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SNA - IRPA
Il procedimento amministrativo a venti anni dalla legge n. 241 del 1990
Responsabile scientifico:
Aldo Sandulli
Coordinatori scientifici:
Martina Conticelli e Maurizia De Bellis
Componenti dell’Unità di ricerca:
Mariangela Benedetti, Martina Conticelli, Maurizia De Bellis,
Donatella Scicchitano, Susanna Screpanti
30 ottobre 2013
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PRESENTAZIONE……………………………………………………………………………5
CAPITOLO PRIMO
DAGLI ISTITUTI DI SEMPLIFICAZIONE ALLA MISURAZIONE DEGLI ONERI AMMINISTRATIVI
di Mariangela Benedetti
1. Premessa………..……………………………………………………………………8 2. Le tecniche di semplificazione.....….………………………………………………13 3. La semplificazione come processo di policy……..…….……………………..……18
3.1. L’individuazione del problema…….……………….………………………….20 3.2. La decisione ..…………………………………………………………………26 3.3. Il monitoraggio……..…………………………………………………………..30
4. Quali paradigmi per l’attuale politica di semplificazione?............…...……………31 5. L’amministrazione della semplificazione: una panoramica sulle regioni….………37 6. Le prospettive: la necessità di gestire le complicazioni della semplificazione….…43
CAPITOLO SECONDO
LA LIBERALIZZAZIONE DELLE ATTIVITÀ ECONOMICHE PRIVATE: DALLA
DIA ALLA SCIA
di Maurizia De Bellis
1. Introduzione…..……………………………………………………………………58 2. Caratteri e profili problematici della Scia………….………………………………61
2.1. L’ambito di applicazione……...………………………………………………61 2.2. La struttura dell’atto………...…………………………………………………65 2.3. I poteri della PA e la tutela del terzo……….….………………………………68
3. I modelli settoriali……..…………………………………………………………...72 3.1. Le attività industriali, commerciali e di prestazione di servizi………...………73 3.2. L’edilizia….……………………………………………………………………80
4. I dati….……………….…………………………………………………………….86 4.1. L’avvio di un’attività economica in Italia: i rapporti Doing Business..….……86 4.2. Il censimento delle autorizzazioni ministeriali………...………………………89 4.3. L’applicazione della Scia da parte delle Regioni nel settore dei servizi……….99
5. Conclusioni…..…...……………………………………………….………………110
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CAPITOLO TERZO
LA CONFERENZA DEI SERVIZI
di Martina Conticelli
1. Il tema, i problemi e il metodo di indagine………………………………………112 2. L’assetto delineato dalla l.n. 241/1990 e i successivi interventi
normativi…………………………………………………………………………115 3. La reazione amministrativa e i problemi applicativi nella giurisprudenza………122 4. L’applicazione dell’istituto nei risultati delle precedenti ricerche……………… 133 5. La complessità normativa, tra differenziazione regionale e normative speciali…137 6. Il quadro dei problemi attuali…………………………………………………… 144 7. Considerazioni di sintesi…………………………………………………………147
CAPITOLO QUARTO
LA CERTEZZA DEI TEMPI PROCEDIMENTALI
di Susanna Screpanti
1. Introduzione ..…………………………………………………………………150 2. Il principio di certezza dei tempi procedimentali e i principi generali dell’azione
amministrativa……………………………………………………………………152 2.1. Il fattore tempo nella legge generale sul procedimento e l’ambito di
applicazione………………………………………………………………….153 2.2. L’art. 2 a venti anni dalla legge n. 241 del 1990…………………………….155
3. L’attuazione della disciplina generale e la prassi amministrativa sui tempi procedimentali……………………………………………………………………157 3.1. Il primo ciclo di attuazione amministrativa: dal 1990 al 2009………………158 3.2. Il nuovo ciclo di attuazione: dal 2009 ad oggi………………………………167
3.2.1. I nuovi regolamenti ministeriali…..…………………………………169 3.2.2. L’attuazione nelle Regioni…………………..………………………174 3.2.3. L’attuazione negli Enti locali…………………………………….185
4. Il fattore tempo come indicatore di trasparenza, qualità e performance della pubblica amministrazione…………..…………………………………………….186 4.1. Il tempo dei procedimenti come indicatore di trasparenza dell’azione
amministrativa……………………………………………………………….189 4.2. I tempi di erogazione dei servizi come indicatore e standard di qualità……194 4.3. Il rispetto e la riduzione dei tempi: obiettivo strategico e indicatore di performance amministrativa……….…………………………………………..…197
5. Il problema dei ritardi e le misure per la tempestività dei pagamenti…………….199 5.1. L’obbligo informativo e l’indicatore di tempestività dei pagamenti della Pubblica amministrazione………………………………………………..……….205
6. Innovazione tecnologica, amministrazione digitale e impatto sui tempi di procedimenti e servizi………………………...……………………………….….208
7. I profili patologici e il sistema di rimedi, responsabilità e sanzioni………………215 8. Considerazioni conclusive………………………….……………………………..221
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CAPITOLO QUINTO
LA PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
di Donatella Scicchitano
1. Premessa………………………………………………………………………229 2. Gli strumenti di partecipazione ………………………………………………235 3. La diffusione delle ICT nelle amministrazioni e la partecipazione al
procedimento amministrativo elettronico…………………………………….261
4. Legge sul procedimento e partecipazione nelle Regioni ed Enti locali……………………………………………………………………..269
5. “Democrazia partecipativa” e governo del territorio. Alcune esperienze a livello regionale e locale……………………………………………………278
5.1L’esperienza toscana………………………………………………………288 6. Le consultazioni telematiche delle Autorità Indipendenti (AI) ……………. 294 7. Considerazioni conclusive……………………………………………………302
Gli Autori………………………………………………………………………… 316
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PRESENTAZIONE
La ricerca ha svolto un bilancio sull’attuazione della legge n. 241 del 1990, a più
di vent’anni dalla sua approvazione.
Com’è noto, questa legge nasce dall’ambizione intellettuale di un gruppo di
esperti, guidati da Mario Nigro, nell’ambito della Commissione di studio istituita dal
Ministro della Funzione pubblica Massimo Severo Giannini. Il progetto aspirava a
trasformare l’agire amministrativo – oscuro, autoritario e farraginoso – in un’attività
ispirata alla trasparenza, alla partecipazione e alla efficienza. Tale disciplina, quindi,
mirava a mutare radicalmente i rapporti tra amministrazione e cittadino.
Profondamente avversata all’inizio della sua attuazione, la legge n. 241 del 1990
divenne gradualmente parte del tessuto politico-sociale grazie all’impegno di alcuni
ministri della funzione pubblica, tra cui, in particolare, di Sabino Cassese.
I principi fondanti della legge n. 241 del 1990 sono oggi largamente condivisi
anche in ambito europeo e sono stati ripresi, nell’ambito del dibattito sulla
codificazione del procedimento amministrativo europeo, dalla Commissione di lavoro
istituita a tal fine presso il Parlamento europeo.
La legge n. 241 del 1990 è tra le normative maggiormente studiate e approfondite:
essa rappresenta uno dei terreni sui quali più si è esercitato il legislatore, il quale è
intervenuto con cadenza quasi annuale, dal 1990 sino ad oggi; su di essa il giudice si è
pronunciato con assiduità, elaborando importanti orientamenti giurisprudenziali; in
riferimento ad essa la scienza giuridica si è interrogata a lungo, sia sotto il profilo
dell’esegesi normativa, sia sotto il profilo delle applicazioni giurisprudenziali.
Tutto ciò avrebbe dovuto implicare che, nel corso di questi anni, anche lo stato di
attuazione della disciplina divenisse oggetto di approfondite riflessioni. Così non è
stato. Alcuni significativi tentativi furono svolti nella fase iniziale dell’attuazione della
nuova disciplina, nell’ambito dell’attività del Ministero della Funzione pubblica. Negli
anni immediatamente successivi, poi, si procedette a un primo censimento. In seguito,
tuttavia, questa strada fu abbandonata, dal momento che produceva risultati solo nel
medio periodo, a fronte di notevoli sforzi in termini di ricerca.
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Come conseguenza, oggi si sa molto poco dello stato di attuazione dei
procedimenti, dei quali non esiste una mappatura. Le rilevazioni sul loro numero e sulla
loro durata, sinora condotte, si sono svolte in tempi diversi, con ricadute negative in
termini di attendibilità, completezza e comparabilità dei dati. Il progetto per una nuova
rilevazione è stato avviato, nella scorsa legislatura, dalla Unità per la semplificazione
(ora Struttura di missione - supporto al Ministro per la semplificazione normativa) e, in
questa legislatura, è stato proseguito dal Dipartimento della funzione pubblica. Tuttavia,
la banca dati informatica dei procedimenti non è ancora operativa.
La presente ricerca ha avuto l’obiettivo di colmare, almeno in parte, questo vuoto,
partendo dalla normativa e quindi dalle profonde modificazioni subite dalla legge n. 241
del 1990 nel corso degli ultimi due decenni, per poi concentrarsi sullo stato di
attuazione della disciplina, attraverso la raccolta e l’analisi di dati. L’obiettivo è stato
duplice: da un lato, indicare resistenze e difficoltà applicative; dall’altro, suggerire
possibili rimedi e elaborare riflessioni e proposte, per compiere ulteriori passi nella
direzione della semplificazione e dell’efficienza, ma anche delle garanzie del cittadino.
La ricerca si concentra, in particolare, su tre aree tematiche: la semplificazione (in
relazione alla quale vengono esaminati gli oneri amministrativi, la Scia e la conferenza
dei servizi), la certezza dei tempi procedimentali e la partecipazione.
Quanto al metodo, ciascuno dei contributi:
ü è volto a operare un bilancio dei venti anni di vigenza della legge
n. 241 del 1990, verificando quali obiettivi siano stati effettivamente perseguiti e
quali promesse siano state mantenute;
ü valuta i risultati nei rapporti tra amministrazioni e cittadini, tra
amministrazioni e imprese, e tra amministrazioni;
ü procede attraverso un’analisi a campione, per singoli
procedimenti o per gruppi e per singole amministrazioni (centrali, regionali,
locali);
ü tiene conto di aspetti generali, quali il rapporto tra procedimenti e
organizzazione e l’informatizzazione;
ü tiene conto della varietà dei tipi di procedimento, distinguendo –
in particolare – tra procedimenti generali e puntuali e tra procedimenti a
iniziativa di parte e d’ufficio;
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ü è elaborato tenendo conto delle norme generali e di quelle
speciali. Per quanto riguarda le prime, si tiene conto non solo delle norme, ma
anche del modo in cui le amministrazioni e i giudici le hanno valorizzate (o non
lo hanno fatto) e interpretate.
Il taglio dei contributi risulta dunque pratico, concreto e propositivo. Dall’insieme
dei contributi emergono almeno due considerazioni trasversali: per un verso,
l’applicazione della legge n. 241 del 1990 ha comportato un eccesso di legislazione; per
l’altro, urge un accurato censimento svolto con metodi scientifici. Si tratta, in
quest’ultimo caso, di uno strumento che richiede notevoli sforzi – sia nella fase di start
up, che ai fini della sua manutenzione –, ma che risulta imprescindibile per la corretta
analisi dei singoli istituti nonché della vitalità della disciplina.
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DAGLI ISTITUTI DI SEMPLIFICAZIONE ALLA MISURAZIONE DEGLI ONERI AMMINISTRATIVI
di Mariangela Benedetti
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Le tecniche di semplificazione. – 3. La semplificazione come processo di policy. – 3.1. L’individuazione del problema. – 3.2. La decisione. – 3.3. Il monitoraggio. – 4. Quali paradigmi per l’attuale politica di semplificazione? – 5. L’amministrazione della semplificazione: una panoramica sulle regioni. – 6. Le prospettive: la necessità di gestire le complicazioni della semplificazione.
1. Premessa
Negli ultimi venti anni il tema della semplificazione è diventato una costante
dell’agenda politico-istituzionale del nostro Paese; con sempre maggior frequenza
studiosi1, associazioni di categoria2 e, più in generale, tutta la società civile riconoscono
nella semplificazione la leva strategica per modernizzare gli apparati pubblici e renderli
adeguati alle nuove esigenze del sistema produttivo, alla competizione dei mercati
internazionali e alle aspettative “di risultato” dell’amministrazione da parte dell’utenza
(cittadini e imprese).
Il punto di partenza è la consapevolezza che la complicazione burocratica
appesantisce il sistema amministrativo e, al contempo, costituisce un freno allo sviluppo
di un Paese poiché, tra gli altri, introduce vincoli ingiustificati all’azione privata e
imprenditoriale; allunga i tempi del procedimento e i costi (in capo ai privati e alle
stesse amministrazioni) dei provvedimenti; contribuisce all’instabilità e alla scarsa
chiarezza del quadro normativo; determina l’inefficiente allocazione delle risorse;
aumenta gli “interstizi” discrezionali nei quali possono proliferare comportamenti
corruttivi.
1 Vasta è la dottrina sul tema della semplificazione e sul suo contributo alla politica di modernizzazione della pubblica amministrazione. A titolo non esaustivo si ricorda, tra gli altri: Y. Mèny, V. Wright (a cura di), La riforma amministrativa in Europa, Bologna, Il Mulino, 1994; V. Lo Moro, A. Mancini (a cura di), Le procedure amministrative: analisi e tecniche di intervento, Bologna, Il Mulino, 1995. Più di recente, invece, si segnala: A. Natalini e G. Tiberi (a cura di) La tela di Penelope. Primo rapporto Astrid sulla semplificazione legislativa e burocratica, Bologna, Il Mulino, 2010; S. Cassese, La semplificazione amministrativa e l’orologio di Taylor, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1998, p. 699 ss; G. Vesperini, La semplificazione dei procedimenti amministrativi, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1998, p. 655 ss; L. Torchia, Tendenze recenti della semplificazione amministrativa, in Diritto amministrativo, 1998, p. 385 ss.; V. Cerulli Irelli, F. Luciani, La semplificazione dell’azione amministrativa, in Diritto amministrativo, 2000, p. 617 ss.; G. Vesperini, La riforma dei procedimenti amministrativi, in G. de Caprariis, G. Vesperini (a cura di), L’Italia da semplificare. Le regole e le procedure, Il Mulino, 1998.
2 Si pensi, ad esempio, all’attenzione posta al tema della semplificazione da Confindustria che nel 1998 sponsorizza la pubblicazione dei più importanti volumi monografici sul tema e successivamente dedica attenzione alla politica attuata. Si pensi, ad esempio, al decalogo sulla semplificazione del 2004.
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La consapevolezza di tale complicazione burocratica, già nota agli studiosi del
diritto precedentemente alla legge sul procedimento amministrativo3, è stata per la
prima volta misurata dal censimento dei procedimenti amministrativi statali realizzato
dalla Commissione di studi sull’attuazione della legge 7 agosto 1990, n. 2414 che ha
evidenziato, nel dettaglio, le disfunzioni del sistema amministrativo italiano, nel senso
che ne dava M.S. Giannini oltre trenta anni fa5.
È dunque dagli anni Novanta del secolo appena trascorso che si è aperta la
stagione della semplificazione ed è diventata condivisa l’idea secondo cui, se adottata in
modo sistemico contro le cause della complicazione burocratica, la semplificazione
contribuisce alla riduzione del rischio amministrativo, aumenta la trasparenza
dell’azione amministrativa e diventa elemento trainante di una più ampia riforma della
pubblica amministrazione6.
Diversi sono stati i fattori che hanno contribuito ad assumere tale
consapevolezza. Tra questi si ricordano: il vincolo comunitario sempre più stringente
alla semplificazione espresso in termini sia di conformazione dell’azione amministrativa
3 Ad esempio la relazione presentata nel settembre del 1919 dalla Commissione centrale per la
riforma dei servizi pubblici indicava, tra i criteri generali che le amministrazioni pubbliche dovevano seguire per semplificare le attività amministrative, quello di migliorare sul piano tecnico le metodiche di lavoro. In particolare si raccomandava di abbreviare il percorso delle pratiche delle pratiche da un ufficio all’altro con la sostituzione del contatto personale al carteggio personale al carteggio ufficiale, attraverso l’istituzionalizzazione della conferenza tra funzionari come prassi abituale nella conduzione degli uffici, favorendo i contatti tra funzionari appartenenti ad amministrazioni diverse e responsabilizzando maggiormente gli impiegati (il testo è riportato da V. Lo Moro, A. Mancini, Le procedure amministrative, cit., p. 17). Sul tema della semplificazione e razionalizzazione delle procedure si ricorda, inoltre, l’attività della Commissione di studio e di diffusione della scienza e della tecnica delle amministrazione pubblica del 1958; il Rapporto sui principali problemi dello Stato dell’allora Ministro per la Funzione Pubblica M.S. Giannini (1979); l’indagine Formez sulla Rilevazione conoscitiva sullo stato degli uffici centrali e periferici della pubblica amministrazione (1979-1982) e il progetto Funzionalità ed efficienza della pubblica amministrazione (1985—1989).
4 Cfr. Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della funzione pubblica, I procedimenti amministrativi statali, Roma, 1994. Il censimento aveva messo in luce come le “attività amministrative fossero disperse in una moltitudine di procedimenti (iper-procedimentalizzazione), frammentati in un’eccessiva quantità di fasi e regolati da troppe disposizioni normative, spesso di fonte primaria che finivano per sovrapporsi tra di loro” (A. Natalini, Il tempo delle riforme amministrative, il Mulino,2006, p. 179). Secondo quanto riferito da Giulio Vesperini “il quadro che emerge da questa indagine è quello di un’amministrazione lenta; accentrata; sovraccarica di compiti; regolata da normative di legge antiquate, complicate e frammentarie; incapace di autoregolarsi; impegnata meno nella cura degli interessi della collettività e più nell’amministrare se stesso; operante tramite procedimenti complicati nei quali intervengono più uffici, spesso in sovrapposizione tra loro” (G. Vesperini, La semplificazione dei procedimenti amministrativi, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1998, p. 655).
5 M.S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Giuffrè, 1981. 6 S. Amorosino, La semplificazione amministrativa e le recenti modifiche normative alla
disciplina generale del procedimento, in Foro amministrativo-Tar, 2005, 2635 ss.
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dei singoli Stati membri7, sia di razionalizzazione di specifici settori regolatori (ad
esempio le comunicazioni elettroniche, gli appalti, l’ambiente); l’impulso delle
organizzazioni internazionali ad utilizzare la semplificazione (normativa e
procedimentale) come leva della competitività del Paese; la necessità di razionalizzare,
anche tramite la riduzione dei costi, il «carro burocratico»8 diventato eccessivamente
pesante anche in ragione della farraginosità della «ruota» procedimentale; l’esigenza di
rendere effettivi i diritti dei privati nei confronti delle pubbliche amministrazioni.
Come noto, per rispondere a queste esigenze, il legislatore ha adottato la legge 7
agosto 1990, n. 241 che, nell’ambito della disciplina generale del procedimento
amministrativo, ha formalizzato la via italiana della semplificazione.
Si tratta, innanzitutto del riconoscimento della semplificazione quale principio
generale ordinante l’azione amministrativa, in ossequio ai principi di economicità e di
efficacia sanciti nell’articolo iniziale della legge; inoltre, essa individua i principali
strumenti con cui incidere sui procedimenti amministrativi, riducendoli, eliminandoli o
razionalizzandoli e impone, seppur indirettamente, l’accelerazione dell’azione
amministrativa tramite l’obbligo dei termini di conclusione del procedimento9.
Dal 1990 diversi sono stati gli interventi normativi generati dalla legge sul
procedimento amministrativo che hanno segnato il cammino, tutt’altro che lineare,
verso la strada della semplificazione.
È incontestabile, tuttavia, che i risultati ottenuti non sono stati, nel complesso,
all’altezza dei proclami e degli impegni politici assunti. Ad avviso di molti, infatti,
permangono ancora lacci alla pubblica amministrazione che ostacolano il benessere dei
cittadini e lo sviluppo delle imprese, ponendo l’Italia ancora agli ultimi posti, tra i Paesi
industrializzati, in quasi ogni graduatoria internazionale di competitività10.
7 In questa direzione le indicazioni fornite nel rapporto Mandelkern (Cfr. Mandelkern Group on
Better Regulation, Final Report, 13 November 2001, in particolare le pp. 32-39). 8 La metafora è di M.S. Giannini secondo cui le pubbliche amministrazioni sono raffigurabili
come un carro pesantissimo e faticosamente trainato da sei ruote che ne assicurano il movimento ossia le regole, i procedimenti, la formazione, la (ri)organizzazione, le dotazioni materiali e le risorse finanziarie.
9 È stato notato che obbligando la previsione dei termini del procedimento impone alle amministrazioni la ricognizione dei rispettivi procedimenti e delle fasi, in cui ciascuno di essi si articola; tale ricognizione fornisce una necessaria base conoscitiva per eliminare le fasi non necessarie che fanno allungare ingiustificatamente i tempi del procedimento (G. Vesperini, La riforma dei procedimenti amministrativi, cit., p. 261).
10 Il recente rapporto del World Bank Institute “Doing business 2013: Smarter Regulations for Small and Medium-Size Enterprises” segnala – al pari delle precedenti edizioni e di altri ranking di qualità del business environment – il ritardo dell’Italia nella competitività restando al 25° posto su 27 paesi dell’Unione europea. Sul complesso degli indicatori esaminati dalla Banca Mondiale, l’Italia è al
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Diverse sono le argomentazioni a sostegno di questo giudizio negativo. Nel
1999, ad esempio, il Rapporto introduttivo sulle condizioni dell’amministrazione
pubblica a vent’anni dal rapporto Giannini denunciava “uno Stato che si occupa (male)
di troppe cose; che non sa quel che fa e come lo fa; con tanti procedimenti complicati,
lunghi, sovrapposti gli uni agli altri; uno Stato che il cittadino sente come ostile”11.
Analogamente, nel 2005 un’indagine realizzata dall’ISTAT, nell’ambito
dell’Osservatorio sulla modernizzazione delle pubbliche amministrazioni del
Dipartimento della funzione pubblica, confermava la parziale e non uniforme
applicazione degli istituti di semplificazione nel periodo compreso tra il 1990 e il
200412. Più di recente, un forum di consultazione permanente aperto a tutti i cittadini
(“Burocrazia diamoci un taglio”), attivato nel 2009 dal Dipartimento della funzione
pubblica, ha evidenziato, da un lato, la necessità di rendere effettive le norme di
semplificazione già esistenti (ad esempio in materia di PEC o di sportello unico attività
produttive); dall’altro di eliminare le complicazioni burocratiche che ancora
caratterizzano il rapporto tra cittadini e amministrazioni. Tra queste complicazioni
vengono segnalate lo scarso utilizzo di internet e delle nuove tecnologie, la richiesta di
informazioni già in possesso della pubblica amministrazione, l’eccessivo e ingiustificato
numero di amministrazioni da contattare per il rilascio di un titolo abilitativo, la
presenza di moduli poco chiari e differenziati tra amministrazioni (vedi tab. I).
Tab. I: Risultati di sintesi della consultazione “Burocrazia diamoci un taglio” aperta il 25
novembre 2009 e ancora in corso presso il Dipartimento della funzione pubblica. I dati sono aggiornati al 31 dicembre 2012 su un totale di 1979 contributi pervenuti13.
73° posto (era al 75° posto nel 2012); tra le principali cause della collocazione dell’Italia nel ranking vi sono la cronica lentezza della giustizia civile (enforcing contracts, 160° posto) e l’eccessiva complessità degli adempimenti fiscali (paying taxes, 131° posto) e di quelli per il rilascio dei permessi per costruire (dealing licenses, 103°posto). Cfr. The World Bank, International Finance Corporation, Doing Business 2013. Smarter Regulations for Small and Medium-Size Enterprises, 23.10.2012, disponibile su http://www.doingbusiness.org/~/media/GIAWB/Doing%20Business/Documents/Annual-Reports/English/DB13-full-report.pdf.
11 Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della funzione pubblica, Lo Stato dell’Amministrazione Pubblica a Venti anni dal Rapporto Giannini, p. 16.
12 Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della funzione pubblica, M. L. D’Autiliza, N. Zamaro (a cura di), Semplificazione e trasparenza. Lo stato di attuazione della Legge n. 241 del 1990, Edizioni Scientifiche Italiane, 2005.
13 Questi dati sono forniti dal Dipartimento della funzione pubblica e saranno pubblicati nella relazione annuale al Parlamento sull’attività svolta nel corso del 2012.
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Da ultimo, anche le associazioni imprenditoriali continuano a individuare nella
semplificazione la “madre di tutte le riforme”14 per il rilancio dell’economia e per il
percorso riformista del Paese. Secondo l’ultimo rapporto elaborato dal Centro Studi di
Confindustria, “liberare l’Italia dal piombo della burocrazia è la via maestra per
riportare il Paese su un alto sentiero di sviluppo” considerando che “una diminuzione
dell’1% dell’inefficienza della pubblica amministrazione è associata a un incremento
dello 0,9%del livello del PIL pro-capite e di 0,2 punti percentuali della quota dei
dipendenti in imprese a partecipazione estera sul totale dell’occupazione privata non-
agricola”15.
Alla luce di tali considerazioni, il presente contributo intende rispondere ad
alcune domande principali. A che punto è la semplificazione amministrativa in Italia?
Lungo quali direttrici fondamentali si articola oggi? Quali sono gli elementi di
continuità e quelli di discontinuità con la l. n. 241 o con le successive leggi che hanno
interessato la semplificazione? Quali sono i principali fattori critici che ancora rendono
difficile l’attività di semplificazione?
Per rispondere a tali domande è necessaria, da un lato, la ricognizione dello stato
delle cose, vale a dire quanto è stato fino ad ora effettivamente realizzato, ripercorrendo
seppur solo sinteticamente i principali eventi che hanno caratterizzato il percorso della
politica di semplificazione in Italia; dall’altro, l’esame dello stato dell’arte, ossia in che
modo, da chi e con quali strumenti è attuata oggi la semplificazione dedicando
particolare attenzione alla misurazione degli oneri amministrativi (MOA), ultima – in
14 La definizione è del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi che il 9 novembre 2012, in occasione dell’assemblea generale dell’Unione Industriali di Savona, ha affermato che “la riforma della P.A. è la madre di tutte le riforme, perché è quella che, insieme alla semplificazione normativa, più ci può aiutare a tornare a crescere” (http://www.confindustrialiguria.it/). Più nel dettaglio si veda Confindustria Centro Studi, Slegare l’Italia per liberare lo sviluppo da troppe norme e confuse, Scenari Economici n. 8/2010.
15 Centro Studi Confindustria, La lunga crisi: ultima chiamata per l’Europa. Liberare l’Italia dal piombo burocratico, in Scenari Economici, n. 14/2012 disponibile alla pag. web a www.confindustria.it.
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ordine di tempo – tra le tecniche adottate per migliorare l’efficienza e la qualità del
sistema amministrativo italiano. Da ultimo saranno esaminati alcuni dei nodi
problematici ancora affrontare nell’agenda della semplificazione italiana e, laddove
possibile, la strada già intrapresa per affrontarli.
2. Le tecniche di semplificazione
La semplificazione dell’azione amministrava viene per la prima volta codificata
nel capo IV della l. n. 241 del 1990 grazie alla sistematizzazione degli istituti più
caratteristici della semplificazione, alcuni dei quali già noti e sviluppati nelle
disposizioni speciali.
Come noto, si tratta di interventi tra loro profondamente diversi perché: 1.
presuppongono un diverso rapporto con le altre direttive di azione messe a punto – o
generate – dalla l. n. 241 del 1990, che sono contigue e in parte sovrapposte alla
semplificazione, ovvero la deregolamentazione e la deamministrativizzazione16; 2.
rispondono ad esigenze diverse che privilegiano, in alcuni casi, la posizione dei privati
cittadini, in altri, delle imprese, in altri ancora delle pubbliche amministrazioni a diverso
titolo coinvolte nell’emanazione del provvedimento finale; 3. sono direttamente efficaci
(pareri, valutazioni tecniche) oppure richiedono successivi interventi normativi di
attuazione (autocertificazioni, DIA).
Diverse sono le modalità con cui è possibile distinguere e classificare gli istituti
di semplificazione 17 . Con riferimento alle finalità perseguite, in particolare, gli
16 Su questi aspetti si veda G. Corso, Attività economica privata e deregulation, in Rivista
trimestrale di Diritto Pubblico, vol. 1998, p. 632 secondo cui “non è possibile costruire un comune paradigma – la semplificazione – di cui deregolazione, delegificazione, liberalizzazione e privatizzazione sarebbero manifestazioni o mezzi. Non solo perché si finirebbe per conglobare in un unico concetto fenomeni diversi […] ma perché anche la semplificazione costituisce un esito piuttosto limitato rispetto a tendenze imponenti come la deregolazione sicchè sarebbe riduttivo qualificare questa solo come un mezzo di semplificazione”.
17 Secondo alcuni, ad esempio, gli strumenti di semplificazione possono essere distinti tra quelli che non incidono sulla struttura dei procedimenti amministrativi da quelli, invece, che hanno ad oggetto la sequenza interna alla catena procedimentale originaria. Mentre ai primi sono riconducibili le tecniche di decentramento, di esternalizzazione delle funzioni e di riorganizzazione tecnologica degli adempimenti procedurali; ai secondi appartengono le tecniche di eliminazione delle singole fasi o di adempimenti procedurali (Cfr. M. Clarich, La semplificazione dei procedimenti amministrativi, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1998, pp. 655 ss.). Secondo altri, gli istituti di semplificazione devono essere distinti in interventi che si muovono sul piano della liberalizzazione, interventi che interessano il procedimento in quanto tale e, infine, interventi che interessano la fonte normativa (Cfr.V. Cerulli Irelli, F. Luciani, La semplificazione dell’azione amministrativa, in Diritto amministrativo, 2000, pp. 617 ss.). Secondo altri, invece, le tecniche di semplificazione procedurale sono riconducibili a quelle di eliminazione, di riduzione, di razionalizzazione e di informatizzazione (Cfr. A. Natalini, Le semplificazioni amministrative, Bologna, Il Mulino, 2002). Secondo altri, ancora, le semplificazioni sarebbero
14
strumenti di semplificazione possono essere ricondotti a tre macro-categorie: quelli
finalizzati ad accorciare l’iter di lavorazione della pratica amministrativa (termine del
procedimento art. 2, pareri obbligatori art. 16 e valutazioni tecniche art. 17); quelli
orientati a ridurre gli adempimenti a carico del privato (autocertificazione art. 18) o
delle amministrazioni riconoscendo la progressiva sottrazione alla dimensione
autoritativa di una serie di atti, che sono stati sostituiti con il silenzio assenso (art. 20) o
con la denuncia di inizio attività (ora Segnalazione certificata di inizio di attività-SCIA
art. 19); quelli diretti a sviluppare un processo decisionale più razionale tramite la
modifica della forma del procedimento (art.14-conferenza dei servizi, art. 15-accordi di
programma).
Si tratta di tecniche che incidono sulle procedure muovendosi, da un lato, sul
crinale della soppressione della procedura con cui viene svolta l’azione amministrativa e
l’abrogazione delle norme che la prevedono e la regolano; dall’altro, su quello della
razionalizzazione del percorso in cui si snoda il procedimento rendendo più semplice e
veloce il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione. È evidente che la
razionalizzazione implica un’attività di reingegnerizzazione complessiva del
procedimento amministrativo tramite meccanismi diversi che ottimizzano l’assetto delle
competenze, accelerano i tempi dell’azione amministrativa, migliorano l’attività
istruttoria, unificano in un'unica procedura singoli segmenti tra loro funzionalmente
collegati, riuniscono in un unico consesso tutti i soggetti chiamati a partecipare ad un
procedimento ovvero sfoltiscono gli elementi procedimentali ritenuti superflui,
ridondanti o sproporzionati.
Le tecniche generali individuate dalla l. n. 241 del 1990 sono state ribadite,
rilanciate approfondite – ma anche notevolmente arricchite – dalle successive norme di
semplificazione adottate anche in attuazione delle disposizioni europee18.
riconducibili a quelle procedimentali, organizzative e a quelle che afferiscono i rapporti con gli utenti (Cfr. S. Battini, La semplificazione dei procedimenti amministrativi, in Giornale di diritto amministrativo, 1998, pp. 63 ss.).
18 Ad arricchire ulteriormente la gamma degli istituti di semplificazione è intervenuta anche la normativa europea che, in particolare, con la direttiva servizi (2006/123/Ce) ha imposto agli Stati membri di attuare una generale e sistematica armonizzazione dei rispettivi regimi burocratici tramite l’istituzione di sportelli unici, l’attivazione di procedure elettroniche e la riduzione e lo snellimento dei regimi di autorizzazione. Si tratta di strumenti generali di razionalizzazione già noti all’ordinamento nazionale che al fine di snellire i rapporti tra pubblica amministrazione e utenza, in un caso (lo sportello unico) coniugano la semplificazione dei procedimenti e la unificazione verso il basso delle competenze ; nell’altro (informatizzazione) incidono sul modo stesso di concepire l’azione amministrativa imponendo
15
Nel solco tracciato dalla l. n. 241, infatti, diversi sono stati gli interventi
legislativi sia generali che di settore e le tecniche adottate per perseguire gli obiettivi di
snellimento dell’azione amministrativa.
Come noto, nell’ambito delle leggi generali, la legge 24 dicembre 1993, n. 53719,
ha avviato una semplificazione procedimentale per delegificazione ovvero tramite
l’eliminazione o la modifica di quelle procedure – preventivamente censite e indicate in
un apposito elenco allegato – che trovano origine, ieri in misura maggiore rispetto ad
oggi, nelle fonti di rango primario20.
Solo pochi anni più tardi la legge 15 marzo 1997, n. 59 ha introdotto la legge
annuale di semplificazione che, per la prima volta in modo unitario, ha collegato la
riforma dell’organizzazione alla razionalizzazione procedimentale21. Le due ultime
leggi annuali di semplificazione hanno, tuttavia, spostato il baricentro della
semplificazione affidandola principalmente agli interventi di codificazione (l. 29 luglio
2003, n. 229) e di riordino normativo introducendo il cd. taglia leggi (l. 28 novembre
2005, n. 246).
Come noto, l’adozione delle diverse tecniche di semplificazione è stata
caratterizzata da forti accelerazioni e brusche battute di arresto. Queste tecniche si sono
la reingegnerizzazione dei processi in ottica documentale per creare flussi digitali sicuri, trasparenti e agevoli da utilizzare.
19 In base a questa legge la riforma dei procedimenti deve essere adottata con strumenti di accorpamento e di riduzione del numero delle fasi e di autorità intervenienti. L’art. 2 della l. 537/1993, infatti, stabilisce che la politica di semplificazione deve essere orientata agli obiettivi di: riduzione del numero delle fasi procedimentali, del numero delle amministrazioni intervenienti, della la previsione di atti di concerto e di intesa; di riduzione dei termini prescritti per la conclusione del procedimento; di riduzione del numero di procedimenti amministrativi e accorpamento dei procedimenti che si riferiscono alla medesima attività.
20 La delegificazione dell’attività procedimentale è stata introdotta dall’art. 2 della legge n. 537/1993, con cui il Governo è stato autorizzato ad adottare cento regolamenti, del tipo indicato dall’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, che contenessero la disciplina semplificata di altrettanti procedimenti amministrativi. È noto che la delegificazione, nasce come tecnica strumentale allo snellimento dei procedimenti amministrativi , al fine di rendere più agevole la modificazione e l’aggiornamento delle procedure prima regolate con fonte primaria. Tuttavia, la sola delegificazione implica la frammentazione della disciplina in più fonti di grado diverso, ponendo il rischio di complicare il quadro normativo sotto l’aspetto quantitativo e interpretativo e quindi di contrapporsi al concetto di semplificazione (sugli aspetti critici della delegificazione si veda A. Travi, La riforma del procedimento amministrativo nella legge n. 537/1993, in Le Regioni, vol. 5, 1994, p.1301 e ss). Per ovviare a tale problema e preservare la natura semplificante della delegificazione, è stato necessario introdurre tecniche di raccordo normativo, quali la redazione di testi unici misti prima, la codificazione poi, mirate alla raccolta, riordino e riassetto delle disposizioni regolamentari e legislative relative ad una determinata materia. Su questi aspetti si veda V. Cerulli Irelli, F. Luciani, La semplificazione, cit., p. 629.
21 È stato rilevato che negli allegati alla l. n. 59 e alle leggi annuali di semplificazione adottate fino al 2000 sono stati censiti 247 procedimenti da delegificare e semplificare Cfr. S. Paparo, Per una semplificazione di risultato, in A. Natalini, G. Tiberi, La tela di Penelope, cit., p. 236.
16
sviluppate in modo incrementale e spesso sulla spinta di reazioni a precedenti fallimenti
creando, in tal modo, una pletora di metodi che ancora oggi coesistono
nell’ordinamento. La loro adozione, infatti, non ha seguito un approccio lineare bensì un
andamento frammentato e ciclico che ha finito per delineare la politica di
semplificazione italiana come una stratificazione di strumenti che convivono tra loro e
che, “a seconda dei casi, vengono dettati da norme generali e norme di settore,
regolamenti di delegificazione, leggi statali e leggi regionali”22 ma anche decreti leggi
(presupponendo l’esistenza dei requisiti dei caratteri di necessità e urgenza) e atti di
indirizzo politico amministrativo.
Ma questi istituti hanno funzionato?
La misurazione dell’efficacia degli istituti di semplificazione risulta
particolarmente complessa. Non esiste, infatti, una metodologia unica da adottare per
tutti gli istituti, né parametri che indichino in modo univoco l’effettivo contributo
all’obiettivo semplificatorio. In ragione di tali considerazioni, la funzionalità delle
tecniche di semplificazione è stata principalmente verificata in modo induttivo tramite il
ricorso a due indici rilevatori principali – ossia la stabilità normativa e la dimensione del
contenzioso – la cui lettura, tuttavia, può condurre a risultati diversi. È evidente, infatti
che, il parametro della stabilità normativa, ovvero del numero di volte in cui viene
riscritto l’istituto di semplificazione (vedi tab. II in allegato), può indicare sia l’assenza
di una visione chiara e unitaria del legislatore, sia la manutenzione dell’istituto
necessaria a migliorarne la funzionalità, sia ancora l’intenzione di ampliarne l’ambito di
applicazione esaltando proprio la ratio che ne ha giustificato l’introduzione. Analoghe
considerazioni possono essere svolte con riferimento al parametro del contenzioso. Il
numero di volte in cui un istituto di semplificazione è citato in una controversia portata
all’attenzione di un giudice può indicare il mal funzionamento dell’istituto ma anche il
suo concreto ed effettivo utilizzo.
Questi indicatori, dunque, non forniscono tanto un parametro di misurazione
dell’efficienza delle tecniche utilizzate quanto, piuttosto, una chiave di lettura generale
della politica di semplificazione. Ad esempio, è evidente che il ripensamento del
legislatore crea molta incertezza, complica l’assetto delle fonti e rende più complesso
(nonché costoso) la comprensione e i margini di applicazione dell’istituto stesso. Questo
22 G. Vesperini, Semplificazione amministrativa (Ad Vocem), in S. Cassese (a cura di), Dizionario di Diritto Pubblico, Milano, Giuffrè, 2006.
17
ripensamento rappresenta un limite significativo e un pregiudizio alla semplificazione
che si riflette sia sull’amministrazione che deve applicare le norme, sia sui cittadini che
devono rispettarla, sia, infine, sugli organi giurisdizionali chiamati alla verifica della
legittimità e della correttezza dell’agire delle pubbliche amministrazione23. Anche il
numero di volte in cui l’istituto di semplificazione è stato valutato dal giudice segnala la
probabile lacunosità del disposto normativo, l’incertezza interpretativa ovvero la
resistenza dell’amministrazione al cambiamento.
A ben vedere, oggi la situazione è in parte diversa.
Negli ultimi anni, infatti, una nuova tecnica, importata nel nostro ordinamento
dall’Unione europea, consente di analizzare gli effetti della semplificazione con un
approccio oggettivo e razionale. Si tratta della misurazione degli oneri amministrativi
(d’ora in poi MOA) che, grazie all’analisi statistica ed economica con cui viene
realizzata24, fornisce un nuovo strumento di diagnosi e di intervento della politica di
semplificazione.
Alla base di questa tecnica c’è la diffusa consapevolezza che il livello di
complicazione di un sistema amministrativo è un costo – misurabile in termini
quantitativi – che grava sull’utente (cittadino o impresa). Una volta individuato, questo
costo può essere ridotto dall’amministrazione agendo sull’organizzazione delle proprie
procedure o sull’articolazione dei rispettivi uffici. In questo modo, la strategia di
semplificazione amministrativa sposta il baricentro della sua attenzione dall’interno
all’esterno dell’amministrazione; all’analisi del modo in cui sono articolate le procedure
(fasi, tempi, soggetti), infatti, si sostituisce l’analisi degli obblighi informativi ovvero
dei costi sostenuti dall’utenza per ottenere o produrre informazioni necessari all’attività
della pubblica amministrazione. Questi costi diventano il parametro principale da
considerare per verificare se e come semplificare.
23 Ariste Police parla di processo involutivo facendo riferimento alla perdita della stabilità del
quadro normativo e della conseguente sostanziale certezza dei punti di riferimenti giuridici che si avrebbe avuto proprio a partire dal 1990. Cfr. A. POLICE, Riflessioni sui tortuosi itinerari della semplificazione nell’amministrazione della complessità, in Economia e diritto, 2013 disponibile alla pag. web http://www.apertacontrada.it/.
24 Le attività di misurazione sono coordinate dall’apposita task-force dell’Ufficio semplificazione del Dipartimento della funzione pubblica con l’assistenza tecnica dell’ISTAT.
18
In sintesi la MOA è realizzata sulla base dello Standard cost model (d’ora in poi
SCM), una metodologia originariamente sviluppata nei Paesi Bassi25 e attualmente
adottata sia dai paesi dell’UE, che dalla Commissione europea26. Obiettivo dello SCM è
identificare i costi della regolazione inutili o eccessivi rispetto agli obiettivi di tutela
degli interessi pubblici che essa si prefigge. A tal fine, lo SCM prevede la raccolta di
informazioni estremamente dettagliate sui singoli adempimenti amministrativi e sui
costi che questi generano per i destinatari. Esprimendo il grado di complicazione
burocratica in termini quantitativi, lo SCM offre un parametro oggettivo per
l’impostazione e la verifica degli interventi di semplificazione.
È evidente che in ragione degli obiettivi che persegue, delle tecniche –
multidisciplinari – utilizzate per realizzarla e dei risultati che consente di perseguire, la
MOA rappresenta un nuovo punto di approdo della politica di semplificazione che, di
fronte alla crisi e alla crescente domanda di semplificazione posta con sempre maggiore
attenzione dalle associazioni imprenditoriali e dalla società civile, ha ricevuto – e sta
ancora ricevendo – particolare attenzione dalla politica italiana.
3. La semplificazione come processo di policy
Alla luce di quanto sin qui sinteticamente descritto, emerge un quadro
caratterizzato da una pluralità di strumenti che si sono stratificati nel tempo e che
25 Cfr. Manual for Conducting Standard Cost Model Measurements, Danish Commerce and
Companies Agency, giugno 2005. La metodologia è stata messa a punto partendo dall’originale SCM olandese soprattutto grazie alla sperimentazione tramite un progetto pilota attuato tra aprile e settembre 2005 in Olanda, Danimarca, Regno Unito e Repubblica Ceca (Cfr. Pilot Project on Administrative Burdens Final Report, documento per la Commissione Europea preparato da WiFo e CEPS); un contributo rilevante al perfezionamento del modello è stato apportato dagli esperti degli Stati membri, riuniti nello Standard Cost Model Network Steering Group. Lo SCM Network è una rete costituita nel 2003 dai Paesi che utilizzano lo SCM e che si occupa di diffondere metodologie, esperienze e best practices. Lo Steering Group di questa rete è stato fondato da quei paesi già impegnati a strutturare le proprie politiche di semplificazione attraverso la riduzione degli oneri amministrativi. Il sito http://www.administrative-burdens.com fornisce informazioni dettagliate sul network e sui Paesi che vi prendono parte.
26 La Commissione europea ha proposto l’adozione dello SCM con una comunicazione dell’ottobre 2005 (Commissione delle comunità europee, Comunicazione della Commissione relativa a un metodo comune in ambito UE per la valutazione dei costi amministrativi imposti dalla legislazione, COM(2005) 518 definitivo, del 21 ottobre 2005), presentandone una versione adattata alle esigenze delle istituzioni europee (il c.d. “EU-SCM”) in allegato alle Impact Assessment Guideline dello stesso anno. L’EU-SCM è alla base del programma di riduzione degli oneri derivanti dalla legislazione comunitaria del gennaio 2007 (Commissione delle comunità europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Action Programme for Reducing Administrative Burdens in the European Union, COM (2007) 23 final, del 24 gennaio 2007).
19
continuano a coesistere nel nostro ordinamento; se la l. n. 241 del 1990 ha fornito (e
fornisce tutt’ora) lo strumentario essenziale a disposizione delle scelte del regolatore, la
politica di semplificazione risulta ancora caratterizzata da una cronica debolezza
strategica causata dall’assenza di una sistematica visione unitaria.
Eppure oggi appare comunemente condivisa l’idea che, per essere al meglio
perseguita, la politica di semplificazione debba essere inquadrata all’interno di un
processo istituzionalizzato di policy che non può esaurirsi attraverso la sola adozione di
leggi o regolamenti ma richiede l’esercizio unitario di diverse funzioni pubbliche, quali
quelle di pianificazione, concertazione, valutazione, ecc. La scelta del giusto strumento
per semplificare il procedimento, infatti, è alquanto complessa: questa decisione
richiede di considerare una quantità di fattori di contesto tra loro diversi, ma prima
ancora di definire le finalità stessa della semplificazione che, ad esempio, può essere
volta a ridurre (o rendere proporzionali alla tutela del rischio) gli oneri a carico dei
destinatari, a contrarre i tempi di attesa necessari all’emanazione del provvedimento
finale ovvero ad alleviare il carico di lavoro che poggia sulle burocrazie.
È necessario, dunque, che l’amministrazione effettui una preliminare analisi di
gestione e progettazione delle procedure per identificare sia l’elemento, o più
verosimilmente gli elementi, che contribuiscono alla complicazione burocratica, sia la
qualità e le peculiarità del contesto amministrativo in cui il procedimento, e la
successiva modifica, vengono innestati.
Allo sviluppo di tale consapevolezza ha notevolmente contributo la riflessione
sul processo di policy della regolazione pubblica e sulla necessità di razionalizzarla con
metodi scientifici, sviluppata a partire dalla fine degli anni ’90 del secolo appena
trascorso dai governi in Europa, e più in generale nei paesi avanzati, anche sullo stimolo
svolto dalle principali organizzazioni internazionali, in primis l’OCSE27. Secondo tali
riflessioni, la politica pubblica è un ciclo articolato in diverse fasi che vanno
dall’identificazione del problema e dal suo inserimento in agenda alla formulazione
delle opzioni di regolazione, per arrivare alla fase di decisione politica e
all’implementazione che si conclude con la valutazione degli effetti, alla quale segue
l’eventuale avvio di una nuova policy o il miglioramento di quella in corso. La
suddivisione in fasi delle politiche pubbliche ha il pregio di scomporre la disciplina
27 Cfr. Ocse, The Oecd Report on Regulatory Reform System, Parigi, 1997.
20
oggetto di decisione pubblica negli aspetti essenziali che la caratterizzano senza,
tuttavia, perdere la visione d’insieme poiché, al contrario, consente di cogliere le
caratteristiche generali e complessive del processo stesso28.
