatica efficacia sospensiva del reclamo am-ministrativo).

Inoltre, sempre ad avviso della CGUE 29, il principio in esame deve essere apprezzato in modo sostanzialistico, cosicché il mancato rispetto del con-traddittorio non determina necessariamente la caducazione del provvedi-mento amministrativo. Tale conseguenza si verifica solo quando il privato dimostri che, se il contraddittorio si fosse svolto, detto provvedimento avreb-be potuto avere un diverso contenuto, stante la serietà degli argomenti che costui avrebbe addotto.

In base all’ultima pronuncia delle Sezioni Unite, che ha mutato l’indiriz-zo espresso nella precedente sentenza n. 19667 del 18 settembre 2014 30, i principi del diritto europeo si applicano solo nelle «situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione».

Quindi, il contraddittorio è prescritto, in termini generali, solamente per i tributi “armonizzati” e cagiona la nullità dell’atto impositivo qualora il con-tribuente provi le concrete ragioni, non puramente pretestuose, che avrebbe potuto fare valere ove fosse stato debitamente sentito prima dell’adozione di tale atto 31. Per i tributi “nazionali”, invece, il contraddittorio opera esclu-sivamente nei casi nei quali sia previsto; la relativa omissione, non contem-plando la disciplina interna la c.d. “prova di resistenza” richiesta dalla CGUE,

28 Cfr. la sent. 3 luglio 2014, C-129/13, “Kamino International Logistics”. 29 Cfr., di nuovo, la sent. 3 luglio 2014, C-129/13, “Kamino International Logistics”. 30 Con la pronuncia del 2014, le Sezioni Unite, difatti, avevano ravvisato la generale ap-

plicabilità del contraddittorio precontenzioso nella materia tributaria. 31 Come correttamente ha osservato la Corte di Cassazione, Sezione VI, con l’ordi-

nanza n. 527 del 14 gennaio 2015 che ha provocato l’ultimo intervento delle Sezioni Uni-te, la “prova di resistenza” può essere superata ogni volta che il privato adduca «ragioni serie, ancorché in concreto inidonee a respingere la pretesa erariale». In sostanza, il prov-vedimento impositivo non può essere ritenuto illegittimo qualora il contribuente deduca la violazione del contraddittorio ed esponga «ragioni meramente pretestuose».

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Francesco Pistolesi 635

determina sempre e comunque la nullità (rectius l’annullabilità, se si ricorda che nel processo tributario non v’è spazio per la rilevabilità d’ufficio dei vizi dell’atto impugnato) del provvedimento impositivo.

Siffatta “duplicità” di regime, per le Sezioni Unite, non può superarsi in via interpretativa, occorrendo un intervento del Legislatore nazionale che generalizzi l’obbligatorietà del contraddittorio preprocessuale.

La conclusione delle Sezioni Unite, seppur ampiamente e dottamente motivata, non si sottrae ad alcune considerazioni critiche, sintetizzabili nei termini che seguono:

a) l’art. 1, comma 1, L. n. 241/1990 prevede che l’azione della Pubblica Amministrazione è retta anche dai principi dell’ordinamento europeo. Que-sta norma – com’è pacifico – vale pure per la materia tributaria. Pertanto, già sussiste il fondamento normativo nazionale della necessità del contrad-dittorio, per il tramite del rinvio – operato dall’art. 1, comma 1 cit. – ai valori unionali 32; più precisamente, l’art. 1, comma 1 cit. elide l’esclusione dell’ap-plicabilità, sancita dall’art. 13, comma 2, della medesima L. n. 241, alla ma-teria tributaria delle norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo, contenute nel capo terzo di detta Legge. Ne consegue che, sebbene non si applichino all’istruttoria fiscale i puntuali precetti introdotti dalla L. n. 241 cit., il diritto al contraddittorio deve essere assicurato in at-tuazione del corrispondente generale principio del diritto europeo;

b) in ogni caso, il diritto di ciascuno ad essere ascoltato prima dell’ado-zione di un atto amministrativo che gli possa recare pregiudizio è affermato dall’art. 41 della CDFUE, ossia da una norma che, seppure operi ai soli fini dell’attuazione del diritto europeo (come hanno rilevato le Sezioni Unite, facendo leva sull’art. 51 della stessa Carta), è comunque esplicazione di un diritto – quello “ad una buona amministrazione”, come si legge nell’art. 41 cit. – che trova riconoscimento e tutela nell’ordinamento nazionale, in spe-cie nell’art. 97 Cost. 33;

c) si determina una disparità di trattamento fra i tributi “armonizzati” e

32 Anche BEGHIN, Il contraddittorio endoprocedimentale, cit., pp. 484-485 valorizza la portata dall’art. 1, comma 1 cit. e, in particolare, il «riferimento ai principi generali dell’or-dinamento comunitario, i quali, una volta intercettati attraverso la giurisprudenza della Corte di Giustizia, sono deputati ad irradiarsi nell’ordinamento domestico e a regolare, così, anche l’attività del Fisco». Analogamente, v. CARINCI-DEOTTO, Il contraddittorio tra regola e principio, cit., p. 211.

33 Sul punto, v. CARINCI-DEOTTO, Il contraddittorio tra regola e principio, cit., p. 211, i quali parimenti evidenziano il nesso esistente fra l’art. 41 cit. e l’art. 97 cit.

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DOTTRINA RTDT – n. 3/2016 636

“non armonizzati” che non può giustificarsi per il solo fatto che i primi sono tesi a realizzare il concorso al sostenimento delle spese delle Istituzioni eu-ropee mentre i secondi di quelle nazionali. Difatti, siamo comunque al co-spetto di prestazioni aventi le stesse natura e finalità 34. Non solo, detta di-sparità, oltre che ingiustificata, è anche irrazionale ove si consideri che, di frequente, è unico il procedimento istruttorio che concerne le imposte eu-ropee e quelle italiane (si pensi all’IVA, da un lato, ed ai tributi sul reddito e all’IRAP, dall’altro), sicché la mera circostanza che un tributo “armonizza-to” venga accertato unitamente ad altri che tali non sono comporta l’esten-sione della garanzia del contraddittorio (non essendo, invero, ipotizzabile che quest’ultimo si svolga solamente per l’imposta europea allorché l’istrut-toria sia unitaria) 35;

d) il contraddittorio realizza il diritto di difesa, consentendo al contri-buente – oltre alla deduzione degli argomenti idonei ad evitare l’enunciazio-ne della pretesa impositiva – la partecipazione alla fase di formazione delle prove e degli indizi che potranno poi essere sottoposti al Giudice (in osse-quio all’art. 24 Cost.), nonché la parità fra le parti nella successiva eventuale fase contenziosa e la “equità” di quest’ultima (secondo l’art. 111 Cost.). Es-so assicura altresì il buon andamento della Pubblica Amministrazione (in adempimento dell’art. 97 Cost.) ed il rispetto del diritto europeo da parte dell’ordinamento nazionale (in conformità all’art. 117 Cost.) 36. Assumere, quindi, la non operatività del contraddittorio per i tributi nazionali si tradu-ce nella mancata attuazione degli evidenziati valori costituzionali: ciò che suggerisce di offrire una lettura costituzionalmente orientata delle norme interne, affermando la doverosità del contraddittorio anche laddove non sia

34 Pure la Corte di Cassazione, Sezione VI, con la menzionata ordinanza n. 527/2015, ha riconosciuto che «sarebbe innegabilmente stridente (e potrebbe forse destare qualche dubbio di legittimità costituzionale) differenziare il regime delle garanzie procedimentali del procedimento di accertamento tributario in ragione della natura – armonizzata o meno – del tributo oggetto di accertamento». In termini simili, v. altresì CARINCI-DEOTTO, Il con-traddittorio tra regola e principio, cit., p. 209.

35 Ove, invece, il contraddittorio non venisse svolto e l’atto impositivo recasse pretese afferenti tanto tributi europei quanto imposte nazionali, si potrebbero verificare gli «esiti differenziati in giudizio» correttamente evocati da STEVANATO, Sul contraddittorio proce-dimentale, cit., p. 387; ossia potrebbe assistersi all’annullamento solo parziale del provve-dimento per la parte concernente la prestazione impositiva “armonizzata”.

36 Fra l’altro, le stesse Sezioni Unite avevano fatto leva, con la precedente sent. n. 19667/2014, anche sugli artt. 24 e 97 Cost. per sostenere che il diritto al contraddittorio fosse «un principio fondamentale immanente nell’ordinamento».

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Francesco Pistolesi 637

puntualmente previsto 37. Lettura, quest’ultima, che si rivela tanto più neces-saria se si tiene presente che l’esclusione del contraddittorio non è funziona-le alla tutela di alcun principio costituzionale. In particolare, l’esigenza di as-sicurare l’efficace accertamento dei tributi meglio si soddisfa consentendo il dialogo preprocessuale fra il privato ed il Fisco piuttosto che, attraverso l’omissione del contraddittorio, privilegiando la celerità dell’azione ammini-strativa a scapito della sua completezza ed efficienza.

Ad ogni modo, la questione non è chiusa perché, anche dopo l’ultimo ar-resto delle Sezioni Unite, la Cassazione (sezione VI, ordinanza n. 2879/2016 del 12 febbraio 2016) ha affermato l’operatività generalizzata del contrad-dittorio e la Commissione Tributaria Regionale della Toscana (ordinanza n. 736/1/2016 del 18 gennaio 2016) ha investito del tema la Consulta, pro-spettando la violazione degli artt. 3, 24, 53, 111 e 117 Cost. 38.

Si aggiunga, inoltre, che ulteriori questioni di significativa portata do-vranno essere inevitabilmente affrontate e non v’è dubbio che se ne farà ca-rico anche la giurisprudenza europea.

Intendo riferirmi alla delimitazione dei confini del contraddittorio, alla necessità che il relativo esercizio non si risolva in un vuoto adempimento formalistico ma sia di concreto ausilio per entrambe le parti del rapporto obbligatorio tributario ed all’estensione ai tributi nazionali della “prova di resistenza” richiesta per quelli europei.

37 Secondo l’ultima pronuncia delle Sezioni Unite, la lettura costituzionalmente orien-tata non sarebbe consentita poiché non potrebbe attribuirsi alle norme nazionali tributarie altro significato che quello di escludere un generalizzato contraddittorio. In verità, le nor-me in questione non negano il contraddittorio, limitandosi piuttosto a non prevederlo. Ecco, allora, che potrebbe prospettarsene un’interpretazione che, senza contraddirne la portata letterale, riconosca la generalità dell’interlocuzione fra il Fisco ed il privato. Come, del resto, le stesse Sezioni Unite avevano fatto con la pronuncia n. 19667/2014. Né, anco-ra, si porrebbero soverchie difficoltà, come paventano le Sezioni Unite con la sent. n. 24823/2015, nel ravvisare, in via interpretativa, modalità di svolgimento del contradditto-rio ed effetti della sua mancata osservanza. L’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, quale nor-ma recata da un provvedimento legislativo espressivo di principi generali e dunque di in-dubbia valenza sistematica, potrebbe ovviare al riguardo, sia per quanto attiene alle men-zionate modalità che con riferimento alla consolidata interpretazione degli effetti della sua violazione.

38 Pure BEGHIN, Il contraddittorio endoprocedimentale, cit., pp. 485-486 sostiene che l’interpretazione dell’art. 12, L. n. 212/2000 affermata dall’ultima pronuncia delle Sezioni Unite sia illegittima costituzionalmente per disparità di trattamento, per violazione del di-ritto di difesa, per violazione del principio di buon andamento della Pubblica Amministra-zione e per contrasto con le disposizioni riguardanti la potestà legislativa dello Stato.

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DOTTRINA RTDT – n. 3/2016 638

Per un verso, come segnalato prima, la CGUE è netta nell’imporre lo svolgimento del contraddittorio nella sola fase che precede l’adozione del provvedimento impositivo e non anche in quella d’indagine in cui l’Ammi-nistrazione finanziaria raccoglie gli elementi istruttori adducibili a conforto della propria pretesa.

Come acutamente osservato 39, occorrerebbe distinguere caso per caso gli atti istruttori compiuti dall’Amministrazione perché andrebbe affermata la necessità del contraddittorio ogni volta che vengano acquisiti elementi non ripetibili, come le dichiarazioni dei terzi. Infatti, il contraddittorio non svoltosi nella fase istruttoria amministrativa rischia, poi, di non potersi pie-namente ed efficacemente espletare in sede giurisdizionale, ove si rammenti la deprecata impossibilità di ricorrere alla prova testimoniale.

Per l’altro verso, per non far sì che il contraddittorio sfumi in un mero adempimento formale, è indispensabile che la motivazione dell’eventuale atto impositivo formato dopo il suo svolgimento sia sempre “rafforzata”. Ossia che dia conto dell’interlocuzione avvenuta e delle ragioni che hanno indotto l’Amministrazione a non condividere, in tutto o in parte, gli argo-menti esposti dal contribuente: solo così si induce il privato ad un contegno leale e trasparente e si obbliga l’Ente pubblico a rafforzare, nell’interesse an-zitutto della collettività, il fondamento delle pretese impositive, attraverso appunto una compiuta motivazione delle stesse 40.

Ma questo non è sufficiente a garantire che il contribuente non partecipi al contraddittorio o lo faccia con il deliberato intento di riservarsi alla sede giurisdizionale le deduzioni idonee a palesare l’incondivisibilità delle tesi erariali.

Posto che nessuna preclusione processuale potrebbe introdursi nel caso (in ragione del rammentato principio “nemo tenetur se detegere”), le prove e le difese non addotte nel contraddittorio potranno essere riversate in giudi-zio. Il Giudice potrà solo tener conto dell’omessa o reticente partecipazione al contraddittorio per regolare le spese di lite, ossia disponendone la com-pensazione allorché l’Amministrazione risultasse soccombente 41.

39 Cfr. LAROMA JEZZI, Si fa presto a dire “diritto al contraddittorio”, in Corr. trib., 2015, p. 3760 ss.

40 In questo senso, v., ancora, LAROMA JEZZI, Si fa presto a dire, cit., p. 3763 ss. 41 La mancata o reticente partecipazione al contradditorio può, invero, integrare quelle

«gravi ed eccezionali ragioni» che, secondo l’art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, pos-sono consentire al Giudice tributario, che espressamente motivi al riguardo, di compensa-re in tutto od in parte le spese processuali al di fuori dell’ipotesi di reciproca soccombenza.

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Da ultimo, sempre nell’ottica di valorizzare il principio – codificato dal-l’art. 10, L. n. 212/2000 – della correttezza e della leale collaborazione nei rapporti fra Fisco e contribuente, la menzionata “prova di resistenza” deve operare anche nel contraddittorio regolato dalle norme interne con riguar-do ai tributi “non armonizzati”. Ciò, oltretutto, consentirebbe di evitare un impiego formalistico e strumentale, da parte del privato, del confronto en-doprocedimentale con l’Ente impositore, che rappresenta un timore pale-semente avvertito dalle Sezioni Unite della Cassazione nella loro ultima pronuncia 42.

Insomma, non è azzardato pronosticare che il tema del contraddittorio rappresenterà pure nel prossimo futuro un “cantiere aperto” per gli operato-ri ed i cultori del diritto tributario.

6. Il principio del “ne bis in idem”

Un ulteriore profilo del confronto fra le Corti europee ed i Giudici italia-ni attiene al principio del “ne bis in idem” 43.

Esso è sancito dall’art. 4 del protocollo n. 7 della CEDU e dall’art. 50 del-la CDFUE.

In virtù di tali norme, nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’UE in seguito ad una sentenza penale definitiva.

Secondo la CGUE e la Corte EDU, questo principio vale anche se la san-zione, formalmente qualificata come amministrativa, abbia “sostanzialmen-te” natura penale. E compete al Giudice nazionale effettuare tale verifica.

Alla luce dell’indirizzo interpretativo espresso dalla giurisprudenza euro-

42 Per parte mia, già in passato, avevo auspicato l’adozione della “prova di resistenza”: v. PISTOLESI, La “invalidità” degli atti impositivi in difetto di previsione normativa, in Riv. dir. trib., 2012, I, pp. 1138-1139.

43 Sulla portata del principio in esame nella materia tributaria, cfr., da ultimo e per tutti, CONTI, Ne bis in idem, in AA.VV., Il libro dell’anno del diritto 2015, cit., p. 438 ss.; RUSSO, Il principio di specialità ed il divieto del ne bis in idem alla luce del diritto comunitario, in Riv. dir. trib., 2016, I, p. 23 ss.; DOVA, Ne bis in idem e reati tributari: a che punto siamo?, in Diritto penale contemporaneo, 2016; MERONE, L’espansione del principio del ne bis in idem nella giu-risprudenza CEDU: ritorno al passato per gli illeciti tributari e aspettative di democratizzazio-ne dei rapporti tributari, in AA.VV., Il nostro sistema tributario all’esame della CEDU. Le que-stioni ancora aperte, cit., p. 83 ss.

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DOTTRINA RTDT – n. 3/2016 640

pea 44, nessuno può dubitare della “sostanziale” natura penale delle sanzioni amministrative tributarie italiane, vuoi per le loro finalità deterrente ed af-flittiva, vuoi per la matrice penalistica del nostro sistema normativo concer-nente dette sanzioni, vuoi per il relativo elevato ammontare.

Nell’ordinamento nazionale, il rapporto fra sanzioni amministrative e penali è disciplinato dall’art. 19, D.Lgs. n. 472/1997, il quale fissa il princi-pio di c.d. “specialità”, in modo da assicurare l’applicazione della sola san-zione speciale ove lo stesso fatto sia punibile tanto come reato quanto come illecito amministrativo 45, ed attua il canone del “ne bis in idem” sostanziale.

V’è, però, una differenza significativa rispetto all’analogo principio euro-peo, che peraltro ha carattere processuale, come ha di recente riconosciuto anche la Corte costituzionale 46.

L’art. 19 cit. ha riguardo all’astratta fattispecie normativa, mentre per il diritto e la giurisprudenza europei rileva il fatto in concreto 47.

Dunque, il principio europeo ha portata più ampia di quello nazionale,

44 Con la sent. 23 novembre 2006, “Jussila”, la Corte EDU ha riconosciuto natura pena-le ad una sovrattassa amministrativa finlandese pari al 10% della maggiore imposta prete-sa: ciò in considerazione delle sue finalità deterrente ed afflittiva. Analogamente, la mede-sima Corte, con la sent. 20 settembre 2011, “Yukos”, ha ravvisato la stessa natura nella sanzione amministrativa russa del 40% del tributo evaso. Infine, la stessa Corte, con la pronuncia 27 novembre 2014, “Lucky Dev”, è giunta alle medesime conclusioni con rife-rimento a sanzioni svedesi pari al 20% ed al 40% dell’imposta pretesa, precisando che il processo “parallelo” deve interrompersi allorché l’altro (sia esso quello afferente la sanzio-ne penale o quella amministrativa) si definisce. Va segnalato, peraltro, come la Corte di Cassazione abbia talora escluso siffatta natura sostanzialmente penale per le sanzioni tri-butarie previste per il mancato versamento delle ritenute certificate: v. Cass., sez. III pen., 15 maggio 2014, n. 20266. Per la corretta critica a quest’ultimo indirizzo interpretativo, cfr. DOVA, Ne bis in idem, cit., p. 12.

45 Come correttamente segnala DOVA, Ne bis in idem, cit., p. 5, l’art. 19 cit. accorda la tendenziale preminenza delle fattispecie penali rispetto a quelle amministrative, poiché – di regola – presuppongono il dolo specifico e/o il superamento di una soglia di punibilità.

46 Cfr. la sent. 12 maggio 2016, n. 102, che ha dichiarato inammissibili le questioni sol-levate con riferimento alla prospettata violazione del principio del “ne bis in idem” in ambiti diversi da quello tributario. In detta pronuncia, fra l’altro, la Consulta ha affermato, con riguardo al meccanismo del c.d. “doppio binario” (che, anche nella nostra materia, non contempla alcun coordinamento fra il processo tributario e quello penale vertenti sui me-desimi fatti), «che spetta anzitutto al legislatore stabilire quali soluzioni debbano adottarsi per porre rimedio alle frizioni che tale sistema genera tra l’ordinamento nazionale e la CEDU».

47 Così si esprimono anche RUSSO, Il principio di specialità, cit., p. 31 e DOVA, Ne bis in idem, cit., pp. 5 e 9 ss.

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Francesco Pistolesi 641

tant’è che la Corte di Cassazione non ravvisa come speciale la sanzione pe-nale per omesso versamento di ritenute certificate e la corrispondente san-zione amministrativa poiché sono diverse le relative fattispecie normative 48: se invece operasse il canone europeo, sarebbe arduo assumere l’applicabilità delle due sanzioni giacché esse puniscono lo stesso fatto, ossia il mancato versamento delle ritenute.

Allora, sembra inevitabile ravvisare un contrasto fra l’art. 19 cit. e l’ordi-namento europeo.

Analogamente, confliggono con il diritto unionale le norme che stabilisco-no la necessità di versare la sanzione amministrativa per “patteggiare” la san-zione penale (art. 13 bis, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000) e per beneficiare della circostanza attenuante della riduzione a metà della stessa sanzione penale e dell’inapplicabilità delle relative pene accessorie (art. 13 bis, comma 1, cit.) 49. Se il fatto punito dalla sanzione amministrativa è lo stesso che determina l’ap-plicazione della misura afflittiva penale, il versamento della sanzione ammini-strativa, siccome avente natura “sostanzialmente” penale, non può che impedi-re – alla luce del principio del “ne bis in idem” – l’irrogazione di quella penale.

Pertanto, il Giudice nazionale dovrebbe disapplicare le menzionate norme del D.Lgs. n. 74/2000 laddove vengano in rilievo i tributi “armoniz-zati” (per contrasto con l’art. 50 della CDFUE) e sollevare questione di co-stituzionalità per violazione dell’art. 117 per gli altri tributi 50.

48 Cfr. Cass., sez. un. pen., 28 marzo 2013, n. 37425. In verità, secondo tale pronuncia, l’illecito amministrativo e quello penale hanno ad oggetto comportamenti diversi e sono integrati da fatti diversi. Di modo che, pur nella comunanza di una parte dei presupposti e della condotta, gli elementi costitutivi dei due illeciti divergono in alcune componenti es-senziali. E questo fa sì che il rapporto fra detti illeciti sia in termini non di specialità ma di progressione. Cosicché la perseguibilità di entrambi non si porrebbe in contrasto con il principio del “ne bis in idem”. In proposito, v. le condivisibili considerazioni critiche espres-se da DOVA, Ne bis in idem, cit., p. 7.

49 Conformemente, v. ancora RUSSO, Il principio di specialità, cit., p. 33, nonché CONTI, Ne bis in idem, cit., p. 442 (seppur con riferimento alla disciplina antecedente alla riforma da ultimo apportata al D.Lgs. n. 74/2000 dal D.Lgs. n. 158/2015).

50 In questi termini, v. anche Cass., sez. III pen., 11 maggio 2015, n. 19334 e CONTI, Ne bis in idem, cit., p. 443. Merita di essere segnalata, a questo riguardo, la recente sent. n. 193 del 20 luglio 2016 della Corte costituzionale poiché espressiva della “cautela” della Con-sulta nel ravvisare un contrasto fra la normativa interna e l’art. 117 Cost. in relazione alle disposizioni della CEDU (in tal caso, in particolare, si è escluso che il principio di retroat-tività della norma sanzionatoria più favorevole – affermato in più occasioni dalla Corte EDU, laddove la misura afflittiva abbia sostanzialmente natura “penale” – si applicasse al complessivo sistema sanzionatorio disciplinato dalla L. n. 689/1981).

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DOTTRINA RTDT – n. 3/2016 642

Tuttavia, credo che il rilevato contrasto fra norme nazionali ed europee possa sussistere solo se si riscontri l’effettiva condanna al versamento della sanzione amministrativa 51: non vanno, quindi, presi in considerazione tutti i numerosi casi nei quali la misura afflittiva amministrativa viene corrisposta nel contesto di una soluzione stragiudiziale della controversia tributaria, at-tuale o potenziale, o ricorrendo al c.d. “ravvedimento operoso” o prestando acquiescenza alla pretesa impositiva al fine di conseguirne una riduzione (e ciò, beninteso, non determini una causa di non punibilità in sede penale ex art. 13, D.Lgs. n. 74/2000).

Non solo, il principio del “ne bis in idem” non spiega i propri effetti neppure quando non vi sia identità fra l’imputato in ambito penale ed il soggetto che soggiace all’applicazione della sanzione amministrativa 52, ossia nelle ipotesi nel-le quali la misura afflittiva amministrativa colpisca un soggetto, diverso dalla per-sona fisica, in nome e per conto del quale è stato commesso l’illecito fiscale.

Ciò fa sì che, in concreto, l’effettiva portata del principio in discussione nell’ordinamento interno sia ben più contenuta di quanto ad una prima im-pressione potrebbe apparire.

Questo non significa che non occorra, sul punto, un intervento del Legisla-tore per rendere più razionale e, soprattutto, più efficace il coordinamento fra sanzioni penali ed amministrative a fronte del medesimo fatto materiale 53.

51 Anche secondo RUSSO, Il principio di specialità, cit., p. 35, sussistono dubbi sull’ope-ratività del principio in discussione «allorché l’assoggettamento alla sanzione amministra-tiva venga a dipendere da atti volontari del contribuente».

52 Analogamente, cfr. RUSSO, Il principio di specialità, pp. 27-28 e 36. e DOVA, Ne bis in idem, cit., pp. 10 e 11.

53 Analogamente, v. MERONE, L’espansione del principio del ne bis in idem nella giurispru-denza CEDU, cit., p. 99. La “tensione” esistente sull’argomento in esame è testimoniata, fra l’altro, dal fatto che il Tribunale di Bergamo, con ordinanza in data 16 settembre 2015, ha invitato la CGUE a chiarire se esista o meno la possibilità di celebrare un processo penale per il quale è stata già assolta la sanzione amministrativa (al riguardo, v. VIGANÒ, Ne bis in idem e omesso versamento dell’IVA: la parola alla Corte di giustizia, in Diritto penale contem-poraneo, 2015). Non solo, il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 21 aprile 2015, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 649 c.p.p. «nella parte in cui non prevede l’applicabilità della di-sciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui all’imputato sia già stata commina-ta, per il medesimo fatto nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione EDU e dei relativi Pro-tocolli» (a quest’ultimo proposito, la Corte costituzionale, con ordinanza n. 112 del 20 maggio 2016, ha rimesso gli atti al Giudice a quo perché valutasse nuovamente la questio-ne sollevata alla luce della riforma dei reati tributari introdotta dal D.Lgs. n. 158/2015).

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Un primo passo in tal senso è stato compiuto con il D.Lgs. n. 158/2015, adottato in attuazione della L. n. 23/2014, che ha previsto 54 determinate ipotesi di non punibilità in sede penale laddove sia stato completamente sa-nato l’illecito fiscale mediante la corresponsione dell’imposta, degli interessi e della sanzione amministrativa. Ma la soluzione, forse, più opportuna – nel-l’ottica di un’eventuale riforma normativa, per la quale peraltro non sono probabilmente ancora maturi i tempi – potrebbe essere quella di punire esclusivamente con la sanzione penale gli illeciti in materia tributaria rileva-tori di un significativo disvalore sociale (quali sono, in specie, quelli che pre-figurano un atteggiamento fraudolento dell’autore della condotta) e riserva-re la sola sanzione amministrativa a tutti i restanti illeciti 55.

7. La sentenza “Taricco”

Per terminare, un’altra manifestazione del “dialogo” fra la giurisprudenza europea e quella nazionale nella materia tributaria potrebbe, in futuro, di-scendere dalla sentenza “Taricco” (8 settembre 2015, causa C-105/14) del-la CGUE 56.

Siccome l’art. 325 del Trattato di funzionamento della UE (TFUE) im-pone agli Stati membri l’adozione di misure idonee a garantire un apparato preventivo e repressivo a tutela degli interessi finanziari della UE, la CGUE ha affermato che il Giudice nazionale è tenuto a disapplicare le norme in-terne incompatibili con il concreto perseguimento di tale finalità.

In specie, per dare piena efficacia all’art. 325 cit., si presta ad essere di-sapplicata, in costanza di atti interruttivi, la disciplina italiana sul termine massimo di prescrizione dei reati tributari integranti “frodi gravi” ai fini IVA.

A seguito di detta presa di posizione, la Corte di Cassazione, con la sen-tenza c.d. “Pennacchini” (20 gennaio 2016, n. 2210, III Sezione Penale),

54 Cfr. il nuovo art. 13, D.Lgs. n. 74/2000. 55 In questo senso, v. RUSSO, Il principio di specialità, cit., p. 36 ss. Anche DOVA, Ne bis in

idem, cit., p. 14 ss. si esprime in termini analoghi, sebbene reputi di sanzionare solo in sede penale gli illeciti che superino determinate soglie di punibilità.

56 Per le prime considerazioni su queste pronunce, v. LUPO, La primauté del diritto dell’UE e l’ordinamento penale nazionale. Riflessioni sulla sentenza Taricco, in Diritto penale contemporaneo, 2016; MANES, La “svolta” Taricco e la potenziale “sovversione di sistema”: le ragioni dei controlimiti, ibidem; DI SIENA, L’imprescrittibilità delle gravi frodi IVA in presenza di atti interruttivi, in Corr. trib., 2016, p. 1404 ss.

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aderendo all’indirizzo espresso nella pronuncia “Taricco”, ha disapplicato la normativa interna che impone un limite cronologico massimo per il maturarsi della prescrizione pur in presenza di più atti interruttivi. Poi, più di recente, il 30 marzo 2016, sempre la III Sezione Penale della Cassazione ha invitato la Corte costituzionale a valutare se la disapplicazione delle norme che sanci-scono un termine massimo entro cui la prescrizione matura in ogni caso con-trasti con gli artt. 3, 11, 25, comma 2, 27, comma 3, 101, comma 2, Cost.

Premesso che non compete a chi scrive pronunciarsi sull’indirizzo espres-so dalla CGUE, trattandosi di questione attinente all’applicazione del diritto penale, occorre, tuttavia, chiedersi se questo tema possa interessare i tributi “armonizzati”.

Difatti, in presenza di gravi frodi in materia di IVA, potrebbe sorgere il dubbio se l’esigenza di assicurare il rispetto dell’art. 325 cit. possa indurre il Giudice nazionale a disapplicare la disciplina interna che pone un termine decadenziale all’azione di accertamento svolta dall’Amministrazione finan-ziaria.

La ratio di siffatta disapplicazione potrebbe apparire la medesima che ha spinto la CGUE a pronunciarsi nel senso ricordato in relazione alla prescri-zione per i reati traenti origine dalla commissione di gravi condotte frodato-rie in tema di IVA.

Anzi, l’esigenza di assicurare il recupero del tributo evaso potrebbe addirit-tura sembrare più stringente nel postulare la disapplicazione della disciplina italiana sui termini di decadenza dell’attività accertativa svolta dal Fisco.

Oltretutto, a tal fine, alcuni dei “controlimiti” prospettati dalla menzionata ordinanza di remissione alla Consulta non verrebbero in rilievo (quelli, per la precisione, facenti leva sugli artt. 25 e 27 Cost.) per quanto attiene alla pretesa amministrativa concernente il tributo (non però per quella afferente le corre-late sanzioni amministrative, per ciò che riguarda l’art. 25 Cost.).

Tuttavia, credo che il tentativo di disapplicare il termine di decadenza in materia di IVA, pur al cospetto delle rammentate gravi frodi, non possa ra-gionevolmente prospettarsi.

Infatti, la CGUE non ha sostenuto che nessun termine prescrizionale debba operare per i reati dei quali si discorre. Ha solo censurato la disciplina italiana riguardante l’interruzione di detto termine e, in particolare, la pro-roga massima che da essa ne discende.

Per l’azione amministrativa di accertamento dell’illecito in ordine al-l’IVA, il termine è decadenziale e non prescrizionale. Esso non conosce in-terruzione, in conformità al regime proprio della decadenza (si veda, al ri-

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guardo, l’art. 2964 c.c.). Di modo che, ove se ne affermasse la disapplicazio-ne, l’effetto che ne conseguirebbe è che il Fisco potrebbe sine die procedere al recupero del tributo.

In sostanza, nessun termine sarebbe posto all’azione accertativa dell’Am-ministrazione finanziaria.

Conclusione, quest’ultima, inaccettabile perché introdurrebbe un’intol-lerabile situazione di incertezza, gravemente pregiudizievole delle ragioni del contribuente, il quale deve poter confidare – una volta decorso il termi-ne decadenziale – nel definitivo consolidamento del rapporto obbligatorio d’imposta di cui è titolare dal lato passivo.

Non solo, essa non gioverebbe certamente al corretto e proficuo svolgi-mento dell’azione amministrativa, che potrebbe indulgere ad inaccettabili lassismi e determinare ingiustificate disparità di trattamento fra i privati a seconda della maggiore o minore sollecitudine dell’Ente preposto ad accer-tare le eventuali evasioni dell’IVA al cospetto di gravi frodi.

Ancora, l’art. 325, par. 2 cit. prevede che gli Stati, per combattere le frodi lesive degli interessi finanziari dell’UE, debbano assumere «le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finan-ziari». Siccome anche l’azione di recupero dei tributi “non armonizzati” (si pensi, essenzialmente, alle imposte sui redditi ed all’IRAP) si deve svolgere entro lo stesso termine decadenziale, non si ravviserebbe – da questo punto di vista – alcuna lesione della norma testé menzionata.

In ogni caso, ed in via decisiva, l’ipotesi prospettata contrasterebbe sicu-ramente con l’art. 41 della CDFUE, secondo cui ciascuno ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate, oltre che in modo imparziale ed equo, «entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi del-l’Unione».

Perciò, pare sensato concludere che la c.d. sentenza “Taricco” non sia destinata ad avere influenza nell’attuazione delle norme nazionali che so-vrintendono all’accertamento degli illeciti amministrativi ai fini IVA.

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María Esther Sánchez López

LA TRANSMISIÓN AUTOMÁTICA DE INFORMACIÓN. ¿HACIA UN SISTEMA GLOBAL DE

INTERCAMBIO DE DATOS? *

LO SCAMBIO AUTOMATICO DI INFORMAZIONI. VERSO UN SISTEMA GLOBALE DI SCAMBIO DI DATI?

AUTOMATIC EXCHANGE OF INFORMATION: TOWARDS A GLOBAL SYSTEM FOR THE EXCHANGE OF TAX DATA?

Abstract El contexto actual de globalización, crisis económica y competencia fiscal ha su-puesto la reacción de las organizaciones internacionales (en particular, la OCDE y la UE) en orden a la instauración de un “nuevo estándar de intercambio de in-formación”, basado en el intercambio automático de datos, que encuentra su an-tecedente en FATCA. Avance que persigue como objetivo la lucha contra el fraude fiscal desde el convencimiento de que dicha finalidad solo puede conse-guirse a través de la coordinación de los procedimientos de los distintos Estados, a partir de la instauración de sistemas estandarizados de intercambio de infor-mación y, fundamentalmente, desde la construcción de una cultura de la coope-ración que coadyuve a superar los obstáculos que se oponen a un efectivo inter-cambio de datos a nivel internacional. Palabras clave: intercambio automático de información, OCDE, FATCA, Unión Europea, cultura administrativa de la cooperación, fraude fiscal Il contesto attuale di globalizzazione, la crisi economica e la concorrenza fiscale ha dato origine alla reazione degli organismi internazionali (in particolare l’OCSE

* Contributo non soggetto a revisione esterna, in quanto già pubblicato in Quincena Fiscal, n. 10/2016.

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e l’UE) al fine di creare un “nuovo standard per lo scambio di informazioni”, ba-sato sullo scambio automatico dati, che trova il suo precedente nella FATCA. Questa tendenza rappresenta un grande progresso verso il raggiungimento del-l’obiettivo di lotta alla frode fiscale nella convinzione che tale obiettivo può esse-re raggiunto solo attraverso il coordinamento delle procedure tra i vari Stati, par-tendo dalla creazione di sistemi di scambio di informazioni standardizzate e, so-prattutto, dalla costruzione di una cultura della cooperazione che può aiutare a superare gli ostacoli che impediscono un effettivo scambio di dati a livello inter-nazionale. Parole chiave: scambio automatico di informazioni, OCSE, FATCA, Unione Europea, cultura amministrativa di cooperazione, frode fiscale The actual context of economic globalization, recession and tax competition has giv-en rise to an important reaction by international organizations (in particular, the OECD and the European Union) in order to establish the so-called “new standard for exchange of information”, based on the automatic data exchange and inspired by the FATCA experience. This trend represents a great progress towards the achieve-ment of the objective of tackling tax evasion on an international scale. Nevertheless, this aim requires not only the coordination of national tax procedures and the estab-lishment of standardised systems for the exchange of information, but also (and mainly) the building of a culture of administrative cooperation and transparency among States. Keywords: automatic exchange of information, OECD, FATCA, European Union, administrative culture for an international cooperation

SUMARIO: 1. Introducción. – 2. El intercambio automático de informacion. Iniciativas. – 2.1. El intercam-bio automático de información en el seno de la Unión Europea. – 2.2. Los trabajos de la OC-DE. – 2.3. La iniciativa FATCA. – 3. La relevancia del intercambio automático de información tributaria. Algunas reflexiones. – 4. Conclusiones.

1. Introducción

En el contexto actual de globalización económica, en el que los cambios se producen con asombrosa rapidez, asistimos en los últimos años al fuerte impulso dado a los mecanismos de intercambio de información tributaria y, en particular, a uno de los cauces de transmisión de los mismos, esto es, el intercambio automático de datos entre Estados.

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María Esther Sánchez López 649

Impulso, en efecto, que parece obedecer a unas circunstancias económicas y políticas determinadas, como es la lucha contra la evasión y el fraude fiscal en un escenario de crisis económica mundial y que no solamente encuentra origen en la iniciativa FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act), lide-rada por EEUU, sino también, y sobre todo, en el constante trabajo, plas-mado en acciones concretas, que en este ámbito se viene realizando tanto por parte de la Unión Europea (en adelante, UE) como por la Organización para la Cooperación y el Desarrollo Económico (en adelante, OCDE).

Situación, por tanto, que nos permite comenzar afirmando que se están dando pasos importantes hacia un sistema más eficaz de intercambio de in-formación si bien nos parece todavía arriesgado aludir a la existencia de lo que se ha denominado estándar global de intercambio de información tributa-ria 1 y, más concretamente, en relación con el intercambio automático de in-formación 2.

En este sentido, y según se expondrá a lo largo de las páginas que siguen, pensamos que existen todavía importantes escollos que se oponen a la reali-zación de dicho estándar común entre los que cabe mencionar el secreto bancario, los paraísos fiscales o la misma soberanía fiscal 3. Obstáculos, junto

1 Tal como se denominó (ente otros foros) en la declaración final de la reunión manteni-da por el G-20 en septiembre de 2013 (San Petersburgo), en la cual se otorga un “apoyo no-table al nuevo estándar único global de intercambio automático de información”. Idea, en relación con la cual, ha afirmado CARBAJO VASCO, Últimas tendencias en fiscalidad: BEPS e intercambio automático de información, en Boletín Foro Fiscal Iberoamericano, 2º Semestre de 2014, p. 49, que el intercambio automático internacional en materia tributaria «conforma por sí mismo desde hace pocos meses el estándar internacional en esta materia y el instru-mento más importante de cooperación internacional en materia fiscal ahora vigente».

2 Línea en que ha señalado CALDERON CARRERO, El procedimiento de intercambio de in-formación establecido en los Convenios de Doble Imposición basados en el Convenio de la OC-DE, en Fiscalidad Internacional (2), SERRANO ANTON (Dir.), CEF, Madrid, 2015, p. 1437, que el intercambio rogado o previo requerimiento constituye “actualmente el principal mecanismo de asistencia administrativa mutua y el estándar internacional en materia de transparencia e intercambio de información establecido por el Global Forum on Transpa-rency and Exchange of Information”, si bien cabe hablar de un “emergente estándar global en materia de intercambio automático de información sobre cuentas financieras que ha desa-rrollado la OCDE con el apoyo del G-20”. (El subrayado es nuestro).

3 Soberanía, en relación con la cual ha indicado SACCHETTO, Exchange of Tax Informa-tion. Connections with Criminal Proceedings. The Italian approach, en Riv. dir. trib. int., núms. 1-2, 2009, p. 80, que la imposición en materia fiscal se encuentra limitada rígidamente al territorio nacional, en cuanto expresión de la soberanía del Estado. Consideraciones junto a las que merece la pena destacar las de SEER, La cooperazione internazionale in materia fis-cale – Situazione e prospettive nei paesi membri dell’UE, en Riv. dir. trib. int., núms. 1-2, 2009,

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a los cuales, es preciso destacar, además, que el diseño de un adecuado in-tercambio de información debe pasar por la búsqueda constante del equili-brio entre la obtención de la información y la garantía de los derechos del contribuyente afectado debiendo afirmar, en relación con ello, que el avan-ce protagonizado por dicho instrumento, tanto a nivel internacional como comunitario, no se ha visto acompañado por un desarrollo paralelo de la protección del contribuyente en los procedimientos de intercambio de in-formación tributaria 4.

2. El intercambio automático de información. Iniciativas

Como es conocido, el intercambio automático de datos se ha configura-do tradicionalmente como uno de los medios o cauces posibles de inter-cambio de información tributaria (junto a la información previa petición o ad hoc y espontánea), según la normativa convencional y comunitaria, sien-do cierto que, fundamentalmente durante los últimos años, se viene po-niendo el acento en la potenciación del intercambio automático de datos con la finalidad esencial de dotar de una mayor eficacia a la utilización de dicho instrumento para el logro de determinados objetivos relacionados funda-mentalmente con la lucha frente al fraude fiscal.

Impulso que, tal como se ha indicado más arriba, se ha comenzado a mate-rializar en acciones concretas, a las que nos referiremos seguidamente, si bien es cierto que el mismo ha venido precedido de opiniones así como de actua-ciones que, procedentes tanto de la doctrina como de diversas instituciones, han puesto el acento en la necesidad de uniformar o acercar los procedimientos de intercambio de información entre Estados, en cuanto premisa ineludible de un adecuado funcionamiento del mecanismo mencionado. p. 73, quien se refiere al hecho de que si bien existe principio de territorialidad formal, que impide a un Estado llevar a cabo comprobaciones o investigaciones más allá de sus fronte-ras, no podemos hablar, sin embargo, de un principio de territorialidad material, que impida conectar las consecuencias jurídicas de las leyes nacionales con hechos o circunstancias acaecidas en otros Estados. Y ello debido a que la mayor parte de los países desarrollados adopta como criterio de imposición la renta mundial.

4 Sentido en que se ha afirmado que «las medidas que garantizan los derechos del con-tribuyente en los procedimientos de intercambio de información, no han sido desarrolla-das al mismo ritmo que la expansión del intercambio en sí» (Vid. MALHERBE-TELLO-GRAU RUIZ, La revolución Fiscal de 2014. FATCA, BEPS, OVDP, Instituto Colombiano de Derecho Tributario, Bogotá, 2015, p. 58).

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Muestra de ello son las palabras de CAAMAÑO ANIDO y CALDERON CAR-RERO con las que se refieren al hecho de que la reducción de las “asimetrías” existentes entre los procedimientos de los diversos Estados precisa que “las diferentes administraciones fiscales de los referidos países tengan acceso a las principales fuentes de información con trascendencia tributaria, lo cual re-quiere la uniformación del Derecho tributario formal” 5.

Línea, asimismo, en que también se situó hace años la Directiva 77/779/CEE, de 19 de diciembre, relativa a la asistencia mutua entre las au-toridades competentes de los Estados Miembros en el ámbito de los Im-puestos directos y en el de las primas de seguros, al indicar, en su Exposición de Motivos, que “Es conveniente intensificar la colaboración entre Adminis-traciones fiscales en el interior de la Comunidad sobre la base de normas y principios comunes” y en la que ha incidido también la Directiva 2011/16/UE, relativa a la cooperación administrativa en el ámbito de la fiscalidad, y que deroga la Directiva 77/799/CEE, así como diversos informes de las institu-ciones comunitarias.

Es posible comenzar afirmando, por tanto, en estas primeras líneas que la ne-cesidad de “acercar” los procedimientos o, dicho de otro modo, la instauración de un “estándar común de intercambio de información”, aparece como una preocupación sentida desde hace bastante tiempo en los más diversos ámbitos debiendo remarcar, sin embargo, que ha sido durante los últimos años cuando estamos asistiendo a un intento “firme” de lograr la uniformidad mencionada a través, precisamente, del mecanismo de intercambio automático de informa-ción, según tendremos ocasión de profundizar más adelante.

2.1. El intercambio automático de información en el seno de la Unión Europea

Tal como se acaba de indicar, es precisamente en el ámbito comunitario donde quizá se siente más tempranamente la urgencia de llevar a cabo la “armonización” o acercamiento de los procedimientos de intercambio de datos entre los Estados que componen la Unión Europea.

Efectivamente, la vigencia del principio de autonomía procedimental, en virtud del cual los Estados pueden aplicar sus propios procedimientos a la hora de intercambiar información, no puede conducir a una “dicotomía” o

5 Vid. CAAMAÑO ANIDO-CALDERON CARRERO, Globalización económica y poder tributa-rio. ¿Hacia un nuevo Derecho Tributario?, en Revista Española de Derecho Financiero, núm. 114, 2002, pp. 179-209.

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“esquizofrenia” en el ámbito de la asistencia mutua y, en particular, en refe-rencia al intercambio de información debido a que ello redunda directa-mente en la ineficacia de dicho instrumento.

Razón por la que se viene poniendo el acento en la necesidad de un mar-co jurídico reforzado y único, en materia de intercambio internacional de in-formación tributaria dotado de un enfoque comunitario, tanto a nivel legis-lativo como operativo 6. Y ello debido a que “las divergencias de los métodos de las diferentes administraciones han animado a los defraudadores a trasla-dar sus actividades a los Estados miembros en los que no se toman las me-didas adecuadas” (Dictamen del Comité Económico y Social Europeo so-bre la Propuesta de Directiva del Consejo por la que se modifica la Directiva 2006/112/CE).

Necesidad de “reforzar” la cooperación, a nivel comunitario, que ha sido puesta de manifiesto en numerosas ocasiones tanto por parte de la Comisión como del Consejo 7 y que, entre otras medidas, podemos afirmar que ha en-contrado plasmación en el decidido impulso otorgado al intercambio automá-tico de información tributaria.

Tendencia que fue asumida, en efecto, por la Directiva 2003/48/CE, de 3 de junio de 2003, en materia de fiscalidad de los rendimientos del ahorro en forma de pago de intereses, suponiendo un fuerte impulso al intercambio automatizado de datos 8, la cual indica significativamente en su EM que “El intercambio automático de información entre Estados miembros referente a los pagos de intereses previsto en la presente Directiva permite la imposi-ción efectiva de dichos pagos en el Estado miembro de residencia fiscal del beneficiario efectivo con arreglo a la legislación nacional del dicho Estado”, añadiendo que “es necesario, por tanto, establecer que los Estados miembros que intercambian información de conformidad con la presente Directiva no puedan hacer uso de la facultad de limitar el intercambio de información de acuerdo con lo previsto en el artículo 8 de la Directiva 77/799/CEE” 9.

6 Vid. Propuesta de Directiva del Consejo por la que se modifica la Directiva 2006/112/CE.

7 Vid., en relación con esta idea, BUCCIANO, Cooperazione amministrativa internazionale in materia fiscale, en Riv. dir. trib., fasc. 7-8, 2012, p. 669.

8 Cfr. CARBAJO VASCO-PORPORATTO, Los últimos avances en materia de Transparencia e Intercambio de Información Tributaria, en Centro Interamericano de Administraciones Tribu-tarias, Documentos de Trabajo, núm. 3, 2013, p. 24.

9 El subrayado es nuestro.

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Idea que ha subrayado también la Directiva 2011/16/UE, relativa a la cooperación administrativa en el ámbito de la fiscalidad, y que deroga la Di-rectiva 77/799/CEE, al indicar, en su Exposición de Motivos, que la refor-ma de la misma persigue, al tiempo, simplificar los procedimientos tanto pa-ra los poderes públicos como para los particulares estableciendo unas nor-mas y procedimientos comunes al objeto de facilitar al máximo la cooperación administrativa cotidiana entre Estados miembros.

Objetivo que se ha materializado, en cierta medida, con la reforma de la Directiva citada a través de la Directiva 2014/107/UE, de 9 de diciembre de 2014, que modifica la Directiva 2011/16/UE, por lo que se refiere a la obli-gatoriedad del intercambio automático de información en el ámbito de la fiscalidad, si bien es cierto que la Directiva 2011/16/UE ya situó el inter-cambio automático de información como una de las claves del funciona-miento de la misma, tal como es posible deducir tanto de su contenido co-mo de las enmiendas a la Propuesta de Directiva por parte de la Comisión 10, debiendo reseñar, por otra parte, que ello supuso un avance fundamental en relación con las previsiones contenidas respecto a este punto en la Directiva 77/799/CEE 11.

De este modo, en la Exposición de Motivos de la Directiva número 16 de 2011 “se reconoce que la obligación de intercambio automático e incondicional de información es el medio más eficaz de mejorar la evaluación correcta de los impuestos en situaciones transfronterizas y en la lucha contra el fraude” pre-viéndose en el artículo 8 las categorías de renta y patrimonio (cinco) objeto de intercambio automático que la autoridad competente de un Estado

10 De este modo, se indicaba, en la enmienda 1ª, que «Para la correcta aplicación y la comprobación de los distintos regímenes impositivos de los Estados miembros, es necesario contar con la adecuada información sobre las operaciones imponibles realizadas en otros Es-tados miembros”, añadiendo significativamente que, “entre las distintas modalidades, el in-tercambio automático se configura como el medio más eficaz de comunicar la información de uso corriente necesaria para una correcta aplicación de los impuestos, especialmente en situacio-nes transfronterizas ...».

11 Norma, cuyo artículo 3, dedicado Intercambio automático, disponía que «Para las modalidades de casos que se determinen en el procedimiento de consulta establecido en el artículo 9, las autoridades competentes de los Estados Miembros intercambiarán las in-formaciones a que se refiere el apartado 1 del artículo sin solicitud previa y de manera re-gular».

Así, y a tenor del citado artículo 9, la información objeto de intercambio y su periodi-cidad son determinadas por la Comisión, asistida de un Comité permanente para la cooperación administrativa.

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miembro comunicará a la autoridad competente del otro Estado miembro en relación “a las personas con residencia fiscal en ese otro Estado miembro” 12.

Tendencia que también siguen otras normas comunitarias como el Regla-mento UE 904/2010, relativo a la cooperación administrativa y la lucha contra el fraude en el ámbito del IVA, en cuya Exposición de Motivos se afirma que “Para luchar contra el fraude fiscal de forma eficaz es necesario establecer un intercambio de información sin solicitud previa, añadiendo que “para facilitar el intercambio de información, deben especificarse las categorías de datos para las que es necesario establecer un intercambio automático” 13.

Por consiguiente, y en el ámbito comunitario, pensamos que se están dando pasos importantes para la instauración de un estándar automático de intercambio de información tributaria, como demuestran los “avances” in-cluidos en la Directiva 2011/16/UE 14 (entre los que destacamos, a efectos de este estudio, la “flexibilización” del secreto bancario 15) y, en particular, en la Directiva 2014/107/UE.

Avances, en efecto, que están propiciando la coordinación o armoniza-ción de los procedimientos de intercambio de información sentando las bases, al mismo tiempo, de un espíritu de colaboración necesario para un eficaz desarrollo de dicho mecanismo. Idea, en relación con la cual, ha in-dicado SACCHETTO que el proceso de armonización debería hacerse efec-

12 Las rentas citadas son las siguientes: 1) Rendimientos del trabajo dependiente 2) Honorarios del director 3) Rendimientos de seguros de vida no cubiertos por otros instrumentos jurídicos de

la Unión Europea 4) Pensiones 5) Propiedad de bienes inmuebles y otros rendimientos inmobiliarios 13 El subrayado es nuestro. 14 Vid., en este sentido, SANCHEZ LOPEZ, La influencia del Derecho Comunitario en la tu-

tela de contribuyente afectado por las actuaciones de intercambio de información tributaria, en COLLADO YURRITA-MORENO GONZALEZ (Coords.), Estudios sobre el fraude fiscal e inter-cambio de información tributaria, Ed. Atelier, Barcelona, 2012, p. 319 y ss.

15 Dispone, en relación con ello, y en línea con la OCDE, el art. 18.2 de la Directiva que la autoridad requerida de un Estado miembro no podrá negarse a facilitar información ex-clusivamente por el hecho de que esa información obre en poder de un banco u otra enti-dad financiera. Supresión, además, que la Directiva conecta expresamente con los límites al intercambio de información que, con carácter general, recogen los apartados 2 y 4 del art. 17 de la misma excluyendo, por tanto, la aplicación del “secreto comercial, industrial o profesional” así como la alegación de “motivos legales” en orden a evitar la transmisión de esta clase de información.

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tivo en orden a conseguir mejorar la colaboración y cooperación entre Administraciones tributarias a nivel europeo 16.

2.2. Los trabajos de la OCDE

Tal como se ha indicado, la OCDE ha venido desarrollando un trabajo ejemplar en el impulso y avance del mecanismo de intercambio de informa-ción tributaria, y de modo particular, a través del art. 26 del Modelo de CDI, el OECD Agreement on Exchange of Information on Tax Matters de 2002 y el Acuerdo Multilateral de Asistencia Mutua OCDE-Consejo de Europa.

Línea en la que debe señalarse que el acceso a la información bancaria ha constituido preocupación constante de dicho organismo. Es, por ello, que uno de los aspectos de la última modificación del artículo 26 del MC OCDE, en su versión de 2005, encuentra relación directa con el acceso a la informa-ción bancaria y el replanteamiento del secreto bancario como límite al in-tercambio de información 17.

Preocupación que se ha proyectado recientemente en la publicación, el 15 de julio de 2014, una vez aprobada por el Consejo de la OCDE, de una norma internacional sobre intercambio automático de información de cuentas financieras, titulada Global standard for Automatic Exchange of Fi-nancial Account information in tax matters, elaborada por la OCDE, junto con los países del G20, y con la colaboración estrecha de la Unión Europea.

Norma dirigida, fundamentalmente, a combatir la evasión fiscal interna-cional a través de las Administraciones Tributarias de los Estados partici-pantes, que deberán obtener determinada información de las instituciones financieras residentes en su territorio sobre las cuentas de personas físicas y de ciertas entidades residentes a efectos fiscales en otros países acogidos a la norma así como intercambiar de modo automático dicha información con el resto de Estados a través de un mecanismo uniforme y con carácter anual.

Modo de luchar contra el fraude fiscal que encuentra su antecedente en FATCA (normativa que analizaremos seguidamente), la cual determinó que, el 19 de abril de 2013, los líderes del G20 decidieran solicitar a la

16 SACCHETTO, Exchange of Tax Information. Connections with Criminal Proceedings. The Italian approach, cit., p. 87.

17 Vid., en relación con esta idea, MARTINEZ GINER, El fortalecimiento de la obtención de información tributaria en el ámbito internacional. FATCA versus RUBIK, en Quincena Fiscal, núm. 19, 2012, p. 53.

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OCDE la elaboración de una norma multilateral que permitiese el inter-cambio automático de información fijando como fecha límite para su publi-cación el mes de febrero de 2014. Del mismo modo, se asignó al Foro Glo-bal sobre la Transparencia y el Intercambio de Información con fines fisca-les la tarea de supervisar su implementación y cumplimiento.

Tras la publicación de esta norma más de 40 países, entre los que se en-cuentra España, emitieron un comunicado conjunto en que se declaraba la adopción de la norma sobre intercambio automático de información esta-bleciendo un calendario para su aplicación con fecha de inicio 1 de enero de 2016 18 (aunque en la actualidad son más de 60 los países que han mostrado su compromiso con la adopción de este mecanismo).

Por otro lado, la normativa sobre intercambio de información de la OCDE, con la finalidad de facilitar su implantación, ha sido elaborada sobre la base de uno de los Modelos de Acuerdo intergubernamental previstos para apli-car FATCA. Se trata del denominado Modelo 1, en el que las instituciones financieras se obligan a comunicar la información exigida a las autoridades fiscales de su país de residencia a fin de que éstas suministren, a su vez, dicha información a las autoridades fiscales norteamericanas (Internal Revenue Service). Así, en el caso de España, las instituciones financieras remitirán la información a la Agencia Tributaria para que ésta sea distribuida al nivel de cada país 19.

Pues bien, señalado lo anterior, creemos importante reseñar a efectos de este estudio las diferencias más relevantes entre FATCA y la normativa de la OCDE. Así, en primer lugar, es importante indicar el carácter bilateral de la primera (al que más delante aludiremos) frente al espíritu y compromiso mul-tilateral que inspira el documento de la OCDE 20, y que conecta con el distinto fundamento de ambas normativas, radicando la razón del intercambio de in-formación, en el caso de la OCDE, en la existencia de un Convenio o Acuer-do entre Autoridades Competentes (tal como tradicionalmente se vienen es-

18 Vid., en relación con estas ideas, PINA MONTANER, La norma internacional sobre el in-tercambio automático de información de cuentas financieras, en Actualidad Jurídica Uría Me-néndez, núm. 37, 2014, p. 128.

19 Ello frente al Modelo 2 de FATCA en que se prevé que la información se transfiera directamente desde las instituciones financieras de los distintos países a las autoridades fiscales de EEUU.

20 Cfr. DE MIGUEL VAZQUEZ, Sistema CRS de intercambio automático de información tri-butaria de la OCDE y su relación con FATCA, en Deloitte Actualidad Jurídica, núm. 85, 2014, p. 53.

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tableciendo las obligaciones entre Estados) mientras que FATCA encontra-ría fundamento en un acuerdo de carácter bilateral.

En segundo término, la norma OCDE no establece ningún sistema de re-tenciones para las instituciones financieras, al que también nos referiremos, limitándose a prever una obligación de comunicación de información de cuya supervisión estarán encargadas las autoridades fiscales locales de cada país.

En tercer lugar, la presencia en el intercambio de información de la nor-mativa OCDE sobre el principio de reciprocidad, consecuencia del espíritu multilateral a que se ha aludido, que debe tener como resultado un aumento de los flujos de información entre los distintos países. Principio que no siempre está presente en los intercambios realizados bajo la normativa FATCA 21 a lo que debe añadirse, además, que la normativa de la OCDE in-cluye, como novedad frente a FATCA, la declaración de que los países cuentan con una infraestructura suficiente para realizar el efectivo intercam-bio de información 22.

