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ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3 1 www.adritalia.net Rivista quadrimestrale del Comitato Adr&Mediazione diretta da Antonella Fornari Anno 1 – Numero 3 - ISSN 2284-2470 Direttore dott.ssa Antonella Fornari ([email protected]) Comitato Scientifico Maria Cristina Biolchini, Roberta Calabrò, Stefano Cera, Giovanna De Virgiliis, Leonardo D’Urso, Maria Rosaria Fascia, Dante Leonardi, Alberto Mascia, Massimo Moriconi, Stefano Patti, Salvatore Primiceri, Giusy Raimondo, Andrea Sirotti Gaudenzi, Luca Tantalo, Ana Uzqueda, Lorenza M. Villa. Comitato Redazionale Paola Bruno, Carlotta Calabresi, Andrea Ceccobelli, Maria Rosaria Di Chio, Claudia Irti, Dante Leonardi, Alberto Mascia, Salvatore Primiceri, Giusy Raimondo. www.comitatoadrmediazione.it

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ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

1

www.adritalia.net

Rivista quadrimestrale del Comitato Adr&Mediazione

diretta da Antonella Fornari

Anno 1 – Numero 3 - ISSN 2284-2470

Direttore

dott.ssa Antonella Fornari

([email protected])

Comitato Scientifico

Maria Cristina Biolchini, Roberta Calabrò, Stefano Cera, Giovanna De Virgiliis, Leonardo D’Urso, Maria Rosaria Fascia, Dante Leonardi, Alberto Mascia, Massimo Moriconi, Stefano Patti, Salvatore

Primiceri, Giusy Raimondo, Andrea Sirotti Gaudenzi, Luca Tantalo, Ana Uzqueda, Lorenza M. Villa.

Comitato Redazionale

Paola Bruno, Carlotta Calabresi, Andrea Ceccobelli, Maria Rosaria Di Chio, Claudia Irti, Dante Leonardi, Alberto Mascia, Salvatore Primiceri, Giusy Raimondo.

www.comitatoadrmediazione.it

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

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2014. Tutti i diritti riservati.

Finito di stampare nel mese di ottobre 2014

Presso Cromografica Roma

Per conto di Primiceri Editore

Corso Mazzini 14 – 27100 Pavia

ISBN 978-88-98212-48-4

ISSN 2284-2470

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

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Alcuni1 temono che l’arbitrato possa essere soppiantato o messo in competizione con le

ADR2. Viceversa, gli strumenti alternativi di composizione delle controversie – diffusi in

Europa su impulso dell’Unione europea3 - non sono in competizione con l’arbitrato.

1 G. BERNINI scriveva già nel 2008 “ADR techniques are certainly going to affect the arbitral pattern in a long term

perspective”, in International Arbitration: a contemporary perspective, 2008, in http://www.arbitration-icca.org/media/0/12641363465510/bernini_loyola_law_school.pdf , pp. 13 ss.

2 Si è soliti usare come punto di riferimento la data del 1976, in cui negli USA si celebrò il settantesimo anniversario del discorso tenuto da R. POUND con la “Pound Conference” in cui il prof. F. SANDER paragonò il contratto a un cortile con molte porte (“multidoor courthouse”) in quanto le dispute scaturenti da esso possono essere dirottate verso diversi meccanismi di risoluzione a seconda della natura della lite, della relazione tra le parti, del valore e dei costi. Cfr. F.E.A. SANDER, Varieties of Dispute Processing, The Pound Conference, 70 F.R.D. 111 (1976); T.J. STIPANOWICH, The Multi-Door Contract and Other Possibilities, in Ohio State Journal on Dispute Resolution, 1998, p. 303. Per una ricostruzione approfondita della “giustizia informale” negli USA, si veda I. PUPOLIZIO, Una comunità all’ombra del diritto. La mediazione sociale e la giustizia informale nel modello statunitense e nell’esperienza italiana, Giuffré, Milano, 2005, pp. 9 ss.; F. CUOMO ULLOA, La conciliazione. Modelli di composizione dei conflitti, Cedam, Padova, 2008, p. 2; N. TROCKER, La conciliazione come metodo alternativo di risoluzione delle controversie nell’esperienza dell’ordinamento italiano tra obiettivi di politica legislativa e profili di compatibilità costituzionale, in V. VARANO op. cit., p. 321; G. TARZIA, Médiation et institution judiciaire, in L. CADIET, T. CLAY, Médiation et Arbitrage. Alternative Dispute Resolution, Lexis Nexis Litec, 2005, Parigi, p. 21. 3 Nel giugno scorso sono stati promulgati il Regolamento UE n. 524/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013 relativo alla risoluzione delle controversie online dei consumatori (regolamento sull’ODR per i consumatori) e la direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013 sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori (direttiva sull’ADR per i consumatori). Lo stimolo per il legislatore europeo sono stati atti quali il "Programma dell’Aja" (COM(2005) 184 def, 10.5.2005); la Comunicazione della Commissione “Europa 2020” (COM(2010) 2020, 3.3.2010); l’Agenda digitale europea (COM(2010) 245, 19.5.2010), adottata nell'ambito della strategia Europa 2020 e l'atto per il mercato unico I (Single Market Act) che considera le ADR come una delle 12 leve per stimolare la crescita e rilanciare il mercato unico, in particolare quello digitale (COM (2011) 206 def, 13.4.11).

Tali atti sono stati preceduti da atti non vincolanti quali il Libro verde sull’accesso dei consumatori alla giustizia e la risoluzione delle controversie in materia di consumo nell’ambito del mercato unico, 16.11.1993, la Raccomandazione della Commissione 30.3.1998, 98/257/CE riguardante i principi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo, la Raccomandazione della Commissione, 4.4.2001, 2001/310/CE sui principi applicabili agli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie in materie di consumo (entrambi atti non vincolanti) e il Libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, COM/2002/0196. Il primo atto vincolante dell’UE su questo tema, applicabile a tutte le controversie civili, non solo con i consumatori, è stata invece la Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 21.5.2008 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale.

ADR, arbitrato e negoziazione assistita: metodi complementari per la risoluzione extragiudiziale delle controversie

di Carlotta Calabresi

(Avvocato)

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L’arbitrato e le ADR hanno natura, spirito e scopo completamente diversi. Lo spirito delle

ADR è cooperativo e volto a preservare la relazione tra le parti. Il procedimento è libero e

flessibile, può esser gestito dai managers senza la presenza dei legali. Il terzo neutrale ascolta

le parti insieme o separatamente (impensabile in arbitrato!) e – soprattutto – non può decidere

ma solo suggerire, raccomandare, proporre, in alcuni casi esprimere una valutazione tecnica

(salvo particolari materie quali il diritto dei consumatori, in cui è possibile che il conciliatore

possa imporre una soluzione a entrambe o, più spesso, ad una parte, il professionista). Il

risultato potrà essere un accordo solo se c’è la volontà delle parti, in un’ottica che può

prescindere dal diritto, che guarda al futuro, agli interessi commerciali delle aziende. La

mediazione consente di uscire dal “binario” della controversia legale. Non ci sono memorie o

materiale probatorio. Sono rapide, economiche e “business-oriented”. In caso di insuccesso

non precludono né l’accesso alle corti né il ricorso all’arbitrato, se previsto dalla clausola

compromissoria. Si parla di approccio win-win nel senso che non vengono attribuiti ragioni o

torti e non vi sono né vinti né vincitori. Il risultato può consistere in una soluzione “creativa”

che può discostarsi dalle richieste iniziali, potendosi estendere a rapporti diversi da quello

litigioso. L’accordo, in alcuni ordinamenti, è soggetto all'omologazione del giudice e

suscettibile di esecuzione forzata4.

L’offerta di giustizia negli Stati moderni deve prevedere anche tali servizi, a volte resi da enti

pubblici, all’interno degli stessi tribunali, o da enti privati (ad esempio Camere di commercio

o ordini professionali), più spesso amministrati che ad hoc. L’illustre giurista Cappelletti5 le

aveva definite la “terza ondata” del movimento di accesso alla giustizia da parte dei cittadini

(dopo il gratuito patrocinio e le class actions6).

L’arbitrato – oggi riproposto dall’art. 1 DL n. 132 del 12 settembre 2014 con l’obiettivo di

sfoltire l’arretrato dei tribunali – è un procedimento equivalente al giudizio in tribunale,

interamente gestito dai legali (sia interni che esterni), è formale, strutturato (specie laddove

sia amministrato), strutturato in fasi scandite da termini per il deposito di memorie e

4 La retorica delle ADR ci dice che tali procedimenti guardano al futuro piuttosto che al passato e che non si concludono con vincitori e vinti (cd. win-win). Per la manualistica internazionale, cfr. H. BROWN, A. MARRIOTT, ADR Principles and Practice, seconda edizione, Sweet & Maxwell, 1999, p. 60; pp. 509-513; C. BÜHRING-UHLE, L. KIRCHOFF, G. SCHERER, Arbitration and Mediation in International Business, Kluwer Law International, L’Aja, 2006; D. SPENCER, M.C. BROGAN, Mediation Law and Practice, Cambridge University Press, 2006; D. GOLANN, Mediating legal disputes: effective strategies for neutrals and advocates, American Bar Association, 2009; M.A. NADJA, International and comparative mediation: legal perspectives, Kluwer Law International, 2009. 5 Che sarà ricordato a Firenze l’11 dicembre 2014 nella conferenza “Process and Constitution:

The Heritage of Mauro Cappelletti”. http://www.eui.eu/DepartmentsAndCentres/Law/HeritageofMauroCappelletti/Index.aspx

6 V. VARANO, L’altra giustizia, Milano, Giuffrè, 2007, pp. ix-x.

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documenti, testimonianze e controinterrogatori. Le parti in contenzioso smettono di parlarsi

direttamente ed è forte il rischio di rottura della relazione tra le parti. Le posizioni spesso

sono fisse ed estreme. Si tengono solo udienze congiunte, nel rispetto del principio del

contraddittorio e del due process. Si guarda al passato e non al futuro. I fatti del passato

vengono accertati e valutati sulla scorta delle norme di diritto e inquadrati in caselle

predeterminate dal legislatore, esattamente come farebbe un giudice di tribunale. Si

stabiliscono torti e ragioni in base al diritto applicabile alla controversia. L’arbitrato è un vero

e proprio giudizio che si conclude con la decisione della controversia, sempre vincolante, (il

lodo) che ha efficacia pari a una sentenza di tribunale. Il lodo può essere secondo diritto o

equità. E’ lento e molto costoso, anche perché gli avvocati e gli arbitri sono pochi, impegnati

e molto ben pagati. L’esecuzione forzata e la circolazione internazionale del lodo – nel caso

di arbitrato internationale - sono disciplinate dalla Convenzione di New York del 19587.

L’arbitrato in Italia è disciplinato dal titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile.

Trattandosi di due istituti completamente diversi, sembra dunque improbabile che le ADR

prendano il posto dell’arbitrato o che possano comprometterne l’utilità. Anzi, sono metodi

che è bene che convivano. Le clausole arbitrali dei contratti internazionali spesso si

presentano multi-tired8, in quanto prevedono in una prima fase l’obbligo di negoziazione o di

composizione amichevole tra le parti senza l’intervento di un terzo oppure la mediazione o

conciliazione con l’intervento di un neutrale facilitatore senza poteri di imporre soluzioni. Se

queste fasi falliscono, il passo ulteriore sarà l’arbitrato o, quale fase intermedia nei

construction contracts, forme di risoluzione alternativa di controversie quali il Dispute

Board9.

In questa tabella, tratta dal testo dello svizzero Blessing10, sono riassunte le differenze tra i

due metodi alterntivi.

7 http://www.uncitral.org/uncitral/en/uncitral_texts/arbitration/NYConvention_status.html (148 Stati membri a giugno 2014). 8 Paragonate alle wedding-cakes… da A. REDFERN, M. HUNTER, N. BLACKABY, C. PARTASIDES, Law and Practice of International Commercial Arbitration, Sweet & Maxwell, Londra, 2004, p. 43. Si veda anche JOLLES, Consequences of Multi-tier Arbitration Clauses: Issues of Enforcement, in Arbitration, 2006, p. 329; B.M. CREMADES Multi-tiered Dispute Resolution Clauses, 2004, p. 1, in http://www1.fidic.org/resources/contracts/cremades_2004.pdf. 9 Mi sia consentito di rinviare alla mia tesi di dottorato La risoluzione delle controversie nei contratti internazionali di appalto: il Dispute Board, Firenze, 2009, non pubblicata ma disponibile sul sito https://www.academia.edu/764580/La_risoluzione_delle_controversie_nei_contratti_internazionali_di_appalto_il_Dispute_Board 10 M. BLESSING, Introduction to Arbitration – Swiss and International Perspective, Helbing & Lichtenhahn, 1999, p. 305

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ADR ARBITRATO

Cooperativo contenzioso

Mantiene relazione tra le parti Rischio rottura relazione tra le parti

Gestito dai managers Gestito dagli uffici legali interni delle aziede

Poco o nullo materiale probatorio Tanto materiale probatorio

Negoziazione pragmatica e flessibile Posizioni fisse inamovibili estreme

Sessioni congiunte e separate Solo sessioni congiunte, rispetto del principio

del contraddittorio e due process

Informale Formale, strutturato (specie se amministrato)

Non decide, può suggerire, raccomandare,

proporre

Giudizio e decisione della controversia

Vincolante, non vincolante o vincolante solo

per una parte (azienda vs consumatore)

Sempre vincolante, il lodo ha efficacia pari a

una sentenza di tribunale

Prospettiva commerciale Decisione secondo diritto o equità

Guarda al futuro Guarda al passato

Win/win Win/lose

Guidato dagli interessi Guidato dai diritti

Rapido Lento

Economico costoso

Esecuzione forzata verbale omologato (in

alcuni ordinamenti)

Esecuzione forzata e circolazione

internazionale del lodo (CONV. NY 1958)

Come collocare in queste caselle la negoziazione assistita dagli avvocati?

Il DL n. 132 del 12 settembre 2014 intitolato “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed

altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile”11 ha introdotto al

capo II una modalità alternativa di risoluzione di controversie extragiudiziale, di cui si discute

in Italia da diversi anni, che è la “negoziazione assistita”.

L’idea che soggiace a questa nuova riforma, che va salutata con favore, è quella di introdurre

un ulteriore strumento per deflazionare il carico dei tribunali e consentire una migliore

giustizia e una pacificazione sociale, ispirandosi al diritto collaborativo, specie nel campo del

diritto di famiglia. Si tratta di un nuovo strumento che si aggiunge agli altri modi alternativi

di risoluzione delle controversie, in particolare alla mediazione di controversie in materia

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civile e commerciale di cui al D.Lgs. n. 28/2010 così come modificato dal D.Lgs. n. 69/2009.

La negoziazione non è un “doppione” della mediazione e non preclude il ricorso ad essa,

seppur condivide con essa alcune funzioni e procedure. La nuova procedura è rafforzata

dall’introduzione di una nuova condizione di procedibilità (art. 3). L'accordo che compone la

controversia, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo

esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.

La negoziazione assistita si ispira chiaramente all’istituto francese della “procédure

participative” introdotta dalla Loi no 2010-1609 du 22 décembre 2010 relative à l’exécution

des décisions de justice, aux conditions d’exercice de certaines professions réglementées et

aux experts judiciaires che ha inserito il titolo XVIII al libro terzo del Codice Civile

rubricato: “Della convenzione di procedura partecipativa”, in particolare gli articoli da 2062 a

2068 e dal Décret n° 2012-66 du 20 janvier 2012 relatif à la résolution amiable des

différendsha introdotto nel Code de procédure civile un libro V (dopo il IV dedicato

all’arbitrato) intitolato ai “modes de résolution amiables des différends”, di cui gli articoli

1542 ss… dedicati alla procédure participative12. La riforma francese è stata introdotta in

seguito ai lavori della commissione Guinchard del 200813.

La negoziazione assistita rientra pieno titolo nella famiglia delle ADR ma con delle

differenze fondamentali: rispetto all’arbitrato e alla mediazione, non viene condotta dinanzi a

un “neutrale”, cioè un terzo imparziale. Non è una procedura “amministrata” da un ente ma

dagli avvocati direttamente. Si tratta in sostanza di un tavolo con 4 persone sedute: 2 avvocati

e 2 clienti.

La negoziazione assistita presuppone compentenze – pari a quelle che deve avere un

mediatore – quali saper comunicare chiaramente, saper ascoltare in modo efficace, saper

facilitare la comunicazione tra tutti i partecipanti, saper proporre l’esplorazione di opzioni di

accordo che trovino il consenso di tutte le parti, ed in ultimo saper condurre se stessi in modo

neutrale. L’avvocato dovrà conoscere le tecniche di negoziazione e dovrà essere in grado di

lavorare in équipe.

All’arbitro – al pari del giudice – non possono che essere sottoposte posizioni giuridiche ed i

legali sono abituati da sempre a formulare le pretese dei loro clienti in termini di diritti od

11 Pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n.212 del 12-9-2014, anche disponibile sul sito http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/09/12/14G00147/sg 12 Tale decreto costituisce attuazione sia dell'articolo 37 della loi n° 2010-1609 du 22 décembre 2010 sia dell’ordonnance n° 2011-1540 du 16 novembre 2011 portant transposition de la directive sur la médiation civile et commerciale. 13 www.assemblee-nationale.fr/13/pdf/rapports/r3604.pdf

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interessi riconosciuti dall’ordinamento (diritti soggettivi, interessi legittimi, interessi diffusi

ecc.). In relazione a tali diritti o interessi riconosciuti dall’ordinamento il cliente viene poi

considerato come creditore o debitore, proprietario od inquilino, mutuatario o mutuante e così

via. La negoziazione invece considera oltre alle posizioni giuridiche, anche i desideri, i

valori, i bisogni, le credenze del cliente che ordinariamente il legale non indaga e che

tantomeno rappresenta in giudizio. I fatti passati rivestono poi un significato relativo, perché

ciò che conta in negoziazione è soprattutto il presente ed il futuro dei rapporti tra le parti.