In ragione di queste considerazioni, di seguito viene proposta la ricostruzione
della politica di semplificazione e delle diverse tecniche da essa utilizzate seguendo
l’approccio del ciclo della regolazione. A tal fine saranno individuate le seguenti fasi:
l’individuazione del problema (chi prende la decisione di semplificare e sulla base di
quali informazioni); la formulazione della decisione (quale tecnica viene adottata);
l’attuazione e il monitoraggio (come viene attuata la misura scelta ed, eventualmente,
valutata nella sua attuazione concreta). In questa ricostruzione un ruolo di primo piano
viene sicuramente assunta dalla misurazione degli oneri amministrativi; ciò non in
ragione della prevalenza di questa tecnica di semplificazione rispetto alle altre
individuate e utilizzate dal legislatore che, come detto in precedenza, coesistono le une
alle altre; bensì dalla logica di risultato che contraddistingue la misurazione e che trova
nella pianificazione un suo elemento caratterizzante.
Si evidenzia, infine, che la ricostruzione dei singoli elementi che caratterizzano
le fasi del ciclo della regolazione della semplificazione risponde ad una mera scelta
stilistico-descrittiva di un fenomeno complesso e magmatico che solo artificialmente si
presenta come unitario; ciascuna delle fasi individuate, inoltre, presenta un diverso
grado di evoluzione e di complessità: alcune – come quella iniziale – hanno ricevuto
negli ultimi anni una straordinaria accelerazione a seguito della diffusione degli
strumenti di razionalizzazione delle scelte pubbliche; altre – come quella di
monitoraggio – sono ancora ad uno stadio embrionale fornendo, quindi, una visione
principalmente prospettica di quanto è necessario ulteriormente sviluppare.
3.1 L’individuazione del problema. Il momento di avvio della policy di
semplificazione descrive chi avvia i processi di semplificazione, come si identificano le
28 Su questi aspetti si vedano M. Howlett, M. Ramesh, Studying Public Policies. Policy Cycles
and Policy Subsystem, Oxford, Oxford University Press, 1995; G. Regonini, Capire le politiche pubbliche, Bologna, Il Mulino, 2001; M. De Benedetto, M. Martelli, N. Rangone, La qualità delle regole, Bologna, Il Mulino, 2011; A. La Spina, E. Espa, Analisi e valutazione delle politiche pubbliche, Bologna, Il Mulino, 2011; A. Lippi, La valutazione delle politiche pubbliche, Bologna, Il Mulino, 2007.
21
aree prioritarie di intervento, quali pressioni ed esigenze portano a scegliere il campo in
cui intervenire.
In merito al profilo soggettivo (chi), è noto che la politica di semplificazione
negli ultimi ventidue anni ha spostato progressivamente il suo baricentro dal centro alla
periferia. Il sistema multilivello di governo che si è andato delineando, infatti, ha
evidenziato una complessità istituzionale tale da far perdere al legislatore statale il ruolo
di indiscusso decisore del processo di riforma che riusciva ad imporsi sul livello
regionale e locale. Questa complessità organizzativa e istituzionale si riflette anche nella
politica di semplificazione che oggi risulta solo in parte originata a livello statale
essendo, invece, sempre più sviluppata anche dall’ambito europeo e da quello regionale.
Si pensi ad esempio alla natura pervasiva e dettagliata della legislazione dell’Unione
europea, ormai competente a titolo esclusivo o concorrente ad adottare normative che
investono materie particolarmente rilevanti per le imprese (mercato interno, ambiente,
appalti, trasporti, energia, etc.). È stato rilevato29 che proprio in queste normative si
annida spesso una rilevante parte degli oneri e dei costi, in termini di adempimenti
amministrativi e regolativi, che frenano la competitività delle imprese europee, in settori
molto ampi (agricoltura, alimentazione, pesca, mercato interno, ambiente, appalti,
trasporti, energia, etc.).
Con sempre maggiore intensità, è aumentato anche il ruolo delle Regioni; ciò in
ragione dell’affidamento della potestà legislativa, in via generale o residuale, di materie
di cruciale importanza quali l’industria, il commercio, l’artigianato, il turismo e
l’agricoltura. Le Regioni, essendo diventate centri di disciplina dell’amministrazione
delle attività economiche e produttive, hanno avviato, seppur con diverso grado di
successo, autonome politiche di semplificazioni delle procedure amministrative oltre
che di riordino normativo (vedi tab. III in Appendice) e di misurazione degli oneri
amministrativi30. Come noto, nelle materie di competenza regionale, il legislatore statale
29 G. Tiberi, La qualità della regolazione in un sistema di governance multilivello tra Unione
europea, Stati membri e Regioni, in A. Natalini, G. Tiberi (a cura di), La tela, cit. p. 32. 30 La misurazione degli oneri amministrativi è stata adottata in Toscana che ad oggi ha realizzato,
anche in collaborazione con l’ufficio semplificazione della Dipartimento della funzione pubblica, la misurazione delle seguenti aree di regolazione di competenza regionale. 1. Somministrazione di alimenti e bevande; 2. Attività forestale; 3. Scarichi idrici e servizio idrico integrato; 4. Utilizzazione agronomica acque reflue; 5. Strutture ricettive turistiche; 6. Bandi comunitari in agricoltura ; 7. Cave e torbiere; 8. Acque minerali, di sorgente e termali; 9. Attività edilizia; 10. VIA. Anche l’Umbria ha avviato un’attività di misurazione degli oneri amministrativi dedicandosi a tre aree di specifica competenza regionale ovvero il commercio, l’artigianato e il turismo.
22
può ora intervenire solo sugli aspetti procedimentali con norme dal carattere meramente
facoltizzante e autorizzatorio con valore di principio, limitandosi ad indicare, con
carattere non vincolante per l’autonomia delle Regioni, in via generale e non di
dettaglio, talune possibili modalità procedimentali che possono essere aggiunte a quelle
previste nei singoli ordinamenti regionali31.
Inoltre, con sempre maggiore frequenza rileva l’aspetto collaborativo inter-
istituzionale che con il ricorso a diverse tecniche consente – a livello ascendente e
discendente – la condivisione di decisioni sulle strategie di semplificazione e sulla
diffusione delle metodologie da seguire. Una chiara dimostrazione in tal senso è fornita
dall’esperienza della Commissione UE che, sulla base di quanto accaduto nel modello
federale statunitense, ha previsto l’istituzione di organismi indipendenti per assicurare la
consultazione e il coinvolgimento permanente delle amministrazioni nazionali. Si pensi,
in particolare, all’istituzione del gruppo di regolatori esperti nazionali (cd. High level
group of National Regulatory Experts) che sono consultati sulle strategie europee di
semplificazione al fine di facilitare la collaborazione tra gli Stati Membri e le Istituzioni
Europee nell’ambito delle misure di better regulation. Oppure, alla previsione di un
“single point of contact” (SPOC) che per ogni Paese membro è stato incaricato di
seguire l’attività di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi promossa dalla
Commissione32. Tra il livello statale e quello regionale, invece, rilevano gli Accordi
come quello adottato in sede di Conferenza unificata nel marzo del 2007 per definire
principi, criteri e strumenti per il miglioramento della qualità della regolazione
nell’ambito dei rispettivi ordinamenti oppure nel 2012 per attuare le misure di
semplificazione contenute nel d.l. 9 febbraio 2012 n. 5, convertito in legge 4 aprile
2012, n. 35 (cd. Semplifica Italia)33.
31 G. Tiberi, La qualità della regolazione, cit., p. 32. 32 Molti dubbi sono stati sollevati sull’efficacia di questi strumenti nati e sviluppati in un contesto
– come quello statunitense – diverso da quello europeo o italiano. Per una dettagliata ricostruzione e analisi di questi aspetti si veda al riguardo L. Cavallo, Migliorare la qualità della regolazione nei sistemi di tipo federale: l’esperienza dell’Unfunded Mandates Reform Act, in A. Natalini, G. Tiberi, La tela, cit. pp. 465 ss.
33 Cfr. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Conferenza Unificata, Accordo in sede di Conferenza unificata concernente l’attuazione delle norme di semplificazione contenute nel decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo”, convertito nella legge 4 aprile 2012, n. 35 sancito nella seduta del 10 maggio 2012.
23
Con riferimento alla dimensione conoscitiva delle politiche di semplificazione,
ovvero a come l’amministrazione comprende i problemi e decide su quali procedure
intervenire, è possibile segnalare la coesistenza di una pluralità di approcci.
Come noto, la prima base informativa dei procedimenti è stata fornita dal
censimento introdotto in via obbligatoria dalla l. n. 537 del 199334, confermato alla fine
degli anni Novanta con le leggi Bassanini e rilanciato – seppur indirettamente – dalla
legge n. 69 del 200935.
Il censimento non solo consente di mappare il numero tutti i procedimenti
afferenti ad una determinata amministrazione ma rappresenta una formidabile base
conoscitiva per individuare gli aspetti problematici da semplificare. Tali aspetti
emergono dalla scomposizione dei singoli passaggi procedimentali, così come richiesti
dalle norme, in informazioni più elementari quali i soggetti coinvolti, i tempi, le
caratteristiche di ciascuna attività, i relativi input ed output36. Per agevolare la lettura di
queste informazioni è possibile fare ricorso anche a tecniche di rappresentazione grafica
tra cui i diagrammi di flusso o la cd. SAD (Systematic Activity Description)37. Il ricorso
a tale tecnica risulta particolarmente funzionale alle politiche di semplificazione poiché
34 Tale rilevazione ha consentito di individuare, in un elenco chiuso e tassativo, i procedimenti in
ordine ai quali il Governo ha potuto adottare regolamenti con effetto delegificante. Sulla stessa strada si è mossa anche la legge 15 marzo 1997, n. 59 che ha individuato, in allegato, centodieci procedimenti da delegificare e semplificare, a cui ne sono stati aggiunti altri dalle leggi annuali di semplificazione.
35 Il censimento consente alle amministrazioni di lavorare sui rispettivi procedimenti in chiave di semplificazione, riduzione dei tempi (come richiesto dalla legge n. 69 del 2009) o, più in generale, per capire come migliorare la performance amministrativa rispetto ai servizi resi agli utenti. Ne rappresenta un esempio l’attività svolta dalla Regione Umbria nel 2012 che, in attuazione della legge regionale 16 settembre 2011, n. 8 “Semplificazione amministrativa e normativa dell’ordinamento regionale e degli Enti locali territoriali”, ha previsto l’istituzione di un repertorio dei procedimenti amministrativi; a tal fine, la Regione ha imposto la “ricognizione di tutti i procedimenti amministrativi, effettuata dai dirigenti mediante una procedura on line, con accesso certificato”. Il censimento ha consentito il “ridisegno dei processi dei procedimenti di erogazione, la dematerializzazione di alcuni atti dirigenziali e il miglioramento della regolazione. Al riguardo si veda Si veda E. M. Ranieri, Il repertorio dei procedimenti amministrativi: da “adempimento” a “servizio”, Atti della presentazione dell’esperienza umbra in occasione dell’incontro sulle esperienze regionali in materia di semplificazione procedimentale tenutosi al Forum PA il 28 maggio 2013.
36 Si veda Dipartimento per la funzione pubblica, La semplificazione dei procedimenti amministrativi: proposte e realizzazioni, Luglio 1993.
37 La tecnica della Systematic Activity Description (SAD) rappresenta un metodo di rappresentazione grafica alternativo ai più classici diagrammi di flusso o alle matrici utilizzate nei diagrammi cosiddetti di Gantt; rispetto a questi altri modelli, la SAD ha una struttura molto più semplice, composta solo da elementi di Attività e di Prodotto (input o output), ma prevede la possibilità di integrare la rappresentazione grafica con elementi variabili relativi a tempi, soggetti coinvolti, o ulteriori specifiche annotazioni. Mediante la SAD è anche possibile evidenziare elementi di complessità del processo, quale ad esempio la sussistenza di fasi in parallelo, o di prodotti molteplici di una stessa fase. Eventuali aspetti ciclici del processo sono inoltre facilmente individuabili nella rappresentazione, poiché si possono collegare fasi e prodotti successivi a momenti precedenti, qualora il procedimento lo richieda.
24
consente una valutazione congiunta delle variabili qualitative e quantitative rilevanti al
fine di esprimere giudizi di preferenza. L’applicazione della tecnica SAD, ad esempio,
permette il raggruppamento delle operazioni in macrofasi descritte attraverso
l’indicazione dei soggetti responsabili delle attività e delle iniziative che attivano l’iter
procedimentale o le singole fasi e/o operazioni, la durata della procedura) e, infine, la
specificazione di ulteriori informazioni aggiuntive per una migliore comprensione dei
contenuti delle attività.
A partire dal 2008 la base conoscitiva dell’intervento di semplificazione è stata
integrata dall’analisi economica offerta dalla MOA. La misurazione, effettuata secondo
lo SCM consente, seppur a carattere indicativo38, la stima monetaria degli oneri
associati agli obblighi informativi39 imposti alle imprese o ai cittadini per adempiere
alla regolazione, vale a dire gli obblighi di reperire, produrre, conservare o inviare
informazioni a pubbliche amministrazioni o soggetti terzi (es. consumatori)40.
Nel dettaglio, lo SCM si fonda su tre fasi fondamentali. La prima consiste nella
mappatura della regolazione oggetto di misurazione, ossia nell’identificazione e
descrizione degli obblighi informativi che derivano dalla normativa rilevante (europea,
nazionale e regionale)41. La seconda fase ricostruisce, tramite interviste a imprese ed
esperti, i costi connessi ai singoli obblighi individuati dalla mappatura. Con riferimento
38 Lo SCM non prevede il ricorso a campioni statisticamente rappresentativi dell’universo di riferimento. Tuttavia, la tecnica adottata in Italia si basa su un numero di imprese dieci volte superiore a quello generalmente utilizzato negli altri Paesi (40-50 a fronte di 4-5). Su questi aspetti si veda il Rapporto sulla misurazione degli oneri amministrativi disponibile sulla pagina istituzionale della funzione pubblica http://www.funzionepubblica.gov.it/la-struttura/funzione-pubblica/attivita/politiche-di-semplificazione/misurazione-e-riduzione-oneri-amministrativi/attivita-realizzate/presentazione.aspx.
39 Gli obblighi informativi, che in genere coincidono con interi procedimenti amministrativi, in sede di mappatura degli oneri sono classificati secondo il seguente elenco: I. Autorizzazioni, permessi, esenzioni. II. Domande di certificazioni o accreditamenti pubblici; procedure per il riconoscimento di strutture accreditate. III. Iscrizione in registri ed albi. IV. Dichiarazioni e notificazioni sull’attività svolta. V. Domande di aiuti pubblici. VI. Informazioni da fornire ai consumatori.
40 Lo SCM riguarda un sottoinsieme del complesso dei costi che la regolazione impone alle imprese. In particolare, sono esclusi dal campo di applicazione gli oneri c.d. di “conformità sostanziale”, ossia i costi sostenuti dalle imprese per adeguare il proprio processo produttivo o i propri prodotti a quanto previsto dalla legislazione, e quelli fiscali (diritti, bolli, imposte, ecc.). La misurazione, inoltre, non riguarda i costi che, seppure aventi ad oggetto la produzione o trasmissione di informazioni, sarebbero sostenuti anche in assenza di un obbligo normativo (come nel caso degli oneri necessari a tenere una ordinata contabilità aziendale).
41 L’oggetto dell’obbligo informativo è costituito da uno o più dati relativi alle informazioni richieste dalla normativa; tutte le attività poste in essere dall’impresa, dal reperimento dei dati sino alla conservazione degli stessi, costituiscono le attività amministrative elementari necessarie per completare l’adempimento dell’obbligo. Per ciascun obbligo vengono indicati la fonte normativa, l’amministrazione o le amministrazioni competenti, i soggetti obbligati, le modalità di adempimento e la frequenza con cui l’obbligo ricorre nell’attività d’impresa; ciascun obbligo identificato viene poi scomposto nelle singole attività amministrative necessarie per la produzione dell’informazione richiesta.
25
agli obblighi gravanti sulle imprese, i parametri utilizzati per la loro stima sono i costi
interni (ad esempio il tempo necessario all’adempimento, il costo orario lordo del
personale impiegato e la quota di spese generali da attribuire all’attività esaminata) e i
costi esterni (ad esempio il ricorso a commercialisti o consulenti). La terza fase, infine,
consiste nella stima complessiva degli oneri amministrativi sulla base del costo
sostenuto da un’impresa “normalmente efficiente”, ossia da un’impresa con un grado di
efficienza medio rispetto al target di riferimento. Si tratta, in estrema sintesi, di
generalizzare i costi unitari individuati applicandoli all’universo del campione di
riferimento42 e moltiplicandoli per la frequenza degli adempimenti stessi43.
Alla luce della complessità metodologica richiesta dallo SCM, è necessario che
la misurazione degli oneri venga utilizzata in modo selettivo affinché non si traduca in
un inutile aggravio procedurale a carico dell’amministrazione. In quest’ottica, occorre
preliminarmente selezionare le aree di regolazione che presentano i maggiori costi ed
applicare lo SCM esclusivamente ad esse. La selezione, pertanto, deve avvenire in
modo condiviso tramite strumenti partecipativi – solitamente le consultazioni – che
fanno emergere le procedure e gli obblighi percepiti come più onerosi dai diretti
destinatari degli interventi di regolazione, dai rappresentanti dei principali stakeholders,
nonché dalle pubbliche amministrazioni coinvolte.
Esistono, poi, canali di pressione e di stimolo alla semplificazione ulteriori ed
esterni alla procedura di misurazione degli oneri. Tra essi, ad esempio, si segnala
l’importanza del fenomeno di benchmarking di buone pratiche sviluppate in altri
ordinamenti giuridici44 o da altre amministrazioni45; oppure il ruolo della pressione delle
istituzioni sovraordinate che, in base alla vincolatività della misura adottata, possono
42 Si tratta del numero di imprese o di cittadini su cui grava l’obbligo di rispettare
l’adempimento. 43 Per ricostruire nel dettaglio i passaggi procedurali dello SCM si veda Gruppo di Lavoro
Internazionale sugli Oneri Amministrativi, Lo Standard Cost Model Quadro di definizione e quantificazione degli oneri amministrativi a carico delle imprese, 2004 disponibile alla pag. web http://www.funzionepubblica.gov.it/media/263890/standard_cost_model_-_ver._ita_(10.05).pdf.
44 Questo è il caso delle riforme portate avanti dal Ministero della Sanità in tema di oppiacei e terapia del dolore per le quali si sono seguite, seppur non con le stesse decisioni di apertura, le orme di paesi pionieri in questo ambito come il Regno Unito e l’Olanda.
45 Questo è il caso del Registro unico dei controlli che alcune Regioni (Emilia Romagna con l.r. 19/2011, Lombardia con l. r. 31/2008, Toscana , da ultimo, con Convenzione tra ARTEA della Regione Toscana e la provincia di Firenze per la realizzazione del progetto di semplificazione amministrativa in agricoltura denominato RUC del 20.03.2012 )hanno istituito a distanza di poco tempo l’una all’altra con evidenti procedimenti di mimesi e osmosi.
26
persino imporre alle istituzioni sotto-ordinate il settore regolatorio e la tecnica di
semplificazione da adottare46.
Inoltre, l’iniziativa di semplificazione può nascere dalla pressione delle parti
sociali, degli stakeholders di un determinato settore che riescono a far sentire la propria
richiesta di semplificazione attraverso canali diversi, ad esempio forme
istituzionalizzate di ascolto e coinvolgimento, contatti diretti più o meno formali con i
decisori istituzionali oppure strumenti di consultazione messi a disposizione
direttamente dalle amministrazioni per tutti i soggetti interessati (ad esempio Burocrazia
diamoci un taglio del Dipartimento della funzione pubblica) o per specifiche categorie
(ad esempio Semplifica PA per i dipendenti pubblici). Sul piano dei processi decisionali
inclusivi si muovono anche alcune Regioni. Significativa, ad esempio, l’esperienza della
Liguria che per “raccogliere le esigenze più sentite dalla comunità ligure” chiede “alle
imprese, agli enti locali, alle associazioni dei consumatori e ai cittadini di formulare
proposte e suggerimenti che aiutino l’amministrazione regionale ad individuare i punti
critici delle procedure, le necessità d’intervento, la determinazione di criteri di stima dei
miglioramenti ottenibili in termini di qualità ed efficacia”47.
3.2 La decisione. Una volta individuata la complicazione amministrativa, o
rilevato il costo degli oneri amministrativi di una specifica area di regolazione, è
necessario che l’amministrazione decida quale strumento (o quali strumenti) di
semplificazione adottare per rimuoverla.
La scelta della tecnica di semplificazione è alquanto complessa: occorre
innanzitutto definire le finalità stessa della semplificazione che, ad esempio, può essere
volta a ridurre (o rendere proporzionali alla tutela del rischio) gli oneri a carico dei
destinatari, a contrarre i tempi di attesa necessari all’emanazione del provvedimento
finale ovvero ad alleviare il carico di lavoro che poggia sulle burocrazie.
Inoltre, è necessario considerare una pluralità di fattori diversi. Se ne indicano
tre. Il primo è che non esiste una corrispondenza certa e univoca tra il problema rilevato
(complicazione) e la soluzione (semplificazione) da adottare. Lo stesso problema,
46 Questo è il caso delle semplificazioni relative alle procedure doganali, per le quali l’Agenzia
delle Dogane italiana si è trovata inserita in un processo rigidamente controllato dall’UE e definito nelle sue tappe e nei suoi contenuti dalla decisione 70/2008 del Parlamento e del Consiglio dell’Unione Europea.
47 Si veda invio alla presentazione di proposte della Regione Liguria in www.regione.liguria.it.
27
infatti, può essere affrontato con diverse soluzioni di semplificazione che possono
essere diversamente praticabili anche in termini di costi a carico dell’amministrazione
che deve adottarle. Il secondo fattore è che di fronte a una complicazione non esiste
un'unica opzione di semplificazione bensì un “pacchetto” di soluzioni possibili che
interessano aspetti diversi (normativi, organizzativi e quelli più propriamente
procedimentali) e che possono essere tra di loro diversamente combinati, cumulati e
graduati. Il terzo fattore è l’importanza della fase dell’implementazione. Una stessa
misura di semplificazione, infatti, può produrre effetti diversi in base al contesto
(organizzativo, istituzionale e finanziario) in cui la stessa viene innestata; pertanto, non
esistono “ricette di semplificazione” da applicare indistintamente a un analogo problema
burocratico.
In questa prospettiva, dunque, l’amministrazione dovrebbe effettuare una
preliminare analisi di gestione e progettazione delle procedure per identificare sia
l’elemento, o più verosimilmente gli elementi, che contribuiscono alla complicazione
burocratica, sia la qualità e le peculiarità del contesto amministrativo in cui il
procedimento, e la successiva modifica, vengono innestati.
Il contributo strategico della pianificazione ha trovato formale riconoscimento
dapprima nella legge annuale di semplificazione che, nell’intento del legislatore, doveva
fornire uno “strumento legislativo permanente che in via strutturale rispondesse al
problema della burocratizzazione della pubblica amministrativa”48; successivamente, in
ragione dell’orientamento prevalentemente normativo delle ultime due leggi di
semplificazione, nel “Piano di azione per la Semplificazione e la qualità della
regolazione” (PAS)49 e, da ultimo, nel “Piano di riduzione degli oneri amministrativi”50.
48 Senato della Repubblica, La Semplificazione normativa, p. 1. 49 Il Piano di Azione per la Semplificazione e la qualità della Regolazione è stato previsto
dall’Art. 1, co. 2, del Decreto Legge 10 marzo 2006, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 9 marzo 2006, n. 80, presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri e trasmesso alla Camera il 20 luglio 2007. Il modello del piano di azione è stato seguito anche in ambito regionale. Pur assumendo denominazioni diverse (Programma per la misurazione degli oneri, Agenda di semplificazione), i piani regionali mantengono le stesse caratteristiche di quello adottato in ambito statale. Cfr. Lombardia Semplice: Azzerare la Burocrazia, Migliorare le Istituzioni. Agenda di Governo 2011-2015 per la semplificazione e la modernizzazione del sistema Lombardia.
50 In ambito statale sono stati realizzati dei Piani di riduzione degli oneri settoriali ovvero che hanno interessato alcune specifiche aree regolatorie, in particolare, il Piano per la riduzione degli oneri amministrativi del Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile (Area Prevenzione Incendi) e il Piano di riduzione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (Area Lavoro e Previdenza).
28
Mentre il PAS ha natura generale poiché ha la finalità di ricondurre tutti gli
interventi di miglioramento della regolazione e delle procedure a un quadro unitario e
condiviso, individuando i principali obiettivi di semplificazione, le azioni da compiere, i
tempi necessari al loro conseguimento e i soggetti responsabili; nel piano di riduzione
gli interventi di semplificazione sono determinati a valle della esclusiva attività di
misurazione degli oneri amministrativi. La MOA consente di filtrare le normative di
settore, di individuare al loro interno le procedure a maggiore impatto e di calibrare gli
interventi sulla base di obiettivi (di riduzione) mirati e specifici (vedi in breve il grafico
di seguito).
Questionario Rilevazione Stime
Analisi della normativa vigente nell’ambito delle
aree di regolazione
Formulazione del questionario
per gli oneri informativi selezionati
Disegno del campione e
somministrazione del questionario
alle imprese
Calcolo e stima degli oneri
amministrativi
Mappatura Obblighi
Informativi
Verif ica della mappatura con le PA di settore
Selezione OI più rilevanti: confronto con le associazioni di categoria
Def inizione e validazione del contenuto e della forma del questionario: consultazioni con imprese ed esperti di settore
Expert assessmentPer le imprese con 0-4 addetti
Rilevazione telefonica e direttaPer le imprese con 5-249 addetti
Confronto con le associazioni di categoria e le amministrazioni pubbliche di settore
Scheda MOA
Proposte di semplificazione
Rap
port
i con
gli
stak
ehol
ders
È evidente che la MOA fornisce al decisore pubblico una base razionale anche
per scegliere gli interventi di semplificazione. Ad essere adottati, infatti, sono quegli
interventi che consentono di ridurre gli obblighi informativi più onerosi perché sono
eccessivi, ridondanti o inutili (si pensi alla eliminazione degli oneri documentali già in
possesso delle amministrazioni o la riduzione del numero di volte in cui è richiesto
dall’amministrazione di presentare un documento) o perché sono sproporzionati, cioè
richiesti in modo indifferenziato a tutti i destinatari della normativa a prescindere dalla
loro dimensione, attività o propensione al rischio.
Inoltre, la misurazione degli oneri consente di costruire una “strategia di
interventi” in considerazione del fatto che, a valle di un medesimo obbligo informativo,
e con riferimento ai molteplici adempimenti amministrativi che ad esso possono essere
associati, è possibile adottare e combinare tra loro differenti interventi di
29
semplificazione che richiedono diverse attività per la loro concreta realizzazione (vedi
tab. IV in allegato).
Al di fuori delle ipotesi di misurazione degli oneri, esistono ulteriori strade che
le amministrazioni percorrono per decidere quali misure di semplificazione adottare.
Una di queste è l’imitazione di decisioni assunte da altre amministrazioni; tale
strada è particolarmente diffusa al livello regionale, dove la numerosità delle
amministrazioni permette di comparare, adattare, emulare le soluzioni altrui e
diffondere, più velocemente, la cultura dell’innovazione e della tecnologia. Tale
procedimento può originarsi in maniera “spontanea” tra le amministrazioni regionali
(come accaduto ad esempio in occasione del registro unico dei controlli), oppure può
essere facilitato dall’istituzione di tavoli tecnici come quello adottato sulla base
dell’Accordo tra Stato, Regioni e autonomie locali in occasione dell’attuazione del
Semplifica Italia. Ulteriore strada è quella dell’estensione a nuovi ambiti regolatori di
soluzioni già conosciute e sperimentate altrove (ad esempio estensione nel settore
edilizio della SCIA e dello sportello unico). In questo caso è particolarmente importante
verificare il percorso di attuazione della misura di semplificazione poiché può accadere
che la tecnica non mantenga – nel nuovo contesto – la stessa efficacia semplificatoria
dimostrata nell'ambito in cui è stata inizialmente decisa e adottata.
Oppure, ancora, va considerata l’accettazione da parte di amministrazioni sotto-
ordinate di modelli di semplificazione decisi in ordinamenti sovraordinati. È questo il
caso della semplificazione delle dogane imposta dal livello europeo e ripreso
integralmente da quello nazionale.
Infine un’altra modalità per stabilire quali sono le alternative percorribili dalla
politica di semplificazione è riconducibile al procedimento di analisi di impatto della
regolazione (AIR). In questa ipotesi l'amministrazione privilegia l'analisi razionale dei
costi e dei benefici dei diversi possibili percorsi d’azione che sono sempre parametrati
alla cd. opzione zero, ovvero al mantenimento della disciplina esistente. In questa
direzione, ad esempio, si è mossa la regione Toscana che, in collaborazione con il
MIPA, ha realizzato due AIR, relative al settore artigianato e al settore farmacie prima
di semplificare le rispettive discipline regolatorie51.
51 Su questi aspetti si veda Regione Toscana, Supplemento al Bollettino Ufficiale n. 41 del
14.10.2009, Metodologie tecniche e modalità organizzative per lo svolgimento dell’analisi di impatto della regolazione e dell’analisi di fattibilità.
30
3.3. Il monitoraggio. Una volta individuata, l’opzione di semplificazione deve
essere innestata all’interno del contesto istituzionale di riferimento. Questa fase risulta
particolarmente delicata poiché una cattiva implementazione rischia di vanificare
l’obiettivo semplificatorio e di razionalizzazione che l’amministrazione intende
perseguire. Per questo motivo nessuna misura di semplificazione dovrebbe essere
effettuata senza un’attenta e mirata progettazione della fase di implementazione che sia
in grado di fornire informazioni sullo stato di avanzamento delle misure adottate,
consentire di identificare tempestivamente eventuali anomalie e definire gli opportuni
interventi correttivi.
È evidente che il ricorso agli strumenti di controllo dell’attuazione risultano
diversamente efficaci in base al tipo di tecnica di semplificazione adottata. Infatti,
mentre l’assenza di una progettazione attuativa non sembra avere conseguenze
problematiche sulle tecniche di eliminazione, che dovrebbero di fatto “attuarsi da sole”
e sembrano in effetti caratterizzate da un certo grado di successo anche in assenza di
chiari piani di intervento; per le misure di riduzione, e soprattutto per quelle di
razionalizzazione, questo non può, invece, valere.
In questi ultimi casi, infatti, è possibile che da parte dei cittadini e delle imprese,
o delle stesse amministrazioni, debbano intervenire forme di apprendimento di nuove
procedure, di sostituzione di attività complesse con attività più semplici, che però non si
conoscono e che devono essere comunicate e segnalate accuratamente, oppure debbano
essere rimossi ostacoli e resistenze non preventivamente programmate, né
programmabili. Per queste misure, dunque, l’attività di monitoraggio rappresenta un
elemento essenziale a rendere effettivo ed efficace l’obbiettivo stesso di
semplificazione52.
52 Con riferimento al SUAP, ad esempio, è stato notato che uno dei limiti fondamentali alla
riforma è da rintracciare nel “venir meno del ruolo di “cabina di regia” dell’implementazione del nuovo strumento cooperativo (svolto fino al 2001-2002 dal Dipartimento della funzione pubblica e dal soppresso Osservatorio sulle semplificazioni, con la partecipazione attiva delle parti sociali, delle Regioni, degli Enti locali e dei rappresentanti di ciascun ministero); così come ha pesato il venir meno del ruolo (parimenti esercitato al Dipartimento della funzione pubblica con il sostegno dell’Osservatorio) di monitoraggio dello stato di attuazione dello sportello unico per valutarne l’efficacia, individuare gli eventuali ostacoli da rimuovere e verificarne l’adeguatezza dell’impianto normativo”. Cfr. F. Bassanini, B. Dente (a cura di), Gli sportelli unici per le attività produttive: fallimento o rilancio?, Passigli Editore, 2007, p.12.
31
Si tratta, dunque, di introdurre strumenti che consentono di evidenziare, per
ciascuna misura adottata, le azioni necessarie per attuarle, l’impatto e i risultati attesi da
ciascuna azione, i costi e la tempistica di realizzazione. Anche in questa prospettiva un
contributo strategico è rappresentato dal “Piano di riduzione degli oneri amministrativi”.
Come noto, il Piano di riduzione, in linea al modello fornito dal PAS, delinea un
percorso di azioni misurabili (anche in termini di differenza tra condizioni di partenza e
risultati conseguiti) che, raggruppate in programmi – con precise cadenze temporali –
convergono verso un obiettivo strategico, il cui grado di raggiungimento sia a sua volta
valutabile.
Per ciascun intervento di semplificazione, infatti, il piano di riduzione è
accompagnato da un’attività di monitoraggio e valutazione tesa a verificare lo stato di
avanzamento delle attività, il rispetto dei tempi e l’effettivo raggiungimento degli
obiettivi prefissati. A tal fine, il Piano individua preventivamente un set di indicatori per
misurare lo stato di avanzamento delle attività (indicatori di realizzazione) ovvero gli
effetti delle azioni realizzate (indicatori di risultato).
Su questa linea, ad esempio, si segnala l’attività di programmazione adottata da
alcuni Ministeri nel 2009 a valle della misurazione degli oneri amministrativa curata dal
Dipartimento della funzione pubblica, ad esempio il “Piano per la riduzione degli oneri
amministrativi” adottato dal Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e
della Difesa Civile del Ministero dell’Interno con riferimento all’Area Prevenzione
Incendi, sono stati individuati degli indicatori di risultato per ciascuna attività di
semplificazione. Si tratta di un “indicatore di realizzazione” che esprime il “peso
relativo” rispetto alla concreta attuazione dell’intervento (dove la somma dei valori
delle azioni a ciascun intervento è pari a 100) e di un “indicatore di risultato” che,
laddove possibile, associa ciascuna attività a un valore obiettivo ossia il target da
raggiungere a regime (vedi tab. V in allegato).
4. Quali paradigmi per l’attuale politica di semplificazione?
Dalla ricostruzione appena svolta emerge con evidenza il quadro ancora
altamente frammentato delle politiche di semplificazione per la cui elaborazione ed
attuazione agiscono leve, spinte, logiche e fattori diversi, interni ed esterni
32
all’amministrazione, molto spesso di origine sovranazionale e che hanno tra di loro un
diverso grado di maturazione.
Nonostante le politiche di semplificazioni in Italia siano ancora alla ricerca di un
equilibrio soddisfacente e duraturo nel tempo, è fuori dubbio che oggi la
semplificazione stia vivendo un momento positivo e propositivo. In particolare,
l’adozione e la messa a regime della MOA non solo ha contribuito in modo
determinante alla formulazione e all’adozione di rilevanti semplificazioni in termini di
costi misurati ed eliminati ma ha innescato, o consolidato, un processo di
apprendimento presso le diverse amministrazioni coinvolte.
Questo processo di apprendimento, che si pone in stretta continuità con i
molteplici cambiamenti avviati o innescati proprio a partire dagli anni Novanta del
secolo appena, ruota intorno a tre direttrici fondamentali: il riconoscimento della
valenza economica della regolazione e del contributo svolto dalla prassi nella
complicazione burocratica del rapporto tra cittadino e amministrazione53, la necessità di
garantire la programmazione della semplificazione con un respiro almeno di medio
termine e un approccio trasversale che tenga insieme la leva normativa con quella
tecnologica e amministrativa; il ruolo fondamentale della condivisione delle politiche di
semplificazione. Di seguito se ne presenta una breve descrizione.
a. La necessità della programmazione. Diversi studi internazionali hanno messo
in evidenza che in molti Paesi le iniziative di semplificazione si siano trasformate in
veri e propri programmi di governo grazie all’utilizzo di strumenti quantitativi di
misurazione54.
Del resto è evidente che questi strumenti, come la MOA, impongono
all’amministrazione di adottare meccanismi stabili e duraturi che richiedono il concorso
di competenze specialistiche tra loro diverse che si avvalgono di strutture complesse
finendo, in tal modo, per alimentare il cd. paradosso della semplificazione ovvero che
per semplificare occorre adottare meccanismi che complicano.
53 F. Patroni Griffi, La semplificazione amministrativa, intervento al convegno "Il sistema
amministrativo a dieci anni dalla riforma Bassanini", 31 gennaio 2008 - Università di Roma 3. 54 Esistono numerosi lavori dell’OCSE su queste tematiche, tra cui rilevano il Rapporto OCSE
2003 “From Red Tape to Smart Tape” e gli studi del 2006 e 2007: “Cutting Red Tape: National Strategies for Administrative implification” e “Cutting red tape: Comparing administrative burdens across countries”. Più di recente si veda Cutting Red Tape - Why is Administrative Simplification so Complicated? - Looking beyond 2010.
33
A prescindere dal rischio del paradosso della semplificazione, è indubbio che la
misurazione degli oneri abbia contribuito a far condividere ed accettare l’idea che la
politica di semplificazione possa essere al meglio perseguita quando inquadrata
all’interno di un processo istituzionalizzato di policy ovvero sia basata sulla raccolta
delle informazioni, sul richiamo dell’attenzione del pubblico, sulla formazione di un
consenso politico e, da ultimo, sull’elaborazione concreta del progetto di
semplificazione alla luce delle informazioni raccolte ed elaborate.
Questo approccio definito come case-by-case approach si contrappone al
generic approach basato sull’adozione di singoli atti normativi di contenuto generale
aventi l’ambizione di migliorare la regolazione amministrativa nei diversi settori
contemporaneamente, come accaduto in Italia con le politiche di semplificazione degli
anni Novanta55.
Pertanto, l’approccio “per casi” enfatizza la necessità della progettazione della
semplificazione come esercizio unitario di diverse funzioni pubbliche quali quelle di
pianificazione, concertazione, valutazione ecc. Ciò comporta l’abbandono della logica
di eccezionalità e sperimentazione della semplificazione a favore di un approccio
olistico, radicato all’interno delle politiche di qualità della regolazione e indirizzato al
raggiungimento di obiettivi quantitativi sul lungo termine attraverso un’attività di
pianificazione strategica, che dia omogeneità e coordinamento agli interventi.
b. L’attenzione alla prassi come fattore di complicazione. La misurazione degli
oneri ha aumentato la consapevolezza della valenza economica della regolazione
mettendo a fuoco gli effetti concreti delle regolazioni di settore (imprese coinvolte,
modalità di adempimento degli obblighi, ecc.). Più in generale, essa ha consentito di
evidenziare le principali caratteristiche del sistema di regolazione e della struttura dei
mercati, permettendo di identificarne alcuni nodi critici nel rapporto tra cittadini e
pubblica amministrazione. Tra questi, riveste una particolare rilevanza la prassi
amministrativa.
Infatti, la misurazione degli oneri ha fatto emergere che il costo sostenuto
dall’utente per richiedere e ottenere l’azione amministrativa è determinata solo in
55 La ricostruzione di questi due approcci è stata fatta da Bernardo Giorgio Mattarella; a tal fine
si veda B.G. Mattarella, La semplificazione per la ripresa economica, in G. Vesperini (a cura di), Che fine ha fatto la semplificazione amministrativa?, Università degli studi della Tuscia, 2006, p. 66.
34
minima parte dalle norme; sempre più rilevante è il peso delle prassi operative che nel
tempo si sono consolidate e che, sovente, scavalcano le stesse regole. In questa
prospettiva la semplificazione procedimentale, seppur pensata e scritta nel migliore dei
modi dal legislatore, può essere vanificata dall’applicazione che in concreto ne viene
fatta dalle singole amministrazioni in cui si combinano diversamente vincoli
amministrativi, risorse umane e tecnologiche, abitudini cognitive e specifiche
esperienze professionali. La MOA, dunque, ha dimostrato di cogliere l’essenza delle
procedure evidenziando i problemi legati alle modalità concrete di adempimento dei
singoli obblighi da parte degli utenti che sovente si annidano tra i dati tecnici, i formuli
e i modulari (spesso disomogenei anche tra comuni appartenenti alla stessa provincia)
necessari alla presentazione delle richieste di autorizzazioni, ovvero tra le prassi
procedurali che richiedono informazioni o documentazione ulteriori rispetto a quanto
previsto dalla normativa.
La consapevolezza del peso degli oneri documentali e del contributo dato dalla
prassi nel definire il costo complessivo delle procedure oggetto di misurazione, ha
guidato anche il contenuto delle strategie di semplificazione che negli ultimi tempi
risultano principalmente orientate verso la strada dell’eliminazione e della riduzione. Si
è trattato, infatti, di privilegiare innanzitutto quelle tecniche in grado di ridurre gli oneri
documentali gravanti sui cittadini tramite la soppressione delle richieste inutili,
ridondanti o eccessive. In questa direzione, ad esempio, si sono mosse le
semplificazioni che hanno previsto l’unificazione di comunicazioni diverse (ad esempio
le comunicazioni contributive, retributive e fiscali unificate nel Documento tecnico per
la compilazione dei flussi delle denunce retributive e contributive individuali mensili -
Uniemens); oppure la riduzione del numero di adempimenti, ovvero del numero di
copie, richiesti in capo al privato; oppure l’eliminazione di richieste di informazioni che
possono essere acquisite d’ufficio (si pensi alla certificazione antimafia o al DURC); o
ancora la sostituzione di un adempimento (ad esempio richiesta di pareri di conformità)
con una dichiarazione sostitutiva di un tecnico abilitato.
c. Differenziazione e proporzionalità delle misure. La misurazione degli oneri
amministrativi ha fornito un ulteriore elemento conoscitivo utile a indirizzare le
politiche di semplificazione ovvero l’esistenza di una normativa i cui adempimenti
35
amministrativi non sono proporzionali in relazione alla dimensione, al settore di attività
delle imprese e, soprattutto, alle effettive esigenze di tutela degli interessi pubblici.
Così, ad esempio, si è avuto modo di verificare e misurare che la richiesta per il rilascio
di un titolo autorizzatorio per lo svolgimento di un’attività produttiva prevede stessi
oneri informativi e procedimentali a prescindere dalla dimensione dell’impresa
richiedente. Il dato è risultato particolarmente significativo poiché non solo delinea un
quadro normativo orientato principalmente agli adempimenti formali e burocratici,
piuttosto che a quelli sostanziali, ma anche adempimenti indifferenziati nei destinatari
che quindi gravano in modo sproporzionato sulle diverse categorie di utenti e in
particolare sulle piccole e medie imprese che rappresentano il principale tessuto
imprenditoriale nazionale. La semplificazione si realizza identificando ed esentando
quei gruppi di destinatari – a volte anche sostanziosi – inutilmente e
indiscriminatamente assoggettati agli obblighi informativi. In questa direzione è
ascrivibile la previsione di procedure agevolate per determinate categorie di soggetti, gli
operatori economici autorizzati (OEA), al momento di subire controlli doganali. Tali
soggetti, individuati in base alle loro credenziali ed alla proporzionalità ai rischi contro
la sicurezza generale, oltre a godere di diritti di precedenza rispetto ad altri operatori,
possono, fra l’altro, usufruire della cd. procedura domiciliata, grazie alla quale possono
subire il controllo doganale delle loro merci in transito presso il proprio domicilio,
secondo un calendario concordato in anticipo.
Ancora troppo poco rilevanti, invece, le strategie che prevedono la
reingegnerizzazione del procedimento in chiave tecnologica. Più sovente, infatti,
l’informatizzazione riguarda esclusivamente il rapporto cittadino-pubblica
amministrazione (ad esempio tramite la digitalizzazione della richiesta da inviare
all’amministrazione) lasciando a quest’ultima la decisione di gestire le informazioni che
riceve o tramite i consueti meccanismi cartacei (archiviazione e gestione della pratica)
oppure, nei contesti più avanzati, tramite software in grado di telematizzare e gestire on
line il flusso documentale. Un esempio di quest’ultimo tipo è fornito dal Modello Unico
(MUDE) in materia edilizia adottato dal Piemonte. Si tratta di uno strumento telematico
finalizzato a semplificare la redazione, da parte di cittadini e professionisti, di pratiche
edilizie da presentare ai Comuni, sia adottando una modulistica unificata concordata
quale modello ufficiale della Regione, sia introducendo la gestione digitale delle
36
pratiche ricevute. Il MUDE, infatti, prevede la progressiva dematerializzazione delle
pratiche edilizie – istanze, moduli e allegati – da presentare allo Sportello Unico
dell’edilizia56.
d. Il contributo delle consultazioni nel processo di semplificazione. Il terzo
aspetto che caratterizza l’attuale politica di semplificazione è il riconoscimento
fondamentale attribuito alle consultazioni. Come noto, l’impiego di procedure che
consentano l’inclusione degli stakeholders nei processi regolatori è raccomandato dai
principali organismi internazionali di cui fa parte l’Italia. La Commissione europea, nel
suo Libro bianco sulla governance (2001), ritiene che l’ampia partecipazione lungo tutto
il percorso di elaborazione delle misure regolatorie sia uno dei principi fondanti della
qualità della regolazione. Analogamente il rapporto Mandelkern, con riferimento alla
semplificazione amministrativa, aveva già nel 2002 raccomandato il coinvolgimento dei
destinatari delle regole da semplificare sia nella fase della definizione dei programmi di
semplificazione, sia in quella della loro realizzazione.
Anche in ragione di tali raccomandazioni, l’attuale politica di semplificazione si
sviluppa grazie ad un dialogo continuo con i diretti destinatari della norma, le
associazioni di categoria, i portatori di interesse, i cittadini e le amministrazioni
pubbliche. Al rafforzamento di tale dialogo ha contribuito sicuramente il ricorso
strutturale alla misurazione degli oneri amministrativi che richiede la partecipazione dei
diretti destinatari della norma in tutte le fasi in cui essa si articola.
Come stato evidenziato in precedenza, infatti, l’intero processo di misurazione si
basa sul coinvolgimento di diversi soggetti che hanno precisa contezza delle norme
analizzate e del modo in cui gli oneri, da queste dipesi, colpiscono le attività produttive.
In questo modo, i risultati quantitativi e qualitativi della misurazione risultano essere
costantemente valutati e validati. I principali soggetti coinvolti sono gli esperti di
settore, le associazioni imprenditoriali e le amministrazioni pubbliche. Gli esperti di
settore forniscono un fondamentale supporto all’attività di misurazione, in quanto
possono valutare meglio di altri, conoscendo la disciplina in esame e gli effetti sortiti da
56 Il progetto è stato avviato in Piemonte a seguito di una sperimentazione seguita dal Comune di
Torino. A oggi i comuni che hanno aderito all’iniziativa sono 67, di cui tre (Torino, Settimo e Vercelli) oggetto della presente mappatura. La dematerializzazione risulta già attiva per le richieste di rilascio di SCIA, Comunicazione inizio lavori (CIL) e DIA alternativa la permesso di costruire (ovvero Super-DIA). Il portale telematico non è invece ancora disponibile per l’istanza del rilascio del permesso a costruire; per quest’ultimo sono ancora necessari i moduli cartacei disponibili presso le amministrazioni locali.
37
questa, l’effettiva rilevanza degli obblighi informativi individuati con la mappatura,
nonché la corretta, e quanto più possibile veritiera, definizione dei parametri di costo.
