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C I L R EGNO - DOCUMENTI 5/2011 159 Riprendete coraggio hiesa in Italia «Riprendete coraggio o voi tutti che sperate nel Signore» (Sal 31,25) è l’ac- corata invocazione che il vescovo di Locri-Gerace ha scelto come titolo della sua prima lettera pastorale. In una terra segnata dalla piaga del cri- mine organizzato, egli coglie con reali- smo le difficoltà e l’urgenza di un rin- novato annuncio della speranza cri- stiana, ma al tempo stesso ne eviden- zia tutti i motivi concretamente pre- senti. La gente è stanca, sottolinea il prelato, «sia del vuoto parlare privo di contenuti credibili, sia dell’alone di male con il quale si fa riferimento alla Locride nei media». Partendo da una richiesta di perdono per le infedeltà del passato, il vescovo esorta i creden- ti a denunciare con fermezza il male e a promuovere questo atteggiamento come «espressione della ricerca del bene comune e quindi come un valore morale». È questo il primo, atteso se- gnale di speranza: il risveglio di una «cittadinanza responsabile» e un cam- biamento culturale che la Chiesa in- tende far maturare insieme a tutte le agenzie educative del territorio, nella convinzione «che i mali della Locride si sconfiggono primariamente sul campo dell’educazione». Stampa (18.2.2011) da sito web www.diocesi- locri.it. Mons. Giuseppe Fiorini Morosini Lettera pastorale sulla ripresa della speranza nella Locride Introduzione Consolidare la speranza Carissimi fratelli, il motivo di questa lettera pastorale, dopo due anni di permanenza in mezzo a voi, è quello di consolidarvi nella speranza sulla salvezza del nostro territorio, la Locride. Con le parole della Scrittura dico a tutti: «Riprendete coraggio o voi tutti che sperate nel Signore» (Sal 31,25). 1. Iniziando il mio ministero pastorale a Locri dicevo che sentivo tutta la responsabilità di dovervi incoraggiare ad avere speranza, non con vuote parole, ma aiutandovi a discernere i segni di Dio, scritti nell’orizzonte della grande speranza che per noi cristiani è il Signore risorto. Riprendo ora questo tema per chiarire che la spe- ranza annunciata dalla Chiesa non è illusione, ma cam- mino lungo e difficile, della cui riuscita è garante il Cristo morto e risorto. Spiegherò, pertanto, il significato di questa speranza e ne illustrerò i contenuti, che sono alla portata di tutti, soprattutto dei credenti, se vivono con impegno il proprio cammino di fede. In questa prospettiva voglio rendermi interprete dei desideri della gente, che è stanca sia del vuoto parlare privo di contenuti credibili, sia dell’alone di male con il quale si fa riferimento alla Locride nei media nazionali e internazionali. Sono consapevole che sperare oggi è difficile perché «la nostra speranza è insidiata da molte parti e rischia- mo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini senza speranza e senza Dio». 1 Non dobbiamo scoraggiarci dinanzi al male che sembra essere sempre più forte del bene, ma andare avanti testimoniando la fede e annunciando il Vangelo: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male» (Rm 12,21). Il cristiano non si può rassegnare dinanzi alle dina- miche negative della storia: «Nutrendo la virtù della spe- ranza, da sempre coltiva la consapevolezza che il cam- biamento è possibile e che, perciò, anche la storia può e

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Riprendete coraggio

hiesa in Italia

«Riprendete coraggio o voi tutti chesperate nel Signore» (Sal 31,25) è l’ac-corata invocazione che il vescovo diLocri-Gerace ha scelto come titolodella sua prima lettera pastorale. Inuna terra segnata dalla piaga del cri-mine organizzato, egli coglie con reali-smo le difficoltà e l’urgenza di un rin-novato annuncio della speranza cri-stiana, ma al tempo stesso ne eviden-zia tutti i motivi concretamente pre-senti. La gente è stanca, sottolinea ilprelato, «sia del vuoto parlare privo dicontenuti credibili, sia dell’alone dimale con il quale si fa riferimento allaLocride nei media». Partendo da unarichiesta di perdono per le infedeltàdel passato, il vescovo esorta i creden-ti a denunciare con fermezza il male ea promuovere questo atteggiamentocome «espressione della ricerca delbene comune e quindi come un valoremorale». È questo il primo, atteso se -gnale di speranza: il risveglio di una«cittadinanza responsabile» e un cam-biamento culturale che la Chiesa in -tende far maturare insieme a tutte leagenzie educative del territorio, nellaconvinzione «che i mali della Locridesi sconfiggono primariamente sulcampo dell’educazione».

Stampa (18.2.2011) da sito web www.diocesi-locri.it.

M o n s . G i u s e p p e F i o r i n i M o r o s i n iL e t t e r a p a s t o r a l e s u l l a r i p r e s ad e l l a s p e r a n z a n e l l a L o c r i d e

Introduzione

Consol idare la speranza

Carissimi fratelli,il motivo di questa lettera pastorale, dopo due anni di

permanenza in mezzo a voi, è quello di consolidarvinella speranza sulla salvezza del nostro territorio, laLocride. Con le parole della Scrittura dico a tutti:«Riprendete coraggio o voi tutti che sperate nelSignore» (Sal 31,25).

1. Iniziando il mio ministero pastorale a Locri dicevoche sentivo tutta la responsabilità di dovervi incoraggiaread avere speranza, non con vuote parole, ma aiutandovia discernere i segni di Dio, scritti nell’orizzonte dellagrande speranza che per noi cristiani è il Signore risorto.

Riprendo ora questo tema per chiarire che la spe-ranza annunciata dalla Chiesa non è illusione, ma cam-mino lungo e difficile, della cui riuscita è garante ilCristo morto e risorto. Spiegherò, pertanto, il significatodi questa speranza e ne illustrerò i contenuti, che sonoalla portata di tutti, soprattutto dei credenti, se vivonocon impegno il proprio cammino di fede.

In questa prospettiva voglio rendermi interprete deidesideri della gente, che è stanca sia del vuoto parlareprivo di contenuti credibili, sia dell’alone di male con ilquale si fa riferimento alla Locride nei media nazionalie internazionali.

Sono consapevole che sperare oggi è difficile perché«la nostra speranza è insidiata da molte parti e rischia-mo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani,uomini senza speranza e senza Dio».1 Non dobbiamoscoraggiarci dinanzi al male che sembra essere semprepiù forte del bene, ma andare avanti testimoniando lafede e annunciando il Vangelo: «Non lasciarti vinceredal male, ma vinci con il bene il male» (Rm 12,21).

Il cristiano non si può rassegnare dinanzi alle dina-miche negative della storia: «Nutrendo la virtù della spe-ranza, da sempre coltiva la consapevolezza che il cam-biamento è possibile e che, perciò, anche la storia può e

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deve convertirsi e progredire».2 Accogliamo anche l’in-coraggiamento di Gesù agli apostoli, mentre preannun-ciava loro difficoltà, sacrifici e persecuzioni: «Coraggio,io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).

Con questa lettera mi rivolgo soprattutto ai fedelidella diocesi, affinché riscoprano l’importanza dellatestimonianza fedele dei valori evangelici, dalla qualepuò rinascere la speranza nelle comunità cristiane e daesse estendersi a tutta la società. Ma la offro altresì comeproposta di riflessione a tutte le persone di buona volon-tà, anche se di diversa ispirazione religiosa e culturale,alle quali sta a cuore la Locride, perché assieme, sullabase di alcuni valori condivisi, possiamo prenderecoscienza dei problemi e dei mali che ci affliggono e farecosì un primo passo verso la loro soluzione.

La r i surrez ione di Gesù fonte del la nostra speranza

2. La morte e la risurrezione di Gesù è il fondamen-to della speranza cristiana: «Sia benedetto Dio e Padredel Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande miseri-cordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione diGesù Cristo dai morti, per una speranza viva» (1Pt 1,3).

La «speranza affidabile»3 per noi cristiani si fondasul mistero della Pasqua di Gesù. Mi rivolgevo così atutti voi nell’omelia della messa d’inizio del mio ministe-ro a Locri: «Contemplando il Crocifisso risorto noisiamo certi che il male non può prevalere definitiva-mente (…). Accettiamo la logica del passaggio dallamorte alla vita, dalla croce alla luce per costruire il benee non ci tiriamo indietro nell’essere costruttori coraggio-si del nostro futuro». La certezza della risurrezione fa sìche la speranza cristiana non significhi dubbio o incer-tezza su ciò che accadrà nel futuro, ma attesa del com-pimento del bene, nonostante ci siano lotte e sacrifici,dubbi e incertezze; ma su di essi si erge la promessa dei«cieli nuovi» e della «terra nuova» da cui sarà scompar-sa la fatica e il dolore (Ap 21,1-4).

Nella vittoria sulla morte c’è la certezza che tutti inostri mali saranno sconfitti, anche se forse non tutticoloro i quali avranno lottato per tale sconfitta, assapo-reranno sulla terra tale gioia.

Dinanzi al limite delle speranze umane, anche quel-le più proponibili e perseguibili dall’uomo, che la morteinesorabilmente distrugge, forte della fede nella risurre-zione, il cristiano guarda con speranza anche oltre lamorte verso l’eternità, indicata da Gesù come apprododella vita dell’uomo e come prospettiva dalla quale par-tire per cercare il senso e le ragioni della vita, incluse lasofferenza e la fatica che essa comporta. La speranza siillumina, perciò, con i colori dell’eternità.

La sua attesa non è la ricerca individualistica di unagioia soggettiva, che rende inoperosi e passivi dinanzi almale. Il cristiano non fugge dalle sue responsabilità per-ché spera in un altro mondo e lo attende; anzi proprioperché attende l’eternità beata si impegna a dare segnidella felicità futura nel momento presente lottando con-tro il male.4

La speranza che annunciamo è, dunque, la ripropostadella vocazione trascendente dell’uomo, cioè della suarelazione con Dio. Senza questa relazione l’orizzonte del-l’uomo si restringe entro gli angusti limiti della sfiducia,della tristezza, dell’abbandono e della disperazione.

Dal la r ich iesta d i perdono a l l ’annuncio del la speranza

3. Non posso parlare di speranza per la Locride eincoraggiare tutti a ripartire con fiducia rinnovata per lacostruzione del nostro futuro, se non inizio dalla neces-sità di chiedere perdono per la parte di responsabilitàche la comunità cristiana ha nei confronti dei mali esi-stenti tra noi. E ciò per due motivi: primo, perché iresponsabili dei nostri mali spesso sono cristiani battez-zati, infedeli alla loro dignità; secondo, perché la comu-nità cristiana non è stata sempre attenta nel denunciareil male e nel porvi rimedio.

Come vescovo di questa Chiesa, che è in Locri-Gerace, a nome di tutti i cristiani chiedo perdono:

− per tutte le volte che non abbiamo reagito conforza quando la religione è stata mescolata con l’illegali-tà e il malaffare;

− per aver cercato benessere e ricchezza fuori dalleregole morali dettate dalla legge di Dio e degli uomini;

− per non aver gridato a sufficienza contro la piagadell’usura, della droga, delle estorsioni;

− per aver cercato il nostro tornaconto e il bene indi-viduale, senza badare al bene comune;

− per non aver svolto il nostro lavoro come missionea servizio della collettività;

− per essere rimasti indifferenti e passivi dinanzi allamancanza di rispetto per la dignità e la libertà della per-sona; dinanzi agli omicidi, alle intimidazioni, agli atten-tati, alle varie schiavizzazioni, anche all’interno dellefamiglie.

Solo la purificazione della nostra memoria può ren-derci veramente liberi e credibili nell’annunciare la spe-ranza per la Locride. Come cristiani battezzati dobbia-mo riscoprire che la fede ci unisce in una comunità chedeve testimoniare le cose in cui crede: «Il Vangelo è unacomunicazione che produce fatti e cambia la vita».5

Non è sempre così per le nostre comunità cristiane,perché il nostro cristianesimo è malato e va curato allaradice, liberandolo dagli eccessi di devozionismo eriportato alla forza rinnovatrice della testimonianza.

Solo così è possibile per noi parlare di speranza.

I. Il significato della speranza cristiana

I l bene come unica speranza poss ib i le

4. Sorge spontanea la domanda: ma in che cosa sipuò cristianamente sperare? Non è difficile rispondere:

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di motivare gli uomini a una libera adesione all’ordina-mento comunitario. La libertà necessita di una convin-zione; una convinzione non esiste da sé, ma deve esseresempre di nuovo riconquistata comunitariamente».6 Lasperanza che vogliamo coltivare per la Locride appar-tiene al bene, che non sarà mai definitivo, perché deveessere conquistato sempre dall’uomo attraverso l’eserci-zio della libertà.

Speranza e fede

5. La Lettera agli Ebrei definisce la fede «fondamen-to delle cose che si sperano e prova di quelle che non sivedono» (Eb 11,1),7 ponendola così in stretta relazionecon la speranza; infatti la vita di fede non può che esse-re apertura continua alla speranza.8 Dio è sempre futu-ro, non è mai riducibile a un’esperienza per quantointensa essa sia. Dio cammina sempre davanti all’uomo,che si lascia guidare, sospirando una comunione con lui,che sarà perfetta solo nell’eternità beata. Perciò, qua-lunque bene l’uomo possa raggiungere, non è mai quel-lo che lo potrà appagare in modo definitivo, ma unatappa dello spirito che tende sempre verso mete nuove,in un divenire continuo, che può avere termine solonella visione di Dio «faccia a faccia» (1Cor 13,12), quan-do egli si rivelerà come il sommo bene, che appaga ognidesiderio dell’uomo.

