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IndiceAlla Lunadi Massimo Bartoli ........................................................................................................................... pag. 2

Editoriale ........................................................................................................................................ pag. 3

Diana-Luna e il mito di Atteone negli Eroici furori di Giordano Brunodi Lucia Alessio ................................................................................................................................ pag. 5

“... e la Luna bus“... e la Luna bus“... e la Luna bus“... e la Luna bus“... e la Luna bussò alla porta di Ariosto! ... Fsò alla porta di Ariosto! ... Fsò alla porta di Ariosto! ... Fsò alla porta di Ariosto! ... Fsò alla porta di Ariosto! ... Fammi entrammi entrammi entrammi entrammi entrararararare!e!e!e!e!Lui rispose di.. No!”Lui rispose di.. No!”Lui rispose di.. No!”Lui rispose di.. No!”Lui rispose di.. No!”di Margherita Bencini Va E................................................................................. pag. 8

La Luna e la Fantascienzadi Aldo Del Lungo ...........................................................................................................................pag. 10

La TLa TLa TLa TLa Terrerrerrerrerra vista dalla Lunaa vista dalla Lunaa vista dalla Lunaa vista dalla Lunaa vista dalla LunaLudovico Ariosto e il racconto della ricerca del senno di Orlandodi Elena Zaccagnini Va E ................................................................................pag. 14

Il problema dei tre corpi“the most celebrated of all dynamical problems”di Paolo Boncinelli .........................................................................................................................pag. 16

La dea lunaticaIl mito di Diana nella saletta del Parmigianino a Fontanellatodi Fabio Sottili ................................................................................................................................pag. 21

Note sulla luna, confidente prediletta di Giacomo LeopardiNote sulla luna, confidente prediletta di Giacomo LeopardiNote sulla luna, confidente prediletta di Giacomo LeopardiNote sulla luna, confidente prediletta di Giacomo LeopardiNote sulla luna, confidente prediletta di Giacomo Leopardi“Vedendo meco viaggiar la luna”di Doria Polli ...................................................................................................................................pag. 28

Come uno specchioCome uno specchioCome uno specchioCome uno specchioCome uno specchioLa Luna vista da Ludovico Ariosto: l’episodio di Astolfodi Pierluigi Niro Va E .........................................................................................pag. 31

PPPPPer una leter una leter una leter una leter una lettttttururururura di a di a di a di a di Ciaula scoprCiaula scoprCiaula scoprCiaula scoprCiaula scopre la lunae la lunae la lunae la lunae la luna di Luigi Pdi Luigi Pdi Luigi Pdi Luigi Pdi Luigi Piririririrandelloandelloandelloandelloandellodi Manuela Taddei ...........................................................................................................................pag. 33

La visione della Luna in Ludovico AriostoLa visione della Luna in Ludovico AriostoLa visione della Luna in Ludovico AriostoLa visione della Luna in Ludovico AriostoLa visione della Luna in Ludovico Ariosto di Ilaria Matteuzzi Va E ...................................................................................pag. 35

La luna in musicadi Paolo Del Lungo .........................................................................................................................pag. 37

La luna di Plutarcodi Valerio Del Nero .........................................................................................................................pag. 40

Che fai tu luna in ciel, dimmi che fai, silenziosa luna?di Cristina Negroni ..........................................................................................................................pag. 43

La luna nel mondo anticodi Silvio Biagi .................................................................................................................................. pag. 46

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Numero monografico a diffusione internaHanno collaborato a questo numero:

Liceo Scientifico Statale “Piero Gobetti”Via Roma, 75/77 - 50012 Bagno a Ripoli (Firenze)tel. 055 6510035 - fax 055 [email protected] - www.lsgobetti.it

Stampa: IT.COMM. S.r.l. - Via di Ripoli, 48-50r - Firenze -Tel. 055 680648

Questa pubblicazione è stampata interamentesu carta riciclata Cyclus Offset Polyedra.

La realizzazione grafica e l’impaginazione di questo numerosono state curate dagli studenti del Liceo Gobetti che hannopartecipato allo stage di formazione professionale.

Coordinatore dello stage: Giovanni De LorenzoAssistente tecnico: Teresa Santarelli

Lucia AlessioSilvio BiagiPaolo BoncinelliAldo Del LungoPaolo Del LungoValerio Del NeroCristina NegroniDoria PolliFabio SottiliGli studenti che con il loro impegno e la lorocreatività hanno realizzato questo numero:

Susi Mannozzi 4a EGuia Martinelli 4a EElena Massaro 5a EAlessia Miccinesi 4a DPierluigi Niro 5a E

AAAAALLLLLLLLLLA LA LA LA LA LUNUNUNUNUNAAAAAdi Massimo Bartoli

Che sai tu luna in ciel dimmi, e che fai,quando nascondi il manto da vestale?Forse che paga un po’ dei nostri guai,ti vuoi scordare d’essere immortale?Pensa piuttosto ai giri che faraiseguendo la tua solita orbitaleperenne intorno come un’odissea,a smuovere le menti e la marea.

Sei in fondo una bambina che si affacciapian piano silenziosa sopra il mondo.E sempre quando tendi le tue bracciarinnovi il tuo sospiro più profondo.Ma quanto più vicina è la tua faccia,io luna se ti guardo mi confondo.Per questo tu non stringi le mie mani,e piano piano allora ti allontani.

Che sai tu luna, di’: questo è l’amore?Satellite perenne d’un pianeta?Davvero fai la vita del pastore,felice nello spazio senza meta.Nascondi l’altra faccia d’ogni cuoretu luna, e che ai mortali sempre vietadi vivere in quell’attimo d’aurora;in ciò che non è più, e non è ancora.

in copertina: Sora Luna2010, tempera vinilica, acrilico, frammenti di cristallo esabbia di Cajo Santa Maria - Cuba, cm. 107 x 77,5per gentile concessione dell’autoreprof. Giuseppe De Bartolowww.artedebartolo.it

realizzato con il contributo di

Manuela Taddeigli studenti della 5a EMargherita BenciniIlaria MatteuzziPierluigi NiroElena Zaccagnini

e inoltre:Massimo Bartoli

Andrea Pardi 5a EGiovanni Perondi 4a EFilippo Ricciarelli 4a AArianna Vivoli 4a D

Tecnolibri Distribuzione s.r.l.Via del Pratignone, 13/4 -50019 Sesto Fiorentino (FI)Tel. 055.88.26.698Fax 055.88.25.822E-mail: [email protected]

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a rivista “il Gobetti” del 2010 è dedicata ad un tema che incuriosi-sce l’umanità fin dai tempi più antichi: la Luna. La scelta di questoargomento non è casuale: questo permette un approccio trasversa-

le, l’osservazione del problema da differenti angolature. Dopo le rivisteprecedenti, infatti, dedicate a temi generali, che hanno spesso richiestoun approccio unitario, umanistico (le problematiche legate all’età senile,la storia del liceo e la figura di Gobetti, i 60 anni della Costituzione Italia-na) o scientifico (l’ultimo numero della rivista), “il Gobetti” di quest’an-no riesce a rinnovarsi, prestandosi bene alla pluridisciplinarietà. Da Plu-tarco a Pirandello, passando per Bruno, Ariosto e Leopardi, ma ancheper il più celebrato problema della dinamica newtoniana.E poi musica, arte, poesia contribuiscono a dare un affresco non solodella Luna quale essa è fisicamente e oggettivamente, ma anche di comel’uomo ha saputo rapportarsi ad essa con i suoi diversi strumenti cultu-rali, utilizzandola come interlocutrice ideale, fonte di ispirazione, oggettodi studio o topos letterario.La scelta dell’immagine di sfondo, concessa dal sito della NASA, riassu-me in maniera efficace l’intento della nostra rivista: l’impronta di NeilArmstrong sul suolo lunare, infatti, non solo è stata il simbolo di unimportantissimo traguardo scientifico e tecnologico per l’umanità, maanche il concretizzarsi materiale di un’azione intellettuale che l’uomo, an-che se non disponeva di mezzi tecnologici, ha sempre fatto: l’astrazionementale e la volontà di formare una sua immagine della Luna, secondo leproprie idee personali. Lasciare un’impronta non sulla Luna, dunque, madella Luna: una visione globale attraverso gli occhi dell’arte, della lettera-tura, della musica, della filosofia che hanno fornito ciascuna pezzi di unpuzzle che qui ci si propone di ricostruire.L’obiettivo è cercare di dare una prospettiva unitaria che intenda farsuperare l’idea di una cultura divisa in compartimenti stagni che, nonsempre comunicando tra loro, inesorabilmente si impoveriscono impos-sibilitati a trovare vigore grazie al reciproco scambio di idee, poiché fruitoridi linguaggi differenti. Fare la storia di un “oggetto universale” è dareuna panoramica di aspetti diversi (e spesso contraddittori) della culturaconcepita come un grande e sfaccettato contributo di temi e punti divista lontani nello spazio e nel tempo, nella forma e nel contenuto, chetuttavia riaffermano unitarietà e complementarietà, espressione eviden-te della complessità del pensiero umano. ◊◊◊◊◊

Editoriale

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a luna, come satellite o comesimbolo, è protagonista nel pas-saggio dal Rinascimento all’età

moderna. Galileo Galilei, osservandocol cannocchiale le montagne lunari,giunge a rompere il paradigma scolasti-co-aristotelico che stabiliva la differenzasostanziale tra mondo celeste, perfettoed eterno, e mondo sublunare, domi-nato da corruzione e generazione. Gior-dano Bruno assume simbolicamente laluna, personificata da Diana, la formalatina della dea greca Artemide, comeriflesso naturale dell’Uno-tutto, relegan-do la possibilità di conoscere la divinitàalla sua immagine riflessa nell’ombra del-le contraddizioni, al mondo naturale.

1.Un’interpretazionedel mito di Atteone

Il mito di Atteone viene riportato daKerényi1 nella sua versione più nota,narrata anche da Callimaco e Ovidio:2Atteone, figlio di Aristeo, vagando perla foresta aveva sorpreso Artemide albagno. Per punizione la dea lo trasfor-mò, in cervo, animale a lei sacro, facen-dolo dilaniare dai suoi stessi cani. Allamadre non restò che il doloroso com-pito di raccogliere le ossa del figlio.La madre di Atteone, Autónoe, era unadelle figlie di Cadmo e di Armonia; suesorelle erano Agave, Ino e Semele; que-st’ultima, madre di Dioniso, venne in-cenerita da Zeus per avere osato guar-darlo nel suo vero aspetto.3 Euripide ci

narra nelle Baccanti un’altra tragica sto-ria, quella di Penteo, figlio di Agave: que-st’ultima, non avendo voluto crederealla divinità del nipote Dioniso, per pu-nizione fu trasformata in Menade in-sieme alle due sorelle. In preda al furorebacchico esse scelsero come preda di cac-cia il figlio di Agave. Nel corso del tre-mendo racconto Euripide insiste nel pa-rallelo tra le Menadi invasate e delle ca-gne lanciate nella caccia. Ciò induce asupporre un’analogia tra la fine di Pen-teo e quella del cugino Atteone, entram-bi dilaniati, l’uno, da donne-cani spintedalla vendetta di un dio, l’altro dai fede-li compagni che aveva portato con sénella caccia.Sia Agave che Atteone vengono puniticon l’essere ridotti allo stato “animale”,con l’essere trascinati fuori della condi-zione di comune umanità, di cui la pa-rola è segno e condizione essenziale. Lapunizione: dilaniare ciò che si ha di più

caro – il figlio per la madre – o esseredilaniati da chi si riteneva a sé fedele ealleato. Lo smembramento porta consé un riferimento a Dioniso, il dio cheper la gelosia di Era era stato fatto apezzi dai Titani. Tutto ciò induce a sup-porre che il mito di Atteone sia collega-to alla dimensione dionisiaca, adombra-ta nella parte oscura e infera di Artemide.Spesso infatti Artemide era identificatacon Ecate, dea triforme e terribile cherappresentava la parte arcaica, inquietan-te e oscura della luna. Essa appariva nel-la forma di cagna o di lupa vagante dinotte con le anime dei morti.4 Lo stes-so Dioniso, con le sue corna, si situa alconfine incerto tra umano e animale, lasua vicenda di morte e rinascita, inoltre,ne fa “il dio delle donne”, legato allefasi lunari.5 La conoscenza dionisiaca va

Diana-Lunae il mito di Atteonenegli Eroici furoridi Giordano Bruno di Lucia Alessio

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ne incenerito, comeera capitato a Semeleal cospetto di Zeus,ma con una punizio-ne conforme alla na-tura dionisiaca delladea lunare, viene resoa sua volta “fiera” esmembrato.

2. Il mito diAtteone negliEroici Furori

Il mito di Atteone èpresente nel quarto ca-pitolo della primaparte degli Eroici Fu-rori,6 e giunge a Bru-no attraverso la me-diazione delle Meta-morfosi di Ovidio e larilettura modernizza-te del Petrarca.7Bruno si appropriadei temi del petrarchi-smo ma ne stravolgei contenuti e le forme,

interpretando la vicenda di Atteone allaluce della nuova filosofia della natura,al fine di ridisegnare il rapporto uomo-conoscenza, uomo-natura, uomo-dio.Bruno considera se stesso un riforma-tore, un “vate”, una “guida” dei tempimoderni. Nelle sue opere di filosofianaturale è andato oltre Copernico, nonsolo sciogliendo la terra dalla sua im-mobile centralità, ma immaginando ununiverso infinito popolato da una infi-nità di mondi. Ha distrutto i limiti delcosmo e cancellato i punti di riferimen-to che, fino a quel momento, stabiliva-no con certezza il posto occupato dal-l’uomo nell’universo. A un cosmo cosìrinnovato doveva corrispondere unuomo nuovo, Atteone, l’eroe “furio-so”, protagonista di un’esperienza raraed eccezionale. “Rarissimi” scrive infat-ti Bruno “son gli Atteoni alli quali siadato dal destino di posser contemplarla Diana ignuda, e dovenir a tale che dal-la bella disposizione del corpo della na-

tura invaghiti in tanto [...] venano tra-sformati in cervio, per quanto non sia-no più cacciatori ma caccia.”8

Nel guidarci a comprendere la natura del“furore eroico” Bruno distingue la fi-gura del sapiente da quella del furioso.9Il sapiente “è in stato di virtude” inquanto “si tiene al mezzo, declinandoda l’uno e da l’altro contrario”, si trovadunque nella dimensione della tempe-ranza, indifferente al continuo muta-mento, alla continua “vicissitudine” del-le cose e dei sentimenti. Egli sceglie lacasa dell’essere, non del divenire, stabi-lendo una distanza emotiva tra sé e lanatura. Di contro, il “furioso” è l’uo-mo folle, che non rifiuta la contraddi-zione, vivendo “in viva morte mortavita”, sceglie di condurre la propria esi-stenza in modo estremo, “nell’eccessodelle contrarietadi” e si auto-condanna,pertanto, al “disquarto”. Fin qui Brunosembra ripercorrere il dramma della dis-soluzione dionisiaca così com’è stato in-dividuato nel mito. Tuttavia l’impetodel furioso non ha carattere irrazionale:le forze che lo spingono, rappresentatedai veltri e dai mastini che lo precedonoe guidano nella caccia, sono “intelletto”e “volontà”. L’esperienza descritta daBruno è ben lontana dalla possessionedionisiaca, è un itinerario intellettualeconsistente nello sforzo naturale che ilfilosofo compie verso la sapientia. Que-

oltre la pura comprensione intellettuale– o la precede; è una conoscenza “emo-tiva”, che coinvolge l’uomo, e il mon-do, nella loro unità, abbracciando la co-esistenza dei contrari e mettendo in lucedesideri e impulsi inconsci e distruttiviincompatibili con la dimensione dellarazionalità e della socialità umana. Se ne-gare tali impulsi comporta il rischio didivenirne vittime inconsapevoli, avvici-narsi troppo ad essi comporta il rischioopposto di venire risucchiati, disinte-grati da forze incontrollabili. In entram-bi i casi la punizione è lo “smembra-mento”, la dissoluzione della coscienzanell’indifferenziato. La colpa di Agave edi Atteone sarebbero dunque simme-triche e contrarie: Agave rifiuta di rico-noscere la sacralità dell’aspetto dionisi-aco della natura, Atteone si esponeincautamente all’effetto devastante do-vuto alla visione della dea Artemide albagno, desiderando contemplarla nellasua più intima natura. Atteone non vie-

Diana con i suoi cani,i quali dilaniano il cervo Atteone

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sto itinerario si svolge seguendo le li-nee del neoplatonismo, che Bruno assi-mila da Ficino, e percorre la via aperta daeros verso la conoscenza dell’Uno.Questo non è che il primo passo nellareinterpretazione del mito attuata negliEroici Furori. Nella versione di Ovidio,cui Bruno evidentemente si ispira, At-teone giunge per fatalità al luogo dovesi bagna Diana; Bruno invece ci raffigu-ra il suo Atteone che “alle selve i masti-ni ed i veltri slaccia”.10 Veltri e mastiniche, come abbiamo visto, rappresenta-no intelletto e volontà. La volontà, cispiega Bruno, attra-verso l’amore per laverità spinge l’intel-letto e lo precedecome lanterna attra-verso le selve, “luo-ghi inculti e solitari”,alla ricerca di “bosca-reccie fiere”, ovvero lespecie intelligibili deiconcetti ideali. L’uo-mo nuovo, il nuovoeroe, anche se in qual-che modo “scelto”dalla divinità, non èstrumento o ogget-to di una rivelazionedivina, ma è direttoprotagonista della ri-cerca. L’atteggiamen-to attivo del furiosointroduce una tra-sformazione in sen-so moderno nel rap-porto tra uomo e co-noscenza.Così muta anche il senso della meta-morfosi di Atteone in cervo. Il furoreeroico, mosso come abbiamo vistodall’eros platonico, si differenzia radical-mente dal furore volgare che riduce l’uo-mo in “bestia”.11 Atteone diviene cer-vo, animale sacro alla dea, in quanto “loamore transforma e converte nella cosaamata”.12 La trasformazione è un’as-sunzione di consapevolezza, una “ri-forma” dell’uomo che lo porta a com-prendere che, “avendola contratta insé”, non è più necessario “di cercare fuor

di sé la divinità”. Ecco come ci descriveBruno la vita del cervo Atteone, incal-zato dai suoi cani, che qui rappresenta-no i “pensieri della divinità”: corre e driz-za i novi passi; è rinovato a procederedivinamente e più leggiermente, cioècon maggior facilità e con una più effi-cace lena, a’ luoghi più folti, alli deserti,alla reggion delle cose incomprensibili;da quel ch’era un uom volgare ecommune dovien raro ed eroico, ha co-stumi e concetti rari, fa estraordinariavita.Siamo giunti al momento in cui Atteo-

ne viene raggiunto e sbranato dai cani.Nel mito, la punizione per smembra-mento è una sorta di dissoluzione dellacoscienza dovuta al peccato di hybris, dipresunzione, che induce l’uomo a con-frontarsi con il divino “senza veli”, spin-gendosi oltre i propri limiti. Il caratteredionisiaco del “disquarto”, evidente-mente presente anche in Bruno, vienedi nuovo radicalmente trasformato nelsuo significato: si tratta ora di ricom-pensa, non di punizione: “qua finiscela sua vita secondo il mondo pazzo, sen-

suale, cieco e fantastico, e comincia a vi-vere intellettualmente; vive vita de dei,pascesi d’ambrosia e inebriasi di netta-re”. La morte della materia non è an-nullamento, ma trasformazione, nigredoalchemica, preludio di rinascita sotto unanuova forma. Nei limiti concessi a unessere mortale, Atteone è trasformatoin dio ed è pronto per una vita pura-mente intellettuale.13 Interviene qui iltema neoplatonico del rapporto tramateria e anima: nell’uomo, anello in-termedio tra materia e spirito, l’animaha la funzione di mediare tra i due poli;

la parte superiore,l’intelletto, ci trae ver-so le cose superiori, isensi ci riportano ver-so il basso. L’infinitouniverso non puòessere conosciuto senon rinunciando alla“via” del senso e im-boccando la “via” del-l’intelletto.14 L’avven-tura di Atteone è l’av-ventura dell’intellet-to umano che tentadi liberarsi della pro-pria finitezza per ab-bracciare la divinitàinfinita. Ma, secondoCiliberto, “neppurel’esperienza del furio-so riesce a cancellarelo scarto irriducibiletra ente e accidente,tra finito e infinito,tra tempo ed eterni-tà”, pertanto, egli af-

ferma, “al Nolano una prospettiva dicarattere mistico è radicalmente estra-nea”.15 Che tipo di conoscenza raggiun-ge dunque il furioso nella sua eccezio-nale esperienza?

3. Diana/Luna

Siamo giunti a considerare l’ultimopunto: Artemide per i greci, Diana per ilatini, la dea lunare. Bruno assume ilsimbolo della luna attraverso la caratte-ristica del conflitto e della mutazione

Atteone sorprende la dea Diana senza vesti

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1 Károly Kerènyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Mondatori, Milano 1989 (1963), p. 130.2 Callimaco, Lavacrum Palladis, 99-102; Ovidio, Metamorfosi, III, 138-252. Il mito è riportato anche da Igino, Fabulae, CLXXX.3 K. Kerènyi, cit., pp. 219-20; 267.4 Per le caratteristiche psichiche e i riti legati a questa dea e alle altre impersonificazione della parte oscura della luna nella tradizione

egiziana e greco-romana cfr. Roberto Sicuteri, Lilith la luna nera, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1980, pp. 52-92.5 Sia in onore di Artemide che di Dioniso si celebravano feste durante le quali i partecipanti davano luogo a danze sfrenate; Dioniso veniva

inoltre indicato con l’epiteto di Chthonios, nel senso di “sotterraneo” e figurava, in alcune storie, figlio di Persefone, legata alla parteoscura della luna. Cfr. K. Kerènyi, cit., p. 211 sgg.

6 Il mito è il punto centrale attorno al quale ruotano gli Eroici Furori, dialogo scritto nel 1585 in Inghilterra, alla fine del periodo piùfecondo per il filosofo. Si tratta dell’ultimo dei cosiddetti “dialoghi italiani” che, insieme agli scritti di filosofia naturale, vennero allaluce nell’arco di appena un biennio, tra il 1984 e il 1985. In queste opere è contenuto l’impianto della filosofia bruniana: La cena delleceneri (1584), De la causa principio et uno (1584), De l’infinito, universo e mondi (1584) Lo spaccio della bestia trionfante (1584), Cabaladel Cavallo Pegaseo con l’aggiunta dell’Asino cillenico (1585).

