Rifiuti n. 194 aprile 2012

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aprile 2012 n. 194 (04/12) mensile Euro 14,00 Registrazione Tribunale di Milano n. 451 del 22 agosto 1994. Poste italiane spa – Spedizione in abbonamento postale – Dl 353/2003 (conv. in legge 46/2004) articolo 1, comma 1, DCB Milano Edizioni Ambiente L’intervento Regione Lazio e inerti: le prime linee guida per la gestione pag. 4 di Stefano Cicerani Rifiuti derivanti da trattamento meccanico dei rifiuti urbani: il problema della classificazione 6 di Paola Ficco Rifiuti radioattivi e rottami metallici 12 di Roberto Montali Giurisprudenza Illegittimi i veti regionali ai depositi di rifiuti radioattivi Corte Costituzionale – Sentenza 9 marzo 2012, n. 54 27 L’emergenza giustifica la sanzione più grave Corte di Cassazione, III Sezione penale – Sentenza 17 gennaio 2012, n. 1406 30 Residui animali, sono sempre rifiuti a meno che non siano sottoprodotti Corte di Cassazione, III Sezione penale – Sentenza 23 gennaio 2012, n. 2710 32 Abbandono: la colpa del proprietario del sito va provata Corte di Cassazione, III Sezione penale – Sentenza 30 gennaio 2012, n. 3580 35 Compost: è rifiuto se contiene sostanze pericolose Corte di Cassazione, III Sezione penale – Sentenza 9 febbraio 2012, n. 5045 37 Rubriche Quesiti 39 a cura di Paola Ficco Focus 231 Ambiente 44 a cura di Pasquale Fimiani Pneumatici fuori uso 47 a cura di Daniele Fornai Tribuna Albo gestori 49 a cura di Eugenio Onori Focus giurisprudenza 51 a cura di Maurizio De Paolis

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Il numero di Aprile della Rivista Rifiuti approfondisce tre temi importanti: le recenti Linee guida della Regione Lazio sulla gestione dei rifiuti inerti; il problema della classificazione dei rifiuti derivanti da trattamento meccanico dei rifiuti urbani (di Paola Ficco) e la gestione dei rifiuti radioattivi, con approfondita disamina dei problemi connessi al settore, con particolare riferimento ai rottami metallici.

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aprile 2012 n. 194 (04/12)

mensile Euro 14,00Registrazione Tribunale di Milano n. 451 del 22 agosto 1994. Poste italiane spa – Spedizione in abbonamento postale – Dl 353/2003 (conv. in legge 46/2004) articolo 1, comma 1, DCB Milano

Edizioni Ambiente

RIFIUTIbollettino diinformazionen o r m a t i v a

L’interventoRegione Lazio e inerti: le prime linee guida per la gestione pag. 4di Stefano Cicerani

Rifiuti derivanti da trattamento meccanico dei rifiuti urbani: il problema della classificazione 6di Paola Ficco

Rifiuti radioattivi e rottami metallici 12di Roberto Montali

GiurisprudenzaIllegittimi i veti regionali ai depositi di rifiuti radioattivi Corte Costituzionale – Sentenza 9 marzo 2012, n. 54 27L’emergenza giustifica la sanzione più grave Corte di Cassazione, III Sezione penale – Sentenza 17 gennaio 2012, n. 1406 30Residui animali, sono sempre rifiuti a meno che non siano sottoprodotti Corte di Cassazione, III Sezione penale – Sentenza 23 gennaio 2012, n. 2710 32Abbandono: la colpa del proprietario del sito va provata Corte di Cassazione, III Sezione penale – Sentenza 30 gennaio 2012, n. 3580 35Compost: è rifiuto se contiene sostanze pericolose Corte di Cassazione, III Sezione penale – Sentenza 9 febbraio 2012, n. 5045 37

RubricheQuesiti 39a cura di Paola Ficco

Focus 231 Ambiente 44a cura di Pasquale Fimiani

Pneumatici fuori uso 47a cura di Daniele Fornai

Tribuna Albo gestori 49a cura di Eugenio Onori

Focus giurisprudenza 51a cura di Maurizio De Paolis

è questa la parola d’ordine che ha dominato il confronto tra le categorie impren-ditoriali e il Ministro Clini lo scorso 22 marzo a Roma, in oc-casione del consueto meeting di primavera della Fondazio-ne per lo Sviluppo Sostenibile, presieduta da Edo Ronchi. Ti-tolo dell’incontro “La green economy per affrontare la cri-si italiana”. Sul punto, il Ministro ha detto della necessità di promuovere un’industria della green economy che vada al di là del marketing e della pedagogia. “Per quanto riguarda la corretta gestione del ciclo dei rifiuti noi oggi abbiamo bi-sogno di un ciclo industriale, perché se c’è chi ricicla e poi c’è chi riusa, la raccolta differenziata cresce, se non c’è ri-ciclo e non c’è riuso, allora la raccolta differenziata resta un esercizio pedagogico di nessuna utilità”. Queste le paro-le del Ministro. Una boccata di ossigeno rispetto a un inutile e lunghissimo tempo fatto solo di Sistri e rocambolesche, quan-to incomprensibili, procedure informatiche.Annunciati anche gli Stati generali della Green economy, per il 7 novembre nell’ambito di Ecomondo. Ma perché, anche a livello istituzionale, si parla tanto (e per fortuna) di questa economia verde? Perché è necessaria una nuova spinta pro-pulsiva per porre fine ad uno dei virus più aggressivi che, or-mai, infettano l’Italia: l’individualismo non responsabile, va-riante tragica di quello che E. C. Banfield (nel suo “Le ba-si morali di una società arretrata”) chiamava “famili-smo amorale” che, dagli anni ’50, domina lo Stivale e, in una quotidiana erosione, logora ogni reale possibilità di cre-are una dimensione collettiva e partecipata della convivenza.Ora, dinanzi alla profondissima crisi di questo nostro mondo corroso dalla finanza globale, è necessario e non più rinviabi-le un cambiamento. Dopo trent’anni ispirati al liberismo estre-mo occorrono soluzioni, forse, impensate; il mondo di quel trentennio è perduto per sempre e un nuovo modello econo-mico e sociale non può più attendere, dove il possibile è sicu-ramente incerto e aleatorio, ma non dilazionabile. Sulle teorie per farcela si sono prodigati in molti, tracciando scenari forte-mente divaricati. A un polo estremo si colloca la massima ap-prensione: poiché stiamo deragliando a causa del rapporto in-

sostenibile tra natura e civilizzazione, occorre una decrescita fe-lice. All’altro estremo la massima tranquillizzazione basata sul-la cieca fiducia nella tecnologia per cui, in fondo, non è succes-so niente, basta qualche sistemazione strutturale dei mercati.Lo spazio tra questi due estremi è occupato dalla riflessione su ciò che definiamo “green economy”, vale a dire la costruzione di modelli economici – ma anche di pratiche reali – in grado di incorporare i limiti ambientali all’interno di una nuova visio-ne dello sviluppo.Tuttavia, anche nella “green economy”, non mancano le am-biguità e finché non sarà compiuta una perimetrazione più esatta dei suoi confini ci sarà spazio, ad esempio, per rubrica-re sotto questa bandiera quelle particolari formule di neocolo-nialismo che fanno incetta di terreni agricoli a buon mercato in Africa e Sudamerica per produrre combustibili “verdi” diver-si da quelli fossili. Si spera che le iniziative del prossimo novem-bre aiutino a distinguere ciò che davvero potrà essere conside-rato “green”, come ad esempio la valorizzazione degli apparati produttivi di un certo territorio (dall’adattamento delle Pmi in funzione della compatibilità ambientale delle loro produzioni, al consumo consapevole per arginare lo spleen delle grandi cit-tà, fino ad arrivare alla gestione partecipata dei beni comuni). Senza dimenticare che i nuovi modelli potranno nascere anche dalla discontinuità tecnologica delle produzioni, o dalla voglia di creare punti di eccellenza capaci di “fertilizzare” il territorio.Sembra, dunque, davvero giunto il momento in cui, finalmen-te, i rifiuti saranno parte di un ciclo industriale ed economico e non più considerati e gestiti come una passività. Ma c’è biso-gno di un disegno globale, di una responsabilizzazione dei citta-dini e dei produttori di rifiuti, di un nuovo patto tra chi li gesti-sce e chi autorizza; il tutto fondato su un’“infrastruttura norma-tiva” da ricalibrare, su uno sfoltimento immediato delle Autori-tà competenti, su controlli e letture uniformi in tutto il territorio, su iter autorizzativi scevri da protagonismi intellettuali della P.a. Insomma, c’è bisogno di misura e di moderazione; anche questa è “green economy”. Diversamente, il futuro non arriverà mai.

Paola Ficco

Cambiamento:

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RIFIUTI

L’intervento

Rifiuti derivanti da trattamento meccanico

dei rifiuti urbani: il problema della

classificazione

di Paola Ficco

PremessaAl presente argomento è stata dedicata una lunga risposta ad un quesito (il n. 634) pubblicata sul n. 193 (3/2012) di questa Rivi-sta. Sul punto, tuttavia, i Lettori continuano ad inviare numero-si quesiti, segno evidente che il problema c’è ed è grave. Pertanto, si ritiene necessario dedicare all’argomento una riflessione più ap-profondita che restituisca i termini e i documenti della questio-ne; una questione che restituisce in modo tangibile i termini di una confusione ossessiva e di cui, in un settore così delicato co-me quello della gestione dei rifiuti, non c’è davvero bisogno. Una questione che, tra le sue pieghe, nasconde errori strutturali di in-terpretazione, amore per tesi iniziali rivelatesi sbagliate nel tem-po, incapacità di ammetterlo, strenua difesa di quanto appare non più difendibile e altri problemi di dimensioni più grandi. A farne le spese sono l’economia e la serenità operativa di chi, nonostante crisi, inflazione, stagnazione, deflazione, cerca di farcela. All’as-sordante silenzio del decisore pubblico, ancora una volta, viene data voce nelle aule dei Tribunali.