Finalmente, la retirada de umbrales (esto es, importes de saldo por clien-te y entidad) desde los cuales informar constituye «una medida uniforma-dora en el plano internacional» siendo la tendencia, en este ámbito, «que un modelo multilateral se centre en la localización de residentes fiscales en un determinado territorio» 23.

Pues bien, la actuación de la OCDE supone, como se ha afirmado, la asun-ción y liderazgo de un compromiso a «escala mundial para poner en marcha un sistema efectivo de intercambio de datos bancarios que consiga luchar contra la evasión fiscal» 24. Entendemos, por ello, que la virtud más importan-te de la normativa de la OCDE sobre intercambio automático de informa-ción, frente a FATCA, radica precisamente en su alcance “global” o multilate-ral unido a la preocupación de dicho organismo por la armonización de los instrumentos de intercambio de información 25.

21 Según los términos del Modelo 1, los Estados Unidos pueden comprometerse a ofrecer datos similares sobre las cuentas americanas de residentes de otros países (versión recíproca) o no (versión no recíproca).

22 PINA MONTANER, La norma internacional sobre el intercambio automático de informa-ción de cuentas financieras, cit., p. 129.

23 Vid., en este sentido, CORONAS VALLE, FATCA: la información (contra el fraude fiscal) es poder…más que nunca, en Documento de Opinión, núm. 85, 2014, p. 4.

24 CORONAS VALLE, op. cit., p. 4. 25 En este sentido, han indicado CARBAJO VASCO-PORPORATTO, Los últimos avances en

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Coordenadas ambas que, a nuestro modo de ver, se presentan impres-cindibles no solamente en orden a lograr un eficaz intercambio de informa-ción que implique a un número cada vez mayor de países sino, aún más im-portante, para conseguir un espíritu de cooperación que permita superar los obstáculos existentes en los distintos ordenamientos en orden a la consecu-ción de un efectivo intercambio de datos. Condiciones, por tanto, que son las que propician, precisamente, la creación de un marco único y global para la cooperación internacional.

Por consiguiente, nos mostramos de acuerdo con la afirmación de que «el estándar global de intercambio automático se ha construido a partir de los propios trabajos previos de la OCDE (…) y, en menor medida de la UE, no constituyendo por tanto una versión global del modelo FATCA aunque se reconoce que tal iniciativa norteamericana ha operado como un auténti-co catalizador impulsando el movimiento del G-20 hacia el intercambio au-tomático en un contexto multilateral» 26.

Escenario mundial de cooperación que la OCDE está tratando de impul-sar, por otra parte, a través de la Convención Multilateral de Asistencia Mu-tua en materia fiscal de la OCDE y del Consejo de Europa. Convención que, a partir del Protocolo modificatorio del año 2010, complementa el im-portante trabajo del Foro Global, habilitando a todos los países (también a los no miembros de la OCDE y el Consejo de Europa), no solo a conocer los estándares del Foro Global, sino para participar en una gama más amplia de cooperación administrativa, como es el intercambio automático y asis- materia de Transparencia e Intercambio de Información Tributaria, cit., p. 25, que la OCDE está fomentando la armonización técnica de los intercambios automáticos a través de la creación de Manuales de uso compartido por todas las Administraciones Tributarias y la formación de las mismas Administraciones Tributarias. Línea en la que ha señalado CAL-DERON CARRERO, El procedimiento de intercambio de información establecido en los Convenios de Doble Imposición basados en el Convenio de la OCDE, cit., pp. 1538 y 1539, que «esta iniciativa de la OCDE tiene que ver con el deseo de articular un modelo uniforme a nivel global para el intercambio de información, a efectos de evitar los múltiples problemas e inconvenientes (…) que resultarían de la proliferación e implantación de modelos dife-rentes de obtención e intercambio de información financiera». Autor que añade que, en particular, «a través de esta iniciativa se pretendería evitar que un modelo unilateral (aun-que globalizado) como es FATCA, u otros modelos regionales (modelo UE: Directivas comunitarias 2003/48 y 2011/16) se desarrollaran y expandieran haciendo difícil la arti-culación de un modelo global, con todos los problemas que ello conllevaría para todas las partes implicadas, sin mencionar la pérdida de peso específico y de liderazgo desarrollado por la OCDE en materia de fiscalidad internacional».

26 Vid. CALDERON CARRERO, op. cit., p. 1537. El subrayado es nuestro.

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tencia en la recaudación y hacerlo, además, sobre una base multilateral y no de forma bilateral 27.

Resulta, por tanto, evidente, según firma CALDERON CARRERO, que «la OCDE y el G-20 están tratando de impulsar la firma de este Convenio por el mayor número de países con el objetivo de que en el futuro constituya el principal y más avanzado instrumento de asistencia mutua en materia fiscal: una plataforma global de cooperación administrativa que pivotando sobre su multilateralidad articule de forma uniforme el estándar internacional de asistencia administrativa en materia fiscal» 28.

2.3. La iniciativa FATCA

Como es conocido, FATCA aparece como la respuesta de los EEUU a la utilización de cuentas en el extranjero (“offshore”) no declaradas por los contribuyentes americanos. Situación determinante de la normativa FATCA que exige a las instituciones financieras extranjeras (“Foreign Finantial Insti-tutions-FFI”), receptoras de pagos estadounidenses, la declaración al Inter-national Revenue Service, de los titulares de las cuentas y de ciertos propieta-rios americanos de entidades extranjeras, titulares de cuentas en tales insti-tuciones. Normativa, por tanto, que se diseña con una finalidad sobre todo antielusiva.

Legislación que, como se ha afirmado, revoluciona el Derecho Interna-cional y el Derecho Fiscal «mediante la creación de un sistema de conve-nios privados a celebrar entre la Administración Fiscal Americana (Internal revenue Service – IRS) y las instituciones financieras extranjeras» 29.

Efectivamente, y siendo este el primer punto en que queremos detener-nos, debe remarcarse como hasta el momento los esfuerzos de los Estados para la obtención de datos fiscales sobre bienes y rentas extranjeras de sus contribuyentes se había desarrollado en el estricto marco del “Derecho In-

27 Es significativa, en este sentido, la declaración final del G20, de 5 y 6 de septiembre de 2013, en San Petersburgo, que pone de manifiesto la creciente presión fiscal interna-cional dirigida la lograr la ratificación de dicho Convenio por parte de los principales paí-ses y centros financieros del mundo.

28 Vid. CALDERON CARRERO, El procedimiento de intercambio de información establecido en los Convenios de Doble Imposición basados en el Convenio de la OCDE, cit., p. 1530.

29 MALHERBE-TELLO-GRAU RUIZ, La revolución Fiscal de 2014. FATCA, BEPS, OVDP, cit., pp. 59-60.

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ternacional Convencional” 30. Más aún, y en el ámbito concreto de la UE, debe destacarse, en este sentido, el “carácter estatalista” que caracteriza la colaboración entre Estados Miembros.

Escenario en que se plantean, precisamente, los principales problemas de FATCA habiéndose apuntado, en este sentido, que «el gran obstáculo de la puesta en práctica de FATCA es el conflicto entre sus exigencias y las legis-laciones fiscales nacionales sobre la vida privada originado porque, en algu-nos casos, los códigos penales prohíben el almacenamiento y la comunica-ción de datos personales, salvo bajo ciertas condiciones». Problema que se ha resuelto mediante un Acuerdo Intergubernamental 31, a través del cual se exige a las instituciones financieras locales presentar su informe FATCA a las autoridades fiscales de su país antes que al Revenue Service siguiendo el Modelo 1, al que ya nos hemos referido 32.

Se ha señalado, por otra parte, que FATCA ha acelerado el desarrollo de un esquema común que permita un intercambio de información tributaria más eficaz. Afirmación que, siendo cierta, ofrece, sin embargo, a nuestro modo de ver, algunos puntos que deberían someterse a reflexión.

Así, en primer término, FATCA supone la imposición “unilateral” de un sistema de colaboración por parte de un Estado, esto es, reproduce el régimen nacional de declaración en el contexto transfronterizo y exige declaraciones tanto de pagadores extranjeros como de los mismos contribuyentes teniendo, al mismo tiempo, un importante efecto extraterritorial 33. Sentido en que se ha

30 Cfr. MALHERBE-TELLO-GRAU RUIZ, op. cit., p. 61. 31 Intergoverment Agreetment – IGA, desarrollado inicialmente por el Departamento

del Tesoro estadounidense y las Administraciones Fiscales del Reino Unido, Alemania, Italia y España.

32 Vid., en relación con estas ideas, MALHERBE-TELLO-GRAU RUIZ, La revolución Fiscal de 2014. FATCA, BEPS, OVDP, cit., p. 80 y ss.

33 Idea, en relación con la cual, indica MARTINEZ GINER, El fortalecimiento de la obten-ción de información tributaria en el ámbito internacional. FATCA versus RUBIK, cit., p. 51 y ss., que FATCA va mucho más allá que los CDI y los Acuerdos de Intercambio de Infor-mación Tributaria, debido a que persigue un acuerdo entre el IRS y con cada una de las instituciones financieras. «Y todo ello imponiendo estrictas obligaciones de información o en su caso una retención confiscatoria sobre la base de una norma nacional americana», por lo que es posible afirmar que «FATCA se introduce en la soberanía de otros países de manera evidente» teniendo un importante efecto extraterritorial debido a que se trata «de la aplicación extraterritorial y unilateral de la norma FATCA sobre las instituciones finan-cieras». A partir de lo anterior, añade el autor que, si bien el problema de la evasión fiscal es real «FATCA ilustra la brecha que puede abrirse en el ámbito de la cooperación inter-nacional si un país actúa unilateralmente afectando la soberanía de otros Estados».

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señalado que «FATCA ha evolucionado de una legislación americana unila-teral a un acuerdo de cooperación global sobre la necesidad de intercambio de información y la transparencia en materia fiscal», acelerando el proceso de intercambio de información automática uniforme, por la amenaza de reten-ción en la fuente del 30 por cien de los pagos de fuente estadounidense reali-zados a clientes recalcitrantes o que no se hayan adherido a la normativa FATCA 34.

A ello debe añadirse, además, que para poder hablar de “un acuerdo de cooperación global” y, en definitiva, para un adecuado y eficaz funcionamiento de FATCA, sería necesario un compromiso de EEUU para la realización de un intercambio recíproco de información pareciendo claro que, de otro modo, se estaría “amputando” el concepto y alcance mismo del intercambio automático de información, quedándonos simplemente en una mera “transmisión” de da-tos fiscales 35 viniendo a configurarse, en este sentido, como «una norma que impone unilateralmente obligaciones de información extraterritoriales sobre determinadas instituciones financieras» 36. Reciprocidad que solo se contempla en los Acuerdos Intergubernamentales que siguen el Modelo 1 y bajo ciertas condiciones 37.

En segundo lugar, pensamos que es conveniente plantearse si FATCA constituye un “mecanismo suficiente” en orden al control de las rentas mencionadas siendo posible cuestionarse, entre otras cosas, cómo se com-

34 MALHERBE-TELLO-GRAU RUIZ, La revolución Fiscal de 2014. FATCA, BEPS, OVDP, cit., p. 154.

35 Idea a la que, con carácter general, se ha referido ADONNINO, P., Lo scambio di infor-mazioni tra le amministazioni finanziarie, en Dir. prat. trib., núm. 4, 2008, p. 10710 al indi-car que se habla comúnmente de intercambio de información (scambio di informazioni) mientras que sería más correcto referirse a la adquisición de información (acquisizione di informazione) viniendo entendido el “intercambio” necesariamente unido a la condición de reciprocidad.

36 Vid. MARTINEZ GINER, El fortalecimiento de la obtención de información tributaria en el ámbito internacional. FATCA versus RUBIK, cit., p. 50.

37 De este modo, en el Modelo1 con reciprocidad EEUU intercambiará la información obtenida de cuentas mantenidas en instituciones financieras de dicho país por residentes de los países socios de FATCA, incluyendo una política de compromiso para lograr legis-laciones que provean un nivel equivalente de intercambio hacia EEUU. «Esta versión está disponible solamente para aquellas jurisdicciones con las que exista un acuerdo o conve-nio preexistente que habilite el intercambio de información y además tengan establecidas prácticas robustas de protección de la información» (Vid., CARBAJO VASCO-PORPORATTO, Los últimos avances en materia de Transparencia e Intercambio de Información Tributaria, cit., p. 33).

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prueba si los bancos han identificado adecuadamente a los beneficiarios efectivos de las cuentas extranjeras 38, lo que encontraría una posible solu-ción, a nuestro juicio, en la exigencia de datos a los propios contribuyentes, lo que permitiría realizar el correspondiente cruce de información y que ya se está llevando a cabo.

A partir de las ideas expuestas, creemos que FATCA, con el objetivo fundamental de luchar contra la evasión fiscal, ha optado por el mecanismo automático de intercambio de información, unilateralmente impuesto, sin que ello suponga, a nuestro juicio, poder afirmar que el mismo ha sentado las bases de «un nuevo estándar global de intercambio de información».

Dicho de otro modo, la instauración de un estándar global de intercambio de datos exige, a nuestro juicio, y según se detallará más adelante, un esquema de base de datos convenido de forma universal para reunir la información con relevancia para la aplicación de los sistemas fiscales 39 (y no únicamente de-terminados datos bancarios 40), acompañado de un procedimiento internacio-nal de intercambio automático de la misma. Condiciones ambas que enten-demos necesarias, por tanto, para poder hablar de un estándar global de in-tercambio de información directamente conectado, por otra parte, al concep-to de transparencia fiscal a nivel internacional. Escenario en que quizá, más que de intercambiar información, sería deseable hablar de “una práctica gene-ralizada de compartir información” 41 que vaya más allá incluso del principio de reciprocidad 42. Más aún, cabe constatar cómo la cooperación internacio-

38 Vid. MALHERBE-TELLO-GRAU RUIZ, La revolución Fiscal de 2014. FATCA, BEPS, OVDP, cit., p. 156.

39 Vid. MALHERBE-TELLO-GRAU RUIZ, op. cit., p. 5. 40 En esencia, la normativa FATCA establece la obligación a las entidades financieras

extranjeras de identificar a sus clientes (que sean estadounidenses) y a proporcionar in-formación sobre sus cuentas al IRS.

41 Vid., en este sentido, CARBAJO VASCO-PORPORATTO, Los últimos avances en materia de Transparencia e Intercambio de Información Tributaria, cit., p. 25, quienes añaden en re-lación con la idea expuesta en el texto que «ya no se trata de ‘intercambiar’ de forma au-tomática y ‘on line’ los datos que sobre un contribuyente existan en varias Bases de Datos de diferentes AATT, sino de ‘crear’ y ‘compartir’ una sola Base de Datos, alimentada por las fuentes de información de diferentes AATT». (El subrayado es nuestro). También CALDERON CARRERO, El procedimiento de intercambio de información establecido en los Con-venios de Doble Imposición basados en el Convenio de la OCDE, cit., p. 1448, se ha referido a la importancia del sharing information «donde las autoridades fiscales de los diferentes países comparten información sobre técnicas de planificación y fraude detectadas, o casos de fraude que han tenido lugar en su jurisdicción».

42 Principio que no deja de constituir un límite al intercambio de información tributaria

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nal no solo se limita a la transmisión e intercambio de información (a través de los distintos cauces previstos) sino que se extiende progresivamente a ac-tuaciones de asistencia mutua, como la realización de actuaciones de fiscali-zación conjunta y de cooperación entre las distintas Administraciones Tribu-tarias.

En este sentido, el concepto amplio de “relevancia previsible” del art. 26 MC OCDE permitiría identificar todos aquellos datos con “trascendencia tributaria” a efectos de la aplicación efectiva de los sistema impositivos de los diversos Estados. Esto es, y si bien no se nos oculta la dificultad de llegar a un acuerdo internacional acerca de este punto debido tanto a las diferencias existentes entre los distintos sistemas impositivos, como a los límites que los mismos prevén al intercambio de datos (especialmente, secreto bancario, secreto comercial y secreto profesional 43), pensamos que debería intentar lograrse un acuerdo a nivel internacional (Acuerdo multilateral) en torno a las categorías de datos que todo Estado debería transmitir de manera auto-mática. Solo así estaríamos en condiciones de hablar de la existencia de un auténtico estándar global de intercambio de información.

Punto que nos permite observar, como uno de los puntos débiles de FAT-CA, el carácter “bilateral” de dicho modelo unido a su “limitado” ámbito de aplicación. Y ello frente a los instrumentos Multilaterales de intercambio de in-formación, auspiciados por la OCDE o aquellos articulados a través de las Di-rectivas comunitarias que, desde nuestro punto de vista, no solamente logran agrupar a un grupo más grande de Estados en torno a un “procedimiento co-mún”, desarrollando en este sentido una función de armonización, sino que, además, cuenta con un ámbito de aplicación más amplio (afectando a todos los impuestos) y permitiendo, asimismo, utilizar no solamente el cauce del inter-cambio automático de información sino aquellos otros cauces, también nove-dosos, que complementan el mencionado sistema de intercambio de datos y cooperación mutua, como las comprobaciones simultáneas (sin olvidar los mecanismos tradicionales de intercambio de información).

Carácter multilateral del intercambio de información que, unido a la (vid., en este sentido, si bien en el ámbito comunitario, AMATUCCI, Onere della prova e limi-tazioni allo scambio di informazioni in materia fiscale, en Riv. dir. trib. int., núms. 1-2, 2009, pp. 124 y 127).

43 Es necesario, por tanto, establecer que los Estados miembros que intercambian in-formación de conformidad con la presente Directiva no puedan hacer uso de la facultad de limitar el intercambio de información de acuerdo con lo previsto en el artículo 8 de la Di-rectiva 77/799/CEE.

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progresiva “unificación” de los procedimientos tributarios, propicia, a nues-tro modo de ver, el progresivo desarrollo de una cultura de cooperación nece-saria para la eficacia del intercambio de información y, por tanto, la lucha contra el fraude fiscal. Dicho con otras palabras, no creemos que FATCA, bajo la amenaza de la retención 44, logre crear el clima de cooperación nece-sario para poder hablar de un nuevo estándar de intercambio de informa-ción, según las directrices más arriba expuestas.

En relación con ello, y como última reflexión, queremos aludir a que, en abril de 2013, los Gobiernos de España, Alemania, Reino Unido, Francia e Italia acordaron trabajar conjuntamente en un instrumento piloto para el intercambio multilateral, automático y estandarizado de información tribu-taria basado en el Modelo FATCA, habiéndose destacado que «el proyecto piloto no solo servirá para atrapar y disuadir a los evasores fiscales sino tam-bién de patrón para un más amplio acuerdo multilateral», habiéndose inte-grado México recientemente a este grupo 45.

Pues bien, no creemos que en el ámbito de la UE sea precisa la implanta-ción del Modelo FATCA, pues teniendo en cuenta las disposiciones conteni-das en las Directivas sobre Intercambio de Información, su carácter unifor-mador 46, y amplio alcance objetivo y subjetivo, es posible que lo único que se consiga con ello sea la coexistencia de cada vez más modelos distintos de in-tercambio automático de datos, lo cual no creemos que pueda redundar en la eficacia de dicho mecanismo.

44 En relación con ello ha indicado MARTINEZ GINER, El fortalecimiento de la obtención de información tributaria en el ámbito internacional. FATCA versus RUBIK, cit., pp. 50-54, que «FATCA concede a la autoridad fiscal americana un poderoso instrumento para con-seguir forzar a las instituciones financieras extranjeras a cooperar. Si estas no firman en acuerdo con el IRS para proporcionar la información que establece la normativa, se verán abocados a severas consecuencias que pueden afectar a la propia competitividad de las mismas. La consecuencia fundamental es que las entidades financieras extranjeras sufrirán una retención del 30% sobre los pagos sujetos a retención de fuente EEUU, teniendo además en cuenta que esa retención operará incluso si la entidad no tiene ningún accionis-ta, propietario o titular de cuentas americano».

45 CARBAJO VASCO-PORPORATTO, Los últimos avances en materia de Transparencia e In-tercambio de Información Tributaria, cit., p. 36.

46 Sentido en que ha señalado MARINO, La cooperazione internazionale in materia tribu-taria, tra mito e realtà, en Rass. trib., núm. 2, 2010, p. 447, que las Directivas establecen un sistema de asistencia recíproca siendo el resultado de ello una sustancial “parificazione giu-ridica” de la prueba añadiendo, en este sentido, que los actos administrativos procedentes de la autoridad competente extranjera se convierten en actos con eficacia análoga a los del Derecho interno.

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3. La relevancia del intercambio automático de información tributaria. Al-gunas reflexiones

Tras las ideas expuestas, creemos importante llevar a cabo algunas consi-deraciones en relación, fundamentalmente, a las expectativas que tanto FATCA como los trabajos de la UE y la OCDE han abierto en relación con la previsible evolución del mecanismo de intercambio de información tribu-taria a partir, fundamentalmente, del impulso otorgado al intercambio au-tomático de datos.

En este sentido, y si bien es cierto que no existe un principio general de derecho tributario internacional que imponga el deber de colaboración en-tre Administraciones Tributarias 47, sí cabe aludir a un “escenario interna-cional de colaboración” o a un creciente “interés global en la cooperación mutua”, tanto a nivel comunitario como internacional, que obedecería, esencialmente, por una parte, al reconocimiento de la incapacidad de ges-tionar el sistema tributario a partir de los medios propios de cada Estado y, de otro lado, a la idea de que el intercambio de información permite una Administración tributaria global al tiempo que el sistema tributario conti-núa conservando su carácter nacional 48 y, en definitiva, preservando ab initio la soberanía fiscal.

Interés en la cooperación, de otro lado, que, a nuestro juicio, se encuen-tra todavía lejos de la que hemos denominado “cultura de la cooperación” en el ámbito de la fiscalidad si bien podría afirmarse que se están dando pa-sos hacia adelante a partir del entendimiento de la lucha contra la evasión y el fraude fiscal “como una prioridad absoluta a nivel global”. Situación que parece haber sido, precisamente, la que ha desencadenado importantes cambios a fin de satisfacer la necesidad de los Estados de dotarse de instru-

47 Vid., entre otros, SACCHETTO, Tutela all’estero dei crediti tributario dello Stato, Pado-va, 1978, pp. 9 y ss y BUCCIANO, Cooperazione amministrativa internazionale in materia fis-cale, en Riv. dir. trib., fasc. 7-8, 2012, p. 669.

48 Vid., en relación con esta idea, entre otros, MATA SIERRA, La armonización fiscal en la Comunidad Económica Europea, en La Armonización fiscal en la Comunidad Económica Eu-ropea, Valladolid, 1993, p. 61, a cuyo juicio el intercambio de información «no implica modificación alguna del contenido de las normas internas, sino, únicamente “un meca-nismo de organización de actuación conjunta”» y BUCCIANO, op. cit., p. 683, quien afirma que «the Exchange of information is one of the keys to improving cooperation between tax administrations (…), it is the way in which tax systems can continue to be national and yet the responde of tax administrations can be global».

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mentos eficaces basados en el intercambio automático de información y so-bre la transparencia a fines fiscales 49.

Pues bien, entre dichos cambios, y tal como se ha señalado a lo largo de este estudio, destaca la prioridad que en los últimos tiempos viene otorgán-dose al intercambio automático de información, en virtud de los trabajos de la OCDE, de la UE y de la “revolución” que, en relación con este aspecto, ha supuesto FATCA. Y ello, sin dejar de lado los insistentes mandatos del G-20, habiéndose traducido todos estos esfuerzos en un importante consenso político internacional en relación con el necesario impulso al intercambio au-tomático de información 50.

De este modo, y consistiendo el intercambio automático de datos en «la transmisión sistemática y periódica de información a granel, en bloque o co-lectiva sobre los contribuyentes del país de origen al país de residencia, res-pecto a las distintas categorías de ingresos sometidas a tributación», de los trabajos y estudios más arriba reseñados cabe deducir que dicho instrumen-to es considerado como «verdaderamente útil para luchar en términos más amplios contra el fraude y la evasión fiscales internacionales» aportando da-tos e indicios de rentas en el exterior (esencialmente, nutre el análisis de riesgo y sirve para la selección de casos) que pueden no estar declarados por el contribuyente en su país de residencia 51.

Sin embargo, y a partir de aquí, creemos que es preciso detenerse en un sucinto análisis de las condiciones que entendemos necesarias en orden a la garantía de la eficacia del intercambio automático de información y que cabe identificar, tal como han indicado CARBAJO VASCO y PORPORATTO, como auténticos “retos y áreas donde aún existe trabajo por hacer” 52.

Retos, efectivamente, que pasan, por un lado, y desde nuestra perspectiva, por la modernización de los sistemas de obtención de información en los dis-

49 Vid. FURLAN-DE ROSA, Scambio automatico di informazioni: la normativa di recepi-mento FATCA, en Fiscalità & Commercio Internazionale, núm. 12, 2014, pp. 22-23.

50 En este sentido, SACCHETTO, Exchange of Tax Information. Connections with Criminal Proceedings. The Italian approach, cit., p. 87, se ha referido a que al hecho de que tanto las nuevas medidas políticas como una mejor coordinación entre Estados en materia fiscal podrían conseguir una oposición efectiva al uso de los paraísos fiscales para el fraude y la evasión fiscal. Vid. Idea a la que también se han referido CARBAJO VASCO-PORPORATTO, Los últimos avances en materia de Transparencia e Intercambio de Información Tributaria, cit., p. 39.

51 Vid., en relación con estas ideas, CARBAJO VASCO-PORPORATTO, op. cit., pp. 36-38. 52 Op. cit., p. 38.

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tintos países a fin de garantizar la rapidez y la precisión en la captación y poste-rior remisión de los datos fiscales 53 (modernización que alcanza también, y como no podía ser de otra manera, a la Administración Tributaria en conjun-to). De otra parte, y en relación con lo anterior, por la estandarización de for-matos que, como se ha afirmado, se presenta «crucial para capturar la infor-mación así como para intercambiar y procesar de forma rápida y eficiente los datos por parte del país receptor» 54. A ello debe añadirse, además, la exigen-cia de un esquema de datos convenido de forma universal para reunir la infor-mación sin el cual los datos no serán susceptibles de ser utilizados en claro desmedro del objetivo del intercambio de información 55 lo que redundaría, además, y a nuestro modo de ver, en una importante eliminación de los obs-táculos al intercambio de información y, de manera especial, el secreto banca-rio, el secreto profesional y la misma soberanía fiscal.

Ideas tras las cuales se encuentra, en nuestra opinión, la necesidad de un “acercamiento” de los procedimientos en materia de intercambio de informa-ción tributaria y que afectaría tanto a la estructura y organización de las Admi-nistraciones Tributarias como a los documentos en que la misma debería ser transmitida, lo que exige un esfuerzo de coordinación y, en algunos casos, de

53 Sentido en que se ha señalado que la puntualidad y la rapidez del intercambio de da-tos junto a un criterio de reciprocidad aplicado de manera sustancial reviste un papel pri-mario en orden a la eficacia del control fiscal (vid. MARINO, La cooperazione internazionale in materia tributaria, tra mito e realtà, cit., p. 445).

54 CARBAJO VASCO-PORPORATTO, Los últimos avances en materia de Transparencia e In-tercambio de Información Tributaria, cit., p. 39. Idea, en relación con la cual, la OCDE ha señalado que es fundamental que los Gobiernos lleven a cabo inversiones suficientes en tecnología relacionada con funciones de gestión de información a fin de mantener el ritmo de los acontecimientos.

En relación con este punto debe indicarse, además, que durante la 7ª Reunión del Foro Global sobre Transparencia e Intercambio de Información con Fines Tributarios, celebra-da en Berlín durante los días 28 y 29 de octubre de 2014, los países participantes se com-prometieron a realizar los cambios necesarios para realizar los primeros intercambios de información en 2017. Por otro lado, y en lo que respecta a los países en desarrollo, que ma-nifestaron su adhesión al nuevo estándar global de intercambio de información, fueron reconocidas ampliamente las dificultades con que cuentan, por lo que no se les pidió un compromiso similar. De este modo, el Foro Global, en cooperación con el Banco Mundial y otras organizaciones internacionales, se ofrecieron a prestar ayuda a dichos países facili-tando proyectos piloto aprobados por el G-20 (Vid. PORPORATTO, Hacia un escenario in-ternacional de mayor transparencia fiscal. Resultados de la última reunión del Foro Global, en Boletín Foro Fiscal Iberoamericano, 2º Semestre de 2014, pp. 10-11).

55 ADONNINO, Lo scambio di informazioni tra le amministrazioni finanziarie, en Dir. prat. trib., núm. 4, 2008, p. 10.709.

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actualización de las Administraciones Tributarias. Armonización, pues, que actuaría como premisa de la eficacia de las actuaciones de intercambio de in-formación desempeñando, en este sentido, una función esencialmente ins-trumental 56.

Dicho con otras palabras, en las circunstancias actuales «los medios de intercambio de información y sus procedimientos trascienden el ámbito in-terno, evolucionan en un procedimiento jurídico internacional y coadyuvan a la creación de un ‘campo de juego’ en el que toda la información relativa a los hechos y circunstancias extranjeras debería estar a disposición de las au-toridades fiscales de la misma manera que la información interna lo está» 57.

Se trata, por consiguiente, de otorgar una dimensión internacional a la acti-vidad comprobadora o de control a fin de garantizar un correcto cumplimiento del deber de contribuir 58 siendo posible hablar en este sentido de la aspira-ción a la existencia de un espacio jurídico que, «en el campo de la fiscalidad, haga posible la libre circulación de los actos de comprobación de las adminis-traciones tributarias» de los distintos Estados 59. Objetivo que se presenta to-talmente necesario en orden a la eficacia de la aplicación de los tributos, la lu-cha contra la evasión y el fraude fiscal y, en definitiva, la consecución de la jus-ticia en la realización del deber de contribuir y cuya efectividad pasa por el flu-jo continuo de información entre los diversos Estados mediante el cumplimien-to del principio de reciprocidad (lo que no obsta, por otra parte, para afirmar la complementariedad entre dicho cauce y el resto de los que permiten el in-

56 Sentido en que ha indicado LIEBMAN, European tax enforcement, International enfor-cement law reporter, Vol. 6, núm. 9, 1990, p. 312, que «sin una armonización de los méto-dos de control y de recaudación, muchas armonizaciones de legislación y doctrinas corren el riesgo de ser prácticamente inoperantes».

57 Vid. MALHERBE-TELLO-GRAU RUIZ, La revolución Fiscal de 2014. FATCA, BEPS, OVDP, cit., p. 54.

58 Vid. MARINO, La cooperazione internazionale in materia tributaria, tra mito e realtà, cit., p. 445.

59 Cfr., DI PIETRO, Prólogo al libro de FERNANDEZ MARIN, El intercambio de información como asistencia tributaria externa del Estado de la Unión Europea, Valencia, 2006, p. 16, quien conecta la idea expuesta en el texto con el ordenamiento comunitario, si bien la misma es extrapolable, desde nuestra perspectiva, al contexto internacional. Sentido en que se sitúan otros autores como MARINO, op. cit., p. 447, quien alude a la que las liberta-des comunitarias deben encontrarse acompañadas de una análoga libertad de circulación de las actuaciones de control y comprobación y PLAZAS VEGAS, Prólogo al libro La revolu-ción fiscal de 2014, cit., p. 25, al afirmar que «el ideal (…) es que la fiscalización interna-cional obre en condiciones equiparables a la fiscalización interna y, en últimas, que haya una fiscalización de dimensión global».

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tercambio de datos, tanto a nivel comunitario como internacional). De este modo, el compromiso de un número cada vez más elevado de

países con el denominado “nuevo estándar de información automática” nos conduce a afirmar que avanzamos hacia una “cultura de la cooperación” en materia fiscal que debe caracterizarse por la puesta en común de los esfuer-zos por parte de los distintos Estados en pro de la lucha contra el fraude fis-cal a escala mundial, dejando a un lado intereses particulares 60. Y ello desde la consideración de que «la cooperación administrativa y la lucha contra el fraude fiscal forman un todo ineludible» 61.

Pues bien, llegados a este punto, y constatada la evolución del intercam-bio de información en orden a la consecución de una mayor eficacia en la aplicación de dicho instrumento, a partir del impulso otorgado al intercam-bio automático, es preciso poner de relieve, en otro orden de cosas, cómo la evolución mencionada parece desconocer en ocasiones el necesario equili-brio que, a nuestro juicio, debe existir entre la transmisión de datos y los de-rechos del contribuyente 62.

60 Es significativa, en este sentido, la Declaración emitida el 29 de 2014, dentro del marco de la 7ª Reunión del Foro Global sobre Transparencia e Intercambio de Información, por el de-nominado Grupo Pionero en la que se señala lo siguiente: «El Grupo Pionero integrado por 54 países y jurisdicciones, reconociendo que la evasión fiscal únicamente puede combatirse con efectividad si se hace a escala mundial, nos hemos comprometido a la pronta adopción del nue-vo estándar global común para el intercambio de información del contribuyente, y hemos im-pulsado su aceptación de manera verdaderamente mundial. Al amparo del nuevo estándar glo-bal se intercambiará una amplia variedad de información sobre cuentas extraterritoriales, in-cluidos los saldos y los beneficiarios efectivos. Esto posibilitará acabar con el delito de la evasión fiscal y luchar contra el fraude fiscal. Estos actos de la minoría que no cumple con sus obligaciones tributarias reducen los ingresos públicos, socaban la confianza en la equidad de nuestros sistemas tri-butarios y aumentan la carga sobre los contribuyentes honestos». (El subrayado es nuestro).

Idea, en relación con la cual, se ha indicado también que «el intercambio automático de información coadyuva a combatir la evasión internacional, aunque por sí solo no es su-ficiente, debe ir en forma paralela a un cambio cultural, que requiere de esfuerzos sobre-humanos para lograr este cometido, generar una conciencia de cumplimiento, participa-ción, compromiso, políticas gubernamentales, reeducación, confianza, certeza y seguridad, ya que no solo es remitir en forma automática la información …» (vid. GOMEZ MORA, Re-latoría del foro de debate del Curso-taller sobre intercambio internacional de información tribu-taria, en Boletín Foro Fiscal Iberoamericano, 2º Semestre de 2014, p. 62).

61 Vid. Dictamen del Comité Económico y Social Europeo sobre la “Propuesta de Re-glamento del Consejo relativo a la cooperación administrativa y la lucha contra el fraude en el ámbito del Impuesto sobre el Valor Añadido (Refundición)”, COM (2009) 427 fi-nal- 2009/0118 (CNS).

62 Vid., en relación con esta idea, ADONNINO, Lo scambio di informazioni tra le ammini-strazioni finanziarie, cit., p. 10710.

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En efecto, y si bien se trata de una cuestión que no ha sido abordada a ni-vel internacional (sin perjuicio de indicar la preocupación de la OCDE en relación tanto con la confidencialidad como el uso de los datos obtenidos) y tan solo mínimamente a nivel comunitario, sí ha sido objeto de opiniones doctrinales diversas.

Sin embargo, y antes de entrar brevemente en la exposición de las mis-mas, creemos importante observar que si bien la “tendencia” a la coordina-ción en relación con la implantación de un estándar único y global de inter-cambio de información presupone la existencia de intereses comunes en el ámbito de la fiscalidad, y en particular, en relación con la lucha frente al fraude fiscal, dicha coordinación también debería implicar la existencia de un “interés común” en relación con la protección de los derechos del con-tribuyente afectado por dichas actuaciones debiendo resaltar, en este sentido, la heterogeneidad existente en la normativa reguladora del derecho a la inti-midad en los distintos Estados en relación con las actuaciones de intercambio de información (en el supuesto de que se prevea algo en este sentido) 63.

En otras palabras, el espíritu de cooperación debería plasmarse en proce-dimientos adecuados, no solamente con la finalidad de garantizar una co-rrecta y puntual transmisión de la información (según ha quedado expuesto más arriba), sino en orden a salvaguardar la posición jurídica del contribu-yente afectado por la misma. Esto es, se trata de trascender la función “pu-ramente fiscalizadora o controladora” del intercambio de información en aras a la consecución de la justicia tributaria para extender la misma también a la realización de la justicia en relación con el contribuyente mediante la protección del derecho a la intimidad, la propiedad o la tutela judicial efec-tiva. Más aún, se trata de poner de manifiesto que la justicia en relación con la protección jurídica del contribuyente forma parte de la realización de la justicia tributaria (configurándose como un todo inescindible).

Dicho con palabras de ADONNINO, la evolución del concepto de inter-cambio de información ha llevado a la consideración de la correcta aplica-ción de varios sistemas tributarios habiéndose pasado de una valoración de los intereses particulares de los Estados, singularmente considerados, a aquella de la complejidad del ordenamiento internacional. Esta evolución pone en evidencia la existencia de conflictos de intereses particulares debi-do a algunas previsiones restrictivas de la tutela y de los intereses particulares de

63 Cfr. SONCINI, Aspetti problematici nello scambio di informazioni: la tutela della privacy e le notifiche all’estero, en Riv. dir. trib. int., núms. 1-2, 2009, p. 143.

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los Estados o de los contribuyentes, incluso constitucionales, que no son siem-pre conciliables con dichos intereses y con la funcionalidad del sistema en su complejidad. Autor que pone en evidencia la existencia de situaciones re-levantes para los contribuyentes y su difícil conciliación con el interés a la co-rrecta realización del sistema tributario y los principios que lo inspiran 64.

Sentido este último en que se ha pronunciado parte de la doctrina sien-do significativas las palabras de MARTINEZ GINER al indicar que la protec-ción de los derechos de los contribuyentes, siendo una de las grandes ca-rencias de los instrumentos de intercambio de información, «más allá de resolverse a la luz de las nuevas tendencias de obtención de información tributaria en el ámbito internacional, se agravan y cuestionan la legalidad de algunas de esas nuevas medidas». De este modo, añade el autor, «la clá-sica tensión entre la lucha contra el fraude y obtención de ingresos frente a la protección del contribuyente se decanta una vez más (…) hacia el lado de la Administración» 65 asistiéndose, de este modo, a un déficit inacepta-ble de garantías de las personas afectadas por el intercambio de datos a ni-vel internacional 66.

Línea en que es posible afirmar, por consiguiente, la desequilibrada evolu-ción de las normas reguladoras de la “eficacia” del mecanismo de intercam-bio de información, desde un punto de vista estrictamente fiscal, frente a la dimensión que las mismas poseen en relación con la protección del contri-

64 ADONNINO, Lo scambio di informazioni tra le amministrazioni finanziarie, cit., p. 10711.

65 Vid. MARTINEZ GINER, El fortalecimiento de la obtención de información tributaria en el ámbito internacional: FATCA versus RUBIK, cit., p. 53. En el seno de la doctrina italiana, puso hace ya algunos años de manifiesto SACCHETTO, La colaboración internacional en ma-teria tributaria, en Boletín de Fiscalidad Internacional, núm. 15, 1998, p. 7, que «con toda probabilidad, la protección del contribuyente constituye el aspecto más débil del inter-cambio de información», aludiendo, en esta línea, BUCCIANO, Cooperazione amministrati-va internazionale in materia fiscale, cit., p. 681, a la necesidad de equilibrio entre la garantía del contribuyente y el interés público a la realización de los intereses fiscales.

66 Vid. CALDERON CARRERO, El intercambio de información entre Administraciones tribu-tarias como mecanismo de control del fraude fiscal internacional, en Revista de Derecho Finan-ciero y Hacienda Pública, núm. 258, 2000, pp. 796 y 797, habiendo señalado, en este senti-do, ADONNINO, Lo scambio di información fra amministrazioni finanziarie, en Corso di Dirit-to Tributario Internazionale, V. UCKMAR (Coord.), Padova, 2002, p. 1184, que la tutela del contribuyente constituye un aspecto muy importante del intercambio de información siendo, además, el que suscita tal vez más perplejidad, pues las distintas regulaciones del intercambio de información presentan carencias en este punto y la tutela ofrecida por los ordenamientos nacionales es, a menudo, inadecuada.

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buyente cuya regulación se ha dejado, con carácter general, a las previsiones de la normativa interna de cada Estado. Esto es, y en relación con este últi-mo aspecto, es posible afirmar que nos encontramos todavía en el “punto de partida” del intercambio de información tributaria en el sentido de entender que el mismo se encuentra exclusivamente dirigido a la satisfacción de los intereses de los Estados 67 (siendo esta, como sabemos, la finalidad primige-nia del intercambio de información).

Situación en que, frente a opiniones que mantienen lo contrario, enten-diendo como un obstáculo la participación del contribuyente 68, pensamos que una adecuada protección del sujeto afectado por las actuaciones de inter-cambio de información redundaría directamente en una mayor eficacia de las mismas 69. Dicho de otro modo, el obligado tributario no es ni puede ser indi-

67 Idea, en relación con la cual, ha afirmado SACCHETTO, Dalle Costituzioni nazionali alla Costituzione europea, Milano, 2001, pp. 260 y 261, que, a juicio de la doctrina domi-nante, tanto el Derecho Internacional como el Derecho de los Tratados tienen como des-tinatarios a los Estados y no a los ciudadanos concretos de los mismos añadiendo que, concretamente en el ámbito comunitario, la regulación del intercambio de información se dirige a la tutela de los intereses de los Estados miembros y de la Comunidad contra la evasión y el fraude fiscales.

68 Línea en que se sitúa, si bien para ciertas situaciones, el Acuerdo de la OCDE sobre intercambio de información en materia tributaria, 2002, al indicar, en su art. 1, que «… los derechos y garantías reconocidos a las personas por la legislación o la práctica administra-tiva de la Parte requerida seguirán siendo aplicables siempre que no impidan o retrasen indebidamente el intercambio efectivo de información», o el Reglamento sobre Asistencia Administrativa en materia de IVA 1798/2003, al entender como un obstáculo la notifica-ción previa al sujeto pasivo en caso de intercambio de información debido a que dicho pro-cedimiento «se había considerado especialmente nocivo en caso de fraude».

69 Vid., en relación con esta idea, MARTINEZ GINER, La protección jurídica del contribu-yente en el intercambio de información entre Estados, Madrid, 2008, pp. 22 y 25, para quien debe entenderse la protección del obligado tributario afectado «no como un obstáculo al intercambio de información entre Estados, sino como un aspecto beneficioso y una opor-tunidad de mejorar la colaboración con las Administraciones tributarias», afirmando, en esta misma línea CALDERON CARRERO, El intercambio de información entre Administraciones tributarias en un contexto de globalización económica y competencia fiscal perniciosa, en Las medidas anti-abuso en la normativa interna española y los Convenios para Evitar la Doble Im-posición Internacional y su compatibilidad con el derecho comunitario, SOLER ROCH-SERRANO ANTON (Dirs.), Madrid, 2002, p. 311, que la adecuada protección de los derechos y garan-tías del obligado tributario ayudarían a dotar de una mayor eficacia al intercambio de in-formación, en base a que el nivel de protección puede ayudar al nivel de colaboración con las Administraciones tributarias y RUIBAL PEREIRA, Experiencia internacional sobre medidas de reorganización de las Administraciones Tributarias en la lucha contra el fraude fiscal, en Crónica Tributaria, núm. 134, 2010, pp. 144 y ss.

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ferente a las actuaciones de intercambio de información que afectan a su pro-pia situación tributaria siendo, precisamente, la tutela de los mismos uno de los aspectos de dicha colaboración más necesitados de atención, tanto a nivel interno, comunitario como internacional 70.

Protección del contribuyente que, a nuestro juicio, y en primer término, pasa directamente por la necesidad garantizar los derechos de participación del mismo en el procedimiento de intercambio de información, partiendo para ello de la notificación de dicha actuación, en cuanto requisito imprescin-dible de una tutela eficaz del sujeto afectado por la misma 71.

Notificación, en efecto, que se presenta particularmente importante en los intercambios de información “previa petición”, ya que si resulta difícil reaccionar frente a las actuaciones de intercambio de datos a nivel interna-cional es evidente que ello resulta de todo punto imposible cuando el con-tribuyente ni siquiera tiene conocimiento de las mismas 72.

Posibilidad de notificación que sí ha sido objeto de “cierta” regulación en

70 Vid. SANCHEZ LOPEZ, El intercambio de información tributaria. Perspectivas de una nueva significación de este instrumento, en Crónica Tributaria, núm. 114, 2005, p. 102. Idea, en relación con la cual, ha afirmado CAYON GALIARDO, Los sujetos pasivos y la cooperación administrativa internacional en la gestión tributaria, en Sujetos pasivos y responsables tributa-rios, Instituto de Estudios Fiscales, Ed. Marcial Pons, Madrid, 1997, pp. 770 y 771, que frente a los ciudadanos los mecanismos de intercambio de información «les sitúa en una posición jurídica difícil de determinar pues los convierte en “sujetos pasivos” de una potes-tad administrativa y tributaria internacional frente a la que no se han previsto mecanismos (…) de defensa, de control y de racionalidad y justicia».

71 Línea en que se sitúan, entre otros autores, SCHENK-GEERS, International Exchange of Information and Protection of Taxpayers, Holanda, 2009, p. 208, a cuyo juicio es obvia la ne-cesidad de un procedimiento de notificación, a través del cual el titular tenga conocimiento de que sus datos personales son objeto de intercambio, ADONNINO, Lo scambio di informa-ción fra amministrazioni finanziarie, cit., pp. 1175 y 1185 y CALDERON CARRERO, Tendencias actuales en materia de intercambio de información entre Administraciones Tributarias, cit., p. 14, para quien «resulta inaplazable la articulación de garantías que permitan a los afectados por intercambios de información controlar la legalidad de la actuación administrativa».

72 Y ello sin desconocer la relevancia de prever los cauces oportunos que permitan al contribuyente reaccionar frente a cualquier intercambio de información. Cuestión, en re-lación con la cual, ha indicado FERNANDEZ MARIN, La tutela de la Unión Europea al contri-buyente en el intercambio de información, Barcelona, 2007, p. 93, que «todas aquellas medi-das tendentes a la lucha contra el fraude, y entre ellas se encuentran las de prestación de asistencia mutua, principalmente las que se desarrollan en el marco del intercambio de in-formación, deben reconocer al contribuyente u obligado tributario afectado la posibilidad de alegar durante estas actuaciones aquello que considere necesario para la defensa de sus intereses».

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el ámbito comunitario, fundamentalmente en la Directiva 2011/16/UE, y que si bien deja en manos de los Estados Miembros la posibilidad de solici-tar la misma, debe ser considerada como un avance en relación con la pro-tección del contribuyente teniendo en cuenta que la OCDE no prevé nada en este sentido siendo, además, la tendencia internacional minimizar los de-rechos de participación de los contribuyentes en el Estado requerido 73.

En segundo lugar, y teniendo presentes técnicas como la introducida por FATCA, creemos importante hacer hincapié en la necesidad de una ade-cuada protección de la confidencialidad y uso de la información objeto de intercambio, a los cuales sí parece haberse prestado más atención en los úl-timos tiempos tanto por parte de la OCDE como de la UE.

4. Conclusiones

1. Como ha señalado CALDERON CARRERO, «el contexto actual de glo-balización económica y competencia fiscal ha traído consigo una reacción de las organizaciones internacionales (OCDE y ONU) y de los respectivos países en el sentido de configurar los tradicionales mecanismos de informa-ción adaptándolos a las necesidades actuales». Tendencia a la que se ha sumado la UE (no debiendo olvidar el papel desempeñado por el G-20) 74.

2. En este escenario, la crisis económica ha supuesto que las Adminis-traciones Tributarias se vean sometidas a una mayor tensión recaudatoria que debe saldarse por la vía del control fiscal, dado que los incrementos de la recaudación por la tradicional vía de las reformas tributarias con incre-mento de la presión fiscal resultan mucho más limitadas.

3. Circunstancias, pues, que han sido determinantes del impulso dado al intercambio automático de información desde el convencimiento de que, en la actualidad, este mecanismo constituye la vía más eficaz de lucha contra

73 Vid. CALDERON CARRERO, Tendencias actuales en materia de intercambio de informa-ción entre Administraciones Tributarias, cit., p. 1505, quien alude a la posición de la OCDE en el sentido de defender, en relación con las legislaciones domésticas que prevén dere-chos de participación de los contribuyentes en los procedimientos de intercambio de in-formación, que «los procedimientos no pueden ser obstructivos» debiendo establecerse la posibilidad de excluir el mencionado derecho de participación «en circunstancias ex-cepcionales donde el Estado requirente solicite la no comunicación al afectado motivando perjuicios graves en la investigación del fraude».

74 CALDERON CARRERO, op. cit., p. 1438.

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el fraude fiscal a nivel internacional dándose importantes pasos hacia la ins-tauración de un estándar global de intercambio de datos que exigiría, fun-damentalmente, la existencia de un esquema de base de datos convenido de forma universal, a fin de reunir la información con relevancia para la aplica-ción de los tributos, acompañado de un procedimiento internacional de inter-cambio automático de información.

4. Condiciones que requieren un esfuerzo de coordinación entre los distin-tos Estados que desembocaría en el acercamiento e incluso armonización de los procedimientos en materia de intercambio de información afectando a la estructura y organización de las Administraciones tributarias y, en último término, y lo que es más importante, contribuyendo a la creación de una ne-cesaria cultura administrativa de cooperación fiscal a nivel inter nacional. Esto es, y parafraseando a RUIBAL PEREIRA, cabe afirmar que el intercambio de infor-mación pasa necesariamente por una organización integrada que intercambie los datos a fin de que éstos desplieguen todos sus efectos 75.

5. Sin embargo, son todavía importantes los retos y obstáculos que es preciso superar para poder hablar de un verdadero estándar automático de información que, a nuestro modo de ver, todavía está dando sus primeros pasos. Entre ellos cabe mencionar, los desequilibrios entre las Administraciones tributarias más avanzadas y las menos desarrolladas, las diferencias entre los sistemas organiza-tivos e impositivos de los distintos países, los obstáculos relativos a la vigencia en algunos Estados del secreto bancario o comercial y la insuficiente protección de la situación jurídica del contribuyente y, en particular, su derecho de defensa frente a un uso indebido o inadecuado de los datos transmitidos.

En definitiva, a pesar de las iniciativas y de la evolución experimentada por los mecanismos de intercambio de información a lo largo de la última década, lo cierto es que el estado de su desarrollo e implementación actual está lejos de corresponderse con las necesidades reales que poseen las Ad-ministraciones tributarias de los distintos países de cara a poder cumplir sus funciones de supervisión fiscal y lucha contra el fraude y la evasión fiscal in-ternacional. Las Administraciones Tributarias todavía no son tan globales como los contribuyentes, ni tampoco utilizan plenamente las posibilidades que les brindan los mecanismos de intercambio de información 76.

75 Cfr. RUIBAL PEREIRA, Experiencia internacional sobre medidas de reorganización de las Administraciones Tributarias en la lucha contra el fraude fiscal, cit., p. 156.

76 Cfr. CALDERON CARRERO, Tendencias actuales en materia de intercambio de informa-ción entre Administraciones Tributarias, cit., p. 1449.

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6. Lo deseable sería aspirar a la instauración de un tratado multilateral de in-formación de alcance mundial (esto es, que trascienda el ámbito de la OCDE) que establezca intercambios automáticos con formato estandarizado y com-puterizado y que permita el levantamiento del secreto bancario y mercantil y proteja la confidencialidad de la información así como los derechos de parti-cipación del contribuyente afectado (salvo en casos de excepción). Esto es, un cambio real de las reglas de juego en materia de intercambio de informa-ción y de transparencia.

7. Es por ello que no creemos que la existencia de tres sistemas distintos de intercambio de información automática (en los ámbitos de la OCDE, UE y FATCA) sea la solución idónea ya que, como se ha afirmado, «a la postre coexistirán tres sistemas de intercambio automático de información sobre cuentas financieras, con todo lo que ello lleva consigo dese el punto de vista de los costes de cumplimiento como de las distorsiones y agujeros que puede provocar la aplicación de los mismos» 77.

8. Más aún, e incidiendo en la idea anterior, no pensamos que el inter-cambio automático sea la solución “definitiva” a la lucha contra el fraude fis-cal internacional debido a que son muchas las herramientas y todas ellas deben utilizarse conjuntamente a fin de ir cerrando las brechas de los con-tribuyentes que intentan evadir impuestos. Lo importante es que todas ellas tengan como finalidad la lucha contra el fraude fiscal y la transparencia desarrollándose en un escenario de auténtica cultura de la cooperación a nivel internacional.

77 Vid. CALDERON CARRERO, op. cit., p. 1543.

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Cristina Trenta

VANISHED ON THE WAY. APPLICABLE LAW AND VAT TREATMENT OF TRANSPORTED GOODS IN INTRA-EU TRADE

SCOMPARSI LUNGO LA STRADA. DIRITTO APPLICABILE E REGIME IVA DELLE CESSIONI

INTRACOMUNITARIE DI BENI

Abstract Il complesso equilibrio tra il regime IVA delle cessioni intracomunitarie, da una parte, e l’ulteriore impegno sinergico richiesto alle amministrazioni fiscali nazionali per il controllo delle stesse crea una situazione di difficoltà per coloro che operano in questo settore, generando elevati costi di adeguamento e spesso un inaccettabile alto grado di incertezza giuridica. Lo scritto analizza un caso di IVA nel settore del-le cessioni di beni tra Stati membri che si rivela chiaramente appesantito da tale si-tuazione. Appare difficile per operatori di buona fede applicare correttamente il re-gime IVA delle transazioni intracomunitarie in un settore del commercio che vede un incremento di frodi e attività criminali transnazionali. Tale situazione conduce ad un diniego del diritto di esenzione IVA per gli operatori di buona fede che ac-quistano beni e compromette, attraverso un effetto domino, altri diritti connessi all’IVA come quello del rimborso per persone non stabilite. Parole chiave: IVA, cessioni intracomunitarie di beni, costi di adeguamento, buona fede, frodi fiscali The complex balance of the VAT regime for intra-EU trade on one hand and the ad-ditional synergistic work required of national tax administration to control intra-EU transactions on the other created a difficult situation for taxable persons working in the area, producing “high compliance costs” and more often than not “an unaccepta-bly high level of legal uncertainty”. The paper discusses a VAT case in the area of in-tra-EU supply of goods which is clearly burdened with this situation. It seems to be difficult for good faith business operators to apply the correct VAT regime to intra-EU

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transactions in an area of trade that sees an increase of frauds and transnational criminal activities. This situation leads to a denial of the right of exemption for good faith EU taxable persons acquiring goods and compromises through a domino effect other VAT rights such as the right to a refund for non-established persons. Keywords: VAT, intra-Community supplies of goods, compliance costs, good faith, tax frauds

SOMMARIO: 1. Introduction. – 2. Case study: a supply of movable goods between EU Member states. – 3. Legal frameworks. – 4. Transfer of ownership in civil law and applicable law. – 5. Definitions of supply and intra-EU supply of goods and time of taxation. – 6. Zero-rate VAT intra-EU sup-plies. – 7. Analysis. – 7.1. The transfer of property rights or equivalent rights. – 7.2. The effec-tive handling of the goods. – 8. Physical relocation of the goods. – 9. Conclusions.

1. Introduction

The European Economic Community 1 introduced the VAT system in 1968 2, with the final long term aim of abolishing custom border controls and eliminating internal fiscal barriers. Fiscal borders for the trade of goods were definitely abolished within the EU in 1993 3, with EU exports and im-ports becoming intra-EU supplies and intra-EU acquisitions of goods 4 and

1 Treaty Establishing the European Economic Community, 298 U.N.T.S. 3, 4 Eur.Y.B. 412, March 25, 1957, (EEC Treaty or Treaty of Rome). Substantial changes were intro-duced with the Maastricht Treaty in 1992 (in force November 1 1993). See also ZANDER, The Law-Making Process, Oxford Publishing, 2015, p. 403.

2 First Council Directive 67/227/EEC of 11 April 1967 on the harmonisation of legis-lation of Member States concerning turnover taxes. OJ 071, 14 April 1967. OJ 71, 14.4.1967. Second Council Directive 67/228/EEC of 11 April 1967 on the harmonisation of legislation of Member States concerning turnover taxes – Structure and procedures for application of the common system of value added tax. OJ 71, 14 April 1967. For an histor-ical perspective, see also Sixth Council Directive 77/388/EEC of 17 May 1977 on the harmonization of the laws of the Member states relating to turnover taxes – Common sys-tem of value added tax: uniform basis of assessment. OJ L 145, 13 June 1977.

3 PERFETTI, La cooperazione doganale, in MANGIAMELI (editor), L’ordinamento europeo, Vol. 3, Milano, 2008, p. 104.

4 NATHOENI-S. WIT-W. DE, VAT exemption of intra-Community supplies of goods: state of play after VSTR, EC tax review, Vol. 22, no. 2, 2013, pp. 100-105.

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Cristina Trenta 679

the adoption of a zero rate on intra-EU supplies of goods and application of VAT on intra-EU acquisitions of goods 5. These transitional arrangements for intra-EU trade were introduced with Directive 91/680/EEC 6 7 and cur-rent rules are part of the recast of the VAT Directive 8.

These measures had the essential aim of facilitating the free movement of goods within the EU. Specifically, the principle of taxation in the country of destination has been introduced for intra-EU supply of goods between taxable persons. Therefore, these operations are exempt from taxation in the country of origin and taxed in the country of destination 9. Nevertheless, the applicability of the exemption regime is subject to the fulfillment of a number of formal conditions including the taxable persons involved pro-ducing the necessary documentation in support of the transactions 10.

The complex balance of the VAT regime for intra-EU trade on one hand and the additional synergistic work required of national tax administration to control intra-EU transactions on the other created a difficult situation for taxable persons working in the area, producing “high compliance costs” and more often than not “an unacceptably high level of legal uncertainty” 11.

5 AMAND-BOUCQUEZ, A new defence for victims of EU missing-trader fraud? International VAT monitor, Vol. 22, no. 4, 2011, pp. 234-241. This mechanism prescribes the taxation in the country of destination and the exemption in the country of origin.

6 Council Directive 91/680/EEC of 16 December 1991 supplementing the common system of value added tax and amending Directive 77/388/EEC with a view to the aboli-tion of fiscal frontiers OJ L 376, 31 December 1991, pp. 1-19.

7 WALKER, Harmonization of the EU zero rate for airlines, International VAT monitor, Vol. 24, no. 5, 2014, pp. 287-293.

8 Council Directive 2006/112/EC of 28 November 2006 on the common system of value added tax. OJ L 347, 11 December 2006.

9 LEJEUNE-KOTANIDIS-CORTVRIEND, Joint and several liability relating to intra-Community acquisitions, International VAT monitor, Vol. 20, no. 5, 2009, pp. 362-368. CENTORE, Manuale dell’IVA europea, Milano, 2008, p. 486.

10 ROSSI-COALOA, Prova delle cessioni intracomunitarie nel rispetto della libera circola-zione delle merci e della buona fede del contribuente, in Il fisco, no. 1, Juanuary 2013, pp. 1-31.