Le associazioni di imprese non solo possiedono una vasta conoscenza delle
problematiche legate all’adempimento delle attività amministrative originate da obblighi
informativi, ma sono soprattutto i principali beneficiari dell’eventuale riduzione degli
oneri amministrativi, in quanto portatori di interessi, o stakeholders; la consultazione
dei loro rappresentanti avviene in tutte le fasi del processo di misurazione, dalla verifica
della correttezza e completezza della mappatura alla leggibilità del questionario, nonché
nella fase di pianificazione delle ipotesi di riduzione, una volta terminata la
misurazione. Gli altri soggetti che dispongono di dettagliate conoscenze, relative alle
aree di regolazione oggetto d’indagine, sono le amministrazioni pubbliche deputate alla
cura dell’interesse tutelato dalla regolazione. Pertanto, la MOA garantisce la
consultazione degli stakeholders nella definizione preliminare delle aree di intervento
da misurare; durante la misurazione sia per validare la mappatura degli obblighi
informativi, sia per stimare i costi associati a ciascun di essi; ma anche in occasione
dell’individuazione delle misure di semplificazione da adottare per ridurre gli obblighi
rilevati. L’attività di misurazione ha dimostrato che consultare gli interessati consente di
poggiare l’attività di semplificazione amministrativa su basi empiriche e di costruirla in
modo che risponda ai bisogni da loro espressi. Gli obiettivi del coinvolgimento possono
essere molteplici: incrementare o migliorare le informazioni a disposizione dei decisori,
potenziare la legittimità democratica delle decisioni, o aumentare le probabilità che la
decisione sia effettivamente implementata, se l’implementazione richiede l’impegno di
categorie o attori sociali.
5. L’amministrazione della semplificazione: una panoramica sulle regioni
Se la politica di semplificazione può essere al meglio perseguita quando si
inquadra all’interno di un processo istituzionalizzato di policy, è evidente che è
necessario introdurre azioni di supporto, di formazione, di assistenza che, anche grazie a
progetti mirati e a percorsi di sperimentazione, facciano permeare e far accettare – in
modo stabile – la cultura della semplificazione sia all’interno dell’amministrazione, sia
all’esterno di essa, sia nei suoi rapporti con gli utenti finali (cittadini e imprese).
38
A tal fine, è essenziale verificare il grado e il tipo di coinvolgimento dei soggetti
istituzionali – politici e amministrativi – alla strategia di semplificazione; il loro
contributo, infatti, può diventare elemento cruciale per la buona riuscita della
istituzionalizzazione della politica di semplificazione.
In questa direzione si è mossa una recente ricerca promossa dal FormezPA che,
in occasione della verifica dello stato di attuazione a livello regionale della legge 18
giugno 2009, n. 69, ha evidenziato, anche in linea alle direttive OCSE57, che le politiche
di semplificazione hanno una maggiore possibilità di diventare sistema se concorrono
quattro elementi di carattere istituzionale-organizzativo, ossia: 1. “l’esistenza di una
leadership politica forte in grado di dare impulso, coerenza e continuità alle azioni di
semplificazione; 2. un sistema di governance interna, che renda possibile progettare e
realizzare un programma pluriennale di intervento a carattere trasversale, ad esempio,
attraverso l’introduzione di forme di coordinamento tra gli uffici o strutture che con
varie competenze intervengono sulle politiche di semplificazione; 3. un’unità operativa
dedicata alla semplificazione; 4. un sistema di governance esterna che consenta di
impostare su basi nuove i rapporti di collaborazione con i privati e gli utenti della
pubblica amministrazione”58.
È evidente che la necessità di coagulare, anche in ambito regionale e locale, la
politica di semplificazione intorno ad un’amministrazione stabile è mutuata
dall’esperienza nazionale che, come noto, da più di una decina di anni, ha adottato
diverse soluzioni politiche e amministrative che hanno determinato soluzioni
frammentate e periodiche oscillazioni sia nell’allocazione delle funzioni 59 , sia
57 Cfr. OCSE, Better Regulation in Europe: Italy 2012, 12.3.2012. 58 A. Calderozzi, Un modello organizzativo per le politiche di semplificazione, in FormezPA,
L’attuazione nelle Regioni e negli Enti Locali della Legge 69/2009, 2010, p. 59. 59 La ricostruzione dell’ evoluzione dell’ allocazione delle competenze in materia di
semplificazione evidenzia notevoli oscillazioni. Nella XIII legislatura le politiche di semplificazione hanno avuto una forte leadership incardinata nella Presidenza del Consiglio e nel ruolo del Ministro della Funzione Pubblica. Nel corso della XIV legislatura, invece, il potere di iniziativa sulla semplificazione e sul riassetto normativo è stato affidato ai singoli Ministeri nelle materie di loro competenza, fatti salvi i poteri di indirizzo e coordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri (art.1, comma 9, Legge n. 229/2003). Il problema del coordinamento tra i vari Ministeri è stato successivamente affrontato alla fine della XIV legislatura con la previsione del Comitato interministeriale per l'indirizzo e la guida strategica delle politiche di semplificazione e di qualità della regolazione (art. 1 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 9 marzo 2006, n. 80), istituito solo nella XV legislatura. Nell’ ultima legislatura le competenze vengono frammentate tra il Ministro per semplificazione normativa, cui sono affidate anche funzioni di coordinamento, indirizzo, promozione, mentre al Ministro per la pubblica Amministrazione e l’innovazione restano le funzioni in materia di semplificazione amministrativa. Dal dicembre del 2011, infine, le competenze in materia di semplificazione
39
nell’affidamento delle competenze tra le strutture amministrative appositamente
dedicate alla semplificazione 60.
Con riferimento esclusivo all’ambito regionale, va rilevato che le Regioni stanno
progressivamente ponendo attenzione al tema dell’amministrazione della
semplificazione sia con riferimento alla direzione politica sia a quella amministrativa.
Con riferimento al profilo politico, ad esempio, alcune Regioni hanno
individuato un responsabile politico specifico della semplificazione, quale ad esempio
un assessore dedicato che, in tal modo, diventa responsabile nei confronti degli utenti
elettori della buona gestione delle politiche di semplificazione che devono in concreto
essere intraprese dalla struttura amministrativa ad esso affidato. Più di frequente, il
responsabile politico risulta essere il Presidente della giunta che trattiene la delega alla
semplificazione per agire più facilmente sulla regia dei processi amministrativi afferenti
alle diverse direzioni; residuano invece le ipotesi in cui la delega alla semplificazione
viene affidata ad Assessori con competenze diverse (vedi tab. VI).
amministrativa e normativa sono state riunificate sotto la guida di un unico Ministro. A fianco del ruolo svolto dalla Presidenza del Consiglio spicca, tra i Ministeri di settori, il Ministero dello Sviluppo Economico che svolge un ruolo in materia di Sportello Unico, di attuazione dello Small Business Act e, più in generale, di promozione della semplificazione per le imprese.
60 La legge n. 50 del 1999 istituisce il "Nucleo per la Semplificazione delle Norme e delle Procedure", composto da 25 esperti dotati di elevata professionalità e da una segreteria tecnica, con il compito di supportare gli uffici legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministro per la funzione pubblica nell'attuazione dei processi di delegificazione, semplificazione e riordino. Il Nucleo è stato abolito dall'art. 11 della legge 6 luglio 2002, n. 137 che ha contestualmente previsto l'istituzione di un Ufficio per l'attività normativa ed amministrativa di semplificazione delle norme e delle procedure presso il Dipartimento della funzione pubblica e di un servizio dedicato all’AIR presso il DAGL, che sono ancora operativi, e un contingente di 18 esperti. Nel 2006, è istituita Commissione per la semplificazione e la qualità della regolazione a supporto del “Comitato Interministeriale per l’Indirizzo e la Guida Strategica delle Politiche di Semplificazione e di Qualità della Regolazione”. Con l’avvio della XVI legislatura la Commissione, viene soppressa e istituita l’Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione collocata presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (art. 1, c. 22-bis, D.L. 18 maggio 2006, n. 181, convertito con legge 17 luglio 2006, n. 233). L’Unità, che è composta da esperti e si avvale di una Segreteria Tecnica, è coordinata dal Capo del DAGL e presieduta dal Sottosegretario alla Presidenza, mentre le attività di semplificazione amministrativa e di misurazione degli oneri sono coordinate dall’Ufficio per la semplificazione del dipartimento della Funzione Pubblica. Con l’avvio della presente legislatura, l’Unità per la semplificazione è stata posta a supporto del Ministro per la semplificazione normativa, il quale poteva avvalersi anche della relativa segreteria tecnica, nonché di una apposita struttura di missione. Per quanto concerne la semplificazione amministrativa, l’'Ufficio per la semplificazione del Dipartimento della Funzione Pubblica, promuove e coordina le relative attività e quelle finalizzate a misurare e ridurre i costi amministrativi gravanti su imprese e cittadini attraverso interventi normativi, amministrativi, organizzativi e tecnologici; coordina i rapporti con le Regioni e gli enti locali ai fini dell'adozione di metodologie comuni e del coordinamento delle iniziative di semplificazione e la consultazione dei cittadini e delle imprese. A partire dal 2011 le strutture sono riunificate sotto la guida del Ministro per la PA e la semplificazione. L'Unità per la semplificazione è collocata presso il Dipartimento per le Riforme Istituzionali.
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Tab. VI: leadership politica nelle Regioni. Individuazione delle strutture a cui è affidata la funzione semplificazione amministrativa
Abruzzo Assessorato Politiche agricole e di Sviluppo
rurale, forestale, Caccia e Pesca che ha la delega “Posizione di Staff decentramento e semplificazione.
Lombardia Assessorato all’Economia, Crescita e Semplificazione
Basilicata Non risulta una delega specifica. La politica di semplificazione viene guidata direttamente dalla Presidenza della giunta.
Marche Assessorato alle attività produttive
Campania Non risulta una delega specifica. La politica di semplificazione viene guidata direttamente dalla Presidenza della giunta.
Piemonte Assessore agli Affari istituzionali, controllo di gestione e trasparenza amministrativa, promozione della sicurezza e polizia locale, enti locali, rapporti con l’Università, Semplificazione
Calabria Non risulta una delega specifica. La politica di semplificazione viene guidata direttamente dalla Presidenza della giunta
Puglia Assessore Affari istituzionali e Semplificazione
Emilia Romagna
La delega alla semplificazione è stata affidata al Vicepresidente della Giunta regionale (con delega alle Finanze, Europa, cooperazione con il sistema delle autonomie, valorizzazione della montagna, regolazione dei servizi pubblici locali, semplificazione e trasparenza, politiche per la sicurezza). La legge regionale di semplificazione ( 7 dicembre 2011, n. 18) ha istituito il Tavolo permanente per la semplificazione.
Sicilia Assessorato alle Autonomie locali e alla Funzione Pubblica
Friuli Venezia Giulia
Assessorato alla Funzione pubblica, autonomie locali e coordinamento delle riforme
Toscana Delega all’attuazione della politica di e-government al Vice presidente della Giunta Regionale
Lazio
Assessorato alla Semplificazione, trasparenza e pari opportunità
Umbria Assessorato risorse e semplificazione
Liguria Non risulta una delega specifica. La politica di semplificazione viene guidata direttamente dalla Presidenza della giunta
Se il sostegno politico alla iniziativa di semplificazione è considerato
fondamentale per garantire l’avvio ed evitare il rallentamento o il blocco della policy, è
tuttavia evidente che esso rischia di essere soggetto al breve ciclo dell’attenzione
proprio della vita politica. Per questo è necessario individuare un responsabile
amministrativo che dia attuazione agli indirizzi politici anche tramite la progettazione e
la realizzazione di un programma pluriennale di intervento a carattere trasversale grazie
al coordinamento delle diverse direzioni interessate. L’esistenza di una rete
istituzionalizzata tra uffici rappresenta, dunque, una condizione essenziale sia per la
programmazione, sia per l’implementazione – in modo efficace e continuativo nel
tempo – delle politiche di semplificazione.
In realtà il panorama delle strutture amministrative dedicate appare ad oggi
particolarmente variegato. Ad esempio, “possono essere attivati gruppi di lavoro con
referenti di diversi dipartimenti, gruppi di miglioramento e ascolto organizzativo, con
41
l’obiettivo di coinvolgere attivamente il personale nel processo di rilevazione dei
problemi e di predisposizione e messa in atto dei miglioramenti, tavoli periodici per
condividere i progetti”61 (vedi Tab. VII).
Tab. VII: Strutture amministrative dedicate alla semplificazione previste in ambito regionale
Abruzzo Direzione Riforme Istituzionali - Enti Locali - Bilancio - Attività Sportive. Si parla di innovazione amministrativa ma non figura la semplificazione
Lombardia
Direzione regionale per la Semplificazione e la Digitalizzazione
Basilicata Ufficio Affari Legislativi e Qualità della Normazione
Marche
Direzione alla semplificazione ma è all’interno della direzione Artigianato e industria.
Campania Non individuabile dal sito della Regione Piemonte Direzione regionale affari istituzionali e Avvocatura Osservatorio sulla Riforma amministrativa: è affiancato da un Comitato tecnico ristretto costituito da otto dirigenti e funzionari
Calabria Task force regionale per la semplificazione regionale
Puglia Area di Coordinamento Organizzazione e riforma dell'amministrazione
Emilia Romagna
Direzione Affari Istituzionali e legislativi. Nucleo tecnico per la semplificazione delle norme e delle procedure
Sicilia Dipartimento regionale della Funzione Pubblica e del personale Task Force per la misurazione degli oneri amministrativi
Friuli V.G. Servizio regionale “Legislazione e semplificazione” per il Progetto Qualità
Toscana Osservatorio interregionale per la semplificazione
Lazio
Area semplificazione degli interventi per le PMI
Umbria Cabina di regia: Direttore generale + Comitato di Attuazione+Gruppo scientifico
Liguria
Settore Coordinamento legislativo e Processi di semplificazione
Veneto Non individuabile dal sito della Regione
Lombardia
Direzione regionale per la Semplificazione e la Digitalizzazione
Marche
Direzione alla semplificazione all’interno della direzione Artigianato e industria.
Abruzzo Direzione Riforme Istituzionali - Enti Locali - Bilancio - Attività Sportive. Si parla di innovazione amministrativa ma non figura la semplificazione
Lombardia
Direzione regionale per la Semplificazione e la Digitalizzazione
Da ultimo si segnala che l’adeguamento dei modelli organizzativi in modo
orientato alla semplificazione presuppone un’azione dal basso (bottom-up), grazie allo
sviluppo di una sensibilità diffusa verso un governo complessivo, unitario e condiviso
delle politiche di semplificazione.
Questo processo di diffusione è stato, in alcuni casi, promossa da una politica bi-
partisan e non ideologica, attenta ad assicurare un raccordo continuo e un’azione di
sistema per attuare le linee di lavoro e utilizzare gli strumenti per la semplificazione. È
questo il caso della Regione Emilia Romagna che con la l.r. 7 dicembre 2011, n. 18 ha
61 A. Calderozzi, Un modello organizzativo, cit. p. 61.
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adottato un sistema organizzativo stabile caratterizzato da tre livelli: il primo, di
indirizzo, è il “tavolo permanente per la semplificazione”62; il secondo, di supporto
tecnico, è il “nucleo per la semplificazione delle norme e delle procedure”63; il terzo, di
controllo, è la “sessione annuale dell’assemblea legislativa appositamente dedicata alla
semplificazione”.
In altri casi, invece, la modifica organizzativa necessaria ad attuare la politica di
semplificazione è stata accompagnata da un’intensa attività di tutorship ovvero di
supporto, di formazione e di sostegno. In particolare, rileva l’attività svolta negli ultimi
venti anni dal FormezPA nell’ambito dell’attuazione della politica regionale di coesione
economica e sociale dell’Unione europea. Infatti, il FormezPA ha avviato con le
Regioni dell’Obiettivo “Convergenza” (Puglia, Calabria, Campania, Sicilia, Basilicata)
una sistematica e proficua attività di consulenza per sostenere e coadiuvare il percorso
di semplificazione regionale adattandolo alle diverse condizioni istituzionali di partenza.
Lo svolgimento di tali attività ha favorito lo scambio di esperienze e buone pratiche e
ha, altresì, assicurato un confronto tra tutte le Regioni contribuendo all’innalzamento
complessivo dell’attenzione ai temi della semplificazione.
Anche con riferimento al processo di estensione della MOA, il FormezPA, su
indicazione del Dipartimento della funzione pubblica, ha promosso due progetti pilota.
Il primo, concluso nel 2008, ha previsto una prima sperimentazione della MOA presso
quattro regioni del centro-nord (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria e
Toscana). Il secondo, realizzato nell'ambito del Pon Governance e azioni di sistema
(FSE) e tuttora in corso, prevede una diffusione del metodo presso le regioni
dell'Obiettivo convergenza.
62 In base all’art. 4 della legge regionale il Tavolo definisce in via permanente gli ambiti oggetto
di intervento da proporre all’assemblea legislativa in occasione delle sessioni annuali di semplificazione, avvalendosi del supporto tecnico del nucleo. Ne fanno parte la Regione Emilia Romagna (vice presidente e sottosegretario alla Presidenza della Giunta), il consiglio delle autonomie locali e le associazioni degli enti locali (ANCI, UPI, UNCEM, Legautonomie); Unioncamere; il Tavolo imprenditoria; CGIL, CISL, UIL, UGL. Nel tavolo i soggetti coinvolti identificano i procedimenti amministrativi che presentano maggiori problemi e formulano proposte da proporre alla sessione assembleare per la semplificazione.
63 Il Nucleo garantisce la rappresentanza tecnica delle autonomie locali. È costituito da: il sottosegretario alla presidenza della Giunta regionale con funzioni di coordinamento; la cui composizione e le modalità di funzionamento devono garantire la rappresentanza tecnica delle autonomie locali. Ne fanno parte i dirigenti e funzionari della Direzione Generale Centrale agli Affari Istituzionali e Legislativi della Giunta regionale, i funzionari regionali ai quali sono state conferite le Posizioni organizzative per la semplificazione e i dirigenti e funzionari degli enti locali individuati su proposta del Consiglio delle autonomie locali e delle Associazioni delle autonomie locali. A sua volta il Nucleo tecnico è suddiviso in Gruppi tecnici tematici.
43
6. Le prospettive: la necessità di gestire le complicazioni della
semplificazione
Nonostante i diversi obiettivi perseguiti, anche in termini di riduzione degli oneri
gravanti sulle imprese, e la diffusa consapevolezza del ruolo della semplificazione come
uno dei modi con cui si realizza la più generale riforma dell’amministrazione, è fuori
dubbio che esistono ancora diversi profili problematici che, se non accuratamente
gestiti, finiscono per rappresentare ulteriori fattori di complicazione che possono finire
per vanificare gli obiettivi stessi della semplificazione.
Rispetto agli anni passati, tuttavia, appare oggi più matura la consapevolezza
della necessità di gestire tali aspetti di complessità, in alcuni casi ineliminabili poiché
dovuti alla struttura istituzionale del nostro ordinamento giuridico; è proprio tale
consapevolezza che rappresenta il “germe” necessario a rendere la semplificazione un
processo duraturo nel tempo in grado di riformare concretamente l’amministrazione
rendendola più semplice ed efficiente.
Di seguito sono individuate alcuni tra i più rilevanti aspetti di complessità e,
laddove possibile, le soluzioni fino ad ora adottate per farvi fronte.
Il primo fattore di complicazione è rappresentato dalla stratificazione di
competenze tra ambito nazionale, regionale e locale considerato che le procedure di
maggiore impatto per le imprese e i cittadini sono nella sfera di attribuzione delle
Regioni e degli Enti locali, o comunque sono svolte nell’ambito delle competenze
amministrative ad essi attribuite. Tale fattore di complicazione aumenta, da un lato, il
rischio di politiche di semplificazione regionali “a macchia di leopardo” che
contribuiscono inevitabilmente ad aggravare la complessità normativa e la
comprensione degli adempimenti che l’utente deve rispettare; dall’altro, la conflittualità
tra i livelli di governo non essendo sempre chiaro quale disciplina debba prevalere. Un
esempio del primo rischio è fornito dalla diversa modalità con cui le Regioni hanno
disciplinato i regimi autorizzatori in materia edilizia. La Regione Lombardia, ad
esempio, con la l.r. n. 12 del 2005 «legge per il governo del territorio» ha previsto un
ambito di applicazione della cd. super DIA - già avviata in fase sperimentale con la l.r.
n. 22 del 1999 – particolarmente estensiva. L’articolo 41, comma 1, della legge n. 12
del 2005, infatti, stabilisce il principio della “alternatività tra permesso a costruire e
super-DIA per tutte categorie di intervento”, ad eccezione delle seguenti due ipotesi
44
soggette unicamente a permesso a costruire: a) interventi edificatori relativi alla
realizzazione di nuovi fabbricati nelle aree destinate all'agricoltura (art. 60); b)i
mutamenti di destinazione d'uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di
opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri
sociali (art. 52, c. 3-bis). Altre Regioni, invece, hanno provveduto a disciplinare la super
DIA in modo diverso.
Un esempio del secondo rischio, è invece fornito dalla disciplina legislativa della
regione Puglia avente ad oggetto il titolo autorizzatorio per l’avvio di impianti di
fotovoltaico. In questo caso la legge regionale n. 31 del 2008 ha esteso l’applicabilità
del regime semplificato della DIA agli impianti fotovoltaici con potenza nominale fino
a 1 MW derogando, in tal modo, alle previsioni fissate dal d.lgs. n. 387 del 2003. La
disposizione è stato dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale64. Infatti, la Corte
riconosce la necessità di riservare la scelta in merito all‘applicabilità della procedura
semplificata di DIA alla legislazione di principio dello Stato in materia di "produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia", per via della chiamata in sussidiarietà
dello Stato, per esigenze di uniformità, di funzioni amministrative relative ai problemi
energetici di livello nazionale; ciò anche riguardo alla valutazione dell’entità delle
trasformazioni che l’installazione dell’impianto determina, ai fini dell’eventuale
adozione di procedure semplificate.
Per affrontare questa complicazione sono stati adottati appositi accordi in sede di
Conferenza Unificata per favorire, secondo il principio di leale collaborazione, il
coordinamento delle politiche di semplificazione a livello statale e regionale. In
particolare sono stati sanciti due accordi nel 2007 e nel 2011. Il primo, è rimasto
largamente inapplicato. Il secondo, finalizzato all’attuazione del d.l. n. 5 del 2012, ha
dato vita ad un’intensa attività svolta dal tavoli tecnici per l’istruttoria
dell’autorizzazione unica ambientale, delle nuove disposizioni in materia di sportello
unico per l’edilizia, delle linee guida sui controlli e per la realizzazione congiunta della
misurazione degli oneri amministrativi nell’area edilizia.
Il secondo fattore di complicazione è rappresentato dalla difficoltà di adottare in
modo sistematico una visione ciclica e olistica delle politiche di semplificazione che
64 Cfr. Corte Costituzionale , sentenza 26.03.2010 n. 119.
45
consentirebbe di utilizzare più facilmente la leva organizzativa e tecnologica in aggiunta
a quella, ancora prevalente, normativa. Ne fornisce un esempio sia il fallimento del
sistema delle leggi annuali di semplificazione e del Piano nazionale di semplificazione
normativa, sia il ricorso sistematico alla decretazione d’urgenza che finisce per essere
privilegiata al normale iter parlamentare. In quest’ultima prospettiva, si consideri
quanto accaduto al disegno di legge “Disposizioni in materia di semplificazione dei
rapporti della Pubblica Amministrazione con cittadini e imprese e delega al Governo per
l'emanazione della Carta dei doveri delle amministrazioni pubbliche e per la
codificazione in materia di pubblica amministrazione" presentato alla Camera nel marzo
del 2010. A causa del ritardo accumulato al Senato nell’analisi del provvedimento, il
Governo, tra il 2010 e il 2011, ha preferito adottare, con decreti d’urgenza, alcune delle
disposizioni di rilievo contenute nell’originale disegno65 procedendo successivamente
allo stralcio dell’intero articolato.
In realtà, l’esperienza delle leggi annuali di semplificazione, a prescindere dai
risultati in concreto ottenuti, ha senza dubbio contribuito a rafforzare la consapevolezza
della necessità di concepire la semplificazione come un processo progressivo, ciclico e
dalla prospettiva integrata. In tal senso, forniscono esempi significativi non solo
l’attenzione ancora elevata sui piani di riduzione degli oneri amministrativi da ultimo
rilanciata dal disegno di legge n. 958 approvato dal Consiglio dei Ministri del 19 giugno
2013 ma anche alcune politiche regionali che seppur con denominazioni diverse
(Programma per la misurazione degli oneri, Agenda per la semplificazione, Programma
regionale di sviluppo), presentano la comune finalità programmatica e organizzativa.
Un terzo fattore di complicazione è rappresentato dalla scarsa attenzione che la
semplificazione amministrativa pone al dato normativo in entrata (cd. elemento flusso)
rispetto a quello esistente (cd. elemento stock). Bisogna tener conto, infatti, che anche
nei paesi nei quali la cultura della semplificazione» ha fatto maggiori progressi, sembra
invincibile la tendenza dei governi e dei parlamenti a reintrodurre quotidianamente
nuove regolazioni, nuove complicazioni burocratiche alimentando quello che è stato
acutamente definito effetto «tela di Penelope».
65 Tra l’altro, l’art. 5-bis dell’A.C. 3209-bis-A che prevedeva la riforma della conferenza dei
servizi, è confluito nell’art. 49 del d.l. n. 78 del 2010; l’art. 5-ter, in materia di VAS, è confluito nell’art. 5, c. 8, d.l. n. 70 del 2011; l’art. 1-quater, con differimento del termine di delega per il riassetto del sistema degli incentivi alle imprese, è confluito nella l. n. 129 del 2010.
46
Per attuare la semplificazione amministrativa, dunque, non basta disboscare le
norme esistenti “attributive di poteri e di funzioni amministrative non necessari”66 ma
occorre introdurre strumenti che incidono anche sul dato in entrata. Di questo avviso è
anche la Commissione europea che nella Comunicazione “EU Regulatory Fitness”67 ha
indicato la necessità di adottare strumenti ad hoc per prevenire l’introduzione di nuove
complicazioni. In attuazione di tali raccomandazioni, l’articolo 7 della l. n. 180 del 2011
(cd. Statuto delle imprese) ha previsto l’obbligo per le pubbliche amministrazioni statali
di redigere l’elenco degli oneri informativi introdotti o eliminati con ciascun atto che
regoli il rapporto con i cittadini in relazione all’accesso ai servizi pubblici o alla
concessione di benefici68.
Inoltre, sviluppando i principi contenuti nello Statuto delle imprese, il d.l n. 5 del
2012 (cd. Semplifica Italia) ha previsto, sulla base di alcune esperienze internazionali, il
bilancio degli oneri. La disposizione prevede la stima, nell’ambito della relazione AIR,
degli oneri introdotti ed eliminati e vieta di introdurre nuovi oneri senza averne
eliminati altri di pari importo stimato (procedendo ad una compensazione degli oneri).
Sulla base delle attività svolte da ciascuna amministrazione statale, la Presidenza del
consiglio dei Ministri predispone un bilancio complessivo degli oneri amministrativi
introdotti ed eliminati con gli atti normativi approvati nel corso dell’anno precedente.
Un quarto fattore di complicazione, è rappresentato della mancanza di un'unica
cabina di regia a presidio della semplificazione. L’andamento ondivago del legislatore
con riferimento al governo della semplificazione 69 che ha delineato un quadro
estremamente frammentato della guida della politica di semplificazione che oggi si
delinea essenzialmente tra la Presidenza del Consiglio, il Dipartimento della funzione
pubblica e alcuni organismi ad hoc, le cui funzioni sono state ridisegnate nel tempo in
base alle specifiche esigenze e prospettive dei diversi governi in carica. Ad essi si
aggiungono le aspettative delle amministrazioni di settore, in particolare di alcuni
Ministeri interessati alla politica di semplificazione in ragione delle competenze
66 Cfr. A. POLICE, Riflessioni sui tortuosi itinerari, cit. 67 Cfr. Commissione UE COM 2012(747)final. 68 Il d.P.C.M. 14 novembre 2012 n. 252 contiene le linee guida per la stesura e la pubblicazione
degli elenchi degli oneri introdotti e eliminati. Le linee guida contengono uno schema standard da utilizzare per la redazione dell’elenco nonché una check list che aiuta le amministrazioni a prevenire l’introduzione di oneri.
69 Per una dettagliata ricostruzione del problema dell’organizzazione politica e amministrativa e delle attribuzioni tramite le quali svolgere la politica di semplificazione si veda G. Vesperini, Il governo della semplificazione, in Giornale di diritto amministrativo, vol. 3, 2007, p. 263 ss.
47
amministrative ad essi attribuite (si pensi al ruolo del Ministero dello sviluppo
economico con riferimento allo sportello unico) che, non avendo uffici specificamente
dedicati, possono finire per contaminare le decisioni di semplificazione con interessi
ulteriori o diversi.
Un quinto fattore di complicazione è riconducibile alla scarsa cultura
dell’attuazione e del monitoraggio. Occorre, infatti, prestare maggiore attenzione alla
fase successiva all’adozione delle regole nella prospettiva di verificarne e valutarne gli
effetti e intervenire con eventuali revisioni o riforme. Del resto è necessario considerare
che molto spesso quella che per i cittadini è una semplificazione, per le amministrazioni
rappresenta un aggravio organizzativo e procedura la cui attuazione è da ostacolare70. In
assenza di attività dedicate al monitoraggio, il rischio maggiore è che le semplificazioni
diventano “slogan” al servizio della politica e dei programmi elettorali che rimangono
lettera morta (si pensi al caso di “Burocrazia zero”71) oppure vengono malamente
implementate (si pensi al caso dello Sportello unico). Risulta particolarmente
importante, dunque, curare innanzitutto l’aspetto dell’attuazione: è necessario che la
politica di semplificazione preveda un programma di indirizzo per le amministrazioni
che devono implementarla, anche in modo differenziato nei tempi e nelle modalità,
nonché indirizzare le amministrazioni, anche con programmi a passaggi progressivi, in
base alle diverse realtà di partenza. L’attività di monitoraggio, invece, consente di
verificare lo stato di attuazione e implementazione della politica di semplificazione in
70 Si pensi ad esempio al caso delle nuove norme sulle autocertificazioni che imponendo alle
amministrazioni di accettarle impongono loro anche un nuovo onere ossia quello di svolgere controlli a campione su di esse per garantirne l’attendibilità. Per fare ciò le amministrazioni hanno dovuto individuare unità di personale da formare e poi adibire ai controlli, assegnare risorse finanziare a tale attività, disciplinare procedure, stabilire rapporti con altre amministrazioni e così via. In sostanza le amministrazioni non vedono con favore questo tipo di semplificazioni perché sanno che se si elimina complessità del sistema, una parte di tale complessità rimane intatta e viene semplicemente spostata per così dire in un’altra zona del sistema stesso (G. Arena, Semplificare un processo complicato, in Semplificazione amministrativa e cittadini. La soddisfazione, le attese, le proposte, Formez, 2007, p. 15).
71 L'art. 43 d.l. 78 del 2010, convertito nella l. n.183 del 2011 prevede che nel meridione possano essere istituite zone in cui i provvedimenti concernenti nuove iniziative produttive fatta eccezione per quelli di natura tributaria, di pubblica sicurezza e di incolumità pubblica, sono adottati in via esclusiva da un Commissario di Governo, che vi provvede, ove occorre, previe apposite conferenze di servizi ai sensi della legge n. 241 del 1990; i provvedimenti conclusivi di tali procedimenti si intendono senz'altro positivamente adottati entro 30 giorni dall'avvio del procedimento se un provvedimento espresso non è adottato entro tale termine. Tale previsione, seppure temporaneamente accantonata in considerazione della dichiarazione di illegittimità costituzionale ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 232/2011, è stata nuovamente introdotta con modifiche prima dall’articolo 14 della legge n. 183 del 2011 e, più recentemente, dall’articolo 37-bis del D.L. n. 179 del 2012. Ad oggi non risultano istituite zone a burocrazia zero. Su questi aspetti si veda M. Clarich, B.G. Mattarella, Leggi più amichevoli. Sei proposte per rilanciare la crescita, in Centro Studi Confindustria, Slegare l’Italia, cit., p. 62.
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itinere e di correggere le eventuali problematicità rilevate (caso SCIA e relative
autorizzazioni preliminari).
In questa direzione si inseriscono diverse iniziative curate dall’Ufficio
semplificazione del Dipartimento della funzione pubblica; basti per tutti l’esempio del
monitoraggio sulle misure di decertificazione adottate dai comuni nel 2012. In questo
caso il monitoraggio ha avuto ad oggetto la valutazione dell’efficacia della
semplificazione, ovvero del risultato realizzato, a circa un anno di attuazione della legge
12 novembre 2011, n. 183. Il monitoraggio è stato effettuato su un campione di
ottantotto comuni selezionato sulla base di due criteri: la collocazione geografica (Italia
nord-occidentale, nord-orientale, centrale, meridionale, insulare) e il numero di abitanti
( fino a 5.000, tra 5.001 a 20.000, tra 20.001 a 100.000, oltre 100.000). I certificati
sottoposti al monitoraggio sono stati esclusivamente quelli anagrafici e quelli di stato
civile; per questi certificati è stato chiesto ai comuni di indicare il numero di documenti
rilasciati durante un duplice periodo di osservazione ossia 1° gennaio – 30 aprile 2012 e
1°maggio – 30 ottobre 2012. A seguito delle risposte ottenute è stata evidenziata una
riduzione del 54% dei certificati anagrafici rilasciati nei primi quattro mesi del rispetto a
quelli rilasciati nello stesso periodo dell’anno precedente passando così da una media di
0,53 certificati per abitante nel 2011 (1 ogni 2 anni) a una media di 0,25 certificati per
abitante nel 2012 (1 ogni 4 anni). Per i certificati di stato civile, invece, la riduzione è
stata del 37%.
Un sesto elemento di complicazione è rappresentato dalla difficile convivenza
tra il principio della semplificazione e altri principi che caratterizzano l’azione
amministrativa, in particolare, la disciplina dei controlli sulle imprese e la concorrenza.
Con riferimento al tema dei controlli, la misurazione degli oneri amministrativi
ha consentito di ben evidenziare il ricorso sistematico del legislatore italiano agli
adempimenti burocratici e documentali considerati necessari alla tutela dell’interesse
pubblico. Il ricorso a questi adempimenti cela la sfiducia del legislatore e, più in
generale, dell’amministrazione verso le imprese determinando un rapporto tra
quest’ultime e la PA basato principalmente sul controllo ex ante (con il rilascio di titoli
autorizzatori) e sulle richieste di numerose informazioni necessarie all’amministrazione
per controllarne l’attività svolta. Questa prospettiva, che spiega lo scarso ricorso alle
tecniche di liberalizzazione nel nostro ordinamento giuridico, trova giustificazione
49
nell’idea che la semplificazione porti con se il rischio di compromissione dell’interesse
pubblico e quindi debba essere scarsamente utilizzata, o addirittura non applicata, in
determinati settori regolatori. In realtà questa prospettiva non tiene in debita
considerazione il tipo di obbligo che viene imposto alle imprese che, come ribadito, è
spesso di tipo documentale e non sostanziale. In questa prospettiva la semplificazione
consente di liberare risorse proprio a favore del controllo poiché consente alle
amministrazioni controllanti di dedicare maggiore attenzione ai profili sostanziali
piuttosto che a quelli formali e documentali. I controlli, infatti, dovrebbero essere
organizzati in base al principio di proporzionalità al rischio (risk-based approach72). La
valutazione dei rischi comporta l’individuazione e la quantificazione della capacità di
arrecare danno al bene giuridico tutelato e, nel caso in cui tale capacità esista, il calcolo
delle probabilità che il danno si verifichi. Nella fase di programmazione dei controlli il
principio di proporzionalità comporta il superamento del tradizionale paradigma
metodologico basato esclusivamente su tempistiche fisse e su selezioni casuali delle
imprese da controllare. L’attività ispettiva, infatti, dovrebbe essere programmata in
modo differenziato a seconda della rischiosità delle imprese oggetto di controllo
consentendo di impiegare le risorse (spesso scarse) dove possono essere maggiormente
efficaci. In questa direzione si è mosso il d.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 in materia di
prevenzione incendi; il regolamento opera una sostanziale semplificazione degli
adempimenti amministrativi poiché, in base al principio di proporzionalità, le attività
sottoposte a controlli vengono diversificate in relazione alla dimensione, al settore in cui
opera l'impresa e all'effettiva esigenza di tutela degli interessi pubblici.
La sfida della semplificazione, dunque, diventa quella di coniugare il massimo di
semplicità per i cittadini e le imprese con l’indispensabile tutela dei fondamentali
interessi pubblici, sulla base del contemperamento tra obiettivi di garanzia e obiettivi di
snellezza dell’azione amministrativa.
72 Su questo tema si veda J. Black, R. Baldwin, When risk-based regulation aims low:
Approaches and challenges, in Regulation & Governance, vol. 6, 2012; J. Black, Forms and paradoxes of principles-based regulation, in Capital Markets Law Journal, Vol. 3, No. 4; L. Allio, L’analisi del rischio e il processo decisionale: una nuova frontiera per la better regulation?, in www.astrid.eu.
50
Appendice Tab. I Modifiche normative nel periodo 1990-2013
Istituti indicati dalla Legge 241/1990
Conferenza dei servizi (artt. 14, 14 bis, 14 ter, quater, 14 quinquies l. 241/1990)
L. 24 dicembre 1993, n. 537 D.L. 12 maggio 1995, n. 163 L. 15 maggio 1997, n. 127 L. 16 giugno 1998, n. 191, L. 24 novembre 2000, n. 340, L. 11 febbraio 2005, n. 15, L. 18 giugno 2009, n. 69, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, D.L. 13 maggio 2011, n. 70, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179.
Accordi tra amministrazioni(art. 15)
L. 11 febbraio 2005, n. 15, D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179.
Pareri (art. 16) L. 15 maggio 1997, n. 127, O.P.C.M. 8 luglio 2004, n. 3361, L. 11 febbraio 2005, n. 15, L. 18 giugno 2009, n. 69.
Valutazioni tecniche (art. 17) L. 11 febbraio 2005, n. 15. Autocertificazione (art. 18) L. 11 febbraio 2005, n. 15,
D.L. 14 marzo 2005, n. 35, D.P.R. 2 agosto 2007, n. 157.
DIA (art. 19) D.P.R. 26 aprile 1992, n. 300, L. 24 dicembre 1993, n. 537, L. 11 febbraio 2005, n. 15, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, L. 18 giugno 2009, n. 69, D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, D.L. 5 agosto 2010, n. 125, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, D.L. 13 maggio 2011, n. 70, D.L. 13 agosto 2011, n. 138, D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, D.L. 22 giugno 2012, n. 83.
Silenzio assenso (art. 20) D.P.R. 26 aprile 1992, n. 300, D.L. 30 novembre 2005, n. 245, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, L. 11 febbraio 2005, n. 15, L. 18 giugno 2009, n. 69, D.L. 5 agosto 2010, n. 125, D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195.
Istituti generati dalla 241/1990
Sportello unico (Sportello unico per le attività produttive, sportello unico per l’edilizia)
D.P.R. 20 ottobre1998, n. 447, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, D.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 (attività produttive), D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, D.L. 2006, n. 223, D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, Legge 30 luglio 2010, n. 122,
Tab. III Norme regionali in materia di semplificazione
51
ABRUZZO.
L. R. 22-02-2012, n. 9 Semplificazione delle procedure in materia di trasporto pubblico locale. L.R. 18-02-2010, n. 5 Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento giuridico regionale agli obblighi derivanti dalla direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, nonché per la semplificazione e miglioramento dell’efficacia dell’azione amministrativa della Regione e degli Enti locali per le attività aventi rilevanza economica, e per la manutenzione normativa di leggi regionali di settore. L.R. 17-07-2001, n. 27 Norme concernenti la revisione contabile e finanziaria, la semplificazione e certificazione in materia di corsi di formazione professionale a decorrere dall'anno 1997. L.R. 27-03-1998, n. 21 Attività di monitoraggio, controllo, semplificazione e trasparenza nel settore delle OO.PP con istituzione del CE.RE MO.CO. e norme sulla partecipazione alle gare d'appalto della Regione Abruzzo.
BASILICATA L.R. 09-03-2009, n. 7 Modifiche ed integrazioni alla L.R. 22 ottobre 2007, n. 18 recante: “Nuove norme in materia di snellimento e semplificazione delle procedure relative al completamento del processo di ricostruzione edilizia nella Regione Basilicata". L.R. 22-10-2007, n. 18 Nuove norme in materia di snellimento e semplificazione delle procedure relative al completamento del processo di ricostruzione edilizia nella Regione Basilicata. L.R. 14-12-1998, n. 49 Semplificazione delle procedure ed accelerazione degli interventi relativi al completamento del processo di ricostruzione edilizia.
CAMPANIA L.R. 09-10-2012, n. 29 Legge di semplificazione del sistema normativo regionale - Abrogazione di disposizioni legislative e norme urgenti in materia di contenimento della spesa. L.R. 06-07-2012, n. 15 Misure per la semplificazione, il potenziamento e la modernizzazione del sistema integrato del welfare regionale e dei servizi per la non autosufficienza. L.R. 21-05-2012, n. 12 Disposizioni legislative per la semplificazione degli adempimenti amministrativi in agricoltura. L.R. 05-01-2011, n. 1 Modifiche alla legge regionale 28 dicembre 2009, n. 19 (Misure urgenti per il rilancio economico, per la riqualificazione del patrimonio esistente, per la prevenzione del rischio sismico e per la semplificazione amministrativa) e alla legge regionale 22 dicembre 2004, n. 16 (Norme sul governo del territorio). L.R. 28-12-2009, n. 19 Misure urgenti per il rilancio economico, per la riqualificazione del patrimonio esistente, per la prevenzione del rischio sismico e per la semplificazione amministrativa. L.R. 17-10-2005, n. 17 Disposizioni per la semplificazione del procedimento amministrativo. L.R. 07-04-2004, n. 7 Modifica della legge regionale 3 dicembre 2003, n. 20, articolo 10, comma 5: "Semplificazione dell'azione amministrativa nei comuni della Regione Campania impegnati nell'opera di ricostruzione conseguente agli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981". L.R. 03-12-2003, n. 20 Semplificazione dell'azione amministrativa nei comuni della Regione Campania impegnati nell'opera di ricostruzione conseguente agli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981. L.R. 30-08-1977, n. 51 Interventi per la valorizzazione agricola del territorio e norme per la semplificazione delle procedure.
EMILIA ROMAGNA
L.R. 12-12-2011, n. 19 Istituzione del Registro Unico dei Controlli (RUC) sulle imprese agricole ed agroalimentari regionali e semplificazione degli interventi amministrativi in agricoltura. L.R. 07-12-2011, n. 18 Misure per l'attuazione degli obiettivi di semplificazione del sistema amministrativo regionale e locale. Istituzione della sessione di semplificazione. L.R. 26-11-2010, n. 11 Disposizioni per la promozione della legalità e della semplificazione nel settore edile e delle costruzioni a committenza pubblica e privata. L.R. 23-04-2009, n. 2 Regolamento di semplificazione delle commissioni e di altri organismi collegiali operanti in materia sanitaria e sociale in attuazione dell’art. 8 della legge regionale 19 febbraio 2008, n. 4. L.R. 19-02-2008, n. 4 Disciplina degli accertamenti della disabilità - ulteriori misure di semplificazione ed altre disposizioni in materia sanitaria e sociale. L.R. 19-02-2008, n. 4 Disciplina degli accertamenti della disabilità - ulteriori misure di semplificazione ed altre disposizioni in materia sanitaria e social L.R. 19-02-2008, n. 4 Disciplina degli accertamenti della disabilità - ulteriori misure di semplificazione ed altre disposizioni in materia sanitaria e sociale L.R. 24-03-2004, n. 6 Riforma del sistema amministrativo regionale e locale. Unione europea e relazioni internazionali. Innovazione e semplificazione. Rapporti con l'università. L.R. 05-09-1994, n. 40 Norme per la semplificazione e l'accelerazione delle procedure di spesa. Modifiche alla L.R. 6 luglio 1977, n. 31 - Disciplina della contabilità della Regione Emilia-Romagna. L.R. 27-08-1983, n. 34 Delega di funzioni in materia di agricoltura e alimentazione - Norme per la formazione dei piani zonali di sviluppo agricolo, la consultazione e partecipazione, la semplificazione delle procedure.
FRIULI VENEZIA GIULIA
L.R. 11-11-2011, n. 14 Razionalizzazione e semplificazione dell'ordinamento locale in territorio montano. Istituzione delle Unioni dei Comuni montani. L.R. 23-06-2010, n. 11 Semplificazione del sistema normativo. Abrogazione di disposizioni legislative L.R. 18-08-2005, n. 21 Norme di semplificazione in materia di igiene, medicina del lavoro e sanità pubblica e altre disposizioni per il settore sanitario e sociale. L.R. 28-08-2001, n. 17 Norme di semplificazione in materia di gestione dei rifiuti agricoli. L.R. 12-02-2001, n. 3 Disposizioni in materia di sportello unico per le attività produttive e semplificazione di procedimenti amministrativi e del corpo legislativo regionale. L.R. 13-11-2000, n. 20 Norme urgenti per la semplificazione dei procedimenti amministrativi, per l'adeguamento delle leggi in materia forestale, nonché per favorire la gestione dei boschi e le attività forestali. L.R. 15-11-1999, n. 28 Norme urgenti per la semplificazione dei procedimenti in materia di lavoro, cooperazione ed artigianato. L.R. 26-04-1999, n. 11 Disposizioni di semplificazione amministrativa per il contenimento della spesa pubblica,
52
connesse alla manovra finanziaria per l'anno 1999 nonché disposizioni in materia di finanziamenti ad Enti locali e regionali ed ulteriori modifiche ed integrazioni a leggi regionali. L.R. 04-07-1997, n. 23 Norme urgenti per la semplificazione dei procedimenti amministrativi, in materia di autonomie locali e di organizzazione dell'Amministrazione regionale.
LAZIO L.R. 29-07-2011, n. 8 Disposizioni per favorire la qualità e la semplificazione della normativa regionale in materia di micro, piccola e media imprese
LIGURIA L.R. 27-06-2012, n. 22 Soppressione del Centro regionale per la ricerca e l'innovazione, interventi di semplificazione e razionalizzazione in materia di organi di enti regionali e modifiche di norme regionali in materia di diritto allo studio. L.R. 08-06-2011, n. 13 Norme sulla qualità della regolazione e sulla semplificazione amministrativa. L.R. 31-10-2006, n. 31 Terzo provvedimento di semplificazione dell'ordinamento regionale. L.R. 02-01-2003, n. 3 Riordino e semplificazione della normativa in materia di artigianato. L.R. 03-01-2001, n. 1 Secondo provvedimento di semplificazione dell'ordinamento regionale. L.R. 11-11-1999, n. 34 Legge di semplificazione dell'ordinamento regionale
LOMBARDIA L.R. 01-02-2012, n. 1 Riordino normativo in materia di procedimento amministrativo, diritto di accesso ai documenti amministrativi, semplificazione amministrativa, potere sostitutivo e potestà sanzionatoria. L.R. 09-03-2006, n. 7 Riordino e semplificazione della normativa regionale mediante testi unici. L.R. 01-02-2005, n. 1 Interventi di semplificazione - Abrogazione di leggi e regolamenti regionali - Legge di semplificazione 2004. L.R. 22-07-2002, n. 15 Legge di semplificazione 2001. Semplificazione legislativa mediante abrogazione di leggi regionali. Interventi di semplificazione amministrativa e delegificazione. L.R. 09-06-1997, n. 18 Riordino delle competenze e semplificazione delle procedure in materia di tutela dei beni ambientali e di piani paesistici. Subdeleghe agli enti locali.