Il successo della procedura dipenderà dagli avvocati che dovranno essere formati alla cultura

delle modalità alternative di risoluzione di controversie.

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A pochi giorni dalla pubblicazione dell’ennesimo decreto correttivo non pare fuori luogo

svolgere una qualche riflessione sull’attuale stato di salute dell’istituto della mediazione in

Italia.

La prima considerazione, amara ma realistica per chi sempre ha creduto nelle grandi

potenzialità dell’istituto, è che la mediazione purtroppo non è mai veramente decollata nel

nostro sistema.

I numeri, che qui non ripercorreremo dandoli per conosciuti, sono al proposito impietosi.

Tutti gli sforzi fatti per rivitalizzare la mediazione nella sua nuova veste “post

incostituzionalità” sono rimasti deludenti e non hanno portato a quel successo dell’istituto che

molti auspicavano.

Ancora poche sono le parti disponibili a sedersi al tavolo della mediazione e decisamente

insoddisfacenti rimangono le percentuali di successo delle mediazioni effettivamente svolte a

seguito del cosiddetto “incontro-filtro”.

Pare giusto allora interrogarsi sulle ragioni e cause di un tale insuccesso che bisogna avere il

coraggio di chiamare tale, almeno finora.

Da avvocato e mediatore quale sono mi permetto di evidenziare due delle possibili cause che,

fra le altre, condizionano pesantemente la buona riuscita della mediazione ed hanno

contribuito a decretare sino ad oggi il mancato decollo dell’istituto: la qualità dei mediatori e

la profonda crisi in cui versa attualmente l’Avvocatura.

Chi ha la possibilità di svolgere la professione di avvocato ed assistere quindi le parti in

mediazione e, contemporaneamente, di esercitare il ruolo di mediatore, ha la fortuna di poter

analizzare sia la figura del mediatore incontrato nei procedimenti nei quali si assistono i

clienti, che il comportamento degli avvocati delle parti allorquando viene assunto il ruolo di

mediatore nei procedimenti assegnati dagli organismi presso i quali si è iscritti.

Il frutto di tale osservazione empirica, necessariamente limitata alla esperienza personale

dello scrivente, può portare a qualche riflessione priva di ogni pretesa di esaustività o

incontestabilità.

Perché la mediazione non decolla?

di Antonio Erba

(Avvocato e mediatore in Monza)

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Ogni mediazione di successo presuppone la presenza di un mediatore, capace, competente,

appassionato e paziente, in una parola un mediatore di qualità, indiscutibilmente percepito

dalle parti e dai loro avvocati come tale.

Una delle più tenaci resistenze da vincere in coloro che osteggiano la mediazione è il

superamento della obiezione circa la inutilità di sostenere le spese che la mediazione

comporta a fronte delle perplessità circa il reale valore dell’attività svolta dal mediatore.

In altri termini assai spesso nelle parti, ma soprattutto nei legali che le assistono, vi è radicata

la convinzione, talvolta pregiudiziale e talvolta invece fondata su negative esperienze, che i

costi richiesti alle parti dall’organismo per lo svolgimento del procedimento siano in realtà

soldi buttati inutilmente non essendo l’attività del mediatore percepita come meritevole di

tale spesa.

L’esperienza che ciascuno di noi fa della eterogenea realtà che anima il mondo della

mediazione porta a ritenere che, purtroppo, talvolta tale opinione possa essere fondata.

Troppo spesso le parti e i loro legali si trovano ad affrontare mediazioni nelle quali la figura

del mediatore rimane timidamente sullo sfondo del procedimento, quasi defilata, e

contribuendo a consolidare l’idea del mediatore come percettore di un inutile balzello

economico che ben poteva essere evitato.

E’ allora assolutamente necessario che si affermi e consolidi nella realtà della mediazione

italiana la figura di un mediatore che venga percepito con immediatezza come valore

aggiunto rispetto ad una semplice negoziazione fra i legali delle parti contrapposte.

E’ bene ricordare che la mediazione null’altro è che un servizio a pagamento offerto dagli

organi di conciliazione alle parti. Come ogni altro servizio esso tanto più sarà considerato

dall’utenza meritevole delle spese richieste per usufruirne, quanto più ne sarà percepita con

evidenza l’utilità ed efficacia.

Alla domanda, brutale ma comprensibile, soprattutto in momenti di difficile situazione

economica come l’attuale sul perché si debbano pagare le spese per il servizio di mediazione,

la risposta, nei fatti e non a parole, deve essere chiara e netta: perché i soldi spesi servono a

retribuire l’attività di un professionista, il mediatore, che dimostra con la sua formazione, le

sue capacità, gli strumenti e la competenza che maneggia con disinvoltura, di essere un valore

aggiunto in grado di portare alle parti vantaggi non altrimenti ottenibili.

Mediatori più capaci, meglio formati, maggiormente in grado di interpretare il ruolo loro

assegnato nella procedura di mediazione di “lievito della procedura”, e cioè coloro che sono

in grado di trasformare, grazie al loro lavoro, un conflitto anche aspro e apparentemente

insolubile, in un accordo fra le parti che ricostruiscono un rapporto che sembrava

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irrimediabilmente compromesso, possono rappresentare un punto di svolta importante nel

superare il pregiudizio di inutilità delle spese da sopportare per la mediazione.

Ed allora una profonda riflessione si impone circa la effettiva capacità dei mediatori di

incarnare l’autorevole ruolo che sono chiamati a svolgere, la loro formazione, preparazione

ed aggiornamento troppo spesso, consentitemi di ritenere, insufficiente ed approssimativa.

Mi pare di poter dire che solo quando le parti saranno in grado di ritenere che i soldi spesi per

la mediazione sono stati un ottimo investimento e non invece denari buttati, la mediazione

avrà maggiori chance si successo di quanto ne avrà ora. E solo un mediatore capace,

competente e ben formato può far cambiare opinione a chi ritiene la mediazione un inutile

balzello.

La crisi economica, che attanaglia l’Avvocatura è un ulteriore fattore che forse ha una

qualche influenza causale sul mancato decollo della mediazione.

Pare persino banale affermare che nessuna mediazione ha la benché minima possibilità di

successo se una o più delle parti, o dei loro legali decidano di opporsi pregiudizialmente ad

ogni ipotesi di accordo avendo già preventivamente deciso che la mediazione deve

concludersi con un verbale di mancato accordo.

Il successo della mediazione presuppone, oltre ad un mediatore capace e preparato, parti

ragionevoli, disponibili ad aprirsi all’ascolto e al dialogo ma anche avvocati che non si

pongono ostilmente di traverso a fronte di ogni possibilità di positiva soluzione della

procedura.

Credo si possa dire serenamente che mai una mediazione si è conclusa positivamente se uno

degli avvocati che assiste le parti già aveva deciso dentro di sé che la mediazione dovesse

fallire. E’ comune esperienza di ogni mediatore avere sperimentato situazioni in cui

mediazioni faticosamente avviate e svolte non hanno avuto esito positivo a causa della

mancata collaborazione, anche minima, di uno dei legali che ha assunto invece posizioni

sempre più ostili alla favorevole conclusione del procedimento.

In questo quadro allora è doloroso dover constatare che l’attuale grave crisi, soprattutto

economica, che colpisce la classe forense ha un sicuro effetto sfavorevole all’affermarsi della

mediazione quale credibile alternativa alla risoluzione delle controversie per via giudiziale.

Il fenomeno della proletarizzazione della classe forense è ormai notorio e sotto gli occhi di

tutti.

Le statistiche sono impietose: a fronte di circa 250.000 avvocati ben 56.000 professionisti

non sono iscritti a Cassa Forense dichiarando un reddito imponibile inferiore ad Euro 10.300

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e dei rimanenti 194.000 circa 60.000 sono morosi nei confronti della stessa Cassa avendo

omesso il pagamento di una o più rate dei contributi dovuti.

I numeri forniti da Cassa Forense confermano inoltre che il reddito medio per avvocato è

oggi sensibilmente inferiore a quello di 10 o 20 anni fa.

Se così è si può allora comprendere, anche se non giustificare, l’evidente atteggiamento di

manifesta ostilità da parte di molti avvocati in mediazione di fronte alla prospettiva della

chiusura del procedimento di mediazione con verbale di accordo fra le parti che porrebbe fine

ad un contenzioso altrimenti destinato a sfociare in una causa avanti l’Autorità giudiziaria.

Traspare talvolta con evidenza il desiderio di uno dei legali di non perdere con l’accordo in

sede di mediazione una delle poche pratiche che a lui sono affidate alle quali l’Avvocato

“deve” aggrapparsi per non perdere importanti entrate economiche che possono incidere sulla

propria situazione economica complessiva.

E’ capitato a chi scrive di ricevere una tale confessione in modo esplicito e dichiarato ma

tante altre volte meno esplicitamente, è parsa evidente la volontà di coltivare la più lucrosa

via giudiziale a fronte di concrete, e vantaggiose per le parti, soluzioni stragiudiziali emerse

in sede di mediazione.

E troppo spesso purtroppo le parti non sono in grado di valutare la loro reale convenienza né

il mediatore può spingersi troppo oltre nel proprio compito invadendo lo spazio riservato al

rapporto fiduciario avvocato-cliente.

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A distanza di oltre quattro anni dall’entrata in vigore del D. Lgs. 28/2010, che ha introdotto

l’obbligatorietà del tentativo di mediazione nei casi di controversie riguardanti la

responsabilità medica, e le successive modifiche introdotte dal D.L. n. 98/2013 (Decreto del

Fare), convertito con modificazioni nella Legge n. 98/2013, che sulla base di

un’interpretazione autentica, di cui è condivisa la coerenza logica, ha ampliato ed esteso

l’esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria a tutti i casi di responsabilità sanitaria,

è d’uopo valutare l’efficacia del procedimento di mediazione nella risoluzione delle

controversie che sempre più frequentemente coinvolgono strutture ed operatori sanitari.

Il legislatore, probabilmente partendo dal dato giurisprudenziale in materia, e dalla

equiparazione sostanziale sotto il profilo della responsabilità nei confronti del paziente fra

prestazione del medico e prestazione della struttura sanitaria, sul presupposto che il rapporto

che si instaura tra paziente e struttura sanitaria (pubblica o privata che sia) debba considerarsi

alla stregua di un contratto d’opera professionale, ha ritenuto di chiarire i dubbi e le

perplessità di coloro che non comprendevano quale poteva essere il confine (che imponeva

l’obbligatorietà) per i soli casi di responsabilità medica, prevista in origine tout court, dalla

versione iniziale del D. Lgs. 28/2010 e le residuali ipotesi (che poi tanto residuali non erano)

in cui erano coinvolte le responsabilità di altri operatori sanitari o della struttura.

Il “Decreto del Fare” ha chiarito, e così, oltre alla classica responsabilità del medico quale

prestatore d’opera intellettuale nei confronti del paziente sono state contemplate, nell’ambito

della mediazione obbligatoria, tutte le fattispecie che possono essere ricondotte a prestazioni

sanitarie. La giurisprudenza, nel delineare i profili della responsabilità sanitaria da contratto

sociale, ha messo in luce, oltre alla principale prestazione di curare il paziente erogata dalla

struttura sanitaria, anche tutta una serie di altre prestazioni (l’alloggio, l’alimentazione, gli

impianti e le attrezzature cliniche, le risorse umane sanitarie e non), che concorrono in modo

complesso ed unitario a garantire il risultato finale e da cui possono derivare, nei confronti

dei pazienti, responsabilità della struttura sanitaria che prescindono dall’attività del personale

medico. Così, anziché definire e delimitare una responsabilità, si è dato ancor maggiormente

Mediazione civile e commerciale in ambito sanitario: Risoluzione stragiudiziale di una controversia o “pre-giudizio” civile?

di Bruno Giannico

(Avvocato, mediatore e formatore per la mediazione civile e commerciale-

Presidente della Camera Civile di Santa Maria Capua Vetere)

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

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spazio alla creatività per allargare il fronte della responsabilità e costruire nuove “cause” e,

ovviamente, per ampliare il numero dei soggetti da coinvolgere, dapprima nel procedimento

di mediazione, e poi nella causa risarcitoria civile vera e propria. Così, ad esempio, si è

assistito a procedimenti che riguardano l’invio, da parte del servizio del 118, di una

ambulanza non adeguata per trasportare un paziente oltremodo obeso, oppure, alla mancata

tempestiva informativa da parte di un ginecologo sul mero stato di gravidanza di una donna.

La casistica sui casi di malasanità non si conta.

Oggi, le controversie in materia di responsabilità professionale costituiscono, nei tribunali,

una considerarle percentuale delle cause civili che vengono iscritte a ruolo, e quelle da

responsabilità sanitaria ne rappresentano la stragrande maggioranza. Il “filtro” della

mediazione, non riesce ad arginare e limitare il contenzioso. Di fronte ad un dato

giurisprudenziale che vede crescere il contenzioso civile e le sentenze di natura risarcitoria,

soprattutto a seguito dell’emanazione del decreto Balduzzi, convertito nella legge 189 del

2012, è evidente che occorrono strumenti più incisivi del mero invio obbligatorio in

mediazione.

Per alcuni organismi di mediazione, le controversie in ambito sanitario costituiscono circa il

10% delle pratiche avviate in mediazione, (il dato nazionale è leggermente inferiore) ma il

procedimento non prosegue, (in genere tre casi su dieci) o se prosegue (sette casi su dieci),

non si raggiunge l’accordo. E’ molto raro che le parti raggiungano l’accordo che poi

cristallizzano in un verbale di conciliazione.

Da qui il conseguente elevato numero di casi che finiscono in un’aula di Tribunale. Lo

strumento della mediazione civile e commerciale è deludente proprio per quelle controversie

dove doveva essere più incisivo e determinante, stante l’obbiettivo proclamato del recupero

delle relazioni sociali tra le parti coinvolte.

La mediazione per la risoluzione delle controversie civili e commerciali in ambito sanitario

funziona male, per non dire che non funziona affatto.

Quali le probabili cause?

Un dato oggettivo è rappresentato dal fatto che il procedimento di mediazione in ambito

sanitario si presenta più complesso rispetto ad altri procedimenti di mediazione, sia per il

coinvolgimento di più parti: primario, medico, sanitari in genere, la struttura, le compagnie

assicurative, ecc. (con evidenti diversi interessi), sia per la gestione della mediazione stessa,

che richiede maggiori tempi rispetto ad altri procedimenti, oltre che applicazione

contemporanea di diverse metodologie di approccio da parte del mediatore.

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

15

La carenza di “specializzazione” del mediatore diretta ad approfondire la conoscenza delle

varie tecniche di mediazione da utilizzare nello specifico procedimento costituisce, talvolta,

un limite al raggiungimento dell’accordo. Ma l’elenco delle cause è sicuramente più ampio:

le parti, nella maggior parte dei casi, non partecipano di persona al procedimento, delegando

l’avvocato a rappresentare oltre che assistere. Quest’ultimo non avendo vissuto il fatto è privo

delle conseguenti emozioni, si sofferma sugli aspetti tecnici e, talvolta, utilizza il

procedimento di mediazione solo per ricavare ulteriori elementi per perfezionare il proprio

atto di citazione.

Il danneggiato, quindi, obbligato da una norma ad esperire il tentativo di mediazione, vi

partecipa indirettamente, senza reale coinvolgimento, non per trovare una soluzione

conciliativa, , ma solo perché costretto. Questa consapevolezza disincentiva, ulteriormente, la

partecipazione al procedimento delle parti ritenute responsabili.

Altre, poi, sono le considerazioni che possono essere formulate rispetto alle figure che

possono essere chiamate a partecipare al procedimento. Se la compagnia assicurativa ha

interesse a partecipare per tentare di definire stragiudizialmente, nei limiti della franchigia, un

sinistro che costituisce un costo di gestione (peraltro, benché nel procedimento di mediazione

è possibile la diretta chiamata in causa dell’assicurazione, a differenza del processo, dove è il

convenuto che deve o può chiamare in causa la propria compagnia di assicurazioni, nella

maggior parte dei casi, inspiegabilmente, ciò non accade); diversa è, poi, la posizione del

sanitario che, spesso, si vede additato come responsabile di un qualcosa che non ritiene di

aver commesso, per cui non vuole conciliare (anche perché soggetto, il più delle volte al

pagamento della franchigia). Il medico, rifugge dalla mediazione, in altri casi, perché non si

ritiene responsabile dell’accaduto, ma coinvolto solo per un comune pregiudizio che lo addita

come responsabile.

Diversa ancora è la posizione della struttura sanitaria, chiamata, frequentemente, in causa in

via esclusiva, soprattutto quando il danneggiato è stato “trattato” da una molteplicità di

sanitari, per cui è difficile individuare una precisa responsabilità. Qui il pregiudizio è

determinato dal discredito che subisce la struttura, agli occhi dell’opinione pubblica, per

“colpe” che si ritengono non della struttura, ma di singoli individui.

Infine, non deve essere sottovalutato il fatto che il procedimento di mediazione civile e

commerciale, per come strutturato, presenta costi ritenuti elevati, in caso di partecipazione

piena delle parti.

Per tutti i soggetti coinvolti, spesso, l’accordo non si raggiunge, indipendentemente dalla

considerazione che il risarcimento proposto sia, a seconda delle posizioni, irrilevante o

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

16

eccessivo, anche per aspetti e considerazioni di natura extra economica, di tipo psicologico, o

per valutazioni sociali che necessiterebbero di incontri gestiti in maniera diversa da come la

norma ha strutturato il procedimento di mediazione.

Il procedimento di mediazione non è percepito come possibilità di risolvere la controversia,

ma solo come una fase pre-giudiziale; obbligatoria sì, ma utile solo per chiarire meglio le idee

ed avere preventivamente una maggiore conoscenza di informazioni occorrenti per intavolare

un giudizio civile.