7 Petrarca, Canzoniere, “Nel dolce tempo della prima etade”. Per un confronto tra il mito in Ovidio, Petrarca e Bruno cfr. PasqualeSabbatino, Giordano Bruno e la “mutazione” del Rinascimento, Olschki, Firenze, 1993, pp. 128-147; Sui rapporti tra Bruno e ilpetrarchismo cfr. anche: Nuccio Ordine, La soglia e l’ombra. Letteratura, filosofia e pittura in Giordano Bruno, Marsilio, Venezia 2003,pp. 126-128.

8 Giordano Bruno, Eroici furori, Latenza, Bari-Roma, 2007 (1995), p. 127.9 Ivi, p. 37.10 Ivi, p. 53.11 “Poneno, e sono, più specie de furori, li quali tutti si riducono a doi geni: secondo che altri non mostrano che cecità, stupidità ed impeto

irrazionale che tende al ferino insensato; altri consisteno in certa divina abstrazione per cui dovengono alcuni migliori, in fatto, cheuomini ordinarii.” Ivi, p. 42.

12 Per questa e le seguenti citazioni cfr. Ivi, p. 54 sg.13 Per una rappresentazione di Bruno come alchimista e “mago ermetico” cfr. Frances Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica,

Laterza, Roma-Bari 1989.14 Cfr. Michele Ciliberto, Introduzione a Bruno, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 78 sg.15 Ivi, p. 103.16 Giordano Bruno, Eroici furori, cit. p. 72; 78 sg..17 Ivi, p. 126 sg.18 Ivi, p. 111.19 Ivi, p. 128.

che le è proprio.16

Utilizzando la meta-fora della luce per ri-ferirsi ai gradi dellacontemplaz ione ,Diana/Luna rappre-senta lo specchiodella luce massima,risplendente, del dioassoluto, Apollo/Sole. Come il sole,Dio non può esserecontemplato direttamente. Nel De lacausa principio et uno, opera scritta soloun anno prima degli Eroici furori, Bru-no aveva fatto suoi i principi della filo-sofia negativa, affermando che di Dionon si può dire se non ciò che non è,essendo Egli al di sopra della nostra in-telligenza. Se gli Eroici furori, come ab-biamo visto, non contengono illumi-nazioni mistiche, e vogliono essereun’opera schiettamente filosofica, Diodeve essere assunto come oggetto diconoscenza meramente intellettuale,come principio immanente della natu-ra. Ciò significa che la luna, luce specula-re, è l’unico oggetto conoscibile perl’uomo. Nel nostro stato, ovvero nella

condizione degli enti individuali sog-getti corruzione, “non possemo vederDio se non come in ombra e specchio”:Però a nessun pare possibile de vede-re il sole, l’universale apolline e la luceabsoluta per specie suprema ed eccel-lentissima; ma sì bene la sua ombra,la sua Diana, il mondo, l’universo, lanatura che è nelle cose, la luce che ènell’opacità della materia, cioè quellain quanto splende nelle tenebre.17

Ma l’universo stesso è infinito e, seb-bene al suo interno la realtà compon-ga e scomponga i suoi elementi senzasosta trascinando in un incessantemovimento gli individui materiali,nella sua totalità è uno e immutato.

Diana, “l’ordine diseconde intelligenzeche r iportano losplendor ricevutodalla prima” 18, è que-sta unità della natu-ra, il regno della ne-cessità, dove gli op-posti coincidono.Ecco ciò che ottiene ilfurioso: la contempla-zione dell’unità attra-

verso la sua ombra, l’universo. Ecco ilsignificato, per Bruno, di Diana/Luna:non più sfera perfetta del cielo aristote-lico, ma simbolo perfetto della compre-senza dei contrari, segno mobile del-l’Uno immobile, mutevole dell’Unoimmutabile, specchio infinito dell’infi-nita divinità, la cui comprensione il no-stro limitato intelletto può perseguire,ma non raggiungere se non al prezzodi ampliare la propria dimensione finoall’annullamento di sé. “Questa è laDiana, quello è uno che è l’istesso ente,quello ente che è l’istesso vero, quellovero che è la natura comprensibile, incui influisce il sole ed il splendor dellanatura superiore”.19

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a Luna, oggettobianco e miste-rioso appeso

con un filo al soffittodella stanza del cielo,oggetto di fantasie sto-rie e leggende, ha sem-pre suscitato curiosità inadulti e bambini… e an-che un po’ di torcicollo!Uno dei tanti bambiniche avrà sicuramentebuttato gli occhi al cielodel Cinquecento, nonmolto diverso dal no-stro, sia per noia, sia percuriosità, sia per caso oforse per desiderio fuLudovico Ariosto(1474-1533). Immagi-nava forse un luogo pa-cifico e sereno lassù nelcielo, diverso dalle vicen-de familiari che dopo laprematura morte del pa-dre si fecero più ardue edifficili, dovendo prov-vedere da primogenitoalle cure dei suoi fratelli e sorelle. Mapoco importa il motivo per il quale guar-dò nel cielo nei suoi momenti di otium ecominciò a scrivere della Luna in alcuneparti della sua opera più famosa: il po-ema dell’ “Orlando Furioso”.La Luna che trapela dalle descrizioniariostesche ha un aspetto quasi altero, è

di Margherita Bencini Va E

Ritratto di Ludovico Ariosto

“... e la Luna bussò alla porta“... e la Luna bussò alla porta“... e la Luna bussò alla porta“... e la Luna bussò alla porta“... e la Luna bussò alla portadi Ariosto! ... Fdi Ariosto! ... Fdi Ariosto! ... Fdi Ariosto! ... Fdi Ariosto! ... Fammi entrammi entrammi entrammi entrammi entrararararare!e!e!e!e!

Lui rispose di.. No!”Lui rispose di.. No!”Lui rispose di.. No!”Lui rispose di.. No!”Lui rispose di.. No!”

umana, senza mai agirené dare giudizi, limitan-dosi a sorgere e tramon-tare a meno che qualcu-no, come il personaggiodell’Orlando Medoro, sol-dato saraceno che rischie-rà la vita per seppellire ilcorpo del suo signoreDardinello, non la invo-chi per rischiarare il cielobuio e denso della nottedi battaglia e rendere piùlimpida e luminosa l’at-mosfera.Da un punto di vista fi-sico la Luna ariostesca èpressoché definita. Restainfatti un mistero il suoruolo morale nell’univer-so, è qualcosa di peren-nemente indefinito e ir-raggiungibile che l’uomovede e non può toccare,che l’uomo può posse-dere e abitare solo conl’immaginazione.Un luogo che l’uomo

guarda nei momenti di disperazione, alquale si rifà per trovare conforto, soluzio-ni, ma che tutte le volte si presenta comeuna madre severa che induce l’uomo acavarsela da solo, concedendogli al massi-mo una luce un po’ più forte per evitarealmeno che vada a sbattere. In questomodo l’uomo ariostesco (e non) si do-

come un vecchio saggio che guarda gliabitanti della terra “di sotto in su” comeper ridere delle folli vicende che ogni gior-no, sotto ogni forma, si susseguono in-consapevolmente su di essa. La Luna diAriosto è muta, sempre in silenzio, e siaffaccia dalla terrazza del cielo per guarda-re, osservare e lasciar correre ogni vicenda

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Frontespizio della prima edizione dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto (1532)

manda se la Luna non sia qualcosa dimagico, inviata appunto dall’alto.Quando infatti Ariosto spedirà Astol-fo, paladino stravagante e allegro, sullaLuna alla ricerca del senno perduto diOrlando, il lettore capisce finalmente levere fattezze della Luna: si presenta comeuna sfera bianca di dimensioni circauguali a quelle della Terra.Ma ciò che importa non è come si pre-senta fuori, ma quello che contiene alsuo interno: è una vera e propria sor-presa: tutte le cose labili e frivole ricerca-te e ottenute con l’affanno dall’uomo,tutti i capricci materiali di generazioni egenerazioni si trovano lassù. Troviamoad esempio la gloria dei popoli antichisotto forma di grida contenute in pic-cole vesciche dalle quali non possonouscire, oppure montagne di fiori man-dati dalle genti per ottenere qualcosa dal-le altre che prima profumavano e ades-so puzzano. Ma l’oggetto più interes-sante sono delle piccole ampolle che con-tengono il senno di tutti coloro chesono impazziti sulla Terra.Ciò a conferma del fatto che Luna puòveramente permettersi di guardare gliuomini con fare di scherno in quanto èin possesso dell’ingegno della maggiorparte degli essi, nonché del fattore che lidistingue da una qualsiasi bestia. LaLuna custodisce perciò tutte le cose per-se dall’uomo. All’appello manca soltan-to la follia, la quale permane soltantosulla terra. L’uomo, però, nonostantela sua follia, vede la Luna come un qual-cosa con cui confrontarsi, ed ha una cer-ta adorazione nei suoi riguardi.La Luna appare come un mondo com-plementare ma puro, avvolto da unapatina quasi sacra, infatti essa conservatutto quello che sulla Terra è andatoperduto, ma lo conserva e basta, non lopossiede per natura: è come se l’uomofosse indebitato per l’eternità con essa.Per questo motivo, soprattutto perchécontiene il senno umano in gran quan-tità, la Luna può essere vista come unospecchio nel quale l’uomo, nei momen-ti di ricerca di stesso e della propria inte-riorità, guarda all’interno e si rispecchia.D’altra parte la Luna può essere vista da

ogni parte del mondo, come un uomonei pressi di uno specchio può semprevedersi o vedere comunque in esso qual-cosa che gli è vicino.Possiamo concludere che Ariosto si ser-ve della figura nobile ed elegante dellaLuna per stendere un giudizio sull’uma-nità altrettanto elegante, ma soprattut-to sottile e senza un tono di rimprove-ro, limitandosi quasi ad una mera e sag-gia visione e interpretazione della vitaumana, più o meno tormentata e pienadi errori. D’altronde anche lui stesso feceparte di questa umanità.

Sarebbe davvero bello se la Luna fossecosì (forse Armstrong, uno dei prota-gonisti dell’allunaggio, può confermar-celo): a quel punto tutti gli uominiavrebbero un vero motivo per regalarealle proprie donne la Luna al posto ditante cose inutili (che tanto ci piaccionoe che sarebbero contenute lassù e quin-di comprese nel pacchetto regalo). Te-niamo però in conto, per favore, cheanche se è grande di Luna per ora ce n’èuna sola: potremo però provvederecomprandone una parte, a ettari, comegià qualcuno ha fatto! ◊◊◊◊◊

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La Lunae la Fantascienzadi Aldo Del Lungo.

a luna è il corpo celeste dalledimensioni apparenti piùgrandi osservabile dalla terra.

Il Sole, dello stesso diametro angola-re, è accecante e non si può guardaread occhio nudo, mentre la luna con ilsuo aspetto mutevole, i ritmi e la for-ma che variano ciclicamente, ha attira-to l’attenzione degli uomini in ognitempo. L’istinto uma-no di esplorare semprenuove terre è stato unamolla fortissima cheha spinto ad osservarequel corpo celeste cosìapparentemente vici-no, ma di fatto perlunghissimo tempoirraggiungibile. Si ècosì ricorsi all’immagi-nazione trasferendosulla luna i nostri de-sideri, le nostre speran-ze, i nostri sogni e lenostre fantasie. La sto-ria di queste fantasieviene da lontano: i pri-mi esempi certi di testirelativi a viaggi imma-ginari sulla luna risal-gono a due racconti diLuciano di Samosata(2° secolo d.C.), Icaro-menippo1 e Una storia vera2, nella quale,giocando con il paradosso del menti-tore, l’autore dichiara di raccontare unastoria falsa per stare alla pari di poeti,storiografi e filosofi che nel passatoavevano raccontato tante bugie osten-tandole per verità.

Questo sogno è rimasto sopito finoa tutto il medioevo, con solo qualchecitazione successiva, come nell’ Orlan-do Furioso, per poi riaffacciarsi conmaggiore frequenza attorno al 1600,alimentato dai nuovi studi sull’uni-verso.Ed è proprio Keplero (1571-1630) nelracconto Il sogno, ovvero l’astronomia lu-

nare3, pubblicato postumo, ad espor-re alcuni principi fisici e scientifici sulcomportamento astronomico dellaluna, parzialmente corrispondenti allarealtà oggi conosciuta, e a mascherareil tutto come una narrazione fantasti-ca. Questo racconto rappresenta uncaso a parte rispetto a tutta la lettera-

tura di fantasia sulla luna dagli inizifino alla fine del 1700, e alla letteratu-ra dal 1800 in poi. Nel primo periodoprevale il racconto fantastico, in cui laparte relativa al viaggio è risolta sem-pre con trovate inverosimili e spessomolto colorite, come per Cyrano deBergerac4 che, dopo aver tentato ilviaggio sollevato da una cintura di am-

polle di vetro contenentirugiada che evapora alSole, finisce per usare unrazzo spinto dai più po-tenti fuochi artificiali. Danon dimenticare ancheLe avventure del Barone diMünchhausen5 di RudolfErich Raspe (1736-1794)dove vengono descrittiben due viag gi sul laluna, raggiunta grazie allaprodigiosa crescita d’unfagiolo turco. Nella lette-ratura del periodo succes-sivo fino ai giorni nostrila componente scientifi-ca viene ad assumere unruolo sempre più rile-vante. La svolta tra rac-conto di fantasia ed rac-conto di fantascienzavero e proprio può esse-re sicuramente attribuita

ad Edgar Allan Poe, che nel 1835 scris-se L’ avventura di Hans Pfaall6: è la sto-ria di un riparatore di soffietti diRotterdam che afferma di aver costru-ito un enorme aerostato per sfuggireai creditori e, con l’ausilio di un com-pressore per sopperire alla carenzad’aria, di aver raggiunto la luna. In

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questo racconto le spiegazioni pseu-doscientifiche risultano verosimili ecredibili, tenendo conto di quelle cheerano le conoscenze dell’epoca, e sonoparte integrante e importante dellastoria, che a buon titolo può esseredefinita insieme fantastica e scientifi-ca.

Il viaggio.

In ogni epoca nelle nar-razioni il metodo uti-lizzato per il viaggio èfiglio delle conoscenzetecnologiche del tempoin cui è stato scritto.Luciano di Samosata,nel racconto già citatoUna storia vera si muo-ve su una nave che, ol-trepassate le colonned’Ercole, dopo unatempesta durata set-tantanove giorni vienecolta dal vortice di untifone.Agli inizi dell’ Ottocen-to si fa un gran ricorsoai palloni aerostatici.Possiamo osservare ungrande aumento dellavarietà dei modi diviaggiare in concomi-tanza con la rivoluzio-ne industriale e le suc-cessive scoperte scienti-fiche, che offrono ma-teria alla fantasia creati-va e usano le energie al-lora conosciute, dal va-pore al magnetismo edalla corrente elettrica.Jules Verne, che vive inun’ epoca nella quale i grandi cannonirappresentano la nuova frontiera del-la tecnologia, nel romanzo Dalla terraalla luna7 impiega un proiettile d’arti-glieria; H. G. Wells8, universalmentenoto come autore della Guerra dei Mon-di, ricorre ad un espediente che dimo-stra la sua attenzione allo sviluppodella ricerca scientifica nei campi della

chimica e della fisica agli inizi del ‘900,anche se si serve di un materiale im-maginario, la Cavorite, in grado dischermare la forza di gravità.A metà del Novecento è l’energia ato-mica ad essere considerata il propel-lente più idoneo per compiere unviaggio così importante.

La colonizzazione.

Nel periodo del racconto esclusiva-mente fantastico ci si accontentava dicompiere il viaggio e di esplorare laluna immaginando di trovarvi dellepiante e animali stravaganti, dei para-dossi della vita sulla terra, dei perso-naggi alieni, o delle persone che sul

nostro pianeta risultavano più o menoscomodi ed era meglio trasferire piùlontano possibile.Solo nel ‘900 si è sviluppato un verointeresse per la colonizzazione dellaluna, considerandola realmente unnuovo mondo da conquistare, con-sapevoli che le conoscenze scientifico- tecnologiche raggiunte permetteva-no di descrivere in maniera realistica

la permanenza in unambiente così ostile.Lo scopo affidato allacolonizzazione è statodi vario genere: in uncaso è lo sfruttamentominerario con la scoper-ta dei più svariati mine-rali, realmente esistenti ocreati dalla fervida imma-ginazione degli autori,altre volte è la raccolta dipiante dai poteri miraco-losi: in particolare, Clif-ford Simak in All’ombradi Tycho9, parla di licheniinfestati da microbi dacui si estraggono medi-cine impossibili da pro-durre sulla terra. Altromotivo spesso attribui-to alla colonizzazionedella luna è la costruzio-ne di basi spaziali che,sfruttando la gravità piùbassa rispetto a quellaterrestre, ben si presta-no alla partenza di gran-di astronavi dirette piùlontano. In alcuni casiquesto tipo di raccontoserve a rivisitare con oc-chio diverso ciò che è ac-caduto in passato sulla

terra: in La luna è una severa maestra10

Robert Heinlein crea sulla luna unacolonia penale, come è successo inAustralia, e quando poi, dopo alcunegenerazioni, i coloni non sono più ingrado di tornare a causa dei mutamen-ti fisiologici subiti, si ribellano comeè avvenuto con gli immigrati degliStati Uniti contro la Gran Bretagna.

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Asimov nella terza parte di Neanchegli Dei1111 utilizza come giustificazio-ne della conquista della luna la sco-perta di un punto di contatto con ununiverso parallelo, interagendo con ilquale si crea uno scambio che produ-ce energia gratis.

Quale futuro per lafantascienza della Luna?

Nel racconto La sen-tinella12 di ArthurC. Clarke, dalquale lo stessoautore ha trat-to sia la sce-n e g g i a t u r adel film che ill ibro 2001odissea nel lospazio, la lunaassume unruolo emble-matico. Su diessa alcuniesploratori rin-vengono un mo-nolito e nel tentati-vo di scoprirne la na-tura si rendono conto diaver attivato quello che in re-altà è un radiofaro rivolto versoentità aliene.La luna assume così la funzione diocchio vigile sui comportamenti deiterrestri, e solo quando questi sonoin grado di compiere il breve tragittoche separa la terra dal suo satellite di-ventano interessanti per le altre for-me di vita dell’universo. La luna a que-sto punto passa dal ruolo di meta, diobiettivo, a quello più importante dipunto intermedio, di base per ulte-riori esplorazioni, cioè di punto dicontatto con l’intero universo. L’averraggiunto la luna fa sì che l’uomo ab-bia superato il primo ostacolo, ma loscopo finale è oltre, e la luna diventacosì la porta di collegamento a nuovimondi. A questo proposito sonoemblematiche le parole del primoastronauta che ha messo piede sulla

luna: “Questo è un piccolo passo perun uomo, ma un grande balzo perl’umanità”.

Vero o falso?

Gruppi eterogenei di persone più omeno qualificate hanno avanzatodubbi sull’effettivo atterraggio del-l’uomo sulla luna.Nel libro Capricorn one13 di RonGoulart, tratto dall’omonimo famo-so film, anche se riferito a Marte, lavicenda prende le mosse proprio daquesti dubbi e ha dato spunto alla co-struzione di una storia fantascientificain un campo che gli è proprio: quellodi mescolare il vero ed il falso creandouna miscela non solo verosimile, maanche molto intrigante.

Gli autori di fantascienza.

Sarebbe un lunghissimo ed inutileelenco, per questo breve articolo, ri-portare gli scrittori che si sono cimen-tati nel campo della fantascienza; in

linea generale, per esemplificare,possiamo dire che si possono

suddividere in due catego-rie: coloro che hanno pre-

valentemente scrittodi fantascienza

come Isaac Asi-mov, Arthur C.

Clarke, RobertHeinlein, edaltri che han-no utilizzatola fantascien-za come di-v e r s i v o ,come svagoo, a volte, perdire in modoa p p a r e n t e -

mente non se-r io quel lo che

pensavano vera-mente; in tutti i casi,

scrivere un racconto difantascienza ha rappre-

sentato una sfida alla ragio-ne cercando di essere credibili nel

narrare ciò che è assolutamente fan-tastico.

Quanto hanno previsto il futuro?

Anche per ammissione degli stessiscrittori, i racconti di fantascienza,lungi dal voler essere delle previsionisul futuro, si basano sempre sulle co-noscenze degli autori al momento incui vengono scritti: si creano addirit-tura strane commistioni tra situazio-ni reali ed anacronismi, talora imba-razzanti, specchio del bagaglio cono-scitivo del narratore, palese testimo-nianza dell’incapacità reale di preve-dere il futuro.Ciò che è avvenuto nella realtà dellevicende umane ha sicuramente supe-rato in maniera evidente la più fervida

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1 Luciano di Samosata, Icaromenippo, inOpere di Luciano voltate in italiano da LuigiSettembrini, vol. II, Firenze, Le Monnier,1862.

2 Luciano di Samosata, Una storia vera, inRacconti fantastici, Milano, Garzanti,1977.

3 Giovanni Keplero, Il sogno, ovvero l’astro-nomia lunare , in Fantaluna, Milano,Feltrinelli, 1969.

4 Cyrano de Bergerac,Viaggio comico nellaluna, Milano, Sonzogno, 1901.

5 Rudolph Erich Raspe, Le avventure delBarone di Münchhausen, Milano,RCS, 2000.

6 Edgar Allan Poe,L’ avventura di Hans Pfaall, in Fantaluna,Milano, Feltrinelli, 1969.

7 Giulio Verne, Dalla terra alla luna,Milano, Fabbri editori, 1956.

8 Herbert George Wells, I primi uomini sul-la luna, Milano, Mursia, 1976.

9 Clifford D. Simak, All’ombra di Tycho, inFantaluna, Milano, Feltrinelli, 1969.

10 Robert A. Heinlein, La luna è una severamaestra, Milano, A. Mondadori, 1984.

11 Isaac Asimov, Neanche gli dei, inI mondi di Asimov, Milano,Mondadori, 1976.

12 Arthur C. Clarke, La sentinella,Milano, Mondadori, 1969.

13 Ron Goulart, Capricorn one,Milano, Sonzogno, 1978.

14 Arthur C. Clarke, Preludio allo spazio,Milano, Oscar Mondadori, 1989.

fantasia e solo in alcuni casi si sonoverificate somiglianze che possonoessere catalogate come coincidenze for-tuite. Ad esempio in Preludio allo spa-zio14 di Arthur C. Clarke, pubblicatonel 1951, quindi solo 18 anni primadel primo sbarco, le differenze tra ciòche è stato scritto e ciò che è realmenteaccaduto sono notevoli.• L’autore colloca la data del primo

viaggio sulla luna nel 1978 (9 annidopo l’effettivo sbarco).