MARCHE L.R. 29-04-2011, n. 7 Attuazione della Direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno e altre
disposizioni per l'applicazione di norme dell'Unione Europea e per la semplificazione dell'azione amministrativa. Legge comunitaria regionale 2011. L.R. 12-05-2003, n. 7 Soppressione del Comitato regionale di controllo e delegificazione in materia di organismi regionali. Semplificazione del sistema normativo regionale e modificazioni di leggi regionali. L.R. 16-04-2003, n. 6 Semplificazione delle procedure di modifica ed integrazione agli allegati A, B e C alla L.R. 25 luglio 2001, n. 17 "Norme per la raccolta e la commercializzazione dei funghi epigei spontanei e conservati" e successive modificazioni. L.R. 18-04-2001, n. 10 Semplificazione del sistema normativo regionale mediante abrogazione di disposizioni normative. L.R. 23-11-1998, n. 41 Proroga dei termini previsti dall'articolo 1 della legge regionale 6 aprile 1998, n. 11 «Semplificazione degli adempimenti relativi ad utenze di acqua pubblica aventi ad oggetto piccole derivazioni». L.R. 06-04-1998, n. 11 Semplificazione degli adempimenti relativi ad utenze di acqua pubblica aventi ad oggetto piccole derivazioni.
L.R. 02-09-1997, n. 55 Semplificazione delle procedure dettate da leggi regionali di spesa. L.R. 20-01-1997, n. 14 Norme per la semplificazione delle procedure per la partecipazione delle imprese alle gare pubbliche. L.R. 21-12-1994, n. 48 Integrazione della L.R. 31 ottobre 1994, n. 44 contenente "Norme concernenti la democratizzazione e la semplificazione dell'attività amministrativa regionale". L.R. 31-10-1994, n. 44 Norme concernenti la democratizzazione e la semplificazione dell'attività Amministrativa regionale.
MOLISE L.R. 10-05-2010, n. 13 Norme sul riordino e sulla semplificazione normativa: Intervento annuale per l'abrogazione espressa di leggi e di regolamenti regionali e per l'adozione di testi unici. L.R. 18-10-2004, n. 22 Disposizioni temporanee per la semplificazione del procedimento di approvazione delle varianti al Piano regolatore generale del comune di San Giuliano di Puglia e dei relativi piani di attuazione.
PIEMONTE L.R. 25-06-2008, n. 15 Seconda legge regionale di abrogazione di leggi e semplificazione delle procedure.
L.R. 01-08-2005, n. 13 Legge regionale di semplificazione e disciplina dell'analisi d'impatto della regolamentazione. L.R. 21-11-1996, n. 87 Semplificazione delle procedure per l'esercizio delle funzioni riguardanti l'assistenza agli utenti di motori agricoli.
PUGLIA L.R. 01-02-2013, n. 2 Modifiche e integrazioni alla legge regionale 27 novembre 2009, n. 28 (Disposizioni per
la semplificazione delle procedure relative alle autorizzazioni, certificazioni e idoneità sanitarie) L.R. 22-10-2012, n. 28 Norme di semplificazione e coordinamento amministrativo in materia paesaggistica. L.R. 02-11-2011, n. 29 Semplificazione e qualità della normazione. L.R. 27-11-2009, n. 28 Disposizioni per la semplificazione delle procedure relative alle autorizzazioni, certificazioni e idoneità sanitarie. L.R. 04-09-2001, n. 25 Semplificazione adempimenti per il rilascio della concessione per l'estrazione e l'utilizzazione di acque sotterranee per le utenze minori. L.R. 13-08-1998, n. 28 Semplificazione del sistema normativo. Abrogazione di disposizioni legislative.
SARDEGNA L.R. 23-08-1995, n. 20 Semplificazione e razionalizzazione dell'ordinamento degli enti strumentali della
Regione e di altri enti pubblici e di diritto pubblico operanti nell'ambito regionale. L.R. 22-04-1987, n. 24 Norme di semplificazione e snellimento delle procedure e disposizioni varie in materia di lavori pubblici. L.R. 07-01-1975, n. 1 Norme per la semplificazione delle procedure amministrative e l'acceleramento della
53
spesa.
SICILIA L.R. 05-04-2011, n. 5 Disposizioni per la trasparenza, la semplificazione, l'efficienza, l'informatizzazione della pubblica amministrazione e l'agevolazione delle iniziative economiche. Disposizioni per il contrasto alla corruzione ed alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Disposizioni per il riordino e la semplificazione della legislazione regionale. L.R. 09-08-2002, n. 8 Norme per la semplificazione amministrativa. L.R. 11-04-1981, n. 63 Integrazioni e modifiche della legge regionale 31 marzo 1972, n. 19, recante primi provvedimenti per la semplificazione delle procedure amministrative e per l'acceleramento della spesa. L.R. 10-08-1978, n. 35 Nuove norme in materia di lavori pubblici e per l'acceleramento e la semplificazione delle relative procedure. L.R. 05-07-1974, n. 21 Interpretazione autentica dell'art. 27 della legge regionale 26 maggio 1973, n. 21, recante nuove norme per la semplificazione delle procedure e per l'acceleramento della spesa. L.R. 26-05-1973, n. 21 Integrazioni e modifiche della legge regionale 31 marzo 1972, n. 19 e nuove norme per la semplificazione delle procedure amministrative e l'acceleramento della spesa. L.R. 31-03-1972, n. 19 Primi provvedimenti per la semplificazione delle procedure amministrative e per l'acceleramento della spesa.
TOSCANA L.R. 03-12-2012, n. 69 Legge di semplificazione dell'ordinamento regionale 2012.
L.R. 27-12-2010, n. 63 Disposizioni di attuazione degli articoli 12 e 14-bis della legge regionale 23 luglio 2009, n. 40 (Legge di semplificazione e riordino normativo 2009). L.R. 05-11-2009, n. 62 Semplificazione delle procedure di accertamento sanitario della condizione di disabilità. L.R. 23-07-2009, n. 40 Legge di semplificazione e riordino normativo 2009. L.R. 22-10-2008, n. 53 Norme in materia di artigianato e semplificazione degli adempimenti amministrativi a carico delle imprese artigiane L.R. 02-04-2002, n. 11 Semplificazione del sistema normativo regionale - anno 2002. Abrogazione di disposizioni normative. L.R. 10-12-2001, n. 59 Modifiche alla legge regionale 9 febbraio 1998, n. 11 (Norme per lo snellimento e la semplificazione dell'attività amministrativa in materia di agricoltura, foreste, caccia e pesca) e modifiche alla legge regionale 19 novembre 1999, n. 60 (Agenzia regionale Toscana per le erogazioni in agricoltura - A.R.T.E.A. - e norme per il funzionamento dei Centri autorizzati di assistenza agricola - C.A.A.). L.R. 08-03-2000, n. 23 Istituzione dell'anagrafe regionale delle aziende agricole, norme per la semplificazione dei procedimenti amministrativi ed altre norme in materia di agricoltura. L.R. 29-02-2000, n. 19 Semplificazione del sistema normativo regionale. Abrogazione di disposizioni normative. L.R. 10-03-1999, n. 12 Semplificazione del sistema normativo regionale. Abrogazione di disposizioni legislative. L.R. 09-02-1998, n. 11 Norme per lo snellimento e la semplificazione dell'attività amministrativa in materia di agricoltura, foreste, caccia e pesca. L.R. 22-01-1997, n. 7 Semplificazione delle procedure in materia di pubblicità dei prezzi e delle caratteristiche delle strutture turistiche ricettive e degli stabilimenti balneari. L.R. 25-01-1996, n. 4 Disposizione di semplificazione per la partecipazione delle imprese alle procedure di gara pubblica.
UMBRIA L.R. 06-12-2012, n. 22 Semplificazione legislativa mediante abrogazione di leggi e regolamenti regionali non
più applicabili. L.R. 16-09-2011, n. 8 Semplificazione amministrativa e normativa dell'ordinamento regionale e degli Enti locali territoriali. L.R. 16-02-2010, n. 12 Norme di riordino e semplificazione in materia di valutazione ambientale strategica e valutazione di impatto ambientale, in attuazione dell'articolo 35 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e successive modificazioni ed integrazioni. L.R. 27-01-2010, n. 4 Semplificazione legislativa mediante abrogazione di leggi e regolamenti regionali non più applicabili. L.R. 09-07-2007, n. 23 Riforma del sistema amministrativo regionale e locale - Unione europea e relazioni internazionali - Innovazione e semplificazione. L.R. 04-12-2006, n. 16 Disciplina dei rapporti tra l'autonoma iniziativa dei cittadini e delle formazioni sociali e l'azione di Comuni, Province, Regione, altri Enti Locali e Autonomie funzionali in ordine allo svolgimento di attività di interesse generale secondo i principi di sussidiarietà e semplificazione. L.R. 16-07-2001, n. 16 Modificazioni ed integrazioni della legge regionale 15 novembre 1999, n. 30 (Semplificazione legislativa mediante abrogazione di leggi regionali recanti disposizioni non più applicabili) e ulteriori modificazioni ed integrazioni della legge regionale 18 novembre 1998, norme in materia di trasporto pubblico locale in attuazione del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422). L.R. 15-11-1999, n. 30 Semplificazione legislativa mediante abrogazione di leggi regionali recanti disposizioni non più applicabili.
L.R. 05-10-2012, n. 28 Semplificazione del sistema normativo regionale. Abrogazione di leggi e regolamenti
regionali. L.R. 01-08-2011, n. 18 Modificazioni alla legge regionale 4 agosto 2009, n. 24 (Misure per la semplificazione delle procedure urbanistiche e la riqualificazione del patrimonio edilizio in Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste. Modificazioni alla legge regionale 6 aprile 1998, n. 11, e alla legge regionale 27 maggio 1994, n. 18). L.R. 04-08-2009 Misure per la semplificazione delle procedure urbanistiche e la riqualificazione del patrimonio edilizio in Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste. Modificazioni alla legge regionale 6 aprile 1998, n. 11, e alla legge
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regionale 27 maggio 1994, n. 18. L.R. 14-10-2005, n. 23 Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure autorizzative per la realizzazione e l'esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, destinati alla produzione di energia o di vettori energetici. L.R. 20-01-2005, n. 3 Interventi per la semplificazione e l'accelerazione delle procedure contabili relative all'esecuzione delle entrate e delle spese. L.R. 14-10-2002, n. 19 Semplificazione del sistema normativo regionale. Abrogazione di leggi e regolamenti regionali. L.R. 17-04-2001, n. 7 Semplificazione del sistema normativo regionale. Abrogazione di leggi e regolamenti regionali. L.R. 04-08-2000, n. 25 Semplificazione del sistema normativo regionale. Abrogazione di leggi e regolamenti regionali. L.R. 19-06-2000, n. 14 Disposizioni per la delegificazione e per la semplificazione di procedimenti amministrativi. L.R. 04-08-1995, n. 29 Semplificazione dei procedimenti amministrativi relativi al funzionamento dei presidi residenziali socio-assistenziali.
. VENETO L.R. 23-11-2012, n. 43 Modifiche all'articolo 8, commi 1 e 1-bis della legge regionale 16 agosto 2007, n. 23
"Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di sociale, sanità e prevenzione" e disposizioni in materia sanitaria, sociale e socio-sanitaria. L.R. 07-08-2009, n. 16 Interventi straordinari nel settore agricolo per contrastare la crisi economica e finanziaria e per la semplificazione degli adempimenti amministrativi. L.R. 07-08-2009, n. 18 Modifiche alla legge regionale 16 agosto 2007, n. 23 "Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di sociale, sanità e prevenzione" e alla legge regionale 14 settembre 1994, n. 56 "Norme e principi per il riordino del servizio sanitario regionale in attuazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 "Riordino della disciplina in materia sanitaria", così come modificato dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517". L.R. 25-07-2008, n. 9 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2007 in materia di foreste, usi civici, agricoltura, caccia e pesca. L.R. 26-06-2008, n. 3 Interpretazione autentica dell'articolo 2 della legge regionale 16 agosto 2007, n. 22 "Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di personale, affari istituzionali, rapporti con gli enti locali", dell'articolo 96 della legge regionale 27 febbraio 2008, n. 1 "Legge finanziaria regionale per l'esercizio 2008" e modifiche alla legge regionale 10 gennaio 1997, n. 1 "Ordinamento delle funzioni e delle strutture della Regione" e successive modificazioni. L.R. 26-06-2008, n. 4 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2007 in materia di governo del territorio, parchi e protezione della natura, edilizia residenziale pubblica, mobilità e infrastrutture. L.R. 16-08-2007, n. 20 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di difesa del suolo, lavori pubblici e ambiente. L.R. 16-08-2007, n. 21 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di imprenditoria, flussi migratori, attività estrattive, acque minerali e termali, commercio, artigianato e industria. L.R. 16-08-2007, n. 22 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di personale, affari istituzionali, rapporti con gli enti locali. L.R. 16-08-2007, n. 23 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di sociale, sanità e prevenzione. L.R. 10-08-2006, n. 16 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - Collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di sport, turismo, formazione e cultura. L.R. 10-08-2006, n. 18 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di urbanistica, cartografia, pianificazione territoriale e paesaggistica, aree naturali protette, edilizia residenziale pubblica, viabilità, mobilità e trasporti a fune. L.R. 04-08-2006, n. 15 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di agricoltura, foreste, economia montana e caccia. L.R. 25-02-2005, n. 5 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alle leggi finanziarie 2003 e 2004 in materia di usi civici e foreste, pesca, agricoltura e bonifica. L.R. 25-02-2005, n. 6 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2004 in materia di personale, di enti locali e di enti strumentali. L.R. 25-02-2005, n. 7 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2004 in materia di miniere, acque minerali e termali, lavoro, artigianato, commercio e veneti nel mondo. L.R. 25-02-2005, n. 8 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2004 in materia di edilizia residenziale pubblica, viabilità, mobilità, urbanistica ed L.R. 28-12-2004, n. 38 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2004 in materia di navigazione a motore sui laghi, lavori pubblici, edilizia residenziale pubblica, difesa del suolo e ambiente. L.R. 24-12-2004, n. 35 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2004 in materia di diritti umani, turismo e sport. L.R. 21-05-2004, n. 12 Modifica alla legge regionale 1° agosto 2003, n. 16 "Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2003 in materia di mobilità, viabilità, edilizia residenziale, urbanistica ed edilizia". L.R. 19-12-2003, n. 41 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa -collegato alla legge finanziaria 2003 in materia di prevenzione, sanità, servizi sociali e sicurezza pubblica. L.R. 03-10-2003, n. 19 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria
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2003 in materia di artigianato, industria e commercio. L.R. 03-10-2003, n. 20 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2003 in materia di diritti umani, sport e turismo. L.R. 01-08-2003, n. 16 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2003 in materia di mobilità, viabilità, edilizia residenziale, urbanistica ed edilizia. L.R. 04-04-2003, n. 9 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa collegato alla legge finanziaria 2003 riguardo alla rivista "Il Diritto della Regione", alla modifica della legge regionale 10 gennaio 1997, n. 1 e alla modifica della legge finanziaria regionale 2002. L.R. 16-08-2002, n. 25 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa collegato alla legge finanziaria 2002 in materia di cultura. L.R. 16-08-2002, n. 26 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2002 in materia di cave e torbiere, commercio e immigrazione. L.R. 16-08-2002, n. 27 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2002 in materia di ambiente e difesa del suolo. L.R. 16-08-2002, n. 28 Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2002 in materia di politiche sociali.
Tab. IV: Interventi di semplificazione nell’area Prevenzione Incendi differenziati in base agli obblighi informativi e ai relativi adempimenti amministrativi individuati in sede di misurazione degli oneri amministrativi.
Fonte: Piano per la riduzione degli oneri amministrativi del Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile. Area Prevenzione Incendi
Intervento di semplificazione n. 1
Obbligo informativo di riferimento
Adempimento interessato
Descrizione dell’intervento di semplificazione
Attività necessarie alla concreta realizzazione dell’intervento
Richiesta di parere di conformità sul progetto
Presentazione dell’istanza
Prevenzione incendi on line73
a)Ideazione e realizzazione del sistema informativo di erogazione dei servizi di prevenzione incendi on line; b) Acquisizione ed installazione delle apparecchiature hardware presso tutti i comandi provinciali dei vigili del fuoco; c) Formazione dei referenti di tutte le sedi provinciali dei vigili del fuoco; d) Riorganizzazione dei processi interni per la gestione delle pratiche on line; e) Approvazione delle specifiche tecniche relative alla trasmissione dei dati per l'avvio on line di istanze; f) Evoluzione del sistema informativo di prevenzione incendi online; g) Analisi dell’andamento del primo periodo di applicazione per individuare eventuali criticità e conseguenti interventi correttivi; h) Predisposizione dello schema di DPR di modifica del DPR n. 37/1998; i) Contatti, riunioni e tavole rotonde con le associazioni di categoria e con gli intermediari per illustrare il funzionamento
Certificato di prevenzione incendi
Presentazione della domanda
Rinnovo del certificato prevenzione incendi
Presentazione istanza Compilazione e presentazione situazione non mutata
Istanza di deroga all’osservanza della normativa antincendi
Presentazione istanza
73 La misura di semplificazione consente all’utente di accedere per via telematico a un sistema dedicato per l’invio delle istanze relative ai procedimenti di prevenzione incendi riferite ad attività di impresa complete della relativa documentazione tecnica, nonché di ricevere, via PEC, tutte le comunicazioni del comando ivi compreso lo stesso certificato di prevenzione incendi e i relativi rinnovi. Cfr. Piano per la riduzione degli oneri amministrativi del Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile. Area Prevenzione Incendi.
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del sistema e diffonderne l’utilizzo; j) Pubblicizzazione dell’intervento tramite il portale www.vigilfuoco.it: k) Promozione del nuovo sistema presso gli SUAP e le amministrazioni regionali.
Intervento di semplificazione n. 2 Obbligo informativo di riferimento
Adempimento interessato
Descrizione dell’intervento di semplificazione
Attività necessarie alla concrea realizzazione dell’intervento
Richiesta di parere di conformità sul progetto
Compilazione scheda informativa
Snellimento della documentazione tecnica74
È sufficiente l’emanazione di un decreto del Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’innovazione, di modifica del DM che attualmente regola le modalità di presentazione e il contenuto delle domande per l'avvio dei procedimenti di prevenzione incendi (DM 4/5/98).
Certificato di prevenzione incendi
Stesura dichiarazione di corrispondenza in opera Stesura dichiarazione di conformità
Tab. V: Indicatori per il monitoraggio della politica di semplificazione Fonte: Piano per la riduzione degli oneri amministrativi del Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile. Area Prevenzione Incendi75
Intervento di riduzione
Attività da realizzare per attuare l’intervento di semplificazione
Peso Indicatore di risultato
Prevenzione incendi on line
Ideazione e realizzazione software del progetto 20
Percentuale istanze presentate per via telematica (valore obiettivo=100%)
Acquisizione ed installazione hardware 20 Formazione referenti comando prov. VV.F. 10 Riorganizzazione dei processi interni 2 Approvazione delle specifiche tecniche 8 Evoluzione del sistema prevenzione incendi online per l’erogazione dei servizi sul portale telematico degli sportelli unici (art. 38 legge 133/08)
10
Analisi andamento primo periodo 5 Predisposizione dello schema di DPR per introdurre l’obbligo di presentazione telematica delle istanze
10
Contatti e riunioni con le associazioni di categoria e con gli intermediari
5
74 L’intervento prevede: 1 l’eliminazione della scheda informativa da allegare alla domanda di parere di conformità sui progetti e all’istanza di deroga all’osservanza della normativa antincendi (OI 1); 2. l’eliminazione della dichiarazione di corrispondenza in opera e una conseguente modifica, che non influisce sui costi professionali, del modello di certificazione (mod. CERT. REI.) in modo che esso espliciti la dichiarazione che la certificazione si basa sulle reali caratteristiche dell’elemento riscontrate in opera (OI 2); 3. la sostituzione della dichiarazione relativa agli impianti rilevanti ai fini della sicurezza antincendio con una semplice fotocopia della dichiarazione di conformità già resa dall’impresa a norma del DM 37/2008, da allegare alla domanda di sopralluogo. Cfr. Piano per la riduzione degli oneri amministrativi del Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile. Area Prevenzione Incendi. 75 Per garantire la diffusione degli stati di avanzamento e dei risultati raggiunti, il Piano dell’area prevenzioni incendi aveva previsto la costituzione di un Tavolo di monitoraggio che avrebbe dovuto acquisire informazioni utili all’attività e individuare, e proporre, all’amministrazione responsabile, eventuali opportuni interventi correttivi. Tali informazioni avrebbero dovuto essere oggetto di pubblicazione sul sito istituzionale del Ministero dell’Interno.
57
Pubblicizzazione dell’intervento 5 Promozione del sistema presso i SUAP e le Regioni
5
Totale 100
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LA LIBERALIZZAZIONE DELLE ATTIVITÀ ECONOMICHE PRIVATE: DALLA DIA ALLA SCIA
di Maurizia De Bellis
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Caratteri e profili problematici della Scia. – 2.1. L’ambito di
applicazione. – 2.2. La struttura dell’atto. – 2.3. I poteri della PA e la tutela del terzo. – 3. I modelli settoriali. – 3.1. Le attività industriali, commerciali e di prestazione di servizi. – 3.1.1. La prima disciplina speciale nell’ambito del commercio: gli esercizi di vicinato. – 3.1.2. La Direttiva «servizi». – 3.1.3. Il recepimento nella legislazione statale. – 3.1.4. Il recepimento da parte delle Regioni: inquadramento e rinvio. – 3.2. L’edilizia. – 3.2.1. L’introduzione della Dia edilizia. – 3.2.2. Il Testo Unico dell’edilizia (d. P.R. 380/2001). – 3.2.3. Le difficoltà interpretative successive alla modifica della disciplina generale: i riflessi sulla Dia edilizia dell’introduzione della Scia. – 3.2.4. La moltiplicazione dei titoli abilitativi. – 4. I dati. – 4.1. L’avvio di un’attività economica in Italia. – 4.1.1. I Rapporti Doing Business a carattere generale. – 4.1.2. I Rapporti Doing Business country specific. – 4.1.3. Osservazioni di sintesi. – 4.2. Il censimento delle autorizzazioni ministeriali. – 4.2.1. Il Ministero dell’Interno. – 4.2.2. Il Ministero dello Sviluppo economico. – 4.2.3. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. – 4.2.4. Il Ministero delle Politiche agricole e forestali. – 4.2.5. Il Ministero della Salute. – 4.2.6. Il Ministero dei Beni culturali. – 4.2.7. Osservazioni di sintesi. – 4.3. L’applicazione della Scia da parte delle Regioni nel settore dei servizi. – 5. Conclusioni.
1. Introduzione
Tra le finalità della legge n. 241 del 1990, vi era quella di ridurre «l’unilateralità
dell’azione amministrativa, cioè di quel potere delle amministrazioni di stampo
napoleonico, per cui esse producono effetti bilaterali, ma con provvedimenti
unilaterali»76. Ad un vero capovolgimento dell’unilateralità dell’azione amministrativa
mira l’art. 19 della legge n. 241 del 1990, che ha introdotto nel nostro ordinamento il
modello della «dichiarazione sostitutiva di autorizzazione», secondo la dizione utilizzata
dal progetto originariamente redatto dalla Commissione Nigro; dichiarazione la cui
denominazione è stata più volte modificata: dalla «denuncia» – termine utilizzato nel
testo originario – alla «dichiarazione di inizio attività» – a seguito delle modifiche
introdotte nel 2005, che però, com’è noto, lasciavano invariato l’acronimo «Dia» –,
all’attuale «segnalazione certificata di inizio attività» (Scia).
76 S. Cassese, La legge sul procedimento amministrativo e l’inizio della sua attuazione, in
Presidenza del Consiglio dei Ministri – Scuola superiore della pubblica amministrazione, «Annali, Anno Accademico 1990-1991», Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1991, pp. 182, p. 183.
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L’innovatività dell’art. 19 della legge n. 241 era ben chiara gli osservatori già al
momento dell’approvazione della legge. Con il parere relativo al primo testo del
disegno di legge, il Consiglio di Stato osservò che tale norma tendeva a «“liberalizzare”
[…] certe attività private la cui esplicazione risulta, nella normativa vigente,
condizionata al previo conseguimento del titolo abilitativo», sul presupposto che «le
abilitazioni richieste dalla normativa vigente, sono, in talune ipotesi, chiamate solo a
verificare – senza spazi di discrezionalità o con discrezionalità a tasso ridottissimo – la
conformità dell’attività, che il privato si propone di svolgere, alle prescrizioni della
sovraordinata normativa» e che ne conseguiva la «convertibilità, senza seri pregiudizi
per l’interesse pubblico, della disciplina oggi vigente in un assetto alternativo nel quale
l’ordinamento rinuncia ai previ controlli delle amministrazioni sostituendo ad essi solo
interventi amministrativi successivi rivolti a riscontrare (senza margini di
discrezionalità) se l’attività svolta dal privato è stata conforme alla normativa
sovraordinata e se chi l’ha realizzata era in possesso dei requisiti prescritti»77.
Benché l’introduzione della Dia nel nostro ordinamento costituisse una novità, è
possibile rintracciare precedenti di tale istituto nella legislazione postunitaria, all’interno
della quale, in alcuni casi, era previsto che il privato potesse avviare un’attività
economica dopo una semplice comunicazione preventiva all’amministrazione e che a
quest’ultima non spettasse autorizzare tale attività, ma solo vietarne l’inizio o la
prosecuzione, al ricorrere di determinati presupposti78. È solo in seguito, nel periodo tra
le due guerre mondiali, che si afferma il modello autoritario di amministrazione,
nell’ambito del quale la subordinazione di qualunque attività privata all’assenso
preventivo della pubblica amministrazione diviene la regola79. Con l’art. 19 della legge
n. 241, si intese invertire tale tendenza: riconoscere che il privato possa esercitare la sua
attività senza un assenso preventivo dell’amministrazione significa «spostare il punto di
equilibrio tra “libertà” del cittadino e “potere” dell’amministrazione»80.
Oltre alla finalità di incidere, nel senso appena indicato, sulla dialettica autorità-
libertà, potenziando quest’ultima, l’introduzione con la legge n. 241 di tale istituto
aveva poi lo scopo di favorire lo sviluppo economico. Proprio sull’obiettivo di rilanciare
77 Consiglio di Stato, Ad. Gen., parere 19 febbraio 1987, n. 7, par. 26. 78 Lo ricorda A. Travi, Dichiarazione di inizio attività, in Enciclopedia del diritto, 2008, p. 343. 79 Si v. E. Boscolo, I diritti soggettivi a regime amministrativo. L’art. 19 della L. 241/90 e altri
modelli di liberalizzazione, Padova, Cedam, 2001, in particolare p. 54 ss. 80 In tal senso A. Travi, Dichiarazione di inizio attività, cit., p. 343.
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l’economia e la competitività del Paese si sono concentrati gli interventi di riforma che,
nel passato ventennio, hanno modificato il funzionamento e i caratteri di tale
strumento81.
Quanto si è ridotto l’ambito di applicazione del modello basato sulle
autorizzazioni e quanto ha trovato applicazione il paradigma della dichiarazione
sostitutiva? Di conseguenza, in che misura la Dia, e ora la Scia, hanno modificato, nella
prassi, l’equilibrio tra autorità e libertà? Fino a che punto l’istituto della dichiarazione
sostitutiva di autorizzazione è riuscito nell’intento di favorire la competitività del nostro
sistema economico?
Il contributo si articola in tre parti.
Innanzitutto – in considerazione delle molteplici modifiche normative di cui è
stato oggetto, e che riflettono l’insoddisfazione e i tentativi di renderlo più efficace – è
stato necessario muovere da un esame della disciplina giuridica dell’istituto, che
costituisse la base per un’indagine di tipo empirico. La prima sezione, tuttavia, non ha
esclusivamente carattere ricognitivo, ma mira a mettere a fuoco i principali profili
problematici dell’istituto, relativi: al suo ambito di applicazione, progressivamente
ampliato, ma non senza ambiguità; alla struttura dell’atto, che si caratterizza oggi per
un’efficacia immediata (e non differita), ma anche per una moltiplicazione degli oneri
che ricadono sul privato; alla tutela del terzo, ancora lontana dal trovare una
sistemazione soddisfacente.
La seconda parte del presente contributo è dedicata alle discipline di settore: in
alcuni ambiti, come quello del commercio e quello dell’edilizia, tale istituto, per un
verso, mostra in misura maggiore le proprie potenzialità; per altro verso, alcuni
problemi già noti – soprattutto nell’ambito dell’edilizia – risultano maggiormente
evidenti ed emergono nuove difficoltà.
Nella terza parte, il contributo esamina tre insiemi di dati, utili a fornire un
bilancio circa l’effettiva applicazione dell’istituto.
In primo luogo, vengono analizzati i dati contenuti nei rapporti Doing Business,
relativi all’avvio di un’attività economica nel nostro Paese. La disciplina della Dia e,
ora, della Scia non sono certo gli unici elementi che concorrono a determinare i tempi e
i costi dell’avvio di determinate attività economiche in Italia. Tra le cause che
81 E. Boscolo, La segnalazione certificata di inizio attività: tra esigenze di semplificazione ed effettività dei controlli, in Riv. giur. dell'urbanistica, 2010, 580 ss., p. 581.
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influiscono sulla performance del nostro Paese, per esempio, vi sono gli oneri
amministrativi a carico degli amministrati (si v., rispettivamente, i contributi sui tempi e
sugli oneri amministrativi, in questa ricerca). Tuttavia, la disciplina della Dia e della
Scia mirano appunto ad incidere sull’avvio di determinate attività economiche da parte
dei privati, liberalizzandole; obiettivo che, soprattutto in un contesto economico
caratterizzato da una pesante recessione e dalla ricerca di strumenti atti a rilanciare la
crescita economica, si presenta di rilievo centrale. I dati che registrano l’andamento, nel
corso dell’ultimo decennio, delle procedure di avvio di un’attività economica in Italia,
quindi, possono costituire un elemento di cui tener conto, nel valutare l’efficacia
dell’istituto in esame, e consentono di operare un raffronto rispetto agli altri Paesi
europei.
Un secondo insieme di dati riguarda i procedimenti di autorizzazione di
competenza dei Ministeri. Nel corso della scorsa legislatura, l’Unità per la
semplificazione ha condotto un censimento di detti procedimenti, che consente di
ricostruire con un certo grado di precisione le attività tuttora sottoposte ad
autorizzazione e quelle che, invece, sono soggette a Scia.
Infine, si esaminano gli atti normativi regionali di attuazione della Direttiva
«servizi», al fine di verificare l’effettiva espansione dell’istituto della Scia a livello
regionale in relazione a tale specifico settore.
2. Caratteri e profili problematici della Scia
L’istituto introdotto con l’art. 19 della legge n. 241 del 1990, sul modello della
dichiarazione sostitutiva di autorizzazione già nota al diritto francese, è stato oggetto di
numerose modifiche che ne hanno interessato l’ambito di applicazione e la struttura, ma
che hanno coinvolto anche i poteri della PA, incidendo sulla tutela del terzo; modifiche
ispirate alle due opposte necessità di rendere tale strumento più efficiente e favorirne
l’effettiva applicazione, da un lato, e di non sacrificare la tutela dell’interesse pubblico
(nonché dell’eventuale interesse del terzo coinvolto), dall’altro, alla ricerca di una
difficile composizione ed equilibrio.
2.1. L’ambito di applicazione
62
Già la formulazione dell’art. 19, come approvato con la legge n. 241 del 1990, si
distanziava, in maniera significativa, dal testo redatto dalla Commissione Nigro.
Quest’ultimo, all’interno del titolo IV, dedicato alla «semplificazione dell’azione
amministrativa», disciplinava, al punto 5, le «dichiarazioni sostitutive di
autorizzazioni», prevedendo che «In tutti i casi in cui l’esercizio di un’attività privata sia
subordinata ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso o altro atto di
consenso comunque denominato, il cui rilascio dipenda esclusivamente
dall’accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, senza l’esperimento di prove a
ciò destinate, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo per il rilascio
degli atti stessi, l’atto di consenso (l’autorizzazione) si intende sostituito(a) da una
denuncia di inizio attività da parte dell’interessato all’amministrazione competente,
attestante l’esistenza dei presupposti e dei requisiti di legge»82.
Secondo quanto previsto dal testo redatto dalla Commissione Nigro, la
dichiarazione sostitutiva aveva carattere generale: avrebbe dovuto trovare applicazione,
cioè, senza necessità di ulteriore specificazione, a tutte le attività che a) fossero prive di
carattere discrezionale, dipendendo «esclusivamente dall’accertamento dei presupposti e
dei requisiti di legge» e b) per le quali non fosse previsto un «limite o contingente
complessivo».
Due ulteriori precisazioni si rendono opportune. In primo luogo, in tale testo si
prevedeva che potessero essere individuati tramite d. P.C.M. gli atti di consenso cui tale
disposizione non avrebbe trovato applicazione, «per motivi di igiene, incolumità e
sicurezza pubblica». In secondo luogo, le concessioni edilizie erano in ogni caso escluse
dall’ambito di applicazione di detta norma.
Il testo originario dell’art. 19, quale approvato con la legge n. 241 del 1990,
presentava, com’è noto, un’impostazione ben diversa. Anziché quale istituto a portata
generale, infatti, la Dia era limitata ad alcuni casi specifici, da individuarsi tramite
regolamento governativo. Le caratteristiche di fondo dell’attività amministrativa
nell’ambito della quale tale istituto avrebbe dovuto trovare applicazione (assenza di
carattere discrezionale e di limiti o contingenti complessivi) erano invariate. Veniva
82 Si v. Schema del disegno di legge contenente «Disposizioni dirette a migliorare i rapporti fra
cittadino e pubblica amministrazione nello svolgimento dell’attività amministrativa», in F. Trimarchi (a cura di), Il procedimento tra riforma legislativa e trasformazioni dell’amministrazione, Milano, 1990, p. 177 ss.,
63
aggiunto il limite della tutela dei valori storico-artistici e ambientali e del rispetto delle
norme a tutela del lavoratore.
Com’è stato osservato, il regolamento governativo attuativo di tale disposizione
(d.P.R. 26 aprile 1992, n. 300) limitò l’applicazione della Dia a ipotesi di rilevanza del
tutto marginale (era il caso, per esempio, della detenzione, commercio e allevamento dei
colombi viaggiatori, dell’esercizio di attività circensi o teatrali), dipendenti, in
definitiva, dall’assenso manifestato dai Ministeri interessati83.
Il meccanismo dell’individuazione tramite regolamento governativo delle attività
soggette a DIA viene abbandonato con la prima modifica al dettato dell’art. 19 della
legge n. 241, operato dalla legge n. 537 del 1993. In tal modo, la denuncia venne estesa
- secondo un modello che ricalcava il progetto originario della Commissione Nigro - ad
ogni attività subordinata ad un provvedimento a carattere vincolato, ad esclusione di
quelle per le quali era previsto un contingente complessivo. Vennero, inoltre,
espressamente escluse le autorizzazioni e gli atti di consenso in alcuni ambiti specifici:
quelle relative alle attività edilizie, alle cose di interesse artistico e storico, alla
protezione delle bellezze naturali e di interesse ambientale.
Lo strumento del regolamento governativo venne utilizzato ma, anche in questo
caso, secondo il modello originariamente prefigurato dalla Commissione Nigro: allo
scopo di individuare le aree di esclusione dall’applicazione della Dia. Tuttavia, il d. P.R.
9 maggio 1994, n. 411 elencò un numero estremamente elevato di casi di esclusione, il
cui criterio sembrava essere, più che quello del carattere discrezionale o meno
dell’attività, piuttosto quello dell’importanza economica e sociale dell’attività stessa84.
Per un verso, quindi, l’intervento legislativo del 1993 era informato all’intento di
potenziare la Dia, favorendone un’applicazione significativamente più ampia; per altro
verso, però, il regolamento del 1994 tradiva quest’intento, limitando a casi marginali
l’operatività dell’istituto85. In tal senso, è stato osservato che la vera affermazione
dell’istituto si deve al suo recepimento, in quegli anni, in leggi speciali, di significativo
rilievo sociale (ad esempio, in ragione della sua estensione alle opere edilizie minori:
infra, par. 3.2.).
83 Si v. A. Travi, Dichiarazione di inizio attività, cit., p. 347. 84 Si v. G. Vesperini, Le eccezioni al regime di liberalizzazione delle attività provate, in Gior.
Dir. Amm., 1996, p. 1106 ss. 85 Si v. A. Travi, Dichiarazione di inizio attività, cit., p. 347.
64
Una complessiva riformulazione dell’istituto in esame – attraverso la
sostituzione integrale dell’art. 19 – si è avuta a quindici anni dall’entrata in vigore della
legge n. 241, ad opera del decreto legge n. 35 del 2005, convertito con legge n. 80 del
2005. Tale intervento di riforma ha inciso in profondità non solo sulla struttura
dell’istituto (che in tal modo aveva perso, come subito si vedrà (infra, par. 2.2.),
«l’essenzialità che ne costituiva la caratteristica fondamentale»86), ma anche sul suo
ambito di applicazione. La “dichiarazione di inizio attività” – questa la nuova
denominazione dell’istituto – continua, in linea di principio, a costituire un istituto di
portata generale.
Tuttavia, per un verso, nel nuovo testo della norma viene espunta la precisazione
– contenuta nel testo precedente – per la quale la Dia trova applicazione nelle ipotesi in
cui l’attività della PA si limiti ad un accertamento dei presupposti e dei requisiti di
legge, «senza l’esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche
discrezionali»: in ragione di tale espunzione, è stato osservato che la nuova
formulazione della norma non consente di escludere in via definitiva che essa si
riferisca ai soli provvedimenti vincolati87.
Per altro verso, viene inserito un elenco di eccezioni estremamente ampio,
nell’ambito delle quali vi è necessità di un provvedimento amministrativo espresso: si
tratta degli atti «rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla
pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’amministrazione della giustizia,
all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione
del gettito, anche derivante dal gioco, alla tutela della salute e della pubblica incolumità,
del patrimonio culturale e paesaggistico e dell’ambiente, nonché degli atti imposti dalla
normativa comunitaria». L’ampiezza e la rilevanza delle eccezioni ha determinato delle
incertezze tali da minare l’applicazione dell’istituto, riducendone l’impatto sull’attività
amministrativa e, in definitiva, facendo sì che esso abbia contribuito a modificare
l’equilibrio tra autorità e libertà in misura ben minore rispetto alle aspettative88.
86 Si v. T. Di Nitto, Il termine, il responsabile, la partecipazione, la D.I.A. e l’ambito di
applicazione della legge, in Gior. Dir. Amm., 2005, p. 498 ss., per quest’espressione p. 504. 87 Si v. N. Paolantonio e W. Giulietti, Commento all’art. 19, in M.A. Sandulli (a cura di), Il
codice dell'azione amministrativa, Milano, 2010, p. 771 ss., sul punto p. 756. 88 Si v. B.G. Mattarella, Le dieci ambiguità della legge n. 15 del 2005, in Gior. Dir. Amm., 2005,
p. 817 ss., sul punto p. 821.
65
Com’è noto, con il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito con la legge n. 122
del 2010, la Dia è stata sostituita dalla “segnalazione certificata di inizio attività” (Scia).
Con tale riforma (l’articolo 19 è stato sostituito in modo integrale) il legislatore è
intervenuto principalmente sulla struttura dell’atto e sui poteri di controllo
dell’amministrazione. Per quanto riguarda l’ambito di applicazione, invece, esso non si
discosta da quanto era stato previsto dalla disciplina del 2005: con tutte le incertezze che
caratterizzano, come si è visto, la formulazione a carattere generale della norma, cui si
accompagna un numero estremamente ampio di eccezioni; incertezza dell’ambito di
applicazione che «condanna [quest’istituto] all’insuccesso»89.
L’evoluzione appena esaminata si caratterizza per la transizione da un modello
incentrato sull’individuazione delle singole ipotesi di applicazione dell’istituto, tramite
regolamenti governativi (modello che caratterizzava l’originaria formulazione della
norma), all’affermazione della Dia come istituto a carattere generale e anzi, dopo il
2005, quale regola rispetto alle alternative costituite dall’autorizzazione espressa e il
silenzio-assenso. Tuttavia, il numero e la rilevanza delle eccezioni cui tale affermazione
si accompagna determinano un’incertezza da cui scaturisce un risultato opposto rispetto
a quello voluto dal legislatore.
Al fine di rivitalizzare l’istituto e di far sì che possa costituire un efficiente
strumento di liberalizzazione delle attività economiche, sembra da condividere la
proposta di ritornare, dall’attuale generic approach, ad un case by case approach alla
regolazione: ovvero, abbandonare l’impostazione basata su di una clausola generale a
carattere trasversale, dai contorni indefiniti, a favore di un approccio alla riforma
incentrato sulla precisa individuazione dei settori e dei singoli procedimenti in cui la
Scia trovi sicura applicazione90.
2.2. La struttura dell’atto
Gli incessanti interventi di riscrittura e di riforma che hanno interessato l’art. 19
non hanno riguardato solo l’ambito di applicazione di tale articolo, ma la stessa struttura
dell’istituto da esso disciplinato.
89 Si v. B.G. Mattarella, La Scia, ovvero dell'ostinazione del legislatore pigro, in Gior. Dir.
Amm., 2010, p. 1328 ss., sul punto p. 1330. 90 Si v. B.G. Mattarella, La Scia, ovvero dell'ostinazione del legislatore pigro, cit., p. 1330, e N.
Paolantonio e W. Giulietti, Commento all’art. 19, cit., p. 758.
66
Anche in questo caso, è utile ricordare quali fossero i caratteri originari
dell’istituto. Nel testo redatto dalla Commissione Nigro, si prevedeva che l’atto di
consenso «si intende[sse] sostituito da una denuncia di attività da parte dell’interessato
all’amministrazione competente, attestante l’esistenza dei presupposti e dei requisiti di
legge».
Il testo originario dell’art. 19 faceva proprio un modello differente. Diversa era
la formulazione utilizzata dal legislatore: la denuncia non «sostituiva» l’atto di assenso,
ma si disponeva che l’esercizio dell’attività privata potesse «essere intrapreso su
denuncia di inizio dell’attività stessa da parte dell’interessato». Soprattutto – in ciò
recependo le indicazioni fornite dal Consiglio di Stato, tramite il già citato parere –,
erano individuate due tipologie di Dia: in un primo insieme di casi, da stabilire tramite
regolamento governativo, si ammetteva che si potesse dare inizio all’attività
immediatamente dopo la presentazione della denuncia; in un secondo insieme di ipotesi,
invece, «in relazione alla complessità degli accertamenti richiesti», si prevedeva che
l’avvio dell’attività dovesse seguire il decorso di un certo termine (fissato per categorie
di atti nei medesimi regolamenti governativi).
Con le modifiche introdotte nel 1993, la formulazione della norma viene
modificata, riprendendo la proposta originariamente avanzata dalla Commissione Nigro
(«l’atto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio attività»). L’attività
poteva essere iniziata immediatamente, appena inviata la denuncia volta ad informare
l’amministrazione del suo inizio – fermi restando i poteri dell’amministrazione di
verificare d’ufficio, entro sessanta giorni dalla denuncia, la sussistenza dei presupposti e
dei requisiti di legge ed eventualmente di vietare la prosecuzione dell’attività. Per la
prima volta, viene previsto che la Dia sia «accompagnata dall’autocertificazione
dell’esperimento di prove a ciò destinate».
Con la riforma del 2005, lo schema lineare di funzionamento della Dia è stato
sottoposto ad una trasformazione significativa. In base a tale disciplina, l’attività
oggetto della “dichiarazione di inizio attività” poteva essere iniziata solo una volta che
fossero decorsi trenta giorni dalla presentazione di quest’ultima; inoltre,
contestualmente all’inizio dell’attività, l’interessato doveva presentare
all’amministrazione una nuova comunicazione. In tal modo, si realizzava un
aggravamento degli adempimenti cui è tenuto l’interessato, che doveva presentare due
67
dichiarazioni. Si prevedeva, inoltre, che la Dia fosse corredata «anche per mezzo di
autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste». Le
agevolazioni per il privato, collegate al ricorso alla Dia, si assottigliano. Infine, vi è un
cambiamento di fondo nel funzionamento dell’istituto: mentre con la «denuncia» il
privato poteva avviare immediatamente l’attività, salvo il potere successivo della PA di
vietarne la prosecuzione entro sessanta giorni, con la «dichiarazione» il privato deve
attendere comunque che decorrano trenta giorni per poter avviare l’attività, e il potere
della PA diviene essenzialmente preventivo, dato che durante tali trenta giorni può
vietarne l’avvio.
Con la “segnalazione certificata di inizio attività”, la sequenza degli atti viene
modificata nuovamente, così come la tipologia del controllo svolto dalla pubblica
amministrazione. Una volta presentata la Scia, l’attività può essere immediatamente
iniziata dal privato; il controllo della PA, quindi, torna ad essere ex post.
Tuttavia, si assiste ad un notevole aggravio degli adempimenti per il privato, che
è tenuto a presentare una doppia serie di documenti, dovendo egli allegare le
«dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda
tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, nonché, ove
espressamente previsto dalla normativa vigente, dalle attestazioni e asseverazioni di
tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle
imprese di cui all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza
dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo» e dovendo corredare tali
attestazioni e asseverazioni «dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche
di competenza dell’amministrazione». In tal modo, il privato viene gravato da «una
sorta di onere di istruttoria preventiva»91. Gli oneri a carico dei privati, quindi,
aumentano: mentre in precedenza era compito delle amministrazioni stesse acquisire
pareri e valutazioni tecniche ad altre amministrazioni, ora è il privato a dover chiedere, a
sue spese, consulenze, con un aggravio dei costi e, verosimilmente, con un ulteriore
effetto di dissuasione circa il ricorso a tale strumento92.
91 In tal senso, E. Boscolo, La segnalazione certificata di inizio attività: tra esigenze di
semplificazione ed effettività dei controlli, cit., p. 584. 92 Si v. B.G. Mattarella, La Scia, ovvero dell'ostinazione del legislatore pigro, cit., p. 1331.
68
Pur nel permanere del carattere di fondo dell’istituto – dichiarazione di un
privato atta a sostituire un atto di autorizzazione dell’amministrazione – vi sono state
notevoli oscillazioni circa numerosi aspetti del suo funzionamento: l’efficacia
abilitativa, se immediata o differita; l’autosufficienza dell’atto dichiarativo, cui sembra
essersi sostituita l’introduzione di oneri sempre maggiori a carico del privato.
È da aggiungere, poi, come all’aggravio degli oneri si accompagnino misure
sanzionatorie prima assenti: il nuovo comma 6 dell’art. 19 prevede che «Ove il fatto non
costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni
che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza
dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre
anni». Viene, in tal modo, introdotto un regime speciale e particolarmente severo: l’art.
21 della legge n. 241, infatti, rinvia all’art. 483 c.p. (Falsità ideologica commessa da
privato in atto pubblico), che prevede una reclusione non inferiore a tre mesi e non
superiore a due anni.