Nell’Elenco europeo dei rifiuti si reperiscono il Cer 19.12.12 relati-vo ad “altri rifiuti speciali prodotti da trattamento meccanico dei rifiuti (compresi materiali misti) diversi da quelli della vo-ce 191211” e il Cer 19.12.11 relativo agli stessi rifiuti, ma contenen-ti sostanze pericolose.Si pone, dunque, la necessità di comprendere se tali rifiuti siano urbani o speciali ai sensi della disciplina dettata dall’articolo 184, Dlgs 3 aprile 2006, n. 152.L’argomento è stato oggetto di una serie di interventi legislativi, in-terpretativi e giurisprudenziali che, in prosieguo, si avrà cura di rendere evidenti.

Il divieto di smaltimento dei rifiuti urbani fuori Regione e la nota 9 giugno 2009 dell’Ufficio legislativo del Ministero dell’ambienteL’articolo 182, Dlgs 152/2006 stabilisce che “È vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle do-ve gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regiona-li o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportu-nità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di uten-za servita lo richiedano”.

In ordine alla qualificazione come urbani o come speciali dei ri-fiuti da trattamento meccanico dei rifiuti urbani, l’ufficio Legislati-vo del Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, veniva interpellato (in data 11 luglio 2008) dall’Assessore alla tute-la ambientale e all’energia della Regione Toscana.L’Assessore evidenziava che a seguito dell’abrogazione della lettera n) relativa ai “rifiuti da attività di selezione meccanica dei ri-fiuti solidi urbani” dal dispositivo dell’articolo 184, comma 3, Dlgs 152/2006 “nascono dubbi interpretativi circa la qualificazione come rifiuti urbani o rifiuti speciali dei seguenti rifiuti derivan-ti dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani:• frazione organica• frazione secca.”.Pertanto, l’Assessore richiedeva al Ministero dell’ambiente un pa-rere “sulla classificazione tra i rifiuti speciali o tra i rifiuti urbani dei rifiuti in uscita dagli impianti di selezione mec-canica dei rifiuti solidi urbani indifferenziati, che non sia-no destinati al recupero ma avviati allo smaltimento fina-le in discarica.”.

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RIFIUTI

L’intervento

Rifiuti derivanti da trattamento meccanico

dei rifiuti urbani: il problema della

classificazione

di Paola Ficco

PremessaAl presente argomento è stata dedicata una lunga risposta ad un quesito (il n. 634) pubblicata sul n. 193 (3/2012) di questa Rivi-sta. Sul punto, tuttavia, i Lettori continuano ad inviare numero-si quesiti, segno evidente che il problema c’è ed è grave. Pertanto, si ritiene necessario dedicare all’argomento una riflessione più ap-profondita che restituisca i termini e i documenti della questio-ne; una questione che restituisce in modo tangibile i termini di una confusione ossessiva e di cui, in un settore così delicato co-me quello della gestione dei rifiuti, non c’è davvero bisogno. Una questione che, tra le sue pieghe, nasconde errori strutturali di in-terpretazione, amore per tesi iniziali rivelatesi sbagliate nel tem-po, incapacità di ammetterlo, strenua difesa di quanto appare non più difendibile e altri problemi di dimensioni più grandi. A farne le spese sono l’economia e la serenità operativa di chi, nonostante crisi, inflazione, stagnazione, deflazione, cerca di farcela. All’as-sordante silenzio del decisore pubblico, ancora una volta, viene data voce nelle aule dei Tribunali.

Nell’Elenco europeo dei rifiuti si reperiscono il Cer 19.12.12 relati-vo ad “altri rifiuti speciali prodotti da trattamento meccanico dei rifiuti (compresi materiali misti) diversi da quelli della vo-ce 191211” e il Cer 19.12.11 relativo agli stessi rifiuti, ma contenen-ti sostanze pericolose.Si pone, dunque, la necessità di comprendere se tali rifiuti siano urbani o speciali ai sensi della disciplina dettata dall’articolo 184, Dlgs 3 aprile 2006, n. 152.L’argomento è stato oggetto di una serie di interventi legislativi, in-terpretativi e giurisprudenziali che, in prosieguo, si avrà cura di rendere evidenti.

Il divieto di smaltimento dei rifiuti urbani fuori Regione e la nota 9 giugno 2009 dell’Ufficio legislativo del Ministero dell’ambienteL’articolo 182, Dlgs 152/2006 stabilisce che “È vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle do-ve gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regiona-li o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportu-nità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di uten-za servita lo richiedano”.

In ordine alla qualificazione come urbani o come speciali dei ri-fiuti da trattamento meccanico dei rifiuti urbani, l’ufficio Legislati-vo del Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, veniva interpellato (in data 11 luglio 2008) dall’Assessore alla tute-la ambientale e all’energia della Regione Toscana.L’Assessore evidenziava che a seguito dell’abrogazione della lettera n) relativa ai “rifiuti da attività di selezione meccanica dei ri-fiuti solidi urbani” dal dispositivo dell’articolo 184, comma 3, Dlgs 152/2006 “nascono dubbi interpretativi circa la qualificazione come rifiuti urbani o rifiuti speciali dei seguenti rifiuti derivan-ti dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani:• frazione organica• frazione secca.”.Pertanto, l’Assessore richiedeva al Ministero dell’ambiente un pa-rere “sulla classificazione tra i rifiuti speciali o tra i rifiuti urbani dei rifiuti in uscita dagli impianti di selezione mec-canica dei rifiuti solidi urbani indifferenziati, che non sia-no destinati al recupero ma avviati allo smaltimento fina-le in discarica.”.

L’intervento Trattamento m

eccanico e classificazionebollettino di inform

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RIFIUTI

L’Ufficio legislativo del Ministero dell’ambiente, con nota del 9 giu-gno 2009 rispondeva che:

“Come noto, l’articolo 2, comma 21 bis, del decreto legislati-vo 16 gennaio 2008, n. 4, ha soppresso la lettera n) dell’ar-ticolo 184, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che includeva i “rifiuti da attività di selezione mec-canica dei rifiuti solidi urbani” tra i “rifiuti speciali”.

Premesso che la lettera g) del medesimo comma 3, dell’arti-colo 184 include tra i rifiuti speciali, i ’rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento dei rifiuti, i fanghi prodot-ti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi’, si rileva che i rifiuti derivanti da attività di selezio-ne meccanica dei rifiuti solidi urbani – stante l’intervenu-ta abrogazione della disposizione che li sottoponeva espres-samente alla disciplina dei ’rifiuti speciali’ – sembrano in via residuale da ricondurre alla categoria dei ’rifiuti urba-ni’. Ciò tenendo debitamente conto anche della previsione in base alla quale i rifiuti derivanti dalla ’attività di smal-timento e recupero’ dei rifiuti di cui alla lettera g) del com-ma 3 dell’articolo 184, sono ricompresi tra i ’rifiuti speciali’.

La fase di selezione meccanica, infatti, appare differen-ziarsi dallo smaltimento e recupero in quanto prodromica e preliminare a tali attività, nonché priva della continui-tà con le medesime attività necessaria per indurre ad una sua assimilazione piena con le stesse. Di talché non si ri-tiene possano sottrarsi i rifiuti citati alle disposizione della vigente normativa sulla gestione dei rifiuti urbani, le qua-li prevedono tra l’altro, per quanto riguarda la gestione dei rifiuti stessi, il principio di autosufficienza nello smal-timento e il divieto di smaltimento in regioni diverse da quella di produzione”.

È evidente che l’Ufficio legislativo del Ministero dell’ambiente non è del tutto convinto di quanto afferma; infatti, usa termini come “sembrano” o “appare”. I rifiuti o sono speciali o sono urbani, non “sembrano” tali.A voler tacere di queste sfumature lessicali, la nota dell’Ufficio legi-slativo del Ministero dell’ambiente è preoccupante laddove afferma che “La fase di selezione meccanica, infatti, appare differen-ziarsi dallo smaltimento e recupero”. Infatti, tale affermazione è totalmente e completamente disarmonica rispetto al dato legislati-vo nazionale e comunitario.

Né la direttiva 2008/98/Ce, né il Dlgs 152/2006 (come modifica-to), né le precedenti legislazioni di settore poi sostituite ed abroga-te, hanno mai riconosciuto cose altre e diverse rispetto alla “gestio-ne” da sempre definita come “la raccolta, il trasporto, il recu-pero e lo smaltimento” (l’articolo 183, comma 1, lettera n), Dlgs 152/2006, vi aggiunge il controllo di tali operazioni e gli interven-ti successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le opera-zioni effettuate in qualità di commerciante o intermediario).

Quindi, a parte la raccolta e il trasporto, il recupero e lo smaltimento comprendono ogni qualsivoglia operazione che viene compiuta sui rifiuti e la selezione meccanica è un trat-tamento che rientra necessariamente nel recupero o nel-

lo smaltimento, tanto da dover essere autorizzata (come R o come D).