La mediazione, al più, è ritenuta uno strumento per “tentare di ottenere” un risarcimento dalla

controparte, in casi di dubbia responsabilità, o di modesto valore economico, sperando che la

controparte possa addivenire ad un accordo per evitare strascichi giudiziari. In tal modo per il

reale o sedicente danneggiato sarà possibile ottenere un risarcimento dei danni, senza dover

rischiare di incorrere in una soccombenza processuale (con i conseguenti maggiori oneri in

tema di condanna alle spese e competenze legali).

Con tali consapevolezze, di fronte ad un crescente numero di controversie, molte strutture

sanitarie hanno tentato di organizzarsi per arginare il crescente fenomeno della responsabilità

sanitaria – malpractice.

Da un lato, di fronte all’’abbandono da parte delle compagnie assicurative più importanti, in

special modo nazionali, del settore sanitario, considerato non remunerativo, mandando

deserte le gare pubbliche, le aziende sanitarie e le Regioni hanno provato a far ricorso a

forme di autoassicurazione, per tentare di contenere costi e gestire direttamente rischi,

quantomeno quelli di non elevato importo. Dall’altro, si è tentato di professionalizzare parte

del personale, formandola alla gestione dei conflitti, attraverso corsi e progetti ad hoc.

La via dell’autoassicurazione, non acquistando alcuna copertura assicurativa, ma facendo

fronte in proprio alla gestione e risarcimento dei sinistri è in evoluzione, e non sempre

praticabile, perché sulla base della imprevedibilità e variabilità della spesa per la liquidazione

dei sinistri non è facile determinare una corretta rispondenza tra costi preventivati e

consuntivati da riportare nei bilanci.

Più adeguato allo scopo, è sicuramente il ricorso ad una mediazione dei conflitti

specializzata, piuttosto che una generica mediazione per la risoluzione delle controversie

civili e commerciali.

Alcuni organismi di mediazione, con lungimiranza di intenti, già da tempo si erano accorti

della necessità di applicare ai conflitti sanitari modelli di mediazione che andassero oltre la

ricerca del mero accordo economico risarcitorio del danno, spesso richiesto più per fatti

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

17

emotivi che per decisioni razionali. L’escalation del contenzioso si può controllare solo

veicolando i conflitti in sanità nel giusto alveo che è quello del riconoscimento reciproco.

Il modello dell’ascolto e l’applicazione della mediazione trasformativa, ideato da Bush e

Folger deve trovare applicazione in un contesto più ampio dal mero aspetto economico, e

soprattutto libero da un ingabbiamento di una norma che prevede l’obbligatorietà del ricorso

alla mediazione.

L’ascolto empatico, il sentire e rispecchiare gli stati d’animo dei soggetti coinvolti, non

possono essere facilmente utilizzati nel procedimento di mediazione come è attualmente

strutturato.

Occorre, a mio parere, ripensare allo strumento della mediazione civile e commerciale,

adottando una diversificazione di procedimento, a seconda della tipologia di controversia

affrontata, perché il mediatore dovrà potersi “muovere” in maniera diversa a seconda del

conflitto che è chiamato a gestire.

Per quanto riguarda i casi di responsabilità sanitaria, solo attraverso un articolato percorso da

compiere direttamente con i soggetti interessati e non loro delegati, sarà possibile raggiungere

lo scopo; ma, occorrono colloqui individuali preliminari, incontri collettivi, di nuovo colloqui

individuali, incontri di mediazione, ed ancora incontri individuali, se del caso anche post-

mediazione. In sostanza occorre gestire il conflitto con le persone “giuste” e nel tempo,

tempo che purtroppo, per la specifica strutturazione non ha, e non può avere, una mediazione

civile e commerciale.

Ora un nuovo strumento di risoluzione delle controversie è dato dalla negoziazione assistita

prevista dal decreto sviluppo approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 27 agosto

2014, che per taluni aspetti è una procedura simile alla mediazione, con i limiti conciliativi

che probabilmente saranno sempre legati ad aspetti squisitamente tecnico-legali.

Ma, per poter raggiungere risultati soddisfacenti occorre cambiare l’approccio al problema ed

affrontarlo, senza pregiudizi, ma con logiche volte a comprendere e supportare le parti

coinvolte, con l’ausilio di mediatori che riescano a superare e far superare il mero aspetto

economico.

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

18

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

19

Il termine controversia esprime la differenza delle opinioni espresse da due soggetti in merito

ad una questione avente ad oggetto le regole di comportamento di ciascuna delle parti, con

riferimento ad un bene della vita tutelato dall’ordinamento giuridico.14

Per la risoluzione della controversia occorre che venga ad esistenza un atto che individui -

con forza vincolante - le regole di condotta che, in relazione ai soggetti coinvolti e a quel

determinato bene della vita, disciplinino il comportamento delle parti.

Il metodo classico di risoluzione delle controversie è offerto dalla giurisdizione: il giudice,

titolare di un potere pubblicistico in quanto organo dello Stato, indica le regole di condotta

per mezzo della sentenza, che è vincolante tra le parti e in relazione alla controversia oggetto

di causa.

Il potere di risolvere le controversie, tuttavia, non è affidato in via esclusiva alla magistratura:

l’art. 102 Cost. le riserva solo la possibilità di farlo in via autoritativa.15

Vi sono, com’è noto, metodi di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione.

Uno di essi è costituito dal procedimento arbitrale: esso si conclude con il lodo, che ha

l’efficacia di una sentenza.16

Ciò che distingue lo strumento arbitrale da quello giurisdizionale è la fonte dell’attribuzione

del potere di pronunciarsi con forza vincolante: solo nel primo caso sono le parti a conferire

all’arbitro il suddetto potere.

Ad ogni modo, entrambi tali strumenti trovano un punto di analogia nella circostanza per cui

chi risolve la controversia è un soggetto terzo e diverso dai destinatari dell’atto.

E dunque, sia il procedimento arbitrale che quello giurisdizionale sono caratterizzati dalla

diversità tra l’autore dell’atto vincolante e i destinatari degli effetti dell’atto.

14 Dizionario Garzanti della Lingua Italiana, Edizione 1994 – 1995.

15 F. LUISO, Manuale di diritto processuale civile, Vol. I, Principi generali, Milano, Giuffrè, 2013, pp. 24 e ss.

16 F. LUISO, Manuale di diritto processuale civile, Vol. V, La risoluzione non giurisdizionale delle controversie, Milano,

Giuffrè, 2013, pp. 79 e ss.

Strumenti di risoluzione delle controversie, dalla giurisdizione all’arbitrato, dalla transazione alla mediazione.

Prime riflessioni in tema di negoziazione assistita.

di Marianna Sabino

(Avvocato)

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

20

Ciò porta a definire eteronomi tali strumenti di risoluzione delle controversie, per

contrapporli agli strumenti autonomi, in cui l’autore dell’atto vincolante e i destinatari degli

effetti dello stesso coincidono.17

In quest’ultimo ambito si colloca il procedimento di mediazione.

Esso è caratterizzato dalla presenza del mediatore, terzo e imparziale rispetto alle parti, che

tuttavia svolge un ruolo differente dall’arbitro e dal giudice: questi, infatti, ha la funzione di

favorire il raggiungimento di un accordo predisposto dalle medesime parti della controversia.

In altri termini, l’accordo, frutto di un procedimento di mediazione, ha il medesimo valore di

un contratto stipulato autonomamente dalle parti e avente come finalità la risoluzione di una

controversia.

Tale accordo è munito di efficacia vincolante tra le parti, essendo dotato della forza della

legge, come sancito dall’art. 1372 c.c. in materia di contratti.

Invero, nell’ambito dei contratti tipici caratterizzati dalla finalità di risolvere una controversia

vi è la figura della transazione, disciplinata dagli artt. 1965 e ss. c.c.18

Il suddetto contratto, al pari di ogni accordo stipulato dalle parti per porre fine ad una

controversia, produce gli stessi effetti della sentenza quanto all’accertamento in esso

contenuto che, ex art. 2909 c.c. “fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi

causa”.

Dunque, la distinzione tra contratto, sentenza e lodo non risiede nella loro efficacia, che è

vincolante, bensì riguarda l’ambito delle controversie che possono costituire il loro oggetto,

nonché le norme che presiedono alla regolamentazione della procedura di risoluzione della

controversia.

Inoltre, non vi è una perfetta coincidenza tra il contratto di transazione e l’accordo concluso

dalle parti in sede di mediazione.

Infatti, a differenza del contratto di transazione, l’accordo concluso all’esito del procedimento

di mediazione e sottoscritto dal mediatore, dalle parti e dai rispettivi avvocati è dotato di

efficacia esecutiva, come previsto dall’art. 12 D.lgs. n. 28/2010, per il quale non è necessario

richiedere l’omologa giudiziale al Presidente del Tribunale.19

17 F. LUISO, Manuale di diritto processuale civile, Vol. V, cit., p. 13.

18 F. LUISO, Manuale di diritto processuale civile, Vol. V, cit., p. 10.

19 Mi si consenta di rinviare, sul punto, a M. SABINO, La mediazione civile obbligatoria 2.0., ADR ITALIA, Anno 1,

Numero 2, 2014, Primiceri Editore, p. 53.

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

21

La presenza degli avvocati durante l’intera procedura di mediazione garantisce la conformità

dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico, che i procuratori delle parti sono

chiamati a certificare con la sottoscrizione del verbale.

Fatta eccezione per questa conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico, negli

strumenti autonomi non è necessario che i termini dell’accordo rispetti esattamente le

posizioni di torto e ragione di ciascuna parte.

La circostanza per cui possono essere oggetto di mediazione soltanto i diritti disponibili,

infatti, consente alle parti di predisporre un assetto negoziale basato su valutazioni di

convenienza relative al piano degli interessi cui solo esse stesse possono accedere.

Al contrario, gli strumenti eteronomi impongono al giudice e all’arbitro di stabilire quale, tra

le parti, merita ex lege la tutela della propria posizione e, in secondo luogo, di individuare le

regole di condotta cui si ispirerà in futuro il comportamento delle parti.

Ciò, dunque, senza considerare il piano degli interessi sottesi all’atto.

Ne derivano alcune differenze tra lodo e sentenza, da un lato, e contratto dall’altro.

La prima peculiarità riposa nella necessità che la decisione del terzo, arbitro o giudice che sia,

abbia un contenuto necessariamente tipico: ciò, sia perché essa non può che riguardare il

diritto controverso, sulla base del principio della corrispondenza tra il chiesto e il

pronunciato, sia perché il terzo non può discostarsi da quanto previsto dalla normativa

sostanziale.20

Il contratto, invece, al pari dell’accordo sottoscritto in sede di mediazione, può avere ad

oggetto anche diritti diversi da quello che ha dato origine alla controversia, secondo quanto

disposto dal secondo comma dell’art. 1965 c.c..

Inoltre, le parti possono dare ai loro rapporti un assetto diverso da quello previsto dalla

normativa sostanziale, in ossequio al principio di autonomia negoziale.

Da tutto quanto affermato, deriva una considerazione che porta a rilevare la seconda

distinzione tra sentenza e lodo, da un lato, e accordo negoziale dall’altro.

E’ chiaro, infatti, che nella maggior parte dei casi solo lo strumento negoziale potrà

soddisfare gli interessi e i bisogni di entrambe le parti, a condizione che tali interessi e

necessità siano tra loro compatibili.

Se, dunque, vi è il rischio che l’accordo negoziale non soddisfi pienamente le parti contraenti

per incompatibilità degli interessi in gioco (come accadrebbe in una divisione negoziale, se

entrambe le parti fossero interessate a ricevere l’autovettura anziché il veicolo natante), di

20 F. LUISO, Manuale di diritto processuale civile, Vol. I, cit., p. 33.

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

22

certo il terzo non potrà svolgere un’opera migliore, sia perché deve necessariamente

pronunciarsi a favore di una sola delle parti, sia perché non ha cognizione degli interessi delle

parti e, infine, per il dovere di applicare rigidamente la normativa sostanziale.21

La soddisfazione degli interessi delle parti, più frequente – dunque – nel caso in cui siano

esse stesse a predisporre le norme di condotta che disciplineranno i loro rapporti giuridici,

porta con sé la conseguenza di garantire l’esecuzione dell’accordo.

L’importanza del procedimento di mediazione, pertanto, si svela su un duplice fronte.

In primo luogo, il mediatore favorisce il confronto tra le parti che, in disaccordo tra loro,

difficilmente troverebbero da sole un punto d’incontro per superare la controversia.

In seconda battuta, l’accordo di mediazione è predisposto dalle stesse parti: queste non lo

avvertono come un atto impositivo da rispettare, bensì come il frutto di reciproche

concessioni volte a superare la controversia.

La mediazione, dunque, si pone sia come strumento per risolvere le controversie già iniziate,

ma anche come strumento di prevenzione di controversie future aventi ad oggetto

l’inadempimento di quanto concordato tra le parti.

A questo punto, non si può che guardare con estrema perplessità all’istituto della

negoziazione assistita dall’avvocato, introdotto con il d.l. n. 132/2014 recante “misure urgenti

di degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di

processo civile".22

La negoziazione assistita dall’avvocato, da una prima lettura del testo normativo, rappresenta

una procedura volta a formalizzare un accordo tra le parti, che viene battezzata convenzione

di negoziazione assistita.

Essa è definita dall’art. 2 del decreto legge citato come “un accordo mediante il quale le parti

convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la

controversia tramite l’assistenza di avvocati”.

La negoziazione assistita, dunque, si caratterizza per il necessario coinvolgimento

dell’avvocato nella procedura anche nei casi in cui essa non si pone come condizione di

procedibilità della domanda, e cioè al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 3 del decreto.

Infatti, è obbligato ad invitare la controparte a stipulare una convenzione di negoziazione

assistita chiunque voglia agire in giudizio per chiedere il risarcimento del danno da

21 F. LUISO, Manuale di diritto processuale civile, Vol. V, cit., p. 18.

22 Il d.l. n. 132/2014 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 212 del 12 settembre 2014. E’ entrato in vigore il

13 settembre 2014.

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

23

circolazione di veicoli e natanti o per chiedere, a qualunque titolo e fuori dei casi di

mediazione obbligatoria, il pagamento di somme non eccedenti cinquantamila euro. 23

L’invito a stipulare la convenzione, dunque, avviene tramite l’avvocato il quale, all’atto del

conferimento dell’incarico, ha il dovere deontologico di informare il cliente della possibilità

di ricorrere alla suddetta convenzione per tentare di risolvere la controversia in via

stragiudiziale.

Dovere informativo, quest’ultimo, che si va ad aggiungere a quello avente ad oggetto la

procedura di mediazione.

La normativa si occupa di quantificare il periodo di tempo minimo che le parti devono

dedicare alla procedura di negoziazione assistita, che non può essere inferiore ad un mese,

lasciandole libere di concordare il termine massimo, superato il quale la procedura si

considererà conclusa con esito negativo.24

Non si comprende il motivo per cui, invece, le parti siano obbligate a concludere il

procedimento di mediazione entro tre mesi, soprattutto nei casi in cui entrambe le procedure

– quella della mediazione e quella della negoziazione assistita - si pongono come condizione

di procedibilità della domanda giudiziale.

La disciplina della negoziazione obbligatoria, ad ogni modo, risulta affine a quella prevista in

tema di mediazione obbligatoria, salvo sottili differenze, per ciò che riguarda: a)

l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento della procedura obbligatoria, che

deve essere eccepita dalla parte o rilevata dal giudice non oltre la prima udienza (art. 3 co. 1

d.l. n. 132/14 e art. 5 co. 1 bis d.lgs. n. 28/2010); b) l’invito da parte del giudice a proseguire

o iniziare la procedura obbligatoria (art. 3 co. 1 d.l. n. 132/14 e art. 5 co. 1 bis d.lgs. n.

28/2010); c) l’avveramento della condizione di procedibilità per mancata adesione o rifiuto di

controparte a partecipare alla procedura (art. 3 co. 2 d.l. n. 132/14 e art. 5 co. 2 bis d.lgs. n.

28/2010); l’esclusione di determinate materie dalla procedura obbligatoria (art. 3 co. 1 e 3 d.l.

n. 132/2014 e art. 5 co. 4 d.lgs. n. 28/2010); d) l’efficacia esecutiva dell’accordo (art. 5 d.l. n.

132/2014 e art. 12 d.lgs. n. 28/2010).

Ad ogni modo, il comma 8 dell’art. 3 d.l. n. 132/2014 precisa che le disposizioni in tema di

negoziazione assistita obbligatoria acquistano efficacia decorsi novanta giorni dall’entrata in

vigore della legge di conversione del decreto.

23 La materia del risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione di veicoli e natanti è stata sottratta dalla

procedura di mediazione obbligatoria con la novella al d.lgs. n. 28/2010 del d.l. n. 69/2013.

24 L’art. 2 comma 2 del d.l. n. 132/2014 recita: “La convenzione di negoziazione deve precisare: a) il termine

concordato dalle parti per l’espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese; […]”.

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

24

Pertanto, sul punto, si resta in attesa della suddetta legge di conversione, nonché delle

modifiche eventualmente apportate in sede di conversione.

Dalla prima analisi fin qui condotta, dunque, la negoziazione assistita parrebbe una sorta di

doppione della mediazione, caratterizzata tuttavia dalla necessaria assistenza delle parti ad

opera degli avvocati e dalla mancanza di un organismo di conciliazione alle spalle; che si

tradurrebbe, da un lato, in un risparmio economico perlomeno per quanto riguarda le spese

per l’avvio della procedura di mediazione, dall’altro nell’assenza del catalizzatore

dell’accordo, qual è la figura del mediatore.

Assenza, questa, che in realtà potrebbe costare alle parti un prezzo molto più caro.

Sorgerebbe il dubbio, senza con ciò voler giungere a conclusioni semplicistiche, che la

negoziazione assistita possa rappresentare un’alternativa proposta per aggirare l’istituto della

mediazione, visto il vano tentativo di eliminare quest’ultimo dall’ordinamento giuridico ad

opera di coloro che, per diverse motivazioni economiche piuttosto che giuridiche, lo

avversano.