Il credente, allora, non può mai arrendersi dinanzi aimali che lo circondano e non può mai incrociare le brac-cia sfiduciato dinanzi all’insuccesso, ma deve avere sem-pre il coraggio di ripartire. La visione apocalittica dellaGerusalemme nuova (cf. Ap 21,1-4) e la solenne affer-mazione di «Colui che sedeva sul trono: “Ecco, io faccionuove tutte le cose” (Ap 21,5) devono costituire, per chicrede, una forza che spinge sempre a ripartire e a lotta-re finché tutto sia rinnovato.

Sembra, però, che la Bibbia proietti il compimentodella speranza verso un futuro che non diventa mai pre-sente. La Chiesa ogni anno, all’inizio dell’Avvento, cipropone un suggestivo testo poetico di Isaia (11,6-9), chepromette come segno dell’avvento del messia la risolu-zione di tutte le contraddizioni esistenti nel mondo: «Illupo dimorerà insieme con l’agnello (…) non agirannopiù iniquamente». Leggere questo testo ogni anno, dopoduemila anni dalla nascita di Gesù, sembrerebbe prova-re il dubbio appena espresso.

Se non è così, qual è allora il significato della speran-za cristiana? Forte della fede nella risurrezione, che cosa

l’oggetto della speranza non può che essere il bene. Ilmale non può essere sperato; ecco perché Gesù ci invitaa non maledire nessuno, anzi a ricambiare la maledizio-ne con la benedizione.

La «speranza affidabile» che il cristiano vive e cheannuncia al mondo, non è altro che il bene ottenuto vin-cendo ogni forma di male, frutto del peccato. Una vitto-ria segnata dal mistero pasquale di Cristo, morto per noiper consentirci il possesso del bene, che non è solo l’ac-cesso alla vita eterna, ma anche a tutto ciò che è cerca-to quaggiù per un vita serena e felice.

San Paolo scrive: «Come Cristo fu risuscitato daimorti per mezzo della gloria del Padre, così anche noipossiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4).

È il battesimo che ci rende creature nuove, ci fa par-tecipi del mistero della morte e risurrezione del Signore(cf. Rm 6,3-6) e ci concede l’accesso al bene.

Siamo capaci, pertanto, di vincere il male anche noie di operare il bene, passando attraverso prove e diffi-coltà. La speranza cristiana, infatti non si ottiene a buonmercato: «Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, bensapendo che la tribolazione produce pazienza, lapazienza una virtù provata e la virtù provata la speran-za» (Rm 5,4).

Il bene che si spera deve essere, però, possibile; nonsi può desiderare e sperare ciò che è innaturale, peresempio di non morire mai oppure di volare, vincendola forza di gravità. Il bene sperato, inoltre, non deveessere espressione di chiusura egoistica, ma deve aprirsigenerosamente alla comunità, mettendo a servizio delbene comune i beni individuali; non si può, infatti, esse-re felici senza o contro gli altri. È questa la logica di sanPaolo quando esorta a considerare che tutto quanto sipossiede è stato dato da Dio per l’utilità comune (cf.1Cor 12,7).

Il raggiungimento del bene, infine, non può esseremai considerato come definitivo dagli uomini, perchéessi, dotati di libertà, possono sempre mettere in di-scussione ciò che le precedenti generazioni hanno rag-giunto.

Il bene è sempre una scelta che deve essere rinnova-ta. Benedetto XVI ha affermato: «La libertà presuppo-ne che nelle decisioni fondamentali ogni uomo, ognigenerazione sia un nuovo inizio». La stessa ricerca distrutture che possano garantire il bene, «sono non soloimportanti, ma necessarie; esse tuttavia non possono enon devono mettere fuori gioco la libertà dell’uomo.Anche le strutture migliori funzionano soltanto se in unacomunità sono vive delle convinzioni che siano in grado

1 BENEDETTO XVI, Lettera alla diocesi e alla città di Roma sulcompito urgente dell’educazione, 21.1.2008; Regno-doc. 7,2008,196.

2 EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese solidale. Chiesa italiana eMezzogiorno, 21.2.2010, n. 14; Regno-doc. 5,2010,162.

3 BENEDETTO XVI, lett. enc. Spe salvi sulla speranza cristiana,30.11.2007, n. 1; Regno-doc. 21,2007,649; EV 24/1439.

4 «La speranza escatologica non diminuisce l’importanza degliimpegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno dell’attuazione diessi» (CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, cost. past. Gaudium et spessulla Chiesa nel mondo contemporaneo, n. 21; EV 1/1380).

5 BENEDETTO XVI, Spe salvi, n. 2; Regno-doc. 21,2007,650; EV24/1440.

6 Ivi, n. 24; Regno-doc. 21,2007,657s; EV 24/1462.7 Cf. l’analisi che Benedetto XVI fa di questa espressione in Spe

salvi, nn. 7-9; Regno-doc. 21,2007,652s; EV 24/1445-1447.8 «“Speranza”, di fatto, è una parola centrale della fede biblica −

al punto che in diversi passi le parole “fede” e “speranza” sembranointerscambiabili» (BENEDETTO XVI, Spe salvi, n. 2; Regno-doc.21,2007,649; EV 24/1440). I vescovi italiani hanno scritto che dallasperanza in Gesù «nasce una grande speranza per l’uomo, per la suavita, per la sua capacità di amare» (EPISCOPATO ITALIANO, Educarealla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali per il decennio2010-2020, 28.10.2010, n. 5; Regno-doc. 19,2010,603).

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croce, spera nella liberazione da entrambe e prega ilPadre per ottenere il compimento di questa speranza:«Se è possibile passi da me questo calice» (Mt 26,39).

Nel piano provvidenziale del Padre la liberazione cisarebbe stata con la risurrezione gloriosa, ma solo dopola passione e la morte in croce. Questo mistero segna lavita del credente e lo educa a coltivare e impetrare una

il credente può sperare e come deve sperare quanto desi-dera?

La speranza è un bene che Dio concede come dono;entra, pertanto, nel mistero del rapporto tra piano prov-videnziale di Dio e desiderio dell’uomo, che anche Gesùnella sua vita ha sperimentato come difficile e faticoso.Egli, dinanzi al male incombente della passione e della

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orta la data del 22 febbraio questa intensa e accorata lettera,intitolata Ascoltate il cuore!, che mons. Depalma, arcive-scovo-vescovo di Nola, ha indirizzato «alle persone che vi-

vono nella criminalità», ovvero, per quanto riguarda il territoriodella sua diocesi (diviso tra le province di Napoli, Avellino e Sa-lerno), a quanti appartengono alla camorra.

Vorrei gridare,come fece Giovanni Paolo II in Sicilia:«Converti-tevi!». Un urlo lancinante che ha segnato la mia esperienza di pastore.Allo stesso tempo, però, vorrei quasi sussurrarvi: «Un’altra vita è pos-sibile… la felicità è una porta che può aprirsi anche per voi… il presuntocoraggio di uccidere e fare del male può diventare vero coraggio,quello di dire la verità e fare verità dentro di sé…».

Si, voglio parlare con voi e a voi, alle persone che hanno fatto efanno scelte criminali. Come ogni uomo e ogni donna, anche voi avetebisogno e diritto a una parola chiara. Probabilmente mi risponderete,in dialetto: «Ma chi te l’ha chiesta? Fai il prete, pensa ai sacramenti…».Non m’importa: io voglio parlare lo stesso. Mi sono spesso rivolto alleistituzioni e alla gente. Questa volta, invece, mi rivolgo a voi. Perchésiete voi, proprio voi, il punto.

Forse, se ciascuno di voi raccontasse la sua storia, emergerebberotanti diversi profili. Chi è vissuto intriso di cultura camorristica, al puntoda pensare che il mondo non possa che andare così, secondo la leggedel più forte… chi si è sentito attratto da soldi facili e potere, chi hasentito il «brivido» della violenza, chi ha inteso «farsi da solo», chi hapreso questa strada come «ultima spiaggia» dopo aver cercato un la-voro legale, chi ha pensato di ribellarsi con la forza bruta dalla po-vertà… Vi dico, da pastore, che avrei non solo la curiosità, ma ildesiderio di ascoltarle davvero queste storie.

Allo stesso tempo, però, sarebbe importante che voi ascoltastealtre storie. Quella di Mario, commerciante con moglie e tre figli, cheha chiuso per via delle vostre angherie e ora tira a campare tra milleumiliazioni e un senso profondo di fallimento; quella di Giuseppe, im-prenditore che si è trasferito al Nord lasciando senza lavoro 50 per-sone della nostra terra; quella di centinaia e centinaia di persone ucciseo ridotte a letto dai fumi tossici dei rifiuti sversati senza regole. Quelladi Fabio, giovane laureato in chimica con 110 e lode che non trova lavorosolo perché ha dignità e non è disposto a sottostare a regole ingiuste,spesso scritte da voi con la complicità della politica e dell’economia«legale». Quella di Marina, che ogni pomeriggio passa la giornata alla fi-nestra, a controllare i due figli adolescenti che giocano sotto casa, conl’ansia di evitare loro «brutti giri». Vorrei che le ascoltaste, anche se giàle conoscete. Insieme, queste storie dicono una sola cosa: quante sof-ferenze in questo nostro territorio! Quante lacrime, quante stragi diinnocenti, quante paure per il presente e per il futuro!

Spesso noi meridionali – e sono certo anche voi – ci riempiamola bocca dell’amore per la nostra terra. Ovunque proclamiamo il no-stro senso di appartenenza. Una vittoria della squadra di calcio ci cam-bia la settimana. Ma se giorno per giorno la distruggiamo, questa terra,l’amore che proclamiamo è falso e ipocrita. È come dire di voler bene

a una donna che sta ferma immobile su una sedia, disponibile a farsischiaffeggiare in ogni momento. È amore questo? No, è qualcosa diperverso e degradante. Stiamo sciupando una storia, una cultura, unaterra, il patrimonio che ci è stato consegnato. Stiamo vanificando ildono stesso della vita.

In un famoso film americano, Bronx, una grande star di Holly-wood, Robert De Niro, che interpreta il ruolo di un dignitoso condu-cente di autobus, così spiega al figlio cosa sono i delinquenti: «Sonotalento sprecato, figliolo, ricorda, talento sprecato…». Ecco, talentosprecato. Intelligenze sottratte a una causa buona, e messe a serviziodella peggiore delle cause. Mani strappate alla bellezza e consegnatealla bruttura. Piedi tolti da una strada dritta per attraversare un sentierofangoso. E quello che più mi rattrista è che associate ai vostri gesti,alle vostre azioni, ai vostri comportamenti addirittura un senso reli-gioso. No, questo no, non è plausibile. In nessun modo Dio approval’omicidio di singole persone e di una collettività, la violenza, la su-perbia, l’ingiustizia, l’illegalità, il ricatto… E non sono grandi statue disanti, o sontuose offerte economiche o residui della superstizionepopolare che vi fanno essere credenti autentici. Ve lo dico con tuttala chiarezza di cui sono capace! E mentre lo dico a voi, lo dico a tuttoil popolo di Dio, ai fedeli laici, ai sacerdoti, ai religiosi: la vita criminalenon è compatibile con la fede in Dio Padre!

Tante persone a volte mi dicono con senso di provocazione:«Padre, ma per 500 euro al mese non è meglio che faccio il camorri-sta?». «No! – rispondo d’impeto – Se tu guadagni 500 euro è proprioper quel meccanismo perverso che la criminalità orienta, e che portail debole a sopperire. Se passi dall’altra parte, domani tuo figlio ne gua-dagnerà 300…». Certo, facile parlare per un vescovo, uno che, comedite voi, «sta sempre chiuso in quel bel palazzo». Ma nemmeno que-sta considerazione mi fa desistere dal dire un’ultima cosa. Quando unuomo o una donna tornano a casa, di sera, è come se facessero i conticon la loro giornata. È essenziale, per ciascuno di noi, poggiare la testasul cuscino dicendo: «Ho fatto tutto quello che dovevo e potevo, esono pronto a fare altrettanto domani…». Voi, se ci pensate, vi statenegando la possibilità di un sonno sereno e giusto. E negandovelo, lonegate ai vostri cari. E, ormai, lo state negando a noi tutti.

Ecco, ora che con grande trepidazione vi ho detto quanto sentivo,anch’io posso poggiare la testa sul cuscino con il cuore più libero, manon meno inquieto. Vi penso in case lussuose, in poveri appartamenti,in cella, per strada, in una masseria abbandonata. Prego perché la vo-stra conversione potrebbe essere la salvezza di questo popolo. Innome di Dio che ama la giustizia e la verità, recuperate la bellezza dellavera umanità, con il vostro cambiamento interiore ridate speranza allagente, recuperando il vostro senso della verità restituite un futuro se-reno alle nostre città, al nostro sviluppo. Ho fiducia che anche in voicontinui a esserci il desiderio di altro, dell’altro e dell’Altro.

Nola, 22 febbraio 2011, Cattedra di San Pietro.