11 AMAND-BOUCQUEZ, A new defence for victims of EU missing-trader fraud?, Internation-al VAT monitor, Vol. 22, no. 4, 2011, pp. 234-241. See also CORSO-MASPES, La prova del trasporto all’estero nelle cessioni intra-ue tra certezza del diritto e nostalgia delle dogane, in Corr. trib., no. 10, 2012, p. 727. D’ARDIA-COVINO, IVA intracomunitaria e doveri di diligen-za del fornitore, oltre la verifica di esistenza della partita iva dell’ipotetico cliente di Dialoghi Tributari, no. 2, 2012, pp. 178-184. LIBERATORE, IVA: lo stato dell’arte, in Il fisco, no. 26, 2014, p. 2557.

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In this paper, I discuss a VAT case in the area of intra-EU supply of goods which is clearly burdened with this “unacceptably high level of legal uncertainty”. I will provide both a “Law in Books” – detailing what is the ap-plicable VAT treatment for the specific case – and a “Law in Action” – what are the consequences when said statutory law is applied to the empirical da-ta – approach 12, under the lens of VAT law.

I will try to evaluate how difficult it is for good faith business operators to apply the correct VAT regime to intra-EU transactions in an area of trade that sees an increase of frauds and transnational criminal activities 13, and document how this “unacceptably high level of legal uncertainty” not only often results in a denial of the right of exemption for good faith EU taxable person acquiring goods, or in a tax audit for good faith EU taxable persons selling the goods and failing to invoice properly, but also compromises through a domino effect other VAT rights such as that the right to a refund for non-established persons 14.

2. Case study: a supply of movable goods between EU Member states

The case deals with an ordinary transaction occurring between two EU-taxable persons established in two EU Member states: an Italian company (A) established in Italy, and a German company (B) established in Germa-ny. Goods were located where the Italian company is established, and they had to be transported from Italy to Germany and delivered on the offices of the German company. Transportation was arranged by a contractor on be-half of the German company. Then, the carrier subcontracted the transpor-tation to an another subcontractor.

The goods never arrived to Germany: they disappeared together with the fraudulent subcontractor and the tracker themselves. The event oc-

12 POUND, Law in books and law in action, in American Law Review, Vol. 44, no. 1, 1910, pp. 12-36. See also HALPERIN, Law in books and law in action: The problem of legal change, in Maine Law Review, Vol. 64, Issue 1, 2011, pp. 45-76.

13 URICCHIO-PIRRÒ, Il reato tributario transnazionale, in Rass. trib., no. 2, March/April 2015, p. 351.

14 Council Directive 2008/9/EC of 12 February 2008 laying down detailed rules for the refund of value added tax, provided for in Directive 2006/112/EC, to taxable persons not established in the Member State of refund but established in another Member State (OJ L 044, 20 February 2008, p. 23).

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Cristina Trenta 681

curred during transportation in an unknown location and in unknown terri-tory.

The transaction as such entirely fulfills the theoretical conditions for the exemption regimes for intra-EU supplies of goods, currently disci-plined by art. 138 of the VAT Directive 15. Nevertheless, company A charged Italian VAT and invoiced company B accordingly, since they con-sidered the transaction a domestic supply and not an intra-EU supply of goods. Company B countered that no supply of goods occurred at all, be-cause of the disappearance of goods and courier, and therefore Italian VAT was charged incorrectly.

I intend to investigate whether the transaction, after the fortuitous event that lead to the disappearance of the goods, is still a supply of goods relevant for VAT purposes and whether subsequently said supply could be still quali-fied as an exempt intra-EU supply of goods, with the goal of understanding what the applicable VAT treatment to this transaction is.

The paper is organized as follows: I first define the concept of transfer of ownership according to both the German BGB and the Italian Civil Code, outlining the differences between the two legal systems; then I illustrate the concept of time for passing the title for movables, and for movables that are transported, according to Italian civil law, which is the relevant legislation as the goods were originally located in Italy.

Then I define what a supply of goods and an intra-EU supply of goods are according to Italian VAT law. This analysis may also help understand whether Italian civil law is crucial in solving the case, or if civil law may con-firm or contrast the results coming from Italian VAT law.

Next, I investigate whether the conditions for a supply of goods between company A and company B are met. I will also examine whether the re-quirements for an exempt intra-EU supply of goods between the two eco-nomic operators are fulfilled.

Finally, I draw conclusions and offer some reflections.

15 Council Directive 2006/112/EC, art. 138: «(M)ember States shall exempt the sup-ply of goods dispatched or transported to a destination outside their respective territory but within the Community, by or on behalf of the vendor or the person acquiring the goods, for another taxable person, or for a non-taxable legal person acting as such in a Member State other than that in which dispatch or transport of the goods began».

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3. Legal frameworks

The case has to be discussed in accordance and in the context of the fol-lowing legal frameworks: the German Civil Code, Bugerliches Gesetzbuch (BGB) 16; the Italian Civil Code (Codice civile) 17; the Italian Value Added Tax (Imposta sul Valore Aggiunto), hereinafter Italian VAT Act 18; the Italian Law Decree 331/93 19 (converted into Law No. 427/1993 20), which specifi-cally governs VAT on intra-EU acquisitions and supply of goods.

Then, on December 11, 2012, Law Decree no. 216/2012 was published in the Official Gazette no. 288. The Decree entered into force on December 11, 2012, amending Presidential Decree no. 633 of 26 October 1972 and Law Decree no. 331 of 30 August 1993. The main amendments affect taxa-ble transactions carried out after January 1, 2013. From January 1, 2013, Law no. 228/2012 21 repealed art. 39 of the Law Decree no. 331 of 30 Au-gust 1993. I will examine the case in the light of the regulations in place both before and after the year 2013. It is worthy of note that although the two subsequent frameworks lead to the same concrete results, the changes clearly increase the complexity of VAT legislation.

Additionally, Law no. 218 of 31 May 1995 on the Reform of the Italian System of Private International Law 22 will provide secondary framing to-gether with the following praxis: Circolare no. 13, February 23th, 1994, Ministero delle Finanze, Dipartimento delle Entrate Direzione Centrale: Affari Giuridici e Contenzioso Tributario; Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate Direzione Centrale Normativa e Contenzioso no. 345/E, No-vember 28th, 2007; Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate Direzione Centrale Normativa e Contenzioso no. 477/E, December 15th, 2008; Ri-soluzione dell’Agenzia delle Entrate Direzione Centrale Normativa e

16 Civil Code, version promulgated January 2 2002 (Federal Law Gazette [Bun-desgesetzblatt] I p. 42, 2909; 2003, I, p. 738), last amended by art. 4 para. 5 of the Act of 1 October 2013.

17 Royal Decree of 16 March 1942, no. 262. 18 Presidential Decree no. 633 of 26 October 1972, Official Gazette no. 292, 1972 No-

vember 11. 19 Law Decree no. 331 of 30 August 1993, Official Gazette no. 203, 1993 August 30. 20 Official Gazette no. 255, 1993 October 29. 21 Official Gazette no. 302, 2012 December 29. 22 Official Gazette no. 128 , 1995 June 3.

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Contenzioso no. 123/E, May 6th, 2009; and Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate Direzione Centrale Normativa e Contenzioso no. 19/E, March 25th, 2013.

4. Transfer of ownership in civil law and applicable law

According to the German §929 BGB 23, to successfully transfer owner-ship of a moveable the owner must deliver the object being transacted to the buyer and both parties must be in agreement that ownership shall pass: that is, both physical delivery of the object and consent between transferor and transferee as to the passing of ownership are necessary 24.

Italian law on the other hand, and specifically art. 1376 of the Civil Code, upholds that the completion of an agreement is sufficient, as a rule, for title and other property rights to be passed on. A completed agreement, that is to say consent, is the cause or the fundamental underlying reason for the trans-fer 25. As a consequence, in Italian law the transfer of ownership occurs re-gardless of the transfer of possession of the object and of any payment of consideration 26, if not otherwise agreed by the parties. Therefore, the two legal systems work quite differently.

23 English translation of the BGB at the German Federal Ministry of Justice and Con-sumer Protectiion. http://www.gesetze-im-internet.de/englisch_bgb/.

24 RAHMATIAN, A comparison of German moveable property law and English person-al property law, in Journal of Comparative Law, 3.1, 2008, pp. 197-248. See also ZE-KOLL-REIMANN, Introduction to German Law, Kluwer Law International, 2005, pp. 234-235.

25 LIOTTA, Membro dalla Commissione Studi Affari Europei e Internazionali del Con-siglio Nazionale del Notariato, Italy. See also D’URSO-BUDA, Atti e ricorsi, Contratti, testa-menti e ricorsi di volontaria giurisdizione nelle tracce d’esame per il concorso notarile, in Il Sole 24 Ore Norme & Tributi, 1999, p. 56. TORRENTE-SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 2011, p. 581.

26 Fusari, Incoterms e il Trasferimento della properietà, Confindustria Vicenza, Associa-zioni Industriali della Provincia di Vicenza.

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Table 1: Transfer of ownership between Germany and Italy according to their national Civil Code

German Civil Code, BGB Section 929 – Agreement and delivery

Italian Civil Code, Art. 1376 Contracts transferring ownership

For the transfer of the ownership of a mo-vable thing, it is necessary that the owner delivers the thing to the acquirer and both agree that ownership is to pass. If the acquirer is in possession of the thing, agreement on the transfer of the ownership suffices 27.

In the contracts having as their object transfer of ownership of a specified thing, the constitution or transfer of a right in rem or the transfer of another right, such ownership, or right, is transferred and acquired by the lawfully expressed agreement of the parties.

Nevertheless, if a movable is transported by a carrier, art. 1510 (2) of the

Italian Civil Code also applies, upholding that if a movable has to be trans-ported, the seller is freed from delivery liability when the goods have been handed over to the carrier, with all transport risks passing on to the buyer.

The Italian Supreme Court, in their judgments no. 10770, July 2003, and no. 11585, May 2005 28, consistently upholds that in such cases the time of the transfer of the title coincides with the delivery of the objects being transacted to the carrier. This is also the time when, generally, risks of losses are passed on to the acquirer.

Finally, if the sale concerns fungible goods (cose di genere), the relevant moment for the transfer of ownerships is when goods are identified, accord-ing to art. 1378 of the Italian Civil Code 29. Moreover, in case that fungible goods have to be transported, their identification may occur also at the time of delivery to the carrier. This principle has been maintained throughout by the Italian Supreme Court, and as recently as judgment no. 27125, Decem-ber 2006 30.

The parties may agree that the time of risk of losses will pass at a differ-ent moment, in respect of the passing of the title of ownership, as it occurs

27 German Civil Code English Language, Federal Ministry of Justice and Juris GmbH. http://www.rechthaber.com/wp-content/uploads/2011/07/German_Civil_Code_in_English_ language.pdf.

28 NADDEO-MUSIO, La compravendita, Padova, 2008, pp. 585-586. 29 ZUNARELLI, Transfer of Ownership through Bills of Lading or other Transport Docu-

ments, Italy, in VON ZIEGLER (ed.), Transfer of Ownership in International Trade, Alphen aan den Rijn, 2010, p. 251.

30 See also Italian Supreme Court judgment no. 4344 March 2001.

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usually with Incoterms 31: this is exactly what the parties in the case at hand agreed upon. But this negotiation does not affect the time of the passing of the ownerships as such, according to both the Italian Civil Code and doc-trine 32. Moreover, a similar interpretation can be found in German doc-trine 33.

The United Nations Convention on Contracts for the International Sale of Goods, the Vienna Convention 34, maintains under art. 4(b) the inap-plicability of the Convention in deciding matters of international transfer of ownership, explicitly stipulating its being unconcerned with «the effect which the contract may have on the property in the goods sold». Consist-ently, the Italian Supreme Court, judgment no. 15389, November 2002, stated that the Vienna Convention only deals with the delivery of the goods and not with the transfer of ownership, which is regulated by the country in which the sale was made 35.

In other words, the modus adquirendi, which is «(t)he way the property is transferred, is governed by the lex rei sitae» 36. This principle also finds confirmation in Law no. 218 of 31 May 1995 on the Reform of the Italian System of Private International Law, a piece of legislation governing issues of private international law. Art. 51 upholds that «the possession, owner-ship and other real rights over movable and immovable property are gov-erned by the law of the State where the property is located». In case that an argument arises in Italy in respect to an international sale of goods, the ap-plicable law for the classification of the transfer of ownership and related

31 C.J. CHENG-J. CHENG (ed.), Basic documents on international trade law, Leiden (The Netherland), 1990, p. 91.

32 GALGANO-MARRELLA, Diritto e prassi del commercio internazionale, Assago, 2010, p. 438. See also FRIGNANI-TORSELLO, Il contratto internazionale, Padova, 2010, p. 498. REYN-OLDS, Managing Exports: Navigating the Complex Rules, Controls, Barriers, and Laws, New York, 2003, pp. 161-162.

33 CAMERON, International Business Law: Cases and Materials, Ann Arbor, 2015, p. 189.

34 United Nations Convention on Contracts for the International Sale of Goods, Vien-na, April 11 1980, Treaty Document Number 98-9 (1984), UN Document Number A/CONF 97/19, 1489 UNTS 3.

35 See also LOMBARDI, La risoluzione per impossibilità sopravvenuta, Milano, 2007, p. 246.

36 ZUNARELLI, Transfer of Ownership through Bills of Lading or other Transport Docu-ments, Italy, cit., p. 246.

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conditions to do so is in general terms the “lex rei sitae”, or the law applica-ble to where the property is situated 37.

Therefore, if the movable is situated in Italy, the applicable law will be Italian law, and specifically the principles explained above governing the transfer of property will be in effect, so that an agreement is enough to have the transfer of ownership, with the delivery itself not being an essential or qualifying element.

5. Definitions of supply and intra-EU supply of goods and time of taxation

According to art. 2 of the Italian VAT Act, supplies of goods are transac-tions for consideration which bring about a change in ownership or the cre-ation or transfer of beneficial rights over goods of any kind. The article also clarifies that all tangible movable and immovable property qualifies as goods for VAT purposes 38.

The Italian Supreme Court, judgment no. 23329, October 2013, interprets the wording «change in ownership or creation or transfer of beneficial rights over goods of any kind» by recalling the principles established by the ECJ in the Safe case 39, stating that for VAT purposes it is not necessary to have neither the transfer of the real juridical property of the goods themselves, nor to look into the applicable national law for the concept of change in ownership:

(i)t is clear from the wording of this provision that “supply of goods” does not refer to the transfer of ownership in accordance with the procedures prescribed by the applica-ble national law but covers any transfer of tangible property by one party which em-powers the other party actually to dispose of it as if he were the owner of the property 40.

37 GALGANO-MARRELLA, op. cit., pp. 437-438. 38 IADEVAIA, Italy, Value Added Tax, IBFD database. 39 Case C-320/88, Staatssecretaris van Financiën v Shipping and Forwarding Enter-

prise Safe BV, [1990] ECR I-285. Para. 7. See also SCHENK-THURONYI-CUI, Value Added Tax, Cambridge, 2015, p. 413. FILIPPI, Profili oggettivi del presupposto dell’IVA, in Dir. prat. trib., no. 6, 2009, p. 11199. SIRRI-ZAVATTA, Campo di applicazione dell’IVA per le cessioni di beni nella proposta di rifusione, in Corr. trib., no. 27, 2004, p. 2115. GIANNELLI-SANTI, Beni ammortizzabili in leasing: il rimborso IVA segue la sostanza economica dell’operazione, in Corr. trib., no. 1, 2016, p. 63.

40 Case C-320/88, Staatssecretaris van Financiën v Shipping and Forwarding Enter-prise Safe BV, [1990] ECR I-285. Para. 7.

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On the other hand, the general definition of intra-EU supply of goods is contained in art. 41 of Law Decree no. 331/1993, which defines it as a sup-ply of goods for consideration, transported or shipped to a territory of an-other Member state, by the seller, the buyer, or a third party on their behalf, toward purchasers that are VAT subjects 41.

In respect to assessing the time of supply, rules for intra-EU supplies of goods are the same as those for domestic supplies, since Law Decree 331/1993 contains no specific provisions. Therefore, for movable goods, the general rule is that the time of supply is when goods are placed at the disposal of the acquirer. If goods are being transported, this moment is when transport begins, as per the Italian VAT Act 42. In this case, it is possi-ble to apply an ordinary disposition of the Italian VAT Act, art. 6, on intra-EU supply of goods because of the general reference provision contained in art. 56 of Law Decree n. 331/1993.

On January 1, 2013, Law no. 228/2012 replaced art. 39 of Law Decree no. 331/1993, establishing in its first paragraph that the time of supply for both intra-EU supplies and acquisitions of goods 43 coincides with the mo-ment when transportation of goods begins in respect to the acquirer or a third party on their behalf: that means Italy for intra-EU supplies, and the Member state of origin for intra-EU acquisitions. The Italian regulation concerning the passing of the title of ownership for intra-EU supplies of goods before and after this change to art. 39 were and remain quite restric-tive. It is possible to note that the Italian VAT Act and the Italian Civil Code operate slightly differently in respect to the time of the passing of the title for objects. For the VAT Act, the passing of the title usually occurs at an even earlier stage preceding the agreement or the consent of the parties. This is in order to avoid abusive practices or fraudulent aims in tax law 44.

41 RIZZARDI, VAT in Italy, Bulletin for international taxation, Vol. 64, no. 8/9, 2010, pp. 487-491.

42 Italian VAT Act, art. 6 (1). 43 CENTORE, Il (nuovo) momento impositivo delle operazioni intracomunitarie, in Corr.

trib., no. 2, 2013, p. 100. Centore stipulates that the Italian amendment is not consistent with the VAT Directive, as the European legislation regulates the time of taxation only for intra-EU acquisitions of goods (see artt. 68 and 69), but does not prescribe specific rules for the time of taxation for intra-EU supplies of goods. Hence these latter are regulated by the ordinary rules (see art. 63).

44 GIUA-CHECH, Le presunzioni di cessione nella disciplina IVA, in Il fisco, no. 48, 2005, p. 7484.

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For the Civil Code, the passing of the title occurs only when the consent to the agreement is expressed by the parties. When movables are transported, the time is when transportation begins (VAT), or when the goods are deliv-ered to the carrier (Civil law).

6. Zero-rate VAT intra-EU supplies

Italian VAT is not chargeable on intra-EU supplies of goods, according to art. 41 of Law Decree no. 331/1993. However, to qualify for zero-rate VAT, intra-EU supplies must 45:

1. be supplies for consideration; 2. be supplies of goods transferring property rights or equivalent rights; 3. be supplies between taxable persons registered for VAT purposes; 4. have the supplier, the acquirer, or a third party acting on their behalf

dispatch or transport the goods from Italy to a territory of another Member state, carrying out an effective handling of the goods.

All these conditions need to be fulfilled, meaning that the zero-rate is not an automatic regime to be applied generically to every intra-EU transaction. If one or more conditions are not satisfied, the supply is not an intra-EU supply of goods but a domestic supply of goods, and hence taxable for VAT purposes according to the Italian VAT Act 46.

The Italian Tax Administration, Risoluzione no. 19/E March 25 2013 concerning proof of intra-EU supply, specifically recalls the ECJ Albert Col-lée case and accordingly states that proofs can be also be provided at a later time, provided that the objective criteria are satisfied:

(i)t is important to allow amendments to the categorisation of an intra-Community supply which are made after the transaction has taken place to be reflected in the ac-counts of those taxable; in some cases such adjustments can become necessary as a result of circumstances outside their control. Therefore, the intra-Community nature

45 NATOLI, Prova dell’avvenuta cessione comunitaria, in Il fisco, no. 3, 2011, p. 354. See also PRANDINI, Cessioni intracomunitarie: prova dell’avvenuto trasferimento dei beni, in Fis-calità e Commercio Internazionale, no. 10, 2014, p. 15. AIOLFI-ARTINA, Onere della prova per cessioni intracomunitarie, in L’IVA, no. 5, 2013. IADEVAIA, Italy, Value Added Tax, IBFD da-tabase.

46 DE RINALDIS, La cessione intracomunitaria può anche essere imponibile IVA, in L’IVA, no. 7, 2013, pp. 53-59.

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of a supply must be recognised if the accounts are subsequently adjusted, provided that the objective criteria underlying the terms which define that transaction are sat-isfied 47.

Nevertheless, the Italian Tax Administration stresses that all evidences of an intra-EU transaction have to be acquired by the supplier “as soon as pos-sible”, and they have to be stored by them in accordance with art. 57 of the Italian VAT Act, which prescribes the obligation to retain the documenta-tion pertaining to all exchanges up until December 31 of the 4th year fol-lowing the one in which the annual tax return for the year of the exchange has been filed or, in the case of a missed annual return, until December 31 of the 5th year when that same return should have been submitted 48.

The lack or the dubious existence of one of these requirements may lead the Italian Tax Administration to recover VAT and related sanctions from the Italian supplier, if they wrongly considered a supply as an intra-EU supply.

7. Analysis

The case study does not raise controversy concerning conditions number 1 (supply for consideration) and number 3 (supply between taxable persons registered for VAT purposes) above. Condition number 2 is on the other hand unclear in this case, since it is not known whether the transfer of proper-ty rights (or equivalent rights), and hence an effective supply of goods, oc-curred. Company B assumes a supply as such never occurred, since the com-pany was never in a position to dispose of the goods “as owner”.

The fulfillment of condition number 4, requiring the effective handling of the goods, is also matter of debate since, according to art. 41 of Law De-cree no. 331/1993, goods need to be dispatched or transported from Italy by the supplier, the acquirer, or by a third party acting on their behalf to the territory of another Member states. The goods were never confirmed to ar-rive in Germany: the disappearance occurred in unknown territory, with the Italian supplier unable to state if this occurred before or after the goods

47 Case C-146/05, Albert Collée v Finanzamt Limburg an der Lahn [2007] ECR I-7861. Para. 28-33. See also PEIROLO, La prova delle cessioni intracomunitarie ai fini della non imponibilità IVA, in Fiscalità e commercio internazionale, no. 5, 2013.

48 SAOTTINI, The proof for exchanges within the EU: Tax Update, 2013, http://www.mon-

daq.com/x/235132/sales+taxes+VAT+GST/The+Proof+For+Exchanges+Within+The+EU.

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passed the Italian borders. While the incident itself is certain, as it was noti-fied to the Italian Public Authority one or two days after the beginning of transportation, its location is not.

In order to be able to state conclusively whether an intra-EU supply of goods occurred in this case, it is necessary to investigate whether conditions number 2 and 4 are fulfilled. If both requirements are met, we have an intra-EU supply of goods. If condition number 4 is not met but condition num-ber 2 is, we have a domestic supply; if condition number 2 is not met, imply-ing number 4 is not as well, there is no supply of goods to speak of.

7.1. The transfer of property rights or equivalent rights

Condition number 2 on the transfer of property rights or equivalent rights needs to be framed slightly differently if the situation occurred before the year 2013, or after January 1, 2013, albeit for the specific case the con-clusions for the applicability of territoriality rules are identical.

Before 2013 and according to Italian praxis, if goods are lost, destroyed, or stolen in the middle of an intra-EU transaction and while they are trans-ported or shipped from Italy to the member state of destination, as in the case under discussion, the Circolare Ministeriale of February 23, 1994, no. 13, issued by the Ministero delle Finanze, Dipartimento delle Entrate Dire-zione Centrale Affari Giuridici e Contenzioso Tributario, is applicable. The Ministry maintains there that the VAT treatment of any sale depends on the time of the supply, and on how the mode of transportation has been ar-ranged.

The Circolare recalls how art. 6 of the Italian VAT Act prescribes that for intra-EU supplies of goods where goods are transported, the time of supply is when transport begins. Furthermore, if goods disappear during transpor-tation and this is arranged by the buyer through their own means or by a carrier on behalf of the buyer or of the supplier, the transaction is always to be considered completed, since the condition in favor of the acquirer, “the transfer of the right to dispose of the tangible property”, has been fulfilled. Moreover, the Circolare specifies that the arrangement of the specific mode of transportation of said goods plays an additional role in determining whether a supply is either a domestic or an intra-EU supply:

1. if the disappearance of the goods occurs in Italy, the operation is a domestic supply liable to VAT according to the national VAT rate of the supplied goods;

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2. if the disappearance of the goods occurs in the territory of another Member state, the transaction results in an intra-EU supply not taxable in Italy pursuant art. 41 of Law Decree 331/1993, since the goods have left the national territory of Italy.

After January 1, 2013, following the amendment of art. 39 of Law Decree 331/1993, the time of the supply coincides with the beginning of the trans-portation for both intra-EU supplies and for intra-EU acquisitions. It fol-lows that if the goods disappear in another Member state, supplies are to be deemed in any case intra-EU supplies regardless of whether transport is ar-ranged by the supplier, the acquirer, or a carrier working on behalf of one of the two operators. On the other hand, if goods disappear in Italy, the trans-action is a domestic supply since items did not leave Italian territory. There-fore, according to art. 6 of the Italian VAT Act for domestic supplies, appli-cable when the operation does not have intra-EU nature, and to the Circo-lare Ministeriale of February 23, 1994, no. 13, it is possible to deduce that if the transport is carried out or arranged by the supplier the condition is not fulfilled and no VAT liability arises. Conversely, if the transportation is ar-ranged by the acquirer or by a carrier on behalf of the acquirer, the transac-tion has to be qualified as an internal supply liable to national, in this case Italian, VAT 49. Hence, it is possible to conclude that condition number 2 concerning the transfer of the right to dispose of tangible property as the owner is fulfilled both before and after January 1, 2013.

According to the Circolare Ministeriale of February 23, 1994, no. 13, and the renewed art. 39 of Law Decree 331/93, that specific supply of goods certainly occurred, since company B acquired the right to dispose of the tangible property as the owner, uti domino, because of the shipment by the carrier on their behalf, even if the carrier, in turn, delegated this task to a subcontractor. The supply of goods, and the accompanying transfer of tan-gible property from one party to another, occurred in favor of company B.

This conclusion is also consistent with the Italian civil law doctrine ex-plained earlier, and the principle “lex rei sitae” is applicable. As a conse-quence, the relevant law is the Italian Civil Code, and then simple consen-sus is enough to conclude a contract. If the sale concerns fungible goods, the relevant moment for the transfer of ownerships is when goods are identi-

49 PEIROLO, La perdita dei beni oggetto di cessione intracomunitaria, News Euroconfer-ence, December 2015. http://cdn2.hubspot.net/hubfs/393901/PDFs/02.12.15/2._La_per-

dita_dei_beni_oggetto_di_cessione_intracomunitaria.pdf?t=1455899069290.

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fied, with delivery to the carrier here to be considered as identification. Again, in the event of goods being transported by a carrier, the passing of the title of ownership happens at delivery of the objects to the carrier. This is also when risks of losses are passed on to the acquirer.

According to the hypothesis, in this case the title of ownership was passed on. Therefore, under Italian civil law, the title successfully passed on to company B since movables have been delivered to the carrier.

Nevertheless, civil law conclusions are only a fortiori argument since, as I explained earlier, according to the Italian Supreme Court, judgment no. 23329, October 2013, to configure a supply of goods for VAT purposes it is not necessary to have a transfer of the real juridical property of the goods themselves or an applicable national law for the concept of change in own-ership: the VAT concept of the right to dispose of the tangible property as the owner is sufficient condition.

7.2. The effective handling of the goods

Verifying if condition number 4 was fulfilled requires to ascertain wheth-er what occurred was a domestic or an intra-EU supply of goods. If the for-mer, company A correctly charged and invoiced VAT to company B. If the latter, company A wrongly charged and invoiced VAT to company B, since the transaction configured an exempt intra-EU supply of goods.

The above legal framework does not contemplate the possibility that an event may occur, as in this case, and that the goods might disappear in un-known territory. It does prescribe only two different hypothesis in connec-tion to territoriality: a fortuitous event happening in the place of origin, or a fortuitous event in another EU Member state. Principles can be derived nonetheless from case laws.

According to the Italian Supreme Court, judgment no. 3603, 2009, the proof of the physical handling of goods from Italy to another Member state, the condition justifying the non-application of VAT, falls in full on the transferor, the entity which also bears the risk of an Italian tax audit 50.

50 FIORESE-PAVANELLO, Prova delle cessioni intracomunitarie – Prassi e giurisprudenza re-centi, PwC Tax & Legal Services, TLS Newsletter, August 9 2013. See also ROSSI-COALOA, Prova delle cessioni intracomunitarie nel rispetto della libera circolazione delle merci e della buona fede del contribuente, cit., pp. 1-31. FENICI, Vendita a ditta francese con trasporto da parte di terzi: la prova della cessione intra-UE, in Azienda & Fisco, no. 6, 2012, p. 38. PEIRO-LO, Sostanza e forma a confronto nelle interpretazioni dell’A.F. e della Corte di Giustizia, in L’IVA, no. 12, 2007, p. 17.

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Therefore, the burden of proving the existence of an intra-EU supply is the responsibility of the Italian supplier only, the general principle being that the burden of proving facts to justify an exception to the normal regime of taxation is borne by those who invoke derogation. This interpretative trend has been confirmed recently by the Italian Supreme Court, judgment no. 13458, July 27 2012: burden of proof lies on the national supplier as they are the ones who might ask for the exemption or non-taxability of an opera-tion. The obligation to prove the transfer of goods into another Member state is governed by the general principle set by art. 2697 of the Italian Civil Code, upholding that proof for VAT exemption in derogation to a general principle is the task of the subject invoking said derogation: “one who as-serts a right in judicial proceedings must prove the facts on which the right is based” 51.

Italian legislation does not provide specific rules for proving that an in-tra-EU supply of goods occurred: nevertheless, praxis from the Italian Tax Administration 52 describes numerous types of what is valid evidence sup-pliers may use in order to prove they are applying the proper applicable re-gime of an exempt intra-EU supply of goods. In the Risoluzione del-l’Agenzia delle Entrate Direzione Centrale Normativa e Contenzioso no. 345/E, November 28 2007 53, the Tax Authority recognized as valid, if pro-duced together, the following:

1. sale invoice issued in accordance with art. 41 of Decree 331/1993; 2. Intrastat models concerning the supply; 3. CMR document (Convention des Marchandises par Route); 4. buyer’s bank statement concerning the payment of the goods. In the Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate Direzione Centrale Norma-

tiva e Contenzioso no. 477/E, December 15 2008, the Authority stipulated that for ex-works transportation when the supplier does not have a CMR, the physical handling of the goods can be proven if evidence can be effec-tively given that the goods were transported to another Member state.

51 See also BORGOGLIO, Commento a Sentenza n. 13457/2012: Iva comunitaria, Disci-plina Iva delle cessioni intracomunitarie fra principio della detrazione e contrasto alle frodi, in Banca dati fisconline. Italian Supreme Court, judgment no. 19750, August 28, 2013; SAOTTINI, The proof for exchanges within the EU: Tax Update, 2013.

52 FIORESE-PAVANELLO, PwC Tax & Legal Services, TLS Newsletter, no. 8, 2013. SAOTTINI, The proof for exchanges within the EU: Tax Update, 2013.

53 Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate Direzione Centrale Normativa e Contenzioso no. 345/E, November 28 2007.

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In the Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate Direzione Centrale Norma-tiva e Contenzioso no. 123/E, May 6 2009 54, we read that a waybill can also be valid evidence if it contains information stating Italian territory as the country of departure of the goods and another Member state as the country of destination.

In the Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate Direzione Centrale Norma-tiva e Contenzioso no. 19/E, March 25 2013 55, the Authority states that transportation can be proven with documents other than a CMR in paper format, for example with an electronic version of the CMR, if these contain the necessary information attesting that the goods left the national territory. By the same token, a set of documents from which is possible to gather that same information, signature of the seller, the carrier, and the purchaser, also constitutes an equivalent proof to the printed CMR.

Similarly, information from the computer systems of the carrier can be used, provided it shows that goods have left Italian territory and reached the territory of another Member state.

The authority specifies that both the electronic CRM and any piece of information stored in a computer system cannot be qualified as a full-fledged electronic document, as they lack the electronic signature and the time reference. Therefore, in order to have legal validity, these documents need to be materialized on a physical support to be acceptable for tax law purposes.

Retention and storage of these documents has to follow the guidelines laid out by art 4 of Ministerial Decree January 23 2009 and Risoluzione no. 158/E of 2009. This latter prescribes that retention is done via optical sup-ports and has to adhere to specific legal requirements, including carrying the signature of the person in charge of storage and who certifies the validity of the entire process 56.

In all, these documents are valid if they prove that the effective physical handling of the goods occurred. Goods have to reach another Member

54 Agenzia delle Entrate Direzione Centrale Normativa e Contenzioso no. 123/E, May 6 2009. FIORESE-PAVANELLO, PwC Tax & Legal Services, TLS Newsletter, no. 8, 2013. SAOTTINI, The proof for exchanges within the EU: Tax Update, 2013.

55 PRANDINI, Cessioni intracomunitarie: prova dell’avvenuto trasferimento dei beni, in Fis-calità e Commercio Internazionale, no. 10, 2014, p. 15. See also COALOA-ROSSI, Cessioni in-tracomunitarie e onere della prova: i suggerimenti di Assonime, in Il fisco, no. 28, 2013.

56 SALVADEO-TEDESCHI, Risoluzione n. 158/E del 15 giugno 2009 – Archiviazione e fat-turazione elettronica: novità e chiarimenti, in Il fisco, no. 26, 2009, pp. 4321-4324.

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state. The documents need to be stored together with the bill of sale, the buyer’s bank statement concerning the payment of goods, the Intrastat models concerning the supply, and the documentations concerning the du-ty obligations derived from the contract. According to praxis, and specifical-ly to Risoluzione no. 19/E 2013, the Italian Tax Authority has acknowl-edged a list of alternative proofs. With praxis no. 477, December 15 2008, the Tax Authority specified that, in case of ex-works transportation, it is possible to offer proof through any other documents suitable to prove that the goods were transported to another Member state.

Then, Risoluzione no. 19/E 2013 mentions physical handling of the goods as a condicio sine qua non in order to have an intra-EU supply of goods. Therefore, evidence as such does not have to prove an abstract or hypothetical physical movement of the goods, but an actual physical change of location of the goods from Italy to another Member state. If said physical movement exists, evidences can be “any other documents suitable to prove that movement” 57.

Evaluation of this evidence is done case-by-case, considering also the bona fide of the taxpayer 58. Moreover, the Agenzia delle Entrate Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, Risoluzione no. 477/E December 2008, recalls the ECJ Teleos and Others case 59, where the Court confirms the requirements of the physical handling of goods and the need for these to have physically left the territory of the Member state in order to have an in-tra-EU supply of goods:

57 See also BANCALARI, Oggettività delle operazioni intraunionali e onere della prova, in Il fisco, no. 22, 2013, p. 3349. FIORESE-PAVANELLO, PwC Tax & Legal Services, TLS Newslet-ter, no. 8, 2013. SAOTTINI, The proof for exchanges within the EU: Tax Update, 2013.

58 TULLIO-COALOA-ROSSI, Prova delle cessioni intracomunitarie: nuovi chiarimenti dall’Agenzia delle Entrate, in Il fisco, no. 4, 2013, p. 2151.

59 Case C-409/04, The Queen, on the application of Teleos plc and Others v Commis-sioners of Customs & Excise, [2007] ECR I-7797. Para. 42 and para. 67. See also TRA-VERSA, Prevention of evasion, avoidance, and abuse in EU VAT law, in LANG-PISTONE-SCHUCH-STARINGER-STORCK (ed.), ECJ – Recent Developments in Direct Taxation 2014: Schriftenreihe IStR Band 91 (Vol. 91). Linde Verlag GmbH, 2015, p. 49. D’ARDIA, La prova delle cessioni comunitarie, in Azienda & Fisco, no. 2, 2008, p. 44. WOLF, Mecsek-Gabona: the final step of the ECJ’s doctrine on reliance on EU law for abusive or fraudulent ends in the con-text of intra-community transcations, in International VAT monitor, Vol. 24, no. 5, 2013, pp. 280-286. BALZANELLI-SIRRI, Prova delle cessioni intracomunitarie: la giurisprudenza na-zionale si allinea a quella europea, in Corr. trib., no. 17, 2015, p. 1312.

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(t)he exemption of the intra-Community supply of goods becomes applicable only (…) when the supplier establishes that those goods have been dispatched or trans-ported to another Member State and that, as a result of that dispatch or that transport, they have physically left the territory of the Member State of supply.

8. Physical relocation of the goods

An analysis must now be carried out to assess the circumstance of the physical movement of the goods, which have to reach another Member state to configure an intra-EU supply. This condition is also mentioned in the Italian Tax Authority’s own Circolare Ministeriale of February 23 1994 n. 13 I recalled earlier. The Circolare maintains that the need to ascertain whether the goods left the national territory in case of an intra-EU supply of goods is a compulsory element.

This notion is also included in the Italian legislative definition of intra-EU supply of goods given in art. 41 Law Decree no. 331/1993, which re-quires the goods to be dispatched or transported by the supplier, or the ac-quirer, or by a third party acting on their behalf, into a territory of another Member state. This wording is interpreted as physical movement of the goods, which must effectively reach another Member state.

In this specific case, it is not matter of dispute by the parties that the goods disappeared in unknown territory. As a consequence, it is not matter of dispute either that it is not possible for the supplier to prove the circum-stances required by Italian legislation and by the Italian Tax Administration in respect to the physical movement of the goods from Italy to another Member state. Hence, since it cannot be proven that the goods ever left Ita-ly, their place of origin, the transaction between company A and company B configures a domestic supply.

Even if evidence on the hypothetical movement of the goods from the origin state to the destination state existed, this would not be decisive in solving the case, since proof of effective physical transportation that Italian law, the praxis, and case laws require cannot be proved for certain. The event occurred in unknown territory, and this is the only certain occurrence. According to the Italian Supreme Court, judgment no. 1670, January 2013, the principle of good faith should governs the behavior of the Italian suppli-er involved in intra-EU transactions. The Court maintains that the seller does not have to carry out investigations on the movement of goods after

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they have been delivered to the carrier. However, the supplier has to asses with professional care the reliability of their counterpart. The evidences must leave no doubt about the effectiveness of physical handling of goods.

In the case at hand, this implies that company A should not try to use suggestive evidence of any kind to represent an event that is in reality un-known.

9. Conclusions

I discussed the case to assess first whether condition no. 2, the existence of a supply as such, occurred, and then whether the conditions for a transfer of property rights in favor of company B have been fulfilled. As document-ed, the answer is positive.

I then proceeded to ascertain whether condition no. 4 on the effective handling of goods from Italy to Germany or to another Member state has been fulfilled as well, configuring an intra-EU supply of goods. As docu-mented, the answer here is negative.

Following these assessments, it is then possible to conclude that while a domestic supply of goods definitely occurred, an intra-EU supply of goods did not. The four cumulative conditions prescribed by art. 41 Law Decree no. 331/1993 are not met. This conclusion leads to conclude that company A correctly charged and invoiced Italian VAT to company B. As company A could not confirm that the requirements for an exempt intra-EU supply of goods according to art. 46 (2) Law Decree no. 331/1993 were met, they correctly identified the supply as a domestic supply of goods. In detail:

1. as it was not possible for company A to prove that an intra-EU supply of goods occurred, it was therefore not possible for them to apply art. 46 (2) DL 331/93. Under this provision, the supplier can issue an invoice without charging VAT to the acquirer by declaring that the operation is an exempt intra-EU supply of goods, in accordance with art. 50 (1) Law Decree 331/93. Company A could not declare that the transaction was an intra-EU supply of goods because condition no. 4, which is necessary, was not ful-filled;

2. since in accordance with Italian regulations the transaction configures a domestic supply, company A could only ordinarily apply art. 21 of the Ital-ian VAT Act and issue an invoice and charge VAT to company B.

Consequently, as company A correctly charged and invoiced Italian

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VAT to company B, art. 4 (a) Directive 2008/9/EC 60 is not applicable in the specific case, as it prescribes the inapplicability of the Directive and the possibility of a refund in the event that VAT has been incorrectly invoiced. Furthermore, company B was entitled to an input VAT refund based on Di-rective 2008/9/EC, since the impediment laid down by art. 4 (a) of the Di-rective 2008/8/EC has not been fulfilled.

The above conclusions are surely correct from a strict legal point of view, as a “Law in Books” interpretation. It can not be disputed for the case at hand that the absence of factual handling of the goods from one EU Member state to another is a sufficient conditions to deny the applicability of the exemption regime, and conversely apply to the acquirer point-of-origin national VAT.

From a legal standpoint, intra-EU operations present a fragmented land-scape, in which business operators have to assess which VAT regime is ap-plicable to a specific transaction and navigate the legal frameworks of the two Member states involved in the intra-EU trade 61. In this case, the trans-action was anyway tainted by elements of uncertainty related to transporta-tion of the goods. Company B bears an objective responsibility for the pay-ment of Italian VAT. This is because the EU VAT system places joint re-sponsibility on operators involved in a transaction 62.

Nevertheless, reflections under the lens of “Law in Action” would suggest that the increase in complexity of the intra-EU regime is creating a confusing situation that is fertile ground for errors and makes it difficult to distinguish between plain frauds and good faith mishandling, begging the question of whether better legal protection should be introduced to avoid that bona fide operators suffer the consequences of someone else’s fraudulent conduct.

It seems feasible to suggest that the procedures laid out in Directive 2008/9/EC concerning the refund of VAT to taxable persons not estab-lished in the Member state of refund, but established in another Member State, and the time limit therein could be improved. Especially the strict time limits make filing an application for a VAT refund a rather impossible task to be accomplished in what is already a difficult situation for economic operators burdened by the many formalities of the process.

60 Directive 2008/9/EC, art. 4. 61 CENTORE, Tutela «ampia» dalle frodi nelle operazioni intracomunitarie, in Corr. trib.,

no. 5, 2011, p. 341. 62 MONDINI, Corresponsabilità tributaria per le evasioni Iva commesse da terzi, in Rass.

trib., no. 3, May/June 2014, p. 453.

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Cristina Trenta 699

In the specific case, company B was indeed entitled to ask for a VAT refund for their payment of Italian VAT, as they are not established in Italy 63 and ful-fill all other conditions 64 the Directive prescribes in order to be eligible. Never-theless, according to art. 15 of the same Directive all refund applications have to be submitted to the Member state of establishment at the latest on Septem-ber 30 in the calendar year following the refund period, a nine month window. This time limit has been interpreted by the ECJ as a mandatory time limit 65. If this could be deemed as acceptable in ordinary situations, it is questionable whether it still could be in pathological situations such as the one described in this case, where territoriality rules are unclear and consequently even the orig-inating invoicing of VAT was also initially doubtful, but a company still has to file their application within this nine months period.

This need for corrective measures also applies to place of supply rules because of the shortcoming of the current regulations. The EU Commis-sion, in their Green Paper on the future of VAT 66, has proposed to change the territoriality rules for intra-EU supplies to make identifiability of the place of supply simpler:

(i)n B2B transactions, the supplier often does not know the specific destination of the goods that he has sold because transport is organised by the customer and also because of commercial reasons. However, he always knows the identity, the location and the VAT identification number of the customer to whom he has transferred ownership of the goods (…) it could be stipulated, as a general rule, that the place of supply of goods to taxable persons is where the customer has established his business or has his fixed establishment to which the goods have been provided. A follow-on supply with no additional dispatch would be either a domestic supply, if the goods have arrived in the Member State where the customer is established, or another in-tra-EU supply, if the goods were previously transported to another Member State or subject to a distance sale in the case of supply to a non-taxable person 67.

63 Directive 2008/9/EC, art. 3. 64 Directive 2008/9/EC, art. 6. 65 See Case C-294/11, judgment of the Court (Fifth Chamber), June 21 2012. «The

six-month time limit laid down in the Directive (…) for the refund of value added tax to taxable persons not established in the territory of the country – for submitting an applica-tion for a value added tax refund is a mandatory time limit».

66 SEC(2010) 1455 final, Commission staff working document, Accompanying docu-ment to the Green Paper on the future of VAT Towards a simpler, more robust and effi-cient VAT system, COM(2010) 695 final, Brussels, 1 December 2010.

67 SEC(2010) 1455 final. Para. 1.3.1.1., pp. 17-18. See also CORSO-MASPES, La prova

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A more recent Communication from the Commission on the future of VAT – Towards a simpler, more robust and efficient VAT system 68, main-tains a similar point 69:

The current transitional VAT arrangements for intra-EU B2B transactions are al-ready based on taxation at destination. However, given the shortcomings described under point 2, most stakeholders are against making them the definitive regime. In their current form, they are not in line with the fundamental objective that cross-border transactions should not be treated differently from domestic transactions. Businesses stakeholders and the European Parliament have called for the concept of taxation at the place of establishment of the customer to be explored further 70.

Territoriality rules for intra-EU supply of goods create a complex web of objective, necessary conditions and responsibilities which are highly de-pendent on formalistic requirements to be fulfilled that is then intersected with the subjective element brought in by the good faith of the economic operator. The applicability of different domestic legislations adds one fur-ther layer of obscurity, with taxable persons having very often to deal with national praxis and case laws written in different national languages and fol-lowing a different ratio. Finally and specifically, the time limit imposed to file a VAT refund application only proves to be an unmotivated obstacle for good faith taxable operators who find themselves in difficult situations.

del trasporto all’estero nelle cessioni intra-UE tra certezza del diritto e nostalgia delle dogane, in Corr. trib., no. 10, 2012, p. 727. Footnotes no. 47 and 48.

68 COM(2011) 851 final, Communication from the Commission to the European Par-liament, the Council and the European Economic and Social Committee on the future of VAT Towards a simpler, more robust and efficient VAT system tailored to the single mar-ket. Brussels, 6 December 2011.

69 COM(2011) 851 final, Communication from the Commission to the European Par-liament, the Council and the European Economic and Social Committee on the future of VAT Towards a simpler, more robust and efficient VAT system tailored to the single mar-ket. Brussels, 6 December 2011.

70 COM(2011) 851 final, Para. 5.4, p. 15. CORSO-MASPES, La prova del trasporto all’estero nelle cessioni intra-UE tra certezza del diritto e nostalgia delle dogane, cit., p. 727.

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Antonio Viotto

CONSIDERAZIONI CRITICHE, NELLA PROSPETTIVA COSTITUZIONALE ED IN QUELLA COMUNITARIA, SULLA

TASSAZIONE DEGLI IMMOBILI E DELLE ATTIVITÀ FINANZIARIE DETENUTI ALL’ESTERO

CRITICAL REMARKS FROM A CONSTITUTIONAL AND EUROPEAN PERSPECTIVE ON TAXATION OF REAL PROPERTIES

AND FINANCIAL ASSETS HELD ABROAD

Abstract Nel quadro della tassazione di alcuni elementi del patrimonio, sono state intro-dotte l’imposta sul valore degli immobili situati all’estero (IVIE) e l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE). A dispetto delle in-tenzioni del legislatore, si sono prodotti alcuni disallineamenti tra i tributi che colpiscono la ricchezza detenuta in Italia e quelli che incidono sulla ricchezza de-tenuta in un Paese straniero. Diverse sono, infatti, le divergenze sul piano della tassazione che attengono alla misura dell’imposizione, ai beni da assoggettare a tassazione, alla determinazione della base imponibile nonché all’individuazione dei soggetti passivi. Si tratta di divergenze che discriminano gli investimenti all’estero rispetto a quelli detenuti in Italia e che non sembrano trovare giustifi-cazione ragionevole nei principi costituzionali di eguaglianza e di capacità con-tributiva, né nei principi comunitari di non discriminazione, di libertà di circola-zione dei capitali e di libertà di stabilimento. Parole chiave: patrimonio, IVAFE ed IVIE, capacità contributiva, circolazione dei capitali, libertà di stabilimento Within the framework of taxation of certain assets, the Italian legislator has intro-duced the tax on the value of foreign real properties (IVIE) and the tax on the value of financial assets held abroad (IVAFE). Despite its intentions, some misalignments have occurred between the taxation on assets held in Italy and the one on assets held

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in a foreign country. In fact, there are several differences between various national sys-tems related to tax measures, property to be taxed, tax base and taxable persons. These differences discriminate the investments abroad compared to those held in Italy and they do not seem to find reasonable justifications neither in the constitutional principles of equality and ability to pay, nor in the European principles of non-discrimination, free movement of capital and freedom of establishment. Keywords: assets, IVAFE and IVIE taxes, ability to pay, free movement of capitals, freedom of establishment

SOMMARIO: 1. IVAFE e IVIE nel quadro delle imposte patrimoniali speciali istituite dal legislatore. – 2. I profi-li di internazionalità del presupposto dei due tributi. – 3. I parametri costituzionali e comunitari per la valutazione delle differenze esistenti tra tassazione di immobili e attività finanziarie detenuti all’estero e tassazione delle analoghe ricchezze detenute in Italia. – 4. Valutazione delle differenze esistenti sotto il profilo temporale. – 5. Valutazione delle differenze esistenti sotto il profilo della misura dell’imposizione. – 6. Valutazione delle differenze esistenti sotto il profilo oggettivo. – 7. Valutazione delle differenze esistenti sotto il profilo della base imponibile. – 8. Valutazione delle differenze esistenti sotto il profilo soggettivo. – 9. Considerazioni conclusive.

1. IVAFE e IVIE nel quadro delle imposte patrimoniali speciali istituite dal legislatore

Con il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella L. 22 dicembre 2011, n. 214, enfaticamente denominato decreto «Salva-Italia», il legislatore ha in-trodotto nel nostro ordinamento due tributi aventi una chiara connotazione patrimoniale, denominati imposta sul valore degli immobili situati all’estero (IVIE) e imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE), disciplinati rispettivamente dai commi 13-17 e 18-22 dell’art. 19 del decreto.

Essi si inseriscono in un quadro più ampio di prelievi che mirano a colpi-re la ricchezza nella sua conformazione di stock, il cui presupposto non con-templa né la produzione, né il consumo, né il trasferimento della stessa, ma si incentra sul possesso di alcuni elementi patrimoniali – beni di lusso 1, atti-

1 Il patrimonio rappresentato dalle autovetture di lusso è colpito con un’addizionale era-riale della tassa automobilistica (art. 16, comma 1, del citato D.L. n. 201/2011), parametrata alla potenza dei veicoli, nella quale il fatto generatore è rappresentato dall’immatricolazione del veicolo posseduto, vale a dire, nella sostanza, dal possesso di un veicolo, avente determi-

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Antonio Viotto 703

vità finanziarie 2 e immobiliari 3 – il quale (possesso) talvolta si combina con nate caratteristiche di potenza, all’atto della sua immatricolazione in Italia. Gli aeromobili privati, invece, sono tassati con un tributo – che il comma 11 dell’art. 16 denomina «imposta erariale» – nel quale il presupposto è articolato nel possesso del bene, a titolo di proprietà o usufrutto, e nella immatricolazione dello stesso nel registro aeronautico nazionale, mentre il momento di corresponsione del tributo è agganciato alla richiesta di rilascio o di rinnovo del certificato di revisione della aeronavigabilità (comma 12). Infine, anche il mero possesso, a titolo di proprietà o di usufrutto, di imbarcazioni aventi lunghezza superiore ai 10 metri era colpito da un tributo – pure istituito dal D.L. n. 201/2011, poi modificato dall’art. 60 bis, D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, e quindi soppresso dalla legge di stabilità 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 366) – il quale, a seguito delle modifiche apportate, aveva acqui-sito la fisionomia di un’imposta, essendo stato il presupposto del tutto sganciato rispetto a qualsiasi servizio pubblico legato allo stazionamento in porti nazionali, alla navigazione o all’ancoraggio in acque pubbliche che invece contraddistingueva la versione originaria di quella che veniva denominata «tassa di stazionamento».

2 La tassazione del patrimonio finanziario – rappresentato dalle somme detenute nei con-ti correnti e dagli investimenti finanziari – è demandata all’imposta di bollo, la tradizionale imposta d’atto, il cui presupposto è rappresentato, rispettivamente, dagli estratti conto e dalle comunicazioni alla clientela, formati dagli intermediari. In particolare, l’art. 19, D.L. n. 201/2011 ha modificato l’art. 13 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 642/1972, prevedendo che le somme detenute nei conti correnti siano incise da un prelievo fisso – un’imposta di bollo di euro 34,20 (elevata a 100,00 euro, nel caso in cui il cliente sia un soggetto diverso dalla perso-na fisica) per ogni esemplare con periodicità annuale di estratto conto – mentre quelle investi-te in attività finanziarie siano colpite da un tributo proporzionale al valore dell’investimento – un’imposta di bollo dell’1 per mille (aumentata all’1,5 per mille dal 2013) per le comunicazio-ni alla clientela relative ai prodotti e agli strumenti finanziari. Tale scelta legislativa dà luogo a discriminazioni sulla tassazione del patrimonio finanziario in ragione delle diverse modalità di impiego: non solo, infatti, tra attività detenute in conto e attività investite, ma anche, tra que-ste ultime, a seconda del tipo di investimento effettuato, dal momento che il riferimento alle comunicazioni alla clientela esclude dall’imposizione le attività finanziarie che non formano oggetto di un contratto con un intermediario finanziario, forse sul presupposto (invero tutto da verificare) che le prime rappresentino investimenti di natura speculativa, mentre le seconde riguardino investimenti in attività produttive (in quanto tali, meritevoli di non essere tassati). Inoltre, è stata introdotta un’imposta di bollo speciale annuale, destinata ad incidere, a regime, sul valore delle attività finanziarie che abbiano formato oggetto di emersione in virtù di uno dei provvedimenti denominati «scudo fiscale» (previsti dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78 e dal D.L. 25 settembre 2001, n. 350) e che risultino segretate al 31 dicembre di ogni anno, ovvero fino alla data in cui viene meno il beneficio della segretazione. Mentre, sulle attività scudate per le quali sia venuta meno la segretazione nel corso del 2011, fino al 6 dicembre dell’anno (data di entrata in vigore del D.L. n. 201), il legislatore ha previsto l’applicazione di un’impo-sta straordinaria, di carattere marcatamente retroattivo, la cui compatibilità rispetto ai parame-tri costituzionali suscita più di una perplessità (come ho avuto modo di evidenziare nell’arti-colo VIOTTO, Considerazioni critiche sulle imposte speciali di matrice patrimoniale, destinato al volume di Scritti in onore di Pasquale Russo, in corso di pubblicazione).

3 Sul versante della tassazione del patrimonio immobiliare l’intervento del legislatore è

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altri eventi cui il legislatore attribuisce rilevanza ai fini della nascita dell’ob-bligazione tributaria.

Si tratta di un quadro che, come ho già avuto modo di evidenziare 4, pre-senta più ombre che luci, nel quale l’urgenza di far fronte ad una situazione emergenziale probabilmente è alla base di una serie di carenze sotto il profi-lo della razionalità e della coerenza dei prelievi introdotti, considerati sia singolarmente che nell’insieme, e sulla compatibilità degli stessi rispetto al principio della capacità contributiva 5.

Carenze che si aggiungono alle valutazioni critiche che tradizionalmente si appuntano sull’opportunità di istituire tributi sul patrimonio, in conside-razione della loro sovrapponibilità rispetto all’imposizione reddituale, del-l’incremento del livello complessivo del carico fiscale e dei rischi connessi all’effetto espropriativo che può derivare dalla tassazione dei patrimoni im-produttivi 6. stato tanto articolato quanto confuso: si è assistito, infatti, dapprima alla sostituzione del-l’Imposta comunale sugli immobili (ICI) con l’Imposta municipale propria (IMU), ad opera del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, la cui entrata in vigore, originariamente prevista per il 2014, è stata anticipata all’anno 2012, dall’art. 13, D.L. n. 201/2011, peraltro in una ver-sione, definita «sperimentale», sensibilmente diversa rispetto a quella prevista dal suddet-to decreto delegato, il cui presupposto comprende anche il possesso dell’immobile adibito ad abitazione principale, mentre la base imponibile continua ad essere costituita dal valore dell’immobile. L’IMU ha assorbito sia l’ICI – imposta per lo più considerata di natura pa-trimoniale – sia la tassazione del reddito figurativo attribuibile agli immobili non locati – un’imposizione alla quale si riconosceva una connotazione patrimoniale, quanto meno sotto il profilo economico. Infine, l’IMU, pur essendo stata inglobata nell’Imposta unica comunale (IUC) – istituita ad opera della L. 27 dicembre 2013, n. 147, e articolata in due presupposti impositivi, consistenti nel possesso degli immobili, da un lato, e nell’eroga-zione e fruizione di servizi comunali, dall’altro – mi pare rappresenti tuttora una forma di imposta patrimoniale ordinaria, annuale, che colpisce la ricchezza immobiliare posseduta, con un’aliquota base di non poco rilievo, pari allo 0,76 percento, peraltro incrementabile (e diminuibile) dai singoli comuni di 0,3 punti percentuali.

4 Nell’articolo VIOTTO, Considerazioni critiche sulle imposte speciali di matrice patrimoniale, cit., scritto al quale rinvio per gli approfondimenti e i riferimenti bibliografici.

5 Pur ragionando nella tradizionale prospettiva che annovera il patrimonio tra gli ele-menti indicativi dell’idoneità di un soggetto a partecipare al riparto dei carichi collettivi: mi limito qui per tutti a citare MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva, Padova, 1973, pp. 31 e 218; GIARDINA, Le basi teoriche del principio della capacità contributiva, Mila-no, 1961, p. 158 s.; MANZONI, Il principio della capacità contributiva nell’ordinamento costi-tuzionale italiano, Torino, 1965, p. 125 s.; MAFFEZZONI, (voce) Patrimonio (imposte sul), in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 322 s.; nonché, problematicamente, GAFFURI, L’atti-tudine alla contribuzione, Milano, 1969, p. 88 s.

6 Si tratta, in effetti, di tematiche che hanno appassionato gli studiosi di scienza delle fi-

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Ed invero, oltre a tali considerazioni, mi limito qui a sottolineare, in sin-tesi, come la scelta operata dal legislatore di “parcellizzare” il patrimonio e di inserire singoli assets nel presupposto di singoli tributi, caratterizzati da criteri di quantificazione differenti dell’importo dovuto (sia quanto alla base imponibile, sia quanto all’aliquota), si risolva in una discriminazione del-l’imposizione sulle diverse tipologie di beni 7, che non sempre trova giustifi-cazione in termini di attitudine alla contribuzione, nel senso che la diversa imposizione non sempre trova corrispondenza in una diversa idoneità dei singoli beni ad esprimere la forza economica del soggetto.