• Essendo stato scritto al terminedella seconda guerra mondiale, ilruolo guida dell’impresa, realizza-to attraverso un consorzio inter-nazionale chiamato Interplanetary,è affidato alla Gran Bretagna ed hasede a Londra. Non è stata previ-sta la guerra fredda tra USA e Rus-sia che è stata la molla principaledella corsa allo spazio.

• Dopo aver sperimentato in modocatastrofico la potenza dell’energiaatomica, a questa è stato affidato ilcompito, nel romanzo, di fornire

l’energia necessaria ai motori dellanavicella spaziale, mentre in realtàè stato usato un motore chimicocon carburante a stato liquido e so-lido. La navicella spaziale Pro-metheus è sì costituita da due particome l’Apollo, ma il modulo Betaassomiglia più ad uno Shuttle, condecollo e atterraggio orizzontali, erimane in orbita terrestre, lascian-do al modulo Alpha il compito siadel viaggio terra-luna che l’atterrag-gio. Nella realtà la capsula Apollo èarrivata fino all’orbita lunare ed ilmodulo LEM ha compiuto solol’atterraggio ed il decollo sulla luna.

• Per quanto riguarda l’elettronica ele comunicazioni, nel racconto diClarke queste sono affidate alle val-vole termoioniche, mentre non èstato previsto l’uso del transistor,la cui invenzione risale al 1947 e giàsi poteva prevedere che in brevetempo avrebbe potuto vantaggio-samente sostituire le valvole.

In conclusione.

La fantascienza è talvolta considerata,al pari del romanzo giallo, una sorellaminore della letteratura colta. Forse gliscrittori usano spesso un linguaggiosemplice e diretto, ma la creatività, lafantasia e l’inventiva che essi metto-no nei racconti è motivo sufficienteper dedicare loro un piccolo spazionella nostra personale biblioteca. Cer-to, come in tutte le cose, bisogna di-stinguere il grano dal loglio, ma si tro-vano sicuramente in questo genere diletteratura molte idee stimolanti. Con-sapevole che la bibliografia sull’argo-mento è più vasta degli esempi citati,sicuro di non aver trattato testi altret-tanto significativi, lascio a chi è inte-ressato il compito di approfondirequesto tema. ◊◊◊◊◊

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sprecato e inoperosità, progetti e desi-deri mai realizzati vi si ammucchianocome in una gigantesca discarica a cieloaperto che aspetta solo che ogni “Astol-fo” recuperi ciò che sulla Terra ha smar-rito. Il Paladino vede cose di cui non sisa spiegare il senso ed interroga allora lasua guida circa il loro significato: “unmonte di tumide vesciche” rappresentala fama e la gloria perdute di antichi re-gni, un tempo celebrati e rispettati edora ridotti soltanto a sbiaditi ricordi; “inghirlande ascosi lacci” e “cicale scoppia-te” raffigurano rispettivamente adula-zioni e versi composti in onore dei si-

La TLa TLa TLa TLa Terrerrerrerrerra vista dalla Lunaa vista dalla Lunaa vista dalla Lunaa vista dalla Lunaa vista dalla LunaLudovico Ariosto e il racconto della

ricerca del senno di Orlando

l senno di Orlando, per-so per volontà di Dio,dopo che il paladino si

era innamorato della paganaAngelica, si trova sulla Luna;è Astolfo, eroe cristiano, adandare a riprenderlo scortatodall’evangelista Giovanni, ingroppa ad un ippogrifo.La narrazione dell’impresa diAstolfo alla riconquista delsenno del compagno e la de-scrizione del paesaggio luna-re ingombro di oggetti smar-riti in Terra, danno adito aduna digressione circa l’asser-vimento della letteratura alpotere che sfocia in unamalcelata polemica contro lavita di corte. Dapprima, infatti,il paladino resta sconcertatodalle dimensioni della Luna(“Quivi Astolfo ebbe doppia meraviglia:/che quel paese appresso era si grande,/ ilquale a picciol tondo rassimiglia/ a noi chelo miriam da queste bande…”)1, poi sivolge a guardare la Terra e deve aguzza-re gli occhi se vuol appena discernerne icontorni; infine, però, osserva la con-formazione della Luna e le sue caratteri-stiche e non tarda ad accorgersi che“…ciò che si perde qui, là si raguna”.2In una valle tra due montagne scorgetutto ciò che gli uomini perdono perloro errore o a causa della fortuna (inte-sa come vox media): fama e bellezza, pre-ghiere e voti, lacrime e sospiri, tempo

gnori; le “versate minestre” ri-traggono, invece, le vane ele-mosine lasciate alla morte lequali spesso non vengonodonate, bensì incassate daeredi infedeli ai testamenti; i“fiori” che un tempo profu-mavano e adesso “putia for-te” simbolo della Donazio-ne di Costantino a PapaSilvestro.Proprio queste ultime imma-gini, di cui Astolfo non saspiegarsi il significato ed èperciò costretto a chiederneconto all’evangelista, sonoquelle che Ariosto raccontameglio e sicuramente alcunedelle più importanti. Queste,infatti, rappresentano le de-bolezze e i limiti della condi-zione umana che maggior-

mente urtano i sentimenti del poeta: lavanità, l’inconsistenza della gloria uma-na e la labilità della potenza di regni che,dopo appena un attimo di splendore,si perdono nell’ombra; l’ipocrisia dellaChiesa nel carpire un potere che di fattonon le spettava, come dimostrato daLorenzo Valla che provò falso il docu-mento della Donazione.Ma, se Ariosto si limita ad elencare e amalapena spiegare alcuni dei vizi uma-ni, si sofferma invece sul rapporto tra lacorte e la letteratura, non senza un leg-gero velo di ironia verso se stesso e lafigura del poeta in generale. Egli, infat-

di Elena Zaccagnini Va E

Fotografia, dell’archivio della NASA, della Terra osservata dalla Luna

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ti, con l’immagine della “cicale scoppia-te” rappresenta l’eccessivo e vano canta-re dei poeti per elogiare i signori, talvol-ta mentendo sulla loro grandezza o ret-titudine, pur di aggiudicarsi una prote-zione e magari anche qualche favore.L’autore parla così con la voce di SanGiovanni e denuncia il fatto che i poe-mi composti per un signore, con espli-citi fini encomiastici, sono fondati, perla maggior parte, su una base di men-zogna. Ariosto arriva così, se non adammettere espressamente che le sue lodialle famiglia Estense hanno soltanto unfine opportunistico, quantomeno acelarlo sotto le linee di una regola più omeno generale.L’intento di Ariosto nel denunciare lastruttura di false verità che regge il suopoema come quelli di molti illustriesponenti della poesia epica (comeOmero e Virgilio), è non solo quellodi spiegare al lettore cosa ci sia dietrola vita del cortigiano ed i suoi rappor-ti col signore, ma è anche quello dimostrare quanto bene si distinguanodalla Luna, le contraddizioni che ca-ratterizzano la Terra.Quando, infine, Astolfo raggiunge il“monte” formato dalle ampolle conte-

nenti il senno degli abitanti della Terra, siaccorge di quanto alto questo sia e, nelleggere le etichette che contrassegnano ogniboccetta, si rende conto di quanto si fossesbagliato circa l’assennatezza di molti per-sonaggi considerati da lui saggi fino a pocoprima (“…molto più maravigliar lo fenno/molti ch’egli credea che dramma manco/non dovessero averne, e quivi dénno/ chia-ra notizia che ne tenean poco;/ che moltaquantità n’era in quel loco.”)3 Astolfo tro-va anche un’ampolla con il suo di sennoe, mentre cerca quello di Orlando, trovaetichette che indicano nomi di chi lo perseamando, di chi cercando ricchezze e di chilo smarrì nelle vane speranze riposte neisignori. In quest’ultimo caso l’autore aprenuovamente una finestra sulla sua situa-zione, evidenziando non solo che gli arti-sti di corte in generale mal ripongono laloro fiducia sui signori, ma che, fra i corti-giani, sono soprattutto i poeti quelli cheperdono il senno (“…di poeti ancor ven’era molto”).La Luna, vista non solo da un puntodi vista fisico, risulta essere così unasorta di immagine della Terra in cuisolo la pazzia manca, sostituita daun’enorme montagna di senno. SullaLuna, infatti, almeno secondo la de-

scrizione che ne dà Ariosto guardan-dola attraverso gli occhi di Astolfo, visono tutte le virtù e tutti i vizi umani,tali e quali a quelli sulla Terra e nienteè assente di ciò che l’umanità ha pur-troppo o per fortuna perduto.La Terra che ci appare dalla Luna èdunque del tutto uguale a quella incui abitiamo, con l’unica differenzache, se osservata da lontano, da unpunto di vista diverso rispetto a quel-lo sotto cui la vediamo di solito, ciaccorgiamo forse più chiaramente diquelli che sono i difetti dell’umanitàe, assumendone coscienza, cerchiamomagari di migliorarci. Per l’umanità,quindi, guardare la Terra dalla Lunacon gli occhi di Ariosto sembra chesia come il porsi davanti ad un enor-me specchio che, mostrandone tuttele imperfezioni e le incoerenze, la aiu-ti a cambiarsi e ad intervenire per eli-minare i propri difetti e le proprie im-purità. ◊◊◊◊◊

Raffigurazione del paladino Astolfo sull’ippogrifo mentre arriva sul suolo lunare

1 Orlando furioso, canto XXXIV,ottava 71, vv. 1-4.

2 ibidem, ottava 73, v. 8.3 ibidem, ottava 84, vv. 4-8.

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Il sistema Sole-Terra-Lunae il problema dei tre corpi

INTRODUZIONE

Uno dei principali contributi di IsaacNewton allo sviluppo della fisica mo-derna è rappresentato dalla Legge diGravitazione Universale. Tale legge sta-bilisce la forza con cui due corpi dotatidi massa m1 e m2 posti a distanza r l’unodall’altro interagiscono fra loro. Appli-cata assieme alla seconda legge fonda-mentale della dinamica di Newton, essaconsente di dedurre teoricamente le treleggi sperimentali di Keplero sul motodei pianeti nel sistema solare. È dall’ap-plicazione di tale legge che ancora oggiriusciamo a prevedere il moto delle co-mete e ad inviare satelliti in orbita attor-no alla Terra.Tuttavia la Legge di Gravitazione, cherappresenta uno dei fondamenti dellacosiddetta “meccanica classica” (o “mec-canica newtoniana”, in onore del suoprincipale artefice), costituisce anche ilpunto di partenza per lo sviluppo diteorie fisiche moderne che ne mettonoradicalmente in crisi le basi. Uno deiproblemi fondamentali in tal senso èrappresentato dal cosiddetto “Proble-ma dei Tre Corpi”, che già Newton stes-so affronta nei suoi “Principia” nel ten-tativo di applicare la legge da lui formu-lata alla descrizione del sistema Sole–Terra–Luna.In questo lavoro, dopo aver introdot-to la legge di gravitazione ed aver di-scusso come essa risolva completa-mente il problema dell’interazione fradue corpi, si esamina il più comples-so problema dell’interazione gravita-zionale fra tre corpi, affrontato perprimo dallo stesso Newton. Si passapoi a considerare un caso semplifica-to del problema, il cosiddetto proble-ma ristretto dei tre corpi, di cui sononote soluzioni esatte, che vengonoillustrate qualitativamente. In conclu-sione, si presenta il risultato diPoincaré, che, alla fine del XIX secolo,ha dimostrato l’irrisolubilità del pro-blema generale, e se ne discutono i

di Paolo Boncinelli

possibili sviluppi in termini di gene-razione di sistemi caotici.

LA LEGGE DI GRAVITAZIONEUNIVERSALE

Origine della legge di gravitazioneuniversale

La legge di gravitazione universale è statacompiutamente formulata ed espressada Newton nel 1687 nei suoi “Princi-pia”. Con tale legge Newton riuscì a riu-nire e a dare completa spiegazione a duedei maggiori problemi della fisica clas-sica ancora aperti a quel tempo: il motodi caduta libera dei gravi sulla Terra (allacui comprensione aveva già dato un si-gnificativo contributo Galileo), e le cau-se dei moti planetari.L’intuizione che entrambi i fenomenifossero governati dalla stessa legge fisi-ca era venuta a Newton molti anni pri-ma. Egli cercò una prima conferma ditale intuizione nel confronto fra l’acce-lerazione di gravità g, che caratterizza ilmoto di caduta libera di un corpo po-sto in prossimità della Terra, e l’accele-razione centripeta ac che consente allaLuna di mantenersi sulla propria orbitaattorno alla Terra. L’accelerazione di gra-vità, come noto, vale mediamente

, supponendo la Terra per-fettamente sferica con un raggio circauguale a RT = 6400 km. Per quanto ri-guarda l’accelerazione centripeta dellaLuna, considerando l’orbita in prima ap-prossimazione circolare, essa può esse-re calcolata utilizzando la relazione:

(1)

dove v rappresenta il modulo della ve-locità della Luna rispetto alla Terra, e R èil raggio dell’orbita.Sapendo, dalle misure astronomichedirette, che e che ilperiodo di rivoluzione della Luna at-torno alla Terra è T = 27.3 giorni, èpossibile con un semplice calcolo rica-

varsi la velocità v, e, conseguentemente,l’accelerazione centripeta ac dall’Eq. 1:

(2)

Si trattava quindi di confrontare le dueaccelerazioni g e ac. Per spiegare i duefenomeni, Newton fece alcune ipotesifondamentali:

1. Il moto di caduta dei gravi e il motodi rivoluzione della Luna attornoalla Terra sono determinati dalla stes-sa causa, e cioè da una forza attratti-va esercitata dalla Terra sia sui graviche sulla Luna.

2. Il modulo di tale forza varia inmodo inversamente proporziona-le al quadrato della distanza del cor-po dalla Terra.

3. Per poter definire in modo correttotale distanza, Newton ipotizzò chetale forza fosse equivalente a quellaesercitata da un corpo puntiformeposto nel centro della Terra e dota-to della stessa massa MT . La distan-za viene quindi misurata a partiredal centro della Terra.

Per verificare la validità di tali ipotesi, edin particolare della seconda, ispirata aNewton dalla Terza Legge di Keplero,basta quindi confrontare il rapporto frale accelerazioni:

(3)

con l’inverso del rapporto fra i quadratidelle distanze:

(4)

Il fatto che i due rapporti risultasseromolto prossimi dette a Newton unaprima importante conferma delle sueipotesi, in particolare per quanto riguar-dava la dipendenza della forza diinterazione dalla distanza fra i corpi.Come già accennato, nella formulazio-ne delle sue ipotesi, e conseguentemen-

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te della legge generale di gravitazioneuniversale, Newton fu influenzato dallavoro dei suoi predecessori, e in parti-colare dalle tre leggi di Keplero relativeal moto di rivoluzione dei pianeti at-torno al Sole, formulate fra il 1609 e il1619 a partire dalle osservazioni astro-nomiche di Tycho Brahe:Prima legge: le orbite dei pianeti sono

ellissi di cui il sole occupa uno deifuochi (Fig. 1(a));

Seconda legge: il raggio vettore che vadal Sole al pianeta descrive aree ugualiin intervalli di tempo uguali (Fig.1(b));

Terza legge: i quadrati dei periodi dirivoluzione dei pianeti attorno al Solesono direttamente proporzionali aicubi dei semiassi maggiori delle orbi-te (Fig. 1(c)).

A partire da tali leggi, e sfruttando lesue intuizioni ed ipotesi, Newton giun-

se a formulare la sua legge di gravitazioneuniversale:

(5)

L’Eq. 5 esprime la forza con cui duecorpi di massa m1 e m2 posti a distanza rsi attraggono; er rappresenta il versore(e quindi la direzione e il verso) dellaretta congiungente i due corpi, e G èuna costante di proporzionalità, dettacostante di gravitazione universale. Talelegge può essere ricavata matematica-mente a partire dalle tre leggi di Keplero,applicando la seconda legge della dina-mica, pure formulata da Newton:

(6)

che lega fra loro la risultante delle forzeapplicate ad un corpo di massa m e l’ac-celerazione da esso acquistata. Il valoredella costante G deve però essere ricava-to sperimentalmente: il suo valore mi-surato è .

Il problema dei due corpi

La legge di gravitazione espressa dall’Eq.5 ha validità più generale delle leggi diKeplero. A partire da essa è infatti pos-sibile risolvere il problema generale delmoto di due corpi interagenti mediantela forza di gravitazione, il cosiddetto“Problema dei due corpi”. Il problema delmoto dei pianeti rappresenta solo uncaso particolare di tale problema, in cuiuno dei due corpi è supposto “immo-bile” (il Sole), mentre l’altro si muovesu una traiettoria chiusa attorno ad esso(il pianeta). L’immobilità del Sole risul-ta dal fatto di trascurare la massa delpianeta rispetto a quella del Sole stesso,

ipotesi più che legittima per tutti i pia-neti tranne che per Giove, la cui massa ècirca un millesimo della massa solare.Più in generale, il problema dei due cor-pi considera il moto di due corpi dimassa m1 e m2 qualsiasi, supposti persemplicità puntiformi, posti a distanzar l’uno dall’altro, che interagiscono fraloro solo per effetto della forza di gra-vitazione data dall’Eq. 5. Utilizzandola seconda legge della dinamica (Eq. 6)applicata a ciascuno dei due corpi, è pos-sibile risolvere matematicamente il pro-blema di determinare la traiettoria, equindi il moto, di ciascun corpo a parti-re da assegnate condizioni iniziali ([1]).Il risultato è che ciascun corpo si muo-ve su un’orbita piana costituita da unacurva conica (circonferenza, ellisse, para-bola o iperbole), di cui il centro di mas-sa del sistema occupa uno dei fuochi. Iltipo di conica è determinato dalle con-dizioni iniziali imposte al problema. Inparticolare, l’energia totale iniziale E delsistema dei due corpi (risultante dallasomma dell’energia cinetica e potenzia-le), essendo per ipotesi il sistema deidue corpi isolato e la forza di gravita-zione conservativa, rimane costante du-rante il moto, e determina le caratteristi-che geometriche dell’orbita. Dai calcoliinfatti risulta che l’eccentricità e della co-nica dipende da E secondo la seguenteequazione:

(7)

dove l è il momento angolare del siste-ma (anch’esso costante), la massa ridotta del

sistema, e .

Riferendosi all’Eq. 7, il tipo di orbitadipende da E secondo lo schema se-guente:

Da notare il fatto che, oltre alle orbitechiuse (ellittiche o circolari) osservate peri pianeti del sistema solare, e caratteriz-zate da valori negativi dell’energia E, lasoluzione matematica del problema deidue corpi prevede anche la possibilitàTabella 1. velocità di fuga dal Sole, dai pianeti del sistema

solare e dalla Luna.Fig. 1. Le tre leggi di Keplero

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che vi siano orbite non chiuse (paraboli-che o iperboliche), caratterizzate da va-lori di E positivi o nulli. In questi ulti-mi due casi, i due corpi compiono unmoto di progressivo avvicinamento,fino ad arrivare ad un punto di minimadistanza, dopodiché proseguono il loromoto allontanandosi indefinitamentel’uno dall’altro. La teoria newtonianaquindi prevede la possibilità, poi verifi-cata dalle osservazioni astronomiche,che vi siano corpi celesti che si avvicina-no al Sole una volta per poi perdersinello spazio. Classico esempio è quellodel moto di alcune comete.Il caso dell’orbita parabolica, poi, risul-ta particolarmente interessante perchéesso rappresenta la traiettoria ad energiaminima, caratterizzata dalla minima ve-locità iniziale (la cosiddetta velocità di fugavf ) che un corpo deve possedere perpoter sfuggire all’attrazione gravitazio-nale di un altro corpo. In Tab. 1 sonoriportati, come riferimento, le velocitàdi fuga di un corpo situato sulla super-ficie del Sole e dei pianeti del sistemasolare, inclusa la Luna. Così un razzolanciato da Terra necessita di una veloci-tà iniziale di almeno 11.2 km/s , per sfug-gire all’attrazione terrestre, mentre sononecessari 16.6 km/s per sfuggire ancheall’attrazione del Sole ed uscire dal si-stema solare.

IL PROBLEMA DEI TRE CORPI

Il problema generale

Il problema dei tre corpi, definito daWhittaker [3] “the most celebrated of alldynamical problems”, viene classicamentecosì enunciato [4]:Tre masse puntiformi, libere di muoversi nel-lo spazio, si attraggono reciprocamente se-condo la legge newtoniana di gravitazione. Sichiede di determinarne il movimento per qua-lunque configurazione e velocità iniziale.Nell’ambito della meccanica celeste, essorappresenta il modello di importantiproblemi di interazione gravitazionalefra tre corpi: il moto dei pianeti interniall’orbita di Giove (Mercurio, Venere,Terra, Marte) o degli asteroidi quandosi tenga conto dell’azione di Giove edel Sole, il moto dei corpi celesti oltreNettuno, la dinamica della navicellespaziali e, non ultimo, il moto dellaLuna soggetta alla contemporanea at-trazione di Terra e Sole.

Come discusso in [5], già Newton si erainteressato al problema dei tre corpi, inparticolare nella parte dei Principia riguar-dante la teoria della Luna. Attraversol’applicazione della legge di gravitazio-ne universale, egli riuscì a spiegare le dif-ferenze osservate sull’orbita lunare at-torno alla Terra rispetto a quelle teorica-mente previste dallo studio del sistemaTerra–Luna in termini di “perturbazio-ni” prodotte dall’attrazione gravitazio-nale del Sole sulla Luna stessa. Tutta-via, la soluzione analitica completa delproblema sembrava anche a Newton unproblema di ardua soluzione.Le difficoltà nella risoluzione analiticadel problema generale dei tre corpi sonodovute essenzialmente al fatto che l’or-dine del sistema di equazioni differen-ziali associato al problema è troppo ele-vato. Infatti, se si applica la seconda leg-ge di Newton a ciascuno dei tre corpiincludendo le forze di attrazione dovu-te ad ognuno degli altri due, applican-do il Principio di Sovrapposizione, siottengono equazioni non lineari mol-to complesse non risolubili analitica-mente. Nonostante gli sforzi profusida numerosi ed illustri matematici nelcorso di due secoli (il XVIII e il XIX),non si riesce ad abbassare il grado delleequazioni al di sotto dell’ordine 8.

