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EDITORIALE3 Piccole lune da inventare

di Francesco Stoppa

IL PASSAGGIO,LA METAMORFOSI,LE SFUMATURE7 Linea d’ombra e dono della comunità

di Augusto Casasola

9 Il “passaggio” in chiave cristianadi Chino Biscontin

13 Dal manicomio alla 180 e oltreIntervista a Lucio Schittar

15 Sfumature leonardeschedi Anna Comoretto

16 Il pensiero sulla “crisi”di M. Angela Salamon

17 La responsabilità di gestire un passaggioIntervista a Giulio De Antoni

18 Del “passaggio”di Francesco Maria Di Bernardo Amato

19 «I Turcs tal Friúl»: accettazionedella morte e passaggio alla vitadi Stefano Fregonese

22 Dal sapere dell’Universitàalla pratica dei Servizidi Fabiana Del Fabbro e Angela Nonino

24 Il gioco dei puntini e delle ‘e’di Marcello Losito

25 Silvia e le «Metamorfosi»di Flavio Gallio

26 Dal Nido alla Scuola Materna

ASPETTANDO GODO…27 Bring

di Andrea Appi

28 Cose normalidi Mario Rigoni

IL FILO DI ARIANNA.APPUNTI SULLASALUTE MENTALE29 Come valutare

l’efficaciadi un progetto?di Carlo Viganò

32 Compagni di viaggio

LA CITTÀ REALE& LA CITTÀ INVENTATA33 Carte berlinesi

di Stefano Tessadori

SCONOSCIUTI MA BELLI 35 Incipit

di Alfredo Stoppa

EVENTI37 Hicetnunc

a cura di M.a.r.c.

38 Attenzione al presenteo gestione del passato?di Angelo Bertani

39 Pellegrinaggio tra icone.Intervista ad Angelo Battel

NOTE STONATE40 Intervista a Elisa

di Paolo Michelutti

INIZIATIVE41 Secondo semestre 1998

L’ OPINIONE44 di Piero Fortuna

SALUTI DA PORDENONE45 Piazza del Popolo vista dalla Luna

SOMMARIO

L’IPPOGRIFOLaTerra vistadallaLuna

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Hanno collaborato a questo Quaderno dell’Ippogrifo:

Andrea Appi, cabarettista del duo I Papu.Angelo Battel, operatore culturale.Angelo Bertani, critico d’arte.Chino Biscontin, teologo, direttore del Museo e della Biblioteca

del Seminario Vescovile.Anna Comoretto, restauratrice.Giulio De Antoni, ingegnere.Giovanni Antonio de’ Sacchis, pittore.Fabiana Del Fabbro, psicologa.Fernando Del Casale, psicologo.Francesco Maria Di Bernardo Amato, medico e poeta.Elisa, cantante e compositrice.Luciano Ettari, borsista.Piero Fortuna, giornalista.Stefano Fregonese, psicoterapeuta.Flavio Gallio, insegnante.Marcello Losito, laureato in filosofia.Paolo Michelutti, giornalista e musicista.Marino Narpozzi, architetto.Angela Nonino, psicologa.Gianni Pignat, fotografo e artista.M. Angela Salamon, borsista.Lucio Schittar, psichiatra.Alfredo Stoppa, libraio ed editore.Stefano Tessadori, architetto.Carlo Viganò, psichiatra e psicoanalista.

Si ringraziano per aver reso possibile questa pubblicazione:

Luciano Padovese, vicepresidente della FondazioneCassa di Risparmio di Udine e Pordenone e direttoredella Casa dello Studente «Lino Zanussi».

Giulio De Antoni, direttore generale dell’Aziendaper i Servizi Sanitari n. 6 «Friuli Occidentale».

Sandra Conte, presidente dell’Associazione «Enzo Sarli».Angelo Cassin, responsabile del Dipartimento

di Salute Mentale di Pordenone.

Per la realizzazione un particolare ringraziamento a:

Andrea Di Bert, Giovanni, Alessandro e Alberto Dreossi,

Daniele Gortan, Anna Piva, Carlo Sartor

Questo Quaderno è stato pubblicatocon il contributo della FondazioneCassa di Risparmio di Udine e Pordenone

Per inviare contributi, riflessioni e impressioni, scrivere a:Redazione «L’Ippogrifo» c/o Studio Rigoni, viale Marconi, 32

33170 Pordenone. Telefono e fax: 0434/21559.E-mail: [email protected]: www.montagnaleader.orgChi volesse sostenere anche economicamente questa iniziativa editorialepuò farlo tramite il c.c.p. n. 12530598 intestato a: «Enzo Sarli», Associazioneper la Salute e l’Integrazione Sociale, specificando la causale.

Copyright© del progetto editoriale: L’Ippogrifo – Studio Rigoni.È vietata la riproduzione, senza citarne la fonte. Gli originali dei testi, i disegnie le fotografie, non si restituiscono, salvo preventivi accordi con la Redazione.La responsabilità dei giudizi e delle opinioni compete ai singoli Autori.

Numero unico. Estate 1998

Questa edizione è pubblicatadall’Associazione «Enzo Sarli».Via Interna, 5 - 33170 Pordenone.

RedazioneCinzia Appi,Carmen Battiston,Massimo Bortolotto,Giulio De Franceschi,Luca Pascutto,Luciana Pignat,Querina Pitton,M. Angela Salamon,Francesco Stoppa,Caterina Toffoli,Patrizia Zanet.

Coordinamento di redazione Augusto Casasola,Mario Rigoni,Francesco Stoppa.

Progetto graficoe impaginazioneStudio Rigoni.

FotolitoDreossi & C. - Pordenone.

StampaTipografia Sartor - Pordenone.

Referenze fotograficheAngelo Bertani,Danilo De Marco,Archivio Rigoni.

I disegni, ove non diversamenteindicato, sono di Gianni Pignat.

Questo Quaderno è compostoin carattere Garamond Simoncinied è stampato su carta Arcoprintda 120 g/mq della cartiera Fedrigoni.

Stampato nel mese di giugno 1998

L’IPPOGRIFOLaTerra vistadallaLuna

In questo numero:

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Il passaggio,la metamorfosi,

le sfumature••••••••••••••••••••••••••••

Quaderno/estate1998

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Da dove vengano le ideeresta sempre un mistero. Comunque, una volta su-perata la sorpresa che ac-compagna l’arrivo delleparole giuste, possiamoconcederci il piacere di im-parare qualcosa da quantoha preso forma in noi,aprendo un campo di senso a un temponuovo e antico. Il titolo di questi qua-derni intreccia più cose insieme.La terra vista dalla luna, come moltisanno, è un cortometraggio di Pasolini.In questa scelta non c’è solo un richiamoalla nostra terra – il Friuli sempre impli-cito nel riferimento a Pasolini –, c’è an-che un filo associativo che riporta ad unapiccola, ma intensa impresa culturale na-ta qualche anno fa a Pordenone. La luna qui evocata è infatti la stessa acui ascendeva «L’Ippogrifo»: sulle pagi-ne di un quotidiano locale trovò ospita-lità una rubrica così denominata, nutritadalle riflessioni di persone che operanonelle istituzioni (sanitarie, scolastiche,religiose, giudiziarie…). Ne derivaronoanche dei dibattiti pubblici, sempre cen-trati sul funzionamento e il senso dellenostre realtà istituzionali.«L’Ippogrifo» era il tentativo di testimo-niare ciò che funziona, nonostante tutto,grazie all’impegno quotidiano di chi la-vora con serietà (necessariamente ac-compagnata da senso dell’umorismo: cene vuole sempre per potercela fare). Eraun modo per dribblare il qualunquismo

e il vittimismo e ritrovarsiin più persone a costruireun confronto su certe in-nervazioni sociali dellanostra città.Il titolo di quella rubri-ca, «L’Ippogrifo», affianca-to da un’illustrazione diGustav Dorè raffigurante

Astolfo mentre si stacca dalla terra a ca-vallo del suo destriero alato, esprimevametaforicamente la speranza di ritrova-re ancora, nell’atto del pensiero (cioènella scrittura, nella testimonianza), ilnostro senno perduto, la capacità di rivi-sitare la realtà, di continuare a interro-garla da più angolazioni.

L’esperienza di allora viene raccolta qui,nel progetto di questi quaderni, che sonostati preceduti da due numeri di provausciti col titolo Il fante, dall’omonimavia di Pordenone dove ha sede un Cen-tro Diurno del Dipartimento di SaluteMentale. La maggior parte dei membridella redazione, infatti, fa capo allarealtà psichiatrica. La redazione, composta da operatori eospiti delle strutture, oltre a prepararedegli interventi e a contattare persone ingrado di gestire alcune rubriche, indivi-dua il tema principale di volta in voltaproposto alla discussione e rispetto alquale vengono raccolti più contributi.Così, questa pubblicazione, che nascenell’ambito di una comunità terapeutica,vorrebbe darsi le sembianze di un’agorà,

EDITORIALE

Piccole luneda inventare

Francesco Stoppa

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quasi ad ovviare metaforica-mente ad una carenza urbani-stica della nostra città, che inquanto a piazze vere e proprieè messa piuttosto male. Ora,una comunità che voglia tenta-re d’essere realmente terapeuti-ca – per quanto rappresenti unsembiante di socialità, unarealtà di prova della realtà del-la città che le respira intorno –deve fermarsi a interrogare ilsenso della convivenza, delleregole che si dà, proprio per ar-rivare a interrogare il fonda-mento delle regole sociali e del-la organizzazione della realtànel suo complesso. Diciamo questo per spiegare ilvalore di un’operazione come lapresente, tramite la quale alcu-ni soggetti, in fondo destituitidi una precisa funzione socialee produttiva, partecipano altentativo di coinvolgere larealtà istituita nel loro dibattito.Nel progetto di questi quader-ni c’è dunque un “dentro”istituzionale che, in primoluogo, si interroga su ciò chegli è contiguo, che è lì fuoridalla sua porta ma non così fa-cilmente accessibile o acco-gliente. Il secondo passo con-siste nel provare a “tirare den-tro” la realtà culturale e quellaproduttiva, invitandole a dia-logare, all’interno della corni-ce del giornale, su argomenti

inerenti le varie sfaccettaturedel legame sociale.Si tratta, così, di favorire unavivificazione del fondamentosimbolico delle relazioni, e,nella fattispecie, si sa che daltentativo di ridare complessitàe dinamicità alle strutture isti-tuzionali – sanitarie, sociali ofamiliari che siano – deriva unapossibile ricaduta di effetti cu-rativi sui singoli e sul gruppo.

Questo quaderno non è un luo-go espressivo della “follia”, ocomunque la lavagna su cui l’u-tente psichiatrico, spinto o pergrazia degli operatori, scrivequalsiasi cosa, racconta della gi-ta al mare o pubblica le suepoesie (belle o orrende e sgram-maticate che siano). Come sipuò vedere, si è evitato di fare ilgiornalino dei pazienti psichia-trici, nonché di farci paladini diun presunto linguaggio alterna-tivo, schizogenialoide (il cheavrebbe significato aderire aduna retorica che vuole che qual-siasi espressione del malato di-schiuda poteri curativi). Abbiamo piuttosto colto l’oc-casione offerta dall’aprirsi diuno spazio pubblico di scrittu-ra per approfondire una que-stione che ci sta a cuore. Neinostri Centri Diurni esistonogià dei gruppi di parola, di let-tura e scrittura, e in fondo il fi-

lo che li unisce è una domandaaperta sulla funzione della pa-rola: «Come abitiamo il lin-guaggio di cui continuamenteci serviamo?». Non importa allora se chi scri-ve è un paziente, un operatore,un intellettuale o un politico,l’essenziale è che ci sia un sog-getto che vivifica le parole cheusa; che, appunto, abiti il lin-guaggio. Il linguaggio infatti,se ben usato, è quanto ci per-mette di dire più di quantocrediamo di sapere; è quantopuò sorprenderci, ed è la reteche cattura e convoca l’altronel nostro stesso discorso.In questo modo può capitare atutti noi di imparare, di edu-carci. E forse questo è il finepiù nobile di ogni cura.

Al cuore di questa riflessione –adattabile a più contesti, e inparticolare a quello scolastico-educativo – c’è il mai facilerapporto tra la soggettività,cioè la particolarità di ciascu-no, e l’istituzione come istanzagenerale. Riflessione che rap-presenta un po’ il presuppostoper gettare dei ponti tra l’isti-tuzione centripeta (che mira albene collettivo ma spesso si in-cista nel suo stesso meccani-smo burocratico) e il singoloche pone una serie di questionisempre un po’ centrifughe.

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Con ogni probabilità, oggi spet-ta a soggetti riuniti insieme eanimati da finalità comuni svol-gere questa funzione di ponte,indispensabile per evitare loscollamento tra la dimensioneistituzionale e quella del singo-lo, e per ricreare una dialetticatra le parti (è evidente che la fi-losofia che è alla base dei nostriquaderni muove proprio daun’ipotesi di questo tipo).A condizione che sappiano es-sere aperti e fondati non nel-l’uniformità dei membri, manell’uno per uno delle singola-rità che li compongono, i pic-coli gruppi possono infatti farbreccia nella staticità delle isti-tuzioni, ripristinandone un’au-torevolezza; possono “com-muovere” la burocrazia e por-tarla dalla propria parte, con-vincendola a ritornare a esserestrumento e non fine di un per-corso educativo o di cura.

Esiste sempre, nel rapportosoggetto-istituzione, un rischiodi segregazione, più o menoevidente. Oggi questo rischio –che fino a ieri pareva confinatoalle istituzioni totali – si esten-de a tutto il tessuto sociale.Non abbiamo quasi più a chefare col pericolo dell’esclusionefisica, quanto, piuttosto, conquello della partecipazione dimassa, “forzata” e passiva.

Il pericolo non riguarda unaperdita sul piano dei beni o deidiritti generali, ma a livello delsenso più umano dell’esperien-za. Abbiamo così un soggettoche, pur essendo il destinatariodi infiniti messaggi e attenzioni,è escluso dal senso profondo diquanto gli accade intorno, se-gregato in mezzo a una mareadi beni di consumo. Tanto piùalienato quanto più appagatoin relazione ai suoi bisogni, ve-ri o indotti che siano.C’è, in particolare, un’insidiaportata al discorso umano da-gli sviluppi dell’informazione edella tecnologia. Esse da un la-to mirano alla semplificazionedei percorsi di apprendimen-to, sostituendo al dialogo e allatrasmissione soggettiva la co-municazione asettica e scevrada complicazioni umane. Dal-l’altro tendono alla cancella-zione delle distanze e alla faci-litazione delle complessità, ap-piattendo le differenze, satu-rando ogni possibile e, bisognadire, benefico punto di man-canza; l’incessante produzionein serie di oggetti, tra l’altro,assottiglia sempre più il tempodell’attesa, cosicché non vi èquasi più alcun differimentonella risposta ai bisogni. Que-sta realtà causa in tutti noi unsenso d’affanno, tutta questacomodità inizia forse ad asso-

migliare a un incubo che nonlascia più zone franche. Ed ècome se tale promessa di feli-cità, costringendoci a stare alpasso, ci sottraesse le virtù rac-chiuse nell’ozio e ci alienasse legioie e le scoperte che sonoproprie dei tempi vuoti.

Ci piace immaginare il nostroAstolfo sulla luna, il quale, ri-trovato – oltre a quello di Or-lando – anche il proprio senno,prima di ridiscendere si fermaun po’ a guardare la terra. Probabilmente dalle soste c’èmolto da imparare. Perché è inquel momento che può svelar-si, per noi, un’altra realtà dellecose. (Ad esempio quella sug-gestiva verità che Pasolini, allaconclusione del suo La terra vi-sta dalla luna, esprime così:«Essere morti o essere vivi è lastessa cosa»).Per questo pensiamo che nonsia né inutile né romantico in-ventare delle piccole lune, co-me tanti punti di vista che sap-piano cogliere le innumerevolisfumature dell’esistenza.

Le immagini sono tratte dal corto-metraggio di Pier Paolo Pasolini Laterra vista dalla luna.

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IL PASSAGGIOLA METAMORFOSI

LE SFUMATURE

Il termine passaggio allude alleimplicazioni spaziali e tempo-rali riferibili al concetto di “at-traversamento”, o “spostamen-to”. Inteso in termini estensivil’attraversamento si associa al-l’idea di uno spazio definitoche consente lo svolgimento diun percorso; mentre il passag-gio inteso come spostamento sievolve generalmente in unasuccessione graduale e pro-gressiva. Quando il terminepassaggio viene sussunto dalfrancese passage, derivato dapasser, passare, in genere si in-tende il passo di un autore, o diun brano musicale.Il parlare di passage evoca im-mancabilmente la figura diWalter Benjamin e il suo libroParigi capitale del XX secolo, ilcui titolo originale è Das Passa-gen Werk, l’opera a cui egli la-vorò dal 1927 fino alla morte,un’opera in cui i passages sonoun elemento centrale del piùonirico ed eterogeneo assem-blage che sia mai uscito dal-l’immaginario surrealista. I passaggi di Parigi, sono ilprogetto di un’opera mai por-tata a termine, ma sono unaspetto della città moderna,della sua architettura, dei suoispazi, un mondo in miniatura,un’angolatura particolare dacui prendono le mosse le diva-gazioni sul flâneur, un angolovisuale sempre nuovo, un pas-saggio sempre diverso.Gli articoli che seguono si in-terrogano sul “tema del pas-saggio” con un angolo visualediverso l’uno dall’altro. Al termine di questo percorsoci imbattiamo nel “dialogo”

fra un insegnante e una allieva,Silvia “gentile e bella”, attornoal mito di Orfeo e Euridice.Il dialogo si snoda con dolce de-licatezza attorno al tema di amo-re e morte – non intendo com-mentare il dialogo, è meglio leg-gerlo direttamente – con unamodalità di interlocuzione chemi sembra interessante sottoli-neare: «Noi amiamo non solopersone, ma anche cose, perchéa esse siamo legati magari da ri-cordi, e loro non finiranno connoi, non potremmo mai condivi-dere la loro morte. E allora…».Così domanda Silvia, una adole-scente, al suo insegnante. L’adolescenza è una fase dellavita in cui si va verso l’attraver-samento della “linea d’ombra”;in quella fase della vita le opi-nioni parentali contano moltomeno, rispetto all’infanzia, anzispesso si sviluppa una dinamicaconflittuale all’interno della fa-miglia, mentre le opinioni deipari, dei coetanei e degli amici,divengono sempre più impor-tanti nello strutturare un auto-nomo punto di vista sulle cose.L’adolescenza è un momento dicrisi che ci pare interessanteproporre qui come prototipodel tema del passaggio. Unacrisi che pone un problema di

esistenza per il giovane, il qualepone a noi interrogativi chenon hanno una risposta sconta-ta, anzi spesso la sua domandafa emergere nell’interlocutore,in noi, il disagio sociale che ciattraversa. È di questa natura laconsistenza di quel «E allo-ra…» di Silvia; perché l’amorenon può trascendere la morte ofarci condividere la morte stes-sa con le cose amate? Sono domande che non hannouna risposta diretta, non han-no una risposta “scientifica”,informatizzata, visualizzabilemagari attraverso un CD romdistribuito come gadget. Donalds Woods Winnicott –nel suo articolo “L’adolescenzasi dibatte nella bonaccia” –parla dell’adolescente come unnaufrago che dibattendosi fra imarosi della Cultura cerca diaggrapparsi a qualche cosa. Èuna immagine che mi sembrapertinente all’interrogazionedell’adolescente attorno alproblema della propria origi-ne, che di fatto rinvia all’origi-ne della nostra Cultura. Do-manda che trova un’impassenella spiegazione, in quantosottende un vuoto che può es-sere colmato solo dal mito, inquanto solo il mito può fornireun punto a cui aggrappare l’o-rigine dell’uomo senza bruta-lizzarla nella disseminazione enello scaturire genericamentenaturale. Certamente il tra-monto della religione comeserbatoio di riti e miti dellaCultura umana, che accompa-gnavano e ritualizzavano all’in-terno della comunità le tappedella vita, l’attuale spettacola-

