Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per...

14
il Corriere giuridico 10/2012 1133 Primo piano Processo civile Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul processo civile: le impugnazioni a rischio di “svaporamento” di Claudio Consolo - Ordinario di diritto processuale civile nell’Università di Padova La L. n. 134 di questo agosto vuole alleggerire il nostro sistema delle impugnazioni, reputato un lusso ga- rantistico che nuoce alla ragionevole durata. Questo assunto, esatto solo in parte, sconta la difficoltà di ri- solvere sul piano procedurale (qui con il filtro dell’appello e la restrizione delle censure deducibili in Cassa- zione) un gap culturale e organizzativo, senza neppure lambirne le radici (cosa che non si può fare con tratti dirigistici di penna normativa). Il rischio che si corre è invece quello di una parziale “dissoluzione” della fun- zione rimediale che tradizionalmente, da noi, le impugnazioni hanno garantito, almeno fino a qualche anno fa. Più che l’accesso al pieno giudizio di appello (già dosabile con il rifiuto della inibitoria e la passerella al me- rito), bisognose di rivisitazione sono le Corti di appello stesse, le cui decisioni sui fatti non possono allo sta- to ambire a codesta nuova insindacabilità. Pesa negativamente anche un uso strumentale e comodo della comparazione con altri ordinamenti, che vorrebbe dimenticare le nette, anzi ancora abissali, peculiarità del nostro e, senza affrontarle, rischia di far perdere alcune sue qualità (di mitezza ed accettabilità) che solo l’au- mento sproporzionato del numero di avvocati, del tasso stocastico di complicazioni e delle novelle legislati- ve ha “girato in guasti”. Una short way, verso una minore disarmonia sociale della giustizia civile e delle pro- fessioni legali, non è data. Da questo Governo, per il suo valore, è lecito attendersi più attenzione alla big pic- ture, non solo quanto alle circoscrizioni. 1. La caliente e rinsecchita estate del 2012 non ha impedito al legislatore di nutrire alte speranze (ossia che le nostre impugnazioni siano in parte un “lusso” facilmente rinunciabile), sì da coniare in fretta, e con decretazione d’urgenza convertire, una nuova (l’ennesima) legge in materia (anche) di processo civile, volta in particolare ad asciugare e rendere più legnoso (si suol dire “deflazionare”) il sistema delle impugnazioni: legge n. 134 del 7 agosto (in G.U.11 agosto 2012, n. 187) (1). Questa “riforma” (abusa- tissima, equivoca e ormai quasi insopportabile paro- la) dell’agosto 2012 - in larga parte preannunciata già in giugno, con il d.l. n. 83 del 2012 - non ha cer- to incontrato il favore dei primi interpreti, se così eufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani- me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e di merito. Tra i quali assai scontenti interpreti si schie- ra, questa volta, con tutta la simpatia per le buone intenzioni, anche chi scrive; non si può infatti guar- dare a questo nuovo intervento legislativo, poco di diverso, esso pure, da un esercizio in marchingegni procedurali, con la stessa fiducia prospettica, non smentita neppure poi a consuntivo triennale, che accompagnava le prime riflessioni svolte - sempre in questa Rivista - sull’altra estiva riforma processuale, quella del giugno 2009 (legge n. 69 del 2009) (2). Fiducia che oggi invece merita la revisione corag- giosa delle circoscrizioni giudiziarie, tanto attesa e che si vorrebbe tuttavia non così lenta. Questo giudizio restrittivo e profondamente perples- so su questa leggina si raccomanda anche al più be- nevolo osservatore, per più di una buona ragione. Note: (1) Si veda, per più diffuse notazioni sulla genesi di questa rifor- ma, e sulla posizione al riguardo assunta dagli interpreti, G. Co- stantino, Le riforme dell’appello civile e l’introduzione del “fil- tro”, disponibile al sito internet www.Treccani.it (2) Si veda il mio La legge di riforma del 18 giugno 2009, n. 69:al- tri profili significativi a prima lettura, in questa Rivista, 2009, 7,877.

Transcript of Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per...

Page 1: Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani-me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e di merito. Tra

il Corriere giuridico 10/2012 1133

Primo pianoProcesso civile

Riforme

Nuovi ed indesiderabili esercizinormativi sul processo civile:le impugnazioni a rischiodi “svaporamento”di Claudio Consolo - Ordinario di diritto processuale civile nell’Università di Padova

La L. n. 134 di questo agosto vuole alleggerire il nostro sistema delle impugnazioni, reputato un lusso ga-rantistico che nuoce alla ragionevole durata. Questo assunto, esatto solo in parte, sconta la difficoltà di ri-solvere sul piano procedurale (qui con il filtro dell’appello e la restrizione delle censure deducibili in Cassa-zione) un gap culturale e organizzativo, senza neppure lambirne le radici (cosa che non si può fare con trattidirigistici di penna normativa). Il rischio che si corre è invece quello di una parziale “dissoluzione” della fun-zione rimediale che tradizionalmente, da noi, le impugnazioni hanno garantito, almeno fino a qualche annofa. Più che l’accesso al pieno giudizio di appello (già dosabile con il rifiuto della inibitoria e la passerella al me-rito), bisognose di rivisitazione sono le Corti di appello stesse, le cui decisioni sui fatti non possono allo sta-to ambire a codesta nuova insindacabilità. Pesa negativamente anche un uso strumentale e comodo dellacomparazione con altri ordinamenti, che vorrebbe dimenticare le nette, anzi ancora abissali, peculiarità delnostro e, senza affrontarle, rischia di far perdere alcune sue qualità (di mitezza ed accettabilità) che solo l’au-mento sproporzionato del numero di avvocati, del tasso stocastico di complicazioni e delle novelle legislati-ve ha “girato in guasti”. Una short way, verso una minore disarmonia sociale della giustizia civile e delle pro-fessioni legali, non è data. Da questo Governo, per il suo valore, è lecito attendersi più attenzione alla big pic-ture, non solo quanto alle circoscrizioni.

1. La caliente e rinsecchita estate del 2012 non haimpedito al legislatore di nutrire alte speranze (ossiache le nostre impugnazioni siano in parte un “lusso”facilmente rinunciabile), sì da coniare in fretta, econ decretazione d’urgenza convertire, una nuova(l’ennesima) legge in materia (anche) di processocivile, volta in particolare ad asciugare e rendere piùlegnoso (si suol dire “deflazionare”) il sistema delleimpugnazioni: legge n. 134 del 7 agosto (in G.U.11agosto 2012, n. 187) (1). Questa “riforma” (abusa-tissima, equivoca e ormai quasi insopportabile paro-la) dell’agosto 2012 - in larga parte preannunciatagià in giugno, con il d.l. n. 83 del 2012 - non ha cer-to incontrato il favore dei primi interpreti, se cosìeufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani-me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e dimerito. Tra i quali assai scontenti interpreti si schie-ra, questa volta, con tutta la simpatia per le buoneintenzioni, anche chi scrive; non si può infatti guar-dare a questo nuovo intervento legislativo, poco di

diverso, esso pure, da un esercizio in marchingegniprocedurali, con la stessa fiducia prospettica, nonsmentita neppure poi a consuntivo triennale, cheaccompagnava le prime riflessioni svolte - sempre inquesta Rivista - sull’altra estiva riforma processuale,quella del giugno 2009 (legge n. 69 del 2009) (2).Fiducia che oggi invece merita la revisione corag-giosa delle circoscrizioni giudiziarie, tanto attesa eche si vorrebbe tuttavia non così lenta.Questo giudizio restrittivo e profondamente perples-so su questa leggina si raccomanda anche al più be-nevolo osservatore, per più di una buona ragione.

Note:

(1) Si veda, per più diffuse notazioni sulla genesi di questa rifor-ma, e sulla posizione al riguardo assunta dagli interpreti, G. Co-stantino, Le riforme dell’appello civile e l’introduzione del “fil-tro”, disponibile al sito internet www.Treccani.it

(2) Si veda il mio La legge di riforma del 18 giugno 2009, n. 69:al-tri profili significativi a prima lettura, in questa Rivista, 2009,7,877.

Page 2: Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani-me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e di merito. Tra

il Corriere giuridico 10/20121134

Primo pianoProcesso civile

2. Non altrettanto reiettiva la accoglienza da riser-vare invece ad un (anch’esso estivo: del giugno) in-tervento realmente innovativo delle Sezioni Unite,quello sulla durata delle sospensioni per pregiudizia-lità e dunque sui rapporti tra artt. 295 e 297 c.p.c. daun lato, e art. 337, comma 2, c.p.c. dall’altro (sent.n. 10027/2012) (3); se ne tratterà qui perché - sep-pur la lettura prospettata dalle sez. un. meriti sicura-mente di essere sperimentata - essa condivide con lalegge n. 134/2012 una esigenza piuttosto impegnati-va, per non dire ardua, quanto poco realistica: la ne-cessità di un rapido ma sicuro e potente “colpo d’oc-chio” del giudicante, affinché i nuovi meccanismiapprontati (dal legislatore, per l’appello, come dallaCorte, per dar semaforo verde a riassunzioni che tra-dizionalmente si sarebbero dette “precoci”) possanofruttuosamente operare e l’asse portante della ragio-nevole durata prendere concreto vigore, anziché so-lo declamatoria “ubiquità argomentativa”.Ma andiamo con ordine e partiamo così dalle novi-tà della legge n. 134/2012, che riguardano: il regi-me delle nuove prove in appello; le nuove (davve-ro o solo formalmente) ipotesi di inammissibilitàdell’appello; la riduzione dei vizi motivatorii dedu-cibili ex art. 360, n. 5, c.p.c.; nonché, infine, un in-tervento - meno utile di quanto vorrebbe credere illegislatore - sulla Legge Pinto, foriero anzi di nuovirischi.