La negoziazione assistita, infatti, non è altro che il tentativo stragiudiziale di risoluzione di

una controversia che ogni avvocato degno di tale titolo esperisce prima di trascinare la

controparte nelle competenti sedi di giustizia.

Tuttavia, c’è un aspetto che distingue la convenzione di negoziazione dall’accordo di

mediazione: la prima, infatti, può essere utilizzata sia per le soluzioni consensuali di

separazione personale, cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio, sia per la

modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.25

L’accordo, che deve essere trasmesso a cura dell’avvocato all’ufficiale dello stato civile del

Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, ha il medesimo valore di un

provvedimento giudiziale.

Sebbene tale novità normativa sarà certamente accolta con favore, in vista del conseguente

snellimento della procedura di separazione o divorzio consensuale, non può non ravvisarsi

nella scelta governativa la volontà di bypassare la formula della mediazione.

Invero, ben si sarebbe potuto potenziare l’istituto della mediazione familiare che, con

l’impegno del mediatore, di psicologi, assistenti sociali e di altre figure appartenenti al campo

psico-sociale, rappresenta una risorsa idonea a creare le condizioni per affrontare in modo

consensuale tutti gli aspetti riguardanti la separazione coniugale.

25 Cfr., sul punto, l’art. 6 del d.l. n. 132/2014.

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

25

Si auspica, in ogni caso, un coordinamento reale tra la negoziazione assistita e la mediazione,

che tenga conto unicamente degli interessi dei cittadini a beneficiare di una giustizia rapida e,

nei limiti del possibile, economica.

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26

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

27

La possibilità di definire le controversie con il Fisco in via stragiudiziale è stata introdotta per

la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano con il D.lgs. n. 218/1997, recante

disposizioni in materia di accertamento con adesione.

Le alternative offerte al contribuente e all’Amministrazione finanziaria per comporre

bonariamente le questioni controverse sono ormai molteplici, disseminate lungo tutto il

percorso che conduce alle aule delle Commissioni Tributarie e finanche all’interno delle

stesse per opera della conciliazione giudiziale.26

I benefici di cui gode il contribuente, che si traducono sempre in riduzioni sulle sanzioni,

sono inversamente proporzionali al tempo impiegato per risolvere la controversia.

Al vantaggio economico, connesso anche al risparmio dei costi della procedura

giurisdizionale, si somma una più rapida tutela delle situazioni sostanziali oggetto di tali

controversie, cui corrisponde di conseguenza il contenimento dei tempi dei processi di cui

sono investite le Commissioni Tributarie.

La necessità di disincentivare l’instaurazione del contenzioso o la prosecuzione dello stesso

ha favorito la diffusione di Alternative Dispute Resolution nelle diverse branche del diritto,

dalla mediazione penale, che costituisce un’applicazione del paradigma della restorative

justice, alla mediazione familiare e alla ben più nota e contestata mediazione civile e

commerciale.

A queste si affianca la mediazione tributaria, introdotta in tempi recenti dall’art. 17 bis del

D.lgs. n. 546/92.27

26 La presentazione dell’istanza di accertamento con adesione comporta la sospensione del termine per la proposizione del reclamo per un periodo di 90 giorni dalla data di presentazione della suddetta istanza. Pertanto, il contribuente a cui è stato notificato un avviso di accertamento che, in termini di imposta, non supera la soglia dei ventimila euro, può scegliere tra numerose alternative: può effettuare acquiescenza rispetto alla pretesa; può proporre istanza di accertamento con adesione; in caso di mancata definizione in adesione, può proporre reclamo; nel caso di mancato accordo di mediazione, può sottoporre la controversia alla cognizione del giudice tributario. Viceversa, qualora il contribuente scelga in prima battuta di percorre la via del reclamo, non potrà successivamente formulare istanza di accertamento con adesione. 27 L’art. 17 bis è stato inserito nel D.lgs. n. 546/92 con l’art. 39 c. 9, 10 e 11 del d.l. n. 98/2011 (convertito nella l. n.

111 del 15 luglio 2011).

La mediazione tributaria: che fine ha fatto il mediatore?

di Marianna Sabino

(Avvocato)

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

28

Già la collocazione dell’articolo in esame all’interno del testo normativo ingenera dubbi circa

la corrispondenza tra il termine con cui è definito l’istituto e il significato che si è soliti

attribuire alla mediazione: l’art. 17 bis, infatti, è inserito nel Capo II del Titolo I, rubricato

“Delle parti e della loro rappresentanza e assistenza in giudizio”, che precede il Capo I del

Titolo II, dedicato al “Procedimento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale”.

La mediazione tributaria, appunto, non è un procedimento svolto dinanzi ad un mediatore

terzo ed imparziale, ma è strettamente connessa al reclamo, come peraltro dichiarato dalla

rubrica della norma in esame.28

In altri termini, non è possibile proporre un’autonoma istanza di mediazione: questa può

essere presentata solo attraverso la proposizione del reclamo, che può contenere una motivata

proposta di mediazione (art. 17 bis, co. 7).

Il reclamo, peraltro, se da un lato rappresenta un rimedio dal carattere amministrativo, si

presenta altresì come presupposto giudiziale.

Il primo comma dell’art. 17 bis prescrive che “chi intende proporre ricorso è tenuto

preliminarmente a presentare reclamo”.

Possono essere oggetto di reclamo gli atti indicati nell’art. 19 del decreto citato, emessi

dall’Agenzia delle Entrate, notificati successivamente al 1° aprile 2012 e contenenti una

pretesa impositiva in termini di imposte – al netto di sanzioni e interessi – non superiore a

ventimila euro.

L’omessa presentazione del reclamo, cui la norma del 2011 collegava la sanzione

dell’inammissibilità del ricorso, è attualmente causa di improcedibilità del ricorso, secondo le

modifiche previste dalla novella normativa introdotta con la L. n. 147/2013.29

Pertanto, nel caso in cui il ricorso sia depositato prima del decorso del termine di novanta

giorni dalla notifica dell’atto impugnabile e senza che sia stato presentato reclamo, l’Agenzia

delle Entrate può eccepire l’improcedibilità del ricorso in sede di costituzione in giudizio,

provocando un rinvio della trattazione ad opera del Presidente al fine di consentire

l’esperimento della mediazione.

28 L’art. 17 bis citato è rubricato “Il reclamo e la mediazione”.

29 Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale che, con la sentenza del 16 aprile 2014 n. 98 si è pronunciata in

merito alla prima versione dell’art. 17 bis, concludendo per la illegittimità costituzionale del secondo comma

nella parte in cui la mancata presentazione del reclamo comporta l’inammissibilità del successivo ricorso. A

parere della Consulta, infatti, la previsione della decadenza dall’azione giudiziaria, in caso di mancato previo

esperimento di rimedi di carattere amministrativo, viola il diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti del

contribuente la previsione della decadenza dall’azione giudiziaria. Per un approfondimento si legga la nota a

sentenza di G. BUFFONE, Mediazione tributaria, Consulta: no ad inammissibilità, sì ad improcedibilità, pubblicata il 17

aprile 2014 su www.altalex.com.

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

29

Il reclamo deve essere depositato presso la Direzione provinciale o alla Direzione regionale

che ha emanato l’atto, “le quali provvedono attraverso apposite strutture diverse ed

autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili.” (co. 5).

E’ evidente il deficit di imparzialità che attanaglia la mediazione tributaria, posto che il

reclamo viene valutato da un ufficio legale che, seppure diverso rispetto a quello che ha

emanato l’atto, è pur sempre incardinato nella medesima amministrazione finanziaria che

costituisce la controparte e che è titolare di interessi contrapposti rispetto a quelli di cui il

contribuente chiede la tutela.

A differenza di quanto accade nel settore civilistico, in cui l’istanza di mediazione è proposta

presso un organismo di mediazione (dotato dei requisiti necessari per essere iscritto

nell’apposito registro presso il Ministero della Giustizia) e la procedura di mediazione si

svolge dinanzi ad un mediatore terzo e imparziale, la mediazione tributaria non contempla

nemmeno la figura del mediatore.

Su questo punto si è pronunciata l’Agenzia delle Entrate che, con la Circolare 9/E/2012, dopo

aver chiarito che la mediazione tributaria è istituto diverso dalla mediazione civile, ha

precisato che il procedimento di mediazione si svolge su un piano di sostanziale parità tra

contribuente e ufficio.

Affermazione, questa, che non placa le inquietudini di quanti ravvisano in tale procedura una

grave violazione delle più fondamentali garanzie costituzionali del contribuente.

Ebbene, il suddetto ufficio, diverso e autonomo da quello impositore, procede ad una prima

disamina del reclamo al fine di ravvisare eventuali profili di inammissibilità (ad esempio,

perché presentato oltre i termini previsti ex lege30).

Ad ogni modo, la Circolare citata precisa che, nei casi di palese inammissibilità, l’istanza può

essere valutata come una richiesta, volta all’amministrazione finanziaria, di procedere in

autotutela.

Superato il giudizio di ammissibilità, l’ufficio valuta il reclamo alla luce di determinati

parametri: in primo luogo, come precisato dal comma 8 dell’art. 17 bis, tiene conto

dell’eventuale incertezza delle questioni controverse, cioè della sussistenza di una difformità

tra le posizioni dell’Ufficio e l’orientamento giurisprudenziale; in secondo luogo, considera il

grado di sostenibilità della pretesa, che attiene al prevedibile esito sfavorevole del giudizio di

30 Ai sensi dell’art. 21 D.lgs. 546/92, richiamato dall’art. 17 bis, co. 6, l’istanza di reclamo deve essere notificata

alla Direzione Provinciale o Regionale entro 60 giorni dalla notifica dell’atto impugnabile; se l’atto impugnato è

un rifiuto tacito a seguito di domanda di rimborso, l’atto deve essere notificato allo scadere dei 90 giorni dalla

data di presentazione della domanda ed è esperibile fino alla prescrizione del diritto di restituzione.

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

30

merito; inoltre, agisce nel rispetto del principio di economicità dell’azione amministrativa,

che risponde al fine deflattivo dell’istituto che si propone di evitare l’instaurazione di giudizi.

Operate siffatte valutazioni, l’ufficio ha diverse opzioni: può accogliere il reclamo,

annullando integralmente o parzialmente l’atto contestato e concludendo così la procedura;

oppure, può accogliere la proposta di mediazione eventualmente contenuta nel reclamo; in

alternativa, può respingere sia il reclamo che la proposta di mediazione.

In quest’ultimo caso, l’Agenzia è obbligata a formulare a sua volta una proposta di

mediazione. Può accadere, peraltro, che non vi siano i presupposti per la rideterminazione

delle imposte: in tal caso, l’ufficio può formulare una proposta di mediazione che conferma

quanto accertato nell’atto impugnato, ma che consente al contribuente di beneficiare della

riduzione delle sanzioni.

Come extrema ratio, l’ufficio si pronuncia con un semplice diniego.

Come precisato dal comma 9 bis dell’art. 17 bis, introdotto con la novella del 2013, “la

riscossione e il pagamento delle somme dovute in base all'atto oggetto di reclamo sono

sospesi fino alla data dalla quale decorre il termine di cui all'articolo 22”, così superando

una querelle sorta a causa della formulazione originaria della norma, che non prevedeva

espressamente siffatta possibilità.31

E dunque, in tutti i casi in cui vi sono i presupposti per concludere un accordo di mediazione,

l’ufficio invita il contribuente al contraddittorio, all’esito del quale viene redatto apposito

verbale sottoscritto dalla parte (o dal difensore) e dall’Agenzia delle Entrate nella persona del

dirigente o del funzionario incaricato del contraddittorio.

L’atto contiene la rideterminazione degli importi e le modalità di versamento delle somme

dovute, di cui può essere chiesta la rateizzazione (in un numero massimo di 8 rate trimestrali

di pari importo, come precisato dall’art. 48 D.lgs. n. 546/92).

La procedura di mediazione si perfeziona attraverso il versamento, entro 20 giorni dalla

conclusione della mediazione, dell’intero importo dovuto o della prima rata.

Quindi, il perfezionamento dell’accordo di mediazione comporta la definizione del rapporto

giuridico sottostante, con la conseguente impossibilità di contestarlo.

Infatti, con il pagamento della prima rata, l’atto originariamente impugnato perde efficacia.

Tuttavia, l’accordo di mediazione costituisce titolo esecutivo e quindi, a fronte del mancato

pagamento di una rata, l’ufficio procede alla riscossione delle somme dovute, a seguito della

quale è emessa una cartella di pagamento impugnabile solo per vizi propri.

31 Per un approfondimento sulla disciplina novellata dalla Legge n. 147/2013, si legga M. VILLANI - F.G.R.

SANNICANDRO, Mediazione tributaria: la nuova procedura, pubblicato il 28 febbraio 2013 su www.filodiritto.com

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

31

Come anticipato, vi sono casi in cui non è possibile concludere un accordo di mediazione, né

accogliere il reclamo proposto dal contribuente.

In siffatte ipotesi, a norma del comma 9 dell’art. 17 bis, decorsi 90 giorni senza che sia stato

notificato al contribuente l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la

mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso.

Questo è il motivo per cui il reclamo deve contenere tutti gli elementi del ricorso, non

essendo possibile, in un momento successivo, integrare o modificare la difesa.

E’ questa la fase in cui il reclamo, da rimedio amministrativo, si tramuta in un presupposto

del giudizio tributario.

Dalla mancata presenza della figura di un mediatore, terzo e imparziale rispetto alle parti,

derivano le perplessità sull’effettiva utilità di un istituto che, di fatto, rappresenta una mera

dilatazione temporale della fase processuale, oltre che una lesione del diritto di difesa del

contribuente, costretto a svelare in sede di composizione bonaria della controversia la

strategia difensiva di cui si avvarrà in sede processuale.32

32 Per un approfondimento sulla disciplina ante riforma, si legga M. VILLANI - F.G.R. SANNICANDRO, La

mediazione fiscale obbligatoria ex art. 17 bis D.lgs. n. 546/92, 3 maggio 2012, su www.diritto.it

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

32

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

33

E’ opinione diffusa che la mediazione tributaria nulla possa o quasi avere a che vedere con la

mediazione civile poiché le caratteristiche della mediazione tributaria (assenza di terzietà,

limite quantitativo, etc) non si addicono certo a quelle che sono le classiche peculiarità della

mediazione civile.

Ma in realtà quello che riteniamo essere possibile anzi da approfondire è una valutazione ed

un’analisi dettagliata delle tecniche usate nei due istituti dai professionisti che possono essere

utili anche in modo incrociato, ovvero tecniche classiche di mediazione civile utilizzate al

fine di chiudere delle mediazioni tributarie (più difficile forse il percorso contrario ma non

impossibile….).

Per questa ragione in questo articolo ripercorriamo alcune tecniche classiche e proviamo a

leggerne l’uso anche in sede di mediazione tributaria.

Procediamo con ordine:

1. Le posizioni percettive

Seppur possa sembrare un consiglio banale e scontato, l’esperienza pregressa mi ha insegnato

che l’instaurarsi iniziale di un’empatia e di una conoscenza approfondita delle problematiche

personali con la parte cliente è la chiave di successo per intraprendere un percorso sereno e

condiviso da entrambe le parti.

Lo sforzo del professionista-consulente, nonostante l’imbarazzo e la difficoltà iniziale che

richiedono un approccio di questo tipo, è teso a capire con il cliente o ancor più

frequentemente al posto del cliente (quante volte ci siamo trovati a rispondere a domande del

tipo “ma lei dottore al mio posto che farebbe, accetterebbe la proposta dell'ufficio o andrebbe

avanti?”) quali siano i casi da chiudere in tempi brevi accettando la proposta

dell’amministrazione e quando invece la volontà di continuare pervada il cliente.

La mediazione civile e tributaria: poche analogie ma tanto interesse condiviso per chi se ne deve occupare

di Massimiliano Ferrari

( Commercialista, specialista in consulenza fiscale tributaria e societaria e

nella revisione dei conti. Socio titolare dello studio www.ferrariassociati.com.

Presidente della Commissione Contenzioso presso l'Ordine dei Dottori

Commercialisti ed esperti Contabili di Lecco. Mediatore civile e commerciale

presso le Camere di Commercio di Lecco, Milano e Sondrio.)

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

34

Un buon consulente deve sempre porsi in posizione di terzo imparziale e indipendente (come

il chirurgo che amputa la gamba malata per evitare la morte del paziente), per capire - con

imperio e razionalità quasi pura – quali siano i casi che occorre inevitabilmente accettare

perché i rischi del contenzioso sono così gravi che potrebbero portare al suicidio economico.

La caratteristica di un buon mediatore è quindi la duttilità, ovvero la capacità di

immedesimarsi, di analizzare la situazione da prospettive differenti; non deve essere statico e

orientato al solo perseguimento di un interesse economico personale, ma deve essere mosso

anche e soprattutto dalla condivisione di sentimenti reali che attanagliano il contribuente in

un momento così delicato della propria vita.

Sempre utilizzando una metafora medica, così come nessuno potrà mai tacciare un medico di

aver dichiarato indispensabile un intervento di urgenza per salvare la vita ad un bimbo malato

se è scientificamente provato il raggiungimento di risultati migliori, così deve essere per il

lavoro del mediatore.

2. Posizione o interesse

Un buon mediatore civile, in ragione della certezza normativa in ambito civile, individua lo

scostamento tra quanto inizialmente richiesto con quanto realmente si può e si deve ottenere.

A differenza della mediazione tributaria, in ambito civile è possibile individuare una BATNA

(best alternative to a negotiated agreement) e una WATNA (worst alternative to a negotiated

agreement) ovvero è possibile delimitare l’ambito delle possibili soluzioni ottenibili.

Nella mediazione tributaria, la mia esperienza mi ha portato a constatare che un aiuto

proviene da quello che personalmente definisco “il gioco delle domande”, ovvero chiedere e

non affrettare le conclusioni lasciando che sia la controparte a uscire allo scoperto per prima.