Più in generale, non mi pare ragionevolmente giustificabile in termini di capacità contributiva la decisione del legislatore di tassare solo alcune forme di ricchezza e di non colpirne altre 8 – quali, il denaro contante, i crediti, i

nanze e di diritto tributario: ricordo in proposito, senza pretesa di esaustività, gli scritti di EINAUDI, Principi di scienza delle finanze, Torino, 1966, p. 185 s.; DE VITI DE MARCO, Prin-cipi di economia finanziaria, Torino, 1961, p. 209 s.; COSCIANI, Scienza delle finanze, Tori-no, 1977, p. 577 s.; GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1974, p. 317 s. Più di recente, sul tema sono tornati, per limitarsi ad alcuni tra i tributaristi, MARELLO, Contributo allo studio delle imposte sul patrimonio, Milano, 2006, p. 199 s., secondo il quale il coordi-namento tra imposte sui redditi e sul patrimonio potrebbe essere realizzato attraverso la previsione della deducibilità dell’imposta patrimoniale dalla base imponibile delle imposte reddituali; GALLO, Premesse per l’introduzione dell’imposta patrimoniale, in Riv. dir. fin., 1986, I, p. 234 s.; DE MITA, Patrimoniale bifronte, in Dir. prat. trib., 2011, I, p. 1126, i quali ritengono che l’introduzione di un’imposta sul patrimonio dovrebbe essere accompagnata da una rimodulazione dell’imposizione reddituale; GIOVANNINI, Capacità contributiva e im-posizione patrimoniale: discriminazione qualitativa e limite quantitativo, in Rass. trib., 2012, p. 1135 s., il quale, da un lato, manifesta la sua preferenza per un’imposizione patrimoniale incentrata sugli scambi e, dall’altro, concorda sul fatto che l’introduzione di un’imposta generale ordinaria sul patrimonio dovrebbe essere accompagnata da una ricomposizione del sistema tributario nel suo complesso, nella prospettiva di giungere ad un livello di tas-sazione complessiva che si arresti «ad un livello mediano degli averi o a misure prossime a questo livello».

7 Che la Corte costituzionale ha ritenuto di legittimare, proprio con riferimento all’im-posizione patrimoniale, nella sent. 9-22 aprile 1997, n. 111, sulla scorta dell’«ampia discre-zionalità riservata al legislatore in relazione alle varie finalità cui, di volta in volta, si ispira l’attività di imposizione fiscale», discrezionalità che consentirebbe al legislatore «di deter-minare i singoli fatti espressivi della capacità contributiva che, quale idoneità del soggetto all’obbligazione di imposta, può essere desunta da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza (reddito, consumo, patrimonio nella sua oggettività ovvero nel momento specifico del suo incremento, ecc.)» e che permetterebbe allo stesso legislatore di individuare «di volta in vol-ta, quali indici rivelatori di capacità contributiva, le varie specie di beni patrimoniali sia di na-tura mobiliare che immobiliare», ma pur sempre «con il limite della non arbitrarietà».

8 Già in passato, in dottrina è stata negata la legittimità costituzionale delle imposte pa-

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gioielli, la mobilia e le opere d’arte – decisione che certamente risente delle difficoltà operative legate al controllo ed alla valutazione di certi beni 9, ma che non può trovare in tali difficoltà una giustificazione costituzionalmente accettabile 10 rispetto all’enucleazione, cui la stessa conduce, di un’area di ricchezza, all’interno della grandezza patrimonio, esclusa da qualsiasi impo-sizione nonostante la sua oggettiva idoneità ad esprimere attitudine alla contribuzione al pari di altri beni che il legislatore ha deciso di tassare 11. trimoniali speciali, per la lesione del principio di eguaglianza e di ragionevolezza che le stesse determinano: v. MAFFEZZONI, Patrimonio (imposte sul), cit., pp. 322-323; nonché GALLO, Premesse per l’introduzione di un’imposta patrimoniale, cit., p. 238. Anche PERRONE, L’imposta comunale sugli immobili: primi spunti critici, in Riv. dir. trib., 1994, I, p. 750, con-sidera l’imposta ordinaria sul patrimonio complessivo maggiormente aderente ai principi di capacità contributiva e di uguaglianza. Più articolata e sfumata, sul punto, mi sembra la posizione di MARRELLO, Contributo allo studio delle imposte sul patrimonio, cit., p. 245 s., il quale ritiene non sia possibile pervenire ad una soluzione unitaria, giacché le diverse ipote-si ricostruttive possono condurre a risultati diversi, a seconda della visione prescelta e della ratio che si ritiene prevalga.

9 Evidenziate di recente anche da SALANITRO, Prime riflessioni sull’imposta sul valore de-gli immobili situati all’estero, in Riv. dir. trib., 2015, I, p. 82.

10 Anche in considerazione del fatto che non si tratta di difficoltà insormontabili, né di molto maggiori rispetto a quelle che normalmente l’Amministrazione incontra nell’accer-tamento del reddito derivante da transazioni occultate al fisco; difficoltà che comunque si sarebbero potute ridurre attraverso l’introduzione di opportune disposizioni in tema di accertamento. Segnalo, in proposito, che nel panorama internazionale non mancano esempi di imposte che colpiscono la generalità del patrimonio: così, ad esempio, con la L. 6 giu-gno 1991, n. 19, la Spagna ha introdotto un’imposta sul patrimonio delle persone fisiche, la quale grava sul patrimonio complessivo, formato da tutti i beni e diritti di contenuto economico della persona (quali gli immobili, i beni relativi alle attività imprenditoriali e professionali, i depositi e i conti correnti, le partecipazioni azionarie e le attività finanziarie, i gioielli, i veicoli, le imbarcazioni e gli aerei, gli oggetti d’arte e d’antiquariato, sia pure con alcune eccezioni), al netto dei relativi debiti e delle obbligazioni del contribuente.

11 Mi riferisco, ad esempio, alle attività finanziarie e ai conti correnti, per non citare gli immobili rispetto ai quali una qualche rilevanza (per giustificare la tassazione) è stata at-tribuita al beneficio che i titolari dei beni tassati possono ritrarre dall’attività dell’ente im-positore. In effetti, anche la Corte costituzionale, nella menzionata sent. n. 111/1997, rela-tiva all’ICI, ha ritenuto di evocare il principio del beneficio, sia pure al fine di giustificare il mancato riconoscimento in deduzione dei debiti e l’estensione dell’imposizione a soggetti diversi dai proprietari, i quali (soggetti diversi) «si avvantaggiano, con immediatezza, dei servizi e delle attività gestionali dei comuni». Il principio del beneficio è valorizzato a so-stegno della legittimità costituzionale delle imposte patrimoniali immobiliari da MARINI, Contributo allo studio dell’imposta comunale sugli immobili, cit., p. 159 s.; nonché da MA-RONGIU, La crisi del principio di capacità contributiva nella giurisprudenza della corte costitu-zionale dell’ultimo decennio, in Dir. prat. trib., 1999, I, p. 1772 s. Senonché, a me pare che il vantaggio che i soggetti passivi di un tributo non commutativo quale è l’imposta possono

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Ancora, non è chiaro il motivo che ha indotto il legislatore a prevedere ambiti soggettivi diversi per l’applicazione dei singoli prelievi, introducendo forme di discriminazioni soggettive in relazione alla tassazione di beni ana-loghi che pure non sembrano trovare riscontro in una differente attitudine del soggetto a partecipare ai carichi pubblici 12.

Ed infine, un profilo che desta rilevanti perplessità è che la scelta di “par-cellizzare” il patrimonio si presta ad essere strumentalizzata per legittimare la decisione di non tener conto dei debiti della persona 13, i quali, come è in-

trarre, in termini generali ed astratti, dall’attività dell’ente impositore possa rilevare nell’apprezzamento della capacità contributiva degli stessi solo nella misura in cui tale beneficio si rifletta sulla base imponibile dell’imposta, talché si possa dire che non è il beneficio per i servizi resi, in sé considerato, che giustifica l’imposizione, bensì per l’effetto (incrementativo) che quel beneficio ha arrecato al valore che viene assoggettato a tassazione. Con la conseguenza che il beneficio che i soggetti passivi, possessori di de-terminati beni (gli immobili, nel caso di specie), possono ritrarre dall’attività dell’ente pubblico non potrebbe di per sé costituire una giustificazione ragionevole rispetto alla scelta di tassare, attraverso un’imposta, solo il valore di quei beni e non quello di altri. D’altro canto, tralasciando gli immobili, non sembra certo ragionevole (nemmeno invo-cando il principio del beneficio) ritenere che, a parità di valori, il proprietario di un gioiello o di un’opera d’arte sia “meno ricco” del proprietario di un’attività finanziaria, sicché anche ragionando nella prospettiva che riconosce ampia discrezionalità al legisla-tore (assunta dalla Corte cost., nella citata sent. n. 111/1997), la decisione di assogget-tare ad imposizione patrimoniale solo il secondo sembra sconfinare nell’arbitrio, non riuscendosi ad individuare altre ragioni che giustifichino la diversità di trattamento. Inoltre, ragionando in un’ottica redistributiva, è evidente che le imposte speciali su sin-goli elementi patrimoniali tendono a realizzare un effetto distributivo semplicemente orizzontale, inducendo allo spostamento degli investimenti dai beni tassati a quelli non tassati, ma non hanno la capacità dell’imposta generale di incidere sulla redistribuzione verticale della ricchezza a favore dei soggetti meno abbienti (sul punto v. MARELLO, Contributo allo studio delle imposte sul patrimonio, cit., p. 170).

12 Mi riferisco, ad esempio, al fatto che – come vedremo nel prosieguo – l’imposizione sui beni detenuti all’estero è circoscritta alle sole persone fisiche e non grava sulle società e sugli enti, mentre la tassazione sui beni detenuti in Italia di regola prescinde dalla natura del soggetto che realizza il presupposto impositivo (ciò vale per le auto e gli aeromobili immatricolati in Italia, per i conti correnti e i rapporti contrattuali instaurati con interme-diari italiani, per gli immobili localizzati in Italia).

13 In effetti, la Corte costituzionale, nella sent. n. 111/1997, in materia di ICI, ha rite-nuto «non … irrazionale la mancata considerazione dei mezzi impiegati per acquisire o costruire l’immobile», anche sul presupposto che detti mezzi «afferiscono quali passività non a questo ultimo, bensì al patrimonio generale del soggetto che li assume in carico». L’assunto da cui muove la Corte non è condiviso da MARINI, Contributo allo studio dell’im-posta comunale sugli immobili, cit., p. 190. Sul punto v. anche SALANITRO, Prime riflessioni sull’imposta sul valore degli immobili situati all’estero, cit., p. 82.

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tuitivo, sono elementi che riducono il valore dello stock di ricchezza di un soggetto e che, dunque, ne diminuiscono l’attitudine alla contribuzione 14.

2. I profili di internazionalità del presupposto dei due tributi

Ebbene, in tale contesto si inseriscono i due tributi di matrice interna-zionale di cui intendo occuparmi nel presente lavoro, i quali vanno a colpire alcuni elementi patrimoniali detenuti all’estero, nell’intento di omologare – quanto meno sotto il profilo quantitativo 15 – l’imposizione rispetto alle im-poste contestualmente introdotte per incidere sulle analoghe tipologie di ricchezza detenute in Italia, onde evitare effetti discriminatori per gli inve-stimenti “nazionali” e conseguenti spostamenti di ricchezza verso l’estero 16.

Nell’IVAFE, invero, la configurazione del presupposto impositivo – che si caratterizza per l’elemento della detenzione all’estero di attività finanzia-rie possedute – e la fissazione dell’aliquota – nella misura iniziale dell’1 per mille (portata all’1,5 per il 2013 e al 2 per mille dal 2014) – evidenziano come l’obiettivo originario del legislatore sia stato quello della sostanziale equiparazione, sotto il profilo del carico fiscale, delle attività finanziarie de-tenute all’estero rispetto a quelle detenute in Italia 17, sia pure ricorrendo ad

14 Sulla necessità di dedurre l’importo dei debiti gravanti sul cespite o contratti per ac-quistarlo, onde evitare la tassazione di una ricchezza inesistente v. FALSITTA, Corso istitu-zionale di diritto tributario, Padova, 2014, p. 662; FALSITTA, L’Ici e l’espropriazione senza indennizzo degli immobili, in Riv. dir. trib., 1997, II, p. 468; FALSITTA, L’Ici, l’Isi e la capacità contributiva virtuale, in Riv. dir. trib., 1996, pp. 349-350; nonché POGGIOLI, Indicatori di forza economica e prelievo confiscatorio, Padova, 2012, p. 47, il quale evidenzia i rischi di una tassazione non sopportabile per il contribuente.

15 Dal punto di vista qualitativo, invece, mentre per gli immobili la tassazione è affidata a due imposte dirette di natura patrimoniale, per le attività finanziarie ci troviamo di fronte a tributi diversi – imposta d’atto, per quelle nazionali; imposta diretta patrimoniale, per quelle estere – che tuttavia hanno la stessa aliquota e la stessa base imponibile.

16 Vd. in tal senso SALANITRO, Prime riflessioni sull’imposta sul valore degli immobili situa-ti all’estero, cit., p. 78.

17 Sul piano delle aliquote, peraltro, l’equiparazione è stata mantenuta anche con rife-rimento alle annualità successive, giacché, per l’anno 2013, entrambe le imposte sono state applicate con l’aliquota dall’1,5 per mille, e, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 581, L. 27 dicembre 2013, n. 147, a decorrere dal 2014 entrambe le imposte so-no dovute nella misura del 2 per mille. Inoltre, in virtù delle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 518, lett. f), L. 24 dicembre 2012, n. 228, anche per attività detenute nei conti correnti e nei libretti di risparmio accesi presso istituti bancari all’estero, l’imposta è stata

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un prelievo formalmente diverso, stante l’impossibilità di applicare l’impo-sta di bollo su atti (eventualmente) formati all’estero da soggetti esteri.

Il presupposto di tale tributo si arricchisce, dunque, di un riferimento spaziale caratterizzante, consistente nella detenzione all’estero, il quale si connota sulla scorta di due componenti, una di natura fattuale, legata alla localizzazione fisica del bene o del soggetto che ha emesso il titolo o che è destinatario del credito (titolare del debito), l’altra di natura più squisita-mente giuridica, connessa all’assenza di un legame contrattuale con un sog-getto qualificato che sia residente nel territorio dello Stato. In altri termini, mutuando le interpretazioni già formulate con riferimento alle disposizioni in materia di monitoraggio fiscale (in particolare, con riferimento all’obbli-go di indicazione nel quadro RW della dichiarazione dei redditi previsto dall’art. 4, D.L. n. 167/1990) ed in materia di scudo fiscale (di cui al D.L. n. 350/2001), si può ritenere che il requisito della detenzione all’estero si rea-lizzi in tutti i casi in cui l’attività finanziaria sia fisicamente collocata all’este-ro – in quanto il titolo rappresentativo del diritto si trova fisicamente al-l’estero ovvero non esiste un titolo rappresentativo e l’ente nei cui confronti esiste il diritto (partecipativo o di credito) ha sede all’estero – a meno che quell’attività non formi oggetto di un contratto di deposito, amministrazio-ne o custodia con un intermediario residente 18. Sicché non sono soggette all’IVAFE – in quanto non ne realizzano il presupposto – le attività finanzia-rie fisicamente detenute nel territorio dello Stato italiano, al pari di quelle fisicamente localizzate all’estero ma affidate in deposito, custodia o ammini-strazione ad un intermediario nazionale; mentre sono assoggettate all’IVAFE le attività finanziarie fisicamente detenute all’estero – a prescindere, si badi, dalla nazionalità dell’ente emittente o della controparte contrattuale, che potrebbero anche essere italiani – che non formino oggetto di uno dei sud-detti rapporti contrattuali con un intermediario residente in Italia.

Quanto poi all’IVIE, il presupposto è strutturato in modo analogo a quel-lo dell’IMU (e in precedenza dell’ICI), essendo incentrato sul possesso, a omologata a quella – nella misura fissa stabilita dall’art. 13, comma 2 bis, lett. a), della Ta-riffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 642/1972 – dovuta sui conti correnti ed i libretti accesi presso istituti di credito in Italia.

18 Il Provv. n. 2012/72442 del 5 giugno 2012 del Direttore dell’Agenzia precisa, infatti, che «Le attività finanziarie oggetto di un contratto di amministrazione con una società fiduciaria residente o di gestione con un intermediario residente, sono soggette all’imposta di bollo … e sulle stesse non è dovuta l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenu-te all’estero».

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titolo di proprietà o altro diritto reale 19, di un immobile, riferito a beni situa-ti al di fuori del territorio dello Stato: sicché il discrimine tra i due tributi è rappresentato da un elemento materiale, agevolmente individuabile, consi-stente nella localizzazione dell’immobile 20.

3. I parametri costituzionali e comunitari per la valutazione delle differenze esistenti tra tassazione di immobili e attività finanziarie detenuti all’estero e tassazione delle analoghe ricchezze detenute in Italia

Senonché, a dispetto delle intenzioni del legislatore, l’omologazione, tra tributi che colpiscono la ricchezza detenuta in Italia e quelli che incidono sulla ricchezza detenuta all’estero, non è perfetta per la presenza di alcuni disallineamenti che si risolvono in vere e proprie discriminazioni, per lo più ai danni degli investimenti esteri, che meritano di essere scrutinate sia ri-spetto ai principi costituzionali di eguaglianza e di capacità contributiva, sia rispetto al principio comunitario di non discriminazione rapportato alle fondamentali libertà di circolazione dei capitali e di stabilimento.

Sotto il primo profilo, sappiamo che l’interpretazione coordinata e si-stematica degli artt. 3 e 53 Cost. approda a ritenere che il principio della ca-pacità contributiva – il quale, come noto, governa l’esercizio della potestà impositiva da parte del legislatore, in uno con il principio di eguaglianza – non esclude la possibilità di introdurre delle differenziazioni dell’imposi-

19 In verità, sia nell’ICI, sia nell’IMU, il presupposto è rappresentato dal «possesso» di immobili, mentre il titolo del possesso rileva nell’individuazione dei soggetti passivi (pro-prietari o titolari di diritti reali di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie). Nell’IVIE, invece, il legislatore non definisce il presupposto, ma si limita ad individuare i soggetti pas-sivi nei proprietari e nei titolari di diritti reali, mentre il possesso viene evocato ai fini del riparto dell’imposta tra più proprietari o titolari di diritti reali o in caso di trasferimento di detti diritti nel corso dell’anno (v. art. 19, comma 14, D.L. n. 201/2011): sul punto v. SALA-NITRO, Prime riflessioni sull’imposta sul valore degli immobili situati all’estero, cit., pp. 67-68.

20 In tal caso, infatti, a differenza di quanto stabilito a proposito delle attività finanziarie, il citato Provv. del Direttore dell’Agenzia n. 2012/72442 stabilisce che «sono soggetti all’imposta anche gli immobili che sono stati oggetto di operazioni di emersione mediante la procedura di regolarizzazione nonché mediante quella di rimpatrio giuridico» e la Circ. Ag. 2 luglio 2012, n. 28/E precisa che «nel caso di immobili – ivi compresi quelli oggetto di operazione di emersione mediante la procedura di rimpatrio giuridico – per i quali sia stato stipulato un contratto di amministrazione con una società fiduciaria, quest’ultima deve applicare e versare l’imposta dovuta dal contribuente».

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zione legate alle caratteristiche soggettive dei contribuenti ovvero alle pecu-liarità di talune forme di ricchezza, in ciò riservando al legislatore una certa discrezionalità nella valutazione della rilevanza in ordine all’attitudine alla partecipazione ai carichi pubblici delle singole fattispecie; discrezionalità che incontra il limite della ragionevolezza 21, da apprezzare sia in termini di coerenza delle valutazioni rispetto alle finalità perseguite, sia in termini di

21 Ricorda in proposito TOSI, Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, cit., p. 111, che «l’art. 3 Cost. … non vieta di disciplinare in maniera differenziata le varie situazioni, a condizione però che esse si presentino razionalmente e non arbitrariamente disomogenee, di modo che la diversità di trattamento abbia un presupposto logico ed og-gettivo». Anche in materia tributaria trova dunque cittadinanza il principio di eguaglianza nei termini in cui esso viene declinato in ambito pubblicistico: sul punto v., tra i molti, PA-LADIN, Corte costituzionale e principio generale d’eguaglianza, in Giur. cost., 1984, I, p. 219 s.; CERRI, L’eguaglianza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Milano, 1976, pp. 19 e 25; CERRI, (voce) Ragionevolezza delle leggi, in Enc. giur. Agg., XXV, Roma, 2005, p. 18 s.; AGRÒ, Art. 3, 1° comma, in BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione. Principi fondamentali. Art. 1-12, Bologna-Roma, 1975, p. 135 s.; VIPIANA, Introduzione allo studio del principio di ragionevolezza nel diritto pubblico, Padova, 1993, p. 12 s.; BARILE, Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in AA.VV., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Atti del seminario tenutosi a Roma il 13-14 ottobre 1992, Milano, 1994, p. 21 s.; MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1969, p. 1016 s.; VIRGA, Diritto costituzionale, Milano, 1975, p. 452 s. Sul-l’applicazione di detto principio con riferimento alla legittimità di norme tributarie che de-terminano disparità di trattamento v., tra gli altri, FALSITTA, Il principio costituzionale di uguaglianza in materia tributaria e l’illegittimità dell’art. 2 della Legge 10 dicembre 1961, n. 1346, concernente l’aumento dell’addizionale “pro E.C.A.”, in Giur. it., 1964, I, 1, cc. 676-678; FALSITTA, Profili di incostituzionalità della presunzione legale di esistenza di mobilia, gioielli e denaro nell’attivo ereditario e limiti alla prova contraria, in Giur. it., 1967, I, c. 1186; TOSI, Principi generali del sistema tributario locale, in LECCISOTTI-MARINO-PERRONE (diretto da), L’autonomia finanziaria degli enti locali territoriali, Roma-Milano, 1994, p. 41; AMATUCCI, Il principio di non discriminazione fiscale, Napoli, 1996, p. 19 s.; SALA, Imposte speciali e con-nessi problemi di uguaglianza tributaria dopo la recente pronuncia della Corte costituzionale in materia di Ici (sent. n. 111/1997), in Riv. dir. trib., 1997, I, p. 892 s.; nonché PALADIN, Il principio di eguaglianza tributaria nella giurisprudenza costituzionale italiana, in Riv. dir. trib., 1997, I, p. 309 s. Giova qui peraltro ricordare che anche la Corte costituzionale, nella fondamentale sent. 26 marzo 1980, n. 42, concernente la legittimità dell’assoggettamento ad ILOR dei redditi di lavoro autonomo, ha sostenuto che «la discriminazione qualitativa dei redditi non implica soltanto che le rispettive fonti di produzione siano diverse bensì richiede (per dimostrarsi costituzionalmente legittima) che a questa diversità corrisponda una peculiare e differenziata capacità contributiva, propria dei redditi incisi rispetto ai red-diti esclusi dal tributo, a parità di ammontare della base imponibile. E nulla consente di desumere, né dai lavori preparatori né dal testo delle norme riguardanti l’imposta in esa-me, che la capacità posta a base dell’I.Lo.R. possa farsi consistere nelle caratteristiche diffe-renziali delle varie forme di lavoro, per sé considerato».

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rispondenza delle differenziazioni rispetto alle diversità, quanto ad attitudi-ne alla contribuzione, delle situazioni disciplinate 22.

Il che deve indurre a valutare con attenzione se l’elemento caratterizzan-te il presupposto dei due tributi qui considerati (IVAFE e IVIE), consisten-te nella detenzione all’estero della ricchezza, sia idoneo a conferire a quella ricchezza ed al soggetto che ne è titolare un’attitudine alla partecipazione ai carichi pubblici diversa rispetto a quella che si ricollega alla detenzione del-l’analoga ricchezza nel territorio italiano, ovvero se sussistano altre ragioni di rilevanza generale che giustifichino le diversità di trattamento che saran-no nel prosieguo evidenziate.

Sotto il secondo profilo, poi, si tratta di valutare se le differenze tra i tri-buti, che penalizzano gli investimenti all’estero rispetto a quelli nazionali, possano essere fatte rientrare tra le c.d. Home State Restrictions, vale a dire tra quelle restrizioni alle libertà fondamentali poste da uno Stato nei con-fronti dei propri cittadini, restrizioni che, nella misura in cui ostacolano la circolazione dei capitali o il diritto di stabilimento nei Paesi comunitari, pos-sono collidere con le disposizioni del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) 23.

In particolare, ai sensi dell’art. 63 del Trattato «sono vietate tutte le re-strizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri» ed il divieto viene esteso anche ai movimenti di capitali «tra Stati membri e paesi terzi», il che signi-fica che, in linea di principio, il Trattato non consente che la circolazione dei capitali sia limitata, né all’interno dell’Unione, né tra l’Unione e i Paesi che non ne fanno parte 24.

22 È qui che si innesta, ad avviso della Corte costituzionale, il compito del legislatore di in-dividuare le soluzioni da adottare nelle diverse fattispecie astratte, attraverso la ponderazione dei molteplici interessi – di rango generale ed individuale – che vengono di volta in volta in rilievo, onde conciliare le esigenze finanziarie dello Stato con quelle dei cittadini chiamati a farsi carico delle spese pubbliche. In questo senso v., tra le altre, sent. 7 luglio 1982, n. 134; sent. 8 luglio 1982, n. 143; ord. 14-21 gennaio 1988, n. 51; ord. 21 gennaio 1988, n. 52; ord. 29 luglio 1988, n. 948; ord. 11-24 gennaio 1989, n. 26; ord. 23 aprile-13 maggio 1991, n. 206.

23 In argomento v. anche GAFFURI, La tassazione dei redditi d’impresa prodotti all’estero, Milano, 2008, p. 401.

24 Pur dovendosi tener presente del fatto che «la giurisprudenza vertente su restrizioni all’esercizio delle libertà di circolazione in seno alla Comunità non può essere integral-mente applicata ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi, in quanto tali movimenti si collocano in un contesto giuridico diverso (v., in tal senso, sentenza 18 di-cembre 2007, causa C-101/05, A, Racc. pag. 1-11531, punto 60)»: v. sent. 19 novembre 2009, causa C-540/07, Commission v. Italy.

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Tuttavia, il concetto di “restrizione” – e, dunque, la portata delle limita-zioni vietate dal Trattato – deve essere vagliato alla luce di quanto stabilito dal successivo art. 65 il quale riconosce il diritto degli Stati membri di ope-rare «una distinzione tra contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collo-camento del loro capitale», nonché di «prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazio-nali, in particolare nel settore fiscale … o di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza». A prima vista, dunque, si potrebbe essere indotti a ritenere che il Trattato consenta l’introduzione di trattamenti diversificati nei confronti dei propri residenti in punto di im-posizione in ragione del diverso luogo in cui sono collocati i capitali, come pure in funzione della necessità di impedire violazioni alla legislazione na-zionale ovvero per salvaguardare l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale. Il che vorrebbe dire che le differenze cui si è fatto cenno – e che verranno nel prosieguo analizzate – non potrebbero trovare ostacolo nel principio della libertà di circolazione dei capitali, nella misura in cui si risolvono in trattamenti differenziati rispetto alla diversa localizzazione del capitale ov-vero nella misura in cui trovano giustificazione nei summenzionati motivi di carattere generale espressamente tutelati dalle disposizioni del trattato. Tale conclusione, tuttavia, deve essere contemperata in ragione di quanto dispo-ne il par. 3 dell’art. 65, laddove si stabilisce che «le misure e le procedure di cui ai paragrafi 1 e 2 non devono costituire un mezzo di discriminazione ar-bitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’art. 63». Sicché, il quadro che emerge è che, pur avendo i singoli Stati il diritto di introdurre distinzioni tra contribuenti, anche in ra-gione della localizzazione dei capitali, ciò nondimeno, tali distinzioni deb-bono rispondere ai principi di proporzionalità e di ragionevolezza rispetto alle finalità che il legislatore nazionale si prefigge e comunque non possono tradursi in misure che restringono il movimento dei capitali 25. Ed invero, è

25 Afferma in proposito la Corte che occorre distinguere i trattamenti diseguali (con-sentiti dal Trattato) dalle discriminazioni arbitrarie (vietate in quanto riguardino situazio-ni oggettivamente paragonabili e non siano altrimenti giustificabili da motivi imperativi di interesse generale), e dalle restrizioni dissimulate, anch’esse vietate: v., tra le altre, le sentt. 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen; 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen; sent. 14 settembre 2006, causa C-386/04, Centro di Musicologia Walter Stauffer. Per un’ampia e ragionata esposizione delle sentenze della Corte di Giustizia, v. altresì LAROMA

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noto che la Corte di Giustizia ha nel tempo elaborato una serie di parametri al cui superamento è subordinato il giudizio sulla compatibilità di una misu-ra nazionale rispetto alle libertà fondamentali sancite dal Trattato 26, para-metri che consistono nel fatto che la normativa nazionale non abbia caratte-re discriminatorio, sia giustificata da motivi imperativi di interesse pubbli-co 27, sia idonea a conseguire lo scopo per il quale è stata introdotta e sia proporzionata al raggiungimento di detto scopo 28. JEZZI, Integrazione negativa e fiscalità diretta. L’impatto delle libertà fondamentali sui sistemi tributari dell’Unione Europea, Pisa, 2012, part. p. 236 s.

26 Trattasi di quella che viene definita come “Gebhard rule”, sintetizzata nella sentenza della Corte 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, laddove si precisa che «i prov-vedimenti nazionali che possono ostacolare o scoraggiare l’esercizio delle libertà fonda-mentali garantite dal Trattato devono soddisfare quattro condizioni: essi devono applicar-si in modo non discriminatorio, essere giustificati da motivi imperiosi di interesse pubbli-co, essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo».

27 Tra i quali vanno annoverati: a) la coerenza del sistema fiscale – intesa quale correla-zione in capo allo stesso Stato tra il riconoscimento di una deduzione a favore di un con-tribuente e la corrispondente tassazione nei confronti di un altro (v. sent. 28 gennaio 1992, causa C-300/90, Commission v. Belgium), ma non già come coincidenza (in rapporto all’obiettivo di evitare la doppia imposizione economica) tra lo Stato di residenza della so-cietà che abbia tassato gli utili da questa prodotti e quello di residenza del socio che abbia deciso di esentare detti utili nel momento del loro incasso sotto forma di dividendi (v. sent. 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen) – b) l’esigenza di garantire l’effettività dei controlli fiscali – la quale non può prescindere dalla possibilità di ricorrere alle direttive in materia di cooperazione amministrativa in materia fiscale, dalla possibilità di subordina-re la concessione di misure di favore all’esibizione della documentazione comprovante la sussistenza dei requisiti (v. sent. 28 gennaio 1992, causa C-204/90, Bachmann), nonché dall’esistenza di convenzioni che prevedano lo scambio di informazioni (v. sent. 19 no-vembre 2009, causa C-540/07, Commission v. Italy) – c) l’esigenza di contrastare compor-tamenti evasivi o abusivi – questi ultimi consistenti nell’utilizzo di costruzioni puramente artificiose (v. sent. 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst, e sent. 12 set-tembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes). Sulla rilevanza del c.d. rule of reason test al fine di valutare l’idoneità degli interessi nazionali a legittimare una deroga alle libertà fondamentali v. BORIA, Diritto tributario europeo, Milano, 2010, p. 125 e p. 180 s.; nonché AMATUCCI, Il principio di non discriminazione fiscale, Padova, 1998, p. 157 s.; MELIS, Libertà di circolazione dei lavoratori, libertà di stabilimento e principio di non discriminazione nell’im-posizione diretta: note sistematiche sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comuni-tà Europee, in Rass. trib., 2000, p. 1165 s.; BIZIOLI, Il rapporto tra libertà di stabilimento e principio di non discriminazione in materia fiscale: una applicazione nel recente caso Imperial Chemical Industries, in Dir. prat. trib., 1999, II, p. 343 s.; GIORGI, La libera circolazione dei capitali nella Comunità europea ed il regime impositivo dei dividendi nel diritto interno, in Rass. trib., 2000, pp. 1365-1366.

28 Osserva in proposito BORIA, Diritto tributario europeo, cit., p. 255, che il principio di

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Lo stesso dicasi con riferimento alla libertà di stabilimento, la quale si declina anche nel diritto di costituire società in altri Paesi dell’Unione Eu-ropea al fine di esercitare un’attività economica reale (art. 49 TFUE) 29. An-che la libertà di stabilimento, dunque, può presupporre l’effettuazione di un investimento in un altro Stato, e quindi la circolazione di un capitale; tutta-via, essa si differenzia dalla libertà di cui all’art. 63 del Trattato in ragione del fatto che l’investimento all’estero è funzionale all’esercizio di un’attività economica 30 ovvero si tratta di una partecipazione societaria tale da conferi-re al cittadino di uno Stato membro «una sicura influenza sulle decisioni della società» localizzata in un altro Stato membro «e da consentirgli di in-dirizzarne le attività» 31. proporzionalità risponde «ad una logica di bilanciamento di interessi contrapposti (co-munitario e nazionale) secondo una valutazione di efficienza strumentale e gradualistica della legge» e che lo stesso è rispettato allorché la compressione dei diritti in ragione del perseguimento di interessi pubblici nazionali sia l’unica possibile e sia realizzata in modo ragionevole oppure se non risultano forme di bilanciamento meno onerose per gli interessi individuali. La circostanza che le misure restrittive delle libertà fondamentali debbano es-sere ispirate al principio di proporzionalità è altresì evidenziata da AMATUCCI, Il principio di non discriminazione fiscal, cit., p. 154. Sul principio di proporzionalità v. anche MONDINI, Contributo allo studio del principio di proporzionalità nel sistema dell’IVA europea, Pisa, 2012, part. p. 117 s.; nonché MOSCHETTI, Il principio di proporzionalità come “giusta misu-ra” del potere nell’evoluzione del diritto tributario, 2015, passim, part. pp. 13-22.

29 L’obiettivo dell’esercizio dell’attività economica nell’altro Stato è enfatizzato dalla Corte di Giustizia nella nota sentenza Cadbury Schweppes (12 settembre 2006, causa C-196/04).

30 La Corte di Giustizia, nella sent. 14 settembre 2006, causa C-386/04, Centro di Musi-cologia Walter Stauffer, ha testualmente affermato che «affinché le disposizioni relative alla libertà di stabilimento possano essere applicate, è in linea di principio necessario che sia assicurata una presenza permanente nello Stato membro ospitante e, in caso di acquisto e di possesso di beni immobili, che la gestione di tali beni sia attiva».

31 Vd. sent. 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars, laddove la Corte di Giustizia ha so-stenuto che l’elemento decisivo per riconoscere l’esistenza della libertà di circolazione dei capitali, piuttosto che della libertà di stabilimento, è costituito dalla «rilevanza» della par-tecipazione: «la libertà di stabilimento comprende la costituzione e la gestione di imprese, e in particolare di società, in uno Stato membro da parte del cittadino di un altro Stato membro. Si avvale quindi del suo diritto di stabilimento il cittadino di uno Stato membro che detenga nel capitale di una società stabilita in un altro Stato membro una partecipa-zione tale da conferirgli una sicura influenza sulle decisioni della società e da consentirgli di indirizzarne le attività». Peraltro, nella relazione dell’Avvocato Generale S. Alber nella citata causa viene efficacemente riassunto il rapporto di concorrenza tra libera circolazione di capitali e libertà di stabilimento: «1) Nel caso sussista una diretta lesione della libera circolazione dei capitali, la quale comporti solo indirettamente un ostacolo allo stabilimen-to, sono applicabili soltanto le norme relative alla circolazione dei capitali. 2) Nel caso sus-

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Ebbene, anche rispetto a tale libertà, il Trattato vieta agli Stati membri di introdurre «restrizioni» (art. 49 TFUE) ed ammette la previsione di regimi particolari che siano giustificati da «motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica» (art. 52 TFUE), sicché anche rispetto a tale libertà si ritiene possibile riprodurre il paradigma argomentativo sopra illu-

sista una diretta lesione della libertà di stabilimento, la quale, ostacolando lo stabilimento, comporti indirettamente una riduzione dei flussi di capitali tra gli Stati membri, sono ap-plicabili unicamente le norme in materia di libertà di stabilimento. 3) Allorché sussiste una lesione sia della libera circolazione dei capitali sia del diritto di stabilimento, sono applica-bili entrambe le libertà fondamentali e la misura nazionale deve soddisfare le condizioni poste a tutela di entrambe». Più di recente, la Corte è tornata sull’argomento con la sent. 13 marzo 2014, C-375/12, Margaretha Bouanich, ribadendo che «il trattamento fiscale dei dividendi può ricadere nella sfera di applicazione dell’articolo 49 TFUE, riguardante la li-bertà di stabilimento, e in quella dell’articolo 63 TFUE, relativo alla libera circolazione dei capitali» e che «una normativa nazionale destinata ad applicarsi esclusivamente alle par-tecipazioni che consentono di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di una società e di determinarne le attività ricade nella sfera di applicazione dell’articolo 49 TFUE, relati-vo alla libertà di stabilimento. Per contro, disposizioni nazionali che siano applicabili a par-tecipazioni acquisite al solo scopo di realizzare un investimento finanziario, senza l’intento di influire sulla gestione e sul controllo dell’impresa, devono essere esaminate esclusiva-mente alla luce della libera circolazione dei capitali». In dottrina si è segnalato che, sebbe-ne la disciplina di tali due istituti non sia omogenea (si pensi ai diversi limiti previsti dagli artt. 52 e 65 del TFUE ed alla circostanza che la libertà di circolazione dei capitali, diver-samente dalla libertà di stabilimento, trova applicazione non solo per i movimenti di capi-tale tra gli Stati membri, ma anche per i movimenti tra Stati membri e Paesi extra-comu-nitari), essi tendono a sovrapporsi [v. BORIA, Diritto tributario europeo, cit., p. 140, secondo il quale la libertà di circolazione dei capitali «tende sovente a sovrapporsi, o comunque a combinarsi, con la libertà di stabilimento delle imprese; ed invero la raccolta di capitali trova la sua naturale manifestazione nella costituzione o nello sviluppo di imprese, partico-larmente con riguardo all’aumento del capitale o alla dotazione finanziaria delle società residenti in uno Stato membro diverso rispetto a quello del soggetto finanziatore (perlo-più la società controllante)»] e che quella di circolazione dei capitali tutela, per l’appunto, la «circolazione e la raccolta dei capitali nello spazio libero comunitario al fine di permet-tere il concreto sviluppo delle iniziative produttive e commerciali» (così ancora BORIA, Diritto tributario europeo, cit., p. 140), mentre la libertà di stabilimento garantisce agli ope-ratori la possibilità di «intraprendere ogni tipo di attività economica in uno o più Stati membri in maniera stabile e continuativa, senza che ciò comporti un trattamento deteriore rispetto ai cittadini di tali Stati membri che operano nel medesimo settore (c.d. market equality)» (così DORIGO, Il ruolo del diritto dell’Unione Europea, in CORDEIRO GUERRA, Di-ritto tributario internazionale, cit., p. 175). In argomento v. anche GARBARINO, Manuale di tassazione internazionale, cit., pp. 721-722; LAROMA JEZZI, Integrazione negativa e fiscalità diretta. L’impatto delle libertà fondamentali sui sistemi tributari dell’unione europea, Pisa, 2012, pp. 30-31; FAVI, Diritto di stabilimento e libertà di circolazione dei capitali nell’ambito delle imposte dirette, in Riv. dir. trib., 2001, III, p. 54.

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strato, il quale si declina nella coerenza e nella proporzionalità della limita-zione rispetto alle finalità perseguite, nella necessità di contenere le restri-zioni a quanto necessario per contrastare strutture di mero artificio, nell’im-possibilità di presumere l’esistenza di intenti elusivi nella decisione di loca-lizzare un’attività in un altro Stato 32 e nel riconoscimento del diritto di scel-ta del Paese in cui stabilirsi anche in funzione della riduzione del carico im-positivo.

E tali prescrizioni valgono sia con riferimento al Paese ospitante (verso il quale si esercita la libertà di stabilimento), sia – ed è ciò che rileva mag-giormente in questa sede – con riferimento al Paese di origine, il quale, al di fuori dei limiti ora indicati, non può ostacolare, con misure discriminatorie dal punto di vista fiscale, il diritto dei propri cittadini di svolgere un’attività imprenditoriale in un altro Paese dell’Unione, anche attraverso investimenti immobiliari o partecipazioni societarie 33.

4. Valutazione delle differenze esistenti sotto il profilo temporale

Ebbene, tornando ai tributi oggetto del presente lavoro, uno dei disalli-neamenti più eclatanti atteneva al momento in cui sarebbe dovuta iniziare la loro applicazione.

In particolare, nella versione originaria del decreto, tanto l’IVIE quanto l’IVAFE erano dovute «a decorrere dal 2011», mentre l’imposta di bollo sulle comunicazioni alla clientela era dovuta a partire dal 2012 e così an-che l’IMU.

Con l’ovvia conseguenza che, con riferimento all’anno 2011, le attività finanziarie detenute all’estero nello stesso anno avrebbero scontato l’im-

32 Vd. in tal senso, tra le altre, sent. 16 luglio 1998, causa C-246/96, Imperial Chemical Industries plc (ICI).

33 In tal senso v., tra le altre, la sent. Baars, la quale, riprendendo quanto già sostenuto in precedenti pronunce, conferma che le disposizioni concernenti il diritto di stabilimento ostano, altresì, «a che lo Stato di origine ostacoli lo stabilimento in un altro Stato membro di un proprio cittadino». Come osserva giustamente FAVI, Diritto di stabilimento e libertà di circolazione dei capitali nell’ambito delle imposte dirette, in Riv. dir. trib., 2001, III, p. 51, in questi casi, il trattamento cui viene assoggettato il cittadino di uno Stato membro, da quel-lo stesso Stato, deve essere paragonato con il trattamento che a quello stesso cittadino sa-rebbe stato applicato da quello stesso Stato se avesse ivi investito o svolto un’attività eco-nomica. Dunque, in questi casi, non saremmo di fronte a discriminazioni basate sulla cit-tadinanza, bensì su restrizioni basate sul luogo di stabilimento.

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posta patrimoniale dell’1 per mille, mentre le analoghe attività finanziarie detenute in Italia non erano assoggettate ad alcuna imposizione (a meno che non si trattasse di attività finanziarie che avevano formato oggetto di una procedura di emersione, nel qual caso, come si è detto, sono state as-soggettate all’imposta di bollo speciale di cui al comma 6, in virtù della se-gretazione di cui beneficiavano, ovvero all’imposta straordinaria di cui al comma 12, in ragione della segretazione di cui avevano beneficiato nel corso del 2011).

Con riferimento agli immobili, invece, la situazione è un po’ più articola-ta, essendo l’IMU destinata sì ad entrare in vigore dal 2012, ma per prende-re il posto dell’ICI, la quale ha continuato ad essere applicata anche per l’anno 2011. Con la conseguenza che, diversamente da quanto previsto per le attività finanziarie, per l’anno 2011, sia gli immobili esteri delle persone fisiche, sia gli immobili localizzati in Italia avrebbero dovuto essere assog-gettati all’imposizione patrimoniale, la quale tuttavia non sarebbe stata omogenea ed anzi si sarebbe differenziata sensibilmente in punto di aliquo-te, dal momento che quelle dell’ICI potevano variare dal 4 al 7 per mille, mentre quella dell’IVIE sarebbe stata fissa allo 0,76%. Il che significa che – quale che sia stata la decisione dei singoli Comuni in ordine all’aliquota ICI da applicare sugli immobili situati sul loro territorio – il livello di tassazione sugli immobili localizzati in Italia sarebbe stato certamente inferiore rispetto a quello degli immobili esteri e si sarebbe creata una divergenza assai diffici-le da giustificare alla luce dei parametri della ragionevolezza che sono sottesi sia alle disposizioni costituzionali che a quelle comunitarie.

Opportunamente, dunque, il legislatore è intervenuto per porre rimedio a tale macroscopica discriminazione 34, modificando i commi 13 e 18 del-l’art. 19, D.L. n. 201/2011 e prevedendo che sia l’IVAFE sia l’IVIE siano dovute a decorrere dall’anno 2012.

Tali interventi correttivi non hanno tuttavia riguardato altri profili discri-minatori che connotavano – e connotano ancora – i due tributi rispetto agli omologhi prelievi che incidono sui patrimoni detenuti e investiti in Italia.

34 Vd. art. 1, comma 518, lett. a) ed e), L. 24 dicembre 2012, n. 228.

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5. Valutazione delle differenze esistenti sotto il profilo della misura dell’im-posizione

Il primo profilo da considerare è quello che attiene al limite massimo di 1.200 euro 35 previsto, per l’anno 2012, per la sola imposta di bollo sulle co-municazioni, mentre nessun tetto era stato previsto per l’IVAFE.

Ora, anche volendo sorvolare sulle distorsioni che scaturiscono dalla fis-sazione di un limite massimo all’imposizione – distorsioni che si manifesta-no sotto la forma della regressività del prelievo in rapporto ai patrimoni che eccedono l’importo di 1.200.000 euro 36 e che conferiscono al tributo una patente di manifesta iniquità 37 – resta la palese e inspiegabile divergenza che si verifica nell’entità dell’imposizione tra i patrimoni, di valore superiore a 1.200.000 euro, investiti in attività finanziarie, detenuti in Italia e gli analo-

35 Il tetto dei 1.200 euro è stato inserito nella nota 3-ter all’art. 13 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 642/1972 dall’art. 19, comma 3, D.L. n. 201/2011. Non è chiaro, tuttavia, se, a seguito delle modifiche apportate al citato art. 13 della Tariffa dal menzionato art. 19, D.L. n. 201, la nota 3 ter si riferisca al comma 2 bis ovvero al comma 2 ter di detto art. 13. A di-spetto dell’incerta collocazione delle note, pare che il tetto in questione sia da riferire alle comunicazioni di cui al comma 2 ter dell’art. 13 della Tariffa, per ragioni di carattere logi-co, visto che il tributo di cui al comma 2 ter è proporzionale, mentre quello di cui al comma 2 bis è stabilito in misura fissa. In tal senso, peraltro, è il D.M. 24 maggio 2012, il quale, all’art. 3, comma 4, riferisce il limite massimo in questione all’imposta di bollo di cui all’art. 13, comma 2 ter, della Tariffa. Giova peraltro segnalare che tale limite massimo è stato ele-vato ad euro 4.500 per il 2013 (per effetto dell’art. 1, comma 509, L. 24 dicembre 2012, n. 228) e poi ad euro 14.000, a decorrere dal 2014 (per effetto dell’art. 1, comma 581, lett. b, L. 27 dicembre 2013, n. 147), ma solamente per i soggetti diversi dalle persone fisiche. Di conseguenza, tali modifiche non rilevano ai fini delle considerazioni che stiamo qui svilup-pando, dal momento che l’IVAFE è dovuta dalle sole persone fisiche, sicché, da questo punto di vista, non si prospetta alcuna diversità di trattamento con riferimento a tale tipo-logia di contribuenti.

36 Ed invero, applicando l’aliquota dell’1 per mille, prevista per l’anno 2012 dal novella-to art. 13, lett. 2 ter, della Tariffa allegata al D.P.R. n. 642/1972, ad un patrimonio di 1.200.000 euro si ottiene l’importo di 1.200 euro che costituisce il limite massimo di cui alla novellata nota 3 ter all’art. 13 testé richiamato. Sicché, per i patrimoni di valore supe-riore a 1.200.000 euro, l’imposta dovuta sarà sempre 1.200 euro, ma tale imposta sarà per-centualmente sempre più bassa all’aumentare del patrimonio tassato.

37 Nella misura in cui incide di meno – e dunque favorisce – i patrimoni più consistenti, peraltro contraddicendo le intenzioni che hanno ispirato le coeve misure impositive che, come si è accennato, in una logica redistributiva, sono state introdotte per colpire i beni di lusso (auto di grossa cilindrata, imbarcazioni di una certa dimensione, aeromobili) sul pre-supposto che questi rappresentino patrimonio eccedentario – e voluttuario – rispetto a quello normalmente posseduto dai contribuenti.

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ghi patrimoni detenuti all’estero. Divergenza che non può certo essere giu-stificata dalla previsione di un limite minimo di 34,20 euro che pure riguar-da solo l’imposta di bollo sulle comunicazioni, e non l’IVAFE, la quale, pe-raltro, produce un ulteriore effetto distorsivo in quanto tende a penalizzare i patrimoni investiti in attività finanziarie di importo inferiore ai 34.200 euro. Vero è che, nella prospettiva comparatistica, tale ultima previsione tende a penalizzare la detenzione delle attività finanziarie in Italia, dando luogo ad una divaricazione di segno opposto rispetto a quella appena sopra illustrata, la quale sfavorisce la detenzione di attività finanziarie all’estero; tuttavia non avrebbe senso ritenere che la compresenza di due distorsioni di segno op-posto conduca all’annullamento delle stesse, come se si trattasse di una som-ma algebrica, ed anzi si dovrebbe ritenere che entrambe integrino distinti profili di incoerenza della normativa, posto che il giudizio comparativo non può che riguardare i livelli di imposizione che gravano su patrimoni della stessa entità che si differenziano tra loro solo per il Paese in cui sono detenuti. E in questa prospettiva non v’è dubbio che, per le attività finan-ziarie di valore superiore a 1.200.000 euro detenute all’estero, il livello di imposizione sia maggiore – sia in termini percentuali che in termini asso-luti – di quello che – a parità di valore – grava sulle attività finanziarie de-tenute in Italia.

Dunque, si sono realizzate delle divergenze sul piano della tassazione che hanno discriminato gli investimenti all’estero rispetto a quelli detenuti in Italia e che non sembrano trovare giustificazione ragionevole, né sembrano rispondere alla necessità di evitare evasioni o elusioni o a motivi imperativi di interesse generale, in particolare legati alla necessità di preservare la coe-renza del sistema tributario nazionale 38.

Neppure tali divergenze trovano giustificazione in differenze apprezzabi-li, in termini di idoneità dei beni tassati ad esprime attitudine alla contribu-zione del possessore, che consentano di evitare la censura di incostituziona-lità rispetto agli artt. 3 e 53 della Carta fondamentale.

D’altro canto, non sarebbe nemmeno ragionevole ritenere che le discri-minazioni qui denunciate trovino giustificazione nell’ipotesi che le attività detenute all’estero siano di per sé frutto di evasione e che i connessi eviden-ziati aggravi d’imposizione (come pure quelli di cui si dirà) rappresentino

38 Coerenza che – come sopra indicato – la Corte di Giustizia ha ravvisato nel collega-mento diretto tra la deducibilità di un componente e la tassazione del corrispondente red-dito: v., tra le altre, sentt. Bachmann e Commission V. Belgium.

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uno strumento per recuperare in qualche modo le imposte non percepite in passato. Intanto perché l’ipotesi che il patrimonio detenuto all’estero costi-tuisca, per ciò solo, frutto di evasione non trova supporto in alcuna massima di esperienza, specie quando si tratta di beni regolarmente dichiarati all’Am-ministrazione italiana, ed anzi è smentita dalla circostanza che la libertà di circolazione dei capitali – la quale si esprime anche nella libertà di collocare in un qualunque Paese comunitario i propri capitali – rappresenti un princi-pio fondamentale dell’Unione Europea. Poi perché, in ogni caso, sarebbe irragionevole pensare di ricorrere ad una nuova imposta per recuperare l’evasione passata senza differenziare le singole posizioni e discernere quanti hanno evaso da quanti hanno sempre regolarmente assolto ai propri obbli-ghi impositivi e, cionondimeno, hanno deciso di localizzare all’estero i pro-pri investimenti.

6. Valutazione delle differenze esistenti sotto il profilo oggettivo

Un altro ambito nel quale rischiano di crearsi disallineamenti difficili da giustificare rispetto ai menzionati principi costituzionali e comunitari è quello oggettivo che concerne i beni la cui detenzione all’estero integra il presupposto dei nuovi tributi.

Non tanto con riferimento all’IVIE, nella quale l’oggetto dell’imposizione – i beni immobili – coincide con quello dell’ICI e dell’IMU, pur permanendo delle difficoltà nell’inquadrare nei concetti civilistici di proprietà e di diritti reali gli istituti previsti da altri ordinamenti, specie di tipo anglosassone 39.

Il problema si pone soprattutto per l’IVAFE e dipende fondamentalmen-te dalla formulazione dell’art. 19, comma 18, D.L. n. 201 e dall’elencazione

39 Ritiene in proposito l’Agenzia, nella circolare n. 28/E del 2 luglio 2012, che «Ai fini dell’individuazione dei diritti reali che attribuiscono ai loro titolari l’obbligo passivo del-l’imposta, si deve fare riferimento agli analoghi istituti previsti negli ordinamenti esteri in cui l’immobile è ubicato. Ad esempio, si rileva che per gli immobili situati in Paesi di com-mon law può sussistere sia un diritto di proprietà fondiaria assoluta – “freehold” – che un diritto al possesso dei beni – “leasehold”. Quest’ultimo dà diritto al possesso di beni im-mobili, disgiuntamente alla proprietà, solitamente per un periodo di tempo molto elevato, dietro il pagamento di un corrispettivo. Considerato che tale istituto presenta maggiori analogie con i diritti reali come disciplinati dall’ordinamento italiano (in particolare, con l’usufrutto), piuttosto che con il diritto di locazione, si ritiene che in tal caso sono tenuti al pagamento dell’imposta in questione i titolari di tale diritto e non anche i titolari della proprietà fondiaria assoluta».

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che è contenuta nel Provvedimento di attuazione emanato in data 5 giugno 2012 (giusta quanto previsto dal comma 23 dell’art. 19 del D.L. n. 201) 40.

In verità, con riferimento ai conti correnti e ai depositi intrattenuti al-l’estero è stato efficace lo sforzo del legislatore di omologare il trattamento impositivo rispetto a quello riservato ai conti correnti e ai libretti di rispar-mio detenuti presso intermediari in Italia: come detto, infatti, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 518, L. n. 228/2012, tanto quelli detenuti all’estero, quanto quelli detenuti in Italia, sono assoggettati ad un’imposta fissa di pari importo 41.

Su sollecitazione della Commissione Europea, il legislatore è poi inter-venuto per cercare di eliminare le ulteriori differenze esistenti tra l’ambito di applicazione dell’IVAFE e quello dell’imposta di bollo.

In particolare, nell’ambito del caso EU Pilot 5095/123/TAXU la Com-missione ha osservato come la nozione di attività finanziarie detenute al-l’estero e soggette ad IVAFE fosse più ampia di quella di prodotti finanziari soggetti ad imposta di bollo, evidenziando come, a titolo esemplificativo, l’IVAFE venisse applicata in caso di detenzione di quote di società a respon-sabilità limitata estere, mentre le quote di SRL italiane non fossero soggette all’imposta di bollo 42.

In effetti, il novero delle attività finanziarie, che viene individuato dal menzionato Provvedimento attraverso un’elencazione molto ampia e che

40 Trattasi, come detto, del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia prot. n. 2012/72442, il quale annovera tra le attività finanziarie da assoggettare ad IVAFE, se detenute all’estero: «partecipazioni al capitale o al patrimonio di soggetti residenti o non residenti, obbliga-zioni italiane o estere e titoli similari … – contratti di natura finanziaria stipulati con con-troparti non residenti, tra cui, finanziamenti, riporti, pronti contro termine e prestito titoli … – ogni altra attività da cui possono derivare redditi di capitale o redditi diversi di natura finanziaria di fonte estera».

41 In virtù di quanto dispone il secondo periodo del comma 20 dell’art. 19, l’IVAFE è dovuta in misura fissa pari a quella prevista dall’art. 13, comma 2 bis, lett. a), della Tariffa (vale a dire, pari ad euro 34,20 all’anno, trattandosi di persone fisiche); mentre il Provv. Prot. 2012/72442 precisa che «l’imposta non è dovuta quando il valore medio di giacenza annuo risultante dagli estratti e dai libretti è complessivamente non superiore a euro 5.000», analogamente a quanto previsto dalla novellata nota 3 bis all’art. 13 della tariffa allegata al D.P.R. n. 642/1972.

42 Con la conseguenza che il diverso trattamento fiscale degli investimenti di natura fi-nanziaria, a seconda che siano effettuati in Italia o in un altro Stato membro dell’UE o del-lo Spazio economico europeo (SEE), determinerebbe una violazione del principio di libe-ra circolazione dei capitali sancito dall’art. 63 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) e dall’art. 40 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo.

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prescinde da qualsiasi rapporto contrattuale con un intermediario, rischia di attrarre a tassazione anche investimenti che, se detenuti in Italia nelle mede-sime condizioni, non sarebbero tassati. Mi riferisco a tutte le partecipazioni in società di capitali – e non solo a quelle in SRL – ed ai finanziamenti soci, solo per limitarmi agli esempi più eclatanti e diffusi.

Del resto, l’impostazione del Provvedimento non incontrava ostacoli nel dato normativo, la cui genericità 43 in effetti legittimava interpretazioni allar-gate dell’ambito di applicazione della disposizione.

Ora, con l’art. 9, L. 30 ottobre 2014, n. 161, nel comma 18 dell’art. 19, D.L. n. 201, le parole «delle attività finanziarie detenute» sono state sosti-tuite con la formula «dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti», realizzandosi così una formale omologazione rispet-to alla disposizione concernente l’imposta di bollo.

Tanto l’IVAFE, quanto l’imposta di bollo, infatti, riguardano ora i «pro-dotti finanziari», i quali sono definiti dall’art. 1, D.M. 24 maggio 2012, emanato in attuazione dei commi da 1 a 3 del menzionato art. 19, come «i prodotti elencati nell’art. 1 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ivi compresi i depositi bancari e postali, anche se rappresentati da certificati», laddove i «prodotti» sono a loro volta definiti, al comma 1, lett. u) come «gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finan-ziaria», mentre gli «strumenti finanziari» sono individuati attraverso l’elen-cazione contenuta nel comma 2 dello stesso art. 1. Quest’ultimo annovera, alla lett. a), anche i «valori mobiliari», i quali sono a loro volta individuati dal precedente comma 1 bis, come i «valori che possono essere negoziati sul mercato dei capitali, quali ad esempio: a) le azioni di società …; b) ob-bligazioni e altri titoli di debito …».

Ne deriva, allora, che, attraverso il rinvio alle definizioni recate dal c.d. Testo Unico delle Finanza, gli ambiti di applicazione dei due tributi sono coincidenti e, se da un lato sembrano escludere le quote di SRL e i finan-ziamenti soci, dall’altro sembrano comprendere le azioni e le obbligazioni, negoziate nei mercati regolamentati.

Tuttavia, da un lato, non è chiaro se dalla concatenazione delle menzio-nate disposizioni si possa escludere che nel concetto di «prodotti finanzia-ri» – e, dunque, nella base imponibile dell’IVAFE – siano comprese anche le azioni e le obbligazioni non negoziate, esclusione che non sembrerebbe

43 Il comma 19 si limitava a parlare di «attività finanziarie detenute all’estero», senza alcuna specificazione, né sul concetto di “attività finanziaria” né su quello di “detenzione”.