Le restrizioni all’ammissibilità delle nuoveprove in appello

3. Le modifiche agli artt. 345, comma 3 e 702-quaterc.p.c. sono una “novità” dell’ultima ora della leggen. 134 del 2012 non preannunciata dal d.l. n.83/2012. In sintesi il legislatore ha, da un lato, limi-tato ulteriormente il novero delle nuove prove am-missibili nell’appello per così dire “ordinario”(espungendo dal comma 3 dell’art. 345 c.p.c. il fa-moso, coniato nel rito del lavoro del 1973 ove conti-nua però a vigere, sia pure in un diverso inquisitoriocontesto, riferimento a quelle prove che il collegioritiene “indispensabili” al fine del decidere). Dall’al-tro lato la legge n. 134/2012 ha equiparato il regimedelle nuove prove nell’appello reso a valle dell’ap-plicazione del rito sommario di cognizione (art. 702-quater) a quello fino a ieri vigente per l’appello “or-dinario”, sicché oggi saranno ammissibili solo le pro-ve che la parte dimostri di non aver potuto proporrenel corso del primo grado per causa ad essa non im-putabile, e quelle ritenute “indispensabili” (non piùelasticamente “rilevanti”, come invece prevedeva inorigine l’art. 702-quater c.p.c).4. La prima modifica è, tutto sommato, inutile (al-

meno in vista del fine perseguito con la sua introdu-zione) stante la ritrosia giudiziale a uscire dalla equi-distante passività, come occorre per dare il lascia-passare di indispensabile ad una prova, anche preco-stituita; la seconda rischia invece di rivelarsi assaidannosa.Se l’intento era quello di rendere più celeri i proce-dimenti di appello, riducendo le attività temporal-mente dispendiose, a ciò certo non gioverà la rifor-mulazione del comma 3 dell’art. 345 c.p.c. La sop-pressione anche delle “prove indispensabili” - salvasolo la (rara) rimessione in termini per errore scu-sabile - non procurerà grandi vantaggi e sgravi allecorti, che già da lustri rarissimamente riapronol’istruttoria, e che certo non per raccogliere prove(indispensabili o frutto di decadenze incolpevoliche siano) impiegano in media quattro anni perdecidere gli appelli. Il problema è solo (e, ormai,sempre) quello della insufficienza degli organici(sicché va salutata con favore la soluzione, che ilMinistero della Giustizia sta sondando, dell’inte-grazione dei collegi giudicanti con componentipart-time tratti dai docenti che in numero elevatis-simo si troverebbero disponibili nelle nostre Facol-tà giuridiche).A questo “nulla di fatto” si accompagna invece, sul-l’altro versante (quello della modifica dell’art. 702-quater) il grave rischio di porre nel nulla lo strumen-to, ormai riconosciutamente utile, del rito sommariodi cognizione degli artt. 702-bis e ss. c.p.c. V’è da chiedersi, infatti, quale coraggiosa parte an-cora vorrà usufruire di questo (più) celere strumentodecisorio, che si caratterizza com’è noto per lo piùper un’istruttoria deformalizzata (certo non per que-sto, beninteso, superficiale o incompleta, ma co-munque più snella), ora che il regime delle nuoveprove in appello è stato tanto irrigidito da consenti-re solo le nuove prove “indispensabili”. La elasticitàdella fase istruttoria in appello originariamente con-cepita dall’art. 702-quater c.p.c. (aperta alle proveritenute “rilevanti”), e così la possibilità di recupera-re prove eventualmente tralasciate in primo grado,era previsione rasserenante per le parti (e, crediamo,al fondo non lesiva della ragionevole durata del pro-cesso). Il pericolo è, allora, che il nuovo rito som-mario di cognizione cada, a soli tre anni dalla suaentrata in vigore, in desuetudine, a meno che la giu-risprudenza - saggiamente - non adotti criteri piùduttili di valutazione della “indispensabilità” della

Nota:

(3) In questo numero, 1178.

Page 3: Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani-me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e di merito. Tra

prova, rispetto a quelli elaborati in relazione all’art.345, comma 3, c.p.c.

Le “nuove” ipotesi in funzione filtrante diinammissibilità dell’appello: l’art. 342 c.p.c.

5. Una prima ipotesi di inammissibilità, quella deri-vante dalla riscrittura dell’art. 342 c.p.c. (che ad og-gi recita: «L’appello si propone con citazione conte-nente le indicazioni prescritte dall’articolo 163.L’appello deve essere motivato. La motivazione del-l’appello deve contenere, a pena di inammissibilità:1) l’indicazione delle parti del provvedimento che siintende appellare e delle modifiche che vengono ri-chieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giu-dice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostan-ze da cui deriva la violazione della legge e della lororilevanza ai fini della decisione impugnata»), nulla -crediamo - muterà per l’operatore del diritto. Il “nuovo” requisito di ammissibilità n. 1, infatti,nella parte in cui richiede l’indicazione delle partidel provvedimento che si intendono appellare, ri-sulta per vero sovrapponibile alla precedente richie-sta di indicazione specifica dei motivi di appello; re-quisito che la giurisprudenza ormai da tempo inter-pretava, pur in assenza di espressa sanzione, qualenecessità di individuazione precisa delle statuizionidella sentenza di primo grado impugnate, a pena diinammissibilità del gravame. Anche gli altri requisiti (di cui al n. 1, secondaparte, e al n. 2, che impongono all’appellante one-ri di completezza e puntualità dell’atto di grava-me) non mutano, in definitiva, la delibazione diinammissibilità che già prima la giurisprudenza erasolita compiere con riferimento all’atto di appello.La modifica, quindi, si rivela ancora una volta inu-tile (seppur non nociva): sono ormai tre lustri chevige, per diritto vivente, l’onere di specificazionedei motivi di appello a pena di preclusione al rie-same di questioni di fatto e di diritto. Non si sen-tiva dunque il bisogno della riscrittura dell’art.342 c.p.c. (e, sia detto, in modo enfatico e un po-co goffo quanto al n. 2, là dove parla burocratica-mente di circostanze da cui deriva la violazionedella legge, quasi che essa non dipenda invece daerrori di diritto).

… e i nuovi articoli 348-bis e - ter

6. Certamente nuova è invece l’altra, peculiarissi-ma, ipotesi di “inammissibilità” dell’appello recatadal nuovo art. 348-bis, che introduce un “filtro diinammissibilità” del gravame (che, in realtà, è aben vedere un filtro di “infondatezza”, tanto da po-ter essere considerato quale nuova, ulteriore, moda-

lità decisoria semplificata-sommaria). L’art. 348-bis,rubricato «Inammissibilità dell’appello», recita: «1.Fuori dai casi in cui deve essere dichiarata con sen-tenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’ap-pello, l’impugnazione è dichiarata inammissibiledal giudice competente quando non ha una ragio-nevole probabilità di essere accolta. 2. Il primocomma non si applica quando: a) l’appello è propo-sto relativamente a una delle cause di cui all’art. 70,primo comma; b) l’appello è proposto a norma del-l’art. 702-quater». La disciplina è completata dalsuccessivo, anch’esso neo-introdotto, art. 348-ter,che attiene alle modalità della declaratoria di inam-missibilità, e alle sue conseguenze (di cui ci occupe-remo tra breve).7. I dubbi che questa previsione solleva sono parec-chi. Anzitutto, pur definendola di “inammissibilità”,questa nuova ipotesi di chiusura anticipata del giu-dizio di appello non ha nulla a che spartire con i ca-si (questi sì di vera inammissibilità) contemplatidall’art. 348 c.p.c. (e ora espressamente anche dalnuovo art. 342 c.p.c.), che attengono tutti a vizi ge-netici dell’atto di impugnazione, inidoneo per ciò aradicare validamente il procedimento di gravame(del resto, all’utilizzo “promiscuo” del termine - cheha invece un suo ben preciso significato - il legisla-tore ci ha già abituato: così è per l’ipotesi di “inam-missibilità” del ricorso per cassazione ex art. 360-bis,n. 1, c.p.c., come chiarito dalle Sezioni Unite, ord.n. 19051/2010 (4)). Anche la scelta del parametro cui viene ancorato ilvaglio di “inammissibilità” è oltremodo criticabile:la “ragionevole probabilità di rigetto” dell’impugna-zione è formula tanto generica e indeterminata apriori da entrare in conflitto con il principio (desu-mibile dalla CEDU) per cui una volta concesso ilgrado di impugnazione, l’accesso allo stesso non puòdal legislatore essere precluso in forza di valutazionieccessivamente discrezionali. Del resto anche inquegli ordinamenti che ammettono un filtro in ra-gione delle chances di rigetto dell’impugnazione (co-me quelli tedesco e inglese), la valutazione deman-

il Corriere giuridico 10/2012 1135

Primo pianoProcesso civile

Nota:

(4) Sull’ordinanza si veda, con critiche serrate e puntute a 360gradi A. Carratta, L’art. 360-bis e la nomofilachia “creativa” deigiudici di cassazione, in Giur. It., 2011, 885 e ss.; v. pure V. Car-nevale, La Corte di cassazione ridimensiona il filtro dell’art. 360-bis cod. proc. civ., in Nuova giur.civ.comm. 2011, 167 e ss. A noipare invece nell’insieme un buon approccio (ossia non enfatico orepressivo) ad una norma al solito non esaltante: si v. C. Conso-lo, Dal filtro in Cassazione ad un temperato “stare decisis”: laprima ordinanza sull’art. 360 bis, in questa Rivista,2010,11,1405. Si v. altresì A proposito del “tempo dei regali” ri-formistici, ne il Giusto processo civile, 2009, 1087 e ss.