Per un verso, è evidente che un effetto di maggiore semplificazione per il privato
si ha in presenza di un modello di dichiarazione o di segnalazione che abbia un’efficacia
immediata, e che preveda degli oneri per il privato ben più ridotti di quelli attuali. Per
altro verso, può ipotizzarsi che le oscillazioni prima illustrate e l’aumento degli oneri
siano collegati a quanto si è prima esposto (supra, par. 3.1.) circa l’ambito di
applicazione dell’istituto: che ad esso sia stata riconosciuta portata generale (seppur con
numerose eccezioni di cui si è detto) ha forse indotto il legislatore a controbilanciare
tale (fittizio) ampliamento dell’ambito di applicazione con oneri di documentazione
maggiori. Da questo punto di vista, un approccio più analitico – volto a distinguere i
singoli procedimenti all’interno dei quali possa trovare applicazione la Scia – potrebbe
consentire di ridurre anche gli oneri gravanti sul privato.
Per quanto attiene all’efficacia immediata o differita della dichiarazione, è da
ricordare che la (re)introduzione della prima è precedente, per determinate attività,
rispetto alla recente riscrittura dell’art. 19, in ragione del (per altri versi controverso)
recepimento della «Direttiva Servizi» ad opera del d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59.
2.3. I poteri della PA e la tutela del terzo
69
Il modello stesso della Dia e della Scia presuppone una trasformazione del ruolo
della PA che, da svolgere un controllo di tipo autorizzatorio, di verifica ex ante della
compatibilità di una data attività con l’interesse pubblico, passa ad esercitare un
controllo di tipo inibitorio. Laddove venga applicato l’istituto in esame, compito
dell’amministrazione è quello di verificare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti
richiesti dalla legge dichiarati dal privato; in caso di accertata carenza degli stessi,
l’amministrazione può vietare la prosecuzione dell’attività e ordinare la rimozione degli
effetti. È fatta salva la possibilità per il privato di conformare la propri attività alla
normativa vigente, entro il termine indicato dall’amministrazione.
Anche sotto il profilo della tipologia dei poteri esercitabili dalla PA, tuttavia,
l’art. 19 della legge n. 241 è stato oggetto di numerose modifiche nel corso del tempo.
Nella versione originaria dell’art. 19, non era previsto alcun termine per
l’esercizio, da parte della PA, di tale potere inibitorio. In tale contesto, il Consiglio di
Stato sostenne la tesi che l’amministrazione potesse procedere «in ogni tempo» alla
verifica della conformità alla normativa vigente delle attività private intraprese in base
alla Dia93.
È solo con le modifiche introdotte dalla legge n. 537 del 1993 che viene fissato
un termine di sessanta giorni, entro il quale la PA deve verificare la sussistenza dei
presupposti e dei requisiti di legge richiesti e può, se del caso, disporre il divieto di
prosecuzione dell’attività e la rimozione dei suoi effetti.
La definizione di tale termine come perentorio, da parte dell’Adunanza generale
n. 137 del 1994, determina delle conseguenze di estremo rilievo sotto il profilo della
tutela del terzo che sia stato leso dall’attività svolta dal privato; eventualità che a partire
dalla metà degli anni Novanta, con il recepimento dell’istituto all’interno di leggi
speciali e in particolare in materia di edilizia, diviene ben più frequente di quanto non
fosse in precedenza, quando l’ambito di applicazione dell’istituto era limitato a ipotesi
marginali (supra, par. 3.1.)94.
Laddove tale termine venga qualificato come perentorio, infatti, la sua scadenza
determina l’esaurimento, in capo all’amministrazione, del potere di adottare
provvedimenti inibitori e, conseguentemente, l’impossibilità di tutelare il terzo che sia
93 Cons. Stato, Ad. Gen., parere 6 febbraio 1992, n. 27. 94 Si v. A. Travi, Dichiarazione di inizio attività, cit., p. 350.
70
stato leso dall’attività del privato, perdurante l’inerzia dell’amministrazione 95 . In
particolare, sarebbe preclusa al privato l’azione avverso il silenzio-rifiuto, poiché il
giudice non potrebbe ordinare all’amministrazione di esercitare un potere di cui
l’amministrazione è ormai priva96. La giurisprudenza ha quindi cercato di configurare,
in capo all’amministrazione, un potere di intervento tardivo; le cui caratteristiche, però,
risultavano poco chiare97.
Al fine di fornire una soluzione rispetto a tali problematiche, l’intervento
riformatore del 2005 ha previsto che, anche decorso il termine di sessanta giorni,
l’amministrazione competente possa «assumere determinazioni in via di autotutela, ai
sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies». È chiaro che il potere previsto dall’art. 19
non si sostanzia nell’emanazione di un provvedimento di secondo grado: nel caso della
Dia (e, ora, della Scia), infatti, non vi è alcun provvedimento, ma solo un atto del
privato che è legittimato a esercitare un’attività direttamente dalla legge. La
disposizione introdotta nel 2005 va, invece, interpretata nel senso che l’amministrazione
competente può assumere determinazioni successive alla scadenza del termine per
l’esercizio del potere inibitorio seguendo il procedimento per l’esercizio dell’autotutela
e sulla base dei medesimi presupposti98.
Tale previsione non è stata abrogata con la riscrittura dell’art. 19 operata dal d.l.
n. 78 del 2010: il comma 3 dell’art. 19 continua a prevedere che «È fatto comunque
salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di
autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies». Tuttavia, è stata introdotta
una nuova disposizione, che limita il potere d’intervento tardivo dell’amministrazione:
il comma 4 del medesimo articolo precisa che, una volta decorso il termine di sessanta
giorni per l’esercizio del potere inibitorio, «all’amministrazione è consentito intervenire
solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per
l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo
motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante
conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente». Il potere tardivo
95 Si v. M. Ramajoli, La S.C.I.A. e la tutela del terzo, in Dir. Proc. Amm., 2012, p.329 ss., sul punto p. 337.
96 Si v. A. Travi, Silenzio assenso, denuncia di inizio attività e tutela dei terzi interessati, in Dir. Proc. Amm., 2002, p. 16 ss.
97 Per un’analisi critica di tale tentativo, si v. M. Clarich, Termine del procedimento e potere amministrativo, Torino, 1995, p. 110 ss.
98 Si v. M. Ramajoli, La S.C.I.A. e la tutela del terzo, cit., p. 338.
71
d’intervento, quindi, sembrerebbe azionabile esclusivamente in presenza di interessi
qualificati e tipizzati; tuttavia, l’assenza di qualunque coordinamento con il potere di
autotutela richiamato al comma precedente non consente di ricostruire in termini certi i
limiti e le condizioni di esercizio di tale potere99.
Il problema della tutela del terzo è stato sempre più avvertito, nel corso degli
anni, come cruciale. Di recente, poi, si è registrata sul punto una forte contrapposizione
tra il Consiglio di Stato, che, con l’Adunanza Plenaria 29 luglio 2011, n. 15, ha
suggerito una pluralità di forme di tutela del terzo di fronte alla Scia, e il legislatore,
che, con il decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, ha indicato nell’azione avverso il
silenzio il rimedio da esperire a fronte dell’istituto qui in esame.
I termini del problema sono noti, e saranno qui richiamati al solo scopo di
indicare come tale profilo rappresenti uno dei problemi aperti della disciplina della Scia.
Il Codice del processo amministrativo contiene un unico, e insufficiente,
riferimento alla Scia: l’art. 133, comma 1, lett. a), n. 3, abrogando espressamente il
comma 5 dell’art. 19 della legge n. 241, conferma la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo nelle controversie in materia. Non vi è, invece, alcuna indicazione circa
la tutela esperibile dal terzo che si ritenga leso dallo svolgimento dell’attività segnalata
e dal mancato esercizio del potere inibitorio. Il problema di fondo, nell’individuazione
di tale tutela, è che le azioni disciplinate dal codice assumono quale punto di riferimento
l’esistenza di un provvedimento amministrativo, assente nel caso della Scia.
Con l’Adunanza Plenaria prima citata, il Consiglio di Stato, muovendo dal
presupposto che la Dia «non è un provvedimento a formazione tacita» ma «costituisce
un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente
ammessa dalla legge», esamina gli strumenti a disposizione del terzo, nella prospettiva
di poter garantire a quest’ultimo una tutela piena, immediata ed efficace. In particolare,
sulla base della configurazione del silenzio osservato dall’amministrazione nel termine
perentorio previsto per l’esercizio del potere inibitorio quale silenzio significativo
negativo100, il Consiglio di Stato ha indicato, quali rimedi idonei a configurare una
99 Ibidem. 100 Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 29 luglio 2011, n. 15, punto 6.2. Si tratta di una
soluzione che riflette in larga parte le posizioni espresse da G. Greco, La Scia e la tutela dei terzi al vaglio dell’Adunanza Plenaria: ma perché, dopo il silenzio assenso e il silenzio inadempimento, non si può prendere in considerazione anche il silenzio diniego?, in Dir. Proc. Amm., 2011, p. 359 ss.
72
tutela del terzo di fronte alla Scia sia un’azione impugnatoria, sia un’azione di condanna
dell’amministrazione all’esercizio del potere inibitorio101.
È il caso di sottolineare che il Consiglio di Stato ha ritenuto invece inadeguata la
tutela che potrebbe essere garantita al privato attraverso l’esercizio dell’azione nei
confronti del silenzio rifiuto, disciplinata dall’art. 31 del Codice del processo
amministrativo, soluzione poi fatta propria dal legislatore. Tale rito non sarebbe
applicabile in riferimento all’esercizio del potere inibitorio, che, una volta decorso il
termine perentorio di legge, è definitivamente consumato. Laddove si ritenga che tale
rito possa essere esercitato per indurre l’esercizio del potere di autotutela da parte
dell’amministrazione, tuttavia, esso non condurrebbe ad una tutela piena per il terzo: il
potere di autotutela, per sua natura, è ampiamente discrezionale, e di conseguenza, il
giudice non potrebbe che «limitarsi ad una mera declaratoria dell’obbligo di provvedere,
senza poter predeterminare il contenuto del provvedimento da adottare»102.
L’opzione effettuata dal legislatore, prevedendo l’azione avverso il silenzio
rifiuto quale rimedio per la tutela del terzo che sia stato leso da un’attività conseguente a
Scia, non si sottrae alle critiche sopra riportate, sicché la tutela del terzo risulta tutt’ora
insoddisfacente e in attesa di una disciplina che tenga maggiormente conto delle
esigenze prima esposte.
3. I modelli settoriali
In alcuni settori, come il commercio e l’edilizia, la Dia è stata oggetto sin dagli
anni Novanta di una disciplina “speciale”: che, cioè, si rifaceva al paradigma dell’art. 19
della legge n. 241, ma con alcune significative differenze103. Nel corso degli ultimi anni,
si è assistito, nell’ambito delle attività commerciali e di prestazione di servizi, ad un
ampliamento del ricorso alla Scia, in ragione dell’influenza comunitaria, anche se i tratti
di specialità della disciplina appaiono attenuati104. Nel settore dell’edilizia, gli sviluppi
più recenti si sono caratterizzati per una difficoltà di coordinamento tra disciplina
101 Ivi, punti 6.3. e 6.4. 102 Ivi, punti 6.1.2. I passaggi che criticano la soluzione fondata su di un ricorso indirizzato
all’esercizio dei poteri di autotutela da parte della PA sono considerati la parte “nodale” della sentenza da A. Travi, La tutela del terzo nei confronti della d.i.a. (o della s.c.i.a.): il codice del processo amministrativo e la quadratura del cerchio, in Foro it., 2011, c. 518.
103 Lo ricorda A. Travi, Dichiarazione di inizio attività, cit., p. 350. 104 E. Boscolo, La segnalazione certificata di inizio attività, cit., p. 593 ss.
73
generale e disciplina speciale, sfociata in una moltiplicazione dei titoli abilitativi, tra i
quali figurano sia la Scia che, per alcune ipotesi, la vecchia Dia.
3.1. Le attività industriali, commerciali e di prestazione di servizi
Nell’ambito del commercio, una prima disciplina speciale della Dia risale agli
anni Novanta del secolo scorso, e aveva un ambito di applicazione estremamente
limitato: riguardava gli esercizi di vicinato, nel contesto del nuovo ordinamento del
commercio, regolato dal d. lgs. 31 marzo 1998, n. 114. Un impatto ben più ampio sulla
concreta attuazione dell’istituto alle attività industriali, commerciali e di prestazione di
servizi ha avuto, invece, l’applicazione della Direttiva 2006/123/Ce (c.d. Direttiva
«servizi»), che guarda con sfavore ai regimi di autorizzazione e impone agli Stati
membri la loro sostituzione.
3.1.1. La disciplina speciale relativa agli esercizi di vicinato
L’art. 7 del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 114 subordinava gli esercizi di vicinato ad
una comunicazione preventiva al Comune competente per territorio, insieme alla quale
il cittadino doveva dichiarare di avere rispettato i regolamenti locali di polizia urbana,
annonaria e igienico-sanitaria, i regolamenti edilizi e le norme urbanistiche nonché
quelle relative alle destinazioni d’uso. Si trattava di un modello di Dia a efficacia
differita, dato che si prevedeva che l’attività di vendita al dettaglio potesse iniziare
decorsi trenta giorni dal ricevimento della comunicazione.
La disciplina in materia di commercio non prevedeva alcun termine per
l’esercizio dei poteri di verifica da parte della pubblica amministrazione, sicché si era
diffusa l’interpretazione per la quale in tale settore l’intervento pubblico potesse
realizzarsi in qualunque momento105.
Il modello di Dia in materia di commercio, quindi, si caratterizzava,
originariamente, per alcune peculiarità, relative agli obblighi di dichiarazione che
gravavano sul privato, all’efficacia differita (la disciplina generale vigente tra il 1995 e
105 Si v. A. Travi, Dichiarazione di inizio attività, cit., p. 350.
74
il 2005 prevedeva l’efficacia immediata), l’assenza di un termine per l’intervento
inibitorio della PA.
La norma in questione è stata abrogata dal d. lgs. 26 marzo 2010, n. 59, di
attuazione della direttiva servizi. Il decreto ha assoggettato gli esercizi di vicinato al
regime di Scia, lasciando fermi gli obblighi di dichiarazione previsti dalla normativa
previgente.
3.1.2. La Direttiva «servizi»
Una spinta significativa alla liberalizzazione delle attività economiche deriva
dall’ordinamento comunitario106 e in particolare, come si è anticipato, dalla “Direttiva
servizi”107. Di seguito, si dà conto delle principali previsioni della Direttiva, per il
profilo che qui rileva, ovvero quello delle autorizzazioni; successivamente, si esaminano
il recepimento realizzato a livello nazionale, ad opera del d. lgs. n. 59 del 2010, e il
ruolo delle Regioni, sotto il duplice profilo della partecipazione allo screening dei
regimi autorizzatori esistenti, richiesto dalla normativa comunitaria, e del processo di
attuazione della direttiva stessa. Infine, si esamineranno alcune disposizioni contenute
in numerosi decreti legge emanati nel contesto della crisi, e che incidono sulla
medesima materia coperta dal d. lgs. n. 59 del 2010, con alcune limitate innovazioni,
ma più di frequente con un effetto di duplicazione e stratificazione la cui efficacia
rimane dubbia.
Il legislatore comunitario muove dalla constatazione che una delle principali
difficoltà incontrate dalle imprese comunitarie nell’accesso alle attività di servizi e nel
loro esercizio «è rappresentato dalla complessità, dalla lunghezza e dall’incertezza
giuridica delle procedure amministrative»108. Di conseguenza, la Direttiva mira a
limitare i regimi di autorizzazione ai casi in cui essi sono indispensabili, al fine «di
eliminare i ritardi, i costi e gli effetti dissuasivi che derivano, ad esempio, da procedure
106 Si v. N. Longobardi, Attività economiche e semplificazione amministrativa. La «Direttiva
Bolkenstein» modello di semplificazione, in www.amministrazioneincammino.it. 107 Per un ampio commento sulla genesi della Direttiva, si v. G. Fonderico, Il Manuale della
Commissione per l’attuazione della direttiva servizi, in Giorn. dir. amm., 2008, p. 921 ss. Sulle caratteristiche di tale Direttiva, si v. G. Tiberi, L’Unione europea e la liberalizzazione dei servizi: la sfida della creazione di un «mercato interno dei servizi», in La regolazione intelligente. Un bilancio critico delle liberalizzazioni italiane, a cura di B.G. Mattarella e A. Natalini, Passigli editori, 2013 p. 87 ss. e L. Alla, La Direttiva 2006/123/Ce ed il nuovo quadro comunitario di riferimento per la liberalizzazione dei servizi nel mercato interno, 2009, disponibile all’indirizzo www.amministrazioneincammino.it.
108 Direttiva 2006/123/Ce, cons. 43.
75
non necessarie o eccessivamente complesse e onerose, dalla duplicazione delle
procedure, dalle complicazioni burocratiche nella presentazione di documenti,
dall’abuso di potere da parte delle autorità competenti, dai termini di risposta non
precisati o eccessivamente lunghi, dalla validità limitata dell’autorizzazione rilasciata o
da costi e sanzioni sproporzionati»109.
La Direttiva «servizi» ha «natura orizzontale»110: anziché individuare i servizi
cui applicare la direttiva, il legislatore comunitario ha optato per una tecnica opposta,
ovvero quella di elencare i servizi espressamente esclusi dall’ambito di applicazione
della direttiva (i servizi di interesse economico generale, i servizi finanziari, i servizi di
comunicazione elettronica e quelli audiovisivi, i servizi di trasporto, i servizi sanitari e
sociali, i giochi e le scommesse)111.
In base all’art. 9 della Direttiva 2006/123/Ce, gli Stati membri possono
subordinare l’accesso ad un’attività e il suo esercizio a un regime di autorizzazione
laddove ricorrano tre condizioni: tale regime non deve essere discriminatorio nei
confronti del prestatore; deve essere giustificato da un motivo imperativo di interesse
generale; l’obiettivo perseguito non potrebbe essere conseguito tramite una misura
meno restrittiva. Tra i motivi di interesse generale, il considerando 56 della direttiva
menziona la sanità pubblica, la tutela dei consumatori, la salute degli animali e la
protezione dell’ambiente urbano. Tuttavia, la disciplina comunitaria specifica che,
benché tali obiettivi possano giustificare l’applicazione di regimi di autorizzazione, ciò
debba avvenire nel rispetto dei principi di necessità e proporzionalità. La Direttiva,
inoltre, precisa le eccezioni atte a limitare la durata delle autorizzazioni e i criteri cui
devono uniformarsi le procedure di autorizzazione: esse non devono essere dissuasive;
non devono complicare o ritardare indebitamente la prestazione del servizio; devono
essere facilmente accessibili e «gli oneri che ne possono derivare per i richiedenti
devono essere ragionevoli e commisurati ai costi delle procedure di autorizzazione e
non essere superiori ai costi delle procedure»112.
La Direttiva prevede, poi, un’ipotesi assimilabile al silenzio assenso: l’art. 13,
par. 4, dispone che «[i]n mancanza di risposta entro il termine stabilito […]
109 Ibidem. 110 Si v. G. Tiberi, L’Unione europea e la liberalizzazione dei servizi: la sfida della creazione di
un «mercato interno dei servizi», cit., p. 91. 111 Direttiva 2006/123/Ce, art. 2. 112 Direttiva 2006/123/Ce, art. 13, comma 3.
76
l’autorizzazione si considera rilasciata. Secondo la disciplina comunitaria, quindi, il
silenzio assenso si configura come un «rimedio all’inerzia delle amministrazioni»113.
È poi il caso di precisare che, secondo la definizione di autorizzazione contenuta
nella direttiva, la disciplina della Dia – quale risultante dalle modifiche del 2005 –
rientrava tra tali atti. Ai sensi dell’art. 4, par. 6, costituisce regime di autorizzazione
«qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad
un’autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione
implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio». Il
considerando 39 precisa che «L’autorizzazione può essere concessa non solo in base ad
una decisione formale, ma anche in base ad una decisione implicita derivante, ad
esempio, dal silenzio dell’autorità competente o dal fatto che l’interessato debba
attendere l’avviso di ricevimento di una dichiarazione per iniziare l’attività o affinché
quest’ultima sia legittima».
La Direttiva ha imposto agli Stati membri di esaminare la propria legislazione
(nazionale, regionale e locale) e di presentare, entro il 28 dicembre 2009, una relazione
che operasse un censimento dei regimi di autorizzazione esistenti 114 . Una volta
completato il «censimento», gli Stati hanno dovuto valutare la conformità o meno di tali
regimi ai criteri comunitari, procedendo, a seconda dei casi, a una sostituzione dei
regimi contrastanti. Il processo di recepimento della Direttiva «servizi» si è
concretizzato, quindi, in un «dialogo serrato» 115 tra la Commissione e le
amministrazioni nazionali, tanto di livello statale che regionale e locale116.
È proprio nell’ambito di tale dibattito che è stato risolto il problema di come
qualificare la Dia di fronte alle istituzioni comunitarie, in presenza dell’ampia
definizione di regime autorizzatorio, sopra riportata. Si è concluso che solo la Dia ad
efficacia differita, che presuppone una decisione implicita della PA, ricade nella
definizione di regime autorizzatorio contenuta nella direttiva, e deve quindi essere
113 Si v. N. Longobardi, Attività economiche e semplificazione amministrativa. La «Direttiva Bolkenstein» modello di semplificazione, cit., p. 11.
114 Direttiva 2006/123/Ce, art. 9, par. 2. 115 Così G. Tiberi, L’Unione europea e la liberalizzazione dei servizi: la sfida della creazione di
un «mercato interno dei servizi», cit., p. 94. 116 Si v., rispettivamente, G. Fonderico, L’applicazione della direttiva «servizi» a livello
nazionale, », in La regolazione intelligente. Un bilancio critico delle liberalizzazioni italiane, a cura di B.G. Mattarella e A. Natalini, cit., p. 135 ss. e C. Apponi e L. Faina, Il recepimento della direttiva da parte delle Regioni, in op. ult. cit., p. 143 ss. Per un’analisi comparata della direttiva nei Paesi europei, G. Coppo e S. Dossi, L’applicazione della direttiva «Servizi» in Europa. Strutture di Governance in Francia, Regno Unito e Germania, in op. ult. Cit., p. 119 ss.
77
notificata alla Commissione e giustificata da motivi imperativi di interesse generale. La
Dia ad efficacia immediata, invece, non costituisce autorizzazione ai sensi della
direttiva e, pertanto, non deve essere né notificata né giustificata117.
3.1.3. Il recepimento nella legislazione statale
A livello nazionale, la Direttiva «servizi» è stata recepita con il d.lgs. 26 marzo
2010, n. 59118. In coerenza con i principi di fondo sanciti dalla direttiva119, il decreto
prevede che i regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti «solo se
giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non
discriminazione, di proporzionalità» (art. 14).
Il testo del decreto è diviso in due parti: la prima ha carattere «orizzontale», e
comprende le disposizioni che stabiliscono una disciplina generale applicabile ai
prestatori di servizi; la seconda è di tipo «verticale» e riguarda singoli settori120.
All’interno della prima parte si trovano le disposizioni generali in materia di
autorizzazioni e di Scia. L’art. 17 del d.lgs. n. 59 del 2010 – così come modificato dal
D.Lgs. 6 agosto 2012, n. 147, che ha operato il coordinamento reso necessario dalla
riscrittura dell’art. 19 della legge n. 241 ad opera del d.l. n. 78 del 2010, che ha
sostituito la Dia con la Scia – prevede che «Ai fini del rilascio del titolo autorizzatorio
riguardante l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi di cui al presente decreto si
segue, ove non diversamente previsto, il procedimento di cui all’articolo 20 della legge
7 agosto 1990, n. 241. In tutti i casi diversi da quelli di cui all’articolo 14 per i quali le
norme vigenti, alla data di entrata in vigore del presente comma, prevedono regimi
autorizzatori o di dichiarazione di inizio attività, si applica l’articolo 19 della legge 7
agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni». In altri termini, nei casi in cui venga
mantenuto un regime di autorizzazione, giustificato da motivi imperativi di interesse
generale, si segue la procedura del silenzio assenso; tutte le altre ipotesi esistenti di
autorizzazione, non rispondenti ai criteri comunitari, nonché i casi di Dia, vengono
sostituiti dalla Scia, che diviene il regime generale per l’avvio di un’attività
commerciale.
117 Si v. C. Apponi e L. Faina, Il recepimento della direttiva da parte delle Regioni, cit., p. 147. 118 Per un commento, si v. E.L. Camilli, Il recepimento della direttiva servizi in Italia, in Giorn.
dir. amm., 2010, p. 1239 ss. 119 G. Fonderico, L’applicazione della direttiva «servizi» a livello nazionale, cit., p. 139. 120 E.L. Camilli, Il recepimento della direttiva servizi in Italia, cit., p. 1240.
78
Nella seconda parte, «verticale», del d.lgs. n. 59 del 2010, sono state previste
alcune ipotesi specifiche di Scia. Ad esempio, per la somministrazione di alimenti e
bevande è previsto un regime misto: l’avvio di tale attività è soggetto ad autorizzazione,
mentre il trasferimento di sede o della titolarità di tali esercizi è soggetto a Scia. È
subordinata a Scia anche l’attività di somministrazione di alimenti e bevande riservata a
particolari soggetti121.
È stata poi innovata la disciplina degli esercizi di vicinato, che, come si
ricorderà, il d. lgs. n. 114 del 1998 sottoponeva a comunicazione preventiva, cui
seguivano trenta giorni perché il privato potesse avviare l’attività in questione. La
sottoposizione a Scia implica l’efficacia immediata della comunicazione122.
Infine, sono state sottoposte a Scia anche le attività di facchinaggio, di
intermediazione commerciale e di affari, di agenzia e rappresentanza di commercio, di
mediazione marittima, di spedizione, di acconciatore ed estetista, di imprese di
lavanderia123.
3.1.4. Il recepimento da parte delle Regioni: inquadramento e rinvio
Come si è prima osservato (par. 3.1.2.), le Regioni hanno innanzitutto
partecipato in modo attivo al processo di censimento dei regimi autorizzatori esistenti.
In tale contesto, si è sviluppato un dibattito tra le Regioni sul regime giuridico più
opportuno cui sottoporre determinate attività, nell’ambito del quale non sono mancate
divergenze (mentre vi era consenso sulla liberalizzazione degli esercizi di vicinato – da
lungo tempo sottoposti ad un regime assimilabile alla Dia differita, come si è visto –, si
sono registrati disaccordi circa il regime cui sottoporre la somministrazione di alimenti
e bevande al grande pubblico) 124.
Il ruolo delle Regioni è stato, poi, estremamente incisivo sotto il profilo del
recepimento. Al riguardo, è opportuno ricordare che il d.lgs. n. 59 del 2010 delinea un
rapporto ben diverso tra disciplina statale e disciplina regionale per quanto riguarda la
parte prima, a carattere orizzontale, del decreto stesso, e per la parte seconda, di tipo
settoriale.
121 D. Lg. n. 59 del 2010, art. 64. 122 D. Lg. n. 59 del 2010, artt. 65-69. 123 D. Lg. n. 59 del 2010, artt. 72-79. 124 Per un’analisi nel dettaglio della partecipazione delle Regioni a tale processo, si v. C. Apponi
e L. Faina, Il recepimento della direttiva da parte delle Regioni, cit., in particolare p. 145 ss.
79
L’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 59 del 2010 specifica che le disposizioni della
Parte prima del decreto attengono alla tutela della concorrenza e costituiscono livelli
essenziali delle prestazioni ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) ed m),
della Costituzione: rientrano, quindi, nella competenza esclusiva statale e non possono
essere derogate dalle Regioni125. Le regole dettate nella seconda parte del decreto, di
tipo verticale, sono invece adottate ai sensi dell’art. 117, quinto comma, Cost., che
consente l’intervento statale in funzione sostitutiva al fine di evitare l’inadempienza da
parte dello Stato italiano in sede comunitaria: l’art. 84 del d.lgs. n. 59 del 2010 detta, al
riguardo, una «clausola di cedevolezza», prevedendo che tali disposizioni statali (che,
come si ricorderà, riguardano l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, gli
esercizi di vicinato, le attività di facchinaggio, di intermediazione commerciale e di
affari, di agenzia e rappresentanza di commercio, di mediazione marittima, di
spedizione, di acconciatore ed estetista, di imprese di lavanderia), si applicano fino a
quando non interviene la disciplina regionale di recepimento della direttiva126.
Molte Regioni hanno emanato leggi di attuazione della direttiva prima ancora
dell’approvazione del d.lgs. n. 59: è il caso dell’Abruzzo, dell’Emilia Romagna, del
Piemonte, della Puglia e dell’Umbria. Un numero particolarmente ridotto di Regioni,
invece, non ha ancora provveduto – al 28 Giugno 2013 – al recepimento: è il caso, ad
esempio, della Basilicata, del Lazio, del Molise e della Sardegna127. In altri due casi
(Calabria e Campania), il recepimento è solo apparente: i rispettivi regolamenti
regionali si limitano a operare una ricognizione dei principi generali della direttiva,
rinviando ad una successiva legge regionale – ancora da approvare – le modifiche alla
normativa esistente.
125 D.lgs. n. 59 del 2010, art. 1, comma 2: «Le disposizioni della Parte prima del presente decreto
sono adottate ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettere e) ed m), della Costituzione, al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità e il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché per assicurare ai consumatori finali un livello minimo e uniforme di condizioni di accessibilità ai servizi sul territorio nazionale».
126 D.lgs. n. 59 del 2010, art. 84: «In relazione a quanto disposto dall'articolo 117, quinto comma, della Costituzione e fatto salvo quanto previsto dagli articoli 16, comma 3, e 10, comma 3, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, nella misura in cui incidono su materie di competenza esclusiva regionale e su materie di competenza concorrente, le disposizioni del presente decreto si applicano fino alla data di entrata in vigore della normativa di attuazione della direttiva 2006/123/CE, adottata da ciascuna regione e provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dei principi fondamentali desumibili dal presente decreto».
127 Si v. http://www.direttivaservizi.eu/?page_id=55.
80
Il caso del Lazio si presenta peculiare in quanto tale Regione ha emanato, già nel
2010, una circolare volta a verificare gli ambiti di incompatibilità della normativa
regionale con le indicazioni comunitarie e ad indicare gli interventi più opportuni, ma
non ha ancora proceduto in tal senso128. Anche altre Regioni, coma la Liguria, la
Toscana e il Veneto, hanno, come primo intervento, emanato delle circolari di tal tipo; a
tale prima ricognizione, però, hanno fatto seguire dettagliate leggi regionali di
recepimento, sia a carattere generale che settoriale.
L’effettiva applicazione dell’istituto della Scia all’interno della normativa
regionale di recepimento della Direttiva «servizi» sarà esaminata nel dettaglio nella
terza parte di questo contributo (infra, par. 4.3).
3.2.L’edilizia
Nell’ambito dell’edilizia, la Dia è stata introdotta nel corso degli anni Novanta,
per poi essere inclusa all’interno del sistema dei titoli abilitativi delineato dal TU
Edilizia, contenuto nel D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380129. Tale impianto, modificato
prima ancora della sua entrata in vigore, è stato criticato per più profili. Negli ultimi
anni, tuttavia, le incertezze in materia si sono moltiplicate, in ragione, soprattutto, dello
scarso coordinamento tra disciplina generale e disciplina speciale e della
moltiplicazione dei titoli abilitativi. Di seguito, si ripercorre l’evoluzione normativa
dell’istituto, per poi mettere in luce i principali problemi aperti.
128 Regione Lazio, Circolare 22 luglio 2010, prot. n. 175/SP, Direttiva 2006/123/CE e d. lgs. 26
marzo 2010 n. 59. Indicazioni sulla prima applicazione delle disposizioni di interesse regionale in materia di Commercio, disponibile all’indirizzo http://www.osservatoriocommercio.lazio.it/index.php?option=com_docman&task=cat_view&gid=74. Per un commento, si v. C. Cardoni, Il ruolo delle Regioni in materia di commercio, in Il commercio tra regolazione giuridica e rilancio economico, a cura di P. F. Lotito e O. Roselli, Giappichelli, 2012, p. ss., in particolare p. 138.
129 Sulla Dia edilizia, si v. P. Mantini, La semplificazione amministrativa in materia edilizia, in Riv. giur. edilizia, 1995, 791 ss.; P. Marzaro Gamba, L'individuazione degli interventi edilizi soggetti a denuncia di inizio: aspetti problematici, in Riv. giur. urbanistica, 1997, 255 ss.; P. Falcone, Denuncia di inizio attività: prime note, in Urb. e app., 1998, 5 ss; M.A. Sandulli, Denuncia di inizio attività, in Riv. giur. edilizia, 2004, 121 ss.; P. Marzaro Gamba, La denuncia di inizio attività edilizia, profili sistematici, sostanziali e processuali, Milano, 2005.
81
3.2.1.L’introduzione della Dia edilizia
La realizzazione di opere di trasformazione edilizia coinvolge una pluralità di
interessi, pubblici - urbanistici, paesaggistico-ambientali, culturali – e privati130. Proprio
al fine di comporre tali interessi, il ruolo della pubblica amministrazione in tale ambito è
centrale e si è a lungo identificato con un intervento di tipo autorizzatorio. Nel corso
degli anni Novanta del secolo scorso, anche in tale ambito si è assistito ad un
ripensamento del rapporto tra autorità e libertà, a favore dell’autonomia dei privati131.
L’introduzione della Denuncia di inizio attività nel settore edilizio costituisce uno dei
più significativi segnali di tale trasformazione.
La Dia per l’esecuzione di alcuni interventi edilizi è stata prevista, dapprima, dal
decreto legge n. 398 del 1993, convertito della legge n. 493 del 1993. Con l’art. 2 della
legge 23 dicembre 1996, n. 662 è stata per la prima volta posta in essere una nuova
disciplina della Dia (comma 60, che modificava l’art. 4 della legge n. 493 del 1993)132.
L’ambito di applicazione della Dia edilizia non veniva individuato in ragione del
tipo di procedimento o della natura dell’attività, ma sulla base del tipo di trasformazione
edilizia da realizzare (in generale, gli interventi edilizi minori) 133.
La principale differenza della Dia edilizia rispetto a quella disciplinata dall’art.
19 della legge n. 241 è sempre stata individuata nel suo carattere differito: era previsto,
cioè, un intervallo di trenta giorni tra dichiarazione e avvio della attività. Da tale
specificità (il modello generale, come si è visto nella prima parte di questo studio, si è
caratterizzato per una struttura analoga solo nella versione introdotta nel 2005), vi è chi
ha sostenuto come la diversa scansione temporale rispondesse, in ambito edilizio,
all’esistenza di uno specifico interesse all’uso del territorio, che imponeva la
conservazione di un esame preventivo da parte della PA134. In ambito edilizio, poi,
come si è primo accennato, la Dia ha posto con particolare urgenza problemi relativi
130 Sulla pluralità di interessi nell’urbanistica, si v. L. Casini, L’equilibrio degli interessi nel
governo del territorio, Giuffrè, Milano, 2005. 131 Si v. C. Cudia, La denuncia di inizio attività edile fra modello generale e modello speciale:
contraddizioni di una liberalizzazione apparente, in Dir. amm., 2003, p. 411 ss. 132 Per un primo commento, si v. P. Falcone, Denuncia di inizio attività: prime note, in Urb. e
app., 1998, 5 ss. 133 Si v. C. Cudia, La denuncia di inizio attività edile fra modello generale e modello speciale,
cit., p. 423. 134 Si v. E. Boscolo, La segnalazione certificata di inizio attività: tra esigenze di semplificazione
ed effettività dei controlli, cit., p. 594; in senso più critico, F. Liguori, I modelli settoriali: D.I.A. edilizia e procedure semplificate in tema di rifiuti, in M.A. Sandulli (a cura di), Il codice dell'azione amministrativa, cit., p. 771 ss., sul punto p.773.
82
alla tutela del terzo, come si è prima osservato (supra, par. 2.3., cui si rinvia anche in
relazione all’inquadramento della natura dell’istituto).
3.2.2. Il Testo Unico dell’edilizia (d. P.R. 380/2001)
Il testo originario del TU disciplinava la materia dei titoli abilitativi secondo un
sistema estremamente lineare, ispirato al principio di semplificazione135. Vi era, infatti,
una distinzione tra tre sole ipotesi: l’attività libera, il permesso di costruire e la Dia.
L’art. 6 del TU elenca gli interventi che possono essere eseguiti senza alcun titolo
abilitativo (ricadendo, quindi, nella prima ipotesi), mentre l’art. 10 enumera gli
interventi subordinati a permesso di costruire. Nell’ambito di tale impianto, la Dia
trovava applicazione, in via residuale, in tutte le ipotesi non espressamente ricondotte
nell’ambito dell’attività libera o del permesso di costruire.
Tuttavia, tale sistema è stato oggetto di modifiche significative prima ancora
della sua entrata in vigore (che venne differita al 30 giugno 2003), ad opera della legge
(c.d. obiettivo) del 21 dicembre 2001, n. 443, e del D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301,
Modifiche ed integrazioni al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia136.
Le principali modifiche apportate all’impianto del codice sono due: da un lato,
pur mantenendo nominalmente la regola della residualità per la Dia, il comma 2 dell’art.
22 del TU identifica degli ulteriori interventi sottoposti a Dia, nell’ambito dei casi che il
testo originario del d. P.R. 380/2001 aveva sottoposto al permesso di costruire;
dall’altro, delinea la Dia come titolo alternativo al permesso per alcuni interventi (art.
22, comma 3).
Gli interventi correttivi al TU, quindi, sembrano ispirati all’intento di ampliare
l’ambito di applicazione della Dia; tuttavia, desta non poche perplessità la tecnica
normativa utilizzata, che rende molto più incerte le linee di demarcazione tra l’ambito di
applicazione tra i vari istituti.
Sono, infine, opportune due ulteriori precisazioni: da un lato, il TU fa sempre
salva la facoltà per il privato di chiedere il permesso di costruire, anche ove sia richiesta
135 Sul testo unico dell'edilizia, si v. B.G. Mattarella, Il testo unico come riordino normativo, in
La disciplina pubblica dell'attività edilizia e la sua codificazione, a cura di E. Ferrari, Milano, 2002, 197 ss.
136 Tali modifiche sono state in parte rese necessarie dal parere del Consiglio di Stato, che aveva rilevato, nella semplificazione in due soli titoli abilitativi operata dal testo unico, un eccesso di delega.
83
la Dia137; dall’altro, le leggi regionali possono modificare ulteriormente l’ambito di
applicazione, rispettivamente, del permesso di costruire e della Dia, nel rispetto dei
principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute
nel testo unico.138.
3.2.3. Le difficoltà interpretative successive alla modifica della disciplina generale: i
riflessi sulla Dia edilizia dell’introduzione della Scia
Com’è ormai noto, con il d.l. n 78 del 2010 la Dia è stata sostituita con la Scia.
Tale modifica della disciplina generale ha ingenerato numerose incertezze circa gli
effetti sulla disciplina speciale: non solo parte la scienza giuridica, ma anche il Centro
Studi della Camera dei Deputati ha ipotizzato che tale innovazione determinasse
l’abrogazione della disciplina speciale139.
Un esito di tal tipo veniva valutato in modo negativo per due ragioni. La prima
attiene, nello specifico, al settore dell’edilizia: si è prima osservato come la peculiarità
della Dia edilizia si identifichi con la sua efficacia differita; peculiarità a sua volta da
ricollegare alla tipologia degli interessi in gioco. La Scia, invece, ha configurato
nuovamente l’istituto previsto dall’art. 19 della legge n. 241 quale avente efficacia
immediata. Tale caratteristica non terrebbe conto della specificità del settore
dell’edilizi 140 . Un secondo ordine di critiche ha, invece, carattere generale (non
riguarda, cioè, il solo settore dell’edilizia): si osserva che proprio la duttilità dell’istituto
e la possibilità di declinarlo secondo modelli diversi nei vari settori siano all’origine del
suo successo. Come si è prima ricordato, negli anni Novanta l’applicazione dell’art. 19
della legge n. 241 è rimasta confinata a lungo ad alcune ipotesi di rilevanza minore,
mentre la rivitalizzazione dell’istituto si deve proprio alla sua applicazione al settore
dell’edilizia. Da tale punto di vista, si contesta quindi il rischio di eccessivo
137 TU Edilizia, art. 22, comma 7. 138 TU Edilizia, art. 10, comma 2: «Le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o
non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività».
139 Si v. F. Liguori, I modelli settoriali: D.I.A. edilizia e procedure semplificate in tema di rifiuti, cit., p. 774.
140 W. Giulietti, Il controverso impatto della l. n. 122 del 2010 sulla DIA edilizia, in Giustamm.it.
84
“irrigidimento” dell’istituto, che potrebbe essere controproducente per la sua stessa
diffusione141.
A tali incertezze interpretative ha posto rimedio il legislatore, che, con il decreto
n. 138 del 2011, ha inserito il comma 6-bis all’interno dell’art. 19 della legge n. 241, il
quale prevede che «Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di
cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l’applicazione
delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni
relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni
previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi
regionali».
In tal modo, viene, da un lato, introdotta una particolare ipotesi di Scia edilizia,
nell’ambito della quale l’esercizio del potere inibitorio della PA deve essere esercitato
nel termine ridotto di trenta giorni, anziché sessanta. Da tale punto di vista, vi è un
significativo allontanamento dal modello affermatosi con il TU edilizia: uno dei titoli
abilitativi, infatti, viene disciplinato all’interno della legge generale sul procedimento,
anziché nel TU che dovrebbe disciplinare in modo organico il settore. Si tratta, quindi,
di un «passo indietro sul fronte della semplificazione normativa»142. Dall’altro lato,
rimane ferma la disciplina della Dia alternativa al permesso di costruire, di cui all’art.
22, commi 3 e 4, del TU143.
3.2.4. La moltiplicazione dei titoli abilitativi
Il sistema dei titoli abilitativi delineato dal TU – incentrato sulla tripartizione in
tre categorie di interventi, da ricondurre all’attività libera, sottoposti a permesso di
costruire o sottoposti a Dia – risulta fortemente modificato, non solo per l’applicazione
in ambito edilizio della Scia (che però non si applica nei casi di Dia alternativa al
permesso di costruire), ma anche a seguito di una serie di interventi di semplificazione
contenuti nella decretazione d’urgenza successiva alla crisi (decreto legge n. 40 del
2010 – c.d. decreto « incentivi » –; decreto legge n. 70 del 2011 – c.d. decreto sviluppo
141 In tal senso, E. Boscolo, La segnalazione certificata di inizio attività: tra esigenze di
semplificazione ed effettività dei controlli, cit., p. 595. 142 E. Cavalieri, Il decreto «crescita», in Giorn. Dir. Amm., 2012, p. 1041 ss. 143 La non applicabilità della Scia alle ipotesi di Dia sostitutiva del permesso di costruire era stata
affermata già nella circolare del Ministro per la semplificazione, 16 settembre 2010, p. 4.
85
–; decreto legge n. 35 del 2012 – c.d. decreto semplificazione –; decreto legge n. 83 del
2012 – c.d. decreto crescita –).
In particolare, il decreto legge « incentivi» ha modificato l’articolo 6 TU,
dedicato all’attività libera, introducendo un nuovo titolo abilitativo, la Comunicazione
d’inizio lavori (Cil), cui sono stati sottoposti gli interventi di manutenzione
straordinaria, tradizionalmente sottoposti a Dia e ora a Scia. Il decreto «crescita» ha
ampliato le ipotesi soggette a Cil, includendo anche le modifiche interne di carattere
edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d’impresa, ovvero le
modifiche della destinazione d’uso dei locali adibiti ad esercizio d’impresa144. In alcune
ipotesi, poi, la Cil deve essere « asseverata »: l'interessato, unitamente alla
comunicazione di inizio dei lavori, deve trasmettere alla PA sia i dati identificativi
dell’impresa alla quale intende affidare la realizzazione dei lavori, che una relazione
tecnica a firma di un tecnico abilitato, il quale «assevera, sotto la propria responsabilità,
che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi
vigenti e che per essi la normativa statale e regionale non prevede il rilascio di un titolo
abilitativo»145.
Le ipotesi di attività libera, di Cil e di Cil asseverata sono tutte disciplinate
all’interno dell’art. 6 del TU, che è, quindi, divenuto assai più complesso rispetto alla
sua iniziale formulazione146.
Il sistema dei titoli abilitativi inizialmente delineato dal TU (attività libera,
permesso di costruire, Dia, le ipotesi rientranti nei quali erano disciplinate in altrettante
disposizione del TU) è stato sostituito da una panoplia più articolata di strumenti. Si
registrano, infatti, sei ipotesi: l’attività libera; l’attività sottoposta a comunicazione
d’inizio lavori (Cil); l’attività soggetta a Cil «asseverata», ovvero accompagnata dalla
documentazione di cui sopra; l’attività soggetta a Scia (che ha sostituito la Dia),
disciplinata dall’art. 19, comma 6-bis della legge n. 241; le ipotesi di Dia alternativa al
permesso di costruire; l’attività soggetta a permesso di costruire.
Della stratificazione degli interventi normativi, nominalmente tutti ispirati alla
semplificazione, risulta quindi una complicazione del precedente assetto, sotto più
profili: innanzitutto, per l’aumento del numero dei titoli abilitativi (da tre a sei ipotesi);
144 Art. 6, comma 2, lett. e-bis. 145 Art. 6, comma 4. 146 E. Cavalieri, Il decreto «crescita», in Giorn. Dir. Amm., 2012, p. 1041 ss.
86
in secondo luogo, per la tecnica normativa utilizzata e le conseguenti difficoltà di
determinazione delle linee di demarcazione tra le varie ipotesi. Da quest’ultimo punto di
vista, risultano particolarmente preoccupanti tre sviluppi: la disciplina di uno dei titoli
abilitativi – la Scia – è contenuto nella legge generale sul procedimento, e non nel TU
(titolo abilitativo che presenta, comunque, un aspetto di specialità rispetto alla disciplina
generale, ovvero il dimezzamento dei termini per l’intervento inibitorio della PA); la
struttura piuttosto simmetrica del testo unico, in cui tre distinti articoli erano dedicati a
tre titoli abilitativi, già resa meno lineare in ragione delle modifiche apportate prima
ancora della sua entrata in vigore (soprattutto per l’ampliamento delle ipotesi di Dia, e
quindi l’affiancamento della tecnica dell’elencazione alla clausola di residualità), è resa
ancora più complessa dalle modifiche apportate all’art. 6, che disciplina ora, in commi
diversi, le tre distinte ipotesi dell’attività libera, della Cil e della Cil asseverata; infine,
la «sopravvivenza» dell’istituto della Dia nei casi in cui essa sostituisca il permesso di
costruire appare suscettibile di ingenerare ulteriore confusione negli operatori.
Gli effetti di tale complicazione sono fotografati dai dati più recenti dei rapporti
Doing Business, e che saranno discussi a breve (Infra, par. 4.1.), in base ai quali nel
2012 in Italia per ottenere un permesso edilizio sono necessari undici procedimenti, per
una durata complessiva di 234 giorni.
4. I dati
4.1. L’avvio di un’attività economica in Italia
4.1.1. I rapporti Doing Business a carattere generale
Nel 2013 la Banca mondiale, in collaborazione con l’International Finance
Corporation (Ifc), ha pubblicato il decimo rapporto Doing Business, che misura
l’impatto della regolamentazione sulle attività d’impresa in 185 Paesi (inizialmente,
oggetto del rapporto erano 133 Stati). In particolare, gli indicatori utilizzati nel rapporto
riguardano undici aree: l’avvio di un’attività di impresa, le autorizzazioni nel settore
edilizio, il servizio di energia elettrica, il diritto di proprietà, l’accesso al credito, la
protezione degli investitori, il pagamento delle tasse, il commercio transfrontaliero,
l’esecuzione dei contratti, l’insolvenza e l’occupazione. Le aree che rilevano ai fini del
presente studio sono le prime due.