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trovare supporto nel testo della legge 44, ma che sarebbe coerente rispetto alla collocazione sistematica della definizione e alla sua finalità nel contesto del TUF.

Dall’altro lato, non può sfuggire la circostanza che l’imposta di bollo è limi-tata alle «comunicazioni» che gli intermediari – che l’art. 1 del menzionato D.M. 24 maggio 2012 identifica negli «enti gestori» 45 – debbono effettuare nei confronti della «clientela», il che significa che, affinché sia dovuta l’im-posta di bollo, non è sufficiente il possesso di attività finanziarie, ma è neces-sario che sussista un rapporto contrattuale tra ente gestore e soggetto passivo in relazione al quale sia configurabile una comunicazione dal primo al secon-do. Ciò è peraltro confermato sia dai riferimenti al «cliente», alle «comuni-cazioni periodiche» e al «rapporto intrattenuto», contenuti nella definizione di «ente gestore» di cui all’art. del D.M., sia dalla definizione di «cliente» dettata dallo stesso art. 1 attraverso il rinvio al Provvedimento del Governato-re della Banca d’Italia del 9 febbraio 2011, laddove si parla di «qualsiasi sog-getto, persona fisica o giuridica, che ha in essere un rapporto contrattuale o che intenda entrare in relazione con l’intermediario».

Sicché l’ambito di applicazione dell’imposta di bollo potrebbe risultare tuttora più circoscritto rispetto a quello dell’IVAFE, quale sembrerebbe ri-sultare dal testo dell’art. 19, comma 18, D.L. n. 201/2011 e del connesso Provvedimento del Direttore dell’Agenzia, essendo questo del tutto sgan-ciato – dal punto di vista testuale – da un qualsiasi legame contrattuale tra il contribuente e un intermediario.

Con la conseguenza che, per tornare all’esempio precedente, qualora si ritenesse che tra i «prodotti finanziari» rientrino anche le azioni e le obbli-gazioni non negoziate, si dovrebbe pervenire alla conclusione che, mentre l’investimento in azioni o obbligazioni di società italiane non quotate non soggiace ad alcuna imposizione se i titoli vengono detenuti in Italia ma non formano oggetto di alcun rapporto contrattuale con un intermediario (che sia qualificabile come «ente gestore»), se la stessa ricchezza viene investita in società per azioni non residenti, essa sarebbe assoggettata all’IVAFE, qua-

44 Giacché il menzionato comma 1 bis fa espresso riferimento alla “possibilità” che tali titoli siano negoziati, e non già all’effettività della negoziazione.

45 «Ente gestore» che lo stesso art. 1 definisce come «il soggetto che a qualsiasi titolo esercita sul territorio della Repubblica l’attività bancaria, finanziaria o assicurativa … che si relazioni direttamente o indirettamente con il cliente anche ai fini delle comunicazioni pe-riodiche relative al rapporto intrattenuto e del rendiconto effettuato sotto qualsiasi forma».

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lora i titoli siano detenuti all’estero, non per il tramite di intermediari ope-ranti nel territorio italiano 46.

In altri termini, si dovrebbe ritenere che, mentre talune attività finanzia-rie (e segnatamente le azioni e le obbligazioni non quotate) detenute in Ita-lia sono tassate solo se formano oggetto di un rapporto contrattuale con un «ente gestore» – circostanza che non è prevista come obbligatoria dalla legge e che, anzi, in molti casi non si verifica – le stesse attività finanziarie, se detenute all’estero, sarebbero tassate in ogni caso, anche se non formano oggetto di alcun rapporto contrattuale con un intermediario.

Di qui il rischio che l’interpretazione letterale della legge e del provvedi-mento del Direttore dell’Agenzia conduca ancora – anche dopo il recente intervento normativo – ad una diversità di trattamento sul piano fiscale la quale, discriminando gli investimenti esteri dei cittadini italiani rispetto a quelli nazionali, di fatto si risolverebbe in una restrizione dissimulata della libertà di circolazione dei capitali ovvero della libertà di stabilimento.

Né mi sembra sarebbero ravvisabili motivi di ordine pubblico o di pub-blica sicurezza, come pure esigenze di impedire violazioni alla legislazione nazionale, che possano giustificare il trattamento deteriore riservato agli in-vestimenti esteri ed alla detenzione all’estero degli investimenti effettuati da cittadini italiani. Vero è, infatti, che tra tali motivi possono essere annoverati anche quelli attinenti alla coerenza del sistema fiscale ed alla tutela degli in-teressi erariali, ma vero è, altresì, che – come detto – la tutela dei suddetti obiettivi non può essere perseguita attraverso un aggravio dell’imposizione legato semplicemente al luogo di detenzione degli investimenti. Senza con-tare che anche le misure cui ora ho fatto cenno debbono rispondere al prin-cipio della proporzionalità rispetto agli obiettivi perseguiti 47: ed è assai dubbio che tale fondamentale requisito possa essere ravvisato in una dispo-sizione che colpisce con un’imposta certi investimenti solo se ed in quanto siano detenuti all’estero, non essendovi proporzione – né, a ben vedere, connessione – tra tale misura e l’obiettivo di evitare evasioni e, men che

46 Quando, invece, i titoli sono detenuti per il tramite di intermediari operanti nel terri-torio della Repubblica, gli stessi sono assoggettati all’imposta di bollo. Giova sul punto rammentare che lo stesso Provvedimento del Direttore dell’Agenzia stabilisce che «le atti-vità finanziarie oggetto di un contratto di amministrazione con una società fiduciaria resi-dente o di gestione con un intermediario residente, sono soggette all’imposta di bollo di cui all’art. 13, commi 2-bis e 2-ter, della Tariffa … e sulle stesse non è dovuta l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero».

47 Come ho precisato nel precedente par. 3.

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meno, rispetto all’obiettivo – che sembra aver animato il legislatore nell’in-troduzione dell’IVAFE – di omologare il peso fiscale degli investimenti esteri rispetto a quelli effettuati e detenuti in Italia.

Neppure mi sembra che si potrebbe far leva sulla diversità dei due tributi che abbiamo qui messo a confronto (imposta d’atto, uno; imposta patrimo-niale, l’altro), in quanto a me pare che la discriminazione che si verrebbe a creare ed il contrasto con i principi del Trattato UE andrebbero valutati in un’ottica sostanziale e non v’è dubbio che, da questo punto di vista, i due tributi si equivalgano, a prescindere dalla differente strutturazione del rela-tivo presupposto, tant’è che hanno la stessa aliquota e la medesima base im-ponibile rappresentata dal valore delle attività finanziarie 48. Del resto, anche nell’ambito dell’imposta di bollo sulle comunicazioni, la capacità contribu-tiva che viene colpita dal tributo non può certo essere ravvisata nella comu-nicazione in sé e per sé considerata, bensì – al pari di quanto avviene per l’IVAFE – nella ricchezza investita il cui valore forma oggetto di comunica-zione.

Tant’è che lo stesso Provvedimento del Direttore dell’Agenzia conferma la simmetria e l’equivalenza dei due prelievi laddove, come già ricordato, ri-conosce che «le attività finanziarie oggetto di un contratto di amministra-zione con una società fiduciaria residente o di gestione con un intermedia-rio residente, sono soggette all’imposta di bollo all’imposta di bollo … e sul-le stesse non è dovuta l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero».

Simmetria ed equivalenza che, peraltro, come pure si è evidenziato, sono chiaramente delineate dallo stesso legislatore con riferimento alla tassazione delle attività finanziarie rappresentate dalle somme detenute in conti cor-renti o libretti di risparmio: in tali casi, infatti, è previsto che l’IVAFE sia do-vuta in misura fissa, pari a quella prevista, dall’art. 13, comma 2 bis, lett. a), della Tariffa dell’imposta di bollo, per le somme detenute in conti correnti o libretti accesi in Italia presso istituti di credito operanti nel territorio dello Stato.

Da quanto sin qui evidenziato mi pare derivi, allora, la necessità di acce-dere ad un’interpretazione “comunitariamente orientata” delle disposizioni menzionate che faccia coincidere l’ambito di operatività dei due tributi, da un lato, attribuendo al concetto di «prodotti finanziari» il significato che vi escluda anche le azioni e le obbligazioni non quotate, e, dall’altro lato, non

48 Pur con le differenze su cui dirò nel par. 7.

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prescindendo – ai fini dell’assoggettamento ad IVAFE – dall’esistenza di un legame contrattuale tra il contribuente e un intermediario finanziario 49. Per-tanto, l’IVAFE non dovrebbe essere prelevata su quelle attività detenute all’estero che, qualora fossero allo stesso modo detenute in Italia, non sa-rebbero quivi assoggettate all’imposta di bollo: è il caso, per l’appunto, delle azioni e delle obbligazioni di società estere (equiparabili alle società di capi-tali italiane) che non formano oggetto di un rapporto contrattuale di depo-sito o di amministrazione con un intermediario, proprio perché si tratta di situazioni che, se si verificassero in Italia, senza il coinvolgimento di un in-termediario residente, non sconterebbero l’imposta di bollo.

D’altro canto, non si può trascurare che la diversità che, per l’effetto del Provvedimento, si verrebbe a creare tra gli ambiti di applicazione dei due tributi rileva anche rispetto agli artt. 3 e 53 Cost. V’è da chiedersi, infatti, quale maggiore capacità contributiva – a parità di valori, beninteso – sia sot-tesa ad una azione di una società di capitali non quotata detenuta diretta-mente all’estero e una azione di una società di capitali non quotata detenuta direttamente in Italia, tale da giustificare la tassazione del valore della prima, ma non quella della seconda. Ed invero, pur senza trascurare (come già det-to) la diversità di presupposto esistente tra i due prelievi, mi sembra che, ri-spetto alla manifestazione di ricchezza che i due tributi intendono colpire, consistente nel valore di certi asset assunti nella loro connotazione di stock patrimoniali, il fattore legato alla localizzazione, in Italia o all’estero, della detenzione sia sostanzialmente neutrale e, certamente, non tale da giustifi-care un aggravio di imposizione quale quello che risulterebbe se la norma interna (che disciplina l’IVAFE) non venisse intesa nel senso qui prospetta-to. Né si vede quali potrebbero essere le ragioni, di carattere sostanziale o procedimentale, idonee a giustificare un aggravio di prelievo per le attività investite all’estero, specie se si muove dal presupposto che la finalità perse-guita dal legislatore dovrebbe consistere nell’evitare discriminazioni ai dan-ni degli investimenti nazionali (colpiti dall’imposta di bollo) rispetto a quel-li esteri. Talché, mi pare si possa concludere nel senso che, anche rispetto ai suddetti parametri costituzionali, sia necessario accedere ad un’interpre-

49 Del resto, il menzionato Provvedimento del Direttore dell’Agenzia dovrebbe essere considerato illegittimo nella misura in cui conducesse a delineare un ambito di applicazio-ne della legge che contrasta con i principi comunitari: v., in termini generali sui rapporti tra gli atti amministrativi e le fonti comunitarie, RAMAJOLI-VILLATA, Contrasto di un atto con il diritto europeo, in Treccani – Libro dell’anno del diritto 2012, Roma, 2012, p. 283 s.

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tazione omogenea delle disposizioni normative che descrivono l’ambito di applicazione delle due imposte, comprendendo nell’IVAFE le sole attività finanziarie detenute all’estero con modalità tali che, se adottate in Italia, fa-rebbero scattare l’applicazione dell’imposta di bollo sulle medesime attività.

Di qui, dunque, il non assoggettamento ad imposta anche dei titoli azio-nari (ed obbligazionari) non quotati detenuti all’estero direttamente dal contribuente, a seguito delle modifiche normative introdotte dalla L. n. 161/2014.

Ma di qui pure la necessità di escludere dall’imposizione tutte le forme di partecipazione in società estere e le obbligazioni estere, non quotate, diret-tamente detenute all’estero, oltre ai finanziamenti soci, per i periodi d’im-posta anteriori al 2014: vero è, infatti, che dal 2014 iniziano a prodursi gli effetti dell’art. 9 della menzionata L. n. 161, ma vero è, altresì, che l’eviden-ziato contrasto con i principi comunitari e costituzionali (che ha indotto il legislatore ad intervenire) sussisteva già negli anni precedenti.

7. Valutazione delle differenze esistenti sotto il profilo della base imponibile

Un altro disallineamento, non agevolmente giustificabile in termini di razionalità legislativa, attiene alla base imponibile dei prelievi.

Ciò non riguarda, però, la definizione del «valore» da assumere come imponibile dell’IVAFE: da un lato, infatti, l’imposta di bollo sulle comuni-cazioni relative ai prodotti finanziari è applicata «per ogni esemplare» di comunicazione, «sul valore di mercato o, in mancanza, sul valore nominale o di rimborso» 50 e, «in mancanza dei predetti valori, si assume il costo di acquisto come desumibile dalle evidenze dell’intermediario», giusta quanto precisa l’art. 3, comma 1, D.M. 24 maggio 2012; dall’altro lato, anche per l’IVAFE «il valore è costituito dal valore di mercato … e, mancanza, secon-do il valore nominale o di rimborso» 51 e, per i titoli che non presentino né un valore nominale né un valore di rimborso, si tiene conto del «valore di acquisto dei titoli», giusta quanto precisa il Provvedimento n. 2012/72442 del Direttore dell’Agenzia.

Più articolata, sul punto, è la valutazione da operare con riferimento alle imposte sugli immobili, atteso che la base imponibile IMU è data dal «valo-

50 Così prevede l’art. 13, comma 2 ter, della Tariffa. 51 Così prevede l’art. 19, comma 20, D.L. n. 201/2011.

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re» dell’immobile, analogamente a quanto si verifica per l’IVIE, ancorché diversi siano il significato da attribuire a detto termine ed i criteri di quanti-ficazione di detta grandezza. Ai fini IMU, infatti, è necessario distinguere a seconda del tipo di immobile, ed in particolare a seconda che si tratti di fab-bricati iscritti in catasto (nel qual caso il «valore» è dato dall’ammontare delle rendite catastali, rivalutate e moltiplicate per determinati coefficien-ti 52), ovvero di terreni agricoli (nel qual caso il «valore» è dato dal reddito dominicale, rivalutato e moltiplicato per il coefficiente 120 53), ovvero anco-ra di terreni edificabili (nel qual caso il «valore» è dato dal valore venale in comune commercio 54). Ai fini dell’IVIE, il «valore» è declinato facendo ri-ferimento al costo di acquisto, ovvero, in mancanza, al valore di mercato, a meno che non si tratti di immobili situati in Paesi dell’Unione Europea o dello Spazio Economico Europeo che garantiscono un adeguato scambio di informazioni, nei quali casi il «valore» è determinato preferenzialmente fa-cendo riferimento al valore catastale «come determinato e rivalutato dal Paese in cui l’immobile è situato ai fini dell’assolvimento di imposte di natu-ra patrimoniale o reddituale», senza peraltro distinguere a seconda che si tratti di fabbricati piuttosto che di terreni agricoli o edificabili 55.

E’ chiaro, dunque, che, con riferimento agli immobili UE, il legislatore ha tentato di contenere al massimo le divergenze in termini di quantificazione del «valore» rispetto agli immobili nazionali, attraverso il riferimento gene-ralizzato ai valori catastali 56, e le differenze che si possono ancora verificare appaiono tollerabili nella misura in cui dipendono da diversità – pressoché ineliminabili – di determinazione dei detti valori catastali nei vari Paesi ov-vero dall’inesistenza di valori catastali negli altri Stati 57. Meno tollerabili, in

52 Vd. art. 13, comma 4, D.L. n. 201/2011. 53 Vd. art. 13, comma 5, D.L. n. 201/2011. 54 Vd. art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 504/1992, richiamato dall’art. 13, comma 3, D.L. n.

201/2011. 55 Sul punto v. anche SALANITRO, Prime riflessioni sull’imposta sul valore degli immobili si-

tuati all’estero, cit., p. 71, il quale ritiene che il criterio di determinazione della base impo-nibile sia unico e costituito dal valore venale.

56 L’Agenzia delle entrate, nella Circolare n. 28/E del 2012, è giunta addirittura ad ipo-tizzare – andando oltre il dato normativo – l’applicazione dei moltiplicatori nazionali ai valori determinati dal Paese estero espressivi del solo reddito medio ordinario dei beni, allorquando in detto Paese non sia previsto un valore catastale (come, ad esempio, avviene in Francia).

57 Sarebbe del resto impensabile attribuire un valore catastale in base ai criteri estimati-vi italiani agli immobili esteri.

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rapporto ai principi di eguaglianza e di non discriminazione, sono invece le differenze che si possono verificare rispetto agli immobili extra-UE, per i quali l’esclusione del criterio del valore catastale ed il solo riferimento al cri-terio del costo o a quello del valore di mercato potrebbero condurre a risul-tati sensibilmente diversi in termini di «valore» da assumere come base im-ponibile, ancorché non necessariamente penalizzanti gli investimenti esteri rispetto a quelli nazionali.

Un’altra differenza che potrebbe rivelarsi assai significativa in termini di entità dell’imposizione attiene poi al momento cui riferire la valutazione da assumere come base imponibile.

Ed invero, per quanto concerne l’IVAFE, il valore deve essere rilevato «al termine di ciascun anno solare» 58, ovvero, qualora le attività non siano più possedute alla data del 31 dicembre dell’anno, «al termine del periodo di detenzione» 59. Per quanto riguarda l’imposta di bollo, invece, «l’imposta è dovuta una volta l’anno o alla chiusura del rapporto», tuttavia, «se le co-municazioni sono inviate periodicamente nel corso dell’anno, l’imposta di bollo dovuta è rapportata al periodo rendicontato» ed in tal caso «si tiene conto del valore dei prodotti finanziari rilevato al termine del periodo ren-dicontato, come risultante dalle comunicazioni periodiche».

In entrambi i tributi, dunque, la base imponibile è rapportata ad un valo-re puntuale, rilevato in un determinato giorno dell’anno, un valore che, per-tanto, non è in grado di riflettere le fluttuazioni intervenute nel corso del pe-riodo rendicontato, né di tener conto delle operazioni di investimento e di-sinvestimento che normalmente si susseguono durante l’arco temporale considerato dal legislatore. Sicché, in entrambi i tributi, il prelievo viene pa-rametrato ad una grandezza che esprime in modo assai impreciso la ricchez-za del soggetto, ben potendo il valore di un determinato giorno essere in-fluenzato da situazioni contingenti e temporanee, che poco o nulla hanno a che vedere con la capacità contributiva del soggetto medesimo. È verosimi-le, comunque, che non trascurabili esigenze di semplificazione abbiano in-fluenzato la scelta del legislatore per l’assunzione di un valore puntuale, an-ziché di una media ponderata delle valutazioni operate quotidianamente o settimanalmente, specie per i titoli che formano oggetto di negoziazione nei mercati regolamentati.

Nondimeno, è chiaro che, con riferimento all’IVAFE, il valore preso a

58 Così ancora l’art. 19, comma 20, D.L. n. 201/2011. 59 Come precisa il Provvedimento n. 2012/72442 del Direttore dell’Agenzia.

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base per la tassazione è uno unico per tutto l’anno, cioè quello rilevato al termine dell’anno o al momento della dismissione (o dell’eventuale rimpa-trio) dell’investimento, mentre l’imposta di bollo può essere applicata più volte nel corso dell’anno, al termine di ogni periodo rendicontato, ed in tal caso ogni volta l’imposta viene rapportata al periodo rendicontato, vale a di-re alla durata di tale periodo rispetto ai 365 giorni di durata dell’anno civi-le 60. Ne consegue, allora, che, a parità di investimento, sia in termini quanti-tativi che qualitativi, la base imponibile dei due tributi potrà essere diversa – ed anzi, con tutta probabilità, sarà diversa – e, soprattutto, che l’entità delle imposte complessivamente dovute sarà diversa.

Analoghe osservazioni critiche possono essere svolte con riguardo alla tassazione degli immobili, atteso che, ai fini dell’IMU rileva il «valore» al 1° gennaio dell’anno di imposizione 61, mentre ai fini dell’IVIE rilevano, per gli immobili UE, il valore catastale «come determinato e rivalutato nel Paese in cui l’immobile è situato ai fini dell’assolvimento di imposte di natura pa-trimoniale» (valore che, dunque, potrebbe essere determinato ad una data diversa dal primo gennaio) e, per gli immobili extra-UE 62, il costo di acqui-sto ovvero, in mancanza, il valore di mercato (valore che, stando al Provve-dimento del Direttore dell’Agenzia del 5 giugno 2012, dovrebbe essere de-terminato «al termine», e non già all’inizio, di ciascun anno solare).

Ancora una volta, quindi, la localizzazione dell’investimento, ovvero il luogo in cui la ricchezza viene detenuta, rappresenta un fattore di discrimi-nazione che si riflette sull’ammontare dell’imposizione, senza che ad esso possa essere ragionevolmente attribuita una qualche rilevanza in termini di differenziale di capacità contributiva e senza che siano rilevabili altre ap-prezzabili e legittime motivazioni che in qualche misura giustifichino la di-versità di trattamento. Diversità che, si badi, contrariamente a quanto rileva-to in precedenza, non è necessariamente detto che penalizzino gli investi-menti all’estero rispetto a quelli detenuti in Italia, atteso che il livello di tas-sazione interno potrebbe risultare superiore, sempre a causa delle differenze del meccanismo di calcolo, rispetto a quello estero, risolvendosi quindi in una discriminazione che, ancorché irragionevole in rapporto al principio di capacità contributiva, in tale eventualità non rappresenterebbe un ostacolo

60 Cfr. art. 3, D.M. 24 maggio 2012. 61 Sia esso il valore catastale, il reddito dominicale o il valore venale in comune com-

mercio. 62 Ma anche per gli immobili UE in mancanza di un valore catastale.

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alla libera circolazione dei capitali ed al diritto di stabilimento. Ed invero, essendo la maggior tassazione degli investimenti esteri meramente eventua-le, non mi pare si possa dire che la disposizione normativa sia preordinata, in termini generali ed astratti, a creare una penalizzazione degli investimenti esteri rispetto a quelli nazionali. Dall’altro lato, laddove la tassazione degli investimenti interni risultasse superiore a quella degli investimenti all’este-ro, il contribuente italiano non potrebbe lamentare una lesione della libertà di allocare i propri investimenti in altri Paesi; né di alcuna discriminazione potrebbe dolersi il contribuente estero rispetto alla normativa italiana, es-sendo esso assoggettato alla potestà impositiva dello stato italiano solo nel caso in cui detenga investimenti nel nostro Paese, e, oltretutto, alle stesse condizioni dei contribuenti nazionali.

8. Valutazione delle differenze esistenti sotto il profilo soggettivo

Da ultimo, alcune annotazioni meritano di essere fatte con riferimento al profilo soggettivo dell’IVAFE e dell’IVIE, da un lato, ed alle divergenze che pure si riscontrano rispetto all’imposta di bollo ed all’IMU, dall’altro.

Iniziamo col dire che i commi 13 e 18 dell’art. 19 del D.L. n. 201 indivi-duano i soggetti passivi delle imposte sui patrimoni esteri nelle «persone fisiche residenti nel territorio dello Stato», prevedendo per esse un criterio di tassazione world wide quanto alle attività finanziarie e immobiliari ovun-que detenute nel (resto del) mondo, cui si accompagna un meccanismo di credito d’imposta per la sterilizzazione della doppia imposizione a fronte delle eventuali imposte patrimoniali assolte all’estero 63.

63 In particolare, tale meccanismo – previsto dai commi 16 e 21 dell’art. 19 – consiste nella “deduzione” (recte: detrazione) dell’imposta assolta all’estero – allorché anche questa (al pari dell’IVAFE e dell’IVIE) abbia una connotazione di imposta patrimoniale – fino a concorrenza dell’imposta dovuta in Italia: di conseguenza, l’eventuale doppia imposizione viene eliminata attraverso la rinuncia unilaterale dello Stato italiano alla tassazione, rinun-cia che tuttavia non giunge fino ad annullare il plus dell’imposizione eventualmente subita all’estero rispetto a quella dovuta in Italia, nel caso in cui le aliquote estere siano maggiori di quella italiana. Il che mi sembra tutto sommato ragionevole (oltre che in linea con quanto previsto nelle convenzioni contro le doppie imposizioni, recanti una clausola ana-loga a quella di cui all’art. 23.B del Modello OCSE), giacché l’eventuale maggiore imposi-zione rispetto a quella italiana dipende dalle decisioni fiscali dello Stato nel quale il contri-buente, volontariamente, ha deciso di localizzare i suoi investimenti finanziari e non mi pare sia ravvisabile un principio – né di rango costituzionale, né di diritto internazionale –

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Come detto, dunque, anche la ricchezza investita all’estero viene assunta quale indice dell’attitudine del soggetto a contribuire alla spesa pubblica na-zionale, secondo lo schema già adottato nell’ambito dell’imposizione reddi-tuale: anche nel contesto dell’IVAFE e dell’IVIE, infatti, il criterio di colle-gamento soggettivo viene individuato nella residenza del soggetto passivo, alla quale il legislatore attribuisce una particolare rilevanza segnaletica circa il legame di appartenenza del soggetto alla comunità organizzata ai cui biso-gni esso è chiamato a contribuire 64. Al contrario, per i soggetti privi di tale che imponga ad uno Stato di farsi carico di eliminare le divergenze di imposizione che si verificano in ragione dei livelli di imposizione dei diversi Paesi, conguagliando ai propri contribuenti le maggiori imposte da questi assolte all’estero, oltre a quanto necessario per evitare la duplicazione d’imposta (il profilo è evidenziato, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle sentenze Gilly e Schempp, anche da LAROMA JEZZI, Integrazio-ne negativa e fiscalità diretta. L’impatto delle libertà fondamentali sui sistemi tributari del-l’unione europea, cit., p. 56-60; sulla giustificazione rispetto ai principi costituzionali del credito per le imposte estere v. GAFFURI, La tassazione dei redditi d’impresa prodotti al-l’estero, cit., p. 383 s.). In ciò, comunque, si realizza una diversità rispetto al meccanismo previsto in materia di imposizione sui redditi dall’art. 165 del TUIR, il quale contempla una possibilità di recuperare anche le maggiori imposte assolte all’estero (rispetto, però, non già all’imposta nazionale tout court, bensì alla quota di imposta nazionale parametrata al rapporto tra reddito estero e reddito complessivo) attraverso la compensazione delle stesse con le eventuali eccedenze di imposta nazionale (rispetto all’imposta estera) realiz-zate negli otto anni precedenti e di quelle che si dovessero realizzare negli otto anni suc-cessivi. Inoltre, il comma 16 dell’art. 19 stabilisce che per gli immobili situati in Paesi ap-partenenti alla Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo che ga-rantiscono un adeguato scambio di informazioni, si scomputano dall’IVIE, oltre alle impo-ste di natura patrimoniale assolte sull’immobile all’estero, anche eventuali imposte di natu-ra reddituale gravanti sullo stesso immobile, non già detratte ai sensi dell’art. 165, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917: si realizza, così, la possibilità di un recupero, o di un’accelerazio-ne nel recupero, delle eccedenze di imposte reddituali estere (gravanti sull’immobile), possibilità che tuttavia non si estende agli immobili situati in Paesi extraeuropei e che dunque si risolve in una disparità di trattamento difficile da giustificare allorché si tratti di Paesi con i quali siano in vigore convenzioni contro le doppie imposizioni che assicurano lo scambio di informazioni (sul punto v. anche SALANITRO, Prime riflessioni sull’imposta sul valore degli immobili situati all’estero, cit., p. 76).

64 Rileva in proposito CORDEIRO GUERRA, Capacità contributiva e imposizione ultraterri-toriale, in CORDEIRO GUERRA, Diritto tributario internazionale. Istituzioni, cit., pp. 96-97, che «la tassazione dell’intera ricchezza riferibile al soggetto, indipendentemente dal luogo di produzione della stessa, non può che avvenire in ragione del fatto che la completa inte-grazione della persona nella comunità consente di attribuire rilevanza a vicende economi-che che pur verificandosi fuori dei confini nazionali possono essere riguardati come tasselli della sua complessiva capacità contributiva. All’opposto, nei confronti di un soggetto in contatto con la collettività solo relativamente a specifici episodi sintomatici di idoneità alla contribuzione, ma non di un legame preferenziale e assorbente individuo-comunità, non

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legame, nessuna pretesa può essere avanzata con riferimento agli investi-menti detenuti in Paesi diversi dall’Italia e la tassazione è limitata agli im-mobili situati in Italia e alle attività finanziarie localizzate nel nostro Paese, o, meglio, a quelle attività che formano oggetto di un rapporto contrattuale con un «ente gestore», alle quali si applica l’imposta di bollo sulle relative comunicazioni. Per tale ultimo tributo, infatti, si prescinde da qualsiasi re-quisito soggettivo in capo al soggetto passivo, essendo l’imposizione aggan-ciata al mero dato reale rappresentato dal rapporto contrattuale con un en-te, il quale, a sua volta, è identificato dall’art. 1, lett. a), D.M. 24 maggio 2012, in ragione dell’esercizio «sul territorio della Repubblica» dell’attività bancaria, finanziaria o assicurativa.

Senonché, diversamente da quanto accade per le imposte sui redditi, il legislatore non si è premurato di precisare il fondamentale concetto della residenza, il quale, come noto, trova nel nostro ordinamento giuridico più di una definizione: così, nel codice civile, la residenza è individuata nel luo-go in cui la persona ha la dimora abituale; mentre, ai fini dell’IRPEF, il con-cetto è integrato allorquando si realizzi nel territorio dello Stato almeno una delle situazioni rappresentate dall’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, dal domicilio o dalla residenza così come definiti dal codice civile, e a patto che ciò si verifichi per la maggior parte del periodo d’imposta.

Ora, pur di fronte all’approssimazione del dato normativo, mi sembra che vi siano elementi interpretativi che inducono a propendere per l’appli- troverebbe fondamento la chiamata a concorrere con tutte le proprie risorse alle spese pubbliche di quel gruppo sociale». In senso conforme v. le interessanti argomentazioni sviluppate da GAFFURI, La tassazione dei redditi d’impresa prodotti all’estero, cit., p. 316 s.; e da SALANITRO, Prime riflessioni sull’imposta sul valore degli immobili situati all’estero, cit., pp. 85-88. Nondimeno, come ho già avuto occasione di segnalare (v. VIOTTO, Il regime tribu-tario della plusvalenza da partecipazioni, Torino, 2013, pp. 131-133), il criterio di tassazio-ne oggettivo della fonte è anch’esso idoneo ad esprimere un collegamento stabile tra la ric-chezza prodotta e le spese pubbliche da finanziare, un collegamento – da apprezzare non tanto in termini di beneficio, e dunque in una prospettiva di scambio tra imposte pagate e utilità ricevute (prospettiva che è avulsa dal nostro art. 53 Cost.), quanto come parametro di misurazione della partecipazione ad una determinata collettività a prescindere dalla re-sidenza – con il contesto economico e sociale di un altro Stato e con le spese pubbliche di quello Stato che, da un lato, può giustificare un obbligo di contribuzione in quello Stato e, dall’altro lato, può rendere ragione (quanto meno sul piano politico) di una attenuazione ovvero sterilizzazione dell’imposizione in Italia (limitatamente, beninteso, alla ricchezza prodotta all’estero), Paese nel quale le relazioni economiche e sociali sono sì più rilevanti in termini generali (tant’è che il soggetto è quivi fiscalmente residente), ma non rispetto alla specifica attività da cui scaturisce quella specifica ricchezza.

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cazione della definizione contenuta nell’art. 2 del TUIR 65: da un lato, infatti, mi pare non possano essere trascurate esigenze di omogeneità all’interno dell’ordinamento fiscale; dall’altro lato, possono essere valorizzati quegli elementi normativi che denotano una certa “vicinanza” dell’IVAFE e del-l’IVIE rispetto all’IRPEF, i quali risiedono nella previsione normativa dei commi 17 e 22 dell’art. 19, a mente dei quali i profili applicativi, procedi-mentali, sanzionatori ed il contenzioso sono mutuati dall’imposta sul reddi-to delle persone fisiche. D’altro canto, è vero che l’art. 2, comma 2, del TUIR circoscrive la nozione di residenza in esso contenuta «ai fini delle imposte sui redditi», ma è altrettanto vero che, sempre dal punto di vista testuale, detta disposizione non esclude che la definizione possa essere ap-plicata anche ad altri tributi, giacché il legislatore non utilizza la locuzione «ai soli fini …».

Tutto sommato, dunque, è ragionevole ritenere che anche ai fini del-l’IVAFE e dell’IVIE valga la nozione di residenza prescritta ai fini dell’IRPEF, con il corollario che dovrebbero trovare applicazione anche le regole con-venzionali previste per risolvere i casi di doppia residenza, sia quelle conte-nute nelle convenzioni concernenti le imposte patrimoniali, sia quelle con-tenute nei trattati relativi alle sole imposte sui redditi.

Ciò detto, però, il profilo soggettivo che preme qui mettere più in evi-denza è un altro e attiene alla circostanza che l’ambito di applicazione del-l’IVAFE e dell’IVIE è limitato alle «persone fisiche» (residenti), mentre l’IMU è dovuta sia dalle persone fisiche, sia dalle società, e l’imposta di bollo colpisce «qualsiasi soggetto» che sia «persona fisica o giuridica» (residen-te o non residente), in considerazione del fatto che l’art. 1, D.M. 24 maggio 2012 66 individua il concetto di «cliente» rinviando alla definizione conte-nuta nel Provvedimento del Governatore della Banca d’Italia del 9 febbraio 2011, il quale, a sua volta, fa riferimento a «qualsiasi soggetto, persona fisica o giuridica, che ha in essere un rapporto contrattuale o che intenda entrare in relazione con l’intermediario».

L’IVAFE e l’IVIE riguardano, pertanto, una platea molto più ristretta di contribuenti, il che già di per sé non sembra molto ragionevole se si condi-vide l’assunto che tali imposte mirano a colpire la medesima ricchezza che

65 In senso contrario v. SALANITRO, Prime riflessioni sull’imposta sul valore degli immobili situati all’estero, cit., pp. 59-62, il quale sembra preferire l’applicazione delle norme dettate dal codice civile in tema di residenza e di domicilio.

66 Emesso in attuazione dell’art. 19, D.L. n. 201/2011.

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viene tassata con l’imposta di bollo, rappresentata dal patrimonio rispetti-vamente investito in attività finanziarie e in immobili.

A ben vedere, infatti, la suddetta asimmetria sfocia in disparità di tratta-mento sotto il profilo soggettivo difficili da giustificare rispetto ai parametri degli artt. 3 e 53 Cost.: da un primo punto di vista, infatti, si verificano di-versità di imposizione nei confronti del medesimo soggetto, diverso dalla persona fisica, a seconda che esso investa in attività finanziarie o in immobili localizzati all’estero ovvero nelle stesse attività finanziarie, ma detenute at-traverso un rapporto contrattuale con un intermediario residente, o in im-mobili situati in Italia, giacché, nel primo caso, esso non sconterà alcuna tas-sazione, mentre nel secondo caso dovrà corrispondere l’imposta di bollo 67 o l’IMU, pur non essendo ravvisabili ragioni che consentano di ritenere che lo stesso investimento, solo perché detenuto tramite un intermediario residen-te o solo perché situato in Italia, denoti una capacità contributiva maggiore, ovvero che consentano comunque di giustificare la differenza di tassazione. Da un secondo punto di vista, poi, si verificano diversità di trattamento tra soggetti diversi – persone fisiche, da un lato; altri soggetti, dall’altro – a pari-tà di investimenti detenuti all’estero, giacché in un caso è dovuta l’IVAFE o l’IVIE, mentre negli altri casi non lo è, anche se la ricchezza investita all’este-ro è la medesima, sicché la medesima dovrebbe essere la capacità contribu-tiva denotata dai due soggetti 68. Vero è che, forse, in questo caso, nella scel-ta del legislatore hanno pesato considerazioni di carattere economico (più che giuridico) legate al timore di dar vita a duplicazioni d’imposta in capo alle persone fisiche che possiedano partecipazioni o altri strumenti finanzia-ri che formino oggetto di un rapporto contrattuale con un ente gestore e, nel contempo, la società o l’ente partecipato detengano attività finanziarie o immobili all’estero: in tal caso, infatti, il patrimonio investito all’estero sa-rebbe stato tassato una prima volta con l’IVAFE o con l’IVIE e avrebbe ri-schiato di essere tassato una seconda volta, sia pure indirettamente, con

67 Sia pure nel limite massimo di 4.500 euro, per il 2013, e di 14.000 euro, a decor-rere dal 2014, giusta quanto dispone ora la nota 3-ter all’art. 13, comma 12 bis della Tariffa allegata al D.P.R. n. 642/1972, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 509, L. 24 dicembre 2012, n. 228, e dall’art. 1, comma 581, L. 27 dicembre 2013, n. 147.

68 Ovviamente se si condivide la tesi che riconosce nelle persone giuridiche dei soggetti idonei a manifestare un’autonoma capacità contributiva rispetto a quella delle persone fi-siche che ne sono socie.

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l’imposta di bollo, concorrendo lo stesso a determinare il valore di mercato su cui può essere applicato tale prelievo 69.

Ora, è chiaro che simile preoccupazione rappresenta un tema assai rile-vante nella dogmatica dell’imposizione patrimoniale, al pari di quanto si ve-rifica nel comparto dell’imposizione reddituale nel rapporto tra tassazione del reddito della società di capitali e tassazione dei dividendi percepiti dai soci 70, un tema che fuoriesce dai limiti del presente lavoro e che, da un lato, coinvolge e implica valutazioni e approfondimenti sull’idoneità degli enti societari ad assumere la qualifica di soggetti passivi dell’imposta patrimonia-le e ad essere titolari di una capacità contributiva che possa essere incisa dal tributo, e, dall’altro lato, richiede che vengano individuate soluzioni age-volmente praticabili da parte di una platea piuttosto ampia di soggetti quale quella dei risparmiatori o delle persone che comunque detengono parteci-pazioni societarie.

Ciò detto, tuttavia, la scelta operata dal legislatore di non tassare gli inve-stimenti detenuti all’estero dalle società di capitali e di concentrare la tassa-zione sulle persone fisiche, sia per gli investimenti esteri sia per quelli dete-nuti in Italia nell’ambito di rapporti contrattuali con enti gestori, non sem-bra rispondere adeguatamente alle istanze sopra evidenziate, in quanto con-duce ad evitare del tutto l’imposizione in capo alle società (per gli investi-menti esteri da queste effettuati) anche nei casi in cui le relative partecipa-zioni, possedute da persone fisiche, non sono assoggettate ad imposizione patrimoniale (perché non detenute nell’ambito di un rapporto contrattuale con un ente gestore), sicché si verificano dei palesi salti d’imposta 71. Inoltre, la scelta operata dal legislatore non risulta nemmeno efficace per evitare la doppia tassazione, giacché, allorquando gli investimenti finanziari delle so-cietà di capitali sono detenuti in Italia nell’ambito di rapporti contrattuali con enti gestori operanti nel nostro territorio, e i soci delle medesime socie-tà detengano nello stesso modo le relative partecipazioni, l’imposta di bollo viene applicata sia sulle comunicazioni rese alla società investitrice, sia sulle comunicazioni inviate al relativo socio, con la conseguenza che gli investi-

69 Ricordo in proposito che ai sensi dell’art. 13, comma 2 ter, della Tariffa, l’imposta di bollo si applica, per ogni esemplare di comunicazione, «sul complessivo valore di mercato o, in mancanza, sul valore nominale o di rimborso».

70 Su cui mi permetto qui di rinviare, anche per gli approfondimenti ed i riferimenti bi-bliografici al mio Il regime tributario delle plusvalenze da partecipazioni, cit., p. 86 s.

71 È dunque sufficiente possedere immobili o attività finanziarie all’estero per il tramite di una società residente in Italia per evitare l’IVAFE e l’IVIE.

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menti effettuati dalla prima possono essere tassati sia in capo alla società, sia in capo al socio, allorquando concorrono alla formazione del valore di mer-cato della partecipazione 72.

9. Considerazioni conclusive

Volendo trarre ora le conclusioni dell’analisi sin qui effettuata, mi sembra che la scelta operata dal legislatore di introdurre un’imposta patrimoniale sulle attività finanziarie detenute all’estero e sugli immobili esteri manifesti dei profili di criticità che ne consiglierebbero una più attenta revisione.

Diverse sono, infatti, le questioni che restano irrisolte, nonostante i rima-neggiamenti introdotti negli ultimi anni, e che sollevano importanti dubbi di compatibilità delle due imposte rispetto ai principi comunitari di non di-scriminazione, di libertà di circolazione dei capitali e di libertà di stabilimen-to, nonché rispetto ai principi costituzionali di eguaglianza e di capacità contributiva, a motivo della scarsa ragionevolezza di alcune previsioni nor-mative.

Più in generale, poi, mi sembra difetti, nelle scelte del legislatore, una suf-ficiente coerenza quanto alla collocazione sistematica dei prelievi rispetto agli altri tributi che sono stati introdotti per colpire la ricchezza investita in Italia, sia con riferimento all’IMU, sia rispetto all’imposta di bollo sulle co-municazioni degli intermediari finanziari, la quale, pur essendo strutturata come un prelievo sulle comunicazioni, in realtà rappresenta una forma di imposizione patrimoniale rispetto alla quale l’IVAFE non può non essere coordinata, e che lo stesso legislatore ha in più occasioni dimostrato di voler coordinare.

Sullo sfondo rimane, infine, il problema della tassazione del patrimonio, il quale richiederebbe scelte più radicali, o nel senso dell’esclusione dall’im-posizione o, all’opposto, nel senso di una tassazione generalizzata di tutte le ricchezze possedute, la quale, tuttavia, non potrebbe non essere coordinata con una revisione dell’imposizione reddituale, oltre che di quella indiretta, e non potrebbe non tener conto delle passività e dei debiti del contribuente.

72 Lo stesso dicasi per il caso in cui la società di capitali detenga investimenti in immo-bili situati in Italia e le relative partecipazioni siano detenute in Italia nell’ambito di rappor-ti contrattuali con enti gestori operanti nel nostro territorio.

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Quello che, invero, emerge dall’esperienza dell’IVAFE, dell’IVIE e degli altri tributi di matrice patrimoniale, mi pare si possa sintetizzare nella consi-derazione che la scelta per la parcellizzazione dell’imposizione, per la fran-tumazione della ricchezza ai fini impositivi e per la concentrazione della tas-sazione solo su alcune forme di investimento (gli immobili, le attività finan-ziarie e alcuni beni di lusso), sia pure attraverso mascheramenti normativi 73, sia una scelta che non conduce a risultati appaganti, né sul piano della coe-renza sistematica, né sul piano dell’equità, della giustizia fiscale e della redi-stribuzione della ricchezza tra i membri della collettività.

73 Che rendono meno evidente la natura patrimoniale dei singoli prelievi e che potreb-bero consentire – a chi volesse fermarsi all’aspetto formale – di ravvisare elementi per ten-tare giustificare talune delle incoerenze che ho evidenziato nel corso del presente lavoro.

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GIURISPRUDENZA

SOMMARIO:

Cass., sez. un., 14 aprile 2016, n. 7371 – Pres. Cicala, Rel. Greco; Cass., sez. un., 10 maggio 2016, n. 9451 – Pres. Cicala, Rel. Greco, con nota di Giovanni Consolo, IRAP e autonoma organizzazione: esercizio associato di attività professionali e impiego di dipendenti esecutivi nella giurisprudenza delle Sezioni Unite (Regional business tax (IRAP) and autonomous organization: professional activities carried out in an associated form and the hiring of em-ployees with executive functions in the case law of the Italian Supreme Court)

Commissione Tributaria Regionale di Venezia-Mestre, Sez. I, 19 maggio 2015, n. 874/1/15 – Pres. Tamborra, Rel. Rindone, con nota di Edoardo Carlo Leoni, Il monitoraggio fiscale dei finanziamenti esteri infruttiferi (The “tax monitoring” discipline of foreign non-interest bearing loans)

Cass., sez. V, 16 marzo 2016, n. 5139 – Pres. Bielli, Rel. Cirillo, con nota di Da-miano Peruzza, Fermo amministrativo: confermata la “teoria dei cerchi concentrici” (Administrative hold: the Italian Supreme Court confirms the “concentric circles theory”)

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GIURISPRUDENZA RTDT – n. 2/2012

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Cass., sez. un., 14 aprile 2016, n. 7371 – Pres. Cicala, Rel. Greco, P.M. (conf.) Apice

Tributi locali – Irap – Presupposto – Autonoma organizzazione – Attività pro-fessionale in forma associata – Fattispecie – Società semplice – Sussistenza in ogni caso del presupposto

In tema di Irap, l’attività esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti pas-sivi dell’imposta, integra ex lege e in ogni caso il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione; ai fini dell’applicazione dell’imposta in esame è, perciò, esclusa la ne-cessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza di detto presupposto impositivo.

(Omissis)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, con due motivi, nei con-fronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna che, accogliendone solo parzialmente l’appello, ha riconosciuto il diritto della società sem-plice (omissis), svolgente attività di amministratore condominiale, al rimborso dell’imposta regionale sulle attività produttive versata per gli anni dal 1998 al 2002, e non anche per il 2003, il cui importo di euro 609 era stato portato in compensazione l’anno successivo.

Il giudice d’appello, infatti, premesso che l’art. 2 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, stabilisce al primo periodo che “presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni, ovvero alla prestazione di servizi”, e rilevato che ai sensi del secondo periodo “l’attività esercitata dalle società e dagli enti è da considerare in ogni caso presupposto d’im-posta”, ha ritenuto che nella specie “la sussistenza delle circostanze che legittimano l’applicazione del tributo deve essere riscontrata attraverso un’analisi economica e qualitativa dell’attività esercitata, potendo esistere attività autonome svolte in assenza di organizzazione di capitali e lavoro altrui, che a parere di questa Commissione sussi-ste in questo caso, in quanto il contribuente ha sufficientemente provato e documen-tato nel ricorso introduttivo tale assenza, avendo esercitato la propria attività autono-ma in via quasi esclusivamente personale, senza l’ausilio di personale dipendente e/o di ingenti cespiti”, sicché “manca il presupposto impositivo previsto dall’art. 2 del d.lgs. 446/97”.

La società contribuente resiste con controricorso.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 744

Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., l’amministrazione ricorrente censura la decisione per aver ravvisato l’insussistenza dell’autonoma orga-nizzazione in presenza di un’attività svolta in forma associata/societaria, come am-messo dalla stessa contribuente, laddove non solo l’attività svolta in forma associata rientrerebbe nella fattispecie impositiva, ma in ogni caso la struttura tipica degli studi associati renderebbe evidente l’esistenza di un’organizzazione di mezzi e persone volta al raggiungimento di uno scopo, e quindi la piena assoggettabilità alla norma; con il secondo motivo, formulato in via subordinata, denuncia l’insufficiente e contradditto-ria motivazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., per avere la sentenza impugna-ta omesso di considerare, e non aver motivato la ragione di tale omissione, il fatto de-cisivo che la contribuente svolgesse attività in forma societaria/associata.

Fissato per la discussione, a seguito di ordinanza interlocutoria della sesta sezione civile, nell’articolazione della quinta sezione – tributaria (ord. 3870/2015), il ricorso è stato rimesso a queste Sezioni unite per l’esame di questione di massima di particolare importanza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Viene rimessa alle Sezioni unite di questa Corte la questione “se, in applicazione del combinato disposto degli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 446 del 1997, debba essere sotto-posto ad IRAP il “valore aggiunto prodotto nel territorio regionale” da attività di tipo professionale espletate nella veste giuridica societaria, ed in particolare di società sem-plice, anche quando il giudice valuti non sussistente una “autonoma organizzazione” dei fattori produttivi”.

Osserva il Collegio che il d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, istitutivo dell’imposta regionale sulle attività produttive, stabilisce all’art. 2, primo periodo, che presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.

A tenore del secondo periodo dell’art. 2 “costituisce in ogni caso presupposto d’imposta l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le ammini-strazioni dello Stato”.

Il requisito della autonoma organizzazione dell’attività non è quindi richiesto in re-lazione all’attività delle società e degli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, in quanto l’attività esercitata da tali soggetti, a mente del secondo periodo dello stesso art. 2, costituisce in ogni caso presupposto d’imposta.

Il successivo art. 3, rendendo esplicito il catalogo dei soggetti passivi dell’imposta – che “sono coloro che esercitano una o più delle attività di cui all’art. 2” –, in particolare individua espressamente, alla lett. c) del comma l, le società semplici esercenti arti e professioni e quelle ad esse equiparate a norma (“ai fini delle imposte sui redditi…”) dell’art. 5, comma 3, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, vale a dire “le associazioni

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Cass., sez. un., 14 aprile 2016, n. 7371 745

senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma asso-ciata di arti e professioni” di cui al successivo art. 49 (Redditi di lavoro autonomo), nella vecchia numerazione, dello stesso d.P.R. n. 917 del 1996.

In questo senso la sezione tributaria si è espressa con Cass. n. 16784 del 2010, in relazione all’esercizio in forma associata della professione di dottore commercialista, individuando la ratio della previsione in esame nel fatto che “l’attività esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costitui-sce pertanto ex lege presupposto d’imposta”; con Cass. n. 25313 del 2014, in relazione all’esercizio in forma associata della professione forense; con Cass. n. 25315 del 2014, che chiaramente afferma che l’esercizio in forma associata, per il tramite di una società in nome collettivo, dell’attività di agente di commercio “esclude la necessità di accerta-re la sussistenza di un’autonoma organizzazione”.

Ad analoghe conclusioni giungeva la sezione con il più risalente orientamento rap-presentato da Cass. n. 13570 del 2007, n. 17136 del 2008, n. 24058 del 2009 e n. 1575 del 2014 che, pur a fronte della drastica formula impiegata dal legislatore – “… costi-tuisce in ogni caso presupposto d’imposta” –, tuttavia è andata pronunciandosi nel senso che l’esercizio in forma associata di una professione liberale era “circostanza di per sé idonea a far presumere l’esistenza di una autonoma organizzazione di struttura e mezzi ...”. Un siffatto indirizzo non sembra dare adeguato rilievo al fatto che la “prova contraria” può avere qui ad oggetto non l’insussistenza dell’autonoma organizzazione nell’esercizio in forma associata dell’attività, ma piuttosto l’insussistenza dell’esercizio in forma associata dell’attività stessa.

Dall’accertamento in concreto dell’autonoma organizzazione non si è ritenuta di-spensata Cass. n. 21326 del 2013 – richiamata nell’ordinanza interlocutoria –, che, pur consapevole che “solo l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta, in base alla seconda parte” del detto art. 2, ha nondimeno ritenuto applicabile l’imposta a numerosi tassisti “organizzati in società cooperativa, in ragione delle specifiche moda-lità di esercizio dell’attività, integrata dall’apporto qualificante della predetta stabile struttura societaria, che assicura al singolo tassista, in via tipica e costante, continuità di lavoro, migliori condizioni economico-professionali, centralizzazione della raccolta pubblicitaria, assistenza amministrativa e fiscale”: ma ciò, sembra di capire, in ragione della formulazione dei motivi del ricorso, uno dei quali “non aveva dato conto della descritta sussistenza, in capo ai tassisti, di una posizione contrattuale ed organizzativa collegata in modo essenziale – già ai fini di censirne l’intrinseca modalità di effettua-zione – con i plurimi servizi della cooperativa di cui essi sono soci, dunque in una fun-zione collaborativa ben censita come contributo determinante per la produzione glo-bale lorda del reddito dei contribuenti”.

Alla luce delle considerazioni che precedono, può affermarsi pertanto il seguente principio di diritto:

“presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive è l’esercizio abituale di

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 746

un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio ovvero alla prestazione di servizi; ma quando l’attività è esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell’imposta a norma dell’art. 3 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 – comprese quindi le società semplici e le associazioni senza personalità giuridi-ca costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni – essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d’imposta, doven-dosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione”.

La decisione impugnata si pone in contrasto il principio di diritto enunciato. Il primo motivo del ricorso deve essere perciò accolto, assorbito l’esame del se-

condo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ul-teriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ri-corso introduttivo della contribuente.

La non univocità dei precedenti giurisprudenziali sul punto giustifica la compensa-zione delle spese dell’intero giudizio.

(Omissis)

* * *

Cass., sez. un., 10 maggio 2016, n. 9451 – Pres. Cicala, Rel. Greco, P.M. (conf.) Apice

Tributi locali – Irap – Presupposto – Autonoma organizzazione – Impiego di personale dipendente – Fattispecie – Segretario – Insussistenza del presupposto

In tema di Irap, l’impiego da parte di un avvocato di un lavoratore dipendente con mansioni di segretario non è idoneo a integrare l’esistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione; il suddetto presupposto impositivo ricorre quando il contribuente si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.

(Omissis) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con un motivo, illustrato con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che, rigettandone l’appello, ha riconosciuto a (omissis), av-vocato, il diritto al rimborso dell’IRAP versata per gli anni dal 2000 al 2004.

Il giudice d’appello, rilevato che nello svolgimento dell’attività professionale il con-

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Cass., sez. un., 10 maggio 2016, n. 9451 747

tribuente si avvaleva “solo di un lavoratore dipendente con mansioni di segretario e di beni strumentali minimi”, ha ritenuto che “la presenza minimale di strumenti e di col-laborazione non costituiva autonoma organizzazione” ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 446.

(Omissis) resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria. Con l’unico motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione degli artt. 2, co-

ma 1, e 3, lettera c), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 447”, l’amministrazione ricorrente critica la sentenza impugnata perché, pur avendo riconosciuto la presenza di un di-pendente e di beni strumentali ha escluso il requisito dell’autonoma organizzazione ai fini dell’IRAP, laddove, secondo le disposizioni in rubrica, tale requisito ricorrerebbe allorché il contribuente sia, sotto qualsiasi forma il responsabile dell’organizzazione e si avvalga del lavoro anche di un solo dipendente”.

Il contribuente resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria. Fissato per la discussione, a seguito di ordinanza interlocutoria della sezione tribu-

taria (ord. 5040/15), il ricorso è stato rimesso a queste Sezioni unite per l’esame di questione di massima di particolare importanza. (Omissis).

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con l’ordinanza del gennaio 2015 la sezione tributaria ha ravvisato nella giuri-sprudenza della Corte di cassazione, con riguardo al presupposto dell’imposta regio-nale sulle attività produttive, fissato dall’art. 2 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, e segnatamente al concetto di “autonoma organizzazione”, un contrasto fra un orienta-mento più radicato – di cui costituisce espressione Cass. n. 3676 del 2007 –, secondo cui la presenza anche di un solo dipendente, anche se part time ovvero addetto a man-sioni generiche, determinerebbe di per sé l’assoggettamento all’imposta, ed un orien-tamento più recente, secondo cui sarebbe invece necessario accertare in punto di fatto l’attitudine del lavoro svolto dal dipendente a potenziare l’attività produttiva al fine di verificare la ricorrenza del presupposto stesso.

Osserva il Collegio che la sentenza n. 3676 del 2007, menzionata come significati-va dell’indirizzo più risalente, e decisamente maggioritario, rappresenta, con alcune pronunce coeve, il punto di approdo di una prima fase dell’elaborazione giurispruden-ziale di questa Corte sull’IRAP, incentrata sul presupposto dell’imposta, regolato dagli artt. 2 e l del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, istitutivo del tributo, mentre la seconda fase è stata piuttosto caratterizzata dalla definizione dei contorni della platea dei sog-getti passivi.

2. – Con la sentenza 16 febbraio 2007, n. 3676, dunque, la sezione tributaria aveva in primo luogo posto in luce che il d.lgs. n. 446 del 1997 aveva stabilito all’art. 2 che il presupposto del tributo è costituito dall’esercizio di un’attività “autonomamente or-ganizzata” (così dopo la novella recata dal d.lgs. 10 aprile 1998, n. 137) diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi, ribadendo al successivo art. 3 che i sogget-

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 748

ti passivi dell’IRAP sono quelli che svolgono una delle attività di cui all’art. 2 e, “per-tanto”, anche le persone fisiche e le società semplici (od equiparate) che esercitano un’arte o una professione ai sensi dell’art. 49, comma 1 (nella vecchia numerazione) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che, come chiarito dalla lettera a) del comma 2 all’epoca vigente, ricomprendeva nella categoria tutti coloro che, per professione abi-tuale, svolgevano un’attività di lavoro autonomo non classificabile come impresa o co-me collaborazione coordinata o continuativa e, cioè, come prestazione di servizi senza impiego di organizzazione propria.

Aveva quindi rilevato come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 156 del 2001 avesse puntualizzato che l’IRAP non operava nessuna indebita equiparazione dei red-diti di lavoro autonomo a quelli d’impresa, essendo un’imposta volta ad incidere su di un fatto economico diversa dal reddito, ossia sul valore aggiunto prodotto dalle singo-le unità organizzative, che ove sussistente, costituiva un indice di capacità contributiva capace di giustificare l’imposizione sia nei confronti delle imprese che dei lavoratori autonomi: ciò non voleva certamente dire che questi ultimi rientravano sempre tra i soggetti passivi dell’imposta perché se quello organizzativo costituiva un elemento connaturato alla nozione stessa d’impresa, non altrettanto poteva dirsi per le arti e le professioni, riguardo alle quali non era impossibile escludere in assoluto che l’attività potesse essere svolta anche in assenza di un’organizzazione di capitali e/o lavoro al-trui. Ma la ipotizzabilità di un’evenienza del genere, il cui accertamento costituiva una questione di mero fatto, non valeva a dimostrare la denunciata illegittimità dell’IRAP, ma soltanto la sua inapplicabilità per quei lavoratori autonomi che non si fossero gio-vati di alcun supporto organizzativo. In tal modo, la Corte costituzionale “aveva in de-finitiva affermato che l’IRAP può ed, anzi, deve essere applicata pure ai lavoratori au-tonomi, tenendo però presente che non si tratta di una regola assoluta, ma solo del-l’ipotesi ordinaria, nel senso che l’assoggettamento all’imposta costituisce la norma per ogni tipo di professionista, mentre l’esenzione rappresenta l’eccezione valevole soltanto per quelli privi di qualunque apparato produttivo. Vero è che l’interpreta-zione che di una norma sottoposta a scrutinio di costituzionalità offre la Corte costitu-zionale in una sentenza di non fondatezza non costituisce un vincolo per il giudice chiamato successivamente ad applicarla, ma è altrettanto vero che quella interpreta-zione, se non altro per l’autorevolezza della fonte da cui proviene, rappresenta un fon-damentale contributo ermeneutico che non può essere disconosciuto senza l’esistenza di una valida ragione”.