Le soluzioni prospettate dalla controparte aprono tre possibili vie:

• Chiusura a riccio

• Apertura decisiva e inaspettata

• Trattativa serrata

La prima soluzione prospettata è caratterizzata dalla chiusura assoluta di spazi per la

mediazione. Tuttavia è bene ricordare che uno spiraglio può essere aperto dal deposito o dalla

manifestazione, durante il contraddittorio, di anche un solo elemento che, seppur privo di

caratteristiche decisive o determinanti in assoluto, può essere innovativo o alternativo a ciò

che in precedenza è stato depositato.

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

35

In alcune occasioni potrebbe accadere che i funzionari, in modo inaspettato e improvviso,

offrano condizioni migliorative per la chiusura in mediazione dopo che nella precedente sede

di verifica la situazione prospettata era molto più rigida. Un buon consulente percepisce il

possibile andamento positivo della situazione e lascia che tutto si incanali verso la soluzione

auspicata ma ormai insperata. La ragione di tale incertezza risiede nella poca certezza che

caratterizza la normativa tributaria, fondata su presunzioni relative e sull’inversione

dell’onere della prova. Il lavoro del mediatore, qualora anche l’esito della mediazione fosse

positivo e pur disponendo di una serie di strumenti alternativi in caso di fallimento del

tentativo di mediazione, consiste per di più nel saper gestire con cautela i sentimenti di astio

dilaganti del contribuente nei confronti dell’Amministrazione.

A questo punto il contribuente può trovarsi a un bivio: decidere di ripercorrere le tappe già

affrontate in sede di accertamento con adesione oppure resettare tutto il percorso e cambiare

completamente strategia; un suggerimento fondamentale emerge in sede di contraddittorio

dove è bene che la controparte, pur esponendo le sue ragioni e le sue richieste, si ponga

sempre in una posizione di subordinazione rispetto al giudice. A differenza della mediazione

civile, nella mediazione tributaria i confronti e i contenuti sono fondamentali e possono

essere una buona base di partenza anche in caso di mancato raggiungimento di buon esito:

affermati consulenti insegnano che il lavoro predisposto per l’ottenimento di un accordo

negoziale non è mai uno spreco.

3. Incontri separati

Come nella mediazione civile ma con attori differenti, nella mediazione tributaria si svolgono

due tipi di colloqui:

Il primo intercorre tra cliente e consulente del contenzioso ed è necessario per progettare una

solida difesa, stabilendo cosa possa essere utile presentare alla controparte e cosa invece non

segnalare spontaneamente.

Il secondo confronto si svolge tra il consulente e l’amministrazione finanziaria senza il

cliente, al fine di comprendere maggiormente la situazione esatta senza far intervenire la

componente emotiva e muovendosi su binari più tecnici.

4. Portare le parti al tavolo

Se i mediatori civili sono consapevoli che far sedere al tavolo tutte le parti è fondamentale per

il buon esito della trattativa, nella mediazione tributaria si percepisce la volontà di lavorare

solo con i consulenti, quindi senza le parti ma coinvolgendo tali soggetti in modo alternativo

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

36

o comunque ottenendo da loro una delega piena che consenta di proseguire la trattativa in

maggiore autonomia.

5. La fase di esplorazione

Il mediatore deve sondare in modo chiaro e trasparente le necessità specifiche delle parti:

imperativo è non accettare incarichi per interposta persona ma pretendere una serie di incontri

con il cliente per inquadrare la reale situazione patrimoniale, finanziaria ed economica e

comprenderne anche lo stato emotivo attuale.

La non conoscenza pregressa del cliente può essere vista come un handicap notevole ma al

contempo può diventare un fattore critico di successo: a volte è più facile voler confessare le

proprie reali intenzioni o il proprio livello di indigenza a una persona non conosciuta.

Nel processo di conoscenza del cliente in ambito tributario è utile mutuare dalla mediazione

civile una serie di interrogativi e rispettare una procedura di conoscenza step-by step:

• in primis porre le giuste domande, in modo aperto senza porre dei quesiti diretti

• ascoltare, in modo pro-attivo, il cliente

• far emergere dai colloqui intercorsi con il cliente l’obiettivo concreto per pianificare

la strategia che tuteli l’interesse predominante.

Facciamo ora il percorso inverso e cerchiamo di capire se e come la mediazione tributaria sia

stata di aiuto in ambito civile: nonostante lo scetticismo che aleggiava attorno alla formazione

di una normativa che disciplinasse l’ambito civile della mediazione, la concomitanza con

l’introduzione di tale istituto in ambito tributario ha spinto verso la realizzazione di ciò.

Proprio in virtù della versatilità che caratterizza la mediazione civile, sarebbe utile mutuare

alcuni aspetti dalla mediazione tributaria:

• Superare la classica negoziazione impostata su schemi rigidi

• Ridurre la durata e i tempi eccessivamente dilatati

• Ponderare le decisioni valutando sia la sfera emotiva che gli aspetti economici

• Stabilire in modo certo le pene al fine di sottrarsi ad un inutile e inevitabile

inasprimento delle sanzioni per la parte tributaria

La vera sfida è dunque quella di definire e formalizzare le tecniche di mediazione tributaria,

attualmente trascurate, sviluppandole altresì nell’ambito della mediazione civile.

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

37

Cari amici, colleghi, voglio proporvi il tema di cui all’articolo utilizzando il ‘film’ come

‘strumento’ e portare con voi l’attenzione su AGORA, film di Alejandro Amenàbar, 2009 che

ritengo essere un ‘manifesto’ sul conflitto e sua sublimazione e tanto altro di più.

Non vi parlerò di uno dei più grandi Kolossal mai prodotti in Europa, vincitore di 4 premi

Goya (ne hanno già scritto…); non vi parlerò della storia di Ipazia, la protagonista, astronoma

e filosofa che alla fede cieca preferì la verità della scienza, la Sua verità e la libertà ‘contro’

ogni fondamentalismo (ne hanno già parlato…). Non vi parlerò della ‘donna’ Ipazia quale

icona dell’apprendimento al femminile, quasi in una sorta di recensione di “genere” per un

film di genere (ne hanno già parlato…).

Niente di tutto ciò.

Voglio offrirvi una diversa prospettiva che vi dia, mi auguro, l’opportunità di sperimentare un

diverso approccio alla visione del film, utilizzando ‘occhi diversi’ (magari avrete voglia di

vedere il film per la prima volta o di rivederlo per la curiosità di cogliere nuovi spunti…tutto

è possibile).

È un film sulla storia secolare "del e nel conflitto" che ha imperato ed impera. Un conflitto

potentissimo che ha smosso e smuove popoli e generazioni: il conflitto tra religioni (nella

fattispecie tra cristiani e pagani; cristiani ed ebrei). Ma vi è di più.

E’ un film sulla genesi del conflitto a 360 gradi, inteso come conflitto con l’altro, con se

stessi. E’ un film sul “come” ci si approccia, una volta subita una offesa/ritenuta tale (azione)

di fronte al dilemma che segue (reazione = attacco o non reazione = fuga); qual’è il

presupposto, ciò che deve essere ‘vero’ per poter passare dal dilemma al suo scioglimento

attraverso l’agire o il non agire.

É un film sulla forza distruttiva del conflitto, ancora più forte quando si traveste (come nei

conflitti religiosi) da custode di un ideale salvifico in contrapposizione a ciò che è ‘diverso’ o

ritenuto tale.

C’è una scena in cui Teone, padre di Ipazia, matematico e astronomo nonché ultimo membro

conosciuto della biblioteca di Alessandria, consultato definitivamente in merito alla decisione

se reagire o meno nello scontro tra pagani e cristiani proferisce quella che è una vera e

Dall’orbita egocentrica all’orbita relazionale: soluzione del dilemma conflittuale

di Silvia Piazzolla

(Avvocato, mediatore familiare e civile, master practitioner pnl)

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

38

propria dichiarazione di guerra: “Ad un insulto bisogna rispondere”. In questa affermazione

c’è tutto l’affronto/scontro tra diverse ‘identità’ di popoli e religioni. Che cosa è un conflitto

se non uno scontro tra identità? Identità di due popoli, due gruppi, due persone. L’identità

comprende tutto il sistema di valori, convinzioni, capacità, comportamenti, ambiente. In una

parola, tutto il “mondo” dell’altro. Che cosa genera il conflitto se non la paura legata al fatto

che qualcuno/qualcosa possa mettere in dubbio, minare la propria identità (nella fattispecie,

identità religiosa)? Da qui la diffidenza, il rifiuto che può diventare repulsione per l’altro, per

ciò che è diverso da sé. I due avversari distoglieranno ben presto la loro attenzione

sull’oggetto del contendere (simbolico) per rivolgerla al rivale (reale). Lotteranno non più per

l’oggetto in sé ma per eliminare il proprio rivale. Da qui l’inevitabile spargimento di sangue

funzionalmente connesso all’atto del configgere.

Il film propone apparentemente marginalmente un’altra soluzione al dilemma.

Marginalmente, perché la lascia appena appena intuire nella sceneggiatura: la negoziazione.

Apparentemente, perché nonostante le vicende narrate, tutto l’anelito del film ci porta ad

essa. Ma non si è ancora pronti. Nel dilemma tra reazione/non reazione, tra attacco/fuga vi è

la terza via che è propedeutica alla negoziazione e, cioè, la relazione. E’ questa la chiave di

volta. Relazionandosi si giunge al negotium come atto finale. La relazione è negoziazione e,

viceversa, la negoziazione è relazione.

Nel film un esponente della cerchia dei sapienti, durante le consultazioni, nell’imminente

assalto alla Biblioteca del Serapeo da parte dei movimenti religiosi contrapposti, afferma

“Saremo costretti a negoziare”. Ovviamente ciò non accadrà (historia docet). Il negoziato è

equiparato alla resa, così come lo è stato per secoli e lo è ancora oggi in larga parte. C’è

bisogno che la cultura cambi. E’nostra responsabilità che ciò accada.

Si comincia cambiando prospettiva, uscendo dal cerchio del sè, dalla ‘centratura interna’,

aprendosi verso l’altro attraverso la sua conoscenza e comprensione..in altre parole,

centrandosi esternamente. Dal momento in cui si cambia prospettiva, si passa dalla

prospettiva/orbita egocentrica all’orbita relazionale (mi piace chiamarle così).

Ed ecco che il film, nonostante sia inserito in una cornice distruttiva e cruenta,

improvvisamente… cambia prospettiva portando il focus, l’attenzione, sulla protagonista

IPAZIA e la sua irreversibile ricerca di quella che sarà l’orbita ellittica (rispetto allo status

quo e all’orbita circolare) attraverso una nuova modalità, un cambio di prospettiva, la sua

capacità di guardare con occhi diversi. Si interessa agli studi dimenticati di Aristarco che

poneva il sole al centro del sistema solare. Nel modello eliocentrico la terra, stella errante, si

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

39

muove intorno al sole. Aristarco, Ipparco, Tolomeo cercano di convogliare le proprie

osservazioni con le orbite circolari. Ipazia intuirà l’orbita ellittica.

Riporto alcuni suoi “sussurri” (tanto sono candidi e pudici) … “Lasciamo da parte ogni idea

preconcetta… e se la perfezione del cerchio ci avesse impedito di guardare oltre? E se

un’altra forma si nascondesse nel cerchio? Se la pienezza del cerchio ci avesse impedito di

vedere cosa c’è dietro di esso allo stesso modo in cui la luce del sole ci impedisce di vedere le

stelle? Cos’è un cerchio se non un ellisse molto speciale i cui fuochi si sono tanto ravvicinati

da sembrare uno solo?”. Circa 1200 anni più tardi, nel XVII sec. l’astronomo Giovanni

Keplero scopre che una di quelle curve coniche, l’ellisse, governa il movimento dei pianeti.

Dall’orbita circolare all’orbita ellittica.

Parimenti, da un punto di vista sistemico/relazionale, aprendoci all’’altro da sé’ (da noi) il

passo dall’orbita egocentrica a quella relazionale sarà breve, brevissimo.

Ecco che tutto il film manifesta la sua intenzione, la sua mission elevandosi attraverso una

funzione maieutica e nello stesso tempo catartica che lo permeano tutto, sino alla

sublimazione del conflitto attraverso la immolazione del suo simbolo, Ipazia. Quale la ratio

del sacrificio? Ci viene in aiuto tutta la simbologia rituale della tragedia greca che confluisce

in atti/luoghi attraverso cui la realtà della sofferenza viene accolta. Nell’arte tragica c’è una

opposizione di elementi simmetrici; si tratta dell’equilibrio di una bilancia che non è quella

della giustizia ma quella della violenza. La violenza reciproca (nel film pagani contro

cristiani a loro volta contro gli ebrei) è sempre rinnovabile se non c’è trasmutazione,

trascendenza proprio attraverso la purificazione finale del sacrificio dell’impuro attraverso il

suo sangue (impuro anch’esso). Ipazia viene imputata di empietà e stregoneria e sacrificata.

Ipazia è anche il simbolo della LIBERTÀ:

- libertà dell'uomo che ha sempre la possibilità di scegliere di essere se stesso. In una scena

del film, dopo l’assalto dei cristiani alla Biblioteca del Serapeo, Ipazia accudisce il padre

ferito il quale dopo aver compreso quali gravità fossero scaturite a seguito del suo inciso “Ad

un insulto bisogna rispondere”, confida sommessamente alla figlia “Ricordami chi ero” ,

quasi ad invocare il perdono della figlia alla quale aveva trasmesso quegli stessi valori ormai

traditi;

- libertà della scienza che comporta la necessità di mettere in discussione i dogmi. Ipazia a

Sinesio, vescovo di Cirene: ”Voi non mettete in discussione ciò in cui credete (i dogmi

religiosi) ma IO DEVO”;

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

40

- allineamento e fedeltà a se stessi che conducono alla ‘libertà’. Teone, in punto di morte

quando ormai è palese l’epilogo, confessa ad Ipazia “Volevo che tu fossi libera” e lei “Io

sono libera”, proprio perché fedele a sé stessa;

- riconoscimento dell’altro come ‘simile’. Ipazia, docente, durante una lezione interroga i

suoi discepoli su quale sia la prima nozione di Euclide. Sinesio (futuro vescovo di Cirene) a

domanda risponde: “Se due cose sono uguali a una terza cosa allora sono uguali tra loro”.

Ipazia: “Voi due - Sinesio e Oreste (futuro prefetto) – non siete simili a me? Ecco. Molte più

cose ci uniscono di quante non ci dividano. Noi siamo fratelli, qualunque cosa succeda nelle

strade”.

La forza del sentimento di libertà si sposa con la forza del destino nella scena finale in cui lo

schiavo Davo accompagna amorevolmente Ipazia verso la sorte infausta, la morte, contro cui

nulla si può.

E ancora di più. E’ una storia che esalta la fiducia, la lealtà e.. l'amore. Tutto il rapporto con

lo schiavo Davo ne è permeato proprio attraverso la sua negazione in vita, se non come

aspettativa (significativa la scena di Davo che accarezza il piede di Ipazia dormiente)

concretizzata nell'atto d'amore finale con l’esalazione dell’ultimo respiro, una nelle braccia

dell’altro. Quante emozioni regala questo film! Quante riflessioni genera per noi operatori del

e nel conflitto… Grazie.

A questo punto, cari amici/colleghi, vi propongo un esperimento, quello di

guardare/riguardare il film da un’altra prospettiva. Quale? Mi chiederete. Ebbene…

‘nessuna’, affinché il film possa scorrere dentro di voi liberamente e affiori ciò che è vero per

‘voi’. Buona visione e buona ‘prospettiva’.

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

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1. Introduzione

Le aziende moderne o, in senso più generale, le organizzazioni produttive sono una realtà

dinamica e complessa, fatta di persone e per ciò stesso inevitabilmente toccata dalla

conflittualità non solo a livello interno, ma anche nei rapporti verso l’esterno come di vedrà

in seguito.

Il diritto del lavoro è un settore in continua evoluzione con una accentuate proliferazione

delle azioni giudiziarie correlate a tematiche quali il mobbing, il demansionamento, le

sanzioni disciplinari, i rapporti tra colleghi e i licenziamenti. Azioni, queste, acuite nei toni

dal periodo di crisi che sta colpendo non solo l’Italia.

Ogni Stato affronta il problema nell’ottica di una riduzione o, quanto meno, di un

contenimento del contenzioso, ma pur sempre intervenendo nella fase ormai patologica della

lite.

Nel Regno Unito, egualmente colpito da una impennata dei costi della giustizia, gli sforzi

governativi hanno portato alla recentissima introduzione nel sistema inglese di due ipotesi di

mediazione obbligatoria, l’una nell’ambito delle liti familiari e l’altra in relazione al

contenzioso del lavoro. In quest’ultimo settore, dal 6 maggio scorso, per chi voglia agire in

giudizio è entrato in vigore l’obbligo di previo esperimento di un tentativo di mediazione

presso l’ACAS, ente pubblico specializzato nella c.d. workplace mediation.

Il nostro ordinamento giuridico prevede attualmente un previo tentativo di risoluzione della

controversia lavorativa innanzi alle Commissioni Provinciali di Conciliazione

In un’ottica preventiva, tuttavia, può essere fatto molto di più e la mediazione, per le sue

caratteristiche, costituisce il metodo di risoluzione alternativa (e finanche preventiva) delle

controversie più indicato, efficace e, nel medio periodo, conveniente per le organizzazioni

produttive.

2. Il conflitto nel luogo di lavoro.

Come sopra osservato, il conflitto è parte integrante del rapporto di lavoro. Il conflitto non è

di per sé un fenomeno negativo: se ben gestito in tempi rapidi, potrà spesso rivelarsi anche

Mediazione e prevenzione dei conflitti aziendali

di Lorenza M. Villa

(Avvocato in Bologna, Mediatore)

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una fonte di arricchimento personale e di crescita con generazione di nuove idee e stimoli alla

produttività.

Se trascurato, invece, il conflitto sarà inevitabilmente destinato a generare costi, spesso

ingenti, diretti e indiretti, senza potersi escludere una degenerazione dei rapporti in

atteggiamenti violenti e aggressivi.

