Rivista Medicina Narrativa

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Copertina:Marc Chagall 1 949, dalle Illustrazioni delle favole di Jean de La Fontaine.Realizzazione grafica: L. Spinelli.

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Medicina Narrativa

COMITATO SCIENTIFICO:

E. Aguglia, M. Balestrieri, S. Beccastrini, G. Bert, A. Caneva, A. Cozzolino, F. De Marco, C.De Pasquale, S. Di Nuovo, P. Elli, P. Furlan, M. Gallucci, M. Gangemi, A. E. Gentile, G.Giusto, D. Linder, G. Lunardo, G. Lo Castro, M. Maj, R. Manfredi, V. Masini,C. Pedroni, A. Picano, E. Pirfo, V. Rapisarda, D. Taruscio, A. Torrisi, G. Vernaci,F. Zanetto, L. Zannini.

Direttore Responsabile: A. Virzì

Redazione: O. Bianchini, S. Dipasquale, G. Previti, A. Rizzotti, M. Signorelli, L. Spinelli

Azienda Ospedaliero-Universitaria "Policlinico-Vittorio Emanuele"Presidio G. Rodolico Clinica PsichiatricaVia S. Sofia N.78 Cataniatel/fax 095 [email protected]

Società Italiana di Medicina Narrativawww.medicinanarrativa.it

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Rivista della Società Italiana di Medicina Narrativa (S.I.Me.N)

I Testi integrali degli articoli sono disponibili sul sito della S.I.Me.N. www.medicinanarrativa.it

Registrazione: N. 32 2009 Registro Periodici Tribunale di Catania

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In questo numero

Il primo numero della Rivista è aperto da unarticolo esplicativo su cosa sia la MedicinaNarrativa. Per chi la conosce già è inutileleggerlo; chi si avvicina per la prima volta aquesta materia troverà un po’ di storia equalche notizia sulle ultime tendenze.

Segue un articolo sui disturbi alimentari e lanarrazione di Vincenzo Masini che, insieme aquello di Giorgio Bert sui punti di vista nellanarrazione, rappresenta un buon esempio dicome si possa fare ricerca in Medicinanarrativa.

L’articolo successivo, di Michele Gangemi eFederica Zanetto ci proietta nelle applicazionicliniche, in un’area, quella pediatrica, che èstata antesignana nel dare spazio alle storie deipazienti.

Segue un articolo di Salvatore Dipasqualesulla figura del medico nella cinematografia alquale sono particolarmente affezionato perchérappresenta l’evoluzione di una delle primetesi nell’area delle Scienze Umane, a confermadell’ufficializzazione accademica che questitemi finalmente hanno ottenuto.L’ultimo articolo merita una segnalazione

particolare per le caratteristiche del suoAutore, Fabio Pirracchio, studente del polocentrale Corso di Laurea in Medicina eChirurgia dell’Università Statale di Milano. E’inconsueta la presenza degli studenti fra gliautori di articoli in riviste scientifiche, macredo debba essere incentivata, anchepremiando delle “tesine”, come questa, redattanell’ambito dell’ insegnamento di“Introduzione alla Medicina”.

Sugli Atti del Simposio “La narrazione clinicadella malattia” dico solo che ricordo conmolto piacere l’entusiasmo del pubblico cheaveva partecipato numeroso ad Arezzo.

Per quanto riguarda le recensioni, ne abbiamoinserita solo una per ragioni di spazio e lascelta del libro di Laura Prete è compiutaprincipalmente per il largo utilizzo didatticoche ne abbiamo fatto.

Infine le “Storie”, per ora solo due: la prima diGiulia Masini, molto utile ai giovani mediciper scoprire un mondo nuovo con occhi nuovi,la seconda di Roberto Manfredi, soloapparentemente fuori posto, a ricordarci chel’Università è sempre stata esperta in “storie”.

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Indice

Editoriale

Il Primo NumeroA.Virzì"La Medicina Narrativa: cos'é?".A. Virzì, O. Bianchini, S. Dipasquale, M. Genovese, G. Previti, M. S. Signorelli.Articoli

"La narrazione della confidenza con il cibo come nucleo interpretativodei disturbi alimentari".V. Masini-C. Lencioni"Punti di vista".G. Bert"Il bambino con la malattia cronica".M. Gangemi, F. Zanetto."Medicina Narrativa: la figura del medico nella cinematografia".S. Di Pasquale, O. Bianchini, G. Previti, M. S.Signorelli, A. Virzì."Il medico nei romanzi: La cittadella e il Dott. Finlay di Cronin. Il mediconella storia di tutti i giorni".F. Pirracchio"La Narrazione clinica della malattia" :Simposio al V Forum di Risk Management in Sanità. Arezzo 24 novembre, 2010Atti:

"Medicina e Narrativa: una coppia possibile?".S. Polvani, A. Zuppiroli, A. Sarti, F. Biondi, I. Sarmiento, F. Trentanove"Medicina Narrativa e malattie rare: l'esperienza del Centro Nazionale Malattie Rare"A. E. Gentile,I. Luzi, M. De santis, D. Taruscio"La comunicazione con il paziente all'interno del sistema delle cure: umanizzareil sistema delle cure".G. Natalucci."Narrative based medicine e la medicina di genere".S. Marcadelli."Storie di medici e pazienti".A. Virzì, O. Bianchini, S. Dipasquale, G. Previti, M. S: Signorelli."L'ascolto che guarisce".S. Spinsanti.

Recensioni

"La vita che torna" di Laura Prete.A cura di O. Bianchini

Storie

"Lettera dal Congo" G. Masini

Una storia particolare!

"Medicina Universitaria in Italia: un sogno, una chimera,o semplicemente una coperta troppo corta?".R. Manfredi.

Norme Editoriali

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Editoriale/Editorial

"Il Primo Numero"

Mi accingo a scrivere questo editoriale con un misto di soddisfazione e di timore. Soddisfazioneperché si concretizzano fatiche che chi ha avuto esperienze editoriali conosce bene, timore perchéavverto l’importanza di questo momento e non vorrei deludere le aspettative che inevitabilmente sicreano di fronte a quello che dovrebbe essere un vero e proprio atto di nascita di una creatura. Unaltro timore è poi rappresentato dal rischio di essere banale o retorico, o entrambi. Come uscirne?Forse la maniera più facile e anche quella a me più congeniale è di scrivere semplicemente pocheparole sul perché di questa iniziativa ed esprimere un augurio.Medicina Narrativa nasce per essere un momento concreto di aggregazione per tutti quelli chehanno scoperto ( o riscoperto ) questo modo di fare Medicina per renderlo da una parte sempre piùdiffuso e condiviso, dall’altra sempre più scientificamente approfondito e accreditato. L’obiettivo èvolutamente lasciato aperto perché è mio desiderio che la sua struttura non sia rigida , ma siarricchisca dei suggerimenti che spero arrivino nel tempo prendendo la forma che gli Autorivorranno dare. In tal senso va letto Il rapporto con la altrettanto giovane Società Italiana diMedicina Narrativa: non solo voce della Società, ma sua vera e propria anima e ragione di essere.L’augurio è quello che non manchino i contributi, quelli “scientifici”, senza i quali non ci puòessere confronto oggettivo, e quelli “narrativi”, ad evitare che proprio in queste pagine siriproponga la mortificazione delle emozioni del paziente e di chi gli vive accanto. Manca ancoraun auspicio, forse il più importante per fare crescere questa iniziativa: che non si spengaquell’entusiasmo di tutti i componenti della Redazione, senza il quale questo primo numero nonsarebbe nato.

Antonio Virzì

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Medicina Narrativa: cos'è?

A. Virzì, O. Bianchini, S. Dipasquale,M. Genovese, G. Previti , M. S. Signorelli.

Introduzione

Non è facile rispondere al quesito posto nel titolo.Chi si è già occupato dell’argomento vorrebbepoter conoscere le ultimissime tendenze dellamateria, mentre per chi legge per la prima voltal’aggettivo “narrativo” associato a “medicina”, sichiede molto più semplicemente di che cosa sitratta e da dove ha preso origine questoorientamento. Con la consapevolezza quindi discontentare tutti possiamo affermare che laMedicina Narrativa altro non è che il recupero dellastoria del paziente nel senso più profondo deltermine, che va certamente ben oltre la storiaclinica, vista come storia della malattia e non delpaziente.

Il paziente racconta al medico la propria “storia dimalattia”, e questa narrazione è presentata quasisempre come la descrizione vera e completa dicolui che la racconta, anche se, purtroppo, ormaicosì non è più. La narratività compare sulla scenaproprio nel momento in cui la medicina sembraperdere la sua efficacia nel rapporto con il pazientee, di conseguenza, nell’ individuazione e gestionedegli stati di sofferenza. Pertanto i medici moderni,oltre al sapere scientifico, hanno la necessità disviluppare le proprie capacità di ascoltareempaticamente il paziente.La medicina narrativa si può applicare a variambiti: l'anamnesi esistenziale e relazionale delvissuto del paziente, la compartecipazione tra

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Every day we use our narrative capacity to tell usto others, at the same way the patient tells thedoctor their "history of illness", and this is thedescription more true and complete of their illness.From these considerations born the concept ofnarrative medicine, a way to deal the disease andunderstaind the overall meaning in context,systemic, comprehensive and respectful of theperson assisted. The story mode is a flexible andtargeted communication, which goes from time totime adapted to the patient and the real situation.

No two stories are equal, even when made fromthe same person.It is therefore obvious that the narrative medicinerequires the use of methods of study to analyze theprojects and to draw conclusions with scientificcriteria. By the physician is required tocommunication training, using multiple tools suchas literature. Ultimately narrative medicine is agood opportunity for medicine to get out of thevision of technical and scientific evidence andclose us to the lived of the patients.

Narrative Medicine: what is it?

Medicina Narrativa N.1 2011

Azienda Ospedaliero­UniversitariaPoliclinico­Vittorio emanuele P.O. Gaspare RodolicoU.O.P.I. Psichiatria, Università di Catania

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medico e paziente del significato della malattia.Rappresenta l'apertura progressiva della medicinaad altre scienze quali la sociologia, la psicologia,l'antropologia, una volta parte integrante delsapere medico.

Nascita della medicina narrativa

Il concetto di medicina narrativa è abbastanzarecente, si affaccia infatti sulla scenainternazionale verso la fine degli anni Novantagrazie a Rachel Naomi Remen1 e Rita Charon2. Itermini utilizzati indicano una modalità diaffrontare la malattia tesa a comprenderne ilsignificato in un quadro complessivo, sistemico,più ampio e rispettoso della persona assistita. Illavoro svolto da Remen e Charon ha avuto comescopo principale quello di sensibilizzare il mondomedico ad utilizzare un approccio narrativo nellarelazione con il paziente. La medicina narrativa èun modello empatico in grado di favorireun’elevata aderenza al trattamento nel paziente edi offrire all’operatore una metodica per larilevazione del vissuto soggettivo di malattia. Lamedicina narrativa arricchisce le cure attraversol’attenzione e l’utilizzo anche in senso terapeuticodei racconti dei pazienti, dei medici, degliinfermieri e di quanti operano nel sistemasanitario, valorizzando in particolare la prospettivae la visione della malattia del soggetto e dei suoifamiliari.In contrapposizione all’ acronimo EBM (EvidenceBased Medicine) nasce l’acronimo NBM(Narrative Based Medicine), dove la narrazionedella patologia del paziente al medico èconsiderata fondamentale al pari dei segni e deisintomi clinici della malattia stessa. Questomodello, sviluppato presso la Harvard MedicalSchool da B.J. Good3, sottolinea l'importanza delle“storie” nel valutare la qualità delle cure e delrapporto medico-paziente. Prevede anche unaricerca qualitativa, attraverso la raccolta di dati suivissuti del paziente (in termini di tristezza, sentirsisoli, provar dolore, sconforto) e sulla modulazionedelle relazioni che egli vive nell’ambiente di cura.

Il costrutto narrativo che produce la sofferenzapresenta una ricchezza semantica che va oltre lavalutazione della qualità delle cure sentita dalpaziente (soddisfazione/insoddisfazione), ma miraa ridefinire la pratica clinica nel suo complesso.Le narrazioni di malattia sono quindi in primoluogo uno strumento di comprensione dellarelazione del paziente con la malattia stessa.L’ascolto del racconto di malattia, attraverso laricostruzione delle vicende e dell’ intero contestoin cui si inserisce, obbliga a ricomporre, aintegrare in modo critico e in una visione diinsieme, molti particolari elementi che l’analisitende a scindere. Il paradigma narrativo diventapoi indispensabile quando ci si accosta a chi èaffetto da patologie croniche e con vari gradi didisabilità. In questi casi il soggetto e la suafamiglia entrano a pieno titolo come protagonisti eco-autori del percorso di cura.

Criteri e metodi in medicina narrativa

Nel corso degli ultimi dieci anni solo pochiarticoli hanno affrontato la medicina narrativa daun punto di vista metodologico4, senza in realtàrecuperare una lunga e prolifica tradizione nataalla fine degli anni Sessanta5. Quasi solamente inambito oncologico si è cercato di svilupparealcune singole metodiche di analisi dellenarrazioni dei pazienti6, con scarsi studi diriferimento disponibili.Le metodologie che sin dalla fine degli anniSessanta hanno caratterizzato l’analisi delmateriale narrativo, scritto e orale, sonoraggruppabili in tre filoni principali:• Analisi Tematica7: si conteggia la frequenza diparole e di temi proposti dal paziente;• Analisi Linguistica8: si differenziano lenarrazioni per complessità di genere;• Analisi di Contenuto9: si seguono varieprocedure per la rilevazione quantitativa dellastruttura della narrazione e del suo contenutoqualitativo.In tutti e tre i casi è possibile ottenere datiqualitativi e quantitativi, che permettono diimpostare studi non solo idiografici ma anche

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statistici su campioni anche numerosi. Sicuramentel’analisi di contenuto, pur richiedendo unaddestramento specifico dell’ intervistatore, è ingrado di offrire un profilo molto dettagliato dellanarrazione in esame; ma soprattutto può offrireoltre trent’anni di ricerche in cui si sonostandardizzate le procedure, sino allo sviluppo disoftware deputati.Al di là della metodica di analisi selezionata èprioritario che la connotazione “qualitativa” cheusualmente è attribuita alla medicina narrativa sia,non un ostacolo, ma uno sprone ad utilizzareprocedure e protocolli il più possibile rigorosi eripetibili. Un'intervista secondo le metodiche dellamedicina narrativa dovrebbe mirare allarilevazione di liberi contenuti secondo una tracciagenerale o poche domande standardizzate.I criteri metodologici dovrebbero infatti:1 . Lasciare l'intervistato libero di utilizzare lestrutture narrative e le espressioni linguistiche piùdiversificate2. Non influenzare la modalità o il contenutoespressivo della narrazione3. Seguire una metodologia di intervista che siacomune e standardizzata all'interno del campionedi studio (la cui numerosità deve essere definita inbase al metodo di analisi).Questi criteri metodologici hanno l'obiettivo dioffrire all'intervistatore una gamma il più possibileampia di “comportamenti” narrativi che sarannopoi oggetto dell'analisi secondo teorie o modellidiversi. E' quindi prioritario che le metodiche dirilevazione siano semplici, non condizionanti estandardizzate.

Formazione del medico

Da alcuni anni alla Columbia University di NewYork esiste un programma di medicina narrativa: iclinici si accostano a testi in cui protagonisti sonomalati e malattie, o si allenano a scrivere storie dimedici, di pazienti, oltre che dettagli e dati dicartelle cliniche, utilizzando un linguaggioquotidiano, piuttosto che il lessico tecnico in cuitradizionalmente vengono redatte le cartelle deipazienti.

La narrazione è una modalità comunicativaflessibile e mirata, che va di volta in volta adattataal paziente reale e alla situazione reale. È quindiovvio che la medicina narrativa richieda da partedel medico una formazione continua allacomunicazione, formazione che si avvale dimolteplici strumenti, come sottolinea Zannini10:autobiografia, scrittura, lettura, uso del cinema,della musica, delle arti figurative; acquisizione dicompetenze pedagogiche, antropologiche,filosofiche.Diversi autori si sono occupati di questo tema consaggi e libri che aiutano il medico ad apprenderecome leggere ed interpretare le narrazioni dell'altroe scoprire il mondo di significati, convinzioni emiti che fanno del paziente (come di ogni persona)un'entità unica e irripetibile. In Italia molti autorihanno scritto testi che permettono al lettore, siaesso operatore sanitario che non, un approccio euna guida al “metodo narrativo”. Tra i diversi testipossiamo citare quello di Bert11 dove vengonoillustrati alcuni dei percorsi formativi checontribuiscono a costruire questo atteggiamentomentale e si traccia un percorso utile al medico chevoglia intraprendere l'avventura della medicinanarrativa.Anche Masini12 sottolinea come la medicinanarrativa stimoli diversi processi tra i qualil’ importanza relazionale del vissuto del paziente,inteso sia come malattia che come malessere, la“co-costruzione” tra medico e paziente delsignificato del vissuto di malattia, e l’aperturaprogressiva della medicina verso altre disciplinecome la sociologia, la psicologia e l’antropologia.Vengono affrontati anche il tema delle forme direlazione tra medico e paziente mediante ladettagliata analisi delle relazioni critiche e delleposizioni relazionali per risolverle.Sono stati avviati anche diversi progetti diutilizzazione della lettura e della scrittura, in alcunireparti di varie Aziende Ospedaliere come quella diFirenze con il progetto “NAME” in ambitocardiologico. In questo progetto si prestaattenzione alle storie di vita, tradizionalmenteintese come genere letterario, unite alle storie di

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cura e di malattia tramite l’utilizzo di materialidifferenti con successiva contestualizzazione edinterpretazioni della narrazione. Altre esperienzebasate sulla narrazione, sulla biblioterapia inpiccoli gruppi sperimentali, con l’ausilio di testi13

che aiutano alla riflessione tramite l’analisi dibrani letterari, sono state fatte anche nell’AziendaPoliclinico di Catania nell’ambito dellaformazione del personale sanitario sulla“umanizzazione del rapporto medico paziente”.La formazione del medico può passare ancheattraverso la letteratura, capace di attingere avissuti, emotivi, narrazioni ed esperienze chepossono far riflettere sul difficile ruolo delpaziente, ma anche su quello, altrettanto difficile,del medico.Altri studi di livello internazionale sullaformazione del medico sono centrati sulla ricercadi nuovi metodi per migliorare le abilità dei medicidi comprendere la narrazione del paziente pergiungere alla costruzione della diagnosi grazie aun rapporto basato sulla comprensione reciproca.Nel tentativo di aiutare gli operatori sanitari acapire ciò che provano in presenza della malattia,un’attenzione merita lo sviluppo delle competenzenarrative.Queste competenze richiedono una combinazionedi:• capacità testuali;• capacità creative;• capacità affettive.Kumagai14 indaga sull' impatto delle storie dipazienti con diabete su studenti di medicina. Dalleinterviste emerge innanzitutto che le storie hannoun potere emozionale sugli studenti: cambiano illoro modo di pensare, li motivano a sviluppare illato umano della loro professione. L’ interazionecon i pazienti è differente dalla conoscenzascientifica attraverso i libri: Le storie di malattia

aiutano a vedere il mondo attraverso laprospettiva di un paziente che convive con ilproprio malessere e fanno riflettere sullo scopodella propria professione e sul privilegio di esserefuturi medici.

Conclusioni

In definitiva la Medicina narrativa è una buonaoccasione per la medicina per andare oltre lavisione tecnicistica dell’ evidenza scientifica eriavvicinarsi all’ interezza del vissuto dei singolipazienti.Si può affermare che il punto di vista narrativo sipone oggi nello scenario formativo comedispositivo il cui utilizzo presenta un notevolepotenziale interpretativo, poiché consente diattribuire senso agli eventi ed alla realtà chelepersone sperimentano e condividononell’esperienza quotidiana.La narrazione può diventare un potente strumentodi trasformazione della pratica clinica. In tal sensola Medicina narrativa è da considerarsi lamedicina del futuro, in uno sviluppo che vede nonpiù scindibili gli aspetti clinici con gli aspettiautobiografici ed individuali della malattia.Per questa ragione le competenze narrative delmedico non possono basarsi solo sulle dotinaturali. Ricadremmo nello stesso equivoco che hafatto sì che si ritenessero le abilità relazionali delmedico non insegnabili ma un “dono”, quasi comeil talento artistico. Il narrare richiede un eserciziocontinuo e la possibilità di confronto.Riteniamo che la scommessa per la MedicinaNarrativa sia quella di non rimanere imprigionatain una dimensione da salotto letterario ma didiventare pratica quotidiana ovunque medico emalato possano incontrarsi.

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Bibliografia

1 . Remen RN. Kitchen table wisdom: stories that heal. Riverhead Books, New York, 19962. Charon R. Literature and medicine contribution to clinical practice. Ann Intern Med; 1995 122(8): 599-606.3 . Good. B. J. Narrare la medicina, Edizioni di Comunità, Torino, 1 9994. Overcash JA. Narrative research: a review of methodology and relevance to clinical practice. Crit RevOncol Hematol; 2003, 48: 1 79-1 84.5. Gottschalk L, Gleser GC. The measurement of psychological states through the content analysis of verbalbehavior. University ofCalifornia Press, Berkeley, 1 9696. Jordens CF, Little M, Paul K, Sayers EJ . Life Disruption and Generic Complexity: a Social LinguisticAnalysis of Narratives of Cancer Illness. Soc Sci Med; 2001 , 53: 1 227-1236.7. Owen WF. Interpretative Themes in Relational Communication. Q J Speech; 70: 274–87. 1 9848. Bakhtin, MM. The Problem of Speech Genres. In C. Emerson, & M. Holquist (Eds.), Speech Genres andOther Late Essays . University ofTexas Press, Austin, 1 9869. Weber RP. Basic Content Analysis. SAGE, Newbury Park, 1 99010. Zannini L. Medical Humanities e medicina narrativa, Raffaello Cortina Editore, pp. 262 Milano 2008.11 . Bert G.. Medicina narrativa. Il pensiero Scientifico Editore: Roma (2007)12. Masini V., Medicina Narrativa, Angeli, Milano (2005).1 3 . Virzì A., Signorelli M. S. Medicina e Narrativa. Un viaggio nella letteratura per comprendere il malato(e il suo medico). Franco Angeli editore, Roma, 2007.1 4. Kumagai A., Murphy E., Ross P. Diabetes stories: use of patients narratives of diabetes to teach patient­centered care, Adv. in health Sci. Educ 2009, 14: 31 5-326

Corrispondenza: A. Virzì, e-mail: [email protected]

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Obiettivi dell' analisi delle storie di disturbi

alimentari

Le malattie alimentari presentano un' ampia gammadi definizioni1 . Dal punto di vista clinico includonoil diabete e altre patologie come la celiachia, checonducono alla sonetness2, termine che descrive lariduzione di capacità relazionali, fino aicomportamenti patologici della bulimia, anoressia eortoressia.Attraverso le narrazioni sui disturbi alimentari

diventa possibile oggettivare il vissuto patologicodei pazienti3-6. La ricerca svolta attraverso le storie,conduce all’ ipotesi che la radice del disturboalimentare sia individuabile nella modulazionedella “confidenza” con gli alimenti. Per“confidenza” si intende la tipologia di rapporto conil cibo nei termini di capacità di riconoscimentogustativo e di sazietà soggettive ma anche dicomplessità oggettiva dell’alimento. Infatti ilmancato riconoscimento del sapore dipende anche

La narrazione della confidenza con il cibo comenucleo interpretativo dei disturbi alimentari

V. Masini *, C. Lencioni **

Medicina Narrativa N.1 2011

Eating confidence narration as etiological hypothesys of eating disorders

*Dir. Prepos S.A., Libera Università del Counseling, Lucca**Dip. Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Univ.Pisa

The analisys of stories about eating disorders leadto a new vision of the relationship with food thatproduces the concept of confidence. Forconfidence we mean the relationship with food interms of ability to recognize subjective taste andsatiety but also objective complexity of the food.The concept of confidence has been derived fromthe research on intuitive eating and on thedimension of satiety/hunger that overlap with thepsychological dimensions of the processes ofaddiction/denial systems connecting them totaste/distaste. When this dynamic­intuitiveadjustment leaps, then takes place the emotionaland symbolic value of food that is considered thecore of the eating disordersThe lack of confidence can be tranlated in“disconfidece” (mistrust), “pseudoconfidence”

and “badconfidence” as generative systems ofanorexia nervosa, bulimia (and binge eatingdisorder) and orthorexia. They may in fact berepresented as an expression of excess dynamicprojection (anorexia), over­emotional exchange(bulimia and binge eating disorder), excessivesymbolic distrust (orthorexia).If we ask ourselves about the reasons for which welike and dislike a food, in our history we can findthe experiences that led to the initiation oftaste/distaste, acceptance/rejection. This process isfunctional and physiological in the progressiveopening up to multiple types of foods. The moreour individual food experience has been extendedwithout trauma, the more we are open to differentflavours: if the recognition of taste is not possible,eating disorders can be triggered.

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dalla complessità degli ingredienti e dal numero deiprocessi di lavorazione degli alimenti di usocomune.Le ricerche sull’ intuitive eating7-8 analizzano lepratiche adattive alimentari connettendo la sferapsichica e la patologia sulla base dell’esplorazionedi quattro concetti cardine9:-capacità di riconoscere quando si ha fame e

quando si è sazi- permesso incondizionato di mangiare ciò che sidesidera quando si è affamati- mangiare per ragioni fisiche piuttosto che emotive- basarsi sui segnali interni di fame e sazietà perstabilire quando e quanto mangiare.Il questionario di intuitive eating non consente peròdi esplorare i gradi di confidenza nel rapporto trapersona e alimentazione, si rende quindi necessarial’applicazione del modello narrativo per lo studiodel rapporto patologico con il cibo. L’obiettivoperseguito dalla analisi delle storie è il superamentodelle dimensioni psicologiche dei processi didipendenza/rifiuto10-11 (adesione all’ immaginecorporea reclamizzata, gelosia tra sorelle,anaffettività materna, rimproveri paterni, forzatureverso il cibo ecc.) che compaiono come trattiparadigmatici nelle seguenti storie vere:

Franca: ...Ricordo che, per l’assenza dei mieigenitori, a casa mia rimanevano a dormire mia ziao mio zio materni, i quali essendo molto giovani micoccolavano tantissimo, ero la loro bambolina...Loro sono stati la mia ancora di salvezza, il mioappiglio, considerando i seguenti presupposti: unamamma un po’ frustrata che mi ha allattatopochissimo al seno e con dolore, e un papà che nonc’era mai e che per una sua educazione rigida nonera capace di dimostrare amore.Quando nacque mia sorella cominciò la gelosia.Mi accorgevo che gli occhi erano puntati su di lei enon avevo più la mia “onnipotenza”. Questasituazione mi ha portato a stare male fino a nonvoler più mangiare, perché volevo diventarepiccola come mia sorella. Questo rifiuto del cibomi ha portato ad avere sempre meno appetito e adessere molto selettiva nei cibi. Forse era l’unico

modo che avevo per attirare l’attenzione… Difattiil cibo è diventato col tempo il modulatore delrapporto con gli altri e delle mie emozioni. Allascuola materna lasciavo sempre la pasta e per nonfarmi punire dalla maestra (che dava lebacchettate sulle mani se non si finiva di mangiare)mettevo il mio piatto sotto quello degli altri e me lacavavo sempre.Luisa:… Io, che credevo di essere libera, hoscoperto un bel giorno di essere “schiava” deldivertimento, di non poter più controllare la miavoglia di vivere sensazioni e situazioni semprenuove. Forse inconsciamente lo facevo perriempire la testa di cose sempre nuove e nonpensare al passato…Sta di fatto che un giorno ho avutoun’illuminazione: non mi piacevano più i posti incui andavo, non mi divertivo più, la gente cheavevo attorno era diventata noiosa, i complimentidei ragazzi erano talmente scontati che non mifacevano effetto, non mi entusiasmava più niente. Ecosì ho scoperto il cibo.Maria:...Avevo e un gran desiderio di autonomia,ma...la mia famiglia decideva tutto per me, vivevoin una “gabbia dorata” dalla quale non erapossibile uscire. Mi sentivo soffocare. Iniziai amangiare tutto quello che trovavo: aprivo il frigosenza sapere nemmeno il perchè, non avrei volutofarlo, ma... vedevo tutte quelle cose appetitose e misembrava che mi sarei potuta riappropriare in quelmomento di tutte quelle emozioni, della libertà e diquel senso di pienezza che mi mancavano. Inrealtà non sentivo nemmeno il sapore di quello chemangiavo, mettevo in bocca, masticavorapidamente e inghiottivo a più non posso, finchénon dovevo smettere perchè mi sentivo scoppiare.Avevo imparato a scegliere cibi più soffici perchèfacevo meno fatica a tirarli giù e ancheliberarmene era più semplice. ...Dopo essermiingozzata.. arrivavano i sensi di colpa: perchèancora una volta non ero riuscita a controllarmi?Perchè ero così debole? Dove era finita la miaforza di volontà? Mi sarei strappata di dosso anche

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la pelle pur di liberarmi di tutte quelle sensazioni.Poi correvo a vomitare. Ormai avevo imparatobenissimo: due dita in gola finché non iniziavano iconati e poi giù finché non mi ero svuotata deltutto. A volte provavo ad aspettare ma poi non cela facevo, sentivo crescere il desiderio di liberarmi,di vuotarmi e iniziavo il rituale. Dopo il vomito misentivo di nuovo magra, all'inizio lo vivevo comeuna vera liberazione, dopo un po' a forza divomitare iniziò la gastrite, sul viso comparveroprimi capillari che si rompevano in seguito allosforzo.... avevo paura di essere scoperta!! Non erapiù vita, mi sentivo sdoppiata, in balia delle mieemozioni.Romina: .... Avevo 16 anni, al Liceo non ero unapersona particolarmente brillante. Per ottenere deibei voti ero costretta a stare ore e ore sui libri. Miamadre diceva che realizzarsi nella scuola e nellavoro era “ tutto” io facevo il massimo persoddisfarla, e del resto avere bei voti migratificava. A forza di studiare e studiare per ilprofitto, avevo poche e amiche e non avevo alcunapassione. Ero sempre stata normopeso, ma la vitatroppo sedentaria mi aveva portato ad assumereforme “rotondeggianti”…ed era comparsa un po'di cellulite. Un giorno eravamo in un negozio delcentro provo un paio di jeans skin e, presente miamamma, non riesco ad indossarli. Lei mi dice chesono ingrassata per colpa delle troppe “schifezze”che mangiavo. Me lo dice con disprezzo…Mi sentomorire. Iniziano le preoccupazioni. Senza direniente a nessuno tento di mettermi a dieta. Nel girodi mesi perdo due, tre chili. E così, con la stessadeterminazione con cui studiavo ore e ore mi metto“a dieta”. Questa volta la dieta è severa. Hofame.. ma devo tenere duro. Non vomitavo, perchého il terrore del vomito. Prendevo purghe però.Riesco a dimagrire, ormai sono sottopeso, maancora non basta. Inizio a sentirmi stanca di tutto.Passa un anno, non ho più le mestruazioni, perdo icapelli. Nessuno sembra accorgersi di niente, imiei, le cosiddette amiche, hanno decisamente cosepiù importanti a cui pensare.

Giorgia:.. C'è chi crede che l'anoressia nasca dallemodelle. Dicono che le ragazzine voglionoassomigliare alle divette della Tv. Dicono che èspirito di emulazione. Faccio outing, io sono un'exanoressica e le modelle non c'entrano nulla. Sonoun'ex anoressica che si è lasciata morire di fameconsapevolmente. Non voleva apparire più bella,voleva soltanto scomparire. Quale metodomigliore che dimagrire fino ad essere invisibile?Scientificamente ho smesso di mangiare. La mianon voglia di cibo coincideva come la mia vogliadi scomparire da questo mondo. Un telo sulla miavita e via. Era l'unica cosa che volevo veramente.Progressivamente le dosi di cibo sono diminuite, ivestiti sono diventati sempre più grandi, il cibo èpoi diventato quasi nulla. Io non me ne accorgevonemmeno. In poco tempo sono diventata unoscricciolo di 37 kg appena. Non mi sentivo bella enon mi sentivo nemmeno brutta. Non mi sentivo,stop. Non avevo voglia di far nulla. Il ciclo èscomparso, non me ne sono curata. Come fai acurarti del tuo corpo quando stai così maledentro? Come fai a pensare a mangiare quandol'unica cosa che vorresti veramente èscomparire?12

Giulio: …la ma inquietudine e diffidenza non miconsentivano di capire cosa mi stava succedendo,non mi accorgevo di dimagrire fino a quando unmio amico non mi ha fatto notare che ero diventatoschizzinoso in modo quasi maniacale…sperimentavo diffidenza verso molti tipi di cibi e livalutavo costantemente per le calorie checontenevano. Tutto era iniziato da quando ladietologa mi aveva insegnato il valore nutritivo diogni alimento e questa consapevolezza eradiventata una ossessione, avevo cominciato adoperare scelte sistematiche degli alimenti. “Io hoil mio stile!” dicevo e mi appoggiavo a regoleprecise e imprescindibili, senza le quali non potevovalutare il significato degli alimenti. Ero diventatoesperto di dietoterapie. Sapevo, e purtroppo soancora, tutto su alimenti con elevato e bassoindice glicemico, alimenti yin e alimenti yang,alimenti a polarità minus e alimenti a polarità

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plus. La mia vita era organizzata sulla base delrifiuto di zuccheri e sostanze dolcificanti, sullascelta di proteine animali e vegetali e sullafunzione alimentare dei cereali, dei legumi, degliortaggi e della frutta, ed anche sui processi dicottura dei cibi.Passavo molto tempo a discutere con amici eparenti che non comprendevano e condividevano lemie scelte senza rendermi conto che gli alimentinon avevano per me più alcun gusto… era come seil concetto stesso di sapore fosse totalmentescomparso. L’ansia che mi divorava era totalmentelocalizzata nel fatto che tutto dipendeva dal cibo:la mia giornata cambiava a seconda di ciò cheavevo mangiato. L’esito di un lavoro, di unarelazione, anche di un rapporto sessuale,dipendeva dalle proprietà del cibo ingerito…anche la fortuna o la sfortuna erano legate alcibo…Il metodo di analisi del cibo come narrazione

emozionale

Dal punto di vista psicologico3 l’ investigazione suidisturbi alimentari avviene sulla base dellatrasposizione degli schemi di accettazione/rifiutosui sistemi di gusto/disgusto13-14 mediante processidi proiezioni, negazione e scissione. Sul piano dellarelazione con il paziente discende che i processiproiettivi di rabbia, o ansia, richiedano lospegnimento della tensione interna del pazienteattraverso la comprensione da parte del medico3.“Io la capisco! ” è la frase che consente l’emersionedella storia in cui si può individuare lo specificoemozionale che ha prodotto la diffidenza neiconfronti del cibo. La dipendenza da ciboscaturisce invece da processi di negazione, orimozione, ed il paziente ha bisogno diconsolazione mediante narrazioni. La ricerca di unsapore finalmente saziante implica unapseudoconfidenza con un cibo che non sazia ilvuoto interiore associato all’abbandono ed allarabbia vissuta dal paziente15.La forte confusione interiore presentenell’atteggiamento alimentare ortoressico è esito discissioni. La mancanza di un pieno contatto con se

stesso e con una personale storia maicompiutamente detta e raccontata si manifestacome malfidenza nei confronti del cibo.Ovviamente in ciascun paziente vi è un mix dinegazioni, scissioni o proiezioni che hanno bisognodi essere esplorate nello specifico della sua storiaalimentare/emozionale.Il cibo costituisce fin dall'infanzia uno deiprincipali veicoli delle relazioni: dal latte materno,che sta alla base dell'intelaiatura delle relazioni diappagamento e benessere individuale finoall’agape conviviale, il cibo è gratificazione,relazione, sicurezza, memoria e identità16-18.Primariamente investito dalla tenerezza dellasuzione, o dall'aggressività del mordere, fino alrifiuto-ribellione nei confronti del sistema familiaremediante abbuffate compensatorie o digiuni diprotesta.Il cibo può essere tossico o curativo, può suscitaretimori, diffidenza, fobie, può consolare, calmareeccitare, sedare, può essere considerato alla streguadi una droga e dare dipendenza sia nel sensodell'eccesso che nel rifiuto. L' analogia tradipendenza da cibo e quella da droghe è statavalidata da ricerche neurofisiologiche sul sistemadopaminergico e tramite l'utilizzo di tecniche diimaging cerebrale19-20.Il rapporto con il cibo è fisiologicamente regolatodalla fame e dal gusto/disgusto. Quando questaregolazione dinamico-intuitiva salta, prende formaun valore emozionale e simbolico del cibo che èconsiderato il nucleo centrale delle patologie delcomportamento alimentare (DCA). Larappresentazione emozionale del cibo (accettazionee riconoscimento o rifiuto ed equivoco) conduce asquilibri psicologici che si manifestano nei DCA enon traggono giovamento né da restrizionicaloriche né da terapie dietetiche.Inoltre le restrizioni nutrizionali delle diete sembrache possano essere un fattore predisponenteall’ insorgenza dei DCA, tanto che, tra gliadolescenti, ne aumentano da 5 a 18 volte ilrischio21 . Kinzl et al. affermano che le pazienti conbulimia nervosa hanno praticato diete prima disviluppare il disturbo22. Infatti l'ambivalenza e la

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confusione emozionale presente nei soggettipredisposti ai DCA si rafforza e si estrinsecanell'oggetto dieta; questi soggetti non trovandosoddisfazione o meglio compimento “emozionale”,nonostante i risultati della dieta, tendono apolarizzare oltre misura l’attenzione sul cibo. Lediete sono incentrate sui contenuti calorici, sui cibi“salutari” e, solo marginalmente, su gusto/disgustoe per nulla sulla valenza emozionale degli alimentitanto che la carenza di serotonina plasmaticaindotta da alcuni tipi di diete, può indurre undisturbo dell'umore, concausa di DCA23.L’enigma fisiopatologico costituito dai DCA vedeinserire tra le patologie psichiatrichedall'American. Psychiatric Association. a metàdegli anni '9024 l’anoressia nervosa, bulimia e ilBinge eating disorder (disturbo da episodi diiperalimentazione compulsiva),.Oltre a queste 3 patologie, contemplate nel DSMIV, stanno emergendo nuove forme di disturbialimentari come l'ortoressia25-26(forma diattenzione abnorme alle regole alimentari, allascelta del cibo e alle sue caratteristiche).L’analisi della dimensione emozionale nel rapportocon il cibo può giungere ad un ulterioreapprofondimento attraverso sintetiche narrazionicentrate sul vissuto del gusto in sintonia con iconcetti dell’ intuitive eating e nella prospettiva dicomprendere la confidenza con il cibo. Attraversole storie è possibile leggere nelle diverse patologieun eccesso di proiezione dinamica (anoressia), uneccesso di sostituzione emozionale (bulimia ebinge eating disorder), un eccesso di diffidenzasimbolica (ortoressia).Marco:…il sapore della mortadella nostrale edell’insieme di spezie che la insaporiscono, lacosiddetta Droga Regina, che ho assaggiato alcunigiorni fa ha fatto emergere il ricordo nitido discampagnate fatte da bambino… mi sono comparsinella mente i visi delle persone …non so se per ilsapore della mortadella ma molto piùprobabilmente delle spezie usate come insaporitoredella carne o della salsicce…Emilia: … sono gli odori che non mi piacciono… o

gli abbinamenti tra cose… a me piace tutto…tranne il cervello, le interiora… ricordo un paninocon la milza che mi dava il vomito, anche il nerodi seppia… detesto i paciughi, cioè i cibiraffazzonati e prodotti da un insieme disordinato enon curato, non tritato bene. Ora che ci pensopotrei definire “papponi” le cose che non riesco amangiare. Se vedo che le persone hanno rispettoper il cibo, lo trattano bene, allora mangiovolentieri. Detesto i papponi asciutti, amo il cibovellutato.. morbido. Ricordo quando da piccola miportavano al mare, sulla sabbia, e mi davano unpanino asciutto che ingoiavo a fatica bevendosorsi d’acqua ad ogni boccone…tutte queste cosemi danno idea di soffocamento… ho sempre avutopaura di morire soffocata…Io però riesco amangiare anche ciò che non mi piace.Laura:… il mio pasto preferito da piccola era ilminestrone di verdura che mi preparava sempremia nonna. Da piccola avevo smesso di mangiaree solo mia nonna aveva capito che non mi piacevala carne e mi preparava il minestrone... che eral’unica cosa che mangiavo…Non passavo moltotempo con i miei genitori e stavo tutto il tempo conmio nonno che era una allevatore ed avevoassistito al mattatoio all’uccisione di maiali, dimucche, di agnelli… Avevo sentito l’odore delsangue e mi sembrava di riconoscere quel gusto intutte le cose che mangiavo… dunque rifiutavo ilcibo, mi ero ammalata ed avevo perso molti chili.Le minestre di mia nonna mi hanno alimentato eda allora sono diventata vegetariana… ancoraoggi però quando mangio mi sembra di sentirequel sapore e quell’odore di sangue e riesco amangiare solo se sono certa che chi ha cucinatonon abbia contaminato il cibo con alimentianimali. Ad essere sincera non so che saporeabbia la carne, non lo saprei riconoscere se nonattraverso il disgusto che mi genera.Franca: non ricordo i sapori dei cibi della miainfanzia perché erano sempre consumati in frettaed in silenzio intorno a quel tavolo di cucina in cuic’erano sempre liti o tensioni e noi dovevamo

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tacere e mangiare…mi ricordo bene il sapore deltiramisù che mia madre preparava quando erafesta e venivano a pranzo tutti i parenti… eranogiornate belle e mia madre era aperta ed affettuosaanche se voleva a tutti i costi che tutti mangiassimoil suo dolce… ricordo che dovevo prenderne unadoppia porzione e così lei era contenta e sorrideva.Ancora oggi cerco nei dolci il sapore di quellapienezza di cui ho il ricordo nitido anche se nonriappare mai nei dolci che mangio nelle mieabbuffate…Luca: Secondo me le cose non sanno di nulla…non capisco tutta quella gente che si affanna adandare a cena in quel ristornate o quell’altro. Anzitrovo odiose tutte le discussioni in cui si parla dicibo come se fosse il piacere più eccelso. Forse ilmio disturbo alimentare dipende da un difetto deimiei organi di senso. Non sento i sapori dei cibiraffinati che gli altri declamano, mi sembrano tuttiuguali e indistinti. Io mangio quello che mi basta esono convinto che poche cose mi facciano davverobene. Mi criticano perché dimagrisco ma non sirendono conto che sono le loro grandi mangiate afare davvero schifo…Il distanziamento culturale dall’intuitive eating

La lettura di storie che raccontano l’ innesco diaccettazione o rifiuto verso gli alimenti, purcorroborando le interpretazioni psicologiche, apreuna finestra conoscitiva sui rischi delle nostreattuali abitudini alimentari. Non siamo piùconnessi alla cultura contadina ed ai suoi ritmibiologici, alle abbondanze e carestie, alla visioneche l'eccesso alimentare sia connesso alla colpa(Tommaso D'Aquino inserì tra i 7 peccati capitalila gola) e il digiuno connesso alla virtù; il cibo nonè più vissuto come nutrimento ma come libertàalimentare anarchica e deresponsabilizzata, ilmangiare non appare più un processo collettivo diconvivialità sociale ma è sostituito da un vissutoindividuale legato a spazi, scenografie,simbologie, scansioni temporali, modalità disgiuntedai contesti familiari 13-16-27.La storia del cibo presenta narrazioni di modelli

archetipici3 attraverso i proverbi o i “detti famosi”che mostrano un progressivo distaccarsi dallaconfidenza con i cibi:Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina iltuo cibo (Ippocrate).Si dice che l'appetito vien mangiando, in realtàviene a star digiuni (Totò).Quando lo stomaco è pieno, è facile parlare didigiuno (San Girolamo).La fame è il miglior condimento (Cicerone).Non c' è uomo che non possa bere o mangiare, masono in pochi in grado di capire che cosa abbiasapore (Confucio).Non riesco a sopportare quelli che non prendonoseriamente il cibo (Oscar Wilde).Il cibo è la forma più primitiva di conforto che ioconosca (Sheila Graham).L’uomo è ciò che mangia (L. Feuerbach).Detesto l’uomo che manda giù il suo cibo nonsapendo che cosa mangia. Dubito del suo gusto incose più importanti (Charles Lamb).La scoperta di un piatto nuovo è più preziosa per ilgenere umano che la scoperta di una nuova stella(Anthelme Brillat-Savarin).E' una superstizione insistere su una dietaparticolare. Tutto alla fine è fatto degli stessi atomichimici (Ralph Waldo Emerson).La caratteristica della nouvelle cuisine è quello disvuotare il portafogli senza riempire lo stomaco(Philippe Bouvard)Questi detti, ovvero assunti che appaiono comesintesi di narrazioni, mostrano l’ invarianza dellaemozionalità nel cibo ed il suo un progressivopervertirsi quando il riconoscimento istintivo delsenso del cibo non funziona più.Le nuove generazioni occidentali non hanno maivissuto il cibo come bisogno di pura sopravvivenzama come esperienza emozionale la cui funzione esimbologia è sempre più legata a contesti urbani emetropolitani privi di identità, storia, relazioni(basti pensare ai fast-food).