Page 4: Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani-me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e di merito. Tra

data al giudice è ancorata a ben più precisi e circo-stanziati paramenti, o almeno a parametri espressi intermini più netti e radicali e non solo probabilistici(come quello tedesco della “manifesta carenza diqualsivoglia prospettiva di successo”: § 522 ZPO; ocome in Inghilterra, ove si richiede che l’appeal siahopeless; v. sul punto anche la Relazione del CNF, di-sponibile al relativo sito; nonché M. De Cristofaro,in Judicium). Queste prognosi sono assai ardue poi-ché esigono non solo di capire come il relatore, uni-co detentore di tutte le carte, deciderebbe, ma altre-sì di congetturare quali chances il gravame avrebbe,anni dopo, con altri relatori, cioè oggettivizzando lavalutazione. Per questa nuova delibazione di “inammissibilità”occorrono molte ore di lavoro e a monte della primaudienza. Verranno trovate e utilizzate giudiziosa-mente? Nell’interrogativo si annida tutta l’alea delnuovo congegnetto, serrato nella forbice dei due ri-schi del disinteresse disapplicativo e del capricciosovaticinio, mentre la via mediana della studiosità edella camera di consiglio ante udienza appare pocomeno che wishful thinking ministeriale.Non condivisibili risultano, poi, le due eccezionicontemplate dal comma 2 dell’art. 348-bis c.p.c.Da un lato, infatti, le cause nelle quali l’interventodel p.m. è obbligatorio ex art. 70, comma 1, c.p.c.,configurano spesso, tuttavia non sempre, liti “sen-sibili”, coinvolgenti interessi superindividuali e co-sì tali da richiedere un controllo più approfonditodella decisione resa in primo grado (e soprattuttonon è certo che ciò non valga per altre liti, pur noncontemplate dall’art. 70, comma 1, c.p.c.). Dall’al-tro lato, l’esclusione del meccanismo di filtro per icasi in cui sia stato applicato il rito sommario di co-gnizione pare sottendere l’idea - criticabilissima epriva di fondamento - che tale rito, per le sue pe-culiarità (consistenti essenzialmente in una istrut-toria deformalizzata), si esporrebbe maggiormenteal rischio di errori decisorii; prospettiva che va re-cisamente negata.8. Perplessità suscitano anche le modalità di concre-to funzionamento di questo filtro, disciplinate dal-l’art. 348-ter («1. All’udienza di cui all’art. 350 ilgiudice, prima di procedere alla trattazione, sentitele parti, dichiara inammissibile l’appello a normadell’art. 348-bis, primo comma, con ordinanza suc-cintamente motivata, anche mediante il rinvio aglielementi di fatto riportati in uno o più atti di causae il riferimento a precedenti conformi. Il giudiceprovvede sulle spese a norma dell’art. 91. 2. L’ordinanza di inammissibilità è pronunciata soloquando sia per l’impugnazione principale che per

quella incidentale di cui all’articolo 333 ricorrono ipresupposti di cui al primo comma dell’articolo 348-bis. In mancanza il giudice procede alla trattazionedi tutte le impugnazioni comunque proposte controla sentenza. 3. Quando è pronunciata l’inammissibilità, contro ilprovvedimento di primo grado può essere proposto,a norma dell’articolo 360, ricorso per cassazione. Intal caso il termine per il ricorso per cassazione av-verso il provvedimento di primo grado decorre dallacomunicazione o notificazione, se anteriore, dell’or-dinanza che dichiara l’inammissibilità. Si applical’art. 327, in quanto compatibile. 4. Quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ra-gioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a basedella decisione impugnata, il ricorso per cassazionedi cui al comma precedente può essere propostoesclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2),3) e 4) dell’art. 360. 5. La disposizione di cui al quarto comma si applica,fuori dei casi di cui all’art. 348-bis, secondo comma,lettera a), anche al ricorso per cassazione avverso lasentenza d’appello che conferma la decisione di pri-mo grado»). In concreto, dunque, il giudice d’appello dovràprocedere alla declaratoria di inammissibilità (noncon sentenza, come per le altre inammissibilità“pure”, ma paradossalmente solo con ordinanzasuccintamente motivata, e recante la condanna al-le spese) direttamente alla prima (e quasi sempreunica) udienza di discussione, dopo aver sentito leparti (come specifica l’art. 348-ter nella sua formu-lazione modificata dalla legge n. 134/2012, conuna precisazione originariamente non contenutanella versione dell’art. 348-ter del d.l. n. 83/2012).Anche se dalla disposizione non pare potersi rica-vare un obbligo del giudice d’appello di esplicitarele ragioni per le quali non ritiene di far luogo al-l’applicazione dell’art. 348-bis c.p.c. (né invero sipuò ritenere che della mancata declaratoria diinammissibilità la controparte potrà in qualchemodo dolersi con l’eventuale successivo ricorso percassazione), è da credere che d’ora in avanti tuttele prime udienze del giudizio d’appello verranno,da chi volesse dare un senso alla norma, pruden-zialmente posticipate per consentire al collegio unpiù attento vaglio delle chances prospettiche di ac-coglimento del gravame e di svolgere camere diconsiglio ad hoc. Non un grande risultato, dunque.Non inverosimilmente uno spreco delle scarseenergie disponibili.La pronuncia dell’ordinanza di inammissibilità nonè scrutinabile direttamente in Cassazione (se non

il Corriere giuridico 10/20121136

Primo pianoProcesso civile

Page 5: Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani-me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e di merito. Tra

il Corriere giuridico 10/2012 1137

Primo pianoProcesso civile

per il profilo attinente alla condanna alle spese: v.oltre), per incentivarne la adozione; la garanzia èmacchinosamente obliqua poiché essa farà sorgerein capo all’appellante ricacciato indietro un peculia-re potere di impugnazione dell’unica sentenza resacon il “salto” dell’appello nei suoi riguardi negatogli:egli potrà infatti proporre ricorso per cassazione di-rettamente avverso la sentenza di primo grado. Nonpiù però “nei limiti dei motivi specifici proposti nel-l’atto di appello”: questo inciso è stato infatti elimi-nato in sede di conversione del d.l. n. 83/2012; scel-ta sicuramente non criticabile, ma nemmeno davve-ro necessaria (l’atto di appello, assai probabilmente,già individua i capi della sentenza e i motivi di gra-vame che poi rifluiranno nell’eventuale ricorso percassazione). Con il risultato che la S.C. si troveràcosì investita di ricorsi senza che sugli stessi sia giàstato effettuato l’utile doppio scrutinio di merito;con il che certo non si contribuisce a ridurre l’incal-zante arretrato. Alcune perplessità desta anche l’ultima parte delcomma 3 dell’art. 348-bis circa il termine per laproposizione di questo ricorso per cassazione quasiper saltum. Vi si legge che: «contro il provvedimen-to di primo grado può essere proposto, a norma del-l’articolo 360, ricorso per cassazione. In tal caso iltermine per il ricorso per cassazione avverso ilprovvedimento di primo grado decorre dalla comu-nicazione o notificazione, se anteriore, dell’ordi-nanza che dichiara l’inammissibilità. Si applical’art. 327, in quanto compatibile». Questo riferi-mento alla applicazione “salva compatibilità” del-l’art. 327 c.p.c. (che si stenta non poco a compren-dere, poiché per vero il termine lungo di impugna-zione evidentemente opererà anche qui), non puòche essere interpretato nel senso che se l’ordinanzadi “inammissibilità” non viene notificata e la suacomunicazione avviene (a dir poco patologica-mente) oltre il lungo termine semestrale dal suodeposito, allora l’art. 327 c.p.c. non opererà e il ri-corso per cassazione sarà ammissibilmente propo-nibile decorsi 60 giorni da questa davvero tardivacomunicazione. Ipotesi difficilmente immaginabilee che certo non meritava di essere così oscuramen-te disciplinata.Se poi la Corte di cassazione accogliesse il ricorsoproposto contro la sentenza di primo grado (per mo-tivi diversi da quelli previsti dall’art. 382 c.p.c., e co-sì nei soli casi in cui si renda necessario il rinvio),rinvierà la causa al giudice che avrebbe dovuto pro-nunciare sull’appello, e che ha pronunciato su di es-so in precedenza solo sommariamente e dunque consuccinta ordinanza (secondo quanto previsto dal

nuovo comma 4 dell’art. 383, anch’esso aggiuntodalla legge n. 134/2012). Non è fuori luogo chiedersi se l’ordinanza di inam-missibilità sia autonomamente ricorribile per cassa-zione (contemporaneamente, quindi, al ricorso con-tro la sentenza di primo grado, che è - questo sì - fa-cilmente pronosticabile verrà spesso, se non sempre,esperito), con riguardo - peraltro - alla sola statuizio-ne sulle spese. Una tale possibilità, per vero, non èesclusa dal dato letterale, che non definisce “nonimpugnabile” l’ordinanza. Tuttavia essa, non essen-do sostitutiva, non statuisce su diritti di consistenzadi diritto sostanziale (quello ad un giudizio di appel-lo non sommario certamente non lo è) e non ci pa-re ricada nella garanzia dell’art. 111, comma 7,Cost., quantomeno per la parte relativa alla declara-ta inammissibilità (5). Ciò non di meno, poiché ta-le ordinanza - per espressa previsione dell’art. 348-bis - deve altresì statuire sulle spese (ci si potrà chie-dere se solo per quelle relative alla fase di appello,oppure anche per quelle di primo grado, ma dovreb-be essere giusta la prima soluzione, poiché l’ordinan-za deve essere in tutto in linea con la sentenza di pri-mo grado), non si può in radice escludere che la par-te abbia diritto a vedersi riconosciuta la possibilitàdi esperire sul punto ulteriore gravame. E tuttavia,senza voler ora complicare troppo l’esposizione, cipare piuttosto evidente la confusione ingeneratadalla contemporanea pendenza dei due gravami, che- se non riuniti - potrebbero (nel migliore dei casi)dar luogo a due coincidenti, ma distinte, rimessioni;nel peggiore ad un conflitto di decisioni assai spiace-vole. In ogni caso riteniamo che, anche in mancan-za di impugnazione diretta dell’ordinanza di inam-missibilità, la S.C. adita con ricorso avverso la sen-tenza di primo grado, dovrà statuire sulle spese di li-te tenendo conto anche dei gradi precedenti, e cosìpure della parantesi svolta innanzi al giudice d’ap-pello; e che la relativa statuizione assorbirà e co-munque supererà - nonostante la disarmonica bifor-cazione che questa norma introduce - le altre (com-presa dunque anche quella contenuta nell’ordinanzadi inammissibilità).Il macchinoso congegno predisposto dal legislatore(ricorribilità diretta della sentenza di primo grado a

Nota:

(5) Contra G. Costantino, Le riforme dell’appello civile e l’intro-duzione del “filtro”, cit., per il quale dovrebbe riconoscersi cheavverso tale ordinanza - poiché provvedimento decisorio che in-cide su diritti - potrà essere esperito ricorso straordinario perCassazione ex art. 111, comma 7, Cost. Tuttavia ci pare che, secosì fosse, verrebbe allora meno anche quel poco di razionalitàsottesa all’intervento legislativo.