✠ BENIAMINO DEPALMA,arcivescovo-vescovo di Nola

Il vescovo di Nola ai camorristi

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9 «La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata lasperanza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamoaffrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso,può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di que-sta meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande dagiustificare la fatica del cammino» (BENEDETTO XVI, Spe salvi, n. 1;Regno-doc. 21,2007,649; EV 24/1439).

10 Cf. Ivi, n. 35; Regno-doc. 21,2007,660s; EV 24/1473.11 EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese solidale, n. 2; Regno-doc.

5,2010,154. Ciò era stato ribadito da Giovanni Paolo II nel suo di-scorso al III Convegno ecclesiale nazionale di Palermo il 23.11.1995(n. 5; cf. Regno-doc. 21,1995,669).

12 Ivi, n. 1; Regno-doc. 5,2010,154.

speranza, che sarà sempre segnata dal mistero dellacroce e si compirà nei tempi e nei modi stabiliti da Dio:«Se il chicco di grano caduto in terra non muore nonporta frutto» (Gv 12,24).9

Noi abbiamo la certezza che la nostra storia perso-nale e quella dell’umanità è guidata dalla Provvidenza diDio. Gesù ci ha insegnato a confidare nell’amore delPadre (cf. Mt 6,25-34). Su questa fede noi poggiamo lanostra speranza, nonostante tutti i nostri umani falli-menti.10 È in questo senso che Gesù parla ai discepoli diEmmaus della necessità della croce: «Non bisognavache il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nellasua gloria?» (Lc 24,26). Tale necessità non è l’esaltazio-ne di un destino fatalistico che schiaccia l’uomo e lolascia alla mercé di forze a lui estranee, ma la consape-volezza di una responsabilità dinanzi al suo futuro percui egli si assume il compito di lottare per esso, nonnascondendosi la possibilità che il suo percorso di spe-ranza potrà non essere lineare, ma reso difficile da forzemaligne, che lo ostacoleranno in ogni modo. Per spie-garci tutto questo Gesù ha raccontato la parabola dellacoesistenza del grano e della zizzania, che il padrone delcampo lascia crescere assieme sino al momento dellamietitura (cf. Mt 13,24-30.36-43).

Questa realtà noi credenti la accettiamo e lottiamopieni di fiducia per il compimento della speranza desi-derata, senza scandalizzarci di quel «non bisognava»offerto da Gesù come chiave interpretativa della suamorte e, in ultima analisi, della speranza cristiana. Maanche chi non ha fede apprezza il sacrificio di chi lottaper realizzare nel mondo il bene senza conseguirloimmediatamente, e propone gesti eroici come valori eideali, anche se non riesce a conciliare l’esistenza di Diocon la sofferenza e il sacrificio dell’uomo.

Speranza e convers ione

6. Se Dio concede la speranza come dono, il primopasso da compiere per essere costruttori di speranza èquello di convertirsi.

Il Signore, dopo avere affidato a Isaia il compito diannunciare la speranza, lo invita a rivolgersi al popoloper esortarlo alla conversione (cf. Is 40,1-4). Gesù iniziala sua predicazione riprendendo l’invito del Battista allapenitenza (cf. Mc 1,15); non l’inizia a Roma rivolgendo-si all’imperatore, né a Gerusalemme dinanzi ai sommisacerdoti, ma presso un lago parlando a semplici pesca-tori, che invita ad abbandonare le loro sicurezze perseguirlo: «Vi farò pescatori di uomini» (Mc 1,17). A essipoi, dopo averlo seguito per tre anni, affida il compito diportare l’annuncio del Vangelo in tutto il mondo (cf. Mt28,18-20).

Il cambiamento del cuore dell’uomo è allora il puntodi forza per realizzare l’avvento del regno di Dio, centrodella speranza messianica.

Nelle parabole del Regno Gesù scommette sullanecessità di partire da questo punto, semplice ma decisi-vo; perciò paragona il regno di Dio al poco lievito che fafermentare la massa, al poco sale che dà sapore ai cibi,al piccolo seme che diventa albero frondoso.

Non possiamo essere operatori di speranza se nonsiamo interiormente orientati verso Dio. Un cuore chiu-so a Dio non può essere portatore di speranza, sempli-cemente perché non è portatore di bene.

Rinnovati interiormente dal Vangelo, noi sentiamodi dover essere costruttori del regno di Dio, e perciò delnostro futuro, perché il regno di Dio si identifica con lanostra storia, la nostra vita, i luoghi ove dimoriamo,quando sono restituiti alla giustizia, all’amore, alla gioiae alla pace.

Un discorso cristiano sulla speranza, quindi, cirichiama inevitabilmente alla nostra responsabilità indi-viduale e collettiva, perché il bene sperato non piove dalcielo senza l’impegno dell’uomo. Se la speranza è donodi Dio, l’impegno dell’uomo deve creare le premesse percui Dio possa donarci quanto noi desideriamo e chie-diamo a lui nella preghiera.

Perciò, annunciare la speranza deve significareanche educare alla responsabilità e all’impegno perso-nale e collettivo per trovare i modi onde rendere possi-bile e credibile la speranza.

I vescovi italiani hanno sollecitato il protagonismo ditutte le persone del Sud, appellandosi «alle non pocherisorse presenti» in loro, ma hanno ribadito anche che se«spetta alle genti del Sud essere protagoniste del proprioriscatto, questo non dispensa dalla solidarietà dell’interanazione»,11 perché nel Sud ci sono diversi aspetti che«rendono difficile farsi carico della responsabilità diessere soggetto del proprio sviluppo».12

Speranza , sol idar ietà , miser icordia

7. Gesù si è presentato come l’inviato di un Diomisericordioso che scommette sempre sulla possibilitàdell’uomo di ritornare sui suoi passi.

Il tema della misericordia, perciò, ritorna a più ripre-se sia nelle azioni di Gesù (Zaccheo, l’adultera, MariaMaddalena, il buon ladrone), sia nelle sue parole:«Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sonovenuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt9,13). La Chiesa oggi continua la missione di Gesù pro-clamando che c’è misericordia e salvezza per tutti.

Mentre in tanti nella società pensano che sia suffi-ciente mettere in carcere chi delinque, e sono tranquilli

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dopo che ciò è accaduto, la Chiesa, forse unica istituzio-ne, crede nel recupero di chi ha sbagliato e scommettesu di lui attraverso la sua azione pastorale, e non hapaura di essere sola su questo fronte, ma va avanti concoraggio.

Nel nostro territorio l’annuncio della speranza lega-ta alla misericordia deve tener conto di due referentiparticolari: le vittime della violenza e quanti la pratica-no. Ai primi esprimo solidarietà, agli altri rivolgo l’invi-to forte del Vangelo: convertitevi, perché c’è misericor-dia anche per voi.

Come cristiani e come semplici cittadini, dobbiamoesprimere solidarietà a quanti sono vittime della violen-za della malavita organizzata: i commercianti e i profes-sionisti afflitti dalla schiavitù del pizzo; gli imprenditoriimpediti nella loro attività con attentati di ogni genere;gli operai che restano senza lavoro perché i cantierichiudono per gravi minacce; coloro che sono strozzatidall’usura; quanti sono costretti al lavoro nero o a falsicontratti per sopravvivere; coloro che firmano falsebuste paga per avere un salario anche minimo; i giovaniche devono elemosinare il posto di lavoro.

A loro voglio offrire questa mia lettera sulla speran-za, incoraggiandoli a non arrendersi, ma a sperare anco-ra. Li invito a non abbandonare il nostro territorio perdelusione e disperazione; ma chiedo anche a chi può edeve sostenerli di fatto a non lasciarli soli e ad aiutarliquando decidono di lottare e di non sottostare al poterecriminale.

A tutti sollecito il coraggio di denunciare il malesenza paura, perché la paura ci toglie la libertà.

A quanti seminano violenza e terrore ricordo chehanno una grave responsabilità per il mancato sviluppodel nostro territorio. Essi sono «un fenomeno che danneg-gia gravemente il Meridione, perché inquina la vita socia-le, creando un clima di insicurezza e di paura, impedisceogni sana imprenditoria, esercita un pesante influsso sullavita politica e amministrativa, offusca, infine, l’immaginedel Mezzogiorno di fronte al resto del paese».13

Vogliano decidersi, per amore alla nostra terra, aritornare sui loro passi, ricordando che un giornodovranno rendere conto a Dio, che certamente non puòbenedire il loro operato. Non considerino loro protetto-ri né la Madonna né alcun santo. Tra religione e malaf-fare con ci può essere alcun punto di incontro. Mai.

Non si illudano di crearsi un volto pulito capeggian-do eventualmente comitati per feste religiose o portandoa spalle le statue nelle processioni.

Sappiano che ogni ricchezza accumulata con la vio-lenza e il traffico di morte è maledetta da Dio, che casti-ga sempre, anche se non immediatamente.

Lo stesso Dio, però, vi usa anche misericordia se viconvertite.

La misericordia promessa da Gesù è legata semprealla conversione e alla riparazione. Esemplare il caso diZaccheo al quale egli garantisce la salvezza, dopo che luiha promesso di riparare il male fatto, risarcendo quantiaveva frodato (cf. Lc 19,8-10).

Invito allora quanti sono sulla strada dell’illegalità edel crimine, gli aderenti alla ‘ndrangheta e associazioni

simili a una conversione vera, della quale sarà segnoproprio la volontà di riparare. La loro decisione sarebbe«veramente la buona notizia di Cristo (cf. Mc 1,15)»14 eun segnale forte di speranza per la Locride; sarebbecome un girar pagina, aprendosi a prospettive nuove disviluppo e di convivenza.

Speranza , paz ienza e preghiera

8. San Paolo mette in relazione pazienza e speranza:«La tribolazione produce pazienza, la pazienza unavirtù provata e la virtù provata la speranza» (Rm 5,3-4).

Negli altri scritti del Nuovo Testamento la speranza,proprio perché non è possesso immediato ma attesa econquista dopo un lavoro lento e faticoso, esige lapazienza fiduciosa.

L’Apostolo aggiunge: «Se speriamo quello che nonvediamo, lo attendiamo con perseveranza» (Rm 8,25).San Giacomo, per esortare all’attesa fiduciosa, ma ope-rosa, richiama la figura dell’agricoltore: «Guardate l’a-gricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso fruttodella terra finché abbia ricevuto le prime e le ultimepiogge» (Gc 5,7-8).

Entrambi, poi, quasi a prevenire l’obiezione che ilperseverare nell’attesa sfoci nell’illusione, richiamanol’esempio dei grandi uomini della storia sacra che hannosperato attendendo: «Fratelli, prendete a modello disopportazione e di costanza i profeti che hanno parlatonel nome del Signore. Ecco, noi chiamiamo beati quelliche sono stati pazienti. Avete udito parlare della pazien-za di Giobbe e conoscete la sorte finale che gli riserbò ilSignore, perché il Signore è ricco di misericordia e dicompassione» (Gc 5,10-11).

San Paolo a sua volta scrive: «Tutto ciò che è statoscritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione,perché, in virtù della perseveranza e della consolazioneche provengono dalle Scritture, teniamo viva la speran-za» (Rm 15,4).

Anche la Lettera agli Ebrei (10,32-11,1-39)15 siferma a lungo sul tema della perseveranza e sulla testi-monianza che hanno dato i grandi personaggi dellaBibbia, dei quali si dice: «Nella fede morirono tutticostoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li vide-ro e li salutarono solo da lontano» (Eb 11,13).

Queste considerazioni ci spingono a non crederesprecato il lavoro di chi combatte per la realizzazionedella speranza, ma non ne vede i frutti. Nella fede noilavoriamo per il bene e con pazienza attendiamo l’ora diDio come Abramo che, messo a dura prova, sa attende-re il compimento della promessa ed ebbe fede sperando«contro ogni speranza» (Rm 4,18).

Benedetto XVI ha scritto che «il bene vince e, se avolte può apparire sconfitto dalla sopraffazione e dallafurbizia, in realtà continua a operare nel silenzio e nelladiscrezione portando frutti nel lungo periodo».16

La speranza, poi, in quanto è tutta protesa verso unbene che non si ha e che si potrebbe anche non conse-guire, esige per natura che essa venga chiesta a Dio comedono con la preghiera, che, a sua volta, sorregge l’attesa.

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Chiesa in Italia

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Nella Bibbia sono i Salmi a esprimere il nesso trasperanza e preghiera. Dinanzi ai mali che Israele speri-menta, il salmista come unico rifugio presenta la pre-ghiera con la quale fa chiedere all’orante l’intervento diDio: «Fino a quando i malvagi, Signore, fino a quando imalvagi trionferanno? (...) Calpestano il tuo popolo,Signore, opprimono la tua eredità (...). Ma il Signore è ilmio baluardo, roccia del mio rifugio è il mio Dio. Su diloro farà ricadere la loro malizia, li annienterà per laloro perfidia» (93,3.5.22s). Benedetto XVI ha ribaditoche il rinnovamento sociale cristiano è fondato anchesulla preghiera, perché essa «dà la forza di credere e lot-tare per il bene anche quando umanamente si sarebbetentati di scoraggiarsi e di tirarsi indietro».17

Anche noi, assieme agli sforzi che faremo per lo svi-luppo della Locride, pieghiamo le ginocchia e alziamogli occhi verso l’alto, confortati dalle parole del papa:«Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alza-te verso Dio nel gesto di preghiera, cristiani mossi dallaconsapevolezza che l’amore pieno di verità, caritas inveritate, da cui procede l’autentico sviluppo, non è danoi prodotto ma ci viene donato».18

II. La speranza che la Chiesa annuncia nella Locride

La test imonianza nel la e del la comunità d i fede

9. Nel libro di Giobbe leggiamo: «La tua condottaintegra [non era forse] la tua speranza?» (Gb 4,6). Latestimonianza deve essere posta alla base dell’annunciodella speranza perché i cristiani sono portatori di valorida immettere nella vita per trasformarla dal di dentro.