Infatti, il recupero è rappresentato (a titolo non esaustivo) da que-ste operazioni di recupero (allegato C, Parte IV, Dlgs 152/2006, ri-portato comprensivo delle note):

R1 Utilizzazione principalmente come combustibile o come al-tro mezzo per produrre energiaGli impianti di incenerimento dei RSU sono compresi solo se la loro efficienza energetica è uguale o superiore a: 0,60 per gli im-pianti funzionanti e autorizzati in conformità della normativa comunitaria applicabile prima del 1° gennaio 2009, 0,65 per gli impianti autorizzati dopo il 31 dicembre 2008, calcolata con la seguente formula: Efficienza energetica = [Ep (Ef + Ei)]/[0,97 × (Ew + Ef)] dove: Ep = energia annua prodotta sotto forma di energia termica o elettrica. È calcolata moltiplicando l’ener-gia sotto forma di elettricità per 2,6 e l’energia termica prodotta per uso commerciale per 1,1 (GJ/anno)Ef = alimentazione an-nua di energia nel sistema con combustibili che contribuiscono alla produzione di vapore (GJ/anno)Ew = energia annua conte-nuta nei rifiuti trattati calcolata in base al potere calorifico infe-riore dei rifiuti (GJ/anno)Ei = energia annua importata, escluse Ew ed Ef (GJ/anno)0,97 = fattore corrispondente alle perdite di energia dovute alle ceneri pesanti (scorie) e alle radiazioni. La formula si applica conformemente al documento di riferimento sulle migliori tecniche disponibili per l’incenerimento.R2 Rigenerazione/recupero di solventiR3 Riciclaggio/recupero delle sostanze organiche non utilizza-te come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche)Sono comprese la gassificazione e la pirolisi che utilizzano i componenti come sostanze chimiche.R4 Riciclaggio/recupero dei metalli e dei composti metalliciR5 Riciclaggio/recupero di altre sostanze inorganicheÈ compresa la pulizia risultante in un recupero del suolo e il ri-ciclaggio dei materiali da costruzione inorganici.R6 Rigenerazione degli acidi o delle basiR7 Recupero dei prodotti che servono a ridurre l’inquinamentoR8 Recupero dei prodotti provenienti dai catalizzatoriR9 Rigenerazione o altri reimpieghi degli oliR10 Trattamento in ambiente terrestre a beneficio dell’agricol-tura o dell’ecologiaR11 Utilizzazione di rifiuti ottenuti da una delle operazioni in-dicate da R1 a R10R12 Scambio di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni in-dicate da R1 a R11In mancanza di un altro codice R appropriato, può compren-dere le operazioni preliminari precedenti al recupero, incluso il pretrattamento come, tra l’altro, cernita, frammentazione, com-pattazione, pellettizzazione, essiccazione, triturazione, condi-zionamento, ricondizionamento, separazione, raggruppamento prima di una delle operazioni da R 1 a R 11.R13 Messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle opera-zioni indicate nei punti da R1 a R12 (escluso il deposito tempo-raneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti).

Invece, lo smaltimento è rappresentato (a titolo non esaustivo) da queste operazioni di smaltimento (allegato B, Parte IV, Dlgs 152/2006, riportate comprensive delle note):

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RIFIUTI

L’intervento

(1) Per un approfondimento si veda, a cura di (Enea-Disp) Anpa, Guida Tecni-

ca n. 26, Gestione dei rifiuti radioatti-vi, Sicurezza e Protezione, n. 14, 1987;

PremessaIl recente Dlgs 100/2011, con lo scopo di elevare il livello di tutela dei lavoratori, della popolazione e dell’ambiente contro i rischi deri-vanti da radiazioni ionizzanti, modifica la norma di settore, facen-do obbligo a tutti “i soggetti che esercitano attività di importazio-ne, raccolta, deposito o operazioni di fusione di rottami o altri materiali metallici di risulta, nonché i soggetti che a scopo in-dustriale o commerciale esercitano attività di importazione di prodotti semilavorati metallici”, di effettuare rilevazioni radiome-triche della eventuale presenza di livelli anomali di radioattività.

Nonostante l’Italia, con il referendum abrogativo del 1987, abbia bandito l’utilizzo del nucleare per la sperimentazione e la produ-zione di energia elettrica, attualmente i rifiuti radioattivi prove-nienti dalle ex centrali nucleari sono custoditi in diversi siti italia-ni. Inoltre, resta ancora aperto il problema dello smantellamen-to, rimozione e decontaminazione di strutture e componenti degli ex impianti nucleari. Ed è ovvio che la presenza di materiale ra-dioattivo nei siti di stoccaggio crea un grave problema di sicurezza ambientale. È stimato che i rifiuti radioattivi italiani ammontino complessivamente a circa 80.000 m3 e per essi si stanno studiando soluzioni di stoccaggio tali da garantire una maggiore sicurezza.

Il Dm 7 maggio 2001 forniva direttive alla Sogin per l’implementa-zione di un programma di decommissioning dei siti nucleari, in vista della bonifica incondizionata degli stessi, entro 20 anni. Nel 2003 sono stati emanati diversi provvedimenti relativi alla messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito. Secondo i dati forniti dalla Sogin, in Italia ci sono più di 60.000 m3 di rifiuti radioattivi di seconda e terza categoria, ai quali vanno ag-giunte 298,5 tonnellate di combustibile irraggiato e altri 2.000 m3 di rifiuti radioattivi, soprattutto di origine medica e sanitaria.

Non va trascurato che gli ospedali e le aziende sanitarie pro-ducono ogni anno circa 500 tonnellate di nuove scorie ra-dioattive.

I principi tecnici fondamentali a cui fare riferimento per la gestio-ne di questi rifiuti sono, secondo la Guida n. 26 dell’Anpa (oggi Ispra) (1), quelli della protezione sanitaria delle popolazioni e dei lavoratori, e della preservazione dell’ambiente, tenendo anche con-to dell’impatto sulle generazioni future. I rifiuti radioattivi prodot-ti nell’impiego pacifico dell’energia nucleare, ma non solo questi, si presentano sotto varie forme ed il loro contenuto di attività può va-riare entro limiti molto estesi, così come diversi sono i tempi di di-mezzamento: da tali diversità discende la necessità di una gestione differenziata dei rifiuti stessi. Tale gestione, che comprende la rac-colta, la cernita, il trattamento e condizionamento, il deposito tem-poraneo, il trasporto e lo smaltimento finale, risulta assai proble-matico ed impatta anche sui semilavorati metallici.

Origine dei rifiuti radioattiviTutte le attività in cui sono utilizzati o manipolati materiali radio-attivi generano rifiuti radioattivi che possono suddividersi, in base alle loro diverse concentrazioni di radioattività in:• rifiuti a bassa attività, carta, stracci, indumenti, guanti, sovra-scarpe, filtri, liquidi (soluzioni acquose o organiche provenienti da installazioni nucleari, ospedali, industrie, laboratori di ricerca);• rifiuti a media attività, costituiti da scarti di lavorazione, rottami

Rifiuti radioattivi e rottami metallici

di Roberto MontaliChimico industriale

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RIFIUTI

L’intervento

(1) Per un approfondimento si veda, a cura di (Enea-Disp) Anpa, Guida Tecni-

ca n. 26, Gestione dei rifiuti radioatti-vi, Sicurezza e Protezione, n. 14, 1987;

PremessaIl recente Dlgs 100/2011, con lo scopo di elevare il livello di tutela dei lavoratori, della popolazione e dell’ambiente contro i rischi deri-vanti da radiazioni ionizzanti, modifica la norma di settore, facen-do obbligo a tutti “i soggetti che esercitano attività di importazio-ne, raccolta, deposito o operazioni di fusione di rottami o altri materiali metallici di risulta, nonché i soggetti che a scopo in-dustriale o commerciale esercitano attività di importazione di prodotti semilavorati metallici”, di effettuare rilevazioni radiome-triche della eventuale presenza di livelli anomali di radioattività.

Nonostante l’Italia, con il referendum abrogativo del 1987, abbia bandito l’utilizzo del nucleare per la sperimentazione e la produ-zione di energia elettrica, attualmente i rifiuti radioattivi prove-nienti dalle ex centrali nucleari sono custoditi in diversi siti italia-ni. Inoltre, resta ancora aperto il problema dello smantellamen-to, rimozione e decontaminazione di strutture e componenti degli ex impianti nucleari. Ed è ovvio che la presenza di materiale ra-dioattivo nei siti di stoccaggio crea un grave problema di sicurezza ambientale. È stimato che i rifiuti radioattivi italiani ammontino complessivamente a circa 80.000 m3 e per essi si stanno studiando soluzioni di stoccaggio tali da garantire una maggiore sicurezza.

Il Dm 7 maggio 2001 forniva direttive alla Sogin per l’implementa-zione di un programma di decommissioning dei siti nucleari, in vista della bonifica incondizionata degli stessi, entro 20 anni. Nel 2003 sono stati emanati diversi provvedimenti relativi alla messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito. Secondo i dati forniti dalla Sogin, in Italia ci sono più di 60.000 m3 di rifiuti radioattivi di seconda e terza categoria, ai quali vanno ag-giunte 298,5 tonnellate di combustibile irraggiato e altri 2.000 m3 di rifiuti radioattivi, soprattutto di origine medica e sanitaria.

Non va trascurato che gli ospedali e le aziende sanitarie pro-ducono ogni anno circa 500 tonnellate di nuove scorie ra-dioattive.