Nel costo complessivo del conflitto lavorativo dovranno infatti essere ricomprese non solo le

spese di giustizia, ma il tempo necessario per gestire le procedure disciplinari interne, le

assenze per malattia del dipendente, i costi di una sua sostituzione, di turnover del personale e

quelli correlati all’incrinamento della serenità dell’ambiente lavorativo con una più generale

diminuzione di rendimento del personale, del lavoro di squadra e della concentrazione sugli

obiettivi strategici dell’azienda. Il conflitto sul luogo di lavoro si espande poi verso l’esterno,

con possibili ripercussioni sulla vita familiare dei dipendenti e sull’immagine dell’azienda

stessa.

Una gestione non ottimale dei conflitti interni non può peraltro essere interamente imputata a

una incapacità dell’azienda. Molti imprenditori si dimostrano sicuramente attenti alle

esigenze dei propri dipendenti, ma non sempre tale attenzione è sufficiente, essendo

necessaria una preparazione più specifica dei soggetti aziendali deputati a gestire il personale,

almeno per un primo intervento.

Non potendosi tuttavia pretendere che tali persone (tra le quali dovrà essere ricompreso

chiunque abbia mansioni direttive) abbiano uno specifico bagaglio culturale ed esperienza

nell’ambito della risoluzione delle controversie, laddove un conflitto non possa essere risolto

sul nascere, il ricorso alla formazione interna e alla mediazione pare consigliabile o, almeno,

auspicabile.

3. Perché? I vantaggi della Mediazione nelle organizzazioni produttive.

Perché la Mediazione? Attraverso la Mediazione viene una risposta collaborativa, informale

ed efficace al conflitto aziendale. La Mediazione può essere intrapresa in ogni momento e ha

il vantaggio di garantire alle parti un supporto facilitativo professionale e riservato attraverso

l’intervento di un Mediatore, soggetto terzo imparziale, non giudicante.

In un’ottica di tempi e costi, alla luce di una analisi nel medio termine, la procedura così

instaurata è caratterizzata da una relativa economicità con vantaggi aggiuntivi quali, ad

esempio, un sicuro miglioramento qualitativo dei rapporti tra le parti, una diminuzione

dell’assenteismo con un correlato aumento di motivazione del personale e, quindi, di

produttività nonché una sicura influenza positiva sull’immagine aziendale.

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L’introduzione di procedure di mediazione in ambito aziendale si pone inoltre in linea con gli

obiettivi europei in materia di Responsabilità Sociale dell’Impresa (RSI).

Portato del più vasto panorama delineato dalla Commissione Europea con il Libro Verde

“Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” (2001), la

Comunicazione UE n. 681 del 2011 ribadisce che “attraverso la RSI, le imprese possono

contribuire in modo significativo al conseguimento degli obiettivi del Trattato sull’Unione

Europea per uno sviluppo sostenibile e un’economia sociale di mercato altamente

competitiva. La RSI sostiene gli obiettivi della strategia europea 2020 per una crescita

intelligente, sostenibile e inclusiva, tra cui l’obiettivo del 75% di persone occupate …

contribuire ad alleviare le conseguenze sociali dell’attuale crisi economica, compresa la

perdita di posti di lavoro, fa parte della responsabilità sociale delle imprese”ed evidenzia

che “per soddisfare pienamente la loro responsabilità sociale, le imprese devono avere in

atto un processo per integrare le questioni sociali, ambientali, etiche, i diritti umani e le

sollecitazioni dei consumatori nelle loro operazioni commerciali e nella loro strategia di

base in stretta collaborazione con i rispettivi interlocutori con l’obiettivo di fare tutto il

possibile per creare un valore condiviso tra i loro proprietari/azionisti e gli altri soggetti

interessati e la società in generale”. In tale ambito, la Mediazione, parimenti sostenuta e

fortemente promossa a livello europeo, pare inserirsi e qualificarsi come uno degli strumenti

sicuramente più indicati per il perseguimento dei fini enunciati.

3. Chi? I soggetti della Mediazione

Le cause genetiche del conflitto possono essere le più svariate: fattori percettivi errati, fattori

comportamentali, stress e concorrenza, problemi di comunicazione, necessità di

riconoscimento e aspettative non soddisfatte, gestione non ottimale di procedure disciplinari

interne, fattori generazionali e interculturali.

Nelle Organizzazione Produttive, quindi, appare chiaro come il conflitto si possa generare a

diversi livelli e tra differenti soggetti. A livello interno, può nascere tra dipendenti, dirigenti e

dipendenti, dirigenti e funzionari e così via. A livello esterno, tra l’Organizzazione e soggetti

terzi, quali clienti, fornitori, ecc.).

Come sopra evidenziato, non sempre i soggetti coinvolti hanno le competenze necessarie (o

anche solo la predisposizione personale ovvero il tempo) per gestire il conflitto.

Tali competenze sarebbero comunque quanto meno auspicabili nei soggetti chiamati

istituzionalmente a gestire il personale aziendale, in quanto deputati all’eventuale avvio di

procedimenti disciplinari.

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4. Cosa? Conflitti mediabili e conflitti non mediabili

La Mediazione sul luogo di lavoro è multidimensionale e può avere ad oggetto le

controversie più disparate. Tra gli innumerevoli studi condotti all’estero, un’inchiesta

effettuata in Inghilterra dal CIPD33 evidenzia i casi in cui la Mediazione ha dimostrato la sua

particolare efficacia le procedure disciplinari, le controversie in materia di mobbing e

molestie sessuali, le procedure derivanti da reclami ai quali potranno essere aggiunti i

conflitti interculturali e generazionali e le controversie da ricollocamento dei dipendenti.

L’inchiesta in questione offre altresì dati confortanti in relazione al gradimento espresso dagli

operatori del settore nei confronti della mediazione: la stessa è stata considerata strumento

utile per i funzionari aziendali nella gestione dei conflitti con il personale al fine di migliorare

la comprensione reciproca, con un impatto ritenuto altamente positivo sull’ambiente di

lavoro. Tra le caratteristiche più apprezzate del procedimento di mediazione, la riservatezza,

la neutralità del mediatore, la volontarietà e la possibilità di ristabilire un canale di

comunicazione tra le parti.

E’ intuitivo, comunque, che la mediazione non potrà mai costituire una panacea per tutti i

mali. In una prospettiva realistica e anche al fine della stima dei costi finali della controversia

si dovrà tener presente che non tutti i conflitti si prestano ad essere trattati nell’ambito di una

procedura di mediazione. Ci si riferisce, in particolare, a tutte quelle controversie che

necessitino un intervento dell’autorità giudiziaria per investigazioni al fine dell’accertamenti

della sussistenza di un reato e alle controversie con un conflitto troppo esacerbato e un

eccessivo irrigidimento delle parti nelle proprie posizioni.

Un discorso a parte, invece, meritano i conflitti in cui l’intervento del mediatore venga

sollecitato prematuramente.

5. Quando? Il fattore tempo.

Il tempo o, per meglio dire, la tempestività è un fattore essenziale nella mediazione sul luogo

di lavoro. Nel decidere se il ricorso alla mediazione sia opportuno o meno, si dovrà tener

presente che ogni conflitto è caratterizzato da uno specifico ciclo di vita: da una fase di

latenza fino a un punto di impasse, seguito dall’inizio della ricerca di una via d’uscita bonaria

o giudiziale.

Ovviamente una tempestività di intervento, soprattutto in funzione preventiva, garantisce

maggiormente una soluzione soddisfacente per tutte le parti interessate.

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Un ricorso troppo precoce alla mediazione appare qui sconsigliabile. Come si legge nella

citata Survey, infatti, “le persone dovrebbero essere incoraggiate a parlare tra di loro o con

il proprio responsabile, prima di cercare una soluzione attraverso la mediazione”: e, questo

dato di fatto, dovrà essere tenuto presente anche dal mediatore designato in sede di primo

colloquio con le parti nonché, prima ancora, dai soggetti aziendali preposti alla gestione del

personale.

Da quanto detto emerge un’ulteriore necessità, ossia che i soggetti “chiave” della realtà

imprenditoriale siano opportunamente formati al fine di poter compiere tutte le necessarie

valutazioni quando chiamati a gestire i conflitti interni e anche quelli, non meno importanti,

con i soggetti esterni all’azienda.

In particolare, l’assunzione di una politica aziendale mediation oriented non potrà prescindere

da un atteggiamento attivo, nel senso di un ricorso alla mediazione in funzione preventiva

della degenerazione di possibili conflitti interni ed esterni. Basti solo pensare al settore

assicurativo e al potenziale numero di contenziosi giudiziari evitabili laddove, in luogo della

mera contestazione di un sinistro, l’assicuratore si facesse parte diligente nell’instaurare un

effettivo dialogo con i danneggiati sostituendo nei propri contratti le clausole arbitrali con

clausole di mediazione preventiva a condizione di procedibilità. Oppure, tornando alla

mediazione dei conflitti aziendali interni, i benefici che potrebbero derivare dalla previsione,

quanto meno nell’ambito dei codici etici di impresa, di una possibilità di sospensione dei

procedimenti disciplinari in pendenza di una procedura di mediazione.

6. Come strutturare la mediazione nell’ambito delle organizzazioni produttive?

La scelta di un approccio adeguato rimane la chiave primaria del successo della mediazione

sul luogo di lavoro.

Come emerso dalla citata inchiesta britannica “la mediazione non si inserisce in un vuoto

organizzativo e l’approccio scelto deve essere in linea con la realtà aziendale. Il grado di

formalità o informalità sarà in funzione delle caratteristiche e delle esigenze dell’impresa.

Per esempio, una grande impresa potrà optare per un approccio più strutturato e investire

nello sviluppo di un proprio sistema interno con una scelta sicuramente più economica a

lungo termine. Per una piccola realtà, invece, potrà essere più conveniente avvalersi

all’occorrenza di un mediatore esterno. In altri casi si potrà optare per una combinazione

delle sue soluzioni descritte”.

33 CIPD, Survey Report, “Workplace Mediation, how employers do it”

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Con riferimento alla vigente legislazione italiana, sulla scelta influirà anche la necessità o

meno che l’eventuale accordo di mediazione possa costituire titolo esecutivo. Ai sensi del

D.Lgs. 28 marzo 2010, infatti, solo le mediazioni condotte presso un Organismo di

Mediazione regolarmente iscritto al relativo registro presso il Ministero di Giustizia potranno

dar luogo, se concluse positivamente, ad accordi costituenti titolo esecutivo o idonei ad

acquistare tale efficacia a seguito di omologazione.

Tenuto presente quanto sopra – che di per sé non pare costituire un ostacolo all’adozione di

procedure mediative aziendali – il criterio guida nella scelta in questione dovrebbe piuttosto

essere ricercato avuto luogo alla natura del conflitto creatosi e alla convenienza o meno che il

ruolo di mediatore venga assunto da personale interno, soprattutto nelle piccole realtà, al fine

di evitare esitazioni e rinunce all’ADR in questione per timore di mancanza di imparzialità o

di riservatezza.

La scelta di avvalersi di mediatori interni dovrà comunque essere analizzata attentamente

anche sotto il profilo dei costi, risultando necessaria una struttura gestionale ad hoc e una

formazione specifica del personale addetto.

Le due soluzioni, peraltro, potranno anche essere adottate congiuntamente, con ricorso

all’una o all’altra a seconda del caso concreto.

Qualunque sia l’opzione prescelta, comunque, appare imprescindibile uno sforzo interno

all’organizzazione produttiva volto a diffondere la cultura della mediazione, con un idoneo

training multilevel, la previsione della mediazione quale metodo di risoluzione delle

controversie nei Codici etici di impresa, se esistenti, e nell’ambito delle procedure disciplinari

quale step volontario preventivo all’avvio delle stesse.

Infine, il ricorso alla mediazione potrà vantaggiosamente essere previsto nell’ambito delle

procedure di client care nell’ottica di un consolidamento dell’immagine aziendale all’esterno

e della prevenzione / riduzione di eventuali contenziosi giudiziari con clienti e fornitori,

tenuto anche presente che il ricorso alla mediazione non subisce restrizioni temporali ed è

praticabile anche nell’ambito di procedure giudiziarie già radicate.

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Durante il matrimonio di Peleo e Teti, Eris, dea della discordia, infuriata per non essere stata

invitata, si presentò durante il banchetto nuziale e lanciò sulla tavola imbandita una mela

d’oro che recava la scritta “alla più bella”. A contendersi il frutto prezioso furono Era, Atena

ed Afrodite, cadendo così nella subdola trappola tesa da Eris. A quel punto Zeus, al fine di

comporre la lite, incaricò Ermes di portare le tre contendenti sul monte Ida affinchè fosse

Paride, principe di Troia, ad attribuire il premio di bellezza.

Al cospetto di Paride le tre dee, per ingraziarsi il suo giudizio, gli promisero svariati doni.

Atena, con il dono della sapienza, lo avrebbe reso capace di modificare eventi e materia a suo

piacimento, finanche superare le leggi della natura. Era lo avrebbe reso così ricco che i suoi

forzieri non sarebbero bastati a contenere le sue gemme e il suo oro, così potente che interi

popoli ad un suo gesto si sarebbero sottomessi, e così glorioso che il suo nome avrebbe

riecheggiato fino alle stelle. Infine, Afrodite avrebbe appagato i suoi desideri amorosi

concedendogli in sposa Elena, la donna più bella del mondo. Paride favorì quest’ultima,

attirandosi in tal modo l’odio delle altre dee che si allontanarono complottando la rovina della

sua città, Troia.

La dea dell’amore aiutò Paride a rapire Elena, moglie di Menelao, re di Sparta. Questo,

successivamente, portò alla guerra di Troia, ragion per cui il pomo d’oro fu chiamato il pomo

della discordia. Zeus, nonostante il suo prestigio, la sua infallibilità e legittimità di giudizio, si

volle astenere dal pronunciarsi sulla scelta, incaricando Paride, forse per la sua competenza in

termini di bellezza e, sicuramente, per evitare che sull’Olimpo sorgessero rivalità e contrasti

da parte delle due dee private dalla designazione. La mitologia greca e posteriormente la

latina attribuirono al giudizio di Paride la prima rappresentazione illustre e rinomata di forma

di arbitrato.

L’arbitrato, dal latino arbitratus, ossia giudizio, costituisce l’alternativa storica alla

giurisdizione, e realizza una sorta di giustizia in cui le parti conferiscono ad un terzo il potere

di decidere la lite secondo diritto o secondo equità, mediante un atto che ha la medesima

efficacia coercitiva di una sentenza e suscettibile di esecuzione coattiva. Quindi, è un mezzo

di eterocomposizione delle liti con cui le parti provvedono autonomamente alla tutela delle

situazioni sostanziali, da qui i precisi limiti posti dal legislatore costituiti dalla

L’arbitrato come decisione dialogata

di Angela Natale

(Avvocato)

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incompromettibilità di controversie su diritti indisponibili, e dalla inderogabilità dei principi

di ordine pubblico processuale, primo fra tutti il principio del contraddittorio. In questo

contesto si collocano il compromesso e la clausola compromissoria, quali atti propulsivi del

giudizio arbitrale. Il compromesso è definito “come un contratto di diritto privato voluto dalle

parti per produrre effetti di diritto processuale, in quanto attribuisce alle parti stesse la facoltà

di impedire che della lite in esso considerata possa conoscere il giudice ordinario”. –Cass.,

Sent. n. 2369, 20 agosto 1949– Quindi, negozio che si riferisce ad una o più controversie già

insorte tra le parti nel momento della conclusione del compromesso, pertanto già integranti

un conflitto giuridico concretamente apprezzabile. Diversamente, con la clausola

compromissoria le parti decidono di sottrarre la cognizione di controversie nondum natae, e

delle quali sia ipoteticamente prospettabile l’insorgenza in relazione allo sviluppo del

rapporto di diritto sostanziale che scaturisce dal contratto a cui si riferisce la clausola, alla

giurisdizione ordinaria e di rimetterla al giudizio di un “tribunale” privato –non statale– Di

conseguenza, le suddette fattispecie negoziali introducono un “processo personalizzato”

voluto dalle parti, alle quali è riconosciuto il potere di determinare, nel modo più rispondente

alle proprie esigenze, le regole da applicarsi al giudizio arbitrale, e che gli arbitri sono tenuti

ad osservare a pena di impugnabilità del lodo. Prima fra tutte la scelta degli arbitri poiché, in

attuazione della convenzione, le parti assumono il reciproco obbligo ed acquistano il

correlativo diritto di concorrere alla nomina dell’arbitro, se unico, oppure di nominare il

proprio arbitro e di concorrere alla nomina del terzo arbitro, se si tratta di collegio arbitrale.