Va riscoperta allora la forza della testimonianza e lamissione di essere lievito della società. Ricordiamo leparole di S. Pietro: siate «pronti sempre a rispondere achiunque vi domandi ragione della speranza che è invoi» (1Pt 3,15).

È un voi che non può essere assolutamente la sommadi tante individualità distinte e separate tra loro, ma chedeve riportarci a quell’unità costituita dalla comunità, laChiesa, alla quale approdiamo con il battesimo.

La dimensione comunitaria della fede gioca un ruoloimportante per la testimonianza della speranza sulnostro territorio.

Ma abbiamo noi la consapevolezza di essere comu-nità di fede, che mentre annuncia la speranza ne diven-ta essa stessa costruttrice con la sua vita? La storia dellaChiesa ci insegna che quando le comunità cristiane

vivono con coerenza il Vangelo, tutti i suoi membridiventano protagonisti coraggiosi e incisivi del cambia-mento della società, perché la fede li rende capaci diessere cittadini leali e operosi per il bene comune (cf.1Pt 2,13-17).

Richiamare i nostri fedeli al senso di appartenenza auna comunità e alla loro responsabilità di essere testi-moni dei valori della fede professata, è il primo annun-zio di speranza. Molti dei nostri mali, che condizionanopesantemente la vita dei cittadini, sono la conseguenzadi atteggiamenti privi di moralità assunti da coloro chedovrebbero gestire al meglio tali servizi.

Ora, statisticamente noi cristiani siamo maggioranzanella Locride, perché la quasi totalità della gente ricorrealla religione nei momenti decisivi della vita.

Allora, se coloro i quali nella società svolgono qua-lunque attività, privata o pubblica, si impegnassero conresponsabilità e senso del dovere, come impegno mora-le conseguente alla fede, nel rispetto dei diritti della per-sona, tutto ritornerebbe a funzionare bene e molti disagisarebbero scongiurati.

Ancora una volta invito i fedeli a essere coerenti conla loro fede, e sollecito altresì con insistenza i membridelle associazioni mafiose, che pensano di essere cristia-ni, a ritornare sui loro passi e a essere coerenti con lavera fede, che condanna i loro comportamenti.

I l cambiamento culturale

10. È opinione comune che i problemi della Locridee di tutta la Calabria trovano nel fattore culturale il lorofondamento e il punto di convergenza. Dalla nostrasituazione di disagio usciremo se cambia nella gente lavisione dell’uomo, della sua dignità, del suo vero bene,di ciò che gli conviene veramente per sentirsi felice erealizzato.

Lo stato da sempre è impegnato nella lotta contro ilcrimine organizzato, anche se non sempre con la conti-nuità dovuta, attraverso l’impegno dei magistrati e delleforze dell’ordine. Nello svolgimento di questa azionerepressiva quante volte abbiamo sentito dire che, eranostate decapitate le cupole delle organizzazioni criminali!

Dopo breve tempo ci si accorgeva, però, che l’appa-rato del crimine era rimasto solido e stabile, segno evi-dente che per garantire la liberazione da questo terribi-le male non basta l’azione repressiva, anche se necessa-ria e meritevole di lode e ringraziamento da parte ditutti i cittadini, consapevoli che magistrati e forze del-l’ordine rischiano in prima persona. È necessario soprat-tutto investire nel cambiamento culturale, vero e graveproblema della nostra gente. Puntuale l’osservazione deivescovi italiani: «È ancora presente una cultura che con-

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13 EPISCOPATO ITALIANO, Sviluppo nella solidarietà. Chiesa ita-liana e Mezzogiorno, 18.10.1989, n. 14; ECEI 4/1939.

14 EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese solidale, n. 9; Regno-doc.5,2010,159.

15 Benedetto XVI, commentando il termine «pazienza» presentein Eb 10,36, scrive: «Questo saper aspettare sopportando paziente-mente le prove è necessario al credente per poter “ottenere le cose pro-

messe”» (BENEDETTO XVI, Spe salvi, n. 9; Regno-doc. 21,2007,653; EV24/1447).

16 Benedetto XVI citato in EPISCOPATO ITALIANO, Per un paesesolidale, n. 14; Regno-doc. 5,2010,162.

17 Ivi.18 BENEDETTO XVI, lett. enc. Caritas in veritate sullo sviluppo umano

integrale nella carità e nella verità, 29.6.2009, n. 79; Regno-doc. 15,2009,490.

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sente loro [ai mafiosi] di rigenerarsi anche dopo le scon-fitte inflitte dallo stato attraverso l’azione delle forze del-l’ordine e della magistratura. C’è bisogno di un precisointervento educativo, sin dai primi anni di età, per evi-tare che il mafioso sia visto come un modello da imita-re».19 È sintomatico che in entrambi i documenti dellaCEI sul Mezzogiorno d’Italia si sottolinei l’urgenza dellaformazione e del cambiamento culturale come via alcambiamento e allo sviluppo del Sud.20

Ecco perché bisogna investire sulla formazione, coin-volgendo tutte le agenzie educative in un’azione sinergi-ca. Prima ancora di offrire ai ragazzi e ai giovani valu-tazioni morali del perché agire in un modo o in un altro,bisogna offrire loro una visione di dignità e di realizza-zione dell’uomo, per cui valga la pena impegnare la vita.

Fino a quando rimarrà immutato nei giovani il giu-dizio positivo su chi si impone all’attenzione di tuttiattraverso l’attività criminale, non sarà alcuna remoramorale, fosse anche quella cristiana, a distoglierli dallavia perversa dell’illegalità e della delinquenza.

In questa mia lettera, qua e là, ho illustrato aspetti ditale cambiamento culturale. È opportuno a questopunto offrire una sintesi dei cambiamenti più urgenti: ilsuperamento dell’individualismo per una scelta del benecomune; la rinuncia di una mentalità di delega in vistadi una partecipazione più attiva e responsabile; l’abban-dono di ogni velleità campanilistica per una cultura delterritorio; il rigetto del familismo per una visione piùlarga della comunità; il rifiuto della cultura dell’apparirefondata sul consumismo per una scelta di vita più sobria;il rinnegamento della vendetta per la scelta cristiana delperdono; il ripudio di una giustizia fatta da sé per unamaggiore fiducia nelle istituzioni.

La formazione del le cosc ienze

11. Ecco allora la necessità di impegnarsi nella for-mazione delle coscienze. Essa è stata l’obiettivo primarioall’inizio del mio ministero episcopale nella Locride: maè soprattutto sul campo della formazione delle coscienzeche voglio impegnare la mia persona, la mia azionepastorale, quella di tutta la comunità diocesana.21

E i vescovi italiani nel recente documento sulMezzogiorno al n. 16 hanno affermato: «Rivendichia moalla dimensione educativa, umana e religiosa, un ruoloprimario nella crescita del Mezzogiorno: uno sviluppoautentico e integrale ha nell’educazione le sue fondamen-ta più solide, perché assicura il senso di responsabilità el’efficacia dell’agire (…). I veri attori dello sviluppo nonsono i mezzi economici, ma le persone».

Oggi la formazione delle coscienze è ritenuta urgen-te da molti, anche fuori dal mondo strettamente eccle-siale. Si è compreso finalmente che il cambiamento desi-derato e invocato della nostra società non è un proble-ma solo di polizia o di sicurezza economica e lavorativa.Come ho già osservato, è sul modo di concepire la vita,sugli ideali ai quali ci si affida che bisogna intervenire.Occorre convincere le persone fin dalla più tenera etàche delinquere non conviene, se come approdo delle

attività criminali, ancor prima del giudizio di Dio, chesarà severo,22 c’è quello degli uomini attraverso gli arre-sti, i processi, il carcere duro, il sequestro dei beni.Quando si è scoperti e perciò perseguiti dalla legge, losconforto e la disperazione cade sulla famiglia; finisce lagioia dello stare assieme, di vedere crescere i figli, e su-bentrano i disagi degli spostamenti per incontrare iparenti nelle carceri.

L’obiettivo dell’azione della Chiesa è quello di pro-muovere lo sviluppo della persona nella sua totalità, inquanto soggetto in relazione, secondo la grandezza dellavocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germedivino.23

Il campo educativo è allora il suo campo privilegiato enella Locride l’occasione è offerta da quel contesto di reli-giosità generalizzata, la quale, anche se spesso è ridottasolo a un fattore culturale, maturato in lunghi secoli dicristianesimo attivo e praticante, è pure sempre l’occasio-ne per cui la Chiesa può parlare al cuore della gente einfondere in esso i valori evangelici nei quali crede.

La formazione delle coscienze è, perciò, l’azione pri-maria della Chiesa, che non esclude ogni possibile inter-vento di natura economica e sociale, anzi ne costituisceil substrato di valore.

Lungo tutta la sua storia la Chiesa, annunciando ilVangelo, ha promosso anche la liberazione sociale, poli-tica ed economica delle persone alle quali si è rivolta,predicando la buona novella del Regno.

L ’evangel izzaz ione

12. L’annuncio del Vangelo, come ricchezza di valo-ri che cambia la società, è il grande contributo di spe-ranza che la Chiesa reca all’umanità: «Evangelizzare,per la Chiesa, è portare la buona novella in tutti gli stra-ti dell’umanità, è, col suo influsso, trasformare dal didentro, rendere nuova l’umanità stessa: “Ecco io faccionuove tutte le cose”. Ma non c’è nuova umanità, seprima non ci sono uomini nuovi, della novità del batte-simo e della vita secondo il Vangelo. Lo scopo dell’e-vangelizzazione è appunto questo cambiamento interio-re».24 È un’affermazione che ha tutta la forza di un prin-cipio irrinunciabile della Chiesa, posto da me alla basedel mio ministero pastorale nella Locride.

La storia millenaria della Chiesa ci dimostra il nessoprofondo tra evangelizzazione e promozione umana.Sin dal primo annuncio del Vangelo fatto dagli aposto-li, la Chiesa, dovunque è arrivata con i suoi missionari eapostoli per annunciare Gesù Cristo, ha impresso nellasocietà una forza di liberazione, che è stata capace dicambiare il mondo: «Quando la Chiesa e i singoli cri-stiani agiscono per svegliare dallo stato di torpore (cf. Sal49,21) e dal rilassamento morale, che procura l’induri-mento del cuore e la perdita del santo timore di Dio (cf.Is 63,17), dando voce a chi non ha voce, allora testimo-niano la stessa opera di speranza compiuta dai profeti eda Cristo Signore, venuto anzitutto a salvare “le pecoreperdute della casa d’Israele” (Mt 15,24)».25

Paolo VI aveva affermato: «Noi siamo lieti che la

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hiesa in Italia

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19 EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese solidale, n. 9; Regno-doc.5,2010,158.

20 «Compito primario della Chiesa è la formazione delle coscien-ze, l’annunzio della verità evangelica che continuamente provoca erinnova. Le vere prospettive di rinnovamento e di sviluppo non con-sistono nell’entusiasmo momentaneo, ma in una profonda e costantematurazione personale, comunitaria e sociale, da realizzare sulla basedelle grandi potenzialità culturali ed etiche degli uomini e delle donnedel Sud, all’interno di un progetto “proprio”, non “importato”, e inuna illuminata tensione collettiva per far crescere la società meridio-nale» (EPISCOPATO ITALIANO, Sviluppo nella solidarietà, n. 15; ECEI4/1941). «Per far maturare questa particolare sensibilità, spirituale eculturale a un tempo, è necessario impegnarsi in una nuova propostaeducativa, rigenerando e riordinando gli ambiti in cui ci si spende perl’educazione e la formazione dei giovani. La questione scolasticadev’essere affrontata come espressione della questione morale e cul-turale che preoccupa tutti in Italia e che nel Mezzogiorno raggiungelivelli drammatici» (EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese solidale, n.17; Regno-doc. 5,2010,164. Cf. Ivi anche i nn. 11 e 14).

21 Benedetto XVI ha affermato che «la maggior forza a serviziodello sviluppo è un umanesimo cristiano» (BENEDETTO XVI, Caritasin veritate, n. 78; Regno-doc. 15,2009,490).

22 La Chiesa a più riprese ha ricordato che si dovrà rendereconto a Dio del modo come si vive (cf. EPISCOPATO ITALIANO, Per unpaese solidale, n. 9; Regno-doc. 5,2010,158s).

23 EPISCOPATO ITALIANO, Educare alla vita buona del Vangelo, n.15; Regno-doc. 19,2010,607.

24 PAOLO VI, es. ap. Evangelii nuntiandi sull’evangelizzazionenel mondo contemporaneo, 8.12.1975, n. 18; EV 5/1610.

25 EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese solidale, n. 11; Regno-doc.5,2010,160-161.

26 PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, n. 38; EV 5/1630.27 GIOVANNI PAOLO II, lett. enc. Centesimus annus nel centena-

rio dell’enciclica Rerum novarum, 1.5.1991, n. 57; EV 13/251 (citatoanche in EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese solidale, n. 16; Regno-doc. 5,2010,163).