Page 6: Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani-me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e di merito. Tra

valle della declaratoria di inammissibilità dell’ap-pello ex art. 348-bis) rischia però di generare uncortocircuito di tutela nel caso in cui con l’appellodichiarato “inammissibile” fosse stato dedotto (an-che o solo) il motivo di revocazione ordinaria di cuial n. 4 dell’art. 395 c.p.c. (così Galletto, anch’egliin Judicium), o - secondo noi - anche altro motivodi revocazione straordinaria (che, se scoperto primadella decorrenza del termine per l’appello, dovrà es-sere ivi fatti valere: arg. ex art. 396 c.p.c.). In questicasi, infatti, il vizio revocatorio non potrà esserecensurato in cassazione con il ricorso avverso lasentenza di prime cure, poiché le ipotesi considera-te dall’art. 395 c.p.c. non possono farsi rientrare nelcatalogo tassativo dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c.(verosimilmente il problema non si porrà inveceper il vizio di cui all’art. 395, n. 5, c.p.c.; in questocaso, infatti, l’esistenza di un precedente giudicatopotrà essere fatta valere con il ricorso - ex art. 360nn. 3 e 4 - alla luce dell’orientamento ormai pacifi-co, inaugurato con Cass. sez. un., n. 226/2001, chericonosce la rilevabilità officiosa anche ad operadella S.C. del giudicato esterno; quanto poi allaproducibilità del documento dal quale la violazionedel giudicato emerge, essa potrà avvenire ex art.372 c.p.c., in considerazione della sua attinenza alprofilo dell’ammissibilità del ricorso: Cass. sez. un.n. 13916/2006). Ebbene, poiché non ci si può certo appagare dellaconstatazione che - inavvertitamente - il legislatoredell’agosto del 2012 ha eliso il diritto della parte adolersi dei vizi revocatori della sentenza di primogrado, si deve necessariamente concludere (con undoveroso sforzo interpretativo) che la revocazionedovrà, nel caso fatto, essere proposta direttamente algiudice di primo grado (con ardui problemi di com-puto dei termini, ed in particolare del dies a quo) inparallelo con la proposizione del ricorso per cassa-zione avverso la medesima sentenza, come oggi ac-cade per la revocazione delle sentenze d’appello (e sidovrà però allora valutare se anche in questa ipotesiopereranno i meccanismi di raccordo tra revocazio-ne e cassazione predisposti dall’art. 398, comma 4,c.p.c.). Ecco dunque la riprova di quanto sostenuto: mette-re mano ad una materia tanto complessa e intricatacon sordi interventi settoriali (della cui utilità è le-cito dubitare) significa andare incontro a cortocir-cuiti sistematici davvero gravi e imbarazzanti, comequesto, e come altri che presumibilmente emerge-ranno nei prossimi mesi.9. Il congegno prevede dunque solo il ricorso quasiper saltum e non vediamo qui violazioni di garanzie

costituzionali, sì però una macchinosità poco pro-ducente che snatura la classica natura tendenzial-mente sostitutiva degli appelli e la loro capacità,opportunamente semplificante, di porre fuori cam-po la sentenza di primo grado validamente appella-ta. In questo senso si è osato parlare di esercizi dicombine legislativa poco o punto desiderabili, por-tatori di viete complicazioni nei casi in cui venga-no davvero applicati; ed in sé comunque intorbi-danti - con andirivieni goticheggianti quanto ina-ni ed estenuanti - il nitore e la capacità di miglio-rare davvero le prime decisioni tipico del sistemadelle impugnazioni (e del Fehkelkalkuel, alla Merkl,più o meno efficacemente ad esso sotteso e che legiustifica). Occorre piuttosto far funzionare le de-cisioni in forme semplificate, ma con i consueticontenuti.Il comma 4 introduce poi anche il meccanismo del-la c.d. “doppia-conforme” sulle questioni di fatto,escludendo che il ricorso per cassazione avverso lasentenza di primo grado possa dedurre il c.d. viziomotivatorio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. nel caso incui l’ordinanza di inammissibilità si sia fondata sullestesse ragioni inerenti alle varie questioni di fattoposte a base della decisione impugnata. Analogo(ma non perfettamente sovrapponibile) meccani-smo è poi previsto anche nel caso in cui la sentenzadi appello (quando, dunque, non sia stata dichiaratal’inammissibilità per probabile infondatezza del gra-vame) abbia “confermato” la sentenza di primo gra-do (comma 5). Di entrambe queste disposizioni cioccuperemo oltre, quando tratteremo delle novitàin tema di ricorso per cassazione. In esse dispiace lafiducia, epistemologicamente mal riposta, sulla sem-plicistica reiterazione di esiti, quanto pure la note-vole incertezza di dettato (pur migliorato un poco ri-spetto ad una versione originaria del testo che avevafatto sobbalzare).Infine, il comma 2 dell’art. 348-ter esclude che sipossa utilizzare questo “filtro di inammissibilità” nel-l’ipotesi in cui sia stato proposto, dall’appellato, ap-pello incidentale per il quale non ricorrano i presup-posti per la definizione con ordinanza (in altre paro-le, l’impugnazione che abbia ragionevole probabilitàdi essere accolta, salva dall’inammissibilità tuttequelle proposte nel medesimo procedimento di ap-pello). Anche quest’ultima previsione lascia alquan-to perplessi: non si comprende infatti per quale ra-gione, pur se l’appello principale risulti già prima fa-cie infondato, su di esso la corte d’appello debba co-munque giudicare secondo l’iter ordinario (e pro-nunciare, quindi, sentenza), sol perché è stato pro-posto un (prima facie non infondato) appello inci-

il Corriere giuridico 10/20121138

Primo pianoProcesso civile

Page 7: Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani-me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e di merito. Tra

dentale, soprattutto ove quest’ultimo investa dei ca-pi di sentenza ben diversi da quelli impugnati conl’appello principale (nel qual caso nemmeno potràdirsi - a giustificazione di tale previsione - che afronte dell’appello incidentale il giudice è comun-que tenuto a giudicare per la via ordinaria sugli stes-si temi). Insomma, se si è convinti della bontà diquesto nuovo meccanismo di filtro, non si vede per-ché mai alcuni appelli possano esserne esenti per ra-gioni “contingenti”.Molte perplessità, lo si è visto, suscita l’interventodel legislatore dell’agosto 2012, ma la principale stain ciò, che questo nuovo meccanismo - che oltretutto esigerà di operare dopo aver applicato gli artt.331 e 332 c.p.c., inter alios - richiede al giudice d’ap-pello un colpo d’occhio (nel valutare alla primaudienza quali e quante chances prospettiche di acco-glimento abbia l’appello proposto) che non semprequesti potrebbe avere. Non ci pare che sia realisticoauspicare e pretendere che alla prima udienza si pos-sa, da un giudice collegiale, in un mare di gravami,con infallibile e subitanea “mira”, scindere gli appel-li privi di serietà dagli altri. E questo dovrebbe acca-dere già per tutti gli appelli proposti dopo il 12 set-tembre 2012, come specifica la disciplina transito-ria, all’evidenza incalzante e che in queste ultimesettimane estive rimette all’appellante la scelta serendere o no applicabile questo nuovo pasticciatostrumentario. Nonostante tutto non è questa la peggiore novitàdella riforma di agosto, come subito vedremo.