I principi tecnici fondamentali a cui fare riferimento per la gestio-ne di questi rifiuti sono, secondo la Guida n. 26 dell’Anpa (oggi Ispra) (1), quelli della protezione sanitaria delle popolazioni e dei lavoratori, e della preservazione dell’ambiente, tenendo anche con-to dell’impatto sulle generazioni future. I rifiuti radioattivi prodot-ti nell’impiego pacifico dell’energia nucleare, ma non solo questi, si presentano sotto varie forme ed il loro contenuto di attività può va-riare entro limiti molto estesi, così come diversi sono i tempi di di-mezzamento: da tali diversità discende la necessità di una gestione differenziata dei rifiuti stessi. Tale gestione, che comprende la rac-colta, la cernita, il trattamento e condizionamento, il deposito tem-poraneo, il trasporto e lo smaltimento finale, risulta assai proble-matico ed impatta anche sui semilavorati metallici.

Origine dei rifiuti radioattiviTutte le attività in cui sono utilizzati o manipolati materiali radio-attivi generano rifiuti radioattivi che possono suddividersi, in base alle loro diverse concentrazioni di radioattività in:• rifiuti a bassa attività, carta, stracci, indumenti, guanti, sovra-scarpe, filtri, liquidi (soluzioni acquose o organiche provenienti da installazioni nucleari, ospedali, industrie, laboratori di ricerca);• rifiuti a media attività, costituiti da scarti di lavorazione, rottami

Rifiuti radioattivi e rottami metallici

di Roberto MontaliChimico industriale

L’intervento Rifiuti radioattivibollettino di inform

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RIFIUTI

metallici, liquidi, fanghi, resine esaurite, ex centrali nucleari, im-pianti di fabbricazione del combustibile a ossidi misti (MOX), im-pianti di riprocessaqwmento, centri di ricerca;• rifiuti ad alta attività costituiti dalle “ceneri” prodotte dalla com-bustione dell’uranio nei reattori. I principali componenti sono i prodotti di fissione e gli attinidi transuranici.

DefinizioniLa definizione di “rifiuto radioattivo” fornita in ambito internazio-nale (Iaea) (2) è la seguente: “qualsiasi materiale che contiene o è contaminato da radionuclidi a concentrazioni o livelli di radioattività superiori alle “quantità esenti” stabilite dalle Au-torità competenti, e per i quali non é previsto alcun uso (…)”.Oppure: “materiale radioattivo in forma solida, liquida o gas-sosa per il quale non è previsto alcun ulteriore uso e che è te-nuto sotto controllo come rifiuto radioattivo dall’Organismo Nazionale a ciò preposto secondo le norme e le leggi nazio-nali” (articolo 2, punto h della Joint Convention on the Safety of Spent Fuel Management and on the Safety of Radioactive Waste Management).

La definizione in ambito nazionale è contenuta nel Dlgs 17 marzo 95 n. 230 come modificato dall’articolo 4, comma 3, lettera i) del Dlgs 241/2000): “qualsiasi materia radioattiva, ancorché con-tenuta in apparecchiature o dispositivi in genere, di cui non é previsto il riciclo o non è previsto alcun uso” o anche nel-la guida tecnica n. 26 dell’Anpa (oggi Ispra) citata: rifiuto radio-attivo: “materiale prodotto o utilizzato nell’impiego pacifico dell’energia nucleare contenente sostanze radioattive e per il quale non è previsto il riutilizzo”; non sono da computarsi i ra-dionuclidi delle famiglie dell’uranio e del torio naturalmente pre-senti nei materiali, purché in concentrazioni inferiori a quelle sta-bilite dal Consiglio delle Comunità europee ai sensi dell’articolo 197 del Trattato istitutivo della Comunità europea dell’energia ato-mica; non sono altresì da considerarsi rifiuti radioattivi gli elemen-ti di combustibile irraggiato.

Nell’“Inventario nazionale, situazione e proiezione di tutti i rifiu-ti radioattivi presenti in Italia” istituito, nel 1997, dall’Enea-Tfs, e dalla stessa successivamente aggiornato, i rifiuti radioattivi vengo-no considerati nella loro forma condizionata, cioè come manufat-ti finali; pertanto per i rifiuti non ancora condizionati e per quelli di cui è prevista la produzione in futuro, in particolare quelli pro-dotti dallo smantellamento degli impianti nucleari, il produtto-re/detentore ha proceduto ad ipotesi sulle tecniche di condiziona-mento (condizionamento che avverrà presso i luoghi di produzio-ne) ed a valutare i volumi dei manufatti risultanti e le loro caratte-ristiche radiologiche (i rifiuti da smantellamento saranno prodotti dal 2010 al 2040, secondo il previsto piano di decommissioning”).

Tutte le normative di sicurezza in campo nucleare tendono a ridur-re il più possibile i rischi connessi con l’uso di materiali radioatti-vi o con l’esposizione alle radiazioni, tenendo anche conto dei van-taggi che possono derivare alla società. I criteri generali comuni a tutte le regolamentazioni internazionali in materia di rifiuti radio-attivi (3) sono:• l’ottimizzazione delle dosi individuali e collettive (secondo il criterio Alara) e la preservazione della qualità dell’ambiente;

• l’adozione di adeguati provvedimenti atti a ridurre il volume dei rifiuti radioattivi e a fissare, se del caso, i radionuclidi mediante condizionamento del rifiuto in matrice inerte (manufatti).

Altre definizioni di interesse sono:• condizionamento: processo effettuato con l’impiego di un agente solidificante all’interno di un contenitore allo scopo di pro-durre un manufatto (rifiuti radioattivi condizionati + contenitore) nel quale i radionuclidi sono inglobati in una matrice solida al fi-ne di limitarne la mobilità potenziale;• confinamento: segregazione dei radionuclidi della biosfera con limitazione di un loro rilascio al di sotto di quantità e concentra-zioni ritenute accettabili;• deposito di smaltimento: struttura naturale e/o artificiale adi-bita alla sistemazione dei rifiuti radioattivi ai fini dello smaltimento;• inglobamento: condizionamento dei rifiuti radioattivi solidi con produzione di una matrice solida eterogenea;• solidificazione: condizionamento dei rifiuti radioattivi liqui-di o semiliquidi con produzione di una matrice solida omogenea;• trattamento: complesso di operazioni che mediante l’applica-zione di processi fisici e/o chimici, modificano la forma fisica e/o la composizione chimica dei rifiuti radioattivi con l’obiettivo prin-cipale di operare una riduzione del volume e/o di preparare i rifiuti radioattivi alla successiva fase di condizionamento;

nonché, con particolare riferimento alle spedizioni, importazio-ni ed esportazioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito (Dlgs 230/1995), le seguenti:• combustibile esaurito: combustibile nucleare irraggiato e suc-cessivamente rimosso in modo definitivo dal nocciolo di un reat-tore; il combustibile esaurito puo’ essere considerato come una ri-sorsa usabile da ritrattare, oppure essere destinato allo smaltimen-to definitivo, senza che siano previsti altri utilizzi, ed essere trattato al pari di rifiuti radioattivi;• ritrattamento: un processo o un’operazione intesi ad estrarre gli isotopi radioattivi dal combustibile esaurito per un ulteriore uso;• smaltimento: il deposito di rifiuti radioattivi o di combustibile esaurito in un impianto autorizzato, senza intenzione di recuperarli;• stoccaggio: la conservazione di rifiuti radioattivi o di combusti-bile esaurito in un impianto equipaggiato per il loro confinamen-to, con l’intenzione di recuperarli successivamente;• detentore: qualsiasi persona fisica o giuridica che, prima di effet-tuare una spedizione di rifiuti radioattivi o di combustibile esauri-to, è responsabile conformemente alla normativa applicabile per tali materiali e preveda di effettuare una spedizione ad un destinatario;• domanda debitamente compilata: il documento uniforme di cui alla decisione della Commissione del 5 marzo 2008, relativa al documento uniforme per la sorveglianza e il controllo delle spedi-zioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito di cui alla direttiva 2006/117/Euratom del Consiglio, del 20 novembre 2006, ed eventuali successive modifiche ed integrazioni.

Il quadro nazionaleIn Italia tutte le attività che prevedono l’impiego, la manipolazio-ne e la detenzione di sostanze radioattive, e quindi anche la gestio-ne dei rifiuti radioattivi, sono regolate dal Dlgs 230/1995 successi-vamente modificato ed integrato dal Dlgs 241/2000. Mentre il Capo VI è specificamente dedicato alla gestione dei rifiuti radioattivi, il

(2) “International Atomic Ener-gy Agency” (Agenzia Internaziona-le per l’Energia Atomica – Onu) con sede principale Vienna; per maggio-

ri informazioni, si veda la Joint Con-vention on the Safety of Spent Fuel Management and on the Safety of Radioactive Waste Management,

First Italian National Report, apri-le 2006.(3) Per un approfondimento sulla ma-teria, si veda, a cura di Icrp, Radiation

protection principles for the disposal of solid radioactive waste, Annals of the Icrp, Icrp Pubblication n. 46, 15, 4, 1986, Oxford Pergamon Press.

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RIFIUTI

Giurisprudenza

Corte di CassazioneSentenza 23 gennaio 2012, n. 2710

La Corte Suprema di Cassazionesezione terza penale

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magi-strati: (omissis)ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:(omissis), indagato dei reati di cui al Dlgs n. 152 del 2006, artt. 256 e 137; avverso l’ordinanza 16.02.2011 del Tribunale di Caltanissetta che ha respinto la domanda di riesame proposta avverso il decreto di seque-stro preventivo dell’area e degli im-pianti destinati all’attività di smalti-mento rifiuti siti in (omissis);Visti gli atti, l’ordinanza denuncia-ta e il ricorso;Sentita nella Camera di Consiglio la relazione del Consigliere Dott. (omissis);Sentito il Pm nella persona del Pg, dott. (omissis), che ha chiesto il ri-getto del ricorso;Sentito il difensore del ricorrente, avv. (omissis), che ha chiesto l’ac-coglimento del ricorso.