28 EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese solidale, n. 1; Regno-doc.5,2010,154.

29 GIOVANNI PAOLO II, es. ap. postsinodale Christifideles laici suvocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, 30.12.1988,n. 34; EV 11/1747 (citato anche da Benedetto XVI nel motu proprioUbicumque et semper del 21.10.2010 con il quale si istituisce ilPontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione;Regno-doc. 19,2010,589).

Chiesa prenda coscienza sempre più viva della manierapropria, fondamentalmente evangelica, che essa ha dicollaborare alla liberazione degli uomini. E che cosa fa?Cerca sempre più di suscitare numerosi cristiani che sidedichino alla liberazione degli altri. Offre a questi cri-stiani “liberatori” un’ispirazione di fede, una motivazio-ne di amore fraterno, un insegnamento sociale al qualeil vero cristiano non può non essere attento, ma che deveporre alla base della sua sapienza, della sua esperienzaper tradurlo concretamente in categorie di azione, dipartecipazione e di impegno».26

A questo punto ci si chiede: come mai nella Locride,a fronte di una diffusa religiosità di ispirazione cristiana,abbiamo fenomeni che sono contrari ai principi delVangelo?

Il Vangelo ha perso la sua capacità di liberare lanostra terra dai suoi mali?

O è proprio l’assenza di un Vangelo vissuto che rendela nostra religiosità incapace di affrontare i mali che ciaffliggono? Sono domande alle quali dobbiamo dare unarisposta, a costo anche di riconoscere quanto sia vuoto oper lo meno sterile il nostro cristianesimo oggi.

La nostra Chiesa diocesana deve insistere ancora dipiù in una evangelizzazione capillare e incisiva, tenendoconto anche della dottrina sociale della Chiesa, allaquale non sempre si fa riferimento negli itinerari forma-tivi in preparazione ai sacramenti. Lo sfondo entro ilquale muoversi in questa evangelizzazione deve essere ilmonito di Giovanni Paolo II: «Per la Chiesa il messag-gio sociale del Vangelo non deve essere considerato unateoria, ma prima di tutto un fondamento e una motiva-zione per l’azione».27

Possiamo limitarci solo a rispondere alla domandaquasi generale dei sacramenti? Possiamo essere soddi-sfatti degli itinerari formativi che abbiamo predispostoper la preparazione a essi? La risposta non può che esse-re negativa. È esperienza comune che la richiesta deisacramenti spesso non è sorretta dalla domanda di volerconoscere veramente il Signore Gesù, e che dalla rice-zione dei sacramenti non parte un flusso di vita nuova,tale da trasformare in meglio l’ambiente. Bisogna sco-

prire allora la missione, la nuova evangelizzazione;occorre porre la ricerca di Gesù e del suo Vangelo comeil caso serio della vita.

Questo è il contributo più grande che possiamo ren-dere al cambiamento e allo sviluppo della Locride, nelcontesto dello sviluppo regionale. Nuove generazioni dicristiani maggiormente consapevoli della loro fede, piùcoerenti con essa, potranno impegnarsi nei vari settoridella vita sociale e politica e contribuire così a dare unasvolta al nostro territorio.

Evangel izzaz ione e re l ig ios ità popolare

13. Nella sua azione evangelizzatrice la nostra dioce-si, come tutte le Chiese del Sud, si imbatte nella religiosi-tà popolare, diffusa capillarmente tra il popolo con riti edevozioni consolidati nel tempo. In relazione all’evange-lizzazione essa mostra il suo duplice volto: da una partepermette di avere un legame sicuro e facile con tanti bat-tezzati, altrimenti lontani dalla vita della Chiesa, offrendocosì un’occasione per evangelizzare; dall’altra si rivelacome ostacolo per una evangelizzazione adeguata perchéi fedeli non riescono a percepire che spesso tali devozionie tradizioni non partono da una vera esigenza di fede enon contribuiscono alla sua crescita. Pertanto il dialogocon loro diventa difficile perché alcune volte essi riman-gono attaccati irrazionalmente alle proprie tradizioni,magari ignorando la parola di Dio e tenendosi lontani daisacramenti e dalla vita della Chiesa.

Non è raro il caso che sia proprio la gente più accul-turata a essere più impenetrabile alla proposta di evan-gelizzazione, perché sulla purezza e autenticità dell’attodi fede, prevale l’attaccamento al folklore.

Inoltre, come nel resto d’Italia, la nostra religiosità«conosce processi di erosione per effetto di correnti disecolarizzazione»28, per cui «la fede cristiana, se puresopravvive in alcune sue manifestazioni tradizionali eritualistiche, tende a essere sradicata dai momenti piùsignificativi dell’esistenza, quali sono i momenti delnascere, del soffrire e del morire».29

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La conseguenza è la separazione tra fede e vita, gran-de scandalo del nostro tempo, presente anche sul nostroterritorio. Essa traspare in modo tragico in alcuni atteg-giamenti assurdi, che i media hanno portato in giro peril mondo suscitando perplessità e ironia: l’uso di imma-gini e simbologia religiosa in rituali di iniziazione adassociazioni mafiose.

Ancora una volta dico con forza: la fede non è fol-klore, perciò la religiosità popolare va purificata, resti-tuendole una vera dimensione di fede. È un’esigenzarichiamata continuamente dai vescovi, anche negliorientamenti pastorali: «In essa devono risaltare la paro-la di Dio, la predicazione e la catechesi, la preghiera e isacramenti dell’eucaristia e della riconciliazione e, nonultimo, l’impegno per la carità verso i poveri».30 Lo sfor-zo di purificazione di tale religiosità può contribuire apurificare anche situazioni di illegalità, legate indebita-mente alla dimensione religiosa. Invito tutti a capire losforzo della Chiesa ed essere disponibili alla proposta diuna nuova evangelizzazione.

Non si può giustificare tutto nella religiosità popola-re appellandosi alla sincerità soggettiva delle persone,che credono veramente nelle manifestazioni religiose;ma bisogna avere il coraggio di dire che c’è ancheun’oggettività in certi riti e usanze devote della qualebisogna tener conto. Si deve allora dire chiaramente checerte manifestazioni di pietà popolare sono fuorvianti eperciò vanno interrotte o modificate.

Evangel izzaz ione e sacramenti

14. La richiesta pressoché generalizzata dei sacra-menti è una grande sfida per la Chiesa diocesana, chepuò offrire il dono del Vangelo a quanti chiedono que-sti segni di salvezza e formare così le coscienze per uncambiamento del nostro territorio. La Chiesa da tempoha accettato questa sfida e ha intrapreso un cammino dipreparazione ai sacramenti, che negli anni si è andatoperfezionando.

Qual è stata la reazione dei fedeli? Da parte di moltiè stata generosa e perciò tale preparazione ha incisonella formazione di nuovi cristiani. Nella massa, però,tutto procede ancora come prima: i sacramenti riman-gono ancora tappe di una consuetudine sociale, nondono dello Spirito, che segnano il cammino di fede ecambiano l’uomo per la vita. Pur rispettando il loromodo di credere, dobbiamo notare che spesso in loro larichiesta dei sacramenti non è associata al desiderio pro-fondo di conoscere Gesù, i suoi insegnamenti, la suaChiesa.

Ciononostante la scommessa della preparazione aisacramenti da parte della diocesi continua ancora.Rivolgo, perciò, un forte appello alle comunità parroc-chiali affinché perfezionino sempre più l’evangelizzazio-ne in occasione dei sacramenti ed esorto quanti li chie-dono a saper far frutto della proposta formativa, che aloro viene fatta.

Ma rinnovo anche l’invito a iniziare percorsi forma-tivi più lunghi e più solidi dal punto di vista dell’espe-

rienza cristiana, che mettano al centro la scoperta diGesù e la vita della comunità ecclesiale, e in sottordinel’accesso ai sacramenti. Verrà superata così la piega con-sumistica che ha preso la celebrazione dei sacramenti,ridotta a un’occasione per far festa, spesso con sperperodi denaro, aprendo così la porta all’usura, male diffusosul nostro territorio.

Molte famiglie, infatti, si lasciano prendere dalla spi-rale della competizione e dell’arrivismo e, pur non aven-done le condizioni economiche, organizzano feste inoccasione di celebrazioni di sacramenti ricorrendo aprestiti di denaro che non possono in seguito restituire.

È necessario cambiare modo di pensare e fare unpasso indietro, si eviterebbero così molti casi di usura edi disperazione per tante famiglie.

Evangel izzaz ione, c i ttadinanza e bene comune

15. È necessario che la nostra evangelizzazione nonsi limiti all’annuncio di verità di fede che non abbianoripercussioni nella vita: «Il cristianesimo è religione cala-ta nella storia».31

L’educazione alla cittadinanza «responsabile», per-tanto, assieme ai valori che la sorreggono,32 deve entra-re nel programma educativo delle nostre parrocchie.Sappiamo quanto sia carente nei nostri ambienti il sensocivico, con la conseguenza dello scollamento di respon-sabilità verso il bene comune.

Siamo anche noi segnati «da una forte tendenzaindividualistica che svaluta la dimensione sociale, fino aridurla a una costrizione necessaria e a un prezzo dapagare per ottenere un risultato vantaggioso per il pro-prio interesse».33

Nell’educare alla cittadinanza bisogna restituire ilprimato all’etica e alla morale, e così viene espresso inmodo chiaro e inequivocabile il rapporto tra fede e vita.

L’attenzione al valore della cittadinanza ci permet-te di cogliere qualche motivo dello sviluppo negato delnostro territorio. Certamente ci sono ragioni che supe-rano la nostra condizione di cittadini e fanno guarda-re a responsabilità più alte, ma non possiamo esclude-re le ragioni legate alla nostra incapacità di gestire ilfuturo, all’illegalità dominante, allo scollamento delleproprie responsabilità, alla suggestione di voler imbro-gliare lo stato: essa ha permesso di sperperare denaropubblico, piovuto abbondantemente nella nostraRegione.

La formazione di cristiani nuovi e maturi, chesapranno vivere la cittadinanza con rigore ed esemplari-tà, che sapranno svolgere la loro attività professionale eimprenditoriale in spirito di servizio, è un forte annun-cio di speranza per il nostro territorio.

Inevitabilmente la cittadinanza richiama alla nostramente l’educazione al bene comune, anch’esso mancan-te nella nostra formazione culturale. Benedetto XVI l’hacosì definita: è «il bene di quel “noi-tutti”, formato daindividui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono incomunità sociale. Non è un bene ricercato per se stesso,ma per le persone che fanno parte della comunità socia-

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le e che solo in essa possono realmente e «più efficace-mente conseguire il loro bene».34 E il recente documen-to sul Mezzogiorno afferma che «il bene comune èmolto più della somma del bene delle singole parti».35

Facendo parte di una comunità, la persona non può cer-care il proprio utile, senza pensare se esso contribuisce albene di tutti.

Le nostre comunità di fede non possono prescindereda questa attenzione negli itinerari formativi promossi alloro interno,36 mirando sì ai grandi temi legati a esso,ma partendo dai piccoli segni, perché è solo a partire daessi che tale valore può essere proposto anche ai piccolie ai giovani. Dobbiamo saper accogliere l’esortazione diBenedetto XVI: «Impegnarsi per il bene comune èprendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall’altra, diquel complesso di istituzioni che strutturano giuridica-mente, civilmente, politicamente, culturalmente il vive-re sociale, che in tal modo prende forma di pòlis, dicittà».37

La formazione a l la v ita pol i t ica

16. In linea di continuità con il richiamo al valoredella cittadinanza l’altro segno di speranza offerto dallanostra diocesi alla Locride è la formazione alla vitapolitica. In questi ultimi anni in Italia sono stati nume-rosi i richiami della Chiesa ai cattolici perché ritorninoa fare politica con coscienza cristiana. Nel documentorecente su Chiesa e Mezzogiorno leggiamo: «Bisognafavorire in tutti i modi nuove forme di partecipazione edi cittadinanza attiva, aiutando i giovani ad abbraccia-re la politica intesa come servizio al bene comune edespressione più alta della carità sociale».38 Gli orienta-menti pastorali per il nuovo decennio richiamano lanecessità di «una seria educazione alla socialità e allacittadinanza, mediante un’ampia diffusione dei princi-pi della dottrina sociale della Chiesa, anche rilancian-do le scuole di formazione all’impegno sociale e politi-co».39 Conte stual mente a questi richiami si stannomoltiplicando nelle diocesi italiane scuole di dottrinasociale della Chiesa e di formazione politica. Anche lanostra «Scuola diocesana di formazione teologica epastorale» ha posto nei suoi percorsi formativi un iti-nerario di educazione alla politica nella speranza dipreparare cittadini che potranno impegnarsi concoscienza cristiana nell’attività politica e amministrati-va del territorio, consapevoli che il rinnovamento della

Locride passa anche attraverso il rinnovamento dellaclasse politica. Tale iniziativa va collocata senza dub-bio tra i numerosi segni di speranza offerti dalla dioce-si. Con essa si contribuirà a formare persone capaci diguidare le varie aggregazioni sociali, economiche epolitiche, alle quali di fatto va demandato il compito diattuare lo sviluppo della Locride.