Disturbi alimentari e complessità/semplicità dei

cibi

Se ci interroghiamo sui motivi per un cui un

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alimento piace o non piace possiamo rintracciarenella nostra storia le esperienze che hannodeterminato l’ innesco del gusto e del disgusto,della accettazione e del rifiuto. E questo processo èfunzionale e fisiologico nella progressiva aperturaai molteplici tipi di cibi con cui ci nutriamo. Tantopiù la nostra individuale esperienza alimentare si èestesa senza traumi, tanto più siamo aperti aisapori: da quello del latte materno fino, conl’aggiunta dell’agrodolce, ai formaggi ed allacarne, oppure con l’aggiunta del sale alle verdure,con l’aggiunta di zuccheri ai dolci ed ai carboidrati,ecc…L’ipotesi desunta dalle narrazioni sul temadell’alimentazione e i suoi disturbi conduce ad unoscenario di investigazione più ampio e stimolal’ individuazione di vie di uscita originali esperimentali: quando il riconoscimento del gustonon è possibile può innescarsi la patologia

alimentare.

I risultati di una ricerca condotta sulle storie dialimentazione in un campione di volontari haconfermato come il rapporto con i cibi non sialineare ma legato alle emozioni, alle abitudini e alletradizioni che conducono a riconoscere, econsolidare il riconoscimento, del sapore dei cibi.Questo riconoscimento dipende sia dalla semplicitàdel cibo che dalla confidenza che le persone hannocon quel cibo. Per semplicità di intende la naturadel sapore base di un alimento, per confidenza siintende la durata, la frequenza e il ricordo delrapporto con quel cibo. Più precisamente la naturadel sapore può essere definita come il livello distimolazione neuronale prodotto dallacombinazione di gusto, olfatto e stimolazionevisiva prodotti da un cibo.Il concetto di semplicità è tutt'altro che intuitivopoiché i cibi normalmente consumati sonocomposti da un minimo di 8-10 ingredienti ad unmassimo di 60 e sono prodotti da processialimentari multipli molto numerosi (anche unaventina).A titolo esemplificativo proponiamo l’analisi dialcuni alimenti comuni che abbiamo sottoposto alcampione di ricerca:

Spaghetti alla carbonara: 11 ingredienti (acqua,farina, sale, uova, parmigiano, carne di maiale,sale, pepe, grasso di maiale, coloranti, additivichimici). Operazioni unitarie di preparazione:molitura, ebollizione, pastorizzazione, cagliatura,frittura, emulsione, stagionatura, salamoia,affumicamento, cottura.Pizza margherita: 1 3 ingredienti (acqua, farina,sale, olio, lievito, pomodori pelati, zucchero, sale,mozzarella, additivi chimici, basilico). Operazioniunitarie di preparazione: molitura, pastorizzazione,scottatura, cottura forno, cagliatura, lievitazione,spremitura.Hamburger fast food: 37 ingredienti (aceto di vinoacqua, amido modificato, aromi, burro, cetrioli,cipolla, concentrato di pomodoro, concentrato diproteine del latte, crema di latte, cumino, farina,farina di semi di carrube, formaggio, gomma diguar, grassi idrogenati, insalata, latte pastorizzato,lievito, maionese, olio, olio di palma, olio di semidi girasole, pomodori proteine del latte, sale,sciroppo di glucosio, senape, siero di latteconcentrato, spezie, succo di limone concentrato,tuorlo di uova fresche pastorizzate, uova freschepastorizzate, zucchero, zucchero caramellato, carnedi maiale, carne di manzo, pancetta, semi dicumino). Operazioni unitarie di preparazione:molitura, ebollizione, pastorizzazione, cagliatura,frittura, emulsione, cottura, stagionatura, salamoia,affumicamento, frollatura, cottura alla piastra,marinatura.

Risultati della ricerca sulla confidenza con i cibi

La confidenza determina la minore o maggiorericonoscibilità di uno specifico sapore legato alleabitudini, alla cultura, alla memoria, allareperibilità di uno specifico cibo. La confidenza èl’esatto contrario della diffidenza dell’ortoressico,della malfidenza dell’anoressico e dellapseudoconfidenza del bulimico.L’esplorazione narrativa di tali categorie dirapporto con il cibo sgretola progressivamente lefalse credenze sulla alimentazione umana perricentrare l’attenzione sulla formazionedell’esperienza del gusto. L’origine della diffidenza

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appare così come esito di un “imbroglioalimentare” che il paziente ha vissuto fin dai primianni della sua vita, se non addirittura dallosvezzamento, e la comprensione degli equivocigenerati dall’ imbroglio alimentare si collegaall’ intera dimensione psicologica del paziente.L’essere malfidenti verso il cibo ed esercitare versogli alimenti un rifiuto generalizzato è tipico disoggetti che hanno subito manipolazioni nelprocesso di mediazione affettiva che il cibo harappresentato. La sensazione di essere stati rifiutati,e la interpretazione delle giustificazioni del rifiutocome manipolazioni, conduce ad un rifiutogeneralizzato di sé, della propria crescita el’emersione di una volontà perversa diannullamento. Per pseudoconfidenza si intende laricerca di un sapore appagante di cui il pazientepensa di avere la certezza del ricordo. Ma talesapore è indefinito e diventa rintracciabile nei cibicomplessi come effetto della liberazione massicciadei neurotrasmettitori cerebrali. La dopaminaliberata satura i centri del piacere. Non è dunque uneffettivo riconoscimento gustativo ma solo unaesaltazione complessiva dei recettori.La pseudoconfidenza genera la pulsione a ripetereattività piacevoli, collegate a ricordi intensi,allettanti ma imprecisi che prendono ilsopravvento. La dopamina, che collega il sistemalimbico (le emozioni) con l’ ippocampo (lamemoria) sale oltre i limiti, rompendo i freniinibitori: la funzionalità dei lobi frontali,responsabili del controllo e della forza di volontà, èridotta in chi soffre di dipendenza.I meccanismi di dipendenza dal cibo evidenzianocome particolari cibi, i cosiddetti junk food,tendono a creare dipendenza in chi li assume.Esperimenti condotti su animali hanno dimostratoche gli animali nutriti ad libitum con cibi grassi emolto elaborati (cheesecake, pancetta e salsicce)perdono l’abilità di riconoscere la sazietà econtinuano a mangiare. L’analisi del cervello diquesti animali mostra come i cibi troppo complessialterino l’equilibrio chimico nei “circuiti diricompensa”, le parti del cervello che gestiscono ladopamina 20. L’alto numero di ingredienti e dei

processi di preparazione aumenta il gusto madiminuisce la riconoscibilità del sapore e satura irecettori.Nella diffidenza viene proiettato sul cibo un alonetossico stressante che alza il livello del cortisolo edinterferisce con i livelli di endorfine e dopaminastimolando i meccanismi di evitamento del cibo aseguito di una sensazione di sazietà e di disgusto.Tale sensazione si estende all’ insieme di percezionicorporee e stimola la necessità di eliminazionedella tossicità attraverso fatiche fisiche esercitate inmodo compulsivo. Il punto di arrivo del processostressogeno è il break down nervoso della ascesianoressica, ovvero della sazietà assoluta. Talesublimazione è incompatibile con la vita.Nella malfidenza ortoressica, infine, i soggetti conregimi alimentari restrittivi, sviluppano unapreoccupazione stressante nei confronti del ciboche però non evolve in sensazione di sazietà. Inessi lo stimolo della fame è tenuto sotto controllodalla ansia di non contaminazione. Il bisogno dipurificazione attiva un conflitto bilanciato tra stressda dopamina naturale per necessità alimentare estress da dopamina di controllo sul precedentestress. Nell’ortoressico si attua un circuito diparadossale intuitive eating, ovvero la ricerca diuna alimentazione adattiva completamentementalizzata.Il sistema di confidenza con il cibo mette in attouna equilibrata formazione del desiderio dipercezione del sapore che non attiva solo il sistemagustativo ma fa entrare fortemente in gioco ancheil sistema visivo. La visione di un alimentocondiziona notevolmente le aspettative di gusto, leproiezioni sul piacere o i processi di rifiuto, tanto èvero che i DCA sono pressoché sconosciuti tra inon vedenti28-33. La prevalenza del sistema visivoinfluenza le altre caratteristiche sensoriali tanto èvero che le persone, quando devono identificare unalimento, reagiscono più al suo colore che al suoaroma. Alcuni esperimenti hanno addiritturadimostrato come molti soggetti non sappianodistinguere l'aroma di cibi che dovrebbero esserericonosciuti immediatamente (carne, pesce,verdura), quando sono costretti ad utilizzare solo

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l'aroma per riconoscerli (cibi ridotti in purea e fattiassaggiare a persone bendate). A questo scopo, pervalidare il concetto di confidenza, è stato costruitoun test visivo con la rappresentazione fotograficadi cibi e sottoposto all’attenzione di due gruppi,con e senza DCA.La raccolta di storie di vita alimentare(precedentemente presentate in sintesi ridotta)mostrava come le persone senza DCA avessero unrapporto più immediato con il cibo ed unapreferenza per i cibi semplici. Le persone con DCAinvece manifestavano una crescente emozionalitàproblematica di fronte alla visione dei cibi infunzione della loro crescente complessità e cioèuna minore confidenza.Il test di comparazione tra i tipi di risposta allavisione di alcuni piatti ha mostrato la differenza dirisposta tra soggetti con DCA e senza DCA. Diseguito alcuni esempi di risposta con a fiancol’alimento presentato e tra parentesi il numerodegli ingredienti.

Soggetti con disturbi alimentari:

1 . Da giovane la spolpavo ora la snobbo permotivi etici e salutari (5) bistecca con insalata2. A volte mi piace a volte no, ha un sapore forteche non sempre mi ci va (5) bistecca con insalata3. Non mi piace mi obbligavano a mangiarlo fin dapiccola (8) pesce al forno4. Non la mangio quasi mai (11 ) pasta allacarbonara5. Non mi piace (11 ) pasta alla carbonara6. Bene o male è sempre carne, poi è banale (1 2)spezzatino con piselli7. Mi piace, d’estate lo mangio, forse non mi piacela foto? (1 2) spezzatino con piselli8. Mi piace ma mi da problemi (1 2) spezzatino conpiselli9. La adoro (1 3) pizza10. Mi piacciono ma so che fanno male (22)melanzane parmigiana11 . Le mangio d’estate, molto volentieri a volte mi“convogliano” (22) melanzane alla parmigiana12. Mi piacciono e le mangio spesso anche se sonopesanti (22) melanzane parmigiana

13. Se fatto bene è buonissima ma la foto èsquallida (22) melanzana parmigiana14. E’ il mio piatto preferito, mi piace sempre e lomangio spesso (37) hamburger del fast foodSoggetti che non presentano disturbi

alimentari:

1 5. Uno dei miei piatti preferiti (5) bistecca coninsalata16. E' proprio gustosa (5) bistecca con insalata17. Mi piacciono e lo mangio spesso (8) pesce alforno18. Fatta bene è buonissima (11 ) pasta allacarbonara19. Mi piace tantissimo (11 ) pasta alla carbonara20. Non lo mangio quasi mai, però mi fa venirel’acquolina (1 2) spezzatino con piselli21 . Mi piace come lo fa mia madre (1 2) spezzatinocon piselli22. Mi piace (1 2) spezzatino con piselli23. Mi piace solo se sono in un ristorante (1 3)pizza24. Non mi piacciono molto (22) melanzaneparmigiana25. Mi piacciono veloci e saporite (22) melanzaneparmigiana26. Mi piacciono, ma non le desidero (22)melanzane parmigiana27. Non le mangio quasi mai perché non le socucinare!!! (22) melanzane parmigiana28. Lo trovo pesante e immangiabile (37)hamburger del fast foodQuesto dato indica una importante novità: ilrapporto con i cibi è problematico nei soggetti conDCA non solo in ragione di disturbi psicologici maanche in funzione della complessità degli alimenti,a conferma di quanto affermato dalle ricerchesull’ intuitive eating 34,35. I soggetti senza DCApresentano affermazione emozionali verso lavisione di cibi non complessi mentre, al cresceredella complessità, danno risposte più dinamiche osimboliche. Al contrario i soggetti con DCAmostrano affermazioni emozionali verso i piatticon maggior complessità (affermazioni simbolico-cognitive: 1 , 2, 3 , 7, 23, 26; dinamico-interattive:

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4, 8, 1 0, 1 6, 1 7, 1 9, 22, 24, 25, 26, 28; emozionali:5, 6, 9, 11 , 1 2, 1 3, 1 4, 1 5, 1 8, 20, 21 ).Narrazione e terapia

Le evidenze rintracciate attraverso le storieindicano che:1 ) Il disturbo alimentare è un sintomo dei problemipsicologici del paziente ma è anche causato dallacaduta di contatto pertinente (confidenza) trasapore, gusto, emozione e senso dellaalimentazione per la sopravvivenza.2) Gli alimenti complessi (alto numero diingredienti e di processi di lavorazione) hannominor riconoscibilità gustativa e probabilmentefacilitano l’ insorgenza di disturbi.3) Le storie alimentari sono un importantestrumento per la rieducazione a riconoscere ilgusto. Le storie possono condurre a riconoscere ilsapore dei cibi semplici ed accrescere laconsapevolezza della complessità degli ingredientie del numero dei processi di trasformazione cherendono taluni cibi (fast food, junk food)“appetitosi” ma che in realtà sottendono lapotenzialità drammatica di indurre dipendenza.4) Tanto più un cibo è complesso, in ragione del

numero degli ingredienti, degli additivi coloranti edei processi di preparazione, tanto più èpotenzialmente pericoloso per il possibilecontribuire alla focalizzazione sul cibo di qualchedisturbo psicologico.Il counseling alimentare ha come obiettivo quellodi rieducare il paziente all'intuitive eating cioè almeccanismo spontaneo e innato di regolazione delcomportamento alimentare che assicural'assunzione dei cibi di cui un individuo ha bisognoper mantenersi in forma.E' stato visto che gli individui che si alimentano inbase a questo principio tendono a mantenere unpeso corporeo adeguato per la loro struttura fisicain quanto sono in maggiore sintonia con lenecessità del loro corpo. Queste persone tendonoinoltre ad essere meno a rischio di abbuffate,consumo ossessivo di certi cibi, diete estreme ocontinua necessità di mangiare qualcosa.La raccolta di storie sulla confidenza con i cibi esul loro riconoscimento gustativo può diventare unutile esercizio terapeutico per ristabilirel’equilibrio alimentare.

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Bibliografia

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Corrispondenza: V. Masini, e-mail: [email protected]

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Medicina Narrativa N.1 2011

Punti di vista, aspetti pragmatici dellanarrazione

G. BertIstituto CHANGE di Counselling Sistemico, Torino

A story is a series of events woven into a plot. Thenarrator may choose to arrange events inchronological order or to move back and onwardon the time axis. The story may begin in the presentmoment or move in the past (flashback), and evenin the future (flash forward). More often, especiallyin daily practice and training, the story can bereported such as a "daisy" as it can start from acentral event and then grow in all directions, likepetals of a flower. For these reasons, the storyoften becomes difficult to understand because ofthe narrator builds a chaotic "narrative frame”.For a literary author the ability to keep the playerwithin its “narrative frame” is obviously a test of

storytelling. In the case of a professional interview,this behavior is instead a serious obstacle to aneffective and useful intervention. The listeningskills of a professional should not allow him toremain trapped in that frame, however trying tostay close to the needs of the patient.The intervention of care based on narrativeconsists is aimed at allow people trapped in itschaotic “narrative frame” to deconstruct thisnarrative world rigid and static, keeping in mindthat caution is needed in facilitating the emergenceof the new elements, while respecting the needsand timing of the patient.

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Narrative medicine: pragmatic aspects and points of view

La cosa più terribile in questo mondo è cheognuno ha le sue ragioni.(Jean Renoir: La regola del gioco)Tutte le narrazioni, sia quelle di elevato valoreletterario che quelle riferite verbalmente in corsodi colloqui professionali, spesso in manieraconfusa e disordinata, hanno caratteristichecomuni.Per cominciare, esse prevedono un narratore. Nelcaso di un’opera letteraria, il narratore può o nocoincidere con l’autore. Se vogliamo rifarciall’ambito della letteratura italiana, a un estremosta il modello dei Promessi Sposi, in cui Manzonisi finge semplice editor di una storia del XVII

secolo narrata da un autore ignoto; all’altro staDante che della sua opera è esplicitamente autore,narratore e personaggio -sia pur protagonista- traaltri molteplici personaggi.Nel caso che la storia venga raccontatadirettamente dal narratore, come nel caso di uncolloquio professionale ma anche di una normaleconversazione, è frequente che colui che narra siaanche l’autore e uno dei personaggi della storia.Dico “è frequente” perché eccezioni sonopossibili: può succedere infatti che il narratoreattribuisca a se stesso eventi capitati ad altri o,inversamente, attribuisca a un parente o a unamico problemi che sono invece suoi personali.

Summary

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Nel primo caso autore e narratore non coincidono;nel secondo narratore e autore coincidono, ma ilsecondo si cela dietro a un personaggio fittizio.In ogni caso, chi narra racconta una storia, cioè unaserie di eventi intrecciati in una trama.Il narratore può scegliere di disporre gli eventi inordine cronologico oppure di muoversi avanti eindietro sull’asse temporale. La storia può iniziarenel momento presente per poi spostarsi nel passato(flashback) e perfino nel futuro (flashforward),qualora si parli ad esempio di progetti, di timori odi speranze. In alcuni casi la disposizione delracconto può essere “a margherita”, nel senso che apartire da un evento centrale si sviluppano in tuttele direzioni, come petali di un fiore, link e ipertestiche si situano in momenti diversi della storia e incerti casi diventano a loro volta centri di nuove“margherite”.Nella pratica quotidiana, e in particolare in quellaprofessionale, l’esposizione “a margherita” è quasila norma e, se l’evento centrale è percepito comeparticolarmente drammatico, la moltiplicazione adismisura dei petali produce quella che è statadefinita narrazione caotica.

Sia la narrazione letteraria che quella direttapropria di un colloquio presentano un altro aspettocomune: l’autore/narratore tende a trascinare illettore o l’ascoltatore all’ interno di una cornice bendelimitata, che è la sua. In quella cornice narrativagli eventi e i personaggi agiscono in modo tale dapermettere un’unica interpretazione: i buoni e icattivi, gli amici, gli infidi, i nemici dichiarati sonoben evidenti così come gli effetti della sfortuna odel caso. Lo svolgimento tende ad avere un aspettopredefinito nel senso che le cose, dati queipresupposti, non possono che andare come di fattovanno e prefigurano ciò che avverrà in futuro. Èquella che si definisce una “storia dominante”.In letteratura è possibile che l’autore costruiscadeliberatamente false cornici: è ciò che avviene adesempio nei romanzi polizieschi classici, in cui lacornice iniziale viene ad un certo punto ribaltata inquanto compaiono nuovi elementi oppure elementigià noti acquistano un nuovo significato: ne risulta

una storia completamente diversa da quella inprecedenza proposta. Anche in questo caso tuttaviaesiste una cornice più generale, che solo l’autoreconosce fin dall’ inizio, all’ interno della quale illettore è condotto e guidato, sia pure a sua insaputaalmeno fino alla conclusione. Spesso gli elementiper individuarle la vera cornice esistevano già , mal’autore li aveva deliberatamente confusi omantenuti sullo sfondo.Resta il fatto che il lettore o l’ascoltatore vienefacilmente trascinato dal narratore all’ interno dellasua storia dominante, ed è a partire da questa chefa ipotesi e congetture o propone suggerimenti oconsigli.Per un autore letterario la capacità di mantenere illettore all’ interno della sua cornice è ovviamenteuna prova di abilità narrativa. I narratori più braviriescono a celare in parte la cornice, lasciandolarghi spazi all’ immaginazione del lettore, così dacoinvolgerlo direttamente nella storia al punto difarlo sentire quasi un co-autore.Se questa abilità narrativa è un pregio per l’autoreletterario, nel caso di un colloquio professionaleessa è invece un serio ostacolo a un interventoefficace e utile: è abituale infatti che nel portarciun suo problema la persona lo esponga in manieratale da trascinarci all’ interno della sua cornicenarrativa. La capacità di ascolto di unprofessionista deve permettergli di non restareintrappolato in quella cornice, ma anche di nontenersene rigorosamente e costantementeall’esterno: in questo caso infatti la distanza tra luie l’altro diventerebbe eccessiva e la comunicazionerisulterebbe compromessa. Una autentica capacitàdi ascolto deve permettere di entrare e di uscire daquello spazio narrativo quando lo decidiamo noi: èquesta abilità che ci mette in grado di aiutare lapersona invischiata nella sua narrazionedominante.Se restiamo all’ interno di quella storia nediventiamo in qualche modo un personaggio, eimplicitamente la confermiamo come unicanarrazione possibile, annullando ogni capacità daparte dell’altro di individuare discontinuità efratture nella cornice che permettano di

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comunicare col mondo esterno e quindi diimmaginare altre narrazioni.È necessario quindi che il professionista si esercitia non accettare integralmente le narrazioni che glivengono proposte come se fossero la sola veritàpossibile; egli deve al contrario sviluppare l’abilitàdi entrare e uscire dalle cornici narrative proposte,costruendosi mentalmente altri punti di vista, altredescrizioni. Se non è in grado di farlo lui,difficilmente potrà essere d’aiuto all’altro, chedalla sua storia dominante non è capace di uscire.La domanda chiave per ogni professionista dellacura con competenze narrative è: “Cosa altro puòesserci? A cosa non ho pensato?”

Nella pratica formativa si rivelano molto utili lenarrazioni letterarie.Gli intrecci letterari costituiscono infatti unmodello narrativo comprensibile a tutti, così dacostituire quasi un metacodice comunicativo: ineffetti le storie che ci raccontiamo tendono astrutturarsi secondo modelli abbastanza precisi.Nel 2004 Christopher Booker pubblicò un testo divaste dimensioni (oltre 700 pagine) intitolato Isette intrecci base (The seven basic plots).L’ ipotesi dell’Autore è che tutte le storie narrate,siano esse orali, scritte, recitate o altro, possonoessere ricondotte a sette intrecci o trame principali.Tali intrecci sono così sintetizzati:

­ Sconfiggere il mostro: il mostro, il male puòaggirarsi per il mondo come un predatore oppurestare a guardia di un tesoro, salvo a trasformarsi invendicatore se qualcuno lo sfida e tenta disottrargli ciò che custodisce. Esempi tipici: ilMinotauro, Fafner, Dracula, il dottor No e più ingenerale il “cattivo” dei western, dei thriller, deifilm e romanzi di fantascienza.- Da povero a ricco: esempi tipici Cenerentola o lalampada di Aladino; in ambito cinematograficoMy fair Lady o La febbre dell’oro.- La ricerca: dall’Odissea alla Divina Commedia;dal Signore degli anelli all’ Isola del tesoro alleMiniere di re Salomone… Il viaggio si svolge disolito in territori ostili tra minacce e tentazioni di

ogni genere.­ Viaggio e ritorno: Alice nel paese dellemeraviglie ma anche Orfeo all’ inferno, il mago diOz, Robinson Crusoe… Viaggio in un mondoanormale.­ Commedia: Aristofane, le Nozze di Figaro,Orgoglio e pregiudizio…”L’essenza dellacommedia è portare dall’ombra alla luce veritànascoste”.­ Tragedia: Icaro, Faust, Macbeth, Il dottor Jekylle Mr Hyde, Anna Karenina, Lolita… Unaossessione incoercibile trascina l’eroe a sfidare e aviolare leggi, divieti, convenzioni sociali ed etiche,doveri. L’eroe tragico avverte il mondo in cui ècostretto a vivere come intollerabile, odioso,inadeguato e lo rifiuta in modo radicale.­ Rinascita: liberazione da un incantesimo: l’eroecade prigioniero di un oscuro potere e vienemantenuto in uno stato definito di “morte vivente”:uno stato che sembra definitivo. Le parole chiavedell’oscuro potere sono gelo, rigidità, immobilità,costrizione, sonno, malattia, degrado, isolamento,tormento, disperazione, assenza di amore… Allafine però un evento inatteso improvviso produceuna miracolosa redenzione: sono esempi tipicifavole come la Bella addormentata o la la Reginadelle nevi, ma anche romanzi come Delitto ecastigo o testi teatrali come Peer Gynt.

Il nostro senso della “normalità” –osserva Booker-“è governato da ciò che ci è familiare. Diamosenso al mondo attraverso un’ampia rete diassunzioni inconsce su ciò che è normale, basatesu quello a cui siamo abituati – socialmente,culturalmente, moralmente, geograficamente,fisicamente; in termini di proporzioni, di spazio, ditempo. Queste cose giocano un ruolo centrale neldarci senso di identità nel mondo dicendoci chisiamo”.L’evento, il punto di svolta che dà origine allanarrazione ci proietta in un nuovo mondo ignotoda cui tentiamo in ogni modo di uscire per tornareappunto alla normalità; retrocedere non è tuttaviapossibile: il “come prima” si rivela un sogno.Occorre inventare una nuova normalità

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Tra le diverse forme narrative, le fiabecostituiscono in ogni cultura un patrimoniolargamente diffuso e condiviso. Le più note di essefanno infatti parte di quelle che sono state definitemaster narratives: termine che potremmo tradurrecon “narrazioni paradigmatiche, esemplari”. Nellefiabe in genere la cornice narrativa è molto precisa,nel senso che buoni e cattivi, bene e male sono bendefiniti e separati. La storia è costruita in modo taleda indurci all’alleanza con alcuni dei personaggicontro altri: il narratore ci trascina cioè all’ internodella cornice narrativa da lui predisposta.Lo sforzo di narrare la medesima storia dal punto divista dei diversi personaggi - inclusi quellinegativi- è faticoso e controintuitivo, e questo èappunto l’esercizio che consigliamo.Prendiamo come esempio una fiaba ben nota a tutti:Cenerentola.Di questa favola, che ha origini molto antiche,esistono numerose e diverse versioni: quella piùdiffusa nella nostra cultura è la secentesca versionedi Perrault.L’epoca in cui la storia si svolge è un passatoindefinito e immaginario, presumibilmentemedioevale. I personaggi sono ben noti:Cenerentola, la matrigna, le sorellastre, la fatamadrina, il principe. Esiste anche un padre, ma èquasi inesistente.Cosa ci racconta la fiaba? Sappiamo che aCenerentola vengono affidati i lavori domestici:sappiamo per contro che è lei a scegliere di passareil tempo libero seduta tra la cenere (Quando avevafinito le faccende, la poverina andava a rintanarsi inun cantuccio del camino, accoccolata tra la cenere,cosa che le aveva guadagnato il soprannome diCulincenere, anche se la minore delle duesorellastre, che era un po’ meno sguaiata dellamaggiore, la chiamava Cenerentola). Sappiamo cheCenerentola accetta tutto senza ribellarsi, temendoche in caso contrario il padre la possa rimproverare;non solo, fa anche di più: si offre di pettinare lesorellastre per la festa (Un’altra avrebbe fattoapposta a spettinarle, ma lei era buona e agghindò

le sorellastre alla perfezione).Chiaro: il narratore è tutto dalla parte diCenerentola.Domanda: come potrebbero descrivere questasituazione familiare le sorellastre e la matrigna? Èprobabile che affermino con orgoglio: “Noi siamomalvagie, e per questo godiamo enormemente atormentare Cenerentola”? Difficile: perfino il lupodella nota favola cerca sia pur maldestramente dellemotivazioni che in qualche modo giustifichino ilfatto che intende divorare l’agnello.L’esercizio che proponiamo consistenell’ immedesimarsi in uno dei personaggi dellafavole, facendogli scrivere una lettera a un parenteo a un’amica oppure delle annotazioni su un diario.Se ci si prova a immaginare il suo punto di vista, apartire dalla medesima situazione viene fuori unmondo del tutto diverso. Gli esempi che seguonosono tratti dai lavori di partecipanti al modulo dinarrativa che l’Istituto CHANGE propone aprofessionisti della cura.Le figlie immaginate, ad esempio, non perdonanoalla madre di essersi risposata appena rimastavedova (Ha sostituito nostro padre nel letto ancoracaldo); loro il padre lo amavano mentreconsiderano il patrigno un ometto insignificante,privo di spina dorsale e pure taccagno: al punto dapermettere che la sua propria figlia faccia i lavoripiù umili pur di non pagare persone di servizio.Quanto all’opinione che le ragazze si fanno dellasorellastra, essa è decisamente negativa: sorniona einfingarda, ostenta le sue abilità domestiche permettere in evidenza che le sorellastre non sanno farniente; si veste male e gira per casa trasandata, masolo per far scena. In realtà tutto il suoatteggiamento ha l’obiettivo di far sentire lamatrigna e le sue figlie semplici ospiti in una casache non è la loro, ed è così infatti che esse sisentono: estranee mal tollerate.Le sorellastre descrivono la loro situazioneesistenziale come uno stato di malessere costante, eciò le incita a sfogarsi su Cenerentola, checonsiderano in qualche modo causa del loro disagio(Da quando ci siamo trasferite in questa casa cosìcupa, ormai l’unico divertimento rimasto è

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strapazzare Cenerentola, Sì, è vero, ogni tantoesageriamo, ma non siamo noi che abbiamo decisodi sposare un uomo insignificante con una figliache lo è altrettanto. Noi abbiamo bisogno diqualcuno che ci capisca). Contemporaneamente diCenerentola invidiano la bellezza, l’autonomia e lacapacità di organizzarsi, peccato che sia insipida,stupidina, incolta… Non ha classe, insomma.Quanto alla madre, esse pensano che tratti maleCenerentola sia perché era già isterica prima e oraè ancora peggio, sia per farsi in quel suo mododistorto perdonare dalle figlie per l’ infelice sceltamatrimoniale.Nelle sue lettere immaginarie alle amiche, anche lamatrigna si lamenta di avere fatto una sceltasbagliata, ma siamo franchi: chi se la prendeva unavedova non giovanissima con due figlie grandi epure petulanti? E con che soldi avrebbe tiratoavanti, visto che il grosso dell’eredità se lo eranoaggiudicati i parenti maschi del defunto marito?Certo, si rende conto anche lei che il nuovo maritoè una nullità (uno smidollato), e di soldi per di piùne ha pochi: non si può neanche permettere unadecente servitù; tanto ci pensa sua figlia a faresenza discutere tutti i lavori di casa… ma quanto èantipatica, sua figlia! (La cosa che meno sopportoin questa nuova vita è sua figlia… con quel visoslavato, quegli occhi di ghiaccio… ci ho provato, tiassicuro che ci ho provato, ma non riesco proprio afarmela andar giù.Avevo proposto a suo padre di mandarla in qualcheconvento, così… per il suo bene, ma lei ha iniziatoa strillare e lui non ha voluto. Non hanno certocapito che lo dicevo per lei, d’altronde con le miefiglie non lega, loro cercano in ogni modo dicoinvolgerla nelle loro cose, ma lei niente, muta eostile nei loro e nei miei confronti senza maiinteragire con nessuno)Oddìo, lavora, questo è vero, ma lo fa anche caderedall’alto; gira per casa deliberatamente trasandata emalvestita o si rincantuccia nel camino tra lacenere, giusto per segnalare al mondo interoquanto è sfruttata e maltrattata. Tuttavia è cosìinfingarda da non lamentarsi mai… Insomma ognisuo sforzo è teso a ricordare da una parte che la

padrona di casa è lei (controlla ogni cosa, ha lechiavi della dispensa); dall’altra a instillare in lei enelle figlie un costante senso di colpa. Il risultato èche viene ancora più voglia di trattarla male.

Nel caso di questa fiaba, come nella maggior partedelle storie, non tutti i personaggi parlano con unavoce propria, nel senso che una voce è dominante:a questo proposito merita soffermarsi su alcuniconcetti espressi dal filosofo del linguaggioMichail Bachtin.Secondo Bachtin la formazione della coscienzaumana è strettamente legata alla coesistenza eall’ interazione, cioè alla relazione continua conaltre coscienze. In altri termini, la coscienza siesprime sempre attraverso il dialogo: è quella cheBachtin definisce voce.A causa della interazione continua tra le coscienze,ogni voce è penetrata dalle voci degli altri e a suavolta le penetra. L’espressione di ogni coscienza è,secondo la definizione di Bachtin, polifonica,essendo in ogni momento una somma di vocidifferenti interagenti e sovrapposte.Poiché le interazioni sono variabili e continue,l’espressione della coscienza è aperta, dinamica elegata al contesto: cosa che del resto sappiamobene, visto che nella medesima giornata noi stessiparliamo in modo differente al capoufficio, alprofessore, al o alla partner, agli amici del bar…,perfino quando raccontiamo la stessa cosa.Se vogliamo sottolineare la somiglianza tra ilpensiero di Bachtin e quello sistemico, osserviamoche, secondo il filosofo, la coscienza non èracchiusa nel soggetto né ha sede in qualchespecifica parte del corpo, sia essa la ghiandolapineale, la corteccia cerebrale o il cuore… Essa èuna somma variabile di interazioni tra il soggetto eil mondo esterno, tra il soggetto e gli altri: perriprendere le parole di Bachtin, coesistenza einterazione.Nell’opera di Dostoevskij questa polifonia di vociraggiunge la sua massima espressione, al puntoche la categoria principale non è più il tempo, lastoria nel suo divenire, ma lo spazio, lacontemporaneità: in ogni coscienza, cioè in ogni

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personaggio le voci degli altri coesistono tra loro econ quella del narratore, in questo caso l’autore, eciò dà ad ogni personaggio dostoevskiano unacompletezza, un’autonomia che non si riscontrapresso altri scrittori precedenti eccettuato Dante. Inessi infatti i personaggi parlano generalmente conla voce dell’autore ed è il tempo, il divenire, acostituire la trama della storia.Autori come Tolstoj o Manzoni sono inveceesempi di non polifonia o, per dirla con Bachtin, dimonologia: nelle loro opere sono importanti i temi,i contenuti, ma la coscienza di sé non è unadominante strutturale dei personaggi: essi nonparlano che con la voce dell’autore, e diconseguenza il problema della combinazione dimolte voci, della polifonia, non si pone nemmeno.Il mondo di questi e di molti altri autori, almenofino al Novecento è, secondo la definizione diBachtin, un mondo monologico, intendendo conquesto termine l’opposto della polifonia: la paroladel personaggio è imprigionata nella rigida cornicedelle parole dell’autore e la coscienza di sé delpersonaggio stesso non è che un momento delritratto immutabile del narratore, che anzi lapredetermina e ne costituisce il presupposto.