Il problema ristretto

Nel 1772 Eulero, affrontando il proble-ma dello studio del sistema Sole–Ter-ra–Luna, propose di studiare il cosid-detto “Problema ristretto dei tre cor-pi”. Tale approccio consiste nell’effet-tuare alcune importanti semplificazionidel problema generale. Prima di tutto,si suppone che due dei tre corpi si muo-vano di moto circolare uniforme attor-no al loro centro di massa (corrispon-dente al caso più semplice del moto didue corpi previsto dalla legge di gravi-tazione newtoniana). Ol-tre a ciò, si suppone che ilterzo corpo risenta dell’in-terazione gravitazionaledovuta agli altri due, mache non perturbi il loromoto, in quanto di massatrascurabile rispetto ai pri-mi due. Nel caso del si-stema Sole–Terra–Luna,tali approssimazioni delmodello sono giustifica-te dalle caratteristiche fisi-

che dei tre corpi in questione, dato chela massa del sole

e la massa della Terra

sono molto maggiori della massa dellaLuna

(circa 27 milioni di volte e 80 volte piùgrandi, rispettivamente).Nonostante le semplificazioni rispettoal problema generale rendano il proble-ma ristretto analiticamente risolubile informa chiusa, la trattazione matematicarisulta ancora alquanto complessa, edesula dagli obiettivi del presente lavoro.Alcune considerazioni quantitative pos-sono tuttavia essere fatte con l’ulterioresemplificazione di considerare il motodei tre corpi limitato in un piano, comeavviene con ottima approssimazione nelcaso del sistema Sole–Terra–Luna e, piùin generale, nel caso del moto di un pia-neta del sistema solare soggetto all’in-terazione del Sole e di Giove.Seguendo la trattazione proposta in [2],il moto del corpo di massaavviene nel piano illustrato in Fig. 2, conl’ipotesi che il moto dei due corpi pri-mari M1 e M2 sia un moto circolare uni-forme attorno al loro centro di massa Gcon velocità angolare costante . Ap-plicando il principio di conservazionedell’energia meccanica nel sistema di ri-ferimento rotante solidale con i due cor-pi primari, è possibile scrivere l’integra-le primo dell’energia, universalmentenoto come integrale di Jacobi:

(8)

dove con v si indica la velocità del corpom. Il valore (costante) dell’energia E rap-presenta, come nel caso del problema

Fig. 2. Problema ristretto dei tre corpi nel caso di moto piano

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dei due corpi, il parametro fondamen-tale caratterizzante il moto del corpo dimassa m rispetto agli altri due.Dallo studio dell’Eq. 8 è possibile farealcune considerazioni riguardo al motodel corpo m, in particolare per quantoriguarda le possibili posizioni di equili-brio di m, corrispondenti ai punti dovesi annulla la sua velocità (v = 0). Essen-do infatti il termine , risulta:

(9)

che rappresenta una limitazione per ilraggio vettore r (ricordando che ancheR1 e R2 dipendono da r). Il caso limitedell’ Eq. 9 corrispondente all’uguaglian-za definisce le superfici in cui v=0, soli-tamente denominate superfici di Hill.Lo studio delle caratteristiche delle su-perfici di Hill è interessante in quantoesse dividono le regioni di spazio acces-sibili da parte del corpo m da quelle nonaccessibili, sulla base del valore dell’ener-gia E da esso posseduta. In Fig. 3 (trat-ta da [2]) è riportata una sezione dellesuperfici lungo la retta che unisce i corpiM1 e M2 (calcolate nel caso in cuiM1=4M2), mentre in Fig. 4 tali superficisono visualizzate nel piano contenentei tre corpi e perpendicolare ad , perdiversi valori crescenti dell’energia .

I cinque punti in cui le curve hanno unmassimo o un minimo, contrassegnatinelle Figg. 3–4 con L1, L2 , L3, L4 e L5,sono detti punti di Lagrange.Osservando la Fig. 5 risulta più chiaroquanto detto a proposito delle regioni

ammesse (riportatein chiaro) e proibite(riportate in scuro)per il corpo di massam. Se m ha energia E< E1, rimane confi-nato in due regioninon comunicanti at-torno a M1 o M2,oppure all’esternodella regione scura,lontano da entram-bi i corpi primari. Ledue regioni ammes-se si uniscono nelpunto di LagrangeL1, e m può passaredall’una all’altra, solose E > E2. Quindi,ad esempio, se m èun satellite in motonello spazio fra laTerra (M1) e la Luna(M2), esso, partendo da Terra, può rag-giungere la Luna solo se la sua energia ètale da rispettare quest’ultima condizio-ne. Come atteso, l’estensione delle re-gioni scure proibite si riduce progressi-vamente all’aumentare dell’energia E delcorpo m.I cinque punti di Lagrange rappresenta-no i punti in cui la forza risultante agen-te su m si annulla. Essi sono dunquepossibili punti di equilibrio per m. Sen-za entrare nel dettaglio dei calcoli, si puòdimostrare che i primi tre punti (L1, L2e L3), allineati sulla retta congiungenteM1 e M2 e dipendenti dal rapporto M1/M2, sono punti di equilibrio instabile perm. Gli altri due punti, L4 e L5, sono in-vece indipendenti da M1 e M2 , forma-

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Riferimenti bibliografici

[1] Goldstein, H., 1988. Meccanica Clas-sica. Zanichelli.

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[4] Giorgilli, A., 2009. Appunti di Mec-canica Celeste – Università degli Stu-di di Milano –URL: http://newrobin.mat.unimi.it/users/antonio/meccel/meccel.html.

[5] Milani, A., 1978. Orbite Periodiche, Per-turbazioni, Risonanze: Elementi di Sto-ria Interna ed Esterna della MeccanicaCeleste. Quaderni del Dipartimentodi Matematica dell’Università delSalento -URL: http://siba-ese.unile.it/index.php/quadmat/issue/view/832.

[6] Bonolis, L., 2009. Il moto dei pianeti:ordine o caos? Il problema dei tre corpiuna sfida per la meccanica celeste. Asso-ciazione per l’Insegnamento dellaFisica –URL: http://www.lfns.it/STORIA//Materiali%20Scuole/ferrara2009/Bonolis_Tre_CorpiAIF%202009.pdf.

no con le loro posizioni due triangoliequilateri, e rappresentano punti di equi-librio stabile. Una conferma sperimen-tale di quest’ultimo risultato è fornitadall’osservazione del sistema Sole–Giove, per il quale, in corrispondenzadei punti di Lagrange L4 e L5, esistonodue famiglie di pianetini (detti “Troia-ni” e “Greci”) che seguono e precedo-no solidalmente ilmoto di Giove attor-no al Sole (Fig. 6).Anche il sistema Ter-ra–Luna ha due pun-ti di Lagrange stabili,in cui potrebbero for-marsi addensamentidi materia (microme-teoriti, polvere co-smica, . . . ), anche sele osservazioni nonhanno ancora eviden-ziato nulla.

Ordine o Caos?

Al di là delle varie so-luzioni più o menoapprossimate che siriescono ad ottenere(quali, ad esempio,quelle appena discus-se del problema ri-stretto), il problemagenerale dei tre corpiha rappresentato unasfida per diverse generazioni di mate-matici e fisici dal secolo XVIII in poi.In particolare, l’attenzione si è con-centrata sugli aspetti teorici riguardantila risoluzione delle equazioni diffe-renziali che descrivono il moto dei trecorpi. L’importanza della risoluzionedel problema era così sentita che allafine dell’ottocento il re di Svezia,Oskar II, istituì un premio da conse-gnare allo scienziato che avesse risol-to il problema in forma completa.Il premio del re di Svezia fu assegna-to nel 1889 allo scienziato franceseHenri Poincaré, non tanto perché egliavesse trovato una soluzione del pro-blema, ma piuttosto perché egli riuscìa dimostrare matematicamente che ilproblema non aveva soluzione, nel sen-so della definizione di soluzione pro-posta come soluzione periodica.In sostanza, senza entrare nel detta-glio delle considerazioni matematichesvolte [6], Poincaré confermò il risul-

tato già noto che si potessero calcola-re soluzioni approssimate del proble-ma valide per un certo intervallo ditempo. Tuttavia egli dimostrò che eraimpossibile calcolare con errore arbitra-riamente piccolo una soluzione validaper un intervallo di tempo arbitrariamentegrande e per tutte le condizioni iniziali diposizione e velocità ottenute da piccole

perturbazioni di una condizione as-segnata. Inoltre, Poincaré mostrò chein problemi del tipo di quello dei trecorpi esistono sempre orbite instabili,che dipendono fortemente dalle con-dizioni iniziali, per cui piccole varia-zioni di quest’ultime determinano si-gnificative variazioni nell’orbita. Laconseguenza principale di quest’ulti-mo risultato è che il moto di un siste-ma composto da tre corpi interagentiper mezzo della forza di gravitazioneha un comportamento caotico. Esso in-fatti presenta soluzioni non periodi-che dipendenti dalle condizioni ini-ziali del problema, caratteristiche tipi-che di quelli che poi la fisica del XXsecolo ha definito come sistemi caotici,cioè sistemi la cui evoluzione tempo-rale è estremamente irregolare e nonpuò essere determinata con esattezzaconoscendo le condizioni iniziali e leleggi fisiche che la governano.Il risultato conseguito da Poincaré ha

avuto conseguenze dirompenti sullebasi stesse della fisica classica, metten-do in crisi il determinismo della mec-canica newtoniana, per la quale “il fu-turo è determinato in maniera univo-ca dallo stato presente” [6]. In realtà,la non linearità delle semplici equa-zioni che governano il moto di un si-stema costituito da tre corpi intera-genti per mezzo della forza di attra-zione gravitazionale (Eq. 5) è respon-sabile di un comportamento nonsemplice del sistema stesso. Similecomportamento caotico è poi statosuccessivamente studiato su altri si-stemi descritti da equazioni non line-ari, quali i fluidi con bassa viscosità,caratterizzati da moti turbolenti aventicaratteristiche tipicamente caotiche. ◊◊◊◊◊

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a luna nel mito classico si legaa Diana, la dea che col suo car-ro porta l’oscurità, dopo che il

fratello Apollo ha illuminato il giornocavalcando sul carro solare.Il suo arco d’argento è il simbolo dellaluna nuova, e l’iconografia tradiziona-le la vede incoronata della curva falcatadell’astro.Nel mondo antico è considerata pro-tettrice dei boschi e della selvaggina, eviene venerata come dea della caccia, icui attributi sono l’arco, la faretra e la

fiaccola, circondata dal cane e dalla cerva,animali a lei sacri. Vive libera e sola; tal-volta però ricerca la compagnia di ninfee cani che l’aiutano durante la caccia neiboschi ombrosi, lungo chiari ruscelli esulle rive di laghetti, dove danza e sibagna al chiarore lunare.Vergine dea vendicativa e misteriosa chepuò precipitare nel crimine e nella follia,spesso si presenta con una nudità per-fetta ma inavvicinabile da qualunqueuomo: per aver visto Diana nuda du-rante un bagno, il cacciatore Atteone,

figlio di Aristeo, fu sbranato dai suoistessi cani, secondo quanto raccontanole Metamorfosi di Ovidio.Soggetto ricorrente nelle residenze su-burbane per il legame con la caccia, unodei passatempi preferiti dagli aristocra-tici durante le loro villeggiature, la sto-ria di Diana ha trovato una delle piùcelebrate e criptiche rappresentazioninella rocca di Fontanellato (nelle vici-nanze di Parma), primo indiscusso ca-polavoro di un tenero ed elegante pit-tore del Manierismo emiliano, France-

La dea lunatica Il mito di Diana nella saletta

del Parmigianino a Fontanellatodi Fabio Sottili

Fig. 1 Fontanellato, Rocca Sanvitale

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Fig. 2 Parmigianino, Ritratto del conte Galeazzo Sanvitale, 1524.Napoli, Museo di Capodimonte

sco Mazzola detto il Parmigianino. Conte del feudo di Fontanellato eradivenuto nel 1513 il diciassettenneGaleazzo Sanvitale, nobile filofrancese,sposo nel 1516 di Paola Gonzaga, figliadel marchese di Sabbioneta e apparte-nente ad un ramo cadetto della potentefamiglia signora di Mantova.Se nella residenza di Gazzuolo il padredi Paola si intratteneva con l’Ariosto, ilBandello e il Castiglione, altrettanto nellaloro corte di Fontanellato i novelli spo-si ospitavano umanisti, nonché uomi-ni di fede e di lettere vicini all’effimeromovimento che propugnò un rifor-mismo religioso anche in Italia.L’opera pittorica, secondo lacritica più recente, venneapprontata fra la pri-mavera del 1523 el’estate del 1524, an-che se Vasari nonne fa alcun cennonelle sue Vite, per-ché fu tenuta na-scosta dai Sanvi-tale fino al 1696;stessa damnatiomemoriae subì laCamera della Ba-dessa nel monaste-ro di San Paolo, semprea Parma, affrescata dal Correg-gio col più bel pergolato del Ri-nascimento (1518-19), evidentemodello per quello dell’impresadi Fontanellato. Quando nel 1566Giorgio Vasari arriva a Parma perla seconda edizione delle Vite, nonvede né sente alcuna notizia di en-trambi gli affreschi, nonostantel’aretino fosse un grande estimatoredei due artisti emiliani.Ciò ha fatto accrescere ancora di più lacuriosità per un’opera che già di per sési dimostra fortemente enigmatica edintellettualistica, prodotto di una corteumanistica dalla complessa ed ermeticacultura. Anche la posizione della stanzaal piano terra del castello labirintico diFontanellato, lontana dagli appartamen-ti di rappresentanza, e probabilmentepriva di finestre in origine, accresce il

senso di mistero che aleggia sulla narra-zione pittorica di Parmigianino.Al di là delle ipotesi avanzate finora sulsignificato simbolico del decoro di unastanza dalla funzione incerta (bagno,boudoir, stufetta, studiolo, sacrario fami-liare), e che ne hanno proposto di voltain volta una lettura alchemica, neopla-tonica, cristologica, petrarchesca, la più

chiara interpretazione sembra possibilepartendo da un’analisi degli stessi luo-ghi, oltre che dal testo di Ovidio e dallevicende della famiglia Sanvitale.Giovani i committenti, ancor più gio-vane Parmigianino, allora appena ven-tenne, che nell’Autoritratto coevo (oggia Vienna) si effigiava angelico, efebicoed imberbe, ma riflesso, con curiosa biz-

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Fig. 3 Parmigianino, Saletta di Diana e Atteone, Parete con Atteone-donna a caccia.Fontanellato, Rocca Sanvitale

zarria, da uno specchio convesso.Lo stesso specchio è al culmine dellastanza di Fontanellato.Quest’ultima misura tre metri e mezzoper quattro e mezzo, è coperta da unavolta a botte lunettata a sesto ribassato,e presenta tre registri ad affresco chepoggiano su una cornice dorata sullaquale corre una scritta che non è né unacitazione da Ovidio, né da nessun altrotesto classico: AD DIANAM / DICDEA SI MISERUM SORS HUCACTEONA DUXIT A TE CURCANIBUS / TRADITUR ESCASUIS? NON NISI MORTALES ALI-QUO / PRO CRIMINE PENASFERRE LICET: TALIS NEC DECETIRA / DEAS (“A Diana. Di’, o dea,perché, se la Sorte che ha condotto qui ilmisero Atteone, egli è da te dato in pa-sto ai suoi cani? Non per altro che per

una colpa è lecito che i mortali subisca-no una pena: un’ira tale non si addicealle dee”).Alla sommità della volta, sulla cornicedello specchio anamorfico, un’altra scrit-ta conclude l’invocazione a Diana:RESPICE FINEM (“Rifletti sulla fine”).Il registro inferiore finge un ambientedalle volte mosaicate d’oro, con lunettesostenute da peducci con le effigi diMedusa (simbolo di morte), per acco-gliere la tragica storia di Atteone; il regi-stro intermedio rappresenta invece unmeraviglioso pergolato di rose, anima-to da vivaci putti, per indicare il limbodell’innocenza; infine sul cielo, al centrodella volta, domina lo specchio conves-so circondato dalla scritta che allude alfine supremo (Dio), al quale l’uomodeve guardare con fiducia.Siamo nel 1523. Per i sostenitori della

Fig. 4 Parmigianino, Saletta di Diana eAtteone, Particolare del levriere tenutoal guinzaglio da Atteone-donna nellaparete con Atteone a caccia.Fontanellato, Rocca Sanvitale

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Fig. 5 Parmigianino, Saletta di Diana e Atteone, Parete con l’incontro fra Diana e Atteone.Fontanellato, Rocca Sanvitale

Francia, come Galeazzo Sanvitale, sonoanni critici, poiché già da due anni i fran-cesi sono stati scacciati dal ducato di Mi-lano, al quale appartenevano i territoridi Parma e Piacenza fin dal 1512. Il cli-ma teso per gli eventi bellici e politiciviene accentuato da un lutto avvenutoin quell’anno alla corte di Fontanellato:poco dopo la nascita muore il secondo-genito, e unico maschio, dei conti.

È in questo contesto che Parmigianinoaffrescò la sala del castello, certamenteentro l’autunno del 1524, ossia primadella sua partenza per Roma.All’epoca il pittore, pur giovanissimo, ave-va dato prova delle sue alte qualità in varidipinti da cavalletto e nell’affrescatura del-la chiesa di San Giovanni Evangelista aParma; ma sarà proprio l’opera diFontanellato a rappresentare una delle fasi

cruciali della sua arte sofisticata, idealiz-zante, segreta ed elegantissima, consacran-dola come uno dei massimi esempi dellapittura di Maniera cinquecentesca.Il progetto iconografico risulta misterio-so per diversi aspetti, pertanto convienepartire dalla lettura della narrazione pitto-rica per comprendere il suo significato sim-bolico e la ragione che lo ha generato.Seguendo le Metamorfosi di Ovidio,

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Fig. 6 Parmigianino, Saletta di Diana e Atteone, Particolare della metamorfosi di Atteone-donna in cervo nella parete raffigurante l’incontro fra Diana e Atteone. Fontanellato, Rocca Sanvitale

Atteone mentre sta partecipando ad unabattuta di caccia in una foresta con ungruppo di amici, rimane solo e si ad-dentra nel folto della vegetazione, dove,a sua insaputa, Diana con alcune ninfesta bagnandosi nelle acque di una sor-gente. Facendosi largo fra le fronde delbosco Atteone si trova proprio di fron-te alla dea, nuda e bellissima: questa sivendica immediatamente per la viola-zione della sua intimità gettando ad-

dosso al cacciatore uno spruzzo d’ac-qua che lo trasforma in un cervo, il qua-le viene così immediatamente sbranatodagli stessi suoi cani che lo avevano se-guito.Il primo elemento chiave per la letturadell’opera è la vicenda di Atteone, ilquale, pur essendo incolpevole, vieneraggiunto da una punizione crudele esproporzionata della divinità rispettoad un atto compiuto in modo invo-lontario, perché il cacciatore non ha scel-to di offendere Diana; è il caso a portar-lo nel luogo dove si trova la dea. Taleconcetto, infatti, si trova scritto con ca-ratteri all’antica lungo il fregio chesottende l’affresco della saletta.Il secondo elemento è rappresentatodalle forme con le quali viene propostoil protagonista delle pitture: Parmigia-nino raffigura Atteone esclusivamentecon sembianze femminili, secondoquanto è ravvisabile anche da uno stu-

dio preparatorio per l’affresco ora con-servato a New York. Forse è questa laragione che ha portato il pittore a posi-zionare l’Atteone-donna sopra la paro-la Acteona della sottostante iscrizione, ilcui accusativo alla greca suona femmi-nile a orecchie italiane.Proprio nel 1523 nel castello di Fonta-nellato una donna, Paola Gonzaga, erastata punita ingiustamente dal destinocon la perdita del figlio appena nato.Lo stesso bimbo è stato effigiato soprala lunetta in cui Atteone viene dilaniatodalla sua muta di cani, e viene morsodal suo cane preferito, riconoscibile dalcollare ornato dalla conchiglia bivalve:nell’antichità la conchiglia era simbolodella maternità, e Diana era consideratala protettrice delle partorienti e dei lat-tanti. Proprio Galeazzo Sanvitale avevala conchiglia come emblema, secondoquanto è ravvisabile nel ritratto che Par-migianino gli fece durante il soggiorno

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Fig. 8 Parmigianino, Saletta di Diana e Atteone, Particolare effigiante i figli di Galeazzo e Paola Sanvitale nella parete conl’uccisione di Atteone-cervo. Fontanellato, Rocca Sanvitale.

a Fontanellato, ed ora presente nellecollezioni di Capodimonte.Il bambino viene raffigurato nell’affre-sco con una collana di granati mentretiene in mano un ramo di ciliegie, sim-boli di una morte prematura, e vienetenuto in braccio dalla sorella, poco piùgrande di lui.Siamo quindi di fronte ad un’allegoriache tratteggia la tragedia vissuta dalla

nobildonna, colpita senza una ragionedalla sua stessa divinità protettrice.La stanza diverrebbe in tal modo una crip-ta del dolore, un luogo della memoriafamiliare e della meditazione, destinato alricordo del bimbo; infatti le teste di Me-dusa (simbolo di morte) alla base dellelunette sarebbero inappropriate in unambiente dall’uso conviviale.Al tema della morte si legano anche di-

verse altre figure dipinte. Nella lunetta adestra di quella dove è raffigurata l’ucci-sione del cervo vediamo un giovane edun vecchio, allusione al trascorrere dellavita negata al neonato. Una delle ninfeignude a destra di Diana posa la manosu due libri, quello della Vita e quellodella Morte. La donna che sovrasta l’at-tuale finestra, nella lunetta che fronteg-gia quella di Diana, raffigura ancora una

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Bibliografia:- P. Klossowski, Il Bagno di Diana, Milano 1983, con una nota di Vittorio Sgarbi (pp. 151-162)- G. Guadalupi, F. M. Ricci, La Saletta del Parmigianino, in: Fontanellato. La Rocca Sanvitale, Milano 2002, pp. 24-47- L. Fornari Schianchi, Parmigianino: gli esordi e le opere fino alla partenza per Roma (1524), in: Parmigianino e il manierismo

europeo, a cura di L. Fornari Schianchi, S. Ferino-Pagden, catalogo della mostra allestita alla Galleria Nazionale di Parma (8febbraio – 15 maggio 2003) e al Kunsthistorisches Museum di Vienna (4 giugno – 14 settembre 2003), Milano 2003, pp. 22-26,al quale si rimanda per ogni ulteriore approfondimento.

Fig. 9 Parmigianino, Saletta di Diana e Atteone, Particolare della parete con Diana-Ecate.Fontanellato, Rocca Sanvitale.

volta la dea (tradizione vuole che lefattezze del volto siano quelle di PaolaGonzaga) rappresentata qui come Ecate,sua personalità infera, legata alla morte,che tiene in una mano il cantaro del vinoper le libagioni funebri e nell’altra unaspiga di grano, probabile allusione alsacrificio di Cristo, anch’esso morto sen-za colpa per soddisfare il disegno divi-no.Merita ricordare che proprio in queglianni alla corte di Giulia Gonzaga Co-lonna, sorella di Paola, si discuteva ditemi protestanti, quali il libero arbi-trio, la grazia, e la predestinazione.