Diversamente, in mancanza di nomina immediata e diretta le parti, di comune accordo,

possono indicare il numero degli arbitri e le modalità da seguire per la futura nomina. E’

lasciata alla libera determinazione delle parti anche la scelta della lingua e della sede

dell’arbitrato, con l’unico limite legale rappresentato dal territorio della Repubblica italiana –

anche se ormai tale limite dovrebbe ritenersi superato, o quanto meno esteso alla U.E.–

nonché, l’individuazione delle regole procedurali applicabili al giudizio. Altresì, in deroga al

principio tendenziale per cui gli arbitri decidono secondo l’applicazione delle norme di

diritto, le parti possono conferire agli arbitri il potere di pronunciarsi secondo equità, nonché

autorizzare il presidente del collegio a pronunciare provvedimenti arbitrali non aventi

contenuto decisorio circa lo svolgimento del procedimento. Da ultimo merita richiamare il

potere delle parti di determinare la durata del giudizio arbitrale, potendo le stesse prevedere

un termine diverso da quello stabilito dalla legge e, addirittura, di prolungare ad libitum il

termine di pronuncia del lodo, assumendo in tal caso la volontà delle parti forza di legge nei

confronti degli arbitri, lasciando, pertanto, alle norme del codice di rito una funzione

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largamente dispositiva per colmare eventuali carenze delle parti. All’autonomia negoziale dei

compromittenti si affianca il potere degli arbitri di adottare autonomamente le regole

procedurali per quanto non già specificamente disciplinato dalle parti ed, altresì, quello di

integrare eventuali disposizioni incomplete o poco esaustive. Gli arbitri, tranne diversa

esplicita volontà delle parti, non sono tenuti a fissare termini perentori o applicare le norme

del codice di rito sulle preclusioni processuali, poiché “il giudizio arbitrale, per sua intima

natura, è improntato alla libertà di forme e non è soggetto nel suo svolgimento a forme ed a

termini di assoluta rigidità tali da dar luogo a preclusioni di natura inderogabile, per le

eccezioni e per le difese delle parti, e purché sia rispettato l’imprescindibile principio del

contraddittorio.” –Coll. Arb. Roma 15 ottobre 1979– Cosicché “…. è consentito, per un

verso, alle parti di modificare ed ampliare gli iniziali quesiti entro l’udienza di precisazione

delle conclusioni e, per l’altro, agli arbitri di rispondere non solo ai quesiti posti nella loro

formulazione originaria, ma anche a quelli più lati che la successiva discussione svoltasi tra le

parti, in regolare contraddittorio tra loro, ha reso necessari e ampliati per la decisione, così

tenendo presenti anche le successive circostanze, difese e precisazioni formulate dalle parti

stesse nel corso del giudizio arbitrale” –Cass. 3 maggio 2004, Sent. n. 8320– Al contrario, il

potere regolamentare dell’arbitro di fissare termini perentori o di disporre preclusioni può

essere esercitato esclusivamente qualora non solo non sia in contrasto con la volontà espressa

ed attuale delle parti, ma ciò risulti indispensabile affinché il procedimento possa giungere a

conclusione nei limiti temporali prescritti.

Se nell’arbitrato ad hoc l’autonomia negoziale si manifesta nella sua massima espressione

mediante la redazione di una convenzione che sia il più possibile completa, priva di lacune ed

autosufficiente, l’arbitrato amministrato si caratterizza per la presenza di regolamenti

standard predisposti dalle istituzioni arbitrali, ai quali le parti fanno esplicito riferimento nella

convenzione ma che, tuttavia, non privano le parti del potere di disciplinare direttamente

alcune fasi del procedimento, essendo le disposizioni di detti regolamenti dalle stesse

generalmente derogabili. Poteri che si estrinsecano, in primo luogo, nella scelta degli arbitri

che compongono il collegio giudicante, nella indicazione del loro numero e delle particolari

modalità da seguire per la loro nomina. Altresì, nella individuazione delle regole che gli

arbitri sono tenuti ad osservare nel corso del giudizio, nella scelta della natura rituale o

irrituale dell’arbitrato, nonché nella previsione di un termine specifico per l’emissione del

lodo. Pertanto, le disposizioni regolamentari si applicano solo qualora, essendo insorto un

conflitto interpretativo, manchi un espressa pattuizione delle parti in proposito e le lacune

vengono così colmate dal regolamento arbitrale prescelto dalle parti.

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Appare evidente che l’arbitrato, benché si configuri come un “giudizio”, trova la propria

fonte in un accordo delle parti, cosicché spirito collaborativo, buona fede e correttezza

rappresentano i principi cardine che devono presiedere all’intero giudizio arbitrale. Infatti, se

è vero che in astratto l’arbitrato ha come fine una decisione secondo diritto o secondo equità,

e non una soluzione condivisa tra le parti, è altrettanto vero che solo una condivisione può far

sorgere l’arbitrato, e ciò ne fa ab origine un processo dialogato e concordato tra le parti e i

difensori. Per cui, atteggiamenti dilatori, ostruzionistici e scarsamente collaborativi di una

delle parti rischierebbero di provocare delle crisi ed, in taluni casi, di ostacolare grandemente

il procedimento stesso, sino a rendere necessario l’intervento autoritativo esterno per

sbloccare la situazione.

Anche per questo nella prassi e nell’etica dell’arbitrato si usa procedere spesso a decisioni per

gradi, in modo da consentire sino all’ultimo alle parti di comporre il loro dissidio alla luce di

quanto già deciso o acquisito. Ciò consente una più facile esecuzione spontanea dei lodi, e

rende più facile il recupero e la continuazione dei rapporti tra le parti, limitando anche la

frequenza delle impugnazioni.

Sulla base delle considerazioni svolte, si comprende perché, nell’attuale situazione, si pensi

di incentivare il ricorso all’arbitrato quale strumento di tutela civile alternativo alla

giurisdizione statale per gli svantaggi che ne derivano, tra i quali eccessiva durata del

processo, formalismi eccessivi e costi sempre crescenti, che rendono ormai l’arbitrato

amministrato competitivo col processo statale –si pensi p. es. a tempi e costi del tribunale

delle imprese– A ciò si aggiunga l’organizzazione burocratica del giudizio statale,

insensibile al particolare delle singole vicende, costretta a trattarle tutte in modo uguale e con

spazi minimi di attenzione. Al contrario, nell’arbitrato si sceglie un terzo che, per

competenza, autorità e prestigio, offre le massime garanzie nella decisione della controversia

e con la possibilità di determinare il tempo della decisione, considerato che sono le parti a

fissare il termine di pronuncia del lodo, e quindi a regolare la durata del procedimento

contenendola entro limiti ragionevoli e, comunque, voluti.

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La risoluzione dei conflitti rimane prerogativa dello Stato in vero e proprio regime di

monopolio statale?

Se il monopolio della forza nell’attuazione coattiva dei diritti appare connaturato al nascere

dello Stato nazionale moderno e se ancora a molti può apparire essenziale il manteniento

tendenziale del monopolio legislativo, non altrettanto essenziale appare ormai l’affermazione

del monopolio nella composizione delle controversie e, in particolare, del potere di risolverle

mediante lo jus dicere. Tale affermazione merita attenzione poiché dalla interpretazione delle

norme costituzionali relative al diritto di agire in giudizio, art. 24, all’organizzazione della

giustizia, artt. 101 e ss., nonché dalla interpretazione costituzionale dell’art. 2907 c.c., si

ricava che il potere giurisdizionale è tenuto esclusivamente a predisporre strutture e

procedure essenziali alla risoluzione delle controversie, e solo in tal senso può considerarsi

sussistente un servizio pubblico essenziale e monopolistico. Del resto, la stessa nozione

dedicata dal codice civile all’istituto della transazione, art. 1965, c.c. consente con ampiezza

di presupposti, di modi e di forme la composizione di una controversia prescindendo dal

ricorso alla giurisdizione statale.

A ciò si aggiunga che gli strumenti alternativi alla giurisdizione sono oggetto di costante

interesse nell’ambito delle politiche della Unione Europea ed hanno assunto, con il “Libro

Verde” del 16 novembre 1993, un ruolo prioritario anche grazie ai fondi stanziati dalla

Comunità Europea a supporto dei progetti pilota in tema di procedure conciliative. Da tale

momento a tali tecniche può riconoscersi il ruolo di strumento privilegiato di tutela nella

dimensione transfrontaliera, e comincia a farsi strada l’idea che la tutela giurisdizionale,

seppur costituisca la più completa e garantista forma di risoluzione delle controversie,

dall’altro rappresenti nell’alveo dei rimedi concretamente attuabili – sia sotto il profilo della

efficacia complessiva della tutela dei diritti, che delle risorse economiche impiegate dagli

stati e dai cittadini, nonché del tempo di realizzazione effettiva della tutela- l’extrema ratio.

Dunque, secondo questo orientamento, costituisce obbligo imprescindibile per gli Stati

garantire a tutti i cittadini la possibilità di adire le vie giurisdizionali ma, al contempo, si

ritiene che una concreta realizzazione di una tutela effettiva dei diritti imponga

necessariamente un serio tentativo di risolvere le liti con rimedi alternativi, riducendo così al

L’assistenza alla parte nella negoziazione, in mediazione e nell’arbitrato

di Angela Natale

(Avvocato)

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minimo il ricorso alla macchina processuale, che dovrà essere impiegata solo laddove tali

tentativi siano falliti. La suddetta impostazione ha rivelato tutta la sua portata innovativa nelle

determinazioni del Consiglio d’Europa adottate all’esito della riunione di Tampere del 15 e

16 ottobre 1999, con cui l’organo comunitario ha invitato tutti gli stati membri ad istituire ed

attivare procedure alternative per la risoluzione delle controversie in materia civile e

commerciale. A tal fine, in attuazione alle deliberazioni assunte dal Consiglio, è stata

emanata la direttiva 2008/52/EC del Parlamento Europeo e del Consiglio che, come riportato

al “considerando” n. 2, ha lo scopo di “agevolare un miglior accesso alla giustizia”

Pertanto, nel contesto della U.E. e con l’affermarsi del principio di sussidiarietà, lo Stato

nazionale ha cessato di essere una fonte normativa sovrana ed esclusiva, facendo così venir

meno non solo la giustificazione storica e sistematica del monopolio giurisdizionale quale

potere attuativo della norma nel caso concreto, ma anche la concezione stessa del giudizio e

del processo come strumento di tutela tipica e principale, se non esclusiva, degli interessi

giuridicamente rilevanti.

Concludendo, in tema di diritti disponibili, è indubbio che la giurisdizione statale di per sé

non costituisca l’unica ed esclusiva forma di composizione dei conflitti, rivestendo, al

contrario, un rimedio residuale, poiché il ricorso ai giudici risulta necessario solo quando il

privato non abbia voluto o potuto accordarsi utilizzando strumenti alternativi. L’unico vero e

proprio monopolio statale –necessario- concerne la tutela coattiva dei diritti, ovvero l’uso

della forza pubblica nella fase dell’esecuzione concreta dell’atto risolutivo delle controversie.

In virtù delle considerazioni svolte, appare opportuno ritenere che esistano due forme

dell’ordine giuridico: ad un ordine dato, ossia una legge che si trasforma in sentenza, con la

quale il giudice realizza l’equo contemperamento degli interessi contrapposti mediante la

ricerca di una norma data in astratto da applicare al caso concreto, si sta affiancando un

ordine negoziato, ovvero mediazione e negoziazione che si traducono in un accordo, in cui la

pace sociale si raggiunge attraverso la composizione dei concreti interessi consensualmente

ritenuti dalle parti meritevoli di tutela.

Per comprendere quale sia il ruolo dell’avvocato è necessario, preliminarmente, individuare

le finalità, nonché le differenze e le caratteristiche comuni degli istituti che rientrano

nell’acronimo ADR, che tradizionalmente ricomprende il negoziato e la mediazione, cui

viene ora associato l’arbitrato in quanto strumento alternativo alla giurisdizione statale, anche

se a contenuto decisorio e non negoziale.

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La negoziazione è un procedimento in cui le parti, con l’ausilio di propri legali di fiducia,

interagiscono direttamente fra loro, senza l’intervento di un organo terzo e, pertanto, si

verifica una vera e propria trattativa contrattuale finalizzata al raggiungimento di un accordo.

La mediazione affonda le sue radici nella aequitas, ossia nella idea che i contrapposti interessi

in lite si possono comporre solo trovando una medietas compositiva delle reciproche pretese,

che non sono solo giuridiche, ma anche e soprattutto metagiuridiche, cioè psicologiche e

sociali, ed è un procedimento strutturato dove le parti di una controversia tentano di

raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore,

soggetto terzo ed imparziale, che può intervenire al fine di facilitare la comunicazione e la

negoziazione collaborativa fra le parti, oppure può assumere un ruolo di supplenza costruttiva

che può esplicarsi con la formulazione di una proposta conciliativa. In ambedue i casi il

mediatore è privo di poteri decisionali e vincolanti.

Le procedure appena descritte, portando ad una soluzione condivisa del rapporto litigioso,

hanno l’indubbio vantaggio di preservare e facilitare la durata delle relazioni commerciali e

personali, e di poter essere intraprese in pendenza di un giudizio senza ripercussioni

sull’andamento o l’esito di quest’ultimo e, nella prospettiva di uno scontro giudiziale, il loro

inizio non ostacola affatto quello di un processo, conservando le parti la libertà di adire i

Giudici o gli arbitri competenti quando lo ritengano opportuno.

Diversamente, l’arbitrato costituisce l’alternativa storica alla giurisdizione statuale, una forma

di giustizia che si caratterizza per la volontaria devoluzione ad un terzo del potere di decidere

la lite secondo diritto o secondo equità, mediante un atto che ha la medesima efficacia

vincolante e suscettibile di coattiva esecuzione di una sentenza resa dall’autorità giudiziaria.

Individuati gli istituti e le finalità degli stessi, in ognuno è diverso il ruolo dell’avvocato. In

particolare, in qualsiasi procedura si esplichi, l’attività professionale dell’avvocato

nell’assistere la parte deve essere ispirata all’osservanza di alcuni doveri di natura

deontologica sanciti negli artt. 9, 10, 12, 14, e 15, c.d.f., individuabili precisamente nei doveri

di correttezza, di fedeltà, di diligenza, di competenza, e di aggiornamento processuale e di

formazione continua, doveri che possono tradursi nell’obbligo dell’avvocato di ricercare, con

la speciale diligenza del professionista, la soluzione in concreto migliore per l’interesse del

proprio assistito.

Fermo restando il requisito della cultura giuridica che l’avvocato deve sempre possedere per

comprendere le implicazioni legali del conflitto, poterle superare e redigere un accordo che

sia corretto e fedele agli interessi emersi, l’assistenza nelle procedure di negoziazione e di

mediazione presentano un elemento comune rappresentato dalla conoscenza da parte

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dell’avvocato delle tecniche di negoziazione e di comunicazione, peraltro ancora sconosciute

nel nostro percorso di formazione professionale, caratterizzato da una esperienza forense ed

una attenzione culturale basata prevalentemente sul modello del contenzioso avversariale. La

padronanza delle tecniche negoziali è invece particolarmente essenziale tanto nella

negoziazione diretta che nella mediazione, soprattutto alla luce della qualifica di mediatore di

diritto ormai attribuita agli avvocati iscritti all’albo. Invero, con tale riconoscimento non

soltanto si è valorizzata la competenza professionale dell’avvocato anche in ordine alla

composizione stragiudiziale dei conflitti, ma si è altresì affermata la funzione mediativa come

connaturata e tipica della professione forense.

Se nella prassi tradizionale il rapporto avvocato/cliente si esaurisce soprattutto in uno

scambio di informazioni e documenti finalizzati al giudizio, ciò che la società si attende oggi

è che l’avvocato effettui preliminarmente una rigorosa analisi del caso con il proprio assistito

per comprendere quali siano i reali motivi, interessi e bisogni che sostengono le posizioni

esposte. Soltanto effettuando tale ricognizione sarà possibile avere una completa

rappresentazione delle concrete ragioni da tutelare e delle priorità effettive dell’assistito, da

cui l’avvocato ricaverà tutti gli scenari possibili al fine di generare un ventaglio di opzioni

negoziali ed una strategia comune per realizzarle.

Esaurita la fase di ricognizione, nel corso della trattativa, sia che si svolga nella forma della

negoziazione che in quella della mediazione, quale dovrebbe essere l’approccio dell’avvocato

che assiste la parte?

Negoziazione e mediazione sono finalizzate alla realizzazione degli interessi della parte,

quindi sicuramente la trattativa di posizione basata su un atteggiamento “processualistico”

dell’avvocato che snocciola una fila di eccezioni e massime giurisprudenziali non aiuterà il

successo della trattativa, ma più facilmente determinerà il fallimento della stessa. Ed è bene

sottolineare che tale approccio è un modo non diligente e poco professionale di svolgere il

proprio ministero difensivo, non diversamente dall’aver redatto un accordo palesemente

inammissibile. Diversamente, l’approccio del buon avvocato/negoziatore sarà fondato sulla

disponibilità ad individuare il problema reale che dovrà essere affrontato ed aggredito

indipendentemente dai condizionamenti e dagli aspetti emotivi che coinvolgono la

controparte, e che possono spingere la trattativa nella direzione di uno scontro

controproducente al buon esito del procedimento negoziale. A tale scopo è necessario che

l’avvocato sposti il fulcro della controversia dalle posizioni agli interessi, cercando di

riconoscere e comprendere anche i bisogni, le ragioni e le preoccupazioni posti a fondamento

della strategia negoziale della controparte. Solo una attenta analisi degli interessi contrapposti

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e l’individuazione di criteri oggettivi che stabiliscano un grado di convenienza reciproca,

possono consentire di escogitare opzioni negoziali, ossia possibili accordi o parte di accordi,

una delle quali potrebbe rivelarsi equa e reciprocamente soddisfacente.

Un accordo può sempre rivelarsi idoneo a soddisfare adeguatamente gli interessi oppure

potrebbero esistere alternative migliori?

Compito dell’avvocato è ricercare la soluzione più conveniente per il proprio assistito, quindi,

prima di assumere decisioni, sarà tenuto ad identificare l’alternativa percorribile che

costituirà “l’alternativa di sicurezza”, cd. MAAN, ossia la miglior serie di azioni possibili per

soddisfare gli interessi del proprio assistito, una sorta di metro per valutare ogni potenziale

accordo. Identificare la MAAN, significa influenzare la negoziazione e neutralizzare l’effetto

delle azioni costrittive della controparte. Chiaramente esistono anche alternative peggiori, cd.

PAAN, ed identificarle consentirà all’avvocato di individuare tra le varie opzioni negoziali

proposte quella più soddisfacente degli interessi del proprio assistito. In conclusione,

conoscere ed analizzare le MAAN e le PAAN, rappresenta una base di consapevolezza

minima di ogni negoziazione.

In termini di gestione della trattativa, cosa cambia in mediazione?