Linea d’ombra e dono

della comunità

Augusto Casasola

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rizzazione di ogni momentodell’esistenza con il conse-guente svuotamento del ruolosociale giocato dal sacro e dal-l’enigma, non aiutano certa-mente il nostro naufrago.Anzi, molte volte il persisterein una logica esplicativa, il vo-ler tutto comprendere, suscitaproprio l’ostilità dei giovaniche non vogliono né esserecompresi, né sezionati dallastampa e dalle nostre scienzesociali ed umane; non voglionoessere privati del gusto di sco-prirsi da sé, in una dialetticanecessariamente conflittualecon l’adulto, oscillante fra ildesiderio di autonomia e il bi-sogno, comunque, di dipen-denza. È un passaggio che ri-chiede il “suo” tempo (anchese il tempo si sta contempora-neamente accorciando e dila-tando: una parte delle personediviene subito e drammatica-mente adulta, un’altra parte ri-mane “adolescente a vita”). Di fronte a questa domanda,talvolta dolce – come in Silvia –spesso aggressiva, l’adulto abdi-ca, si ritrae. Comprensivo, per-missivo e moderno, il padre (ocolui che occupa una funzioneeducativa: insegnante, parroco,operatore sociale ecc.), invecedi stare al suo difficile posto asostenere l’interlocuzione espesso l’aggressività di cui èbersaglio, si pone orizzontal-mente, come amico e permetteal giovane di prendersi gratis ipropri diritti, di fare cioè l’adul-to. L’esito è terribile, in quantoil permissivismo genera unaschiavitù ben peggiore di quellacontestata, lascia cioè che si in-sinui l’idea di un accesso direttoe totale ai beni, creando quindiuna sottomissione agli istinti dipossesso, presupposto per rom-pere ogni forma di rispetto ver-so le persone e le cose (sia benchiaro che se il permissivismonon fa bene, anche un ritorno

all’autoritarismo sarebbe dan-noso, oltreché ridicolo). È in questo senso che entra incrisi la funzione sociale di tra-smissione. Il passaggio del testi-mone da una generazione adun’altra non rappresenta piùuna conquista, ma un fatto au-tomatico. In quanto tale preclu-de al giovane la dimensione vi-tale ed iniziatica dell’adolescen-za come trasformazione di sé.È in questo senso che la fun-zione dell’educatore divienecentrale, decisiva, nell’affron-tare questo ingorgo generazio-nale senza difendersi troppo.Riprendendo il filo del discor-so, nel dialogo con Silvia l’in-segnante afferma di rispondere“in un modo che gli insegnantinon devono usare”, senza cioèdifendersi troppo.Freud afferma che educare(come psicoanalizzare e gover-nare) è un mestiere impossibi-le, e aggiunge che “l’amore è lagrande forza educativa”. Svi-luppare questa forza educativa– e non ci sono corsi di aggior-namento e tecniche specificheche ce la fanno acquisire –, si-gnifica stare nella propria posi-zione, sapendosi immedesima-re con il problema posto, la-sciandosi in un certo sensousare nella dialettica di scam-bio, senza vacillare o scivolarein cadute di stile nella propriafunzione di educatori. Ma nonper comprendere o reprimere,quanto per salvaguardare, per“avere cura” della posizione diimmaturità del giovane, comedi un elemento di salute sua enostra. Il diritto a questa im-maturità è un diritto al pensie-ro creativo, al nuovo, al rinno-vamento critico. Se pensiamoagli insegnanti che ci hanno la-sciato qualche cosa durante ilnostro corso di studi, ci sovvie-ne il ricordo di qualcuno di lo-ro non in base alla preparazio-ne specifica che egli aveva nel-

la sua materia (pur essendocertamente importante), quan-to per il modo con cui ha sa-puto trasmettere a noi la suapassione per la materia di inse-gnamento.Una posizione educativa, oggi,è occupata da chiunque di noilavori nel sociale (che insegni,curi o eroghi servizi alle perso-ne). E proprio per il fatto di oc-cupare criticamente questa po-sizione è possibile rendere vivoil sapere che trasmettiamo, do-nando all’altro l’amore per unqualcosa, altrimenti inerte eburocratico.Il passaggio della Cultura inuna comunità dipende dallafunzione di trasmissione fra chiè e chi dovrà essere; per attra-versare “la linea d’ombra” oc-corre portare con sé un donodella comunità.La comunità – nell’accezionedata da Roberto Ippolito nelsuo recente libro Communitase che condividiamo – non èuna proprietà, non è un pieno,non è un territorio da difende-re e da separare rispetto a colo-ro che non ne fanno parte, ècum munus, ciò che è tenuto in-sieme da un legame collettivovenuto a connettere individuiprima separati, un legame chesi esplica attraverso un pegno,un dono da portare all’altro.

Passaggio

Da un millennio all’altroda giovane a vecchioda Udine a Berlinopassaggio,passage,passatodivenuto spazio,che custodisce qualcosache non c’è più.

In treno da Pordenone a Udine,29 ottobre 1997.

il passaggio, la metamorfosi, le sfumature

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il passaggio, la metamorfosi, le sfumature

Il “passaggio” in chiave cristiana

Chino Biscontin

La “giustificazione” Perparlare del passaggio fonda-mentale che lo Spirito Santopuò operare in noi, a partiredal Battesimo e dall’accendersidel rapporto di fede con Dio,attraverso Gesù, gli scrittidel Nuovo Testa-mento usano iltermine “giustifi-cazione”. Tra l’al-tro, il problemadi come intende-re la “giustifica-zione” è stato alcentro della divi-sione tra prote-stanti e cattoliciai tempi del Con-cilio di Trento.È un termineche va compresonel suo vero si-gnificato.Può esserci diaiuto l’interpre-tazione di un im-portante passag-gio della letteradi San Paolo ai Romani: «Indi-pendentemente dalla legge, si èmanifestata la giustizia di Dio,testimoniata dalla legge e daiprofeti; giustizia di Dio permezzo della fede in Gesù Cri-sto, per tutti quelli che credo-no. E non c’è distinzione: tuttihanno peccato e sono prividella gloria di Dio, ma sonogiustificati gratuitamente perla sua grazia, in virtù della re-denzione realizzata da CristoGesù». (Rm 3, 21-24).Di quale “giustizia” di Dio siintende qui parlare? Non se-condo il senso giuridico deltermine (l’applicazione della

legge da parte di un giudice),ma in un senso più alto. Dio è“giusto” non perché è un giu-dice che “giustizia” i colpevoli,ma perché è “ben fatto, pienodi armonia affascinante”,“coerente con la qualità pre-

ziosa che lo anima, la propen-sione all’amore”, “affidabile ecoerente i propri propositi dibene e le proprie promesse, enonostante l’infedeltà umana”.Attraverso l’amore eroico diGesù Dio ha mostrato la “giu-stizia” che lo anima, e cioè lapropensione all’amore genero-so, fedele, incondizionato. Chiviene raggiunto dalla manife-stazione di questo amore èchiamato ad abbandonarsi adesso con fiducia. E in questo abbandono avvieneil “passaggio”, la trasformazio-ne radicale della persona cheviene chiamata, appunto, “giu-

stificazione”. In che cosa consi-ste dunque la nostra “giustifica-zione”? Il significato letterale è:“far diventare giusto”, e cioè“ben fatto”, “armonioso”, “cheemana del bene”, “privo distorture e deformazioni”. La

“giustificazione” èdunque un passag-gio che da “sbaglia-ti”, “contorti”, “malfatti e mal-fattori”,ci porta ad essere“ben fatti e bene-fattori”, “armoniosie belli” nel nostreessere e nel nostrooperare.

La prigionia del-

l’egoismo e la li-

bertà nello Spiri-

to Se si parla di“giustificazione” èperché, prima cheessa avvenga, noisiamo, almeno inparte, “sbagliati”.Ogni essere umano

che nasce dentro la nostra sto-ria, da essa viene profonda-mente segnato, e ciò anche nelmale. E l’uomo è consapevoledi essere segnato anche dalmale. Non solo, ma è ancheconsapevole della propria pre-carietà e fragilità: non si sentemai completamente al sicuro.Su questo piano si può direche l’uomo, quando si rivolgeverso se stesso per autovalutar-si, si trova a provare sentimen-ti simili a quelli di un piccolobambino quando non è abba-stanza amato dai suoi genitorie addirittura subisce dei rifiutiaffettivi. Non potendo il bam-

«Ma uno di voi mi tradirà!».

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bino giudicare cattivi e inaffi-dabili i genitori (la cosa sareb-be troppo spaventosa per lui),allora finisce per giudicare sestesso indegno di amore. E vi-ve nella paura, ponendo atten-zione a quelle cose che non de-ve fare e a quelle altre che in-vece deve a tutti i costi fare peressere accettato positivamenteda coloro da cui dipende tuttala sua sicurezza.Abbandonato a se stesso l’uo-mo si avverte non innocente einsicuro: c’è dentro di lui, inmodo simile al piccolo bambi-no poco amato, paura e ansia ela spinta a chiedersi che cosanon deve fare e che cosa invecedeve assolutamente fare persuperare la sua situazione di in-degnità e di insicurezza. Ab-bandonato a se stesso l’uomo èin conflitto con se stesso, è pri-gioniero dell’ansia, ed è co-stretto a osservare dei compor-tamenti mediante i quali cerca,invano, di superare la sua si-tuazione di insicurezza. E piùsi inoltra in questo sforzo persalvarsi, solo con le proibizionie gli obblighi, più sprofonda inun sentimento di indegnità e diimpotenza. Di indegnità, per-ché finisce prigioniero dipreoccupazioni egocentricheche gli impediscono di diventa-re generoso, profondamentebuono. Di impotenza, perchédeve constatare il completo fal-limento dei suoi tentativi. Ciòlo può spingere alla disperazio-ne, o nella forma della tristezzaparalizzante, o nella forma diuna esistenza sregolata e auto-distruttiva.Ma se l’uomo, anche se non in-nocente e fragile e trascurabile,nello stupore e nella gratitudi-ne, sente venire verso di lui l’a-more generoso e totale di Dio,mediante Gesù, allora vedespalancarsi davanti a sé una viadi liberazione di gioia, di sal-vezza. L’amore di cui aveva bi-

sogno anche per auto accettar-si e far pace con se stesso, l’a-more di cui aveva bisogno persentirsi protetto e stimato, do-tato di una esistenza preziosa esensata, gli viene donato gra-tuitamente. Se egli si abbando-na a questo amore liberante,allora gradualmente può ab-bandonare anche quella ferocericerca di autogiustificazioneche era una prigionia dell’ego-centrismo e della disperazione.Le sue energie di vita così libe-rate possono via via prendere ilcorso per cui sono state create:quello dell’amore a Dio, allavita, al prossimo. È così che av-viene un graduale processo di“giustificazione”: di liberazio-ne e di guarigione, di colma-mento di capacità di amore, edunque di gioia.Nella lettera ai Romani SanPaolo spiegherà: «Non c’è piùnessuna condanna per quelliche sono uniti a Cristo Gesù.Perché la legge dello Spirito,che dà la vita per mezzo di Cri-sto Gesù, mi ha liberato dallalegge del peccato e della mor-te. Per togliere il peccato, Dioha mandato suo Figlio in unacondizione simile alla nostra diuomini peccatori, e ha condan-nato il peccato. In questo mo-do Dio ha compiuto quel chela legge di Mosè non potevaottenere, a causa della debo-lezza umana; e noi ora possia-mo adempiere quel che la leg-ge comanda, e lo possiamoperché non viviamo più nellanostra debolezza, ma siamofortificati dallo Spirito. Quantisi lasciano guidare dallo Spiri-to si preoccupano di quel chevuole lo Spirito. Quanti si la-sciano guidare dalla propriadebolezza cercano di soddisfa-re il loro egoismo. Seguire l’e-goismo conduce alla morte, se-guire lo Spirito conduce allavita e alla pace. Perché quelliche seguono le inclinazioni

dell’egoismo sono nemici diDio, non si sottomettono allalegge di Dio: non ne sono ca-paci. Essi non possono piacerea Dio, perché vivono secondoil proprio egoismo. Voi, però,non vivete così: vi lasciate gui-dare dallo Spirito, perché loSpirito di Dio abita in voi».(Rm 8, 1-9).

L’apertura della fiducia

per il passaggio alla “giu-

stificazione” Perché ini-zi quel processo di cambia-mento in cui consiste la nostra“giustificazione”, che è libera-zione, guarigione, colmamentodi bontà e gioia, sono necessa-rie due condizioni: – che l’amore di Dio, medianteGesù, si riveli come rivoltopersonalmente proprio a me ein maniera persuasiva;– che io sia in grado di darcredito a questo amore (fede),valutandolo per quello che è(amore generoso e incondizio-nato di Dio!), e mi abbandonitotalmente ad esso, così chequell’amore possa trasformar-mi (generando la speranza e lacarità).

Affinché queste due condizionisi realizzino è indispensabilel’azione dello Spirito Santo.Senza la sua azione, infatti,l’annuncio dell’amore di Diorimane per noi solo una affer-mazione astratta, una frase, almassimo una verità generaleche però non ci tocca personal-mente. Ci vuole l’azione delloSpirito perché quell’annunciolo avvertiamo come vero e ri-volto a noi, qui e ora, nella sor-presa, nella gratitudine e nellacommozione. Afferma ancoraSan Paolo: «Si legge nella Bib-bia: “Quel che nessuno ha maivisto e udito quel che nessunoha mai immaginato, Dio lo hapreparato per quelli che loamano”. Dio lo ha fatto cono-

il passaggio, la metamorfosi, le sfumature

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il passaggio, la metamorfosi, le sfumature

scere a noi per mezzo delloSpirito. Lo Spirito infatti cono-sce tutto, anche i pensieri se-greti di Dio. Nessuno può co-noscere i pensieri segreti di unuomo: solo lo spirito, che èdentro di lui, può conoscerli.Allo stesso modo solo lo Spiri-to di Dio conosce i pensieri se-greti di Dio. Ora, noi non ab-biamo ricevuto lo spirito delmondo, ma lo Spirito che vieneda Dio; perciò conosciamoquel che Dio ha fatto per noi. Ene parliamo con parole non in-segnate dalla sapienza umana,ma suggerite dallo Spirito diDio. Così spieghiamo le veritàspirituali a quelli che hanno ri-cevuto lo Spirito. Ma l’uomoche non ha ricevuto lo Spiritodi Dio non è in grado di acco-gliere le verità che lo Spirito diDio fa conoscere. Gli sembra-no assurdità e non le può com-prendere perché devono esserecapite in modo spirituale». (1Cor 2, 9-14). Certo, l’apertura a questo amo-re dipende anche dalla nostralibertà. Noi possiamo chiudercialla rivelazione dell’amore diDio, possiamo rifiutare di ab-bandonarci totalmente ad esso,oppure possiamo accoglierloconsegnandoci ad esso conslancio pieno di gratitudine e didocilità. Ma l’iniziativa appar-tiene a Dio: se egli, mediante loSpirito, non ci viene incontro,ogni nostro sforzo sarebbe inu-tile. Invece, quando Dio ci vie-ne incontro, provoca in noi lapropensione ad aprirci a lui e cidona anche le energie per supe-rare le nostre paure e debolezzecosì che ci affidiamo totalmentea Dio. Per questo si dice che lafede è un dono di Dio, pur es-sendo anche frutto della nostralibera apertura a lui. È un po’come per un innamoramentoche diventa amore: è l’altro,con le sue qualità, che provocain noi l’innamoramento; noi

possiamo chiuderci al fascinoche quella persona esercita sudi noi o abbandonarci ad esso,così che maturi in amore. An-cora San Paolo: «È Dio infattiche suscita in voi il volere e l’o-perare secondo i suoi benevolidisegni». (Fil 2, 13).Come tutto ciò accada concre-tamente appartiene alla storiasingolare di ciascuno di noi,secondo la fantasia creatricedello Spirito. Per qualcuno sitratterà di qualcosa di familia-

re fin dall’inizio, in virtù di unaforte e preziosa tradizione cri-stiana, di famiglia e di comu-nità, in cui si è trovato immer-so. Per altri sarà una matura-zione lenta, frutto di contatticon persone che colpisconoper la loro testimonianza ecoerenza, per le spiegazionipersuasive che vengono date,per la riflessione che maturapian piano dentro le esperien-ze della vita. Per altri ancora lacosa avverrà in maniera rapida,

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Il Pordenone, Conversione di Saul. Spilimbergo, Duomo.

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quasi improvvisa, come una il-luminazione e un fascino cheafferrano e cambiano il corsodei pensieri, il senso della vita,i desideri e le decisioni. In ognicaso si tratta sempre dell’azio-ne dello Spirito Santo.

La traiettoria di crescita del-

l’uomo “giustificato” dallo

Spirito Santo L’uomo“giustificato” viene condottodallo Spirito lungo un cammi-no di progressiva realizzazionedel suo essere figlio di Dio,mediante Gesù. Noi possiamoindividuare la traiettoria dicrescita che struttura l’esisten-za cristiana. Essa consiste intre componenti: nel vivere unanuova e profonda relazionecon Dio, sperimentato comePadre; nel ritrovare libertà eriunificazione interiore; nelcuore che diventa sempre piùgeneroso e sempre più apertoalla fraternità impegnata.Anzitutto una nuova e profon-da relazione con Dio, speri-mentato come Padre. Lo Spiri-to infatti provoca in noi senti-menti da figli riguardo a Dio:«Tutti quelli infatti che sonoguidati dallo Spirito di Dio,costoro sono figli di Dio. E voinon avete ricevuto uno spiritoda schiavi per ricadere nellapaura, ma avete ricevuto unospirito da figli adottivi permezzo del quale gridiamo:“Abbà, Padre!”. Lo Spiritostesso attesta al nostro spiritoche siamo figli di Dio». (Rm 8,14-16).Il termine “Abbà” caratterizzala maniera di rivolgersi a Diopropria di Gesù, sorprenden-temente familiare: era il modocon cui si esprimevano i bam-bini e che gli adulti adopera-vano per dare una intonazioneaffettuosa quando si rivolgeva-no al loro genitore. Qui può essere utile ricordarequale è stata l’esperienza di

Dio fatta da Gesù e che, trami-te lo Spirito, viene trasmessaanche a noi. Per Gesù Dio èuna Presenza colma di bontà.Dire che per Gesù Dio è unaPresenza colma di bontà puòsembrare troppo poco, ed è in-vece straordinariamente im-portante. Significa che la realtàultima che definisce Dio non è

il suo potere, come tra i paga-ni, né il suo pensiero, come inAristotele, né il suo giudizio,come in Giovanni Battista,bensì la sua bontà. Gesù è Dioche ha rotto per sempre la sim-metria del poter essere pari-menti salvezza o condanna.Dio è per sua essenza e senzaequivoci, incondizionatamen-te, bontà e salvezza per gli uo-mini. Secondo Gesù gli esseriumani sono per Dio quello chec’è di più importante, così chenulla ha per lui più valore diessi: la causa dell’uomo è lacausa di Dio. Dio si presentacome colui che non ha dirittida far valere contro l’uomo, idiritti di Dio sono invece in fa-vore dell’uomo. Dio è buonoed è per sua natura in favoredegli uomini. La seconda componente dellatraiettoria di crescita che loSpirito provoca in noi sta inuna ritrovata libertà e riunifi-cazione interiore. Infatti l’azio-

ne dello Spirito è un’azioned’amore che, mentre agisce sudi noi, non toglie ma esalta lanostra libertà. Infatti se la “li-bertà da” pone le condizioniperché io abbia la possibilità diessere libero, la libertà diventarealtà quando è “libertà per”, eciò si realizza nella maniera piùalta nell’amore. Ed è quantoaccade nell’azione “giustifica-trice” dello Spirito in noi.Mediante lo Spirito noi tro-viamo un nuovo slancio di de-siderio, così che la nostra li-bertà, che è “libertà per”, tro-va la sua strada per realizzar-si, proprio nell’amore. Essadiventa così libertà liberata,perché non solo desideriamo,ma anche siamo in grado difare ciò che profondamentedesideriamo. La libertà senzadesiderio è morta; il desiderioche non può realizzarsi libe-ramente diventa sofferenza.Nella “giustificazione” riac-quisto la mia libertà più au-tentica, e nell’esperienza delbene che faccio mi riconciliocon me stesso e vivo la gioiadell’armonia interiore: quellapace che è dono di Gesù, chenessun altro può né dare nétogliere.La terza componente di cresci-ta la si sperimenta in quel cen-tro della nostre vitalità che è ilcuore, che diventa sempre piùgeneroso e sempre più apertoalla fraternità impegnata versotutti e verso tutto, soprattuttoverso le realtà più indifese emaltrattate. È la vita condottasecondo lo spirito delle “beati-tudini” così come si trovanonel capitolo cinque del Vange-lo di Matteo, su cui hanno me-ditato figure così importantidella liberazione e della non-violenza impegnata quali M. L.King e M. Gandhi.