La denuncia del male

17. La fede vissuta con interiore consapevolezza cidà anche il coraggio di denunciare ogni specie di male,che spesso alligna in mezzo a noi proprio perché nonabbiamo il coraggio di denunciarlo per paura di ritor-sioni. «L’esigenza di investire in legalità e fiducia solleci-ta un’azione pastorale che miri a cancellare la divarica-zione tra pratica religiosa e vita civile e spinga a unaconoscenza più approfondita dell’insegnamento socialedella Chiesa, che aiuti a coniugare l’annuncio delVangelo con la testimonianza delle opere di giustizia edi solidarietà».40

I credenti non solo devono avere il coraggio delladenuncia, ma devono anche promuoverlo, comeespressione della ricerca del bene comune e quindicome un valore morale. Ogni volta che il male vienedenunciato, si offre alla gente un motivo in più per spe-rare. L’esperienza ci insegna, che dopo le denuncemolte cose sono cambiate e molti problemi hanno tro-vato soluzione.

La mancanza di coraggio rende i cittadini schiavidella paura. Come Chiesa dobbiamo educare le coscien-ze in tal senso, inserendo negli itinerari formativi in pre-parazione ai sacramenti e nei programmi scolastici direligione il tema della denuncia come impegno moraledell’uomo di fede.

Ma, pur consapevoli della responsabilità moraleed educativa della Chiesa, dobbiamo ricordare chenon ci si può aspettare da essa ruoli e iniziative chenon sono di sua competenza. Non è compito dellaChiesa dare etichette di moralità alle persone; essanon può svolgere ruoli di supplenza di altre autorità.La Chiesa insegna i valori ed educa a essi, ma nonpuò e non deve esprimere pubblicamente giudizi divalore sulle singole persone, passando in rassegna iloro comportamenti.

Sono tante le situazioni che nella Locride dovrebbe-ro spingere i cristiani ad avere il coraggio della denun-

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30 EPISCOPATO ITALIANO, Educare alla vita buona del Vangelo, n.44; Regno-doc. 19,2010,617.

31 Ivi, n. 2; Regno-doc. 19,2010,602.32 «La solidarietà, la gratuità, la legalità e il rispetto delle diversi-

tà» (ivi, n. 46; Regno-doc. 19,2010,618).33 Ivi, n. 54; Regno-doc. 19,2010,622.34 BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, n. 7; Regno-doc.

15,2009,459 (citato anche in EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese soli-dale, nota 3; Regno-doc. 5,2010,155).

35 EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese solidale, n. 1; Regno-doc.5,2010,153.

36 La loro vita «deve esprimersi come “segno di contraddizione”,in ogni suo membro, in tutte e singole le sue comunità, in ogni sua

scelta, rispetto alla cultura secolarista e utilitaristica e di fronte a quel-le dinamiche socio-politiche che sono devianti nei confronti dell’au-tentico bene comune» (EPISCOPATO ITALIANO, Sviluppo nella solida-rietà, n. 25; ECEI 4/1959).

37 BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, n. 7; Regno-doc.15,2009,459 (citato anche in EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese soli-dale, n. 10; Regno-doc. 5,2010,159).

38 EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese solidale, n. 11; Regno-doc.5,2010,161.

39 EPISCOPATO ITALIANO, Educare alla vita buona del Vangelo, n.54; Regno-doc. 19,2010,622.

40 EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese solidale, n. 16; Regno-doc.5,2010,163.

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cia, come gesto di amore e di speranza per la nostraterra.

Senza la pretesa di essere esaustivi, occorre citarnealcune: l’attività politica non svolta in funzione del benecomune; la piaga delle estorsioni e dell’usura; la carenzanei servizi fondamentali per il cittadino, come la sanità, lascuola e la viabilità; l’uso improprio del denaro, piovuto adismisura dall’Europa e dallo stato, ma sciupato nellalogica che si è bravi se si riesce a imbrogliare lo stato; lamentalità che trasforma in favori personali ciò che è dirit-to inalienabile del cittadino; la ricerca del bene soggettivoa discapito del bene comune.

La r innovata attenzione a l la famigl ia

18. Da anni la nostra Chiesa diocesana, seguendo lelinee della Chiesa universale, sta guardando con rinnova-to interesse alla famiglia e ai suoi problemi con una seriedi iniziative, che stanno portando i loro frutti di speranza:i corsi di preparazione al matrimonio, gli incontri con igenitori prima del battesimo dei loro figli e il loro coin-volgimento nella catechesi, i centri familiari di ascolto.

Alla base di questo impegno c’è la convinzione delruolo naturale e insostituibile della famiglia nel trasmet-tere i valori.

La catechesi in stile catecumenale, con il coinvolgi-mento dei genitori, mira proprio a far riscoprire il valo-re della fede come scelta di Gesù piuttosto che comeconsuetudine sociale; vuole responsabilizzare la famigliasull’impegno di trasmettere la fede, perché, «nell’oriz-zonte della comunità cristiana, la famiglia resta la primae indispensabile comunità educante».41

Tale impegno è per noi un segno di speranza, perchésiamo consapevoli del ruolo determinante della famigliaper il cambiamento del territorio, se essa sa riscoprire eassumere i valori dei quali è portatrice.

La nostra Chiesa diocesana si affida a questa curaparticolare della famiglia per contribuire al cambiamen-to della Locride e cerca con la sua azione pastorale dioffrire una visione nuova della famiglia che superi ilfamilismo e i vincoli fondati sui patti scellerati dell’ille-galità criminale.

All’interno della famiglia noi guardiamo con moltafiducia alla donna, sia essa madre, sposa, figlia o sorella,perché siamo convinti che nella progettazione della spe-ranza essa ricopre un ruolo importante, in quanto hauna «ministerialità sociale straordinaria»42 ed è, perciò,«un’importante risorsa per la crescita e l’umanizzazionedella comunità».43

Per tradizione e cultura la donna del nostro territo-rio è particolarmente sensibile al discorso religioso e nelrapporto Chiesa-famiglia è l’interlocutrice privilegiata,se non esclusiva, in quanto la nostra cultura delega aessa il ruolo di trasmettitrice dei valori religiosi. Alledonne della Locride mi sono già rivolto in altra occasio-ne esortandole a fare ogni sforzo per tenere fuori dall’il-legalità e dall’oblio dei valori morali gli uomini delle lorofamiglie o per riportarli a essi.

Ancora una volta rinnovo a loro il mio appello nella

convinzione che esse hanno in mano il cuore dell’uomoe le esorto a riscoprire la missione di educatrici del cuoredegli uomini che stanno accanto a loro.

Ricordino che la donna «conserva l’intuizione pro-fonda che il meglio della sua vita è fatto di attività orien-tate al risveglio dell’altro, alla sua crescita, alla sua pro-tezione».44 Tale missione, se riscoperta con amore eattuata con impegno, sarà, tra i tanti, un altro grandesegno di speranza per il cambiamento della nostra terra.

I g iovani e la speranza

19. Poter essere interlocutori dei giovani è una pos-sibilità estremamente difficile per tutti, anche per laChiesa, per il semplice fatto che i giovani sono un realtàsempre in divenire. Quando si aprono coscientementealla vita essi contestano tutto e tutti; poi lentamentevanno posizionandosi nel ventaglio delle varie opzioniculturali e politiche, fino ad adagiarsi qualche volta insituazioni di convenienza e di opportunismo.

Anche l’azione pastorale della Chiesa fa fatica adandare avanti, quando nel periodo adolescenzialecomincia il fascino della contestazione, tra le cui com-ponenti la dimensione religiosa è tra le più evidenti,nonostante i ragazzi passino quasi tutti attraverso lacatechesi sacramentale e usufruiscano in modo presso-ché generalizzato dell’insegnamento religioso a scuola.

Recuperare un dialogo con loro sarebbe veramenteun segnale di speranza grande per il nostro territorio.Ciò potrà accadere se i giovani considerano credibile chivuole porsi come loro interlocutore. Ma, è dolorosoaffermarlo, anche la Chiesa in questo momento soffre ilmale di essere poco credibile per loro. Alcune volte ciò èdovuto all’oggettiva mancanza di coerenza negli adultitra ciò che si annuncia e come si vive; altre volte i ragaz-zi sono vittima di un modo negativo di presentare laChiesa dovuto più a fattori ideologici che reali.

Ma nei giovani oggi nel nostro Sud non è tutto nega-tivo. Essi possono muoversi con più slancio, perchémeno disillusi, più coraggiosi nel contrastare la crimina-lità e l’ingiustizia diffusa, più aperti a un futuro diverso.Sono loro che hanno ritrovato «il gusto dell’associazio-nismo (…) dando vita a esperienze di volontariato e agesti di solidarietà non volendo più sentirsi vittime dellarassegnazione, della violenza e dello sfruttamento. Perquesto sono scesi in piazza per gridare che il Mez -zogiorno non è tutto mafia o un luogo senza speranza(…); si espongono in prima persona, lavorano con rin-novata forza morale al riscatto della propria terra, lotta-no per vincere l’amarezza dell’emigrazione, per debella-re il degrado di tanti quartieri delle periferie cittadine esconfiggere la sfiducia che induce a rinviare nel tempo laformazione di una nuova famiglia. Sono volti non rasse-gnati, ma coraggiosi e forti, determinati a resistere e adandare avanti».45

Chiedo a tutte le comunità parrocchiali di rifletteresu queste positività e di aprire con i giovani un rinnova-to dialogo, interessandosi di loro, condividendo le loroesigenze e problemi, sapendoli ascoltare. Pensino che

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Chiesa in Italia

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41 EPISCOPATO ITALIANO, Educare alla vita buona del Vangelo, n.36; Regno-doc. 19,2010,615.

42 EPISCOPATO ITALIANO, Sviluppo nella solidarietà, n. 31; ECEI4/1969.

43 EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese solidale, n. 6; Regno-doc.5,2010,157.

44 EPISCOPATO ITALIANO, Educare alla vita buona del Vangelo, n.56; Regno-doc. 19,2010,622.

45 EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese solidale, n. 11; Regno-doc.5,2010,160.

46 Ivi, n. 14; Regno-doc. 5,2010,162.

47 Benedetto XVI citato in EPISCOPATO ITALIANO, Per un paesesolidale, n. 14; Regno-doc. 5,2010,162.

48 Ivi, n. 11; Regno-doc. 5,2010,161.49 Ivi, n. 14; Regno-doc. 5,2010,162.50 «Il Vangelo ci indica la via del buon Samaritano (cf. Lc 10,25-

37): per i discepoli di Cristo la scelta preferenziale per i poveri signi-fica aprirsi con generosità alla forza di libertà e di liberazione che loSpirito continuamente ci dona, nella Parola e nell’eucaristia» (Ivi, n.4; Regno-doc. 5,2010,155).

51 Ivi, n. 14; Regno-doc. 5,2010,162.52 Ivi, n. 1; Regno-doc. 5,2010,154.

l’evangelizzazione non può più contare, come nel passa-to, su di un contesto sociale di religiosità cristiana e sullatrasmissione della fede in famiglia. I giovani non sonochiusi alla ricerca religiosa, né rifiutano i valori, bisognasolo saper entrare in dialogo con loro.

Faccio appello altresì alle forze politiche perchéabbiano maggiore fiducia nei giovani e si aprano al lorocontributo e alla loro partecipazione responsabile allavita politica e amministrativa. Abbiano il coraggio dipassare il testimone: la nostra società ci guadagnerà infreschezza di idee e di energie.

È partito già il decennio di attenzione della Chiesa ita-liana al problema dell’emergenza educativa. L’impegnoche metteremo nel lavorare in sintonia con quanto chiedela Chiesa italiana, sarà un ulteriore segno di speranza peril nostro territorio.

Ai giovani voglio raccomandare di saper andare con-trocorrente. Solo questo coraggio potrà dare a noi adultila speranza di credere che cambiare è possibile. Saperdire no al male, quando tutto sembra andare per unverso, è un gesto responsabile e maturo, veramente rivo-luzionario per il nostro territorio, troppo avvezzo al con-formismo.

III. I mezzi per attuare la speranza

La presenza del la comunità sul terr i tor io

20. Mentre tutte le altre istituzioni vanno riconside-rando la loro presenza sul nostro territorio, soprattuttonei piccoli centri, chiudendo o ridimensionando presen-ze anche essenziali, come la scuola e i servizi sanitari, laChiesa continua a rimanere salda su di esso con le sueparrocchie, scegliendo di stare accanto alla gente, per-ché è consapevole che «le comunità cristiane costitui-scono un inestimabile patrimonio e un fattore di svilup-po e di coesione di cui si avvale l’intero tessuto sociale.Lo sono in quanto realtà ecclesiali, edificate dalla paro-la di Dio, dall’eucaristia e dalla comunione fraterna,dedite alla formazione delle coscienze e alla testimo-nianza della verità e dell’amore. Fedeli alla loro identità,costituiscono anche un prezioso tessuto connettivo nelterritorio, un centro nevralgico di progettualità cultura-le, una scuola di passione e di dedizione civile».46

Tale presenza è un grande segno di speranza, per-ché, come ha detto Benedetto XVI, le nostre comunitàsono il luogo «dove le giovani generazioni possono

imparare la speranza, non come utopia, ma come fidu-cia tenace nella forza del bene».47

Per testimoniare tale speranza la Chiesa continueràa essere protagonista di educazione morale, veicolo divalori, forza di aggregazione, luogo di accoglienza e diconforto, segno di misericordia per tutti coloro chevogliono cambiare vita. Essa, «guidata dai suoi pastori,riconosce e accompagna l’impegno di quanti combatto-no in prima linea per la giustizia sulle orme del Vangeloe operano per far sorgere una nuova generazione di laicicristiani impegnati, capaci di cercare con competenza erigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile».48

Chiedo con insistenza ai sacerdoti e a tutti gli opera-tori pastorali perché svolgano con senso di responsabili-tà la loro missione, consapevoli di avere tra le mani ungrande tesoro da saper utilizzare rimanendo uniti egenerosi nel lavoro pastorale di apertura al territorio.