Secondo la sezione tributaria, “l’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, richiede unicamen-te la presenza di un’organizzazione autonoma senza fissare alcun limite quantitativo diverso da quello insito nel concetto stesso evocato dalle parole usate che, a loro volta, postulano soltanto l’esistenza di uno o più elementi suscettibili di combinarsi con il lavoro dell’interessato, potenziandone le possibilità. Non occorre, quindi, che si tratti di una struttura d’importanza prevalente rispetto al lavoro del titolare o addirittura in grado di generare profitti anche senza di lui, ma è sufficiente che vi sia un insieme tale

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Cass., sez. un., 10 maggio 2016, n. 9451 749

da porre il professionista in una condizione più favorevole di quella in cui si sarebbe trovato senza di esso. La maggiore o minore consistenza di tale insieme non è dunque importante purché, ben s’intende, si tratti di fattori che non siano tutto sommato tra-scurabili, bensì capaci di fornire un effettivo qualcosa in più al lavoratore autonomo. L’indagine sull’esistenza di tale qualcosa in più costituisce senza dubbio un accerta-mento di fatto che il giudice di merito dovrà compiere caso per caso sulla base di una valutazione di natura non soltanto logica, ma anche socio-economica perché l’assenza di un struttura produttiva non può essere intesa nel senso radicale di totale mancanza di qualsiasi supporto, ma neppure in quello di particolare rilevanza o, peggio, di preva-lenza dei beni e/o del lavoro altrui su quello del titolare. Per far sorgere l’obbligo di pagamento del tributo basta, infatti, l’esistenza di un apparato che non sia sostanzial-mente ininfluente, ovverosia di un quid pluris che secondo il comune sentire, del quale il giudice di merito è portatore ed interprete, sia in grado di fornire un apprezzabile apporto al professionista. Si deve cioè trattare di un qualcosa in più la cui disponibilità non sia, in definitiva, irrilevante perché capace, come lo studio o i collaboratori, di rende-re più efficace o produttiva l’attività. Non varrebbe in contrario replicare che così ragio-nando si giunge a fare dei professionisti una categoria indefettibilmente assoggettata all’IRAP perché, nell’attuale realtà, è quasi impossibile esercitare l’attività senza l’ausilio di uno studio e/o di uno o più collaboratori o dipendenti. È infatti proprio per questo che il d.lgs. n. 446 del 1997 ha inserito gli autonomi fra i soggetti passivi dell’imposta, in quanto anch’essi si avvalgono normalmente di quella struttura organizzativa che costi-tuisce il presupposto dell’imposta. Ed è sempre per lo stesso motivo che il d.lgs. n. 446 del 1997 ha, fra l’altro, abrogato l’ICIAP, essendo l’IRAP destinata normalmente a colpi-re coloro che in precedenza pagavano l’ICIAP che, a sua volta, gravava sui professionisti indipendentemente dalla consistenza della organizzazione da essi predisposta”.

“In considerazione di quanto sopra, va pertanto enunciato il seguente principio di di-ritto: “A norma del combinato disposto del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, primo periodo, e art. 3, comma l, lettera c), l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui all’art. art. 49, comma l (nella versione vigente fino al 31/12/2003), ovvero all’art. 53, coma 1, (nella versione vigente dal 1/1/2004), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, è escluso dall’applicazione dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) solo qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta as-seritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle condizioni sopraelencate”.

3. – Queste Sezioni unite, con riguardo al requisito dell’autonoma organizzazione

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 750

nel presupposto dell’IRAP, condividono i principi e, più complessivamente, l’impianto ricostruttivo fornito allora con la sentenza capofila dell’orientamento maturato nel 2007 nella sezione tributaria, della quale si è dato conto supra, e tuttavia ritengono che essi meritino, più che una rivalutazione, delle precisazioni concernenti il fattore lavoro.

Se fra “gli elementi suscettibili di combinarsi con il lavoro dell’interessato, poten-ziandone le possibilità necessarie”, accanto ai beni strumentali vi sono i mezzi “perso-nali” di cui egli può avvalersi per lo svolgimento dell’attività, perché questi davvero re-chino ad essa un apporto significativo occorre che le mansioni svolte dal collaboratore non occasionale concorrano o si combinino con quel che è il proprium della specifica professionalità espressa nella) “attività diretta alla scambio di beni a di servizi”, di cui fa discorso l’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, e ciò vale tanto per il professionista che per l’esercente l’arte, come, più in generale, per il lavoratore autonomo ovvero per le figure “di confine” individuate nel corso degli anni dalla giurisprudenza di questa Cor-te. È infatti in tali casi che può parlarsi, per usare l’espressione del giudice delle leggi, di “valore aggiunto” o, per dirla con le pronunce della sezione tributaria del 2007, di “quel qualcosa in più”.

Diversa incidenza assume perciò l’avvalersi in modo non occasionale di lavoro al-trui quando questo si concreti nell’espletamento di mansioni di segreteria o generiche o meramente esecutive, che rechino all’attività svolta dal contribuente un apporto del tutto mediato o, appunto, generico.

Lo stesso limite segnato in relazione ai beni strumentali – “eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dì organizzazione” – non può che valere, armonicamente, per il fattore lavoro, la cui soglia minimale si arresta all’impiego di un collaboratore.

Va pertanto enunciato il seguente principio di diritto: “con riguardo al presuppo-sto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446 –, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insin-dacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contri-buente; a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avval-ga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un col-laboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.

Il ricorso dell’Agenzia delle entrate deve essere rigettato. Le spese del giudizio vanno compensate fra le parti, in considerazione del carattere

controverso della questione in sede di legittimità. (Omissis)

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Cass., sez. un., 14 aprile 2016, n. 7371 e Cass., sez. un., 10 maggio 2016, n. 9451 751

IRAP e autonoma organizzazione: esercizio associato di attività professionali e impiego di dipendenti esecutivi nella

giurisprudenza delle Sezioni Unite

Regional business tax (IRAP) and autonomous organization: professional activities carried out in an associated form and the hiring of employees with executive functions in the case law of the Italian Supreme Court

Abstract Con le sentenze in epigrafe le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno of-ferto, in materia IRAP, importanti indicazioni in merito al presupposto dell’auto-noma organizzazione con riguardo all’esercizio di attività professionali. Gli interventi delle Sezioni Unite sembrerebbero, invero, supplire alla mancata attuazione della L. 11 marzo 2014, n. 23, il cui art. 11, comma 2, aveva delegato il Governo a definire il concetto di autonoma organizzazione ai fini della non as-soggettabilità all’IRAP dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori, tenendo conto dei consolidati principi di fonte giurisprudenziale. Nella sent. n. 7371/2016, la Suprema Corte ha affermato che, con riguardo alle attività professionali svolte in forma di società semplice o di associazione senza personalità giuridica, il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione si presume sussistere in via assoluta in forza dell’art. 2, secondo periodo, D.Lgs. n. 446/1997. Nella sent. n. 9451/2016, la Suprema Corte si è, invece, espressa in merito all’ac-certamento dell’autonoma organizzazione nei casi in cui i professionisti si avvalga-no di dipendenti e/o collaboratori nell’esercizio della propria attività, sancendo che il lavoro dipendente rileva ai fini dell’applicazione dell’IRAP solo qualora sia impiegato in modo non occasionale e superi la soglia dell’impiego di un collabora-tore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive. Parole chiave: Irap, autonoma organizzazione, società semplici, associazioni pro-fessionali, dipendenti esecutivi With the commented decisions, the Grand Chamber of the Italian Supreme Court (ISC) gave, in the field of regional business tax (IRAP), significant guidelines con-cerning the element of autonomous organisation with respect to the exercise of profes-sional activities. The Grand Chamber’s ruling seems to compensate the failure of the Italian Government to implement Law of 11 March 2014, no. 23, whose Art. 11, pa-ra. 2, expressly delegated the Government to define the concept of “autonomous or-ganisation” for the purposes of excluding from IRAP professionals, artists and small entrepreneurs, in the light of the well-established principles laid down by the case law.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 752

With decision no. 7371 of 2016, the ISC ruled that, with respect to professional activ-ities carried out through partnerships or association without legal personality, the el-ement of autonomous organisation is considered existent according to Art. 2, second period, Legislative Decree no. 446/1997. With decision no. 9451 of 2016, the ISC analysed the assessment of the autonomous organisation in all those cases in which professionals hire employees or consultants in the exercise of their activity, establishing that salaried job is relevant to the purposes of IRAP only if used not occasionally and exceeds the threshold of using an employee for secretary or merely executive tasks. Keywords: Regional business tax (IRAP), autonomous organisation, partnerships, associations without legal personality, employees with executive tasks

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La sent. n. 7371/2016. – 2.1. Rilevanza ai fini Irap delle attività professionali svolte in forma associata. – 2.2. La soluzione accolta dalle Sezioni Unite. – 2.3. Profili proble-matici insiti nel principio di diritto espresso nella pronuncia in esame. – 3. La sent. n. 9451/2016. – 3.1. Rilevanza ai fini Irap dell’impiego di collaboratori esecutivi: la soluzione accolta dalle Se-zioni Unite. – 3.2. (Segue). Una prima ipotesi di applicazione concreta del principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite – 4. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

In un brevissimo intervallo di tempo, e sopperendo alla mancata attuazione dell’art. 11, comma 2, L. 11 marzo 2014, n. 23, che aveva delegato il Governo a de-finire il concetto di autonoma organizzazione ai fini della non assoggettabilità all’IRAP dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate su due aspetti ampiamente dibattuti in materia di IRAP, entrambi concernenti il presupposto dell’autonoma organizza-zione nel caso di esercizio di attività professionali 1.

1 Per i lineamenti generali dell’imposta si ricordano, per tutti, FALSITTA, Aspetti e problemi dell’Irap, in Riv. dir. trib., 1997, I, p. 496 ss.; FEDELE, Prime osservazioni in tema di Irap, in Riv. dir. trib., 1998, p. 453 ss.; F. GALLO, Ratio e struttura dell’Irap, in Rass. trib., p. 627 ss.; ID., Imposta regio-nale sulle attività produttive (Irap), in Enc. dir., Agg., V, Milano, 2002, p. 660 ss.; SCHIAVOLIN, L’im-posta regionale sulle attività produttive. Profili sistematici, Milano, 2007. Sui dubbi di legittimità costi-tuzionale dell’Irap v. BASILAVECCHIA, Sulla costituzionalità dell’Irap: un’occasione non del tutto perdu-ta, in Rass. trib., 2002, p. 293 ss.; FALSITTA, La sentenza della Consulta sull’Irap e l’insostenibile iniquità di un tributo mal fatto, in Rass. trib., 2001, 833 ss.; MARONGIU, Irap, lavoro autonomo e Corte costitu-zionale: le possibili conseguenze pratiche, in Dir. prat. trib., 2001, p. 659 ss.; ID., La Consulta “salva” l’Irap dalle censure di incostituzionalità, in Riv. giur. trib., 2001, p. 985 ss.; MOSCHETTI, Profili costitu-

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Cass., sez. un., 14 aprile 2016, n. 7371 e Cass., sez. un., 10 maggio 2016, n. 9451 753

Nella sent. n. 7371/2016, la Suprema Corte ha affermato che, ai sensi dell’art. 2, secondo periodo, D.Lgs. n. 446/1997, le attività professionali svolte in forma di società semplice, o di associazione senza personalità giuridica, devono presumersi, in via assoluta, autonomamente organizzate.

Nella sent. n. 9451/2016, la Suprema Corte si è, invece, espressa in merito al ri-lievo da attribuire all’impiego di dipendenti e/o collaboratori nell’esercizio di atti-vità professionali, sancendo che il lavoro dipendente integra il richiamato presup-posto impositivo dell’IRAP solo qualora sia svolto in modo non occasionale e su-peri la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.

Come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo, con la prima sentenza le Se-zioni Unite hanno accolto, in maniera recisa, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità più rigoroso e minoritario; con la seconda, invece, sembrerebbero aver recepito, ancorché solo parzialmente, gli orientamenti giurisprudenziali più favorevoli ai contribuenti.

2. La sent. n. 7371/2016

La controversia sottoposta al vaglio della Suprema Corte nella sent. n. 7371/2016 trae origine dal silenzio-rifiuto formatosi in relazione a un’istanza di rimborso dell’IRAP proposta da una società semplice svolgente attività di amministrazione condominiale.

Nei gradi di merito, i giudici tributari avevano riconosciuto il diritto della società al rimborso del tributo sul presupposto che l’attività professionale fosse stata eserci-tata in via quasi esclusivamente personale dai soci e senza l’ausilio di personale di-pendente o di ingenti cespiti; nel giudizio di legittimità promosso dall’Ufficio, inve-ce, la sezione semplice della Cassazione – rilevata l’esistenza di ondivaghi orienta-menti in seno alla medesima Corte con riguardo all’applicabilità dell’IRAP nei con-fronti di attività professionali espletate nella veste societaria – rimetteva alle Sezioni Unite con il seguente quesito: «se, in applicazione del combinato disposto degli ar-ticoli 2 e 3 del D.Lgs. n. 446/1997, debba essere sottoposto ad IRAP il “valore ag-giunto prodotto nel territorio regionale” da attività di tipo professionale espletate nella veste giuridica societaria, ed in particolare di società semplice, anche quando il giudice valuti non sussistente una “autonoma organizzazione” dei fattori produttivi» 2. zionali dell’Irap, imposta disattenta alla persona e alla tutela del lavoro, in Riv. dir. trib., 1999, I, p. 735 ss.; SCHIAVOLIN, Prime osservazioni sull’affermata legittimità costituzionale dell’imposta regionale sulle attività produttive, in Giur. it., 2001, p. 1979 ss.

2 Così, Cass., sez. VI, (ord.) 25 febbraio 2015, n. 3870, in GT – Riv. giur. trib., 2015, p. 483 ss., con nota di BODRITO, Le società integrano “ex lege” il presupposto dell’IRAP?.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 754

2.1. Rilevanza ai fini Irap delle attività professionali svolte in forma associata La questione oggetto della sentenza in commento riguarda, dunque, la possibi-

lità di presumere in via assoluta, ai sensi del secondo periodo dell’art. 2, D.Lgs. n. 446/1997, la sussistenza dell’autonoma organizzazione nell’ipotesi di attività pro-fessionali esercitate nella forma di società semplice 3.

Sul punto, ma in epoca ormai risalente, la Corte costituzionale aveva affermato che l’attività produttiva svolta da società di persone è «riconducibile, almeno in via astratta», all’autonoma organizzazione 4, senza tuttavia risolvere l’interrogativo se il presupposto in esame potesse rinvenirsi in automatico per effetto della mera adozione della forma societaria personale, oppure se, alla luce di un’interpretazio-ne adeguatrice del secondo periodo dell’art. 2, dovesse sempre escludersi l’appli-cabilità dell’IRAP nei confronti di soggetti che non abbiano, in concreto, il requisi-to dell’“organizzazione a impresa” 5.

Più recentemente, nella giurisprudenza di legittimità si sono delineati e alternati, su questa specifica questione, due opposti orientamenti: per il primo e minoritario orien-tamento, ogni attività professionale svolta sotto forma di società semplice (o associa-zione senza personalità giuridica equiparata ai sensi dell’art. 5, comma 3, TUIR) deve sempre considerarsi autonomamente organizzata, senza possibilità di prova contra-ria 6; per l’orientamento contrario e maggioritario, invece, l’esercizio “associato” di atti-vità professionali costituisce presunzione di esistenza di un’autonoma organizzazione, ma solo in via relativa, e, dunque, fino a prova contraria dei contribuenti 7.

3 Sulla specifica questione, v. SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle attività produttive. Profili si-stematici, cit., pp. 227-231 e p. 290; FICARI, Soggettività passiva Irap e società in accomandita semplice, in Boll. trib., 2005, p. 1018 ss.; COCIANI, L’autonomia tributaria regionale nello studio sistematico dell’Irap, Milano, 2003, pp. 281-283; BODRITO, op. ult. cit., p. 488 ss.; FERRANTI, Irap senza prova con-traria per le associazioni professionali e le società semplici, in Il fisco, 2016, p. 1822 ss.; ID., Quando è rilevante ai fini Irap l’esercizio in forma associata delle attività professionali, ivi, 2010, p. 3906 ss.; GIORGI, Il trust nell’Irap, in Trusts e attività fiduciarie, 2012, p. 477 ss.; MICONI, L’autonoma organiz-zazione nelle associazioni professionali ai fini dell’Irap, in Dir. prat. trib., 2011, p. 1237 ss.

4 Corte cost., (ord.) 6-8 giugno 2005, n. 227, in Dir. prat. trib., 2005, II, p. 861 ss., con nota di DE MITA, Nelle s.n.c. si presume l’“organizzazione”.

5 L’espressione è di DE MITA, op. cit., p. 863. Sul punto v. SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle at-tività produttive. Profili sistematici, cit., p. 259, nota 228.

6 Cfr., in ordine cronologico, Cass., (ord.) 16 luglio 2010, n. 16784; Cass., (ord.) 29 ottobre 2010, n. 22212; Cass., sez. trib., 18 settembre 2013, n. 21326; Cass., 28 novembre 2014, n. 25131, in Corr. trib., 2015, p. 83 ss., con nota di FERRANTI, Passo indietro della Cassazione sull’IRAP delle asso-ciazioni professionali. L’orientamento è condiviso dall’Agenzia delle Entrate: v., in particolare, Circ. Ag. Entr., 13 giugno 2008, n. 45/E, su cui COLLI VIGNARELLI, L’Agenzia delle Entrate si pronuncia an-cora in tema di rilevanza del requisito organizzativo in materia di IRAP. Circolare, 13 giugno 2008, n. 45/E, in Boll. trib., 2008, pp. 1125 ss. e SCHIAVOLIN, L’autonomia organizzativa nell’Irap: il faticoso sviluppo del “diritto vivente” nella giurisprudenza di merito, in Giust. trib., 2008, p. 779 ss..

7 Cfr., in ordine cronologico, Cass., sez. trib., 11 giugno 2007, n. 13570; Cass., sez. trib., (ord.) 5 febbraio 2008, n. 2715; Cass., sez. trib., 24 giugno 2008, n. 17136; Cass., sez. trib., 28 ottobre 2009,

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Cass., sez. un., 14 aprile 2016, n. 7371 e Cass., sez. un., 10 maggio 2016, n. 9451 755

2.2. La soluzione accolta dalle Sezioni Unite Le Sezioni Unite hanno risolto la questione, e dato risposta all’interrogativo

che è stato supra sintetizzato, avallando nella sostanza l’orientamento minoritario e più rigoroso della giurisprudenza di legittimità.

Nella pronuncia in commento, in particolare, è stato sancito che «quando l’attività è esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell’imposta a norma dell’art. 3 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 – comprese quindi le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni – essa, in quanto esercitata da tali soggetti, struttu-ralmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni ac-certamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione».

Per quanto “tranciante”, la conclusione delle Sezioni Unite non sembra così immediata come potrebbe apparire dalla lettura della sentenza.

Nella motivazione, invero, non è dato rinvenire alcuna argomentazione che consenta di confutare le puntuali osservazioni e argomentazioni svolte dai giudici della sezione semplice a sostegno della soluzione interpretativa contraria.

In particolare, nell’ordinanza interlocutoria si è, innanzitutto, osservato che prima delle modifiche apportate al primo periodo dell’art. 2, D.Lgs. n. 446/1997 dal D.Lgs. n. 137/1998, l’unico presupposto impositivo dell’IRAP era l’esercizio abituale di un’attività di produzione; ciò che – secondo i giudici della sezione sem-plice – avrebbe potuto consentire un’interpretazione sincronica del citato art. 2, sì da riferire la presunzione di cui al secondo periodo, rimasto immutato in seguito alle modifiche normative del ’98, al solo presupposto impositivo dell’abitualità. In sostanza, secondo tale lettura, l’ultimo periodo dell’art. 2, D.Lgs. n. 446/1997, svolgerebbe la funzione di precisare che le attività identificate nel primo periodo, se esercitate da società o enti, costituiscono in ogni caso attività “abituali”, lascian-do però intatta la necessità di accertare in concreto e caso per caso il requisito della autonoma organizzazione 8.

Da una diversa prospettiva, i giudici rimettenti hanno ulteriormente osservato che laddove si prescindesse dall’accertamento “in concreto” del requisito dell’au- n. 22781; Cass., sez. trib., 16 luglio 2010, n. 16784; Cass., 3 novembre 2010, n. 22386; Cass., (ord.) 26 luglio 2011, n. 16337; Cass., sez. trib., 3 agosto 2012, n. 14060; Cass., 10 dicembre 2012, n. 22506; Cass., 22 maggio 2013, n. 12507; Cass., sez. trib., 19 giugno 2013, n. 15317; Cass., 27 gen-naio 2014, n. 1575; Cass., (ord.) 27 febbraio 2014, n. 4663.

8 In senso analogo MICONI, op. cit., p. 1237 ss.; tale tesi non sarà, tuttavia, approfondita nel pro-sieguo del presente lavoro, in quanto presuppone l’idea «del Legislatore razionale che tutto coordi-na quando interviene» (cfr. BODRITO, Le società integrano “ex lege” il presupposto dell’Irap?, cit., p. 490), pur se «i legislatori non hanno alcun obbligo di ragionare in questo (o in altro) modo, né hanno l’obbligo di rendere pubblico il loro ragionamento» (così, GUASTINI, Interpretare e argomen-tare, Milano, 2011, p. 234).

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 756

tonoma organizzazione risulterebbe di fatto negata e disattesa la pronuncia n. 156/2001 del Giudice delle Leggi, che ha individuato quale indice di capacità con-tributiva dell’IRAP il “valore aggiunto” prodotto, appunto, dalle attività autono-mamente organizzate.

2.3. Profili problematici insiti nel principio di diritto espresso nella pronuncia in esame Il dato (pare qui) certo, espresso nella sentenza in commento, è che il secondo

periodo dell’art. 2, D.Lgs. n. 446/1997, integri gli estremi di una presunzione 9. Il dato problematico riguarda, invece, la pretesa natura “assoluta” di detta pre-

sunzione 10, nonché la sua applicazione tanto alle società semplici (e di persone in generale), quanto alle associazioni professionali, ad esse equiparate, senza perso-nalità giuridica.

Invero, affinché l’art. 2, secondo periodo, D.Lgs. n. 446/1997, possa integrare – come stabilito dalle Sezioni Unite nella pronuncia in esame – una norma che stabi-lisca “dato (A), si presume (B) senza possibilità di prova contraria”, è necessario che il fatto noto (nel caso specifico, l’esercizio di un’attività professionale in forma societaria o di associazione) esprima con assoluta certezza il fatto ignoto (ossia la sussistenza dell’autonoma organizzazione) 11.

Diversamente, una presunzione di tal fatta risulterebbe in contrasto con gli artt. 53 e 3 Cost., in quanto, per un verso, prescinderebbe dall’indice di capacità contri-butiva proprio del presupposto dell’IRAP, che è dato dal valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate 12; e, per altro verso, consentirebbe di

9 Cfr. BODRITO, Le società integrano “ex lege” il presupposto dell’Irap?, cit., p. 490, per il quale «lo si può evincere dall’impiego del verbo al modo indicativo, tempo presente, e dal relativo avverbio». Per FERRANTI, IRAP senza prova contraria per le associazioni professionali e le società semplici, cit., p. 1822 ss., la suddetta presunzione rappresenta comunque «una “forzatura” del principio, ormai con-solidato, secondo il quale l’esistenza della detta autonoma organizzazione deve essere valutata caso per caso».

10 Non sembra, invero, scalfire il principio di diritto espresso dalla Corte, l’affermazione secondo cui «la “prova contraria” può avere qui ad oggetto non l’insussistenza dell’autonoma organizzazione nell’esercizio in forma associata dell’attività, ma piuttosto l’insussistenza dell’esercizio in forma as-sociata dell’attività stessa». Ed infatti, non pare che con tale affermazione le Sezioni Unite abbiano escluso la natura assoluta della presunzione; ne hanno solo affermato l’inoperatività nei soli casi in cui i contribuenti riescano a provare l’“inesistenza” del vincolo associativo (nello stesso senso, FER-RANTI, op. loc. ult. cit.).

11 Cfr. MARCHESELLI, Le presunzioni nel diritto tributario: dalle stime agli studi di settore, Torino, 2008, pp. 59-62. Sull’utilizzo delle presunzioni in materia tributaria v., inoltre, F. TESAURO, Le pre-sunzioni nel processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1986, p. 194 ss.; ID., Prova – dir. trib., in Enc. dir., Agg., vol. III, Milano, 1999, p. 892 ss.; nonché FRANSONI, Sulle presunzioni legali nel diritto tributario, in Rass. trib., 2010, n. 3, p. 603 ss.

12 La questione in esame non si discosta di molto dalla vexata quaestio che aveva riguardato i

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Cass., sez. un., 14 aprile 2016, n. 7371 e Cass., sez. un., 10 maggio 2016, n. 9451 757

individuare i soggetti passivi dell’imposta esclusivamente in ragione della forma giuridica prescelta per lo svolgimento dell’attività produttiva 13.

Ebbene, la questione più rilevante connessa all’interpretazione offerta dalle Sezio-ni Unite scaturisce dal fatto che l’esercizio di un’attività produttiva nella veste di so-cietà semplice (o di associazione senza personalità giuridica) non è, sempre e certa-mente, rivelatore di autonomia organizzativa, ossia di una forma di ricchezza imper-sonale e aggiuntiva rispetto a quella propria, rispettivamente, dei singoli soci o asso-ciati 14: l’esperienza comune insegna, infatti, che «esistono società la cui attività è or-ganizzata principalmente con il lavoro dei soci», ove, dunque, «è possibile prospetta-re situazioni equivalenti all’auto-organizzazione delle persone fisiche, per l’esclusività dell’apporto di lavoro “personale” dei componenti la compagine sociale» 15.

La Corte ha quindi optato per una soluzione formalistica, saldamente ancorata al dato letterale dell’art. 2, secondo periodo, D.Lgs. n. 446/1997, che risulta, però,

promotori finanziari e gli agenti di commercio, poi risolta da Cass., sez. un., 26 maggio 2009, nn. da 12108 – 1211, con commento di MARONGIU, L’IRAP tra l’operosa fatica dei giudici e la latitanza del legislatore, in GT – Riv. giur. trib., 2009, p. 764 ss., che ha sancito l’assoggettabilità ad IRAP di tali soggetti solo quando sia possibile accertare, caso per caso, la sussistenza dell’autonoma organizza-zione. Tale soluzione, che dovrebbe valere anche nella fattispecie in esame, era già stata prospettata da autorevole dottrina: v., in particolare, FREGNI, Questioni in tema di tassazione degli agenti di com-mercio, in Riv. dir. trib., 2004, p. 417 ss., la quale aveva ravvisato il punctum pruriens della questione «nella verifica della sussistenza, caso per caso, di “un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”».

13 Resta da chiarire se la locuzione avverbiale “in ogni caso” sia equivalente alla formula “senza possibilità di eccezione”: nega tale ipotesi BODRITO, Le società integrano “ex lege” il presupposto dell’Irap?, cit., p. 491, secondo il quale «l’espressione indica che il presupposto del tributo è integra-to, non solo dai soggetti commerciali, come le società, ma anche da enti che non siano commerciali, ma di mera erogazione»; e, se non si è frainteso, COCIANI, op. cit., p. 282: «la norma in discorso (art. 2 secondo periodo) […] denota che le attività […] “in ogni caso” soggette ad Irap non sono solo quelle derivanti da attività commerciale, ma anche quelle non commerciali di mera erogazione».

14 Tale argomentazione sembra coerente con Corte cost., 28 luglio 1976, n. 200, in Foro it., 1976, I, c. 2071 ss. (in cui è stato sancito che le presunzioni fiscali «per poter essere considerate in armonia con il principio della capacità contributiva […] debbono essere confortate da elementi concretamente positivi che le giustifichino razionalmente» e che «se è pur lecito formulare previ-sioni logicamente valide e attendibili, non è peraltro consentito trasformare tali previsioni in certez-ze assolute, imperativamente statuite senza la possibilità che si ammetta la prova contraria»); e con Corte cost., 11 marzo 1991, n. 103 (ove, in tema di ICIAP, è stato affermato che «la presunzione di cui trattasi, in quanto preclusiva di prova in adverso, è insuscettibile, per la irrazionalità che ne deri-va, di porsi come fonte rivelatrice di una concreta capacità contributiva»); nonché con gli insegna-menti di CRISAFULLI, In tema di capacità contributiva, in Giur. cost., 1965, p. 861 ss. e DE MITA, Pre-sunzioni fiscali e costituzione, in AA.VV., Le presunzioni fiscali in materia tributaria. Atti del convegno di Rimini, 22-23 febbraio 1985, Rimini, 1987, p. 24 ss.

15 Così, SCHIAVOLIN, op. cit., p. 291. Tanto sembra potersi affermare per le società semplici, per le associazioni ad esse equiparate, nonché per le società di persone “commerciali”: v., nel caso di una s.n.c., FICARI, op. cit., p. 1020, il quale rileva che «l’organizzazione in forma societaria esprime solo un precipuo assetto contabile e di amministrazione ma non una caratteristica dell’attività economica».

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 758

contrastante con il principio secondo cui una «difforme capacità contributiva che discende dal diverso livello di organizzazione dell’attività economica impone trat-tamenti fiscali distinti» 16.

Vi è un altro profilo problematico, che merita attenzione, nel principio di dirit-to fissato dalla sentenza n. 7371/2016: per le Sezioni Unite, l’art. 2, ultimo perio-do, D.Lgs. n. 446/1997, si riferirebbe non solo alle “società” e agli “enti”, ma anche alle associazioni tra professionisti senza personalità giuridica equiparate alle socie-tà semplici ex art. 5, comma 3, TUIR.

Tale affermazione – che sembra fondarsi su una lettura combinata degli artt. 2, secondo periodo, e 3, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 446/1997 17 – è stata censurata da una parte della dottrina, perché ritenuta contrastante con un recente indirizzo interpretativo delle Sezioni Unite secondo cui le qualificazioni reddituali stabilite dal TUIR non possono trovare applicazione ai fini IRAP se non espressamente ri-chiamate 18.

Sorge, allora, l’interrogativo se, in materia di IRAP, l’equiparazione tra associa-zioni professionali e società semplici possa valere solo ai fini dell’individuazione dei soggetti passivi, e non anche ai fini dell’individuazione in via presuntiva (a pre-scindere dal fatto che la presunzione sia qualificabile come relativa o assoluta) dell’autonomia organizzativa, in quanto solo l’art. 3, e non l’art. 2, secondo perio-do, richiama espressamente l’art. 5, comma 3, TUIR 19.

Qualche dubbio in senso contrario sorge dal fatto che, in materia di IRAP, non sembra potersi ammettere una lettura parcellizzata o disgiunta del requisito sog-gettivo e del presupposto d’imposta: gli artt. 2 e 3, D.Lgs. n. 446/1997, sembrano invero legati “a filo doppio”, nel senso che, ai fini dell’applicazione dell’IRAP, si ri-velerebbe necessario, innanzitutto, individuare la fattispecie imponibile ai sensi dell’art. 2 e, solo successivamente, riconoscere come soggetti passivi, a norma dell’art. 3, comma 1, i titolari del potere di organizzazione e di gestione dell’attività imponibile 20. Ciò che potrebbe forse legittimare la tesi, implicitamente sostenuta

16 FICARI, op. cit., p. 1021. 17 Si segnala, inoltre, la possibilità di assoggettare le associazioni professionali al secondo periodo

dell’art. 2, D.Lgs. n. 446/1997, in quanto «rimarrebbe ferma la configurazione ai fini civilistici delle associazioni costituite ai sensi dell’art. 1, L. n. 1815 del 1939 come enti collettivi o centri di interessi autonomi»: cfr. MICONI, op. cit., p. 1237 ss.

18 V. FERRANTI, op. ult. cit., p. 1822 ss. 19 Si veda Cass., sez. un., 13 aprile 2016, n. 7291, in cui si è negata la riferibilità all’art. 2, secondo

periodo, D.Lgs. n. 446/1997 delle forme associative in ambito di medicina di gruppo, in quanto sa-rebbero organismi promossi dal S.S.N., diretti «a realizzare più avanzate forme di presidio della sa-lute pubblica mercé l’impiego di risorse, anzitutto professionali, ma non solo, del personale medico a rapporto convenzionale».

20 V., ex multis, SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle attività produttive, in FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2016, pp. 1128-1129. La lettura proposta sembra coerenziar-

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Cass., sez. un., 14 aprile 2016, n. 7371 e Cass., sez. un., 10 maggio 2016, n. 9451 759

dalle Sezioni Unite, per cui il legislatore abbia scientemente inteso rimandare all’art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 446/1997, l’individuazione dei soggetti la cui attività, ai sensi dell’art. 2, secondo periodo, può far presumere – ma solo, si crede, in via relativa – la sussistenza del presupposto dell’autonoma organizzazione.

3. La sent. n. 9451/2016

Nella sent. n. 9451/2016, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno af-fermato il seguente principio di diritto: il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente «si avvalga in modo non occasionale di lavoro al-trui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive» 21.

Con tale principio di diritto, i giudici della Suprema Corte spezzano «l’equa-zione tra autonomia organizzativa e presenza di lavoro dipendente» 22 e oblitera-no, almeno parzialmente, l’orientamento giurisprudenziale di recente formazione che – in maniera sporadica, prima, e in modo sempre più insistente, poi – negava che la sola presenza di un dipendente potesse costituire elemento decisivo ed in-superabile per assoggettare ad IRAP i professionisti 23. si, innanzitutto, con quanto stabilito nella sentenza n. 156/2001 della Corte costituzionale (v., in tale senso, COLLI VIGNARELLI, Rilevanza dell’organizzazione nell’imposta regionale sulle attività produt-tive, in Boll. trib., 2002, pp. 886-887), nonché con l’avverbio “pertanto” contenuto nel secondo pe-riodo del comma 1 dell’art. 3, il quale sembrerebbe conferire all’elencazione dei soggetti passivi, contenuta nel periodo successivo della disposizione, carattere meramente esemplificativo e non tas-sativo (è questa l’opinione di MARONGIU-BODRITO, L’imposta regionale sulle attività produttive (Irap), in AMATUCCI (a cura di), Trattato di diritto tributario. Appendice, Padova, 2001, p. 501; e COCIANI, op. cit., p. 289, nota 186).

21 Sulla questione la letteratura è molto vasta e impossibile da citare per intero: v. dunque, ex multis, SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle attività produttive. Profili sistematici, cit., pp. 255-282, anche per i richiami della copiosa giurisprudenza di merito; COLLI VIGNARELLI, Rilevanza dell’orga-nizzazione nell’imposta regionale sulle attività produttive, cit., p. 885 ss.; DELLA VALLE, Non scontano l’IRAP i professionisti dotati di mezzi strumentali minimi, in Corr. trib., 2007, p. 885 ss.; MARONGIU, Organizzazione autonoma e libere professioni, in Corr. trib., 2002, p. 2690 ss.; ID., Proposte per un’equa applicazione dell’IRAP ai lavoratori autonomi, in GT – Riv. giur. trib., 2007, p. 469 ss.; SCHIAVOLIN, L’autonomia organizzativa nell’Irap: il faticoso sviluppo del “diritto vivente” nella giurisprudenza di me-rito, cit., p. 779 ss., nonché gli scritti più recenti di BODRITO, Al lavoratore autonomo che ha un dipen-dente può spettare il rimborso Irap, in Corr. trib., 2014, p. 917 ss. e di FERRANTI, Associazioni professio-nali e dipendente “esecutivo”: le Sezioni Unite dettano la linea, in Corr. trib., 2016, p. 1689 ss.

22 Così BODRITO, op. ult. cit., p. 1917 ss. Il riferimento è all’orientamento giurisprudenziale di le-gittimità stratificatosi, tra le altre, con le seguenti sentenze: Cass., sez. trib., 6 aprile 2009, n. 8265; Cass., sez. trib., (ord.) 16 giugno 2009, n. 20001; Cass., sez. trib., 20 luglio 2009, n. 16855; Cass., sez. trib., 20 ottobre 2010, n. 21563; Cass., sez. trib., 2 aprile 2014, n. 7609; Cass., sez. trib., 7 mag-gio 2014, nn. 9787 e 9790; Cass., sez. trib., 10 settembre 2014, n. 19072.

23 Cfr., tra le più recenti, Cass., sez. VI, (ord.) 25 settembre 2013, nn. da 22019 a 22025; Cass.,

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 760

La decisione in esame trae origine dal silenzio rifiuto formatosi a seguito di un’istanza di rimborso dell’IRAP proposta da un avvocato che esercitava la profes-sione avvalendosi di un solo dipendente con mansioni di segretario e in assenza di beni strumentali di rilievo.

Nei gradi merito i giudici tributari accertavano il credito del contribuente ricor-rente e riconoscevano il diritto al rimborso dell’IRAP sul presupposto che la pre-senza minimale di beni strumentali e di collaboratori non potesse configurare au-tonoma organizzazione ai sensi dell’art. 2, D.Lgs. n. 446/1997.

L’Ufficio proponeva ricorso in Cassazione, deducendo la difformità della sen-tenza impugnata con il «più consolidato» principio giurisprudenziale secondo cui il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione ricorrerebbe ogniqualvol-ta il contribuente sia il responsabile della struttura e si avvalga del lavoro anche so-lo di un dipendente 24.

3.1. Rilevanza ai fini Irap dell’impiego di collaboratori esecutivi: la soluzione accol-ta dalle Sezioni Unite Nel rimettere il giudizio alle Sezioni Unite, la sezione semplice della Corte 25 ha

ravvisato un contrasto fra un orientamento «più radicato» della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la presenza anche solo di un dipendente determinerebbe di per sé l’assoggettamento a IRAP; e un orientamento «più recente», composto da un folto numero di pronunce, in cui, al fine di verificare la ricorrenza di auto-nomia organizzativa, si è affermata la necessità di accertare in punto di fatto l’attitudine del lavoro svolto dal dipendente a potenziare l’attività produttiva del singolo datore di lavoro.

Il principio di diritto sancito nella pronuncia in commento sembra, per certi aspetti, posizionarsi nel mezzo tra i due citati orientamenti.

Per un verso, infatti, la sentenza si raccorda con l’orientamento di legittimità «più recente», ove precisa che le mansioni svolte dal collaboratore non occasiona-le devono coordinarsi e combinarsi con quel che è il proprium della specifica pro-fessionalità del contribuente. Secondo le Sezioni Unite, in particolare, solo in tali casi sarebbe possibile riscontrare l’apporto di un «valore aggiunto» o di quel «qualcosa in più» rispetto all’attività del singolo professionista, in quanto il lavoro altrui che si concreti nell’espletamento di mansioni meramente esecutive arreche-rebbe all’attività svolta dal contribuente «un apporto del tutto mediato» e «gene-rico». sez. VI, 18 febbraio 2014, n. 3755; Cass., sez. VI, 20 febbraio 2014, n. 4111; Cass., sez. VI, 9 maggio 2014, n. 10173; Cass., sez. VI, 19 dicembre 2014, nn. 26985, 27016, 27017. Si segnala, infine, Cass., sez. un., 13 aprile 2016, n. 7291 in materia di medicina di gruppo.

24 Cfr., retro, note 21 e 22. 25 Cass., sez. trib., (ord.) 13 marzo 2015, n. 5040.

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Cass., sez. un., 14 aprile 2016, n. 7371 e Cass., sez. un., 10 maggio 2016, n. 9451 761

Per altro verso, poi, la pronuncia in esame sembra raccordarsi con l’indirizzo giurisprudenziale più radicato e rigoroso, ove fissa la soglia quantitativa di “un” collaboratore dipendente, oltre la quale un’attività di produzione di beni o servizi deve considerarsi “in ogni caso” autonomamente organizzata. Le Sezioni Unite, in particolare, affermano che, così come l’impiego di beni strumentali è soggetto al li-mite dell’id quod plerumque accidit oltre il quale l’attività deve considerarsi autono-mamente organizzata, un limite analogo «non può che valere, armonicamente, per il fattore lavoro, la cui soglia minimale si arresta all’impiego di un collaboratore».

3.2. (Segue). Una prima ipotesi di applicazione concreta del principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite Da quanto affermato dalla Suprema Corte si evince, da un lato, che – affinché

un’attività professionale possa considerarsi autonomamente organizzata – l’impie-go di lavoro altrui deve essere “non occasionale” e, in aggiunta, prevedere mansio-ni non “meramente esecutive” 26 (trattasi, in sostanza, dell’impiego di collaboratori abituali, capaci di produrre reddito “per conto” del professionista e di accrescerne la “capacità produttiva”); dall’altro, che il professionista sembrerebbe tenuto in ogni caso al versamento dell’IRAP ogniqualvolta risulti superata la «soglia mini-male» dell’impiego di un solo collaboratore con funzioni meramente esecutive (trattasi dunque dell’impiego di due o più collaboratori “non occasionali” con fun-zioni di segreteria o meramente esecutive, oppure di due o più collaboratori “occa-sionali” che insieme superino la soglia-modello di un unico collaboratore con fun-zioni “meramente esecutive” 27).

Tale ultimo limite quantitativo, se applicato rigidamente e indistintamente tra categorie di professionisti, potrebbe però rivelarsi foriero di criticità.

Si consideri, ad esempio, il caso di due professionisti, il primo che si avvalga di un dipendente “a tempo pieno” con mansioni di segreteria e di un addetto alle pu-lizie part-time; il secondo che si avvalga di due segretarie (o segretari) part-time. In

26 Dalla sentenza in commento sembra potersi evincere che il requisito della “non occasionalità” del lavoro dipendente si riferisca unicamente ai collaboratori con mansioni non “di segreteria” o non “meramente esecutive”. Non sembra, dunque, che possa dirsi sussistente l’autonoma organiz-zazione quando il professionista si avvalga “a tempo pieno” di un unico dipendente con funzioni di segreteria o meramente esecutive; o di un collaboratore “occasionale” capace di coadiuvare il pro-fessionista nell’esercizio dell’attività professionale, occorrendo tuttavia verificare, caso per caso, che l’impiego di lavoro professionale-dipendente – anche se occasionale – non si sostanzi in una ric-chezza aggiuntiva rispetto a quella generata dal “dominus” (in questo senso, non dovrebbe integrare il presupposto impositivo in esame la collaborazione di apprendisti part-time).

27 Si veda, in senso analogo, FERRANTI, Associazioni professionali e dipendente “esecutivo”: le Sezioni Unite dettano la linea, cit., 1697, secondo cui «in caso di part-time si ritiene possibile escludere la sussistenza di un’autonoma organizzazione anche in presenza di due rapporti a tempo parziale, che dovrebbero risultare equivalenti ad uno a tempo pieno».

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 762

entrambi i casi sembra irrefutabile che i dipendenti svolgano attività meramente ausiliarie rispetto a quelle dei professionisti, le quali non apportano alcun effettivo «potenziamento della capacità produttiva della singola attività professionale» 28; pur tuttavia, una rigida applicazione della soglia-modello individuata dalle Sezioni Unite imporrebbe di considerare non autonomamente organizzata solamente l’at-tività svolta dal secondo professionista (qualora, s’intende, il lavoro svolto dai pro-pri dipendenti possa dirsi equivalente a quello di un singolo dipendente svolgente le medesime mansioni “a tempo pieno”), in quanto il lavoro dipendente impiegato dal primo professionista supererebbe il limite di un solo collaboratore, non occa-sionale, «che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive».

Per affermare l’esistenza di un’attività autonomamente organizzata sembra quin-di opportuno svolgere una attenta e minuziosa indagine sul concreto atteggiarsi dei rapporti (o del singolo rapporto) di lavoro dipendente, privilegiando valuta-zioni di carattere qualitativo rispetto a valutazioni di carattere quantitativo. Invero, così come la presenza di un dipendente con funzioni sostanzialmente autonome e tecnicamente rilevanti può, da sola, comprovare l’esistenza di un’autonoma orga-nizzazione, indipendentemente dalla qualifica formalmente assunta dal lavorato-re 29; allo stesso modo, l’impiego di due o più dipendenti potrebbe rivelarsi insu-scettibile di creare valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale del pro-fessionista.

Sorge, per tale ragione, l’interrogativo se la presenza di due o più dipendenti possa effettivamente integrare, da sola e in ogni caso (come sembra aver sostenuto la Corte nella sentenza in esame), la sussistenza in capo ai professionisti dell’auto-noma organizzazione; oppure se, alla luce degli artt. 3 e 53 Cost., possa rappresen-tare solo un “indizio” di autonomia organizzativa, da valutare alla luce del tipo di attività svolta dal singolo professionista e dai singoli collaboratori 30.

28 Si veda, in senso analogo, MARONGIU, Proposte per un’equa applicazione dell’IRAP ai lavoratori autonomi, cit., p. 469 ss., il quale, con riguardo al personale di segreteria, afferma: «non riesco a con-vincermi che queste figure professionali comprovino l’esistenza di un’autonoma organizzazione, ove si consideri che le loro consuete mansioni oggi si traducono, generalmente, nella ricezione delle te-lefonate, nell’accoglienza dei clienti, nella cura dell’archivio». In senso contrario, si veda invece SCHIAVOLIN, L’autonomia organizzativa nell’Irap: il faticoso sviluppo del “diritto vivente” nella giuri-sprudenza di merito, cit., p. 786, secondo il quale – se non si è frainteso – il mantenimento del “buo-no stato” degli ambienti lavorativi rientra nelle necessità di uno studio professionale, sicché l’assu-mere un dipendente ad hoc (ancorché part time) «parrebbe realizzare un atto di “organizzazione”, inteso a lasciare libero il professionista di dedicarsi per intero al lavoro intellettuale (allo stesso mo-do dell’assumere una segretaria, per liberarsi delle incombenze rimesse a questa)».

29 Si pensi, per esempio, al caso di un abile apprendista inizialmente assunto per esigenze di for-mazione, il quale, dopo una prima fase di avvio, fornisca al professionista un apporto pari a quello di un collaboratore.

30 In questo senso sembrerebbe essersi espressa Cass., sez. VI, 19 dicembre 2014, n. 26985: «la Corte delle Leggi ha posto in chiara evidenza che la dizione “autonomamente organizzata”, se indi-

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Cass., sez. un., 14 aprile 2016, n. 7371 e Cass., sez. un., 10 maggio 2016, n. 9451 763

4. Considerazioni conclusive

In conclusione, prescindendo dai profili problematici segnalati, sembra oppor-tuno riepilogare le indicazioni espresse dalle Sezioni Unite nelle due sentenze in epigrafe.

Per il principio di diritto fissato nella sentenza n. 7371/2016, le attività profes-sionali svolte in forma societaria – anche nella veste di società di persone e, in par-ticolare, di società semplici e associazioni professionali ad esse equiparate ai sensi dell’art. 5, comma 3, TUIR – sono da considerarsi “in ogni caso” autonomamente organizzate.

L’affermazione incidentale contenuta nella motivazione della sentenza – se-condo cui «la “prova contraria” può avere qui ad oggetto non l’insussistenza del-l’autonoma organizzazione nell’esercizio in forma associata dell’attività, ma piutto-sto l’insussistenza dell’esercizio in forma associata dell’attività stessa» – non sem-bra invero scalfire il chiaro principio di diritto secondo cui – appunto – le attività produttive esercitate da società ed enti costituiscono «ex lege, in ogni caso, pre-supposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza di autonoma organizzazione».

Per il principio di diritto sancito nella sentenza n. 9451/2016, i professionisti (o anche i contribuenti che esercitano in forma individuale l’attività di impresa) che si avvalgano di un unico dipendente – anche a tempo pieno – con funzioni di segreteria o meramente esecutive, ovvero di un unico dipendente con funzioni di tipo “professionale” (che però non aumenti in concreto la produttività del profes-sionista), o, ancora, di due o più dipendenti a tempo parziale e con funzioni esecu-tive, la cui attività non superi “la soglia dell’impiego di un collaboratore che espli-chi” analoghe funzioni, non sono tenuti al versamento dell’IRAP e potranno, per-tanto, ottenere il rimborso dell’imposta eventualmente versata 31.

Giovanni Consolo

vidua immediatamente il presupposto applicativo del tributo, non fornisce d’altro canto alcuna con-creta consistenza di questo presupposto e cioè non consente di direttamente identificare gli elemen-ti fattuali minimi del presupposto in questione, sia in riferimento al numero di dipendenti sia in rife-rimento alla consistenza delle strutture organizzate e del capitale investito».

31 È appena il caso di precisare che, ai fini del rimborso, è sempre onere del contribuente dimo-strare la carenza del requisito organizzativo ai fini Irap. Sulla tutela giurisdizionale in materia di rim-borso, v. F. TESAURO, Il rimborso dell’imposta, Torino, 1975, p. 237 ss.; FREGNI, Rimborso dei tributi, in Dig. disc. priv., sez. comm., vol. XII, Torino, 1996, pp. 510-511.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 764

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Commissione Tributaria Regionale di Venezia-Mestre, sez. I, 19 maggio 2015, n. 874/1/15 – Pres. Tamborra, Rel. Rindone

Riforma Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, sez. IX, 20 maggio 2014, n. 508/9/14.

Dichiarazione tributaria – Contenuto – Trasferimenti da o verso l’estero di de-naro, certificati in serie o di massa o titoli attraverso non residenti – Obblighi di monitoraggio fiscale selettivo – Sussistenza – Condizioni – Movimentazioni di denaro mediante bonifici su conto corrente – Esclusione

Il contribuente che effettua movimentazioni di denaro verso l’estero mediante boni-fici su conto corrente non è sottoposto ad obblighi dichiarativi di monitoraggio fiscale ex art. 2, D.L. n. 167/1990. La disposizione riguarda esclusivamente i trasferimenti da o verso l’estero di denaro, certificati in serie o di massa o titoli realizzati attraverso sogget-ti non residenti senza il tramite di intermediari residenti.

(Omissis) FATTO E DIRITTO

Con sentenza pronunciata in data 20 maggio 2014 la Commissione Tributaria Provinciale di Treviso respingeva il ricorso, proposto da (omissis) contro provvedi-mento di irrogazione sanzioni, emesso a seguito della mancata compilazione del mo-dello RW, relativamente agli anni di imposta dal 2007 al 2010, sul presupposto che sussistesse in ogni caso a carico del contribuente l’obbligo della dichiarazione, perché la sua finalità era quella di “avere traccia delle operazioni effettuate da soggetti residen-ti, che avvalendosi di soggetti non residenti, si pongono al di fuori del circuito degli intermediari”.

Avverso tale sentenza presentava appello il contribuente e, nei motivi a sostegno del gravame, ne contestava il contenuto.

(Omissis) Ritiene il Collegio che l’appello del contribuente sia fondato e debba quindi essere

accolto, con la conseguenza che va riformata la sentenza emessa in primo grado. Deve sottolinearsi che nel caso di specie l’Ufficio ha proceduto ad effettuare

l’accertamento sulla base del contenuto di una Circolare la quale, come si sa, va consi-derata come una serie di indicazioni che l’Amministrazione fornisce ai suoi dipenden-ti, in modo che questi si adeguino a tali istruzioni.

Ovviamente, il contenuto della Circolare obbliga ad adeguarsi al suo contenuto so-

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 766

lo coloro che ne sono i diretti destinatari, non avendo tali norme carattere obbligatorio e cogente nei confronti di tutti i cittadini, come, invece, doveva considerarsi una legge o un atto avente forza e valore di legge.

A ciò, si deve aggiungere che peraltro esiste anche una apposita norma di legge, esattamente l’art. 6, comma 4, della Legge n. 212/2000, secondo la quale l’Ammini-strazione non può chiedere al contribuente documenti o informazioni che sono già in suo possesso o in possesso di altre amministrazioni.

Nel caso in esame, invero, il motivo per il quale è stato emesso l’atto impositivo ri-siede nella mancata compilazione, da parte del contribuente, del quadro RW del mo-dello UNICO relativo alle dichiarazioni dei redditi degli anni dal 2007 al 2010, relati-vamente a partecipazioni in due società di diritto estero, in sostanza, in tema di movi-mentazioni di denaro verso e dall’estero.

Il problema che si è posto all’attenzione riguarda essenzialmente due circostanze: la prima è che le movimentazioni di denaro risultano essere sempre avvenute tramite il circuito bancario, mediante bonifici sul conto corrente del contribuente; la seconda è che le disposizioni finanziarie in esame hanno riguardato finanziamenti non produttivi di reddito.

Poiché le movimentazioni di denaro sono sempre avvenute tramite bonifici sul conto corrente bancario, appare evidente che nel caso in esame non doveva trovare applicazione il disposto dell’art. 2 del D.L. n. 167/1990, secondo il quale l’indicazione sul quadro RW doveva essere fatta da coloro che avessero effettuato trasferimenti da o verso l’estero di denaro, certificati in serie o di massa o titoli attraverso non residenti, senza il tramite degli intermediari di cui all’art. 1 dello stesso Decreto.

In sostanza, l’Ufficio erroneamente ha applicato nella presente fattispecie la norma che era rivolta agli investitori che non si fossero serviti dei circuiti bancari nazionali per i loro movimenti di denaro da e verso l’estero.

Quanto alla seconda circostanza, cui sopra si accennava, l’Ufficio non poteva chie-dere al contribuente di fornire informazioni e documenti dei quali era (o, perlomeno, doveva essere) già in possesso, in considerazione del fatto che le banche, di cui si era servito il (omissis) per effettuare i movimenti di denaro da e per l’estero, erano tenute, ai sensi di quanto stabilito nell’art. 1 dello stesso Decreto Legge, ad evidenziare tutti i movimenti di denaro superiori all’ammontare di poco più di 10.000,00€, sicché l’Amministrazione Finanziaria era già in possesso di tutte le informazioni che riguar-davano i movimenti di denaro effettuati dall’appellante in relazione alle partecipazioni nelle due società di diritto estero.

Non può condividersi quanto affermato dall’Ufficio appellato circa il fatto che le suddette informazioni, quelle cioè riguardanti le movimentazioni di denaro superiori a (vecchie) 20.000.000£, da e verso l’estero, sarebbero state fornite all’Amministrazione Finanziaria solo su esplicita richiesta, dato che per le banche ciò era un vero e proprio obbligo, stabilito espressamente nell’art. 1 del D.L. n. 167/1990, nella versione in vi-gore dal giorno 1° luglio 1998 e fino al giorno 3 settembre 2013.

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Comm. Tributaria Regionale di Venezia-Mestre, sez. I, 19 maggio 2015, n. 874/1/15 767

Ulteriore motivo di perplessità nasce dall’osservazione che la normativa che l’Ufficio ha preso quale base per il suo operato è la Circolare n. 45 del 13 settembre 2010, ma questa stabiliva espressamente che il diverso e nuovo intendimento, in rela-zione alla pretesa dell’indicazione degli investimenti (ancorché infruttiferi e solo astrattamente e potenzialmente capaci di generare reddito), doveva considerarsi vale-vole dalla data di emissione della suddetta Circolare in avanti.

In buona sostanza, nel caso di specie risultano almeno tre ragioni che portano a considerare non condivisibile l’operato dell’Ufficio.

Il primo motivo di dissenso riguarda il fatto che l’Ufficio ha applicato alla presente fattispecie una normativa che, invece, doveva considerarsi emanata per quei soggetti che avessero effettuato investimenti all’estero senza servirsi di quegli intermediari cita-ti nell’art. 1 del menzionato D.L. n. 167/1990 (sostanzialmente le banche); in secon-do luogo, nell’avviso di accertamento ha lamentato la mancata compilazione del qua-dro RW, nel quale il contribuente avrebbe dovuto inserire notizie e documenti che già erano in suo possesso, considerato l’obbligo della segnalazione che incombeva alle banche per effetto di quanto disposto nella medesima norma appena sopra citata; infi-ne, per tre annualità, su quattro accertate, ha applicato retroattivamente (in violazione delle norme dettate dallo Statuto dei contribuenti, di cui alla Legge n. 212/2000, in tema di irretroattività delle disposizioni che comportano il pagamento di un tributo) le regole stabilite peraltro da una semplice Circolare ministeriale, fonte normativa se-condaria, le cui norme potevano obbligare solo i dipendenti.

Si deve concordare con quanto osservato dall’appellante sul fatto che la stessa Agenzia delle Entrate, in occasione della risposta data nell’anno 2005 ad un quesito che le era stato posto da un contribuente, con riferimento ai versamenti per finanzia-menti infruttiferi, tramite bonifici bancari, in favore di una società estera, aveva dichia-rato espressamente che non era necessaria la compilazione di nessuna delle sezioni delle quali era composto il quadro RW del Modello UNICO.

Invero, non si può condividere l’assunto dell’Ufficio, circa il fatto che non vi sia sta-to alcun cambio di interpretazione e che sia sempre stata considerata obbligatoria la compilazione del quadro RW, citando a tale proposito la Circolare n. 9 del 2002, dato che questa (si noti che si tratta di una Circolare che non può istituire un obbligo per tutti i contribuenti, la cui inosservanza venga punita con una grave sanzione pecunia-ria) non poteva certamente disporre in modo contrario a quanto stabilito dalla norma primaria (D.L. n. 167/90) e, in più, la citata Circolare n. 9/2002 si riferiva agli inve-stimenti fruttiferi e non a quelli infruttiferi.

Per la verità, lo stesso Ufficio, alla pagina 9 delle sue controdeduzioni, fa chiara-mente intendere che l’idea di rendere obbligatoria la compilazione del quadro RW del Modello UNICO è solo il frutto di una sua opinione, seppure la stessa possa conside-rarsi finalizzata allo scopo di rendere più incisivi “i presidi posti in ambito internazio-

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 768

nale a tutela del corretto adempimento degli obblighi tributari”. Sulla scorta di quanto precede, dunque, l’appello della parte contribuente deve

trovare accoglimento. (Omissis).

Il monitoraggio fiscale dei finanziamenti esteri infruttiferi

The “tax monitoring” discipline of foreign non-interest bearing loans

Abstract La nota a sentenza esamina la sottoponibilità a monitoraggio fiscale dei finan-ziamenti esteri infruttiferi, sia con riferimento alla detenzione degli stessi sia con riferimento ai trasferimenti che vi si riferiscono. Parole chiave: monitoraggio fiscale, finanziamenti infruttiferi, trasferimenti ver-so l’estero, logica reddituale, teoria della produttività astratta This paper examines the application of the so-called “tax monitoring” discipline to foreign non-interest bearing loans, both in relation to their ownership and to the relat-ed transactions. Keywords: “tax monitoring” rules, non-interest bearing loans, outgoing money trans-fers, income rationale, abstract productivity theory

SOMMARIO: 1. La fattispecie sub judice. – 2. Le due dimensioni del monitoraggio fiscale. – 3. Modulazione della disciplina del monitoraggio fiscale in ossequio alla sua ratio. Il vecchio regime: critica del-la teoria della produttività astratta. – 4. (Segue). La legge europea 2013. Affievolimento della logica reddituale. – 5. Note conclusive.