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il passaggio, la metamorfosi, le sfumature

Lucio Schittar è stato uno deiprincipali collaboratori di Fran-co Basaglia. Ha condiviso alla fi-ne degli anni ’60 l’esperienza diGorizia e di Parma, vero e pro-prio cantiere di quella che sareb-be stata la grande riforma psi-chiatrica italiana sfociata, giusto20 anni fa, nella approvazionedella legge 180. È stato poi, dal1972 al 1981, direttore dei Ser-vizi psichiatrici pordenonesi, dalui fondati su base territoriale.

Dott. Schittar, ci parli del doppiopassaggio della psichiatria italiana,dall’uso del manicomio, attraversola lotta antistituzionale, fino allariforma della psichiatria, e dalla fi-ne dell’era manicomiale agli attua-li Servizi per la salute mentale. ■ Alla fine del 1972, quandovenni chiamato a dirigere ilCentro di Igiene Mentale diPordenone, non nel secoloscorso, ma “solo” ventisei annifa, c’era una Mercedes nerache girava per la neo costituitaprovincia di Pordenone e “cat-turava” i pazienti “pericolosi asé e agli altri e di pubblicoscandalo” per ricoverarli nelmanicomio di Udine. La legge180 (cui, è appena il caso di ri-cordarlo, non seguì alcun Re-golamento di applicazione),con i suoi pregi e i suoi difetti,ha sancito la fine dei manico-mi, anche se ancora oggi si staoperando per il loro definitivosuperamento. Non è stata cosada poco. Intanto non si parlapiù di ricovero in manicomio.

Dott. Schittar le rammento unsuo scritto: «I dati storici, infondo, visti retrospettivamente,

non sono poi molti, ma è il tes-suto connettivo, fra questi “da-ti”, la carne e il sangue del lavo-ro di costruzione dei servizi,che tende ad eludere lo storio-grafo. Ad esempio il continuoesercizio di tenacia, quasi te-stardaggine, protrattosi annodopo anno per convincere am-ministratori e politici, tenden-zialmente miopi o deculturati,della bontà ed inevitabilità del-le soluzioni prospettate, è inve-ro difficilmente descrivibile: manon è storia anche questa? Ilnostro lungo lavoro quotidianodi mosche fastidiose nel pro-porre verifiche nei luoghi dellaburocrazia, negli uffici deglieconomi e dei ragionieri, den-tro i cassetti delle scrivanie deiSegretari Generali che vi “di-menticavano” deliberazioni edatti a volte essenziali per la rea-lizzazione dei servizi, dove sipuò inserire? In un inquadra-mento storico non ci sta, sfuggecome sabbia tra le pietre. E co-sì tende a sfuggire nella memo-ria, a non far storia, l’altro lavo-ro, certo più gratificante, con-dotto per aggregare lo sparutogruppo iniziale di operatori ter-ritoriali, per collegarlo con leesperienze di cambiamento piùstimolanti, per approfondire laricerca sul tessuto sociale in cuidoveva agire, per far intravede-re un possibile modo diverso difare assistenza psichiatrica, maanche un modo diverso per sta-bilire rapporti umani… E anco-ra, servirà a qualcuno ricordareil lavoro, l’energia spesa nelmantenere giorno dopo giornocostantemente aperti i canalidella comunicazione e del di-

battito, nel sostenere il mecca-nismo, un po’ troppo nordico!,delle riunioni di lavoro, nel diretutto a tutti, ma perché ognunosentisse anche come propri ilprogetto e la realizzazione diuna esperienza nuova e impor-tante? Di questo, di ciò che nonsi può trascrivere o registrare,di questo… ineffabile empaticoè fatta, anche, la storia della co-struzione di un servizio psichia-trico territoriale, che in realtànon poteva crescere se non dal-la devozione e dalla passione dichi vi ha partecipato». (La cita-zione è tratta dall’articolo diLucio Schittar “L’ineffabile sto-ria dei servizi”, contenuto inEmarginazione, psichiatria, la-voro. Il reinserimento sociale ela formazione professionale, pp.39-44, Pordenone, 1987). Checosa pensa oggi del suo scritto?■ Penso che, comunque, que-ste cose, che non sono fatti,fanno parte, come i fatti, dellastoria della psichiatria a Porde-none. E ricordo che nel 1971

la neonata Provincia, come ri-sposta alle sue competenze,senza molta convinzione, forseperplessa per le proposte dame avanzate, deliberò l’istitu-zione di un Centro di IgieneMentale (soluzione, questa,poco impegnativa sotto il pro-filo dell’impegno finanziario).Comunque, se l’esperienza delCentro di Igiene Mentale haprecorso la riforma della psi-chiatria (che, nota bene, preve-de la norma dell’assistenza psi-chiatrica nel territorio, e l’ec-cezione nel servizio ospedalie-ro), attraverso il lavoro con-dotto dagli operatori nei primi

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Dal manicomio alla 180 e oltreIntervista a Lucio Schittar

a cura di

Augusto Casasola e Francesco Stoppa

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anni e l’equilibrio stabilito congli interlocutori, grazie ancheal lungo e paziente lavoro disensibilizzazione, è solo con lalegge promossa da Franco Ba-saglia che si destruttura la pira-mide gerarchica del manico-mio, dove al penultimo postostava l’infermiere e all’ultimo ilpaziente. È questo il grandemerito e l’eredità di FrancoBasaglia. È una vera rivoluzio-ne antropologica. Basaglia, uo-mo enorme e innamorato del-l’umanità, come tutti i grandiuomini aveva un carattere “dif-ficile”, forse non era così grati-ficante come gli altri avrebberovoluto. Lui divideva l’umanitàin “deficienti” e “delinquenti”.Fra l’altro curò e scrisse libriimportanti per la psichiatria:Che cos’è la psichiatria? e L’isti-tuzione negata (ristampati pro-prio quest’anno). Dopo la 180 molto è cambiato;si è allora palesata, soprattutto,la resistenza della Medicina.

Come pensa che la Medicinaponga resistenze al cambiamen-to istituzionale?■ Per quanto ne so esistonotre tipi di Medicina (anche seper il futuro si parla già oraanche di Medicina preditti-va): una preventiva, una cu-rativa e una riabilitativa.Considerando in particolarela seconda, perché la primaesiste quasi solo sulla carta,anche se molti assessori al-l’Ambiente si danno moltoda fare, essa può concepirsiin due modi: sul modello “diofficina” che dà al pazienteuna posizione passiva, in cuiil paziente consegna quasiuna parte di sé stesso al me-dico perché lo curi, o nel mo-dello “interpersonale”, dicia-mo di rapporto adulto-adul-to, cioè con gli aspetti delrapporto che si instaura tradue persone che si incontra-

no e che si rispettano, cheaprono fra loro un dialogo.

Cosa ha significato, come medi-co, l’incontro con Basaglia aGorizia per quanto concerneproprio questo cambiamentodel ruolo medico tradizionale?■ Un’apertura affascinante adun mondo nuovo. Prima di al-lora lavoravo a Mestre, cono-scevo solo un primario, chebatteva, letteralmente, i pugniper terra quando si adombrava,il che succedeva spesso. Ora, ildiscorso di Basaglia sul potere,sulla messa in discussione deiruoli gerarchici, con il medicoal vertice e in fondo il paziente,era proprio una affascinanteapertura, una ridefinizione“strutturale” del rapporto.

Nell’articolo “L’ideologia dellacomunità terapeutica” contenu-to ne L’istituzione negata c’èuna critica molto fine anche al-lo strumento della comunità te-rapeutica, che comunque rap-presenta una ridefinizione degliabituali livelli di potere.■ In effetti si trattava dell’appli-cazione di una tecnica di grup-po, e il gruppo, come Voi sape-te, funziona sempre “contro”un altro gruppo…, anche perottenere il consenso dei parteci-panti. Non bisogna però negareche la Comunità Terapeutica hacomunque permesso di iniziareun processo di cambiamentodel manicomio.

Dopo la 180, c’è bisogno diun’altra rivoluzione, di un altropassaggio?■ L’importante è la modifica-zione del “modello medico”,l’apertura reale al territorio.Certo il territorio, rispetto al-l’Ospedale, produce una certadispersione. Ad esempio, perquanto riguarda la formazionedel personale, si finisce per nonavere più punti di riferimento

precisi: oggi non è più reperibi-le il maestro, chi insegna.

Un consiglio, allora, a chi si for-ma oggi.■ L’ascolto della persona. Per-sona nel teatro antico era lamaschera che permetteva tral’altro l’amplificazione dellavoce dell’attore. Certo, se pen-siamo al faraone egiziano chericeveva i suoi dignitari indos-sando una maschera d’oro, ve-diamo come essa possa celarela necessità di “non far vedere”(ad esempio i segni del passaredel tempo sul volto), di cancel-lare i limiti e la complessitàdell’esistenza. Ecco, bisognasempre introdurre la dimen-sione della complessità, e aquesto proposito ritengo cheoggi la psicoanalisi possa rap-presentare un modo di tenereconto della complessità comericchezza della persona. L’im-portante è comunque semprepensare a quello che si fa.

Dall’Università, oggi, esconomedici e psicologi che a malapena sanno chi era Basaglia.■ Ah, sì? [sorride] Questa ten-denza alla “dimenticanza” sichiama revisionismo storico. Èper questo che è essenziale te-stimoniare e valutare semprecon metodo ciò che si fa, e nonsolo fare, agire. Certo, ho con-statato con una certa amarezzache nel fascicolo de «Il Gazzet-tino» sui trent’anni della Pro-vincia di Pordenone non venivaricordata la vicenda, così im-portante culturalmente, dellapsichiatria nella nostra zona.Ma nessuno potrà mai cancella-re quanto è stato fatto a partiredall’insegnamento di Basaglia,qui e altrove, soprattutto se noisapremo dar voce a quanto, suquella scia, ancor oggi pensia-mo e facciamo.

Pordenone, 15 aprile 1998

il passaggio, la metamorfosi, le sfumature

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Ricordo l’emozio-ne che ho provatola prima volta cheho visto l’immen-so (così a me pa-reva) disegno diLeonardo da Vinciraffigurante SantaAnna con la Vergi-ne, il Bambino eSan Giovannino,alla National Gal-lery di Londra.

Un senso di uma-nità così forte usci-va da quei trattiindefiniti, che sen-tii il desiderio im-provviso di entrarenel gruppo, pocoimportava se nellamadre o nella fi-glia, tanto queste sisomigliavano.

La straordinariaintensità del dise-gno (carboncino ebiacca su cartone),si giocava infattisull’incontro deidue giovani voltidi madre e figlia,volti che parevanosorgere su un uni-co corpo e il cui prolungamen-to era quell’unico figlio di cuipotevano essere appunto madrientrambe.

Due volti affettuosamente com-plici, su cui la mano del pittore si è soffermata più a lungo chealtrove, volti le cui sembianzeumanizzate, prive di qualsiasiinutile idealizzazione, riman-

dano alla loro missione divinasolo in quell’unico gesto non fi-nito, che pare un poco estra-neo, della mano di Anna cheindica l’alto, come estraneosembra il gesto benedicente delBimbo rivolto a un San Gio-vannino spettatore del fenome-no (una versione pittorica piùtarda sottrarrà al gruppo SanGiovannino).

La capacità diLeonardo da Vin-ci di rappresenta-re la realtà contanta naturalezzada provocare inchi guarda un sen-timento di appar-tenenza al feno-meno rappresen-tato è indubbia-mente unica.

L’assenza di con-torni definiti, resapossibile da mor-bidi passaggi chia-roscurali e da unatecnica attenta al-le minime varia-zioni tonali, sem-bra indicare unmondo in cui con-fini netti tra le co-se non sono possi-bili, un mondo incui esistono sololenti e impercetti-bili passaggi, incui i fenomeni sidanno per quelloche sono senzanascondimenti ofinzioni.

Un mondo in cuianche chi assiste da spettatoreviene chiamato a essere partedel fenomeno, e può solo assol-vere il suo impegno di farlo ri-vivere.

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il passaggio, la metamorfosi, le sfumature

Sfumature leonardesche

Anna Comoretto

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L’occuparsi dellostesso pensiero comporta un pas-saggio della mentea volte allucinante.Il pensiero conti-nuo verso determi-nate riflessioni, ri-petute ed assillan-ti, comporta unacrisi a volte grave eirreparabile ed unpassaggio da unmondo attivo adun mondo passivo. Nella mia espe-rienza personalec’è stato un pas-saggio verso uncomportamentopassivo.Dopo la morte dimia madre la miacapacità di crearesi è bloccata. Pri-ma (quando eraviva mia madre),mi dedicavo conassiduità alla scrit-tura ed alla lettura quasi voles-si sfuggire a qualcosa che miopprimeva. Ora che vivo solami sento più apatica, perchénon c’è più niente che mi sti-mola a fare le cose. Di solito lacrisi non è mai la stessa, a vol-te comporta dei passaggi più omeno importanti verso dei mi-glioramenti o dei peggiora-menti. Nel mio caso la crisiporta sempre ad un migliora-mento perché si allunga il pe-riodo di benessere tra una cri-si e l’altra. Noto che i periodidi malessere sono caratteriz-zati da un pensiero continuoed ossessivo (la mia mente la-

vora troppo), ed i periodi dibenessere coincidono conuna assenza di “fantasia” chemi blocca e questo compro-mette i miei rapporti sociali.Però se qualcuno mi cerca o mirivolge la sua attenzione sonofelice. Un contatto basato sullareciprocità mi permette di man-tenere delle relazioni più serenee stabili anche a livello mentale.Non nasce così la confusioneche di solito ha luogo quandoda sola incomincio a far vagare imiei pensieri. Il momento piùtriste che si vive è la solitudine:quando stai bene tutti ti cerca-no, quando mentalmente soffri

vieni abbandona-to. Davanti al disa-gio mentale la so-cietà reagisce ma-nifestando paura,paura di essere co-involta in una re-altà distorta. Ti-more di essere ta-gliata fuori dalmondo frequen-tando persone chesoffrono di crisidepressive. La miaesperienza mi haportato ad unaperdita degli ami-ci, dovuta forse alfatto che crescen-do ognuno seguela propria strada.Un contatto socia-le più attivo versoil malato potrebbeportare lo stesso aseguire degli esem-pi comportamen-tali più sani.Con l’andare del

tempo, la mia situazione è mi-gliorata. Rivolgo più attenzio-ne alle persone e ne sono corri-sposta. Dopo un lungo perio-do di analisi sono riuscita araggiungere una capacità dilinguaggio che mi permette diparlare con più facilità con lopsicologo.Questo mi permette di farmicapire e di capire da me i pro-blemi che esistono al momen-to. Riesco, così, ad allungaresempre di più i periodi di be-nessere avendo altre fonti alter-native di aiuto che non siano iricoveri a livello psichiatrico.

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Pensiero sulla “crisi”

M. Angela Salamon

Disegno di M. Angela Salamon

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il passaggio, la metamorfosi, le sfumature

Cosa ha rappresentato perLei il passaggio dall’UnitàSanitaria Locale all’Azien-da Sanitaria?■ Già negli ultimi annidelle Unità Sanitarie Lo-cali, fra il 1991 e il 1994,c’è stata una precisa re-sponsabilizzazione degliamministratori, siamo cioèpassati da una gestionepolitica e rappresentativa(Comitato di Gestione) aduna gestione in cui si è da-to ad una sola persona(Amministratore Straordi-nario prima, CommissarioStraordinario poi) la re-sponsabilità della gestione diun ospedale, o di tutta unaUSL. Secondo me, questo èstato un primo passaggio im-portante, che si può semplifica-re dicendo che si è affidato aduna persona sola, chiaramenteidentificata, la responsabilità digestire un ente pubblico. Allafine del ’94 c’è stata la trasfor-mazione della USL in Azienda.Questo è l’altro passaggio fon-damentale.Io ho vissuto questi passaggi ecredo che l’impegno e la re-sponsabilità che avevo prima,quando ero Amministratorestraordinario dell’USL, nonsiano cambiati rispetto all’im-pegno e alla responsabilità cheho oggi come Direttore gene-rale dell’Azienda per i ServiziSanitari del “Friuli Occidenta-le”. È chiaro che con la tra-sformazione in Azienda sonocambiate anche una serie diprocedure e di normative eche questo cambiamento hafavorito il processo di respon-

sabilizzazione e di aziendaliz-zazione. Tutte le norme conte-nute nel D. Lgs. 502 e nelleLeggi Regionali approvatehanno consentito di snellire leprocedure, come, ad esempio,non inviare più la deliberazio-ni al Comitato di Controllo;infatti spesso si determinavaun palleggiamento fra quelloche diceva l’Amministrazionee quello che diceva il Comita-to di Controllo e, di conse-guenza, c’era una continua de-responsabilizzazione nelle de-cisioni. La normativa ha favo-rito questo processo di trasfor-mazione: ora viene assegnatoall’inizio dell’anno un budget,e su questo budget si vanno adefinire gli obiettivi da rag-giungere e i risultati attesi.Su questi risultati i responsa-bili delle unità e delle struttu-re operative vengono valutati,anche questo è un altro aspet-to importante del processo diaziendalizzazione. Io penso che non siamo ancora

diventati Azienda, nono-stante questi passaggi.E non siamo diventatiAzienda perché la trasfor-mazione, secondo me,può avvenire in periodimolto lunghi, per tuttauna serie di questioni. Si-curamente la mentalità e ilmodo di operare dellepersone, che lavorano nel-l’ex Ente pubblico oAzienda, non sono ancoracambiati, c’è ancora unapproccio di tipo buro-cratico-amministrativo…

Ma la Sua non è un’Azien-da qualsiasi…■ È certamente difficile essereuna Azienda per una organiz-zazione che produce servizipubblici; molti mi criticanoquando parlo di budget, diobiettivi, di risultati; di effi-cienza; mi dicono: ma noi nonsiamo un’Azienda che producebulloni. È vero, siamo un’A-zienda che produce servizi,quindi è difficile definirne conprecisione l’efficienza e la pro-duttività. Ecco, questo è un al-tro aspetto importante.Voglio aggiungere che, oltre aicambiamenti di tipo normati-vo, sicuramente è anche cam-biata l’attenzione nel modo dioperare dell’Ente pubblico oAzienda; in questi anni è matu-rato quello che deve essere ilruolo dell’Azienda sanitaria, ilcui compito principale è dipreoccuparsi per la salute deicittadini che risiedono nel ter-ritorio di competenza.In questi anni abbiamo cam-biato anche la mentalità, ci sia-

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La responsabilità di gestire un passaggioIntervista a Giulio De Antoni

a cura di

Augusto Casasola e Francesco Stoppa

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mo resi conto di dover svolgereil ruolo di responsabili per lasalute dei cittadini di una co-munità. Quando ero a Tolmez-zo, l’Ospedale rappresentavaper me l’attività prevalente, puressendo responsabile di unaUSL con un territorio moltodisperso, tutto il tempo dellamia giornata lo dedicavo all’O-spedale. Piano piano abbiamoincominciato ad interessarcidei problemi del territorio, an-che se c’è ancora molto da fare,per cui la trasformazione chec’è stata, oltre che nelle proce-dure e nell’organizzazione del-la aziendalizzazione, consisteproprio in questa diversa atten-zione alla salute dei cittadini.Questa attenzione è stata sicu-ramente favorita anche dal si-stema di finanziamento, che ècambiato in questi anni: fino al1994 venivano assegnate le ri-sorse senza commisurarle a

quelli che erano i bisogni dellagente, il riferimento era la spesanell’anno precedente. Quindil’assegnazione delle risorse erabasata sulla spesa storica. Ades-so ci siamo orientati per asse-gnare le risorse pro-capite, suuna popolazione “pesata”; maancora oggi, nel 1998, questoorientamento non è stato anco-ra completamente realizzato. Siè iniziata la ridistribuzione del-le risorse per quota capitaria,però si tiene ancora conto diquelli che sono i costi, le spesedelle varie province. Per cui cisono province che hanno qual-che risorsa in più e qualcheprovincia, come la nostra, cheha qualche risorsa in meno. Ame piace molto lo slogan cheparla di “una sanità che paga lasalute piuttosto che la malat-tia”. È certamente una frase fat-ta, ma serve per indicare la di-rezione del cambiamento.