Un utile esercizio per chi voglia o debba fare dellacomunicazione un uso professionale è quello ditrasformare storie monologiche in storiepolifoniche, cercando con l’ immaginazione di fareemergere il punto di vista, la voce, dei diversipersonaggi indipendentemente dal fatto che essisiano sgradevoli, detestabili o, almeno inapparenza, decisamente negativi: perché, percitare un personaggio del film di Renoir, La regoladel gioco, "La cosa più terribile in questo mondo èche ognuno ha le sue ragioni” .E sono proprio quelle ragioni che ci interessaconoscereIn un colloquio professionale infatti abbiamo ingenere davanti un narratore rigorosamentemonologico, che ci racconta con poche variantiun’unica storia, la sua, nella quale i personaggisono chiaramente definiti nei loro comportamenti e

nei loro ruoli: cattivi e buoni, amici e nemici,affidabili e traditori… tutti quanti sono, per citareBachtin, imprigionati nella rigida cornice delleparole del narratore.L’ intervento narrativo consisterà allora nell’aiutarel’altro a fare emergere le voci dei diversipersonaggi così che essi non coincidano piùcompletamente con la voce del narratore macomincino a delinearsi come persone complete,ognuna delle quali “ha le sue ragioni”.L’obiettivo non è ovviamente quello “buonista” direndere quelle ragioni pienamente accettabili econdivisibili se tali non sono, ma quello imparare avedere che i comportamenti degli altri hanno unsenso e possono quindi venire affrontati su di unpiano dialogico, negoziale e non obbligatoriamenteconflittuale.Per utilizzare al meglio questo intervento occorreche il professionista si eserciti costantemente alladescrizione polifonica delle interazioni, e perraggiungere questo scopo si rivela molto utilel’ impiego di opere letterarie o di film.I personaggi dei romanzi sono in genere –almenofino al Novecento- ben definiti e stabili; quindiinfinitamente meno complessi delle persone reali.Renderli con la nostra immaginazione un tantinopiù complessi non aggiunge sicuramente nulla alvalore letterario della storia: se mai anzi lo riduce;ma allena la mente a cogliere la complessitàpropria delle persone vere e proprie e ci abitua adascoltare le diverse voci.Immaginare le ragioni degli altri non significa néaccettarle né approvarle; si tratta di una manovrache permette al professionista di costruire uncontesto comunicativo da cui esulino i giudizi divalore o le valutazioni morali: elementi che nonsono propri del suo mandato professionale ecostituiscono un serio ostacolo alla relazione dicura.Ciò non implica, è ovvio, che il professionistarinneghi le proprie convinzioni etiche; esse nondevono tuttavia ostacolare lo sforzo-indiscutibilmente controintuitivo- di rendersiconto che il comportamento dell’altro, per

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irrazionale o distruttivo che possa apparire, hasenso per lui. L’ intervento di cura richiede digettare un ponte tra il mondo del professionista equello dell’altro, e ciò non è possibile in assenza diaccoglienza e, direi, di rispetto per le sue ragioni.La narrazione di una persona in difficoltà tende adessere come si è detto monologica. Il narratore sirinchiude in una cornice ristretta entro la quale èpossibile raccontare una sola ed unica storia, cheviene ripetuta con varianti minime più e più voltefino produrre la convinzione che non ne esistanoaltre.A questo punto il disagio diventa intollerabile inquanto non si riesce più a concepire che possanoesistere strade alternative: subentrano frustrazione,senso di impotenza e disperazione.L’ intervento di cura basato sulla narrazioneconsiste nel rendere possibile alla personaintrappolata nella sua cornice narrativa latrasformazione della sua storia da monologica inpolifonica, facendo così emergere altre narrazionipossibili. Per raggiungere questo obiettivo esistonosostanzialmente due vie (non alternative).La prima consiste nell’aiutare il narratore adisporre gli elementi della storia in mododifferente. A prima vista può sembrare che questamanovra non provochi tutto sommatomodificazioni sostanziali, ma non è così. Spesso lasemplice collocazione delle parole o delle frasisuggerisce conclusioni che possono essere ancheopposte. Un esempio ben noto è costituito dallaseguente coppia di proposizioni:

Il governo si dimise e la borsa caddeLa borsa cadde e il governo si dimisePer quanto la “e” sia una semplice congiunzione, lanostra mente tende ad attribuire la seconda partedella frase alla prima costruendo arbitrariamenteun nesso causale. In altre parole, il governo ècaduto in seguito al tracollo finanziario o invece èavvenuto l’ inverso?La consapevolezza di questo meccanismo mentaleci permette di superare la prima e spontanea

impressione per produrre una riflessione piùapprofondita sui rapporti tra crisi politica edeconomica, cioè in ultima analisi un arricchimentoe una ampliamento della narrazione originaria euna uscita sia pure parziale dalla cornice ristretta.Ciò viene sottolineato con molta pertinenza daPascal in uno dei suoi Pensieri:Non si dica che non ho detto niente di nuovo: ladisposizione degli argomenti è nuova; quando sigioca alla pallacorda c’è una stessa palla perambedue i giocatori, ma uno la tira meglio.Sarebbe la stessa cosa se mi si dicesse che mi sonoservito di parole antiche. Come se gli stessipensieri non potessero dare un altro tipo didiscorso se disposti in modo diverso, allo stessomodo in cui le medesime parole formano altripensieri se disposte in modo diverso!Le parole accostate in modo diverso danno unsignificato diverso, e i significati accostati in mododiverso producono effetti differenti.Un altro modo di facilitare la narrazione di storiedifferenti è quello di fare emergere nel corso delcolloquio, mediante opportune domande, elementiche la narrazione iniziale ignorava o trascurava.Ogni narratore infatti, nel costruire la storia chevuol raccontare, seleziona i fatti in funzionedell’obiettivo. Ne segue che alcuni elementiverranno scartati perché apparentemente di scarsorilievo, altri perché sembrano fuorvianti, altriancora perché al momento non sono dicibili osemplicemente sono stati dimenticati.La narrazione che emerge da questo lavoro diediting più o meno consapevole può apparirelogica e coerente, nel senso che le cose si tengono:il narratore se la è raccontata così tante volte daconferirle un significato chiaro e definito. È ilracconto che abbiamo chiamato monologico, in cuii personaggi hanno ruoli e funzioni precise: ci sonoi cattivi, i buoni, i carnefici, le vittime, i traditori, ipavidi, i coraggiosi…Il professionista con competenze narrative deveaiutare l’altro a decostruire questo mondo narrativorigido e statico, pur tenendo presente che è

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necessaria una estrema cautela nel facilitarel’emersione degli gli elementi “sommersi”:occorre infatti rispettare il diritto dell’altro a nondire ciò che non vuole o non si sente di dire.Gli elementi scartati o trascurati risultano non dirado così rilevanti da permettere nuove e diversenarrazioni. L’uso della scrittura può facilitarel’emergere di quegli elementi: i tempi forzatamentepiù lenti della scrittura impongono momenti diriflessione e producono con frequenza collegamentiinattesi.Per acquisire competenze narrative, ilprofessionista deve esercitarsi a trasformare eglistesso le narrazioni monologiche in narrazionipolifoniche. La tecnica è quella che abbiamo vistoin atto nella fiaba di Cenerentola.Prendiamo ad esempio un modello tipico diromanzo monologico: I Promessi Sposi. Qui ruoli ecaratteri sono distribuiti in modo esplicito: DonRodrigo è cattivo, Renzo e Lucia sono buoni, padreCristoforo è buono ma un po’ temerario, DonAbbondio è pavido, ecc… Ma proviamo aimmaginare come potrebbe raccontare la storia DonRodrigo, scrivendo ad un suo amico milanese:

Caro Antonio, l’estate in questo buco di campagnaci si annoia a morte, e d’altra parte bisogna purvenire ogni tanto a sorvegliare i bifolchi, se noquelli ti rubano tutto e piangono anche miseria…E poi, diciamo la verità, qui non spendo unaberlinga, così metto un po’ di soldi da parte per inostri esaltanti inverni milanesi…Però, pensandoci, tutto sommato qualchedistrazione c’è: la filanda ad esempio è piena dibelle ragazze piuttosto sfacciate, che quando leincontro ridacchiano guardandomi di sottecchi inmodo allusivo. L’altro giorno ad esempio, mentrepassavo con Attilio, sai quel pirla di mio cugino,una di quelle –veramente bellina, devo dire… certo,con l’espressione bovina di queste contadine, mainsomma niente male, è rimasta deliberatamenteindietro fingendo di cercare qualcosa in modo daincontrarmi mentre era lontana dalle compagne. Iole ho fatto un paio di complimenti banali e lei haabbassato gli occhi, ma per finta, bene attenta a

non perdermi di vista, e poi ha fatto l’atto dimettersi a correre per raggiungere le altre, ma ciha messo un bel po’, e visto da dietro il suo mododi camminare in fretta era a dir poco espressivo…Le sue intenzioni erano talmente palesi che non hoesitato a scommettere con Attilio che me la sareiportata a letto in pochi giorni. Lui aveva dei dubbi,ma è un vero cittadino,lui, e di queste puttanelle dicampagna non capisce niente: anche se sonosempre in chiesa darebbero l’anima per una nottedi amore con me, che bene o male qui sono ilpadrone…Ho detto al Cerutti di prendere qualcheinformazione…sai, il figlio del vecchio Ceruttibuonanima, che è il capo dei miei Bravi e nonbisogna chiamarlo Cerutti ma Griso, credo per viadei capelli già un po’ brizzolati ma lui ci tiene unsacco a quel soprannome… Be’, lui mi ha detto chequella là sta per sposarsi… ah, ah non sarebbebello ripristinare la moda di quello che il nostroavvocato, quel cretino che tutti chiamanoAzzeccagarbugli, chiama qualcosa come jus primanuctis?La versione di Lucia, l’unica che abbiamo, è comesapete un po’ diversa, anche se in fondo racconta imedesimi fatti… sì, è vero, era rimasta indietrodalle compagne… sì, è vero, Don Rodrigo le avevadetto delle cose “non punto belle”, ma lei non gliaveva mica dato retta, ci mancherebbe… E poi luiera di nuovo lì il giorno dopo ma lei aveva tenutogli occhi bassi nascondendosi tra le compagne… Esì, non aveva detto niente né a sua madre né aRenzo, sai com’è, che non si parlasse in giro…E in effetti qualche dubbio anche quel bravoragazzo di Renzo lo aveva avuto:Un’ombra tormentosa gli era passata per la mente.Poteva colui aver concepita quella infame passionesenza che lei se ne avvedesse? Avrebbe spinto lecose tanto in là prima di averla tentata in qualchemodo? E Lucia non ne aveva mai detto una parola alui!

Insomma, la stessa storia può essere letta in modidiversi, che ne cambiano il clima.

G. Bert

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La classica lettura ginnasiale di un tempo narra diun malvagio che gode a perseguitare gli innocenti;interviene la Provvidenza e tutto si sistema.Ma ci si può vedere –perché no?- una trasposizionecattolico-lombarda del Don Giovanni di Mozart eDa Ponte, opera buffa con risvolti noir: con Renzonelle vesti di Masetto, Lucia in quelle di Zerlina eil Griso come Leporello… Chissà se Manzoni loconosceva, il Don Giovanni?O possiamo leggere, molto più banalmente, lastoria di un annoiato signorotto di paese in vena distalking, come un qualsiasi capufficio o capettopolitico…Storie diverse, voci diverse.Ciò che conta è il punto di vista dell’Autore. Se ilromanzo fosse polifonico si sentirebbero le voci ditutti i personaggi incluso Don Rodrigo, e non cisarebbe un’unica verità; al contrario, la narrazionemonologica preferita da Manzoni ha una cornicepiù definita. In un’opera letteraria la scelta stilisticaè dell’Autore, e sul piano estetico quello che contaè la riuscita.Se la narrazione viene usata come strumentoprofessionale invece, la differenza c’è: lanarrazione monologica è ripetitiva e impenetrabilee non prevede cambiamenti; l’obiettivo delprofessionista è quello di renderla polifonica, che èpoi il solo modo di fare emergere altre e diversenarrazioni.

A che serve esercitarsi con la storie letterarie? Adabituarci a considerare gli altri come persone e noncome personaggi di una loro o di una nostranarrazione. Non è che con la sua pseudolettera DonRodrigo diventi simpatico, resta quello che è: unbulletto di provincia sessista e arrogante con cuiprobabilmente non andremmo a cena, e tuttavia inquesto gioco acquista una voce che non è né quelladi Manzoni né la nostra e potrebbe essere la sua.Uscire dalle cornici dovrebbe essere per ilprofessionista della narrazione un eserciziocostante: un gioco che può essere anche divertente.Immaginiamo ad esempio la signora Proust chescrive ad un’amica:

… E prima di concludere, mia cara, vorrei ancoraparlarti di una cosa che mi preoccupa. Si tratta diMarcel. Non so veramente cosa fare con questoragazzo. Per cominciare ha trent’anni e ancoranon si capisce cosa voglia fare della sua vita. Diceche scrive, ma si limita a pubblicare qualcosettache non legge nessuno, per il resto sembra nonavere obiettivi chiari. Alla sua età dovrebbe esseresposato o almeno fidanzato… insomma, devepensare a mettere su una famiglia sua, noi nondureremo mica per sempre, e neppure la bravaCéleste, e lui da solo come farà a cavarsela? Nonsa far niente!. Tutte le mie amiche che hanno figliein età da marito lo vedono come il genero ideale:elegante, raffinato, senza problemi economici…Con le donne ci sa fare, non c’è dubbio, ma lui sicomporta allo stesso modo con tutte: gentile,galante e assolutamente distaccato. In compensostravede per la signora *** , sai quella chechiamiamo per scherzo “la duchessa” anche se ènobile quanto me, per via del suo atteggiamentoaltezzoso. Bella donna, certo, ma ha più o meno lanostra età e comunque è sposata.È davvero strano, Marcel: l’altro giorno peresempio stavamo prendendo il tè, come quasi ognipomeriggio, quando si è bloccato di colpo con unbiscotto in mano e un’espressione imbambolata.Gli ho chiesto se si sentiva bene, ha fatto segno disì ed è corso in camera sua senza neanche finire ilsuo tè. Eppure non mi pare che avesse una dellesue solite crisi di asma, delle quali oltre a tuttoama dar la colpa a me, non so se ironicamente osul serio, per qualcosa che secondo lui gli avreifatto quando era piccolo…Per il professionista della narrazione comeintervento di cura è di grande utilità essere in gradodi uscire dalle cornici rigidamente prefissatedall’autore della storia: se lui per primo non è ingrado di narrare varie e diverse storie a partiredagli stessi elementi, difficilmente sarà capace direndere possibile all’altro questo esercizio.Un celebre personaggio della letteratura, SherlockHolmes, utilizza continuamente nella sua attivitàprofessionale questa abilità di fare emergere

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elementi trascurati perché in apparenzainsignificanti, che permettono tuttavia di narrare lamedesima storia da altri punti di vista.È la capacità di riesaminare e di ridisporre i fattiche permette a Holmes di porre le domande atte averificarli: domande che lasciano esterrefattiWatson e gli inquirenti perché sembranostravaganti e prive di senso.

“Vedo che avete delle pecore: chi le cura?”“Io, signore”“Non hai notato niente di strano recentemente?”“Tre bestie mi si sono azzoppate”Mi accorsi che a questa notizia Holmes fuestremamente compiaciuto. “Fantastico, Watson,fantastico!”“Lei lo ritiene un particolare interessante?” chiesel’ispettore Gregory“Estremamente”C’è qualche altro punto su cui ritiene di attirare lamia attenzione?”“Si, sullo strano incidente del cane, quella notte”“Ma quella notte il cane non ha fatto nulla”.“Questo appunto è l’incidente curioso”, replicòSherlock Holmes.Il mancato abbaiare del cane, oltre a ricordarci chele cose che NON avvengono possono esserealtrettanto e più importanti di quelle cheavvengono, pone in evidenza il meccanismomentale che mette in discussione le apparenze. Ineffetti, i fatti ad una prima analisi suggerivano cheil colpevole fosse una ben definita persona:un’ipotesi valida, che tuttavia si scontrava colcomportamento del cane, fatto anche questoinnegabile anche se apparentemente irrilevante.Proprio da questo particolare, che porta in primopiano un elemento di sfondo, Holmes costruisceuna nuova ipotesi in grado di spiegare meglio lecose: ipotesi che giustifica la domandaapparentemente strana sulle pecore e suggerisceuna spiegazione del tutto inattesa: la presuntavittima è in realtà il colpevole.Suggerisco la lettura di questo come di altriracconti di Conan Doyle per vedere come sia

possibile e utile saper vedere –per citare GregoryBateson –anziché le cinque dita di una mano iquattro spazi che le separano. Certo, Bateson unpo’ borderline lo era anche lui… Il buon sensoterra terra di Watson è assolutamente necessario, sesi vuole essere quando occorre uno SherlockHolmes senza doversi fare come lui di coca neltempo libero.È lo stesso Holmes tuttavia a suggerire il modo dinon farsi intrappolare nelle cornici narrative conun’altra delle sue celebri frasi:

“Quante volte le ho detto che dopo avere eliminatol’impossibile, ciò che rimane, per quantoimprobabile, deve essere la verità?”Tralasciamo il concetto poliziesco di “verità” perconcentrarci sui termini ”impossibile” e“improbabile”. La persona che si rivolge a unprofessionista della cura lo fa nella speranza diottenere un aiuto in una situazione difficile oproblematica che non si sente in grado di risolvereda solo. La storia che racconta è in genere quella diun problema la cui soluzione è impossibile: perchése una soluzione ci fosse l’avrebbe trovata da solo,no?Rieccoci alla la cornice rigida: sulla base dei fattisembra che si possa raccontare una sola ed unicastoria, altre narrazioni sono impossibili.La sfida è quella proposta da Holmes: passaredall’ impossibile all’ improbabile: due concetti chesembrano vicini ma sono in realtà lontanissimi: trail 99% e il 1 00% c’è un mondo, anzi molti mondi.Una volta superato il concetto di impossibilità,altre storie –per quanto improbabili- possonoessere narrate: i fatti non parlano mai in un unicomodo, e un fatto trascurabile, ad esempio un caneche non abbaia, può balzare in primo piano ecambiare tutta la narrazione.

Corrispondenza: G. Bert,e-mail: [email protected]

G. Bert

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Medicina Narrativa N.1 2011

Approccio narrativo e relazione di cura inpediatria

M. Gangemi*, F. Zanetto ***Pediatri di famiglia Verona,Associazione Culturale Pediatri**Pediatri di famiglia, Milano,Associazione Culturale Pediatri

Summary

A difficult diagnosis, the birth of a child with aserious disease, symptoms that make fearor suspecta health problem: allowing and leading thenarration by the parents and, when it’s possible, bythe child, and plaiting his own allows the

paediatrician to define and buildin the consultationa common and shared space, a means ofknowledge and care, achance that helps in makingclear some sides of a complicated reality, in whichthe paediatrician enter, willing or not.

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Narrative approach and care relationship in pediatrics

Introduzione

Questo piccolo Focus nasce dalle riflessioni seguiteal Convegno “Il bambino con malattia cronica”,organizzato con l’ intento di coniugare l’esperienzamaturata all’ interno dell’Associazione CulturalePediatri in tema di cronicità (i “bisogni” delpaziente) con quella propria dell’AssociazionePediatri in Gruppo in tema di organizzazione (i“bisogni” del pediatra di famiglia).Ci si sofferma, in particolare, sul significato dellamedicina narrativa quale strumento funzionale alpercorso di cura (nel senso pieno di “care”),soprattutto in presenza di patologie spesso gravi,croniche, invalidanti, a volte difficilmentediagnosticabili e dove le cure mediche non sono

sempre risolutive. La quotidianità difficile, ibisogni di cura, la ricerca di soluzioni condivise esostenibili, la consapevolezza di cronicità gravi eirreversibili interrompono storie di vita “normali” edanno inizio a nuove “narrative”, dove il medico el’operatore sanitario entrano sempre e comunque.Organizzare prestazioni o costruire relazioni: lariflessione si sposta necessariamente al sistemache, in modo particolare nella malattia cronica, siaggrega intorno al problema di salute portato dallafamiglia in quel momento: il bambino, i parenti, gliamici, i vicini di casa, le altre figure del mondodella cura. Il professionista, nel momento in cuiviene coinvolto, ne diventa un elementofondamentale.

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Il pediatra, il medico del centro di secondo livello,l’assistente sanitario, l’ infermiere sono parte, aloro volta, di un sistema - quello sanitario - conregole e ruoli precisi, relazioni costruitesi neltempo, contatti con altri contesti (medicinaterritoriale, specialisti, strutture di alto livello,servizi sociali). L’ integrazione socio-sanitariadiventa allora una realtà obbligata di lavoro, unconfronto indispensabile e non occasionale cui glioperatori della cura non sono ancoracompiutamente formati. Oltre alla competenzastrettamente medica, è spesso richiesto in questicasi un intervento di affiancamento e facilitazionealla ricerca di soluzioni assimilabili, condivise esostenibili dalla famiglia: esse possono investire larete degli aiuti all’ interno del nucleo familiare, irapporti con il centro di secondo livello e glispecialisti, l’utilizzo dei servizi sociali e delvolontariato, i contatti con la scuola, il ruolo delleassociazioni dei genitori.Vengono proposti alcuni contributi di esperienza edi integrazione tra le diverse figure del mondodella cura che operano nell’ambito complesso dellamalattia cronica (l’esperienza di integrazioneterritoriale per il bambino oncologico a SanDaniele del Friuli, Udine; il “Progetto Ninfea” aCerignola, Foggia, con i medici in rete per lafibrosi cistica), nella consapevolezza che la ricercadi un metodo e di un modello di progettazione e diintervento, in cui siano garantiti la presa in caricocomplessiva, la continuità assistenziale, lamultidisciplinarietà, deve fare i conti con contestiorganizzativi, normativi e umani spesso moltodiversi gli uni dagli altri.

Il Bambino con la malattia cronica

Una diagnosi difficile, la nascita di un bambinocon una patologia grave, la presenza di sintomi chefanno temere o sospettare la presenza di unproblema di salute: sono tutte situazioni in cui laparola non rappresenta solo un semplice veicolo diinformazione o convincimento, ma può diventaremezzo di cura: descrivere, ampliare, raccontarsicondividendo una parte della vita dell’altro puòaiutare a includere l’evento malattia nella storia

della vita della famiglia e del bambino. Nellastoria di ciascuno ogni tanto irrompe un eventoimprevedibile, bello o brutto. Esistono persone cheriescono a includerlo, positivo o negativo, nelproprio progetto di vita. Per altri, a cui nonsuccede così, il medico e l’operatore sanitariopossono svolgere un ruolo di facilitazione in talsenso, consapevoli che anche il tempo che videdicano è cura1 : alla professionalità, al rigorescientifico e alla presa in carico da parte delmedico si affiancano la comprensione del punto divista del paziente, delle sue aspettative, dei suoiobiettivi, da integrare nel processo di cura. Igenitori arrivano in genere alla consultazione conil pediatra per problemi o difficoltà che vengonopresentati quasi immancabilmente come unracconto (“è successo questo, e poi è capitatoquello… ne ho parlato con… vogliamo saperecosa fare…”), e vogliono andare via con una storiamigliore, in cui “il problema sembrarimpicciolito… lo capiamo meglio… ora sappiamocosa fare”.La cura comincia sempre con un racconto:consentire e guidare la narrazione, accettando lasoggettività e la storia del bambino e della suafamiglia, permette di definire e costruire nellaconsultazione uno spazio comune e condiviso, unostrumento di conoscenza e di cura, un’occasioneche aiuta a puntualizzare alcuni aspetti di unarealtà complessa, dove il pediatra entra, che lovoglia o no2,3. L’Evidence Based Medicine èattualmente lo strumento migliore per trasferirenella pratica clinica i risultati della ricerca. Nonsempre, però, lo stato effettivo delle conoscenze oil consenso prevalente nella comunità scientificapermettono di trarre evidenze conclusive, comepuò succedere nelle malattie croniche: avere bendefinito i limiti della medicina ha portato ariscoprire la soggettività di chi sperimenta lamalattia e quella del professionista sanitario che simette in relazione con l’altro e con un’esperienzadi malattia non misurabile né quantificabile inpercentuali statistiche.E il medico deve essere consapevole che anchequesto “pezzo” del processo patologico lo

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riguarda: di fronte a indicazioni difficili da capire oa decisioni da prendere fra possibili diversipercorsi, il suo intervento non può prescinderedalla comprensione delle aspettative e dei punti divista dei suoi interlocutori, non minimizzandone lapreoccupazione, né ricorrendo alla semplicerassicurazione, ma ridefinendo e completandoquanto essi esprimono o richiedono. I medici, chesanno di patologia per competenza disciplinare, sirelazionano con persone che sanno di infermità perdiretta percezione del proprio corpo: lacomunicazione tra i mondi conoscitivi del medicoe del paziente passa attraverso la stesura narrativacomune di una storia.Charon definisce narrative knowledge4 quellaconoscenza e competenza del medico che glievitano di appiattire e spersonalizzare laconsultazione, e gli consentono invece di rivolgersial proprio interlocutore con rispetto, attenzione,discrezione e creatività. Il pediatra accoglie ilbambino con la sua patologia, ma anche con il suocontesto familiare e sociale: “accogliere” non vuolperò dire approvare incondizionatamente, nénecessariamente essere d’accordo con quanto vieneportato dai genitori in quel momento. Né vienerichiesto al medico di atteggiarsi a giudice omaestro di vita. Il messaggio che deve far passaresi riassume in: in questo momento difficile io sonoqui, accanto a voi, con il mio sapere e la miacompetenza, ma anche come persona umana. Lacura comincia sempre con un racconto, cherichiede un tempo “interno”, mentale, per accederea un’adeguata capacità di ascolto, fatta anche diinteresse, attenzione e rispetto per quello chel’ interlocutore porta. “Se vuoi comprendere quelche un altro sta dicendo, devi assumere che haragione e chiedere di aiutarti a vedere le cose e glieventi dalla sua prospettiva”, ci ricorda Sclavi conle sette regole dell’arte di ascoltare5: il pediatradeve essere disposto a credere che ciò che l’altrodice ha un senso, calibrando continuamente, contecniche comunicative appropriate, il suo modo dirapportarsi con chi è portatore di altri significati.Scrive Charon che la competenza narrativa derivaal medico da conoscenza e abilità riguardo a “come

leggere, scrivere e interpretare testi, a come tenereconto sistematicamente del punto di vistadell’altro, a come accorgersi e valorizzare ilparticolare accanto all’universale, a come cogliereil significato di parole, silenzi e atteggiamenti, acome esplicitare l’uno all’altro, trasformandoli inparole, pensieri e sensazioni proprie”6. Il pediatradeve anche essere consapevole che, accanto alleparole che lui e i genitori si scambiano (o non siscambiano), ci sono comunque volontarie einvolontarie selezioni e omissioni di parti dellanarrazione, fraintendimenti, malintesi e spazicomunicativi che si aprono solo se si consente chel’altro racconti. Certo, spesso “la narrazionespontanea tende a essere caotica, e se si lascia cheil paziente possa svolgerla in tutte le possibilidirezioni, si otterrà un materiale eccessivo,scoordinato, ridondante e in gran parte nonutilizzabile da parte del medico”7: ancora unavolta, l’utilizzo di domande e strategiecomunicative appropriate può rendere lanarrazione meno aggrovigliata e confusa e,mantenendo accesi i punti interrogativi, può evitareche il racconto si limiti a una pura e semplicecronaca. Mettersi insieme e raccontarsi, scrivere enarrare consentono un ordine, danno un senso,stimolano la riflessione, suggeriscono nuoveipotesi, ridefiniscono i reciproci ruoli eresponsabilità, a salvaguardia di una relazioneterapeutica salda ed efficace. Quante voci ci sonoin un racconto?In realtà la manovra narrativa dialogica epolifonica non è abituale in medicina, dove lestorie mediche sono, di solito, dei monologhi. Ma“la storia che viene raccontata accoglie anche levoci di quelle e di quelli che hanno partecipato alsuo farsi” 8: c’è tutto un sistema che si aggregaintorno al problema di salute che investe ilbambino affetto da patologia rara e la sua famiglia:il bambino, i parenti, gli amici, i vicini di casa, lealtre figure del mondo della cura. Il professionista,nel momento in cui viene coinvolto, diventa unelemento fondamentale di questo sistema. Ilpediatra, il medico del centro di secondo livello,l’assistente sanitaria, l’ infermiere sono parte, a loro

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volta, di un sistema -quello sanitario -con regole eruoli precisi, relazioni costruitesi nel tempo,contatti con altri contesti (medicina territoriale,specialisti, strutture di alto livello, servizi sociali).Anche nella storia di Giada (Box 1 ), oltre alle vocidella pediatra della bambina e della mamma,effettivamente presenti nel racconto, ci sono quelledegli altri pediatri, del papà, dei familiari dellapiccola, dei genitori di altri bambini con malattiarara, degli amici, degli educatori e degli insegnanti,ciascuna con i propri pensieri (“vedi perché erastrana e sofferente. . .”) e timori (“le diagnosi intesta girano a mille…”), interrogativi (“ma Giadacamminerà?, parlerà? sorriderà?), significati(“atrofia vorrà significare una cosa che è rimastapiccola…”), spiegazioni (“l’atrofia non è untumore…”), convinzioni (“è importante far vivereuna vita il più possibile normale a questapiccola…”). “Per ognuna delle voci del raccontoc’è un passato, un presente e un futuro… Ci sonomolti livelli di realtà: emozioni, supposizioni, datidi fatto”8: sono pezzi di questa storia di malattial’ inquietudine della pediatra ai primi bilanci disalute e il successivo, momentaneo, “sospiro disollievo” (“mi devo tranquillizzare, non ha nulla…vedrai che ora va meglio”), la diagnosi (undrammatico punto di svolta: malattia metabolicamitocondriale con deficit del complesso dellapiruvato-deidrogenasi), i fraintendimenti inizialidei genitori rispetto a una terminologia complessa(“mi dicevo: atrofia vorrà significare una cosa cheè rimasta piccola”), lo spavento e la disperazionedella mamma accanto all’apparente tranquillità delpapà (“se non è un tumore non è poi così grave, sipuò risolvere…”), la consapevolezza “scientifica”del medico di fronte a una patologia a evoluzionerapidamente infausta (“questa bambina ha i giornicontati, la sua malattia ha una prognosi conscadenza: deve morire, forse a tre, massimo cinqueanni, ma sicuramente non diventerà grande”). Ma èun pezzo della storia di Giada anche l’attenzioneda parte della pediatra a “non sprofondare” nellasofferenza dei genitori, pur non potendo dare

risposte certe, e a non limitare la narrazione allefluttuazioni di emozioni e bisogni, nella continuaconsapevolezza di quello che sta succedendo dalpunto di vista della relazione e senza sconfinare inambiti che non le appartengono. La narrazione siapre alla consapevolezza di una cronicità grave eirreversibile (“io avevo già realizzato la diversitàdi Giada… per mio marito invece, il vedere Giadasulla carrozzina fu un momento critico, fu come sesolo in quel momento realizzasse la diversità diGiada…”), alla quotidianità difficile e ai bisogni dicura sempre più complessi (“la sua terapiasalvavita è la nutrizione enterale, che richiede unmonitoraggio continuo e un’assistenza 24 ore su24 per 365 giorni al- Medico e Bambino 7/2010Focus l’anno”… “i certificati incompleti, ilcernitene senza autorizzazione, la scorta di acidotioctico nel freezer del Besta”), e delinea tutto ilsistema che si aggrega intorno alla bambina, allasua famiglia e alla pediatra, alla ricerca disoluzioni assimilabili, condivise e sostenibili. Lapediatra affianca il suo racconto a quello deigenitori, capisce, accoglie, riscrive insieme a lorola trama della malattia di Giada e di una storia chedeve fare i conti con la scienza (“the generalprognosis is poor” -dice il Nelson), ma che inrealtà continua e non dà nulla per scontato “daquesto momento carta bianca: i prossimi anni sonotutti da inventare”): la bambina cresce, riesce inqualche modo a comunicare, va a scuola, adora ilcanto. Un work in progress: nel racconto, che nonha una conclusione, si viene costruendo unarelazione terapeutica salda ed efficace, fonte diconoscenza per tutti i protagonisti di una storia dimalattia che diventa una storia di cura.

“Anche il medico entra a far parte della storia delpaziente, che continuerà il suo racconto a casa emagari ad altri medici, e poi in futuro ad altrepersone. In questa storia futura anche noi, cheoggi ascoltiamo questa persona, saremopersonaggi e avremo una voce […]”8.

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_______________________________________________________________________________________Box 1 REAZIONI DI FRONTE AUNADIAGNOSI DI MALATTIA CRONICA

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La storia: Noi pediatri, abitualmente, utilizziamo il termine “bello” non solo per descrivere un bimbo contratti somatici armonici, di bell’aspetto, ma anche per definire un piccolo sano, tonico, vigoroso, vivace,reattivo: insomma, un bel bambino. Quando ho incontrato Giada (nome di fantasia), alla sua prima visitapediatrica, mi sono detta: Giada è una bimba veramente bella. Ho ancora impressa la sensazione diinquietudine provata durante i suoi bilanci di salute: non ottime condizioni generali e non ottimo svilupponeuro-motorio, ma… una bambina bella. “Forse la più bella neonata che abbia mai visitato”: queste le mieparole quando mi confrontavo con i miei colleghi pediatri o chiedevo delucidazioni a qualche altrospecialista. Giada ha poco più di 2 mesi quando avviene il primo ricovero: intervento per ernia inguinale conannesso l’ovaio destro. Grande sospiro di sollievo da parte mia.. . vedi perché era strana e sofferente!Ricovero in pediatria, valutata dai colleghi ospedalieri, nessuna diagnosi particolare.Mi devo tranquillizzare, non ha nulla. Vedrai che ora va meglio. Ma non è così. Giada continua a esserestrana e lamentosa, e le diagnosi in testa girano a mille. Cambio latte. Eseguo controlli ravvicinati,ravvicinatissimi. La famiglia è collaborante e abbastanza fiduciosa, ma non risolviamo nulla. La situazionenon si modifica e la piccola è sempre più sofferente. Alla fine, dopo due ricoveri e dopo un po’ di traversie,la diagnosi: Atrofia cerebrale con ritardo globale. Malattia metabolica mitocondriale con deficit delcomplesso della piruvato-deidrogenasi.

Che cosa ha pensato la mamma alla comunicazione della diagnosi? Atrofia. . . che spavento! Mentre Giadaveniva sottoposta alla TAC cerebrale, io ero sola in sala d’attesa della radiologia e continuavo a sentirripetere la parola atrofia. Mi dicevo: atrofia vorrà significare una cosa che è rimasta piccola. C’è unproblema. Ho subito telefonato a mio marito e per lui la parola atrofia voleva dire tumore. “L’atrofia non èun tumore!” ci hanno spiegato nel pomeriggio i medici. Mio marito si è tranquillizzato: “Se non è untumore, non è poi così grave; si può risolvere”. Io invece ero ancor più disperata perché lui non sembravavoler capire la gravità della situazione.

La pediatra. Questa bambina ha i giorni contati; la sua malattia ha una prognosi con scadenza: deve morire,forse a tre, massimo cinque anni, ma sicuramente non diventerà grande. Non ci sono casi in letteratura dibimbi con questa malattia che sono diventati adulti.

Che cosa ha pensato la mamma dopo? Con il secondo ricovero io e mio marito abbiamo sperato in un erroreo perlomeno in un quadro meno grave. Quando i medici ci parlavano di malattia metabolica e qualità di vita,

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noi ci chiedevamo: “ma Giada camminerà? parlerà? sorriderà?. . .”Mentre noi andavamo insieme verso l’uscita del reparto di Pediatria, ci siamo detti: “Ma non è possibile, è laprima volta che usciamo da un ospedale senza una speranza, senza una possibilità di guarigione”.La pediatra. La malattia della bimba non le permette di alimentarsi in modo naturale. È necessaria unanutrizione enterale con l’utilizzo di un sondino naso-gastrico. Solo in questo modo è possibile soddisfare ilfabbisogno metabolico e nutrizionale di Giada. I familiari della piccola vengono subito coinvolti tutti.Questa famiglia in pochi giorni capisce la necessità di rendersi autonoma perché la bimba non può restaresenza sondino di notte, di sabato e domenica e nei giorni festivi. La sua terapia salvavita è la nutrizioneenterale, che richiede un monitoraggio continuo e un’assistenza 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno.Giada cresce, si barcamena talmente bene con la sua malattia che con il consenso dei genitori si decide discrivere la storia di questa bimba vivendola giorno per giorno: lei avrà il suo destino, e non ci confronteremopiù con la letteratura che ci dava persi già ai primi anni di vita.

Da questo momento carta bianca: i prossimi anni sono tutti da inventare… La prima audace mossa è quelladi decidere di mandare Giada al nido come avevano fatto in precedenza le sorelle. Decisione criticabile, mala famiglia ha bisogno di un supporto ed è importante far vivere una vita il più possibile normale a questapiccola. È una decisione difficile, mi sento in cuore di aver dato il consiglio giusto, ma temo le possibilimalattie di comunità e le eventuali complicanze per l’equilibrio della sua patologia.Quanti sabati passati davanti a una tazza di caffè con la mamma, Giada e le sorelle! Da parte mia ildispiacere di lasciarli soli nel fine settimana, in balia di questa malattia incognita. Da parte loro il trovarequalcuno che non poteva dare risposte certe, ma sicuramente capiva la loro paura e il loro dolore.Informazioni sempre semplici ed efficaci, tantissime ore di comunicazione.Altro momento critico è il passaggio dalla carrozzina al passeggino; è qui che Giada si allontanadecisamente dallo stile di vita dei suoi coetanei, e la sua disabilità diventa visibile a colpo d’occhio.

La mamma. Passaggio dalla carrozzina al passeggino (coscienza finale della cronicità da parte dellafamiglia).Il passaggio dalla carrozzina al passeggino per me non fu molto traumatico. Io avevo già realizzato ladiversità di Giada, quando fu necessario acquistare un seggiolone più grande, con anche il poggiatesta. Miricordo che lo vedevo enorme nella mia cucina e che ci inciampavo continuamente. Per mio marito, invece,il vedere Giada sulla carrozzina fu un momento critico, fu come se solo in quel momento realizzasse ladiversità di Giada.

La pediatra. Giada frequenta un corso di musicoterapia. Adora il canto e in questo modo il suo umoremigliora e la piccola si rilassa. Le sue canzoni preferite vengono cantate e registrate dalle sorelle.L’ inserimento e l’ integrazione nel mondo della scuola sono altre prove fondamentali per Giada, scuolamaterna, elementari e medie all’ istituto Don Gnocchi di Pessano, sino alla degenza settimanale nel centro diInverigo. Una serie di decisioni che la famiglia prende considerando le esigenze della bimba, il peso difattori economici e sociali e la difficoltà di trovare soluzioni nell’ambito del sistema sanitario. Ora Giada ha16 anni. Di strada se ne è fatta tanta e sicuramente anche tante code o attese inutili. In questi anni è statofondamentale per me avere colleghi o amici che lavorano in ospedali di zona per avere dei canali privilegiatiper i bisogni di Giada. Mi rammento di molti momenti critici che sono stati risolti semplicemente con la

M. Gangemi et al.

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disponibilità di un eventuale ricovero se la situazione fosse peggiorata. Alla luce di queste esperienze e conuna lettura retrospettiva di questa storia, posso evidenziare: l’ importanza di una stretta collaborazione traospedale e territorio, che porta a ottimizzare le risorse e amplificare le risposte; -la collaborazione si ottienesolo con la conoscenza, la stima e la fiducia reciproca degli operatori (pediatra di famiglia, pediatraospedaliero);-il lavoro dà risultati migliori se ognuno svolge il proprio ruolo nella massima trasparenza.Tutto questo impegno non deve andar perso ma lasciare una traccia, un percorso, perché ogni volta non siacome se fosse sempre la prima.

La mamma. La malattia di Giada ha avuto un forte impatto sulla vita della nostra famiglia. Abbiamo dovutotrovare in noi la forza di superare lo shock iniziale e adattare la nostra vita e la nostra casa alle esigenzedella nostra bambina. Il messaggio che voglio trasmettere a tutti i genitori di bimbi con malattia cronica è dicontinuare con tenacia a cercare la strada e gli aiuti necessari: noi l’abbiamo fatto e abbiamo sempre trovatochi ha saputo tenderci la mano.

(Redatto da: A. Pirola, Associazione Pediatri in Gruppo, Associazione Culturale Pediatri di Milano eProvincia)______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

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Bibliografia

1 . Gangemi M. La “Carta di Firenze” è un impegno dell’ACP. Quaderni acp 2005;5:1 85.2. Medicina narrativa. Una rubrica per mettere insieme approccio EBM e storia del malato. Quaderni acp2003;6:35-6.3 . Gangemi M, Zanetto F, Elli P. Narrazione e prove di efficacia in Pediatria. Il PensieroScientifico Editore,2006.4. Charon R, Wyer P; NEBM WorkingGroup. Narrative evidence based medicine. Lancet 2008;371 :296-7.5. Sclavi M. Le sette regole dell’arte di ascoltare. In: Arte di ascoltare e mondi possibili. Le Vespe, 2000.6. Charon R. Narrative Medicine: Honoringthe Stories of Illness. Oxford UniversityPress, 2007.7. Bert G. Medicina narrativa. Il Pensiero Scientifico Editore, 2007.8. Doglio M. Mi racconti tutto! Quando la narrazione aiuta il medico. Janus 2002;1 :3945.Articolo pubblicato su: "Medico e Bambino" 7/2010Corrispondenza: M. Gangemi, e-mail: [email protected]

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Medicina Narrativa N.1 2011

La figura del medico nella cinematografia

S. Dipasquale, O. Bianchini, G. Previti,M. S. Signorelli, A. Virzì.

Introduzione

“E’ più importante conoscere la persona che non lamalattia”, sosteneva Ippocrate già nel V secoloa.C., ma con l’affermazione della medicina basatasulle evidenze (EBM) si è sviluppata la tendenza aconsiderare la malattia soltanto un insieme di dati,segni clinici e sintomi. Così, se da un lato l’EBMha permesso migliori possibilità diagnostiche eterapeutiche, dall’altro ha fornito l' alibi per unaprogressiva perdita della capacità di ascoltare ilpaziente, di comprenderne sofferenze, paure esperanze, trascurando di conseguenza lacomponente umana e relazionale della malattia equindi il rapporto medico-paziente1 .Per queste ragioni recentemente si è affermato un

nuovo approccio, chiamato Medicina Narrativa(NBM) che, come si evince dal nome, si fondasulle narrazioni: narrare, cioè ascoltare, raccontareed interpretare delle storie, costituisce la base dellerelazioni umane e quindi anche del rapportomedico paziente. Sia chiaro, però, che NBM(basata sull’analisi qualitativa) e EBM (basata,invece, sull’analisi quantitativa) non sono dueapprocci alternativi bensì complementari, chenecessitano di integrarsi ed interagire nella praticaclinica.La medicina narrativa può attingere non solo anarrazioni di medici, pazienti, operatori sanitari,ma anche letterarie, teatrali e soprattuttocinematografiche. Ma perché proprio il cinema?

Summary

The objective of this study is the analysis ofcinematic depictions of physicians to determinatecommon attributes of movie doctors, major themesand whether portrayals have changed over thetime. The results showed that in the 125 selectedfilms, physicians were generally portrayed in apositive way before 1960’s, then they are depictedas greedy, egoistical and uncaring until 1980’s,

while in the two past decades medical movies haveexplored critical issues surrounding medical ethicsand managed care, focusing attention on thedoctor­patient relationship. So these recent moviesshould suggest the importance of a new doctor­patient relationship, based on respect, dialogue,comprehension and empathy.

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The portrait of physician in the movies

Azienda Ospedaliero­UniversitariaPoliclinico­Vittorio emanuele P.O. Gaspare RodolicoU.O.P.I. Psichiatria, Università di Catania

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Perchè il cinema è una summa che include musica,pittura, scultura, letteratura ed è quindi unostrumento di comunicazione nonché di narrazioneestremamente efficace.D’altronde, già alla sua nascita il cinema si occupadi medicina: Auguste Lumiere si interessò dibiologia e fisiologia e considerava il cinema unmezzo di divulgazione scientifica più che unaforma d’arte. Attualmente, la medicina “guarda” alcinema in ambito di psicoterapia e, soprattutto,per quanto riguarda il counselling e la medicaleducation2; a questo proposito, abbiamo ritenutointeressante valutare come sia cambiata negli annila figura del medico nella cinematografia, al finedi capire come questa rappresentazione abbiainteragito con il contesto socio-culturaledell’epoca, soprattutto nell’ambito del rapportocon il paziente. Le narrazioni cinematografiche,infatti, come “specchio della vita”, descrivono e altempo stesso condizionano, aspettative eatteggiamenti di medici e pazienti e quindi, delloro rapporto.