1. La fattispecie sub judice

La Commissione Tributaria Regionale di Venezia-Mestre, con la sentenza pro-

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Comm. Tributaria Regionale di Venezia-Mestre, sez. I, 19 maggio 2015, n. 874/1/15 769

posta in epigrafe, si pronuncia sulla estensione degli obblighi dichiarativi di moni-toraggio fiscale 1.

I fatti di causa risalgono al 2007. A partire da quell’anno, un contribuente per-sona fisica, residente nel territorio dello Stato italiano, eseguì plurimi trasferimenti verso l’estero di denaro mediante bonifici su c/c. La causa delle movimentazioni finanziarie si ricollegava a rapporti di finanziamento infruttifero, contratti tra il contribuente medesimo e due società di diritto estero partecipate da quest’ultimo.

L’elemento controverso della vicenda, da cui trae origine il successivo iter pro-cessuale, riguardò il mancato assolvimento, per gli anni di imposta 2007-2010, de-gli obblighi di monitoraggio fiscale da parte del disponente. L’Agenzia contestò a quest’ultimo la mancata esposizione nel modello RW (da allegarsi alle dichiara-zioni dei redditi dei periodi di imposta considerati) dei versamenti per finanzia-menti infruttiferi concessi dallo stesso in qualità di socio alle due società predette: secondo la ricostruzione dell’Ufficio, i trasferimenti erano stati realizzati avvalen-dosi di soggetti non residenti senza il tramite di intermediari residenti; come tali, essi erano rilevanti ex art. 2, D.L. n. 167/1990.

Il processo di primo grado avverso provvedimento di irrogazione sanzioni per omessa compilazione del modello RW si concludeva con sentenza di rigetto: per la Commissione tributaria provinciale i trasferimenti erano avvenuti al di fuori del circuito degli intermediari, e dunque sussisteva in capo al ricorrente l’obbligo di dichiararli in RW, ex art. 2 cit.

La sentenza di primo grado viene riformata in appello. La Commissione Re-gionale accoglie le doglianze del contribuente e afferma:

[I] l’art. 2, D.L. n. 167/1990 si applica ai trasferimenti da o verso l’estero di de-naro, titoli, certificati in serie o di massa, attraverso non residenti che siano realiz-zati senza il tramite degli intermediari residenti ex art. 1 D.L. cit., con esclusione dei trasferimenti avvenuti tramite bonifici su c/c;

[II] l’Ufficio non può esigere dal contribuente informazioni e documenti di cui sia già, o dovrebbe essere, in possesso: nel caso di trasferimenti verso l’estero rea-lizzati tramite intermediari residenti, le informazioni relative a dette movimenta-zioni sono messe a disposizione dell’Amministrazione finanziaria ex art. 1 D.L. cit. da parte degli intermediari coinvolti;

[III] la detenzione di finanziamenti infruttiferi esteri ricade entro la disciplina di monitoraggio fiscale solo a partire dal periodo di imposta 2010.

1 La disciplina del monitoraggio fiscale è contenuta nel D.L. 18 giugno 1990, n. 167, recante “Ri-levazioni a fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori”, in G.U. 30 giu-gno 1990 n. 151, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 1990 n. 227.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 770

2. Le due dimensioni del monitoraggio fiscale

Le strategie di allocazione reddituale e patrimoniale dei contribuenti rispondo-no ormai a logiche sovranazionali. Il fenomeno presenta due matrici. La prima è di carattere economico internazionale: l’Economic Globalisation 2, che coniuga ele-menti valoriali indiscussi (su tutti, il raggiungimento di livelli di crescita e benesse-re prima ignoti) a profili di criticità ingiustificabili (diseguaglianza nella distribu-zione delle risorse e dei patrimoni; dumping tra ordinamenti) 3. La seconda matrice è di carattere politico-istituzionale comunitario: la liberalizzazione valutaria, impo-sta dalle istituzioni europee al fine di realizzare compiutamente il mercato interno incentrato sulla tutela della libera circolazione dei fattori produttivi 4.

Il sistema tributario interno risente delle dinamiche suindicate, nella misura in cui queste ultime sono in grado di alterare il meccanismo fisiologico di adempi-mento del tributo da parte del soggetto passivo 5. Il legislatore tributario deve af-frontare due distinti problemi:

[I] l’evasione fiscale originaria, commessa da contribuenti residenti (worldwide taxation principle) e non residenti (source-based taxation principle), i quali realizza-no in Italia fatti indice di capacità contributiva, non adempiono agli obblighi di-chiarativi, di liquidazione e versamento ad essi connessi, e ne occultano all’estero i relativi frutti;

[II] l’evasione fiscale derivata, riferita ai soli soggetti residenti, scomponibile in due sotto-problemi: la mancata dichiarazione dei redditi ritratti dalle consistenze

2 Si v. COMBA, Neoliberismo e globalizzazione dell’economia, in Neoliberismo internazionale e global economic governance. Sviluppi istituzionali e nuovi strumenti2, a cura di Comba, Torino, 2013, p. 1 ss.; HIRST-THOMPSON, La globalizzazione dell’economia, Roma, 1997. Si v. anche CASSESE, Lo spazio giu-ridico globale, Bari, 2003, p. 3 ss.

3 Sulla doppia valenza del fenomeno dell’internazionalizzazione delle attività economiche, si v. BUCCISANO, Cooperazione amministrativa internazionale in materia fiscale, in Riv. dir. trib., 2012, I, p. 670; MASSINO, La cooperazione internazionale in materia fiscale, in Riv. dir. trib. int., 2009, p. 205.

4 La Direttiva del Consiglio 24 giugno 1988 n. 88/361/CEE, “Per l’attuazione dell’articolo 67 del Trattato”, in G.U.C.E. 8 luglio 1988 n. L 178, impose agli Stati membri l’eliminazione di qualsia-si ostacolo alla libera circolazione di capitali e ai pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati mem-bri e Paesi terzi. L’Italia recepì la Direttiva attraverso l’adozione del Decreto interministeriale 27 aprile 1990 del Ministro del Commercio con l’estero e del Ministro del Tesoro, recante “Disposi-zioni in materia valutaria”, in G.U. 2 maggio 1990 n. 100. Il decreto determinò la fine del monopolio dei cambi e l’eliminazione di ogni forma di controllo valutario sulle movimentazioni transfrontaliere di capitali. Sulla liberalizzazione valutaria si v. AA.VV., La liberalizzazione valutaria in Italia ed il “monitoraggio” fiscale, Bellinzona, 1991; ORLANDINI, Il monitoraggio fiscale, Rimini, 1995, p. 15 ss.; A. SANTA MARIA, Prime considerazioni in merito alla nuova disciplina legislativa sul rientro dei capitali e sulla emersione delle attività detenute all’estero, in Dir. prat. trib., 2001, I, p. 765 s. in nt. 1.

5 Si v. GERELLI, Il fantasma della globalizzazione e la realtà dei sistemi tributari negli anni 2000, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1997, 4, I, p. 449 ss. Si v. altresì TANZI, Globalizzazione e sistemi fiscali, Arezzo, 2002, p. 49 ss.

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Comm. Tributaria Regionale di Venezia-Mestre, sez. I, 19 maggio 2015, n. 874/1/15 771

patrimoniali e finanziarie estere, da un lato, e il mancato adempimento dell’obbli-gazione tributaria di carattere patrimoniale recentemente introdotta su tali consi-stenze, dall’altro 6.

La disciplina domestica del monitoraggio fiscale costituisce strumento unilate-rale interno, destinato a regolare le conseguenze fiscali negative che derivano dal rinnovato contesto economico e valutario transnazionale.

Il D.L. n. 167/1990 ha storicamente rivolto la sua attenzione a due distinti ele-menti: uno dinamico (i trasferimenti) e uno statico (la detenzione di consistenze patrimoniali e finanziarie estere).

1. I trasferimenti. Fino alla data di entrata in vigore della L. 6 agosto 2013, n. 97 7, il monitoraggio fiscale coinvolgeva diversi tipi di trasferimenti. Le persone fi-siche, gli enti non commerciali, le società semplici e i soggetti ad esse equiparati ex art. 5, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 8 residenti in Italia dovevano dichiarare:

[I] i trasferimenti da o verso l’estero di denaro, certificati in serie o di massa o titoli, effettuati attraverso non residenti, senza il tramite di intermediari residenti, qualora di importo complessivo superiore a € 10.000,00 9;

[II] i trasferimenti da, verso e sull’estero che nel corso dell’anno hanno interes-sato gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria, qualora di importo complessivo superiore a € 10.000,00 10.

Ricadevano inoltre nella disciplina de qua:

6 L’art. 19, commi da 13 a 23, D.L. 6 dicembre 2011 n. 201, recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”, in G.U. 6 dicembre 2011 n. 284 – S.O. n. 251, convertito con modificazioni dalla L. 22 dicembre 2011 n. 214, ha introdotto l’imposta sul va-lore degli immobili all’estero (IVIE) e l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE).

7 L. 6 agosto 2013, n. 97, recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea” (Legge europea 2013), in G.U. 20 agosto 2013, n. 194.

8 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante “Approvazione del testo unico delle imposte sui red-diti”, in G.U. 31 dicembre 1986, n. 302.

9 Ex art. 2, comma 1, D.L. n. 167/1990: «Le persone fisiche, gli enti non commerciali, nonché le società semplici e associazioni equiparate ai sensi dell’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, residenti in Italia, che effettuano trasferimenti da o verso l’estero di denaro, certificati in serie o di massa o titoli attraverso non residenti, senza il tramite degli intermediari di cui all’articolo 1, sono tenuti a indicare i trasferimenti medesimi nella dichiarazione annuale dei redditi quando risultano superati gli importi indicati nel comma 5 dell’articolo 4, ovvero nel comma 2 dell’articolo 5».

10 Ex art. 4, comma 2, D.L. n. 167/1990: «Nella dichiarazione dei redditi deve essere altresì in-dicato l’ammontare dei trasferimenti da, verso e sull’estero che nel corso dell’anno hanno interessa-to gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria. Tale obbligo sussiste anche nel caso in cui al termine del periodo di imposta i soggetti non detengono investimenti e attività finan-ziarie della specie».

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 772

[III] i trasferimenti di denaro verso l’estero eseguiti da soggetti non residenti tramite intermediari residenti 11;

[IV] i trasferimenti al seguito ovvero mediante plico postale o equivalente di denaro contante di valore superiore a € 10.000,00 da chiunque eseguiti 12.

Accanto a queste forme di monitoraggio, che si realizzavano tramite specifica dichiarazione da parte del contribuente, si aggiungeva una forma di monitoraggio effettuata dagli intermediari residenti: essi erano sottoposti ad obbligo di evidenza e segnalazione dei trasferimenti da e verso l’estero di denaro, titoli o certificati in serie o di massa, realizzati per conto di soggetti residenti, purché di importo com-plessivo superiore a € 10.000,00 13.

2. Le consistenze estere. Quanto al profilo statico, ogni contribuente residente in Italia 14 è tenuto ad esporre in dichiarazione tributaria gli investimenti all’estero e le

11 Ex art. 1 Decreto del Ministro delle Finanze 8 agosto 1990, recante “Criteri per la documenta-zione dei trasferimenti all’estero da parte di non residenti di denaro, titoli e valori”, in G.U. 10 ago-sto 1990 n. 186: «Le persone fisiche, gli enti non commerciali e i soggetti indicati nell’art. 5 del te-sto unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 di-cembre 1986, n. 917, non residenti nel territorio dello Stato, che versano denaro nei propri conti devono fornire, anche in copia, agli intermediari di cui all’art. 1, comma 1, del decreto legge 28 giu-gno 1990, n. 167, convertito nella legge 4 agosto 1990, n. 227, la relativa attestazione doganale, qua-lora il denaro sia stato precedentemente importato, ovvero, in tutti gli altri casi, la documentazione concernente l’operazione sottostante. La stessa disposizione si applica alle operazioni di acquisto di titoli o valori mobiliari regolate in denaro. Analoga attestazione o documentazione deve essere for-nita dai soggetti non residenti sopra menzionati che chiedono il trasferimento all’estero di denaro, titoli o valori mobiliari consegnati ai predetti intermediari».

12 Ex art. 3, D.Lgs. 19 novembre 2008, n. 195, recante “Modifiche ed integrazioni alla normativa in materia valutaria in attuazione del regolamento (CE) n. 1889/2005”, in G.U. 13 dicembre 2008, n. 291: «1. Chiunque entra nel territorio nazionale o ne esce e trasporta denaro contante di importo pari o superiore a 10.000 euro deve dichiarare tale somma all’Agenzia delle dogane. L’obbligo di dichiarazione non è soddisfatto se le informazioni fornite sono inesatte o incomplete. […] 3. Il comma 1 si applica anche a tutti i trasferimenti di denaro contante, da e verso l’estero, effettuati me-diante plico postale o equivalente […]».

13 Ex art. 1, comma 1, D.L. n. 167/1990: «Le banche, le società di intermediazione mobiliare e l’Ente poste italiane mantengono evidenza, anche mediante rilevazione elettronica, dei trasfe-rimenti da o verso l’estero di denaro, titoli o certificati in serie o di massa, di importo superiore a 20 milioni, effettuati, anche attraverso movimentazione di conti o mediante assegni postali, ban-cari e circolari, per conto o a favore di persone fisiche, enti non commerciali e di società semplici e associazioni equiparate ai sensi dell’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approva-to con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, residenti in Italia. Tali evidenze riguardano le generalità o la denominazione o la ragione sociale, il domicilio, il codice fiscale del soggetto residente in Italia per conto o a favore del quale è effettuato il trasferimento, nonché la data, la causale e l’importo del trasferimento medesimo e gli estremi identificativi degli eventuali conti di destinazione».

14 Gli obblighi di monitoraggio fiscale selettivo in commento, disciplinati dall’art. 4, comma 1, primo periodo, D.L. n. 167/1990, si applicano esclusivamente a persone fisiche, enti non commer-ciali, società semplici e soggetti ad esse equiparati ex art. 5, D.P.R. n. 917/1986, che siano residenti

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Comm. Tributaria Regionale di Venezia-Mestre, sez. I, 19 maggio 2015, n. 874/1/15 773

attività estere di natura finanziaria detenuti (rectius, posseduti in senso tributario) nel periodo di imposta, purché siano suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia 15.

La sentenza proposta in epigrafe si muove all’interno della prima dimensione; tuttavia, la bontà della soluzione offerta emerge solo previa esegesi della seconda forma di monitoraggio fiscale.

La ragione è sistematica. L’art. 2, D.L. n. 167/1990, nella formulazione applicabile ratione temporis, si rife-

riva esclusivamente alle c.d. “operazioni correnti”, ossia a quelle operazioni concluse per cause differenti dagli investimenti ed attività estere di natura finanziaria. L’assun-to era pacifico 16: se era vero che la lettera della disposizione sembrava ricomprende-re tutti i trasferimenti, indipendentemente dalla loro causale, era però anche vero che l’art. 4, comma 2, D.L. cit. tornava a considerare una specifica categoria di trasfe-rimenti (i “flussi”, per tali intendendosi ogni forma di trasferimento il cui impiego all’estero sia sussumibile entro la categoria di “investimento all’estero” o “attività estera di natura finanziaria”); pertanto, onde evitare duplicazioni dichiarative insen-sate 17, si desumeva in via ermeneutica che il disposto dell’art. 4, comma 2, cit. concor-resse a delimitare, dall’esterno, il perimetro applicativo dell’art. 2 cit. Ne seguiva che:

a) se il trasferimento era qualificabile come flusso, ricadeva esclusivamente en-tro la fattispecie ex art. 4, comma 2, cit., e doveva essere indicato in apposita sezio-ne del modello RW, indipendentemente dalle modalità con cui era stato effettuato (esso doveva essere esposto in dichiarazione sia nel caso in cui fosse realizzato dal soggetto direttamente, sia nel caso in cui fosse posto in essere indirettamente per il tramite di intermediari residenti 18, sia infine nel caso in cui fosse operato tramite soggetti non residenti); nel territorio della Repubblica ex art. 2 (persone fisiche), art. 5, comma 3, lett. d) (società semplici ed equiparate), art. 73 (enti non commerciali) D.P.R. cit.

15 Ex art. 4, comma 1, D.L. n. 167/1990: «Le persone fisiche, gli enti non commerciali e le socie-tà semplici ed equiparate ai sensi dell’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al de-creto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi».

16 Si v. LABOMBARDA, Il monitoraggio fiscale degli investimenti all’estero, in AA.VV., Manuale di fi-scalità internazionale5, Milanofiori Assago, 2012, p. 1395; ESCALAR, (voce) Monitoraggio fiscale, in Enc. giur. Treccani, vol. XXIII, Roma, 1997; ID., Monitoraggio fiscale e dichiarazione delle attività estere di natura finanziaria e degli investimenti all’estero, in Rass. trib., 1995, p. 840 ss.; CAROLI, I trasferimenti attraverso non residenti nel “monitoraggio fiscale”, in Riv. dir. trib., 1992, I, p. 473 ss.

17 Tali per cui un flusso avrebbe dovuto essere oggetto di monitoraggio fiscale dapprima ex art. 2, D.L. n. 167/1990 (e dunque essere riportato nella Sezione I del modello RW), dipoi ex art. 4, com-ma 2, D.L. cit. (e conseguentemente essere esposto nella Sezione III del medesimo modello RW).

18 Salvo il ricorrere di una delle ipotesi di esonero oggettivo ex art. 4, comma 4, D.L. n. 167/1990, a mente del quale: «Gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi previsti nei commi 1 e 2

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 774

b) se il trasferimento era operazione corrente, ricadeva entro la fattispecie ex art. 2 D.L. cit., e doveva essere indicato nel modello RW a condizione che nell’ope-razione non fosse intervenuto un intermediario residente.

È chiaro allora che la diversa graduazione degli obblighi di monitoraggio sui trasferimenti ruoti attorno alle nozioni di investimento all’estero e di attività estera di natura finanziaria, che siano suscettibili di produrre reddito imponibile in Italia.

La Commissione regionale, con la sentenza annotata, annulla gli avvisi di accer-tamento impugnati. I giudici ritengono che i versamenti per finanziamenti infrutti-feri siano qualificabili come “operazione corrente”, sul presupposto, non esplicita-to nel testo della sentenza ma ineliminabile, secondo cui i finanziamenti infruttiferi non possano ritenersi attività estera di natura finanziaria suscettibile di produrre reddito imponibile in Italia. Dovendo applicarsi nella fattispecie concreta l’art. 2, D.L. n. 167/1990 e non l’art. 4, comma 2, D.L. medesimo, assume rilievo dirimen-te la circostanza che i versamenti furono effettuati tramite bonifico su conto cor-rente, ossia con intervento di un intermediario residente. Ciò esclude la sussisten-za in capo al contribuente di qualsivoglia forma di obbligo dichiarativo di monito-raggio fiscale 19-20.

non sussistono per le attività finanziarie e patrimoniali affidate in gestione o in amministrazione agli intermediari residenti e per i contratti comunque conclusi attraverso il loro intervento, qualora i flussi finanziari e i redditi derivanti da tali attività e contratti siano riscossi attraverso l’intervento degli intermediari stessi».

19 «(…) le movimentazioni di denaro risultano essere sempre avvenute tramite il circuito ban-cario, mediante bonifici sul conto corrente del contribuente (…) Poiché le movimentazioni di de-naro sono sempre avvenute tramite bonifici sul conto corrente bancario, appare evidente che nel caso in esame non doveva trovare applicazione il disposto dell’art. 2 del D.L. n. 167/1990, secondo il quale l’indicazione sul quadro RW doveva essere fatta da coloro che avessero effettuato trasferi-menti da o verso l’estero di denaro, certificati in serie o di massa o titoli attraverso non residenti, senza il tramite degli intermediari di cui all’art. 1 dello stesso Decreto. (…) In sostanza, l’Ufficio erroneamente ha applicato nella presente fattispecie la norma che era rivolta agli investitori che non si fossero serviti dei circuiti bancari nazionali per i loro movimenti di denaro da e verso l’estero. (…) l’Ufficio ha applicato alla presente fattispecie una normativa che, invece, doveva considerarsi ema-nata per quei soggetti che avessero effettuato investimenti all’estero senza servirsi di quegli interme-diari citati nell’art. 1 del menzionato D.L. 167/1990 (sostanzialmente le banche)».

20 A latere si osserva che quand’anche nel caso concreto non fosse intervenuto, nella movimenta-zione di denaro verso l’estero, un intermediario residente, la mancata esposizione del trasferimento in dichiarazione ex art. 2 D.L. cit. non avrebbe più costituito violazione punibile. La L. n. 97/2013 ha disposto, a decorrere dal periodo di imposta 2013, l’abrogazione degli obblighi di monitoraggio sia sulle operazioni correnti (l’art. 2, D.L. n. 167/1990 è stato riscritto dall’art. 9, comma 1, lett. b), L. n. 97/2013, e oggi non si occupa più di operazioni correnti) sia sui flussi (l’art. 9, comma 1, lett. c), L. n. 97/2013 ha modificato l’art. 4, D.L. n. 167/1990, sopprimendo il monitoraggio sui flussi). Seguono effetti sul trattamento sanzionatorio. La giurisprudenza insegna che le sanzioni previste ex art. 5, D.L. n. 167/1990 per le ipotesi di violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale hanno na-tura giuridica di sanzioni tributarie. Le ragioni sono storiche: la liberalizzazione valutaria ha segnato il definitivo superamento del sistema di diritto valutario preesistente; l’abbattimento dei controlli

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Comm. Tributaria Regionale di Venezia-Mestre, sez. I, 19 maggio 2015, n. 874/1/15 775

Il decisum è condivisibile o errato a seconda che si ritengano riconducibili o meno alla categoria di “attività estera di natura finanziaria attraverso cui possono essere conseguiti redditi imponibili” i finanziamenti infruttiferi.

valutari ha creato specifiche esigenze fiscali. Gli interessi tutelati, le finalità perseguite dalla normati-va sul monitoraggio fiscale sono nettamente distinte rispetto alle previgenti fonti normative: il focus non è più centrato sul controllo rigoroso e limitante dei flussi di capitali verso l’estero, ma sulla cor-retta ricostruzione della capacità contributiva del contribuente.

Si v. Cass., sez. V, sent. 23 ottobre 2013, n. 24009; Cass., sez. V, sent. 18 febbraio 2009, n. 3830; Cass., sez. V, sent. 4 luglio 2003, n. 10607, in Dialoghi trib., 2004, II, p. 851 ss., con nota conforme di SEPIO-LUPI, Sulla natura tributaria delle sanzioni previste per le violazioni degli obblighi di monitoraggio dei rapporti finanziari con l’estero. Si v. anche Cass., sez. V, sent. 11 giugno 2004, n. 11170, che intro-duce una distinzione tra sanzioni ex art. 5, D.L. n. 167/1990 e sanzioni ex artt. 6 e 9, D.Lgs. n. 195/2008 (queste ultime hanno natura valutaria: come tali, ad esse non si applicano gli istituti pre-visti dal D.Lgs. n. 472/1997 che non trovino corrispondenza nella L. 24 novembre 1981, n. 689, recante “Modifiche al sistema penale”, in G.U. 30 novembre 1981, n. 329 – S.O., o nel D.P.R. 31 marzo 1988, n. 148, recante “Approvazione del testo unico delle norme di legge in materia valuta-ria”, in G.U. 10 maggio 1988, n. 108 – S.O. n. 40).

La natura tributaria delle sanzioni ex art. 5, D.L. n. 167/1990 implica l’applicabilità dei principi generali dettati dal D.Lgs. n. 472/1997 in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie (si v. CTR Lombardia, sez. XXXII, sentenza 23 febbraio 2015, n. 594/32/15; CTR Lombardia, sez. VIII, sent. 9 gennaio 2014, n. 46/8/13). Il primo principio generale applicabile è il principio di legalità, ex art. 3, D.Lgs. n. 472/1997, il quale, accanto al principio nulla poena sine lege, codificato nel comma 1, contiene al suo interno il principio del favor rei, declinato in termini di abo-litio criminis (art. 3, comma 2) e lex mitior (art. 3, comma 3).

Si v. sul tema MARONGIU, Le sanzioni amministrative tributarie: dall’unità al doppio binario, in Riv. dir. trib., 2004, I, p. 395 s..; ID., La nuova disciplina delle sanzioni amministrative tributarie, in Dir. prat. trib., 1998, I, p. 270 s. Si v. altresì DEL FEDERICO, Introduzione alla riforma delle sanzioni amministra-tive tributarie: i principi sostanziali del D.lgs. n. 472/1997, in Riv. dir. trib., 1999, I, p. 107 ss.

Ebbene, attesa l’abrogazione, per cura della L. n. 97/2013, degli obblighi di monitoraggio su operazioni correnti e flussi, l’omessa o infedele compilazione delle Sezioni I e III del modello RW commessa dal contribuente prima dell’entrata in vigore della legge de qua (ossia il 4 settembre 2013) non costituisce più violazione punibile: in applicazione dell’art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997 non possono più trovare applicazione le sanzioni in precedenza previste.

Si v. CTR Toscana, sez. XIII, sent. 9 luglio 2015, n. 1250/13/15; Comm. trib. di primo grado di Bolzano, sez. II, sent. 13 gennaio 2014, n. 6/2/2013; CTP Aosta, sez. II, sent. 16 dicembre 2013, n. 29/2/2013. Contraddittoria ed illogica appare invece Comm. trib. di secondo grado Trentino-Alto Adige, sez. II, sent. 16 febbraio 2015, n. 27/2/15: la Corte dapprima afferma, in modo del tutto arbi-trario e non condivisibile, che «Relativamente agli effetti delle modifiche normative apportate con L. n. 97 del 2013 si prende atto che la medesima abbia abolito le Sezioni I e III del quadro RW, la-sciando vigente la sezione II del quadro RW […] ma ciò soltanto a partire dall’entrata in vigore del-la legge; sotto tale aspetto pertanto le violazioni commesse dal contribuente per gli anni dal 2002 al 2009 non sono state affatto abolite», con ciò escludendo l’applicabilità, in subiecta materia, del prin-cipio del favor rei nella versione abolitio criminis; dipoi giudica corretto il calcolo operato dall’Ufficio delle sanzioni dovute in ossequio ai principi «del Favor Rei e del cumulo giuridico» (calcolo opera-to in osservanza del nuovo disposto dell’art. 5, D.L. n. 167/1990, come modificato dalla L. n. 97/2013, dunque in applicazione del principio di favor rei nella versione lex mitior).

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 776

3. Modulazione della disciplina del monitoraggio fiscale in ossequio alla sua ra-tio. Il vecchio regime: critica della teoria della produttività astratta

La linearità nel tempo del monitoraggio fiscale sui finanziamenti infruttiferi è stata interrotta dalla L. n. 97/2013. Fino al periodo di imposta 2012, il tema dove-va essere risolto in senso recisamente negativo; a partire dal periodo di imposta 2013, la soluzione non è più così netta.

Prima che intervenisse la legge europea 2013, i finanziamenti infruttiferi non soddisfacevano i requisiti posti dalla legge per il sorgere degli obblighi di monito-raggio: essi non potevano in alcun modo ritenersi «attività estera di natura finan-ziaria attraverso cui possono essere conseguiti redditi […] imponibili in Italia» (art. 4, comma 1, D.L. n. 167/1990).

Il finanziamento infruttifero è tale (ossia strutturalmente improduttivo di red-dito) in ragione di specifiche condizioni contrattuali retrostanti la dazione di dena-ro dal socio alla società. La struttura del negozio prevede, quale sua componente identitaria essenziale, la non onerosità della dazione per il ricevente.

In astratto, nulla vieta che, in un determinato momento, le parti interessate in-tervengano sulla articolazione contrattuale, rendendo il finanziamento fruttifero di interessi (e dunque bene «attraverso cui possono essere conseguiti redditi impo-nibili in Italia»); ma l’eventuale futura rideterminazione di questo elemento com-porta evidentemente un effetto novativo ex art. 1230 c.c. sull’originaria obbliga-zione 21. Si tratta, in particolare, di novazione oggettiva reale, in presenza di un ali-quid novi sull’oggetto.

Non è invocabile, nel caso di specie, il principio della inidoneità novativa ri-spetto all’obbligazione fondamentale di ogni modificazione accessoria, ex art. 1231 c.c. 22. La dottrina civilistica precisa infatti che devono ritenersi accessorie tutte quelle modifiche – e solo quelle – che non incidono sulla identità strutturale e fun-zionale dell’obbligazione 23; occorre avere riguardo alla complessiva “composizio-ne contenutistica del rapporto”, di modo che debbono qualificarsi accessorie quel-le sole modifiche della prestazione dedotta in obbligazione che conducano a un giudizio di diversità marginale e non significativa tra la prior e la posterior obligatio;

21 Correttamente CALÌ, Modalità di emersione e presupposto oggettivo dello scudo fiscale, in Corr. trib., 2009, p. 3506 ss.

22 Art. 1231 c.c.: «Il rilascio di un documento o la sua rinnovazione, l’apposizione o l’elimina-zione di un termine e ogni altra modificazione accessoria dell’obbligazione non producono nova-zione».

23 Si v. NOBILI, Le obbligazioni, Milano, 2008, p. 150. Si v. anche MAFFEIS-FONDRIESCHI-ROMEO, I modi di estinzione delle obbligazioni, in Trattato di diritto civile. Le obbligazioni, diretto da Sacco, vol. IV, Torino, 2012, p. 19 s.; P. PERLINGIERI-FERRONI, Manuale di diritto civile6, Napoli, 2007, p. 261.

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Comm. Tributaria Regionale di Venezia-Mestre, sez. I, 19 maggio 2015, n. 874/1/15 777

una diversità che non incide sul concreto assetto di interessi coinvolti 24. Ebbene, non è revocabile in dubbio che il mutamento del rapporto di indebitamento della società da infruttifero a fruttifero incida direttamente su un elemento essenziale dell’obbligazione pre-esistente: la non onerosità del negozio è un connotato fon-damentale dell’obbligazione, fissa un certo assetto di interessi indubbiamente non equiparabile al diverso articolarsi degli interessi proprio di un negozio oneroso. E l’assunto giurisprudenziale secondo cui il concetto di “interesse” esprimerebbe ex se il principio di accessorietà rispetto alla obbligazione principale costituita dal ca-pitale 25 va inteso nel senso di una accessorietà esclusivamente genetica (nel senso che non può aversi interesse senza capitale), non strutturale; non ogni modifica-zione dell’obbligazione rispetto all’interesse è meramente accessoria: lo è – al più – una modificazione quantitativa, non certamente un mutamento qualitativo.

In ragione dell’effetto novativo in oggetto, gli obblighi di monitoraggio fiscale sussistono solo e soltanto sul novato finanziamento fruttifero, ex nunc. Il finanzia-mento dovrà essere dichiarato in RW se e quando sarà fruttifero; non prima.

Sul punto specifico, la giurisprudenza non ha offerto elementi interpretativi univoci. In particolare, alcune Corti di merito hanno ritenuto che i finanziamenti infruttiferi dovessero essere esposti nel modello RW per il monitoraggio fiscale 26; altre Corti di merito hanno invece ritenuto preferibile accedere alla opposta tesi 27. In entrambi i casi, però, si tratta di decisioni non pienamente condivisibili: i giudici negano, o affermano, la sussistenza degli obblighi di monitoraggio fiscale sui finan-ziamenti de quibus come conseguenza della non riconducibilità, o riconducibilità, degli stessi entro la categoria dei beni “astrattamente produttivi di reddito”.

La teoria della produttività astratta o meramente potenziale del cespite estero è stata formulata dall’Amministrazione finanziaria in sede di esegesi dell’inciso «su-scettibili di produrre redditi imponibili in Italia» 28 contenuto nell’art. 4, comma 1,

24 In questi termini DORIA, La novazione dell’obbligazione, in Trattato di diritto civile e commercia-le, diretto da Cicu, Messineo e Mengoni, Milano, 2012, p. 86 ss.

25 Si v. Cass., sez. II, sent. 15 aprile 2010, n. 9082; Cass., sez. II, sent. 27 novembre 2009, n. 25047.

26 Si v. CTR Veneto, sez. VII, sent. 7 settembre 2015, n. 1332/7/15; CTP Treviso, sez. IX, sent. 25 giugno 2014, n. 508/9/14.

27 Si v. CTR Trentino-Alto Adige, sez. II, sent. 12 giugno 2014, n. 48/2/14; CTP Lecco, sez. I, sent. 2 novembre 2011, n. 242/1/11. Afferma inoltre che i finanziamenti infruttiferi non debbano ricadere in dichiarazione per il monitoraggio fiscale DEL FEDERICO, Versamenti soci da parte di perso-ne fisiche residenti in Italia in società all’estero e monitoraggio fiscale, in Il fisco, 2004, p. 6784 ss.

28 Rectius, del suo antecedente storico applicabile ratione temporis. La previgente formulazione dell’art. 4, comma 1, D.L. n. 167/1990 assoggettava a monitoraggio i beni esteri «attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia». La recente modifica di tale disposizione, operata dall’art. 9, comma 1, lett. c), L. n. 97/2013, non ha portato l’Ufficio a rivedere la propria tesi sulla produttività astratta (sull’assunto di una equivalenza logica tra beni «attraverso cui possono essere conseguiti redditi» e beni «suscettibili di produrre reddito»). Ciò che muta è la

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 778

D.L. n. 167/1990. In numerosi documenti di prassi, l’Agenzia ha affermato che, a partire dal periodo di imposta 2009 (non 2010, come riporta erroneamente la sen-tenza annotata), i contribuenti sono tenuti ad indicare nel Modello RW tutti gli investimenti esteri, patrimoniali e finanziari, indipendentemente dalla loro effetti-va produttività; ciò che rileva è l’idoneità astratta del bene a produrre reddito, la sua attitudine produttiva. E si è aggiunto, con riferimento alle attività estere di na-tura finanziaria, che esse devono essere esposte in dichiarazione per il monitorag-gio fiscale sempre e comunque, in quanto produttive, con presunzione ope legis, di redditi imponibili in Italia 29.

La tesi della produttività astratta è concettualmente errata ed intrinsecamente contraddittoria.

Essa vorrebbe ergersi a criterio discretivo in una classificazione dicotomica del-l’esistente: accanto a beni che possono essere, anche solo in potenza, produttivi (i soli rilevanti a fini di monitoraggio fiscale) si darebbero beni che non possono mai essere forieri di reddito nei confronti del rispettivo titolare della fonte giuridica.

Ebbene, così non è. Posto che, nella ricostruzione dell’Ufficio, per assunto in-dimostrato tutte le attività finanziarie devono ritenersi ricomprese nella categoria de qua, l’unico terreno di potenziale differenziazione sarebbe rappresentato dagli investimenti all’estero. Tuttavia, a ben considerare, tutti i beni in rerum natura pos-sono produrre reddito; non esiste bene strutturalmente ed irrevocabilmente im-produttivo: la produttività può realizzarsi, per ciascuno di essi, o nel momento del suo godimento (eventualmente attraverso la sua concessione in uso a terzi a titolo oneroso), oppure nel momento traslativo di – eventuale – cessione plusvalente a terzi a titolo oneroso, quando ne sia normativamente prevista l’imponibilità.

La focalizzazione mirata sulla produttività astratta nei fatti estende gli obblighi di monitoraggio fiscale a tutti i beni esteri indiscriminatamente. L’Ufficio oblitera in via interpretativa un inciso legislativo («attraverso cui possono essere consegui- natura del reddito ritraibile dal bene estero: la previgente disposizione richiedeva, ai fini della sussi-stenza dell’obbligo dichiarativo di monitoraggio, che il bene potesse produrre «redditi di fonte este-ra» imponibili in Italia; la disposizione attuale è più generica, riferendosi ai «redditi» imponibili in Italia.

29 Si v. Agenzia delle Entrate, circolare 23 dicembre 2013, n. 38, p. 34 ss. Si v. anche Agenzia del-le Entrate, circolare 13 marzo 2015, n. 10, p. 16; Agenzia delle Entrate, circolare 13 settembre 2010, n. 45, p. 10 ss.; Agenzia delle Entrate, circolare 23 novembre 2009, n. 49, p. 9; Agenzia delle Entrate, circolare 10 ottobre 2009, n. 43, p. 14.

L’Ufficio insiste tutt’oggi sulla bontà della sua ricostruzione, confermando la tesi della produtti-vità astratta in documenti di prassi incentrati sulla disciplina della c.d. voluntary disclosure (ex L. 15 dicembre 2014, n. 186, recante “Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di au-toriciclaggio”, in G.U. 17 dicembre 2014, n. 292). Si v. Agenzia delle Entrate, circolare 28 agosto 2015, n. 31, p. 6; Agenzia delle Entrate, circolare 13 marzo 2015, n. 10, p. 14 s. per gli investimenti all’estero, p. 16 in nt. 4 per le attività estere di natura finanziaria.

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ti redditi di fonte estera imponibili in Italia») chiarissimo, insuperabile e soprat-tutto centrale in tutta la ricostruzione della disciplina ex D.L. n. 167/1990: esso racchiude al suo interno l’intima e pura voluntas legis, che è quella di una piena e perfetta tax compliance del contribuente in ottica reddituale.

L’approccio ermeneutico da adottare non deve guardare alla astratta idoneità del bene a produrre un reddito, bensì alla fenomenologia concreta: se è vero che ogni bene è astrattamente produttivo, è altresì vero che il nesso tra patrimonio e reddito non è di dipendenza speculare (nel senso che ove è un patrimonio, ivi è sempre e necessariamente un reddito) 30. Un bene, pur astrattamente produttivo, potrebbe in concreto non produrre reddito; come tale, esso non può ritenersi sus-sumibile entro la fattispecie ex art. 4, comma 1, D.L. n. 167/1990.

Pertanto, appurato che il finanziamento infruttifero è evidentemente non pro-duttivo in concreto di reddito, e ribadito che il suo mutamento in finanziamento fruttifero assume una valenza novativa ex art. 1230 c.c., si deve concludere nel sen-so della non sottoponibilità a monitoraggio fiscale dei finanziamenti in esame. E conseguentemente, i trasferimenti da o verso l’estero che interessassero i beni in oggetto devono essere intesi come operazioni correnti, non come flussi, con di-scendente applicabilità dell’art. 2, D.L. n. 167/1990 e non dell’art. 4, comma 2, D.L. medesimo.

Deve dunque apprezzarsi appieno il decisum proposto in epigrafe, nella misura in cui, con riferimento a periodi di imposta antecedenti il 2013, la Commissione Regionale ha ritenuto applicabile nell’ipotesi di versamenti per finanziamenti in-fruttiferi esteri il disposto dell’art. 2 cit.

4. (Segue). La legge europea 2013. Affievolimento della logica reddituale

In origine, il monitoraggio fiscale era indiscutibilmente sorretto, in prospettiva funzionale, da una logica reddituale 31. L’apertura degli Stati dell’Unione a forme sempre più stringenti di libertà di circolazione dei fattori produttivi aveva posto in serio pericolo l’attuazione della potestà impositiva statuale sui contribuenti resi-denti, giusta le forme della tassazione sul reddito mondiale: la soppressione dei controlli valutari era stata fatta seguire dall’introduzione di controlli fiscali deputati a ricostruire con esattezza la capacità contributiva concreta e attuale dei contri-buenti residenti che percepissero redditi di fonte estera.

Siffatta prospettiva funzionale trovava conferma testuale nell’art. 4, comma 1,

30 Si v. MARELLO, Contributo allo studio delle imposte sul patrimonio, in Saggi di diritto tributario, diretto da Miccinesi, Tabet e Tesauro, Milano, 2006, p. 153 ss.

31 Si v. RASI, “Logica reddituale” ed ambito applicativo soggettivo della disciplina del monitoraggio fi-scale: alcune considerazioni, in Riv. dir. trib., 2011, V, p. 86 ss.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 780

D.L. n. 167/1990, ove gli obblighi di monitoraggio fiscale statico venivano circo-scritti ai soli cespiti esteri «attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fon-te estera imponibili in Italia».

La legge europea 2013 lacera la logica reddituale in oggetto e apre a valutazioni funzionalistiche della disciplina in linea prospettica più problematiche. Se è vero infatti che l’art. 9, comma 1, lett. c), L. n. 97/2013, nel modificare l’art. 4, comma 1, D.L. n. 167/1990, sostanzialmente conferma il previgente inciso «attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia»; non altret-tanto è a dirsi con riferimento alla riformulazione dell’art. 6, D.L. n. 167/1990.

Quest’ultimo articolo disciplina una specifica forma di tassazione presuntiva dei beni esteri: nel caso di mancata esposizione negli appositi quadri della dichia-razione tributaria a fini reddituali (ove essa debba, soggettivamente ed oggettiva-mente, essere presentata) dei redditi ritratti dal possesso di beni esteri, il legislato-re introduce una presunzione legale relativa di fruttuosità dei cespiti esteri indicati nel quadro RW in misura pari al “tasso ufficiale di riferimento” 32. Fino al periodo di imposta 2013 escluso, il contribuente, per vincere la presunzione legale, doveva: i) specificare nella stessa dichiarazione che si trattava di redditi la cui percezione sarebbe avvenuta in un successivo periodo d’imposta; ii) entro 60 giorni dal rice-vimento di apposita richiesta notificatagli dall’Ufficio, fornire la prova della perce-zione in un periodo di imposta futuro del reddito ritratto dal bene estero dichiara-to in RW 33.

La circostanza che il legislatore consentisse al contribuente di contrastare la presunzione di fruttuosità deducendo la percezione di redditi in un futuro periodo di imposta non incrinava la logica reddituale sottesa alla disciplina in esame. Anzi, la rafforzava: il bene estero andava esposto in RW perché “in concreto” produttivo di reddito; vi era certezza che quel bene avrebbe prodotto reddito, non oggi ma

32 L’art. 2, comma 1, D.Lgs. 24 giugno 1998, n. 213 demandava alla Banca d’Italia il compito di determinare periodicamente, per un periodo massimo di cinque anni, «un tasso la cui misura sosti-tuisce quella della cessata ragione normale dello sconto (tasso ufficiale di sconto), al fine dell’ap-plicazione agli strumenti giuridici che vi facciano rinvio quale parametro di riferimento»: tra questi strumenti giuridici doveva essere annoverato quello disciplinato ex art. 6, D.L. n. 167/1990.

La determinazione del tasso ufficiale di riferimento è stata effettuata dalla Banca d’Italia sulla ba-se del tasso, fissato dal Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea, applicato alle operazioni di rifinanziamento dell’Eurosistema. A partire dal 1° gennaio 2004 la Banca d’Italia ha concluso la sua attività di determinazione del tasso ufficiale di riferimento. Oggi, pertanto, la rilevanza attribuita dall’art. 6 cit. al “tasso ufficiale di riferimento” deve essere intesa come riferita al tasso BCE “fixed rate” sulle “main refinancing operations”. Per lo storico dei tassi BCE, si veda il documento consulta-bile all’indirizzo http://goo.gl/9g8C0z.

33 La prova contraria deve essere offerta attraverso produzione di documenti o attestazioni, pre-viamente richiesti dal contribuente agli intermediari esteri, comprovanti la effettiva non produzione di redditi imponibili in Italia nel periodo di imposta considerato da parte delle consistenze estere de quibus.

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domani. Vi era certezza a tal punto che il contribuente poteva (e doveva) precosti-tuirsi la prova documentale di questa produttività e presentarla, su richiesta, al Fi-sco. Senza la certezza di questa fruttuosità in concreto, il bene non doveva essere esposto in dichiarazione: esso poteva rivelarsi in concreto infruttifero. E l’art. 6, D.L. n. 167/1990 indirettamente confermava l’esclusione dichiarativa, in questa ipotesi: se non vi era certezza di una produttività “in concreto” del cespite estero, in ultima analisi il contribuente non disponeva di alcuna prova contraria utilmente producibile all’Ufficio; e la presunzione legale di fruttuosità si sarebbe trasformata da relativa in assoluta.

Ora, l’art. 9, comma 1, lett. e), L. n. 97/2013 ha introdotto nel testo dell’art. 6 cit. l’inciso «[...] o sia indicato che determinate attività non possono essere pro-duttive di redditi».

La littera legis non lascia spazio a dubbi: per il legislatore del 2013, monitoraggio fiscale e logica reddituale non sono più biunivocamente connessi. Gli obblighi di monitoraggio devono ritenersi estesi a tutti i beni esteri, compresi quelli infruttiferi.

In realtà, la scelta è solo in apparenza chiara. Non si capisce infatti per quale ra-gione il legislatore continui a circoscrivere, ex art. 4, comma 1, D.L. cit., gli obblighi di monitoraggio ai soli cespiti esteri «suscettibili di produrre reddito imponibile in Italia» 34. Delle due l’una: o si limita il monitoraggio ai soli beni suscettibili di pro-durre reddito (art. 4, comma 1), o lo si estende anche ai beni che non possono es-sere produttivi di reddito (art. 6).

Si potrebbe dire (ma con forzatura, evidentemente): il monitoraggio interessa in senso proprio i soli beni fruttiferi, “suscettibili di produrre reddito imponibile”; tuttavia, il contribuente che cautelativamente voglia evitare contestazioni da parte del Fisco, può inserire in RW un bene estero, sapendo che potrà scongiurare l’applicazione della presunzione di fruttuosità ex art. 6 deducendo il carattere in-fruttifero del bene. Ma è una forzatura, nella misura in cui questa interpretazione (l’unica che pare possibile) di fatto svuota di contenuto precettivo l’art. 6 in parte qua: se il bene è infruttifero, se cioè non può essere produttivo di reddito, esso non è “suscettibile di produrre reddito imponibile”, e dunque non deve essere indicato in RW; se non deve essere indicato in RW, rispetto ad esso non si pongono nem-meno problemi di tassazione presuntiva 35.

34 E si badi, non si tratta di refuso o difetto di coordinamento. L’art. 9, comma 1, lett. c), L. n. 97/2013 ha specificamente modificato l’art. 4, comma 1, cit.: la proposizione «suscettibili di pro-durre reddito imponibile in Italia» è di nuovo conio, è stata voluta espressamente dal legislatore. Altrimenti detto: sia l’art. 4, comma 1, sia l’art. 6 sono stati espressamente e intenzionalmente modi-ficati nell’estate del 2013.

35 Imposizione (reddituale) presuntiva che, riferita al bene infruttifero, sarebbe costituzional-mente illegittima, per violazione dei principi di ragionevolezza e di capacità contributiva: essa vor-rebbe colpire un reddito che non può strutturalmente darsi.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 782

Il superamento della logica reddituale, insito nella riformulazione dell’art. 6 cit. operata nel 2013, suscita due considerazioni.

La prima, teleologica. L’estensione degli obblighi di monitoraggio ha due rationes convergenti: [I] coordinare il sistema tributario nel suo complesso, con particolare riferi-

mento alle recenti forme di imposizione patrimoniale introdotte sui beni esteri 36. Fino al 2013 escluso, se un bene estero, riconducibile ai tipi ex art. 19, comma 13 ss., D.L. n. 201/2011, non produceva in concreto reddito, doveva ritenersi assog-gettabile a IVIE o IVAFE (con conseguenti obblighi di dichiarazione, liquidazione e versamento), ma il suo possesso non determinava il sorgere di obblighi di moni-toraggio fiscale 37. A partire dal 2013 questa asimmetria pare sia venuta meno: tutti i beni assoggettati a IVIE o IVAFE ricadono entro il monitoraggio fiscale. E gli adempimenti dichiarativi sono oggi semplificati: in origine, con l’introduzione di IVIE e IVAFE, i dati esposti nel modello RW assumevano rilevanza rispetto al con-tenuto del quadro RM (destinato ad accogliere la liquidazione delle imposte pa-trimoniali de quibus); a partire dal periodo di imposta 2013, la liquidazione di IVIE e IVAFE deve essere effettuata attraverso la compilazione degli appositi righi sesto e settimo del quadro RW. Dunque il quadro RW si compone oggi di due anime: una di disclosure informativa e una di imposizione patrimoniale. L’assunto ha un effetto specifico sul versante sanzionatorio. Nel caso in cui il contribuente ometta la compilazione del modello RW con riferimento a cespiti esteri assoggettati ad IVIE o IVAFE, troverà applicazione sia la disciplina sanzionatoria prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 38 in materia di imposte sui redditi e applicabile alle nuove imposte patrimoniali per dato normativo espresso 39, sia la specifica di-sciplina sanzionatoria ex art. 5, D.L. n. 167/1990 per le violazioni delle disposizio-ni sul monitoraggio fiscale, fermi naturalmente i correttivi del cumulo giuridico, ove preferibile rispetto al cumulo materiale, ex art. 12, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n.

36 L’imposizione patrimoniale italiana, che ad oggi insiste nel privilegiare forme di tributi patri-moniali speciali in luogo di un tributo generale sul patrimonio, nel momento in cui assume a pre-supposto il possesso di beni esteri, apre a un problema di applicazione territoriale del tributo. Si v. MARELLO, Diseguaglianza, consenso, visibilità: riflessioni sull’introduzione di un’imposta generale sul patrimonio, in Rass. trib., 2014, p. 1069 ss. Il monitoraggio fiscale vuole costituire uno dei due stru-menti (unitamente alla progressiva apertura di giurisdizioni non trasparenti alle forme di coopera-zione amministrativa) con cui affrontare il tema.

37 Quella annotata costituisce una delle numerose ipotesi di asimmetria e disallineamento (ori-ginarie o sopravvenute, riferite al dato soggettivo od oggettivo) tra disciplina del monitoraggio fisca-le e imposizione patrimoniale sui beni esteri. Si v. GALLI-MANCINELLI, Ambito applicativo dell’IVAFE equiparato a quello dell’imposta di bollo sui prodotti finanziari, in Corr. trib., 2015, p. 101 ss.

38 Recante “Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996 n. 662”, in G.U. 8 gennaio 1998 n. 5 – S.O. n. 4.

39 Rispettivamente, art. 19, comma 17, e art. 19, comma 22, D.L. n. 201/2011.

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472 40. Nel caso in cui il contribuente ometta la compilazione del modello RW e versi in una ipotesi di persistente asimmetria tra discipline, si applicherà una sola disciplina sanzionatoria: se si tratta di fattispecie riconducibile ai casi di esonero soggettivo o oggettivo da monitoraggio fiscale, la mancata compilazione del mo-dello RW dovrà essere sanzionata unicamente ex D.Lgs. n. 471/1997; se si tratta di detenzione di investimenti all’estero diversi dagli immobili, la mancata compila-zione del modello RW andrà sanzionata soltanto ex art. 5, D.L. n. 167/1990;

[II] perfezionare la convergenza regolatoria tra monitoraggio fiscale e contra-sto dei fenomeni eversivi della ordinata convivenza tra consociati (riciclaggio di proventi di attività criminose e finanziamento del terrorismo) 41. Siffatta conver-genza teleologica, oltre a riposare sull’inciso dell’art. 6 in esame, trova testuale ri-conoscimento nella rimodulazione degli obblighi di monitoraggio fiscale gravanti sugli intermediari ex art. 1, D.L. n. 167/1990, sulle nuove forme di collaborazione e coordinamento tra Amministrazione finanziaria e Guardia di Finanza ex art. 2 D.L. cit., nonché sull’introduzione, nel 2013, della figura del “titolare effettivo” tra i soggetti astretti da obblighi di monitoraggio fiscale selettivo ex art. 4, comma 1, se-condo periodo, D.L. cit. 42. Ora, se davvero il monitoraggio fiscale racchiude in sé una componente di affinità strutturale e funzionale rispetto alla disciplina antirici-claggio, è condivisibile l’estensione della sua operatività ad ogni cespite estero, in-dipendentemente dalla sua produttività concreta. In questo senso, si comprende la scelta dell’art. 6, D.L. n. 167/1990 (ma non più certamente quella dell’art. 4, comma 1, D.L. medesimo ove circoscrive il tutto ai soli beni “suscettibili di pro-durre reddito imponibile in Italia”) di demandare un eventuale sindacato sulla componente fruttifera del bene estero al momento, ulteriore e distinto, di deter-minazione della concreta capacità contributiva del soggetto passivo considerato.

La seconda considerazione, sistematica. Accanto alle condivisibili esigenze di repressione di illeciti internazionali di ri-

40 Recante “Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di nor-me tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996 n. 662”, in G.U. 8 gennaio 1998 n. 5 – S.O. n. 4.

41 Si v. sul tema AA.VV., Antiriciclaggio e monitoraggio fiscale. Profili istituzionali e procedurali della nuova disciplina del controllo dei movimenti di capitale, Milanofiori Assago, 2003.

42 Particolare forma di estensione soggettiva del monitoraggio fiscale di matrice legislativa. L’ art. 4, comma 1, secondo periodo, D.L. n. 167/1990, così come modificato dall’art. 9, comma 1, lett. c), L. n. 97/2013, dispone: «Sono altresì tenuti agli obblighi di dichiarazione i soggetti indicati nel pre-cedente periodo che, pur non essendo possessori diretti degli investimenti esteri e delle attività este-re di natura finanziaria, siano titolari effettivi dell’investimento secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, lettera u), e dall’allegato tecnico del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231».

Sulla innovativa – e non del tutto condivisibile – portata della disposizione, con particolare rife-rimento ai soggetti beneficiari residenti di trust esteri, si v. SALVATI, Riflessioni in tema di obblighi di-chiarativi delle attività estere di natura finanziaria e degli investimenti esteri dei trust, in Dir. prat. trib., 2015, I, p. 924 ss.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 784

levante pericolosità e afflittività sociale, si devono pur considerare le esigenze di tenuta di ciascun micro-sistema di diritto interno. Estendere oltremodo il monito-raggio fiscale, slegandolo da una prospettiva reddituale, rischia di portare a conclu-sioni non sottoscrivibili.

Il presupposto assunto dal D.L. n. 167/1990 a fondamento degli obblighi in-formativi in esso disciplinati è rappresentato dalla “detenzione” di cespiti esteri. Proprio in ragione della logica reddituale di cui in esame, il concetto di detenzione è sempre stato interpretato, tuttavia, come “possesso” tributario, ossia come titola-rità giuridica della fonte produttiva. Si osservava:

[I] il monitoraggio è (era) preordinato alla ricostruzione della capacità contri-butiva attuale dei contribuenti;

[II] il sistema di imposizione reddituale italiano si fonda sul presupposto del “possesso” del reddito, da intendersi come quella «relazione diretta ed immediata con la causa produttiva che assicura al contribuente la disponibilità libera ed effet-tiva del reddito» 43;

[III] gli obblighi di monitoraggio devono ritenersi circoscritti al possessore dei beni esteri (ed, eventualmente, al “beneficiario effettivo” del cespite estero che sia fittiziamente interponente nel possesso del medesimo).

Pare evidente che slegare il monitoraggio fiscale da una logica reddituale 44 im-plica un ripensamento sul concetto di detenzione ex art. 4, comma 1, D.L. n. 167/1990. In particolare, si dovrebbe oggi predicare la correttezza della –invero difficilmente giustificabile e in passato fortemente criticata– tesi giurisprudenziale di estensione soggettiva del monitoraggio al detentore jure et nomine alieno (c.d. mero delegato), ossia a colui che avesse la disponibilità di fatto e/o la possibilità di movimentazione di beni non propri 45.

43 Si v. SALVATI, op. ult. loc. cit. 44 La prospettiva di cui nel testo non è tanto quella sottesa a una logica patrimoniale, bensì quella

riconducibile a una logica di contrasto agli illeciti internazionali a tutto tondo, in sé pienamente condivisibile. La logica patrimoniale non sposterebbe di molto i termini del discorso rispetto a quanto determinato dalla logica reddituale (certamente lascerebbe fuori da monitoraggio il c.d. de-legato, su cui infra nel testo): l’imposizione patrimoniale speciale sui beni esteri assume pur sempre come presupposto impositivo la titolarità di un diritto reale sui beni medesimi. Sic MARELLO, Con-tributo allo studio delle imposte sul patrimonio, cit., passim.

45 Si v. Cass., sez. V, sent. 5 agosto 2015, n. 16404; Cass., sez. V, sent. 18 dicembre 2014, n. 26848; Cass., sez. V, sent. 27 maggio 2011, n. 11715; Cass., sez. V, sentt. 22 ottobre 2010, n. 21690-21691; Cass., sez. V, sentt. 21 luglio 2010, n. 17051-17052, che addirittura estende gli obblighi di monitoraggio fiscale al mero nuncius (colui che si limita a trasmettere istruzioni e volontà del posses-sore diretto); Cass., sez. V, sentt. 7 maggio 2007, n. 10331-10332; Cass., sez. V, sent. 11 giugno 2003, n. 9320. In giurisprudenza di merito, si v. CTP Treviso, sez. V, sent. 10 luglio 2012, n. 59/5/12; CTP Cagliari, sez. II, sent. 24 agosto 2010, n. 265/2/10; CTP Mantova, sez. I, sent. 27 maggio 2010, n. 137/1/10; CTP Mantova, sez. I, sent. 24 luglio 2009, n. 164/1/09.

Contra, rispetto all’ampliamento soggettivo annotato, RASI, op. ult. loc. cit.; FICARI, «Disponibili-

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Comm. Tributaria Regionale di Venezia-Mestre, sez. I, 19 maggio 2015, n. 874/1/15 785

Se davvero il monitoraggio fiscale non risponde più oggi a una logica reddituale (ma allora davvero non si spiega l’inciso «suscettibili di produrre redditi imponibi-li in Italia» più volte richiamato), a partire dal periodo di imposta 2013 la deten-zione di finanziamenti esteri infruttiferi costituisce presupposto ex art. 4, D.L. n. 167/1990. Resta inteso, ovviamente, che i versamenti per finanziamenti infruttiferi non rivestono oggi più alcun rilievo dichiarativo.

5. Note conclusive

La sentenza proposta in epigrafe offre alcune considerazioni sul tema monito-raggio fiscale che devono essere apprezzate.

La decisione interpreta correttamente la disciplina sui trasferimenti. Muovendo dall’implicito assunto per cui i finanziamenti infruttiferi esteri, quantomeno fino al 2010, non ricadono nel tipo legale «attività estera di natura finanziaria attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia», i giudici sussumono correttamente i versamenti su c/c per finanziamenti infruttiferi nella fattispecie di “operazioni correnti” ex art. 2, comma 1, D.L. n. 167/1990. Di con-seguenza, essi non dovevano essere esposti in dichiarazione, in quanto eseguiti tramite intermediari residenti.

Meno condivisibile è l’affermazione, in obiter, secondo cui i finanziamenti in-fruttiferi ricadrebbero nel monitoraggio fiscale a partire dal 2010, attesa la forma-lizzazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, della tesi della produttività astratta o meramente potenziale. Si tratta di una tesi errata, travisante la littera et voluntas legis, foriera di una estensione dichiarativa illimitata.