Ingegnere è soddisfatto del suolavoro?■ Io sono molto soddisfatto dellavoro che faccio, anche se miimpegna moltissimo. La soddi-sfazione consiste nel fatto chec’è sempre moltissimo da fare; e,dopo 12 o 14 ore di lavoro, gior-no dopo giorno, con tanta faticae con l’impegno di tanti collabo-ratori, si ottengono risultati con-creti, si risolvono problemi, sifanno piccoli passi avanti.Purtroppo, nonostante il mas-simo impegno che cerco dimettere nel mio lavoro, mi ac-corgo che quello che sto facen-do non è ancora sufficiente eche sarebbe giusto dare di piùai cittadini che vivono nellanostra Provincia: il cammino èancora lungo, ma credo chenoi siamo sulla strada giusta.

passaggio, metamorfosi, sfumature

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Sono versi bellissimi tratti dauna lirica di Lucio Piccolo e,tutte le volte che li rileggo, rin-novano in me una specialeemozione. Sicuramente perquale sentimento del Tempoche il Poeta siciliano ha volutotrasmettere senza lesione conlo Spazio e la mondanità deltempo stesso.

Le riflessioni che scaturisconoda questa lettura possono va-riare di volta in volta, a secon-da dello stato d’animo; masempre costante resta l’eventodello “scorrere” associato allasosta. La sosta associata al “vi-vere” e dunque alla transito-rietà della Vita. Cosicché, disosta in sosta, mentre la vitascorre, quello che è taciuto,che nei versi non è detto, è ilmomento del passaggio. Il pas-saggio non è individuato, nonè sostanziato fisicamente, manon è neppure ignorato, anziviene sollevato oltre l’emozio-ne: non turbi profondo/cercare.

Il passaggio è evento positivo,profondamente umano inquanto bisogno di sapere e diconoscenza secondo la piùclassica dinamica del pensierogreco. In questo senso anche la“sosta” non è “ferma” ma vita-le; è la vita stessa che non si ar-resta mai – scorran le vene –,neppure durante il più incan-tato riposo che è il sonno.La sosta, il profondo cercare, ilpassaggio e, di passaggio inpassaggio, l’andare verso, l’an-dare altrove, oltre la direzionedi un unico Destino…

Del “passaggio”

Francesco Maria Di Bernardo Amato

Di soste viviamo; non turbiprofondocercare, ma scorran le vene,da quattro punti di mondola vita in figure mi viene.

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il passaggio, la metamorfosi, le sfumature

Introduzione Quando miè stato chiesto un contributodedicato all’adolescenza comepassaggio e come occasionedialettica tra il mostrare e il na-scondere, mi è tornato in men-te un lavoro, scritto l’annoscorso ma ancora rimasto na-scosto tra le pieghe di una cer-ta inibizione a mostrare, di cuipropongo qui un estratto. Sitratta di una prova, del tentati-vo di analizzare un testo teatra-le, I Turcs tal Friúl di Pier Pao-lo Pasolini, secondo un ap-proccio psicoanalitico. Il motivo per cui mi sembraappropriato proporre al pre-sente quaderno questo scrittoriguarda il fatto che si tratta diun’opera giovanile di Pasolini,direi adolescenziale. Egli inte-se quest’opera come una me-tafora della situazione dell’Ita-lia all’indomani della occupa-zione nazi-fascista del 1943.La dislocazione storica e l’indi-viduazione geografica nel luo-go della propria giovinezzanon possono non avere un si-gnificato profondo che credopossiamo leggere come la de-scrizione di fenomeni mentaliche si fondano nella storia re-mota di un individuo, nell’in-fanzia, e che ridivengonodrammaticamente attuali in unmomento di crisi quale il pas-saggio all’età adulta.

La trama della tragedia

Gli eventi descritti dalla trage-dia hanno luogo a Casarsa, inFriuli, sulle rive del Tagliamen-to, nell’anno 1499. Si trattadella storia di due fratelli, Pau-li e Meni, che, a dispetto della

rassegnazione dei paesani difronte all’avanzata delle ferociorde Turche, organizzano i gio-vani del loro paese e dei paesilimitrofi in una disperata quan-to vana resistenza.Gli abitanti, dopo una violentae contrastata discussione su co-sa sia meglio fare, assistono im-potenti alla distruzione dei pae-si vicini e al ritorno dei loro gio-vani concittadini reduci da unoscontro con i Turchi nel qualeha perso la vita la loro guida,Meni Colús. Quando ormai lasorte di Casarsa appare segnatae la cavalleria dei pagani in-combe, la voce della vergineMaria si leva a difesa dei Friu-lani e come un vento incontra-stabile impedisce ai guerrieripagani di avanzare.

Commento La scena siapre sul cortile di casa Colús.Quello che è il cuore della vitafamigliare, lo spazio di incon-tro e di relazione delle diversefamiglie sta per divenire un

claustrum pervaso da pensieripersecutori. Il tema della tra-gedia è introdotto da Pauli conun monologo molto poetico: iltema è la morte. Più in partico-lare il tema è la presa di co-scienza della dimensione mor-tale in cui si dipana la vita, l’ac-cettazione della finitezza del-l’esistenza, il contatto con l’an-goscia ed il dolore mentale chetale presa di coscienza com-porta. Come svegliandosi dauna dimensione irreale: «i nosai s’i soi insumiàt o vif» [nonso se sogno o vivo]; il protago-nista, sdoppiato nelle figure diPauli e Meni, si domanda didove viene quella morte: «Càintor, Crist, dulà ch’i sin stastant vifs da crodi di stà vifs ineterno e che in eterno tu ti vesdi dàighi ploja ai nustris ciam-ps, e salút ai nustris puòrscuarps. Ma di-n-dulà vènia chemuart?» [Qua intorno, Cristo,dove siamo stati tanto vivi dacredere di restare vivi in eternoe che in eterno tu dovessi darepioggia ai nostri campi e saluteai nostri poveri corpi. Ma didove viene quella morte?].I due fratelli sembrano rappre-sentare due voci di un dialogointeriore; anzi la mia ipotesi èche tutta la pièce rappresenti losvolgersi di uno stato mentalesu cui da questo momento gra-va l’ombra di una dimensionepersecutoria. L’ipotesi è che ildramma, impersonato da Menie dal fratello maggiore Pauli,sia costituito da una crisi di fi-ne adolescenza, alle soglie del-l’ingresso nell’età adulta. È ilmomento del trapasso genera-zionale, di quel passaggio in

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«I Turcs tal Friúl»: accettazione della mortee passaggio alla vita

Stefano Fregonese

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cui una generazione si appre-sta a prendere il posto di quel-la che l’ha preceduta e checomporta l’accettazione dellaseparazione e della morte. La madre dei due ragazzi vienedescritta come una vecchia tre-mante all’appressarsi del mo-mento in cui incontrerà la mor-te, ma anche ormai avviata in ta-le dimensione, e la cui: «la stres-sa blancia ingatiada a ghi trimata ches spalutis di muarta» [latreccia bianca arruffata le tremasu quelle spallucce di morta].L’ingresso di Meni sulla scenaci avverte che tale processo diaccettazione della morte e dielaborazione del lutto non saràné facile né indolore. Si apreuno squarcio nella immaginedi pietas offerta da Pauli nelprologo che ci fa sospettareche la sua religiosità celi l’as-sunzione di una pseudo matu-rità in cui l’accettazione passi-va della ideologia dominante,riassunta nella tradizione reli-giosa condivisa dalla comunità,abbia rappresentato finora unacomoda scappatoia dal conflit-to generato dal confronto conla morte. Si delinea una con-trapposizione tra le remissivitàdi Pauli e la ribellione di Meni.L’appellarsi ai paisans non ri-solve la situazione ma sembra

solo introdurre l’esplicarsi dinuovi atteggiamenti difensivirispetto all’assunzione del do-lore che l’accettazione dellamorte richiede. In realtà le po-sizioni assunte dai paisans sonodiverse ma strutturalmente fi-nalizzate a costruire una difesadall’angoscia della morte: essisono già in una posizione di di-pendenza servile, ovvero inuna logica di relazione basatasulla sopraffazione tipica dellaposizione schizo-paranoide, edora la usano per negare l’ango-scia di morte: «I Turcs? Eh, ason lontàns! […] E po’, ch’avegnin. I farín ’na bevuda in-sièmit, al casu. Sinu libers, adèsforsi? Veneziàns o Turcs!… Asi trata di cambià paròn…» [ITurchi? Eh, sono lontani. Epoi che vengano. Ci faremouna bevuta insieme, al caso.Veneziani o Turchi, si tratta so-lo di cambiare padrone].Oppure come Bastian, uno deivecchi del paese, finiscono colproporre di ritirarsi nel bosco;questa sembra presentare unadifesa già sperimentata matutt’altro che infallibile: forse èqualcosa che potremmo asso-ciare al ritiro psichico di cuiparla John Steiner, psicoanali-sta inglese, per il quale il ritirodalla vita emotiva e dai senti-

menti porta ad una dimensio-ne di quasi morte; è esplicita laconsapevolezza che tale tipo discelta che allontana dal caloredelle proprie case, degli affettie della vita sentimentale, al so-lo fine di evitare l’angoscia dimorte altro non fa che avvici-nare alla morte stessa. A que-sto punto a Meni ed a Paulinon sembra che rimanga altravia che quella della fuga nel-l’onnipotenza eroica: «murí,magari, ma na muart di òmis,na muart rabiosa, na muartsensa pensèirs» [Morire, mauna morte da uomini, unamorte rabbiosa, una mortesenza pensieri].Ma è soprattutto nell’incontrotra Meni e Nisiuti, il più giova-ne dei tre fratelli, che si delineala scelta operata da Meni in ter-mini di adesione alla logica del-la banda violenta e persecutrice.Egli è pervaso da una visione ci-nica della vita dove non c’è spa-zio per la debolezza e la vulne-rabilità. Uccidendo il cardelli-no, Meni uccide quella partedi sé ancora bisognosa dellecure che una madre ormai vec-chia e prossima alla morte nongli può più dare; egli uccide lasperanza di poter assumere sudi sé la responsabilità di pro-teggere e prendersi cura dei

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il passaggio, la metamorfosi, le sfumature

bambini delle future genera-zioni, che rappresenta l’essen-za dell’età adulta. Allo stessotempo sembra spingere Nisiu-ti, in procinto di uscire dall’in-fanzia, ad unirsi ad un mondodi adulti guidato dalla leggedella sopraffazione e della vio-lenza gratuita, e dalla cinicaconsapevolezza che: «Di nu ano restarà nuja; na muart spau-rosa, sanc, e dopu nuja» [Dinoi non resterà nulla; una mor-te spaventosa, sangue, e doponulla]. Nel finale, apparente-mente contraddittorio, abbia-mo una riprova di come l’uni-ca possibilità per uscire vera-mente dal claustrum consistanella accettazione della realtàdi cui la morte è uno degliaspetti. La morte ora non è piùuna paura senza nome che ar-riva sospinta da una folata dionnipotenza e a cui può soloopporsi un rigurgito onnipo-tente che tutto travolge. C’è una sostanziale differenzatra la morte descritta da Meninella prima parte della trage-dia: «Ah, par Diu, si jo i mòur,al mòur dut il mont… e tene-bris e scur… Una glas ta laciàr… la muàrt!» [Ah, perdio,se io muoio, muore tutto ilmondo… e tenebre e buio…un gelo nella carne… la mor-

te!] e quella che ora il soprav-vissuto Pauli grida con rabbia edolore: «Meni Colús me fradi,al è muart. Jo i plans doma chepar lui, e doma che par lui jo iblestemi il nustri sant Signòur»[Meni Colus, mio fratello, èmorto. Io piango solo per lui esolo per lui bestemmio il no-stro santo Signore].Pauli ora è in contatto con unsentimento di separazione econ il dolore che esso compor-ta, non è né travolto da un sen-timento panico, né coinvoltoin quello eroico che lo avevaportato a passare dalla sotto-missione all’immolazione. Ma forse non è ancora un eroeche matura la propria dimen-sione di adulto passando attra-verso l’elaborazione del lutto ela conseguente accettazionedella separazione. Le sue paro-le sembrano riecheggiare quel-le di Anuta Perlina, la corifeache rappresenta, nel corso ditutta la tragedia, la vera voceadulta che si contrappone alleistanze più infantili, ai senti-menti di onnipotenza o dispe-razione, che esorta a rimanerea contatto con la realtà perquanto dolorosa essa sia ed anon assumere difese che porta-no alla distorsione ed al disco-noscimento della realtà. È una

voce in cui la rassegnazioneper la morte imminente si ac-compagna alla preoccupazioneper chi verrà dopo di lei, perchi dalla vita può ancora rac-cogliere gioia e soddisfazione.È una voce saggia e generosache fin dall’inizio richiama ilprotagonista Pauli/Meni almantenimento della relazionecon un oggetto che nutre e nonche perseguita; al contrarioPauli spende l’ultimo fiato perbestemmiare, esprimendo lasua rabbia contro un oggettoche gli appare indifferente alsuo dolore, un oggetto che nonl’aiuta a ritrovare una relazionecostruttiva e d’amore. C’è sì, con il ritorno dei giova-ni al paese, l’accoglimento del-le parti più vitali, fertili e crea-tive del sé, ma come risultatodi una ulteriore scissione in cuile parti più distruttive vengononuovamente misconosciute edallontanate e si rinnova la sot-tomissione all’idea di un ogget-to onnipotente e salvifico.

Le fotografie di Danilo De Marcosono state realizzate durante la rap-presentazione dei Turcs tal Friúl conla regia di Elio De Capitani nell’aiadell’Agriturismo Colonos di Villa-caccia di Lestizza.

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Una domanda che ha attraver-sato tutto il tirocinio, con livel-li di risposta diversi nel suosvolgersi, è una domanda disenso: cosa fa il tirocinante inun Dipartimento di SaluteMentale? Qual è la sua funzio-ne, o meglio, che senso ha lasua presenza per sé, per l’équi-pe, per l’istituzione e non ulti-mo per il paziente?La prima funzioneche il tirocinante sitrova ad assumere èquella di osservatore,che rappresenta ilprimo passo per inse-rirsi in questo nuovocontesto. È un perio-do di conoscenza re-ciproca in cui il tiro-cinante deve, nonsenza difficoltà, im-parare a “stare con”piuttosto che inven-tarsi chissà quali coseda fare o da dire percolmare i vuoti.Quello che matura èun “saperci stare”,un sapersi rapportarecon il paziente che vaaldilà delle conoscen-ze teoriche o clinichesul suo conto, purcomprendendole. Funzionechiave nel raggiungimento diquesto l’ha avuta un “ascoltopensante” che comporta anchesaper tollerare l’incertezza ed ilprocedere, soprattutto all’ini-zio, più attraverso interrogativie dubbi che certezze. Questoha permesso di poter com-prendere via via la “giusta di-stanza”, in certi casi anche fisi-ca, da tenere col paziente e di

saper intravedere qualcheaspetto familiare anche nel di-scorso più bizzarro.La familiarità non è tanto da ri-tenersi frutto del semplice fre-quentare un luogo, piuttosto ilfatto che alcuni aspetti del pa-ziente divengano noti si lega alriuscire a comprendere unaqualche logica, un senso nel di-

re, nel modo di comportarsi edi pensare del paziente stesso.Le attività seguite riguardanodiversi momenti nella vita delpaziente che vanno dall’ac-compagnarlo a casa o a faredegli acquisti oppure in deter-minati uffici, alle attività di let-tura e di cucina. Tutte questeattività servono non solo comerecupero o sviluppo di alcuneabilità, ma hanno lo scopo di

mirare ad una, se non totale al-meno parziale, autonomia daconsolidare anche al di fuoridella Struttura.Il tirocinante assume una posi-zione particolare in virtù anchedella sua più o meno prolunga-ta, ma pur sempre tempora-nea, presenza nella Struttura.Questo essere “dentro” ma al

contempo “fuori” dal-l’équipe vera e propriadà al tirocinante dellevalenze diverse: primafra tutte, essendo unosservatore, c’è quelladi offrire all’équipe un“occhio in più”, unosguardo dentro e allostesso tempo fuoricampo.Dopo la prima im-pressione di ruoliconfusi, ci si interrogae si comprende via viala funzione di figureprofessionali distinte,i cui ruoli rimangonotuttavia flessibili, nonrigidamente suddivi-si, secondo l’otticaper cui è l’intera équi-pe a prendersi curadel paziente, sebbeneciascuno di questi ab-

bia degli operatori di riferimen-to. Si avverte quanto sia impor-tante il modo di lavorare dell’é-quipe nella cura del paziente;più precisamente quanto sia so-stanziale la condivisione daparte di ciascun operatore diuno stesso stile di lavoro.Riportiamo due stralci trattidalle nostre rispettive relazionidi fine tirocinio: la prima riferi-ta al Centro Diurno, la secon-

il passaggio, la metamorfosi, le sfumature

Dal sapere dell’Università alla pratica dei ServiziL’iniziazione del tirocinante

Fabiana Del Fabbro e Angela Nonino

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il passaggio, la metamorfosi, le sfumature

da a Villa Bisutti, strutture delServizio di Pordenone.

«Quest’anno di tirocinio hasenz’altro costituito l’occasio-ne per valutare i propri inte-ressi ed il proprio modo diporsi in un ambito particolar-mente oneroso come quellopsichiatrico.In conclusione, l’obbiettivoprincipale che si è raggiunto èproprio quello di avere impa-rato un po’ a rapportarsi al pa-ziente psichiatrico ed al pa-ziente grave in particolare.Devo dire che il primo perio-do è stato particolarmentenoioso, le giornateerano lunghissime…non sapevo cosa fare,come relazionarmicon i pazienti, avevopaura di dire cosesbagliate. Mi accor-gevo che anche i pa-zienti mi studiavano,ma non sapevanodarmi una giusta col-locazione, mi faceva-no domande e miconsideravano co-munque una figuraestranea.Quello che volevoera sapere cosa dove-vo fare, il solo starecon i pazienti misembrava molto im-produttivo: non im-paravo niente. Alloraleggevo le cartellecliniche o andavo acasa a studiare i sintomi checredevo di aver individuatonei pazienti, pensavo così ditrovare almeno un filo con-duttore in tutto quello che midava un’immagine perfetta diciò che deve essere stato ilcaos primordiale. Ho poicompreso che quando non miveniva data la risposta alla miainsistenza sul sapere “cosa do-vevo fare”, lo scopo era quello

di far sì che io stessa mi tro-vassi il mio spazio e mi ricono-scessi in esso».

«Annoto tutta una serie di sen-sazioni collegate a questo in-contro con un luogo nuovo, as-sai strano: “voglia di andarse-ne”, “di uscire”, “sensazionedi pieno, di saturazione” e av-verto la “tensione dei pazienti”che forse è anche la mia. Il pri-mo periodo è stato caratteriz-zato da pensieri e sensazioniquali: la noia, la percezione diun tempo rallentato, il non sa-pere cosa fare, l’interrogarsisull’utilità di questo tirocinio.