87
Il trend generale registrato dal rapporto è che, in media, i Paesi monitorati hanno
snellito le rispettive regolamentazioni, nel periodo 2003-2012147. Tuttavia, l’Italia non è
tra i cinquanta Paesi che hanno in misura maggiore migliorato le rispettive performance,
sulla base degli undici indicatori presi in considerazione dal rapporto, dal 2005 in poi148.
In particolare, nel 2013, l’Italia si è classificata al 73° posto149, posizione che costituisce
un miglioramento rispetto al 2007, ma un peggioramento se si considera l’anno
precedente150. Inoltre, la performance del nostro Paese si distanzia in modo netto da
quella degli altri Paesi europei, la cui posizione, in media, si colloca al 40° posto.
Se si guarda ai due indicatori che in questa sede interessano maggiormente, i
risultati dell’Italia risultano ancora meno soddisfacenti. Il nostro Paese è 84° nella
classifica che riguarda l’avvio di un’attività commerciale o d’impresa: i procedimenti
richiesti a tal fine sono sei e il tempo necessario per completarli di sei giorni
lavorativi151. Vi è stato, però, un alleggerimento procedurale nel corso dell’ultimo
decennio, dato che entrambi gli indicatori si sono abbassati (nel 2004, le procedure
richieste erano nove e i giorni lavorativi ventitré)152.
Per quanto riguarda le autorizzazioni in ambito edilizio, l’Italia è al 103° posto, i
procedimenti necessari sono undici e i giorni lavorativi necessari per concluderli
duecentotrentaquattro153 (anche in questo caso, si registra un leggero miglioramento
rispetto al passato: nel 2007, i procedimenti erano diciassette e i giorni
duecentoottantaquattro154).
4.1.2. I rapporti country specific
I rapporti annuali Doing Business prendono in considerazione l’attività di
imprese di medio-piccole dimensioni, all’interno dei Comuni più estesi e sviluppati dei
Paesi oggetto di esame (nel caso del nostro Paese, i dati elaborati nel rapporto sono
147 Doing Business. Smarter Regulations for Small and Medium-Size Enterprises, 2012, p. v. 148 Doing Business, 2013, p. 9. L’analisi è stata svolta da tale data perché nel 2005 i Paesi che
partecipavano al rapporto erano già aumentati fino al numero di 174, undici in meno rispetto a quelli che si sono aggiunti successivamente, mentre nel 2003 il numero dei partecipanti era sensibilmente inferiore (133).
149 Doing Business, 2013, p. 3. 150 Nel 2007, l’Italia è risultata 82° e nel 2006 69°. 151 Doing Business, 2013, p. 172. 152 Doing Business in 2004. Understanding Regulation, p. 119. 153 Ibidem. 154 L’indicatore relativo alle autorizzazioni edilizie ha iniziato ad essere preso in considerazione
nei rapporti solo a partire dal 2007: si v. Doing Business 2007. How to reform, p. 81.
88
relativi alla città di Roma). Si tratta, quindi, di un’analisi che fornisce dei dati parziali.
Ulteriori indicazioni sull’attuale assetto del nostro Paese si ritrovano all’interno di un
rapporto country specific, relativo appunto all’Italia, pubblicato nel 2013, che prende in
considerazione cinque degli indicatori esaminati dalla relazione annuale, ma con
riguardo ad un campione più ampio di Comuni, selezionato in modo da rappresentare
aree geografiche e dimensioni diverse. Le città italiane analizzate sono state 13: Bari,
Bologna, Cagliari, Campobasso, Catanzaro, L’Aquila, Milano, Napoli, Padova,
Palermo, Potenza, Roma e Torino155.
I dati di maggiore interesse riguardano l’ottenimento dei permessi edilizi. Sia il
numero delle procedure che la durata per completarle varia significativamente
all’interno del campione di città considerato. A Cagliari, grazie al funzionamento del
Suap, sono sufficienti undici procedimenti; il numero sale a quindici a Napoli, dove
coinvolge tre enti diversi. Il lasso di tempo necessario per completare l’ottenimento di
tutti i permessi è di circa 5 mesi a Milano, di 10 a Catanzaro e a Palermo. Il ritardo
maggiore è proprio quello relativo all’ottenimento del permesso di costruzione da parte
del Comune: 6 mesi a Catanzaro e Palermo, la metà del tempo a Napoli, Campobasso e
Caserta, 30 giorni a Milano156.
In Italia, la best practice è rappresentata dal Comune di Milano, dove è stata
introdotta, tramite una legge regionale, la c.d. Super-DIA, dichiarazione sostitutiva del
permesso di costruire (supra, par. 3.2.)157. Proprio per tale ragione, un utilizzo più
ampio di un istituto modellato su quello di tale Comune (ma comunque da limitare ai
progetti edilizi più semplici e standardizzati) viene indicato tra le riforme da
intraprendere per snellire le procedure in materia edilizia158.
Infine, è da segnalare come sia stata registrata una chiara correlazione tra
permessi edilizi e PIL regionale: le città più ricche sono quelle con procedimenti relativi
all’ottenimento dei permessi edilizi più efficienti159. A riprova della correlazione tra
crescita economica e snellimento delle procedure per l’avvio delle attività economiche.
4.1.3. Osservazioni di sintesi
155 Doing Business in Italia 2013. Regolamentazioni più efficienti per le piccole e medie imprese. 156 Doing Business in 2004. Understanding Regulation, p. 119. 157 Doing Business Italia, 2013, p. 30. 158 Doing Business Italia, 2013, p. 32. 159 Doing Business Italia, 2013, p. 3.
89
I dati brevemente richiamati in queste pagine, quindi, mostrano come gli sforzi
di snellimento, nel nostro Paese, abbiano proceduto a rilento: la nostra posizione è
stabilmente ben meno efficiente di quella dei Paesi UE; in termini assoluti, essa non si è
modificata in modo significativo nel corso degli anni; l’Italia non è menzionata tra i
cinquanta Paesi che hanno avviato riforme maggiormente incisive in tal senso negli
ultimi dieci anni.
La Dia e la Scia sono istituti che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbero
dovuto liberalizzare in modo significativo numerose attività; i progressi limitati che
questi dati mostrano mettono indirettamente in evidenza come tali strumenti abbiano
avuto un impatto limitato sulla prassi preesistente. I dati relativi all’edilizia, in
particolare, mostrano tale correlazione con notevole precisione.
4.2. Il censimento delle autorizzazioni ministeriali
Come si è accennato agli inizi, nel corso della scorsa legislatura l’Unità per la
semplificazione ha realizzato un censimento dei procedimenti di competenza dei
Ministeri, soggetti ad autorizzazione, a regime di Scia (con o senza asseverazione) o ad
una mera comunicazione 160.
L’attività svolta dall’Unità per la semplificazione è di estremo interesse sotto un
triplice profilo. Innanzitutto, essa fornisce dati attendibili circa i procedimenti di
competenza ministeriale tuttora sottoposti ad autorizzazione. In secondo luogo, tali dati
consentono di identificare quali di tali procedimenti siano stati liberalizzati nel corso
dell’ultimo ventennio. In terzo luogo, la medesima Unità ha identificato i procedimenti
privi di discrezionalità, proponendo che la relativa attività sia liberalizzata, tramite il
ricorso alla Scia (con o senza asseverazione) o attraverso un obbligo di mera
comunicazione.
Prima di esaminare i risultati di tale censimento, sono però necessarie due
avvertenze. In primo luogo, non tutti i Ministeri hanno partecipato al censimento, ma
solo sette (Difesa, Interno, Sviluppo economico, Infrastrutture e trasporti, Politiche
agricole e forestali, Salute, Beni culturali). In secondo luogo, dato che l’obiettivo della
presente indagine è quello di verificare in che misura, dopo la legge n. 241 del 1990, si
160 Tale censimento è stato condotto sotto la direzione di Carlo Notarmuzi. Si ringrazia Isabella
Salza per le interviste relative alla genesi di tale attività.
90
sia realizzata una liberalizzazione delle attività economiche, non si darà conto di quelle
isolate ipotesi – pur registrate nel censimento – in cui sono presenti regimi diversi dalle
autorizzazioni e simili, nella loro struttura, all’attuale Scia, che sono, però, anteriori al
1990161.
La tabella che segue fornisce un quadro di insieme del censimento svolto. Ministero Procedi
menti censiti Autorizz
azioni Attività
liberalizzate Pr
oposte
Difesa 34 34 0 0
Interno 97 95 2 1
Sviluppo economico 34 31 3 0
Infrastrutture e trasporti 53 52 1 0
Politiche agricole e forestali
43 31 12 0
Salute 74 68 6 0
Beni culturali 13 11 2 1
I dati sopra riportati restituiscono un quadro piuttosto diseguale dell’attuale
assetto. Il numero più elevato di procedimenti censiti sono quelli di competenza del
Ministero dell’Interno (97) e della Salute (74). Il numero dei procedimenti di
competenza di quattro ministeri (della Difesa, dello Sviluppo economico, delle
Infrastrutture e dei trasporti e delle Politiche agricole e forestali) è compreso tra 34 e 53.
Il numero meno elevato è quello dei procedimenti di competenza del Ministero dei beni
culturali (13).
Tuttavia, più che il numero assoluto dei procedimenti di competenza dei singoli
ministeri, colpisce la proporzione, piuttosto esigua, tra tale cifra e quella relativa ai
procedimenti liberalizzati. Appare opportuno soffermarsi su quest’ultimo aspetto e, in
particolare, esaminare in modo più analitico le attività che sono state sottoposte a Scia o
161 È il caso dell’iscrizione al registro delle imprese produttrici di uova, che avviene su semplice denuncia da parte di dette imprese, che possono iniziare immediatamente l’attività, fermo restando il potere di vigilanza sulla esistenza delle condizioni igienico-sanitarie dei centri avicoli immatricolati e di sospensione dell’attività in caso di infrazione delle norme di legge in capo all’autorità competente, disciplinato dall’art. 2 della legge 13 maggio 1966, n. 356, recante Norme sulla produzione avicola.
91
a mera comunicazione. L’ordine espositivo darà conto dei singoli ministeri, ad
eccezione del Ministero della Difesa: come risulta dalla tabella sopra riportata, tutte le
attività oggetto dei 34 procedimenti censiti sono sottoposte ad autorizzazione, in ragione
della loro particolare natura (è il caso, per esempio, dei procedimenti relativi agli
aeroporti militari o alle strade militari).
4.2.1. Il Ministero dell’Interno
Per quanto attiene al Ministero dell’Interno, appare innanzitutto opportuno
segnalare che il numero di autorizzazioni di competenza del Ministero (95) è più del
quadruplo del numero di procedimenti (23) che, secondo il d. P.R. n. 411 del 1994,
avrebbero dovuto essere escluse dal silenzio assenso e dalla Dia. È evidente, quindi, che
l’applicazione dell’istituto è stata ben più ridotta rispetto a quanto il legislatore, già con
l’elencazione contenuta nel regolamento del 1994, avesse prefigurato.
Le ipotesi di liberalizzazione sono due. Innanzitutto, l’apertura di un’agenzia di
affari, in precedenza sottoposta a un regime di licenza, è stata sottoposta a mera
comunicazione. Tale modifica è stata realizzata con l’art. 13, comma 1, lett. f), n. 1), del
decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, recante Disposizioni urgenti in materia di
semplificazione e di sviluppo, convertito dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, che ha
modificato l’art. 115 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS).
In secondo luogo, l’attività di produzione, riproduzione, vendita e noleggio di
materiale audiovisivo, in passato soggetta ad un avviso preventivo al Questore da parte
degli interessati, cui seguiva l’iscrizione in apposito registro, è stata liberalizzata con
l’abrogazione dell’art. 75 del TULPS, ad opera del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112.
L’Unità per la semplificazione ha, poi, proposto di sottoporre a Scia le società
cooperative, le quali attualmente devono seguire il procedimento disciplinato dall’art.
19 della legge 31 gennaio 1992, n. 59, recante Nuove norme in materia di società
cooperative, per poter essere iscritte nel registro prefettizio delle cooperative.
4.2.2. Il Ministero dello Sviluppo economico
Anche nel caso del Ministero dello Sviluppo economico, colpisce l’esiguità del
numero di attività liberalizzate (3), rispetto al totale dei procedimenti di competenza del
Ministero (34); anche perché proprio nell’ambito di azione di tale ministero dovrebbe
92
trovare applicazione in misura maggiore l’istituto della Scia. Analogamente a quanto
osservato per il Ministero esaminato nel paragrafo precedente, il numero di
autorizzazioni che, a vent’anni dall’approvazione della legge n. 241, “residuano”, è
superiore rispetto al numero di procedimenti che il legislatore del 1994, con il d. P.R. n.
411 del 1994, aveva inteso escludere dall’ambito di applicazione della Dia (il totale dei
procedimenti degli allora Ministero dell’industria del commercio e dell’artigianato e del
commercio con l’estero era di 23).
Tra le attività che il censimento registra come liberalizzate vi è quella degli
organismi accreditati di valutazione della conformità tecnica, ai quali, in attuazione del
Regolamento 764/2008/Ce, del 9 luglio 2008, che stabilisce procedure relative
all’applicazione di determinate regole tecniche nazionali a prodotti legalmente
commercializzati in un altro Stato membro e che abroga la decisione n. 3052/95/CE, si
applica il principio di mutuo riconoscimento (art. 4). Pur costituendo un’ipotesi
significativa, essa si presenta meno rilevante per gli scopi del nostro studio: ovvero, al
fine di verificare l’applicazione della Scia.
A tale istituto sono ora state assoggettate due attività di competenza del Ministro
per lo Sviluppo economico: l’emissione di buoni pasto e l’istituzione e l’esercizio di un
magazzino generale (rispettivamente, in virtù dell’art. 285 del d.P.R. 5 ottobre 2010, n.
207 (Regolamento attuativo del Codice sugli appalti) e dell’art. 18, comma 1, D. Lgs. 6
agosto 2012, n. 147 (Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 26
marzo 2010, n. 59, recante attuazione della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi
nel mercato interno).
4.2.3. Il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti
Nel caso del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, sono stati censiti 53
procedimenti (si noti che, sulla base del d. P.R. n. 411 del 1994, avrebbero dovuto
essere sottratte alla Dia solo cinque tipologie di attività: il trasporto di merci pericolose,
l’abilitazione al comando di navi, di imbarcazioni da diporto o alla condotta di motori
delle imbarcazioni da diporto, l’abilitazione al comando di navi da diporto,
l’abilitazione al comando di imbarcazioni, il rilascio e la duplicazione della patente di
guida di veicoli). Di questi, uno è stato liberalizzato. A norma del d.m. 16 ottobre 2009,
recante Disposizioni applicative in materia di formazione accelerata per il
93
conseguimento della Carta di qualificazione del conducente e riordino delle
disposizioni del decreto 7 febbraio 2007, le autoscuole che intendano svolgere corsi di
formazione per i conducenti professionali devono presentare una richiesta di nulla osta,
corredata da una serie di dichiarazioni relative al possesso dell’attrezzatura richiesta
dalle norme vigenti. Tale attività, quindi, risulta ora sottoposta ad un regime di Scia
senza asseverazione.
4.2.4. Il Ministero delle Politiche agricole e forestali
Il caso del Ministero per le politiche agricole e forestali si presenta peculiare: è
infatti l’ambito nel quale le autorizzazioni sono state sostituite con maggior frequenza
dalla Scia o anche da mere comunicazioni: 12 casi su 43 procedimenti, un quarto del
totale. Si potrebbe osservare, quindi, che tale Ministero costituisca la best practice, dal
punto di vista della liberalizzazione delle attività economiche di sua competenza.
Attività SCIA
Esercizio delle stazioni di fecondazione equina L. 15-1-1991, n. 30, Disciplina della riproduzione animale, art. 5
Iscrizione delle varietà vegetali di specie agricole nel registro nazionale
D.M. 14 gennaio 2004, Caratteri e condizioni da osservarsi ai fini della iscrizione delle varietà nel registro nazionale: recepimento direttiva 2003/90/CE del 6 ottobre 2003 della Commissione e direttiva 2003/91/CE del 6 ottobre 2003 della Commissione
Istituzione di centri di intermediazione, ove si esercita un'attività di commercializzazione delle uve destinate, in tutto o in parte, alla vinificazione
D.M. 30 giugno 1995, Disposizioni in materia di requisiti minimi e di controllo dei centri di intermediazione delle uve destinate, in tutto o in parte, alla vinificazione
Attività Mera comunicazione Preparazione di bevande di fantasia a base di vino e/o mosto162
Legge 20 febbraio 2006, n. 82, Disposizioni di attuazione della normativa comunitaria concernente l'Organizzazione comune di mercato (OCM) del vino, art. 5
Detenzione e confezionamento negli stabilimenti enologici e nelle cantine di prodotti non consentiti, qualora essi non si prestino alla sofisticazione o all'inquinamento dei prodotti vinicoli
Legge n. 82 del 2006, art. 7
Detenzione di vinacce destinate ad altri usi industriali, diversi dalla distillazione, ivi compresa
Legge n. 82 del 2006, art. 14, comma 4
162 Per bevande di fantasia si intende la preparazione di mosti di uve fresche mutizzati con alcol,
di vini liquorosi, di vini aromatizzati, di bevande aromatizzate a base di vino, di cocktail aromatizzati di prodotti vitivinicoli e di spumanti fatta in stabilimenti dai quali si estraggono mosti o vini nella cui preparazione non è consentito l'impiego di saccarosio, dell'acquavite di vino, dell'alcol e di tutti i prodotti consentiti dal regolamento (CEE) n. 1601/91.
94
l'estrazione dell'enocianina Comunicazione planimetria dei locali dello stabilimento vinicolo nella quale deve essere specificata la collocazione di tutti i recipienti fissi di capacità superiore a 10 ettolitri
Legge n. 82 del 2006, art. 15
Produzione e imbottigliamento di aceto Legge n. 82 del 2006, artt. 19 e 20 Ritiro sotto controllo dei sotto prodotti della vinificazione
D.M. 27 novembre 2008, Disposizioni di attuazione dei regolamenti (CE) n. 479/2008 del Consiglio e (CE) n. 555/2008 della Commissione per quanto riguarda l'applicazione della misura della distillazione dei sottoprodotti della vinificazione, art. 5
Iscrizione al Registro dei fabbricanti di fertilizzanti e iscrizione al Registro dei fertilizzanti
D. Lgs. 29 aprile 2010, n. 75, Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell'articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88, art. 8
Soppressione dell’autorizzazione all’esercizio dei centri di imballaggio delle uova, nel caso di produttori aventi fino a 50 galline ovaiole
Art. 8 (Applicazione del regolamento (CE) n. 1028/2006 del Consiglio, del 19 giugno 2006, recante norme di commercializzazione applicabili alle uova) della legge 25 febbraio 2008, n. 34, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. (Legge comunitaria 2007)
Comunicazione preventiva da parte dei frantoi che utilizzano in etichetta e nei documenti di accompagnamento del prodotto le indicazioni “prima premitura a freddo” e/o “estratto a freddo”
D.M. 10 novembre 2009, Disposizioni nazionali relative alle norme di commercializzazione dell'olio di oliva, art. 8
Dalle tabelle sopra riportate emergono due dati. Il primo attiene alla predilezione
per la mera comunicazione (9 casi) piuttosto che la Scia (3 ipotesi). Il secondo attiene
alla probabile origine dei più incisivi interventi di liberalizzazione nell’ambito qui
esaminato, piuttosto che nei precedenti: in 8 casi su 12, il ricorso alla Scia o alla mera
comunicazione è contenuto in un atto di recepimento della normativa comunitaria in
materia (provvedimenti evidenziati in grassetto).
4.2.5. Il Ministero della Salute
Dei 74 procedimenti di competenza del Ministero della Salute, otto sono stati
oggetto di interventi di liberalizzazione. I procedimenti individuati nel 1994, quali
concernenti attività da sottrarre all’applicazione della Dia, erano 43.
Per quanto attiene i prodotti “fitosanitari”, il D.P.R. 23 aprile 2001, n. 290,
recante Regolamento di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione alla
produzione, alla immissione in commercio e alla vendita di prodotti fitosanitari e
95
relativi coadiuvanti, ha sottoposto a regime di mera comunicazione l’impiego a scopo
sperimentale di coadiuvanti di prodotti fitosanitari non registrati o registrati per
applicazioni diverse da quelle per le quali il prodotto è stato registrato (art. 36), fermo
restando che le derrate alimentari provenienti dai trattamenti con tali coadiuvanti non
devono essere destinate alla alimentazione dell'uomo e degli animali, a meno di apposita
autorizzazione della Direzione generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la
nutrizione.
In relazione ai prodotti classificati come “alimentari”, vi sono tre ipotesi in cui è
stato previsto un regime differente da quello autorizzativo.
In primo luogo, un regime speciale, di notifica, è stato introdotto per gli alimenti
destinati ad un’alimentazione particolare (Adap), quali i prodotti dietetici e gli alimenti
per la prima infanzia, dal D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 111, recante Attuazione della
direttiva 89/398/CEE concernente i prodotti alimentari destinati ad una alimentazione
particolare. Il fabbricante informa il Ministero della Salute dell’intento di
commercializzare tale prodotto mediante la trasmissione di un modello dell’etichetta
utilizzata. Il fabbricante può immettere sul mercato il prodotto in questione
contestualmente alla trasmissione dell’etichetta, fermo restando il potere per il
Ministero di diffidare le imprese interessate a ritirare i prodotti dal commercio, nel caso
ravvisi un pericolo per la salute umane, e, in caso di mancata osservanza, di disporne il
sequestro. In tale ambito, quindi, si applica un regime assimilabile a quello della Scia.
In secondo luogo, un regime analogo è previsto dal D.Lgs. 21 maggio 2004, n.
169, recante Attuazione della direttiva 2002/46/CE relativa agli integratori alimentari,
per l’immissione in commercio di integratori alimentari. I produttori di integratori
alimentari devono trasmettere al Ministero della salute un modello dell’etichetta
utilizzata per il prodotto in questione, secondo la procedura di notifica prevista dal
D.Lgs. n. 111 del 1992 per i prodotti alimentari destinati ad una alimentazione
particolare. Anche in tal caso, la commercializzazione del prodotto segue la notifica
dell’etichetta utilizzata. Il Ministero della salute può poi, ove ne ravvisi la necessità,
chiedere documentazione a supporto della sicurezza d’uso del prodotto o degli effetti ad
esso attribuiti e, qualora ritenga che tali prodotti rappresentino un rischio per la salute,
disporne il divieto di commercializzazione. Un regime speciale è previsto per gli
integratori alimentari provenienti da Paesi terzi: in tal caso, l’immissione in commercio
96
è consentita solo alla scadenza dei novanta giorni dal ricevimento dell’etichetta, in
assenza di osservazioni da parte del Ministero della salute (art. 10).
In terzo luogo, in assenza di uno specifico quadro normativo comunitario in
materia, il medesimo regime giuridico è stato esteso anche ai prodotti addizionati di
vitamine e minerali (Circolare 6 marzo 2008, n. 4075, recante Alimenti soggetti alla
procedura di notifica dell’etichetta al Ministero della salute, con particolare
riferimento agli alimenti addizionati di vitamine o minerali o di talune sostanze di cui al
regolamento (CE) 1925/2006. Indicazioni sulle modalità della procedura di notifica).
Per altro verso, sono invece previste delle restrizioni per quanto riguarda i
congressi e in genere ogni manifestazione scientifica relativi a tematiche sanitarie
attinenti l’alimentazione della prima infanzia. Allo scopo di evitare che le imprese
interessate agli alimenti per la prima infanzia possano ricorrere a qualsiasi sistema
diretto e indiretto di contribuzione e sponsorizzazione nella organizzazione o
partecipazione a manifestazioni scientifiche di tal tipo, l’art. 13 del D.M. 9 aprile 2009,
n. 82, recante Regolamento concernente l’attuazione della direttiva 2006/141/CE per la
parte riguardante gli alimenti per lattanti e gli alimenti di proseguimento destinati alla
Comunità europea ed all'esportazione presso Paesi terzi, prevede che l’ente
organizzatore segnali tali manifestazioni al Ministero della salute almeno novanta giorni
prima del loro svolgimento e che il Ministero possa invitare l’ente organizzatore ad
apportare le necessarie variazioni o possa esprimersi negativamente.
Tra i procedimenti di competenza della Direzione generale della prevenzione
sanitaria, è stato recentemente abrogato163 il D.M. 21 dicembre 1990, n. 443, recante
Regolamento recante disposizioni tecniche concernenti apparecchiature per il
trattamento domestico di acque potabili, che sottoponeva ad autorizzazione gli
apparecchi per il trattamento dell’acqua destinata al consumo umano. L’attività di
commercializzazione di tali prodotti, quindi, è ora libera.
Anche uno dei procedimenti di competenza della Direzione generale della Sanità
animale e dei farmaci veterinari è stato oggetto di un intervento di liberalizzazione: si
163 L’abrogazione è avvenuta ad opera dell’art. 11 del D.M. 7-2-2012 n. 25, Disposizioni
tecniche concernenti apparecchiature finalizzate al trattamento dell’acqua destinata al consumo umano.
97
tratta delle operazioni di derattizzazione nelle aree protette, ora soggette a mera
comunicazione164.
4.2.6. Il Ministero dei beni culturali
Per quanto concerne il Ministero dei beni culturali, va innanzitutto ricordato che
sono stati censiti tredici procedimenti, laddove nel 1994 era stata identificata un’unica
area di attività di competenza di tale Ministero da sottrarre alla Dia: l’organizzazione di
mostre ed esposizioni nel territorio nazionale.
Due sono i casi che sono stati sottratti al regime di autorizzazione.
In primo luogo, l’art. 149 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice
dei beni culturali), ha previsto che siano esclusi dal regime dell’autorizzazione
paesaggistica alcuni interventi (appunto denominati «interventi non soggetti ad
autorizzazione»): a) gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di
consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e
l’aspetto esteriore degli edifici; b) gli interventi inerenti l’esercizio dell’attività agro-
silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con
costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che
non alterino l'assetto idrogeologico del territorio; c) gli interventi per il taglio colturale,
la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione
da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alla
normativa in materia.
In secondo luogo, l’apertura o l’ampliamento di sale cinematografiche è stata
parzialmente liberalizzata. Dapprima, l’art. 4 del decreto legislativo 8 gennaio 1998, n.
3, recante Riordino degli organi collegiali operanti presso la Presidenza del Consiglio
dei Ministri - Dipartimento dello spettacolo, a norma dell'articolo 11, comma 1, lettera
a), della L. 15 marzo 1997, n. 59, ha mantenuto la necessità dell’autorizzazione per le
sale con una capienza superiore ai milletrecento posti (al fine, quindi, di regolare il
fenomeno delle multisale) 165 . Successivamente, il regime di autorizzazione per
l’apertura delle sale cinematografiche è stato ulteriormente modificato dal D.Lgs. 22
164 O.M. 10 febbraio 2012, Norme sul divieto di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi
avvelenati. 165 Il decreto legislativo 8 gennaio 1998, n. 3 ha così modificato l’art. 31 della Legge 4 novembre
1965, n. 1213, Nuovo ordinamento dei provvedimenti a favore della cinematografia.
98
gennaio 2004, n. 28, recante Riforma della disciplina in materia di attività
cinematografiche, a norma dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137 (c.d. decreto
Urbani). L’art. 22 di tale decreto ha attribuito alla Regioni la competenza a disciplinare
«le modalità di autorizzazione alla realizzazione, trasformazione ed adattamento di
immobili da destinare a sale ed arene cinematografiche»166. Rimane fermo l’obbligo per
le imprese di esercizio di comunicare al Ministero il rilascio delle autorizzazioni relative
alle singole sale cinematografiche167.
Quanto alle proposte, l’Unità per la semplificazione ha suggerito di eliminare
l’autorizzazione per l’esercizio di attività circense all’interno del territorio nazionale da
parte di imprese dei circhi equestri e dello spettacolo viaggiante di Paesi non facenti
parte dell’Unione europea, attualmente prevista dall’art. 7 del d. P.R. 21 aprile 1994, n.
394, recante Regolamento recante semplificazione dei procedimenti di concessione di
contributi a favore di attività teatrali di prosa, cinematografiche, musicali e di danza,
circensi e di spettacolo viaggiante, nonché dei procedimenti di autorizzazione per
l'esercizio di attività circensi e per parchi di divertimento.
4.2.7. Osservazioni di sintesi
I dati risultanti dal censimento dei procedimenti di competenza dei Ministeri
mettono in luce come l’autorizzazione sia stata sostituita da regimi più favorevoli
all’autonomia privata in un numero limitato di casi.
In particolare, risulta evidente come l’alveo delle attività tuttora soggette ad
autorizzazione sia ben più ampio rispetto al nucleo, individuato nel 1994, di attività da
sottrarre espressamente all’applicazione della Dia. Trova conferma, quindi, come le
successive riformulazioni dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, volte a darvi portata
generale, non abbiano sortito l’effetto sperato.
166 Per un commento in senso critico della disciplina dettata dal decreto Urbani, si v. L. Zanetti, L’autorizzazione per l’apertura di sale cinematografiche: brevi note sull’art. 22 del "decreto Urbani", in Aedon n. 1 del 2006, ad avviso del quale «il “decreto Urbani", e segnatamente dal suo art. 22, concretizza un ulteriore revirement, che in sostanza restaura il quadro anteriore alla parziale liberalizzazione effettuata nella XIII legislatura»
167 Sulla disciplina dettata dal decreto Urbani si è poi pronunciata la Corte costituzionale, con sentenza n. 285 del 2005, chiarendo che la materia delle autorizzazioni all’apertura di sale cinematografiche afferisce «alla materia del governo del territorio, di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.» e che «deve essere osservato come appaia del tutto evidente la mancanza di esigenze unitarie tali da far ritenere inadeguato il livello regionale di governo allo svolgimento della funzione amministrativa in questione. Ciò rende del tutto ingiustificata l'attrazione di tale funzione in favore di organi amministrativi dello Stato operata dalla disposizione impugnata».
99
Un secondo profilo significativo riguarda le differenze tra i vari Ministeri: gli
interventi di liberalizzazione più numerosi sono stati introdotti dal Ministero per le
politiche agricole e forestali, mentre risulta particolarmente deludente la performance
del Ministero dello Sviluppo economico, ovvero del soggetto nella cui competenza
ricadono gran parte delle attività che potrebbero transitare verso un regime di Scia.
Proprio l’esempio del Ministero per le politiche forestali suggerisce due ulteriori
conclusioni. In primo luogo, il ricorso alla mera comunicazione è ben più frequente che
non alla Scia: se ne potrebbe arguire che, in un’ottica di liberalizzazione di una data
attività economica, il legislatore preferisce una scelta più radicale (quella della
comunicazione), piuttosto che optare per un istituto, come la Scia, che ha dimostrato,
nella prassi, notevoli incertezze. Un secondo rilievo riguarda la genesi degli interventi
del Ministero per le politiche forestali, nella maggior parte dei casi contenuti in norme
di recepimento di atti comunitari. La semplificazione e la liberalizzazione dei
procedimenti, quindi, sembrano essere l’esito dell’influenza comunitaria, più che una
scelta autonoma del legislatore nazionale.
Infine, un ultimo dato che sembra accomunare i procedimenti dei Ministeri
esaminati riguarda non solo la scarsità degli interventi di liberalizzazione, sul piano
quantitativo, ma anche la loro concentrazione su attività di rilievo economico piuttosto
esiguo: emblematico è il caso delle due attività di competenza del Ministero dello
Sviluppo economico sottoposte a Scia, l’emissione di buoni pasto e l’istituzione e
l’esercizio di un magazzino generale.
4.3. L’applicazione della Scia all’interno della normativa regionale di recepimento
della Direttiva «servizi»
Il recepimento da parte delle Regioni della Direttiva «servizi» è ad uno stadio
piuttosto avanzato. Come si è prima osservato (supra, par. 3.1.4), al 28 Giugno 2013
solo quattro Regioni non hanno provveduto al recepimento (Basilicata, Lazio, Molise e
Sardegna), mentre in altri tre casi (Calabria, Campania e Sicilia), si è avuta una
attuazione meramente apparente (i rispettivi regolamenti regionali realizzano una
100
ricognizione dei principi generali della direttiva, ma rinviano ad una successiva legge
regionale – ancora da approvare – le modifiche alla normativa esistente)168.
Ma in che misura la Scia ha trovato applicazione nelle Regioni? Si tratta di
un’applicazione più o meno ampia rispetto a quanto previsto dalla disciplina nazionale
contenuta nella parte seconda del d.lgs. n. 59 del 2010 e riguardante, come si è visto,
l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, gli esercizi di vicinato, le attività di
facchinaggio, di intermediazione commerciale e di affari, di agenzia e rappresentanza di
commercio, di mediazione marittima, di spedizione, di acconciatore ed estetista, di
imprese di lavanderia?
Innanzitutto, è il caso di osservare che il recepimento è avvenuto, nella maggior
parte dei casi, con un unico intervento normativo, a carattere trasversale (Abruzzo,
Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Marche,
Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, della Provincia di Trento, Umbria, Veneto e Val
d’Aosta), mentre alcune Regioni hanno emanato atti di ambito settoriale (è il caso di
Marche, Liguria, Lombardia, Toscana).
In due ipotesi è stato emanato un primo atto a carattere generale e ricognitivo,
seguito da un intervento di tipo settoriale: la Regione Puglia ha emanato una legge
regionale in cui ha previsto l’adozione di appositi regolamenti settoriali di recepimento,
di cui, finora, ne è stato emanato uno solo, relativo al commercio; la Provincia di
Trento, invece, ha emanato un Regolamento di carattere generale e una legge di tipo
settoriale, anch’essa relativa all’attività commerciale.
a) Attuazione tramite un unico intervento normativo per più materie
Regione Legge regionale Attività per le quali è stata prevista la Dia ad effetto immediato (prima del d.l. n. 78 del 2010) o a Scia (dopo il d.l. n. 78)
Abruzzo l.r. 18 febbraio 2010, n. 5 Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento giuridico regionale agli obblighi derivanti dalla
- vendita al dettaglio esercizi di vicinato - vendita tramite distributori automatici
168 Il metodo utilizzato per operare la ricognizione relativa all’uso della Scia nella normativa
regionale è stato basato sull’uso del motore di ricerca “Leggi d’Italia”. La ricerca si è svolta in due fasi. Un primo screening è stato realizzato inserendo, per gli atti normativi (leggi, regolamenti e circolari) di ciascuna regione del periodo 2010-2013, la parola chiave «direttiva 2006/123/CE». Tra gli atti così selezionati, è stata operata una seconda ricerca per parola chiave, inserendo «dichiarazione di inizia attività», «Dia», «segnalazione certificata di inizio attività» e «Scia».
101
direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, nonché per la semplificazione e miglioramento dell’efficacia dell’azione amministrativa della Regione e degli Enti locali per le attività aventi rilevanza economica, e per la manutenzione normativa di leggi regionali di settore;
-vendita al dettaglio per corrispondenza o tramite televisione o altri sistemi di comunicazione - esercizio dell’attività agrituristica - apertura di un’agenzia di viaggio
legge regionale 22 dicembre 2010, n. 59, Disposizioni per l'adempimento degli obblighi della Regione Abruzzo derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea. Attuazione della direttiva 2006/123/CE, della direttiva 92/43/CEE e della direttiva 2006/7/CE- (Legge comunitaria regionale 2010).
- trasferimento di sede degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico - attività di acconciatore e di estetista - attività di tintolavanderia
Calabria Reg. reg. 23-3-2010 n. 1, Regolamento recante disposizioni per l'attuazione della Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno attuazione degli articoli 62 e 63, comma 1, della legge regionale 12 giugno 2009, n. 19 "Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l'anno 2009) - Art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8" e per la semplificazione amministrativa e di riordino dello sportello unico
Il reg. regionale sembra limitarsi a ricopiare i principi generali della direttiva, ma non modifica la normativa esistente sulla base di detti principi.
Campania Delib.G.R. 22-1-2010 n. 18 Regolamento di attuazione della Direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno; Delib.G.R. 26-11-2010 n. 816 Individuazione, ai sensi dell'art. 3 del regolamento n. 11/2010 "regolamento di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno", dei procedimenti regionali incompatibili con le disposizioni cogenti della c.d. "direttiva servizi".
Si opera una ricognizione dei principi della direttiva e si delibera di provvedere con successivo disegno di legge ad abrogare esplicitamente le disposizioni in contrasto con la normativa comunitaria.
Emilia-
Romagna
l.r. 12 febbraio 2010, n. 4, Norme per l’attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno e altre norme per l’adeguamento all’ordinamento comunitario –legge comunitaria regionale per il 2010
- vendita al dettaglio esercizi di vicinato - vendita in spacci interni o tramite distributori automatici - avvio delle attività ricettive nelle strutture alberghiere e all’aria aperta - apertura di sede secondaria o filiale di agenzia di viaggio e turismo - attività in materia funeraria - attività economiche riguardanti gli
102
animali da compagnia
Friuli-
Venezia
Giulia
L.R. 9-8-2012 n. 15, Disposizioni per l'adempimento degli obblighi della Regione Friuli-Venezia Giulia derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno e adeguamento alla direttiva 2009/147/CE concernente la conservazione degli uccelli selvatici e alla direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. Modifiche a leggi regionali in materia di attività commerciali, di somministrazione di alimenti e bevande e di gestione faunistico-venatoria (Legge comunitaria 2010)
- apertura, il trasferimento di sede, l'ampliamento e la concentrazione delle medie strutture aventi superficie di vendita non superiore a metri quadrati 400 - Vendita per corrispondenza o altri sistemi di comunicazione - Vendita diretta al domicilio dei consumatori o mediante contratti negoziati fuori dai locali commerciali
Liguria Circolare Liguria 1/7/2010 - Circolare per applicazione direttiva servizi ( bolkestein) e sua attuazione con decreto legislativo 26 marzo 2010 n. 59 "attuazione della direttiva 2006/123/ce relativa ai servizi nel mercato interno"- (g.u. n. 94 del 23 aprile 2010-supp. ordinario n. 75)
Verifica compatibilità del precedente regime (Legge regionale 2 gennaio 2007, n.1, Testo unico in materia di commercio) con la direttiva e con il decreto di attuazione. Conferma regime della comunicazione per il subingresso; sostituisce Dia a efficacia immediata a tutte le ipotesi disciplinate con Dia a efficacia differita (esercizi di vicinato, vendita al dettaglio in spacci interni, tramite distributori automatici, per corrispondenza, televisione o altri sistemi di comunicazione, al domicilio dei consumatori)
L.R. 13-6-2011 n. 14, Disposizioni di attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno.
- trasferimento di attività di acconciatore, attività agrituristica, del pescaturismo e ittiturismo; attività in materia di strutture turistico-ricettive e balneari; Esercizio dell'attività di estetista
Marche legge regionale 29 aprile 2011, n. 7, Attuazione della Direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno e altre disposizioni per l'applicazione di norme dell'Unione Europea e per la semplificazione dell'azione amministrativa. Legge comunitaria regionale 2011.
- attività in materia di turismo - attività di estetista e di acconciatore
Piemonte L.R. 30 dicembre 2009, n. 38, Disposizioni di attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi del mercato interno
- esercizi di vicinato - vendita in spacci interni o tramite distributori automatici - esercizio di strutture ricettive turistiche all’aperto, di rifugi alpini, di attività di affittacamere o di alloggi vacanze, gestione di un’azienda alberghiera o di attività agrituristica
103
- apertura di un’agenzia di viaggi - attività di estetista, acconciatore e
lavanderia
Puglia L.R. 25-2-2010 n. 5, Norme in materia di lavori pubblici e disposizioni diverse, art. 14
Si prevede l’adozione di regolamenti regionali volti all’attuazione della Direttiva.
Sicilia Circolare 6 ottobre 2010, n. 4, Decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 - Attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi di mercato interno
Si prevede che la “Clausola di cedevolezza” prevista dall’articolo 84, del d.lgs. n. 59/2010 trovi applicazione per la parte seconda, titolo II, del decreto, «laddove si declina una specifica normativa per la somministrazione di alimenti e bevande (art. 64); per gli esercizi di vicinato (art. 65); per gli spacci interni
(art. 66); per gli apparecchi automatici (art. 67); per la vendita per corrispondenza, televisione o altri sistemi di comunicazione (art. 68); per la vendita presso il domicilio dei consumatori (art. 69); per il commercio al dettaglio sulle aree pubbliche (art. 70); per i requisiti di accesso e di esercizio delle attività commerciali (art. 71); per l’attività di facchinaggio (art. 72); per l’attività di intermediazione commerciale e di affari (art. 73); per l’attività di agente e rappresentante di commercio (art. 74); per l’attività di mediatore marittimo (art. 75); per l’attività di spedizioniere (art. 76); per l’attività di acconciatore (art. 77); per l’attività di estetista (art. 78); per l’attività di tintolavanderia (art. 79).
Toscana Delibera della Giunta Regionale n. 638 del 5 luglio 2010, Circolare in ordine agli effetti delle disposizioni di cui alla direttiva 2006/123/CE del 12/12/2006, relativa ai servizi del mercato interno e al D.Lgs. 26/03/2010 n. 59 recante “Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi del mercato interno” sulle disposizioni di cui alla L.R. n. 28 del 7/2/2005 Codice del commercio
Conferma regime precedente alla direttiva e in linea con essa (l.r. 7.2.2005 n. 28, Codice del commercio. Testo Unico in materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazioni di alimenti e bevande, vendita della stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti): Dia a efficacia immediata per: - apertura, trasferimento di sede, ampliamento di sede e subingresso degli esercizi di somministrazione di bevande e alimenti; - commercio al dettaglio in forma itinerante; - esercizi di vicinato
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Trentino
Alto
Adige
Provincia autonoma di Trento, Regolamento del 24 dicembre 2009, n. 30-32/Leg. concernente l’attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno
- esercizio delle agenzie di viaggio e turismo; attività dei tassidermisti ed imbalsamatori; esercizio di attività agrituristica
Umbria legge regionale 16 febbraio 2010, n. 15, Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti alla Regione Umbria dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno - Modificazioni ed integrazioni di leggi regionali.
- esercizio di attività ricettiva - attività di agenzia di viaggio e turismo - esercizio professioni turistiche - attività di fattoria didattica
Veneto Circolare n. 2026 del 3 agosto 2010, Legge regionale 21 settembre 2007. n.29 recante “Disciplina dell’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande”. Adeguamento al Decreto Legislativo 26 marzo 2010n. 59 recante “Attuazione della Direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno”. Primi criteri di indirizzo e coordinamento normativo.
Conferma regime precedente alla direttiva e in linea con essa (L.R. 21-9-2007 n. 29, Disciplina dell’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande): e attività di somministrazione di alimenti e bevande esercitate: a) al domicilio del consumatore; b) negli esercizi situati all’interno delle aree di servizio delle autostrade e delle stazioni dei mezzi di trasporto pubblico; c) negli esercizi in cui la somministrazione di alimenti e bevande è effettuata congiuntamente ad attività prevalente di intrattenimento e svago, in sale da ballo, sale da gioco, locali notturni, stabilimenti balneari ed esercizi similari, semprechè la superficie utilizzata per l'intrattenimento sia pari ad almeno i tre quarti della superficie complessiva a disposizione, esclusi i magazzini, i depositi, gli uffici e i servizi; non costituisce attività di intrattenimento e svago la semplice musica di accompagnamento e compagnia; d) nelle mense aziendali, come definite all'articolo 3, comma 1, lettera l); e) in via diretta a favore dei propri dipendenti da amministrazioni, enti o imprese pubbliche; f) negli esercizi posti all’interno degli impianti stradali di carburanti nei limiti fissati dalla vigente normativa regionale di settore; g) in scuole, in ospedali, in case di riposo, in comunità religiose, in stabilimenti militari, delle forze di polizia e del corpo nazionale dei vigili del fuoco, in strutture di accoglienza per immigrati o rifugiati; h) all'interno dei mezzi di trasporto pubblico; i) nei laboratori di ristorazione degli istituti
105
professionali alberghieri che realizzano esercitazioni speciali, aperte al pubblico, con finalità prettamente formative per gli allievi che vi partecipano, dirette a valorizzare la cucina e i prodotti tipici veneti; l) negli esercizi polifunzionali
L.R. 6-7-2012 n. 24, Disposizioni per l'adempimento degli obblighi della Regione del Veneto derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. Attuazione della direttiva 1992/43/CEE, della direttiva 2009/147/CE, della direttiva 2006/123/CE e della direttiva 2000/29/CE (Legge regionale europea 2012)
- attività di estetista, di acconciatore, di tinto-lavanderia
Val
d’Aosta
L.R. 1 giugno 2010, n. 16, Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione autonoma Valle d’Aosta derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno. Legge comunitaria regionale 2010;
- vendita nel territorio regionale della stampa quotidiana e periodica - avvio e per il trasferimento dell’esercizio in altra sede dell’attività di estetista - attività alberghiera - gestione case per ferie, ostelli per la gioventù, rifugi alpini, posti tappa escursionistici, attività di affittacamere e bed & breakfast - gestione complessi ricettivi all’aperto
b) Attuazione con atti normativi a carattere settoriale
Regione Atti Normativi Attività per le quali è stata prevista la Dia ad effetto immediato (prima del d.l. n. 78 del 2010) o a Scia (dopo il d.l. n. 78)
Marche L.R. 10-11-2009 n. 27 Testo Unico in materia di Commercio;
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande; somministrazione di alimenti e bevande
mediante distributori automatici effettuata in modo non esclusivo
Liguria L.R. 5-4-2012 n. 10, Disciplina per l'esercizio delle attività produttive e riordino dello sportello unico
interventi urbanistico-edilizi relativi ad attività produttive
Lombardia a) L.r. 2 febbraio 2010, n. 6, Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere. b) Delib.G.R. 22 dicembre 2010, n. 9/1062, Recepimento delle indicazioni in ordine all'applicazione delle disposizioni del D.Lgs. 59/2010«Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno» in materia di
Vendita al dettaglio per mezzo di apparecchi automatici; L'avvio delle attività non soggette a
programmazione, il trasferimento della gestione o della titolarità dell'esercizio di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico ed il trasferimento di sede; b) avvio di attività alberghiera, di attività
ricettive all'aria aperta; di attività ricettiva non alberghiera
106
commercio e turismo;
c) Reg. reg. 28-11-2011 n. 6, Disciplina dell'attività di acconciatore in attuazione dell'art. 21-bis della legge regionale 16 dicembre 1989, n. 73 «Disciplina istituzionale dell'artigianato lombardo»;
d) L.R. 27-2-2012 n. 3 Disposizioni in materia di artigianato e commercio e attuazioni della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno. Modifiche alla legge regionale 30 aprile 2009, n. 8 (Disciplina della vendita da parte delle imprese artigiane di prodotti alimentari di propria produzione per il consumo immediato nei locali dell'azienda) e alla legge regionale 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere);
e) Delib.G.R. 26-10-2012 n. 9/4345, Applicazione dell'art. 31, comma 2 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 convertito con legge 22 dicembre 2011, n. 214 e del decreto legislativo 6 agosto 2012, n. 147 concernenti le liberalizzazioni in materia di commercio
c) Avvio, sospensione, cessazione e subingresso dell'attività di acconciatore d) attività di estetista e di acconciatore e) esercizi di vicinato
Puglia Reg. reg. 11-3-2011 n. 3, Procedimenti amministrativi in materia di commercio: Attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi di mercato interno.