Non dobbiamo però considerarel’opera come un’esaltazione delle ideeluterane, infatti notiamo due atmo-sfere diverse nei vari registri del deco-ro pittorico: quello più basso (la sto-ria di Atteone) rappresenta un gridodi rivolta contro il destino, mentre glialtri due, con serenità, aprono lo sguar-do verso un giardino fiorito sul cuicielo campeggia l’occhio divino, fineultimo dello sguardo dell’uomo, chelì vi si riflette.Gli affreschi della stanza, pertanto, par-tendo da un personale evento doloro-so della famiglia Sanvitale riletto in chia-

ve mitologica, si chiudono con una ri-flessione generale sul destino dell’uo-mo, manifestando ormai quella crisi dicertezze propria dell’età della Maniera;anche lo stile pittorico di Parmigianino,pur avvicinandosi a quello del Correg-gio, si fa movimentato, pieno di torsio-ni e contrappunti, con l’allungamentodelle figure ed un nervosismo nel dise-gno e nel colore, che conduce il pittoread una forma pura, svincolata dalle irre-golarità della natura, secondo quella ri-cerca che è frutto di un’alta deformazio-ne intellettualistica, tipica dell’ultimafase del Rinascimento. ◊◊◊◊◊

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Note sulla luna,confidente predilettadi Giacomo Leopardi

di Doria Polli

“Vedendo meco viaggiar la luna”

a luna è stata parte dello studiomatto e disperatissimo1 di Leopar-di che assai giovane ha scritto

una Storia dell’astronomia e a tale riguar-do lo stesso I. Calvino ci ricorda che “lacontemplazione del cielo notturno cheispirerà a Leopardi i suoi versi più bellinon era solo un motivo lirico; quandoparlava della luna Leopardi sapeva esat-tamente di cosa parlava.”2

Principale confidente nei Canti, compa-re fin dalla prime pagine dello Zibaldoneed è protagonista anche in Dialogo dellaTerra e della Luna delle Operette morali,dove più chiaramente rivela, conferman-dole, alcune sue caratteristiche, qualequella di esercitare una vera e propriafunzione conoscitiva nei confronti del-la terra e della condizione umana. Pre-senza assidua nei testi di poesia e prosadi Leopardi, la luna sia stimola l’imma-ginazione, sia aiuta a meglio compren-dere la stessa realtà, e nell’ adempierequesta duplice funzione è accompagna-ta da espressioni lessicali sorvegliatissi-me, secondo l’attento studio offertodall’autore nelle pagine del suo Zibaldone,a cominciare dalla distinzione tra paro-le e termini: le prime capaci nella lorovaghezza di dilatare spazi immaginati-vi, i secondi invece più adatti, in virtùdella loro capacità di determinare con-cetti, al linguaggio scientifico.3 Per tentare di comprendere questo du-plice ruolo affidato alla luna, meritanoattenzione sia gli aggettivi sia le moda-lità d’azione che le vengono attribuite eche più frequentemente appartengonoall’area semantica della luce, che pure nel-lo Zibaldone è oggetto di particolare stu-dio.4 Impossibile però riprodurre inte-

ramente la ricca aggettivazione scelta daLeopardi per questa sua fedele compa-gna, le cui diverse fasi ha davvero se-guito nell’intero suo corso di poeta eche pure ha assegnato quale fedele com-pagna all’uomo in cammino, si chiamiviatore o pastore errante o carrettiere o an-cora confuso viatore.5 Essa è stata impie-gata da Leopardi nelle pagine di prosa epoesia, dai registri più diversi per rap-presentare le situazioni più diversifica-te: da quelle letteralmente scherzose aquelle ironiche e critiche a quelle tragi-che a quelle straordinariamente liriche.Insomma la luna è parte integrante delcomplesso pensiero leopardiano e soloil ricorso a dirette citazioni può offrircialcuni spunti di riflessione sull’impor-tanza che essa riveste.Risalgono al 1816 i versi di Appressa-mento della morte, inserito poi nei “Fram-menti”6, in cui la luna compare con lasua luce argentea ad illuminare gli spazidi un umido candore e la sua scompar-sa coincide significativamente con lacomparsa di un nugol torbo, foriero ditempesta.“(…)Spandeva il suo chiaror per ogni bandala sorella del sole, e fea d’argentogli arbori ch’a quel loco eran ghirlanda.(…) Limpido il mar da lungi, e le campagnee le foreste, e tutte ad una ad unale cime si scoprian delle montagne.

In questa ombra giacea la valle bruna,e i collicelli intorno rivestiadel suo candor la rugiadosa luna.(…)Un nugol torbo, padre di procella,

sorgea di dietro ai monti, e crescea tanto,che più non si scopria luna né stella.”Cronologicamente l’esperienza poeticasi apre dunque con il chiarore di questarugiadosa luna che però viene ottene-brato e sembra così quasi anticipare queltragico tramonto verso la conclusionedei Canti. Dei “Frammenti” uno rivesteparticolare interesse perché costituito daun idillio a due voci tra i pastori Alceta eMelisso incentrato su un sogno del pri-mo circa la caduta della luna dal cielo…“infin che venne a dar di colpo in mezzo alprato;” Alceta, con un linguaggio sem-plice e concreto, nel suo breve raccontoesprime il proprio spavento:“La luna, come ho detto, in mezzo al pratosi spegneva annerando a poco a poco,e ne fumavan l’erbe intorno intorno.Allor mirando in ciel, vidi rimasocome un barlume, o un’orma, anzi una nicchia,ond’ella fosse svelta; in cotal guisa,ch’io n’agghiacciava; e ancor non m’assicuro.”Nella sua ingenuità, non coglie l’ironiadell’amico: “E ben hai che temer, che agevol cosa fora cader la luna in sul tuo campo.”Anzi continua nei suoi pensieri sullacaduta delle molteplici stelle che vengo-no poi conclusi dal più accorto Melissocon una riflessione sull’unicità dellaluna.“…Ma solaha questa luna in ciel, che da nessunocader fu vista mai se non in sogno.” 7

Nella canzone Bruto minore del 1821, laluna già funge, quale emblema dellanatura, da testimone indifferente dellevicende storico-drammatiche dell’ope-rare umano, come risalta dalla aggetti-vazione conferitale di candida, placida e

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tacita che stanno a significare la sua in-sensibilità, tanto più perché in nettocontrasto con gli aggettivi inquieta,funesta propri dei luoghi da lei esploratie, forse, unico segno di ridimensiona-mento di tale opposizione, il permane-re del suo immutato raggio anche quan-do il popolo italico sarà reso servo.8 Nell’Ultimo canto di Saffo, che con laprecedente costituisce un dittico per ilsuicidio dei rispettivi protagonisti, laluna, nella stessa apertura, la notte el’astro di Venere sono invece invocatequali dilettose e care immagini.9 Così purenella Sera del dì di festa:“Dolce e chiara è la notte e senza vento, e queta sovra i tetti e in mezzo agli ortiposa la luna, e di lontan rivelaserena ogni montagna.” (…)10

In questi tipici versi leopardiani, propridi uno degli Idilli11, la calma della lunaben si addice alla altrettanto tranquillanotte e svolge la sua funzione primariadi illuminare luoghi lontani, come ras-serenati dalla sua luce. E’ un’immaginedi cui Leopardi ricorda la somiglianzacon un passo dell’Iliade da lui tradottonel suo Discorso di un italiano sulla poesiaromantica.Nell’idillio a lei dedicato, secondoquanto enunciato dal titolo Alla luna,

la incontriamo come confidente dilet-ta dell’animo angosciato del poeta,perché oltre che partecipe quasi al suodolore con il suo nebuloso e tremulo vol-to è per lui motivo di conforto, inquanto gli suscita la ricordanza che inLeopardi è sempre fonte di piacere.12

Essa è poi salutata affettuosamentedal poeta come benigna delle notti reinanella Vita solitaria, in cui il suo raggiorisulta infesto alle malvage menti, nellasua azione rivelatrice per la quale erastato accusato anche dal poeta in pas-sato, mentre nella sua solitudine cidice“Or sempre loderollo, o ch’io ti miriveleggiar tra le nubi, o che serenadominatrice dell’etereo campo,questa flebil riguardi umana sede.” 13

E’ già in questo sguardo della luna neiconfronti della flebil umana sede che pos-siamo cogliere la funzione conoscitivada essa svolta nei confronti del mondoumano approfondita con ironia criticanel Dialogo della Terra e della Luna.14 Qui,come in numerose altre Operette morali,Leopardi attua la sua critica al geocen-trismo e induce a riflettere sul relativi-smo delle nostre presunte conoscenzese non addirittura sui nostri errori e,soprattutto, sulla presenza universale

del male, tramite una vasta gamma diregistri linguistici. Nell’operetta in esa-me, sorprende già il fatto di incontrareuna Luna personificata, solitamente si-lenziosa, muta nei Canti, viceversa sag-gia interlocutrice, capace di modulare isuoi toni e le espressioni passando dalcomico al malinconico, al tragico, seb-bene si presenti sempre amica del silenzioper affrontare serie questioni con la Ter-ra, che si rivela peggio che vanerella nellesue ostinate convinzioni di conformitàdi qualunque parte del mondo a se stessa.Entrambe si dichiarano assordate, ma laTerra anche a tale proposito dimostrauna mente ottusa, analoga a quella de-gli aristotelici di galileiana memoria,perché convinta della presenza attribui-ta all’antico Pitagora di un suono piacevo-lissimo che fanno i corpi celesti coi loro moti.Altro suo convincimento che potrem-mo davvero definire terra-terra, è che laLuna sia abitata da uomini sebbeneammetta “per quanto mi sforzi di allunga-re queste mie corna, che gli uomini chiamanomonti e picchi; colla punta delle quali ti vengomirando, a uso di lumacone; non arrivo ascoprire in te nessun abitante”.Del tutto diverso l’atteggiamento dellaLuna che sostiene, in una sorta disocratica ignoranza, “a quel che io stimo,

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degli uomini, io non ho compreso un’acca.”La Terra poi riconoscendosi di grossa pa-sta e di cervello tondo procede dapprimacon una lunga serie di ciance, piene deipiù diversi e radicati pregiudizi umani,ma nel corso del dialogo è indotta adassumere un atteggiamento più pru-dente, sebbene non riesca a liberarsi daun sapere meramente libresco.Dal Dialogo, nelle sue intrinseche ca-ratteristiche dialettiche, emerge addi-rittura una corrosione della mirabilevisione della luna offertaci da Ario-sto; escogitata allora in funzione criti-ca verso la società del suo tempo, per-ché la luna, piena di tutto ciò che interra si perdeva, era stracolma di sen-no e la terra era ridotta a regno dellapazzia, è da Leopardi irrisa: la terracontinua ad essere piena di pazzia, madi senno non rimane traccia nemme-no sulla luna! Terra e Luna si rivelanocomuni ricettacoli di male: “perché ilmale è cosa comune a tutti i pianeti del-l’universo, o almeno di questo mondo sola-re (…)”, e la Terra a conclusione deldialogo, acquisita la consapevolezzadella cosmica negatività che può spa-ventare gli uomini, non a caso qui chia-mati gente, non vuole irrompere loro ilsonno, che è il maggiore bene che abbiano. Dopo la maieutica esercitata nel dia-logare con la Terra, la luna ricompare

nei Canti, nuovamente silenziosa, muta,ma il suo è un silenzio eloquente. Dinuovo vergine, intatta, solinga, eternaperegrina, pensosa, giovinetta immortale,candida appare negli splendidi versi delCanto notturno di un pastore errante del-l’Asia, allo stesso pastore che, nel suocammino lacero e sanguinoso, pur aven-do per meta un abisso orrido, immenso,non smette di osservare ed interroga-re questa sua muta compagna di viag-gio. Essa permane muta in sul desertopiano, non risponde alle profondedomande di senso: “Che fa l’aria infinita, e quel profondoinfinito seren? Che vuol dire questasolitudine immensa? Ed io che sono?” 15

Ed il pastore errante Leopardi, dopoaver ipotizzato una sorte migliore al-meno per gli animali esentati dallanoia, conclude:“Forse in qual forma, in qualestato che sia, dentro covile o cuna,è funesto a chi nasce il dì natale.” 16

C’è nel Sabato del villaggio un quadro se-reno al biancheggiar della recente luna. In-fine, davvero alla fine di un camminoesistenziale breve ma intenso, perché ènel 1836 che Leopardi scrive Il Tramontodella luna, dove emblematicamente“giunta al confin del cielo,dietro Appennino od Alpe, o del Tirrenonell’infinito seno

scende la luna; e si scolora il mondo;”17

essa, sempre protagonista, viene let-teralmente salutata con mesta melodiadal carrettier, perché ancora una volta,l’ultima ormai, l’estremo albor della fug-gente luce, che dianzi gli fu duce, è senti-ta come fedele compagna, guida me-ritevole di essere salutata. Il suo tra-monto viene paragonato al finire del-la giovinezza, che lascia abbandonata,oscura la vita umana, aggravata poidalla vecchiaia; in definitiva anche inquesti ultimi versi incontriamo nuo-vamente l’uomo in cammino, che nellasua continua ricerca del significato del-la propria esistenza è confuso viatore,testimone della reciproca estraneità tralui ed il mondo naturale: questoquando sarà tramontato lo splendor che(…) inargentava della notte il velo, saràancora letteralmente inondato dallaluce del sole, mentre la vita mortal (…)vedova è insino al fine.”18

Leopardi non ha dunque mai distol-to il suo sguardo dalla luna, fedele aquel suo vedendo meco viaggiar la luna,uno dei primi pensieri annotati nelloZibaldone, nel suo percorso poetico-conoscitivo con cui non smette di sol-lecitare anche il nostro sguardo di let-tori, perché tutte le volte che ci parladel chiarore lunare rischiara la nostrapiccolezza. ◊◊◊◊◊

1) cfr. Lettera a P. Giordani del 2 Marzo 1818, in vol. V, di Tutte le opere, MI, 1949.2) cfr. I. Calvino, Lezioni Americane, MI, 1988, p. 26.3) cfr. quanto precisato da G. Leopardi, nell’Aprile del 1820, in Zibaldone di pensieri, MI, 1991, vol. 1, p. 123: Le parole come osserva il Beccaria (tratt.

dello stile) non presentano la sola idea dell’oggetto significato, ma quando più quando meno immagini accessorie. Ed è pregio sommo della lingua l’aver di queste parole.Le voci scientifiche presentano la nuda e circoscritta idea di quel tal oggetto, e perciò si chiamano termini perché determinano e definiscono la cosa da tutte le parti.

4) cfr. G. Leopardi, op. cit., p. 1013: Da quella parte della mia teoria del piacere dove si mostra come degli oggetti veduti per metà, o con certi impedimenti ec. cidestino idee indefinite, si spiega perché piaccia la luce del sole o della luna, veduta in luogo dov’essi non si vedano e non si scopra la sorgente della luce; un luogo solamentein parte illuminato da essa luce; il riflesso di detta luce, e i vari effetti materiali che ne derivano; il penetrare di detta luce in luoghi dov’ella divenga incerta ed impedita,e non bene si distingua, come attraverso un canneto, in una selva, per li balconi socchiusi ec. ec.;

5) Così sono denominati rispettivamente i personaggi che compaiono in: Alla Primavera o delle favole antiche, Canto notturno di un pastore errantedell’Asia e in Il tramonto della luna, tutti presenti in G. Leopardi, Canti, MI, 1993, a cura di U. Dotti.

6) cfr. G. Leopardi, Frammento XXXIX, in Canti, op. cit., pp. 472-6.7) cfr. G. Leopardi, Frammento XXXVII, in op. cit., pp. 467-98) cfr. E tu su l’alpe l’immutato raggio/tacita verserai quando ne’ danni/del servo italo nome,/sotto barbaro piede/rintronerà quella solinga sede. In G. Leopardi,

Bruto minore, vv. 87-90 in Canti, op. cit., p. 261.9) cfr. Placida notte, e verecondo raggio/ della cadente luna; e tu che spunti/ fra la tacita selva in su la rupe,/

nunzio del giorno; oh dilettose e care/ mentre ignote mi fur l’erinni e il fato,/ sembianze agli occhi miei; già non arride/spettacol molle ai disperati affetti. In G. Leopardi, Ultimo canto di Saffo, vv. 1-7 in Canti, op. cit., pp. 281-2.

10) cfr. G. Leopardi, la sera del dì di festa, vv. 1-4 in Canti, op. cit., p. 302.11) Leopardi nei Disegni Letterari del 1828, definirà la sua poesia idillica composta tra il 1819 ed il 1821: Idilli esprimenti situazioni, affezioni, avventure

storiche del mio animo.12) Cfr. G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, op. cit. p. 1122, in un pensiero del 25 Ottobre 1821, dove afferma: Siccome le impressioni, così le ricordanze

della fanciullezza in qualunque età, sono più vive che quelle di qualunque altra età. E son piacevoli per la loro vivezza, anche le ricordanze d’immagini e di coseche nella fanciullezza ci erano dolorose, o spaventose ec. E per la stessa ragione ci è piacevole nella vita la ricordanza dolorosa, e quando bene la cagion del dolore nonsia passata, e quando pure la ricordanza lo cagioni o lo accresca, come nella morte de’ nostri cari, il ricordarsi del passato ec.

13) cfr. G. Leopardi, La vita solitaria, vv. 100-4, in Canti, op. cit., p.119.14) tutte le citazioni proposte di tale testo sono riprese da G. Leopardi, Dialogo della Terra e della Luna, pp.91-97 in G. Leopardi, Operette

morali, Mi, 1998, a cura di A. Prete.15) cfr. G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, vv. 87-8 in Canti, op. cit., p. 373.16) cfr. op. cit. , vv. 141-3, p. 376.17) cfr. G. Leopardi, Il tramonto della luna, vv.9-1218) cfr. op. cit. vv. 63 e 65, p. 445.

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’episodio dell’Orlando Furioso“Astolfo sulla Luna” è uno deipiù celebri del poema arioste-

sco e può essere considerato a buontitolo il punto di massimo sviluppoletterario di un tema trasversale del-l’opera: la riflessione del poeta sullavanità dei desideri degli uomini e sul-la loro ricerca infinita e indefinita dioggetti che si rivelano delusori. Il pa-ladino Astolfo, che quasi per caso siritrova sulla Luna guidato da Giovan-ni il Battista, è incaricato di recuperareil senno di Orlando, perduto in se-guito alla sua pazzia amorosa, dovu-ta alla passione non ricambiata perAngelica, la donna oggetto della quêsteche coinvolge i protagonisti del Fu-rioso fin dal primo canto. La letturasimbolica di questo avvenimento ri-leva nel personaggio di Angelica larappresentazione personificata dellecose ricercate dagli uomini che, inca-paci di realizzare i loro desideri e diraggiungere i loro obiettivi “terreni”,impazziscono e perdono il senno. Esulla Luna Astolfo scopre un enormevallone dove si trovano tutte le coseche, per colpa del tempo, della Fortu-na o degli errori sono state perse da-gli uomini sulla Terra. La rassegna al-legorica degli oggetti perduti costitu-isce una laica affermazione della vani-tà di tutte le cose e di tutti i desideridegli uomini (che si integra con quellareligiosa, contenuta nell’Ecclesiaste:“vanitas vanitatum et omnia vanitas”)per cui la perdita di senno si configu-ra come “perdita primaria”, poiché

con esso viene a man-care l’elemento cardinedel pensiero umanoche si abbandona, cosìcome Orlando, a unafollia totale.Le ottave 69 – 86 delcanto XXXIV immer-gono il lettore in un’at-mosfera fantastica: contoni fiabeschi, lontanisia dalla tradizione epi-ca del poema cavallere-sco sia dalla sacralità ti-pica della descrizioneletteraria dei viaggi ul-tramondani, la Luna èpresentata come unospecchio della Terra(“come un acciar che nonha macchia alcuna”), diuguali dimensioni e conall’interno fiumi, laghi,campagne, città e castel-li. Essa non è il “total-mente altro” caratteristico della visio-ne religiosa medievale o la perfetta sfe-ra celeste descritta dal sistema aristo-telico tolemaico, ma la manifestazio-ne sensibile del processo di strania-mento tipico del poema: la Luna ècomplementare alla Terra, in quantocontiene tutto ciò che in essa si è per-duto, o meglio è la rappresentazionedella Terra stessa vista da una prospet-tiva diversa, infinitamente lontana edestranea nello spazio e nel tempo, dal-la quale il poeta con sguardo ironico,disincantato e forse anche malinconi-

co contempla con distacco la piccolez-za delle aspirazioni umane e il velo diipocrisia e di falsità che le ricopre. Pa-radossalmente la descrizione dellaLuna è più realistica, nonostante l’at-mosfera fiabesca, di quella del castellodi Atlante, il mago che rinchiude inun evanescente mondo di sogni alcu-ni personaggi, nonostante questa suadimora si trovi sulla Terra. La prigio-nia dell’uomo in un mondo effimeroè molto più vicino a noi (poiché pre-sente sulla Terra), dunque, dell’effet-tiva realtà, rappresentata dall’enorme

Come uno specchioCome uno specchioCome uno specchioCome uno specchioCome uno specchioLa Luna vista da Ludovico Ariosto: l’episodio di Astolfo

di Pierluigi Niro Va E

Astolfo sulla Luna, incisione di Gustave Doréper l’edizione illustrata dell’Orlando Furioso