Relazionarsi con i pazienti, so-prattutto all’inizio, è statotutt’altro che semplice. Supera-to l’impatto iniziale, fatto di ti-more e tensione, è stato possi-bile lasciare spazio ad un tenta-tivo di comprensione. Una del-le cose che più mi ha colpito al-l’inizio è stato lo scarto tra illeggere la storia di ciascun pa-ziente e l’averci a che fare di-rettamente, in quanto nel quo-

tidiano, per fortuna, gli ospitisono molto più vivaci e vivi chenelle cartelle.Direi che la maggior curiosità,difficoltà ed anche soddisfazio-ne in questo anno di tirocinio,sono derivate proprio dal rap-porto con i pazienti; questoperché sono i pazienti coloroche più colpiscono, impegnanoemotivamente, creando conti-nuamente dubbi ed interroga-tivi, e sui quali dunque ho in-vestito di più. Nel corso del ti-rocinio, grazie al contatto colpaziente e in questo caso colpaziente grave, oltre alla cono-scenza clinica, ho avuto la pos-

sibilità di impararemolto sul mio mododi reagire di fronte al-la sofferenza psichica.Il rapporto con il pa-ziente è stato fruttuo-so nel momento incui sono stata in gra-do di sopportare siaciò che certi atteggia-menti suscitavano inme (paura, curiosità,disgusto), sia alcunicomportamenti prividi un legame imme-diatamente compren-sibile con il contestoin cui avvenivano. Inpoche parole, credodi aver colto, nel rap-porto con il pazienteda me osservato, l’uti-lità di poter esserecontenitore nella rela-zione anche a partire

da situazioni in cui è difficilegestire il proprio vissuto. Infi-ne, se questo tirocinio, nell’é-quipe, ha suscitato “pensiero”,nuove riflessioni sui pazienti edin particolare su quello seguitopiù da vicino, credo sia un ul-teriore motivo per ritenerlo unbuon tirocinio, non solo perme».

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Seduto al Caffè «Gli Specchi»,un uomo ossuto con un cappel-lo nero sul capo sollevava ilbraccio per ordinare; nel rifles-so fedele di un grande specchioda parete, un secondo uomocon un cappello nero sul caposollevava il braccio per ordina-re; nel riflesso diafano di unavetrina, sospeso a mezz’ariafuori dal locale, un terzo uomocon un cappello nero sul caposollevava il braccio per ordina-re; in un qualsiasi tavolino delCaffè un anonimo libro rilega-to in pelle nera riportava, aduna certa pagina, l’episodio diun uomo ossuto con un cappel-lo nero sul capo che sollevava ilbraccio per ordinare. Nell’anti-ca aria dell’ambiente, un came-riere corpacciuto, in un gilèrosso e in un paio di pantalonilisi e larghi, solerte ai richiamidecisi del banconiere, preleva-va con consumata perizia unvassoio d’argento ingiallito consopra quattro caffè fumanti.

Seduto al Caffè «Gli Specchi»,un uomo ossuto con un cap-pello nero sul capo sollevava ilbraccio per ordinare; nel rifles-so fedele di un grande spec-chio da parete, un secondo uo-mo con un cappello nero sulcapo sollevava il braccio perordinare; nel riflesso diafano diuna vetrina, sospeso a mezz’a-ria fuori dal locale, un terzouomo con un cappello nero sulcapo sollevava il braccio perordinare; in un qualsiasi tavoli-no del Caffè un anonimo librorilegato in pelle nera riportava,ad una certa pagina, l’episodio

di un uomo ossuto con un cap-pello nero sul capo che solleva-va il braccio per ordinare e diun cameriere corpacciuto, inun gilè rosso e in un paio dipantaloni lisi e larghi, che, so-lerte ai richiami decisi del ban-coniere, prelevava con consu-mata perizia un vassoio d’ar-gento ingiallito con sopraquattro caffè fumanti.

Seduto al Caffè «Gli Specchi»,un uomo ossuto con un cap-pello nero sul capo sollevava ilbraccio per ordinare; nel rifles-so fedele di un grande spec-chio da parete, un secondo uo-mo con un cappello nero sulcapo sollevava il braccio perordinare; nel riflesso diafano diuna vetrina, sospeso a mezz’a-ria fuori dal locale, un terzouomo con un cappello nero sulcapo sollevava il braccio perordinare; in un qualsiasi tavoli-no del Caffè un anonimo librorilegato in pelle nera riportava,ad una certa pagina, l’episodiodi un uomo ossuto con un cap-pello nero sul capo che solleva-va il braccio per ordinare, diun riflesso fedele in un grandespecchio da parete di un se-

condo uomo con un cappellonero sul capo che sollevava ilbraccio per ordinare, di un ri-flesso diafano… Nella anticaaria dell’ambiente, un camerie-re corpacciuto, in un gilè rossoe in un paio di pantaloni lisi elarghi, solerte ai richiami deci-si del banconiere, prelevavacon consumata perizia un vas-soio d’argento ingiallito consopra sei caffè fumanti.

Seduto al Caffè «Gli Specchi»,un uomo ossuto con un cap-pello nero sul capo sollevava ilbraccio per ordinare; nel rifles-so fedele di un grande spec-chio da parete, un secondo uo-mo con un cappello nero sulcapo sollevava il braccio perordinare; nel riflesso diafano diuna vetrina, sospeso a mezz’a-ria fuori dal locale, un terzouomo con un cappello nero sulcapo sollevava il braccio perordinare; in un qualsiasi tavoli-no del Caffè un anonimo librorilegato in pelle nera riportava,ad una certa pagina, l’episodiodi un uomo ossuto con cappel-lo nero sul capo che sollevava ilbraccio per ordinare, di un ri-flesso fedele in un grande spec-chio da parete di un secondouomo con un cappello nero sulcapo che sollevava il braccioper ordinare, di un riflesso dia-fano… e di un cameriere cor-pacciuto, in un gilè rosso e inun paio di pantaloni lisi e lar-ghi, che, solerte ai richiami de-cisi del banconiere, prelevavacon consumata perizia un vas-soio d’argento ingiallito consopra sei caffè fumanti.

il passaggio, la metamorfosi, le sfumature

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Il gioco dei puntinie della ‘e’

Marcello Losito

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il passaggio, la metamorfosi, le sfumature

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Ovidio nasce a Sulmona, vici-no a L’Aquila, il 26 marzo del42 a.C.; muore a Tomi sul MarNero nel 17 o 18 d.C. .Ovidio è il più leggero e appa-rentemente svagato tra i poetilatini; un poeta che, comeApollinaire o Aldo Palazzeschi,è tutto dalla parte del sole, del-la salute, della vita e non ama lebaudelairiane febbri. Sonoquei poeti che abitano e leggo-no il mondo solo per poi rido-narlo, ancora, a noi con la loropoesia; sì, è proprio a noi –mammiferi parlanti denominatiuomini senza distinzione di ge-nere grammaticale – che vienerivolto un invito per vedere tut-te le cose con il sognante stu-pore della prima volta.Tra le opere di Ovidio ci sonoanche le Metamorfosi che par-lano di più di duecento trasfor-mazioni di un essere umano inanimale, pianta, statua o altraforma ancora. Tra tutte questemutazioni vengono inseritedelle “favole” un po’ amare; inuna di esse si racconta della vi-cenda di Orfeo e Euridice chequi riassumo servendomi delleparole contenute in Dizionariodi mitologia classica, Vallardi,1992, pp. 180-181: «…, canto-re e musico tracio, figlio di unaMusa e di Apollo. Sposo diEuridice, quando essa morì[per il morso velenoso di unserpente, al fuggire l’apiculto-re Aristeo che l’inseguiva perfarla sua] scese nel regno deimorti per tentare di riprender-la. Grazie al suo canto, chemuoveva alberi e pietre e am-mansiva le fiere, placò Carontee Cerbero, e ottenne da Per-

sefone di riavere la sua sposa.Ma nel cammino di ritornoverso il regno dei vivi infranseil divieto di voltarsi a guardareEuridice e questa tornò persempre nell’Ade. Orfeo fu poiucciso e dilaniato dalle donnetracie, di cui rifiutava l’amore.La sua testa, gettata in mare,continuò a cantare».Anche durante questo annoscolastico ho parlato di Ovidioe, inevitabilmente, di Orfeo.Una gentile e bella studentessa,Silvia, mi ha presentato periscritto questa domanda a cuiho provato a rispondere; nonso con quale risultato, ma ci hoprovato.

Domanda di Silvia: «Ascoltotutte quelle poetiche paroleche facendo colorate capriolenell’aria, giungono a me tra unsoffio di vento e un raggio disole; ed è così che mi ritrovo apensare a Orfeo ed Euridice.Se fosse come l’insegnante hadetto, se davvero ciò che uniscedue persone è la consapevolez-za che per ognuno di noi ci de-

ve essere una fine, allora, comedobbiamo considerare il rap-porto tra questi due miticiamanti?È solo la paura di affrontare lamorte da solo che spinge Or-feo a scendere fino nell’Adeper ritrovare la sua Euridice? Forse è vero, è proprio così, mail pensiero che questa sia la ve-rità mi fa sentire in colpa per-ché mi sembra di minimizzareun grande amore, quello che haispirato tanti poeti e anche tan-ti professori di letteratura. Noiamiamo non solo persone, maanche cose perché a esse siamolegati magari da ricordi, e loronon finiranno con noi, non po-tremmo mai condividere lamorte. E allora…».

Risposta dell’insegnante: «È,indubbiamente, molto difficile,Silvia, rispondere alle intelli-genti domande che mi poni. Ciproverò; avvisandoti, però, chenon cercherò le risposte daitanti libri in mio possesso suun argomento tanto vasto ecomplesso; ma risponderò, acosto di dire altre sciocchezze,a pelle, istintivamente: in unmodo, cioè, che gli insegnantinon devono usare.Orfeo diviene grandissimopoeta dopo la morte di Euridi-ce. Non è un caso che diventi ilpoeta quando è rimasto solo:più brutto si fa, così, dover mo-rire senza che il mio oggetto didesiderio possa dare l’ultimobacio a quelle palpebre abbas-sate, per una pietà foscoliana, eche non si rialzeranno più. Noncredo che si minimizzi l’amoreperché l’innamorato respira la

Silvia e le «Metamorfosi»Dialogo sulla trasformazione

Flavio Gallio

Orfeo e Euridice

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pelle del suo oggetto di deside-rio; quest’ultima, come lui, ècaratterizzata da una duratabreve se rapportata al temponel suo complesso.Certo, rimangono i ricordidell’unica eternità possibile –almeno per chi scrive – e vis-suta con una sola persona (nel-la letteratura i nomi sono di-versi: Ofelia, Euridice, Beatri-ce, Selvaggia, Fiammetta, Gio-vanna, Anne di De Quincey eAnne di Blaise Cendras, Marieand so on); è, insomma, quellaeternità che ben viene definitao evocata da un poeta nonamatissimo da me, EugenioMontale: nella sua terza rac-colta di poesie, La Bufera, nel-l’omonima poesia (dove ci saràin conclusione una ripresa deiversi finali di A Silvia) il poetaligure parla di “eternità d’i-stante”. Non è un caso, quin-di, che Orfeo, l’orfano, diven-

ti grande poeta dopo la defini-tiva scomparsa-assenza-perdi-ta di Euridice. Poesia comesurrogato di quello che si è co-nosciuto e che non si può piùvedere e parlarlo? Forse; manon è solo questo.È, ne sono convinto, il sensodella nostra vita sempre pre-sente-assente in noi; è la capa-cità di continuare a vivere an-che se tutto suona altro e è al-tro rispetto a quello che sei; èl’unica sostanziale e netta ri-sposta a quella “bella fanciul-la” (è Leopardi che così lachiama in Amore e Morte;mentre Neil Young la dice:«old laughing lady», vecchiasignora sorridente) o “lumino-sa signora”, di cui parla Tom-masi di Lampedusa nel suosplendido Gattopardo. È, infi-ne, proprio perché lei ci abitada sempre, che desideriamocondividere i nostri giorni con

chi è diverso da noi, senza delquale però… lo ricorda SeanConnery nel film In nome dellarosa: “Che noia – dirà al suodiscepolo a conclusione di undiscorso contro le donne – lavita senza le donne”.Orfeo, per amore, scende nel-l’Ade e riperde Euridice (lasua poesia di ieri). Si ritrove-ranno però, lo ricorda sempreOvidio, dopo la morte di Or-feo, insieme nei campi Elisi: avolte Euridice precede Orfeo,altre lo segue (spatiantur è ilverbo medio latino).Come vedi ciò che non è fun-zionato prima, funziona ades-so: Orfeo-Euridice continuanoa passeggiare innamorati neicampi Elisi; e poi ce lo ricordaun grande lirico, R. M. Rilke:“La perdita non è che una se-conda acquisizione”».

il passaggio, la metamorfosi, le sfumature

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I bambini vanno dal Nido alla Scuola Materna

Asilo «Girotondo» di Porcia: disegnodi una bambina di tre anni, preparatorioal suo primo volo dal nido.

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Era una bella mattina di Apri-le, una di quelle in cui si senteil profumo della Primavera chefa capolino dietro i nuvolonibianchi di panna gonfiata.Bring era uscito di casa e si eratrovato violentemente inonda-to dal sole; così aveva deciso diprender su la bici per andarein paese a fare le commissioniper la mamma.– Chissà perché questa notte ho dormito bene– pensava tra sé mentre spingeva la biciclettasulla ghiaia bianca del cortile – proverò anchestasera a leggere Topolino prima di addormen-tarmi; se funziona saprò che è merito suo – ementre parlava guardava l’ombra sbilenca chescivolava sotto di lui.Prima di uscire la mamma gli aveva dato la listadella spesa, con le solite raccomandazioni chefanno le mamme di far presto e bene e di stareattenti. Al mercato la lista non si trovava più.Bisogna dire che non era la prima volta cheBring perdeva qualcosa, anzi ultimamente luistesso si stupiva se ritrovava al primo colpoquello che andava cercando. Per questo moti-vo, dopo aver cercato nelle tasche dei pantalo-ni e in quelle del giacchettino, non si era preoc-cupato più di tanto.– Salterà fuori da sola – mentre appoggiava labici al palo della luce. Il mercato era sempre uguale e per questo erasempre bello andarci.A Bring piaceva molto perché si trovava un po’come a casa; forse gli piaceva ancor più che an-dare al supermercato e senz’altro di più che an-dare in posta o in banca.– Cosa servirà a casa? – era sicuro che pensan-doci un po’ avrebbe avuto delle idee e intantoaveva cominciato il giretto.Era capitato diritto sulla bancarella dei dischiche stava sparando Nessun Dorma a tutto volu-me ed aveva comprato un doppio CD dei TreTenori che aveva quasi la grandezza di una dop-pia cassetta, senza pensare a come sarebbe sta-to impossibile schiacciare il dischetto dentro ilsuo vecchio impianto per musicassette.

Poi era la volta della sfera diplastica con dentro i pesci ros-si, del kit fai da te per la de-purazione dell’acqua del rubi-netto, dei libri sull’interpreta-zione delle forme delle nuvo-le, sul come dominare le pro-prie emozioni per parlare inpubblico, sull’etimologia deinomi inglesi, sulla cucina ma-crobiotica greca e infine, pas-

sando davanti ai bellissimi occhi di una volon-taria, si era sentito quasi costretto con gli ulti-mi soldi a fare un’offerta per sostenere la cau-sa di un gruppo non violento di antivivisezio-nisti combattenti che intendeva vietare l’utiliz-zo cruento di animali pacifici tenuti in cattivitàda presunti biologi che sostenevano di operarea fin di bene.Quel che gli aveva fatto male invece non eratanto il rendersi conto di non poter trasportaretutta quella roba con la bicicletta quanto la sor-presa di sentire la voce della mamma che piùche chiamarlo voleva farsi individuare.– Bring!– Mamma! – Indicando il mucchio di acquistiche aveva accumulato.– È pronto, andiamo!– Ho finito i soldi mamma, e ho perso la listadella spesa.– Non l’hai persa, non te l’ho proprio data; l’hofatto apposta perché sapevo che ti saresti com-prato quello che volevi, così come piace a te.– Come l’anno scorso!– E quello prima…– Cosa c’è da mangiare mamma?– Polenta e baccalà.– Il mio piatto preferito!– Buon trentesimo compleanno Bring!

ASPETTANDOGODO…

Bring

Andrea Appi

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aspettando godo…

Donna in moto gettataa terra da carpa volanteSuzzara - Attraversava in mo-torino una strada di campagna,accanto a un canale, quando èstata colpita da un corpo visci-do, che l’ha gettata violente-mente a terra. C. M. 51 anni, diSuzzara, superato lo spavento,si è accorta di essere stata inve-stita da un grosso pesce, unacarpa lunga 81 centimetri e pe-sante dieci chilogrammi che,dopo un balzo di quasi quattrometri, è finita sulla strada, forseper sfuggire a un pesce siluro.La donna se l’è cavata con unacontusione alla spalla sinistra,la carpa invece ha avuto un de-stino ben peggiore: è finita dal-la brace nella padella.

«Corriere della Sera», 11/8/91

Topi d’auto assalitida topi di fognaCagliari - Per sfuggire alla poli-zia che li aveva visti rubare den-tro un’auto, si erano nascosti inuna fogna. Ma i topi li hanno as-saliti e le loro urla hanno richia-mato gli agenti. In manette sonofiniti i due “topi d’auto”.

«Corriere della Sera», 18/10/91

Contadino si crede extra-terrestre. Ferisce un idrau-lico, la polizia lo uccideGenoa - Un fittavolo convintodi essere un extraterrestre è sta-to ucciso dalla polizia domenicascorsa dopo aver gravemente fe-rito il suo idraulico, che egli cre-

deva fosse un pericoloso androi-de, e aver minacciato con le ar-mi un poliziotto. L’incidente èavvenuto a Genoa, un villaggiodello Stato di New York vicinoal Lago Ontario. R. R., 37 anni,è stato colpito a morte da un po-liziotto il quale per ore avevacercato di convincerlo ad arren-dersi: «Diceva che non loavremmo mai preso vivo e chie-deva gli fosse consegnato un di-sco volante per la fuga. Conti-nuava a parlarmi come se io fos-si il capitano Kirk di Star Trek»,ha raccontato l’agente.

«Corriere della Sera», 11/12/91

Si getta due volte dal ter-zo piano. Si salva cadendosempre sulla stessa autoNew York - Un aspirante sui-cida che si è lanciato per duevolte di seguito dal terzo pianoè ancora vivo perché è rimbal-zato entrambe le volte sullastessa auto parcheggiata. È ac-caduto a Kenmore, nello Statodi New York. L’uomo, che hariportato soltanto la frattura diun polso e di una clavicola ol-tre a contusioni e lievi ferite alviso, rimasto illeso la prima

volta, ha preso l’ascensore perritentare il suicidio dallo stessopiano e dalla stessa finestra.

«Corriere della Sera», 7/4/92

Un pesce gigante mordeun cane bull-terrierAmsterdam - Mahruss, unbull-terrier che stava giocandosulla riva di un laghetto olan-dese, è stato azzannato ad unazampa da un luccio gigante esono stati necessari sei punti disutura per la ferita. Il padronedello sfortunato animale haraccontato: «Mahruss stavacercando un bastoncino che gliavevo tirato in acqua quando èsbucato un luccio gigantesco.L’ha morso almeno due volteprima di lasciarlo andare».

«Corriere della Sera», 22/5/92

Tenta il suicidio.Muore il canePisa - Si getta dalla finestra e ilsuo cane lo segue nel salto: l’uo-mo è in fin di vita, l’animale in-vece è morto. Ieri A. D. di 46

anni, profugo istriano con pro-blemi psichici, si è gettato dalsecondo piano della sua casa e ilfedele “Friz” lo ha imitato ed èmorto sul colpo. L’uomo, inve-ce, ha riportato soltanto feritenon gravi. Così, sanguinante, èriuscito a salire le scale del pa-lazzo di fronte, dove abita lamadre. La donna, impaurita,non gli ha aperto e lui si è getta-to di nuovo: questa volta dalterzo piano. È ricoverato in gra-vi condizioni all’ospedale.