L’obiettivo del lavoro pastorale di creare comunitàadulte nella fede, sia coltivato con impegno, perché unafede adulta e matura sarà fermento anche di rigenera-zione morale e sociale.

Esorto in modo particolare a testimoniare, nel nostrocontesto culturale, dominato dall’individualismo, da unamentalità di delega e di scollamento di responsabilità, unaspiritualità di comunione, attuando l’ecclesiologia dicomunione voluta dal Vaticano II: «Si sperimentano rela-zioni significative e fraterne, caratterizzate dall’attenzioneall’altro, da un impegno educativo condiviso, dall’ascoltodella Parola e dalla frequenza ai sacramenti».49 Essa,però, deve essere leggibile attraverso l’organizzazione chela comunità si dà e il modo come esercita il servizio pasto-rale, soprattutto con l’accoglienza fraterna, specialmentedei più poveri:50 «Questo è il rinnovamento sociale cri-stiano, basato sulla trasformazione delle coscienze, sullaformazione morale, sulla preghiera».51

I sacerdoti pensino così le loro comunità di fede, pro-muovendo la corresponsabilità dei laici, dei quali rico-noscere la loro particolare e specifica vocazione e facen-do ogni sforzo perché esse «siano luoghi esemplari dinuovi rapporti interpersonali e fermento di una societàrinnovata, ambienti in cui crescono veri credenti e buonicittadini».52

La promozione umana

21. La speranza più coltivata sul territorio è quelladel lavoro, la cui assenza oggi costringe soprattutto i gio-vani laureati a emigrare al Nord o all’estero, impove-rendo sempre più il nostro territorio. La Chiesa non si

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tira indietro dinanzi ai problemi sociali in generale equelli della disoccupazione in particolare. Lo sta facen-do, come è nel suo stile, venendo incontro per quello chepuò con le sue strutture, soprattutto con le Caritas dio-cesane, che vanno riscoprendo sempre più il loro ruoloeducativo oltre che assistenziale.

Per quanto si riferisce al lavoro la Chiesa italiana staintervenendo al Sud con la sua forza educativa, forman-do le persone a una nuova filosofia occupazionale, chenon sia legata al posto fisso e non prenda come modelloil Nord, consapevole che lo sviluppo deve essere propor-zionato alle risorse del territorio. È nato così il «proget-to Policoro», che in questi anni, come ha affermato l’ul-timo documento sul Mezzogiorno,53 ha dato speranza alnostro territorio, educando la gente su una duplicetraiettoria: da una parte, spiegando che il lavoro nonbisogna solo attenderlo, ma bisogna anche crearlo, scon-figgendo così una dimensione negativa del nostro esserecalabresi: il vittimismo. Dall’altra, sta insegnando a nonguardare alle possibilità di lavoro esistenti nel Nord, maprogettando uno sviluppo a noi più consono sulla basedelle nostre risorse naturali, umane, culturali e territo-riali: agricoltura, turismo, arte e archeologia.

Esso «costituisce una nuova forma di solidarietà econdivisione, che cerca di contrastare la disoccupazione,l’usura, lo sfruttamento minorile e il “lavoro nero”. Isuoi esiti sono incoraggianti».54

Il «progetto Policoro» sta attuando un compito speci-fico della Chiesa, che è quello di educare i giovani all’in-traprendere: ha reso «possibile la formazione di animato-ri di comunità e ha promosso iniziative di scambio eforme di reciprocità. Come tale, costituisce «un modelloe uno stimolo a promuovere iniziative analoghe».55

Esorto tutte le comunità parrocchiali a favorire l’in-contro dei promotori di tale progetto con i giovani e lacomunità civile del territorio.

Una parola di incoraggiamento ad andare avanti larivolgo a coloro i quali hanno dato vita a cooperativesociali, scommettendo sulla speranza e creando cosìposti di lavoro.

La scuola d i formazione teologico-pastorale

22. Un’adeguata formazione teologica dei laici,soprattutto di coloro che hanno impegni pastorali, èstata una delle tante conquiste ecclesiali scaturite dalVaticano II e che il recente documento dei vescovi ita-liani sull’educazione ha riproposto come scelta pastora-le qualificante.56 Sono sorte così in tutte le diocesiimportanti esperienze formative: da approfonditi corsiparrocchiali per i propri animatori a dei veri e propriistituti teologici di stampo universitario.

L’obiettivo della formazione teologica dei laici è statocosì sintetizzato nel predetto documento dei vescovi: «Sipotrà contare su educatori e operatori pastorali qualifi-cati per un’educazione attenta alle persone, rispondentealle domande poste alla fede dalla cultura e in grado direndere ragione della speranza in Cristo nei diversi am -bienti di vita».57

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Chiesa in Italia

La vocazione francescanaoggi nel mondo: sfide e risorse

a cura di Paolo Martinelli

Dalla città di Assisi la via di Francescosi è estesa a tutto il mondo. Il vo-

lume presenta i contributi offerti nel-l’annuale giornata di studio promossadall’Istituto Francescano di Spiritualitàdella Pontificia Università Antonianum(27 aprile 2010), cui deve il titolo. Lerelazioni mostrano la bellezza delle espe-rienze e la complessità delle condizioniin cui la vocazione francescana si trovaa vivere oggi nei cinque continenti.

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La nostra diocesi ha dato avvio lo scorso anno a unascuola di formazione teologico-pastorale, con la qualeintende formare tutti gli operatori pastorali del proprioterritorio.

È partita con entusiasmo, ma anche con tante diffi-coltà, la più importante delle quali è stata ed è tuttoraquella di far maturare nelle persone il bisogno di essereformate sia in campo teologico sia pastorale.

In realtà non si può continuare a svolgere l’azionepastorale nelle parrocchie improvvisandosi in ruoli cherichiedono ormai competenze specifiche.

Nella pianificazione dei corsi impartiti, la scuola haprevisto un itinerario formativo per l’impegno sociale epolitico, che ha come obiettivo la formazione di politici eamministratori sensibili alla dottrina sociale della Chiesa.

Con animo grato mi rivolgo anche agli insegnanti direligione nelle scuole, consapevole della loro preziosamissione.

Li invito a essere sempre attenti all’animo dei ragaz-zi e dei giovani, offrendo loro un insegnamento dellareligione che sia per loro una risposta ai vari bisogni einterrogativi concernenti la vita, che con il crescere deglianni gli alunni si vanno ponendo.

I l consultor io fami l iare

23. È un altro servizio di speranza che la nostraChiesa diocesana, seguendo un indirizzo pastorale con-solidato in Italia, svolge da anni sul territorio; servizioinserito nel contesto più vasto della pastorale familiarediocesana.

Oggi alla famiglia è riconosciuto un ruolo determinan-te per il futuro della società. Gli orientamenti pastorali peril prossimo decennio58 riservano a questo tema ampio spa-zio parlando di un «primato educativo della famiglia» esollecitando tutti gli operatori della pastorale a prendersicura di essa, visto che è «a un tempo forte e fragile», eaffermando solennemente: «La famiglia va dunque amata,sostenuta e resa protagonista attiva dell’educazione nonsolo per i figli, ma per l’intera comunità».59

Il rinnovamento del nostro territorio è strettamentelegato alla stabilità e alla serenità della famiglia, perchéuna famiglia in crisi non può svolgere con autorevolezzala sua missione educativa.

Perciò con il Consultorio la diocesi vuole sostenere lafamiglia al fine di promuovere tra i suoi membri unamore sincero che ne garantisca la stabilità nei momen-ti difficili, di aiutare ad accogliere la vita e a difenderlain ogni momento, organizzando anche incontri di for-mazione per le parrocchie sui temi dell’educazione,della comunicazione, della genitorialità, dell’affettività.Esso può registrare in questi anni un lavoro compiutocon grande impegno e con grande successo nel contesto

più vasto dell’intera pastorale familiare, che in diocesi vasempre più perfezionandosi. I sacerdoti e gli altri opera-tori pastorali indirizzino verso di esso le famiglie che,superando la vergogna di far conoscere le proprie diffi-coltà e chiedere aiuto, vogliono essere aiutate a supera-re a risolvere i loro problemi.

La Car itas d iocesana e la Fondazione ant iusura

24. Sostenuta dai contributi dell’otto per mille elar-giti dalla CEI alla nostra diocesi, la Caritas diocesana èl’occhio di carità che la Chiesa locale ha sul territorio,non solo venendo incontro ai piccoli bisogni che quoti-dianamente vengono presentati dalla gente, ma elabo-rando anche progetti di interventi più ampi, soprattuttoa favore degli immigrati. Possiamo dire che ha svoltofinora un’azione veramente amorevole, venendo inaiuto di tanti bisognosi, favorendo anche l’integrazionedegli immigrati. Invitiamo le Caritas parrocchiali a met-tersi in rete con questa istituzione diocesana per un lavo-ro di maggiore coordinamento e soprattutto per la for-mazione degli operatori anche in questo settore dellapastorale. Compito delle Caritas parrocchiali, infatti,non è solo la distribuzione di aiuti economici, ma anchequello di vigilare attentamente sul territorio per coglierei sintomi di disagio economico e sociale, che generanoalcune volte la devianza tra i giovani.

La lunga storia di interventi caritatevoli rende laChiesa particolarmente attenta ai bisogni e strumento disperanza per tanti sfiduciati, il cui unico riparo è propriola comunità cristiana.

Attenta sempre ai bisogni del territorio la nostraChiesa in questi ultimi anni, per arginare il grave feno-meno dell’usura, canale privilegiato, assieme alla drogadell’attività criminale sul territorio, ha dato vita a un’al-tra struttura di speranza, la Fondazione antiusura. Essaè stata molto attiva in questi anni, anche se il suo per-corso di aiuto deve seguire un itinerario stabilito dallalegge. Il primo requisito di tale itinerario è che a talefondazione bisogna ricorrere prima di cadere nell’usurae non dopo, perché altrimenti si farebbe il gioco degliusurai e lo stato non lo può permettere.

Invito tutti a divulgare la vera natura di tale struttu-ra, perché da un lato si possa ricorrere a essa quandocioè non si è caduti ancora nell’usura, e perché dall’altrolato non si nutrano facili illusioni, quasi che laFondazione sia un fondo dal quale poter trarre denarofacilmente e senza alcun impegno di garanzia per larestituzione.

La speranza che la Fondazione riveste per il territo-rio è data anche dai percorsi educativi che essa riesce asuggerire nei colloqui che vengono svolti con le personein difficoltà che ricorrono a essa.

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53 Ivi, n. 12; Regno-doc. 5,2010,161.54 Ivi.55 Ivi.56 Cf. EPISCOPATO ITALIANO, Educare alla vita buona del Van -

gelo, nn. 54-55; Regno-doc. 19,2010,622.

57 Ivi, n. 54; Regno-doc. 19,2010,622.58 Cf. Ivi, nn. 36-38.54-55; Regno-doc. 19,2010,615-616.621s.59 Ivi, n. 38; Regno-doc. 19,2010,616.

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IV. La condivisione della speranza

Appel lo a l le i st i tuz ioni

25. Mi rivolgo a tutte le istituzioni dello stato, ai varilivelli, perché nei confronti del nostro territorio nonmostrino solo il volto della repressione, ma anche quelloamorevole della sollecitudine nei confronti dei cittadini edei loro problemi. Noi non ci stanchiamo mai di ringra-ziare le forze dell’ordine e la magistratura per il lavorosvolto con gravi rischi anche per la loro incolumità fisica.

Ma è necessario che il cittadino, soprattutto i più gio-vani, possano guardare allo stato come a un padre che siprende cura dei loro problemi. Chiedo con semplicità eumiltà a quanti ci governano di ascoltare la voce dellaChiesa, che, presente in modo capillare sul territorio,conosce i problemi della gente e ne raccoglie le speranze.

Faccio mio l’appello contenuto nel recente documen-to sul Mezzogiorno: «Con rinnovata urgenza si pone lanecessità di ripensare e rilanciare le politiche di interven-to, con attenzione effettiva ai “portatori di interessi”, inparticolare i più deboli, al fine di generare iniziative auto-propulsive di sviluppo, realmente inclusive, con la consa-pevolezza che “sia il mercato sia la politica hanno bisognodi persone aperte al dono reciproco”, di una cultura poli-tica che nutra l’attività degli amministratori di visioniadeguate e di solidi orizzonti etici per il servizio al benecomune».60

Mi rivolgo in modo particolare all’Assemblea dei sin-daci, istituzione importante del nostro territorio, per invi-tare i nostri cari sindaci, che lavorano spesso in condizio-ni difficilissime, a superare il comprensibile, ma non giu-stificabile, campanilismo per una progettualità condivisasul futuro della Locride: ciò sarebbe un forte segnale disperanza.