In questa sede il ruolo dell’avvocato è più complesso, poiché deve gestire la comunicazione

anche con il mediatore, facendo in modo di condurre al meglio la relazione con tutti e tre i

soggetti. Pertanto, ferme restando le considerazioni svolte sull’atteggiamento dell’avvocato e

sulle tecniche negoziali, egli dovrà cooperare col mediatore per far comprendere le priorità

nelle ragioni del suo assistito, in modo da facilitare la ricomposizione e il riequilibrio degli

interessi. In questo senso appare opportuno sfruttare le potenzialità degli incontri riservati che

costituiscono la sede migliore per prospettare in un contesto assolutamente confidenziale

opzioni ragionevoli e condivisibili e, nello stesso tempo, acquisire e valutare le proposte

avanzate dalla controparte o dal mediatore, elaborando con quest’ultimo alternative e

soluzioni. Quindi, un atteggiamento cooperativo, più che antagonistico sia nei confronti del

mediatore che della controparte, che in caso di esito positivo del procedimento, culmina nel

delicato e precipuo compito di tradurre l’accordo in un testo giuridicamente strutturato e

suscettibile di esecuzione anche coattiva.

Apparentemente diverso, e più simile a quello tradizionale basato sull’avversarialità, è il

modus operandi dell’avvocato nel giudizio arbitrale. Ma se è vero che in astratto l’arbitrato

ha come fine una decisione secondo diritto o equità, e non una soluzione condivisa tra le

parti, è altrettanto vero che solo una condivisione può far sorgere l’arbitrato, e ciò ne fa ab

origine un processo dialogato e concordato tra le parti e i difensori. Basti ricordare che si

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tratta di un procedimento libero da formalità e con termini pienamente disponibili e

dipendenti dall’accordo tra le parti, le quali possono convenirle nella convenzione arbitrale,

delegarle agli arbitri e perfino modificarle nel corso del procedimento, con l’unico limite

vincolante del rispetto del contraddittorio.

Sicché, se ante 1995 si poteva dire che la condotta difensiva nell’arbitrato era assai vicina a

quella del processo civile statale, sia pure, per prassi e cultura degli operatori, con una

maggiore propensione alla ricerca di soluzioni consensuali, le successive novellazioni del rito

civile hanno assai divaricato il modus difensivo nelle due sedi, al punto che oggi l’avvocato

che non abbia formazione o esperienza arbitrale fa fatica ad abituarsi, per esempio, all’idea di

istanze istruttorie avanzate o documenti depositati in sede di discussione; oppure di

discussioni che frequentemente danno luogo a lodi parziali, cui segue spesso una

comparizione delle parti in cui si tenta la conciliazione delle parti sulla base di quanto già

deciso.

In sede arbitrale invece, buona prassi e cultura tradizionale vede il lodo come una extrema

ratio, essendo considerato un male necessario ma non il fine necessario della procedura. Ciò,

in molti regolamenti e codici di comportamento di istituzioni arbitrali, si traduce nella

statuizione dell’arbitro di ricercare sempre, prima di ogni momento decisionale, la

conciliazione delle parti. Così come è spesso prassi degli arbitri convocare i difensori per

accordarsi con loro su aspetti della procedura, giacchè gli arbitri non dispongono del potere

autoritativo del giudice statale, e perciò la conduzione del procedimento arbitrale è svolta,

almeno in linea di principio, nell’interesse di tutte le parti coinvolte, e ne presuppone la leale

collaborazione per un corretto svolgimento. Sono quindi poco graditi, e in taluni regolamenti

addirittura banditi, atteggiamenti difensivi ostruzionistici e meramente dilatori.

L’atteggiamento dell’avvocato che assiste la parte in arbitrato deve essere nello stesso tempo

dialogante nelle fasi negoziali (accordi sulla conduzione della procedura, sull’acquisizione

delle prove, tentativi di conciliazione, ecc.) e contraddittore in quelle avversariali finalizzate

alla decisione.

Per fare un esempio, poiché il giudizio arbitrale ha tempi contingentati, non è opportuno

disseminare le difese di eccezioni peregrine o fondate su meri formalismi processualistici,

che hanno poca probabilità di accoglimento, ma esigono comunque un’attività anche per

essere esaminate a fini di rigetto. Ciò peraltro di solito conduce a lodi parziali che, se non

necessari, costituiscono un onere aggiuntivo per la parte soccombente, evitabile con una più

accorta condotta difensiva.

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Infine il difensore in sede arbitrale dovrà sempre avere ben chiari i casi in cui, anche nel

processo arbitrale, è necessario il ricorso all’intervento del giudice statale, come per esempio

quando insorgano ragioni cautelari.

In conclusione, può dirsi che per ben difendere in arbitrato sarebbe bene avere sia la

padronanza del contraddittorio processuale che una buona conoscenza delle tecniche

negoziali.

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Il Governo presieduto da Matteo Renzi si accinge a introdurre delle novità nel settore

giustizia. Il ministro Andrea Orlando, da mesi si è prodigato nella ricerca di una condivisione,

prima di tutti, da parte di avvocati e magistrati su misure che possano migliorare il sistema

giustizia, oggi percepito dai cittadini come una macchina inefficiente e costosa.

Il punto grave è che il sistema giudiziario, soprattutto quello civile, disattende la domanda di

giustizia di cittadini e imprese, provocando danni economici e sociali, allontanando potenziali

investitori esteri e contribuisce ad accrescere un clima di sfiducia generale verso la giustizia.

Lo Stato persegue un obiettivo su tutti: quello di smaltire l’arretrato civile. Una visione così

limitata a mero fatto tecnico non può certo partorire una riforma che possa avviare il tanto

abusato (nel termine) “cambiamento”.

Un cambiamento vero dovrebbe presupporre uno sgancio dalle vecchie logiche e dai soliti

interessi e dovrebbe rivolgersi a investire tutta la cultura giuridica di questo Paese. Purtroppo,

anziché incentivare l’uso della mediazione civile, per fortuna riaffermata col decreto del fare

dal governo Letta, il ministro Orlando sembra dare ulteriori soddisfazioni ai vertici

dell’avvocatura che chiedevano l’introduzione in Italia della “negoziazione assistita”.

In linea di principio non è un male. I cittadini avranno da oggi un nuovo strumento di

risoluzione delle controversie che si aggiunge agli altri: arbitrato, mediazione, giudizio

ordinario. Il problema è che questo strumento, utilizzato con scarsi risultati in Francia, serve

solo e ancora una volta a compiacere i vertici di un’avvocatura che dimentica l’etica e il bene

comune dei cittadini privilegiando fini utilitaristici. Buona parte di essa è ancora stizzita per

l’introduzione della mediazione civile che tenta di boicottare in ogni modo. Non è bastato il

titolo di “mediatori di diritto” dato così generosamente agli avvocati dal precedente governo a

calmare le acque: gli avvocati vogliono essere in prima linea nello smaltimento dell’arretrato

civile, vogliono controllare le cose di persona. Il mediatore? Chi è mai costui? Il cliente si

fida solo dell’avvocato, è da secoli che è così, dichiarano in coro, senza rendersi conto che il

limite della cosiddetta negoziazione assistita è proprio la fiducia. La fiducia che il cittadino

ripone nella giustizia è data dal terzo. Il terzo è una figura esterna alle parti in causa,

imparziale. Finora tale fiducia era riposta nella figura del Giudice. E’ vero che il cittadino si

Negoziazione assistita: ecco perchè potrebbe essere un flop*

di Salvatore Primiceri

(Giurista, editore, mediatore civile e familiare, formatore)

* Articolo originariamente pubblicato sulla rivista “Buonsenso”, anno 1 numero 1, Primiceri Editore, Pavia, giugno 2014

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rivolge in primis all’avvocato, ma col fine ultimo di affidare la decisione ad un terzo.

L’avvocato deve essere bravo a dimostrare le pretese della parte che rappresenta, infatti

quando una sentenza non soddisfa la parte, la colpa è quasi sempre dell’avvocato (per la parte

si intende). I giudici sbagliano, certo, ma la fiducia dei cittadini nei giudici è sempre più alta

di quella riservata agli avvocati.

Tale maggior rispetto è dovuto all’autorevolezza del terzo imparziale. La terzietà è una

garanzia di tale importanza nel creare un clima di fiducia che, qualora le parti non intendano

rivolgersi alla giustizia ordinaria, c’è solo un’altra figura in grado di poterla garantire, il

mediatore.

La mediazione è la chiave per risolvere una enorme quantità di cause pendenti in quanto

unico strumento in grado di garantire, nella maggior parte dei casi, il conseguimento di una

soluzione soddisfacente e condivisa in pieno dalle parti, efficace e durevole nel tempo.

E tutto questo è possibile grazie al ruolo guida di un professionista terzo, imparziale,

riservato, autorevole, preparato, rassicurante perchè estremamente capace di imprimere

fiducia nelle parti. In psicologia si chiama “effetto Hawthorne” e consiste nella

predisposizione positiva delle parti a tentare di risolvere un problema già solo per il fatto

iniziale di affidare la cura del conflitto ad un terzo imparziale.

La negoziazione non può fornire tale requisito della terzietà in quanto viene gestita

esclusivamente da avvocati, i quali, per definizione, sono persone di parte. Ognuno

rappresenta una parte e non è affatto detto che una negoziazione così gestita possa

caratterizzarsi per equilibrio.

Pensate all’eventualità che si incontrino in negoziazione due avvocati, di cui un esperto con

tanti anni di carriera alle spalle e un giovane appena entrato in avvocatura. Ebbene, al di là

delle eccezioni, quanta parità e assenza di soggezione saranno presenti in tale incontro? Quale

esperienza in capacità di persuasione e negoziale prevarrà? I rischi sono questi. Quello di

arrivare ad accordi poco equi e che risentano troppo dei rapporti di forza iniziali.

Mancando la terzietà, manca la fiducia, mancheranno quindi accordi durevoli e veramente

condivisi. Il governo bene avrebbe fatto, nel tempo da cui si è insediato, a rendersi

protagonista di un vero cambiamento culturale, incentivando la mediazione e apportando

correttivi alla legge vigente, in modo da aiutare cittadini e imprese a conoscere un istituto di

enorme buon senso, in quanto garantisce terzietà, fiducia, imparzialità, riservatezza, il tutto

senza giudizio dove il ruolo centrale è delle parti che decidono e condividono l’accordo

finale. Per fare i negoziatori, infine, occorre una formazione specifica perché si richiede

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preparazione in tutte quelle materie multi disciplinari (tra cui le tecniche di negoziazione)

necessarie per garantire accordi equi, condivisi e di buon senso. Ma ci ritorneremo.

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Michel de Montaigne era un filosofo francese vissuto in epoca rinascimentale tra il 1533 e il

1592. Egli era anche un magistrato e un mediatore, nonché uomo impegnato politicamente.

La sua opera più celebre è quella dei “Saggi” dove lo scopo della narrazione è porre l’essere

umano al centro di un’analisi libera da pregiudizi. Per fare questo, Montaigne parla di sé

stesso mettendosi, come lui stesso afferma, a nudo davanti al lettore. Ironico, scettico, a tratti

divertente, Montaigne scrive di sé con assoluta libertà, spesso, volutamente o no,

sottovalutandosi. E’ considerato uno scettico perché rifiutava le dottrine rigide, gli schemi

imposti, le certezze del senso comune. Era un seguage di Pirrone, filosofo greco sostenitore

della “sospensione del giudizio” ed amava trovare nei filosofi antichi l’ispirazione per il suo

pensiero. Tra questi gli immancabili Socrate, Platone e anche Plutarco.

Montaigne, ha svolto compiti molto delicati a livello politico dimostrando un forte impegno

nella società dell’epoca. Si trovò, ad esempio, a mediare tra Enrico III e Enrico di Navarra

(divenuto poi Re Enrico IV). Era la guerra di religione fra cattolici e protestanti. Di questa

esperienza Montaigne racconta nei Saggi[1]: “Nelle poche occasioni in cui ho dovuto

mediare tra i nostri principi in quelle divisioni e suddivisioni che oggi ci lacerano, ho sempre

accuratamente evitato che si sbagliassero sul mio conto e che fossero tratti in inganno dalle

mie parvenze esteriori. Le persone del mestiere rimangono quanto più possono coperte, si

fingono e si presentano come le più moderate e concilianti che vi siano. Io, invece, mi

espongo con le mie opinioni più genuine e il contegno che più mi appartiene. Negoziatore

molle e inesperto, preferisco venir meno allo scopo della mia missione anziché a me stesso.

Ma in questo, sinora, ho goduto di una tale buona sorte (giacché senz’altro la fortuna vi ha il

ruolo principale) che pochi sono riusciti a destreggiarsi fra i vari partiti con minor sospetto e

maggior successo e familiarità. Ho modi aperti, che mi permettono di entrare facilmente in

relazione e di ispirare fiducia sin dai primi contatti. La schiettezza e la pura verità saranno

sempre, in qualsiasi epoca, apprezzate e considerate opportune”.

Montaigne in questo passaggio offre numerosi spunti di riflessione a chi si trova nella

posizione di dover mediare. Come al solito, innanzitutto, tende a minimizzare i suoi successi

dando merito alla buona sorte e alla fortuna. Egli si ritiene addirittura un negoziatore molle e

inesperto. Non solo. Ammette di non riuscire a trattenere opinioni e, a premessa di tutto,

Montaigne e la personalità del mediatore

di Salvatore Primiceri

(Giurista, editore, mediatore civile e familiare, formatore)

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

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puntualizza anche il ruolo che gioca il fisico preoccupandosi che le parti non si facciano

impressioni sbagliate dal suo aspetto esteriore.

Fermando la riflessione un attimo a questi passaggi sembrerebbe che Montaigne sia un

mediatore per caso, non adatto al ruolo. Egli esprime giudizi, non si ritiene esteticamente

rassicurante e, come se non bastasse, non sarebbe in grado di adottare al meglio tecniche

efficaci di negoziazione. Eppure il suo ruolo non solo viene apprezzato ma riscuote successo.

La chiave di tutto questo è la personalità. E’ lui stesso ad ammetterlo, tra l’autocritica e un

pizzico di umiltà, poche righe dopo quando parla dei suoi modi aperti, empatici, gentili. Egli

riesce ad attivare la cosiddetta “relazione efficace” con le parti, assumere un atteggiamento

dialogico. Tutto questo imprime alle parti la componente principale di una mediazione,

ovvero la fiducia verso il mediatore. Si tratta della rassicurazione di aver affidato il proprio

conflitto nelle mani giuste, indipendentemente dal risultato.

In una situazione così delicata personalità e fiducia sono componenti essenziali che incidono

per una significativa percentuale sull’andamento e sull’eventuale riuscita della mediazione.

Montaigne evidenzia di sé anche un altro elemento comportamentale e riguarda la sincerità.

Oggi diremmo, a memoria, come tutte le cose che ci vengono insegnate e che assumiamo

come verità, che il mediatore non deve far trapelare nulla di ciò che pensa, mantenere la

massima imparzialità e distacco nel giudizio dalle parti. Le scienze odierne spiegano come

persino la mimica facciale e altri elementi non verbali, istintivi o meno, debbano essere tenuti

a freno dal mediatore.

Ma la sincerità di cui parla Montaigne gioca nel campo della personalità e non del giudizio,

contribuendo al risultato della fiducia.

Bisogna infatti tenere contro del contesto storico e delle modalità di svolgimento della

mediazione di cui parla il filosofo francese. Siamo nel bel mezzo di una guerra di religione e

Montaigne assume le vesti di un diplomatico in missione di pace. Egli parla di “opinioni

genuine” accompagnate da “contegno”. Il fine è quello di evitare di indossare una maschera,

di apparire freddo e falso (usa il termine “coperto”) e, di conseguenza, inaffidabile per le

parti.

Montaigne era un filosofo che dava molta importanza all’essere umano, con tutti i pregi e

difetti. L’analisi dell’uomo lo portava a cercare una mediazione continua tra il corpo e la

mente. Per il filosofo la rappresentazione comune che la società offriva delle persone

(soprattutto quelle celebri) trascurava l’opportunità di descrivere e analizzare più apertamente

anche la fisicità di cui non bisogna vergognarsi (“Anche sul più alto trono del mondo, non

siamo seduti che sul nostro culo”[2], affermava con la solita ironia tagliente). Non a caso, il

ADR ITALIA – ANNO 1 NUMERO 3

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“mettersi a nudo” come fece con i Saggi, sarebbe risultato più facile se la società fosse

rimasta culturalmente primitiva, ovvero in uno stadio privo di preconcetti. Sarà stata questa

spiccata capacità di comprendere l’essere umano e la società che forniva a Montaigne quella

serenità e personalità necessarie per rendersi apprezzato e stimato dagli altri.

In conclusione. Montaigne amava l’Italia. Ci veniva spesso e la raccontava con entusiasmo

nelle sue opere. Chissà quali consigli avrebbe potuto fornire oggi ad un Paese che fatica a

diffondere la cultura della mediazione preferendo la litigiosità a tutti i livelli. Per i mediatori,

sebbene lui non la pensi così, sarebbe certamente un buon maestro.

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SOMMARIO

ADR, arbitrato e negoziazione assistita: metodi complementari per

la risoluzione extragiudiziale delle controversie

di Carlotta Calabresi 03

Perché la mediazione non decolla?

di Antonio Erba 09

Mediazione civile e commerciale in ambito sanitario:

Risoluzione stragiudiziale di una controversia o “pre-giudizio” civile?

di Bruno Giannico 13

Strumenti di risoluzione delle controversie,

dalla giurisdizione all’arbitrato, dalla transazione alla mediazione.

Prime riflessioni in tema di negoziazione assistita

di Marianna Sabino 19

La mediazione tributaria: che fine ha fatto il mediatore?

di Marianna Sabino 27

La mediazione civile e tributaria: poche analogie ma tanto interesse

condiviso per chi se ne deve occupare

di Massimiliano Ferrari 33

Dall’orbita egocentrica all’orbita relazionale:

soluzione del dilemma conflittuale

di Silvia Piazzolla 37

Mediazione e prevenzione dei conflitti aziendali

di Lorenza M. Villa 41

L’arbitrato come decisione dialogata

di Angela Natale 47

L’assistenza alla parte nella negoziazione, in mediazione e nell’arbitrato

di Angela Natale 51

Negoziazione assistita: ecco perchè potrebbe essere un flop

di Salvatore Primiceri 59

Montaigne e la personalità del mediatore

di Salvatore Primiceri 63

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