Osserva

Con ordinanza 16.02.2011 il Tri-bunale di Caltanissetta rigettava la domanda di riesame proposta da (omissis), indagato dei reati di cui al Dlgs n. 152 del 2006, articolo 256, per avere, quale amministra-

tore unico della s.r.l. (omissis), po-sto in essere, senza autorizzazione, un impianto per la gestione di rifiu-ti speciali non pericolosi e per avere svolto attività di smaltimento me-diante incenerimento, di rifiuti di animali e di rifiuti costituiti da re-flui industriali prodotti dalle ope-razioni di lavaggio del capannone e dell’impianto e all’articolo 137 ci-tato decreto per avere, nella suddet-ta qualità, senza autorizzazione ef-fettuato scarichi di acque reflue in-dustriali prodotte dal dilavamento del piazzale dell’impianto di smal-timento di rifiuti di animali, avver-so l’ordinanza 16.02.2011 del Tribu-nale di Caltanissetta che aveva re-spinto la domanda di riesame pro-posta avverso il decreto di sequestro preventivo dell’area e degli impian-ti destinati all’attività di smaltimen-to rifiuti siti in Caltanissetta contra-da (omissis).Rilevava il tribunale:– che lo stabilimento veniva utiliz-zato per lo stoccaggio di rifiuti spe-ciali e per lo smaltimento mediante incenerimento di rifiuti di animali;– che era stata ceduta parte dell’at-tività dalla ditta (omissis) di (omis-sis) alla (omissis) s.r.l. di cui era amministratore unico l’indaga-to per la gestione di rifiuti speciali non pericolosi mediante operazioni di stoccaggio e di messa in riserva, nonchè dell’impianto d’inceneri-mento di rifiuti di origine animale;– che per lo svolgimento di tali atti-vità (omissis) non aveva ottenuto le necessario autorizzazioni;– che il rapporto tra il regolamen-

Corte di Cassazione – III Sezione penaleSentenza 23 gennaio 2012, n. 2710

La massimaRifiuti – Sottoprodotti di origine animale – Requisiti – Disciplina applicabileL’incenerimento dei residui di animali configura un’ipotesi di ge-stione di rifiuti, sottoposto quindi alla relativa disciplina di cui alla Parte IV, Dlgs 152/2006, in termini di autorizzazione, e non un’at-tività sottoposta al regolamento 1774/2002/Ce sui sottoprodot-ti di origine animale.Tale regolamento 1774/2002/Ce, ora abrogato e sostituito dal re-golamento 1069/2009/Ce regola infatti esclusivamente i profi-li sanitari e di polizia veterinaria legati ai residui di animali ma non la gestione, mediante smaltimento, degli scarti, che sono a tut-ti gli effetti rifiuti.L’unico modo per sottrarre tali scarti alla disciplina del Dlgs 152/2006 è la prova che essi posseggano tutti i requisiti dei sot-toprodotti previsti dall’articolo 184-bis, Dlgs 152/2006. (L.B.)

Residui animali,

sono sempre rifiuti

a meno che non

siano sottoprodotti

Pres. Mannino

Est. Teresi

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Giurisprudenza

Corte di CassazioneSentenza 23 gennaio 2012, n. 2710

La Corte Suprema di Cassazionesezione terza penale

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magi-strati: (omissis)ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:(omissis), indagato dei reati di cui al Dlgs n. 152 del 2006, artt. 256 e 137; avverso l’ordinanza 16.02.2011 del Tribunale di Caltanissetta che ha respinto la domanda di riesame proposta avverso il decreto di seque-stro preventivo dell’area e degli im-pianti destinati all’attività di smalti-mento rifiuti siti in (omissis);Visti gli atti, l’ordinanza denuncia-ta e il ricorso;Sentita nella Camera di Consiglio la relazione del Consigliere Dott. (omissis);Sentito il Pm nella persona del Pg, dott. (omissis), che ha chiesto il ri-getto del ricorso;Sentito il difensore del ricorrente, avv. (omissis), che ha chiesto l’ac-coglimento del ricorso.

Osserva

Con ordinanza 16.02.2011 il Tri-bunale di Caltanissetta rigettava la domanda di riesame proposta da (omissis), indagato dei reati di cui al Dlgs n. 152 del 2006, articolo 256, per avere, quale amministra-

tore unico della s.r.l. (omissis), po-sto in essere, senza autorizzazione, un impianto per la gestione di rifiu-ti speciali non pericolosi e per avere svolto attività di smaltimento me-diante incenerimento, di rifiuti di animali e di rifiuti costituiti da re-flui industriali prodotti dalle ope-razioni di lavaggio del capannone e dell’impianto e all’articolo 137 ci-tato decreto per avere, nella suddet-ta qualità, senza autorizzazione ef-fettuato scarichi di acque reflue in-dustriali prodotte dal dilavamento del piazzale dell’impianto di smal-timento di rifiuti di animali, avver-so l’ordinanza 16.02.2011 del Tribu-nale di Caltanissetta che aveva re-spinto la domanda di riesame pro-posta avverso il decreto di sequestro preventivo dell’area e degli impian-ti destinati all’attività di smaltimen-to rifiuti siti in Caltanissetta contra-da (omissis).Rilevava il tribunale:– che lo stabilimento veniva utiliz-zato per lo stoccaggio di rifiuti spe-ciali e per lo smaltimento mediante incenerimento di rifiuti di animali;– che era stata ceduta parte dell’at-tività dalla ditta (omissis) di (omis-sis) alla (omissis) s.r.l. di cui era amministratore unico l’indaga-to per la gestione di rifiuti speciali non pericolosi mediante operazioni di stoccaggio e di messa in riserva, nonchè dell’impianto d’inceneri-mento di rifiuti di origine animale;– che per lo svolgimento di tali atti-vità (omissis) non aveva ottenuto le necessario autorizzazioni;– che il rapporto tra il regolamen-

Corte di Cassazione – III Sezione penaleSentenza 23 gennaio 2012, n. 2710

La massimaRifiuti – Sottoprodotti di origine animale – Requisiti – Disciplina applicabileL’incenerimento dei residui di animali configura un’ipotesi di ge-stione di rifiuti, sottoposto quindi alla relativa disciplina di cui alla Parte IV, Dlgs 152/2006, in termini di autorizzazione, e non un’at-tività sottoposta al regolamento 1774/2002/Ce sui sottoprodot-ti di origine animale.Tale regolamento 1774/2002/Ce, ora abrogato e sostituito dal re-golamento 1069/2009/Ce regola infatti esclusivamente i profi-li sanitari e di polizia veterinaria legati ai residui di animali ma non la gestione, mediante smaltimento, degli scarti, che sono a tut-ti gli effetti rifiuti.L’unico modo per sottrarre tali scarti alla disciplina del Dlgs 152/2006 è la prova che essi posseggano tutti i requisiti dei sot-toprodotti previsti dall’articolo 184-bis, Dlgs 152/2006. (L.B.)

Residui animali,

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siano sottoprodotti

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RIFIUTIGiurisprudenza Corte di Cassazione – Sentenza 23 gennaio 2012, n. 2710

to Cee n. 1774/2002, recante nor-me sanitarie relative ai sottoprodot-ti di origine animale non destina-ti al consumo umano, e la norma-tiva di cui al Dlgs n. 152 del 2006, non si configura in termini di spe-cialità, sicchè le due normative pos-sono concorrere;– che, pertanto, anche la materia dello smaltimento delle carogne animali rientra nel campo di appli-cazione del decreto n. 152/2006;– che non risultava rilasciata all’(omissis) s.r.l, di cui era AU l’in-dagato e che era subentrata nella gestione dell’attività, l’autorizzazio-ne allo smaltimento mediante in-cenerimento;– che il nuovo gestore era privo an-che dell’autorizzazione allo scari-co fognario donde la sussistenza del jumus di entrambi i reati ipotizzati.Proponeva ricorso per cassazione l’indagato deducendo:– “inesistenza della violazione (…) del Dlgs n. 152 del 2006, ar-ticolo 256, per avere posto in essere un impianto per la gestione di rifiu-ti speciali non pericolosi (stoccag-gio con operazioni di messa in ri-serva)” essendo egli munito di au-torizzazione;– “inesistenza della violazione … di cui al Dlgs n. 152 del 2006, ar-ticolo 256, per aver posto in esse-re attività di smaltimento, median-te incenerimento, di rifiuti anima-li e di rifiuti costituiti da acque re-flue industriali prodotte dalle ope-razioni di lavaggio e disinfezione del capannone e dell’impianto” per-chè l’attività di gestione sanitaria dei sottoprodotti di origine animale, compresa l’attività d’incenerimento, è disciplinata dal regolamento Cee 1774/2002, sicchè non è applicabile il Tu sulla tutela dell’ambiente che, all’articolo 267, comma 2, stabilisce che “sono esclusi dal campo d’ap-plicazione della parte quinta del presente decreto gli impianti disci-plinati dal Dlgs 11 maggio 2005 n. 133 recante attuazione della diret-tiva 2000/76/Cee in materia d’ince-nerimento dei rifiuti”.Tale decreto esclude dal suo campo d’applicazione, all’articolo 3, com-ma 1, lettera a), n. 7 “i corpi interi o parti di animali, non destinati al consumo umano, ivi compre-si gli ovuli, gli embrioni e lo sper-ma, di cui all’articolo 2, com-ma 1, lettera a), del regolamen-to (Ce) n. 1774/2002. Rimango-no assoggettati al presente decre-to gli impianti che trattano pro-dotti di origine animale, compre-si i prodotti trasformati, di cui al regolamento (Ce) 1774/2002”. Da tali disposizioni conseguirebbe che all’operatore di settore è affidata

la scelta “di smaltire i sottoprodot-ti negli impianti autorizzati secon-do la normativa ambientale ovvero quella sanitaria” mentre per i pro-dotti trasformati è stabilito l’obbligo del loro smaltimento unicamente in impianti autorizzati ai sensi della normativa ambientale. Consegui-rebbe ancora che gli impianti d’in-cenerimento che trattano unica-mente sottoprodotti di origine ani-male sono esclusi dal campo d’ap-plicazione del Dlgs n. 1333 del 2005 essendo soggetti, al pari dei residui dell’incenerimento, unicamente ad autorizzazione in base al regola-mento Cee n. 1774/2002;– “inesistenza della violazione (…) del Dlgs n. 152 del 2006, arti-colo 137” perchè “nessun refluo in-dustriale poteva essere scaricato nei piazzali essendo lo stesso incenerito nello stesso impianto”.Inoltre, i verbalizzanti avevano co-statato che i piazzali erano puliti e privi di sostanze inquinanti;– illegittimità del sequestro dell’im-pianto di transito di categoria 3 re-golarmente autorizzato per il quale non era stato ipotizzato alcun reato.Chiedeva l’annullamento dell’ordi-nanza.