Obiettivo

Valutare il cambiamento della figura del mediconelle rappresentazioni cinematografiche

Materiali e metodo

Sono stati individuati 466 film in cui compariva lafigura del medico e ne sono stati selezionati 1 25.Per la valutazione sono stati presi inconsiderazione tre periodi storici: la “golden ageof medicine”3 fino agli anni ‘60; dagli anni ’60agli anni ’80; dagli anni ’80 sino ai nostri giorni.Per la figura del medico è stato utilizzato loschema trifasico di Shorter4, per il quale nel corsodegli anni la figura del medico è andata incontroad un’evoluzione, dal medico premoderno, almedico moderno sino all’attuale medicopostmoderno). Infine è stato valutato il rapportomedico-paziente secondo i paradigmi di Szasz eHollander5, per i quali, nel tempo si è passati da unrapporto di attività/passività ad uno diguida/cooperazione ed ipotizzano un terzo

paradigma, quello della mutua comprensione,ancora però estraneo al mondo della medicina).Non sono stati utilizzati criteri di valutazioneparametrici o statistici, privilegiando un’analisiprevalentemente qualitativa.

Risultati

Dagli inizi del secolo agli anni ’60: la “golden ageofmedicine”Il periodo che va dai primi del ‘900 agli anni 60(definito “golden age of medicine”) è statocontraddistinto da numerose scoperte scientifiche(tra cui antibiotici e vaccini) che determinano unabrusca riduzione della mortalità e un positivismoscientifico che il cinema, avanguardia culturale delperiodo, descrive alla perfezione.Le rappresentazioni seguono quindi un’otticapositiva6, per cui prevale il modello culturale del“medico eroe”7, che considera la propriaprofessione alla stregua di una missione che nonpuò essere intaccata dalla fama o dal prestigio, nétanto meno dal denaro o dal potere, nel rispetto deivalori fondamentali della medicina ippocratica:umanità, integrità, idealismo e compassione sonole prerogative principali della sua attività.Seguendo lo schema trifasico di Shorter, possiamosostenere che il “medico eroe” rappresenta iltipico modello di medico premoderno, il qualedispone di scarsi strumenti diagnostici eterapeutici ma è dotato di grande umanità, sebbenespesso quest’ultima sfoci nel paternalismo; piùraramente assume invece i connotati del medicomoderno (scientificamente più preparato,tecnicamente più attrezzato e capace di instaurareuna relazione più professionale col paziente).Il rapporto con il paziente, in base ai paradigmiindividuati da Szasz e Hollander, è statorappresentato secondo il modello diattività/passività, in cui il medico rappresenta ilsoggetto attivo che, grazie al suo sapereunidirezionale e alle sue univoche decisioni, rendeil paziente oggetto passivo delle sue diagnosi edelle sue scelte terapeutiche.Il “medico eroe” appare già nel primo “medical

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La figura del medico nella cinematografia

movie”, “The Country Doctor”, 1 909, di D.W.Griffith ed è poi protagonista indiscusso dinumerose pellicole di questo periodo, come “Ilmedico di campagna”, 1 936, di Henry King, “Ilgrande silenzio”, 1 944, di Irving Pichel, “Il medicoe lo stregone”, 1 957, di Mario Monicelli, “La figliaperduta”, 1 937, di Alfred Santell, film quest’ultimoche introduce la figura del dottor Kildare, da cuiprenderà origine una serie che si concluderà nel1947 con “Torbidi Amori” (successivamente ilpersonaggio sarà riproposto in serial televisivo digrande successo con Richard Chamberlain).I film più significativi di questo periodo sono, anostro parere “La gente mormora”, 1 950, di JosephL. Mankiewicz (storia di un ginecologo il cui scopoè “far star bene i malati”, perché “c’è una belladifferenza tra curare una malattia e far star bene chiè malato”), “La Cittadella”, 1 931 , di King Vidor,(basato sull’omonimo romanzo di A.J. Cronin, ilfilm racconta la parabola del dottor Manson, damedico condotto dei quartieri poveri a ricercatore,sino a diventare medico strapagato di una clinica dilusso, tornando tuttavia sui propri passi dopo unatragedia), “Missione in Manciuria”, 1 966, di JohnFord (uno dei rari casi di donna medico, storia diun’eroina che sacrifica la propria vita per salvare ledonne della missione in cui opera) e, infine,“Nessuno resta solo”, 1 955, di Stanley Kramer,(vicenda del dottor Lucas Marsh che ha unaconcezione idealizzata, anche troppo, dellamedicina).Viceversa, le poche rappresentazioni negative sonolimitate ad un altro modello culturale (peraltro,presente anche nei periodi successivi), lo“scienziato pazzo”, ovvero un medico che si spingeoltre i limiti della ricerca8, protagonista di celebrifilm come “Frankenstein”, 1 931 , di James Whale,“Il dottor Jekyll”, 1 932, di Rouben Mamoulian, “Ildottor Mabuse”, 1 922, di Fritz Lang e “Il gabinettodel dottor Caligari”, 1 920, di Robert Wiene. Questifilm costruiscono un vero e proprio generecinematografico, il medical horror, che nel corsodegli anni si trasformerà in medical thriller.

La crisi: dagli anni ’60 agli anni ‘80

Il periodo a cavallo tra gli anni ‘60 e gli anni ‘80 ècontraddistinto da una forte critica alle istituzioniche viene estesa anche alla sanità. Infatti, in camposanitario si realizza la transizione epidemiologica,per cui si passa da malattie ad andamento acuto amalattie ad andamento cronico, che richiedonoterapie di lunga durata e un adeguato rapporto conil paziente.I medici si trovano così impreparati a gestirequesta nuova situazione, complicata anche dallacontemporanea aziendalizzazione sanitaria edall’ iperspecializzazione della medicina, checreano così un’ulteriore distanza tra medici epazienti.Di conseguenza, a livello culturale prevale unmodello di medico antieroico ed egoistico9, cheantepone i propri interessi economici, scientifici eospedalieri a quelli del paziente: una distorsione inchiave critica, umoristica, e quindi satirica delmedico postmoderno di Shorter, ovvero dotato digrandi presidi diagnostici e terapeutici, mapurtroppo estremamente carente dal punto di vistaumano e relazionale. Il rapporto con il pazientesegue ancora il modello di attività/passività.Sicuramente uno dei film più importanti,quantomeno in Italia è “Il medico della mutua”,1 968, di Luigi Zampa, in cui Alberto Sordiinterpreta il dottor Tersilli, tipico esempio dipessimo professionista ossessionato dal guadagno,che non si aggiorna e riduce le visite ad unaminima durata e poi addirittura ad una ridicolaassistenza telefonica. Questi atteggiamenti spessocostituiscono la base di episodi di malasanità, dicui si inizia a parlare proprio in questo periodo.Altri film sono in linea col tono satirico, farsescoma duramente critico dell’opera di Zampa, come“The Hospital”, 1 971 , di Arthur Hiller (storiamedici psicotici e in burn-out che gestiscono unospedale “metafora del caos”10), “Monty Python –Il senso della vita”, 1 983, di Terry Jones (in cui imedici appaiono più interessati a far bella figuracon il direttore sanitario che a curare i pazienti),“Britannia Hospital”, 1 982, di Lindsay Anderson e

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“M.A.S.H.”, 1 971 , di Robert Altman.In altre opere il tono critico prevale su quelloumoristico: è il filone medical thriller, in cui ilmedico in veste di detective o di colpevole, ècoinvolto in complicate indagini. L’ idea di medicodetective, inventata in ambito letterario da ArturConan Doyle che l’ha sdoppiata nel dottor Watsone in Sherlock Holmes, si basa su una disciplinaimportantissima in medicina, la semeiotica, laquale, come sappiamo, “consente di diagnosticarele malattie inaccessibili all’osservazione direttasulla base di sintomi superficiali, talvoltairrilevanti agli occhi del profano”11 . E proprioquesti sintomi, superficiali ed irrilevanti,permettono frequentemente al medico (detective)di indagare e risolvere i casi non solo clinici, maanche legali. In questo filone ricordiamo “ComaProfondo”, 1 978, di Micheal Crichton, storia diuna caparbia dottoressa che scopre un losco affaredi trapianti d’organo e “Troppo belle per vivere”,1 981 , sempre dello stesso autore. Viceversa, altrepellicole come “Arancia meccanica”, 1 971 , diStanley Kubrick e “Stati di allucinazione”, 1 980,di Ken Russel, ripropongono la figura dello“scienziato pazzo”, adeguandola alle nuoveproblematiche, soprattutto a carattere bioetico,legate alle “nuove frontiere” della medicina.Oggi: l’importanza del rapporto medico -

paziente

Il continuo sviluppo di una medicina condizionatada esigenze aziendali ed economiche, fortementesquilibrata in senso tecnico a scapito di quelloantropologico, ha portato recentemente alla ribaltail problema del rapporto medico – paziente.La medicina, infatti, sembra andare verso unaderiva iatrotecnica e in risposta nasce l’approcciopatient centered, basato sulle teorie di Hengel percui la malattia non è un problema biomedico mabiopsicosociale: diventa fondamentale non solocurare la malattia (to cure), ma anche prendersicura del malato (to care).Dagli anni ’80 sino ad ora, il cinema mantieneprevalentemente una visione critica della medicinae della figura del medico ma, a differenza deglianni passati, queste critiche perdono le

connotazioni satiriche ed umoristiche, diventandosempre più dure e dirette. Tuttavia, esplorando ilrapporto con il paziente, i film di questo periodooffrono critiche costruttive e diventano così utili inambito formativo. Nelle rappresentazioni, prevalesempre il medico postmoderno inserito in unrapporto, stavolta, di guida-cooperazione: unrapporto che dovrebbe quindi vedere il medicocome guida competente sia dal punto di vistarelazionale che professionale, con il pazientechiamato a cooperare attivamente alla promozionedella salute. Nei fatti questo rapporto dicooperazione, sia socialmente checinematograficamente non viene ben recepito edapplicato, e quindi criticato.Tra le opere più significative, segnaliamo “LaForza della mente”, 1 999, di Mike Nichols, storiadi una professoressa che, dopo una diagnosi ditumore alle ovaie, si sottopone ad unachemioterapia aggressiva. L’opera di Nicholsaffronta numerosi problemi della medicina di oggi,come quelli legati alla comunicazione delladiagnosi, al linguaggio medico, alle terapiesperimentali (la paziente, di fatto, diventa unacavia), alla solitudine ospedaliera, all’accanimentoterapeutico e alla freddezza dei medici. Un’altrapellicola interessante è “Un medico, un uomo”,1 991 , di Randa Hainmes, storia (vera) di unchirurgo toracico a cui viene diagnosticato untumore alla laringe. Il passaggio “dall’altra parte”(cioè da medico a paziente) è traumatico: ilchirurgo sperimenterà su se stesso le lunghe atteseospedaliere, il distacco dei medici, le difficoltà perconoscere la diagnosi, traendone comunque unprezioso insegnamento. Sempre ispirato ad unastoria vera è "Patch Adams”, 1 999, di TomShadyac: non è un gran film, ed è un peccato chenon lo sia perché, raccontando la storia di HunterAdams (medico teorizzatore della “terapia dellarisata”) solleva numerose questioni interessanti(l’utilizzo dell’umorismo nella pratica clinica,l’ importanza di ascoltare il paziente,l’ impreparazione relazionale dei medici),riducendole, però, ad un’analisi banale,semplicistica e superficiale. Anche l’ultimo

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capitolo di “Caro Diario”, 1 993, di Nanni Moretti,racconta una vicenda vera: quella dello stessoregista che va incontro ad un’odissea sanitaria acausa di medici incapaci di fare una correttadiagnosi. Tale problema, a detta di Moretti, non èdovuto all’ ignoranza, quanto all’ incapacità diascoltare, perché “i medici sanno parlare, ma nonsanno ascoltare”. Ed è proprio questa incapacitàl’oggetto di studio del cinema, che arriva adestendere il suo interesse anche a tutte le altreistituzioni sanitarie, sino a degenerare in una vera epropria “lotta al sistema”, come “In barca a velacontromano”, 1 997, di Stefano Reali e soprattutto“Ribelli per caso”, 2003, di Vincenzo Terraciano.Questo film è ambientato nel reparto digastroenterologia di un ospedale napoletano, in cuii pazienti attuano una vera e propria ribellione (abase di feste ed abbuffate) nei confronti di mediciche, incapaci di ascoltare e comunicare,abbandonano i pazienti al loro destino.Altri film in cui la figura del medico vieneduramente criticata sono “Inseparabili”, 1 988, diDavid Cronenberg, “Il Regno”, 1 994, di Lars VonTrier, “Al di là della vita”, 1 999, di MartinScorsese e, più sottilmente, in “Eyes wide shut”,1 999, di Stanley Kubrick.Infine, recentemente alcuni film (come “L’olio diLorenzo”, 1 992, di George Miller, “Son frere”,2003, di Patrice Chereau e “Le invasionibarbariche”, 2003, di Denys Arcand) hannorappresentato una nuova figura: il pazienteautocurante (considerato da Herzlich e Pierret12 lapiù significativa novità in campo sanitario delnostro tempo), ovvero colui che tende, da solo oall’ interno di gruppi di self-help, ad autogestire lapropria malattia, in un rapporto talora addiritturaconflittuale ma comunque sempre attivamentenegoziale con i medici e l’apparato sanitario.

Conclusioni: verso una mutua comprensione?

Nel corso degli anni il cinema ha rappresentatofedelmente i cambiamenti che hanno interessato lafigura del medico ed il rapporto con il paziente,passando da una visione positiva ad unatteggiamento molto critico, dapprima rivolto alleistituzioni sanitarie e successivamente al medicopostmoderno ed al rapporto di guida/cooperazione.Le feroci critiche al medico postmoderno e alparadigma di guida/cooperazione e ilcontemporaneo consolidamento (sociale ecinematografico) del paziente autocurantepotrebbero costituire il primo passo verso il terzomodello di Szasz e Hollander, quello della mutuacomprensione. Secondo questo modello larelazione con il paziente assumerebbe i connotatidi un “incontro” anziché di un rapporto: incontrodi due storie di vita, di due persone che, prima diogni altra cosa, devono imparare a comprendersinei loro diversi saperi, linguaggi, bisogni,aspettative, soggettività, paure; un incontro quindiche è paritario, ma che rimane pur sempreasimmetrico.Quindi, ci chiediamo: è davvero indispensabilepassare al paradigma di mutua comprensione? Ènecessaria allora una nuova figura di medico? Ipazienti, autocuranti e non, sono davvero prontiper una mutua comprensione?Trovare le risposte a queste domande non èsemplice, ma è fondamentale iniziare a rifletterci,anche con l’aiuto del cinema al quale, tuttavia,“sarebbe ingenuo chiedere risposte in merito.Quelle dobbiamo cercarle, tutti assieme, fuori dallesale cinematografiche. Ciò che il cinemasicuramente farà, bene come ha quasi sempre fatto,sarà di mostrare gli effetti sociali delle nostrerisposte, o delle nostre mancate risposte, a esse”13.

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La figura del medico nella cinematografia

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A. Virzì et al.

Bibliografia

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Corrispondenza: A. Virzì, e-mail: [email protected]

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Come si presenta la professione medica nellanarrativa? Della complessa figura del medico si èsempre impadronita la letteratura, ma nessunopotrebbe mai raccontare questa professione megliodi un dottore, ed è quello che ha fatto ArchibaldJoseph Cronin, medico e scrittore inglese.Dei tanti romanzi di questo autore abbiamo sceltoLa Cittadella, che è il suo capolavoro (1937), e unadelle ultime opere: Dottor Finlay (1 978).L'analisi di brani tratti dai due libri citati permetteràdi confrontare il medico ideale con il medico reale,

la medicina che ci fa pensare e ci emozionanell'invenzione, con quella con cui medico epaziente si confrontano nella realtà di ogni giorno.Vedremo che i personaggi di Cronin, come ilfamoso dottor Manson protagonista de LaCittadella e il dottor Finlay, non sono affatto figureindefinite e astratte, ma professionisti calati nelloro tempo e nei problemi ed opportunità che ilmomento storico nel quale i due romanzi sonoambientati gli offriva.Uno sguardo alla storia della medicina nel periodo

Medicina Narrativa N.1 2011

Il medico nei romanzi:La Cittadella e il Dottor Finlay di Cronin.Il medico nella storia di tutti i giorni.

F. Pirracchio

How does the medical profession appear in theworld of fiction? Literature has always dealt withthe many­sided character of the doctor. Howevernobody could ever describe this profession betterthan a doctor, and this was the mission ofArchibald Joseph Cronin, British physician andwriter.We have chosen two books by Cronin: hismasterpiece The Citadel (1937) and one of his lastnovels, Doctor Finlay of Tannochbrae (1978).Through the analysis of some paragraphs fromthese novels we will compare the imaginary figureof the doctor with the real one. We will compare theexciting world of medicine, as it appears in fiction,with the harsh reality of medicine which physiciansand patients experience every day.

Cronin’s characters aren’t remote abstract figures,on the contrary Doctor Manson and Doctor Finlaycompletely live the problems and the challenges oftheir historical period.Consequently a look at the historical backgroundof Cronin’s novels, the nineteenth century and thetwentieth century, will arouse new interestingquestions: how has the medical profession changedin these years? And has the patient’s attitudechanged as well?The historical reflection on these themes makes usthink that the progress of medicine is always drivenby a main thread, made of hardships and hopes,that leads the way and, especially at present, bothquestions and encourages us to go on.

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The portrait of physician in the literature:

"The Citadel" and "Doctor Finlay" by A.J. Cronin.

The physician in everyday life.

Summary

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che fa da sfondo ai romanzi di Cronin,dall'Ottocento ai primi del Novecento, sarà anchelo spunto per nuove domande: per esempio, come ècambiata la professione medica in quegli anni? Econ il diverso modo di lavorare del medico si èmodificato, di conseguenza, l'atteggiamento delpaziente?Proprio la riflessione storica su questi temi ci fapensare che la medicina, nel suo cammino verso ilfuturo e il progresso scientifico, appare sempreguidata da un filo conduttore fatto di fatiche esperanze che soprattutto oggi ci sprona e ciinterroga.Ecco lo studio del medico di famiglia: un pazienteanziano, una donna incinta che aspettano e magarisi interrogano sui loro problemi e su come parlarnecon il dottore. Oppure ecco il pronto soccorso di unospedale di una delle tante città di oggi:confusione, l'infortunato in attesa che si lamenta e iparenti che l'hanno accompagnato e non vedonol'ora di comunicare con il medico di turno.Insomma la figura del dottore ci accompagna neivari momenti della vita, è un personaggio che siteme da bambini e con cui tutti facciamo i conti daadulti nelle varie parti che ci riserva la vita, orapaziente, ora congiunto stretto di un malato oprofessionista della medicina diventato egli stessopaziente… Della complessa figura del medico si èsempre impadronita anche la letteratura e i romanzihanno contribuito a dar fascino al suo ruolo, acreare aspettative e modelli. Non solo protagonistimedici hanno affollato la narrativa, ma spessodottori autentici hanno accompagnato laprofessione con l'amore per la scrittura. Questo è ilcaso di Archibald Joseph Cronin che hatrasfigurato la figura del medico in diversi raccontie ancora oggi attraverso le sue opere ci offreinteressanti spunti per analizzare la professionemedica nella letteratura e anche nell'evoluzionestorica e sociale. Cronin in realtà nell' arco diquarant'anni scrisse numerosi romanzi ma, per lanostra analisi, ci soffermeremo su due opere inparticolare: The Citadel (La Cittadella) pubblicatonel 1937 e Doctor Finlay of Tannochbrae (DottorFinlay) pubblicato nel 1978.

Ma chi era questo medico-scrittore? Cronin nacquenel Dumbartoshire, in Scozia, nel 1 896 e morì inSvizzera nel 1981 . Egli studiò medicina allaGlasgow University Medical School ed esercitòcome medico ospedaliero e ispettore sanitario nellezone minerarie, più tardi lavorò come medicogenerico nel Galles e a Londra. Nel caso di Cronin,sembra che la popolarità ottenuta presto con le sueopere, prevalse sul desiderio di impegnarsi nellaprofessione. Infatti secondo i biografi fu ilsuccesso del romanzo Hatter's Castle (Il castellodel Cappellaio), scritto durante un periodo diconvalescenza nel 1931 , che lo indusse a lasciarela medicina per dedicarsi interamente allaletteratura1

La Cittadella fu uno dei sui romanzi di maggiorsuccesso, dal libro infatti hanno tratto ispirazionefilm e serie televisive che, sullo sfondo delmalinconico e nebbioso paesaggio delle zoneminerarie del Galles di altri tempi, hannoraccontato la vicenda professionale delprotagonista: lo scozzese dottor Andrew Manson.

La professione medica trasfigurata nei racconti

La storia comincia nel 1924, quando Manson,appena laureato, accetta nel Galles l'impiego comeassistente medico del dottor Page. La vita alledipendenze di Page è abbastanza faticosa per lagrande mole di lavoro e specialmente a causa dellevessazioni da parte della tirchia moglie del titolare.Dopo aver per diverso tempo tolleratol'atteggiamento della donna, Manson decide dilasciare il posto. Ma sarà comunque fortunato nelriuscire a conquistare l'impiego di assistente in unavicina città mineraria, Aberalaw, dove porterà consé l'appena sposata Cristina. Il protagonista diverràprima ad Aberalaw e soprattutto dopo a Londra, unmedico affermato. In quest'ultima città, se da unlato egli vive una grande ascesa professionale,tutt'altro si può dire dei suoi ideali giovanili diimpegno e onestà professionale, con i qualiinstaura tormentati compromessi. “Il conflitto tracoscienza e ambizione mondana di Andrewterminerà in modo improvviso e un po'melodrammatico con il trionfo del bene e il ripudio

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della vita opportunistica e corrotta.”2

Il dottor Manson al lavoro

Il dottor Manson, pur dovendo cambiare per bentre volte città, riesce sempre a far notare il suovalore di medico. L'autore lo mostra spesso piùbravo degli altri, praticamente con una marcia inpiù, è come se tutto il libro fosse pervaso da unapromettente fiducia verso i giovani. Quello cheCronin vuole comunicarci con tale fiducia è la fedeverso i nuovi mezzi della medicina di allora, cheproprio i medici appena laureati riuscivano meglioad applicare. Cronin spesso fa dire al suoprotagonista come sia importante il metodoscientifico. Metodo che spesso i colleghi del dottorManson, specialmente i più anziani, forseinconsapevolmente, non usavano fidandosi troppociecamente di tecniche e intrugli di noncomprovata efficacia. Manson nel corso della suaesperienza rielabora le conoscenze acquisiteall'università, comprendendo quali di esse sianoveramente fondamentali nella pratica clinica eliquidando altre come obsolete.Ecco un brano tratto dal libro La Cittadella. Ildottor Manson descrive a Cristina, la futuramoglie, alcuni dubbi e il metodo per lui piùopportuno da usare nel lavoro.

Ero arrivato qui con la testa piena di formule, dinozioni che tutti credono o fingono di crederedogmatiche: che le articolazioni gonfie sian segnodi reumi, per esempio, che i reumi richiedano ilsalicilato; sapete, le regole ortodosse. Be', stoscoprendo che alcune sono sbagliatissime. Lemedicine. Credo che la buona parte di esse facciapiù male che bene. Un malato vieneall'ambulatorio. S'attende la sua brava boccetta, egeneralmente la ottiene, anche se contiene solozucchero o bicarbonato o acqua fresca. Ma non ègiusto, non è scientifico. Un'altra cosa: troppimedici trattano i mali empiricamente, voglio direche curano i sintomi per sé, non si curano diesaminarli come facenti parte di un gruppo disintomi, così da poter enunciare una diagnosigiusta. Dicono, in fretta, perché di solito hannopremura: “Mal di capo? Provate questa

polverina”, oppure: “Siete anemico: prendete ilferro” invece di domandarsi quale è la causa delmal di capo o dell'anemia.3

Dopo il dottor Manson continua con unariflessione che riflette le esperienze di Cronincome medico di base.

Ma perché dovrebbe il medico generico esserenient'altro che un manipolatore di polte o undosatore di veleni? È tempo che la scienza passi inprima linea. Un mucchio di gente è persuasa chela scienza sta in fondo ai provini. Io no. Io credoche i G.P.( Il termine G.P. è l'abbreviazione deltermine inglese General Practitioner. Questotermine indica nel campo della medicina la figuraprofessionale che corrisponde all'italiano medicodi famiglia) hanno tutte le migliori occasioni perrilevare fatti concreti, e più degli specialisti lapossibilità di osservare e studiare i primi sintomidi un morbo nuovo; quando il malato entra inclinica, generalmente ha oltrepassato i primistadi. 3

Il metodo scientifico porta i giovani medici adosservare attentamente ogni indizio, a cercare dicondurre tutti i sintomi sotto un unica patologia, adappoggiarsi a strumenti diagnostici che rendano lamalattia qualcosa di valutabile in modo oggettivo.Comunque il discorso del dottor Manson ha piùvalore di una accademica lezione di metodo.Questi, tramite il metodo scientifico, vuoleesortare se stesso e i suoi colleghi a non essere maisuperficiali, a non lasciare mai niente al caso, adaggiornarsi. Questo discorso si può comprenderemeglio grazie ad una riflessione che fa un giorno ilprotagonista fra sé e sé: “Si proponeva di nondiventare mai trasandato, mercenario, di nonsaltare mai a conclusioni affrettate, di non scriveremai la 'ricetta dell'altra volta'. Si proponeva diindagare sempre, di 'essere scientifico', d'essereinsomma degno di Cristina.”4In tante occasioni l'autore descrive le visite diManson ai suoi pazienti, ci fa vedere il suo mododi lavorare e ragionare. Ma a volte l'incalzare della

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narrazione, l'emozione per una vita salvata,specialmente se quella di un bambino, fa perdere allettore il senso della realtà. Questo avviene peresempio quando il dottor Manson “resuscita” ilfiglio dei coniugi Morgan che dopo un partodifficile era nato “morto” in quanto non dava segnidi vita. In questo episodio il ritmo della narrazionesi fa incalzante. Il lettore è reso ancor più partecipedella situazione proprio per la descrizione deglisforzi sovrumani del dottore per rianimare ilbambino. Lo strofinaccio, la catinella d'acqua caldae quella d'acqua fredda, i bagni alternati oranell'una ora nell'altra, questi tecnicismi sono piùefficaci di qualsiasi altro espediente letterario.Forse dopo tanta fatica, che il lettore avverte nonmeno dello stesso protagonista, il lieto fine è quasid'obbligo:

E come d'un tratto, come per virtù d'un miracolo, ilminuscolo torace diede un sobbalzo convulsivo. Unsecondo. Un terzo. Manson vacillò per l'emozione.Il senso della vita, scaturitogli improvvisamente disotto alle dita dopo tanti sforzi ch'eran sembratidover esser vani, gli tornò così gradito che fu lì lìper svenire.5

E' tanta la commozione per quello che sembra quasiun miracolo che questa volta il “pensieroscientifico” si fa da parte: le conseguenze di unparto così difficile non vengono nemmeno allalontana prese in considerazione da Cronin e quindisfuggono al lettore. Acutamente le evidenzianoAntonio Virzì e Maria Salvina Signorelli autori dellibro “Medicina e Narrativa”: “non ci sembra ilcaso, però, di guastare questa euforia che,purtroppo, non lascia intravedere la tragediafutura.”6

Infatti quali saranno le conseguenze di un parto cosìtraumatico per il piccolo?

Il dottor Finlay: bello ed altruista

Altrettanto affascinante anche se naturalmentediverso dal dottor Manson è il protagonista delDottor Finlay, uno degli ultimi libri scritto da

Cronin. Narra le avventure del giovane, sportivo, dibell'aspetto e sempre circondato da belle donne,dottor Finlay, assistente medico nella cittadina diTannochbrae. Qui il protagonista, al serviziodell'anziano e vanitoso dottor Cameron, si ritrovain situazioni che non solo lo coinvolgono dal puntodi vista professionale, ma anche e soprattutto sulpiano umano. Egli infatti è un tipo sensibile,altruista, di sani principi morali, tutto dedito ai suoipazienti, pronto ad alleviare le pene del prossimo.Il dottor Finlay infatti non si occupa dei suoipazienti solo dal lato medico, non pensa solo aguarire malattie o prescrivere boccette, senecessario offre tutto se stesso per aiutare chi piùne ha di bisogno.La denuncia sociale, emersa in alcuni passi de LaCittadella, ha un ruolo importante anche in questoromanzo. Per esempio il Dottor Finlay prende acuore la sorte del piccolo Josè, il servo maltrattatoda due ricchi sudamericani.Finlay spesso veniva chiamato per delle visitemediche dagli ospiti del lussuoso CaledonianHotel. Un giorno vi andò per visitare proprio unaricca signora sudamericana. Dopo aver completatola visita ed esser uscito dalla stanza si sentìtrattenuto da qualcuno.Era il piccolo Josè che già prima il dottore avevanotato a causa delle ferite da colpi di frusta sullaschiena. Ecco cosa accadde:

Ma quando uscì nel corridoio e la porta gli sichiuse alle spalle, intuì la presenza di qualcunodietro di sé. Voltandosi vide che il bambino loaveva seguito fuori della stanza.“Señor dottore, la supplico, curi le mie ferite perfavore.”Finlay non poté resistere a questo pietoso appello.Tolse la camicia al bimbo, poi fissò con orrore iprofondi segni rossi lasciati dalla frusta, che avevalacerato la pelle fino all'osso.“Chi ha fatto questo?”“Il padrone, signor dottore. Quando io nonaccontentare la padrona, lei dice a suo marito.”Finlay osservò il ragazzino in silenzio: emaciato a

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causa della denutrizione. E ora queste incredibilifrustate. Finlay non riflettè un solo istante:riparando il bambino sotto il cappotto, lo feceentrare in ascensore, poi, rapidamente, lo spinseattraverso la porta girevole dentro la suamacchina. Mentre l'auto si allontanava, ilbambino, rannicchiato accanto a Finlay, erascosso da lacrime di gioia. (…)Nell'ambulatorio, Finlay radunò tutto ciò cheoccorreva, (...) Era assolutamente indispensabiledisinfettare le piaghe che in alcuni punti eranosuppurate e secernevano pus.“Ti farò un po' male, Josè. È necessario.”“Non piangerò, signore.”Usando etere puro, Finlay disinfettòminuziosamente le piaghe, poi ricoprì tutta laschiena di garze imbevute di acido borico e riportòil bambino in cucina.7

A fine giornata il dottor Finlay sbrigò il suo giro divisite. Ma il protagonista non si preoccupò solo dicurare Josè, di disinfettare e ripulire le ferite, infineegli si occupò forse del problema più grande:trovargli una casa. Alla fine il bambino fu affidatoa Janet, l'anziana domestica del dottor Cameron.Finlay rese così felici due persone: Josè da un latoche tanto desiderava una famiglia che gli volessebene, Janet dall'altro che tanto desiderava un figlioda amare. Dalla stesura de La Cittadella al DottorFinlay sono passati quarant'anni e questo episodio,a parte l'evidente tematica sociale, riflette come ècambiata la percezione e considerazionedell'infanzia da parte della società del tempo. Ilbambino è diventato importante, essere prezioso dadifendere e tutelare e in questo caso salvare da unasituazione di forte disagio. Ma una volta non eracosì: “E' difficile oggi credere quanto fosse untempo trascurata la patologia infantile, tanto chenei diari settecenteschi il solo accenno ai bambinisi ritrova solo nel contesto di situazionicatastrofiche, quali le epidemie di vaiolo o singolicasi di difterite terminale di bimbi particolarmenteamati, poiché era la società stessa a restare quasi

indifferente davanti all'elevato tasso di mortalitàinfantile.”8

La professione medica nell'evoluzione storica e

sociale

L'evoluzione della medicina è stato un camminolungo e pieno di speranze, fatto del lavoro di ognigiorno, di diagnosi e terapie, segnato dal rapportocon i pazienti e dall'opinione della collettività. Unmondo che, come abbiamo visto, ha affascinato gliscrittori: ma qual era la realtà che il medico,nell'Ottocento e soprattutto nel periodo storico cheha fatto da sfondo ai romanzi di Cronin, cioè laprima metà del Novecento, affrontava giorno dopogiorno?L'Ottocento è stato il secolo della rivoluzioneindustriale. La fisica, la matematica e la chimica lafacevano da padrone in un mondo sempre piùdominato dalla macchina e in corsa verso ilprogresso: di conseguenza la medicina si èritrovata sempre di più a doversi confrontare con lenuove acquisizioni di queste discipline.Inoltre il XIX secolo si aprì con gli studi di Bichatsui tessuti, e di Schleiden e Schwann sulle cellule.Si era compreso che la cellula era la strutturaelementare della vita tanto che venne considerata“la sede dei fenomeni vitali che si svolgono graziealla sua complessa organizzazione.”9 Le nuovescoperte, lo stupore di confrontarsi con realtàpressoché invisibili ad occhio nudo, spinsero acontinuare le ricerche e favorirono l'affermarsi disempre più moderne teorie. “Ma nonostante gliinteressantissimi spunti teorici, l'applicazionepratica di questi studi e di queste scoperterimaneva difficoltosa per molto tempo e quasiinefficace allo scopo terapeutico.” 10

Tale situazione e l'avversione da parte di medici esoprattutto intellettuali del tempo versol'interpretazione dal punto di vista meccanico escientifico della vita, furono fra le cause checonsentirono ai medici di attardarsi nelle vecchieconcezioni per tutto l'Ottocento.Il “medico tradizionale”

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L'Ottocento è il periodo storico nel quale EdwardShorter, nel suo interessante libro La tormentatastoria del rapporto medico paziente, colloca lafigura del “medico tradizionale” come lui lodefinisce. Il “medico tradizionale” è, secondol'autore, legato ancora a teorie tipo quellesettecentesche del vitalismo o dei sistemi. Teorieche infatti si attardarono fino agli inizi del XIXsecolo.11

Come lavorava il medico tradizionale? E inoltrecosa pretendevano i suoi pazienti? Il lorocomportamento è cambiato nel corso dei secoli?Innanzitutto il medico tradizionale, collocabilestoricamente fino alla metà del XIX secolo,dedicava molto tempo alle visite domiciliari. Nel1 800 un medico poteva visitare lo stesso pazienteanche tre o quattro volte al giorno, trattenendosi alungo in casa a parlare con i parenti. L'esame delmalato iniziava con l'anamnesi, cioè con la storiadelle condizioni di salute e di vita di un malato edei suoi precedenti familiari. Ma nel lavoro delmedico tradizionale l'anamnesi poteva essere moltolunga e dettagliata, risalendo, se necessario, allafanciullezza del paziente. Infatti essa eraimportante, più della visita diretta, per “stimarecon maggiore precisione il grado di morbidezzadelle fibre o quello di irritabilità dei nervi, aseconda del sistema sanitario adottato dal medicoin questione.”12

Ma tutto questo anche perché all'epoca sembra nonavessero molta importanza, al contrario di oggi, lavisita organica e gli esami di laboratorio. Quindil'anamnesi era considerata come fondamentale perla diagnosi e la terapia, invece la visita diretta “siriduceva all'esame del polso e della lingua.”13

Come diagnosi il medico tradizionale si limitava anominare soltanto il sintomo principale, nome checomunque poteva cambiare in base ad altri datidiagnostici.Il trattamento di solito si basava sull'evacuazionedi liquidi ottenuta o mediante purganti, oppuremediante l'apertura di una vena eseguita con unostrumento chiamato lancetta. Questo stessostrumento chirurgico diede il nome alla rivistamedica inglese The Lancet pubblicata la prima

volta nel 1 823.14 Lo stesso Andrew Manson ne LaCittadella trovò il suo primo impiego grazie agliannunci posti in questo periodico.Ma certamente nella valigetta del dottore nonpotevano mancare diversi farmaci e altri rimedi.Molto in voga erano i cosiddetti “tonici universali”a base di erbe o altre sostanze, di solito preparatidallo stesso medico che aveva anche la licenza difarmacista. La fortuna di questi tonici era dovutaspecialmente per la convinzione che diversi malierano causati da una sorta di “esaurimento delleforze”. Dopotutto ci troviamo in un periodo storicoin cui è ancora diffusa la sottoalimentazione,quindi molte persone debilitate cercavano ilrimedio giusto per ripristinare le forze perdute.Altro rimedio importante era l'alcol. Ritenuto cosìefficace contro le affezioni dell'apparatorespiratorio a tal punto che alcune fonti citate dallostesso Shorter riportano come il Bellevue Hospitaldi New York City nel 1 866 acquistò ingentiquantitativi di prodotti come il whiskey, il brandy,gin e birra. Non che il medico ottocentesco nonavesse rimedi efficaci e validi, oggi come allora,come ad esempio il chinino, utile contro lamalaria.

Il “paziente tradizionale”

Anche il paziente ottocentesco, definibile ancheegli “tradizionale”, è degno di alcuneconsiderazioni. In quel periodo i pazienti non sipresentavano così sovente dal medico come oggi,poiché ritenevano malattia solo le sintomatologiepiù allarmanti che gli rendevano difficile la vita diogni giorno: erano davvero pochi quindi queisintomi a causa dei quali il paziente dell'Ottocentoavrebbe richiesto l'intervento di un medico.Comunque ci troviamo in un momento storico nelquale la figura del medico non era ritenuta così diprestigio come oggi, specialmente negli StatiUniti. Di solito il medico affiancava la professionea quella di farmacista e comunque doveva semprecombattere contro la forte concorrenza deiciarlatani che tanto incuriosivano l'orecchio delpubblico. Per alcuni medici, specialmente se non sitrattava di specialisti importanti, risultava

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addirittura difficile l'essere pagati, data“l'immaterialità del favore elargito.” 15

Divertente e ironica è la reazione di un padre allanotizia che il figlio vuole intraprendere gli studi dimedicina: “E il pensiero di mio figlio che se ne vain giro di casa in casa... con una scatoletta dipillole in una mano (...) è un pensiero che non avreimai supposto di dover sopportare.”16

Il “medico moderno”

Questa situazione cominciò a cambiare con lasviluppo della teoria dei germi. Da tempo circolaval'idea che all'origine di alcune malattie si potesserotrovare dei microrganismi, ma il concetto risultavaparadossale agli occhi degli studiosi perché sisarebbe dovuto ammettere che esseri viventi,appartenenti a regni diversi da quello dell'uomo,potessero essere a lui patogeni. Furono gli studi diPasteur sulla fermentazione nel 1 858 a confutaretesi ancora accettate all'epoca come quella dellagenerazione spontanea.La teoria dei germi, e la sua applicazione tramitel'asepsi e l'antisepsi, consentirono alla medicina ungrande balzo in avanti sia nella clinica che nellachirurgia. Quelli furono proprio gli anni in cui siriuscì ad identificare la maggior parte dei germicausa di malattie infettive: pensiamo agli studi diKoch che nel 1 882 individuò il bacillo responsabiledella tubercolosi.La chirurgia rinnovò profondamente sia i suoistrumenti che i suoi metodi. L'anestesia e le nuoveprocedure di igiene, per scongiurare il pericolodelle tanto temute infezioni, permisero ai chirurghidi eseguire operazioni sempre più complesse e inparti del corpo considerate “santuari” quali eranocranio, torace e addome.17

Furono queste ultime scoperte che influirono inmodo definitivo nell'evoluzione della professionemedica agli inizi del 900. La scienza cominciò adessere universalmente accettata non solo presso glistudiosi, ma anche dal grande pubblico, rimastoestasiato dal progresso tecnologico di quegli anni.Ovviamente fu un passaggio graduale, somma ditutte quelle innovazioni protrattasi negli anni, ma

fu comunque il medico appena laureato di allorache mostrava in modo lampante i segni delcambiamento, proprio come il dottor Manson diCronin.Quello che cambiò nella professione medica elasciò il passo al medico cosiddetto “moderno”, fula capacità di formulare quanto più possibile“diagnosi esatte”. Ciò non voleva dire che ilmedico riuscisse sempre a curare, la penicillinainfatti fu scoperta solo nel 1940, ma egli semprepiù spesso riusciva a rendersi conto della natura delmale.Ma questo non fu solo frutto delle nuove possibilitàtecniche in campo diagnostico, quali percussione eauscultazione e dei vari esami di laboratorio, madal fatto che l'atto diagnostico, divenne un vero eproprio “procedimento esplorativo che avanza percongetture e confutazioni” creando un “dialogo,spesso rapido, tra le ipotesi proposte dal medico ele osservazioni disponibili o reperibili.”18 In praticavaleva sempre di più il concetto che la diagnosiclinica fosse una vera e propria proposizionescientifica. Comunque tutto questo non deve farpensare ad un metodo arido, asciutto, tecnico, nelladiagnosi clinica non doveva mai mancare quel latointuitivo, istintivo, alogico: “La storia del soggetto,la somma di sintomi e segni, l'andamento dellamalattia, messi insieme, dovevano permettere tuttele spiegazioni possibili, ma spesso si dovevanocombinare metodo deduttivo ed intuizione.”19

Nella pratica quotidiana, il “medico moderno”andava molto più in là del semplice esame a vista,della semplice denominazione del male, il dottoreeseguiva “una lunga ed esauriente anamnesisistematica caso per caso, catalogava ogni sintomo,elencava tutte le malattie che l'insieme dei sintomipotesse suggerire e, infine (…) decideva se e qualeaffezione fosse presente nel caso specifico.”20

Proprio questo nuovo modo di lavorare, anche seadattato al ritmo narrativo, è ripreso nel libro LaCittadella di Cronin. L'autore fa notare come ildottor Manson guarda l'ammalato, come lo osservaper cercare le cause del male. Un esempio ci è datoda un episodio che vuole il dottor Manson a casa di

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un paziente del suo collega il dottor Bramwell. Ilmalato si chiamava Hughes e aveva da pocomanifestato degli improvvisi scatti di violenza. Ildottor Bramwell riteneva che il malato fosse affettoda un “inequivocabile disturbo mentale grave.” MaManson voleva vederci più chiaro, si domandava:“Perchè Hughes era ridotto in quello stato? Non siperde la ragione senza un motivo.”Una ragione ci doveva essere. Non v'è sintomosenza determinante. Scrutando i lineamenti enfiati,in cerca di una possibile soluzione dell'enigma,Manson allungò istintivamente la mano e palpò ilgonfiore, notando, nel subcosciente, come lapressione delle dita non lasciasse alcun segnosull'edema. Di botto un lampo gli traversò ilcervello. Per quale ragione il gonfiore non cedevasotto la pressione del dito? Intravide la risposta, e ilcuore gli diede un gran balzo: perchè non era unedema, ma un mixedema.Certo, perdio, certo! Un momento. Andar coi piedidi piombo. Non far le cose al precipizio. Confermezza si dominò.Si chinò, sollevò la mano del paziente. La pellearida, sicuro, e ruvida; le dita leggermente gonfiealle estremità; la temperatura subnormale. Finìmetodicamente il suo esame, respingendo ad unaad una le ondate di entusiasmo che lo assalivano.Ogni singolo indizio aveva una stretta rispondenzacon tutti gli altri, come i singoli pezzetti di legno diun rompicapo.21

In ogni caso riguardo la terapia il medico modernonon poteva fare molto di più rispetto al medicotradizionale. È vero che aveva maggiori possibilitàdi controllare il dolore, pensiamo alla morfina(1844), e aveva tanti nuovi farmaci a disposizione,come l'aspirina commercializzata dalla Bayer nel1 899, ma i grandi passi della farmacologia eranoancora là da venire. Eppure l'azione congiuntadella messa in commercio di tanti nuovi farmaci,con l'importanza data ai nuovi sussidi diagnostici,portarono l'opinione pubblica ad aver molta piùfiducia nel dottore come uomo di scienza.