- esercizi di vicinato - vendita in spacci interni, per mezzo di apparecchi automatici, per corrispondenza o tramite televisione o altri sistemi di comunicazione, al domicilio dei consumatori - chiusura, il trasferimento della gestione o della proprietà, la riduzione di superficie di un esercizio di vicinato, di una media e di una grande struttura, di un esercizio di somministrazione - chiusura, il trasferimento della gestione o della proprietà di una attività esercitata su area pubblica; - l'attività di somministrazione di alimenti e bevande esercitata: a) al domicilio del consumatore;
b) negli esercizi annessi ad alberghi, pensioni, locande o ad altri complessi ricettivi, limitatamente alle prestazioni
107
rese agli alloggiati;
c) negli esercizi posti nelle aree di servizio delle autostrade e nell'interno di stazioni ferroviarie, aeroportuali e marittime;
d) negli esercizi in cui la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande viene svolta congiuntamente ad attività di intrattenimento, in sale da ballo, locali notturni, stabilimenti balneari, impianti sportivi e altri esercizi similari, qualora l'attività di intrattenimento sia prevalente;
e) nelle mense aziendali e negli spacci annessi ai circoli cooperativi e degli enti a carattere nazionale le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell'interno;
f) in via diretta a favore dei propri dipendenti da amministrazioni, enti o imprese pubbliche;
g) nelle scuole, negli ospedali, nelle comunità religiose, in stabilimenti militari delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
h) nei mezzi di trasporto pubblico;
- trasferimento di un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande in una zona esclusa dai vincoli di programmazione
- cambiamento merceologico all'interno del settore non alimentare di un esercizio di vicinato, di una media o grande struttura di vendita
- cambiamento merceologico all'interno del settore non alimentare di una attività su area pubblica
Toscana L.R. 5-4-2013 n. 13 Disposizioni in materia di commercio in sede fissa e di distribuzione di carburanti. Modifiche alla L.R. n. 28/2005 e alla L.R. n. 52/2012; L.R. 3-6-2013 n. 29 Norme in materia di attività di
- modifica, quantitativa o qualitativa, di settore merceologico di un centro commerciale -L'avvio, la sospensione volontaria, la
cessazione e l'ampliamento dei locali dell'attività di acconciatore
108
acconciatore.
Trentino
Alto Adige
Provincia di Trento, L.P. 30-7-2010 n. 17, Disciplina dell'attività commerciale
- esercizi di vicinato; - l'apertura, l'ampliamento della superficie
e il trasferimento di sede delle medie strutture di vendita; - attività commerciale riferita alle tabelle
speciali riservate ai titolari di farmacie, di rivendite di generi di monopolio e di impianti di distribuzione automatica di carburante; - apertura, l'ampliamento e il trasferimento
di sede delle rivendite di riviste e giornali; - commercio all’ingrosso
Al fine di comprendere le caratteristiche delle scelte regionali, è opportuno
richiamare brevemente il contenuto delle disposizioni contenute nell’atto statale di
recepimento, soggette alla c.d. «clausola di cedevolezza» (supra, par. 3.1.4.).
Per quanto riguarda il commercio, il d.lgs. n. 59 del 2010 prevede la Scia per gli
esercizi di vicinato e per alcune forme speciali di vendita (in spacci interni, tramite
apparecchi automatici, per corrispondenza, televisione o altri sistemi di comunicazione,
presso il domicilio del consumatore). Sono escluse dalla liberalizzazione, quindi, la
vendita in centri di medie-grandi dimensioni.
Più complessa la disciplina della somministrazione di bevande e alimenti, che
comprende – nella disciplina statale – una combinazione di due regimi: autorizzazione
per l’avvio dell’attività e Scia per il trasferimento di sede o della titolarità di tali
esercizi.
Ancora più complessa la situazione per quanto riguarda il settore del turismo.
L’art. 83 del decreto sottoponeva a Dia l’apertura, il trasferimento e le modifiche
concernenti l’operatività delle strutture turistico – ricettive. Tale disposizione era stata
sostituita dall’art. 16 del D.Lgs. 23 maggio 2011, n. 79, recante il Codice del turismo, di
tenore analogo (le medesime attività – essendo nel frattempo intervenuta la modifica
dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990 – venivano assoggettate a Scia), dichiarato
illegittimo per violazione della competenza legislativa residuale delle Regioni in materia
di turismo, ex art. 117, quarto comma, Cost. dalla Corte costituzionale con sentenza n.
80 del 2012.
A fronte di tale assetto, sembra possibile indicare una bipartizione dei modelli
prescelti dalle Regioni nel recepire la Direttiva «servizi».
109
Tutte le Regioni hanno optato per la Scia per gli esercizi di vicinato e per le
forme speciali di vendita. Al di là di questa base comune, alcune Regioni (Abruzzo,
Marche, Puglia, Veneto) si sono discostate in misura minima rispetto alla traccia
proposta dal legislatore statale, mentre altre sembrano realizzare un modello di
attuazione ispirato ad una liberalizzazione ben più ampia.
All’interno di questo secondo gruppo, le differenze maggiori si registrano
soprattutto in relazione alla somministrazione di bevande e alimenti e al turismo, ma
anche, in alcuni casi, con riguardo agli esercizi commerciali di dimensioni più ampie.
Quanto alla prima area di intervento, va segnalato che la Lombardia e la Toscana
(quest’ultima, già prima del recepimento della direttiva) sottopongono a Scia anche
l’avvio di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande.
Alcune Regioni procedono verso una liberalizzazione delle attività turistiche e
ricettive, seppur in misura differente. In Emilia Romagna, l’uso della Scia è limitato
all’avvio delle attività ricettive nelle strutture alberghiere e all’aria aperta e all’apertura
di sede secondaria o di filiale di agenzia di viaggio e turismo. Di impatto più ampio le
previsioni delle leggi della Liguria (che applica la Scia all’attività agrituristica, del
pescaturismo e ittiturismo, e all’attività in materia di strutture turistico-ricettive e
balneari), della Lombardia (avvio di attività alberghiera e di attività ricettive all'aria
aperta), del Piemonte (attività ricettiva non alberghiera; all’esercizio di strutture
ricettive turistiche all’aperto, di rifugi alpini, di attività di affittacamere o di alloggi
vacanze; alla gestione di un’azienda alberghiera o di attività agrituristica) e delle
Marche (con espressione ancor più ampia, la Scia si applica all’ «attività in materia di
turismo»).
Infine, in un numero particolarmente limitato di casi sono stati approvati
interventi volti ad avviare una prima liberalizzazione anche di esercizi commerciali di
dimensioni medie (il Friuli – Venezia Giulia e la Provincia di Trento prevedono la Scia
per l’apertura, il trasferimento di sede, l’ampliamento e la concentrazione delle medie
strutture169) e di alcune operazioni in centri commerciali (la Toscana ammette la Scia
per la modifica, quantitativa o qualitativa, del settore merceologico di un centro
commerciale).
169 Nel caso della prima Regione, la previsione è limitata alle strutture aventi superficie di
vendita non superiore a metri quadrati 400.
110
5. Conclusioni
A vent’anni dalla sua introduzione, il bilancio circa l’istituto regolato dall’art. 19
della legge n. 241 del 1990 è in chiaroscuro.
Le continue modifiche alla disciplina generale dell’istituto, che proprio
nell’insoddisfazione del legislatore per il funzionamento dello stesso trovano la loro
origine, lasciano aperti numerosi problemi: la delimitazione del suo ambito di
applicazione, in presenza di una regola di carattere generale che si accompagna a
numerose eccezioni, si caratterizza per l’incertezza; si sono moltiplicati gli oneri a
carico del privato; il problema della tutela del terzo non ha trovato ancora una soluzione
soddisfacente.
A tali ambiguità della disciplina generale fa da controcanto l’insoddisfacente
applicazione dell’istituto da parte delle amministrazioni centrali. Il censimento dei
procedimenti dei Ministeri, avviato dall’Unità per la semplificazione, mostra che il
numero di autorizzazioni sostituite da Scia è estremamente ridotto. Trova conferma,
quindi, la propensione dei Ministeri, registrata già negli anni Novanta del secolo scorso,
a conservare il proprio potere di autorizzazione.
Ben diverso il quadro relativo all’applicazione della Dia, e ora della Scia,
all’interno di settori specifici. Già negli anni Novanta si osservava come la Dia, limitata
ad ipotesi di importanza economica esigua dai regolamenti di attuazione emanati in
quegli anni, doveva il proprio successo all’applicazione nel settore dell’edilizia. Gli
sviluppi degli ultimi quindici anni confermano questa tendenza, anche se si registrano
dei cambiamenti significativi.
Attualmente, è soprattutto nell’ambito del commercio e dei servizi che la Scia
vede ampliare il proprio ambito di applicazione. Tale processo è l’esito del recepimento
della Direttiva «servizi»; tuttavia, i dati raccolti mostrano la volontà di alcune Regioni
(Emilia Romagna, Friuli – Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana e la
Provincia autonoma di Trento) di ampliare ulteriormente l’alveo delle attività
liberalizzate.
Nel settore dell’edilizia, invece, i numerosi interventi normativi degli ultimi anni
hanno condotto ad una moltiplicazione dei titoli abilitativi e ad una crescente incertezza
tra gli operatori. Gli effetti di tale complicazione emergono anche dai rapporti Doing
Business, che registrano un numero ancora estremamente alto di procedure per l’avvio
111
di un’attività economica e ancor più per il rilascio di un’autorizzazione in ambito
edilizio. In questo settore, un intervento di riordino appare non rinviabile.
L’analisi svolta e i dati raccolti suggeriscono come l’approccio settoriale sia di
gran lunga preferibile rispetto all’enunciazione di clausole generali che, da un lato, a
causa della loro ampiezza, inducono incertezze applicative di difficile superamento, e,
dall’altro, si accompagnano a oneri sempre maggiori per i privati. L’individuazione caso
per caso dei procedimenti da liberalizzare appare quindi il metodo più efficace, anche
per superare le resistenze a livello di amministrazioni centrali.
Se il settore del commercio mostra quale sia il metodo preferibile per un utilizzo
efficace dello strumento della Scia, il settore dell’edilizia mette in luce i limiti intrinseci
di tale istituto. Anche laddove venga operato un complessivo ripensamento dell’attuale
complesso e ridondante sistema dei titoli abilitativi, sarà opportuno interrogarsi su quale
sia il confine per l’applicazione di uno strumento che vien utilizzato quale rimedio ai
ritardi della PA nel prendere decisioni – o anche alla mancanza di volontà di assumersi
le responsabilità ad esse connesse – ; istituto che però, per sua stessa natura, non può
essere esteso ad attività complesse, che coinvolgano valutazioni discrezionali.
112
LA CONFERENZA DEI SERVIZI
di Martina Conticelli
Sommario: 1. Il tema, i problemi e il metodo di indagine. – 2. L’assetto delineato dalla l.n. 241/1990 e i
successivi interventi normativi. – 3. La reazione amministrativa e i problemi applicativi nella giurisprudenza. – 4. L’applicazione dell’istituto nei risultati delle precedenti ricerche. – 5. La complessità normativa, tra differenziazione regionale e normative speciali. – 6. quadro dei problemi attuali. – 7. Considerazioni di sintesi.
1. Il tema, i problemi e il metodo dell’indagine
La conferenza di servizi è forse il principale tra gli strumenti “tradizionali” di
semplificazione1. Oltre a questo inquadramento, la conferenza realizza ulteriori finalità,
dal momento che consente la migliore, in quanto contestuale, valutazione degli interessi
coinvolti2.
A vent’anni dall’approvazione della legge sul procedimento amministrativo,
l’istituto della conferenza di servizi ha mostrato diverse criticità. Nella sua attuazione
sono emersi diversi profili di complessità: l’organizzazione della conferenza ha richiesto
la definizione di regole, che ne hanno messo in discussione l’inquadramento giuridico;
la sua funzionalità ha richiesto la definizione dei meccanismi di svolgimento, che hanno
inciso sull’andamento corrente dell’attività amministrativa3.
La ricerca mira a ricostruire i principali aspetti problematici discussi in relazione
all’istituto della conferenza di servizi, dal 1990 sino ad oggi, prendendo ad esame sia
1 Il contributo della scienza giuridica al riguardo è sterminato. Oltre ai diversi contributi che si citeranno nel corso dell’analisi, per un quadro riassuntivo e completo, si v. S. Civitarese Matteucci, Conferenza di servizi, in Enc. Dir., Annali, vol. II, tomo II, Milano, Giuffrè, 2008, p. 271 ss. e letteratura ivi citata. Oltre ai numerosi commenti alle riforme della disciplina sul procedimento amministrativo, si cfr. per ricostruzioni critiche dell’istituto, e dei suoi molteplici mutamenti nel corso del tempo, F.G. SCOCA, L'analisi giuridica della conferenza di servizi, in Dir. amm., 1999, p. 271 ss., P. Bertini, La conferenza di servizi, in Dir. amm., 1997, p. 339 ss.; G. Cartei, Servizi (conferenza di), in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, vol. XIV, 1999, ad vocem; D’Orsogna, Conferenza di servizi e amministrazione della complessità, Torino, 2002; G. Gardini, La conferenza di servizi: la complicata esistenza di un istituto di semplificazione, in Le nuove regole dell’azione amministrativa, a cura di G. Sciullo, Bologna, 2006, p. ss.; P. Forte, La conferenza di servizi, Padova, Cedam, 2000; G. Soricelli, Contributo in tema di conferenza di servizi, Napoli, Jovene, 2000.
2 In tema, G. Vesperini, La semplificazione dei procedimenti amministrativi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1998, p. 655 ss.; L. Torchia, La conferenza di servizi e l’accordo di programma ovvero della difficile semplificazione, in Giorn. Dir. Amm., 1997, p. 676 ss.
3 Si v. al riguardo, tra le ricerche più recenti, A. Natalini e G. Tiberi (a cura di), La tela di Penelope. Primo rapporto Astrid sulla semplificazione legislativa e burocratica, Bologna, 2010, su cui G. Vesperini. Le tendenze della semplificazione amministrativa (Note a margine di una recente ricerca); Formez, L’attuazione nelle regioni e negli enti locali della legge 69/2009, Roma 2011
113
quelli affrontati dalla scienza giuridica, sia quelli emersi in sede giurisprudenziale, ma
anche cercando di evidenziare quelli rilevati in sede di attuazione; a illustrare le diverse
reazioni del legislatore a fronte dei problemi riscontrati; a verificare lo stato attuale delle
soluzioni di riforma nella prassi applicativa.
Le domande alle quali si intende dare risposta per fornire una valutazione del
risultato in sede di utilizzo dell’istituto della conferenza di servizi sono le seguenti.
Nell’ambito di quali procedimenti si fa maggiormente ricorso alla conferenza di
servizi? Quali problemi si riscontrano? In che misura il legislatore ricorre alla
conferenza istruttoria e a quella decisoria? Anche nell’ambito della conferenza
decisoria, qual è il rapporto tra le due fasi e come sono delimitate? Quanto l’utilizzo
della conferenza è servito a semplificare l’attività amministrativa e quanto (e quando) ha
prodotto complicazioni? Qual è la durata effettiva delle conferenze, rispetto ai limiti
ordinari fissati in sede legislativa nonché con riferimento ai tempi massimi? In quali
casi la convocazione della conferenza ha rallentato l’attività amministrativa e il normale
corso procedimentale e, in tali casi, a quali ragioni è ascrivibile un simile risultato?
Quali aspetti del funzionamento della conferenza si sono rivelati maggiormente critici?
Come influisce il suo svolgimento sul normale esercizio della discrezionalità
amministrativa e sui poteri decisionali attribuiti alle amministrazioni?
Oltre ad argomentare plausibili risposte in ordine agli interrogativi citati, in
questa sede si intende verificare quanta parte – e quale - degli aspetti problematici che
emergeranno nel corso dell’analisi sia dovuta a difetti nella regolamentazione o ad una
eventuale lacunosità della disciplina e quanto - e in che misura – il risultato sia
imputabile ad una sorta di resistenza dell’amministrazione (o delle amministrazioni). In
altre parole, si intendono valutare e discutere le cd. conseguenze inattese della
semplificazione 4 , prima tra queste, quella della complicazione derivante dalla
regolamentazione (o iper-regolamentazione).
Una prima ipotesi di complicazione è puramente normativa: essa ha origine
nell’esistenza di diversi livelli di disciplina. Rispetto a quanto si dirà, può essere
opportuno verificare se – e in quale misura - alla differenziazione normativa può
corrispondere anche una differenziazione in termini di prassi applicativa. In caso di
risposta positiva si può valutare se – e in quale misura – la seconda dipenda dalla
4 In tal senso, Semplificazione e trasparenza. Lo stato di attuazione della legge n. 241 del 1990, Napoli, 2005, p. 40 ss. in particolare.
114
strutturazione normativa, ovvero dal diverso livello di efficienza delle amministrazioni
locali. Con riferimento alle possibili complicazioni normative, occorre tenere conto dei
rapporti tra discipline settoriali e normativa generale, nonché della differenziazione
regionale in sede legislativa.
Tali fattori hanno agito a tal punto che oggi sarebbe anche interessante
comprendere quante tipologie differenziate di conferenza di servizi esistano e quali
implicazioni questo abbia. Quanto al primo fattore, esso comporta una frammentazione
del quadro normativo, nonché la moltiplicazione di ipotesi derogatorie, che possono
incidere sul risultato applicativo5. Per quanto riguarda la differenziazione in sede
regionale, si può dire altrettanto, ma probabilmente il fenomeno produce esiti di minore
conflittualità.
Una seconda ipotesi di complicazione è quella che si riscontra nell’attuazione
concreta dell’istituto: essa proviene dalle voci di centro dell’amministrazione, ovvero
viene prodotta, come conseguenza non voluta, a seguito di interventi che potremmo
definire “di ritorno”, finalizzati cioè a risolvere le incertezze sollevate dall’applicazione
delle precedenti discipline. Diversamente rispetto ai casi dianzi citati, i primi tra gli
effetti di cui si discute, più che derivare dalla disciplina, o non trovare soluzioni nella
regolamentazione dell’istituto, possono aver avuto origine in sede di attuazione e
risultare direttamente collegati a tale fase. Tali difficoltà possono essere dovute
all’esistenza di vere e proprie prassi amministrative che si sviluppano anche contra
legem. Anche in riferimento a tali questioni, tuttavia, si può, discutere se, e in qualche
modo, la regolamentazione possa avere inciso sui risultati finali, e come l’intervento
normativo possa rappresentare eventualmente una possibile soluzione.
In base alle premesse di cui si è scritto, si procederà ora alla rapida illustrazione
delle principali misure adottate in sede legislativa in ambito nazionale; si illustreranno,
poi, le reazioni amministrative quali emergono dai problemi segnalati da parte della
scienza giuridica e della giurisprudenza; si presenterà, inoltre, lo stato dell’arte
relativamente agli studi empirici in materia; si discuterà, poi, la eventuale
complicazione derivante dalla differenziazione normativa in sede regionale e di
discipline speciali; si proporrà, dunque, una metodologia di indagine che consenta di far
emergere i problemi ancora non risolti; si fornirà, infine, una chiave di lettura dei
5 Già, con riferimento ai primi mutamenti e indirizzi, A. Sandulli, La semplificazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1999, p. 757 ss. in particolare p. 756 s.
115
risultati, si enunceranno alcune considerazioni conclusive, nonché si valuteranno
possibili indicazioni evolutive in una prospettiva de iure condendo.
2. L’assetto delineato dalla l.n. 241/1990 e i successivi interventi normativi
Nel 1990, l’art. 14 della versione originaria della legge n. 241 introduceva
l’istituto della conferenza di servizi nell’ambito della disciplina generale dell’attività
amministrativa.
Non si trattava di una particolare novità: lo strumento era, infatti, da tempo
conosciuto nella prassi delle amministrazioni e, per di più, era già utilizzato in diverse
discipline di settore6. La sua formalizzazione, tuttavia, era suscettibile di produrre
rilevanti conseguenze all’interno del corrente svolgimento del procedimento.
Nella sostanza, il legislatore del 1990 decideva di sostituire il meccanismo della
collegialità all’articolazione procedimentale per fasi, sia che si trattasse di conferenza
decisoria, sia che si trattasse di conferenza istruttoria.
Quanto alle modalità di definizione della conferenza, la formulazione iniziale
risultava piuttosto scarna. Alla base di questa scelta, si collocava probabilmente una
motivazione di fondo: il legislatore di quegli anni e di quella riforma prefigurava un
quadro applicativo nell’ambito del quale la relativa informalità della regolamentazione
sullo svolgimento della conferenza avrebbe favorito una forte collaborazione tra le
amministrazioni.
L’esperienza dell’applicazione dell’istituto nell’ambito dell’attività
amministrativa ha dimostrato il contrario. Se, in un primo momento, la conferenza ha
tardato ad essere diffusamente utilizzata, dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso
in poi, a fronte del maggiore ricorso a tale strumento, soprattutto nelle realtà locali, la
conferenza ha mostrato tutti i suoi aspetti di criticità, richiedendo correzioni e
integrazioni della relativa disciplina.
6 Com’è noto, si tratta della l. 29 ottobre 1987, n. 441, Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 31 agosto 1987, n. 361, recante disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti; della l. 29 maggio 1989, n. 205, di Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1 aprile 1989, n. 121, recante interventi infrastrutturali nelle aree interessate dai campionati mondiali di calcio del 1990; nonché della l. 5 giugno 1990, n. 135, recante Piano degli interventi urgenti in materia di prevenzione e di lotta all’AIDS.
116
Per questo motivo, la discussione dell’istituto della conferenza di servizi e della
sua evoluzione nella prassi amministrativa – dalla quale peraltro, l’istituto ha avuto
proprio origine – non può prescindere da una preliminare rassegna delle singole
modifiche introdotte a seguito dei numerosi interventi del legislatore: dal 1990 sino ad
oggi, secondo una tendenza che non accenna a trovare arresto neanche nel momento in
cui si scrive, quest’ultimo ha trasformato la disciplina dell’istituto in diverse occasioni,
adeguandola ai problemi che sono andati emergendo, nei diversi “cicli di applicazione
della l. n. 241/1990”7.
I principali interventi che hanno fatto seguito a quello originario, per quanto
riguarda la disciplina generale, hanno investito il funzionamento della conferenza, i
meccanismi decisionali, nonché l’individuazione di interessi particolari destinati ad
assumere una posizione qualificata nell’ambito del funzionamento dei meccanismi di
presenza e di manifestazione del dissenso.
Nel corso del tempo, il legislatore ha inciso su alcuni ambiti specifici, quali
l’operatività della conferenza di servizi, le regole decisionali, i metodi di risoluzione
dello stallo decisionale, sia attraverso meccanismi sostitutivi, sia attraverso meccanismi
automatici di interpretazione delle assenze o di valutazione delle ipotesi di dissenso.
Questi ultimi profili, tuttavia, si sono rivelati progressivamente più problematici,
richiedendo continue rivisitazioni: ciò perché l’incapacità di decidere, per un verso, e le
assenze o i dissensi pretestuosi, per l’altro, hanno agito in senso contrario rispetto alla
semplificazione che si voleva realizzata dal meccanismo di coordinamento ipotizzato al
tempo della formalizzazione dello strumento della conferenza di servizi. Se le prime
modifiche possono esprimere un certo successo nell’applicazione dell’istituto, e se è
vero che l’attenzione del legislatore verso la disciplina del procedimento amministrativo
in generale non è mai calata nell’ultimo ventennio, tuttavia, ad un certo punto la frenesia
normativa è divenuta tale da dubitare della lettura dei risultati in chiave di
semplificazione.
Nella rapidissima ricostruzione che si svilupperà ora, le misure di riforma sono
raggruppate per profili problematici. In relazione all’evoluzione di ciascuno di essi si
tenterà di mettere in luce le principali trasformazioni al fine di lasciar emergere le
questioni irrisolte, nonché i profili che hanno autoalimentato la complessità.
7 In questi termini in Istat, p. 43.
117
Una prima serie di interventi mira ad affermare l’operatività dello strumento
della conferenza, con misure che incidono sull’ambito di applicazione, ma anche sul suo
funzionamento.
Quanto al primo profilo, nel 1997 si allarga l’ambito di applicazione della
conferenza, estendendo l’operatività dell’istituto ai casi di procedimenti collegati8. Lo
stesso intervento, poi, prevede l’obbligo di ricorso alla conferenza in una serie di casi9.
Anche la riforma del 2000 amplia l’ambito di applicazione dell’istituto, sancendo,
questa volta, l’obbligatorietà della conferenza in caso di necessità di intese, nulla osta
concerti o assensi, che siano stati richiesti e non siano pervenuti all’amministrazione
procedente entro quindici giorni10. Si prevede, poi, nella stessa sede, un’ulteriore ipotesi
di convocazione della conferenza, che avviene su richiesta del privato, da parte
dell’amministrazione competente all’adozione dell’atto finale.
Ulteriori misure riguardano più specificamente il funzionamento della
conferenza. Con le modifiche apportate nel 1993, si disciplina un meccanismo di
risoluzione dell’eventuale stallo decisionale, causato dal mancato raggiungimento
dell’unanimità nel corso della riunione. Il comma 2 bis, art. 14, l.n. 241/1990, introdotto
con l’art. 2, l. 24 dicembre 1993, n. 537, prevede l’intervento del Presidente del
Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, nei casi in cui la
conferenza non raggiunga l’unanimità.
In seguito, il legislatore concentra l’attenzione proprio sulla regola decisionale.
Nel 1997 inizia ad emergere il problema dell’evasione dalle riunioni: il
legislatore risolve la questione, considerando acquisito l’assenso di chi non abbia preso
parte alla conferenza, salva contraria comunicazione da inviare all’amministrazione
procedente entro venti giorni dalla riunione ovvero dalla data di ricevimento delle
comunicazioni in ordine a quanto ivi determinato. Si prevede, poi, che in caso di
dissenso motivato espresso, l’amministrazione procedente possa, comunque, assumere
le proprie determinazioni, previa comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri
ovvero al presidente della regione e ai sindaci, a seconda dei diversi livelli di governo
coinvolti. La determinazione è destinata a divenire esecutiva qualora i soggetti citati non
8 Ai sensi del comma 4 bis, art. 14, l.n. 241/1990, aggiunto dall’art. 17, l.n. 14 maggio 1997, n.
127. 9 Si v. al riguardo, l’art. 14 bis, introdotto con l’art. 17, l. n. 127/1997. 10 Si v. al riguardo, il nuovo comma 2, art. 14, l. n. 241/1990 come modificato dalla l. 24
novembre 2000, n. 340.
118
ne chiedano la sospensione entro il termine di trenta giorni dalla data della
comunicazione.
Ad evitare l’applicazione indiscriminata del meccanismo ora descritto, il
legislatore qualifica in maniera particolare la posizione in capo alle amministrazioni
preposte alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale, del patrimonio storico-artistico
nonché alla tutela della salute dei cittadini, richiedendo, qualora il dissenso riguardi
questi ultimi interessi, che si pronunci il Presidente del Consiglio dei ministri con una
propria determinazione, previa deliberazione del Consiglio stesso.
Nel 2000, infine, si sostituisce il meccanismo decisionale dell’unanimità con
quello dell’adozione delle delibere a maggioranza dei presenti11. Si precisa, inoltre, che
ogni amministrazione possa prendere parte alla conferenza attraverso un unico
rappresentante, che è legittimato ad esprimere in maniera vincolante la volontà
dell’ente12. Anche questa disposizione, nata con finalità semplificatorie, ha avuto, in
realtà, implicazioni di segno contrario, richiedendo, come si vedrà, la convocazione e lo
svolgimento di riunioni preliminari ed ulteriori.
Il nuovo comma 9 dell’art. 14 ter, inoltre, stabilisce che il provvedimento finale
conforme alla determinazione conclusiva favorevole sostituisce a tutti gli effetti ogni
atto di competenza dei partecipanti alla conferenza. Ad evitare comportamenti
puramente ostruzionistici, interviene, poi, l’art. 14 quater, che prescrive
l’inammissibilità del dissenso non congruamente motivato, non connesso alle questioni
trattate e non finalizzato ad indicare le eventuali modifiche e gli interventi necessari ai
fini dell’assenso. Una simile previsione comporta come conseguenza la possibilità per
l’amministrazione procedente di assumere comunque al termine della conferenza una
determinazione immediatamente esecutiva. I commi 3-4 dell’art. 14 quater, nuovamente
modificati, disciplinano in forma leggermente differente i meccanismi di risoluzione di
eventuali conflitti.
Anche quest’ultima riforma, che ha origine ancora una volta nell’intenzione di
evitare situazioni di stallo, comporta il rafforzamento delle problematiche connesse alla
posizione delle amministrazioni assenti, dissenzienti, nonché della rappresentatività dei
partecipanti alla conferenza. Le disposizioni introdotte, infatti, spostano inevitabilmente
il baricentro dell’attenzione sulle modalità di risoluzione dei conflitti.
11 Si v. il testo dell’art. 14 ter, comma 1, l.n. 241/1990, come modificato dalla l. n. 340/2000. 12 Si v. l’art. 14 ter, comma 6, l. n. 241/1990.
119
Il secondo gruppo di interventi si concentra in misura particolare sui profili
dell’inerzia e dei dissensi, avviando un’altra stagione di riforma della conferenza. Le
nuove misure aprono la strada all’emergere di problematiche analoghe, quanto alla
provenienza, ma ben più complesse nelle loro implicazioni pratiche.
Con legge 11 febbraio 2005, n. 15, si interviene ancora sul profilo decisionale,
sostituendo al criterio della maggioranza, l’ulteriore criterio della prevalenza delle
posizioni espresse in seno alla conferenza. Al dissenso qualificato in caso di interessi
sensibili, si aggiunge in quella fase un rafforzamento della posizione riconosciuta alle
regioni e agli enti locali, prevedendo, per il caso di dissenso riguardante una delle
materie di propria competenza, una determinazione sostitutiva rimessa
dall’amministrazione procedente alla Conferenza Stato-Regioni, se il conflitto
coinvolga un’amministrazione statale e una regionale o tra amministrazioni regionali,
ovvero alla Conferenza unificata qualora il conflitto sorga tra una regione o provincia
autonoma e un ente locale13.
Nel 2010 e nel corso dell’ultimo anno si operano ulteriori interventi.
Il legislatore si concentra ancora sul problema relativo all’inerzia, quando non
addirittura all’ostruzionismo amministrativo, nonché sulla risoluzione dei dissensi. Con
riferimento a quest’ultimo profilo, la nuova formulazione dell’art. 14 quater, comma 3,
l. 241/1990, introdotta con l’art. 49 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, che aveva
disciplinato un’ipotesi di esercizio del potere sostitutivo da parte del Consiglio dei
ministri sulla quale si è pronunciata di recente anche la Corte Costituzionale14.
I meccanismi di risoluzione dei conflitti non sono scevri di implicazioni pratiche
e lasciano emergere nuove conflittualità: basti pensare che, già nell’esperienza della
disciplina precedente, la possibilità di rimessione di determinate questioni alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva comportato «difformità di comportamento,
incertezze interpretative, carenze documentali» tra le amministrazione remittenti. Di
qui, l’approvazione di nuove Linee guida operative per la rimessione al Consiglio dei
13 In tema, in prospettiva critica, si cfr. R. Bin, Dissensi in conferenza di servizi e incauto
deferimento della decisione alle “Conferenze” intergovernative: le incongruenze della legge 15/2005, in Le Regioni, 2006, p. 339 ss.; A. Vacca, Il dissenso in seno alla conferenza di servizi ed il ruolo attribuito alle conferenze intergovernative dalla L. 15/05. Commento dell’art. 14quater, L. 241/90 in www.LexItalia.it 6/2005; In tema, con particolare riferimento alla cooperazione si v. anche G. Marchetti, Strumenti e modalità di cooperazione tra regione ed enti locali, Centro studi sul federalismo, Research Paper, giugno 2010.p. 15.
14 Si v. Corte cost., sentenza 2-11 luglio 2012, n. 179.
120
Ministri (Legge 7 agosto 1990, n. 241, 14-‐quater, comma 3)15 da parte della Presidenza
del Consiglio dei ministri.
Il legislatore, interviene ora, nuovamente, per un verso, estendendo
ulteriormente l’ambito di operatività della conferenza, e, per l’altro, operando ancora
correzioni ai meccanismi di composizione del dissenso. Alle luce delle ultime
modifiche l’istituto sembra destinato ad assumere un rilievo ancor più accentuato
nell’ambito dello svolgimento del procedimento amministrativo informatico16, nonché
una configurazione ulteriore, a seguito delle modifiche introdotte in sede di conversione
al d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, per adeguare la soluzione del dissenso a quanto
affermato pochi mesi prima dalla Corte costituzionale17.
Quanto al primo profilo, l’intervento prevede che «nell'ambito delle attività di
sperimentazione di cui all'articolo 12, comma 1, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, che proseguono fino al
31 dicembre 2013, possono essere individuate «zone a burocrazia zero», non soggette a
vincolo paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico. [2.] Nelle zone di
cui al comma 1 i soggetti sperimentatori possono individuare e rendere pubblici i casi in
cui il rilascio delle autorizzazioni di competenza necessarie alla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto sono sostituite da una comunicazione
dell'interessato allo sportello unico per le attività produttive. Nei rimanenti casi per le
nuove iniziative produttive, avviate successivamente alla data di entrata in vigore della
legge di conversione del presente decreto, i procedimenti amministrativi sono conclusi
con l'adozione del provvedimento conclusivo previa apposita conferenza di servizi
telematica ed aperta a tutti gli interessati, anche con modalità asincrona. I provvedimenti
conclusivi di tali procedimenti si intendono senz'altro positivamente adottati entro trenta
giorni dall'avvio del procedimento se un provvedimento espresso non è adottato entro
tale termine.
Per quanto riguarda, invece, il secondo ordine di modifiche, si fa riferimento in
particolare, al nuovo art. 33 octies del d.l., relativo al superamento del dissenso espresso
in sede di conferenza di servizi. Nella formulazione attuale, dunque il comma 3 dell’art.
15 In ordine alla precedente disciplina, si v., invece, “Linee guida operative per la rimessione al
Consiglio dei Ministri. Legge 7 agosto 1990, n. 241, artt. 14, 14-‐bis, 14-‐ter, 14-‐quater” (G.U. 2 gennaio 2003, n. 1),
16 Su cui si v. ora l’art. 37-bis, rubricato Zone a burocrazia zero. 17 Come convertito con l. 17 dicembre 2012, n. 221.
121
14 quater della l.n. 241/1990 prevede che se «il motivato dissenso è espresso da una
Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, ai
fini del raggiungimento dell’intesa, entro trenta giorni dalla data di rimessione della
questione alla delibera del Consiglio dei Ministri, viene indetta una riunione dalla
Presidenza del Consiglio dei Ministri con la partecipazione della Regione o della
Provincia autonoma, degli enti locali e delle amministrazioni interessate, attraverso un
unico rappresentante legittimato, dall'organo competente, ad esprimere in modo
vincolante la volontà dell'amministrazione sulle decisioni di competenza. In tale
riunione i partecipanti debbono formulare le specifiche indicazioni necessarie alla
individuazione di una soluzione condivisa, anche volta a modificare il progetto
originario. Se l'intesa non è raggiunta nel termine di ulteriori trenta giorni, è indetta una
seconda riunione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con le medesime modalità
della prima, per concordare interventi di mediazione, valutando anche le soluzioni
progettuali alternative a quella originaria. Ove non sia comunque raggiunta l’intesa, in
un ulteriore termine di trenta giorni, le trattative, con le medesime modalità delle
precedenti fasi, sono finalizzate a risolvere e comunque a individuare i punti di
dissenso. Se all’esito delle predette trattative l’intesa non è raggiunta, la deliberazione
del Consiglio dei Ministri può essere comunque adottata con la partecipazione dei
Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate ».
Alle misure descritte si aggiunge, da ultimo, quanto previsto con il d.d.l.
semplificazione approvato dal Consiglio dei Ministri in data 19 giugno, in merito
all’istituzione del cd. “tutor d’impresa”, una figura destinata a garantire l’osservanza
delle migliori prassi amministrative e delle disposizioni in materia di semplificazione, e,
quindi, anche in riferimento allo svolgimento delle conferenze. Il possibile ruolo chiave
del tutor era stato sottolineato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in
sede di segnalazione degli interventi per la promozione della concorrenza, per l’anno
201318: ora esso si affianca alle imprese e alle amministrazioni, con tutta probabilità al
responsabile del procedimento, con l’intento di facilitare ciò che dovrebbe risultare
18 Si v. Agcm, AS988 - Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il
mercato e la concorrenza anno 2013, 2 ottobre 2012, disponibile al seguente indirizzo url: http://www.agcm.it/component/domino/open/C12563290035806C/B9A4E1C96C74079FC1257A92004816B7.html
122
semplice – o già semplificato - in relazione all’andamento delle pratiche
amministrative19.
3. La reazione amministrativa e i problemi applicativi nella giurisprudenza
Tra le diverse questioni problematiche che ha sollevato la conferenza di servizi,
dal momento della sua istituzione sino ad oggi, alcune hanno un carattere più teorico
anche se – come è stato sottolineato, non sono prive di rilevanza anche sotto il profilo
pratico20; altre sono più strettamente collegate al suo funzionamento concreto.
Rispetto ad un’indagine che si era svolta a quasi dieci anni dall’approvazione
della disciplina sul procedimento amministrativo21, la situazione appare ora abbastanza
modificata, per l’incidenza e la misura del grado di conflittualità giurisdizionale
mostrato dallo strumento della conferenza dei servizi.
Da quella ricerca emergevano risultati significativi relativamente alla
semplificazione del procedimento in generale, nonché alla conferenza di servizi nel caso
più specifico. L’indagine aveva, tuttavia, ad oggetto, il periodo compreso tra il mese di
settembre 1990 e il mese di ottobre 1998. Ne risultava che i casi in cui si discuteva di
semplificazione, nei primi anni di attuazione della legge n. 241/1990 rappresentavano
una ridotta percentuale rispetto al totale, pari all’8 per cento: meno dell’ 1 per cento la
quota dei conflitti relativi alla conferenza dei servizi. Quanto al casus belli,
principalmente le problematiche affrontate riguardavano la natura della conferenza, la
rappresentatività dei soggetti, il potere di adottare atti che confluiscono nella decisione
finale, l’imputabilità dell’esito finale alla conferenza, il meccanismo sostitutivo di
decisione, il criterio maggioritario22.
Nell’interpretazione di tali risultati, si rilevava l’incidenza delle modifiche
legislative, già nei primi otto anni di attuazione della legge 241/1990 adottate con
19 Nella prospettiva segnalata dell’Agcm, la finalità è quella di «individuare un punto di contatto tra imprese e amministrazione nel corso dei procedimenti amministrativi al fine di trasformare il ruolo della p.a. da mero controllore a “facilitatore” con compiti di assistenza delle imprese».
20 Si v., in tal senso S. Civitarese Matteucci, op. cit., p. 287. 21 Si v. al riguardo, per i risultati dell’indagine statistica, M. Conticelli e S. Quintili, La
giurisprudenza sul procedimento amministrativo: indagine statistica, in Riv. trim. dir. pubbl., 1999, p. 781 ss. Le fonti di riferimento utilizzate erano il Repertorio della Giurisprudenza italiana, Torino Utet, e le seguenti riviste giuridiche: I tribunali amministrativi regionali, Roma Italedi, e Il Consiglio di Stato, Roma Italedi.
22 Si v., al riguardo A. Sandulli, La semplificazione, in Riv. trim. dir. pubbl. 1999, p. 757 ss. in particolare, per quanto riguarda la conferenza, p. 765 ss.
123
cadenza biennale, nonché la frammentazione del quadro normativo e la “presenza di
disposizioni derogatorie [che] hanno notevolmente inciso sulla valenza degli
orientamenti giurisprudenziali intervenuti in ordine all’art. 14 della l.n. 241/1990».
Si trattava, tuttavia, allora, come si avrà modo di confermare grazie ai primi
studi empirici in materia di una fase di scarso utilizzo dello strumento della conferenza,
che avrebbe iniziato ad essere applicato in maniera diffusa solo a partire dalla fine degli
anni Novanta del secolo scorso.
Diviene allora importante procedere ad una verifica che fornisca informazioni
sulla giurisprudenza in materia di conferenza di servizi, proprio a partire da quella data.
La disamina acquisisce particolare rilievo: se, infatti, tale istituto è concepito in chiave
essenzialmente semplificatoria, l’incidenza sullo svolgimento regolare del procedimento
amministrativo dei conflitti sollevati in sede giurisdizionale è il primo tra gli indici di
cui occorre tenere conto, come massima espressione del suo mal funzionamento. A tal
fine, si intende procedere, dapprima, alla quantificazione numerica dei casi
giurisdizionali in cui si sono affrontate questioni legate all’applicazione della
conferenza di servizi. Tale quantificazione può condurre a risultati comunque
significativi, anche se di difficile valutazione, tenendo conto che, per comprendere la
reale incidenza dei procedimenti più controversi sull’andamento regolare dell’attività
amministrativa, occorrerebbe avere a disposizione il numero complessivo dei
procedimenti.
Per questi motivi, la rassegna include pronunce che affrontano diversi aspetti,
anche quando le relative soluzioni non siano oggetto, in alcuni casi, di consolidamento
giurisprudenziale. Più che la soluzione adottata di volta in volta dal giudice, cui
comunque si fa richiamo, interessa, infatti, in questa sede e in questa fase della ricerca,
comprendere quanti e quali aspetti della disciplina relativa alla conferenza di servizi
nella sua attuazione si sono rivelati di difficile applicazione, tanto da sollevare conflitti
in sede giurisdizionale.
L’indagine giurisprudenziale, tuttavia, ha un valore limitato poiché essa non
consente di rilevare la reale incidenza di quei problemi che possono emergere nel corso
dello svolgimento del procedimento amministrativo, rallentando l’attività e in qualche
modo inficiandone il complessivo risultato, senza, tuttavia, acquisire una rilevanza
all’esterno.
124
Si procede, dapprima alla valutazione dei risultati sotto il profilo meramente
quantitativo; si tornerà poi sulla valutazione dei profili presi in considerazione in sede di
risoluzione del conflitto.
La ricerca è stata svolta sulle banche dati De Jure e Jus Explorer, della casa
editrice Giuffrè. Il periodo di osservazione è compreso tra il 1 gennaio 1999 e il 31
dicembre 2012. Si procede, ad una ricerca per anno, dapprima testuale e poi per voci,
relativamente alla conferenza dei servizi e al procedimento amministrativo in generale.
Dalla ricerca sulla banca dati di giurisprudenza De Jure, si ottengono i seguenti
risultati: la conferenza di servizi è citata in 4123 casi. L’evoluzione è la seguente: 27
decisioni nel 1999; 11 decisioni nel corso del 2000; 53 nel corso del 2001; 74 nel corso
del 2002; 75 nel 2003; 139 nel corso del 2004; 199 nel 2005; 189 nel 2006; 189 nel
2007; 240 nel 2008; 274 nel 2009; 815 nel 2010; 976 nel 2011; 862 nel 2012.
Fonte: rilevazione da De Jure, ricerca testuale “conferenza dei servizi”
Diversamente, si contano 142 risultati dal 1999 al mese di dicembre 2012,
svolgendo una ricerca per voce Procedimento amministrativo e sottovoce Conferenza di
servizi. In questo caso, l’andamento è il seguente: 1 decisione nel 1999; 3 nel 2000; 4
nel 2001; 5 nel 2002; 7 nel 2003; 6 nel 2004; 18 nel 2005; 6 nel 2006; 11 nel 2007; 15
125
nel 2008; 9 nel 2009; 21 nel 2010; 23 nel 2011; 18 nel 2012. Anche questo tipo di
ricerca, che si basa sulla rielaborazione svolta dai redattori della banca dati, conferma il
picco di decisioni del 2010.
L’andamento è, infatti, quello delineato nella figura che segue.
Fonte: rilevazione Jus Explorer ricerca per voce Procedimento amministrativo-Conferenza dei servizi
Un totale di 10902 sono, invece, i risultati della ricerca testuale per “procedimento amministrativo”. Essi sviluppano questa sequenza evolutiva: 88 nel 1999; 171 nel 2000; 327 nel 2001; 569 nel 2002; 586 nel 2003; 716 nel 2004; 873 nel 2005; 957 nel 2006; 993 nel 2007; 932 nel 2008; 1098 nel 2009; 1165 nel 2010; 1196 nel 2011; 1131 nel 2012.
126
Fonte: rilevazione Jus Explorer ricerca testuale Procedimento amministrativo
Un risultato pari 894 decisioni emerge dalla ricerca per voce Procedimento amministrativo. Le decisioni ammontano a: 14 nel 1999; 10 nel 2000; 23 nel 2001; 33 nel 2002; 33 nel 2003; 49 nel 2004; 64 nel 2005; 57 nel 2006; 70 nel 2007; 82 nel 2008; 91 nel 2009; 114 nel 2010; 128 nel 2011; 126 nel 2012.
Fonte: rilevazione Jus Explorer ricerca per voce Procedimento amministrativo
127
Effettuando la ricerca sulla voce Procedimento amministrativo si hanno i seguenti
risultati: delle 3871 decisioni, 53 sono state adottate nel 1999; 55 nel 2000; 115 nel
2001; 244 nel 2002; 233 nel 2003; 283 nel 2004; 337 nel 2005; 386 nel 2006; 338 nel
2007; 324 nel 2008; 362 nel 2009; 389 nel 2010; 403 nel 2011; 349 nel 2012.
Se con riferimento al periodo compreso tra il 2001 e il 2004 la conferenza di servizi
sembra richiedere un numero di decisioni meno che proporzionale rispetto
all’andamento del procedimento amministrativo, la situazione appare completamente
rovesciata in riferimento all’anno 2010, quando la conferenza di servizi registra un
picco di decisioni, che non appare confermato in misura proporzionale rispetto alle
decisioni in materia di procedimento amministrativo. Questo indica il maggiore – se pur
relativo – ricorso alla sede giurisdizionale per risolvere i conflitti originati in sede di
conferenza dei servizi, almeno in riferimento agli ultimi tre anni. A cosa il risultato sia
dovuto non è chiaro; se questo sia imputabile alla sua maggiore applicazione, e, quindi
paradossalmente alla maggiore ‘fortuna’ dell’istituto, oppure ad una sua maggiore
problematicità è tutto da verificare. L’andamento del risultato, comunque, è
schematizzato nel grafico che segue.
128
Fonte: rielaborazione su rilevazione da banche dati De Jure/Jus Explorer
Si procede ora ad una rapida rassegna puramente esemplificativa delle principali
questioni trattate in sede giurisdizionale. Si concentra l’attenzione sui problemi emersi
nel biennio 2010-2012, quello cioè nel quale maggiormente si è posto in discussione il
funzionamento della conferenza dei servizi nelle sedi giurisdizionali.
Tra i principali profili emersi si segnalano quelli riguardanti la natura giuridica
della conferenza, la distinzione del carattere istruttorio o decisorio della stessa – e le
relative implicazioni in termini di atto da impugnare -, le implicazioni e i caratteri del
dissenso non espresso o espresso al di fuori della riunione. Questioni più minute
riguardano le modalità di convocazione della conferenza, la verbalizzazione, nonché la
doppia rappresentanza nella sede conferenziale.