L’atteggiarsi del vizio motivatorio ex art.360, n. 5, c.p.c., e la sorte delle motivazioniillogiche e/o insufficienti

10. La novità più criticabile della legge n. 134/2012attiene alla riformulazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c.nei seguenti termini: «le sentenze pronunciate inappello o in unico grado possono essere impugnatecon ricorso per cassazione: … per omesso esame cir-ca un fatto decisivo per il giudizio che è stato ogget-to di discussione tra le parti». Contro i provvedi-menti emanati a partire dal 12 settembre 2012,quindi, non saranno più deducibili (quantomeno exart. 360, n. 5, c.p.c.: v. oltre) l’illogicità e l’insuffi-cienza della motivazione. Conviene subito osservare che la novità, a ben ve-dere, non è una “innovazione” priva di precedenti: illegislatore dell’agosto del 2012 non ha fatto altroche ritornare alla originaria formulazione dell’art.360, n. 5, c.p.c. del codice del 1942 (che già rappre-sentava un passo avanti rispetto al codice del 1865,che non contemplava alcun vizio motivatorio), su-

bito modificata dalla riforma del 1950 in termini ac-costabili a quelli sino a ieri previsti (la più lieve ri-formulazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., prima di que-st’ultimo recentissimo intervento, è dovuta alla ri-forma del 2006). A cosa si deve tutta questa conti-nua novellazione?L’intento (diremmo dichiarato) della modifica do-vrebbe essere quello di sfoltire ulteriormente l’ac-cesso al giudizio per cassazione, che registra ungrosso arretrato; ci pare però che a ben guardare ivantaggi rischiano di non pareggiare i costi. La am-putazione di gran parte del n. 5 dell’art. 360 (ne so-no oggi letteralmente escluse le motivazioni grave-mente insufficienti o illogiche, purché non del tut-to omesse) non farà certo ritrovare alla Corte unruolo più consono, ma significherà avere giudizi dicassazione pressocché in egual numero (e conuguali costi per le parti e pure per il sistema giudi-ziario), ma troppo spesso inutili, cioè tarpati nellaloro capacità di elevare le chances di giudicati benfatti. Ed infatti l’idea su cui si basano tutti gli in-terventi (sia sull’appello che sul ricorso per cassa-zione) della legge n. 134/2012 pare essere quellaper cui la sentenza di primo grado (ancor più, allo-ra, quella di appello) è già quasi sempre idonea adindividuare la giusta soluzione della lite, sicché èpossibile restringere sempre di più lo spazio dei gra-vami. Visti come una sorta di genere voluttuario dadisincentivare. Ma, se certo vi sono abusi, che il re-gime delle spese e della responsabilità aggravata exart. 96 c.p.c. già consentirebbe di reprimere severa-mente, l’esigenza di seri, accessibili, non intricati edisincentivanti meccanismi di verifica della quali-tà della decisione non è un lusso, ma - ad oggi, danoi - di fatto purtroppo una necessità, conforme atradizione ma non imposta solo da essa (è questo ilsenso e il movente della ns. risposta alla lettera delVicepresidente on. Vietti apparsa il 25 luglio sulCorriere della sera, pure essa in Judicium e basata sulparere del C.S.M., unica voce totalmente incorag-giante verso queste “riforme”). E ciò vale anche perle sentenze di appello, ed anche per il profilo moti-vatorio sulle questioni di fatto (come dimostra lacircostanza che quella delle insufficienza motivato-ria, non solo lamentata ma riscontrata, sia innega-bilmente esperienza quasi all’ordine del giorno incassazione).Esigenza insopprimibile, quella del riesame - nei li-miti noti, ovviamente - della motivazione sul fattoad opera della S.C., che si coglie bene sol che si pon-ga mente a ciò, che in tal modo si sottrae questo fon-damentale elemento del provvedimento giudiziale aqualsivoglia censura (interna al processo, o ad essa

il Corriere giuridico 10/2012 1139

Primo pianoProcesso civile

Page 8: Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani-me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e di merito. Tra

esterna): in primis ad opera della S.C., ma pur adopera degli interpreti del diritto. Precludendo l’ac-cesso al giudizio di legittimità ai vizi motivatori (di-versi dalla radicale omissione) si relega la motivazio-ne ad affare esclusivamente interno ai gradi di meri-to. Essa non sarà conosciuta se non dalle parti, e nonvi sarà nemmeno quell’ulteriore “controllo” (che in-vece c’è per gli errori di diritto) da parte della dot-trina (che, è noto, si attesta perlopiù sull’esame del-le sentenze di legittimità, che il profilo motivatoriopotrebbero non considerare più). Controllo che -pur se non in grado di incidere fattivamente sul casoormai deciso - consente comunque di evidenziare estimmatizzare (e forse anche contribuire a disincen-tivare) giudizi e prassi non propriamente commen-devoli. 11. È dunque imprescindibile valutare se (e in chemisura) la sufficienza e logicità della motivazione siaormai tema escluso dal controllo demandato allaCorte. Parimenti indispensabile è - però - intender-si bene su cosa sia l’“omesso esame” di cui è brevilo-quente menzione nel nuovo art. 360, n. 5 c.p.c.Ebbene, sotto il primo profilo una interpretazionecoerente del ruolo della motivazione nell’ambitodel provvedimento giudiziale consente di affermareche, a ben vedere, nonostante la finalità della rifor-mulazione dell’art. 360, n. 5, la motivazione delladecisione non è sottratta al controllo di coerenza,sufficienza, e logicità. Tale controllo, più semplice-mente, avverrà non più ex art. 360, n. 5, c.p.c., ma- ove soccorra la buona volontà del Giudicante, or-gano di legittimità, ma innanzitutto giudice - ex art.360, n. 4. Rientra dunque, e per fortuna, dalla fine-stra, ciò che il legislatore avrebbe voluto far usciredalla porta.Com’è stato osservato dai primi interpreti (v. pertutti Fornaciari, pure lui in Judicium), dall’art. 132c.p.c. si ricava che la motivazione è elemento essen-ziale del provvedimento del giudice che statuisce sudiritti, sicché un’interpretazione non rigida e forma-listica di tale norma esclude che questo requisitopossa dirsi soddisfatto se, in concreto, la motivazio-ne - pur formalmente presente - non risulta real-mente tale, ossia è inidonea a garantire la compren-sione dell’iter logico seguito dal giudicante, e a fon-dare la statuizione sul diritto da questi resa. Una mo-tivazione insufficiente o illogica, o ancora contrad-dittoria, dunque, rappresenta un error in procedendodel giudice (che non ha applicato correttamentequanto previsto dall’art. 132 c.p.c.), come tale dedu-cibile ex art. 360, n. 4, c.p.c. Mentre nel caso in cuila motivazione manchi in radice, opererà allora ilnuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Solo così si potrà

scongiurare il rischio che passino in giudicato sen-tenze che, pur formalmente dotate di una motivazio-ne, non consentono davvero alle parti di compren-dere su quali snodi giuridici e razionali si voglia fon-dare la decisione resa sui loro diritti. Non si puòdunque che auspicare che questa interpretazionevenga fatta propria dalla S.C.12. Quanto poi al significato della nuova formuladell’“omesso esame di un fatto”, ci pare evidente ilgrave rischio sotteso ad una sua interpretazione sor-damente letterale (seppur, magari, conforme alla in-tentio). Se ci si appagasse, nell’indagine sulla sussi-stenza del vizio, di una valutazione grafica, e cosìdell’esistenza di uno (o qualche) passaggio che delfatto reca menzione (pur se apodittica o generica),ebbene allora il diritto delle parti di veder valutati(esaminati, appunto) i fatti allegati verrebbe irrime-diabilmente frustrato. Tanto varrebbe - per inten-derci - escludere in radice qualsiasi possibilità di do-glianza avverso la motivazione in fatto. La formulaimpiegata dal legislatore va dunque doverosamentecompendiata con l’aggettivo insufficiente: l’“omessoesame” si configurerà così sia nell’ipotesi di radicalemancata menzione del fatto, sia in quella (assai piùprobabile) di grave leggerezza e superficialità logicanella sua valutazione che, anche in tal caso, risulta -al fine - “omessa”. Si rischia altrimenti di favorire ecomunque non fronteggiare - anche per questa via -eventuale rilassatezza (come anche con l’altro stru-mento predisposto, quello della c.d. doppia confor-me).La modifica dell’art. 360, n. 5, c.p.c. ha poi una ri-caduta anche sul giudizio di rinvio, che - ove seguaall’accoglimento del vizio motivatorio (nelle suenuove fattezze) - si atteggerà, se la locuzione “omes-so” fosse presa alla lettera, sempre solo come pura-mente restitutorio (mentre nella previgente formu-lazione dell’art. 360, n. 5, vi erano alcune similitu-dini con il rinvio post cassazione ex art. 360, n. 3,c.p.c., e così prosecutorio in un dialogo con la Cas-sazione). A fronte dell’accertato omesso esame diun fatto decisivo sorgerà, infatti, l’esigenza - tipicadel giudizio di rinvio ex art. 360, n. 4, c.p.c. - di rin-novare quanto erroneamente non o mal fatto, e co-sì qui di valutare il fatto non considerato dal giudi-ce di merito. Una tale valutazione, peraltro, avver-rà “a bocce ferme”, ossia senza possibilità di com-piere alcuna nuova attività istruttoria in relazioneal fatto non doverosamente considerato. Lo implicala stessa formulazione del nuovo art. 360, n. 5, chesi riferisce al fatto “già oggetto di discussione tra leparti”, che impone dunque che questo fatto vengaapprezzato dal giudice del rinvio così come già rico-

il Corriere giuridico 10/20121140

Primo pianoProcesso civile

Page 9: Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani-me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e di merito. Tra

struito dalla dialettica svoltasi nei precedenti gradidi merito (e in radice obliterata dalla decisione cas-sata). Ancora, è da chiedersi - sempre alla luce del-la nuova lettera del n. 5 - quanto davvero il giudicedel rinvio sarà “libero” nel compito ad esso deman-dato, sol che si pensi che l’accoglimento del motivoex art. 360, n. 5, c.p.c. sottende già una valutazionedella S.C. almeno circa la “decisività” del fattoomesso.

La c.d. “doppia-conforme” nel suodiversificato operare ex artt. 348-ter,comma 4 e 5 c.p.c.