Il “paziente moderno”

Fu forse il mutato atteggiamento dei pazienti lavera rivoluzione di quegli anni.Il tipico paziente moderno comincia a prestaremolta più attenzione ai segnali inviati dal propriocorpo, assimila il concetto di prevenzione a voltein maniera smisurata: ad esempio “dopo il 1 900milioni di persone presero a preoccuparsidell'apparato cardiovascolare, soprattutto aproposito della pressione sanguigna.”22 Ormai ilpaziente moderno riteneva malattia una più altapercentuale di sintomi. Per esempio, seconsideriamo le malattie da raffreddamento “nel1947 i medici della zona di Sheffield (città delRegno Unito) avevano curato il 41 per cento deiloro pazienti per affezioni alle vie respiratorie,mentre un secolo prima, nella stessa zona, 'lemalattie delle vie d'aria' non assommavano a piùdel 30 per cento dell'intera casistica.”23 Senzacontare che più si trattava di persone dal tenore divita alto, più essi si sentivano malati.Infine la fiducia verso la nuova farmacologia,verso le nuove tecniche diagnostiche, e quindi neiconfronti del medico, consentono a quest'ultimo unvero e proprio salto nella scala sociale.Il medico, sia in campagna come in città, diventauna autorità simile a quella del prete, prestigio chea seguire venne sfruttato a fin di bene per tuttequelle battaglie sociali che si dovettero affrontarenel corso del XX secolo.Ma non solo, l'autorità e il prestigio del dottorepoteva essere importante anche nella routinequotidiana: si avvertì sempre di più il poteretaumaturgico della visita medica.Ci troviamo in un momento in cui gli studi medicicominciano ad essere sempre più affollati ed ilmedico capisce come diverse malattie lamentatedai suoi pazienti, in realtà celino problemi occultidella psiche. Ebbene solo la visita medica, senzal'ausilio di medicine, strumenti o altro, potevaavere un effetto catartico sui pazienti. “Giàsoltanto con lo sfogo personale scomparivano iconflitti e le ansie che erano causa delle sofferenzeorganiche. Era dunque questa possibilità di

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sfogarsi che faceva spegnere gli interruttori occultidella psiche, poiché era attorno alle spalle delmedico che a quel tempo si drappeggiavano i velidella medicina scientifica e dell'alto rangosociale.”24

Il senso della professione medica: un mistero

tramandato da migliaia di anni

Il cammino della professione medica naturalmentenon si è affatto concluso qua: altrettanto numerosisono stati cambiamenti in ambito sia scientificoche sociale del secolo appena trascorso.Comunque specialmente a noi giovani studenti dimedicina spesso ci viene chiesto di riflettere setutta questa scientificità sia solo un vantaggio. Nonc'è forse il rischio che il medico di oggi abbiaperduto la capacità comunicativa presente nelmedico del passato?È vero anche che i medici “moderni e scientifici”del XX secolo sono stati quelli che hannocominciato a dar battaglia contro la miseria,concausa di tanti disastri. Ma è anche vero ilpericolo che un medico troppo scientifico comincia ritenere “il malato come una macchina avariata,di cui bisogna identificare i pezzi guasti edaggiustarli, che riduce l'antropologia alsomatico.”25

È evidente come spesso si presentino casi dipersone i cui disturbi biologici non siano altro che

ansie, paure, voglia di sfogarsi. Non sarebbemeglio per questi pazienti una buona chiacchieratacol dottore invece di dar subito parola ad esamispecialistici, di laboratorio, reperti diagnostici?A volte leggiamo la storia della medicina pensandoche tutte le azioni, le cure, le teorie dei medici pre-scientifici siano solo disastri. Io riconsiderereiquesta idea perché penso che se davvero lamedicina da migliaia di anni a questa parte avesseprocurato solo guai, sicuramente la professione delmedico oggi non esisterebbe più: semplicementenon ci sarebbe mai stata tramandata.Allora cosa faceva di buono il medico “classico etradizionale”? Sicuramente cercava di stare vicinoal malato, prestargli conforto e ascoltarlo senzadimenticare che “la parte rimanda al tutto, l'organomalato all'individuo malato, l'individuo malato alsuo ambiente, che è anche l'ambiente del medico.(…) Sotto questa spinta ricompositiva,'ippocratica', le diagnosi sono operazioni di sintesi,tendenti a ricomporre gli aspetti particolaristici inun quadro di insieme, e le terapie non si giocanotra successo e insuccesso, ma tra partecipazione,guarigione e aiuto.”25

Corrispondenza: F. Pirracchio,e-mail: [email protected]

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Bibliografia

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F. Pirracchio

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Coordinatore S. Polvani

Interventi

S. Polvani, A. Zuppiroli, A. Sarti, F. Biondi, I. Sarmiento, F. Trentanove."Medicina basata sulla narrazione in cardiologia"A. E. Gentile, I. luzi, M. De Santis, D. Taruscio"Medicina Narrativa e malattie rare: l'esperienza del Centro Nazionale MalattieRare"G. Natalucci"La comunicazione con il paziente all'interno del sistema delle cure"S. Marcadelli"Narrative based medicine e la medicina di genere"A. Virzì, O. Bianchini, S. Dipasquale, G. Previti, M. S. Signorelli"Storie di medici e pazienti"S. Spinsanti"L'ascolto che guarisce"

"La Narrazione clinica della malattia".Simposio V Forum Risk ManagementArezzo, 24 Novembre, 2010ATTI

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Medicina Narrativa N.1 2011

Medicina e Narrativa: una coppia possibile?

S. Polvani*, A. Zuppiroli** A. Sarti***F. Biondi*, I. Sarmiento*, F. Trentanove** Educazione alla Salute, ASL 10 Firenze** Direttore Dipartimento Cardiologia ASL10Firenze*** Primario Terapia Intensiva ASL10 Firenze

Il progetto NaMe: medicina e narrazionenella Azienda Sanitaria di Firenze“Non molti decenni fa, in un’epoca ancorascarsamente tecnologica, gran parte delleinformazioni su cui il medico basava ipotesidiagnostiche e interventi terapeutici emergeva dallastoria clinica del malato. […] La cosiddettaanamnesi dei vecchi trattati di semiotica non silimitava alla raccolta dei dati clinici, ma siallargava alla conoscenza del mondo del paziente,dei suoi rapporti familiari e sociali, delle sueconvinzioni personali in tema di salute e malattia:era di fatto una narrazione (Bert, 2006).Successivamente il progressivo e tumultuososviluppo di strumenti diagnostici sempre piùraffinati e di terapie più efficaci ha per una trentinad’anni quasi cancellato del tutto l’ importanza diquelle storie cliniche e la relazione con il pazienteera spesso percepita come secondaria.Di conseguenza, negli ultimi decenni si è assistitoal graduale sviluppo della Medicina Basata sullaNarrazione, soprattutto in ambito statunitense,dove sono nati corsi universitari specifici diNarrative Based Medicine (NBM). La NBM come è stata successivamente denominata perdistinguerla dal paradigma dominante dellaEvidence Based Medicine (EBM) si è

inizialmente sviluppata all’ interno della HarvardMedical School, dove predominavano l’approccioermeneutico e fenomenologico. I punti diriferimento della NBM sono, infatti, ArthurKleinman (1980) e Byron Good (1999), secondo iquali la medicina è un sistema culturale, vale a direun insieme di significati simbolici che modellano ilvissuto del malato. Kleinman (1988), non a caso,distingue la malattia in disease e illness. Perdisease intende la malattia in senso biomedico,quindi, una lesione organica o un’aggressione daagenti esterni, mentre con illness indica il vissuto,l’esperienza soggettiva della malattia. Lanarrazione della malattia riguarda questo secondocostrutto: le “storie di malattia” costituiscono lanarrazione del vissuto soggettivo dell’ individuo,ciò che per lui costituisce la “sua malattia”.Preferenze, valori, convinzioni, abitudini,emozioni del malato rappresentano un’ampia areache, pur non essendo Evidence Based Medicine,tuttavia riveste un’importanza primaria, in quanto“non conoscere il mondo del malato e della suafamiglia può avere effetti drammatici per lacostruzione di un’alleanza terapeutica. […] Il solomezzo per esplorare il mondo del paziente è l’usoabile della narrazione”. (Bert, 2006).“Il malato ha un sapere: il sapere che egli possiede

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è il suo vissuto e questo è insostituibile” (Elli,2006).“La comunicazione col paziente secondo la mialunga esperienza clinica è la fase più importantedell’ incontro medico-malato, è perfino […] piùutile […] dell’esame obiettivo […] ed infine èessenziale per impostare la cura del malato”(Beretta Anguissola, 1 989).Quando narriamo, diamo significato alla sequenzadi eventi che compongono il racconto e rendiamoesplicito il significato che vi attribuiamo (BassaPoropat et al. , 2003).Un interrogativo sul quale sembra interessanteinvestire è quanto l’utilizzo delle “storie dimalattia” possa contribuire all’umanizzazione, almiglioramento della qualità delle cure eall’appropriatezza dei percorsi di assistenza aipazienti.Nel 2003 uno studio pilota condotto in GranBretagna su pazienti cardiopatici nell’ambito del“Coronary Heart Disease Collaborative andCritical Care Programme”dalla NHSModernisation Agency (Wilcock et al. , 2003),evidenzia come le narrazioni raccolte dai malati edai loro familiari abbiano costituito la base per lacostruzione di progetti di miglioramentodell’assistenza sanitaria.

I progetti narrativi

Nel 2004 l’Azienda Sanitaria di Firenze ha avviatoun percorso di medicina narrativa dapprimapromuovendola in formazione degli operatori, perpoi concentrarsi su tre gravi patologie: oncologica,cardiologica e morbo di Alzheimer costruendo ilprogetto NaMe.Il primo obiettivo di NaMe è stato costituire ungruppo, all’ interno dell’Azienda Sanitaria diFirenze, per promuovere l’ integrazione dellanarrazione clinica della malattia, dal punto di vistabiomedico (disease), con quella elaborata daipazienti e dai familiari (illness).Il secondo obiettivo è stato integrare leinformazioni rilevate attraverso gli strumenti dirilevazione quantitativa (questionari disoddisfazione), con le indicazioni ottenute dalle

narrazioni del paziente, al fine di produrreelementi di cambiamento qualitativo nei processidi cura.Il terzo obiettivo è di integrare le linee guida e icare paths esistenti con i suggerimenti raccoltinell’ascolto dell’esperienza del paziente.Sono state effettuate 30 interviste semi-strutturatecostruite per far emergere la storia di malattia delpaziente stesso ed il vissuto soggettivo delpaziente. Al fine di ottenere un quadrocomplessivo della storia di malattia dei pazienti,sono stati sondati i seguenti aspetti: momentodell’ insorgenza dei sintomi, strutture sanitarie diriferimento, esperienza dell’ intervento, fattori dirischio del soggetto, eventuali problemi di salutepregressi, rapporto col medico di famiglia e congli operatori sanitari in genere, aderenza alleprescrizioni mediche ed al programma diriabilitazione, incidenza della malattia sulla qualitàdella vita, eventuali effetti collaterali della terapiafarmacologica, reti sociali presenti.Alle narrazioni è stata applicata un’analisi dicontenuto (Frake, 1 962), al fine di ricostruire lamappa cognitiva complessiva utilizzata daisoggetti nell’ambito della propria cultura, peraffrontare l’evento malattia ed il percorso di curesuccessivo, cioè la “rete semantica della malattia”(Good, 1994). La mappa cognitiva individua,infatti, le conoscenze soggettive, ossia elementi divalutazione e giudizi personali.Alla luce degli incoraggianti risultati ottenuti dalprimo progetto, nel 2010 è stato lanciato incontinuità il progetto NaMe2, attualmente in fasedi conclusione.Gli obiettivi di questo secondo progetto erano:- definire e sperimentare un modello di NBM;- definire e adottare un sistema di KnowledgeManagement;- organizzare e gestire un sistema di formazione,finalizzato all’evoluzione e diffusione del modellostesso.I partecipanti alla sperimentazione sono pazientiaffetti da patologie cardiache croniche condiagnosi di infarto del miocardio o scompensocardiaco.

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Il progetto prevede tre stream.Il primo è finalizzato al miglioramento delle abilitàcomunicative dei medici e del personale sanitariotramite un’analisi degli stili comunicativi di medicied infermieri e un percorso di addestramento alcolloquio. Il secondo stream è dedicato allaraccolta delle narrazioni di malattia da parte deipazienti, con particolare attenzione per l’aspettocomunicativo e la compliance terapeutica. Infine,l’ultimo stream si occupa dell’analisi dellenarrazioni dei pazienti, al fine di individuare lapercezione di qualità dei servizi sanitari da partedegli stessi.Inoltre nell’ambito del progetto NaMe 2 abbiamoavuto opportunità di rendere manifeste alcunestorie di malattia e cura nell’ambito della terapiaintensiva.

Conclusioni

Una visione globale ed olistica della medicinapresuppone l’ integrazione di EBM e NBM, al finedi migliorare la qualità delle cure, l’appropriatezzadei percorsi di assistenza, l’aderenza terapeutica e,non ultima, la qualità della vita dei malati, inparticolare nell’area della cronicità. I due progettiNaMe si inseriscono nella logica di integrare laEBM con la NBM cercando di promuovere lacontinuità assistenziale e la centralità dellapersona, senza dimenticare l’esigenza diformazione continua degli operatori sanitari.In un mondo sempre più basato sulle evidenzecome quello della biomedicina, è necessario che sicrei uno spazio per la NBM. Solo così saràpossibile restituire pienamente alla medicina la suanatura profondamente ermeneutica (Leder, 1 990),dove l’ incontro clinico diventi dialogo ecostruzione di significati condivisi.La “svolta narrativa” ha messo in evidenzal’ importanza dell’autonarrazione nel daresignificato alle proprie esperienze (Bruner,1 986/1988, 1 990/1992; Sarbin, 1 986), perchémentre rievochiamo un episodio, lo arricchiamo disensazioni, ma anche del significato che ha per noi(Schacter, 2001 ).

Inoltre, la narrazione aiuta colui che ha unamalattia a fare ordine, dare un senso alleesperienze, collocarle a livello spazio-temporale,divenendo così terapeutica; allo stesso tempo,aiuta il curante a conoscere la persona che hadavanti, per costruire percorsi di cura condivisi,migliorando, in tal modo, la compliance.I medici generalmente non sono stati formati agestire la comunicazione con il paziente e spessorimangono centrati sulla loro esperienza personalee, pur individuando i bisogni del paziente, nonpossiedono quelle risposte di atto sociale e dicomunicazione interpersonale che sono, quasisempre, controintuitive. Lo stile comunicativogeneralmente adottato rispecchia così i problemidel paziente e non sempre si adegua, comedovrebbe, ad una posizione terapeutica verso ilmedesimo.Autori vari, invece, studiando proprio la

comunicazione medico-paziente hanno rilevatocome le abilità comunicative del medicocontribuiscono alla comprensione che i pazientihanno della malattia, dei suoi rischi e dei beneficidel trattamento (Osterberg & Blaschke, 2005).Le abilità comunicative del medico sono un fattoreimportante nella realizzazione dell’aderenzaterapeutica dei pazienti, in quanto migliorano laricerca di informazioni cliniche e psicosocialiimportanti (Falvo & Tippy, 1988; Waitzkin, 1 985),coinvolgono il paziente nel processo decisionale(Charles, Gafni, & Whelan, 1 997; Greenfield,Kaplan, & Ware, 1 985; Guadagnoli & Ward,1998), permettono una discussione chiara subenefici, rischi ed ostacoli all’aderenza (Chewning& Sleath, 1 996; O’Connor, Legare, & Stacey,2003; Stewart et al. , 1 999), aiutano a costruire unrapporto di fiducia (Fiscella et al. , 2004) e fannosentire il paziente supportato ed incoraggiato, siaattraverso il linguaggio verbale che non verbale(Beck, Daughtridge, & Sloane, 2002).Investire sulla formazione in Medical Humanitiesappare, quindi, fondamentale per tutti gli operatorisocio sanitari.

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Medicina e Narrativa una coppia possibile?

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Medicina e Narrativa una coppia possibile?

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Corrispondenza: S. Polvani, e-mail: [email protected]

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S. Polvani et al.

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“Curare bambini con malattie oggi inguaribili,quali, ad esempio, l’ipertensione polmonare, non ècosa semplice. Soprattutto la cura e la capacità dicurare non dipendono solo dalle conoscenzetecniche, fisiopatologiche, farmacologiche, madalla consapevolezza, da parte del medico, delleproprie conoscenze, capacità, possibilità, cosìcome dei propri limiti culturali, tecnici, emotivi,caratteriali.Tale consapevolezza ha un valore essenziale nelmomento in cui ci si propone di curare pazientiche, oggi, non possiamo considerare guaribili eche, quindi, ci esporranno a insuccessi,complicanze, difficoltà di ogni tipo, seguendo unpercorso che potrà migliorare solo compiendoerrori e correggendoli.Un percorso che ci esporrà ad insuccessi edelusioni che andranno accettati e vissuti con laserenità che solo può derivare dal sapere di averfatto comunque tutto il possibile per questi malati.Anche perché questa è l’unica garanzia che allafine loro ci chiedono, ben sapendo che è anchel’unica che possiamo veramente offrirgli.

Chi chiede aiuto non chiede necessariamente ilrisultato, ma chiede la partecipazione al propriobisogno di cure.E noi medici le cure dobbiamo comunqueassicurare, senza fughe dal bisogno, né promessefalse, illusorie, od onnipotenti. Dobbiamo esserci,vicino ai pazienti, per curarli, sempre e comunque,per guarirli, se e quando possibile.”Un medico1

Le malattie rare (MR), come ad esempiol’ ipertensione arteriosa idiopatica, sono un ampiogruppo di patologie, caratterizzate da bassaprevalenza nella popolazione. Attualmente, nonesiste una definizione uniforme di malattia rara alivello mondiale. La maggior parte dei Paesidell’Unione Europea, tra cui l’ Italia, riconosconocome rara una patologia con una prevalenza nonsuperiore a 5 su 10.000 persone nell’ insieme dellapopolazione comunitaria.Le MR sono un gruppo eterogeneo di circa 7000-8000 patologie, prevalentemente di originegenetica, spesso gravi, croniche, invalidanti e

Medicina narrativa e malattie rare:l’esperienza del Centro Nazionale Malattie Rare

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A. E. Gentile, I. Luzi, M. De Santis,D. TaruscioCentro Nazionale Malattie Rare, Istituto Superiore diSanità

Medicina Narrativa N.1 2011

1Estratto da una narrazione presente nel database del centro Nazionale Malattie Rare dell'Istituto Superiore di Sanità

che raccoglie le storie di vita di pazienti, loro familiari, medici et al. nell'ambito delle malattie rare. (www.iss.it/cnmr).

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difficilmente diagnosticabili: considerarle nellaloro totalità e non come singole patologie, consentedi evidenziare problematiche assistenziali comunie progettare interventi di sanità pubblica checoinvolgano gruppi di popolazione accomunati dabisogni simili, pur salvaguardandone le specificità.Difficoltà e ritardi nella diagnosi, possibilitàterapeutiche risolutive scarsamente disponibili,cronicità e disabilità, ma anche solitudine eisolamento affliggono le persone malate e i lorofamiliari. Di contro, gli operatori socio-sanitarispesso vivono un senso d’impotenza di fronte aproblemi che possono sembrare insormontabili.Sul piano internazionale, negli ultimi anni, è statariconosciuta l’ importanza di un “approccio disanità pubblica globale”, in grado di rispondere aibisogni dei pazienti, dalla ricerca all’ integrazionesocio-sanitaria dei servizi, e sempre più attenzioneè stata data alle malattie rare, sia a livello europeosia nei singoli Paesi. Le iniziative in diversi settorie campi di esperienza si sono moltiplicate: dalladefinizione di politiche sanitarie per le malattierare a reti di sorveglianza e assistenza.In Italia, il Decreto Ministeriale 279/2001 ,“Regolamento di istituzione della rete nazionaledelle Malattie Rare e di esenzione dallapartecipazione al costo delle relative prestazionisanitarie, ai sensi dell'articolo 5, comma 1 , letterab), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 1 24”(Gazzetta Ufficiale n. 1 60 del 12-7-2001 - Suppl.Ordinario n.1 80/L) ha previsto la realizzazione diuna Rete nazionale costituita da Presidi,appositamente individuati dalle Regioni per laprevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e laterapia di tali patologie.La Rete nazionale per le malattie rare è costituitaformalmente dal Ministero della Salute,dall’ Istituto Superiore di Sanità, dalle Regioni, daiPresidi, dai Centri Regionali e Interregionali. Digrande importanza è il ruolo di informazione esostegno svolto dalle Associazioni di pazienti.Nel 2008 è stato istituito, con Decreto pubblicatonella Gazzetta Ufficiale n.1 57 del 7-7-2008, ilCentro Nazionale Malattie Rare (CNMR), direttodalla dott.ssa Domenica Taruscio, il quale si

inserisce nella Rete nazionale malattie rare,svolgendo attività di ricerca scientifica e di sanitàpubblica a livello nazionale e internazionale(www.iss.it/cnmr).

Il CNMR ha avviato molteplici attività nel campodella medicina narrativa, focalizzando l’attenzionesui diritti negati e sugli aspetti psicologici.“Prendere parola”, raccontare la propria storia divita significa aver coscienza di essere titolari didiritti e portatori di una cultura non vicariabile.L’ importanza della comunicazione - in diverseaccezioni - è evidenziata anche dalle Associazionidi pazienti con le quali il CNMR collabora indiversi progetti. Nell’ambito delle MR per laspecificità di tali patologie, è particolarmenteavvertito il bisogno di costruire relazionisignificative tra persone con malattia rara eoperatori socio-sanitari. Le Associazionirappresentano un punto di riferimento per ilconfronto e lo scambio di esperienze tra malati efamiliari.Le narrazioni di pazienti e familiari, nell’ambito diindagini sulla qualità della vita, sull’accesso aiservizi, sui bisogni possono contribuire a generareutili informazioni anche epidemiologiche. In taleambito il CNMR ha realizzato il progetto “Malattierare e medicina narrativa: integrazioni e contributinei progetti di salute pubblica, qualità della vita,accessibilità ai servizi socio-sanitari, formazione”,per promuovere una cultura della partecipazioneattraverso la raccolta di esperienze concrete.È nata così l’attività di raccolta e studio delle“narrazioni” nell’ambito delle malattie rare, conuna sezione apposita del sito web dedicata allacondivisione on-line di tali esperienze(www.iss.it/cnmr).I contributi, che possono essere in forma diracconto, poesia, disegno, fotografia, riguardano leseguenti aree tematiche:a) relazioni (es. medico/paziente/familiari/gruppodei pari);b) malattia (es. ricerca diinformazioni/diagnosi/accesso ai servizi/ricerca dicure/ospedalizzazione/sperimentazioni cliniche);

A. E. Gentile et al.

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c) qualità di vita (es. cammino verso l’etàadulta/autonomia vs dipendenza/gestione dellacronicità/attività lavorativa e/o scolastica/tempolibero/prospettive future).Lo studio delle narrazioni consente di rilevare lapercezione, da parte delle persone con malattierare, della propria qualità di vita e dei vissuti nelledifferenti fasi della malattia. L’analisi comparativadelle narrazioni di pazienti, familiari e operatorisocio-sanitari permette di conoscere e studiare laqualità delle relazioni e delle cure, al fine dievidenziarne le criticità.Le informazioni acquisite, nel rispetto dellanormativa vigente sulla privacy, sono prese inconsiderazione nella progettazione di futurimodelli di intervento di sanità pubblica.Il CNMR considera dunque di primaria importanzala Medicina narrativa e per questo ha individuatoin tale ambito, le seguenti aree di intervento:- documentazione: ricerca, analisi, monitoraggio epubblicazione OpenSource (DSpace) dellaletteratura nazionale e internazionale;- informazione e formazione: attività destinate aoperatori del Sistema Sanitario Nazionale e apazienti con malattie rare e loro familiari.I ricercatori sono impegnati nel costantemonitoraggio e studio della letteratura scientificanazionale e internazionale.Nel 2009, il CNMR ha aderito alla filosofia OpenSource, creando, in DSpace ISS, la Community“Rare diseases and orphan drugs”, in cui è presentela Collection “Narrative medicine”: la prima bancadati in Italia che raccoglie sistematicamenteabstract e citazioni di articoli scientifici, relativialla medicina narrativa, pubblicati su fonti esterne(riviste, atti di convegni, rapporti tecnici,monografie, ecc.).La Collection “Narrative Medicine” e, in generale,la Community “Rare diseases and orphan drugs”rispondono alla politica di promozione dicollaborazione e condivisione delle conoscenze nelmondo delle malattie rare promossa dal CNMR.Dal 2009, il Centro Nazionale Malattie Rareorganizza il Convegno nazionale annuale“Medicina narrativa e malattie rare”, con

l’obiettivo di favorire l’applicazione dellamedicina narrativa al settore delle malattie rare,promuovendone la diffusione tra i professionistidell’ambito sanitario e sociale. Giunto alla suaterza edizione consecutiva (ISS, Roma, 1 3 giugno2011 ), l’evento offre l’opportunità di presentare,confrontare e diffondere le ricerche e gli studi chesi avvalgono delle potenzialità conoscitive eoperative della medicina narrativa.

Nella società civile, nonostante l’ impegno delleIstituzioni, ci si dimentica frequentemente chemigliaia di cittadini convivono con una malattiarara e che, dietro ogni singola patologia, ci sonopersone, storie di vita, famiglie che condividono inmodo quasi sempre totalizzante tale condizione.Il CNMR, per garantire visibilità e spazi diespressione a persone con malattie rare, dal 2009organizza ogni anno il Concorso artistico-letterario, “Il Volo di Pegaso”.Il Concorso è stato articolato in diverse sezioni,ognuna delle quali è valutata da una giuria dicritici ed esponenti del mondo artistico, letterario escientifico. Il tema della malattia è affrontato dadifferenti punti di vista: solitudine, sofferenza, maanche speranza e dignità.Dall’esperienza del laboratorio di medicinanarrativa del CNMR è nato anche il progetto"Sulle Ali di Pegaso" realizzato dall’ IstitutoSuperiore di Sanità, per parlare delle malattie raree sensibilizzare le Istituzioni affinché questepatologie diventino una priorità in sanità e nellaricerca, ma non solo.In tale ambito sono stati ideati e realizzati dueprodotto di comunicazione dall’omonimo titolo:“Controvento. I malati rari raccontano solitudine ecoraggio” di Mirella Taranto e Domenica Taruscio,un volume edito a cura dell’ Istituto Superiore diSanità che raccoglie nove testimonianze dimalattia, e “Controvento. Sei autori teatraliraccontano le malattie rare”, uno spettacoloteatrale, con la regia di Paolo Triestino, costituitoda sei atti unici di autori contemporanei e ispirati astorie vere e testimonianze dirette, messo in scenaa Roma e altre città italiane.

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Grazie alla collaborazione del Ministerodell’ Istruzione, Università e Ricerca, volume espettacolo approderanno nelle scuole per trasferireall’ interno delle aule il tema "malattie rare",stimolando la creatività degli alunni su questacomplessa problematica e favorendo alcuni pilastridell’educazione alla convivenza civile, qualil’ integrazione e la comprensione del "diverso".

La realtà delle malattie rare spesso chiude pazientie familiari in un cerchio di isolamento e avvolgegli operatori in un senso di impotenza.La medicina narrativa può consentire di uscire daquesta empasse: è uno strumento utile in ognicampo della medicina, ancor di più nelle malattie

rare.Affrontare le malattie, in specie quelle rare, sia sulpiano personale sia su quello professionale,significa tenere sempre presente sia l’aspetto del“disease” – le conoscenze cliniche delprofessionista- sia quello dell’“illness” – il vissutosoggettivo del paziente sulla malattia. A talproposito, concludiamo parafrasando E.H. Erikson(1964): “Un buon medico sa… che la sofferenzadel paziente è più estesa del suo sintomo, e lo statodi malattia più ampio di un dolore localizzato o diuna disfunzione. Come un paziente disse:“Dottore, il mio intestino è pigro, i miei piedidolenti, il mio cuore sobbalza… e lei sa, Dottore,nemmeno io mi sento poi molto bene”.

A. E. Gentile et al.

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Bibliografia

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Corrispondenza: D. Taruscio, e-mail [email protected]

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L’ UOC URP dell’Azienda Ospedaliera SanCamillo Forlanini è da anni impegnata inprogrammi di ricerca sui vissuti di cura e dimalattia attraverso interviste per far affiorare ilpunto di vista del malato, i suoi pensieri, le sueattese, le sue paure.Il progetto di ricerca sui vissuti di malattia e di curaintende far emergere le emozioni e le percezionisul sistema delle cure in rapporto al modo checiascuno ha di sentire la “propria” malattia.L’ intento è stato quello di favorire, attraverso unapproccio metodologico di tipo qualitativo, unarappresentazione dell’esperienza vissuta dai malatipiù significativa, di quanto non emerga con ilsistema di valutazione quantitativo. Infatti nelprimo caso la metodologia favorisce“l’ immersione” nei vissuti personali, a discapitodella significatività statistica del campione; nelsecondo caso si ottiene un panorama di percezionipiù ampio e valido sotto il profilo statistico, mascarsamente rappresentativo del vissuto di malattiae di cura.Il senso dell’ indagine sulle narrazioni di malattia inun contesto ospedaliero, nasce dall’ incontro tra duesensibilità per un medesimo oggetto: da un lato lapratica medica e la sua capacità di risolvere i

problemi di salute della popolazione, dall’altrol’attenzione ai vissuti, alle percezioni, allerappresentazioni simboliche dei concetti di salute /malattia. Tale approccio, dando vita ad un sistemadi comunicazione empatica tra operatori, pazienti efamiliari che persegue una sistematicaumanizzazione delle cure, consente lo sviluppo diuna medicina che non sia solo tecnica ma che sifaccia carico della persona nel suo complessoIl progetto di ricerca è partito nel 2006 ed haconsentito la raccolta di una vasta gamma disituazioni che sono state anche documentate condue video che descrivono vari momenti della vitaospedaliera vissuta dai pazienti. Ogni storiafornisce spunti di riflessione a tutti gli attori che nevivono quotidianamente la complessità.I video pongono al centro le emozioni profondeche accompagnano l’esperienza di malattia ecostituiscono un valido supporto per chiarire laforma e la sostanza di ciò che i pazienti siaspettano dalla relazione terapeutica. I video,insomma, vogliono stimolare una forma inedita dilettura dei bisogni e di rappresentazione degliuniversi simbolici tra gli attori che attraversano lascena: medici, infermieri, pazienti e loro familiari ecostituiscono un importante strumento di

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La comunicazione con il pazienteall'interno del sistema delle cure.

Direttore UOC URP S. CamilloForlanini Roma

G. Natalucci

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conoscenza riguardo all’applicazione dellemetodologie d’ indagine elaborate dall’antropologiamedica in grado di offrire prospettive e capacità dipenetrazione nuove, che si spera possanocontribuire a rendere coscienti gli operatoririguardo ai significati di malattia vissuti dagliinteressati e al contempo maggiormente efficaci lemodalità di intervento e di cura offerte dalla nostraSanità.Attraverso l’attenta ricostruzione del contesto incui si collocano i diversi protagonisti pazienti eloro familiari, delle relazioni esistenti fra di essi,dei rispettivi saperi e delle specifiche esperienze evalori, la medicina narrativa fornisce un quadrochiaro e rappresentativo della varietà delle istanzee dei punti di vista sulla natura e il senso dellamalattia. In particolare, portando alla luce i timori,le speranze, le aspettative, gli interrogativi, leemozioni e le interpretazioni dei pazienti, dei lorofamiliari, le parole degli interlocutori sottoposti adintervista, fanno emergere - al di là del processo dicura vero e proprio che costituisce il coredell’ intervento, tutta la gamma dei significati cheper essi assume l’evento di ricovero.Per quanto fondamentali – e inevitabilmente

prioritari – siano gli aspetti biologici della malattia,le interviste favoriscono l’emersione dei profondi edifferenti risvolti culturali e sociali, sui cui losguardo dell’antropologia può gettare una lucenuova. Lo dimostrano le diverse riflessioni suitemi delicati e dibattuti della definizione di cosasia la malattia e l’ idea di morte, ma soprattutto èevidente, attraverso le ricche e toccantitestimonianze dei malati, la vasta gamma divariabili intorno al corpo, ai suoi componenti, allasalute e alla malattia, all’ identità individuale, alladipendenza dalle attrezzature e dai presidi dellamedicina.La natura tragica degli eventi di malattia, lamalignità del male, i suoi significati simbolici,offrono uno spaccato culturale sull’ interpretazioneprofonda che le persone danno della propria salute,della perdita della stessa, dell’ incontro con unevento infausto secondo gradi di gravitàculturalmente e antropologicamente densi disignificato.

Corrispondenza: G. Natalucci,e-mail:[email protected]

La comunicazione con il paziente...

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La narrazione è un esempio di come le personestrutturano linguisticamente il loro mondo e nericostruiscono il senso: questo è soprattutto veronella storia di malattia. Per questo motivo, talemetodo fornisce strumenti di particolare interesseper le scienze sociali e, in questo specifico, per lamedicina e l’assistenza infermieristica.Riconoscere che anche le storie personali, leemozioni, le percezioni soggettive, leinterpretazioni, i significati di malattia possonoessere oggetto dell’attenzione dei professionistisanitari, significa entrare nella prospettiva delprendersi cura della persona, e significa, inoltre,acquisire una concezione di malattia allargata cherimanda alla malattia come dimensione biologica(disease), ma anche all’esperienza vissuta dellapersona (illness), ma anche ai significati soggettivi(sickness); questa prospettiva consente di prenderein considerazione le emozioni, i desideri, leaspettative ed il contesto sociale dell’ individuo.Tutto ciò significa ricorrere, ad integrazione diquello tradizionale, a un approccio anchequalitativo nell’assistenza al paziente,introducendo nuovi strumenti per indagare lamalattia come esperienza esistenziale in cuiricercare significati.

Affiancare questa prospettiva a quellatradizionalmente intesa, significa far entrarel’alterità nella relazione assistenziale a partire dallaquale costruire un progetto terapeuticopersonalizzato e condiviso. L’altro, il malato, non èun semplice oggetto sul quale applicare il saperedelle scienze, ma è portatore di significatiall’ interno della relazione, che derivano propriodalla complessa rete di rappresentazioni esimbologie che fanno parte della sua storia(Zannini, 2004).Ma la medicina narrativa non si riduce ad unasemplice ricezione di una storia di malattia;richiede competenze “interpretative”, ossia diattribuzione di significato e soprattutto capacità dirispondere narrativamente a tali storie (Zannini,2008), infatti la narrazione non è mai il prodottodel solo soggetto narrante, ma è una co-costruzionetra chi racconta e chi ascolta.Una caratteristica fondamentale delle storie è cheesse danno forma alla realtà, attraverso unprocesso in cui chi racconta e chi ascolta hannopari importanza. La narrazione chiama, infatti, aduna reciprocità, ossia una co-costruzione dellastoria. Questo significa che, in questa prospettivaconoscitiva, non può esistere un uditore-

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S. Marcadelli*, G. di Taranto***Coordinatore Pediatria, Asl di Matera,**Responsabile Centro Studi Formazione e Qualità AslMatera

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osservatore distaccato dal processo di costruzionedella conoscenza: uditore e narratore, comesoggetto conoscente e soggetto conosciuto,concorrono entrambi alla creazione del significato(ivi).L’ importanza dell’approccio narrativo si realizzanel fatto che vi è una consolazione nella narrativache non è data dalla felice conclusione delracconto, bensì dalla conoscenza della situazioneche, una volta resa comprensibile, diventasopportabile (Bruner, 1 991 ).Come detto, la narrazione chiama ad unareciprocità, ossia ad una co-costruzione dellastoria: questo significa che è necessario dimostrareinteresse, partecipazione consapevole e sincera,che occorre “vedere” con gli occhi dell’assistitoquanto si presenta ai nostri occhi di “coloro cheassistono”, cogliere i vissuti secondo unadimensione di comprensione e di vicinanza che sipuò instaurare solo nella dimensione dellacomprensione e vicinanza empatica. A partiredall’accoglienza, che sospende il giudizio(epochè), all’ascolto attivo, alla partecipazionevera e consapevole, la costruzione di “buone”storie di cura prevede l’esercizio dell’empatia.Quella dimensione di consapevolezza che ilsanitario, ma soprattutto l’ infermiere può attuaretenendo in considerazione quello che si sviluppastante la prossimità corporea e, per certi versi, lapurezza con cui si avvicinano le persone allasituazione assistenziale. È, infatti, interessanteosservare che nella relazione medico-paziente cipossono essere dei “vizi”, infatti molto spesso lacomunicazione con il medico viene sintetizzata, esvuotata di qualsiasi interpretazione poiché ilpaziente “ha appreso nel corso degli anni che ilmedico desidera di estrarre al più presto quelcoacervo di ipotesi e convinzioni, i fatti null’altroche i fatti (Bert, Quadrino, 2006, pag. 26)”, cosìche la sua narrazione nel momento dell’ incontrocol clinico, in ambulatorio o durante una visita,tende ad essere una drastica riduzione di ciò chevorrebbe dire a ciò che secondo lui al medicointeressa ascoltare. La situazione descritta puòessere vera anche per l’ infermiere. Tuttavia non è

infrequente che gli infermieri si pongano in unacondizione di vantaggio relazionale: proprio a loroè più facile che le persone raccontino in modo piùcompiuto sensazioni, dubbi, preoccupazioni edaspettative. Questo ultimo aspetto non deve esseresottovalutato, poiché la narrazione, che consente diindagare sulle aspettative, tiene in considerazioneil fatto che queste, a loro volta, giocano un ruoloprimario sul giudizio che il malato dà sulla qualitàdel servizio ricevuto (Giarelli, Maturo, 2003).All’ interno di una relazione, l’ identità di coloroche interagiscono è definita da una narrazione:ognuno si racconta a sé stesso ed agli altri in undeterminato modo. Così il paziente si racconta alprofessionista sanitario, e questa narrazione èpresentata come la descrizione vera e completa dicolui che la racconta.Però le narrazioni cambiano in rapporto al tempo,alla situazione emotiva, al contesto: ognuno di noiha molte, diverse identità tutte in qualche modovere e nello stesso tempo tutte provvisorie. Lamalattia tende a bloccare il paziente in unanarrazione unica ed immutabile, che difficilmentela logica è in grado di smontare. In questo caso sirivela utile il supporto fornito al fine di aiutare ilpaziente ad esplorare altre e diverse narrazioni disé e ad individuare nuovi percorsi possibili (Virzì,Signorelli, 2007).La malattia diventa così una rete di prospettive,consentendo l’ incontro e un dialogo che fannodiventare le “storie di malattia” “storie di cura” acostruzione congiunta dell’assistenza sanitaria(Charon, 2001 ).La narrazione, nel contesto delle cure mediche edell’assistenza infermieristica, sta acquistando unruolo d’importanza crescente come metodo perindagare, fare ipotesi, come punto di incontro traprofessionisti che partono da impostazioniconcettuali e tradizioni di pensiero diverse.Dunque la narrazione non è solo un modo diparlare che riguarda i pazienti, ma può divenireuno stile di relazione che riguarda anche ilrapporto tra sanitari (Virzì, Signorelli, 2007).Perché lo studio delle narrazioni? Le descrizionidella malattia ci forniscono una struttura per

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avvicinarci ai problemi dei pazienti in un modoolistico, formulare diagnosi ed opzioni assistenzialiche utilizzano la storia come atto interpretativo, ela descrizione è la forma fenomenica in cui ilpaziente sperimenta la sua malattia e ne promuovela sua comprensione nella relazione di cura (ivi).Quindi lo studio delle narrazioni ha un suosignificato ai fini della costruzione della relazioneassistenziale con il paziente e della relazioneprofessionale tra professionisti.

Casi clinici e storie di malattia a confronto

Perché è importante sottolineare la differenza tra icasi e le storie?I “casi” sono quei racconti che si trasformano inanamnesi, il metodo tradizionale di raccolta dati; le“storie” sono invece quei racconti che rimangonotali e che vengono interpretati narrativamente. Èchiaro che si tratta delle stesse persone, dellostesso “racconto” ma che è analizzato con unachiave interpretativa fondamentalmente moltodiversa.