Il ricorso non è fondato.In tema di misure cautelari reali e di sequestro preventivo l’ipotesi ac-cusatoria deve corrispondere, per costante giurisprudenza di questa Corte, a una fattispecie astratta si-curamente prevista dalla legge co-me reato, sicchè, quando nella fase delle indagini preliminari sia stato indicato un fatto inquadrabile nel reato in relazione al quale è stato disposto il sequestro, in sede di ri-esame del provvedimento, l’ipotesi di reato, verificabile sotto il profilo probatorio soltanto nel giudizio di merito, deve essere valutata sul pia-no dell’astrattezza.Per il mantenimento del sequestro basta, quindi, la puntuale enun-ciazione di un’ipotesi di reato che renda necessaria la limitazione o l’esclusione della disponibilità del-le cose che siano pertinenti a tale reato.Soltanto quando l’enunciazione sia manifestamente illogica oppure quando la configurabilità del rea-to appaia impossibile il giudice del riesame, cui è attribuita pienezza di cognizione che gli consente di pren-dere in considerazione anche ele-menti sopravvenuti, è tenuto a revo-care il sequestro.Avverso l’ordinanza emessa in se-de di riesame dei provvedimenti di sequestro preventivo il ricorso per cassazione è proponibile solo per violazione di legge, sicchè non pos-

sono essere dedotti con tale mezzo d’impugnazione vizi della motiva-zione, “non rientrando nel con-cetto di violazione di legge, come indicato nell’articolo 111 Cost. e articolo 606 C.p.p., lett. b) e c), anche la mancanza o la mani-festa illogicità della motivazio-ne, separatamente previste co-me motivo di ricorso dall’artico-lo 606 c.p.p., lett. b),” – Cassazio-ne Sezione 6 ,̂ n. 24250/2003, De Palo, RV. 225578.Nella specie, il tribunale ha ritenu-to il fumus del reato di smaltimen-to mediante incenerimento per non avere provato l’indagato, AU della società Ecorecuperi che era suben-trata nella gestione dell’attività, di avere ottenuto la relativa autorizza-zione ambientale e tale circostan-za non è stata contestata dal predet-to che ha soltanto sostenuto, ma er-roneamente per come si dirà, che l’attività di smaltimento de qua sa-rebbe disciplinata dalla normativa comunitaria di cui al regolamen-to Cee n. 1774 del 2002 recante nor-me sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano.Con una recente decisione Sezio-ne 3^ n. 12844/2009, RV. 243114 questa Corte ha chiarito l’ambito di operatività del regolamento Ce in tema di gestione di sottoprodot-ti di origine animale e della norma-tiva di cui al Dlgs 3 aprile 2006, n. 152, in tema di gestione dei rifiu-ti, riaffermando che le disposizioni di settore riguardanti i sottoprodotti di origine animale regolano esclu-sivamente i profili sanitari e di po-lizia veterinaria, rimanendo esclu-se le attività di gestione degli scar-ti, in quanto rifiuti, per le quali per-mane l’operatività della disciplina generale in materia Sezione 3^ n. 21095/2007, Guerrini RV. 236744; Sezione 3^ n. 21676/2007, Zanchin RV 236703.È stato, quindi, osservato, in rela-zione alla legislazione attualmen-te vigente, che – con il regolamen-to Ce n. 1774/2002 è stato adotta-to il termine sottoprodotti di origi-ne animale, abbandonando quello di rifiuti di origine animale utiliz-zata nel Dlgs n. 508 del 1992;– s’intendono per sottoprodotti, se-condo la giurisprudenza comuni-taria ed ai sensi del Dlgs n. 152 del 2006, articolo 183, comma 1, lett. n), i materiali risultanti dal pro-cesso produttivo, che pur non co-stituendo l’oggetto proprio del ci-clo produttivo, scaturiscono da es-so e sono destinati dal produttore ad ulteriore impiego o al consumo (il riutilizzo, però, deve essere certo, senza l’intervento di trasformazioni

preliminari e senza pregiudizio per l’ambiente);– la nozione di rifiuto e le espres-sioni che la qualificano non posso-no essere interpretate in senso re-strittivo, come peraltro reiterata-mente affermato dalla giurispru-denza di questa Corte (cfr. cit. sez. 3 ,̂ 200208520, Leuci, RV 221273), mentre devono formare ogget-to di interpretazione restrittiva le esclusioni di determinate sostanze dall’ambito di applicazione della di-sciplina generale sui rifiuti.Da ciò si desume che:il regolamento Ce n. 1774/2002 as-sicura solo una tutela sanitaria per le carogne e per i sottoprodotti di origine animale;– resta ferma la disciplina sani-taria dettata dal regolamento n. 1774/2002 in materia di sottopro-dotti di origine animale non de-stinati al consumo umano se e in quanto configurabili come sotto-prodotti e non come rifiuti, doven-dosi intendere questa disciplina co-me esaustiva e autonoma in ordine al profilo sanitario.In conclusione, gli scarti di origi-ne animali sono sottratti all’appli-cazione della normativa in materia di rifiuti, ed esclusivamente sogget-ti al regolamento Ce 1774/2002, so-lo se sono;effettivamente qualificabili come sottoprodotti, ai sensi del Dlgs n. 152 del 2006, articolo 183, comma 1, lett. n), mentre in ogni altro caso in cui il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento re-stano soggetti alla disciplina del Te-sto Unico in materia ambientale.Alla luce degli enunciati principi di diritto, la sentenza impugnata ha correttamente ravvisato il reato ipotizzato, essendo emerso dalle ri-sultanze ampiamente riportate nel provvedimento, che l’indagato, qua-le legale rappresentante della socie-tà che era subentrata a una ditta in-dividuale, ha operato senza la ne-cessaria autorizzazione smaltendo, mediante incenerimento, rifiuti.Per gli altri rilievi difensivi valgono le confutazioni riportate nella citata sentenza n. 12844/2009 che di se-guito si trascrivono:“Gli enunciati principi di diritto inoltre trovano applicazione sia con riferimento al testo origina-rio del Dlgs n. 152 del 2006, arti-colo 185 che alla nuova formula-zione dell’articolo introdotta dal Dlgs 16 gennaio 2008, n. 4, ar-ticolo 22, dovendo essere privile-giata quella interpretazione del-le norme nazionali che sia con-forme al diritto comunitario e trovando, peraltro, detta inter-pretazione, in relazione all’arti-

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RIFIUTI

Rubriche

a cura di Pasquale FimianiSostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione

Focus 231 Ambiente

che o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie,anche separate, e provenienti da agglomerato (lett. i).

Il termine “impianti” come luogo di provenien-za degli scarichi di acque reflue industriali è ampio e comprensivo di qualsiasi struttura fissa idonea a generare scarichi. Analoga-mente il riferimento alla “produzione di beni” consente di ascrivere alla categoria delle ac-que reflue industriali anche quelle provenienti da attività artigianali, purché dalle stesse de-rivi la produzione di beni.Non esiste, poi, alcuna dicotomia con le atti-vità di servizio.Vero è che queste sono previste espressa-mente nella sola definizione di acque reflue domestiche, ma tra le acque reflue industria-li sono comprese anche quelle scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali e queste sono produttive sia di servizi, che di beni.In definitiva, va posto l’accento, quale ele-mento specializzante, non tanto sulla natu-ra commerciale o meno dell’attività dal cui ambito fuoriesce lo scarico, ma sulla circo-stanza che le acque reflue derivino o meno dal metabolismo umano e da attività dome-stiche (2). Pertanto, “rientrano tra le acque reflue industriali quelle che possiedono qua-lità necessariamente legate alla composizione chimico fisica diverse da quelle proprie delle acque metaboliche domestiche, mentre rien-trano nelle acque domestiche tutti i reflui de-rivanti da attività che attengono strettamen-

Acque reflue industriali e sistema 231: le attività interessate

I reati ambientali in materia di acque, presup-posto della responsabilità degli enti nel nuovo articolo 25-undecies del Dlgs 8 giugno 2001, n. 231, sono i seguenti:• apertura o comunque effettuazione di nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza au-torizzazione, oppure continuare ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autoriz-zazione sia stata sospesa o revocata, quando tali condotte riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze peri-colose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’al-legato 5 alla parte terza del T.U. (articolo 137, comma 2);• effettuazione di uno scarico di acque re-flue industriali contenenti le sostanze perico-lose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’al-legato 5 alla parte terza del T.U. senza osser-vare le prescrizioni dell’autorizzazione, o le altre prescrizioni dell’autorità competente a norma degli articoli 107, comma 1, e 108 (ar-ticolo 137, comma 3);• superamento, in relazione alle sostanze in-dicate nella tabella 5 dell’allegato 5 alla parte terza del T.U., nell’effettuazione di uno scari-co di acque reflue industriali, dei valori limi-te fissati nella tabella 3 o, nel caso di scari-co sul suolo, nella tabella 4 dell’allegato 5 alla parte terza del T.U., oppure dei limiti più re-strittivi fissati dalle Regioni o dalle Province autonome o dall’Autorità competente a nor-

ma dell’articolo 107, comma 1 (articolo 137, comma 5, primo periodo);• superamento, nei casi che precedono, an-che dei valori limite fissati per le sostanze con-tenute nella tabella 3/A del medesimo allegato 5 (articolo 137, comma 5, secondo periodo);• violazione dei divieti di scarico al suolo, nel-le acque sotterranee e nel sottosuolo (artico-lo 137, comma 11);• scarico in mare da parte di navi ed aero-mobili di sostanze di cui è vietato lo sversa-mento (articolo 137, comma 13).