Potremo puntare così a un progetto di sviluppo adampio respiro, con un particolare interesse verso i piccolicentri, che sembrano condannati a morire. Ricordo chese prevarrà tale condivisione «l’egoismo individuale e cor-porativo», purtroppo cresciuto in tutta Italia a causa diuna crisi «che non si lascia facilmente descrivere e circo-scrivere», rischia «di tagliare fuori il Mezzogiorno (laLocride in particolare; nda) dai canali della ridistribuzio-ne delle risorse, trasformandolo in un collettore di voti perdisegni politico-economici estranei al suo sviluppo».61

Come vescovo sarò accanto a loro per appoggiaretutti i progetti che riterranno utili per il rilancio del nostroterritorio. Ma chiedo anche che non vogliano esasperareil bisogno turistico e commerciale dinanzi agli sforzi dellanostra diocesi di purificare le tradizioni religiose.

Tale purificazione a volte ha ricadute sul tanto spera-to rinnovamento morale. Come Chiesa rispettiamo l’au-tonomia delle istituzioni politiche; chiediamo altrettantorispetto per l’autonomia della dimensione religiosa, che èdi competenza della Chiesa, senza facili ma pericolosiappelli al popolo.

A quanti lavorano nell’informazione rivolgo ancora

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Chiesa in Italia

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Sergio Bocchini

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una volta l’invito: occorre coraggio nell’andare contro-corrente, non evidenziando solo e sempre ciò che è nega-tivo nella Locride: i fatti di sangue o di illegalità. Occorreuno sguardo più positivo sulla nostra realtà per scopriretutto il bene che in essa si trova. Si parli soprattutto sullasperanza che si coltiva tra il popolo, incoraggiando tuttele iniziative di sviluppo che si stanno promuovendo sulterritorio.

Si collabori altresì all’educazione dei giovani, presen-tando loro modelli sicuri di vita civile, proponendosicome strumento attraverso il quale si esprime e si realizzala dimensione della cittadinanza, l’amore al territorio, lasolidarietà con chi lotta e soffre per un futuro miglioredella nostra società.

Appel lo a tutte le agenzie educat ive

26. Nelle indicazioni pastorali per il prossimodecennio i vescovi italiani si augurano che «la societàdiventi sempre più terreno favorevole all’educazio-ne».62 Invocano soprattutto una «feconda alleanza pervalorizzare gli organismi deputati alla partecipazione;promuovere il dialogo, l’incontro e la collaborazionetra i diversi educatori; attivare e sostenere iniziative diformazione su progetti condivisi».63 Faccio mia questasperanza, tenendo conto della convinzione ormaicomune che i mali della Locride si sconfiggono prima-riamente sul campo dell’educazione. Rinnovo, pertan-to, l’invito già rivolto all’inizio del mio servizio pasto-rale in diocesi, a tutte le agenzie educative del nostroterritorio, quelle tradizionali come la scuola, e quellenuove costituite «nei vari ambienti di vita e di relazio-ne, non ultime quelli del divertimento, del tempo libe-ro e del turismo»,64 invitandole a lavorare assieme sualcuni valori condivisibili: «Educare all’accoglienzadell’altro e al discernimento della verità, alla solidarie-tà e al senso della festa, alla sobrietà e alla custodia delcreato, alla mondialità e alla pace, alla legalità, allaresponsabilità etica nell’economia e all’uso saggio delletecnologie».65 Per noi cristiani una sola cosa è irrinun-ciabile, «lo sviluppo integrale della persona, evitando laseparazione tra le dimensioni costitutive della persona,in special modo la razionalità e l’affettività, la corpo-reità e la spiritualità».66

Il mio invito, pertanto, è rivolto non solo a tutte leagenzie educative presenti sul territorio, quali la scuola

e i vari movimenti giovanili o altri dove sono presenti igiovani, ma a tutte quelle realtà che in qualunque modohanno a che fare con i giovani: club sportivi, palestre,discoteche ecc. Tale richiesta di cooperazione parte dauna convinzione da tutti condivisibile: «Lo sviluppo èimpossibile senza uomini retti, senza operatori economi-ci e uomini politici che vivano fortemente nelle lorocoscienze l’appello al bene comune».67

È ancora poss ib i le sperare?

27. Dinanzi ai segnali negativi che giungono da ogniparte, costatando il fallimento di tanti tentativi fatti perdare voce alla speranza, la domanda sorge spontanea: èancora possibile sperare? Chi ci dà garanzia che riusci-remo a sconfiggere i nostri mali? Possiamo affidare lasperanza solo alla fede? Non sarà questo affidamentoun’illusione? Sono domande comprensibili dinanzi a deimali, quale, per esempio, la criminalità organizzata, chesembrano resistere a ogni cura. Per noi cristiani la spe-ranza non è illusione, ma attesa di una certezza, che civiene da Dio.

Egli non sarebbe tale se non ci fosse la certezza deltrionfo del bene.

Ma la speranza è affidata anche alle nostre mani, allanostra virtù, alla nostra tenacia e costanza nel combat-tere il male. «Le vere prospettive di rinnovamento e disviluppo − hanno scritto i vescovi italiani − non consi-stono nell’entusiasmo momentaneo, ma in una profon-da e costante maturazione personale, comunitaria esociale, da realizzare sulla base delle grandi potenzialitàculturali ed etiche degli uomini e delle donne del Sud».Dobbiamo avere più fiducia in noi stessi, «bisogna supe-rare il vittimismo e la rassegnazione, riattivare la mora-lità».68

Forse è quanto ci manca. Dobbiamo saper ripartirecon coraggio e decisione. Negli orientamenti pastorali ivescovi a più riprese invitano le comunità cristiane adare ragione della speranza.69 Ce la faremo, con l’aiutodi Dio, ricordandoci che solo chi ama può sperare edessere promotore di speranza, perché la speranza è unatto di vita che è generato solo dall’amore. Dobbiamoamare il nostro territorio e fare ogni sacrificio perchéesso rinasca.

Non cediamo allo scoraggiamento, all’indifferenza,allo scollamento di responsabilità.

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60 EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese solidale, n. 5; Regno-doc.5,2010,156.

61 Ivi.62 EPISCOPATO ITALIANO, Educare alla vita buona del Vangelo, n.

50; Regno-doc. 19,2010,619.63 Ivi, n. 54; Regno-doc. 19,2010,622. Una tale alleanza era stata

sollecitata anche da Benedetto XVI nel suo discorso alla LIXAssemblea generale della CEI il 28.5.2009 (cf. Regno-doc.13,2009,412ss). Cf. Ivi anche i nn. 35 e 50.

64 Ivi, n. 50; Regno-doc. 19,2010,619. Il testo prosegue: tali am -bienti «esercitano un’influenza talvolta maggiore di quella dei luoghitradizionali, come la famiglia e la scuola. Essi offrono perciò prezioseopportunità perché non manchi, in tutti gli spazi sociali, una propo-sta educativa integrale». Cf. anche Ivi, n. 54b; Regno-doc.19,2010,622.

65 Ivi.66 Ivi, nn. 50 e 13; Regno-doc. 19,2010,619.606. «Cultura del

bene comune, della cittadinanza, del diritto, della buona amministra-zione e della sana impresa nel rifiuto dell’illegalità: sono i capisaldiche attendono di essere sostenuti e promossi all’interno di un grandeprogetto educativo» (EPISCOPATO ITALIANO, Per un paese solidale, n.16; Regno-doc. 5,2010,163).

67 BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, n. 71; Regno-doc.15,2009,488. Citato anche in EPISCOPATO ITALIANO, Per un paesesolidale, n. 16; Regno-doc. 5,2010,163.

68 EPISCOPATO ITALIANO, Sviluppo nella solidarietà, n. 15; ECEI4/1941-1942.

69 Cf. EPISCOPATO ITALIANO, Educare alla vita buona delVangelo, n. 54; Regno-doc. 19,2010,622.

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Come figlio spirituale di san Francesco di Paola, vipropongo proprio lui, patrono della Calabria, comemodello di amore alla sua terra e di impegno per risol-verne i problemi. Anche lui ha fondato l’azione pasto-rale sul richiamo alla formazione delle coscienze. Eccoperché predicava il Vangelo agli operai che lavorava-no alla costruzione dei suoi conventi; richiamava aidoveri morali quanti ricorrevano a lui per affidarsi allesue preghiere e chiedere grazie; invitava al ritorno nelcuore per fare in esso pulizia morale e cambiare vita:«Va’ pulisci la tua casa, cioè la coscienza e sii un buoncristiano».

Convertendo il cuore di Luigi XI, ha potuto contri-buire alla soluzione di difficili problemi politici, per iquali aveva avuto mandato dal papa Sisto IV e dal suore Ferrante di Aragona.

Lui, che ha sempre coltivato una vocazione eremi-tica, durante il periodo calabrese della sua vita è statomolto attento ai problemi sociali della gente, denun-ciando con coraggio e senza mezzi termini le ingiusti-zie subite, rischiando l’arresto da parte dei soldatiinviati dal re di Napoli. Durante il periodo francese,sollecitato dai pontefici romani quasi fosse un amba-sciatore politico, si è interessato dei problemi della pacein Europa.

Lo ha fatto con il carisma proprio dei santi, chenulla cercano per il proprio tornaconto, ma animatisolo e sempre dal bene comune. Abbiamo di che impa-rare dalla sua esperienza di vita.

Un pressante appel lo f iducioso

28. Prima di concludere questa lettera, affidando aMaria la nostra speranza, mi rivolgo ancora una voltaa voi affiliati alla ‘ndrangheta e a voi che avete scelto osiete caduti in un percorso di vita contrario ai principireligiosi e a quei valori che sono stati da sempre il vantodella nostra terra. Con le vostre azioni condizionate inmaniera negativa il cammino di speranza della nostraLocride.

Ritornate sui vostri passi in nome di quel Dio, nelquale dite di credere, e in nome della Vergine Maria,verso la quale ostentate devozione e affetto. Restituiteciserenità e pace. Riconciliatevi tra voi, ricordando ilsangue versato inutilmente negli anni passati, durante iquali si sono sviluppate faide sanguinose, che hannodistrutto famiglie e svuotato paesi.

Nella Locride si vuole vivere sereni, lavorando,soprattutto i giovani che rischiano in piccole imprese,senza il timore di tangenti ed estorsioni; si vuole apri-re alla collaborazione senza temere l’usura; si vuoleallevare figli senza la paura dell’insidia della droga. Innome di Dio ritornate sui vostri passi. Se non dovessebastare il richiamo religioso e morale, pensate airischi civili che correte: una vita sempre insicura conil timore di essere arrestati, il carcere duro, il seque-stro dei beni, non poter godere la gioia della famiglia,soprattutto dei figli, che crescono senza le vostre ca -rezze.

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Chiesa in Italia

Sappiate guardare al futuro, che non sarà felice néper voi né per le vostre famiglie, se continuate in que-sta condotta di vita.

Come vescovo sono pronto ad aiutarvi in ognimodo, nel rispetto assoluto delle leggi dello stato, acompiere questo ritorno alla legalità. Io credo in que-sta possibilità e lo spero attendendovi.

Aff idamento a Mar ia

29. Affido a Maria, così venerata e amata dalnostro popolo, la speranza di rinascita della Locride.

Sono tanti in diocesi i santuari a lei dedicati, neiquali la fede del nostro popolo lungo i secoli è stataeducata alla speranza contro ogni forma di dispera-zione.

Alla Vergine Maria chiediamo anche noi di essereeducati a quella speranza che l’ha sempre sorretta.

Ai piedi della croce, quando sembrava che il benepredicato da Gesù fosse stato distrutto per sempre conuna morte ignominiosa, lei era l’unica a credere nellaparola di Gesù e ad attendere la risurrezione. Agliinizi della vita della Chiesa ha sorretto gli apostoli checominciavano a sperimentare contraddizioni e perse-cuzioni, muovendo i primi passi per la predicazionedel Vangelo e la costruzione della Chiesa.

Protegga e sostenga anche noi, dandoci la sua stes-sa fede e la sua stessa speranza, affinché dinanzi atutte le difficoltà che sentiamo e di fronte a tutti isegnali di morte e di disperazione che ci sono sulnostro territorio, noi non cediamo alla tentazionedella sfiducia, dell’abbattimento della disperazione.

Ci insegni lei a pregare con fiducia Dio con il sal -mo 45:

Dio è per noi rifugio e fortezza, / aiuto infallibile si èmostrato nelle angosce.

Perciò non temiamo se trema la terra, / se vacillano imonti nel fondo del mare.

Fremano, si gonfino le sue acque, / si scuotano imonti per i suoi flutti.

Un fiume e i suoi canali rallegrano la città di Dio, /la più santa delle dimore dell’Altissimo.

Dio è in mezzo ad essa: non potrà vacillare. / Dio lasoccorre allo spuntare dell’alba.

Fremettero le genti, vacillarono i regni; / egli tuonò: sisgretolò la terra.

Il Signore degli eserciti è con noi, / nostro baluardo èil Dio di Giacobbe.

Vi saluto di cuore e invoco su voi tutti la benedizio-ne di Dio.

Locri, 8 dicembre 2010, solennità dell’Immacolataconcezione.

✠ GIUSEPPE FIORINI MOROSINI,vescovo di Locri-Gerace

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