La narrazione e la medicina di genere.

La medicina di genere sta avendo un suo momentodi sviluppo in questi ultimi tempi, e ancora poco sene parla.Il principio è che la medicina di genere non è lamedicina che studia le malattie che colpisconoprevalentemente le donne rispetto agli uomini, oviceversa, ma è la scienza che studia l'influenza delsesso (accezione biologica) e del genere (accezionesociale) sulla fisiologia, fisiopatologia e clinica ditutte le malattie per giungere a decisioniterapeutiche basate sull'evidenza sia nell'uomo chenella donna.Uno studio retrospettivo di coorte pubblicato sulCanadian Medical Association Journal (FowlerRA, et al. 2007) mostra le evidenze disponibilisulle disparità, preoccupanti soprattutto nel casodella mortalità a seguito di patologie gravi, e per

donne oltre i 50 anni. Lo studio però non riesce aspiegare quali sono le cause delle disuguaglianze.Dalle ipotesi non si può escludere la componentebiologica, ma assume un’importanza particolarequella esistenziale. Le scelte diverse per uomini edonne in condizioni critiche possono dipenderedalle decisioni del paziente stesso, o da quelle delcurante. Uomini e donne, infatti, non differisconosolo nei pattern di malattia o nei fattori di rischio:la differenza sta anche nel contesto sociale, equesto significa differenze anche nell’approccio daparte degli operatori sanitari, con ripercussionisulla qualità degli esiti clinici.(http://www.simg.it/Documenti/Rivista/2008/03_2008/7.pdf)

La nostra ipotesi di studio

Sostenuti da queste indicazioni di letteratura,abbiamo ipotizzato che in condizioni di cronicità cipotesse essere un diverso carico dei vissuti dimalattia tra uomini e donne. Per indagare questoaspetto abbiamo utilizzato la metodologianarrativa, in modo da ottenere liberi racconti dallepersone intervistate.La nostra ricerca bibliografica ha dimostrato cheesistono studi che evidenziano nella patologiaBPCO alcune differenze legate al genere (Han,MK, 2007; Chapman Kr, 2004, Varkey AB. 2004 ,Carrasco-Garrido P et al 2009), per cui ci siamoposti l’obiettivo di indagare, selezionando uncampione di nostri assistiti, se queste differenzepotevano essere rilevate anche nel nostro contesto.Il nostro progetto prevede che siano intervistati(campione di convenienza) 10 uomini e 10 donne,affette da BPCO che accedono all’ambulatorio diPneumologia dell’Ospedale Madonna della Graziedi Matera, in condizioni cliniche comparabili.Attualmente sono state condotte 4 interviste di cuisi riportano le interpretazioni

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Selezione dei pazienti

I pazienti intervistati erano tutti affetti da BPCOclasse funzionale Gold 2.Tutti i pazienti erano sottoposti a terapia inalatoria.Tutti i pazienti presentavano patologieconcomitanti, come ipertensione, diabete o altrepatologie pregresse.A tutti i pazienti sono state somministrate in modolibero, le stesse domande in modo da indagare lestesse aree di percezione:

1) Mi vuole parlare un po’ di lei e della suamalattia?2) Come si sente?3) Cosa pensa della sua situazione di salute?4) Cos’è cambiato nella sua vita quotidiana?5) Come si immagina tra un anno?Le risposte, narrative, sono state registrate.A tutti i pazienti è stato richiesto un consensoall’ intervista anch’esso in modalità narrativa.

Narrazioni.

Narrazione n.1 la storia del sig. Giacinto.

(durata dell’intervista 7.39)

Ho 75 anni e ho la bronchite da diversi anni,almeno una quindicina d’anniCon questa bronchite il mio problema è la tosse:questo spurgo…è troppo denso, allora con i colpidi tosse mi affogo…questo spurgo è come…vogliodire…duro, la stessa cosa è anche alla sera, allanotte. E faccio fatica, quando cammino, facciofatica a respirare mi devo fermare, quandocammino faccio una pausa… e sono due o tre anniche faccio cosìE cosa pensa di questo? Cosa devo pensare, iocredo che sia anche per l’età … perché anchelavorando non è più come prima, io ho fatto tanti

mestieri…di tutto quando c’era da lavorarelavoravo, adesso non ce la faccio più, quandofaccio un servizio è così. Io non sono sposato, houna sorella anche non sposata, che si prende curadi me ed è una fortuna che c’ho una sorella! Aitempi di oggi è una fortuna perché ho passato deiguai, io ho avuto due interventi di ernia al disco al72 e all’88 allo stesso anello L4­L5 mi hannopreso tutto il nervo sciatico e la gamba. Adesso lostesso ho schiacciati questi anelli e si è riformato,perché l’altro giorno sono andato a fare unarisonanza magnetica e si è riformata un’altraernia.. è una cosa che non mi posso né piegare néfar nienteCosa pensa della sua salute, come si sente? Misento giù, mi sento…ho dei momenti che sono dibuon umore, ma quando è la sera e quando è ilmattino si passano i guai, si passano Specialmentei dolori, quelli dell’artrosi, perché soffro anche diartrosi, tra questi e le gambe, perché feci anche lavisita vascolare e questo mi fece, le vene stanno aposto, le gambe. Tutto questo è legato ancheall’età…io ho sempre avuto questi dolori, hoanche avuto un intervento di calcoli al fegato, 4anni fa, stavo alle cure termali a Montecatini, allanotte i dolori, e mi hanno ricoverato all’Ospedaledi ….sono stato 6 giorni, 8 giorni prima di farel’intervento.. non mi potevano operare per i dolori… quando è stato il giorno di operare non mihanno più operato e disse il medico “è urgente”fai venire qualcuno perché ti devo operare alloralei ha preso 2 giorni di riposo, anzi un riposo… fal’infermiera allora prese quel giorno, doveva faregli esami e non poteva mancare…un altro nipote,stava al servizio civile e si è preso 3 giorni dipermesso non poteva mancare, ma io dissi aldottore non posso stare, devo andare a Matera, e ildottore disse non puoi andare a Matera, perchéper la strada ti viene il dolore forte… mi hannodato il permesso e mi hanno ordinato 7 iniezionida succhiare e il primario mi ha detto se per lastrada ti viene il dolore non andate avantifermatevi al primo ospedale che trovate,fortunatamente non passai nessun dolore…e

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arrivai all’Ospedale di Matera Io ho tantemalattie, tanti problemi però tutto sommato tiroavanti…che faccio? Da tanti anni ho la bronchite,faccio i farmaci, il vaccino per l’influenza … e hoquesta tosse, mi da lo sciroppo la dottoressa, perfarmi spurgare… io sono una persona tranquilla eanche se ho questa malattia la devo sopportare,che devo fare?

Interpretazione narrativa.

Il sig. Giacinto si racconta volentieri, i riferimentialla sua vita sono molteplici. Parla volentieri dellasua rete di relazioni di accadimento e le valorizza.Il suo racconto di malattia mette il focus su altriavvenimenti che per lui sono significativi, facendopassare in secondo piano il problema attivo per cuisi è presentato alla visita in ambulatorio dipneumologia, ovvero la BPCO. Lui, a parte ilproblema della tosse e dell’espettorato, attribuiscela sua diminuzione funzionale all’avanzare dell’etàe dimostra una buona accettazione dei limiti che lamalattia impone.

Narrazione n.2 la storia del signor Vito 80 anni

(durata intervista 4.20)

Sono tanti anni che ho questa bronchite ma io nonme ne sono accorto…pure da qualglione…quand’ero quaglione non emmo mai curato…tantipensieri e tante preoccupazioni… non mi sono maicurato, prima c’era il chinino solo questo e sisiamo abbandonati…Come si sente, come sta? A momenti tengo unpoco di affanno, a momenti stobene…insomma…buono buono non va non so..l’età, tengo un poco di rallentazione…Ho 80 anni eho sempre fumato… sono 6 – 7 anni che me l’hatolto il dottore… e io purtroppo mi sono messo dibuona volontà e me l’ho tolto, ho fatto fatica, mimanca molto, ho provato due o tre volte e poi l’ho

ripreso e basta… poi mi sentivo male e allorabasta…avevo fastidio al respiro, avevo fastidio allatosse…però mi sento… insomma… discretamente. . io faccio le cose che voglio fare, vado incampagna, lavoravo… sulle piante,… sulleolive….Anche adesso lo fa? Si si vado a piedi incampagna e mi ritiro a piedi perché la macchinanon la so portare e vado a piedi … certe volte èmezzo giorno e allora ti ritiri a casa, però fino amezzo giorno… facciamo qualche cosa … iononostante l’età faccio le cose più lentamente mami sento bene…

Interpretazione narrativa.

Il signor Vito si presenta con la moglie che soffredella stessa patologia. Non si dilunga molto nelracconto, il suo atteggiamento è rilassato epacifico, la sua vita, è scandita da una granderegolarità nonostante una situazione di malattia chelui accetta tranquillamente perché non influisce piùdi tanto nel suo stile di vita

Narrazione n. 3, la storia della signora Agnese

(durata intervista 4)

Come sta? Insomma… tiriamo avanti…non tantobene, ci mettiamo tutta la nostra volontà…insommaMa cosa ne pensa della sua malattia? Non cipenso… perché la mattina mi alzo e anche se tengoil problema di pigliare le medicine, me le prendo efaccio le cose che debbo fare… comunque non èche teniamo più la salute di prima… perchéprima… insomma me ne accorgo che non ce lafaccio… però ce la devo fare …ho 71 anni e hoquesta malattia da tanti anni, ero giovane e nonfumavo… sono stata ricoverata a … e mi hannodetto “Signora ma tu fumi?” “no, non fumo” “matu hai fumato” “no non ho mai fumato” “stai inmezzo a fumatori?”… fumava mio marito e mio

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figlio, ma io mai, mai…La mia vita è cambiata,non è più come prima, prima facevo le cose, lapasta a mano, adesso la faccio, si ma una voltaogni tanto…non è più come prima, non ce lafaccio, non ce la faccio.. e non è che non mi piacecucinare, è che non ce la faccio…

Interpretazione narrativa.

La signora Agnese è la moglie del signor Vito.L’approccio alla malattia è completamente diverso.Mentre prima abbiamo visto una persona serena,che accetta la sua situazione di malattia che nonrappresenta un peso, la signora Agnese sottolineacostantemente la sua fatica ed il fatto che non ce lafa, lei si prende cura di sé stessa e del marito, equesto denota un maggior carico di malattia.Narrazione n. 4, la storia della signora Grazia

(durata 5.05)

Io sto che non dormo nemmeno la notte, sveglia,con questo giramento di testa che non possoandare nemmeno al bagno, poi quando ti calmi vaial bagno, quando no… La malattia me l’ha trovatail dottor…non mi ricordo il nome, non mi ricordo,mi ha messo i raggi e mi ha detto, bronchitecronica, e mi ha messo il Lisomucil, mi ha dettoprendi questo che ti sentirai meglio io sono natacon una malformazione al cuore, poi sono statasotto cura, poi ho avuto i figli.. il dottore mi dicevacerte cose, che mi sentivo più male quando andavoa passare la visita … a 20 avevo io quando hoiniziato a soffrire di cuore, vado ogni anno per lavisita al cuore, mi danno il Lanitop, altre medicineche non mi ricordo, ma sono andata sempre così …non è tanto la bronchite che mi ha creato deiproblemi quanto il cuore… mi affatico molto moltoquando cammino, meno male che tengo questafiglia che mi aiuta sennò non farei niente a casa,non mi sento bene…I miei progetti? Oh mio Dio mialzo alla mattina che non so come mi sento, micorico alla sera e dico Signore ti ringrazio che misono messa da sola a letto… non lo so se misveglio domani mattina, tutte le sere dico lepreghiere e mi addormento, tengo quella fede

grande che mi da la forza. Poi cosa vuoi che tidica, io tengo un bisogno di assistenza che vuoleessere fatta i servizi la pensione è poca è quellal’importanza, perché avendo sta figlia, lo viene afare gratuito, ma anche lei tiene una famiglia…ioprima tenevo una pensione da invalido civile, mapoi andavo camminando e allora dal 75me lalevarono la pensione, questa è una malvagità deldottore, la malvagità, … perché me la levarono…questo è il mio racconto…

Interpretazione narrativa.

La signora Grazia è molto triste, in lei si sommanopiù problemi, il cuore, la bronchite, la solitudine ela fatica della vita quotidiana. I suoi bisogni sonoquelli di avere un aiuto domestico, perché nonriesce ad affrontare la situazione da sola: in leitanta amarezza per la convinzione di aver subitouna ingiustizia.

Considerazioni conclusive.

Il nostro campione non ha nessuna pretesa dirappresentatività statistica, perché evidentementenon significativo per poter generalizzarequalsivoglia dato.La nostra ricerca, oltretutto, non ha la pretesa difornire indicazioni generalizzabili, ma seguendouna impostazione altamente personalizzata, e conun approccio puramente qualitativo, ci vuolefornire delle indicazioni ed una metodologiarelazionale per la costruzione di percorsi diassistenza individualizzati.Anche in queste poche interviste emerge, però, unvissuto diversificato tra uomini e donne, chepossiamo definire coerente con quanto riportato inletteratura.Più positive ed ottimiste le visioni e le percezionidi malattia dei due uomini intervistati: accuditi aloro volta, e con un atteggiamento di accettazionedella situazione anche in funzione dell’età cheavanza.Più gravose e faticose le visioni e le percezioni

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Narrative based medicine e medicina di genere

delle due donne, in cui il carico di malattia èaumentato dalla fatica del vivere del doveraccudire, da un lato, o di essere un peso dall’altro.La nostra ricerca continuerà, e cercheremo daquesta di ricavare indicazioni utili per un migliorapproccio assistenziale nella relazioneprofessionista sanitario-paziente.Le indicazioni ricavate ci consentono di costruirepercorsi assistenziali che non si concentrano solosul problema attivo da un punto di vista clinico deinostri assistiti, ma la visione allargata della persona

ed il coinvolgimento delle sue reti di relazioni,nonché la possibilità di identificare le risorsepersonali di ogni assistito e le indicazioni rispettoai vissuti, ci consentono di considerare le personeinserite in un mondo vitale di quotidiani rapportiche possono essere utilizzati per il prendersi curadelle persone in una logica di servizi integrati e dicontinuità dell’assistenza.

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S. Marcadelli et al.

NARRAZIONE 1

SCHEMA INTERPRETATIVO APPROCCIO NARRATIVO

Orientamento della storia Accento del vissuto del paziente, la sua storia di vita, la sua rete di

relazioni familiari

Ordine cronologico

Approccio lineare con ordine emotivo e percettivo con ricorsività di temi

ContenutiI protagonisti

Orientata allo scorrere della vita con forte valorizzazione del passato

ContenutiLe emozioni

Esistono una molteplicità di protagonisti, la illness, la famiglia, i

professionisti sanitari che il paziente ha incontrato nel corso delle sue

storie di malattia

ContenutiGli eventi

Storia raccontata piena di vissuti personali, con sottolineato uno stato di

rassegnazione alla condizione di cronicità soprattutto in relazione all'età

che avanza

Diversi eventi, le diverse situazioni di malattia: l'ernia, l'artrosi, i calcoli,

mettono tutti in secondo piano il problema attivo della BPCO

Analisi del processo informativo Esposizione emotiva, ricca di intercalari, sospensioni, stile narrativo

proprio di chi racconta una storia

NARRAZIONE 2

SCHEMA INTERPRETATIVO APPROCCIO NARRATIVO

Orientamento della storia Accento sul vissuto del paziente, breve cenno alla gioventù, ma

concentrato sul suo presente, sui suoi interessi

Ordine cronologico Il presente è dominante, la sua vita è soddisfacente, accetta l'età avanzata

e le limitazioni che ne conseguono, sottolinea il suo stato di benessere

ContenutiI protagonisti

Il signor Vito é molto concentrato su sè stesso, nonostante sia presente la

moglie parla solo di sé e delle cose che lo soddisfano, come la vita in

campagna semplice

ContenutiLe emozioni

ContenutiGli eventi

Analisi del processo informativo

Storia raccontata con semplicità e serenità. La malattia non è un problema,

é accettata sia perchè non impone particolari limitazioni sia perchè ritenuta

una naturale conseguenza dell'invecchiamento

Non vi sono molti eventi nel racconto, non identificati problemi di

malattia gravosi

Esposizione caratterizzata da estrema serenità, indice di una vita

soddisfacente

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Narrative based medicine e medicina di genere

NARRAZIONE 3

SCHEMA INTERPRETATIVO APPROCCIO NARRATIVO

Orientamento della storia

Ordine cronologico

ContenutiI protagonisti

ContenutiLe emozioni

ContenutiGli eventi

Analisi del processo informativo

Accento del vissuto del paziente, non c'è storia, non c'è progetto, solo

l'affermazione di un presente pesante e faticoso

Approccio emotivo con ricorrenza dei temi: la fatica e il fatto di non

farcela

Solo il presente, non c'è passato, solo un cenno ad un "prima", ma la fatica

dichiarata è troppa. Non c'è riferimento a progetti futuri

Non ci sono tanti protagonisti nella storia se non la malattia, la signora

Agnese evidenzia molto chiaramente il suo vissuto

Le emozioni sono legate alla fatica ed alla rassegnazione "non ce la

faccio, ma devo farlo"

Gli eventi sono focalizzati sul vissuto di malattia

Esposizione affaticata, ricca di intercalari, in cui emerge un vissuto di

fatica

NARRAZIONE 4

SCHEMA INTERPRETATIVO APPROCCIO NARRATIVO

Orientamento della storia

Ordine cronologico

ContenutiI protagonisti

ContenutiLe emozioni

ContenutiGli eventi

Analisi del processo informativo

Accento sul vissuto del paziente, è riportata la storia passata con grande

sofferenza, fin dalla giovinezza la salute della signora è stata un problema

anche se non direttamente correlato alla BPCO. Non c'è progetto, anche lei

l'affermazione di un presente pesante e faticoso, sostenuto però da una

grande fedeApproccio emotivo con ricorrenza dei temi: la fatica e il fatto di non

farcela

I ricordi si concentrano sulla malattia cardiaca. Fin dalla giovinezza la

signora è sempre stata sofferente

I protagonisti della storia sono la signora con la sua sofferenza e la figlia,

importante aiuto e sostegno

Le emozioni sono legate alla fatica ed alla rassegnazione, ma anche alla

grande fede

Gli eventi sono focalizzati sul vissuto di malattia, lontano dalla giovinezza

Esposizione affaticata, ricca di intercalari, in cui emerge un vissuto di

fatica

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Bibliografia

Bert, G. Quadrino, S. Parole di medici, parole di pazienti. Counselling e narrativa in medicina, Il PensieroScientifico Editore, Roma, 2002.Bruner, J. La costruzione narrativa della “realtà”, in M. Ammaniti, D.N. Stern, (a cura di)Rappresentazioni e narrazioni, Laterza, Bari, 1 991 .Carrasco-Garrido P et al Characteristics of chronic obstructive pulmonary disease in Spain from a genderperspective, BMC Pulm Med 2009 Jan 2;9:2Chapman Kr, Chronic Obstructive pulmonary disease: are women more susceptible than men? Clin ChestMed 2004 Jun;25(2): 331 -41 ,Charon, R. Narrative Medicine: a model for Empathy, Reflection, Profession and Trust, Jama, 286, 2001 ,cit. in A. Virzì. A. Signorelli M. S., Medicina e Narrativa, FrancoAngeli, Milano, 2007.Fowler RA, Sabur N, Li P, Juurlink DN, Pinto R, Hladunewich MA, et al. Sex­and age­based differences inthe delivery and outcomes of critical care. CMAJ 2007;177:1 51 3-9.Giarelli, G. Maturo, A. Aspetti evolutivi della ricerca sociale in sanità: la medicina basata sullanarrazione, in R. Cinotti, C. Cipolla (a cura di), La qualità condivisa fra servizi sanitari e cittadini, metodie strumenti, FrancoAngeli, Milano, 2003.Han, MK, et al. Gender and chronic obstructive pulmunary disease: why it matters. Am J Respir Crit CareMed 2007 dec 15;1 76(12): 11 79-84 Epub 2007 Aug 2;Marcadelli S. Artioli, G. Nursing narrativo, un approccio innovativo per l’assistenza, Maggioli Editore,2010.Varkey AB. Chronic obstructive pulmonary disease in women: exploring gender differences, Curr OpinPulm Med, 2004 Mar; 10(2):98-103,Virzì. A. Signorelli, M. S. Medicina e Narrativa, FrancoAngeli, Milano, 2007.Zannini, L. Medical Humanities e medicina narrativa, Raffaello Cortina, Milano, 2008.Zannini, L.Il corpo­paziente. Da oggetto delle cure a soggetto della relazione terapeutica, FrancoAngeli,Milano, 2004.

Corrispondenza: S. Marcadelli, e-mail: [email protected]

Page 87: Rivista Medicina Narrativa

Avevo già da tempo preparato la versione scrittadella relazione presentata al simposio di Arezzosulla Medicina narrativa, ma non sono riuscito aresistere alla tentazione di modificare il testo,proprio nella sua parte iniziale, alla luce di unanovità editoriale di questi primi mesi del 2011 . E’appena stato pubblicato dalla Passigli Editori latraduzione in italiano de “La lampada rossa. Storiedi medici e medicina” di Arthur Conan Doyle. Setutti conoscono l’ ideatore di Scherlok Holmes,sono molti di meno quelli che sanno che prima didedicarsi esclusivamente alla scrittura, per quindicianni aveva esercitato la professione di medico e,quasi nessuno (ammetto di non essere tra questi),sapeva che uno dei suoi primi libri affrontasse inmaniera diretta il mondo della medicina. Non sitratta del solito medico-scrittore o scrittore-medicoche più o meno incidentalmente racconta ancheaspetti legati all’esperienza professionale. Questoaspetto esperienziale è presente anche in lui, maesistono altri due aspetti ancora più importanti. Ilprimo è rappresentato dal fatto che quando scrive“La lampada Rossa”, traendo spunto per il titoloproprio dalla lampada che segnalava la presenza diuno studio medico nell’ Inghilterra di fine 800, lo facon l’esplicito proposito di far conoscere il mondo

della medicina con la crudezza che solo un medicopuò avere.“Il medico si trova di fronte anche a molte cosebelle, è vero, forza ed eroismo, amore e sacrificio,ma tali cose belle sottointendono ( comesottointendono sempre le nostre qualità più nobili)dolori e prove amare. Non si può scrivere dellavita di un medico ed esserne allegri. <<E alloraperché scriverne?>> potresti domandare. Se unsoggetto è doloroso, perché trattarlo, prima ditutto? Rispondo che trattare di cose dolorose,come di cose allegre, è il campo di competenzadella narrativa. La storia che scaccia un’orapesante soddisfa un proposito evidentementebuono, ma non più, ritengo, di quella che aiuta amettere in luce gli aspetti più pesanti della vita. Unracconto che abbia la capacità di distrarre illettore dai suoi usuali, pesanti pensieri e locostringa alla serietà svolge il ruolo del tonico inmedicina, amaro di sapore, ma fortificante nelrisultato.” Così scrive Conan Doyle in una letteraad un amico americano della quale è riportatoqualche passo all’ inizio della recentepubblicazione in italiano.Sempre nella stessa lettera appare chiaro quelloche sembra essere il destinatario principale delle

Medicina Narrativa N.1 2011

Storie di medici e pazienti

A. Virzì, O. Bianchini, S. Dipasquale,G. Previti,M. S. Signorelli

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Azienda Ospedaliero­UniversitariaPoliclinico­Vittorio emanuele P.O. Gaspare RodolicoU.O.P.I. Psichiatria, Università di Catania

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storie raccolte nel volume: “ ... se aspiriamo a faredei nostri medici qualcosa di più che dellemarionette, è sicuramente essenziale, dal momentoche è proprio questo aspetto a presentarsi alchirurgo o al medico, che si tratteggi anche il latopiù doloroso di questa professione..”.Bisogna ammettere che lascia molto perplessi

l’esplicito riferimento al rischio che il medico altronon diventi che una "marionetta senza anima".Questo non perché non si sia in accordo conl’affermazione, ma per il fatto che sia stataformulata oltre cento anni fa. Continuiamo aripetere che la perdita di umanità del medico sialegata alla crescente tecnicizzazione dell’ interventoe anche su questo non si può non essere d’accordo,ma spesso riteniamo che questa sia unacaratteristica esclusiva dei nostri giorni. ConanDoyle scrive i suoi racconti sui medici nel 1 884 ein quegli stessi anni era impegnato in calorosecampagne per la comprensione dell’ importanzadella scoperta del bacillo della tubercolosi o dellacorrelazione fra guerre ed epidemie, una Medicina“arcaica” messa a confronto con quella dei nostrigiorni.Forse bisognerà avviare una nuova riflessione,meno semplicistica, sul rapporto tra tecnologia edumanità dell’ intervento medico, che non veda piùnel progresso della tecnologia la causa delcambiamento. Le rappresentazioni dei medici delsettecento, con le loro prescrizioni di salassi eclisteri (altissima tecnologia del tempo), presenti inletteratura, non ci offrono certo esempi di grandeumanità. Crediamo che bisognerebbe approfondiredi più gli aspetti che riguardano l’evoluzione delsuo ruolo, la sua diversa funzione sociale, il suorapporto più o meno diretto con il singolo paziente.Potremmo spingerci ancora oltre ed attribuire unaparte della responsabilità al modo di ragionare delmedico di fronte alla malattia. La sua attenzione èpolarizzata quasi esclusivamente sulla selezionedelle informazioni che giudica pertinenti rispettoalle “ridondanze” considerate inutile zavorra oaddirittura elementi di disturbo che possonomettere fuori strada. Ogni dato deve avere una suaprecisa collocazione in una serie concatenata di

eventi che deve trovare conferma in ogni nuovaacquisizione. I vantaggi sono grandi, ma esistonodue rischi: uno è rappresentato dalla riduzionedella quantità totale delle informazioni chevengono raccolte; l’altro è costituito dalla possibiledifficoltà a rinunciare all’ ipotesi iniziale e forzarequindi ogni informazione all’ interno dell’ ipotesi eselezionare solo quelle compatibili.Questo procedimento assume un valore particolareper Conan Doyle, medico e scrittore. E’ proprionegli anni della formazione medica di ConanDoyle che incomincia a diffondersi un nuovometodo per affrontare la malattia, che potremmofinalmente definire scientifico, quello “deduttivo”.Fra i suoi docenti della Facoltà medica varicordato il professore Joseph Bell uno deimaggiori propugnatori del metodo in medicina.Ogni malattia ha una causa, ed è compito delmedico scoprirlo per potere proporre il giustorimedio. Egli si trasforma in un investigatore cheattraverso l’analisi di tutti gli elementi obbiettivi edelle loro correlazioni e le conseguenti deduzioni,scopre alla fine il “colpevole”. Non sfugge anessuno, anche per la somiglianza dellaterminologia, l’analogia con i comuniprocedimenti investigativi. Questa sovrapposizioneviene poi concretizzata nell’accostamento dei duepersonaggi più famosi: Scherlok Holmes,l’ investigatore, e il dottor Watson, il medico.Questa originale associazione ha trovato un granderiscontro fino a diventare molto comune e di ampiadiffusione anche in un canale di informazione dimassa a più ampia diffusione come la televisioneattraverso diverse serie aventi come personaggianatomopatologi che si trasformano ininvestigatori o come lo stesso famosissimo dottorHouse che procede con la stessa freddezza elucidità di un detective. Anche il paziente si èadattato in qualche maniera a questo cambiamentoponendosi sempre più nella veste di“collaboratore” nell’ investigazione cercando difornire quanti più particolari possibili, quasianticipando le domande del medico, spesso adiscapito di una visione globale delle sueproblematiche.

A. Virzì et al

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L’esasperazione di questo processo aumenta ilrischio della perdita di una visione globale dellapersona. Paradossalmente sembrerebbe che proprioil metodo di cui Conan Doyle è allievo e maestroabbia contribuito a quella perdita di umanità delmedico che egli stesso paventa già alla finedell’Ottocento. Proprio questa è la motivazione chelo spinge a scrivere e a raccogliere insieme unaserie di brevi storie che hanno come personaggioprincipale il medico. Non intendiamo adessoprocedere ad un esame dettagliato di queste storie,ma sarebbe un vero peccato non cogliere alcuniaspetti che questa recente riedizione delle storiecon la loro traduzione ci offre. Primo fra tutti ilfatto che le storie vengono presentate dal punto divista del medico, ma questa posizione, invece checreare problemi di obbiettività, offre la possibilitàdi conoscere il pensiero del medico che spesso èmolto diverso da quello che comunemente gli siattribuisce. Per esempio, è interessante lavalutazione che il medico fa del paziente comefonte di guadagno che spesso non è nemmenoimmaginata dal più diffidente dei malati. Nelledescrizioni di Conan Doyle, probabilmente perchévissute in prima persona, è rara la connotazioneetica negativa, se non quando siano superati certilimiti. Questa informazione è utile sia ai pazienti,che ai giovani medici. Ai primi perché possanodifendersi dalle speculazioni, agli altri perricordarsi di una componente del ruolo del medicoquale il compenso, anche economico, che non vanascosta, ma controllata. Così pure vengonoproposti temi che riguardano le emozioni delmedico dai timori professionali al coinvolgimentoaffettivo fino alla interessantissima storia “I medicidi Hoyland” nella quale pregiudizi maschilisti esorprendenti anticipazioni “femministe” sonopresentati con tutta l’abilità dello scrittore checonosciamo. Per rispetto allo scrittore evitiamo ilracconto dettagliato per evitare di rovinare lasorpresa del finale che, pur non essendo quella deisuoi più classici gialli, fa parte della costruzioneanche di questi racconti.In definitiva, non si deve dimenticare che

l’ interlocutore che Conan Doyle sceglie per questiracconti rimane il medico o il futuro medico. Illettore comune, potenziale paziente (tutti siamopotenziali pazienti) rimane sempre un soggettopassivo che trae giovamento dai racconti solo inquanto questi possono rendere la scelta dellaprofessione medica più consapevole. La situazioneoggi è profondamente cambiata e mettendo daparte Conan Doyle (con dispiacere ), fra tantivogliamo citare Jerome Groopman professore diMedicina alla Beth Deaconess Medical Center diBoston, quale significativo esempio dell’odiernocambiamento. E’ del 2007 il suo libro “Comepensano i dottori” che si rivolge principalmenteproprio ai pazienti, offrendo una sorta di“istruzioni per l’uso” del proprio medico,aiutandolo ad evitare gli errori più comuni chepossono derivare non dall’ ignoranza, ma da difettidi comunicazione. Lo stile che egli usa è quellonarrativo anche se “inevitabilmente” sono presentidelle spiegazioni tecniche, derive scientifiche più omeno conscie, su quanto viene raccontato. Lenarrazioni, in questo testo, non sono solamente unespediente per rendere gradevole la lettura, masono parte integrante del corretto rapporto medicopaziente, premessa per giungere ad una giustadiagnosi.I due volumi citati, quello di Doyle e quello diGroopman, possono rappresentare due posizioniparticolari e per certi versi opposte: entrambimedici, entrambi descrivono pensieri ed emozionidei medici, ma i destinatari sono diversi ( in realtàle categorie dei lettori sono molto imbricate). Traquesti “estremi” possono collocarsi molte altreposizioni:medici che scrivono storie che niente hanno a chevedere con la medicina medici che scrivono storiedove sono presenti anche pazienti e medici mediciche scrivono storie nelle quali il paziente o ilmedico sono centrali medici, che sono anchepazienti o coinvolti personalmente nella malattia,che scrivono storie di medici e pazienti.In ogni caso, crediamo, il loro essere medici saràsempre una sorta di marchio indelebile che non

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Storie di medici e pazienti

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riguarda le loro maggiori conoscenze tecniche,quanto l’esercizio ad un punto di osservazioneassolutamente diverso, frutto, sì di studio, masoprattutto di esperienza diretta. Questo farà si chequalunque sia l’argomento trattato, non potrannonon essere condizionati (si spera positivamente).Potrebbe essere giusto il caso di Khaled Hosseinicon il suo "Il cacciatore di aquiloni" del 2003, conil quale vorremmo concludere questa parteriguardante i medici scrittori.All’ interno del romanzo un interessante testoautobiografico, la malattia arriva tardivamente enon è centrale nella storia. Nemmeno la Laurea inmedicina sembra condizionare il racconto e lepoche notizie tecniche sono talmente semplici daessere nella disponibilità di tutti. Tuttavia sembreràimpossibile non riconoscere la “sensibilità”specifica che solo chi conosce i diversi ruoli dimedico, paziente, familiare, direttamente, possiede.Sullo sfondo delle vicende degli ultimi decennidella storia afgana vivono i personaggi delromanzo. Uno di questi, il padre dell’autore, dopoalcuni anni dalla fuga negli Stati Uniti, si ammala emuore. Un anziano che muore di cancro aipolmoni, niente di più comune e la condizione diesule poco aggiunge in termini di medicina delleevidenze. In termini di storia clinica è piùsignificativo il fatto che fosse fumatore, uno deitanti che rischiano la vita nel modo più stupido. Inrealtà chi legge il romanzo ha la percezione chiarache quello che succede a Sai Baba è la suamalattia, la sua sofferenza e dei suoi familiari, lasua morte e, in definitiva, la sua vita.Di questa è indispensabile riferire almeno unepisodio per capire il personaggio. Durante la fugadall’ Afganistan, Sai baba con il figlio vengonofermati, insieme ad altri profughi sconosciuti, adun posto di blocco dei Russi .Il soldato che esegue il controllo nota una giovanedonna e chiede come ulteriore “pedaggio”, quellodi passare mezz’ora con lei. Sai Baba, nonostantegli avvisi del figlio e la minaccia delle armi, prendele difese della donna utilizzando due parole moltopericolose in quel contesto: “vergogna” e“rispetto”. La situazione precipita fino

… Il russo con la faccia da bulldog alzò la pistola.«Baba, per favore, siediti» lo supplicai tirandoloper la manica. «Questo ti spara sul serio.»Mio padre allontanò la mia mano con unoschiaffo.«Non ti ho proprio insegnato niente?» Poi sirivolse al soldato. «Digli di prendere bene la mira,perché se non mi uccide con la prima pallottola lofaccio a pezzi.»Il soldato russo non smise di sorridere quandosentì la traduzione. Tolse la sicura. Puntò la cannaal petto di Baba…Per fortuna l’ intervento di un ufficiale russo bloccail soldato impedendo l’omicidio e lo stupro.Quel coraggio e i valori che difendeva nonpossono non influire nella maniera con cuiaffronterà il suo percorso di malattia fino allamorte, rendendolo assolutamente personale.La malattia fa la sua comparsa in un momentodelicato della vita del figlio quello del suo primoaprirsi alle esperienze dell’amore con le difficoltàdi approccio a quella che diventerà la moglie e aisuoi familiari, anche queste figure coinvolte nell’evoluzione della malattia stessa.

.... verso la fine della settimana Baba si ammalò.Tutto iniziò con un forte raffreddore e una tosseinsistente. Guarì dal raffreddore, ma non dallatosse. Tossiva mettendosi davanti alla bocca ilfazzoletto, che poi infilava in tasca con un gestofurtivo. Odiava i dottori e gli ospedali. Per quantone sapevo, era andato dal dottore una sola volta:quando aveva preso la malaria in India...La malattia, che poi si rivelerà mortale, cominciacon il più banale dei raffreddori e con unacomunissima tosse, ma già il malato la vive in tuttala sua individualità “ mettendosi davanti allabocca il fazzoletto che poi infilava in tasca congesto furtivo “. Quel “furtivo” trova immediataspiegazione nel successivo “odiava i medici e gliospedali”.L’aver riportato questi brevi passi non è solo unomaggio all’autore, ma una dimostrazione di come

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la storia della persona sia indispensabile per lacomprensione degli atteggiamenti e delle scelte difronte alla malattia. Sarà possibile spiegare ilritardo nella diagnosi, un tumore giàmetastatizzato, la quasi indifferenza di fronte alprimo sospetto diagnostico proposto nella manierapiù brutale, il rifiuto di farsi visitare da un medicodalle lontane origini russe, il rifiuto di curemediche e dell’ospedale ed infine la scelta di comemorire....Un mese dopo il nostro matrimonio, invitammoa cena Taheri, Sharif, sua moglie Suzy, e alcune ziedi Soraya. Mia moglie cucinò il sabzi challow, risocon spinaci e agnello. Dopo cena giocammo acarte a gruppi di quattro, bevendo tè verde. Sorayae io giocammo contro Sharif e Suzy su un tavolinovicino al divano su cui era sdraiato Baba. I suoiocchi osservavano gli scambi di tenerezze traSoraya e me. Mi sembrava di vedere il sorrisodella sua anima, ampio come i cieli di Kabul nellenotti in cui i pioppi oscillano dolcemente nellabrezza e i giardini risuonano del canto dei grilli.Poco prima di mezzanotte ci chiese diaccompagnarlo a letto. Soraya e io gli passammoun braccio attorno alla vita, posando le suebraccia sulle nostre spalle. Una volta a letto chiesea Soraya di spegnere la luce sul comodino. Cidiede un bacio ciascuno.«Tra un attimo torno con la morfina e un bicchiered’acqua, kaka jan» disse Soraya.«Questa sera no. Non ho dolori.»«Va bene.» Gli rimboccò la coperta e insiemelasciammo la stanza.Baba non si svegliò....Appare subito evidente la differenza con quelli chesarebbero stati i suoi ultimi giorni se avesse fattouna scelta diversa. In ospedale avrebbe dovutoaccettare ( anche subire ) la coabitazione conestranei, pasti senza nessuna possibilità dipersonalizzazione, orari che rispondono alleesigenze dell’Organizzazione, rapportiprofessionali ( se va bene ) generalmente freddi edistaccati , in definitiva la perdita di ogni identitàper assumere quella generica di un malato fra tanti.Tutto ciò appare molto distante dal continuare a

vivere nel proprio ambiente e con la fortuna ditrovarsi circondato dall’affetto dei propri cari.La cultura e la tradizione del nostro meridione, chehanno molti elementi in comune con quelleafgane, ci offrono lo spunto per alcuneconsiderazioni relative al problema delle cure deifamiliari. Le profonde trasformazioni sociali dellanostra società hanno fatto si che sempre piùfrequentemente gli ultimi giorni di vita sitrascorrano in ospedale. La famiglia non può e nonvuole affrontare più questo evento a casa, mamolto spesso non si sente di delegare all’istituzione il prendersi cura del paziente,“favorita” in questo dal livello molto basso di cureprestate o dalla esplicita richiesta di“integrazione”. Tutto questo fa si che si crei unasituazione ibrida rappresentata dalla creazione diun ambiente pseudofamiliare che da una partelimita gli aspetti negativi dell’ ospedalizzazione edella “gestione” casalinga, ma tutto a discapito delfamiliare che si trova a dovere assistere il propriocongiunto in situazioni spesso terribili: notti insedia a sdraio o addirittura su una sedia o in unangolo del letto, pasti saltati o ridotti allemerendine del distributore automatico o ai,purtroppo abbondanti, avanzi del pasto delpaziente.A Baba e ai suoi familiari tutto ciò è statorisparmiato e il racconto dell’ultima seratatrascorsa in casa prima di morire è emblematico.E’difficile immaginare un modo migliore dilasciare la vita. Nessuna retorica e come avvienenella quotidianità, un bacio è l’ultimo saluto.Perché l’autore sceglie questo finale invece chequello di una Rianimazione o di un letto indisparte in un ospedale? La sua formazionemedica influisce nella scelta?Di fronte a queste domande crediamo si debbafare un passo indietro e tornare invece al valoreche quanto narrato può avere per chi legge,medico o potenziale paziente che sia. Per il primopotrà significare maggiore attenzione alla storiadel paziente, al suo diritto di scegliere, al propriomodo di proporsi nel rapporto con il paziente. Peril secondo, oltre ad una maggiore consapevolezza

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dei propri diritti, anche un esempio di come possaconcludersi la vita secondo una modalità che,divenuta sempre più rara, rischia di diventaresconosciuta alle nuove generazioni.Non dobbiamo però dimenticare che accanto aquesta produzione letteraria ne esiste un’altra,certamente più ampia che riguarda la narrazione distorie di pazienti e di medici da parte di nonmedici. Si sarebbe tentati di proporre una sorta diclassificazione come la precedente, ma è molto piùdifficile una connotazione netta come quella cheoffre un titolo di studio ed un esercizioprofessionale. La figura dello scrittore sfuma daquella del malato che racconta la sua storia ( omalato che diventa scrittore per l’occasione) aquella di chi non ha mai avuto contatto con lamalattia, né personalmente, né attorno a lui.Se è vero infatti che il punto di vista del medico siarricchisce ogni giorno dall’osservazione di unanuova storia e che quindi conoscerlo può offrirci lapossibilità di vedere la realtà nel suo complesso, èaltrettanto vero che nulla può essere autentico ed’ausilio quanto la storia di una sofferenza narratada chi la vive in prima persona. Può essereimportante per un paziente leggere scritti di mediciper conoscere anche il loro “lato umano” e cosìrelazionarsi correttamente con il proprio curantecome ci illustrava Groopman, ma al contempoleggere storie scritte dai “malati” può costituire ilmigliore aiuto per chi con la malattia deveconfrontarsi e superarla in un modo o nell’altro.Chi sono i pazienti che ci scrivono delle loro storiedi malattia e perché scrivono?Ci sono molti esempi di scrittori o giornalisti che,colti di sorpresa dalla malattia, hanno trovato nellascrittura un ausilio, un mezzo, per capire il senso diquanto accadeva, darsi una spiegazione e fornireun punto di vista agli altri, in ottica giornalistica,come a voler narrare dell’ultimo fatto di cronacacui si sta assistendo, dell’ultimo crollo di borsa, odell’ultima difficoltà incorsa per una popolazionelontana dalle nostre case. Tra questi ricordiamo peresempio Pietro Calabrese direttore del“Messaggero”, “Capital”, “La gazzetta delloSport” e “Panorama”. Dopo aver scoperto di essere

affetto da un tumore al polmone nel Maggio 2009,Calabrese ha iniziato a raccontare la sua storia,attribuendola all’amico Gino, nel libro “L’alberodei mille anni”. Il romanzo di Calabrese narra dicome un uomo viene travolto a “ciel sereno” dallascoperta della malattia. C’è spazio per losconforto, la speranza,le diverse sensazioni legatead un corpo che cambia giorno dopo giorno inmaniera diversa da come avveniva prima delladevastazione delle cure antitumorali.Esistono poi uomini e donne non illustri, anzisconosciuti, che dinanzi alla malattia scoprono illoro talento. “Pazienti” le cui capacità narrativehanno aiutato molti a capire cosa sia il disagio, lo“stato di malato” e, persino, la speranza. Tra questicitiamo Laura Prete che, nel suo piccolo, maintenso, testo “La vita che torna” , racconta il suopercorso durato diversi anni per il recupero di unavita che in pochi attimi è sembrata voler volarevia. La scrittrice, che narra tutto in forma diromanzo autobiografico, ci racconta di quandoall’età di ventidue anni venne colpita daun’emorragia cerebrale.Avevo ventidue anni, la mia famiglia era agiata;Frequentavo senza difficoltà il quarto anno diLettere all’ Università Cattolica di Milano. Ero inregola con gli esami, anzi stavo per finire la tesi dilaurea. Non ero una carrierista, però, come lamaggior parte degli studenti di Lettere non vedevol’insegnamento nel mio futuro.La mia vita sociale era quella di una ragazza dellamia età: giocavo a tennis, suonavo il pianoforte,avevo amici con i quali uscivo, non mi mancavanoi corteggiatori. Infine c’era Claudio….Tutto sembrava andare per il meglio quando èarrivato quel 31 maggio che ha cambiatocompletamente la mia vita.Dopo cena, come mio solito, mi ero ritirata incamera con i libri di estetica per prepararmiall’esame che avrei sostenuto pochi giorni dopo.Quella sera avevo mal di testa, ma mi succedevacon una certa frequenza perciò non ci badavomolto, anche perché mi bastava prendere unanalgesico. Quella sera feci lo stesso, mal’emicrania non passò, anzi verso le dieci meno

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venti si fece così lancinante da non sembrarminormale ….Il suo percorso passerà per l’ intervento chirurgico,la rianimazione e poi la lunga e interminabileriabilitazione, ma in mezzo passano le impressioni,le difficoltà di far proprio un ambiente ospedalieroche appare lontano dalle esigenze del paziente. Epoi ci sono i medici. Tante tipologie di medico chevengono presentate tutte con lo stesso stile, come aricordare che lo sguardo del malato resta fisso adalcuni aspetti e non ad altri e che si dispone semprecon lo stesso atteggiamento in ogni circostanza.Laura Prete ci offre l’opportunità di riflettere sualcuni importanti aspetti della nostra pratica clinicacome accade leggendo le righe che seguono:“Un giorno di fine ottobre, mentre ero in palestraa ripetere i soliti esercizi, irruppero lui e il suoassistente e, con l’espressione arrogante chespesso certi medici assumono con i pazienti, sidiressero verso di me senza salutare nessuno. Miguardarono per non più di un minuto, poi il dottorF. ordinò a Vincenza di farmi camminare allasbarra. Casualmente colsi una frase detta a vocepiù bassa al collega. “ Con quella bisogna ridurredrasticamente le ore di ginnastica per non perderetempo”.Giunsi alla sbarra irritata e preoccupata, in più misentivo rigida perché a osservarmi, oltre aVincenza, la mamma e la dottoressa Mazzini,c’erano quei due medici che si mostravanotutt’altro che ben disposti nei miei confronti.Infatti camminai veramente male, ad ogni passo micoglieva un clono che non riuscivo a controllare.L’assistente chiese bruscamente a Vincenza :”Perché sprechi tanto tempo con questa?”. E poi,guardandomi: “ Questa qui è da mandare a casa;quando è in grado di fare due passi per saliresull’automobile, il nostro compito è finito”.…Allarmata, la mamma chiese al primario comeavrei camminato. La risposta fu sgarbata ebrutale: “C’è poco da illudersi, camminerà daemiplegica. La lesione è talmente estesa che nonpossiamo fare più di tanto”.Ero stordita, mi sembrava un brutto sogno, volevoscappare ma non avevo la forza.