13. Già si è fatto cenno all’altra “innovazione” reca-ta dalla legge n. 134/2012 (ed in particolare da com-mi 4 e 5 del neointrodotto art. 348-ter): la c.d. “dop-pia-conforme”, nella versione generalizzata (comma5), e specificamente riferita all’operare del “filtro diinammissibilità” dell’appello (comma 4).Quest’ultima desta - almeno dal punto di vista ese-getico - meno problemi: si prevede infatti che il ri-corso per cassazione proposto contro la sentenza diprimo grado a valle della pronuncia in appello del-l’ordinanza di inammissibilità di cui al nuovo art.348-bis, non potrà dedurre il vizio motivatorio exart. 360, n. 5, c.p.c. se «l’inammissibilità è fondatasulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto,poste a base della decisione impugnata». Fin qui tut-to chiaro (non certo condivisibile, però): se la rico-struzione del fatto operata dal giudice di primo gra-do viene “convalidata” (seppur in modo sommario,ossia attraverso il richiamo da parte dell’ordinanzadi inammissibilità) dal giudice d’appello, il legislato-re vorrebbe presumere che non vi sia più spazio resi-duo per vizi motivatori. Meno chiara è la previsione del comma 5 dell’art.348-ter, che esclude che possa essere impugnata exn. 5 dell’art. 360 la sentenza di appello «che con-ferma la decisione di primo grado». Ebbene, ci sichiede se la “conferma” che esclude il vizio di cuiall’art. 360, n. 5, c.p.c. sia solo quella integrale, os-sia involgente anche la motivazione in fatto resadal giudice di primo grado; oppure se si debba guar-dare solo agli esiti del giudizio di appello. La diffe-renza non è da poco: nel primo caso la “presunzio-ne” che fonda l’esclusione per c.d. doppia-confor-me si giustifica analogamente alla previsione di cuial comma 4 dell’art. 348-ter; nel secondo caso in-vece no. In particolare potrebbe accadere che lasentenza di appello confermi negli esiti decisoriiquella di primo grado, ma per un iter logico-giuri-dico diverso. In tal caso la motivazione della sen-tenza di appello non sarebbe una conferma in se-

condo grado di quella data dal giudice di prime cu-re, ma risulterebbe nuova e così mai da altri vaglia-ta. Si perderebbe in tal modo anche quel (inveroassai gracile) fondamento della conformità delledue motivazioni che sembra fondare il meccanismointrodotto dal legislatore.14. Ma i problemi non finiscono qui. Se si accoglie -com’è auspicabile - l’interpretazione sopra prospet-tata, che “recupera” il vizio motivatorio di illogicità,insufficienza e incoerenza attraverso il n. 4 dell’art.360 c.p.c., il risultato cui si giunge è che la previsio-ne neointrodotta per agevolare una più rapida for-mazione del giudicato riguarderà solo il caso di radi-cale omesso esame di un fatto (l’unico ad oggi consi-derato dall’art. 360, n. 5, c.p.c.). E tuttavia così si vaincontro al peggior paradosso: uno dei più gravi vizi(in grado di minare in radice la correttezza della de-cisione assunta) non potrà essere più dedotto dallaparte (né potrà essere recuperato ex art. 360, n. 4,poiché l’omissione qui rilevante è evidentemente sudomande o istanze, non su fatti).Insomma, l’idea dell’infallibilità dei giudizi di fattodei giudici di merito non trova conferma nella pras-si; quella della “doppia-conforme” è un mito, forse diascendenza canonistica, ed è un mito semplicisticoche stupisce non poco veder così secondato, dal mo-mento che le sue basi logiche e di sistema si sgreto-lano subito ad un’analisi nemmeno troppo minuta.Invero la esatta conformità spontanea è rarissima,quella invece intenzionale - che così si promuove eche premia la pigrizia - non ha alcuna forza asseve-ratrice. Del resto, questo mostra di saperlo anche illegislatore, che esclude da questo nuovo meccani-smo le cause in cui il p.m. deve essere obbligatoria-mente parte. Esclusione immotivata e discriminato-ria, che non si vede su che basi possa davvero pog-giare, se non riconoscere che le preoccupazioni circala bontà di questo nuovo strumento sono da tutticondivise.

Le (rinunciatarie eppur rischiose) modificheapportate alla legge Pinto

15. A chiusura di questa prima ricognizione sullenovità della legge n. 134/2012, meritano qualcheparola le modificazioni apportate alla legge Pinto.Vista la finalità di complessivo “aggiornamento” diquesto editoriale, non ci soffermeremo qui nuova-mente sulle gravosissime conseguenze (in termini disottrazione di risorse economiche e umane ad unabuona gestione del sistema giustizia) di questa leggeaffetta da “semplicismo para-masochista”, con guastiche avevamo previsto già 13 anni fa. Ciò che premeora evidenziare è, invece, che le modificazioni intro-

il Corriere giuridico 10/2012 1141

Primo pianoProcesso civile

Page 10: Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani-me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e di merito. Tra

dotte dal legislatore di questa estate del 2012, purchiaramente tese in astratto a (tentare di) ridurre siail carico di lavoro sia il flusso di esborsi (circa 80 mi-lioni di euro all’anno) che l’applicazione della LeggePinto comporta, rischiano di incrementare ancoradi più i procedimenti di “indennizzo”, e i correlatiindiscriminati risarcimenti che a questi seguono. Edi far investire, a valle, sempre più spesso gli organidi Strasburgo.In breve le novità sono le seguenti: la positivizzazio-ne di quella che dovrebbe essere la durata “ragione-vole” di ciascun grado di giudizio (secondo le indi-cazioni già provenienti dalla giurisprudenza); la mo-difica del procedimento per l’erogazione dell’inden-nizzo (che si avvicina pericolosamente sempre più alprocedimento monitorio, e diviene così strumentodi assai celere esperimento e di quasi certa e sconta-ta fruttuosità); la previsione di criteri standardizzatiper il calcolo dell’indennizzo dovuto (nell’intento direndere il più possibile “meccanico”, e così più rapi-do, il giudizio demandato al giudice); e - infine - laprevisione della rilevanza, al fine di escludere il di-ritto all’indennizzo, della condotta della parte (si di-spone, ad esempio, che la parte che sia stata con-dannata ex art. 96, comma 1, c.p.c., per lite temera-ria, non potrà giovarsi dello strumento concesso dal-la Legge Pinto; e si poteva aggiungere che la suacontroparte, già risarcita ex art. 96 c.p.c. - e dunqueper un titolo diremmo quasi analogo - avrebbe co-munque dovuto vedersi ridotto l’indennizzo even-tualmente richiesto e concesso).16. Come detto, si tratta di un intervento tutt’altroche risolutivo, che non crediamo in grado di inver-tire la tendenza - ormai purtroppo in uso - di indi-scriminati “risarcimenti a pioggia” per evidenti maendemiche violazioni della ragionevole durata delprocesso. Violazioni che, a ben vedere, tali sono insenso molto equivoco, poiché la durata che viene(oggi legislativamente) considerata come astratta-mente “ragionevole” è tanto lontana dal concretostatistico che la sua violazione non può dirsi davve-ro lesiva del diritto di uno sfortunato singolo allaragionevole durata del processo, poiché tale purevidente “abnorme” durata è a ben vedere comunea tutti i consociati che si imbattano nella disavven-tura di un processo (salvo casi, non altrettanto fre-quenti però, in cui la lesione qui necessariamenterisarcibile poiché statisticamente eccezionale, c’èed è effettiva, perché la durata di quel processo èdavvero superiore a quella media sopportata dai cit-tadini italiani o meglio dai litiganti in Italia). Sic-ché non si comprende perché di tale (purtroppo og-gi) mediamente normale durata solo i più coraggio-

si (o implacabili, che dir si voglia) vengano inden-nizzati.La soluzione ci pare debba quindi essere ricercataaltrove. Da un lato incrementando le risorse desti-nate alla giustizia civile (ma anche ottimizzandoquelle che già ci sono, ed a tal fine il reimpiego nel-la soluzione delle liti pendenti dei magistrati ad og-gi impegnati a far fronte alle istanze legittimate dal-la Legge Pinto appare assai utile), e invece non in-crementando (ma anzi riducendo) la pluralità di ri-ti che, per le peculiarità procedimentali (non sem-pre giustificate) che vengono così introdotte, ri-schia di nuocere anch’essa al celere svolgimento delprocesso. Dall’altro eliminando questo meccanismoindennitario, che si auto-alimenta, e lasciando chei (soli) casi davvero lesivi del diritto alla ragionevo-le durata del processo (perché in concreto quel pro-cesso è sul serio durato assai più di quanto normal-mente dura qui da noi) ricerchino la riparazione in-dennitaria nella sede loro propria: la Corte europeadei diritti dell’uomo, affinché vicende eccezional-mente disfunzionali abbiano la giusta evidenza edesteriorizzazione. Il resto sono palliativi che prestomostreranno la corda.17. Tanto premesso in linea generale circa la valuta-zione da riservare agli interventi sulla Legge Pinto,vediamo un po’ più da vicino in cosa tali modifichesi sostanziano.Anzitutto, con il nuovo comma 2-bis dell’art. 2, èstata legislativamente sancita la durata “ragionevo-le” di ciascun grado del giudizio. Per quel che riguar-da il processo civile il legislatore - con una precisa-zione a dir poco fiduciosa (e, si converrà, destinata anon trovare quasi mai riscontro in concreto) - hastabilito che è ragionevole il processo che duri: treanni in primo grado, due (anziché i 3-6 - di oggi!) inappello e uno (anziché i 3-5 di oggi!) in cassazione,fermo restando che il termine ragionevole si dovràconsiderare rispettato se, entro sei anni complessivi,il giudizio “viene definito in modo irrevocabile”.Con il che, da un lato, si deve ritenere che anchenel caso di rinvio a valle della cassazione della sen-tenza, o di proposizione di revocazione ordinaria, ilprocedimento - per rispettare la durata “ragionevo-le” - dovrà concludersi entro i 6 anni dalla sua pen-denza (e ciò non accadrà mai); dall’altro, il riferi-mento alla definizione del giudizio in modo “irrevo-cabile” esclude che possa essere computato il temponecessario alla definizione di eventuali impugnazio-ni straordinarie. Si aggiungono poi ulteriori previsioni tese ad indivi-duare il dies a quo del computo della ragionevole du-rata (ossia la pendenza del procedimento: notifica

il Corriere giuridico 10/20121142

Primo pianoProcesso civile

Page 11: Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani-me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e di merito. Tra