«Corriere della Sera», 19/7/92

Cose normali

Raccolte da Mario Rigoni

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IL FILO DI ARIANNA. APPUNTI SULLA

SALUTE MENTALE

I numeri e la strategia

Nella valutazione dei progettidi riabilitazione è sempre piùurgente introdurre anche la di-mensione clinica. Stiamo supe-rando il momento in cui si èdovuto separare nettamente laterapia dalla riabilitazione (ve-di La fine dell’intrattenimentodi B. Saraceno). Questa sepa-razione era funzionale alla de-nuncia di una concezione dellaterapia fondata sulla tradizio-nale coppia medico-paziente(appunto l’intrattenimento).Il primo interpreta la psichedel secondo, mentre oggi nel-la salute mentale si constatache si devono compiere degliatti che modifichino le formedi vita stereotipate del sogget-to, si deve rompere l’interpre-tazione in cui si è fissata la vi-ta del paziente. Si tratta di af-fermare come nel lavoro di sa-lute mentale sia imprescindi-bile il coinvolgimento di piùpersone e di più istituzioni (ilfamoso “territorio”).Ora si può e si deve recuperarelo specifico dell’operazione,senza del quale la dimensionesociale si ridurrebbe ad essereuna segregazione dei malati infasce di handicap, senza alcunaconsiderazione per la loro sog-gettività – che poi è il bene ingioco: non c’è benessere se nondel soggetto, qualunque sia lasua malattia. Clinica è una pa-rola che viene dal greco κλινοσche significa letto: è lo studiodel caso al letto del paziente,alla sua presenza. Introdurre ladimensione clinica vuol direfare del soggetto, della sua pre-senza fisica, il protagonista del

progetto riabilitativo. Nella sa-lute mentale non basta contareil numero di interventi se nonne viene valutato il valore stra-tegico. Infatti la scienza ci dàstrumenti tattici, ma nessunmanuale è in grado di definirein modo standardizzato il loroimpiego strategico.Succede così anche nell’econo-mia: per valutare se un’aziendaè sana il bilancio è necessario,ma non sufficiente.Un progetto avrà valore, saràstato efficace, se in tutte le suefasi ha la persona come testo daleggere, se quindi mette il “pa-ziente” nella condizione diesprimere il suo disagio, con at-ti, sentimenti, gesti, ripetizioni,silenzi, terrori e tutto quantopuò essere raccolto come undiscorso. Sono discorsi “folli”,che cioè girano in folle rispettoalla necessità di innestare lamarcia della comunicazione,che rinunciano al senso (alme-no a quello comune), ma nonper questo sono meno partico-lari di quel soggetto e quindifondamentali per aiutarlo a tro-vare una stabilità e per intro-durlo in una qualche forma dilegame sociale.A volte un’attività non sanitariasvolta con utenti, ad esempio

una settimana di vendemmia(esperienza da cui trae spuntoquesto intervento), fa sì checiascuno esprima molti più se-gni di soggettività che non me-si di ospedalizzazione.Questa dimostrazione costitui-sce il primo asse della valuta-zione di efficacia. Ci sono infat-ti due vie della valutazione, cheperseguono due diversi livellidel reale in gioco. C’è la via deinumeri e della statistica, checoncerne il reale misurabile, in-dispensabile ad esempio per ilcalcolo finanziario; e poi c’èquella della dimostrazione cheha di mira il reale della contin-genza, l’efficacia reale a livellodel caso particolare.Naturalmente i due livelli sonotra loro correlati. La relazionefatta dall’équipe esprime bene idati che possono rientrare nel-l’analisi statistica. Ciò non esi-me dalla dimostrazione dell’ef-ficacia clinica del progetto e idati per questo li ricaviamo intutti gli scritti prodotti sullesingole esperienze riabilitative,ma in particolare nel “diario dibordo”, dove – nel caso cui fac-ciamo riferimento della ven-demmia coi pazienti – è conte-nuta l’avventura di tutti i 22

partecipanti: operatori, volon-tari e pazienti.Vengo così al secondo asse del-la valutazione di efficacia: latrasmissione. Non si può farequesta valutazione se non sirende trasmissibile e quindiconfrontabile con altre l’espe-rienza. Per questo è molto op-portuna la pubblicazione delleesperienze fatte sul campo e miauguro che segni l’inizio di un

Come valutarel’efficacia

di un progetto?

Carlo Viganò

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costume. Rendere trasmissibi-le, accessibile a chiunque ilcontenuto dell’esperienza ria-bilitativa, prima ancora cheun’esigenza “scientifica”, è ne-cessario per l’esito stesso del-l’operazione. La riabilitazionesarà veramente efficace se riu-scirà a contrastare gli effettidel pregiudizio sociale, dell’o-pinione comune in tema di ma-lattia e di salute mentale. Perquesto non mi pare opportunoqualificare questo filone dellavalutazione come “qualitativo”rispetto all’altro “quantitati-vo”. Sarebbe una distinzionefuorviante: la valutazione di ef-ficacia, cioè della capacità diun progetto di mettere in motole risorse nascoste del soggetto– malato, operatore, familiare,ecc. – è una condizione mate-riale necessaria perché vi sia laquantità. Non c’è bisogno diMarx per saperlo, è sufficientel’insegnamento più attuale checi viene dal marketing.

Alcuni criteri per la valuta-

zione di efficacia Dunque

la valutazione di efficacia devecalcolare (trasmissione e dimo-strazione) quanto un progettosia adeguato all’obiettivo chepersegue. La clinica, cioè il sa-pere sulla particolarità del sog-getto, ci fornisce la natura diquesto obiettivo: introdurrenella monotonia della malattiamentale (e quindi della violen-za che essa si trascina dietrocome reazione) la scansionedella differenza, l’opera delsoggetto, i suoi atti e le sueespressioni.Provo ad elencare alcuni criteridi valutazione con i quali possia-mo ripensare un’esperienza co-me questa del progetto-ven-demmia.— Perché ciascuno possa sen-tirsi a proprio agio nell’acco-gliere il bisogno degli utentioccorre che vi sia un legamecon gli altri membri del grup-po, un “transfert di lavoro”. Lacredibilità dell’operatore è le-gata all’insieme, l’alternativasarebbe un ambiente di fred-dezza e di distanza, rispetto alquale ognuno si deve scavare

una nicchia di accoglienza ecostruire la serietà della pro-pria posizione, con tutto il ri-schio di instaurare identifica-zioni proiettive persecutoriesul resto del gruppo. L’équipedel Centro Diurno dimostra diavere un buon transfert di lavo-ro, possiamo augurarci che inun’altra sede si possa interro-gare come ci siamo arrivati, perrendere la cosa trasmissibile.— Dal punto precedente nederiva un secondo: perché ilgruppo veicoli “una dimensio-ne normale di vita”, occorre va-lutare la “normalità” veicolatadal gruppo stesso. Essa non èlegata ad una teoria, che risul-terebbe ideologica ed ineffi-ciente, ma al desiderio realeche muove l’agire dell’operato-re. Mentre il desiderio è nor-mativo, la normalità è solo imi-tazione e non aiuta a stabilizza-re il soggetto. Per capire se glioperatori mettono in gioco unloro desiderio, si deve guardareal loro rapporto con il sapere:sanno già tutto quello che sideve fare o imparano dalla let-

il filo di arianna. appunti sulla salute mentale

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Il Pordenone, Festa campestre, particolare, Pordenone, Museo.

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il filo di arianna. appunti sulla salute mentale

tura degli atti? La duttilità nelmodificare gli aspetti organiz-zativi dimostra che nel gruppo“la notte porta consiglio”!— L’individuazione dell’obiet-tivo: “integrazione di gruppo”o “socializzazione”? La sceltafatta non mi pare contingente,ma indica un criterio. Non è ilgruppo l’obiettivo (sarebbe se-gregante), ma esso viene indivi-duato come lo strumento perun’abilitazione al legame socia-le. È anche questo un indice divalutazione. La riabilitazione èefficace se non produce incolla-mento, identificazione di grup-po, essa deve concepire il grup-po come strategia per arrivareall’abilità soggettiva. Questascelta ha una conseguenza,quella di affrontare il socialequando tende a difendere unapropria identità di gruppo e inparticolare quella di affrontarei modi con cui la famiglia si tro-va a riparare la propria feritanarcisistica.— La capacità di entrare in re-te, come si dice oggi in lettera-tura di utilizzare il campo. È ilsuperamento della razionaliz-zazione dei bisogni di marcaassistenziale ed ha il suo indicedi valutazione nella capacitàdell’operatore e dell’équipe diriconoscere il punto della pro-pria mancanza. È nel vuoto diciò che io non so o non possofare che l’altro anello della ca-tena può trovare il modo di ar-ticolarsi, facendo rete. Proget-to insomma non equivale a pia-nificazione.C’è infine il posto dato all’ope-ra, all’attività creativa del sog-getto, al suo saper fare – farequalunque cosa. Un gesto, an-che dall’apparenza bizzarra oinconsulta, può divenire un’o-pera se gli altri lo riconoscono,lo accettano per valorizzarlo oper criticarlo. È questo un in-dice di valutazione che puòrompere con l’ossessione del-

l’inserimento lavorativo: l’ope-ra viene prima della sua codifi-cazione in lavoro organizzato eripetitivo, senza naturalmenteescluderlo.

Chi valuta? Il “pubblico”

Sono criteri che costituisconoanche una griglia per confronta-re le esperienze, perché non sia-no solo raccontate, ma appuntovalutate. Come potrete notareciò va al di là della codifica tec-nica, che è necessaria più nellafase di programmazione. Neldopo diverrebbe autovalutativa,la tecnica si autoafferma al difuori di ogni considerazione sul-l’efficacia.È per questo che si sta impo-nendo l’idea di riabilitazione.Quella che noi chiamiamo ma-lattia mentale in realtà non èche un tentativo del soggettodi riparare una rottura che giàc’è stata, dentro di lui, nel suosistema di normalità che nonha tenuto e si è spaccato, senzache lui stesso se ne rendesseconto. Per favorire questo suolavoro di ricostruzione, la suariabilitazione, noi dobbiamosostenerlo soprattutto nel por-re dei paletti di protezione dal-l’angoscia che questa sua con-dizione genera attorno a lui, incoloro con cui tenta di relazio-narsi, e quindi in primis neisuoi familiari.La pubblicazione dell’espe-rienza è il primo passo per ar-rivare a far comprendere il la-voro di riabilitazione e quindiper cominciare a farne una va-lutazione corretta. Si dovràchiedere all’ente pubblico diessere più coerente con la pro-pria vocazione, non solo pro-muovendo iniziative, ma ren-dendo appunto di dominiopubblico ciò che si fa nel suoambito: promuovere la culturadei risultati oltre a quella deiprogrammi. La valutazione siprodurrà di conseguenza: così

come per i farmaci è il gruppo,l’insieme delle altre esperienzea fare da paragone, da placebocon cui confrontarsi.Una considerazione, da ultimo,circa la presenza di volontari.L’espressione “volontario” puòtrarre in inganno, in realtà ladimensione che esso introduceè quella che maggiormente èandata perduta nella società at-tuale, centrata sul mercato esulle sue leggi. È la dimensionedella libertà umana ed è pro-prio la follia a testimoniare e ri-chiamare drammaticamente iltema della libertà nella vita ci-vile. A sua volta il volontarioche lavora con la follia testimo-nia due cose allo stesso tempo:che la follia non è un problemaunicamente di tecnica sanita-ria, ma di civiltà, e che per trat-tarlo anche il tecnico deve met-tere in gioco il proprio volonta-riato, la propria posizione didesiderio.Questo valore culturale e poli-tico della presenza della follianel sociale è stato completa-mente rimosso dai canali del-l’informazione, almeno dopole ventate basagliane, e il vo-lontariato oggi è una via perriaprire la comunicazione conla società civile, per bucare lachiusura burocratica dei servi-zi. Il muro della burocrazia edella tecnica infatti non rin-chiude più i singoli matti, mala follia e chi se occupa, i suoitecnici. Il volontariato quindi èil non-tecnico che può fare datesta di ponte per mobilitare ilnon-tecnico che alberga inogni operatore e così racco-gliere la sfida di libertà di cui ilmalato mentale è il portatore.Senza che qualcuno la raccolgaegli ne diverrebbe il martire.

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In questa finestra, collocata al-l’interno della rubrica sulla sa-lute mentale, compaiono alcu-ni frammenti di discorso rac-colti da un’attività di gruppoche viene svolta, con cadenzasettimanale, presso il CentroDiurno di Pordenone. Una de-cina di ospiti e tre operatori siritrovano a commentare l’arti-colo, la poesia o la riflessionescritta che un membro di que-sto gruppo ha pensato di pro-porre alla discussione. Si tratta di mettere in movi-mento il pensiero in modo cheesso risulti scambiabile, cioèadatto a costruire un discorso.Ma si tratta anche di imparare,tutti, a dare spazio alla parolaaltrui, foss’anche per conte-starla e riaffermare le ragionidella propria, perché, nel frat-tempo, questo accoglimentodell’altro è quanto rende il giu-sto merito, in termini di dialet-tica e di riconoscimento, allapropria parola.Il gruppo termina con l’inter-vento di uno dei partecipanti,il quale ha solo ascoltato, e haregistrato sull’apposito qua-derno le frasi che gli sono par-se più interessanti, frasi cheora ripropone a tutti. Più cheun riassunto, assomiglia ad uncollage, talora caotico, taloracapace di una sua coerenza.

il filo di arianna. appunti sulla salute mentale

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Compagni di viaggio

Dei figlidi Gibran Kahalil Gibran

E una donna che reggeva un bambino al seno disse:«Parlaci dei Figli»Ed egli disse: «I vostri figli non sono i vostri figli.Sono i figli e le figlie dell’ardore che la Vita ha per se stessa.Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi,E benché vivano con voi non vi appartengono.Potete dar loro il vostro amore ma non i vostri pensieri,Poiché essi hanno i propri pensieri.Potete dar ricetto ai loro corpi ma non alle loro anime,Poiché le loro anime dimorano nella casa del domani, cheneppure in sogno vi è concesso di visitare.Potete sforzarvi di essere simili a loro, ma non cercate direndere essi simili a voi.Poiché la vita non va mai indietro né indugia con l’ieri.Voi siete gli archi da cui i vostri figli come frecce vive sonoscoccate.L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, e vi pie-ga e vi flette con la sua forza perché le sue frecce vadano ve-loci e lontane.Fate che sia gioioso e lieto questo vostro esser piegati dallamano dell’Arciere.Poiché come ama la freccia che scaglia, così Egli ama anchel’arco che è saldo».

Commenti dal gruppo

«Bisogna educare i figli, essereper loro dei modelli credibili».

«Il danno che il genitore puòrecare è quello di non lasciaresbagliare i figli… sbagliare èuna via per imparare».

«L’anima è ciò che rende libe-ri e unici».

«Perché possano diventare li-beri, i genitori devono rinun-ciare al possesso dei loro figli(come Dio non ha tenuto per

sé il proprio figlio, ma lo hadonato per la salvezza degliuomini, secondo quanto sot-tolinea San Paolo)».

«Questa è poesia del divenire,mentre i genitori tendono a le-gare i figli al passato, cioè allarealizzazione dei propri deside-ri incompiuti».

«I buoni genitori sono comel’arco saldo: lasciano i figli (lafreccia) andare via liberi…».

(Dal Gruppo di paroladi giovedì 17/7/97)

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LA CITTÀ REALE& LA CITTÀINVENTATA

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Quando mi è stato chiesto un in-tervento per il volo inauguraledell’Ippogrifo, ero in partenzaper un breve viaggio a Berlino,città che rimane per me un luogod’affezione. Più volte mi sonochiesto il perché. So che non è so-lo per l’architettura. Qui forse hointuito che l’essenza della cittàè minerale-animale, ho visto co-me nascono e muoiono stradee quartieri, ho ap-preso che disegna-re edifici è unaforma di scrittura,che la città fluiscee che ha un respi-ro segreto. Così èdi Berlino che viscrivo, raccoglien-do gli appunti delmio taccuino diviaggio.

Attraversare il cantiere di Pot-sdamer Platz nel-l’aria fredda dellanotte è un tripche mi si offreinaspettatamente e che non mivoglio perdere.Lame di luce si impennanod’improvviso da grandi rifletto-ri e illuminano d’argento e bluelettrico il vapore che si sollevadai getti di calcestruzzo caldo.Poco lontano, la lanterna verdedel nuovo Sony Center apparesospesa nella notte berlinese.

L’autobus notturno si ferma araccogliere un gruppo di gio-vani operai vietnamiti, forse fi-gli di alcuni dei molti ex viet-cong emigrati nella vecchiaDDR prima dell’ottantanove.

Stesso sguardo cattivo comun-que, anche senza il pigiama ne-ro dei loro padri combattenti.Come veri viet anche questivengono a ondate, nei film diguerra è così. Allo stesso modospariscono e ti chiedi dove sia-no finiti, così tutto d’un tratto.Forse se ne vanno a occupare inuovi quartieri dormitorio fat-ti di containers, scatole di me-tallo e plastica linde e colorate– nuove e carinissime variantidelle mietkasernen, gli inferniurbani della tradizione prus-siana – messe una accanto al-l’altra e impilate su quattro o

cinque livelli da un Piranesipop a formare tante piccolecittà nella città.

Tacheles è un centro sociale nel-la parte est della città, a duepassi dall’Isola dei Musei. A po-che centinaia di metri il BerlinerEnsemble, tempio della tradi-zione brechtiana, museo viven-te. Vicinissimo il Gor’kij Thea-

tre, cuore dellanuova avanguar-dia. Mi chiedocome si regga inpiedi questo edi-ficio rimasto an-cora sventratodai bombarda-menti del qua-rantacinque, conle sezioni mura-rie in attesa di es-sere in qualchemodo ricucite.Non esiste centi-metro quadrato– dentro o fuori– che non sia ri-coperto da strati

di graffiti, spesso brutti o – neicasi migliori – insignificanti.Il bar del Tacheles è un proble-ma di topologia, un’acquariosempre in penombra.A volte questa penombra è in-terrotta da fasci di luce dai co-lori acidi, nervature intermit-tenti che si accendono secondoritmi che non cerco di capire.Ai vari piani dello stabile siaprono gli studioli degli artistiche vivono qui, una porta mi-steriosa cela una saletta perproiezioni che trovo poco invi-tante. Sulle scale e nei moltianfratti una moltitudine di cre-

Carte berlinesiPoscritto m.f.p.

Stefano Tessadori

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la città reale & la città inventata

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ste storicizzate attende l’ultimoturista della giornata.

Meglio lo Schwarzes, dove ri-trovo me stesso. È questo ilmodello dei locali berlinesi cheamo, fatti di niente. Gente del-l’università, delle gallerie d’ar-te, donne in fiore, sempre aper-to e amico. Ci arrivo con la ri-sacca che prima o poi mi portadalle parti di Savigny Platz do-ve c’è la più bella libreria d’ar-chitettura in Europa.

Nitide rosette neoclassiche,guilloches, triglifi e – why not –ruote dentate, compassi e mar-telli, tutta la machinerie da in-dustria pesante impressa conimplacabile e ferrea grazia neirivestimenti di piastrelle colorbiancocrema e oro dei palazzisulla Karl Marx Allee. È questala strada triumphalis voluta dalPartito per marcare l’identitàdi Berlino Est, fra gli anni cin-quanta e sessanta. Immagino itrionfi di squadre di calcio che

si chiamano Lokomotiv, o me-glio Spartakus o le terminatricidel nuoto. Una Trabant sta-tion-wagon turchina mi “sfrec-cia” davanti.

Il Pergamonmuseum è un edifi-cio costruito fra il 1912 ed il1930 con forme classiche, i suoivolumi di pietra annerita emer-gono dalle acque color acciaiodella Sprea. Sullo sfondo, altoda terra e sull’acqua, passa ilviadotto della S - Bahn. Un tre-no – rosso – si ferma e poi ri-parte. Nero, Rosso, Acciaio.

Ritrovo poi questi stessi coloriin una piccola stampa di Mae-stro Hokusai, alla sezione diarte giapponese al Museo diDahlem, fuori città. Il disegnorappresenta una scatola dicarta – appena dischiusa, conil coperchio che si scosta di la-to e lascia intravedere qualco-sa che sta all’interno. Accantoc’è un cartiglio e un “oggetto”che stento a riconoscere mache potrebbe essere un pen-nello da calligrafia. L’immagi-ne è fatta di sapienti dissim-metrie, le campiture di coloresono perfette e sottolineanopiani che si accostano obliquicome in una architettura de-costruttivista.

Verso il Kreutzberg, dove laderiva dei pezzi di città accele-ra e prende rotte che sono dicollisione. Molte fabbrichepiccole e grandi, nere. Una gi-gantesca macchina argentea,bella anche di notte, deve esse-re una centrale elettrica. Allu-minio in lamiere perfettamentepartite. Non ci sono aperture oaggetti: tutto è liscio e basta asé stesso, muto e barbarico.