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specchio del vallone lunare. La Lunadiviene perciò un topos letterario dalsignificato nuovo, il luogo d’ispira-zione laica del rapporto rovesciato trarealtà e fantasia che mette in luce lanatura vana e folle delle azioni di tuttigli uomini (significativa a questo pro-posito è l’ironica iterazione dell’agget-tivo “altro” nella 72° ottava del canto,nella comparazione tra le caratteristi-che della Terra e del suo satellite). Einfatti con felice intuizione l’Ariostoesclude dal regno lunare la presenzadella follia, poiché essa permane sullaTerra nella mente degli uomini.Queste considerazioni di carattere ge-nerale inglobano anche uno sguardodiretto alla società del suo tempo: tuttifiniscono nella rete del poeta, adula-tori, nobili, cortigiani, ecclesiastici, tra-dizioni sociali, superstizioni e poetistessi; tutto ciò con misurata ironia,intesa come un nuovo strumento distudio e approccio alla realtà. L’episo-dio della Luna, tuttavia, non deve es-sere interpretato come una denuncia,da parte di Ariosto, della corruzioneo del degrado morale della societàquanto piuttosto come la constatazio-ne generale della transitorietà delle vi-cende umane di ogni tempo e dellapiccolezza della Terra (quasi un’ecodantesca dell’ “aiuola che ci fa tantoferoci”1), che dalla Luna può essere fi-nalmente vista con una prospettivaunitaria in tutta la sua contradditto-rietà, ma senza cadere nel moralismo,grazie al grandangolo dell’ironia.Come l’Ariosto utilizza l’ironia allostesso modo l’elemento magico èfunzionale nell’episodio per la riusci-ta della laica missione di Astolfo che,non a caso, è l’unico nel poema a nonsubire la forza devastatrice della pas-sione amorosa e dunque l’unico de-gno a compiere il viaggio per recupe-rare il senno di Orlando. Parte dellacritica ha evidenziato il parallelismotra Ariosto e il suo personaggio che,come il poeta, dovrebbe essere scevroda passioni nascoste e da pregiudizisull’umanità e di essa osservatore li-bero, attento e disinteressato. Tutta-

via è lo stesso Ariosto a informarciche anche lui è pienamente partecipedell’ambiguità umana quando, al ter-mine dell’episodio, l’autore intervie-ne rivelando al lettore che anche il suosenno si trova lassù perché il suo cuo-re è stato trafitto dalla freccia dell’amo-re (“chi salirà per me, madonna, in cielo/ a riportarne il mio perduto ingegno?/ che, poi ch’uscì da’ bei occhi il telo /che ‘ l cor mi f isse , ognior perdendovegno”2).Quindi “la pazzia umana, che in fondocoincide con la mutevole natura dei no-stri desideri, non viene giudicata dall’al-to di una sag gezza immobile e universa-le, ma nell’ambito di una consapevolez-za della dinamica e del reciproco condi-zionarsi dei nostri affetti”.3Il viaggio di Astolfo si configura comeun’avventura eminentemente pratica:dopo avere abbandonato l’Infernoperché la sua porta era avvolta dalfumo, conclude il suo viaggio sullaLuna una volta raggiunto il suo sco-po, ovvero una conoscenza umana elaica che si incarna nell’ampolla di ve-tro che contiene il senno del grandepaladino. E nemmeno Astolfo si sor-prende più di tanto di scoprire che an-che il suo senno si trova sulla Luna,quanto piuttosto di trovare anche leampolle appartenenti a quei personag-gi terreni che rappresentavano un mo-dello sociale, politico o culturale dellesignorie italiane del XVI secolo. Il viag-gio ultramondano di Astolfo sul car-ro del profeta Elia, guidato dalla fi-gura di Giovanni il Battista, è dunqueun’avventura laica nonostante i richia-mi religiosi: la Luna per la prima vol-ta nella letteratura italiana è un ogget-to che l’uomo non può dominare oconquistare, ma nemmeno contem-plare passivamente: lo può scoprire eutilizzare come prospettiva sul mon-do, come luogo filosofico che invitaalla riflessione. Di qui la straordinariamodernità del Furioso e della sua po-esia che non solo dissolve il mondocavalleresco (secondo la definizioneche ne dà Hegel nella sua Estetica), maci svela l’ambiguità dell’essere uomo

in tutti i suoi aspetti, delineando lecontraddizioni e il dualismo spessoinsuperabile tra ragione e sentimentopresenti nei pensieri e nelle azioni del-l’uomo, e che lo caratterizzano cometale.Interessante è notare l’influenza cheLeon Battista Alberti ha avuto nellastesura di questo episodio: un passodel Somnium, che fa parte degli Interco-enales, ha molte caratteristiche in co-mune con la raffigurazione della Lunacome un enorme bazar dove si trova-no gli oggetti perduti sulla Terra. Unaffresco che in Alberti è racchiuso inun sogno, quasi a voler raffigurare unmondo perduto, ma conoscibile at-traverso il pensiero e lo spirito, men-tre in Ariosto è un viaggio reale, unosguardo diretto alla complessità dellarealtà che ci circonda.È significativo che Alberti sarà coluiche svilupperà un metodo razionalenell’architettura, così come Ariosto hasperimentato, con la sua idea di spa-zio circolare e tempo orizzontale,un’armonica perfezione strutturale inun solo apparentemente caotico labi-rinto di versi, immagini, sensazioni eriflessioni.Da questa raffigurazione emerge quel-lo che è il fine del poema di Ariosto:l’aspirazione a un equilibrio nella vita;e il continuo errare all’interno del po-ema, inteso come viaggio, come diva-gazione fisica e spirituale, ma anchecome errore (per conoscere si deve va-gare e anche sbagliare, ma solo sba-gliando si può conoscere davvero,come insegnerà un altro grande italia-no che si occuperà della Luna, Galileo)costituisce la ricerca di un senso dellamisura tipico dell’uomo rinascimen-tale e che giustifica l’identificazionedell’Orlando furioso con l’Ariosto stes-so, poeta ma soprattutto essere uma-no. ◊◊◊◊◊

1 Paradiso, XXII, 1512 Orlando furioso, canto XXXV, 13 Salinari - Ricci, Storia della letteratura

italiana. Dal cinquecento al settecento.Laterza Edizioni Scolastiche

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ubblicata sul Corriere della seradel 1912, la novella Ciaula scoprela luna è solo apparentemente

di impianto veristico: la zolfara (benimpressa nei ricordi del poeta che ne ave-va fatta un’esperienza diretta, ammini-strando per tre mesi le miniere paternenel 1886), la durezza del lavoro, lo sfrut-tamento degli operai, la protesta deisolfatari, la rievocazione dell’incidentein cui zi’ Scarda aveva perso un occhio esoprattutto il figlio Calicchio, la faticabestiale a cui è sottoposto il poveroCiaula, lo stesso impianto narrativoimpostato su un linguaggio parlato, ric-co di esclamazioni e intercalari decisa-mente lontani dalla cultura pirandellianae che spingono a pensare ad unaregressione dell’autore, concorrono a unclima verista non privo di echi verghiani.Ci accorgiamo ben presto però che sia-mo di fronte a un testo altamente sim-bolico in cui la luna, anzi, la Luna, assu-me i tratti del divino, consola, lenisce leangosce, purifica. Come negli antichimiti, in cui Iside, dea egizia della luna,presiedeva alla resurrezione e col suosparire e riapparire nel cielo nella sua pie-nezza era simbolo delle più profonde einconsce speranze di rinascita degli uo-mini, anche in questa novella la Lunapresiede a una rinascita, quella di Ciaula,giovane che fatichiamo a definire uomoperché più vicino alla bestia-lità ferina, intuibile an-che dal solo modo diparlare che evoca più il versodi una cornacchia (ciaula signi-fica proprio cornacchia) chequello umano, Ciaula sceltodall’autore perché creatura pri-

di Manuela Taddei

Per una lettura diCiaula scopre la luna di Luigi Pirandello

mitiva, ingenua, candida e per questopiù vicino ai misteri della natura e quin-di più adatto a sentire in tutta la suaricchezza un’esperienza irrazionale.Ciaula, brutto e sconciato 1, ritardatomentale, anima semplice, vittima rasse-gnata di una esistenza che non gli con-cede neppure il diritto di coscienza delproprio abbrutimento, sembra non ave-re sentimenti se non quello della pauradel buio della notte: attenzione, nondel buio in senso lato, visto che tutta oquasi la sua esistenza si consuma nellecave di zolfo, duecento metri sotto ter-ra.Perché Ciaula ha paura del buio dellanotte? Perché l’aspetto delle cose, co-nosciuto e perciò rassicurante alla lucedel sole, col buio della notte cambia (…la solitudine delle cose che restavano lì con unloro aspetto cangiato e quasi irriconoscibile,quando più nessuno le vedeva,gli avevano mes-so in tale subbuglio l’anima smarrita…): inaltre parole Ciaula teme ciò che è diver-so, diverso da quello che vede semprecon la luce del sole.Il “viaggio” che Ciaula compie si caricadi significati simbolici, è un vero e pro-prio tragitto di formazione al cui termi-ne il protagonista scopre o meglio, av-verte, la piccolezza dell’uomo di fronteall’immensità dell’universo, avverte ilmistero di un ordine delle cose che esi-ste indipendentemente dall’uomo e,

forse, leopardianamente indifferenteall’uomo stesso, che pur però

ne fa parte (…laLuna, col suo ampiovelo di luce,ignara deimonti, dei piani, dellevalli che rischiarava,

ignara di lui, che pure per lei non aveva piùpaura...).La stessa luna “ignara”, che troviamonelle parole del Cantico notturno di Leo-pardi: …Ma tu mortal non sei, / e forse delmio dir poco ti cale.Soffermiamoci adesso sul lessico piran-delliano: il caruso “toccava con la mano incerca di sostegno le viscere della monta-

gna” e “ci stava cieco e sicuro come dentro ilsuo alvo materno”; mentre comincia lasalita “la lumierina vacillante rifletteva ap-pena un fioco lume sanguigno” ed “egliveniva su, su, su, dal ventre della montagna[…] pauroso della prossima liberazione”.Come non pensare ad una nascita o me-glio a una rinascita? Anche la scelta diuna creatura candida avvicina il perso-naggio ad un bambino appena nato e

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1) A questo proposito G. Debenedetti ha parlato di un’invasione vittoriosa dei brutti nella narrativa europea degli inizi del ‘900,sottolineando una tendenza naturale all’espressionismo, col decadere della narrativa naturalista. Cfr. G. Debenedetti, Il romanzo delnovecento,Garzanti, Milano, 1971.

2) F. Zangrilli, La funzione del paesaggio nella novellistica pirandelliana, in Le novelle di Pirandello. Atti…cit.3) P.Brengola ( a cura di), in Pensaci Giacomino! e altre novelle, A.Mondadori Scuola, Milano, 1989

Lavoratori di una zolfara del 1900.

come il neonato esce piangendo dall’ute-ro materno e si calma se appoggiato sulventre della madre, così Ciaula impau-rito, terrorizzato, angosciato nel ventredella terra piange di fronte al chiarorelunare, “dal gran conforto, dalla grande dol-cezza” della scoperta dellaLuna, risorto quasi a nuo-va vita.Tutta la novella è in fun-zione della rivelazione fi-nale: ne troviamo anchespie mimetiche, per usa-re un linguaggio cinema-tografico, all’inizio del rac-conto: si pensi alla lacri-ma di Zi’ Scarda, lacrimache è certamente “un gu-sto e un riposo” e per la suabocca “quel che per il nasosarebbe stato un pizzico dirapè” ma che qualche vol-ta è frutto di un rinnova-to dolore per la morte delfiglio, Calicchio. Quandoleggiamo del pianto diCiaula alla fine del testocon la mente andiamo aquell’altro pianto, in qual-che modo segno di senti-menti umani da cui sem-bra escluso il povero ca-ruso. Ma è soprattutto illessico ancora una volta apreparare il lettore all’epifania finale, allateofania, si potrebbe dire, perché del-l’apparizione di un vero e proprio diosi tratta: F. Zangrilli durante il “Sestoconvegno di studi pirandelliani” tenu-tosi ad Agrigento nel 1980, ha parlato

di stile “ chiaroscurale” 2, sottolineandocome la scelta di aggettivi e sostantivimiri inizialmente ad evocare la tenebra(bujo crudo, livido squallore,fiammella fumo-sa, tenebra dell’antro infernale,illividite dalfreddo,caverne tenebrose e deserte, silenzio ar-

cano che riempiva la sterminata vacuità) perpoi aprirsi alla chiarità luminosa nell’ul-tima parte e allora troviamo un occhiochiaro, una deliziosa chiarità d’argento(espressione ripetuta due volte, in po-che righe, come se l’emozione non fa-

cesse trovare le parole…), chiarìa, lumi-noso oceano di silenzio, ampio velo di luce.Del resto l’espressione “chiaroscuro” siaddice alla luna, che nel suo percorsomensile mostra la sua completa lumi-nosità solo per poco, lasciando vedovo

di sé il cielo per una setti-mana circa e concedendola sua luce piano pianogiorno dopo giorno.Tutta la novella è quindi unclimax e la chiarità d’argen-to nel finale sembra irradia-re più che dalla luna, daCiaula stesso, finalmentecapace di essere presente ase stesso, finalmente in gra-do di provare emozioniumane. E non a caso cosìconclude Pirandello: “ECiaula si mise a piangere, sen-za saperlo, senza volerlo,dalgran conforto, dalla grande dol-cezza che sentiva, nell’averlascoperta là, mentr’ella saliva pelcielo, la Luna, […] ignara dilui, che pure per lei non avevapiù paura, né si sentiva più stan-co, nella notte ora piena del suostupore”.Non è la luminosità dellaluna che rischiara la notte,ma lo stupore di Ciaulache, incosciente nel vede-

re “gli aspetti noti delle cose circostanti” il-luminati dalla luce del sole, acquista con-sapevolezza di fronte all’arcano mondonotturno e grazie alla luna “abbandona ilsuo involucro di cornacchia per diventare fi-nalmente uomo”. 3 ◊◊◊◊◊

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La visione della Lunain Ludovico Ariosto

di Ilaria Matteuzzi Va E

e significative evoluzioni incampo astronomico hannomutato considerevolmente il

nostro modo di guardare al resto del-l’universo. Quando ancora l’unicostrumento a disposizione per osser-vare il cielo era l’occhio umano, la po-vera analisi superficiale che esso offri-va, lasciava libero sfogo all’immagi-nazione.Non è un caso che le stelle, i pianeti esoprattutto la luna che si potevanointravedere nel cielo notturno assu-messero nell’immaginario dell’uomoun non so che di mistico o che sianonate parole come “lunatico” per indi-care una persona soggetta a cambia-menti repentini d’umore, derivatedalla credenza che questa sfera lumi-nosa possa in qualche modo influen-zare i nostri comportamenti, oltre chele maree. Si è sempre sentita, dunque,una certa attrazione per questo astromisterioso, anche se, fino a qualchesecolo fa, non si possedevano i mez-zi per poterlo studiare in modo ap-profondito.Nel 1532 Ludovico Ariosto pubblica-va il suo “Orlando Furioso” e ci sa-rebbe voluto ancora quasi un secoloprima che Galileo, con il perfeziona-mento del cannocchiale olandese, sispingesse oltre la semplice osservazio-ne a occhio nudo, e notasse, fra le al-tre cose, che “..la superficie della lunanon è affatto liscia, uniforme e disfericità esattissima, come di essa Lunae degli altri corpi celesti una numero-sa schiera di filosofi ha ritenuto, ma alcontrario, disuguale e scabra, ripiena

di cavità e di sporgenze, non altrimen-ti che la faccia stessa della Terra, la qua-le si differenzia qua per catene di mon-ti, là per profondità di valli” (GalileoGalilei, Sidereus Nuncius, 1610).

Ariosto si ispira dunque alle conoscen-ze derivategli da questa “numerosaschiera di filosofi” precedenti, basatesulla teoria aristotelico-tolemaica, chevedeva la Terra posta al centro dell’uni-

Astolfo sulla Luna, incisione di G. Doré per l’edizione illustrata dell’Orlando Furioso

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verso e gli altri pianeti incastonati inorbite concentriche (i cieli), oltre lequali niente esisteva se non Dio.In questa concezione la Luna si mani-festava come un astro dalla superficieperfetta, senza irregolarità, “come unacciar che non ha macchia alcuna” (Or-lando Furioso, canto XXXIV, ottava70, v. 4). Ariosto fa di esso un ritrattocomplementare della Terra, un piane-ta con fiumi, laghi, campagne, monti,valli e quant’altro in tutto e per tuttouguali ai nostri se non per l’aspettopiù grandioso, misterioso e mistico.La differenza fra la Terra e la Luna nonsta dunque in superficie: essa si trovanel contenuto, nella sua intima essen-za. In un enorme vallone Astolfo sco-pre tutto ciò che in origine si trovavasulla Terra e che, per la sua natura effi-mera, si è perso a causa del tempo,dell’uomo o del Caso, una collezionedi labili desideri, speranze e sogni ti-

pici del fragile animo umano e che inquesto “universo a parte” perdonotutta la loro apparente importanza perrivelarsi per ciò che sono davvero, os-sia vanagloriose bramosie terrestri,accatastate l’una sopra l’altra come unmucchio di oggetti usati.I piaceri e i vizi che dominano la vitaterrena, come “le lacrime e i sospiri de-gli amanti, l’inutil tempo che si perde algiuoco e l’ozio lungo di uomini ignoran-ti” (ibidem, ottava 75, vv. 1-3), sfu-mano e si perdono nelle nebbie deltempo, così come i desideri e le spe-ranze momentanei che inebriano lenostre menti, i grandi progetti mai re-alizzati, le tante preghiere rivolte aDio, la grandezza dei regni antichi e lafama in apparenza eterna vengono in-ghiottiti dallo stesso vortice.Questo vortice, però, non si perde nel

nulla, ma risputa tutto quanto sullaLuna. I due pianeti diventano così ri-tratti complementari di uno stessosoggetto: ciò che manca su uno, si ri-trova sull’altro e viceversa.Emblematico è il fatto che anche ilsenno si trovi tutto quanto sulla Lunae, la pazzia, invece, tutta quanta sullaTerra: ci rivela piuttosto chiaramentel’opinione dell’autore riguardo agliuomini, che si perdono dietro allefutilità, inseguono sogni impossibilie impazziscono per delle banalità.Dalla superficie lunare, infatti, il no-stro pianeta appare come un mondoestremamente distante, sfocato e fu-tile, come futili paiono i suoi abitan-ti.Nello sguardo di Ariosto, però, nonsi trova soltanto la compassione perla banalità, la vanità e la follia di mol-te azioni umane, ma si intravede an-che una certa malinconia, data dalla

consapevolezza che, al di là di ognifrivolezza, tutti gli sforzi, tutti gli attidettati dalla giustizia e dalla bontà,tutti i traguardi raggiunti nel corsodella storia, tutto quello che di lode-vole l’uomo sia mai riuscito a fare fi-nisce anch’esso nell’oblio, dimentica-to da tutti, arenato nelle valli di unpianeta che non è pensabile di poterraggiungere e che, quindi, non si puòche immaginare.Ariosto unisce dunque una visione delmondo distaccata e critica, ad una piùsentita ed appassionata, creando unaffresco articolato della Luna e allostesso tempo, inevitabilmente, anchedella Terra e degli uomini.Dalle parole dell’autore si può ancheintendere un giudizio rivolto all’inca-pacità dell’uomo di tenersi stretto ciòche possiede di più caro, a causa della

sua natura incauta e facilmente corrutti-bile. La sostanza di cui è composto ilsenno è, infatti, “di un liquor sottile emolle, atto a esalar se non si tien benchiuso; e si vedea raccolto in varie am-polle, qual più, qual men capace, atte aquell’uso” ( ibidem, ottava 83, vv. 1-4).La sua natura volatile lo rende quinidifficile da trattenere e, allo stessotempo, esso è ciò che dà un significa-to alla vita, ciò che la rende preziosa edegna di essere vissuta, che ci permet-te di conoscerla, comprenderla ed ap-prezzarla. Non è un problema da pocoil fatto che sulla Terra non ne sia ri-masta più neanche l’ombra. “Altri inamar lo perde, altri in onori, / altri incercar, scorrendo il mar, ricchezze; /altri ne le speranze de’ signori, / altridietro alle magiche sciocchezze; / altriin gemme, altri in opre de’ pittori, / edaltri in altro che più d’altro apprezze”(ibidem, ottava 85, vv. 1-6).

È facile, dunque,lasciarsi traspor-tare dalle emo-zioni e correredietro a ciò chepiù ci aggrada,perdendo ognilegame con la ra-zionalità.

Tutto questo è la Luna di Ariosto, unaculla di preziosità terrestri tanto eva-nescente e impalpabile, quanto defi-nita e concreta; è una dimensione pa-rallela nella quale viene catapultatoquanto di più prezioso e, allo stessotempo, più labile ed effimero possie-da il genere umano: i nostri scarti sonola sua ricchezza.Sulla Luna di Ariosto non esiste ilTempo; il correre delle ore, dei mesi edegli anni non consuma niente di ciòche vi si trova: il suo aspetto dipendesolo e soltanto da quello che le derivadalla Terra.Come le due facce di una maschera,come i due lati di una moneta, Terra eLuna sono destinate a convivere, nel-l’immaginario ariostesco, senza maisovrapporsi, ma completandosi a vi-cenda. ◊◊◊◊◊

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ella musica (come del resto unpo’ in tutte le creazioni del-l’intelletto umano) ci sono dei

temi, dei soggetti ricorrenti – vuoi per-ché di particolare interesse, vuoi perchécolpiscono più di altri la fantasia, o sem-plicemente perché hanno quella facilepresa sulle menti delle persone che con-tribuisce alla creazione dei luoghi comu-ni – che godono di una fortuna moltomaggiore della media e che sono statiriproposti nel corso dei secoli con rego-larità. Proprio la frequentazione regola-re rende tali temi particolarmente sdruc-ciolevoli e pericolosi, poiché il cadere neltrito e nel frusto è rischio reale e presen-te.Questo rischio evita accuratamenteGoldoni nel libretto Il mondo della luna,un testo di ottimafattura (a differenzadi tanti libretti d’ope-ra contemporanei)musicato da una buona schiera di eccel-lenti compositori ma reso celebre dallaversione di Franz Joseph Haydn (del

La luna in musicadi Paolo Del Lungo

“Il mondo della luna” con i costumi settecenteschi, in una stampa dell’epoca

1777). Il titolo potrebbe trarre in in-ganno, giacché la luna e il suo mon-do non sono che pretesti, miraggi,utilizzati come esca da un abile im-postore, Ecclitico (sic), che si fingeastrologo per raggirare il gonzo diturno, il signor Buonafede nel casospecifico, e ottenere la mano della fi-glia di quest’ultimo. Con l’ausilio diun macchinario simile ad un teatrinoaccostato ad un cannocchiale il ciarla-tano fa credere a Buonafede che sullaluna vi sia un mondo uguale nel-l’apparenza a quello che è sulla terra,con strade, case e persone, e la scenadiventa un pretesto per simpatici raf-fronti tra i costumi autoctoni e fore-stieri (“Ho veduto dall’amante/peril naso esser menata/certa donna in-

namorata/che chiedeva invan pietà/Ohche usanza prelibata!/ Oh si usasse an-cora qua!”1).