Scopo di questo intervento è l’individuazio-ne delle tipologie di attività rientranti nel con-cetto di acque reflue industriali e, quindi, soggette alle regole del sistema 231, qualo-ra ricorra la condizione, prevista dal’articolo 25-undecies cit., che lo scarico contenga le sostanze pericolose, ovvero superi i limiti ta-bellari specificamente individuati.Come noto, a seguito dell’intervento corret-tivo del 2008, l’articolo 74 lettere g), h) ed i) g) del Dlgs 152/2006 definisce:• acque reflue domestiche: acque reflue pro-venienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche (lett. g);• acque reflue industriali: qualsiasi tipo di ac-que reflue provenienti da edifici od impian-ti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamen-te dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento (lett. h) (1) ;• acque reflue urbane: acque reflue domesti-

(1) Cass. pen., Sez. III, n. 26543/ 2008 ha affermato che la formulazio-ne dell’articolo 74, lettera h) introdotta dal Dlgs 4/2008, secondo cui sono da considerare “acque reflue industriali qualsiasi tipo di acque reflue scaricate (e non più, quindi, “provenienti da” co-me recitava la originaria formulazione)

da edifici od impianti in cui si svolgono le attività commerciali o di produzione di beni diverse dalle acque reflue do-mestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento, come si rileva dalla rela-zione di accompagnamento alle modi-fiche, è strumentale unicamente a ri-affermare la nozione di “scarico diret-

to”, in maniera da riproporre in forma più chiara e netta la distinzione esi-stente tra la nozione di acque di scari-co da quella di rifiuti liquidi.(2) Sul punto si veda. Cass. pen., Sez. III, n. 1774/2000: “Le acque reflue in-dustriali concernono qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici in cui

si svolgono attività commerciali o indu-striali, così da comprendere tutti i ti-pi di acque reflue pure provenienti da insediamenti commerciali; mentre la caratterizzazione dei reflui è operata in senso negativo, giacché le acque de-vono essere diverse da quelle dome-stiche e meteoriche di dilavamento”.

bollettino di informazione norm

ativa n. 194 (04/12)

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RIFIUTI

Rubriche

a cura di Pasquale FimianiSostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione

Focus 231 Ambiente

che o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie,anche separate, e provenienti da agglomerato (lett. i).

Il termine “impianti” come luogo di provenien-za degli scarichi di acque reflue industriali è ampio e comprensivo di qualsiasi struttura fissa idonea a generare scarichi. Analoga-mente il riferimento alla “produzione di beni” consente di ascrivere alla categoria delle ac-que reflue industriali anche quelle provenienti da attività artigianali, purché dalle stesse de-rivi la produzione di beni.Non esiste, poi, alcuna dicotomia con le atti-vità di servizio.Vero è che queste sono previste espressa-mente nella sola definizione di acque reflue domestiche, ma tra le acque reflue industria-li sono comprese anche quelle scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali e queste sono produttive sia di servizi, che di beni.In definitiva, va posto l’accento, quale ele-mento specializzante, non tanto sulla natu-ra commerciale o meno dell’attività dal cui ambito fuoriesce lo scarico, ma sulla circo-stanza che le acque reflue derivino o meno dal metabolismo umano e da attività dome-stiche (2). Pertanto, “rientrano tra le acque reflue industriali quelle che possiedono qua-lità necessariamente legate alla composizione chimico fisica diverse da quelle proprie delle acque metaboliche domestiche, mentre rien-trano nelle acque domestiche tutti i reflui de-rivanti da attività che attengono strettamen-

Acque reflue industriali e sistema 231: le attività interessate

I reati ambientali in materia di acque, presup-posto della responsabilità degli enti nel nuovo articolo 25-undecies del Dlgs 8 giugno 2001, n. 231, sono i seguenti:• apertura o comunque effettuazione di nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza au-torizzazione, oppure continuare ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autoriz-zazione sia stata sospesa o revocata, quando tali condotte riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze peri-colose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’al-legato 5 alla parte terza del T.U. (articolo 137, comma 2);• effettuazione di uno scarico di acque re-flue industriali contenenti le sostanze perico-lose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’al-legato 5 alla parte terza del T.U. senza osser-vare le prescrizioni dell’autorizzazione, o le altre prescrizioni dell’autorità competente a norma degli articoli 107, comma 1, e 108 (ar-ticolo 137, comma 3);• superamento, in relazione alle sostanze in-dicate nella tabella 5 dell’allegato 5 alla parte terza del T.U., nell’effettuazione di uno scari-co di acque reflue industriali, dei valori limi-te fissati nella tabella 3 o, nel caso di scari-co sul suolo, nella tabella 4 dell’allegato 5 alla parte terza del T.U., oppure dei limiti più re-strittivi fissati dalle Regioni o dalle Province autonome o dall’Autorità competente a nor-

ma dell’articolo 107, comma 1 (articolo 137, comma 5, primo periodo);• superamento, nei casi che precedono, an-che dei valori limite fissati per le sostanze con-tenute nella tabella 3/A del medesimo allegato 5 (articolo 137, comma 5, secondo periodo);• violazione dei divieti di scarico al suolo, nel-le acque sotterranee e nel sottosuolo (artico-lo 137, comma 11);• scarico in mare da parte di navi ed aero-mobili di sostanze di cui è vietato lo sversa-mento (articolo 137, comma 13).

Scopo di questo intervento è l’individuazio-ne delle tipologie di attività rientranti nel con-cetto di acque reflue industriali e, quindi, soggette alle regole del sistema 231, qualo-ra ricorra la condizione, prevista dal’articolo 25-undecies cit., che lo scarico contenga le sostanze pericolose, ovvero superi i limiti ta-bellari specificamente individuati.Come noto, a seguito dell’intervento corret-tivo del 2008, l’articolo 74 lettere g), h) ed i) g) del Dlgs 152/2006 definisce:• acque reflue domestiche: acque reflue pro-venienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche (lett. g);• acque reflue industriali: qualsiasi tipo di ac-que reflue provenienti da edifici od impian-ti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamen-te dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento (lett. h) (1) ;• acque reflue urbane: acque reflue domesti-

(1) Cass. pen., Sez. III, n. 26543/ 2008 ha affermato che la formulazio-ne dell’articolo 74, lettera h) introdotta dal Dlgs 4/2008, secondo cui sono da considerare “acque reflue industriali qualsiasi tipo di acque reflue scaricate (e non più, quindi, “provenienti da” co-me recitava la originaria formulazione)

da edifici od impianti in cui si svolgono le attività commerciali o di produzione di beni diverse dalle acque reflue do-mestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento, come si rileva dalla rela-zione di accompagnamento alle modi-fiche, è strumentale unicamente a ri-affermare la nozione di “scarico diret-

to”, in maniera da riproporre in forma più chiara e netta la distinzione esi-stente tra la nozione di acque di scari-co da quella di rifiuti liquidi.(2) Sul punto si veda. Cass. pen., Sez. III, n. 1774/2000: “Le acque reflue in-dustriali concernono qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici in cui

si svolgono attività commerciali o indu-striali, così da comprendere tutti i ti-pi di acque reflue pure provenienti da insediamenti commerciali; mentre la caratterizzazione dei reflui è operata in senso negativo, giacché le acque de-vono essere diverse da quelle dome-stiche e meteoriche di dilavamento”.