15 - 17 aprile 1998

I disegni sono di Stefano Tessadori esono tratti dal suo Taccuino di viaggio.

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SCONOSCIUTIMA BELLI

Prima, molto tempo prima degliscrittori, dei libri, delle bibliote-che e dei premi letterari, anda-vano a spasso per il mondo lestorie; allora, come adesso, arri-vavano da ogni parte, sospinteda una brezza gentile o da ventiimpetuosi, storie allegre e tristi,dolci e inquietanti ma semprebelle e… sconosciute.

I buoni narratori hanno raccon-tato molte storie, molte ne haraccontate il vento ed altre sonostate scritte dall’acqua sui massidelle montagne nei lunghi au-tunni piovosi. Il vento dimenti-ca presto le sue storie, i ruscelliin un solo inverno lisciano lepietre, e gli antichi libri restanoabbandonati nelle biblioteche:l’inchiostro svanisce, le pagineingialliscono e cadono in polve-re, i tarli e i topi rodono la per-gamena ed il cuoio dorato. Male vecchie storie non possonosvanire. Esse abitano nei libri ehanno l’udito molto fino: appe-na sentono avvicinarsi il ronziodel primo tarlo, si mettono al-l’erta, e quando le pagine sonocosì róse da non essere più leg-gibili, fuggono via, lontano. Un libro che non può essere let-to è per loro come una casa conla porta sbarrata, e le vecchiestorie vogliono invece restarsempre libere, vagare di terra interra quant’è grande il mondo. Dove possono rifugiarsi, se nonhanno più casa? Solo là donde sono venute, nelcuore dei poeti. (Da La casa in-cantata di Furio Jesi)

Le storie, oggi, non abitano luo-ghi a loro abituali, piazze, oste-

rie, stalle, cortili, ora vengonoraccontate nelle scuole, nelle bi-blioteche, nelle librerie e dove siavverte ancora il piacere sottiledella parola e, soprattutto, dovec’è chi ancora ha cuore perascoltare. Tante troppe storie, omeglio parvenze di storie, riem-piono le nostre giornate, ci arri-vano anonime e indistinte, dalloschermo di un computer o ron-zanti e fastidiose dalle mille tele-visioni proponendoci messaggi

ora ripetitivi ora preconfeziona-ti, ora dolciastri ora raccapric-cianti, sempre privi di una vocevera e viva, di pause complici, disguardi d’intesa, di parole capa-ci di regalare emozioni e suscita-re curiosità.

C’era una volta, nel paese diAlifbay, una città triste, la piùtriste delle città, così disastrosa-mente triste che aveva persinodimenticato il proprio nome.Sorgeva su un lugubre mare pie-no di pesci tetri, talmente sgra-devoli al palato che la gente rut-tava malinconia persino quandoil cielo era azzurro. Nella zona nord della città tristec’erano enormi stabilimenti neiquali (così mi hanno racconta-to) si fabbricava tristezza, la siimpacchettava e la si spediva intutto il mondo, che pareva nonaverne mai a sufficienza. Fumonero si riversava dalle ciminieredelle fabbriche di tristezza e in-combeva sulla città come unabrutta notizia. E nel cuore della città, oltre unvecchio quartiere di edifici inrovina che sembravano cuori in-franti, viveva un allegro giova-notto di nome Harun, figliounico del raccontastorie RashidKhalifa, famoso per la suagaiezza in tutta quell’infelicemetropoli che con un flusso in-cessante di storie assurde, storiesemplici e storie ingarbugliate,si era guadagnato non un so-prannome solo, ma due. Per gliammiratori era Rashid l’Ocea-no delle Idee, colmo di storie di-vertenti come il mare era pienodi pesci tetri; e per i rivali invi-diosi era lo Scià del Bla-bla. Per

Incipit

Alfredo Stoppa

Acquarello di Lisbeth Zwerger

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sconosciuti ma belli

sua moglie Soraya fu per moltianni il marito più affettuoso chesi potesse desiderare, e in queglianni Harun crebbe in una casadove anziché sofferenze e oc-chiatacce aveva la pronta risatadi suo padre e la dolce voce disua madre levata nel canto. Poi qualcosa andò storto. (Forsefu la tristezza della città che finìper infiltrarsi dalle finestre).(Da Harun e il mar delle storiedi Salman Rushdie)

Eh sì, le storie, quelle “belle”,quelle che viaggiano per maree per terra, quelle che vengo-no da lontano e quelle che, inpunta di piedi, seguono la no-stra ombra sono sempre pron-te a sfiorarci la mente, ridendodi noi e con noi, facendociversare lacrime che ci lavano ilcuore, regalandoci sogni daregalare…

Se proprio però ci si trovasse inimbarazzo e di fronte al granmare delle storie non si sapessedove pescare quella giusta, be’,non è il caso di disperare. C’èinfatti chi assicura che fin dai

tempi antichi (quando gli orchierano ancora dei nani e di bam-bini, in giro, ce n’erano pochi)ogni tanto una storia non anco-ra raccontata, arcistufa della suavita tranquilla in cima al molteGepo, dove crescono le noci dicocco e non ci sono coccodrilli,partiva in cerca di guai per il va-sto mondo. Si perdeva per lestrade delle città. Si mescolavaalla gente nelle osterie e neicampi di battaglia.Entrava in questa e quella casa,così, per voglia di gioco o persemplice curiosità.Poi, con i piedi stanchi e la zuc-ca piena di avventure, si appic-cicava a un tizio che le riuscivasimpatico, magari per il mododi fare domande, di bere un bic-chiere di vino o di camminare,e non lo lasciava in pace, cioènon lo faceva più dormire e sta-re allegro finché non si sentivaben raccontata, dalla prima al-l’ultima sillaba. Le storie han-no sempre fatto così: sono sem-pre state loro a scegliere da chifarsi raccontare. (Da NonnaVudù e la congiura delle zie diAndrea Molesini)

E poi c’è chi dice che le storiesanno anche curare; non guari-scono i mali del corpo o dell’a-nima ma, di sicuro, curano l’in-sensatezza della malattia, aiuta-no a vincere il senso di disgrega-zione, di isolamento e di fragilitàche la malattia, sospinta da unabrezza gentile o da venti impe-tuosi, ha in sé, ricordandoci checiò che è bello e sconosciutopuò spezzare la solitudine.

In Cina, tanti anni fa, viveva unvecchietto. Molti lo considera-vano l’uomo più saggio del pae-se, altri pensavano che fosse unpo’ folle. Tutte le sere usciva nelsuo giardino e con gran cura nedelimitava il perimetro spargen-do briciole di pane. Un vicino dicasa, incuriosito da questa prati-ca, gliene chiese la ragione. «Lofaccio per tenere lontano le ti-gri» rispose il vecchietto. Stupe-fatto, il vicino gli fece osservareche in quella parte del paesenon c’erano tigri, che non sen’erano viste da anni e anni. Alche il vecchietto, imperturbabi-le, replicò: «Per l’appunto…».(Fonte ignota)

Il Pordenone, Affreschi, Villanova di Pordenone, Parrocchiale.

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EVENTI

Hicetnunc è una Rassegna di ar-te contemporanea che quest'an-no è giunta alla settima edizioneed è l'unica iniziativa organica especifica esistente in Friuli. Ilprogetto Hicetnunc trova la suaorigine proprio dalla constata-zione che nella nostra Regionenon esisteva una iniziativa siste-matica che desse spazio alleesperienze più attuali della vi-sualità contemporanea, ovvero a quelle non an-cora storicizzate. Il progetto è nato nel 1992 dauna proposta elaborata da Angelo Bertani, cri-tico d'arte, e Angelo Battel, operatore culturaledel Comune di San Vito al Tagliamento, propo-sta fatta propria dall'Amministrazione comuna-le che ha messo a disposizione, in un primotempo, gli spazi della medioevale Torre Scara-muccia e poi anche quelli di altri edifici antichio storici. Man mano la Rassegna ha coinvolto iComuni e le Pro Loco di Cordovado, Sesto alReghena e Valvasone e si è articolata in nume-rosi spazi espositivi.Hicetnunc è divenuta così una delle poche ras-segne in Italia che realizza la ricognizione si-gnificativa dell'attualità inserendola all'internodi una meditata valorizzazione degli splendidicentri storici coinvolti, perseguendo con faticae con convinzione una corretta politica cultura-le mirata a far ri-vivere le testimonianze del pas-sato, della tradizione, nell'incontro con la no-stra epoca, in uno scambio reciproco e vivifi-cante di messaggi e suggestioni culturali.

La Rassegna è divenuta oramaiuna ricognizione sistematica delmondo dell'arte del nostro tem-po, riesce a dar conto della evo-luzione contemporanea dei lin-guaggi artistici ed estetici (pittu-ra, scultura, architettura, ma an-che fotografia, video arte, desi-gn, installazioni, performances,ecc.), considerati nelle loro reci-proche influenze, nelle loro fer-

tili sovrapposizioni, nei loro intrecci, nelle lorocontaminazioni, qui e ora.L'iniziativa nel suo insieme serba la memoriadel messaggio rivolto da Pier Paolo Pasolini ne“La poesia della tradizione” – in Trasumanar eorganizzar, e richiamata nell’intervista di Ange-lo Battel – alla nostra classe dirigente:«Cosa succederà domani, se tale classe dirigen-te / […] / non conobbero la poesia della tradi-zione / […] / vi troverete vecchi senza l'amoreper i libri e la vita: / perfetti abitanti di quelmondo rinnovato / […] / né lacrime aveste perun'ottava del Cinquecento, / […] / non cono-sceste o non riconoscete i tabernacoli degli an-tenati /[…] / parlando il linguaggio della de-mocrazia burocratica / non uscendo mai dallaripetizione delle formule /[…] / e perché com-piste questo tradimento? / […] /».

La nostra "nuova" classe dirigente e gli im-prenditori raccoglieranno il messaggio? Quan-to e come investiranno in Cultura? La rispostaai lettori.

Hicetnunc

M.a.r.c.

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Giovanna Zorzenon, Installazione nel Parco Rota. Mimi Farina, Semi. Da Il Bosco Sacro.

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Da sette anni viene organizzatain provincia di Pordenone Hi-cetnunc, una rassegna d’artecontemporanea che si batte con-tro il principio d’autorità. Ovve-ro contro il pre-giudizio checonsidera Arte solo quella legit-timata dall’autorità del gustodiffuso (pre-giudizio quantitati-vo); contro il pre-concetto checonsidera Arte solo quella rico-nosciuta tale dall’autorità dellastoria e della letteratura critica(pre-concetto storicistico); con-tro la presunzione del «non èArte se non la capisco io, se nonla capisce la gente» (delirio ego-populistico: contagiosissimo!).Hicetnunc crede invece nella ne-cessità culturale e civile di esserefinalmente attenti al “qui e ora”(hic et nunc, appunto), alla cul-tura della contemporaneità, ainuovi linguaggi che la visualitàdei nostri giorni viene elaboran-do. La rassegna intende perse-guire questi obiettivi senza far ri-corso a schemi, classificazioni,generi, steccati e gerarchie. Lametodologia critica utilizzata èquella di tipo sperimentale cheprevede la realizzazione di mo-stre-laboratorio per le quali leopere, in larga parte, vengonocreate appositamente, cioè inrapporto ad un certo spazio, aduna certa problematica, ad uncerto ambito culturale, e di pro-posito sono sottoposte alla veri-fica contestuale della loro “tenu-ta” artistica ed estetica.Ma tutto ciò, a diversi livelli, ge-nera sconcerto, imbarazzo e in-sofferenza, in quanto gli indiriz-zi di politica culturale da noi an-cora prevalenti non amano darspazio ad esperienze che non

garantiscano immediato, sicuroe generale consenso. Prevaledunque ancora il principio diautorità in base al quale si so-stiene veramente (ovvero con-cretamente e non solo a parole)ciò che ha dato prova di esserestato universalmente accettato,suffragato, assimilato, digerito:e in tale processo il lavoro criti-co dovrebbe limitarsi a creare edispensare l’aura, creare e di-spensare la necessaria autorevo-lezza, in poche parole il consen-so; con buona pace della vec-chia e ingenua concezione dellacritica come attività di ricerca.La settima edizione di Hicet-nunc (18 aprile - 10 maggio) difatto ha avuto un buon successodi pubblico e ha destato notevo-le interesse da parte di coloroche sanno essere attenti alla cul-tura contemporanea: da piùparti ormai le si riconosce un ri-levante valore artistico e un ruo-lo culturale che supera ampia-mente l’ambito regionale. Moltisi attenderebbero allora un ulte-riore salto di qualità, che per-mettesse alla rassegna di orga-nizzare iniziative di respiro an-

cora più ampio e qualificato.Ma il problema, oltre che inve-stire il livello organizzativo, fini-sce per concernere soprattutto,ancora una volta, il livello dellescelte di politica culturale.I progressivi tagli di bilancio neisettori “non produttivi” nonpermettono certo di essere mol-to ottimisti riguardo al sostegnodi iniziative artistiche di punta.Per di più si deve constatare chein campo culturale la politica(dimensione dell’agire che, persua natura, dovrebbe implicarescelte, indirizzi e sviluppo diprogetti) nella migliore delleipotesi appare ancora appiattitasulla gestione del passato e inve-ce di produrre e promuovereeventi tende a governare l’esi-stente in regime di minimo ri-schio d’immagine.Tuttavia la prospettiva dell’inte-grazione europea (che non reg-gerà dal punto di vista economi-co se non significherà ancheunità d’intenti in campo politi-co e culturale) finirà inevitabil-mente per fare uscire allo sco-perto i ritardi, le incongruenze,gli anacronismi propri di quellemiopi rendite di posizione chedi fatto nel nostro paese rallen-tano (e talora impediscono inmodo premeditato) ogni realeaggiornamento sulle espressioniartistiche del nostro tempo. Inun prossimo futuro dovremmoforse chiedere agli altri partnereuropei un po’ di comprensionee una deroga anche sul pianoculturale? O diventeremo unaspecie di disneyland del pittore-sco storico per le masse semprepiù frastornate del turismo in-ternazionale?

eventi

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Attenzione al presenteo gestione del passato?

Angelo Bertani

Disegno di Fulvia Spizzo

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eventi

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Abbiamo inseguito Angelo Bat-tel – operatore culturale, appas-sionato e competente, del Co-mune di San Vito al Tagliamen-to, animatore di numerose ini-ziative culturali e organizzatoredella settima Rassegna d’artecontemporanea Hicetnunc –per vari giorni, ma alla fine sia-mo riusciti a porgli almeno tredomande sull’iniziativa.

Qual è il significato generaledella Rassegna Hicetnunc perSan Vito e i Comuni interessati?■ I quattro centri storici cheospitano l’iniziativa custodi-scono una cospicua presenzadi testimonianze storiche e ar-tistiche sconosciute ad un va-sto pubblico, ma straordinarieper abbondanza e qualità. Ba-sti pensare ai cicli pittorici diSesto al Reghena o dell’Amal-teo a San Vito, ai borghi me-dioevali di Cordovado e Valva-sone, e ad una vivacità nelcampo artistico e figurativo –che arriva fino agli anni Ses-santa – presente in questo se-colo con l’attività di artisti qua-li Tramontin, Zuccheri, Vario-la, Michieli, Culos e De Rocco.C’era il desiderio di affrontarela questione delle arti figurativepartendo da un patrimonio ac-quisito, purtroppo quasi musei-ficato e bloccato, per misurarsicon un presente fatto di unaesteticità diffusa, di trasforma-zione del paesaggio, di stili divita e di modificazioni subite.Mi ritornano in mente gli inter-rogativi posti da Pasolini in “Lapoesia della tradizione”, in Tra-sumanar e organizzar, interroga-tivi la cui risposta presuppone,

prima di tutto, una consapevo-lezza sulla contemporaneità esulle sue contraddizioni dal fu-turo incerto, e poi la capacità diporre tale consapevolezza inrapporto con la tradizione, conil passato carico di arte e di sto-ria, ma, per così dire, sbloccan-dola e vivificandola.

Come si è articolata la Rassegnae come sono stati coinvolti i vi-sitatori?■ L’operazione ha un obiettivodi ricognizione e di proposta, ecome proposta vuole suscitaredomande, un atteggiamento in-terrogativo, attivare uno scam-bio fra gli artisti e le loro opere,e il pubblico. Con la settimaedizione sono intervenuti, espo-nendo le loro opere, oltre due-cento artisti, per cui il 1998 èstato un incontro vasto tra gliartisti stessi, un incontro fattodi scambi di idee, esperienze,amicizie e di convivialità. Un’ul-teriore fascia di pubblico sono

gli operatori culturali, i critici, igiornalisti, e gli addetti ai lavori,un pubblico attento, per loro èuna occasione per verificare sulcampo quello che succede inquesto Nord-Est. Non è unamostra confezionata, ma unpellegrinaggio fra icone. A que-sto pellegrinaggio altri si uni-scono: miscredenti, pigri, curio-si, uno spaccato diversificatoche manifesta reazioni diverse.Si passa dalla insofferenza, al-l’entusiasmo, all’interrogazione– questo atteggiamento fa partedelle motivazioni da cui traeorigine questa Rassegna, è pro-prio con il pubblico che si poneinterrogativi che si entra in unaconsonanza maggiore, lo si rie-sce a coinvolgere.

Dalla Luna abbiamo notato unaffaccendarsi “incredibile” di te-levisioni pubbliche e private at-torno alla Rassegna… e anchela stampa…■ Dalla Luna mi auguro che sisia visto anche la mole di lavo-ro, c’è stato molto pubblico,più degli anni precedenti, c’èstata abbastanza attenzione:tra i primi gli Sponsor, l’atten-zione concreta della Provinciae della Regione, un po’ distrat-ti forse i mezzi di comunicazio-ne. Basta una “pandetta” o unasagra per apparire, più difficileè far discutere, interrogarsi.Sembra di avvertire nei mezzidi comunicazione una pauranel futuro, meglio la sicurezzadel passato presentato in tuttele varianti ed angolazioni pos-sibili con l’idea un po’ camera-tesca e da “nonnismo” che co-munque “l’anzianità fa grado”.

Pellegrinaggio fra iconeIntervista a Angelo Battel

a cura di Augusto Casasola e Mario Rigoni

Alessandra Ghirardelli, Animal, n. 18

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NOTESTONATE

Alla discoteca «Rototom», 17

aprile 1998, operatori e pa-zienti del Centro Diurno diPordenone, accompagnati daPaolo Michelutti (formatoreper le attività musicali), hannoincontrato la cantante Elisa.Scoperta da Caterina Caselli,con il suo primo disco Pipes &Flowers (casa discografica Su-gar) prodotto da Corrado Ru-stici (lo stesso di Witney Hou-ston), ha subito raggiunto ilsuccesso: 260.000 le copievendute. Questa estate, la gio-vane star di Monfalcone sarà intournée in Europa come sup-porto a Eros Ramazzotti.

Querina: Le sue canzoni sonoin inglese. In futuro canterà an-che in italiano oppure no?Elisa: Per ora canto esclusiva-mente in inglese, però non si samai… forse un giorno canteròin italiano… oppure non can-terò proprio.

Querina: Che cosa significa«non canterò più»?Elisa: No, non è che non canteròpiù. Non canto dicendo dellecose, ma soltanto col cuore.

Massimo: Quali sono i tuoi can-tautori preferiti? Ad esempio, tipiace Fabrizio De Andrè? E i Rol-ling Stones?Elisa: Sì, molto. E a te piaccio-no?Massimo: Sì.Elisa: Sono meravigliosi!

Carmen: Sei contenta del suc-cesso? Che effetto fa?

Elisa: Io credo che il successo

venga proprio dalla parola suc-cesso… ti succede, ti capita.Può accadere, oppure può nonaccadere. È un po’ come lapioggia: può venire oppurepuò non venire. E comunquenon si sa quando… Io mi con-

sidero fuori dal successo. Iosono un sasso: se piove mi ba-gno, se non piove non mi ba-gno… Però io esisto! Così co-me sono!

Paolo: Noi abbiamo analizzatoi tuoi testi. Parli spesso di storied’amore. Quanto è importantel’amore per te?Elisa: Sì, è vero. Per me l’amo-re è fondamentale. Però i mieitesti sono aperti, nel senso cheognuno può vederli come vuo-le. Non credo che ci sia soltan-to l’amore di per se stesso, in-teso come sentimento versoun’altra persona. Credo inveceche esso sia espresso in variedirezioni.