Appena fuori, nel corridoio, scoppiai a piangere.[…] Nel tragitto tra l’ascensore e la camera, ebbiuna crisi isterica che lasciò tutti sconcertati, nelreparto non mi avevano mi visto in quello stato.…Cinque minuti dopo, il dottor F. era nella miastanza. Senza scuse né espressioni diincoraggiamento, volle solo chiarire quello cheaveva detto in palestra. Gli dispiaceva di avercausato l’incidente ma ribadì la sua opinione:secondo lui avrei camminato con gli opportunisussidi, una scarpa ortopedica, una molla, unbastone. Parlava tutto tronfio; non era abituato aconsolare i pazienti ma quella parte, nuova per lui,gli piaceva: lo si capiva da come si ascoltavamentre parlava. Io, disperata, vedevo infrangersiin quel discorso professionale e asciutto tutti i mieisogni di camminare bene, senza bastone , diportare la gonna, di condurre una vita normale.Non se ne andò senza dire l’ultima santa verità:“Noi siamo abituati a non nascondere nulla ainostri pazienti perché non si aspettinol’impossibile”.Alcune domande importanti affioranospontaneamente. Si è mai sicuri di quale sia ilfuturo del paziente o il risultato del nostro operato?Quale verità bisogna comunicare a colui cheassistiamo? Perché la realtà è che in molti casi noinon siamo a conoscenza di quale sarà l’esito delnostro intervento, non siamo sicuri quindi delrisultato, ma abbiamo il diritto di far perdere ognisperanza al nostro paziente? Se non siamo certi diquale sia il futuro, disilludendolo stiamoproteggendo lui o noi stessi? In un’epoca in cui ilmedico viene spesso attaccato dai mass media edall’opinione pubblica, ci sentiamo di affermareche chiarire questi dubbi è arduo per ogni “camicebianco” e che probabilmente dietro ad essi si celala difficoltà di porsi nei confronti del paziente nelmodo migliore, prendendo si cura del suo “casoumano” e facendogli percepire il proprio interesse.

Prima di concludere vorremmo poi fare un cennoad una categoria che resta a cavallo tra quella dei“medici scrittori” e dei “pazienti scrittori”, quelladei “medici- malati scrittori”.Un illustre esempio è

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Storie di medici e pazienti

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quello di Bartoccioni, Sartori e Bonadonna con illoro libro “Dall’altra parte” . La storia di malattiaci viene in questo caso narrata da chi, fino a pochigiorni prima, sedeva dall’altra parte della scrivania.Oltre alle impressioni del mondo della sanità vistecon questo nuovo punto di osservazione,ritroviamo qui le tematiche illustrate da LauraPrete con alcune differenze legate alle diversitàpresenti fra le storie. Se per Laura Prete la “verità”illustrata dai medici rappresentava una speranza omeno per un futuro da recuperare, per Sartori, lastessa “verità” significava smettere o meno dilottare per quel mese in più che si aveva da vivere.Così, l’autore ci pone dinanzi a tematiche chevanno anche oltre il rapporto tra medico e pazienteper approdare a moderne questioni di bioetica.Possiamo quindi affermare che leggere aiutasenz’altro a tenere aperte molte questioni e ilmedico che riflette, come in ogni altro ambitolavorativo, rimane sempre in attesa di una rispostae si pone nei confronti altrui come colui che cercadei suggerimenti. È certo infatti che sulla difficoltàdi vivere la malattia è il paziente che può insegnarequalcosa al medico. Su altre questioni poi, come lascelta di intervenire o meno dinanzi a unapatologia o la possibilità di lasciare maggiore

spazio decisionale al paziente nessuno di noi puòdire di possedere delle risposte, ma è certo che ilmedico dovrebbe farsi un’ idea ed essere tra i primia porre certe domande ed avviare alcunediscussioni. Possiamo soltanto affermare che sapercreare un buon rapporto tra medico e pazienteaiuta ad essere un curante migliore. Quali sianoperò gli ingredienti per costruire un buon mediconon è dato a noi saperlo con certezza, d’altrocanto, rovesciando la medaglia, quali sono legiuste aspettative che un paziente deve avere neiconfronti del proprio medico?Lasciamo al lettore la possibilità di trovare leproprie risposte e le proprie ricette, ancheprovando per tentativi ed errori, riflettendo e poitornando sui propri passi, come farebbe il celebreSherlock Holmes in una difficile indagine, comefaremmo tutti dinanzi ad un “sintomo” di cui nontroviamo la causa.Speriamo che in questo percorso ognuno possarivolgere, almeno una volta, il suo sguardodubbioso alla letteratura, chiunque sia infattil’autore del libro e qualunque sia stato il suo ruolonel gioco di personaggi, è certo che il suo punto divista può soltanto arricchire il nostro.

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Bibliografia

Bartoccioni S. Sartori F. Bonadonna G. "Dall'altra parte", Ed. BUR Biblioteca UniversaleRizzoli, Milano, 2006Calabrese P. "L'albero dei mille anni", Ed. Rizzoli, Milano, 2006Conan Doyle A. "La lampada rossa", Ed. Passigli, Firenze, 2004Hosseini K. "Il cacciatore di aquiloni", Ed. Piemme, Milano, 2009Groopman J. "Come pensano i dottori", Ed. Mondadori, Milano, 2008Prete L. "La vita che torna", Ed. Feltrinelli, Milano, 1 997

Corrispondenza: A. Virzì, e-mail: [email protected]

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Non abbiamo difficoltà a identificare l’ascoltocome lo strumento terapeutico per eccellenza perquelle patologie che chiamiamo “mentali”. Lapsicoterapia ha soltanto quest’arma nella suafaretra. L’ascolto – più precisamente, la relazioneche si struttura sull’ascolto del paziente e permettea questi di mettersi, a sua volta, in ascolto di ciòche preme attraverso il linguaggio dei sintomi – èl’unica risorsa per la guarigione di questo tipo dimali.Anche altre pratiche, riconducibili a quelleprofessioni che – in senso lato – si chiamanod’aiuto, hanno nell’ascolto il loro centro di gravità.Pensiamo alla pastorale religiosa. Solo quandoquesta degenera o si sclerotizza dà la priorità allerisposte preconfezionate, piuttosto che all’ascoltodella domanda. Esercitano male il loro ministeroquei pastori che sostituiscono all’attività circolaredell’ascolto quella unidirezionale dellapredicazione o della prescrizione di normecomportamentali. Valga come ammonimento a nonpiegare per questa via l’analisi lucida che faceva asuo tempo Dietrich Bonhoeffer sulle carenze dellapratica dell’ascolto all’ interno della comunitàcristiana: “Come l’amore di Dio incomincia conl’ascolto della sua Parola, così l’ inizio dell’amore

per il fratello sta nell’ imparare ad ascoltarlo. Icristiani, specialmente i predicatori, credono didover sempre “offrire” qualcosa all’altro, quando sitrovano con lui; e lo ritengono come loro unicocompito. Dimenticano che ascoltare può essere unservizio ben più grande che parlare. Molti uominicercano un orecchio che sia pronto ad ascoltarli,ma non lo trovano tra i cristiani, perché questiparlano pure là dove dovrebbero ascoltare” (1 ).E’ piuttosto inusuale, invece, evocare l’ascoltonella professione terapeutica per eccellenza, vale adire la medicina. Si può immaginare un eserciziodella medicina che faccia a meno non solodell’ascolto, ma delle parole stesse. Non a casoVirgilio nell’Eneide si riferisce a un medico come aqualcuno che esercita la “muta ars”. Uno dei meritidell’attuale movimento della medicina narrativa èproprio quello di aver messo in evidenzanell’agenda della riflessione sulla pratica dellamedicina la questione dell’ascolto. Le dimensionidi questo tema sono molteplici. La più corrente èquella che assume un tono accusatorio, in quantoidentifica nella mancanza di ascolto da parte deimedici e altri professionisti sanitari un aspetto deldegrado della qualità relazionale che dovrebbecaratterizzare il rapporto tra curanti e curati. La

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L' ascolto che guarisceL’ascolto nelle professioni di aiuto:

questione di “bon ton”?

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sintesi più efficace di questa denuncia è quellacontenuta nel film di Nanni Moretti Caro diario(1993). Per tracciare un bilancio di ciò che avevaimparato dalla sua malattia, il regista conclude che“i medici sanno parlare, ma non sanno ascoltare”. Illimite di questo tipo di accuse è quello intrinsecoalle varie richieste di “ umanizzazione” dellamedicina: inclinano verso il moralismo.Presuppongono una concezione ingenua, cheidentifica la mancanza di ascolto con la cattivavolontà dei professionisti. L’altra faccia delladenuncia viene a essere un’esortazione morale: iprofessionisti sanitari mettano più impegno – vale adire: più tempo, più buona volontà. . . . – perascoltare!Questa dimensione volontaristica dell’ascolto èestremamente riduttiva. Anche il fenomeno dellamancanza d’ascolto in medicina va collocato su unosfondo più vasto. Sociale, anzitutto: ciò che avvienenell’ambito sanitario non è che un aspettoparticolare di qualcosa che condiziona la societàtutta intera. Come figli del nostro tempo, siamoincapaci di un ascolto pieno. Max Picard ha definitol’uomo moderno come un’“appendice del rumore”.Immersi in un mondo di suoni, costituiamo unasocietà in cui tutti parlano e nessuno ascolta. Lascuola stessa è finalizzata a renderci professoridella parola, ma analfabeti dell’ascolto. Ladiffusione dei media, che tendono a passivizzarel’utente, è ulteriormente responsabile dicomportamenti collettivi di mancanza di ascoltoreciproco.

- Quando la medicina pretende di far a meno

della parola

La litania di accuse alla nostra cultura comeresponsabile dell’atrofia dell’ascolto è nota. Anchese ci aiuta a contestualizzare la mancanza di ascoltoche ha luogo in medicina, non la spiegapienamente. C’è una concezione della medicina checonsidera l’ascolto come intrinsecamente superfluo.Il particolare carattere di elemento aggiuntivo cheha la parola nella pratica medica, come se sitrattasse di un fronzolo e fosse riconducibile allacortesia nei modi e alla buona educazione, dipende

dalla struttura epistemologica del sapere medico.Come è stato eloquente illustrato da numerosi studisull’ interazione tra professionista sanitario epazienti, il modello implicito sostiene che lamedicina si debba occupare di malattie, e chequeste si esprimano in un’alterazione della normadi variabili biologiche, somatiche, misurabili: “Almedico, come principale attore della praticamedica, è affidato il compito di definire la presenzadi una patologia nei malati, tramite una diagnosicorretta, e di intervenire attraverso delle strategieterapeutiche che sono state dimostratescientificamente. Tale modello è stato, ed è tuttoravincente” (2).Lo scopo dell’ incontro, così come si realizza inprimo luogo nella visita medica, è di trasformare lamalattia vissuta dal paziente (illness, in inglese)nella patologia conosciuta dal medico (disease).Non stupisce che nel dialogo tipico di una visitadoctor centred l’evoluzione degli scambi sia gestitadal medico, che inserisce le risposte del pazientenel proprio schema di ipotesi: la comunicazione siriduce a una raccolta di informazioni ottenuteattraverso domande stimolo in successionepredeterminata ( cfr. Moja, Vegni, cap. I: “Lamedicina disease e doctor centred”). Suscitascandalo sapere che, secondo studi basati su visitevideoregistrate, il medico interrompe il pazientecon le sue proprie domande solo 17 secondi, inmedia, dopo che il paziente ha iniziato a raccontareil suo vissuto di malattia; ma è perfettamente inlinea con il metodo clinico modellato sullaconcezione biologica della malattia.La medicina high tech ha introdotto un giro vite inquesto modello. Anche le domande standardizzateche guidano la diagnosi diffenziale rischiano oggidi venir considerate superflue, a vantaggio dei datiforniti dai test diagnostici. Nell’ immaginariosociale si fa strada il medico che durante la visitaguarda i risultati delle analisi o lo schermo delcomputer, piuttosto che il paziente. Lisa Sanders, inun saggio molto critico rispetto alle tendenze dellamedicina contemporanea, denuncia la progressivascomparsa della stessa visita obiettiva. Ricorda chela diagnosi si fa guardando, toccando, ascoltando:

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“Nelle facoltà di medicina si ripete continuamenteai futuri medici che se ascoltano il paziente, questidirà loro che cos’à” (3). L’ascolto non ha qui unvalore filantropico o di bon ton, ma è lo strumentoprivilegiato per l’“arte della diagnosi” ( comeprecisa il sottotitolato del saggio di Lisa Sanders).“La medicina interna deve molto del suo fascinoalla sua somiglianza con il metodo investigativo diSherlock Holmes: risolvere un caso dagli indizi.Siamo detective; godiamo del processo di scoprireil colpevole. E’ quello che i medici amano di più”:è la dichiarazione che fa una dottoressa a LisaSanders (4). Ebbene, un buon detective deveimparare a non essere precipitoso, saltanto ilmomento dell’ascolto. Lo illustra bene un raccontodello stesso A.C. Doyle, “ Falsa partenza” (5). Faparte di una raccolta di racconti di soggettomedico, nei quali lo scrittore che ha creatoSherlock Holmes ha rivisitato la propria esperienzadi medico ( in seguito Conan Doyle lasciò laprofessione, per dedicarsi totalmente all’attivitàletteraria). Nel racconto un giovane medico, che haappena aperto uno studio e sta disperatamentecercando pazienti, cerca di impressionare con ilsuo presunto occhio clinico il primo paziente che sipresenta in ambulatorio. Senza fargli aprire bocca,gli spara due diagnosi una dopo l’altra, peraccorgersi che erano ambedue sbagliate: l’uomoche sedeva davanti a lui non aveva bisogno delmedico; era solo l’esattore del gas venuto ariscuotere il dovuto. Quante “false partenze”potrebbero essere evitate con l’ascolto!- L’ascolto a valenza bioetica

Oltre all’ascolto di natura filantropica e quellofinalizzato a fare una corretta diagnosi, possiamoindividuare una terza fattispecie di ascolto:l’ascolto che rende possibile una decisionecondivisa tra professionisti sanitari e pazienti.Questo ascolto si profila sullo sfondo della tramaetica della pratica della medicina. Piùprecisamente, l’ascolto è indispensabile quandopassiamo dal modello dell’etica medica a quellodella bioetica. Ciò presuppone che i due modellinon siano intesi come sinonimi, ma che dall’unoall’altro sia intervenuto un cambio di paradigma. (6)

Nell’etica medica non era necessario l’ascolto delmondo etico del paziente. Era il medico cheproponeva le decisioni corrette, riferendole alleprescrizioni che mutuava dalla “scienza”e dalla“coscienza”. L’ambito di ciò che era eticamentegiustificabile e di ciò che non lo era veniva decisoal di fuori del rapporto tra medico e paziente, inuna posizione asimmetrica in cui al medicospettava il ruolo one ups e al malato one down..L’autorità a cui il medico si appellava potevaessere l’ethos ippocratico o il giuramentomodernizzato preposto alle più recenti versioni delCodice deontologico dei medici. L’aggettivo“medica” che qualificava l’etica vigente nellepratiche di cura descriveva efficacementel’appartenenza al medico: in pratica, erano le sueregole che si imponevano a chi ricorreva ai suoiservizi. Non stupisce che nei codici deontologicinon venga mai menzionato il dovere del medico diascoltare il malato. La rilevanza dei valori e dellepreferenze di questi nelle scelte cliniche eraconsiderata ininfluente.Nei sistemi formali di regole la novità èintervenuta con il Codice deontologico degliinfermieri del 1 999. Più precisamente, con duearticoli: l’art. 4.2 ( “L’infermiere ascolta, informa,coinvolge l’assistito e valuta con lui i bisogniassistenziali, anche al fine di esplicitare il livello diassistenza garantito e facilitarlo nell’esprimere leproprie scelte”) e l’art. 2.5 (“L’infermiere, nel casodi conflitti determinanti da diverse visioni etiche,si impegna a trovare la soluzione attraverso ildialogo”). L’ascolto in questo caso viene messo inrapporto non tanto con le necessità di una correttadiagnosi, ma con il mondo dell’etica. La prioritàdell’ascolto rispetto alla stessa informazionecostituisce una chiara esegesi della pratica recentenota come “consenso informato”: non si tratta diottenere l’approvazione del paziente a ciò che ilsanitario ha deciso di fare per suo bene –soprattutto a fini di autotutela giuridica – ma diconfrontare la proposta terapeutica con il sistemadi valori della persona malata, per arrivare a unadecisione condivisa. Opportunamente il codicedegli infermieri menziona la possibilità che tra

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L'ascolto che guarisce

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l’uno e l’altro possano esserci divergenze, oaddirittura conflitti. In questo caso bisogneràattivare strategie negoziali che erano del tuttoestranee all’etica medica tradizionale.Il paradigma della bioetica è presente anche nelnuovo Codice deontologico dei medici. Nellaversione del 2006, oltre all’accurata teorizzazionedella natura e scopo dell’ informazione, vieneesplicitamente menzionato il principio del rispettodell’ “autonomia” della persona (art.6), qualecriterio essenziale per valutare la qualità dell’attomedico. Anche senza essere direttamente evocato,l’ascolto emerge come condizione essenziale per

definire la buona medicina della modernità.Per tradurre in pratica questa esigenza è necessarioche superiamo l’esortazione all’ascolto da partedei professionisti sanitari come appello umanitario,per approdare all’ identificazione di un metodo.Questo ascolto, infatti, non può essere un fattoepisodico; né essere riservato a quei professionistiche si sentono più propensi a stabilire relazioniempatiche con i pazienti. Deve piuttosto esserecondiviso da tutti e diventare una pratica abituale.Con questa sfida deve sapersi misurare oggi labioetica.

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Bibliografia

1 ) Bonhoeffer D. , La vita comune, ed Queriniana, Brescia 1978, app. 1 23-1252) Moja, E. Vegni E., La visita medica centrata sul paziente, Raffaello Cortina ed, Milano 2000 app. 1 5s.3) Sanders L., Ogni paziente racconta la sua storia. L’arte della diagnosi, ed. Erinandi, Torino 2009, p. 854) id., p 525) Artur Conan Doyle, La lampada rossa. Storie di medici e di medicina, Passigli ed. Firenze 2011 .6) “Etica medica e bioetica in cento anni di professione”, FNOMCEO: Centenario della costituzione degliordini dei medici. Cento anni di professione al servizio del Paese, Roma 2010, pp. 223-235.

Corrispondenza: S. Spinsanti, e-mail: [email protected]

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La vita che torna, scritto da Laura Prete ed edito daFeltrinelli è la storia di una malattia improvvisa chesi presenta ad una giovane di appena ventidue annie di un recupero, lento e duro, fatto di speranza edisillusioni, nell’attesa certa che la “vita ritorni”. Èuna lettura consigliata per qualunque medico esoprattutto per chi lavora con pazienti che vivonoun percorso riabilitativo. Vi è l’accettazione dellamalattia, dei luoghi in cui si è costretti a vivere(l’ospedale, la rianimazione, il reparto chirurgico,la struttura riabilitativa), la scoperta di come chi èintorno al malato reagisca al suo stato di malesseree del perché si abbia questa difficoltà che, spesso sirisolve ingenuamente in una freddezza“professionale”.“Se nei primissimi giorni del mio ricoverodistoglievano gli occhi per non incontrare i miei,non lo facevano per cattiveria o per maleducazione,ma perché non sapevano come consolarmi. Avevoproprio un aspetto pietoso, nessuno avrebbescommesso sul mio recupero. A ciò si aggiungevala mia età, che appariva ancora più giovane a causadei capelli cortissimi: senza ombra di trucco poidimostravo sedici anni al massimo.”…“Solo due infermiere fin dall’ inizio miguardarono senza imbarazzo e passarono molte orecon la mamma a parlare e a farle coraggio. Allorami sembravano migliori delle altre ma sbagliavo:tutte erano buone ma loro erano state toccate dal

dolore.Una, Edda, aveva perso un figlio nelle acque di unlago vicino alla clinica e Graziella, l’altra, avevasofferto perché alla figlia di sedici anni era stataamputata una gamba per tumore. Le vicende dientrambe mi hanno fatto riflettere su quanto ildolore cambi la nostra vita”.Molto interessante infine è il ritratto che l’autricefa dei medici, descrivendone diversi tratti edalcune differenze fra gli uni e gli altri, viste con gliocchi di una paziente che, dal parere del medicoprobabilmente dipende. È una storia di una sanitàche alla fine ha funzionato, che ha incluso “ibuoni” e “i cattivi”, nello stesso palcoscenico in cuila protagonista è la scrittrice stessa, paziente,donna. Nulla perde di significato e nulla merita diessere escluso dalla scena, mentre tutto rappresentauna prova da superare.“Definire brutti o belli i sei mesi trascorsi a Verunoè insufficiente; preferisco dire che ho vissuto molteesperienze forti, interi giorni di disperazione, maanche momenti così intensi sul piano umano danon poter nemmeno essere immaginati dallepersone “normali” : a Veruno ho conosciutopersone che, in tutti i sensi, mi hanno nuovamenteinsegnato a vivere.”

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Recensioni

"La vita che torna"di Laura PreteEdizioni: Feltrinelli , 1 997

a cura di O. Bianchini

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Caro papà,ero in Congo da tre giorni, senza sapereassolutamente niente di questa terra, vedevo solofacce nere, solcate dalla fatica e dalla fame.Primo giorno di lavoro, all'ospedale xxxxxx. Mimostrano la stanza dove consultiamo le donne:uno stanzino di neanche dieci metri quadrati con 6persone all'interno tra medici infermieri e donnecon bambini. All'esterno 39 gradi, l'umidità rendele pareti del piccolo stanzino bagnate, le mosche siappoggiano sulla pelle inzuppata di sudore.Dopo un paio di ore in mezzo alla confusionearriva una donna, che si copre il volto con ilpagne, secca secca, solo una piccola curvaprominente a livello dell'addome fa supporre chesia una donna incinta. Chiede di essere visitata.Io e la mia collega la facciamo passare primadelle altre, le scansiamo il pagne dal volto evediamo lembi di pelle che si stanno staccandodalle sue labbra, dalle palpebre, dalla fronte. Ilcorpo è tutto piagato, gli occhi edematosi epurulenti, le labbra talmente gonfie che non riescea parlare.Intuitivamente la diagnosi è una Leyll, danevirapina. La donna, Silvie, che fa la meccanicaper guadagnarsi da vivere, dice che le lesioni,iniziate da circa due settimane, continuano apeggiorare.Inizialmente era andata dal feticher; pensavainfatti che fosse un fetiche (il malocchio) e ha

cercato di farselo togliere. ma la situazionepeggiorava ed è venuta da noi.Io e Nadia ci guardiamo negli occhi “Perchè nonè venuta prima?”, le chiediamo all’unisono.Ci spiega che non poteva dire ai parenti di andaredai Mundele (i bianchi in lingua monokutuba),altrimenti avrebbero scoperto il segreto della suasieropositività!Iniziamo immediatamente i trattamenti necessari ele sue condizioni migliorano: alcune piaghe sonogià in fase di cicatrizzazione ma sono gli occhi chedestano grave preoccupazione, oltre al fortebruciore non vede bene.Non so proprio da chi farla visitare, noi quidobbiamo arrangiarci in tutto. Decidiamo diportarla nella clinica più rinomata della città,piange dal dolore e dalla disperazione, ha ilterrore di essere scoperta dalla sua famiglia epaura che possa succedere qualcosa al suobambino. La rassicuro dicendo che ci siamo noi,che ci prenderemo cura di lei e del suo bambino.Silvie migliora, viene da noi una volta a settimana,gli occhi le bruciano ancora ma con il collirio vameglio. Un giorno mi dice che sente qualcosa distrano alla vagina: "ne s'ouvre pas, ne s'ouvrepas"continua a ripetere.La visito: le piaghe avevano interessato anche lamucosa vaginale, le avevo dato anche il betadineginecologico per disinfezione e avevo cercato pertutta la città una pomata steroidea, ma i nomicommerciali dei farmaci in Congo sono diversi e

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Storie vere e verosimili

Lettera di Giulia Masini, medico infettivologo in Congo per missione umanitaria,al padre Vincenzo Masini.

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tutti i farmacisti mi guardavano increduli quandoparlavo di steroidi, non capivano...Le piccola labbra a causa delle sinechie si eranochiuse, appiccicate, erano diventate un tutt'uno...Ci vuole un'incisione, penso, poi guardo Eva,guardo il ventre di Silvie e penso, fra qualchegiorno scade il termine, deve partorire e come facon la vagina ridotta in questo modo?

Deve fare un cesareo, ma devo trovare unginecologo fidato che la visiti.Un parto cesareo in Congo non è uno scherzo, lasterilizzazione delle sale parto è una barzelletta eil tasso di mortalità per infezioni post chirurgiche èmolto alto. Inoltre la maggior parte dei ginecologiquando vedono affacciarsi la possibilità di uncesareo, non indugiano, vedono soldi, soldi in piùche si aggiungono al loro misero stipendio, eallora perchè non farlo?Mi serve una persona di fiducia, non vogliomettere Silvie nella mani di uno che fa il cesareosolo per arrotondare lo stipendio...La accompagno all'ospedale più nuovo (si fa perdire) della città. lì la visita una ginecologa alta,grossa, imponente che, al termine della visita midice: “Oltre alle sinechie delle piccole labbra, c'èuna necrosi diffusa a tutta la vagina; se partorisceper via vaginale rischia la morte per emorragia, ipunti di sutura non possono reggere su una cutecosi necrotica e friabile”.Silvie mi guarda, non capisce. In quella piccolastanza siamo io, lei, e la ginecologa. Mi implora diaspettare, ha paura, non vuole fare il cesareo, michiede di poter fare il parto vaginale, poi sequalcosa non va, farà un cesareo di urgenza,guardo la ginecologa in maniera interrogativa, mirisponde no, il rischio è troppo alto.Silvie continua a non essere convinta, provo aparlarle a tu per tu, mi dice che lei non ha i soldi,e le rispondo di stare tranquilla, dal punto di vistaeconomico sarà il progetto italiano a farsenecarico, ma non basta, le dico di fare la visitaanestesiologica così siamo pronti a qualsiasievenienza.Si allontana smarrita avviandosi alla nuova visita,e non dice più niente. Io la aspetto nervosa, ho

paura che forzarla non sia giusto, ma devo fidarmidella ginecologa, non si può lavorare da soli equesto non è il mio campo, mi ripeto.Quando esce con un'occhiata furtiva, mi fa capireche vuole parlarmi, ma lontana da occhi indiscretiche potrebbero capire, fuori da lì, dove la miapresenza può far pensare alla sua sieropositività.Allora mi allontano e mi dirigo verso la macchina;lei sa dov'è parcheggiata, era venuta con me,anche se l'avevo fatta scendere all'ingressoposteriore dell'ospedale (sempre per non darenell'occhio!). Mi raggiunge e, mentre provonuovamente a spiegarle l'importanza del cesareo,a dirle che la sua gravidanza è a termine, chepotrebbe partorire da un momento all'altro, che uncesareo d'urgenza è gravato da molte piùcomplicanze, che è meglio organizzarsi prima, chenon si deve preoccupare perché avrei compratotutti i farmaci necessari per la mattina dopo, michiede di parlare con una persona che ha visto inospedale. Le chiedo: “Chi è?”. “E’ mio fratello, èmedico e lavora in quell'ospedale”.Parlo con il fratello, cordialmente provo aspiegargli la situazione, ma vedo una certaresistenza nei suoi occhi. Ha capito, ma, ha giàdeciso, non mi ascolta, e mi congeda dicendomi:"Dio è grande, non possiamo credere di essere piùgrandi di lui, sarà quello che Dio vuole, miasorella partorirà per parto vaginale, sarà Dio adecidere la sua sorte!”.Entrambi mi salutano e si allontanano, io miappoggio alla macchina incredula, accendo unasigaretta, ho bisogno di riprendermi. Non ci credo.Mi sento impotente, inutile.

Quella donna rischia di morire di parto cometante in Africa che non hanno i soldi perpermettersi il cesareo. Lei che potrebbe perchè èsupportata da noi, non vuole. Non è possibile!!!. Acausa del ritardo nella diagnosi dovuto al feticherè ridotta in questo stato ed ora non vuole ancoracapire. Demoralizzata e scoraggiata, salgo inmacchina e mi avvio verso casa, penso di esserestata chiara con Silvie, le ho detto e ripetuto:“Pensaci bene e stasera chiamami, io comunquecompro tutto il necessario!”.

Masini G.

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Il telefono non suona, ed io aspetto. Nadia, la miacollega, sta facendo le valigie, domani lascia ilCongo, mi vede assorta e preoccupata: “Pensi aSilvie?”. “Si, non posso accettare di essere cosìimpotente!”.Nadia è concreta, prende il telefono e la chiama.Sono le nove di sera, alle prime due chiamate nonrisponde, alla terza risponde e dice che ci stapensando, che ne ha parlato con la madre, e che cirichiamerà domani mattina. Sperando che ilpiccolo non decida di venire al mondo proprioquella notte, d'altronde Silvie ha deciso dichiamarlo Sagesse...Al mattino chiedo a Nadia se Silvie ha chiamato,…niente, … va beh, …non posso cambiare ilmondo, …forse è come dice il fratello … sarà quelche Dio vuole, …Ho una grande amarezza. Mentresono tuffata nelle diecimila questioni di ognimattina, suona il telefono, è lei e mi dice: “Vabene, facciamo il cesareo, j'ai confiance en toi!”.Vado di corsa in farmacia a comprare dagli aghi disutura ai farmaci anestetici, e poi in ospedale doveincontro Silvie, la mamma e un altro loro parenteche non capisco bene chi sia, in una stanzettaisolata.Consegno i sacchetti con i farmaci ma avverto unastrana sensazione nell'aria: la ginecologa, che ilgiorno prima era molto disponibile, mi dice che c'èun problema e che quel giorno non la possonooperare. Il problema è che quel giorno è il 30aprile, il giorno dopo ci sarebbe stata la festa deilavoratori, e poi la domenica, in cui si fanno solo leurgenze. “Ma come? abbiamo convinto la donna eora rischiamo di farla partorire in urgenza?, chediavolo di problema c'è oggi?”.“La sterilizzatrice è rotta e non abbiamo teli steriliper la sala operatoria”, mi risponde.Resto in attesa, lunga due ore, nel frattempo tutte

le sages femmes, allertate del possibile cesareo michiedono come devono comportarsi, come devonofare i farmaci antiretrovirali.

Mi imbarazza dover tenere una piccola lezionepratica per spiegare loro come utilizzare l'AZT, ecome fare la profilassi al bambino.Dopo due ore di attesa il primario della

ginecologia dice che non è possibile operarlaquella mattina, o aspettiamo o la portiamo daun'altra parte. Non so che fare, Silvie non vuolepiù andare via da lì, mi dice: “E dove mi porti?”.Non so dove portarla ma ho il sospetto che non lavogliano operare perchè sieropositiva, se la lascioli c’è il rischio che inizi il travaglio e nessuno laoperi.Mi prendo la responsabilità di portarlaall'ospedale xxxxxx. Non ho un buon rapporto con imedici di quell’ospedale, tanto meno con iginecologi, però lavoriamo li da anni, ed ioconosco le sage e conosco il direttore, decido dichiedere a lui. Quando lo dico a Silvie, rivedo neisuoi occhi il terrore: “Perché?, tutto da capo,un’altra visita, un’altra decisione, un altroospedale… , e poi qui c'è mio fratello…” Le spiegoche non vedo altra soluzione e che debbonovenirmi dietro a distanza. Mi allontano di uncentinaio di metri, Silvie e la mamma mi seguono,in maniera furtiva si infilano in macchina, le portoall'ospedale xxxxx e speriamo bene...Quando arrivo per fortuna c'è Denise, la sage checollabora con noi. Mi dice che stanno facendo uncesareo ad una donna arruolata nel nostroprogetto, che non c'è problema, ne faranno unaltro, mi da l'ordonnance per il necessario(ovviamente diverso da quello che mi avevanochiesto nell'altro ospedale) e vado nuovamente infarmacia a comprare il necessario.Quando torno e vado verso la sala parto vedo dalontano Denise che si sbraccia, cerca di parlarmima non capisco perché quando si emoziona, o siarrabbia, balbetta e diventa incomprensibile. Lafaccio calmare e mi spiega che i ginecologi hannodeciso di bloccare tutti e due i cesarei del progettoper un problema di divisione di soldi tra ginecologie anestesisti. Non fanno i cesarei perchè non siaccordano su come dividere il compenso ed è tuttorimandato a lunedì.“Non è possibile! non posso crederci!, cosa faccioora?” Denise mi propone di provare in un altroospedale, “No! mi rifiuto, questa donna non puòsubire di nuovo lo spostamento in un altroospedale! in più c’ è un'altra a partorire che ha le

Storie...

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membrane rotte: C’è il rischio altissimo dicontaminare il bambino, è già in flebo con laprofilassi, come faccio a portare tutte e due in unaltro ospedale?, e poi dove?, è ormai pomeriggio,il primo maggio si avvicina, il week end inizia, chefaccio?”.Decido di andare a parlare con il direttore. Vedouscire dalla sua stanza ginecologi ed anestesisti,ed appena il direttore mi riceve è lui stesso adirmi: “Dottoressa non si preoccupi, ho detto loroche in mezz'ora voglio che la questione siarisolta!”. Tiro un sospiro di sollievo, anche seormai mi sembra che le cose si siano messe male:“Con che umore i ginecologi opereranno quelladonna e gli anestesisti la addormenteranno?”.Il primo cesareo inizia alle 16. E’ dalle 8 delmattino che sono in giro, decido di andare a casa,a recuperare le energie, mi sento sfibrata. Inun'ora sono di nuovo lì, entro in sala parto. Lasage femme mi dice che hanno appena iniziato ilsecondo, quello di Silvie. Stringo i denti, speriamobene! Esco fuori e fumo un’altra sigaretta e miavvicina una bimba di sette­otto anni, con occhiteneri mi guarda e mi chiede: “Come sta la miamamma?”. E’ l'altra figlia di Silvie, le dico di nonpreoccuparsi che sta andando tutto bene e si siedeaccanto a me ad aspettare. Dopo dieci minutirientro in sala parto; il bambino è nato, è ancoratutto sporco, una prima sage mi dice che sta bene,ma mentre esco per dirlo alla bimba, una secondasage mi chiama urlando, mi dice che il bimbo è insofferenza respiratoria e che ha bisogno dellosteroide, il bimbo non respira. Corro verso ilnostro magazzino che per fortuna è vicino, sono

sicura che deve esserci una scorta di riserva, nonavrei il tempo per andare in farmacia, grazie a Diola trovo, glielo iniettiamo subito e il bambinoinizia a respirare. Le gambe mi tremano...Silvie esce dalla sala operatoria, si è risvegliata,sta bene, le dico che dobbiamo trasferire il bimboin rianimazione perché lo steroide lo ha fattorespirare, ma non sta ancora bene. Intanto michiedo se forse lo abbiamo fatto nascere troppopresto, non lo so ma so che questa è l'Africa. Cosìfaccio qualche cosa di pratico, vado a comprare illatte per il bimbo, Silvie non potrà allattarlo e larianimazione è in un altro ospedale. E’ sera e vadoa casa sfinita.Sono tornata a casa pensando: o domani prendo ilprimo volo e me ne torno in Italia, o decido dibuttarmi in questa avventura, c'è veramentebisogno e forse posso farcela.Il bimbo di Silvie si è salvato, si chiama Sagesse,anche se è un maschio, ora ha tre mesi e staabbastanza bene, ma la sua storia continua e ilresto te lo racconto nella prossima mail.Sono legata a questa donna in manieraparticolare, un po’ perchè la stimo, fa lameccanica con il suo corpo esile, fragile, piagato,ma ha l'onestà di non chiedere mai più delnecessario (cosa rara in Congo), ed ha la capacitàdi parlarti con gli occhi; un po’ perchè mi ha fattoconcretamente conoscere la realtà africana con unimpatto forte.Un bacioneGiulia

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Masini G.

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The present role, space, task, mission, function,and outcome of University Medicine in Italy arebriefly examined, taking as a pure and trivialpretext the actual professional activity of single,representative physician who changed his role atthe same specialistic Department of the sameUniversity Hospital, by covering an University rolein the past five years, after working at the samefacility as an Hospital­affiliated specialist in

charge of the same Medical Division during theprevious 14 years. The lights and shadows ofassistential and academic Medicine organizationand integration in Italy are the starting point ofour preliminary observations, which may bepotentially extended to the University Medicine asa whole, from an organizative, functional, andespecially ergonomic point of view.

Medicina Narrativa N.1 2011

Medicina Universitaria in Italia:un sogno, una chimera,

o semplicemente una “coperta troppo corta”?

R. Manfredi

Dipartimento di Medicina Interna, dell’Invecchiamento,e Malattie Nefrologiche, “Alma Mater Studiorum”Università degli Studi di Bologna, Policlinico S. Orsola­Malpighi, Bologna

Summary

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University Medicine in Italy: a dream, a chimera, or simply a “too short blanket”?