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RIFIUTIRubriche Focus 231 Am

biente

te alla coabitazione ed alla convivenza del-le persone” (3). Di conseguenza, “la presen-za di sostanze inquinanti non riconducibili al-le acque provenienti da un complesso di civi-le abitazione, sono elementi sufficienti ad in-tegrare la fattispecie di scarico di acque reflue industriali” (4).L’individuazione in concreto delle singole tipo-logie di acque reflue industriali è stata opera-ta nel tempo dalla giurisprudenza, considera-to che la definizione ha una connotazione ne-gativa e che “il criterio generale adottato dal Legislatore per individuarle è quello afferente alla qualità del refluo” (5).È stata, in particolare, attribuita la natura di acque reflue industriali a quelle provenienti:• da un’attività di autolavaggio (6) ;• da un’attività di autocarrozzeria (7) ;• da un mattatoio comunale (8) ;• dal lavaggio di: inerti (9), betoniere (10), pavimenti di un complesso industriale (11), cassette di uva sul piazzale di un’impresa vi-nicola (12) ;• dai reparti e relativi laboratori di un presidio ospedaliero (13) ;

• dalla condensa proveniente da frigoriferi ove erano conservati prodotti ittici e dal la-vaggio dei locali e dei macchinari (14) ;• dal lavaggio dei macchinari di una officina tipo-litografica (15) ;• da una lavande ria di tipo industriale a servi-zio di strutture sanitarie e/o di assistenza (16) ;• dalla lavorazione delle macchine agricole ed industriali (17) ;• da attività di perforazione, nella specie per la realizzazione di un pozzo artesiano (18), mentre, per quanto riguarda l’acqua di fal-da proveniente dall’attività di escavazione, si precisa che la stessa non può essere assi-milata “tout court” all’acqua reflua industria-le, dovendosi verificare se i reflui derivanti da detta attività non attengono prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività dome-stiche (19), ipotesi che si configura “quando le acque di falda siano intorbidate da residui dei lavori di scavo e di cantiere” (20).

Si è, poi, precisato che “l’indicatore della pro-venienza dei reflui da attività domestiche è concetto chiaramente riferito alla convivenza e

coabitazioni di persone, ma non può prescin-dere, specie quando riguarda grandi comunità (alberghi, ospedali etc.), da una considerazio-ne anche delle effettive caratteristiche chimi-che e fisiche delle acque reflue, che devono essere corrispondenti non tanto per quantità, quanto per qualità a quelli derivanti dai comu-ni nuclei abitativi” (21).Possono, infine, aggiungersi le decisioni che avevano definito quali insediamenti produtti-vi (concetto presente nella legge 319/1976 e sostanzialmente in linea con quello di impian-to che scarica acque reflue industriali):– gli insediamenti diretti al commercio di pro-dotti petroliferi (22) ;– gli insediamenti in cui si producono cibi in scatola o conserve alimentari (23) ;– le distillerie di alcool (24) ;– le concerie (25) ;– i bacini idroelettrici (26) ;– insediamenti in cui si svolga attività di ma-cinazione di cereali (27) ;– laboratori di macellazione (28) ;– caseifici (29) ;– allevamenti ittici (30).

(3) Cass. pen., Sez. III, n. 41850/ 2008. Conformi, ex multis, Sez. III, n. 42529/2008; Sez. III, n. 12865/2009; Sez. III, n. 23464/2009.(4) Cass. pen., Sez. III, n. 20755/ 2003.(5) Tar Campania (NA) Sez. V, n. 1479/2011, secondo cui è in applica-zione di tale criterio sostanziale che, sono individuate dall’articolo 101, comma 7, del Dlgs alcune tipologie di acque assimilate quelle domestiche ai fini della disciplina degli scarichi.(6) Secondo Cass. pen., Sez. III, n. 11295/1999, tale attività “non può considerarsi insediamento civile, ma va considerata attività industriale, sicco-me attività di esecuzione di un servizio in forma professionale ed organizzata, atta a scaricare rifiuti liquidi di natura inquinante”. Si veda anche Cass. pen., Sez. III, n. 5143/2003: “Gli impian-ti di autolavaggio hanno natura di in-sediamenti produttivi e non di insedia-menti civili stante la qualità inquinan-te dei reflui, diversa e più grave rispetto a quella dei normali scarichi da abita-zioni, e per la presenza di residui quali oli minerali e sostanze chimiche conte-nute nei detersivi e nelle vernici even-tualmente staccatesi da vetture usu-rate” Conformi Cass. pen., Sez. III, n. 21004/2003; Sez. III, n. 985/2004.(7) Secondo Cass. pen., Sez. III, n. 24892/2003: “(…) lo scarico di ac-que reflue in fognatura provenienti da attività di autocarrozzeria va sottoposta alla preventiva autorizzazione stante la necessità di controllo per ogni scari-co da insediamento produttivo, qua-le é da considerare lo scarico avente per oggetto acque reflue non domesti-che quali quelle di una attività che uti-lizzi vernici e sostanze diverse che de-terminano residui liquidi contaminati dal processo di lavorazione” (confor-me Sez. III, n. 978/2004).

(8) Secondo Cass. pen., Sez. III, n. 12576/1999: “Le acque provenienti da un mattatoio comunale hanno na-tura di “acque reflue industriali” e per-tanto il loro scarico, anche se effet-tuato in vasche a tenuta stagna (dalle quali poi i reflui, in una fase successi-va, vengano prelevati con autocister-ne), dev’essere debitamente autoriz-zato, sotto comminatoria di sanzione penale”. Nello stesso senso Sez. III, n. 985/2004.(9) Cass. pen., Sez. III, n. 1774/ 2000, che motiva tale affermazio-ne sia per l’attività in sé svolta, cer-tamente di carattere industriale, sia per il materiale in sospensione por-tato con l’attività di dilavamento (con-forme Sez. III, n. 43633/2005).(10) Secondo Cass. pen., Sez. III, n. 24322/2003: “Costituisce scarico da insediamento industriale, e come ta-le necessitante la preventiva autoriz-zazione, quello proveniente dal lavag-gio di betoniere utilizzate per l’attivi-tà societaria e riversato in un bacino artificiale”.(11) Secondo Cass. pen., Sez. III, n. 20755/2003, cit.: “Le acque prove-nienti dal lavaggio dei pavimenti di un complesso industriale sui quali é ri-scontrabile la presenza di sostanze in-quinanti non possono essere assimila-te alle acque provenienti da uno scari-co civile, ma devono considerarsi ac-que reflue da complesso produttivo”.(12) Cass. pen., Sez. III, n. 2313/ 2011, in una fattispecie in cui le ac-que di lavaggio delle cassette di uva raccolte durante la vendemmia deflu-ivano in un canalone per la raccolta delle acque piovane.(13) Cass. pen, Sez. III, n. 3433/ 2000: “(…) i reflui provenienti dai re-parti e relativi laboratori di un presidio ospedaliero non possono definirsi co-me provenienti da insediamento civi-

le, o ad esso equiparabile, poiché non può affermarsi che tale scarico sia as-similabile a quelli provenienti da inse-diamenti abitativi. Ed invero la quali-ficazione di insediamento produttivo, ai fini della normativa in esame, non può essere collegata solo ad attività di produzione di beni in senso stretto, ma deve essere affermata in relazione ad ogni attività economica, pur se ri-volta a prestazione di servizi, quando lo scarico non sia assimilabile a quel-lo proveniente da un normale insedia-mento abitativo. Ne consegue che le acque reflue in questione non posso-no neppure considerarsi domestiche (…) in quanto esse non sono derivan-ti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche”.(14) Cass. pen., Sez. III, n. 12865/ 2009.(15) Cass. pen., Sez. III, n. 42932/ 2002; Sez. III, n. 35870/2004.(16) Cass. pen, Sez. III 18226/2005, con riferimento allo scarico di una la-vanderia industriale di una casa di ri-poso.(17) Cass. pen., Sez. III, n. 23464/ 2009.(18) Cass. pen., Sez. III, n. 39854/ 2006.(19) Cass. pen, Sez. III, n. 11494/ 2011.(20) Cass. pen., Sez. III, n. 29126/ 2006.(21) Cass. pen., Sez. III, n. 16446/ 2011. La S.C. ha escluso la provenien-za dei reflui dal metabolismo umano, “poichè tale provenienza è caratteriz-zata dall’essere il risultato di reazioni chimiche e fisiche dell’organismo delle persone, tale essendo in estrema sem-plificazione, il processo metabolico” e nel caso di specie alcuni parametri ri-scontrati nelle analisi evidenziavano un superamento dei limiti di legge anche di dieci volte superiore a quelli di cui

alla tabella 3 dell’allegato 5 al Dlgs. n. 152 del 2006.(22) Cass. pen., Sez. III, n. 10948/ 1990.(23) Cass. pen., Sez. III, n. 6846/ 1991.(24) Cass. pen., Sez. III, n. 2524/ 1986.(25) Cass. pen., Sez. III, n. 13265/ 1989.(26) Cass. pen., Sez. III, n. 3811/ 1996. Tale pronuncia, peraltro, limi-tava l’inquadramento nella nozione di insediamento produttivo “qualora le acque siano utilizzate nello specifico ciclo di produzione dell’energia elet-trica, canalizzate nelle condotte for-zate ed inviate alle centrali per l’azio-namento di turbine ed alternatori ed all’atto della loro restituzione”, quali-ficandoli viceversa come insediamen-ti civili “ove le acque siano raccolte nei bacini idroelettrici” in quanto “es-se, pur avendo una funzione di com-plementarità rispetto agli impianti di produzione di energia elettrica, dan-no luogo a scarichi che si riferisco-no a prestazione di servizi e, come ta-li, sono assimilabili in via generale agli scarichi da insediamenti civili”.(27) Cass. pen., Sez. III, n. 9242/ 1990.(28) Cass. pen., Sez. III, n. 6410/ 1991 (conformi Sez. III, n. 5629/1994 e Sez. III, n. 589/1998 secondo cui “deve considerarsi insediamento pro-duttivo un’azienda di macellazione, an-corché ad essa sia connessa la vendi-ta delle carni, a nulla rilevando che, per ragioni di mercato, l’attività mattatoria sia svolta settimanalmente, qualora ab-bia carattere di continuità e non di oc-casionalità” ).(29) Cass. pen., Sez. III, n. 6195/ 1993 e Sez. III, n. 7041/1990.(30) Cass. pen., Sez. III, n. 7598/ 1989.

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