il Corriere giuridico 10/2012 1143

Primo pianoProcesso civile

della domanda o deposito del ricorso), e ad espunge-re dal computo della (concreta) durata del processoi periodi di stallo del giudizio derivanti dalla sospen-sione del processo (non però, stante la lettera delnuovo art. 2, comma 2-quater, dalla sua interruzio-ne), e dal suo passaggio da un grado all’altro (non sideve infatti tener conto «del tempo … intercorsotra il giorno in cui inizia a decorrere il termine perproporre l’impugnazione e la sua proposizione»).Precisazioni sicuramente utili (soprattutto a frontedell’operare del meccanismo della sospensione ne-cessaria di cui all’art. 295 c.p.c., anche nella nuovalettura datane dalle sez. un.: v. oltre), ma che noncrediamo in concreto gioveranno molto nello sfron-dare il numero dei ricorsi per riparazione, dati gli in-verosimili parametri di ragionevole durata dei varigradi di giudizio.Più interessante il nuovo comma 2-quinquies del-l’art. 2, che contempla sei ipotesi nelle quali l’in-dennizzo è escluso. Di queste quattro rilevano inquesta sede. Non potrà infatti richiedere l’indenniz-zo la parte che sia stata condannata per responsabi-lità aggravata ex art. 96 c.p.c.; e quella che non ab-bia accettato “senza giustificato motivo” la propostaconciliativa formulata nel corso del processo, ove ladomanda sia stata accolta in misura non superiore aquella proposta, ex art. 91, comma 1, ult. parte c.p.c.(analoga conseguenza si avrà nel caso di mancataadesione alla proposta conciliativa prospettata in se-de di mediazione ex art. 13 d.lgs. n. 28/2010). Conuna previsione di chiusura si esclude poi l’indenniz-zo “in ogni altro caso di abuso dei poteri processualiche abbia determinato una ingiustificata dilazionedei tempi del procedimento”.Anche le modalità di computo dell’indennizzo (alpari di quelle della durata del processo) sono statemodificate dal legislatore dell’agosto del 2012, cheha all’uopo introdotto un nuovo articolo (l’art. 2-bis) che - dopo aver fissato il tetto minimo (500 eu-ro) e massimo (1.500 euro) dovuto per ogni annoche eccede la ragionevole durata del processo - elen-ca una serie di criteri-guida per la concreta determi-nazione dell’ammontare dell’indennizzo (tra cui, adesempio, l’esito del processo, la natura degli interes-si coinvolti, il valore e la rilevanza della causa da va-lutarsi anche in relazione alle condizioni personalidella parte, nonché il comportamento delle parti edel giudice). Anche in questo caso è prevista unaclausola di chiusura: l’indennizzo riconosciuto nonpotrà in ogni caso essere superiore al valore dellacausa o, se inferiore, a quello del diritto accertato.Altra novità, lo si è anticipato, attiene al procedi-mento, che si avvicina nelle forme a quello di in-

giunzione (si v. il nuovo art. 3 della legge n.89/2001). Alla parte istante viene imposto un oneredi deposito di tutto il materiale (specificamenteelencato al comma 3: atti, memorie, verbali, oltre alprovvedimento) necessario per decidere (previsioneche, quasi “afflittivamente” si sostituisce alla possi-bilità, in precedenza riconosciuta alle parti dal pre-vigente art. 3, di instare affinché la corte adita di-sponesse l’acquisizione del materiale utile al fine didecidere sull’istanza). Come contrappeso a que-st’onere di completezza della parte (non esplicita-mente sanzionato, ma che verrà considerato - è dacredere - quale requisito di ammissibilità del ricorso)vi è la riduzione dei tempi di decisione: si passa daquattro mesi a trenta giorni dal deposito del ricorso.La decisione dovrà essere assunta, come previsto inprecedenza, con decreto motivato (non più però im-pugnabile per cassazione, ma) opponibile, entro 30giorni dalla sua comunicazione o dalla notificazione,con ricorso presentato allo stesso ufficio giudiziarioal quale appartiene il giudice che ha pronunciato ildecreto, che deciderà - con ordinanza non impugna-bile - entro quattro mesi, secondo il procedimentostabilito dal nuovo art. 5-bis.Infine vengono introdotte delle “sanzioni proces-suali” che il giudice potrà (ma non necessariamentedovrà) irrorare alla parte nel caso di declaratoria diinammissibilità o rigetto per infondatezza della do-manda di indennizzo: si prevede, in particolare, lacondanna del ricorrente al pagamento, in favoredella cassa delle ammende, di una somma di denarocompresa tra i 1.000 e i 10.000 euro. In sintesi, daquello che definimmo masochismo statale, si passa aforme di sado-masochismo affinché i richiedentinon si affaccino alla nuova ribalta con la prevedibi-le “massività”. Nondimeno l’importo di 80 milionidi euro annui lieviterà, temo di molto (proprio orache i “conti” sono vicini al baratro).

L’interpretazione evolutiva del rapporto tra artt. 295 (e 297) e 337, comma 2, c.p.c.nella savia proposta, in senso lato essapure riformatrice, delle Sezioni Unite(sentenza n. 10027/2012)

18. Uno dei problemi più avvertiti dalla giustizia ita-liana (civile in particolare) è quello, appunto, dellaeccessiva lunghezza del processo. Le ragioni sonostate capillarmente sondate dagli interpreti, e di es-se non tratteremo qui ed ora. Tuttavia è indubbioche tra queste, seppure purtroppo solo marginal-mente ché quelle preponderanti sono altre e menofacilmente rimuovibili, possano annoverarsi anchealcuni istituti processuali e/o la loro tradizionale

Page 12: Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani-me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e di merito. Tra

conformazione, primi fra tutti quelli che E. Liebmanetichettava come vicende processuali anomale, ecosì sia la interruzione/estinzione sia la sospensionesistematicamente più caratterizzante, ossia quellanecessaria per pregiudizialità ex art. 295 c.p.c. (al-meno nella interpretazione che è in uso darne). Questa disposizione, da cui il legislatore è semprestato discosto (salvo per la pregiudizialità penale)impone al giudice del processo sulla causa dipenden-te di dichiararne la sospensione ove risulti pendenteuna lite su un rapporto pregiudiziale. Il combinatodisposto degli artt. 295 (sulle condizioni al ricorreredelle quali il processo va sospeso) e 297 (sulle moda-lità di riassunzione) c.p.c., si è a lungo interpretatonel senso che, una volta disposta la sospensione delprocesso dipendente, questa dovesse perdurare sinoal passaggio in giudicato della pronuncia resa sullacausa pregiudiziale, e che la riassunzione dovesse - apena di estinzione del processo dipendente - essereeffettuata entro tre mesi da tale passaggio in giudica-to, ma mai prima. In questa ricostruzione, anche perchi scrive, non trovava spazio - ed invero, crediamo,per buone ragioni - la sospensione “discrezionale”dell’art. 337, comma 2, c.p.c. E questo perché taledisposizione (come dimostra la sua origine storica edil riferimento alla invocazione della già presente“autorità” della sentenza (6)) attiene alla ben diver-sa ipotesi in cui nel processo pendente venga invo-cata una sentenza già passata in giudicato formale,ma attualmente soggetta ad impugnazione straordi-naria. Nel qual caso, essendoci già un giudicato cuiuniformarsi, il giudice di quel processo potrà prose-guire adeguandosi al contenuto del giudicato, o so-spendere il processo innanzi a lui pendente, ove ri-tenga che l’impugnazione straordinaria abbia buonechances prospettiche di essere accolta (ecco di nuo-vo che ritorna, come anticipato in apertura, la ne-cessità di un buon colpo d’occhio).Accanto a questa prima interpretazione dell’ambitodi operatività degli artt. 295 (e 297), e 337, comma2, c.p.c., ve n’è un’altra, riconducibile a Liebman (epoi seguita anche da altra parte della dottrina che alpensiero di questi si è accostata), che - volendo quisolo sintetizzare per sommi capi - si fonda su di unapeculiare concezione dell’efficacia della sentenza diprimo grado, e più in generale della sentenza nonancora passata in giudicato (concezione che, sebbe-ne vi siano delle assonanze, non ci pare comunquesottesa alla lettura evolutiva ora prospettata dalleSezioni Unite: v. oltre). In particolare si riconoscealla sentenza, pur se ancora non passata in giudicatoformale, l’autorità di “cosa giudicata sostanziale”, au-torità che discende dalla circostanza che tale sen-

tenza comunque promana da un organo statale, eche fa sì che al contenuto di quella (pur ancora con-trovertibile) pronuncia tutti i consociati (e non solole parti, i loro eredi e aventi causa: art. 2909 c.c.)debbano uniformarsi nelle more dei giudizi di impu-gnazione, e finché la stessa non passi in giudicatoformale, o sia sostituita dalla sentenza che pronun-cia sulla sua impugnazione. Ebbene questa imposta-zione vede proprio nell’art. 337, comma 2, c.p.c. laconferma della sua correttezza. Precisamente si cre-de che l’art. 337, comma 2, si riferisca anche - ed an-zi precipuamente - alle impugnazioni ordinarie e co-sì postuli e confermi che sia munita di una efficaciadi vero accertamento (sia pure diversa e minore dal-la forza del giudicato, che solo è incontrovertibile)anche la sentenza di primo grado appellata, o quelladi appello soggetta a ricorso per cassazione o a revo-cazione ordinaria. Secondo questa impostazione,quindi, l’art. 337, comma 2, direbbe che il giudicedell’altro processo “dipendente” (cioè su diritti con-dizionati da quello già deciso), a fronte di tale “in-vocazione” della efficacia dichiarativa di una sen-tenza ancora priva di forza di giudicato - e quindinon vincolante in modo indiscutibile - avrebbe solol’alternativa tra sospendere il suo processo oppureproseguirlo, ma adeguandosi al contenuto di talesentenza (che, pur se non coperta dal giudicato, ve-drebbe così la sua efficacia “naturale” di accerta-mento non disapplicabile: e questo però stride conle premesse generali della tesi di Liebman, per cuil’efficacia naturale di accertamento è invece contro-vertibile se la sentenza risulti ingiusta).Pur se sistematicamente corretta, la posizione espo-sta per prima, ed accolta anche da chi scrive, portacon sé un evidente elemento di criticità: per evitarespreco di attività processuali, ed attendere così ilgiudicato (e dunque un elevatissimo grado di certez-za circa lo stato del diritto) sulla lite principale, ilprocesso dipendente potrà rimanere quiescente perdiversi (molti) anni.19. Proprio l’intento di limitare il più possibile que-sto automatico stallo del processo dipendente du-rante le fasi di impugnazione di quello pregiudiziale(a prescindere poi dalle ulteriori argomentazioni si-stematiche, sulle quali si potrà discutere, date dallesez. un. ) sta alla base della sentenza di inizio estate -in sostanza anche essa relativa alla disciplina delleimpugnazioni, sì che merita darne conto nel presen-te contesto - cui ora faremo cauto ma incoraggiante

il Corriere giuridico 10/20121144

Primo pianoProcesso civile

Nota:

(6) Si v. sul punto le ns. Spiegazioni di diritto processuale civile,Vol. III, sez. VII, cap. 1, Torino, 2012, in corso di stampa.

Page 13: Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani-me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e di merito. Tra

riferimento (n. 10027/2012), con la quale le sez. un.hanno limitato di molto non tanto l’ambito di ope-ratività, ma la durata della sospensione necessaria exart. 295 c.p.c., invocando proprio lo strumento del-l’art. 337, comma 2, c.p.c. La nuova impostazione di compromesso adottatadalle Sezioni Unite (che meriterà certo di esseresperimentata), può così riassumersi. Fintantoché lacausa pregiudicante pende in primo grado, il giudicedella causa dipendente dovrà applicare l’art. 295c.p.c., e così disporre necessariamente la sospensio-ne del processo innanzi a lui. Tale sospensione, però,non durerà per forza sino al passaggio in giudicatodella sentenza resa sulla lite dipendente: interpre-tando l’art. 297 c.p.c. in modo analogo a quanto av-viene - in tema di translatio iudicii - per l’art. 59 leg-ge n. 69/2009, le Sezioni Unite affermano che il ri-ferimento al passaggio in giudicato ivi contenutonon preclude affatto la riassunzione prima di talepassaggio in giudicato, ma rileva solo quale dies a quoper il computo dei tre mesi decorsi i quali la riassun-zione non potrà più essere operata, e il processo di-pendente si estinguerà. Una volta che sia stata deci-sa con sentenza, anche se ancora impugnabile, lacausa principale, infatti, ciascuna parte della causadipendente potrà, se vuole, riassumere il processosospeso ex art. 295 c.p.c. Tuttavia, in un certo senso,lo farà a suo rischio, non avendo voluto attendere ilgiudicato pregiudicante. Questo secondo processo così riassunto, però, nonpotrà proseguire liberamente ipso facto, appunto per-ché pende ancora la causa principale e manca ungiudicato. Poiché vi è già una sentenza che regola(seppur ancora in modo controvertibile) il rapportopregiudiziale, il giudice della causa dipendente do-vrà applicare, dicono le Sezioni Unite (non l’art.295, che opera solo quando una sentenza ancoranon c’è, ma) l’art. 337, comma 2, c.p.c., o almeno erectius, la medesima sua ratio rivitalizzante e discre-zionale, che lascia al giudice una scelta, quella fraproseguire adeguandosi al contenuto della sentenzaresa sulla causa pregiudicante, o invece sospenderenuovamente il processo (questa volta ex art. 337,comma 2) se ritiene che l’impugnazione propostacontro la stessa sentenza abbia chances significativedi essere accolta.L’interpretazione prospettata si fonda su ciò, che adoggi si deve ritenere che, soprattutto in relazione alprincipio della ragionevole durata del processo co-stituzionalmente sancito dall’art. 111 Cost., «l’ordi-namento preferisca all’attesa del giudicato la possi-bilità che il processo dipendente riprenda assumen-do a suo fondamento la decisione, ancorché suscet-

tibile di impugnazione, che si è avuta sulla causapregiudicante, perché, essendo il risultato di un ac-certamento in contraddittorio e provenendo dalgiudice, giustifica la presunzione di conformità al di-ritto». Presunzione, peraltro, non assolta, stantel’operare dell’art. 337, comma 2. La soluzione addi-tata dalle sez. un. ci pare cosa concettualmente di-versa, seppur in pratica assonante ed utile, dalla teo-ria (di Liebman) che riconosce alla sentenza nonancora passata in giudicato, in quanto atto proma-nante dallo Stato, una “efficacia naturale di giudica-to”, valevole financo erga omnes (e così ben oltre i li-miti soggettivi che l’art. 2909 c.c. traccia per l’in-controvertibile giudicato). 20. A prescindere però qui da disquisizioni dottrina-li, merita di essere sottolineato che alla interpreta-zione additata dalle sez. un. non occorre far leva suletture generalizzanti dell’art. 282 c.p.c., tali da ri-comprendervi l’efficacia di accertamento, poiché adessa - come precisa anche la Corte e come sopra si èdetto - non osta l’art. 297 c.p.c., che consente di es-sere letto in modo più duttile rispetto alla tradizio-nale sua interpretazione. Ed anzi, si tratta di soluzio-ne evolutiva, forse non del tutto sistematicamentecoerente, ma che presenta sicuramente il pregio diconsentire una revisione della disposta sospensioneonde evitare troppo lunghe paralisi del processo di-pendente. Tuttavia essa si fonda su di un assunto (che si è vistoessere comune anche alla recente, e forse non a casocoeva, introduzione del “filtro di inammissibilità” inappello, e alle altre modificazioni introdotte da ulti-mo dal legislatore) che non ci pare davvero così so-lido: quello per cui sempre più raramente l’esito delgravame (sia esso appello, ricorso per cassazione orevocazione) condurrebbe a risultati diversi da quel-li sanciti dalla sentenza impugnata, sicché le impu-gnazioni anche ordinarie abbiano un po’ perso il lo-ro carattere di fisiologica prosecuzione di un unicorapporto processuale plurigrado. Oltre a ciò, questanuova lettura del meccanismo della sospensione (el’applicazione, diremmo generalizzata, dell’art. 337,comma 2, non più confinato alle sole impugnazionistraordinarie) può funzionare bene solo nel caso digravami poco complessi, la cui soluzione prospetticarisulti abbastanza evidente, anche ad opera di ungiudice che la scruti da fuori o sommariamente, e ri-chiede in ogni caso dunque un buon colpo d’occhiodel giudicante, che forse non sempre ci sarà (al pari,ancora, del nuovo “filtro”). In mancanza è da crede-re che l’intervento delle Sezioni Unite poco gioverà(il giudice del processo dipendente riassunto, pru-denzialmente, pronuncerà nuovamente - però ex

il Corriere giuridico 10/2012 1145

Primo pianoProcesso civile

Page 14: Riforme Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul ... · eufemisticamente si vuol dire. Per una volta unani-me - “cosa rara” - appare il ripudio di metodo e di merito. Tra

art. 337, comma 2 - la sospensione), ed anzi potreb-be rivelarsi dannoso (se il processo dipendente, ade-guandosi alla soluzione data alla causa principale,prosegua confidando nel rigetto del gravame che in-vece verrà poi accolto, sì che allora solo l’art. 336cpv potrà sovvenire).21. Da ultimo una questione che la sentenza n.10027/2012 lascia in ombra (e, più in generale, po-co o punto indagata): fino a quando durerà la so-spensione del processo dipendente eventualmentedisposta ex art. 337, comma 2, c.p.c.? Se prima del-l’intervento delle Sezioni Unite si sarebbe forse po-tuto argomentare per la sua durata sino al passaggioin giudicato della sentenza che decide sull’impugna-zione straordinaria (e così pure, ritenendolo applica-bile, sino al passaggio in giudicato della decisionesulla lite pregiudicante), tale conclusione, oggi, siporrebbe in troppo aperto contrasto con le finalitàsottese all’arresto in parola. Crediamo dunque che ilvuoto legislativo (poiché nulla dice al riguardo l’art.337, comma 2, c.p.c.) possa essere così colmato: unavolta pronunciata sentenza sull’impugnazione della

decisione resa sulla causa principale (o, se ci si trovanell’ambito “naturale” e proprio di applicabilità del-l’art. 337, comma 2: una volta pronunciata sentenzasull’impugnazione straordinaria della decisione lacui autorità è invocata), ciascuna parte del processosospeso potrà riassumerlo, pur se la pronuncia resasull’impugnazione non fosse ancora definitiva. Tut-tavia rivivrà pure, in capo al giudice del processoriassunto, l’alternativa che l’art. 337, comma 2,c.p.c. riconosce: proseguire il processo conforman-dosi però al contenuto di quella decisione (anche senon ancora passata in giudicato), oppure sospender-lo ancora una volta, se ritiene verosimile che l’esitofinale della lite potrà essere - nel prosieguo di quelgiudizio - mutato. Troverà comunque applicazione(se del caso in via analogica) l’art. 297 c.p.c.: il pro-cesso sospeso ex art. 337, comma 2, dovrà essereriassunto entro tre mesi dal passaggio in giudicatodella decisione sulla causa pregiudicante (o quellache verrà resa all’esito dell’iter innescato dall’impu-gnazione straordinaria della sentenza la cui autoritàè stata invocata), pena l’estinzione.

il Corriere giuridico 10/20121146

Primo pianoProcesso civile