In realtà, come si evince anche da que-sto estratto, non della luna ma della ter-ra si parla, e l’opera è la classica operabuffa dalla trama ricolma di amori e dibeffe, con i piedi saldamente piantati interra, e i desideri dei personaggi – tran-ne quelli dello stolido Buonafede – nonsono che l’amore e la felicità. La lunadell’opera resta lassù, al suo posto, ilvelo di mistero che l’avvolge parzialmen-te sollevato grazie a Galileo (“Le mac-chie oscure/son del mondo lunar colli-ne e monti”2) ma che lascia ancora na-scosto quel tanto che autorizza la fanta-sticheria (“Non già monti sassosi,/come da noi veggiam, ma son forma-ti/d’una tenue materia,/la qual s’arren-de e cede/alla pression del piede;/indis’alza bel bello e non si spacca,/ondel’uomo cammina e non si stracca.”3).Ventiquattro anni più tardi e appenauna novantina di chilometri più a nordtroviamo il più famoso Chiaro di lunadella storia della musica, la Sonata quasi

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una fantasia Op. 27 n. 2 di Ludwig vanBeethoven. Il titolo con cui il pezzo èconosciuto ai più è, ironicamente, il frut-to di un’etichettatura postuma. L’auto-re non aveva probabilmente nemmenoimmaginato un tale accostamento edifatti l’atmosfera, a ben giudicare dal-l’ostinazione dell’accompagnamentodel primo movimento e, soprattutto,della linea melodica, è macerata e soffer-ta più che sognante e “lunare” appun-to; basta poi un ascolto anche superfi-ciale, se non del secondo, del terzo mo-vimento per rendersi conto di quantol’etichetta sia inappropriata. Bisognaperò capire anche Ludwig Rellstab, il cri-tico e poeta “colpevole” di averla sug-gerita negli anni trenta dell’Ottocento,se non altro per il fatto che viveva inun’epoca in cui il descrittivismo musi-cale e la musica a programma vivevanoun momento di grande fortuna, cheavrebbe portato la seconda (che, è benericordarlo, non si limita al descrittivi-smo) a porsi come vera alternativa allamusica pura, priva di legami extramusi-cali. Stava infatti per nascere il poema

sinfonico, era già stato “inventato” in-vece il genere del Notturno – la notte ilregno della luna per elezione – in parti-

colare quello pianistico, ad opera deldublinese John Field, che Chopin por-terà alla ribalta e al successo in tutta Eu-ropa.Notturna ma di tutt’altro tipo è la sce-na che chiude l’atto primo dell’Otellodi Giuseppe Verdi (1887), ma semprela luna è personaggio insostituibile.Dopo aver combattuto i musulmani,

approdato sano e salvo inporto durante una tempestadi mare, sedata la rissa alla ta-verna destramente provocatada Iago e riportato l’ordinetra i suoi uomini, Otello tro-va finalmente un momentodi pace con la sua amata Des-demona. Un solo di violon-cello di rara bellezza ci intro-duce nell’atmosfera notturna,nella quale tutti i rumori siattutiscono e si apre la portaai ricordi e all’amore. Confor-memente allo stato d’animodei due amanti, “Il cielo sisarà tutto rasserenato: si ve-dranno alcune stelle e sul lem-bo dell’orizzonte il riflesso ce-ruleo della nascente luna.”4

E arriviamo così a Debussy.La Suite bergamasque (1905) èun lavoro finemente architet-tato, nel quale coesistono laripresa di stilemi coreutici e

musicali di epoca perlopiù barocca(Minuetto e Passepied per le danze, ilPreludio per la musica strumentale) con

citazioni poetiche contemporanee (dauna poesia di Paul Verlaine), un’accura-ta gestione della macroforma (legamitematici tra i movimenti) e l’improntadello stile personalissimo del composi-tore (evidente soprattutto nel livello ar-monico). Vi troviamo un Clair de lunecome terzo movimento: è questo quelcelebre Chiaro di luna che tutti conosco-no, così tanto sfruttato dal cinema e suo-nato spesso come bis dai pianisti allamaniera di un foglio d’album. Origina-riamente il titolo del movimento eraPromenade sentimentale, con riferimentoalla poesia di Verlaine tratta dalla raccol-ta Poèmes Saturniens, nella sezionePaysages tristes: il mutamento di titolo èdovuto a una revisione dell’intero la-voro che Debussy compì in età più avan-zata (la prima stesura risale al 1890 circa,quando l’autore aveva ventotto anni).Pure nella poesia di Verlaine tuttavia laluna si percepisce, si avverte, si sente,anche se non è mai nominata esplicita-mente: le uniche macchie bianche susfondo nero sono le ninfee, una sortadi doppio della luna sulle acque calme,tra le canne. Un simile gioco di riflessi simanifesta anche nella musica: il motivotematico ondeggiante che così bene evo-ca le acque di uno stagno di notte, ma-gari appena mosse in eleganti cerchi con-centrici da una goccia d’acqua, ha un cor-rispondente diretto in ciascuno dei pri-mi due movimenti. Mentre però nelpassaggio dal primo al secondo movi-mento questo motivo è semplicemen-te “spostato” su altre note, conservan-do la sua struttura intervallare, nel Clairde lune è piegato, deformato, con gli in-tervalli allargati e una tensione minore,come un morbido riflesso nelle acquedove “Les grands nénuphars, entre lesroseaux,/Tristement luisaient sur lescalmes eaux.”5 (“Le grandi ninfee, tra lecanne,/luccicavano tristemente sulle ac-que calme.”6)Regno dell’ambiguità e di una fluidamutevolezza sono i Préludes (1913), rac-colta complessa, che comprende branidai titoli suggestivi, visionari, allusivi,che tra l’altro Debussy pone significati-vamente in fondo al brano perché noninfluenzino l’ascolto.Il titolo dato al settimo preludio del

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1 Carlo Goldoni, Il mondo della luna,Atto I scena III

2 Ibid., Atto I scena II3 Ivi4 Arrigo Boito, Otello, Atto I5 Paul Verlaine, Clair de lune, da Poèmes Saturniens6 Traduzione a cura dell’autore dell’articolo7 Paul Verlaine, Clair de lune, da Fêtes galantes8 Traduzione a cura dell’autore dell’articolo9 Ivi10 Traduzione a cura dell’autore dell’articolo11 Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, Turandot,

Atto I12 Ibid., didascaliaVan Gogh, Notte Stellata, 1889

secondo libro, La terrasse des audiences duclair de lune (La terrazza delle udienze alchiaro di luna), sembra aver origine dallecelebrazioni per l’incoronazione di Gior-gio V come Imperatore d’India, o inogni caso parrebbe nascere da citazionitestuali della stessa collocazione geogra-fica. Nonostante questo, dell’oriente ingenerale e dell’India in particolare nonrimane traccia a livello musicale, rimaneinvece il segno dell’atmosfera misterio-sa, notturna, onirica, di una fantastiche-ria magari ispirata dalle parole del titoloe poi lasciata correre libera, senza vincolidi coerenza con un luogo o un tempopreciso.Un ultimo chiaro di luna di Debussy –anzi due, data l’esistenza di un’altra ver-sione ben distinta ma in un certo qualmodo complementare, datata 1882 – èquello delle Fêtes galantes (1892, primaserie), ancora su testi di Verlaine: questavolta l’autore ha musicato anche le pa-role, in un registro di mezzosoprano.Ancora un paesaggio lunare, ancora unaluna che lo illumina, ma il paesaggio èin realtà un’anima, “Votre âme est unpaysage choisi”7 (“La vostra anima è unpaesaggio squisito”8), e ancora la luna èsolo spettatrice, luce propiziatrice “Etleur chanson se mêle au clair de lune,/Au calme clair de lune triste et beau,/Qui fait rêver les oiseaux dans lesarbres/Et sangloter d’extase les jets

d’eau,/Les grands jets d’eau sveltesparmi les marbres.”9 (“E la loro canzo-ne si mescola al chiaro di luna,/Al placi-

do chiaro di luna triste e bello,/Che fasognare gli uccelli sugli alberi/E sin-ghiozzare d’estasi i getti d’acqua,/Glialti getti d’acqua slanciati fra i marmi.”10).Concludiamo questa carrellata, che perovvie ragioni non può considerarsiesaustiva, con un ultimo salto in avanti

nel tempo: nel 1924 muoreGiacomo Puccini, lasciandoincompiuta la sua ultima ope-ra, Turandot. L’invocazionealla luna del primo atto è unadelle più straordinarie appa-rizioni di luce lunare su unpalcoscenico operistico, que-sta volta con un risvolto ma-cabro: la luna è paragonataalla testa mozza di un deca-pitato, poco prima dell’ese-cuzione del principe di Per-sia, che sale al patibolo pernon aver saputo risolvere i tre

enigmi di Turandot e paga con la suavita. In questa sorta di preghiera pa-gana carica di superstizione c’è un alo-

ne di mistero che da densovelo impenetrabile come lanotte (le note di pedale in pia-nissimo degli archi e le primeparole sommesse del coro) siapre gradualmente con iflorilegi dei fiati, passando amelodie meno frammentariee più distese e infine, con uncrescendo graduale della du-rata di quattro-cinque minu-ti si giunge al fortissimo trion-fale e liberatorio che accom-pagna il sorgere della luna(“Pu-Tin-Pao! La luna è sor-ta!”11), per poi ripiegare in di-namiche più raccolte e nell’at-mosfera soffusa del solo corodi voci bianche. Tutto que-sto avveniva “In Pekino, altempo delle favole”12.Tante lune nel corso dei se-coli, vere e false, poetiche edrammatiche, letterarie o sol-

tanto musicali, ma con un tratto incomune: nelle sue incarnazioni musi-cali più fortunate (e che più sono riu-scite a evitare la caduta nello stereoti-po) la luna non è mai stata descrittadirettamente e non è mai stata l’og-getto principale dell’attenzione delmusicista, ma è rimasta lassù, un po’in disparte, a illuminare benigna leumane vicende. ◊◊◊◊◊

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La luna di Plutarcodi Valerio Del Nero

noto che Plutarco di Chero-nea (I-II sec. d. C.) è un intel-lettuale e uno scrittore greco

di grande rilievo. Di formazione eclettica(scienze, filosofia, retorica), ebbe la pos-sibilità di viaggiare abbastanza. Otten-ne la cittadinanza romana, fu attivo sot-to gli imperatori Traiano edAdriano. Nominato alto sacer-dote dell’oracolo di Delfi, da unlato restò sempre sentimental-mente legato alla famiglia e agliamici di Cheronea, dall’altro siprodigò in una straordinaria at-tività di scrittore, che ne propa-gò la fama attraverso i secoli,fino a noi. Come spesso accade,la tradizione parla di numero-sissime opere, delle quali ce nerestano circa un terzo. Esse sisuddividono in due grossigruppi, le opere morali, cono-sciute fin dal Medioevo con ladicitura di Moralia, e le operestoriche.

Ma non mancano scritti religio-si, antiquari e di vario argomen-to. Complessa, e non certo affrontabilequi, è la questione filologica della auten-ticità di qualcuno di questi testi, che co-munque hanno goduto di grande for-tuna, specialmente dal Rinascimento inpoi: mi riferisco in particolare al Deliberorum educatione, grande fonte di spun-ti educativi e pedagogici accanto ad alcu-ni libri della Institutio oratoria diQuintiliano. Ovviamente, un grandemomento di filtro culturale e di rilanciodi testi classici verso la modernità e lacontemporaneità, compreso quelli di

Plutarco, è rappresentato dalle edizionie dalle traduzioni realizzate nel Rinasci-mento.1

Nel corpo della produzione plutarcheaspicca un piccolo, denso e difficile libret-to, il De facie in orbe lunae, classificato a

volte quale suo unico prodotto “scien-tifico”, che ha goduto di una singolarefortuna. Tradotto in italiano, comune-mente sotto il titolo di “volto dellaluna”,2 è un dialogo complesso esfaccettato, di tipo “diegematico”, comesottolineano i critici, cioè espositivo, unmodello comunicativo che piaceva a Plu-tarco e che risaliva alla tradizione plato-nica del Simposio e del Fedone. Esso puòfar venire in mente anche qualche trattodella diatriba, non tanto quella popola-re, quanto quella dagli esiti più addot-

trinati.L’occasione del dialogo, che inizia conuna lacuna, è offerta da una discussionetra amici sulle macchie lunari che carat-terizzano il “volto della luna”. Gliinterlocutori sono Lampria, fratello diPlutarco, che parla in prima persona. A

lui si aggiunge Silla, il quale an-nuncia il racconto di un mito.Altro personaggio è Lucio. Par-tecipano al colloquio pure ilgrammatico Teone e l’astrono-mo Menelao. Altri tre sono per-sonaggi di fantasia, Apollonide,Aristotele e Farnace, quest’ulti-mo difensore dello stoicismo.La posizione filosofica dell’au-tore non è semplice da definire:egli infatti polemizza contro gliepicurei e contro gli stoici, con-divide alcune posizioni diArcesilao, che era notoriamentedi tendenza scettica, si avvicinaa certi aspetti della dottrina pla-tonica.

Nella prima parte del De facie, sisostiene la tesi che la luna è del-

la medesima natura della terra e che lemacchie, che fanno illusoriamente leg-gere un volto nella superficie lunare,sono cavità e fessure che hanno al lorointerno aria oscura o acqua. La luce delsole non le può illuminare e di conse-guenza non riflettono la luminositàcome il resto della superficie lunare: nondobbiamo pertanto ritenere che stiamooffendendo la luna se la consideriamoterra.3 Si direbbe oggi che le argomenta-zioni apportate per questa tesi dagliinterlocutori sono varie, ma esprimo-

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no nella sostanza un taglio scientifico.Ad esempio, si discute se la terra sta inmezzo all’universo, che però è infinitoe avanza nel vuoto sconfinato senza mi-rare a nulla di particolare; sull’armoniadelle cose, introdotta provvidenzial-mente dalla natura con l’arrivo dell’Ami-cizia, di Afrodite e di Eros; se il tuttosia finalizzato al meglio; se il cosmo siaun essere vivente. Sotto il dominio del-la ragione – canta liricamente Plutarco –le stelle come “occhi lucenti” orbitanofisse in fronte all’universo, il sole distri-buisce e disperde calore eluce come il cuore fa col san-gue e il respiro, la terra e ilmare sono naturalmenteper il cosmo ciò che gli inte-stini e la vescica sono perun vivente. Quanto allaluna, stando tra il sole e laterra come il fegato o altroorgano molle sta tra il cuo-re e l’addome, essa trasmet-te quaggiù il caldo prove-niente da sopra e avvia al-l’alto le esalazioni terrestri,raffinandole in sé in un pro-cesso di digestione e purifi-cazione; ignoriamo pergiunta se la sua natura soli-damente terrestre non svol-ga anche altre funzioni uti-li. In ogni caso il “meglio”domina sulla “necessità”.4

Nel cumulo delle osservazioni e delleargomentazioni, rientrano anche quellesugli oggetti dominati dal loro motonaturale, sull’accoglienza da parte dellaterra delle rocce che hanno la proprietàdi inclinare verso di essa, sulla sciocchez-za di chi nega la natura terrestre dellaluna.

Il fatto è però che questa sezione “scien-tifica” sembra non appagare del tuttol’autore che, tramite il personaggio diSilla, narra un mito, non senza unaprevia discussione sugli eventuali esseriche abitano la luna. Secondo questomito, dunque, la luna non può essereconsiderata come un corpo puramente

terroso (contrariamente a quanto affer-mato sopra), bensì una mescolanza diterra e di fuoco astrale, un corpo anima-to e divino sede di origine e destinazio-ne di una parte almeno dell’anima, in-termedio fra il soggiorno terreno delleanime e una suprema sede celeste intel-ligibile simboleggiata dal sole e raggiun-gibile soltanto dall’intelletto. Perché, dunque, inserire questo mito?Probabilmente perché la luna, dalla qua-le non arriva a noi alcun influsso secco,ma al contrario tanti influssi umidi e

femminili che (come attesta una lungatradizione popolare) fanno crescere lepiante, corrompono le carni, fanno cam-biare gusto al vino, ammorbidiscono lalegna, fanno partorire con facilità le don-ne,6 non può essere considerata unica-mente , e pertanto parzialmente, sottola sua sembianza fisica. E’ cioè impos-sibile negare la natura divina e animatadel pianeta. Pare, in definitiva, che la di-mensione teologica e metafisica del pro-blema sia più importante della dimen-sione fisico-astronomica. Indubitabilela carica polemica del discorso di Plutar-co, che è indirizzata particolarmente con-tro gli stoici, materialisti e negatori delfinalismo del mondo (salvando invecegli aristotelici).

Il mito narrato da Silla nasce da ciò cheha udito dalla bocca di uno straniero,giunto da un’isola che si trova a cinquegiorni di navigazione dalla Britanniaverso occidente. Questo stranieroripeteva a Silla che tra gli dèi visibilioccorre adorare particolarmente la lunaperché essa “è signora della vita e dellamorte”.7 La sezione più interessante delmito è però quella in cui lo stranieroespone la visione filosofica dell’uomo:contrariamente all’opinione comune, tresono le componenti dell’essere umano,

l’intelletto, l’anima e ilcorpo.Mentre la mescolanza dianima e corpo produce ir-razionalità e passioni, ani-ma ed intelletto insiemeproducono la ragione. Inol-tre “la terra fornisce il cor-po, la luna l’anima e il solel’intelletto”.8 E continuaparlando del rapporto tra leanime e la luna, dei demo-ni, della dissolvenza delleanime nella luna allo stessomodo in cui un cadavere sidissolve nella terra. Si trattadi una sorta di ciclo vita-morte che tocca tutti gli es-seri e che lega indissolubil-mente terra e cielo. Non acaso, quando il sole fecon-da la luna del seme dell’in-

telletto, essa “produce nuove anime e laterra interviene ad offrire il corpo”.9 Trala materia inanimata e l’intelletto im-passibile – conclude lo scrittore greco –l’anima è come la luna qualcosa di mi-sto e di intermedio ed ha col sole lostesso rapporto che intrattiene con laterra.

Un testo come questo lascia indub-biamente un po’ sconcertato il letto-re, non tanto per il contenuto misto,scientifico e mitico, che è frequente nel-l’antichità ( e non solo), ma perchéalcuni aspetti della sua fortuna in etàmoderna fanno riflettere. Fanno riflet-tere soprattutto sul senso e sul ruolodella storia della scienza, che dovreb-

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1 Si veda adesso l’importante Repertorio delletraduzioni umanistiche a stampa. Secoli XV-XVI, 2 voll., a cura di M.Cortesi eS.Fiaschi, Firenze, Sismel – Edizioni delGalluzzo 2009.

2 Uso la seguente edizione: Plutarco, Il voltodella luna, a cura di D. Del Corno, Milano,Adelphi 1991.

3 Plutarco, Il volto della luna, 935 C, cit., p. 89.Osservazioni interessanti sul De facie sileggono in P. Donini, Lo scetticismoaccademico, Aristotele e l’unità della tradizioneplatonica secondo Plutarco, in Storiografia edossografia nella filosofia antica, a cura di G.Cambiano, Torino, Tirrenia Stampatori1986, pp. 203-226.

4 Plutarco, Il volto della luna, 928 B-C, ed. cit.,p. 70.

5 P. Donini, Lo scetticismo accademico etc., cit.,pp. 206-207.

6 Plutarco, Il volto della luna, 939 F, cit., p. 100.7 Plutarco, Il volto della luna, 942 C, cit., p.

106.8 Plutarco, Il volto della luna, 943 A, cit., p. 108.9 Plutarco, Il volto della luna, 945 C, cit., p. 114.10 Interessante in questa prospettiva il libro

di C.Webster, Magia e scienza da Paracelso aNewton, Bologna, il Mulino 1984.

11 P.Casini, Plutarco, Galileo e la faccia della luna,<<Intersezioni>>, IV, 2, 1984, p. 398.

12 P.Casini, L’antica sapienza italica. Cronistoriadi un mito, Bologna, il Mulino 1998, p. 140.

13 L. Russo, La rivoluzione dimenticata. Il pensieroscientifico greco e la scienza moderna, Milano,Feltrinelli 1996, p. 103.

14 Storia della Scienza, I, Roma, Istituto dellaEnciclopedia Italiana 2001.

15 S. Sambursky, Il mondo fisico dei greci, Milano,Feltrinelli 1967.

be ottenere una più generosa acco-glienza nelle nostre scuole e nelle no-stre università. Infatti il caso del Defacie in orbe lunae è esemplare di unmodello di testo che è stato letto ediscusso seriamente da Keplero, daGalilei, forse da Cartesio, da Newton.Insomma quan-do si viene elabo-rando il paradig-ma della nuovascienza, i prota-gonisti di quellar ivoluzione s ifanno strada at-traverso una cul-tura complessa econtraddittoriache non può es-sere trascurata omessa da parte dauna interpreta-zione progressi-vamente lumino-sa del sapere che procede “de claritatein claritatem”. Altrimenti bisogna am-putare Keplero degli interessi magicio Newton di quelli alchemici o teolo-gici.10 Non ci sarà così da meravigliar-si se in un momento decisivo dellavicenda galileiana, la pubblicazione delSidereus Nuncius, Galilei descriva le ca-vità e le montagne lunari usandoespressioni che “ricalcano letteralmen-te passi della traduzione latina” delDe facie plutarcheo, testo che egli pos-sedeva.11 In una sua lettera, poi,Keplero avvertiva Galileo di aver let-to questo libro antico da alcuni anni.Il problema è che i grandi scienziatidel ‘600 avevano capito perfettamen-te che l’opuscolo plutarcheo era il luo-go dove si erano date battaglia le teo-rie degli antichi sul cosmo.