Introduzione

Anche in Italia, la Medicina Universitaria hasubìto nel corso degli ultimi decenniun’evoluzione dettata essenzialmente da unprogressivo avvicinamento ai predominantimodelli anglosassoni, che tendono a rimarcare lacentralità delle attività di ricerca (ad ogni livello),di quelle didattiche e formative, di quelle ditutoraggio, e di quelle di fund-raising, comemission prevalenti del Personale medico-sanitarioad afferenza Universitaria.Nel modello assistenziale Italiano, pur in assenzadi letteratura scientifica sull’argomento, nonmancano i riferimenti legislativi e normativi, che

tendono ad inquadrare l’ambito lavorativo delPersonale Medico Universitario, rispetto alleattività assistenziali ed organizzative che hanno dasempre caratterizzato e a tutt’oggi caratterizzanogli ambiti professionali del Personale MedicoDirigente, inquadrato nei diversi ruoli previsti dalSistema Sanitario Regionale (SSR).In realtà, nel sistema Italiano le convenzionivigenti tra le diverse Università degli Studi e lerelative Facoltà di Medicina e Chirurgia ad esseafferenti, e le differenti “Aziende Ospedaliero-Universitarie”, tendono a disegnare un quadro “amacchia di leopardo”, essendo per lo più frutto diaccordi siglati, ed eventualmente modificati ed

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R. Manfredi

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evoluti a livello locale (per lo più su baseRegionale) [1 , 2, 5], che si fondano come basecomune sull’ormai datato Decreto Legislativo n.517 del 1999 [5]. Nelle realtà sanitarie “miste” (acomponente Ospedaliera ed Universitaria tra lorointegrate), dietro ad una sorta di “paravento”sorretto da oscure locuzioni, tra cui capita dileggere frasi quali “…completa ingrazione traattività assistenziali, didattiche, e di ricerca…”, sicelano nella pratica quotidiana modelli lavorativiestremamente differenziati, che creano un vero eproprio “caleidoscopio” interpretativo ed attuativo.Prendendo ora in considerazione il ruolo delsingolo Professionista della Sanità a dipendenzaUniversitaria, passando da un’AziendaOspedaliero-Universitaria all’altra, e da unaUniversità italiana all’altra, le attività complessivedel Medico Universitario vengono calendarizzate,organizzate e svolte secondo un “continuum” chespazia in modo variabilissimo tra due oppostiestremi: da una pressoché completa dedizione adattività accademiche (ovverosia di ricerca, dididattica e di tutoraggio, con impiego assistenzialelimitato o marginale), versus un pressoché totaleespletamento di attività puramente assistenziali,con obiettivi quasi integralmente incentrati suprofessionalità e compiti posti direttamente oindirettamente al servizio dei malati (con forzosorestringimento o annullamento del tempo e dellepossibilità dedicate alle attività accademiche). Inmezzo a questi due estremi (che sonoassolutamente più virtuali che reali, come tutte lesituazioni che tendono a ricadere alle estremità diuna curva gaussiana), si pongono le singole realtàdei singoli Professionisti (Medici Universitari),che devono essere “lette” ed interpretate alla lucedelle peculiarità delle singole struttureUniversitarie ed Assistenziali di cui sonocontemporaneamente dipendenti ed a cui offrono ipropri servizi, e delle singole realtà assistenzialilocali, spesso regolate da specifiche convenzionitra le singole Università e le specifiche AziendeOspedaliero-Universitarie, su base regionale odautonoma [1 , 2, 5]. Con effetti a dir poco paradossali,può quindi capitare che nella medesima Azienda

Ospedaliero-Universitaria, due diversiProfessionisti che ricoprano la medesima qualificaUniversitaria e che beneficino sul frontecontrattuale della medesima “integrazione”Ospedaliera, siano di volta in volta pressochécompletamente dediti ad attività “Universitarie”,oppure ad attività quasi esclusivamente“Ospedaliere”, il più delle volte per circostanzeoccasionali, causate dall’evoluzione “storica” edalle “vocazioni” dei Dipartimenti e delleDivisioni a cui essi afferiscono, oppure dallenecessità contingenti, che possono dipendereanch’esse dallo “storico” della disciplina inquestione, o da strutturazioni del personale e deicarichi di lavoro assistenziali ed accademici chepossono evolvere nel tempo (es. carenza dipersonale Sanitario atto a garantire le attivitàassistenziali in momenti in cui le necessità di“salute” dei cittadini assistiti prevalgono, versusun surplus in termini di personale Universitariodedito prevalentemente alla ricerca in un frangentestorico diverso, in cui le attività scientificherisultano di particolare attualità e preminenza, inconcomitanza con una più ridotta “pressione” sulversante assistenziale).L’evoluzione della storia e della vita professionaledi uno stesso Dirigente Medico che, dopo aversvolto circa 14 anni di servizio in qualità diMedico Ospedaliero specialista (Dipendentedell’Azienda Ospedaliero-Universitaria), ha vistomodificata la propria posizione in quella diMedico Universitario (con mantenimento deicompiti assistenziali di Dirigente Medico), pressola stessa Divisione della medesima AziendaOspedaliero-Universitaria, ci sembraparticolarmente illuminante a fini puramentedidascalici, come occasione fattuale atta asollevare alcune palesi contraddizioni, e astimolare ed a vivacizzare un dibattito che finora sipresenta soprendentemente scarno di commenti(forse perché dato per “scontato” in partenza), aproposito del ruolo, delle “luci”, e delle “ombre”della Medicina Universitaria in Italia, a cavallo trail secondo ed il terzo millennio. La estrema scasitàdi evidenze di letteratura e bibliografiche

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sull’argomento è probabilmente da attribuire allediverse organizzazioni sanitarie ed al diverso ruoloe funzione svolta dalle istituzioni accademichebiomediche (Universitarie) in Paesi diversidall’ Italia (soprattutto nella realtà anglosassone).Sul versante ergonomico e di Medicina del lavoro,non mancano invece dati e commenti (nazionali edinternazionali) [4, 1 4, 1 5], relativi alle diverseorganizzazioni del lavoro, ed ancor più sulle atteseripercussioni sullo stato di salute dei singoliProfessionisti e delle équipe che lavorano nelmondo della Sanità Pubblica.

Materiali e metodi

La molteplici attività assitenziali specialisticheerogate dalla Divisione Ospedaliero-Universitariain oggetto sono state svolte e sono tuttora erogatesulla base di precise turnazioni di servizio, chetengono conto della massima continuità possibileassicurata ai pazienti seguiti in regime di ricoveroordinario e di Day-Hospital e di Day-Service. Leattività di guardia diurna e notturna, i turni dipronta disponibilità, e la maggioranza delle attivitàsvolte presso gli altri servizi (ambulatoriali eterritoriali), sono effettuate sulla base di turni diservizio a rotazione, pienamente condivisidall’ intera équipe, e redatti da un Medicoreferente, a nome e per conto del Direttore dellaDivisione. Da sottolineare che la Divisione inoggetto segue in prevalenza affezioni croniche acarattere evolutivo e potenzialmente pericolose perla vita, per le quali sono disponibili crescenti maimpegnative opzioni terapeutiche ad elevato costo,che richiedono frequente monitoraggio clinico elaboratoristico, ed una sorta di strenua alleanzamedico-paziente al fine di massimizzare i risultati,contenendo i frequenti eventi avversi e lepotenzialmente severe tossicità ed interazionifarmacologiche.Viste le difficoltà di quantificare le attivitàUniversitarie in termini di orari e turni di serviziocomparabili a quelle assistenziali, si è volutamentesoprasseduto dal riportarle, rimarcando peraltroche tali attività “accademiche” vengononecessariamente e sistematicamente svolte al di

fuori ed oltre alle attività a carattere squisitamenteassistenziale, che sono l’oggetto principale diquesto report, e delle relative analisi e discussioni.Il Dirigente Medico e Docente Universitarioassunto in qualità di puro e semplice esempio inquesta disamina, ha svolto tutta la propriaesperienza formativa e professionale presso lastessa Divisione della medesima AziendaOspedaliero-Universitaria Italiana. AssistenteOspedaliero incaricato per circa due anni dalsettembre 1991 , dall’anno 1993 a seguito di unconcorso per titoli e per esami veniva inquadratodirettamente come Aiuto CorreponsabileOspedaliero. A seguito di giudizio di idoneitàconseguito nell’ambito di una valutazionecomparativa per Professore Universitario diseconda fascia nel 2003, a partire dall’anno 2005veniva chiamato dall’Università locale a ricoprirela posizione di Professore Associato nella stessadisciplina, mantenendo inalterata ed immodificatala qualifica di Dirigente Medico di primo livello dicui era già in possesso, ed espletando la propriaattività assistenziale ininterrottamente presso lamedesima Azienda Ospedaliero-Universitaria, dicui risulta dipendente (come detto) fin dall’anno1991 .La Tabella 1 espone schematicamente le modalitàdi erogazione di tutti i servizi a caratterepuramente assistenziale (attività effettuate, e turnied orari di servizio, svolti in modo sovrapponibilenell’ intero arco di tempo compreso tra il 2002 edil 2010), da parte dell’ intera DivisioneOspedaliero-Universitaria a cui il Professionistaappartiene. In termini di organico complessivo delPersonale Dirigente Medico e dei rispettivi ruoliassistenziali, per quanto concerne la dotazione diposti-letto e la dislocazione e l’offerta dei serviziambulatoriali e di Day-Hospital e Day-Service, edin termini di attività di consulenza sul territorio enelle diverse strutture sanitarie cittadine emetropolitane, nonché in termini diorganizzazione dei servizi assistenziali, èpienamente confrontabile il periodo successivo al1 ° giugno 2002, fino a tutt’oggi (inverno 2010).Infatti, proprio a far data dal 1 ° giugno 2002 è

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intervenuta una completa ristrutturazione delleattività assistenziali di tale disciplina medico-specialistica, che ha fatto seguito alla chiusura deiposti-letto di degenza ordinaria pre-esistenti pressoun altro Presidio Ospedaliero cittadino, ed allaunificazione e fusione dei rispettivi organici deiDirigenti Medici in una unica équipe assistenziale,amministrativamente collocata presso la AziendaOspedaliera-Universitaria a cui ci siamo soprariferiti. Tale équipe assistenziale constava e constadi un Direttore (a qualifica Universitaria), e di 1 5Dirigenti Medici (di cui tre ad affiliazioneUniversitaria, e dodici dipendenti direttidell’Azienda Ospedaliero-Universitaria).I dati relativi ai servizi a carattere puramenteassistenziale espletati dal Professionista presocome esempio in questo contributo sono riassuntinella Tabella 2, e confrontano due periodi di tempoche risultano pienamente omogenei sul piano deiservizi assistenziali forniti dalla intera DivisioneMedico-Specialistica e dal singolo medico, distintie confrontati soltanto sulla base del “passaggio”del Medico Specialista suddettodall’amministrazione Ospedaliera (dal 1 ° giugno2002 al 30 settembre 2005 – 40 mesi),all’Amministrazione Universitaria (dal 1 ° ottobre2005, fino al 28 febbraio 2010 – 53 mesi). Ilrestante Personale Dirigente Medico che effettuatutti i turni di servizio assistenziale sopra descritti(indifferentemente rispetto alla qualificaOspedaliera od Universitaria), ammonta comedetto ad ulteriori 1 4 unità complessive (conl’eccezione del solo Direttore di Unità Operativa,dipendente Universitario, che non effettua attivitàassistenziale sistematica a cadenza turnistica, néservizi di guardia, di Pronto Soccorso, ed attivitàDivisionali e sul territorio).I dati relativi ai servizi svolti dal Professionista inoggetto sono evidenziati nella Tabella 2 in colorenero per quanto concerne il periodo “Ospedaliero”,ed in colore blu per quanto pertiene al periodo“Universitario”. Le ultime due righe orizzontalidella Tabella 2 evidenziano i dati assoluti e lamedia dei servizi espletati su base mensile dal

Professionista in oggetto.Le analisi statistiche, quando appropriate, sonostate effettuate con il test t di Student, con il testdel chi-quadro di Mantel-Haenszel (o con il Fisherexact test), con livelli di significatività fissati perconvenzione a valori di p<.05.

Risultati

Come si evince dall’ insieme della Tabella 2, ilProfessionista in oggetto dall’anno 2002 fino atutt’oggi ha preso parte a tutte le differenti attivitàassistenziali in atto presso la Divisione diappartenenza, come previsto dai piani di assistenzacondivisi e dal regime di turnazione in atto pressotale struttura. Proprio per questo motivo, seestremamente ampio appare lo spettro di impegniclinico-assistenziali, per converso si presentaaltrettanto “disperso” l’ impegno profuso pressociascun singolo servizio, ancor più se valutato intermini di continuità assistenziale, e di eventualiconnessioni con risvolti speculativi e di ricerca.Scendendo nello specifico, le attività assistenzialidi reparto (presentate nelle prime tre colonne dasinistra della Tabella 2), vedono la prevalenza diturni pomeridiani e notturni, espletati nellastragrande maggioranza dei casi anche in qualità diMedico di Guardia Divisionale. Il confronto tra ilperiodo di dipendenza “Universitaria”, rispetto alprecedente periodo di dipendenza “Ospedaliera”,mostra un incremento statisticamente significativodell’ impegno assistenziale in reparto di degenzanei turni mattutini (p<.001 ) e pomeridiani(p<.001 ), mentre l’assistenza notturna non si èmodificata significativamente nell’ intero arco ditempo considerato.Per quanto concerne le attività al servizio deiPronti Soccorso, si nota un impegno pomeridianonettamente aumentato (p<.001 ), ed un invariatocoinvolgimento nei turni notturni, dal confrontodei dati del più recente periodo “Universitario”,versus gli anni di servizio “Ospedaliero”.Del tutto immodificata tra i due periodi allo studioappare invece la partecipazione del Professionistaai turni di ambulatorio specialistico, che restano

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comunque numericamente contenuti a meno di 5giorni mensili, in media (da notare che a taliambulatori afferiscono i pazienti seguitisistematicamente per patologie croniche,maggiormente oggetto di eventuali studi clinici eprotocolli sperimentali).Ridotta risulta invece nel tempo (periodo“Universitario”) l’attività assistenziale erogata inregime di Day-Hospital e di Day-Service (p<.001 ),così come l’attività di ambulatorio Divisionale,seppure in misura statisticamente meno evidente(p<.02).Quanto all’attività di consulenza specialistica alletto del malato espletata presso altre Divisioni edaltri Ospedali, la modesta riduzione osservata nelleconsulenze effettuate al mattino (n.s.), è bilanciatada un significativo incremento delle prestazionisvolte nel pomeriggio (p<.001 ), che rappresentanola “spia” delle difficoltà di assicurare la presenza alletto di degenti che si trovano presso altreDivisioni ed altre strutture nelle ore del mattino.Venendo ora alla disamina delle attività di guardiadiurna (pomeridiana: ore 1 3,00-20,30), si nota unsignificativo incremento nel corso dei 53 mesi“Universitari”, rispetto ai 40 mesi “Ospedalieri”(p<.001 ), che dà ragione dell’effettuazione di unturno di guardia per ogni settimana, in media, neglianni più recenti. Tale incremento intervenuto nelperiodo “Universitario” riguarda anche le attivitàdi guardia giornaliera di durata prolungata a 12 ore,che concerne per organizzazione interna i giornifestivi ed il periodo estivo (trimestre 1 5 giugno-15settembre) (p<.001 ). Riguardo ai turni di guardianotturna (ore 20,30-8,30), non si notano invecemodificazioni rilevanti tra i due periodi allo studio,nel corso dei quali il Professionista ha espletatosempre poco meno di tre guardie notturne inmedia, per ciascun mese di servizio.Per quanto concerne i servizi di prontadisponibilità (c.d. “reperibilità”), se non si notanodifferenze significative tra i due periodi in esameper quanto riguarda il numero complessivo di turniprestati, emerge un raddoppio dei turni direperibilità effettuati nel periodo di servizio“Universitario” rispetto a quello “Ospedaliero”,

enucleando il sottogruppo dei turni erogati per 24ore su 24, e propri delle sole giornate festive(p<.001 ).Addetto alle attività svolte nell’ambito territoriale(es. consulenze specialistiche a favore degli altridue Ospedali Generali cittadini, e servizi sulterritorio), in cui non si notano variazionitemporali statisticamente significative.Come accennato in precedenza, in continua,costante ascesa appare l’apporto del Professionistain oggetto ai turni di guardia attiva, diurna enotturna nel loro complesso (nel corso dei quali sigestiscono le urgenze sotto ogni forma, nonché leattività di consulenza dai Pronti Soccorso e quelledi ricovero programmato e di ricovero urgente).Dalla Tabella 2 si evince infatti come ilProfessionista abbia prestato tali compiti per il7,37% del monte-ore di guardia dell’ intera équipedi 1 5 Sanitari nel corso del primo anno diosservazione (2002), e che tale percentuale siaandata salendo anche nel corso del “passaggio”dalla dipendenza Ospedaliera e quellaUniversitaria, fino ad attestarsi ad oltre il 1 2% delmonte-ore di guardia prestate dalla intera équipenel periodo più recente (anni 2009-2010). Anchetali servizi di guardia attiva, se da un latoconsentono al Professionista di mantenere pienocontatto con l’epidemiologia e la clinica attuali,dall’altro restringono drasticamente gli spazidedicati ad implementare un’attività“Universitaria” di qualche rilevanza.Considerando infine nel loro complesso le giornatedi presenza e quelle di assenza dai servizi acarattere puramente assistenziale (presentati nelleultime tre colonne a destra della Tabella 2), non sievidenziano differenze statisticamente significativetra i due periodi (53 mesi di dipendenza“Universitaria”, versus 40 mesi di dipendenza“Ospedaliera”), con una media mensile di giorni dipresenza che si attesta poco al di sotto dei 24giorni al mese. Le giornate di assenza dai servizi sicaratterizzano nel periodo “Universitario” per unaulteriore, seppure modesta riduzione: enucleandodalle giornate di assenza complessive quelledovute a “missioni” (es. partecipazione ad attività

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di corsi e congressi, altri incarichi istituzionali,etc.), si osserva un incremento (p<.005) nel corsodel periodo “Universitario”, da ascrivere per lo piùad attività istituzionali indifferibili. Da sottolineareinfine la totale, assoluta assenza di giorni dimalattia, mai fruiti nell’ intero arco di tempoconsiderato (anni 2002-2010) (Tabella 2).

Discussione

Dalla estrema frammentazione delle attivitàassistenziali espletate dal Professionista oggettodel presente studio, ricomprese nell’ intero arcodelle numerose e variegate prestazioni fornite dallaDivisione Ospedaliero-Universitaria in oggetto, sievince come prima considerazione che sul versanteorganizzativo, a tutti i Sanitari viene consentito dioccuparsi di tutti i servizi e di tutte le patologie, ilche se da un lato favorisce un approccio olisticoall’ intera Disciplina nelle sue più diversesfaccettature organizzative ed assistenziali,dall’altro rende virtualmente impraticabileassicurare una gestione continuativa dei diversisettori operativi, e rende pressoché impossibile ilmantenimento di una continuità assistenziale nellospecifico rapporto Medico-Paziente (salvaguardatosoltanto in sede di degenza ordinaria, eparzialmente nelle attività di Day-Hospital e Day-Service).Sul versante puramente assistenziale, se l’obiettivocomune di voler costruire e mantenere una équipein cui “tutti” i Professionisti medici “sappiano faretutto” allo scopo di preservare l’orizzonte piùampio possibile sulla casistica ospedaliera eterritoriale e sulle diverse attività assistenziali,diviene nel contempo inevitabile restringere (equindi “mortificare”), non soltanto lo sviluppo ed ilmantenimento di relazioni biunivoche medico-paziente-(parenti) (che nell’ambito della gestionedi numerose patologie croniche ad evoluzionepotenzialmente severa e mortale presentaun’elevata importanza, nel garantire il massimosuccesso terapeutico in termini di compliance e dicreazione di rapporti di fiducia) [7, 1 0], ma anchel’eventuale implementazione di percorsi dimaturazione professionale, ed ancor più di attività

di ricerca di base, e di ricerca clinica (le qualinecessiterebbero una sempre maggioreconcentrazione del medico Specialista su unsettore clinico-assistenziale sufficientementedelineato e demarcato, da poter consentireapprofondimenti scientifici e speculativi, e dapoter supportare attraverso specifichecollaborazioni con altri professionisti e conLaboratori di ricerca).Considerata nel suo insieme, l’attività assistenzialeprestata dal Professionista in oggetto in un arco ditempo sufficientemente ampio (quasi otto anni), epresso la medesima Divisione della stessa AziendaOspedaliero-Universitaria, appare quindipienamente esemplificativa di quanto si riscontrain ambienti di lavoro ove, accanto allaspecializzazione ed alla professionalità della interaéquipe, l’ incombente necessità di assicurare iservizi assistenziali secondo “turni” di lavoromutuamente condivisi, tende ad uniformare leprerogative dei singoli a favore delle prestazionicomplessive fornite dalla Divisione edell’Azienda, “spersonalizzando” inevitabilmentel’operato e gli obiettivi dei singoli Professionisti,che hanno il vantaggio di “sommare”indistintamente le loro attività assistenziali a quellesvolte dai Colleghi, in una prestazione chepotremmo definire “di gruppo” o Divisionale(come evidenziato in particolare per l’assistenzaerogata a favore dei servizi di Pronto Soccorso),ma assistono forzatamente al loro “annullamento”come singoli Professionisti, laddove alla logica del“Sanitario di riferimento” si sostituisce sempre piùquella della “Struttura di riferimento”.Non per nulla questo modello organizzativo apparequello largamente prevalente nell’erogazione delleprestazioni sanitarie ad opera delle AziendeSanitarie e delle Aziende Ospedaliere Italiane, inquanto apparentemente salvaguarda una sorta diequità nella distribuzione dei “carichi” e degli oraridi lavoro e di servizio sulla base di turni condivisie garantiti dalla Direzione, e garantisce ai singoliProfessionisti una sorta di “alternanza” nelleattività assistenziali, che in molti casi gioca afavore di un’assistenza “di équipe”, laddove la

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gestione assistenziale nella sua complessità ed ilcaso clinico singolo vengono “presi in carico” dallaintera “squadra” assistenziale, che assume quindicura nel suo insieme le eventuali criticità cliniche egestionali. Sull’altro versante, come è facilmenteprevedibile, soprattutto nell’ottica del singolopaziente e dei familiari, un’assistenza “di équipe”tende a far perdere di vista le peculiarità personali,ed inevitabilmente indebolisce e mina il rapportoMedico-Paziente, che tanta importanza rivesteproprio nella cura di patologie croniche, adevoluzione potenzialmente grave e mortale [7, 10].Sul versante della Medicina Universitaria, laddovesi richiede al “Medico Universitario” di fondereindissolubilmente le proprie attività assistenzialicon quelle di didattica, formative, di tutoraggio, edancor più di ricerca, appare fin troppo evidente chela “debordante” attività di cura e la suaframmentazione basata sulla turnistica delle attivitàprestate ai malati, siano foriere di conseguenzeestremamente deleterie sui compitiistituzionalmente assegnati alla MedicinaUniversitaria, che si vede sempre di più ristretta intempi ed in spazi lasciati “liberi” dalle moltepliciattività assistenziali e dalle relative, inderogabiliazioni burocratiche, organizzative e “manageriali”,che molto spesso travalicano di gran lunga anchegli orari dedicati dal Professionista all’assistenzadiretta ai malati (Tabella 1 ).Il caso del Professionista preso in oggetto appare aquesto proposito paradossale nella suaemblematicità. Se nel corso dei 40 mesi di attivitàin qualità di Medico “Ospedaliero” restavanomodesti “spiragli” di tempo e di lucidità da poterdedicare ad attività speculative e scientifiche nonistituzionalmente richieste come indispensabili, eche spesso rappresentavano atti di riflessione e diripensamento delle modalità assistenziali delsingolo sanitario e della équipe di appartenenza,proprio a seguito del “passaggio” del medesimoProfessionista ad una qualifica Universitaria, neisuccessivi 53 mesi l’ incalzare delle attività di“routine” clinico-assistenziali richieste confrequenza crescente (e svolte con estremadisponibilità e sollecitudine dal Professionista

stesso, che manifesta pieno entusiasmo nell’offrirela propria quotidiana disponibilità ecollaborazione), finiscono con l’azzerarematerialmente i tempi da poter dedicare ad attivitàdi didattica, di tutoraggio, ed ancor più diprogettazione e di ricerca scientifica. Come è noto,queste attività si fondano su una rigorosapianificazione, sul supporto di una équipe, diun’azione multidisciplinare, e preferibilmente sucollaborazioni nazionali ed internazionali, onderaggiungere livelli non dico di eccellenza maalmeno di sufficienza.Superfluo sottolineare che i Docenti “Universitari”(a qualunque disciplina essi appartengano) sonovalutati più per la loro attività accademica che perquella assistenziale (che rappresenta invece unaprerogativa della “Medicina Universitaria”). Senzadover giungere ai fin troppo abusati aforismi dianglosassona memoria (di cui è patognomonical’espressione “publish or perish”, recentementediscussa anche in memorie scritte su Periodici diMedicina del Lavoro [6] , il mancatoraggiungimento di traguardi di ricerca e la mancatapubblicazione di studi scientifici adeguati intermini di qualità e di quantità, ostacola ogniprogressione di carriera, e soprattutto tende aridurre ulteriormente i già risicati fondi adisposizione, aggravando in tal modo il “circolovizioso” in cui una larga fetta della “MedicinaUniversitaria” rischia di essere trascinata semprepiù, alla luce delle contingenti difficoltà, e delleristrettezze economiche e di personale.Oltre che sul piano dell’ integrazione tra attività“Ospedaliera” ed attività “Universitaria”(attualmente giunti ai limiti dell’ inconciliabilità),ed al di là della diuturna mortificazione dellaproduttività scientifica e dell’azione accademica,in campo prettamente ergonomico c’è dasottolineare la crescente incompatibilità tra carichidi lavoro sempre più abbondanti, variegati, e noncoordinati tra loro, e la necessità dettata dalladipendenza “Universitaria” di dover rendere contoai propri organi accademici di attività di altranatura, prevalentemente di ricerca e di sviluppo,piuttosto che assistenziale. Superfluo appare quindi

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ricordare quanto questo “conflitto di interessi” deltutto “interno” ai singoli Professionisti e quindiquanto mai paradossale, quando lo stessoProfessionista è tenuto ad indossare sia la casaccadell’ “Ospedaliero” sia la casacca dell’“Universitario”, nell’ impossibilità di “dilatare” itempi a disposizione (le giornate durano sempre esoltanto 24 ore), sia foriero di insoddisfazionepersonale e professionale, sia responsabile di undiscutibile uso delle risorse umane disponibili (se ilPersonale “Universitario” si trova nella necessità disvolgere una prevalente attività assistenziale, essovede gravemente minato il suo orizzonte scientificoe di ricerca ed il suo avanzamento di carriera), epossa avere ricadute anche di pertinenza diMedicina del Lavoro ed ergonomica, che possonospesso conclamarsi su versanti francamentepatologici.Da molti anni [15] sono oramai noti ed ampiamentediscussi stati di disadattamento dovuti all’ incalzaredi turni di assistenza a cui si cerca di intercalare leattività scientifiche e didattiche, fino ad assistereall’emergere di veri e propri rischi per la salute deisingoli Professionisti della sanità ad ogni livelloprofessionale, ivi compresi gli Specialisti inFormazione [11 ]. Tali fenomeni riguardano anchestrutture ambulatoriali (“outpatient clinics” delmondo anglosassone), oltre che il classicoambiente ospedaliero [4, 9], e sono direttamente oindirettamente connessi alla prolungata presenzasul posto di lavoro, oppure al trasferimento forzosoin ambito domestico della maggior parte delleattività di aggiornamento e di ricerca per cui nonsia possibile trovare spazio e tempo quando ci sitrovi impegnati con le attività puramenteassistenziali sul luogo di lavoro, fino alle difficoltàrelazionali ed esistenziali, certamente di difficilemisurazione e catalogazione, ma che minanoprofondamente l’esistenza di Professionisti a cuivengono affidati compiti probabilmente tropporilevanti, talora di taglio organizzativo-managerialepiù che sanitario in senso stretto, e comunquetroppo “pressanti”, in base al tempo ed ai mezzidisponibili [3, 4, 8, 9, 11 , 1 2, 1 4]. Da indagini svolte inItalia ed in altri Paesi, tali Professionisti lamentano

soprattutto di sentirsi sottoposti (e spessosopraffatti) da richieste di intervento e diprestazione d’opera spesso incoerenti tra loro, senon addirittura apertamente conflittuali [1 3]. Infatti,è purtroppo la sempre più “debordante” attivitàclinico-assistenziale e burocratica a richiedere di“comprimere” necessariamente tutte le risorseaccedemiche e di ricerca, che a fronte di necessitàcontingenti ed impellenti vengono di mano inmano rimandate, ristrette nei loro orizzonti, olimitate per forzata mancanza di mezzi, ed ancorpiù di tempo disponibile e di un sufficiente stato diefficienza fisica e di lucidità mentale.A partire da situazioni di forte disagio e didisadattamento psico-sociale createsi nell’ambientedi lavoro, non è difficile notare per un inevitabileeffetto di “trascinamento” l’ instaurarsi di vere eproprie patologie organiche (tra cui prevalgonoquelle legate alle modificazioni forzose dei ritmicircadiani, quali quello sonno-veglia, il ciclomestruale, e le funzioni ormonali nel senso più latodel termine) [11 ], che rendono ancora più complessoconciliare le realtà lavorative con l’universo degliaffetti, della famiglia, e dell’ intera società [9, 1 2-14],rispetto alla quale i Professionisti della sanitàtendono a configurarsi sempre più come “alieni”.Al di là della disamina di documenti a caratterepuramente “amministrativo”, organizzativo,economico e regolatorio relativi allo “status” deiMedici Universitari a livello Nazionale [5], a livellodei Servizi Sanitari Regionali [1 ], e a livello dellesingole realtà Ospedaliero-Universitarie locali [2]

(che esula totalmente dagli scopi di questeriflessioni), ed al di là del talora illusorio eprobabilmente meschino tentativo di volersuddividere rigorosamente gli inscindibili impegniquotidiani e settimanali di carattere di volta involta “Ospedaliero” oppure “Universitario”nell’ambito delle 38 ore di servizio settimanale daassicurare secondo i termini contrattuali [1 , 2, 5], alfine di tentare di salvaguardare le attivitàscientifiche-didattiche dalla crescente “pressione”dei compiti clinico-assistenziali, amministrativi eburocratici, il presupposto di questo breve scritto èquello di limitarsi a suscitare un dibattito circa il

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ruolo, i compiti, ed i fini della “MedicinaUniversitaria” in Italia a tutt’oggi, in situazioniladdove “la buona volontà” ed il “buon senso” ditutti i singoli Operatori e di tutte le singoleIstituzioni coinvolte (essenzialmente Università edAziende Ospedaliero-Universitarie), trovino uncanovaccio d’intesa per valorizzare le risorse deiloro Professionisti, approfittando delle personalitàe delle capacità scientifiche, didattiche,assistenziali ed organizzative dei singoli e delleéquipe, e senza trascurare nel contempo glialtrettanto cogenti e complessi compiti relativiall’erogazione delle cure ai pazienti, checontemplano a loro volta responsabilità ecompetenze estremamente delicate, ed unaorganizzazione dedicata da parte dei medesimi

Professionisti.Questa sorta di “Laboratorio Sperimentale” si puòe si deve realizzare tipicamente nelle Aziendemiste, a componente sia “Universitaria”, sia“Ospedaliera”, e negli Istituti di Ricerca e Cura eCarattere Scientifico legalmente riconosciuti(IRCCS), e può costituire un’opportunità dirinnovo di un’integrazione attraverso un percorsocondiviso, in grado di garantire ai Responsabili distruttura, ai singoli Professionisti, ai pazientiassistiti, ed all’ intera collettività, un percorso dicrescita e di massima valorizzazione delle risorsesanitarie, professionali, scientifiche, economiche,ed ancor più delle risorse umane ed etiche, chestanno alla base della Medicina, intesa comescienza olistica.

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Bibliografia

1 . Accordo in attuazione del protocollo d’ intesa tra Regione ed Università dell’Emilia-Romagna, per leattività assistenziali (25 maggio 1999).2. Accordo tra l’Università degli Studi di Bologna e l’Azienda Ospedaliera Policlinico S. Orsola-Malpighisulla rilevazione del debito orario del Personale Universitario equiparato alla Dirigenza Sanitaria (26febbraio 2002).3 . Buselli R, Pacciardi B, Gonnelli C, et al. Supporto psichiatrico ai lavoratori della sanità sottoposti asorveglianza sanitaria periodica. G Ital Med Lav Erg 2009; 31 :1 49-53.4. Chin MH, Kirchhoff AC, Schlotthauer AE, et al. Sustaining quality improvement in community healthcenters: perceptions of leaders and staff. J Ambul Care Manag 2008; 31 :319-29.5. Decreto Legislativo n. 517 (21 dicembre 1999). Disciplina dei rapporti fra Servizio Sanitario Nazionaleed Università, a norma dell’articolo 6 della Legge 30 novembre 1998, n. 419. Gazzetta Ufficiale 2000; 8(Suppl. Ordinario 10).6. Franco G. Publish or perish: the scientific productivity of academics in the field of occupational medicine.Med Lav 2009; 100:1 63-70.7. Fuertes JN, Mislovack A, Bennett J, et al. The physician­patient working alliance. Patient Educ Couns2007; 66:29-36.8. Gottardi G. Lo stress lavoro­correlato: il recepimento dell’accordo quadro Europeo. Guida al Lavoro2008; 26:20-4.9. Linzer M, Manwell LB, Williams ES, et al. Working conditions in primary care: physician reactions andcare quality.Ann Intern Med 2009; 1 51 :28-36.1 0. Niu K, Chen L, Jenich H. The relationship between chronic and non­chronic trends. Popul HealthManag 2009; 12:31 -8.11 . Papp KK, Stoller EP, Sage P, et al. The effects of sleep loss and fatigue on resident­physicians: a multi­institutional, mixed­method study. Acad Med 2004; 79:394-406.1 2. Pisanti R. An empirical investigation of the demand­control­social support model: effects on burnoutand on somatic complaints among nursing staff. G Ital Med Lav Erg 2007; 29 (1 Suppl. A):A30-6.1 3. Siegrist J. Adverse health effects on high effort­low reward conditions at work. J Occupational HealthPsychol, 1 996; 1 :27-43.1 4. Toffoletto F, Latocca R. Atti del Convegno “Stress e attività lavorativa”. G Ital Med Lav Erg 2009;31 :1 85-235.1 5. Udasin IG. Health care workers. Prim Care 2000; 27:1 079-102.

Corrispondenza: R. Manfredi, e-mail: [email protected]

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Norme Editoriali

La rivista Medicina Narrativa pubblica articoli

scientifici originali su argomenti attinenti la medicina

narrativa e le scienze umane nei loro molteplici aspetti.

La rivista si propone di promuovere e incoraggiare lo

sviluppo e l’evoluzione della medicina narrativa, per

favorire il dibattito a livello della comunità scientifica e

dell’opinione pubblica. Attraverso l’utilizzo delle

narrazioni di medici, pazienti, operatori sanitari (ma

anche letterarie e cinematografiche), si possono mettere

a fuoco anche le tematiche riguardanti l’umanizzazione

della medicina, il problema della comunicazione

nell’ambito del rapporto medico – paziente e le

prospettive educative e terapeutiche legate all’utilizzo

delle arti in medicina. I contributi possono essere redatti

come editoriali, articoli, recensioni, segnalazioni, storie

vere e verosimili e lettere alla direzione. I manoscritti

devono essere preparati seguendo rigorosamente le

norme per gli Autori, che sono conformi agli Uniform

Requirements for Manuscripts Submitted to Biomedical

Editors editi a cura dell’ International Committee of

Medical Journal Editors (www.icmje.org). Non saranno

presi in considerazione gli articoli che non si

uniformano agli standard internazionali. I lavori redatti

in lingua italiana o inglese o duplice versione inglese e

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originale e non è ancora stato pubblicato né totalmente

né in parte e che, se accettato, non verrà pubblicato

altrove né integralmente né in parte. Tutto il materiale

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etici e conflitti di interesse, firmata da tutti gli Autori: ''I

sottoscritti Autori trasferiscono la proprietà dei diritti di

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sottoposto a peer-review. Tutti i lavori saranno

esaminati dal Comitato scientifico che si riserva il

diritto di rifiutare il lavoro senza sottoporlo a revisione

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con le risposte punto per punto ai commenti dei revisori.

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Preparazione del manoscritto

Per la preparazione del manoscritto si prega di utilizzare

il modello predisposto per il tipo di lavoro prescelto.

L’articolo dovrà essere dattiloscritto con spaziatura

doppia e con margini di almeno 2,5 cm su cartelle del

formato 212•297 mm (ISOA4). Il formato accettato è

Word. Il file del manoscritto deve contenere il titolo, i

dati autori, le note, il riassunto, il testo, la bibliografia,

le didascalie delle tabelle e delle figure. Tabelle e figure

devono essere inviate in file separati.

Titolo e dati autori

• Titolo (in inglese e in italiano) conciso, senza

abbreviazioni.

• Nome e Cognome degli Autori.

• Affiliazione (sezione, dipartimento e istituzione) di

ciascun autore.

Note

• Dati di eventuali Congressi ai quali il lavoro sia già

stato presentato.

• Ringraziamenti.

• Nome, cognome, indirizzo, e-mail dell’autore di

contatto.

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Riassunto

Il riassunto (in inglese e in italiano) non deve superare

né essere inferiore alle 3000-3500 battute. Gli

articoli originali, che possono essere strutturati nelle

sezioni: obiettivo (scopo dello studio), metodi (disegno

sperimentale, pazienti e interventi), risultati (cosa è stato

trovato), conclusioni (significato dello studio), dovranno

avere una lunghezza compresa tra 20000 e

40000 battute (spazi inclusi). Gli articoli per la rubrica

storie vere e verosimili non dovranno superare le 20000

battute. Gli editoriali e le lettere alla direzione non

necessitano di riassunto.

Testo

Per i lavori presentati in duplice versione, il testo in

lingua inglese deve essere speculare al testo in lingua

italiana.

Bibliografia

È sottointeso che gli articoli citati in bibliografia siano

stati letti dagli autori. La bibliografia, che deve

comprendere i soli Autori citati nel testo, va numerata

con numeri arabi in ordine consecutivo di prima

citazione nel testo. Il richiamo delle voci bibliografiche

nel testo deve essere fatto con numeri arabi in apice. La

bibliografia deve essere citata nello stile standardizzato

approvato dall’ International Committee of Medical

Journals Editors (www.icmje.org).

Riviste

Per ogni voce si devono riportare il cognome e l’ iniziale

del nome degli Autori (elencare tutti gli Autori fino a

sei, se sette o più elencare solo i primi sei nomi seguiti

da: et al.), il titolo originale dell’articolo, il titolo della

rivista (attenendosi alle abbreviazioni usate di

MEDLINE/PubMed), l’anno di pubblicazione, il

numero del volume, il numero di pagina iniziale e

finale. Nelle citazioni bibliografiche seguire

attentamente la punteggiatura standard internazionale.

Libri e Monografie

Per pubblicazioni non periodiche dovranno essere

indicati i nomi degli Autori, il titolo, l’edizione, il luogo

di pubblicazione, l’editore e l’anno di pubblicazione.

Materiale elettronico

Per la redazione della bibliografia non utilizzare le note

a pie’ di pagina e le note di chiusura di Word.

Le voci bibliografiche citate per la prima volta in una

tabella o nella didascalia di una figura devono essere

numerate in sequenza con le voci bibliografiche citate

nel testo tenendo conto del punto in cui la tabella o la

figura è richiamata per la prima volta. Di conseguenza

tali voci bibliografiche non devono essere elencate in

fondo alla bibliografia ma secondo l’ordine di citazione

nel testo.

Didascalie delle tabelle e delle figure

Per i lavori presentati in duplice versione le didascalie

delle tabelle e delle figure devono essere redatte in

lingua inglese. Le didascalie di tabelle e figure devono

essere inserite sia nel file di testo sia nel file delle

tabelle e delle figure.

File delle tabelle

Le tabelle devono essere inviate come file separati. I

formati accettati sono Excel e Word. Ogni tabella deve

essere correttamente dattiloscritta, preparata

graficamente secondo lo schema di impaginazione della

rivista, numerata in cifre romane, corredata dal

rispettivo titolo. Eventuali annotazioni devono essere

inserite al piede della tabella e non nel titolo. Le tabelle

devono essere richiamate nel testo in ordine

consecutivo. Per i lavori presentati in duplice versione,

le tabelle e le didascalie delle tabelle devono essere

redatte in lingua inglese.

File delle figure

Le figure devono essere inviate come file separati. I

formati accettati sono JPEG, EPS, TIFF e Power Point.

Le figure devono essere numerate in cifre arabe e

corredate dalla rispettiva didascalia. Le figure devono

essere richiamate nel testo in ordine consecutivo. Per i

lavori presentati in duplice versione, le didascalie delle

figure devono essere redatte in lingua inglese. La

riproduzione deve essere limitata alla parte essenziale ai

fini del lavoro.

Per le figure a colori specificare sempre se si desidera la

riproduzione a colori o in bianco e nero. Il costo della

riproduzione delle figure a colori sarà addebitato agli

Autori.

Le dimensioni ottimali per la riproduzione sulla rivista

sono:

• cm 7,2 (base) x cm 4,8 (altezza)

• cm 7,2 (base) x cm 9 (altezza)

• cm 15 (base) x cm 9 (altezza)

• cm 15 (base) x cm 18,5 (altezza): 1 pagina

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