Resta aperto il tema dell’attuale conformazione degli obblighi di monitoraggio, su cui i giudici non dicono, per ovvi profili temporali. Certamente, le modifiche apportate nel 2013 all’art. 6, D.L. n. 167/1990 pongono in dubbio il persistere di una logica reddituale sottesa alla disciplina del monitoraggio.

Occorre capire fino a che punto questo mutamento di prospettiva teleologica sia legittimo. Il monitoraggio resta una disciplina squisitamente tributaria, che de-ve rispondere al quadro valoriale garantito dalla Costituzione fiscale (una giusta imposizione, rispettosa dei principi di eguaglianza, ragionevolezza e capacità con-tributiva). Il voler incidere su una disciplina tributaria nell’intento – pienamente condivisibile – di arginare e per quanto possibile eliminare comportamenti lesivi di altri interessi costituzionalmente garantiti, che nulla hanno a che fare con il prelie-vo tributario, non sembra la strada corretta. Si paventano due rischi: da un lato, tà» e «titolarità» di fondi esteri fra detenzione e possesso ai fini del monitoraggio fiscale, in Corr. trib., 2007, p. 3432 ss.; MANZITTI-LUPI, Monitoraggio fiscale e titolarità di cespiti «per conto terzi», in Dia-loghi trib., 2007, II, p. 913 ss.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 786

l’allocazione di obblighi tributari del tutto avulsi da una qualsiasi capacità contri-butiva (diretta o indiretta, reddituale o patrimoniale) del soggetto inciso; dall’al-tro, l’introduzione di un dato di scivolosità ermeneutica che porta a gravi forme di incertezza del diritto.

Per vero, mi pare che le recentissime disposizioni formulate dal legislatore in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero (c.d. voluntary disclosure) consentano di riallineare, in linea prospettica, monitoraggio fiscale e logica reddi-tuale.

L’art. 5 quater, comma 1, lett. a), D.L. n. 167/1990, come introdotto dall’art. 1, comma 1, L. n. 186/2014, richiede al contribuente, che intenda aderire alla proce-dura di collaborazione volontaria, di fornire, nella richiesta di adesione alla stessa, accanto all’indicazione dei beni patrimoniali e finanziarie esteri «le informazioni per la determinazione dei redditi che servirono per costituirli o acquistarli, nonché dei redditi che derivano dalla loro dismissione o utilizzazione a qualunque titolo». La littera legis è icastica: non si parla di redditi che possono, in astratto, derivare dal cespite estero; non si dice che il contribuente deve fornire le informazioni per la determinazione dei redditi che occasionalmente risultano essere stati prodotti, presupponendo dunque implicitamente che possano esservi beni infruttiferi, ri-spetto ai quali la voluntary è ammissibile; si dice chiaramente che il contribuente è tenuto a fornire i dati utili per la ricostruzione dei redditi che “sono derivati” dalla dismissione o utilizzazione dei beni esteri 46: dunque i beni che avrebbero dovuto essere esposti in RW, non lo sono stati e rispetto ai quali è destinata ad operare, in definitiva, la nuova procedura di collaborazione volontaria, sono solo e soltanto quei beni che in concreto hanno prodotto un reddito. Ossia: nel momento in cui l’ambito oggettivo di operatività della voluntary disclosure risulta normativamente circoscritto ai soli beni “in concreto” produttivi di reddito, si sta indirettamente riaffermando la logica reddituale della disciplina violata, cui la voluntary intende offrire rimedio.

L’assunto trova conforto altresì nella lettera del successivo art. 5 quinquies, comma 8, D.L. cit. (pur riferito espressamente alle sole attività estere di natura fi-nanziaria), il quale introduce una opzionale forma di determinazione forfetaria dei rendimenti 47. Codesto regime opzionale offre ai detentori di patrimoni di importo

46 Mi sembra davvero sintomatico di un ripensamento sulla ratio del monitoraggio fiscale il rife-rimento ai redditi che derivano dalla «utilizzazione a qualunque titolo dei beni esteri»: evidente-mente nella locuzione si ricomprende, inter alia, il reddito ritratto dal mero godimento del bene estero.

47 «Su istanza del contribuente, da formulare nella richiesta di cui all’articolo 5 quater, comma 1, lettera a), l’ufficio, in luogo della determinazione analitica dei rendimenti, calcola gli stessi applican-do la misura percentuale del 5 per cento al valore complessivo della loro consistenza alla fine del-l’anno e determina l’ammontare corrispondente all’imposta da versare utilizzando l’aliquota del 27 per cento. Tale istanza può essere presentata solo nei casi in cui la media delle consistenze di tali

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Comm. Tributaria Regionale di Venezia-Mestre, sez. I, 19 maggio 2015, n. 874/1/15 787

circoscritto una modalità agevole e di favor per la individuazione della base impo-nibile da assoggettare a imposizione. Ebbene, il reddito determinato forfetaria-mente tiene luogo del reddito determinato analiticamente: da ciò se ne ricava che, in via generale, la quantificazione dell’imposta da versare per il perfezionamento della procedura transita dalla determinazione analitica dei redditi ritratti dai beni esteri; determinazione analitica che, evidentemente, presuppone una fruttuosità concreta di questi ultimi.

In conclusione, l’impressione che si ritrae dal provvedimento del 2014 conforta la tesi della necessaria fruttuosità concreta dei cespiti esteri ai fini della sussistenza degli obblighi di monitoraggio fiscale. Il focus della normativa pare riassestato, ri-spetto alle modifiche operate nel 2013, su una diversa e più condivisibile lettura del rapporto tra monitoraggio fiscale e imposizione reddituale.

Edoardo Carlo Leoni

attività finanziarie risultanti al termine di ciascun periodo d’imposta oggetto della collaborazione volontaria non ecceda il valore di 2 milioni di euro».

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 3/2016 788

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Cass., sez. V, 16 marzo 2016, n. 5139 – Pres. Bielli, Rel. Cirillo

Poteri cautelari – Fermo amministrativo – Limiti – Sospensione dei rimborsi – Inapplicabilità – Presupposto – Ragione di credito

Il fermo amministrativo di cui all’art. 69, R.D. n. 2240/1923 è strumento di porta-ta generale che può essere utilizzato dall’Agenzia delle entrate sulla base dell’esistenza di una mera ragione di credito, senza applicazione dei limiti previsti dalla disciplina di cui all’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997 e all’art. 38-bis, comma 3, D.P.R. n. 633/1972, che ha carattere specifico.

(Omissis) RITENUTO IN FATTO

(Omissis) 1. La Soc. M.T.D.T. propone ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi,

avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia n. 9-2009-14 del 16 gennaio 2009, con la quale, rigettando l’appello della contribuente, è stata con-fermata la legittimità del provvedimento di fermo amministrativo adottato – ai sensi del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69 – in relazione a crediti IVA chiesti a rimborso per l’anno 1997.

2. Il giudice d’appello è pervenuto a tale conclusione richiamando il contenuto del carteggio dell’ufficio dal quale risultavano con chiarezza le contrapposte ragioni eraria-li di credito derivanti da un accertamento per adesione, non perfezionatosi per omessa presentazione delle prescritta fideiussione, al quale era seguito prima un avviso di ac-certamento, con iscrizione a ruolo di un terzo delle somme in pendenza di giudizio, e poi definito con condono rimasto parzialmente inadempiuto. Ha rilevato in proposito che la società aveva opposto a credito opposto dal fisco solo generiche contestazioni. Ha osservato, infine, che non sussisteva alcuna carenza di potere avendo l’Agenzia del-le entrate, succeduta dal 1 gennaio 2001 all’amministrazione finanziaria, esercitato un legittimo potere di autotutela provvisoria accordato dalla legge e riconosciuto da una-nime giurisprudenza.

3. L’Agenzia delle entrate non spiega difese scritte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

(Omissis) 3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

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GIURISPRUDENZA RTDT – n. 3/2016 790

3.1. La ricorrente, nel censurare la sentenza d’appello laddove questa riconosce il potere di fermo amministrativo in capo all’Agenzia delle entrate, erroneamente sostie-ne che, invece, ad essa non si applicherebbero in generale le norme di contabilità gene-rale dello Stato, mentre il potere di fermo amministrativo era stato prima attributo so-lo agli uffici periferici del Ministero delle finanze, da abrogato decreto ministeriale, e poi devoluto alle agenzie fiscali, nei limiti del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, per la sola ipotesi di notifica di atto di contestazione di sanzioni.

3.2. La possibilità per l’Agenzia delle entrate di avvalersi del provvedimento di sospensione del pagamento – c.d. fermo amministrativo o contabile – è assoluta-mente pacifico nella giurisprudenza di legittimità, tanto delle sezioni unite (es. Sentenza n. 25983 del 22/12/2010) quanto della sezione tributaria della Corte (es. Sentenze n. 5493 del 06/03/2013, n. 412 del 10/01/2013, n. 23601 del 11/11/2011, n. 9853 del 05/05/2011, nn. 11962 – 11963 – 11964 – 11965 del 13/07/2012), nonché nella giurisprudenza contabile (Corte dei conti, Sez. GS, Sen-tenza n. 284 de1 31/01/2007). Infatti, per legge, l’Agenzia delle entrate è competen-te a svolgere i servizi relativi alla amministrazione, alla riscossione e al contenzioso dei tributi diretti e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di tutte le imposte, dirit-ti o entrate erariali o locali, entrate anche di natura extratributaria, già di competen-za del dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze (D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 62, comma 2). Dunque si avvale delle stesse prerogative una volta attribuite agli uffici facenti capo al dipartimento delle entrate compreso il potere di sospensione del pagamento previsto dall’art. 69 del R.D. cit. che è espressione del potere di auto-tutela della P.A. a salvaguardia dell’eventuale compensazione legale dell’altrui credi-to con quello, anche se attualmente illiquido, che l’amministrazione abbia o preten-da di avere nei confronti del suo creditore, ed ha portata generale in quanto mira a garantire la certezza dei rapporti patrimoniali con lo Stato, mediante la concorrente estinzione delle poste reciproche, attive e passive (Sez. 5, Sentenza n. 7320 del 28/03/2014, Rv. 630172). Ne consegue l’applicabilità della norma anche ai rimbor-si dell’IVA, fino al sopraggiungere dell’eventuale giudicato negativo circa la concor-rente ragione di credito vantata dall’erario (ult. cit.; conf. Sez. 5, Sentenza n. 9853 del 05/05/2011, Rv. 617940; v. implicitamente in motivazione anche Sez. 5, Sen-tenza n. 4567 del 05/03/2004).

3.3. Né si può sostenere che il sopravvenuto D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, abbia circoscritto il potere di sospensione del pagamento del credito del contribuente al solo caso ivi previsto di notifica di atto di contestazione o di irrogazione di sanzioni tributarie. Infatti il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, contiene solo una disciplina pecu-liare dell’istituto generale di cui del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, comma 6, riguar-do ai casi particolari di contestazione o di irrogazione di sanzioni, così come peculia-re è la sospensiva in presenza di contestazioni penali per reati fiscali di cui all’art. 38-bis, comma 3, del decreto IVA. Invece, la situazione soggettiva che legittima l’ordine di sospensione ex art. 69 è espressamente definita come più generale “ragione di

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Cass., sez. V, 16 marzo 2016, n. 5139 791

credito” sorta in capo ad amministrazione che può persino non essere la stessa che si trova in debito.

(Omissis)

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Così deciso in Roma, il 18 maggio 2015. Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2016.

Fermo amministrativo: confermata la “teoria dei cerchi concentrici”

Administrative hold: the Italian Supreme Court confirms the “concentric circles theory”

Abstract La Suprema Corte, ribadendo il proprio orientamento, riconosce al fermo ex R.D. n. 2440/1923 un ambito di efficacia generalizzato, evidenziando come i fermi “speciali” tributari si applichino quale “alternativa”, in un sistema in cui l’amministrazione finanziaria resta libera di scegliere quale strumento adottare. Tale interpretazione, che legittima condotte abusive e disparità di trattamento, non pare più sostenibile a seguito delle modifiche introdotte con D.Lgs. n. 158/2015, che hanno delineato la sospensione dei rimborsi di cui al D.Lgs. n. 472/1997 come l’unico modello generale di fermo tributa-rio. Parole chiave: misure cautelari, fermo amministrativo, rimborso, sospensione, crediti erariali The Italian Supreme Court (ISC), by confirming its precedents decisions, recognises to the administrative hold (fermo amministrativo) provided by Royal Decree no. 2440/1923 a general field of application, while it highlights that “special” tax admin-istrative holds apply as an alternative, in a system in which Tax Authorities remains free to choose which tool to adopt. This interpretation, which legitimises abusive be-haviours and unequal tax treatments, does not seem anymore acceptable following the

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GIURISPRUDENZA RTDT – n. 3/2016 792

reform made by Legislative Decree no. 158/2015, which outline the suspension of re-funds provided in Legislative Decree no. 472/1997 as the only general model of ad-ministrative hold in tax law. Keywords: precautionary measures, administrative hold, refund, suspension, tax credits

SOMMARIO: 1. Il potere cautelare di fermo e sospensione dei crediti nei confronti dell’Erario. – 2. Il fermo contabile di cui al R.D. n. 2440/1923. – 3. La sospensione dei rimborsi ex art. 23, D.Lgs. n. 472/1997. – 4. Il rapporto tra fermo contabile e sospensione del rimborso dei crediti tributari. – 5. Distorsioni applicative e disparità di trattamento: la cessazione degli effetti del fermo. – 6. La sospensione dei rimborsi come unico modello di fermo in materia tributaria nel D.Lgs. n. 158/2015.

1. Il potere cautelare di fermo e sospensione dei crediti nei confronti dell’Erario

L’amministrazione finanziaria, in presenza di un debito tributario, può sospen-dere il pagamento o il rimborso dei crediti vantati dal contribuente in relazione a differenti rapporti giuridici, esercitando in autotutela il diritto di ritenzione delle somme dovute al contribuente, al fine di tutelare il proprio credito.

La legge determina in tal modo un disequilibrio tra le due parti reciprocamente creditrici, offrendo la facoltà, per la parte pubblica, di non estinguere il proprio de-bito fino a quando non sarà incamerato il credito tributario, con la funzione caute-lare di evitare con celerità che l’amministrazione corrisponda delle somme ad un soggetto, debitore del Fisco, che le stesse somme potrebbe dover restituire in un momento successivo 1.

Nell’ordinamento tributario sono previste a favore dell’amministrazione finan-ziaria due principali tipologie di “fermi”: il fermo amministrativo (o contabile), previsto dal R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 per tutti i crediti della pubblica am-ministrazione, e la sospensione dei rimborsi disciplinata nella specifica materia tri-butaria dall’art. 23 della legge generale sulle sanzioni amministrative tributarie, a cui si affiancano altre tipologie “speciali” di fermo, quale, in materia di IVA, quello previsto dall’art. 38-bis, comma 3, D.P.R. n. 633/1972.

La Corte di Cassazione, nella pronuncia in commento, ha confermato il pro-

1 CASSESE, Il fermo amministrativo, un privilegio della pubblica amministrazione, in Giur. cost., 1972, p. 331.

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Cass., sez. V, 16 marzo 2016, n. 5139 793

prio orientamento pro Fisco, evidenziando come i limiti e le garanzie previste dagli istituti di matrice prettamente tributaria non si applichino al fermo previsto dal Regio Decreto: l’amministrazione finanziaria può scegliere la tipologia di strumen-to da adottare in concreto, nell’ambito di un sistema di “cerchi concentrici” in cui il ricorso al fermo amministrativo generale consente di eludere (legittimamente) le garanzie previste dalla disciplina tributaria che regola gli strumenti cautelari più specifici.

2. Il fermo contabile di cui al R.D. n. 2440/1923

Il fermo contabile consiste nella possibilità di sospendere il pagamento alla par-te privata in presenza di un “debito” nei confronti di una qualsiasi amministrazione pubblica: «qualora un’amministrazione dello Stato, che abbia, a qualsiasi titolo, ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo» 2.

Si tratta di un istituto di carattere generale di cui la Corte di Cassazione 3 e la Corte costituzionale 4 hanno affermato la funzione cautelare, quale espressione del potere di autotutela della pubblica amministrazione strumentale alla protezione del pubblico interesse 5.

Il presupposto del fermo contabile, a differenza delle altre misure cautelari che richiedono l’emanazione di un prodromo atto amministrativo, è costituito dall’esi-stenza di una mera “ragione di credito”.

La formulazione della disposizione, ancorché vaga, permette di chiarire, anzi-

2 Art. 69, comma 6, R.D. 18 novembre 1923, n. 2440. Sul fermo amministrativo cfr. CASSESE, Il fermo amministrativo, un privilegio della pubblica amministrazione, cit., p. 330 ss.; MOLINARI, Il fermo amministrativo, in Foro amm., 1969, III, p. 585 ss.; ROFFI, Osservazioni sul c.d. fermo amministrativo, in Giur. it., 1973, IV, p. 132; GARRI, (voce) Fermo amministrativo, in Enc. giur., XIV, Roma, 1989, p. 1 ss.; BENNATI, Manuale di contabilità di Stato, Napoli, 1990, p. 521 ss.; SEPE, (voce) Spese dello Stato e degli enti pubblici, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 385 ss. Sulle applicazioni in materia tributaria del fermo contabile, cfr. BUCCICO, Misure cautelari a tutela del credito erariale, Torino, 2013, p. 1 ss.; INGRAO, La tutela della riscossione dei crediti tributari, Bari, 2012, p. 143 ss.; BASILAVECCHIA, Il fermo amministrativo nei procedimenti tributari, in Rass. trib., 1995, p. 241 ss.; GRANELLI, Il fermo ammini-strativo in materia tributaria, in Dir. prat. trib., 1985, I, p. 897 ss.

3 Cfr. Cass., sez. trib., 21 marzo 2012, n. 4505, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2013, II, p. 5 ss., con nota di AUGELLO, Fermo amministrativo e rimborso di crediti Iva.

4 Corte cost., 19 aprile 1972, n. 67, in Giur. cost., 1972, p. 330. 5 Nello stesso senso si è espressa l’amministrazione finanziaria con la circolare n. 4/E del 15 feb-

braio 2010 dell’Agenzia delle Entrate, nella quale è stato indicato che il fermo amministrativo è ap-plicabile «in tutti i casi in cui non sono applicabili le misure cautelari speciali e nelle ipotesi in cui queste non siano sufficienti a garantire idoneamente il credito tributario».

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GIURISPRUDENZA RTDT – n. 3/2016 794

tutto, che il credito che l’amministrazione può tutelare non deve essere necessa-riamente certo, liquido ed esigibile: ne discende che può essere tutelato il credito in una fase antecedente quella della formazione del titolo esecutivo, come anche, a fortiori, il credito derivante dal titolo esecutivo.

In materia tributaria, il fermo opera generalmente a seguito di istanza di rim-borso del contribuente; l’amministrazione, riconosciuta l’entità del credito vanta-to, ne sospende – con provvedimento contestuale o separato rispetto a quello di riconoscimento del credito – il rimborso, invocando l’esistenza di “ragioni di cre-dito” della pubblica amministrazione (anche non finanziaria) nei confronti del contribuente.

È quanto accaduto nel caso di specie: il contribuente ha richiesto a rimborso dei crediti IVA, in relazione ai quali l’Agenzia delle entrate ha disposto il fermo amministrativo, applicando il R.D. n. 2440/1923, invocando l’esistenza di una ra-gione di credito erariale, derivante dal mancato pagamento di somme derivanti da un accertamento per adesione non perfezionatosi.

Il presupposto del fermo amministrativo è dunque costituito dall’esistenza di una “ragione di credito” erariale. La portata di tale locuzione è stata chiarita dalla giurisprudenza, confermata dalla sentenza in commento 6, che ha valorizzato la na-tura cautelare del fermo amministrativo, richiedendo che la ragione creditoria si traduca nel fumus boni iuris (inteso in senso civilistico) della pretesa: il fermo può essere disposto se sia ragionevole sostenere l’esistenza e la non manifesta infonda-tezza del credito erariale tutelato 7.

È quindi di fondamentale importanza, per l’amministrazione finanziaria, atte-nersi rigorosamente al vaglio in ordine alla “parvenza di fondatezza” della pretesa erariale, prima di disporre il provvedimento cautelare.

6 «La situazione soggettiva che legittima l’ordine di sospensione ex art. 69 è espressamente defi-nita come più generale “ragione di credito” sorta in capo ad amministrazione che può persino non essere la stessa che si trova in debito».

7 Cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 2010, n. 2271, in Banca dati Pluris, secondo cui il fermo ri-chiede «l’esistenza di una prova dimostrativa certa, che determini nell’amministrazione non la cer-tezza della fondatezza della pretesa (ché altrimenti verrebbe meno la natura cautelare del provvedi-mento), ma almeno la ragionevole convinzione che sussiste il suo diritto, che giustifica e legittima la soggezione del debitore all’adempimento». Si confronti anche la circolare n. 12 del 29 marzo 1999 del Ministero del Tesoro, Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, secondo cui «il con-cetto di ragione di credito è insuscettibile di una definizione rigorosa, collocato come è nella zona grigia che va dalla pretesa creditoria pura e semplice (pertanto anche arbitraria e temeraria) al credi-to certo, liquido ed esigibile. L’una come è ovvio, insufficiente in sé e per sé a radicare il potere di fermo (ché altrimenti ne conseguirebbe un inammissibile arbitrio), l’altro, eccedente i requisiti ri-chiesti dalla legge, perché di per sé idoneo a far realizzare i fini cui l’istituto del fermo è preordinato – c.d. compensazione – senza bisogno della tappa intermedia di natura cautelare. L’unico termine idoneo a qualificare la pretesa come atta a radicare il potere di fermo, sembra potersi mutuare dal processo civile, ed è il c.d. fumus boni iuris, cioè la ragionevole apparenza di fondatezza».

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Cass., sez. V, 16 marzo 2016, n. 5139 795

Anche perché, pur avendo natura cautelare, il fermo amministrativo non ri-chiede l’esistenza dell’ulteriore requisito previsto per la generalità delle misure cautelari: il periculum in mora, secondo la prevalente giurisprudenza, non è infatti presupposto per l’applicazione della misura cautelare in parola 8.

Tale assunto è stato condivisibilmente criticato dalla dottrina, che ha messo in luce come il pericolo dovrebbe costituire requisito immanente del fermo, alla luce della sua natura cautelare, dovendo l’ente procedente dimostrare l’urgenza di pro-cedere in via cautelare 9.

In effetti, la mancata previsione del periculum in mora legittima, nella prassi, una sorta di “automatismo” dell’operatività del fermo amministrativo, che viene dispo-sto, in via generalizzata, ogni qualvolta esistano dei controcrediti della pubblica amministrazione, pur in assenza di un’esigenza cautelare 10, con grave danno a cari-co della parte privata.

Del resto, anche sotto il profilo procedimentale, il fermo amministrativo-con-tabile avente ad oggetto crediti tributari non risulta compiutamente disciplinato.

L’unico profilo che l’art. 69, R.D. n. 2440/1923 affronta è quello relativo ai soggetti legittimati a richiedere il fermo, individuati nelle “amministrazioni dello Stato”, dalle quali rimangono pertanto escluse le amministrazioni locali e gli enti pubblici 11.

Ma fatta eccezione per tale elemento, la normativa non specifica quale forma debba assumere il provvedimento di fermo, né se questo debba essere notificato al contribuente, né quali siano le tutele a disposizione della parte nei cui confronti viene adottato il provvedimento cautelare 12.

8 Corte cost., 19 aprile 1972, n. 67, cit.; nello stesso senso, Cass. civ., sez. un., 7 febbraio 2002, n. 1733, in Il fisco, 2002, p. 4542 ss., con nota di RUSSO-FRANSONI, Giurisdizione tributaria, secondo cui la mancata previsione del periculum in mora non contrasta con la natura cautelare del provvedimen-to di fermo. Cfr., altresì, Cass., sez. trib., 5 marzo 2004, n. 4567, in Giur. it., 2004, p. 2203 ss.; Cass., sez. trib., 5 maggio 2011, n. 9853, in Boll. trib., 2011, p. 1816 ss.; Cass., sez. trib., 21 marzo 2012, n. 4505, in Banca dati fisconline.

9 CASSESE, Il fermo amministrativo, un privilegio della pubblica amministrazione, cit., p. 333. 10 In dottrina, si rinvia a ROFFI, Osservazioni sul c.d. fermo amministrativo, cit., p. 135, secondo cui

la mancata previsione di requisiti stringenti porta a tradurre il fermo in una forma di prelievo nei confronti del cittadino che trova titolo solo nella legge, senza alcuna garanzia per il cittadino.

11 Sul punto, si richiama la giurisprudenza amministrativa, tra cui Cons. Stato, sez. VI, 7 settem-bre 2004, n. 5810, in Foro it., 2005, p. 485 ss., che ha ritenuto possibile disporre il fermo amministra-tivo da parte di Università e Camere di Commercio. Sono stati perfino avanzati dei dubbi in merito alla possibilità, per le agenzie fiscali, aventi natura di enti autonomi rispetto all’amministrazione sta-tale, di disporre il fermo amministrativo. La questione è stata tuttavia risolta dal legislatore con una norma di interpretazione autentica – art. 3, comma 42, D.L. n. 203/2005 – che ha ricompreso espressamente, tra i soggetti legittimati ad adottare il fermo ex art. 69, R.D. n. 2440/1923, le agenzie fiscali.

12 Ciò ha portato al dibattito, in dottrina e in giurisprudenza, circa le modalità di accesso alla tu-tela giurisdizionale avverso il fermo. Secondo Cass. civ., sez. un., 7 febbraio 2002, n. 1733, in Corr.

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GIURISPRUDENZA RTDT – n. 3/2016 796

Si tratta quindi di uno strumento che opera senza limiti procedimentali e finan-che senza garanzie certe, in presenza di una mera “ragione di credito” dell’ammini-strazione pubblica.

3. La sospensione dei rimborsi ex art. 23, D.Lgs. n. 472/1997

Analogo al fermo amministrativo è l’istituto della sospensione dei rimborsi in-trodotto dall’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997, strumento specifico del diritto tributario utilizzabile dalla sola amministrazione finanziaria in ipotesi di violazioni passibili di sanzioni amministrative o di accertamento nei confronti del contribuente 13.

Tale strumento prevede la possibilità, per l’amministrazione finanziaria, di so-spendere il pagamento di un credito se «è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione, o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi» 14.

L’istituto, in origine finalizzato alla compensazione degli importi dovuti a titolo di sanzione amministrativa con il credito vantato dal contribuente 15, costituisce una specificazione in materia tributaria del potere di fermo riconosciuto in via ge-

trib., 2002, p. 1898 ss., con nota di BASILAVECCHIA, La giurisdizione sul fermo, il fermo incide sulla sfera giuridica del destinatario, comportando un “affievolimento” del diritto soggettivo di credito del privato, cui conseguirebbe la sussistenza della giurisdizione amministrativa in ordine alle azioni promosse per l’annullamento del provvedimento di fermo, confermata in Cass. civ., sez. un., 28 marzo 2006, n. 7023, in Boll. trib., 2006, p. 1488. Da ciò discende che il giudice tributario, quale giu-dice ordinario speciale competente ratione materiae, può avere cognizione della legittimità del fermo nell’ambito della lite concernente il diritto al rimborso del credito di natura tributaria, ovvero lad-dove il fermo che si assume illegittimo venga adottato a cautela di crediti tributari. In dottrina, cfr. BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela, cit.

13 Sulla sospensione dei rimborsi, in dottrina cfr. BUCCICO, Misure cautelari a tutela del credito erariale, cit., p. 18 ss.; INGRAO, La tutela della riscossione dei crediti tributari, cit., p. 164 ss.; TRIVELLIN, Art. 23. Sospensione dei rimborsi e compensazione, in MOSCHETTI-TOSI (a cura di), Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative, Padova, 2000, p. 735 ss.; BOLETTO, Commento all’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997, in FALSITTA-FANTOZZI-MARONGIU-MOSCHETTI, Commentario breve alle leggi tributarie. Tomo II. Accertamento e sanzioni, a cura di MOSCHETTI, Padova, 2011, p. 796 ss.; MESSINA, La compensazione nel diritto tributario, Milano, 2006, p. 85 ss.; PISTOLESI, Necessità di un assetto uniforme tra atti di blocco dei rimborsi e fermo amministrativo, in Corr. trib., 2011, p. 2686 ss.

14 Testo in vigore dal 1° gennaio 2016, come modificato dall’art. 16, comma 1, lett. h), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. La novella ha esteso l’applicabilità della sospensione dei rimborsi a tutti i crediti, rispetto al testo previgente che vedeva tutelati espressamente solo i crediti di natura sanzio-natoria, da cui l’originario (ma ad oggi non più coerente) inserimento dell’istituto nell’ambito della legge generale sulle sanzioni amministrative.

15 Il comma 2 dell’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997 stabilisce che in presenza di provvedimento defini-tivo, l’ufficio competente per il rimborso pronuncia la compensazione del debito, con provvedimen-to avverso il quale può essere proposto ricorso davanti alla Commissione tributaria provinciale.

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Cass., sez. V, 16 marzo 2016, n. 5139 797

nerale dal R.D. n. 2440/1923, di cui condivide la natura cautelare 16. Tuttavia, la sospensione ex art. 23, D.Lgs. n. 472/1997 è connotata da caratte-

ristiche peculiari che la differenziano significativamente rispetto al fermo contabi-le, prima fra tutte la possibilità che la sospensione venga disposta non solo dalle amministrazioni statali, come per il fermo, ma da tutti gli enti titolari di potestà impositiva (regioni, province, comuni, etc.) e a tutela di crediti tributari anche a favore di amministrazioni non statali.

Inoltre, la sospensione dei rimborsi disciplinata prevede ampie garanzie, sia quan-to ai presupposti sia sotto il profilo procedimentale, applicativo e della tutela giurisdi-zionale, che meglio si attagliano alla natura cautelare dello strumento in parola.

Il presupposto per l’emissione del provvedimento cautelare di sospensione è infatti rinvenibile non già nell’esistenza di una mera “ragione di credito” dell’am-ministrazione finanziaria, bensì nell’esistenza di un vero e proprio “credito”, indi-cato nel suo preciso ammontare in uno specifico provvedimento impositivo (atto di contestazione o di irrogazione, avviso di accertamento) che sia già stato ritual-mente notificato al contribuente o al soggetto obbligato in solido 17.

Inoltre, la sospensione soggiace a dei limiti quantitativi espressamente stabiliti: essa opera infatti «nei limiti di tutti gli importi dovuti in base all’atto o alla deci-sione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo» 18.

La disposizione cristallizza il principio di proporzionalità della misura cautelare in parola ed altresì il suo rapporto con il giudizio concernente il merito della prete-sa sanzionatoria: le vicende di quest’ultimo influenzano le sorti della sospensione del rimborso, condizionandone l’efficacia, anche senza attendere la definitività del giudizio.

Le maggiori garanzie offerte dalla sospensione dei rimborsi non si limitano ai presupposti, qualitativi e quantitativi.

Difatti, l’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997 (diversamente dalla normativa sul fermo contabile) impone all’amministrazione finanziaria di notificare all’interessato uno specifico provvedimento 19, qualificato come atto impugnabile, che deve contenere,

16 TRIVELLIN, Art. 23. Sospensione dei rimborsi e compensazione, cit., p. 735. 17 La disposizione non legittima la possibilità di procedere alla sospensione dei rimborsi sulla ba-

se di atti istruttori, quali il processo verbale di constatazione, diversamente da quanto previsto per le misure cautelari dell’ipoteca fiscale e del sequestro conservativo di cui al precedente art. 22, D.Lgs. n. 472/1997.

18 Art. 23, comma 1, ult. periodo, D.Lgs. n. 472/1997. 19 Sul punto, si richiama Cass., sez. trib., 11 novembre 2011, n. 23601, in Corr. trib., 2012, p. 637

ss., con nota di BASILAVECCHIA, Necessaria l’adozione del provvedimento formale per sospendere i rim-borsi, con la quale la Suprema Corte ha censurato l’operato dell’Ufficio, che aveva invocato il diritto alla sospensione del rimborso ex art. 23, D.Lgs. n. 472/1997 mediante eccezione processuale formu-lata nel corso del giudizio avente ad oggetto la restituzione del credito vantato dal contribuente. La Corte ha ritenuto illegittima la condotta dell’amministrazione finanziaria, ravvisando la necessità

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GIURISPRUDENZA RTDT – n. 3/2016 798

a pena di nullità, la motivazione in ordine ai presupposti che hanno giustificato l’adozione del provvedimento cautelare, nonché tutti gli elementi previsti dall’art. 7, L. n. 212/2000 in tema di chiarezza e motivazione degli atti amministrativi tributari.

Rispetto a tale provvedimento, il contribuente ha piena tutela davanti alle com-missioni tributarie, in quanto la disposizione in parola – fugando i dubbi emersi in relazione al fermo amministrativo – sancisce la giurisdizione tributaria e qualifica il provvedimento di sospensione come atto autonomamente impugnabile.

Inoltre – caso unico nell’ordinamento tributario – il legislatore ha previsto espressamente la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione del fermo (che è un atto a contenuto negativo) in via cautelare, prevedendo la possibilità di presentare istanza ex art. 47, D.Lgs. n. 546/1992, contestualmente al ricorso o con atto separato.

In tal modo, viene garantita la possibilità di paralizzare in via cautelare (even-tualmente anche con provvedimento presidenziale d’urgenza ex art. 47, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992) gli effetti negativi del provvedimento cautelare di sospensio-ne, ottenendo in tal modo un armonioso bilanciamento dei contrapposti interessi.

A seguito delle modifiche entrate in vigore nel corrente anno 2016, lo strumen-to previsto dal D.Lgs. n. 472/1997 è destinato ad operare in via generale, nono-stante il diritto tributario conosca ulteriori forme di “fermo” dei pagamenti, tra cui, in particolare, il fermo dei rimborsi in materia di IVA previsto dall’art. 38 bis, D.P.R. n. 633/1972, che costituisce tuttavia uno strumento “speciale”, operante con riguardo ad un solo tributo e in presenza di specifici presupposti.

L’art. 38 bis, comma 3, D.P.R. n. 633/1972 stabilisce infatti una forma di so-spensione “automatica” dei rimborsi IVA 20 quando sia contestato al creditore, in relazione al periodo d’imposta cui si riferisce il rimborso, uno dei reati comportan-

che il fermo venga formalmente notificato per mezzo di un provvedimento di sospensione: «Il “fermo”, cioè la sospensione del pagamento delle somme dovute dall’amministrazione, non può prescindere dall’adozione di un provvedimento formale, emesso, nell’esercizio di un potere discre-zionale, dall’autorità competente e dotato dei requisiti prescritti dalla legge, compresa una adeguata motivazione in ordine al fumus boni iuris della vantata “ragione di credito”; tale provvedimento, poi, deve ovviamente essere portato a legale conoscenza dell’interessato per garantire a quest’ultimo la necessaria tutela giurisdizionale (anche cautelare, come prevede l’art. 23 cit., comma 3), al fine di ottenerne, a seconda dei casi, l’annullamento o la disapplicazione». Nello stesso senso, cfr. Cass. civ., sez. un., 7 febbraio 2002, n. 1733, in Il fisco, 2002, p. 4542 ss.; Cass. civ., sez. un., 5 agosto 2010, n. 18208, in Rass. trib., 2011, p. 995, con commento di GARAU, Sulla inopponibilità del fermo ammini-strativo in sede di ottemperanza.

20 Sui rimborsi IVA, cfr. TESAURO, Credito di imposta e rimborso da indebito nella disciplina dell’Iva, in Boll. trib., 1979, p. 1468; ID., Il rimborso dell’imposta, Torino, 1975, p. 41 ss.; FREGNI, Sulla prescrizione del diritto al rimborso del “credito d’imposta” nella disciplina dell’Iva, in Giur. it., 1992, c. 41 ss.; ID., Riporto a nuovo di credito d’imposta Iva chiesto a rimborso, in Riv. dir. trib., 1994, II, p. 438; BUCCICO, Il rimborso dell’Iva assolta da soggetti passivi non residenti, in Rass. trib., 2010, p. 1043 ss.

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Cass., sez. V, 16 marzo 2016, n. 5139 799

ti l’utilizzazione di fatture o documenti falsi 21, fino a concorrenza dell’ammontare dell’IVA indicata in detti documenti.

La peculiarità di tale misura, che condivide la funzione cautelare delle altre ti-pologie di fermo e sospensione dei rimborsi, consiste nell’assenza di discrezionali-tà dell’amministrazione finanziaria, la quale, in presenza di un procedimento pena-le a carico del soggetto richiedente il rimborso, è tenuta ex lege a disporre il fermo del rimborso 22.

Alla maggiore gravità dei presupposti legittimanti la sospensione del rim-borso fa da corollario la maggiore durata degli effetti cautelari, che permango-no fino a quando il procedimento penale venga definito con sentenza passata in giudicato 23.

4. Il rapporto tra fermo contabile e sospensione del rimborso dei crediti tributari

In materia tributaria convivono istituti analoghi, che, accomunati dall’effetto di “sospendere” il pagamento di un credito vantato dal contribuente nei confronti della pubblica amministrazione, si differenziano tra loro quanto a presupposti, struttura ed effetti giuridici.

Ne risulta un sistema in cui l’amministrazione finanziaria ha a disposizione una rosa di “fermi” che imbriglia il rapporto tributario in caso di reciprocità di posizio-ni creditorie e debitorie.

Si tratta di chiarire se gli strumenti di “fermo” previsti a tutela dei crediti tribu-tari costituiscano, in forza del principio di specialità, la sola forma di cautela nelle ipotesi tipiche, ovvero se il fermo contabile rimanga sempre e comunque strumen-to residuale del sistema “cautelare”, che l’amministrazione ha facoltà di adottare discrezionalmente in presenza di una “ragione di credito” erariale.

21 La disposizione fa riferimento ai reati previsti dall’art. 4, comma 1, n. 5), D.L. n. 429/1982, successivamente riformulato nell’art. 4, comma 1, lett. d) ad opera del D.L. n. 83/1991 ed abrogato in virtù dell’art. 25, D.Lgs. n. 74/2000, che ha riformato il sistema penale tributario, introducendo delle nuove ipotesi delittuose, incentrate sul momento di presentazione della dichiarazione, che non hanno continuità i precedenti reati. Tuttavia, si ritiene che il riferimento dell’art. 38 bis debba fare riferimento alle nuove ipotesi delittuose comportanti l’utilizzo di fatture o documenti falsi, tra i quali rientra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazio-ni inesistenti di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000 e il delitto previsto e punito dal successivo art. 8 con-cernente l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Si rinvia sul punto a BUCCI-CO, Misure cautelari a tutela del credito erariale, cit., p. 14; TURIS, Crediti d’imposta Iva ed efficacia del con-cordato tombale. Contestazione di inesistenza delle operazioni imponibili, in Il fisco, 2010, p. 2172.

22 GRASSOTTI, La specialità della norma sui rimborsi Iva esclude l’applicabilità del fermo amministra-tivo, in GT – Riv. giur. trib., 2004, p. 1033.

23 Art. 38 bis, comma 3, D.P.R. n. 633/1972.

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GIURISPRUDENZA RTDT – n. 3/2016 800

La questione, che riveste carattere centrale nella materia di cui ci si occupa, è stata risolta in maniera tranchant dalla sentenza in commento, nella quale la Su-prema Corte, ribadendo il proprio consolidato orientamento (formatosi proprio con riguardo al fermo dei rimborsi IVA) 24, sembra ancora riconoscere al fermo contabile ex R.D. n. 2440/1923 un ambito di efficacia generalizzato in materia tri-butaria, evidenziando come i fermi speciali si applichino quale “alternativa” al fer-mo generale, in un sistema in cui l’amministrazione finanziaria resta libera di sce-gliere quale strumento adottare nel caso concreto.

Rispetto alle doglianze del contribuente, che aveva lamentato la carenza del po-tere in capo all’Agenzia delle entrate di disporre il fermo al di fuori dei limiti previ-sti dall’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997 (nella versione vigente ratione temporis, appli-cabile alle sole ipotesi di notifica di atto di contestazione o irrogazione di sanzioni amministrative), la Suprema Corte ha sottolineato che l’Agenzia delle entrate «si avvale delle stesse prerogative una volta attribuite agli uffici facenti capo al dipar-timento delle entrate compreso il potere di sospensione del pagamento previsto dall’art. 69 del Regio Decreto citato che è espressione del potere di autotutela della Pubblica Amministrazione (…) ed ha portata generale in quanto mira a garantire la certezza dei rapporti patrimoniali con lo Stato, mediante la concorrente estin-zione delle poste reciproche, attive e passive».

Da ciò consegue, secondo la sentenza in commento, «l’applicabilità della nor-ma anche ai rimborsi dell’IVA, fino al sopraggiungere dell’eventuale giudicato ne-gativo circa la concorrente ragione di credito vantata dall’erario», a nulla valendo la successiva disciplina del D.Lgs. n. 472/1997, che, lungi dal circoscrivere il pote-re di sospensione del pagamento del credito alle sole ipotesi ivi contemplate, con-tiene «solo una disciplina peculiare dell’istituto generale di cui al R.D. n. 2440 del 1923»: il fermo amministrativo generale può essere sempre disposto dall’ammi-nistrazione finanziaria.

A seguito della sentenza in commento, che si inserisce in un orientamento oramai consolidato 25, la tesi di segno opposto, sostenuta da parte della giurispru-

24 Cass., sez. trib., 21 marzo 2012, n. 4505, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2013, II, p. 1 ss., secondo cui il fermo contabile «trova piena applicazione anche in materia di IVA, per cui deve ritenersi legit-timo il diniego di rimborso di IVA da parte dell’amministrazione finanziaria, in dipendenza dell’adozione di provvedimento di fermo amministrativo delle somme pretese in restituzione, in ragione della pendenza di controversie tra le parti su rettifiche relative ad altre annualità d’imposta (in tal senso, le citate Cass. nn. 4567 del 2004 e 9853 del 2011)». Nello stesso senso, cfr. Cass., sez. trib., 5 maggio 2011, n. 9853, in Il fisco, 2011, p. 2112 ss., con nota di SERVIDIO, Rimborso Iva e fermo amministrativo.

25 Per i riferimenti della giurisprudenza della Cassazione, sia a Sezioni Unite che a sezioni semplici, nonché della Corte dei Conti, si rinvia agli ampi richiami esplicitati nella sentenza in commento.

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Cass., sez. V, 16 marzo 2016, n. 5139 801

denza 26 e dalla dottrina 27, pare definitivamente superata in favore dell’orienta-mento che ritiene possibile, per l’amministrazione finanziaria, cumulare le diverse tipologie di fermo, generale e speciali 28.

La Suprema Corte continua infatti a sposare la teoria dei «cerchi concentrici di proporzioni diverse» 29, dei quali il più ristretto è costituito dal fermo dei rimborsi IVA; il mediano dalla sospensione dei rimborsi ex art. 23, D.Lgs. n. 472/1997; il maggiore, che copre tutto il diritto tributario, è rappresentato dal fermo di cui al Re-gio Decreto del 1923, che opera quale misura di garanzia in tutte le ipotesi residuali.

5. Distorsioni applicative e disparità di trattamento: la cessazione degli effetti del fermo

L’adozione generalizzata in ambito tributario del fermo più “antico”, quello previsto dal Regio Decreto 30, dovrebbe essere accompagnata dalla previsione di una serie di garanzie che meglio tutelino il diritto all’informazione e alla difesa del contribuente.

26 Cass., sez. trib., 25 giugno 2003, n. 10199, in Dir. prat. trib., 2003, p. 1592 ss.; Cass., sez. trib., 26 aprile 2004, n. 7952, in GT – Riv. giur. trib., 2004, p. 1033 ss., con nota di GRASSOTTI, La specialità della norma sui rimborsi Iva esclude l’applicabilità del fermo amministrativo; Cass., sez. trib., ord. 1 lu-glio 2009, n. 15424, in Il Fisco, 2009, p. 4797 ss., nelle quali la Suprema Corte sottolinea che l’art. 38 bis, D.P.R. n. 633/1972 è incompatibile con il fermo generale, giacché, laddove potesse essere di-sposto il fermo contabile, sarebbe inutile la previsione di una specifica ipotesi di sospensione del pagamento prevista in materia di IVA.

27 BASILAVECCHIA, Il fermo amministrativo nei procedimenti tributari, cit., p. 250; BUCCICO, Misure cautelari a tutela del credito erariale, cit., p. 15 ss., ove si mette in luce che il comma 3 dell’art. 38 bis del decreto IVA restringe l’ambito di applicazione dell’art. 69 della legge sulla contabilità dello Sta-to, anche alla luce della peculiare natura del credito IVA, che rappresenta una mera modalità appli-cativa del meccanismo di funzionamento del tributo, imperniato sull’esercizio del diritto alla detra-zione dell’imposta assolta sulle operazioni passive.

28 Cfr. Cass., sez. trib., 28 marzo 2014, n. 7320, in Banca dati fisconline, secondo la quale il fermo generale «concorre col più limitato sistema di garanzie direttamente previsto dall’art. 38-bis del D.P.R. n. 633/1972, giacché quest’ultimo si pone a tutela di un interesse in parte diverso (qualitati-vamente), qual è quello dell’erario all’eventuale recupero di quanto dovesse risultate indebitamente percepito dal contribuente (…). L’essenziale differenza è questa: che dinanzi alla contestazione pe-nale la sospensione del rimborso è obbligatoria per l’Erario; a fronte invece della facoltà di sospen-sione altrimenti concessa dalla previsione generale di cui all’art. 69 del r.d. del 1923. Ne consegue che, giustappunto esercitando l’ampia potestà accordata da quest’ultima disposizione, l’amministra-zione finanziaria può sospendere l’esecuzione del rimborso dell’eccedenze dell’IVA anche in casi diversi da quelli associati alla fattispecie di reato».

29 Cass., sez. trib., 28 marzo 2014, n. 7320, cit. 30 Il fermo contabile, lo dimostra la quantità di precedenti giurisprudenziali, finisce per costituire

lo strumento più utilizzato dal punto di vista applicativo.

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GIURISPRUDENZA RTDT – n. 3/2016 802

Se è vero, quanto alla funzione dell’istituto, che i “fermi” tributari costituiscono una specificazione del fermo contabile, è altrettanto vero che le garanzie procedi-mentali previste per i più recenti “fermi” tributari – in particolare per la sospensio-ne dei rimborsi ex art. 23, D.Lgs. n. 472/1997, disciplinata nel dettaglio anche con riguardo alla fase di impugnativa processuale – dovrebbero trovare applicazione anche con riguardo al fermo previsto dal Regio Decreto.

La dottrina, sotto tale profilo, ha condivisibilmente messo in luce che la disci-plina dettata dall’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997 contiene regole di garanzia procedi-mentale e processuale (notifica del provvedimento di sospensione, impugnabilità immediata con possibilità di accesso alla tutela cautelare ex art. 47, D.Lgs. n. 546/1992, proporzionalità, rapporto con le vicende concernenti il merito della pretesa e perdita di efficacia a seguito di sentenza anche non definitiva) che posso-no ben applicarsi in via analogica 31 anche al fermo “antico” previsto dal Regio De-creto del 1923 32, integrandone la disciplina per esigenze di parità di trattamento e tutela dei contribuenti.

Si pensi alla questione concernente gli effetti dell’intervenuto accertamento giudiziale, con sentenza non definitiva, circa l’insussistenza del credito erariale a cautela del quale è stato disposto il fermo di un rimborso.

In tale ipotesi, l’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997 mette chiaramente in luce che la sospensione può essere disposta nei limiti di quanto deciso dal giudice tributario, anche con sentenza non passata in giudicato 33, giacché, di fronte ad un accerta-mento giudiziale circa l’inesistenza del diritto di credito dell’erario, viene meno proprio quel fumus boni iuris che giustifica l’adozione del provvedimento cautelare di sospensione del rimborso 34.

31 È noto che lo strumento ermeneutico dell’analogia, non applicabile per le norme impositive e per le disposizioni che prevedono eccezioni, agevolazioni ed esenzioni (secondo il disposto del combinato disposto degli artt. 12 e 14 delle c.d. preleggi), trova pacifica applicazione nel diritto tri-butario con riguardo alle norme procedimentali che regolano che regolano l’attuazione del tributo e a quelle di natura processuale. Sul tema, cfr. ALLORIO, Diritto processuale tributario, Torino, 1969, p. 42 ss.; TESAURO, Istituzioni di diritto tributario Parte generale, cit., p. 58 ss.; FALSITTA, Manuale di di-ritto tributario. Parte generale, cit., p. 207 ss.

32 BUCCICO, Misure cautelari a tutela del credito erariale, cit., p. 24; PAPARELLA, La sospensione dei pa-gamenti in favore del debitore d’imposta, in FANTOZZI (a cura di), Diritto tributario, Torino, 2013, p. 529.

33 L’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997 non indica la necessità del passaggio in giudicato della sentenza, limitandosi a stabilire che la sospensione «opera nei limiti della decisione della commissione tribu-taria». Sarebbe auspicabile l’inserimento nella disposizione di una specificazione analoga a quella prevista in tema di ipoteca e sequestro conservativo, ove l’art. 22, comma 7, D.Lgs. n. 472/1997, stabilisce espressamente che i provvedimenti cautelari perdono efficacia a seguito della sentenza, «anche non passata in giudicato», con la quale viene accolto il ricorso del contribuente nel giudizio relativo alla pretesa tributaria.

34 In giurisprudenza, cfr. CTP Palermo, 19 novembre 2014, n. 7370/08/14, inedita; CTP Mila-no, 30 maggio 2016, n. 4758/16/16, in Il Fisco, 2016, 2692 ss., con nota di PERUZZA, La sentenza non definitiva favorevole al contribuente preclude la misura cautelare della sospensione del rimborso.

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Cass., sez. V, 16 marzo 2016, n. 5139 803

Il provvedimento cautelare è infatti, per sua stessa natura, “precario e provviso-rio”, nel senso che esso può operare solo in attesa di una decisione nel merito da parte dell’autorità giurisdizionale adita.

Tuttavia, a diverse conclusioni giunge la sentenza in commento. Con riguardo al fermo contabile, la Suprema Corte afferma infatti che esso opera «fino al so-praggiungere dell’eventuale giudicato negativo circa la concorrente ragione di cre-dito vantata dall’Erario».

L’ampiezza delle tutele e garanzie del contribuente muta dunque a seconda del-la scelta operata dall’amministrazione finanziaria circa l’adozione della sospensio-ne del rimborso o del fermo generale: nel primo caso il contribuente potrà ottene-re il rimborso a seguito di una decisione di merito, anche non definitiva, nel giudi-zio relativo alla ragione di credito erariale, mentre nel secondo caso dovrà addirit-tura attendere il giudicato sfavorevole all’Erario.

Tale distorsione applicativa (essa non rappresenta che uno dei molti esempi su cui ci si potrebbe soffermare 35) comporta una evidente disparità di trattamento che, rispetto all’adozione di due strumenti con funzione analoga, non appare giu-stificata.

Difatti, laddove intervenga una decisione di merito che dichiari insussistente il diritto a tutela del quale viene adottata la misura cautelare, è principio processuale generale quello per cui quest’ultima cessa di produrre effetti giuridici 36.

Ciò risulta chiaramente disposto dall’art. 669 novies c.p.c., il quale, ponendosi come regola generale in tema di misure cautelari, dispone che «il provvedimento cautelare perde efficacia se con sentenza, anche non passata in giudicato, è dichia-rato inesistente il diritto a cautela del quale era stato concesso» 37.

Tale disposizione è espressiva di un principio generale dell’ordinamento, che vale sia per le misure cautelari processuali (si pensi al richiamato sequestro conser-vativo) che per quelle disposte in via amministrativa (quale quella in esame): lad-dove l’autorità giurisdizionale abbia stabilito, nel merito, che il diritto è insussi-stente, non può essere concessa alcuna misura cautelare a tutela di tale inesistente (allo stato) diritto, perché non esiste (o comunque viene meno) il cd. fumus boni iuris necessario per l’adozione dello strumento cautelare 38.

35 Si pensi alle formalità di notifica del provvedimento di fermo, non previste per lo strumento previsto dal Regio Decreto, oppure all’obbligo di motivazione, sul quale peraltro si diffonde la stessa sentenza in commento.

36 Sembra convenire anche l’interpretazione amministrativa di cui alla circolare n. 180/E del 10 luglio 1998 dell’Agenzia delle Entrate, ove si afferma che «l’atto di sospensione deve operare nei limiti della pretesa erariale: dal quantum risultante dal provvedimento sanzionatorio o, qualora fosse stato impugnato, dalla sentenza della commissione tributaria».

37 Nello stesso senso, il già citato art. 22, comma 7, D.Lgs. n. 472/1997 in tema di ipoteca e se-questro conservativo.

38 Sul punto, si rinvia a Comm. trib. prov. Reggio Emilia, 21 settembre 2009, n. 170/01/09, in

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GIURISPRUDENZA RTDT – n. 3/2016 804

Non appare quindi giustificata, alla luce della natura cautelare del fermo (con-fermata dalla stessa sentenza annotata, ove è univoco il riferimento al fermo quale espressione di una «pretesa cautelare»), la sopravvivenza dei suoi effetti all’even-tuale pronuncia di merito circa l’insussistenza della ragione di credito erariale. Tanto più che con il D.Lgs. n. 156/2015, attuativo della legge delega per la riforma del sistema fiscale, è stata prevista la generalizzata esecutività delle sentenze di me-rito 39, i cui effetti dovrebbero evidentemente travolgere anche i provvedimenti amministrativi, quali il fermo, configgenti con la decisione, esecutiva, resa dall’au-torità giudiziaria 40.

6. La sospensione dei rimborsi come unico modello di fermo in materia tributa-ria nel D.Lgs. n. 158/2015

L’impostazione seguita dalla Suprema Corte continua a suscitare non poche perplessità.

Tuttavia, a seguito dell’intervento del D.Lgs. n. 158/2015, attuativo della legge delega n. 23/2014 la teoria dei cerchi concentrici elaborata dalla Corte di Cassa-zione potrebbe risultare superata, in prospettiva de iure condito, nell’intento di por-re un freno alle disparità di trattamento e tutela, in termini sia procedimentali che sostanziali, che caratterizzano il fermo generale del Regio Decreto rispetto al fer-mo “speciale” del D.Lgs. n. 472/1997.

Il legislatore delegato ha infatti esteso l’ambito di applicabilità della sospensio-ne dei rimborsi anche ai crediti derivanti da un «provvedimento con il quale ven-gono accertati maggiori tributi», con ciò prevedendo per tutti i crediti di natura tributaria (imposte e interessi, oltre che sanzioni) che la tutela cautelare del Fisco

Banca dati fisconline, secondo cui «la sospensione può essere effettuata soltanto nei limiti delle somme risultanti dalle sentenze; sentenze che, nel caso specifico hanno azzerato le pretese erariali. Ne consegue che l’Ufficio non può opporre sospensione alcuna. Si è scritto più sopra “sentenze (de-finitive o meno)”: infatti sulle corde del noto brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, manca qualsiasi previsione in tal senso nella più citata norma, la quale appunto non richiede la definitività della pronuncia giudiziale; disposizione normativa, oltre tutto, coerente con la natura cautelare della sospensione, per cui in presenza di annullamento dell’accertamento, da parte del Giudice di primo grado, vien meno il fumus boni iuris, quale presupposto per i provvedimenti cautelari e cioè, nel caso, della sospensione cautelare ex art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 472/1997».

39 Cfr. art. 69 bis ss., D.Lgs. n. 546/1992, per come modificati dall’art. 9, comma 1, lett. ee) e ss., D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156.

40 A seguito della novella legislativa, in caso di accoglimento del ricorso, non solo l’ammini-strazione finanziaria è obbligata al rimborso d’ufficio entro novanta giorni delle somme corrisposte in eccedenza, ma addirittura il contribuente ha titolo, in caso di mancato rimborso, per richiedere l’ottemperanza a norma dell’art. 70, D.Lgs. n. 546/1992.

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Cass., sez. V, 16 marzo 2016, n. 5139 805

si estrinsechi secondo la forma prevista dall’art. 23 della legge generale sulle san-zioni amministrative.

Rispetto a tale applicazione generalizzata, potrebbe finalmente trovare pieno conforto nella mens legis quella dottrina 41 secondo cui l’art. 23, quale norma spe-ciale, rappresenterebbe il solo “fermo” applicabile in materia tributaria.

A seguito della novella, la sospensione dei rimborsi, riferita ora alla generalità dei crediti tributari, dovrebbe perciò costituire misura di garanzia “tipica” e specia-le in relazione a detti crediti, a tutela dei quali l’amministrazione non potrebbe di-sporre il fermo amministrativo generale ex R.D. n. 2440/1923. Ciò in quanto il le-gislatore sembra aver ricollegato il presupposto del fermo dei rimborsi da crediti tributari alla formalizzazione di uno specifico provvedimento impositivo (avviso di accertamento, atto di contestazione o irrogazione delle sanzioni), in assenza del quale non può essere disposto il fermo 42.

Il D.Lgs. n. 158/2015 offre quindi significativi elementi per ripensare l’orienta-mento di cui la sentenza in rassegna è espressione e condurre al superamento di una teoria, quella dei “cerchi concentrici”, che in presenza di un modello generale e omnicomprensivo di fermo tributario, configurato dal legislatore delegato, non pare giustificata.

Del resto, la regolamentazione organica del fermo in materia tributaria, me-diante “recondutio ad unum” dei modelli procedimentali, è quanto mai necessaria.

L’istituto del rimborso costituisce un fondamentale aspetto dinamico del rap-porto tra Fisco e contribuente, sicché qualsiasi misura che vi possa incidere, primo fra tutti il fermo, dovrebbe essere adottata, anche in ossequio ai principi di buona fede e collaborazione tra amministrazione finanziaria e contribuente, solo laddove esista una concreta e circostanziata necessità di procedere in via eccezionale, se-condo il principio di proporzionalità che caratterizza le misure cautelari.

Damiano Peruzza

41 TRIVELLIN, Art. 23. Sospensione dei rimborsi e compensazione, cit., p. 756; GUIDARA, Indisponibili-tà del tributo e accordi in fase di riscossione, cit., p. 215. La ricostruzione degli Autori muoveva dall’assunto secondo cui l’art. 23 sarebbe stato applicabile a tutti i crediti di natura tributaria (com’è ora a seguito della novella), nonostante la disposizione previgente facesse riferimento ai soli crediti a titolo di sanzioni amministrative.

42 Ciò significa che, rispetto al potenziale recupero sulla base dei rilievi contenuti nel processo verbale di constatazione, non sarebbe possibile, per l’amministrazione, disporre il fermo, né nella forma dell’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997 né nella veste generale del fermo contabile.

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GIURISPRUDENZA RTDT – n. 3/2016 806

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