Ma anche più tardi, precisamente allafine del secolo, Newton non disde-gnava di sottolineare che i filosofi an-tichi avevano avuto alcune intuizionilargamente anticipatrici della fisica ma-tematica e della meccanica celeste. I suoiriferimenti a Lucrezio, Diogene

Laerzio, Plutar-co, Plinio, Ma-crobio, Boezio,lo spingevano adammettere chegli antichi aveva-no capito i fon-damenti della fi-sica classica. Inparticolare Plu-tarco aveva so-stenuto che laluna è un satelli-te della terra, anziche è un’altra ter-ra, e che l’attra-zione magnetica

ha analogie con l’attrazione gravitazio-nale.12

Anche chi ha scandagliato seriamentela storia della scienza antica ha comun-que riconosciuto il valore di questobreve testo di Plutarco. Lucio Russoper esempio ne rimarca, insieme adaltri autori antichi, l’intuizione di unmoto di rivoluzione della terra intor-no al Sole e di un moto di rotazionediurno attorno ad un asse obliquo ri-spetto al piano dell’orbita13 ed ancheuna certa sensibilità sull’ottica e sulladispersione della luce. Non può per-ciò meravigliare che Plutarco sia citatoparecchie volte in una recente enciclo-pedia di storia della scienza.14 Così ilDe facie in orbe lunae trova ampia acco-glienza nell’ormai classico profilo delSambursky sul mondo fisico del gre-ci.15

In conclusione, Plutarco, pensatoreantistoico ed antiepicureo, nonché fi-loplatonico e filopitagoreo, ci ha la-sciato nella sua ricchissima produzio-ne un trattatelo erudito sulla luna cheè allo stesso tempo scientifico emisterico e che non ha finito di sor-prendere lungo i secoli. ◊◊◊◊◊

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iente” gli studiosi delnostro satellite rispon-dono impietosamente

alla celebre domanda del pastore er-rante leopardiano, “smontando”ingran parte le più diffuse credenze po-polari : “la luna non fa proprio nien-te, ci guarda indifferente dal cielo eforse non ci degna nemmeno di unosguardo”. Eppure, abbiamo proveche in tutte le culture e in tutto l’arcodella sua storia l’uomo è sempre sta-to ( e sostanzialmente continua adesserlo, “in barba” alla scienza ) mol-to attento all’astro “ errante” perantonomasia: il pianeta (come si ge-neralizzava nell’antichità) che illumi-na la notte è anche ritenuto immor-tale perché nel suo ciclo è in grado dirinascere ogni mese, e il suo influssosulla vegetazione e sul tempo meteo-rologico sembra avere inciso in mododeterminante su tutte le attività cheai nostri antenati hanno garantito lapossibilità stessa di sopravvivere:l’agricoltura, prima fra tutte, e la navi-gazione (Luna seduta, marinaio inpiedi [cattivo tempo]; luna in pie-di, marinaio seduto [tempo buo-no]). Non è un caso, quindi, che ilmateriale più abbondante in fatto dimiti, credenze e detti proverbiali sialegato soprattutto alla tradizione con-tadina, che ci ha lasciato dei veri e pro-pri manuali – peraltro ancora larga-mente seguiti – su come organizzaree rendere più produttive le attivitàagricole secondo le fasi lunari - Gob-ba a ponente luna crescente, gob-ba a levante luna calante.La luna crescente, per esempio, presiede

Che fai tu luna in ciel,dimmi che fai,silenziosa luna? di Cristina Negroni

alla semina, al trapianto dei fiori e allamessa in dimora di siepi ed arbusti, ealla pigiatura dell’uva per ottenere unarapida fermentazione del mosto. A lunacalante, invece, vanno eseguite la pota-tura sia invernale che estiva, la vendem-mia e la concimazione della terra del frut-teto; la luna calante presiede inoltre altravaso e all’imbottigliamento del vino.Per quello frizzante, però, l’imbottiglia-mento deve avvenire in luna crescente.Sempre in questa fase devono esseresvolte tutte le attività legate alla macella-zione e alla lavorazione del maiale.Chi ha studiato i vari almanacchi conta-dini ha notato che queste prescrizioniobbediscono alla regola generale chetutto ciò che deve crescere e svilupparsideve essere fatto in luna crescente, men-tre tutto ciò che deve arrestarsi e moriredeve essere fatto in luna calante; tutta-via, l’influsso della luna in tutto ciò nonè mai stato dimostrato.Ad alcune “regole” del mondo conta-dino sono ricondotte anche diverse azio-ni della vita di ogni giorno che riguar-dano la persona: il taglio dei capelli, peresempio, è assimilato alla potatura epertanto va fatto a luna calante se si vuoleevitare una ricrescita troppo rapida. Sefatto in luna crescente, il taglio garanti-sce una ricrescita più rapida e più fluen-te (Luna crescente, capello fluente).Anche la pratica del salasso va in paral-lelo con la vita della natura: deve esserefatto a luna crescente perché, come acca-de per la linfa delle piante, in quella faseil sangue è più abbondante.Come accade nel resto del mondo ani-male ed in quello vegetale, si vuole cheanche il ciclo riproduttivo dell’uomo sia

soggetto all’influsso della luna: peresempio, è diffusa la convinzione che ilconcepimento di un bimbo avvengaquando la luna e il sole si trovano nellastessa posizione in cui erano al momen-to della nascita della futura mamma. Eche dire poi del parto che puo’ essereanticipato o posticipato rispetto alla sca-denza dei nove mesi, in concomitanzacon la luna piena? Oltre ad un certoinflusso sul comportamento riprodut-tivo di alcuni organismi marini ( i coral-li della grande barriera australiana, adesempio, che nelle notti di plenilunio siriproducono in massa; e i granchi -Quando la luna è tonda i granchi e iricci di mare sono pieni ) e alcuneforme di “tropismo” per le piante, lascienza ha prove certe dell’influenza dellaluna solo sulle maree (oceaniche), atmo-sferiche e terrestri, le ultime delle qualipossono produrre per effetto della for-za di gravità delle oscillazioni della cro-sta terrestre, da cui il detto Luna pienala terra trema = terremoto): pertan-to, appellandosi a questo dato, viene dachiedersi che se l’influsso della luna è ingrado di spostare grandi masse di acquanel fenomeno delle maree, perché nonpotrebbe agire in qualche misura anchesul liquido amniotico? La medicina loesclude categoricamente. Tuttavia lacasistica a sostegno della credenza po-polare è ancora così ampia, anche al difuori della cultura contadina, che lepartorienti non possono fare a menodi continuare a nutrire qualche dubbio.D’altra parte la presunta influenza dellaluna sulla fertilità e le nascite ha le sueradici nella mitologia e nell’astrologiaantica, in cui il nostro satellite è sempre

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Luna maori

Eclissi di luna

considerato la divinità e il principio fem-minile per eccellenza, e la prova incon-futabile della comunione della luna conla donna è il ciclo mestruale che - “peruna pura coincidenza”, ci dice la medici-na - corrisponde esattamente ad un ci-clo lunare. Anche l’etimologia della pa-rola mestruale ci viene in aiuto, se ce nefosse bisogno! Essa deriva dal Latinomenstruus = mensile, a sua volta deri-

vante da mensis = mese, che ha la stes-sa radice Indoeuropea méne = luna. E,per finire, presso i Maori la mestruazio-ne è chiamata “la malattia della luna”Altrettanto interessante è la serie di cre-denze relative all’influsso della luna suicomportamenti umani: nell’antichità lefasi lunari erano viste come un’allegoriadell’instabilità della fortuna: i famosiversi - “oh, fortuna, velut luna statusvariabilis, semper crescis aut decrescis..”dei Carmina Burana sono riproposti daldetto ligure Mutando luna si muta for-tuna. Da qui discende l’uso a livellopopolare di giocare al Lotto i numeribassi nelle prime due fasi lunari e glialtri nelle ultime due, per avere mag-giore probabilità di vincere. E ancora,si considera lunatico chi è nato di lu-nedì, il giorno dedicato alla luna, perindicare una persona che muta facil-mente d’umore; l’aggettivo è poi pas-

sato in Inglese – lunatic – assumendoil significato di pazzo: pazzia che è do-vuta all’aver dormito con la testa espo-sta ai raggi lunari. Ma dormire espostialla luna puo’ anche provocare colpi apo-plettici o far torcere la bocca (come daun detto romagnolo). Il “mal dellaluna” era, invece, la definizione popo-lare dell’epilessia.Al proposito, la saggezza contadina ciinforma che La malattia dei sani è unafesta che non si trova nel lunario. “Avere la luna”, con la variante “avere

la luna storta/ di traverso” èun’espressione tuttora usata comu-nemente per definire una personaimbronciata, che cambia d’umoresenza spiegazione.La luna nuova, è anche ritenuta ingrado di cancellare le cosidette “vo-glie” sulla pelle, purché ci si espon-ga ai suoi raggi durante tutta lalunazione, facendo il gesto di puli-re tali macchie con la mano.La luna, infine, viene evocata per in-dicare il colmo della stupidità uma-

na: Se il saggio indica la luna, lostolto guarda il dito. Un po’ menodrastico, ma nella stessa direzione, è ildetto Non ne azzecca una chi guar-da la luna.

Quanto agli animali, il gatto è in molteculture considerato figlio della luna peril suo carattere mutevole; per questopuo’ essere sorpreso a fissare a lungo laluna piena, quasi in un muto colloquiocon lei.Anche il cane “reagisce” abbaiando alchiaro di luna; la scienza non ha finorasaputo dare una spiegazione al feno-meno, ma è certo che la luna è in gradodi risvegliare nell’animale i suoi istintiancestrali di libertà e predatòri, per cuianche il più mite dei nostri amici a quat-tro zampe puo’ diventare improvvisa-mente aggressivo. Comunque, La lunanon cura l’abbaiare dei cani, diconoa Bologna per significare che chi è nelgiusto non si preoccupa delle ciance dichi non sa quel che si dice.

Nella cultura popolare non mancano i

riferimenti alla luce della luna:curiosa èla leggenda ebraica che ne attribuisce aduna punizione divina il pallore: la lunainfatti, invidiosa della luce del sole, ave-va chiesto a Dio di farla diventare piùgrande o di rimpicciolire il sole; per tut-ta risposta ha ottenuto che la sua lucediventasse sessanta volte più debole diquella del sole!In Toscana si dice che la luna regge illume ai ladri; in Congo affermano cheLa luna mostra il sentiero ma non ipericoli della strada; mentre la gran-de Mina esalta la luce lunare per acquisi-re una colorazione della pelle che sem-bra star tornando di moda proprio inquesti giorni:Tintarella di luna, tin-tarella color latte.... e se c’è la lunapiena, tu diventi candida!Uscendo per un attimo dall’ambito po-polare, mi piace chiudere questa breverassegna di detti proverbiali con una ci-tazione da Oscar Wilde: Sognatore èchi trova la sua via alla luce dellaluna...punito perché vede l’alba pri-ma degli altriQuanto finora brevemente descritto,seppure in situazioni ed ambiti tantodiversi, ci mostra la luna come unapresenza generalmente rassicurante,quando non benefica, e comunqueperfettamente gestibile da parte del-l’uomo, una volta che questi ha acqui-sito le conoscenze essenziali del suociclo: ciclo che viene sentito a lui mol-to vicino perché presenta indubbieanalogie con quello della vita; la sua

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Specchio di luna sul mare

perenne “rinascita” ogni mese, poi, èvissuta come una sorta di metaforadella vittoria sulla morte.L’eclisse, invece, è un fenomeno miste-rioso che, in quanto tale, fa vacillare tuttele certezze: la luna che improvvisamentesparisce, testimonia, nella cultura popola-re, della collera della divinità, di una lottamitica che si svolge in cielo, e che è co-munque foriera di sventure -L’eclissi siadel sole o della luna, freddo la porta emai buona fortuna -, o di un “mostro”che vuole divorarla (cfr. il demone Rahudella mitologia indiana, la cui testa, taglia-ta da Visnu e fuggita in cielo, ogni mesedivora la luna, o il drago della cultura cine-se ). Così fioriscono, documentate in in-numerevoli culture, varie credenze chehanno molto spesso in comune l’abitu-dine “esorcizzante” di produrre ogni sortadi rumori violenti, sia con strumenti mu-sicali sia percuotendo oggetti di bronzo,nel tentativo di contrastare l’ “apocalitti-co” evento . La più diffusa di esse, e la piùduratura, ci viene dal mondo greco.Essasostiene che le donne della Tessaglia, notecome maghe espertissime, riuscissero con

i loro sortilegi a “tirar giù” la luna dal cie-lo; con i rumori violenti si tentava di im-pedire che le parole delle formule magichefossero udite in cielo e quindi essere reseinefficaci.Nel mondo assiro-babilonese e in quel-lo cinese, invece, i rumori avevano loscopo di spaventare il “mostro”.Ciò che è straordinario di questi rituali,è il fatto che se ne abbiano testimonianzefino al Medio Evo, nonostante che delfenomeno delle eclissi fosse stata datauna precisa spiegazione scientifica giàdalla seconda metà del quinto secoloa.C. E ancor più stupefacente è la noti-zia che ai giorni nostri, durante un’ eclissidi luna sono stati visti dei soldati inCambogia sparare raffiche di mitra e lan-ciare granate verso la luna – segno que-sto che, a livello inconscio, l’ancestralesuperstizione negativa legata all’ even-to non si è mai definitivamente cancel-lata nel tempo.

Nel rileggere queste note mi sono resaconto che molto altro ci sarebbe statoda dire, data la quantità e la varietà del

materiale che ci racconta la luna nell’im-maginario collettivo – popolare e non.Motivi di spazio, tuttavia, mi hanno co-stretto a farne una selezione ed anche atrascurare i dettagli delle ragioni dellascienza che provano l’infondatezza del-la maggior parte delle credenze più so-pra illustrate. Ne ho dovuto dare contosolo in modo sintetico, ma in fondonon me ne dispiace più di tanto perchéil viaggio in questo tipo di cultura, e delsuo relativo lessico, è stata un’esperien-za così affascinante che alla fine di esso,nonostante la mia naturale “allergia”ad ogni tipo di superstizione, devo am-mettere di fare una certa fatica a non cre-dere nell’esistenza di un qualche miste-rioso legame fra la luna e la donna, o anon cadere nella suggestione della lunacome metafora della “notte con tutti isuoi sogni, e con l’inconscio che lavoranel profondo”....!E intanto, mentre scrivevo, è nata Giulia,che, ancora una volta “in barba” allascienza, per venire al mondo ha aspet-tato la luna piena per una settimanatonda tonda! ◊◊◊◊◊

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ffrontare il tema della luna nel mondo antico significa mettersi di fron-te a prospettive così ampie e multiformi da richiedere l’intervento dimolte discipline e spazi assai diversi da quelli di un semplice articolo. In

questa sede si può solo richiamare, brevemente, qualche aspetto dell’importanzache essa ha rivestito fin dalle più remote origini della civiltà.Tra gli elementi comuni dell’ipotetico indoeuropeo, che costituirebbe la base di molte delle lingue parlate dal bacino del fiumeIndo fino alla costa atlantica europea, troviamo anche una antica radice me(d) che indica la misurazione del tempo alla qualesarebbe strettamente legata la denominazione della luna (1). Infatti in sanscrito luna è mas e in greco, accanto al termine classicoselene, troviamo anche l’arcaico mene. Tale radice permane anche in molte altre lingue: dall’inglese moon al tedesco mond, al danesemanen,all’olandese maan, allo scozzese muin, al lituano mienolis , al ceco mesic allo sloveno mesiac. Il nome stesso di mese derivada questa radice (in greco men, meis; in latino mensis, in inglese month) a testimonianza del fatto che il mese era identificato conle quattro fasi lunari (così in Grecia, così in Roma con il calendario attribuito leggendariamente a Numa Pompilio, poiriformato da Giulio Cesare). Da tale radice derivano in latino il verbo metiri (misurare), il sostantivo mensura (misura),l’aggettivo menstruus (mensile) e lo stesso termine che indica l’unità di misura per eccellenza: il metro. Come dire che, ancorprima del sole, la luna è l’astro che regola i ritmi basilari della vita umana.È perciò naturale che la luna sia entrata a pieno titolo nell’apparato mitologico di tutte le civiltà. Nel mondo greco e latino essaassume aspetti multiformi e più divinità vengono associate alla luna, pur mantenendo anche altri caratteri. Nel mondo grecoesiste una divinità specifica della luna: Selene, figlia di Leto o Iperione, sorella gemella di Elio, il sole. Nell’immaginariomitologico sorge dall’oceano correndo su un carro bianco trainato da cavalli e buoi bianchi. Essa poi viene associata adArtemide, dea della caccia, saettatrice, che viene definita da Omero (Iliade XVI, 183 e XX,70 e Odissea IV, 122) cruselacatos, cioèdalla conocchia d’oro, con immagine che richiama la lana dorata che scorre sul fuso, euplocamos, cioè dai riccioli belli (OdisseaXX, 80) ed eustefanos, cioè dalla bella corona, tutte immagini che ben si attagliano allo splendore della luce lunare. La luna vienepoi identificata anche con Persefone, divinità degli inferi e con Ecate, la dea triforme e sotterranea: la luna nuova, che scomparedal cielo lasciandolo nell’oscurità.Ovviamente, oltre al ruolo importante che ha nell’apparato mitologico, la luna è stata presente, fin dagli albori, anche in poesia.In questo senso, nel mondo classico, le più significative immagini che restano sono quelle offerte da Omero e dalla poetessaSaffo; entrambi usano la luna come termine di paragone, lasciandocene quadri suggestivi.

La descrizione omerica, usata come primo termine di paragone per rendere l’immagine dei fuochi dell’accampamento accesidavanti alla città di Troia (2), è realistica e centrata sulle stelle; tuttavia risalta l’immagine della luna lucente che rischiara tutto ilpaesaggio e lo ‘squarciarsi’ della immensa tenda del cielo. Luna e stelle sembrano qui illuminarsi a vicenda.Di questo passo omerico sicuramente si è ricordata Saffo, nel frammento 34 (3):

La lunanel mondo antico

Come in cielo le stelle, intorno alla luna lucentebrillano ardendo, quando l’aria è priva di venti;si scoprono tutte le cime e gli alti promontorie le valli; nel cielo s’è rotto l’etere immenso,si vedono tutte le stelle e gioisce in cuore il pastore;tanti così, fra le navi e lo Xanto scorrentelucevano i fuochi accesi dai Teucri davanti a Ilio; (…)(Iliade, VIII, 555-559)

suonatrice di lira

di Silvio Biagi

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La descrizione, al contrario di quella di Omero, mette in evidenza come la luna nasconda, con il suo splendore argenteo, lestelle. La poesia di Saffo ci è giunta esclusivamente in frammenti, ma il contesto amoroso porta con sicurezza ad affermare chequesta immagine costituisce il termine di paragone per descrivere una ragazza bellissima che spicca tra ragazze semplicementebelle. La conferma ci viene non solo da testimonianze successive, ma anche da un altro carme, il 96:

È questo uno dei quadri paesaggistici più belli e tipici della poetessa, che ama gli aspetti più delicati della natura, soprattuttoi fiori, e sembra prediligere i paesaggi notturni di luna piena, associati ad uno stato d’animo di gioiosa ebbrezza, come nelframmento 154:

Si può parlare di un vero e proprio valore simbolico della luna, così spesso associata all’ amore. Ciò sembra confermato dalframmento 168B, pochi versi di grande intensità, in cui il tramonto della luna sembra significare l’assenza dell’amore:

Anche nella poesia latina - è facile immaginarlo - la luna è presente in immagini significative in diversi autori ; a titolo di

Le stelle intorno alla bella lunanascondono di nuovo la loro figura lucentequando piena essa risplende al suo colmo,sulla terra

…. argentea…

… ma ora fra le donne lidie spiccacome talvolta, dopo il soletramontato, la luna dita di rosasupera tutte le stelle; e la luce posasul salso marecome sulle campagne rigogliose di fiori;e bella rugiada si è diffusa e sono in fiore le rosee i teneri cerfogli e il melitoto rigoglioso…

Piena si mostrava la luna,e le ragazze si disposero intorno all’altare…

È tramontata la lunae le Pleiadi; è al mezzola notte, il tempo trascorree io dormo sola.

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esempio Orazio, il più grande poeta lirico latino, sfrutta la luna non solo come elemento paesaggistico, ma anche comesimbolo del tempo. Infatti egli contrappone al tempo della vita e della storia umana, fuggevole e breve, quello dell’universo,immortale e ciclico, rappresentato, appunto, dalla luna:

In Epodi 15,1-2 il poeta presenta invece, come scorcio paesaggistico, una notte di luna che fa da contorno ad un giuramentod’amore infranto:

Tutto sommato l’intensità delle immagini lunari di Saffo resta più alta e probabilmente più vicina alla nostra sensibilità;Orazio costruisce immagini poeticamente ‘perfette’, ma ormai divenute luogo comune (cfr. anche Odi I, 12,47), sicura-mente più distaccate rispetto a quelle di Saffo, che invece “ha per sua caratteristica l’abbandono intero dell’anima,l’adesione completa ai suoi paesaggi di sogno come a spettacoli di bellezza”; quindi è più facile per noi “ammirarel’intensità, l’ampiezza, la leggerezza dei paesaggi che commo-vevano la sua sensibilità prodigiosa”(4). Saffo, in questo, è inqualche modo già romantica. Non a caso Giacomo Leopardi,pur offrendo una sua particolare rilettura del personaggio, piùvicino al mito che alle risultanze storiche, apre uno dei suoi piùcelebri canti, L’ultimo canto di Saffo, con un notturno che può con-siderarsi un vero e proprio ritratto dell’animo della poetessa:Placida notte e verecondo raggio della cadente luna. ◊ ◊ ◊ ◊ ◊

Era notte e nel cielo sereno risplendeva la lunatra gli astri minori,quando tu, apprestandoti a violare la maestà degli dei possenti,giuravi ripetendo le mie parole(…)

Nox erat et caelo fulgebat luna serenoInter minora sideraCum tu, magnorum numen laesura deorum,In verba iurabas mea(…)

Damna tamen celeres reparant caelestia lunae;Nos, ubi decidimusQuo pater Aeneas, quo dives Tullus et AncusPulvis et umbra sumus.

Tuttavia le lune rapidamente riparano le mancanze che subisconoin cielo;noi, quando siamo cadutidove sono caduti Il padre Enea, il ricco Tullo ed Anco,siamo polvere ed ombra. (Odi, IV,7,13-16)

1)L’indoeuropeo o, più comunemente, protoindoeuropeo indica neglistudi di linguistica comparativa la lingua primitiva che starebbe allabase delle lingue indoeuropee. Gli studi di indoeuropeistica, nati giànei secoli XVII e XVIII partivano dall’osservazione che molte paro-le che indicavano gli aspetti più importanti della vita umana nellelingue indoeuropee sono comuni. Tali studi hanno assunto uno sta-tuto scientifico a partire dagli inizi del XIX secolo. Nella linguisticacomparativa la nozione di radice indica una forma ricostruita allaquale è possibile ricondurre parole affini in lingue diverse apparte-nenti alla medesima famiglia linguistica.

2)Questi i versi che seguono (Iliade VIII, 560-561):tanti così, fra le navi e lo Xanto scorrentelucevano i fuochi accesi dai Teucri davanti a Ilio; (…)Per il testo di Omero mi sono riferito a Omero, Iliade, Torino,Einaudi, 1950. La traduzione del passo, come dei seguenti, di Saffoe di Orazio, è a cura dell’autore dell’articolo.

3) Il testo delle poesie di Saffo è tratto da Saffo, Poesie, a cura di FrancoFerrari, Milano, Rizzoli, 1987.

4)G. Perrotta, Saffo e Pindaro, Messina- Firenze, D’Anna, 1967,p.47 ss.

Busto romano di Omero.Museo del Louvre di Parigi.

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