Paolo: Una curiosità, vorrem-mo sapere, Mister Want cheadesso non c’è più, chi è?Elisa: Mister Want è l’erba vo-glio.

Massimo: Tu credi in Dio?Elisa: Si, certo!

Caterina: Per comporre i testisu che basi ti ispiri?Elisa: A un po’ di tutto, la vi-ta… tutto quello che c’è.

Paolo: Giulio hai qualche cosada chiedere? Hai sentito?Dal gruppo Giulio risponde:Ho sentito, ho seguito, ho unmal di schiena bestiale.

Elisa: Mi chiamano per la pro-ve, grazie a tutti, ciao.

La trascrizione dell’intervista è statacurata da Fernando Del Casale e Lu-ciano Ettari.

Intervistaa Elisa

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INIZIATIVE

Le serate della salutementaleTre incontri serali rivolti al pubbli-co con lo scopo di approfondire al-cune tematiche riguardo la salutementale, i suoi contesti, lo sfondoculturale. Ogni incontro prevede lapresenza di tre relatori (un clinico,un filosofo e/o moralista, un artistao altri rappresentanti culturali).

15 ottobre ’98 — Il suicidioFenomeno sociale o scelta indivi-duale. Tra clinica, filosofia e morale.

22 ottobre ’98 — La somatizza-zione psico fisicaLe risposte malate del corpo e dellamente ad una realtà non accettata.Una “difesa” che diventa auto ag-gredente.

12 novembre ’98 — L’arte delguarireL’ascolto come terapia nella medi-cina tradizionale, alternativa, nel-l’auto aiuto.

Pordenone: Sala Ridotto del Tea-tro Verdi – ore 20.30

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La salute mentale e la città Incontri aperti a tuttiper il piacere di conoscere

Gli incontri sono aperti al pubbli-co cittadino per un confronto-di-battito sui temi della salute menta-le, sui fattori di protezione e curadel benessere della mente in riferi-mento ai contesti cittadini, le ri-sorse socio-ambientali e culturalidella città. Ogni incontro prevedela presenza di un operatore dellasalute mentale e un professionistao artista locale o una persona dicultura che presentano a due voci

il tema scelto. Dopo una relazioneintroduttiva è prevista una discus-sione aperta con il pubblico.

29 settembre ’98 — La malattiadell’anima tra psiche e coscienzaIl cuore ha delle ragioni che la ra-gione non conosce. Curare l’anima,curare la mente.Francesco Stoppa, psicologo DSM Luciano Padovese, teologo

27 ottobre ’98 — L’ansia del viveree il vivere in ansiaL’accelerazione del tempo nel vissutod’oggi e le prospettive esistenziali. Itranquillanti dell’anima come nonrisposta all’inquietudine del vivere.Mauro Asquini, psichiatra DSMMauro Corona, artista

24 novembre ’98 — La “depressio-ne” male “oscuro” di fine millennioVerso una ecologia della mente edel pensiero positivo come nuovaricerca di senso.Angelo Cassin, psichiatra resp.DSM – Pier Aldo Rovatti, filosofo

15 dicembre ’98 — Psicoterapia:arte, tecnica, filosofiaL’arte dell’ascolto che diventa terapia.Nicola Salerno, psicologo DSM Mauro Covacich, scrittore

Ogni ultimo martedì del mese dal-le ore 17.30 alle 19.00 presso laCasa dello Studente, via Concor-dia Sagittaria – Pordenone. Telefo-no 0434 550199 – 550474 – 550734

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Incontri sulla salutementaleIncontri di formazioneper i Familiari

19 settembre ’98Mattino 9.30/12.00 - Gli psicofar-maci delle psicosi: successi e limi-ti. Cosa deve sapere un familiare.Angelo Cassin, responsabile DSM

Pomeriggio 14.30/17.00 - Convi-vere con l’ammalato psichico:un’arte e una faticaLorenza Ulian, psicologa DSM

3 ottobre ’98Mattino 9.30/12.00 - Cosa voglio-no i familiari dai ServiziErnesto Muggia, pres. UNASAM.

Pomeriggio 14.30/17.00 - L’automutuo aiuto per i familiari: unaopportunitàSandra Conte, ref. URP/DSM

Sede del Corso:Parco San Floriano – Polcenigo.Gli incontri sono aperti a tutti i fa-miliari. Va segnalata la propriapartecipazione all’Ufficio Relazio-ni con il pubblico:Informazioni: DSM via Interna, 533170 Pordenone. Telefono 0434

550199 – 550474 – 550734

La salute mentalein rete

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Franco Basaglia.La comunità possibilePrimo Convegnoper la Salute Mentale

Trieste: Stazione MarittimaDal 20 al 24 ottobre ’98

Troppo a lungo la deistituzionaliz-zazione dei manicomi non si è ac-compagnata con la deistituziona-lizzazione della psichiatria; nonc’è riabilitazione senza la riabilita-zione della psichiatria, senza lacritica dei suoi fondamenti. Suquesta affermazione concordanole esperienze storiche nate all’in-terno e all’esterno del manicomio,in paesi ricchi e in paesi poveri ditutto il mondo. Perché questo sisviluppi occorre che la forza deimovimenti sociali e di opinione, ilprotagonismo dei pazienti e unlungo percorso autocritico dellecorporazioni professionali. A 20

anni dalla approvazione della leg-ge 180, operatori, utenti, cittadini,amministratori, uomini di culturasi riuniscono a Trieste per discute-re del futuro della salute mentale.

Articolazione dei lavori e percorsi:— I rapporti fra cittadinanza efollia: la comunità visibile.— I fondamenti: il pensiero diFranco Basaglia.— Fin du siècle e la fine del seco-lo dei manicomi.— Le esperienze e le testimonian-ze sulla persistenza dei manicomi.— Le raccomandazioni ai governie alle comunità locali: utopia dellarealtà.— Le politiche di cooperazione esviluppo sulla salute mentale.— Neuroscienze e individualità.

— Saperi contemporanei e ricerca.— Formazione e valutazione.— Legislazione, norme, codici, re-golamenti.— Psichiatria e diritto penale e ci-vile.— Le politiche sociali.— I costi della salute mentale.

Sono inoltre previste una serie diiniziative culturali ed artistiche:— Pubblicazione di una serie diracconti di scrittori – Mauro Co-vacich, Roberto Walser, LucioKlobas, Giuseppe O. Longo e al-tri – che verranno raccolti nel li-bro Trieste e un manicomio, Lint,Trieste, 1998.

— Allestimento di una mostra fo-tografica che illustrerà il percorsodella psichiatria a Trieste – tra gliautori che hanno aderito all’inizia-tiva e che metteranno a disposi-zione il loro archivio ricordiamo:Gianni Berengo Gardin, CarlaCerati, Toni Thorinbert, UlianoLucas, Lars Epstein, Paola Mat-tioli, Gian Rutturini e RaffaeleVenturini.— Produzione di un video sui Ser-vizi di salute Mentale di Trieste.— Concerti e teatro. Hanno dato laloro disponibilità: Paolo Rossi, Lel-la Costa, Gino Paoli, Francesco DeGregori, Alessandro Bergonzoni,Moni Ovadia e gli Africa Unite. Ilpianista triestino Massimo Gonterrà un concerto dedicato a FrancoBasaglia.

Segreteria scientifica: GiuseppeDell’Acqua, Franco RotelliSegreteria Organizzativa: CarmeRoll, via Weiss, 5 – 34126 Trieste Tel. 040 399353 Fax 040 - 3997363

E-mail [email protected]

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Folkest ’98 Nelle sue edizioni Folkest ha la-sciato il segno, sia sotto il profiloartistico che sotto il profilo orga-nizzativo. Le scelte artistiche senzacompromessi hanno da anni quali-ficato Folkest in tutta Europa.

Folkest a UdineL’intervento della FondazioneMoretti e la collaborazione con

l’Assessorato alla Cultura confer-ma la presenza degli appuntamen-ti di Folkest a Udine. È una gran-de festa:— con Latin Crossings (SteveWinwood, Tito Puente e ArturoSandoval). Domenica 5 luglio inPiazza San Giacomo;— una particolare rivisitazione insenso classico della tradizione po-polare celtica con Folk & NobleJigs, grazie al felice connubio tra ilFolk Studio A e l’orchestra da ca-mera Esterhazy. Venerdì 10 luglioin Piazza San Giacomo;— L’altra Africa, non quella dancedi moda che troppo spesso ci vie-ne propinata, ma quella dei mene-strelli azmari Mahlet e dei malga-sci Tarika. Lunedì 6 luglio in Piaz-za San Giacomo;— per finire, la grande personalitàdi Fiorella Mannoia. Giovedì 16

luglio in Piazza San Giacomo.

Folkest a PordenonePer la prima volta Folkest, grazieall’Assessorato alla Cultura delComune di Pordenone, giungenel capoluogo della Destra Taglia-mento, con una serie di spettacoliche coniugano la musica friulanacon le tradizioni dell’Irlanda edella Scozia in spazi urbani chevanno dal Centro storico al parcoGalvani.— Kay Mc Carty in Parco Galva-ni. Lunedì 13 luglio.— Braul in Piazza San Marco.Martedì 14 luglio.— The Tannahail Weavers in Par-co Galvani. Lunedì 20 luglio.

Folkest a SpilimbergoLa cittadina di Spilimbergo si è di-mostrata un contenitore ottimaleper Folkest, grazie alla splendidacornice offerta per gli spettacoliserali, ma anche per le iniziativelungo corso Roma, con il teatro distrada, gioia di grandi e piccini, lamostra del vinile e quella deglistrumenti musicali. Quattro giornimolto intensi, che vivranno il loromomento clou nella produzionespeciale del festival. Sulle orme deiPatriarchi: la musica del composi-tore cinquecentesco friulano Gior-gio Mainero, con la partecipazionedi Angelo Branduardi.— Piazza del Duomo, Allan &Barnaby Taylor (Inghilterra),

iniziative

Franco Basaglia (1924 - 1980).

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CPR con David Crosby, Jeff Pe-var, James Raymond (USA). Gio-vedì 23 luglio.— Piazza del Duomo, Ian Bruce(Scozia), Amazing Blondel (In-ghilterra), Dervisch (Irlanda). Ve-nerdì 24 luglio.— Piazza del Duomo, GruppoVal Resia (Friuli), Gruppo Val diBora (Istria), Sulle orme dei Pa-triarchi: produzione speciale delfestival sulla musica del composi-tore cinquecentesco friulanoGiorgio Mainero, con la parteci-pazione di Angelo Branduardi.Sabato 25 luglio.— Piazza del Duomo, Plommon(Svezia), Fabrizio De André (Ita-lia). Domenica 26 luglio.

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Avostanis ’98

Dal 28 luglio al 7 settembreAgriturismo ColonosVillacaccia di Lestizza (Udine)Telefono 0432 764912

Cinise e tocs di veriProgetto di musica e poesia, a curadi Renato Rinaldo e Elio De Capi-tani, su testi poetici in friulano diMauro Valoppi e Pier Paolo Paso-lini, in collaborazione con il Teatrodell’Elfo - prima rappresentazione.Martedì 28 luglio - ore 21.30

La GigiaPoemetto di Renato Pascutto, in-terpretato da Sandro Buzzati, conmusiche originali di Stefano M.Ricatti - prima rappresentazione.Giovedì 30 luglio - ore 21.30

Ogni patrieImmagini sospese di FrancescoMessina.Sabato 1 agosto - ore 22.00

«Tri musike» in concertoAlcuni componenti della TheaterOrchestra di Moni Ovadia e mu-sicisti di diverse culture propon-gono un viaggio fra le tradizionimusicali slave, greche, arabe, tur-che e rom.Lunedì 3 agosto - ore 21.30

Gust (Data provvisoria)

Testo teatrale di Herbert Achtern-busch, prodotto in friulano nel1995 dal Teatro Stabile di Parma,mise in space con l’interpretazionedi Franco Castellano.Mercoledì 5 agosto - ore 21.30

«Fur clap» in fiesteSerata di festa e jam session per i10 anni del vivace e significativogruppo di musica friulana.Giovedì 6 agosto - ore 21.00

Pax bosnensisIl dramma della ex Iugoslavia nel-la rappresentazione scenica deigiovani attori del Mostarskj Thea-tar Mladih di Mostar - prima rap-presentazione.Lunedì, martedì, mercoledì, 10-

11-12 agosto - ore 21.30

Le scarpe prendono piede e il«Canto del cigno» di A. CechovTeatro Incerto, di e con FabianoFantini, Claudio Moretti, ElvioScruzzi - ultima rappresentazione.Venerdì 14 agosto - ore 21.00

Interno KApertura della mostra fotograficasul Kurdistan, immagini di DaniloDe Marco, elaborazioni sonore diGiorgio Bertone su canti curdi.Sabato 15 agosto - ore 20.00

RingAtto unico multimediale di PaoloPatui su testi di Eusebio Stella, acura del Teatrino del Rifo, con laregia di Giorgio Del Monte - pri-ma rappresentazione.Lunedì 17 agosto - ore 21.00

Va sul mus d’aurSpettacolo comico con testi e mu-sica del Teatro Ingenuo e i Zuf dezur - prima rappresentazione.Mercoledì 19 agosto - ore 21.00

Lepa sela lepo goreFilm del giovane regista serboSirdjan Dragjevic, con traduzionesimultanea dal serbo-croato .Lunedì 24 agosto - ore 21.00

Ibis redibis non (Titolo provvisorio)

Lettere di amore dal fronte nella

Prima guerra mondiale a cura delTeatrolaltro, con la regia di Massi-mo Furlano - Progjet Colonos -prima rappresentazione.Mercoledì, giovedì 26-27 agosto -ore 21.00

Elmer, el elefanteSpettacolo di burattini con «e tea-tro de la luna» di Madrid.Domenica 30 agosto - ore 17.00

Serata di poesiaCon Ida Vallerugo e Federico Ta-van, musica con i Braul.Lunedì 31 agosto - ore 20.30

SchifoMonologo di Robert Schneiderdiretto e interpretato da GiorgioMonte.Mercoledì 2 settembre - ore 20.30

Diari dal KurdistanSerata di testimonianza con lapartecipazione di Dino Frisullo edi Danilo De Marco, strisce di econ Vauro.Venerdì 4 settembre - ore 20.30

In memoria di Gilberto PresaccoPartecipano: il coro ebraicoMakelet Yashar, Shai Misan can-tore principale del tempio mag-giore di Trieste, Ennio Silvestri alpiano, direttore Marco Podda; ilcoro G. B. Candotti, il gruppo vo-cale e strumentale F. Candonio; laSchola Aquileiensis, diretta daClaudio Zinutti.Domenica 6 settembre - ore 17.00

KohlhaasCon Marco Baliani, da un raccon-to di Heinrich von Kleist.Lunedì 7 settembre - ore 20.30

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Capolavori nascostidall’ErmitagePresso il Castello di Udine fino al6 settembre 1998 si possono vede-re i capolavori nascosti della pittu-ra italiana provenienti dal MuseoErmitage di San Pietroburgo. Orario di visita: dalle ore 9.00 al-le ore 19.00 - lunedì chiuso.

iniziative

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L’OPINIONEdi

Piero Fortuna

C’è anche una moda delle paro-le, delle frasi fatte, di certi inter-calari. Per dire: non è ancoratramontata l’epoca della misurain cui, che resiste dall’immedia-to dopoguerra, mentre è stataarchiviata da tempo la topogra-fia dei problemi da situare amonte o a valle, assieme al di-lemma posto dal bambino im-merso nell’acqua sporca da but-tare, e al mistero geometricodelle convergenze parallele.Nemmeno il mitico cioè è so-pravvissuto, sebbene sia di-lagato a macchia d’olio den-tro il lessico giovanile deglianni Settanta, come l’ossessi-vo chiaramente. Altre parole,altre frasi fatte, altri interca-lari li hanno sostituiti, primadi passare nel dimenticatoioa loro volta.Perché accade questo? Cer-to, può capitare di innamo-rarsi, appunto, di una paro-la, di un concetto e di unmodo di esprimerlo; e poi dirinnegare quella scelta perfare posto al nuovo cheavanza (altra frase fatta chesta già mostrando la corda),ed evitare di cadere nell’ob-brobrio del luogo comune,tomba della conversazione fi-lologicamente corretta. In realtà, col passare dei me-si non cambiano soltanto leparole o i modi di aggregarle,ma cambia, si impoverisce, illinguaggio, incalzato da sol-lecitazioni esterne indottedai giornali, dalla televisione,dalla pubblicità compressadentro gli spot, spazi di puraessenzialità. Aggrava tuttol’affievolirsi del piacere di

leggere, soppiantato dall’esi-genza del “vedere” creata dalmedia elettronico e dallamultimedialità del computerche – come annota GiovanniSartori – non solo unifica pa-rola, suono, immagini, ma in-troduce nel visibile realtà si-mulate, virtuali.I risultati di questa permuta-zione non si faranno attende-

re, purtroppo. Col deperiredella parola verrà meno quel-l’universo simbolico che essacostituisce e che ha permessoall’uomo di incamminarsi lun-go la strada della civiltà attra-verso la comunicazione – ma-dre della cultura – spostata,dal contesto del linguaggio edei suoi significati, a quellodella rappresentazione visiva,che rovescia il rapporto tra ca-pire e vedere. Ma non tutti so-no d’accordo con questa con-

clusione. Andrea Casalegno,per esempio, la considera ad-dirittura una “bestialità”. So-stiene che viviamo la “civiltàdell’immagine” da quando esi-ste la specie. Oggi comincia-mo appena a vivere anche laciviltà della parola scritta, chepresuppone un’alfabetizzazio-ne non soltanto diffusa mapienamente fruibile dalla mag-

gioranza. La maggior partedell’umanità – sempre se-condo Casalegno – vive an-cora nella civiltà dell’imma-gine, come al tempo dellepitture rupestri, dei greci,dei romani e delle cattedra-li i cui grandi cicli a fresco oa mosaico non sarebberoche grandi fumetti ante lit-teram. L’argomento è dun-que controverso. Ma anchel’opinione di quanti la pen-sano come Casalegno è opi-nabile. La differenza tra pa-rola e immagine è netta. Laparola è un simbolo che facapire, mentre l’immagine,per essere intelligibile, deveinserirsi in idee che le dan-no un significato. E non èfacile avere delle idee ap-

prezzabili se risulta impoveritala capacità di capire assicuratadalla lettura. Non a caso, ladiffusione del sapere muovedall’invenzione dei caratterimobili, da cui ha origine il co-siddetto uomo di Gütenberg.Insomma, le civiltà progredi-scono con la scrittura, ed è al-la scrittura che l’uomo devecontinuare a rivolgersi per af-finarsi intellettualmente.

Larmessin, Abito da Stampatore.

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Saluti da Pordenone

Pordenone, Piazza del Popolo.

Pordenone, Piazza del Popolo vista dalla Luna.

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Secondo me, la città deve la propria origine all’incapacità in cui sitrova l’individuo di bastare a se stesso e al bisogno che egli provad’infinite cose.

Platone, Repubblica

Nella mappa del tuo impero, o grande Kan, devono trovare postosia la grande Fedora di pietra sia le piccole Fedore nelle sfere di ve-tro. Non perché tutte ugualmente reali, ma perché tutte solo pre-sunte. L’una racchiude ciò che è accettato come necessario ma non

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Anno 2001: Piazza del Poposaluti da pordenone

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lo è ancora; le altre ciò che è immaginato come possibile e un mi-nuto dopo non lo è più.

Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia unessere vivente ad un altro per un attimo e si disfa, poi torna a ten-dersi tra punti in movimento disegnando nuove rapide figure co-sicché a ogni secondo la città infelice contiene una città felice chenemmeno sa di esistere.

Italo Calvino, Le città invisibili

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olo con il nuovo Teatro Verdisaluti da pordenone

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Nel prossimo numero

Che cos’è una città

Per inviare contributi, riflessioni e impressioni, scrivere a:Redazione «L’Ippogrifo» c/o Studio Rigoni, via Marconi 32 – 33170 Pordenone

Telefono e fax: 0434/21559 E-mail: [email protected]

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