Per quanto riguarda gli aspetti più teorici, si fa riferimento alle discussioni
relative alla qualificazione in ordine alla natura giuridica della conferenza, tra
meccanismo procedimentale e organismo collegiale23, che ha trovato complessivamente
un assestamento nella qualifica della conferenza come modulo organizzatorio e
procedimentale, più che come organo collegiale24. Si tratta di una questione che si è
riproposta a più riprese all’attenzione dei giudici, soprattutto in risposta ai continui
mutamenti subiti dalle regole decisionali.
Tra le questioni teoriche, suscettibili di implicazioni pratiche notevoli, sempre in
relazione alla natura giuridica dell’istituto, vi è quella relativa alla indicazione del
carattere istruttorio o decisorio delle conferenze. Tale aspetto si è posto in più occasioni
all’attenzione dei giudici e anche in riferimento a diverse tipologie di procedimenti:
esso, quindi, ha in gran parte origine nelle normative settoriali relative all’istituto della
conferenza di servizi.
Ad esempio, con riferimento alla disciplina delle autorizzazioni per la
realizzazione di impianti da energie rinnovabili, l’art. 12, d. lgs. 29 dicembre 2003, n.
387, prevede il rilascio da parte della regione o della provincia di un’ “autorizzazione
unica”: il provvedimento «sostituisce tutti i pareri e le autorizzazioni altrimenti
necessari e in cui confluiscono, con il meccanismo della conferenza di servizi, anche le
23 In tema Corte cost. 31 gennaio 1991, m. 37. 24 In tal senso, già Cfr. Corte cost., 8 febbraio 1993, n. 62; 10 marzo 1996, n. 79 .
129
valutazioni di carattere paesaggistico e quelle relative all’esistenza di vincoli di carattere
storico - artistico»25.
Le sue implicazioni si riversano sul carattere della determinazione finale, ma
anche sulla necessità della presenza di determinate amministrazioni, nonché sull’atto da
impugnare, soprattutto in caso di esiti negativi della conferenza.
Proprio l’incertezza, a seconda dei tipi di conferenze, sulla necessità di una
determinazione finale da parte dell’amministrazione procedente, successiva rispetto alla
determinazione conclusiva della conferenza, è un aspetto ulteriore di particolare
complessità. Che derivi o meno dal carattere istruttorio o decisorio, tale profilo è stato
sinora risolto con pronunce di segno diverso, a seconda, però, prevalentemente dei
procedimenti presi di volta in volta in considerazione.
Da questo aspetto derivano, infatti, conseguenze differenti sulla qualifica
dell’atto finale della conferenza di servizi e sulla sua eventuale natura
endoprocedimentale, nonché sul possibile effetto lesivo della sfera giuridica del
destinatario26.
Diverse pronunce riguardano, poi, le implicazioni del dissenso espresso al di
fuori della conferenza27.
In altri casi, ci si è interrogati sulla possibilità di convocare una conferenza
preliminare e sulle categorie di soggetti cui estendere l’invito. Al riguardo, si è ritenuto,
ad esempio, che la preliminare convocazione dei Dirigenti dei settori competenti,
nell’ambito di una conferenza che si conclude con un’ordinanza di cessazione
dell'attività commerciale fatta salva la possibilità di convocare successivamente una
nuova Conferenza di servizi cui invitare anche le altre amministrazioni, in caso di
ammissibilità della istanza ex art. 4, d.P.R. n. 447/1998, possa rispondere pienamente
alla finalità di evitare inutili aggravi ad altre amministrazioni, quando non vi siano i
presupposti per considerare ammissibili le questioni sulle quali sarebbero chiamate a
pronunciarsi28.
25 Per una delle ultime pronunce al riguardo, si v. Tar Milano, Lombardia, I, 16 novembre 2012,
n. 2777. In quella sede, dal rinvio operato dal d.m. attuativo dell’art. 12, per la risoluzione dei conflitti all’art. 14 quater della l.n. 241/1990, il giudice deduce la natura decisoria della conferenza.
26 Si cfr. Tar Bari, Puglia, III, 30 ottobre 2012, n. 1862. 27 Si v. ad esempio Tar Lecce Puglia, I, 10 ottobre 2012, n. 1657. 28 Cons. St., V, 5 novembre 2012, n. 5590.
130
Con riguardo al procedimento di cui all’art. 5, d.P.R. n. 447/1998, si prevede che
l’esito della conferenza possa configurare un’ipotesi eccezionale di proposta di variante
allo strumento urbanistico, comunque non vincolante, in presenza di taluni presupposti,
sulla quale debba poi pronunciarsi, tuttavia, il Consiglio comunale (entro sessanta
giorni). In caso di esito negativo della conferenza, però è considerato normale che la
procedura avviata non abbia ulteriore sviluppo, venendo a mancare l'atto di impulso
necessario, oltre che strumentale, alle determinazioni di competenza del Consiglio
comunale29.
Sulla rilevanza di determinazioni successive rispetto a quelle espresse in sede di
conferenza, poi, la giurisprudenza ha affermato che non possa considerarsi produttiva di
alcun «effetto sanante la convalida da parte della Regione degli atti della conferenza di
servizi indetta dalla Provincia per la realizzazione e gestione di un impianto di
produzione di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili, ai sensi dell'art. 12 d.lg.
29 dicembre 2003, n. 387, con conseguente illegittimità dell'autorizzazione unica
rilasciata dalla Regione in quanto tale ente non può porre rimedio ad un vizio che incide
sull'intero procedimento, che non appartiene alla sua competenza, ma a quella dell'intera
conferenza di servizi»30. In questo caso, si è data particolare rilevanza alla presenza
congiunta di tutte le amministrazioni invitate, quasi a privilegiare la valenza collegiale
dell’istituto e della sua capacità di far emergere una volontà ultronea rispetto alle
determinazioni delle singole amministrazioni. In questo caso, il giudice, infatti, ha
specificato anche che la conferenza di servizi « è per legge la sede propria e esclusiva
(senza alcuna "confluenza" parcellizzante il confronto) in cui le amministrazioni
interessate devono manifestare l'assenso o il dissenso rispetto al rilascio del domandato
titolo abilitativo regionale alla realizzazione dell'intervento. Il procedimento dell'art. 12
del d.lg. n. 387 del 2003 è infatti "unico", nel senso di unitario ed assorbente le altre,
generali, modalità di verifica degli interessi pubblici incisi, da cui consegue che le
valutazioni in ordine ai diversi interessi pubblici coinvolti devono essere espresse in
sede di conferenza di servizi, essendo l'interazione tra le varie istanze il "valore
aggiunto" proprio della conferenza di servizi, secondo quanto si è sopra detto.
L'effettiva partecipazione di tutte le amministrazioni interessate, nel rispetto del
29 Si v. ex multis, T.A.R. Napoli Campania, VIII, 5 settembre 2012, n. 3749. 30 Consiglio di Stato, VI, 1 agosto 2012, n. 4400.
131
principio generale di leale collaborazione è, pertanto, condizione imprescindibile per la
legittimità dei lavori della conferenza, e del provvedimento che ne costituisce l'esito».
Inoltre, si è affermato che la Conferenza di servizi trova «il proprio senso nella
partecipazione integrata di tutti i componenti necessari in tutte le fasi dei propri lavori,
fino al provvedimento finale, di spettanza dell'amministrazione che ha indetto la
conferenza e ne ha assunto la conduzione, alla quale è rimessa la responsabilità di
rendere la decisione finale derivante dalla valutazione collegiale (Cons. Stato, sez. VI,
18 aprile 2011, n. 2378)».
Diverse pronunce hanno ad oggetto il dissenso costruttivo: in più casi, si
specifica infatti che «il dissenso espresso da un'Amministrazione, che partecipa ad una
Conferenza di servizi, deve rispondere ai principi di imparzialità e buon andamento
dell'azione amministrativa, predicati dall'art. 97 cost., non potendo limitarsi ad una mera
sterile opposizione al progetto in esame, ma deve essere "costruttivo", nel senso che
deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non
costituiscono oggetto della Conferenza e deve recare le specifiche indicazioni delle
modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso, il che del resto è conforme non solo
all'esigenza dell'effettivo perseguimento degli obiettivi di semplificazione e di
accelerazione dell'azione amministrativa, ma anche nell'ottica dell'altro principio di
leale collaborazione cui pure devono essere improntati i rapporti tra le varie pubbliche
amministrazioni»31.
Ne deriva, in alcune occasioni, che il parere reso illegittimamente, in quanto non
costruttivo e non finalizzato a indicare gli interventi e in progetti necessari per acquisire
l’assenso, acquisisce rilevanza quando abbia l’effetto di interrompere la procedura,
anche se trattasi di atto endoprocedimentale.
Sempre in materia di conferenza istruttoria, in alcuni casi, si è affermato che
l’indizione «è rimessa alla valutazione discrezionale dell'Amministrazione procedente la
quale tuttavia, una volta acquisito il parere favorevole, non può arbitrariamente
discostarsene, ancorché in ragione del sopravvenuto parere negativo di un'Autorità, che
aveva disertato la riunione»32.
Ulteriori pronunce hanno riguardato le concrete modalità di svolgimento della
conferenza. In proposito, in alcune circostanze si è affermato che la conferenza di
31 Così in Tar Roma, Lazio, II, 19 luglio 2012, n. 6617 32 Così in Tar Campobasso Molise sez. I, 27 luglio 2012, n. 412.
132
servizi «costituisce un modulo procedimentale e non postula una sorta di riunione in
sede fisica dei soggetti interessati, con la conseguenza che ciò che rileva è unicamente
la circostanza, sussistente nella fattispecie, che i pareri e gli atti richiamati siano
pervenuti all'Amministrazione procedente nell'ambito di tale procedimento»33.
Per quanto riguarda il novero dei soggetti effettivamente chiamati a pronunciarsi
nell’ambito della conferenza di natura decisoria, in alcuni casi si è affermato che possa
risultare «impropria l'acquisizione di pareri non vincolanti di altre Amministrazioni od
organi tecnici, al fine di non sovrapporre le funzioni di amministrazione attiva proprie
di tale modello procedimentale con quelle consultive, del tutto estranee. Infatti, la
partecipazione alla Conferenza indetta ai sensi dell'art. 12, d.lg. n. 387 del 2003 deve
intendersi riservata alle sole Autorità amministrative direttamente interessate al
provvedimento da emanare»34, salvo però precisare che «stante il carattere meramente
esemplificativo e non tassativo dell'elencazione contenuta nel comma 2 dell'art. 14, l. n.
241 del 1990 (nonché nell'Allegato 1 del d.m. 10 settembre 2010), può non essere del
tutto esclusa la possibilità per l'Amministrazione procedente, nella fattispecie la
Regione Puglia, di poter invitare alla Conferenza di servizi anche amministrazioni od
organi tecnici, quale l'A.r.p.a., non titolari di competenze decisorie in materia di
realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, sussistendo sul
punto un ineludibile profilo di discrezionalità amministrativa, seppure da esercitarsi nei
limiti di ragionevolezza e proporzionalità, al fine di non snaturare lo strumento
decisorio della Conferenza di servizi di cui all'art. 12 comma 4, d.lg. n. 387 del 2003».
Ulteriori pronunce hanno ad oggetto il criterio delle opinioni prevalenti, anche
con riferimento alla presenza di un rappresentante di un’amministrazione che abbia
preso parte alla conferenza e non si sia pronunciato e del quale si considera acquisito
l’assenso.
Dalla rapida disamina si può rilevare come, in effetti, tra le questioni che
maggiormente hanno sinora impegnato i giudici, più che quelle relative al
funzionamento della conferenza, sono state oggetto di discussione quelle riferite alla
non chiara definizione del carattere della conferenza, seguite dalla non chiara
individuazione della determinazione finale, della eventuale caratterizzazione dei pareri e
33 Si v. Tar Roma Lazio sez. III, 20 settembre 2012, n. 7965. 34 In questi termini in Tar Bari Puglia, I, 10 luglio 2012, n. 1397.
133
forse, in misura minore rispetto a quanto appena rilevato, delle questioni derivanti dal
dissenso espresso al di fuori della conferenza. Di questi elementi ovviamente occorre
tenere conto nel prosieguo dell’indagine.
4. L’applicazione dell’istituto nei risultati delle precedenti ricerche
Nel delineare il quadro dei problemi applicativi relativi alla conferenza di
servizi, appare opportuno richiamare brevemente gli esiti di indagini che, dal momento
della sua approvazione ad oggi, in varia misura hanno avuto ad oggetto la legge n.
241/1990 e sono state mirate a valutarne la sua applicazione concreta.
Le rilevazioni sul numero e sulla durata dei procedimenti sinora condotte si sono
svolte in tempi diversi, con ricadute negative in termini di attendibilità, completezza e
comparabilità dei dati35. Il progetto per una nuova rilevazione è stato avviato, nella
scorsa legislatura, dalla Unità per la semplificazione (ora Struttura di missione -
supporto al Ministro per la semplificazione normativa) e, in questa legislatura,
proseguito dal Dipartimento della funzione pubblica. Tuttavia, la banca dati informatica
dei procedimenti non è ancora operativa.
Tra le indagini più complete, alcune hanno fornito una valutazione complessiva
dei risultati della legge, dando anche l’avvio ad ulteriori interventi normativi36.
Altre sono state mirate a discutere aspetti più specifici della disciplina, come
quello della semplificazione, oggetto della ricerca svolta dall’Istat per conto del
Dipartimento della Funzione Pubblica, con riferimento al periodo compreso tra il 1990 e
il 2004.
In altri casi, le indagini si sono concentrate sulla regolamentazione della
conferenza in sede regionale, come è avvenuto per la ricerca svolta dal Formez, la cui
analisi, tuttavia, si ferma alle modifiche apportate con l. n. 15/200537.
Altre ancora hanno avuto ad oggetto proprio l’istituto della conferenza, e si sono
rivolte ad osservazioni campionarie più definite ma non assolutamente più limitate: si
35 Al riguardo, si v. il Capitolo su I procedimenti di B.G. Mattarella, in L. Torchia (a cura di), Il sistema amministrativo italiano nel XXI secolo, Bologna, 2011, p. 249 ss., in particolare.
36 Si v. al riguardo la Relazione presentata dalla Commissione presieduta da S., Cassese, pubblicata in Foro it., 1992, III, c. 138 ss.
37 Si v. Formez, La semplificazione tra Stato, regioni e autonomie locali. Il caso della legge 241, Quaderno n. 50, Roma, 2006, e, con particolare riferimento all’oggetto del presente lavoro, Conferenza di Servizi, a cura di C. Iuvone, ivi, p. 79 ss.
134
tratta, in particolare, della ricerca svolta dal Laboratorio di Politiche (LaPo) e del Corep
nell’ambito dell’osservatorio sulla riforma amministrativa della Regione Piemonte.
Le riflessioni che si sviluppano in questa sede si concentrano sui risultati delle
ricerche dell’Istat e del Lapo-Corep, che, oltre ad essere le più recenti, hanno
maggiormente focalizzato l’attenzione sulla prassi applicativa, con particolare
riferimento alla conferenza di servizi.
Nella ricerca svolta dall’Istat emerge il profilo del lento percorso
dell’applicazione dell’istituto, che si snoda attraverso le diverse fasi di intervento del
legislatore.
La ricostruzione evolutiva dell’istituto è considerata necessaria, dal momento
che la conferenza di servizi ha avuto un’applicazione incrementale. L’indagine
statistica, svolta attraverso la somministrazione di un questionario, evidenzia che il
punto di svolta nell’applicazione dell’istituto sembra collocarsi a margine degli
interventi del 1997. Le differenze nell’applicazione dell’istituto sono sia quantitative sia
qualitative. Sotto il profilo quantitativo, fino al 1997 solo il 9% delle amministrazioni
interrogate risulta aver convocato almeno una volta una conferenza di servizi; nel 2000
la quota sale al 41%, ed arriva al 59,6% nel 2003. Sotto il profilo quantitativo, come si è
scritto, la conferenza subisce rivisitazioni continue da parte del legislatore che, in parte,
reagisce ai problemi che emergono, e, in altra parte, e al contempo, interviene anche in
più occasioni ad estendere l’ambito di applicazione38.
Dalla ricerca emerge anche un ulteriore dato, relativo al maggior utilizzo della
conferenza di servizi da parte delle amministrazioni locali rispetto a quelle centrali39. Il
risultato può essere ascritto, secondo alcuni, alla variazione di competenze verificatasi a
partire dal 2001 in poi, con la riforma del titolo V della Costituzione40.
Inoltre, sono significativi i risultati relativi alle domande sullo scopo della
convocazione della conferenza, dal momento che nella gran parte dei casi, le
amministrazioni dichiarano di avervi fatto ricorso per coordinare i rapporti tra istituzioni
poste a diversi livelli di governo: in misura molto minore ciò avviene nell’ambito di
38 In particolare, con le due riforme del 1993 e del 1997 si ridisegnava l’istituto introducendo la regola della maggioranza nell’adozione delle deliberazioni, e si estendeva la sua applicazione nell’ipotesi di «esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti amministrativi reciprocamente connessi, riguardanti medesime attività o risultati».
39 In tal senso Istat, op. cit., p. 58. 40 Si v. C. Tubertini, La nuova disciplina della conferenza di servizi: un primo bilancio di
approvazione, in Giorn. dir. amm., 2007, p. 558.
135
procedimenti che si sviluppano all’interno di una amministrazione, ovvero per
coordinare l’attività di amministrazioni diverse poste allo stesso livello di governo41.
Di diverso approccio l’indagine condotta per la Lapo-Corep, in collaborazione
con la Regione Piemonte, Osservatorio sulla riforma amministrativa42. Nel contributo si
svolge un’analisi empirica sulla conferenza di servizi, con particolare riferimento alle
concrete modalità di funzionamento in riferimento ad alcuni settori di competenza
regionale. Il lavoro di ricerca si basa sull’analisi dei verbali relativamente ad alcune
specifiche procedure considerato l’arco di un triennio (2005-2008), nonché sulle
interviste svolte con diversi funzionari amministrativi.
Ne emergono conferme rispetto ai profili sinora segnalati. Le principali questioni
che rilevano sono quelle connesse ai meccanismi decisionali, all’assenza alle
conferenze, alle forme di manifestazione e alla composizione del dissenso. Nonostante
il periodo preso in considerazione, una prima difformità rispetto al quadro normativo,
evidente già in quella circostanza, è rappresentata dal fatto che in diversi casi le singole
amministrazioni prendono parte alla conferenza attraverso più rappresentanti, anche se,
agli effetti, la doppia partecipazione è poi conteggiata come unica presenza43.
L’indagine discute con particolare enfasi della composizione della riunione, sia
in riferimento ai soggetti invitati, come risultanti dalle lettere di invito alle conferenze,
sia in relazione a quelli effettivamente presenti alle sedute, come risultanti dai fogli
presenze. Ne deriva un quadro composito e, com’è naturale, estremamente variabile
relativamente alle quote degli invitati e dei soggetti presenti, che, tuttavia, secondo gli
autori della ricerca, non trova corrispondenza nella complessità del progetto di cui si
discute.
Particolarmente significativi, ai fini della presente indagine, sono i risultati in
termini di divario tra soggetti invitati e soggetti presenti. I dati cui si fa riferimento
evidenziano un forte scarto, dal momento che «nel 10% dei casi la quota dei presenti è
superiore al 75% dei soggetti invitati mentre nella maggior parte dei casi (53%) il
numero dei presenti varia tra il 26 ed il 50% dei soggetti invitati»44.
41 Si v. Istat, op. cit., p. 96. 42 Si v. L. Bobbio, D. Barella e M. Sartoni, La Conferenza di servizi: analisi empirica ed
esperienze a confronto, 2009. 43 Si v. LaPo-Corep, op. cit., p. 22-23, e, amplius, p. 30. 44 Si v. ult. op. cit., p. 25.
136
Il contributo sviluppa poi un’indagine per tipologia di soggetti invitati:
quest’ulteriore parte – e i suoi risultati – non interessano in questa sede, data la
specificità dei risultati in relazione alle tipologie di procedimenti prese in
considerazione, ma può risultare utile in chiave metodologica, ai fini della ricerca che si
intende svolgere.
Assume, invece, interesse la circostanza per la quale «alcuni dei soggetti che non
intervengono alla conferenza inviano comunque -attraverso note scritte - pareri, nulla
osta o comunicazioni, sia prima che dopo lo svolgimento della seduta di conferenza In
questo modo il numero dei soggetti effettivamente coinvolto nel procedimento tende ad
aumentare»45. Lo studio rileva, tuttavia, quanto, attraverso i pareri, i nulla osta o le
comunicazioni, la partecipazione complessiva assuma una rilevanza ben maggiore di
quanto non avvenga invece attraverso la presenza fisica alle riunioni.
Altri risultati della ricerca meritano di essere segnalati: si rileva, in particolare,
l’andamento reale della conferenza, che non si esaurisce quasi mai in un'unica seduta,
richiedendone in media almeno due, delle quali solitamente la prima assume un
carattere preparatorio (esplorativo, nei casi esaminati); si discute, inoltre, del flusso
documentale, che risulta consistente46.
Con particolare riferimento a queste profilo, la ricerca evidenzia come il
differente comportamento tra amministrazioni in termini di pronuncia, mancata
pronuncia o pronuncia plurima ovvero pronuncia successiva rispetto alla seduta, spesso
non determini implicazioni sui tempi normativi. Si discutono poi alcuni casi di
applicazione del meccanismo del silenzio e si rileva che raramente si è verificato nei
casi oggetto di studio, che le amministrazioni assenti, che non abbiano inviato pareri,
abbiano poi presentato ricorso47.
Su quest’ultimo aspetto in particolare, si intende soffermarsi nel prosieguo
dell’indagine, anche alla luce della prima ricognizione giurisprudenziale svolta nel
precedente paragrafo. Occorre infatti comprendere quanto la prassi amministrativa
possa incidere anche sull’eventuale fase giurisdizionale e quanto di questo sia dovuto ad
eventuali lacunosità del dettato normativo, con conseguenti implicazioni in termini di
complicazioni del buon esito dell’iter procedurale complessivamente inteso.
45 Si v. ult op. cit., p. 27-28. 46 Si v. L. Bobbio, D. Barella e M. Sartoni, op. cit., p. 39. 47 Si v. L. Bobbio, D. Barella e M. Sartoni, op. cit., p. 41.
137
A tal fine, in questa sede si è svolta un’analoga ricerca sul campo. In particolare,
si sono esaminati un centinaio di verbali di conferenze di servizi. L’analisi si è svolta
sui primi risultati che fornisce la ricerca “conferenza di servizi verbali” sul motore di
ricerca google. La scelta è stata necessitata dalla non facile reperibilità di dati continui e
completi relativamente a singoli procedimenti. Si è deciso, quindi, di aprire i primi
verbali forniti dal motore di ricerca, indifferentemente, per non inficiare i risultati
dell’indagine che, necessariamente deve essere condotta a campione.
Ne emerge un quadro molto simile a quello delineato dall’indagine Lapo Corep,
pure se con riferimento ad un periodo precedente all’ultimo quinquennio.
In particolare, risultano analoghe le percentuali relative alla partecipazione:
analoghe le considerazioni in termini di maggiore flusso documentale derivante dalla
conferenza. In diversi casi, emergono pratiche amministrative che si considera, in questa
sede, rappresentino una deviazione dal modello dell’analisi contestuale degli interessi.
Ciò accade, ad esempio, con particolare riferimento al caso, non infrequente, di
acquisizione di consenso per le vie brevi, salvo invio differito della relativa
documentazione. Il flusso documentale, infatti, non solo sostituisce la presenza, ma
riproduce anche il modulo procedimentale, più che quello collegiale, incidendo sulla
valutazione contestuale degli interessi e dei fatti, dal momento che la documentazione
viene acquisita in un momento successivo. Quanto il fenomeno sia diffuso è difficile a
dirsi, tuttavia, dal momento che manca sempre il dato relativo all’andamento
complessivo e corrente delle conferenze dei servizi.
5. La complessità normativa, tra differenziazione regionale e normative speciali
Tra gli elementi principali della formulazione originaria dell’istituto della
conferenza di servizi nel testo licenziato dal legislatore del 1990 emergono la previsione
di un modello unitario di conferenza, nonché – come si è avuto modo di rilevare - la
scarna enunciazione normativa, che rinviava ad uno svolgimento piuttosto informale e
semplificato dei lavori della conferenza.
Rispetto a tale indicazione sono emerse nel corso del tempo dissonanze: in parte,
queste ultime sono dovute alla crescente differenziazione in sede legislativa, sia in
termini di rapporti tra discipline speciali e discipline generali, sia in termini si
138
differenziazione in sede regionale; in altra parte, esse rispondono, come si è anticipato,
alla divergenza tra il quadro applicativo e il dettato normativo.
Si intendono in questa parte esaminare le differenziazioni emergenti sia in sede
di discipline speciali, sia nella legislazione regionale.
Per quanto riguarda il primo profilo, si prendano in considerazione, in via
esemplificativa, le ipotesi di convocazione della conferenza di servizi, che rientrano
nella normativa generale. L’attuale formulazione della l. n. 241/1990 fa riferimento, in
particolare a: l’opportunità di esame contestuale dei diversi interessi coinvolti (art. 14,
comma 1); l’acquisizione di intese, concerti, nulla osta, assensi (art. 14, comma 2); il
dissenso di una delle amministrazioni interpellate (art. 14, comma 2); quando sia
consentito all’amministrazione procedente provvedere anche in assenza di
determinazione di altra p.a. (art. 14, comma 2); l’opportunità di esame contestuale dei
diversi interessi coinvolti in più procedimenti connessi riguardanti medesime attività e
risultati (art. 14, comma 3).
Diversamente è regolata la conferenza di servizi nell’ambito del procedimento
per il rilascio del permesso di costruire. In questo caso, oltre alla convocazione della
conferenza di servizi, il procedimento è caratterizzato dalla riunione di diverse
competenze nell’ambito dello sportello unico per l’edilizia o per le attività produttive.
Lo sportello unico per l’edilizia (art. 1-bis) «costituisce l’unico punto di accesso per il
privato interessato in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti il titolo
abilitativo e l’intervento edilizio oggetto dello stesso, che fornisce una risposta
tempestiva in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni, comunque coinvolte».
Le ipotesi di convocazione della conferenza di servizi in relazione al permesso
di costruire ex art. 5, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, cd. testo unico per l’edilizia, sono
specifiche, ma la normativa fa riferimento alla normativa generale in relazione a più
profili. Lo sportello unico acquisisce altresì presso le amministrazioni competenti,
anche mediante conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater
e 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, gli atti di
assenso, comunque denominati, delle amministrazioni, preposte alla tutela ambientale,
paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico,alla tutela della salute e della
pubblica incolumità. Ai fini del rilascio del permesso di costruire, lo sportello unico per
l’edilizia acquisisce direttamente o tramite conferenza di servizi ai sensi degli articoli
139
14, 14-bis, 14-ter, 14-quater e 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e
successive modificazioni, gli atti di assenso, comunque denominati, necessari ai fini
della realizzazione dell’intervento edilizio. Diversi gli assensi previsti48.
Una valutazione diversa emerge dai risultati in termini di differenziazione
sperimentata a livello regionale. In base all’art. 29, l. n. 241/1990, le regioni e gli enti
locali, nell'ambito delle rispettive competenze, disciplinano il procedimento
amministrativo tenendo conto del fatto che le disposizioni della l. n. 241/1990 relative
agli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione
dell'interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il
termine prefissato e di assicurare l'accesso alla documentazione amministrativa, nonché
quelle relative alla durata massima dei procedimenti la dichiarazione di inizio attività e
il silenzio assenso, costituiscono livelli essenziali delle prestazioni.
Rispetto a quanto scritto, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro
competenza, le regioni e gli enti locali non possono stabilire garanzie inferiori a quelle
assicurate ai privati dalla disciplina statale, ma possono prevedere livelli ulteriori di
tutela, operando quindi in melius. La regioni possono, quindi, discostarsi dal modello
statale se, tenuto conto della disciplina esclusiva, introducono forme più avanzate di
semplificazione. La diversità delle discipline in materia di semplificazione trova
48 a) il parere della azienda sanitaria locale (ASL), nel caso in cui non possa essere sostituito da
una dichiarazione ai sensi dell’articolo 20, comma 1; b) il parere dei vigili del fuoco, ove necessario, in ordine al rispetto della normativa antincendio; c) le autorizzazioni e le certificazioni del competente ufficio tecnico della regione, per le costruzioni in zone sismiche di cui agli articoli 61, 62 e 94; d) l’assenso dell’amministrazione militare per le costruzioni nelle zone di salvaguardia contigue ad opere di difesa dello Stato o a stabilimenti militari, di cui all’articolo 333 del codice dell’ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66; e) l’autorizzazione del direttore della circoscrizione doganale in caso di costruzione, spostamento e modifica di edifici nelle zone di salvaguardia in prossimità della linea doganale e nel mare territoriale, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 19 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374; f) l’autorizzazione dell’autorità competente per le costruzioni su terreni confinanti con il demanio marittimo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 55 del codice della navigazione; g) gli atti di assenso, comunque denominati, previsti per gli interventi edilizi su immobili vincolati ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, fermo restando che, in caso di dissenso manifestato dall’amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali, si procede ai sensi del medesimo codice; h) il parere vincolante della Commissione per la salvaguardia di Venezia, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 6 della legge 16 aprile 1973, n. 171, e successive modificazioni, salvi i casi in cui vi sia stato l’adeguamento al piano comprensoriale previsto dall’articolo 5 della stessa legge, per l’attività edilizia nella laguna veneta nonché nel territorio dei centri storici di Chioggia e di Sottomarina e nelle isole di Pellestrina, Lido e Sant’Erasmo; i) il parere dell’autorità competente in materia di assetti e vincoli idrogeologici;l) gli assensi in materia di servitù viarie, ferroviarie, portuali e aeroportuali; m) il nulla osta dell’autorità competente ai sensi dell’articolo 13 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, in materia di aree naturali protette
140
ovviamente riscontro anche sul funzionamento dell’istituto della conferenza di servizi,
come avviene, ad esempio, nel caso di riduzione di termini procedimentali.
E’ opportuno verificare come le regioni abbiano disciplinato nelle
regolamentazioni generali, l’istituto della conferenza di servizi. Al riguardo, alcune
regioni hanno introdotto un semplice rinvio alla disciplina statale; altre hanno introdotto
norme specifiche. Nella maggior parte dei casi, il legislatore regionale si limita a fare
rinvio alle disposizioni della l. n. 241/199049. In altri, si aggiungono dettagli normativi
sul concreto operare della conferenza.
La tendenza a riprodurre semplicemente le disposizioni generali è stata presa in
considerazione e discussa anche da parte della scienza giuridica: tuttavia, a tale
atteggiamento è corrisposto, soprattutto negli ultimi anni, un orientamento di segno
contrario, dal momento che in molte realtà regionali il legislatore è pervenuto, da
ultimo, ad una definizione più dettagliata degli aspetti procedurali per conferire
maggiore certezza e trasparenza all’istituto.
Esempi in questo senso sono le discipline approvate dalla Toscana, dalla Valle
d’Aosta, dalla Liguria.
Molto puntuale risulta la disciplina approvata dalla Regione Toscana, che dedica
alla conferenza, alla sua convocazione, alle modalità di funzionamento, all’espressione
e al significato dei dissensi, nonché alla disciplina transitoria, un intero Capo della l.r.
23 luglio 2009, n. 40, Legge di semplificazione e riordino normativo 2009, agli artt. da
21 a 34.
Considerazioni sostanzialmente analoghe a quelle della Toscana possono
svolgersi per la disciplina regionale approvata dalla Valle d’Aosta50, la quale risulta
abbastanza dettagliata, con qualche specificazione più puntuale in materia di modalità di
convocazione e svolgimento della conferenza.
Diversi sono gli atti cui occorre far riferimento per ricostruire la disciplina
regionale ligure: oltre alla l.r. 25 novembre 2009, n. 56, recante Norme in materia di
procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti amministrativi, la
Regione ha approvato il Regolamento 17 maggio 2011, n. 2, recante Regolamento di
49 Al riguardo, si v. A. Cusmano, Tendenze e problemi nell’attuazione da parte delle regioni
della 241/1990, in Regione e governo locale, 1992, p. 446 ss. 50 L. r. 6 agosto 2007, n. 19, recante Nuove disposizioni in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, art. 22- 29.
141
attuazione della legge regionale 25 novembre 2009, n.56 (Norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).
Tra le normative più semplificate, si possono prendere ad esempio quelle della
regione Lombardia, della regione Sicilia e del Friuli Venezia Giulia.
Abbastanza scarna la normativa predisposta dalla Regione Lombardia, la quale
nel rinviare in generale alle norme della l. n. 241/1990, esclude dall’applicazione delle
disposizioni le conferenze istruttorie, che, in quanto finalizzate all’esame contestuale di
più interessi coinvolti in un unico procedimento o in procedimenti connessi, e «non
obbligatorie, si svolgono secondo procedure semplificate, anche per via telematica,
stabilite nella prima riunione di ciascuna conferenza»51.
Ancor più scarno l’art. 3 della l.r. Sicilia, 5 aprile 2011, n. 5, che si limita a far
rinvio alle disposizioni stabilite dalla l.n. 241/1990 in generale, e in particolare a quelle
relative tutela degli interessi protetti (riproducendone in parte il disposto).
In altri casi, poi, che vengono a determinare una scelta di mezzo, la
regolamentazione regionale appare puntuale, ma non sembra andare oltre la materiale
riproduzione dei principali aspetti ora disciplinati con l. n. 241/1990 nell’evoluzione
sperimentata nel corso degli anni. Sembra essere questo l’esempio della disciplina
approvata dal Friuli Venezia Giulia52, che appare sostanzialmente ricalcare, nei suoi 6
articoli dedicati alla conferenza, il testo vigente in ambito nazionale.
Di particolare interesse la disciplina regionale Umbra. L’intero capo VII della
l.r. 16 settembre 2011, n. 8, recante Semplificazione amministrativa e normativa
dell’ordinamento regionale e degli Enti locali territoriali, e, in particolare, gli artt. da
30 a 39, disciplinano in maniera dettagliata l’istituto. Gli artt. 30-36, l.r. Umbria n.
8/2011, regolano le conferenze di servizi c.d. “esterne”, quelle cioè «promosse dalla
Regione, dalle agenzie, dagli enti strumentali regionali e dagli altri organismi comunque
denominati, controllati da quest’ultima, nonché dagli enti locali territoriali; (ovvero)
nell’ambito delle quali sono coinvolte differenti amministrazioni; (ovvero) relative a più
procedimenti funzionalmente collegati e diretti all’adozione di una decisione
“pluristrutturata”, ovverosia destinata a sostituire le determinazione delle differenti
51 L.r. Lombardia 1 febbraio 2012, n. 1, recante Riordino normativo in materia di procedimento
amministrativo, diritto di accesso ai documenti amministrativi, semplificazione amministrativa, potere sostitutivo e potestà sanzionatoria (art. 13).
52 La l. r. Friuli Venezia Giulia, 20 marzo 2000, n. 7, recante Testo unico delle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso.
142
amministrazioni partecipanti». Per queste conferenze, in particolare, l’art. 36 disciplina
il dissenso e l’assenso condizionato.
Diversamente, rientrano nella categoria delle conferenze interne quelle indette
dal responsabile del procedimento, per acquisire pareri, intese, concerti, nulla osta o altri
atti comunque denominati da parte di altre strutture organizzative della Regione e quelle
promosse per determinare la posizione unitaria della Regione da esprimere nelle
conferenze di servizi “esterne” convocate da altre amministrazioni procedenti, nelle
quali siano interessati più procedimenti amministrativi regionali.
Per quanto riguarda le conferenze cd. interne, in attuazione dell’art. art. 35,
comma 4, e dell’art. 37, l.r. 8/2011, con deliberazione n. 1661 del 19 dicembre 2012, la
Giunta regionale ha approvato la disciplina di organizzazione e funzionamento53. Le
regole ivi dettate forniscono le modalità operative per tutte le conferenze di servizi
interne e per le strutture regionali chiamate a partecipare ai procedimenti di valutazione
di impatto ambientale, nonché forniscono le linee guida per gli Enti Locali per
procedimenti amministrativi inerenti le materie ad essi conferite dalla Regione.
Diversamente sono tratte le questioni relative alla conferenza dei servizi
nell’ambito dell’ordinamento giuridico della regione Abruzzo. Allo stato attuale,
sembrano confermate le osservazioni riportate nella citata ricerca Formez svolta nel
corso del 2006, in base ai quale la Regione non avrebbe adottato una propria disciplina
generale sul procedimento amministrativo (e, quindi, neanche relativamente alla
conferenza di servizi). Dalla ricerca svolta sulla banca dati Leggi regionali d’Italia,
risulta comunque che l’istituto è stato regolato, con riferimento al periodo che intercorre
dal 2006 ad oggi, solamente nella discipline regionali speciali, con particolare
riferimento, ad esempio, alla materia del commercio54, alle procedure espropriative55 , ai
rifiuti56.
53 Disponibile al seguente link:
http://www.semplificazioneamministrativa.regione.umbria.it/documents/11411/a22a747b-3e4a-4c9d-9ce9-603ccd3e3240
54 Si v., ad esempio, l’art. 6, l.r. 12 maggio 2010, n. 17, recante Modifiche alla L.R. 16 luglio 2008, n. 11 “Nuove norme in materia di Commercio” e disposizioni per favorire il superamento della crisi nel settore del commercio.
55 Si v. l’art. 9, l.r. 3 marzo 2010, n. 7, recante Disposizioni regionali in materia di espropriazione per pubblica utilità.
56 Si v., ad esempio, l’art. 2, l.r. 19 dicembre 2007, n. 45, recante Norme per la gestione integrata dei rifiuti.
143
Parzialmente diverso rispetto all’ordinamento precedente, è quello della Regione
Basilicata, nell’ambito del quale la normativa generale sul procedimento amministrativo
risale al 1992. Dal 2006 in poi, e quindi dall’ultimo censimento svolto dal Formez,
anche in questo caso, però la conferenza di servizi appare essere stata disciplinata
solamente dalle normative speciali, con particolare riferimento alle materie dell’energia
da fonti rinnovabili57 e ad alcuni aspetti del commercio58.
Da una sommaria analisi di alcuni tra gli esempi di normativa regionale si
deduce che la regolamentazione dell’istituto può variare, pur muovendosi nell’ambito
ovviamente dei confini dettati dal legislatore nazionale, da un massimo di definizione,
che corrisponde a discipline che individuano anche le forme e le modalità di
convocazione della conferenza, il suo svolgimento in forma telematica o in
videoconferenza, le forme e le modalità di presentazione della documentazione, ad una
specificazione minima, in cui il legislatore fa rinvio alla normativa statale oppure ne
riproduce il contenuto.
Per valutare le diverse scelte compiute sarebbe opportuno discutere una
questione che assume particolare rilevanza, relativamente ai rispettivi esiti: se abbiano,
in altre parole, avuto più successo forme regolamentari di specificità e di dettaglio,
ovvero siano risultate di più semplice applicazione e dunque di minore problematicità
soluzioni opposte. La differenziazione temporale tra le diverse discipline, tuttavia, si
ritiene non consenta una simile valutazione, dal momento che variano nel tempo i fattori
di contesto che potrebbero indurre ad una risultato piuttosto che ad un altro.
Il dato, tuttavia, consente di trarre due ordini di conclusioni: la scelta di rinvio o
la soluzione di regolamentazione puntuale può essere, per un verso, indice della
caratterizzazione in senso più o meno virtuoso, delle singole amministrazioni regionali,
ma può anche rappresentare, per l’altro, il risultato della non chiara modalità di
attuazione della disciplina sul procedimento amministrativo, in termini di necessità di
specificazioni applicative o meno.
57 Si vc. Al riguardo, l’art. 13 l.r. Basilicata 26 aprile 2012, n. 8, recante Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, nonché la l.r. 19 gennaio 2010, n. 1, recante Norme in materia di energia e Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 – L.R. n. 9/2007.
58 Si v. l’art. 9m, ad esempio, della L.R. 30-09-2008, n. 23, recante Modifiche ed integrazioni alla L.R. 20 luglio 1999, n. 19 concernente disciplina del commercio al dettaglio su aree private in sede fissa e su aree pubbliche.
144
6. Il quadro dei problemi attuali
Le ricerche sull’attuazione dell’istituto, basate sull’analisi di campioni di
conferenze – ma anche, pur se in misura minore - gli studi basati sull’esame della
giurisprudenza, rivelano tutti le molte resistenze e le ritrosie delle amministrazioni: tali
atteggiamenti si riscontrano, sotto il profilo soggettivo, nei comportamenti di diverse
amministrazioni, anche se tra le stesse realtà amministrative alcune potrebbero risultare
più o meno cooperative, in relazione a tipologie specifiche di procedimenti59; la
mancata cooperazione si traduce, da un punto di vista sostanziale, nella mancata
comparizione in sede di conferenza e nei conseguenti, eventuali, comportamenti
ostruzionistici, in sede di manifestazione del dissenso.
Se la riluttanza amministrativa si esprime attraverso l’evasione della conferenza,
e la conseguente espressione del proprio dissenso, occorre valutare quali strumenti
fornisce il quadro normativo per la risoluzione di tali ipotesi conflittuali.
Si tratta di circostanze note al legislatore, che è intervenuto a più riprese a
scongiurare l’effetto paralizzante di simili comportamenti, agli effetti dei quali ha
tentato di porre rimedio nel corso del tempo60.
Tracciare un quadro delle problematiche attuali non è semplice: per un verso,
infatti, le ricerche che si sono citate, oltre a far riferimento a periodi precedenti, si
fondano anche sull’analisi di alcuni tipi di procedimento; per l’altro, nel corso del 2010
e da ultimo nel 2012 sono intervenute ulteriori modifiche legislative. Se gli interventi
approvati nel corso dell’ultimo anno sono difficilmente valutabili sotto il profilo del
loro impatto, diversamente, è possibile invece, sviluppare un’analisi rivolta a
comprendere gli effetti delle modifiche introdotte nel 2010.
In questa sede, oltre all’analisi dei verbali delle conferenze, si è proceduto alla
conduzione di interviste con alcuni funzionari amministrativi61, che hanno confermato il
quadro delineato.
59 Pere esempio, per il rilascio del permesso di costruire, le soprintendenze beni culturali (da Intervista con Isabella Salza). Il dato della frequente assenza delle soprintendenze è confermato nella ricerca svolta dal Lapo-Corep, L. Bobbio, D. Barella e M. Sartoni, La Conferenza di servizi: analisi empirica ed esperienze a confronto, 2009, p. 38-39.
60 Si v., ad esempio, al riguardo, per citare una delle ultime riforme, l’art. 14 ter, comma 2, l. n. 241/1990, come modificato dal d.l. 31 maggio 2010, n. 78, come modificato dalla relativa legge di conversione.
145
Per comprendere quanto effettivamente esse abbiano operato sull’istituto della
conferenza di servizi, tuttavia, è necessario, anche in prospettiva de iure condendo,
procedere ad una mappatura delle problematiche, nonché ad un’indagine in chiave
applicativa.
In particolare, potrebbe risultare utile sottoporre un questionario ai responsabili
dei procedimenti gestiti dallo Sportello unico per le attività produttive (Suap), ovvero ad
altre amministrazioni.
Quanto all’oggetto del questionario, e agli interrogativi di interesse, in
particolare, si fa riferimento alle ragioni per le quali principalmente è stata convocata la
conferenza, alla frequenza delle convocazioni, al numero e alla percentuale dei casi in
cui è convocata rispetto ai procedimenti complessivamente gestiti dal Suap. Altri
interrogativi riguardano la frequenza della conferenza preliminare e le principali
problematiche che lo strumento solleva.
Un secondo ordine di interrogativi riguarda le problematiche riscontrate in sede
di conferenza di servizi: al riguardo, interessa comprendere quali problemi siano stati
riscontrati nella gestione della conferenza di servizi in generale, come essi si siano
modificati nel corso del tempo, se e quali interventi del legislatore possano – o meno -
aver facilitato il superamento delle problematiche e di quali, eventualmente.
Nell’ambito di quest’ordine di domande, rileva poi comprendere quali problemi siano in
particolare emersi nella gestione della conferenza di servizi nell’ambito del
procedimento per il rilascio del permesso di costruire, rispetto ad altri procedimenti
gestiti dal Suap, con riferimento, ad esempio, alle attività economiche in generale, quali
percentuali di incidenza abbiano avuto questi problemi62.
61 Sinora, sono state svolte le seguenti interviste: Cons. Silvia Paparo – Ufficio per la
semplificazione amministrativa; Dott.ssa Isabella Salza - Ufficio per la semplificazione amministrativa 62 Il questionario potrebbe avere la seguente struttura:
146
In terzo luogo, una specifica serie di interrogativi riguarda una delle
problematiche più frequentemente riscontrate nell’ambito della gestione della
conferenza di servizi63: ci si chiede in quanti casi le amministrazioni non si siano
presentate, quali amministrazioni siano solitamente, o siano state, più restie a
presentarsi, quali siano le motivazioni alla base della ritrosia e quali ragioni abbiano
addotto le amministrazioni in caso di assenza alla conferenza. Infine, da ultimo ci si
chiede in che modo le problematiche riscontrate in sede di conferenza hanno inciso
sull’iter procedimentale. Ad alcuni di questi interrogativi, come si è scritto, si è cercato
di fornire prime risposte attraverso un’indagine campionaria, svolta procedendo, nelle
more dell’indagine attraverso somministrazione di questionari, con una ricerca sui
verbali delle conferenze disponibili su internet.
Nel corso della ricerca si è già tentato di seguire una simile strada, per verificare
la consistenza delle considerazioni cui si è giunti in questo contributo. Gli esiti, tuttavia,
sono stati insoddisfacenti. Ai primi tentativi svolti nel corso del periodo di ricerca,
infatti, non hanno fatto seguito risultati concreti: ciò deriva, in alcuni casi, dal fatto che
non sia stato possibile reperire numeri telefonici sui siti web dei Suap, in altri, al fatto
che non si sia riuscito a stabilire un contatto telefonico chiamando i numeri disponibili,
o per mancata risposta, ovvero in quanto l’utenza risultava occupata.
PROPOSTA DI QUESTIONARIO Conferenza Per quali ragioni principalmente è stata convocata la conferenza dei servizi? Con quale
frequenza? Quante conferenze? Quale l’incidenza percentuale rispetto ai procedimenti complessivamente gestiti? Conferenza preliminare Quale frequenza? Quali problemi? Quali problemi avete riscontrato nella gestione della
conferenza di servizi in generale? Come si sono modificati questi problemi nel corso del tempo? Gli interventi del legislatore hanno facilitato il superamento delle problematiche? Quali? Quali problemi sono emersi nella gestione della conferenza di servizi nell’ambito del
procedimento per il rilascio del permesso di costruire? E con riferimento alle attività economiche in generale?
Quali percentuali di incidenza hanno avuto questi problemi? In quanti casi le amministrazioni non si sono presentate? Quali amministrazioni sono più restie
a presentarsi? Potete individuare motivazioni alla ritrosia? Quali ragioni hanno addotto le amministrazioni in caso di assenza alla conferenza?
In che modo le problematiche riscontrate in sede di conferenza hanno inciso sull’iter procedimentale?
In quanti casi si è fatto ricorso all’intervento della Presidenza del Consiglio e agli altri meccanismi?
63 Una ricerca in tal senso è stata svolta da L. Bobbio, D. Barella e M. Sartoni, La Conferenza di
servizi: analisi empirica ed esperienze a confronto, 2009. Al riguardo, si v. anche, sebbene più datata, Semplificazione e trasparenza. Lo stato di attuazione della Legge n. 241 del 1990, Napoli, 2005.
147
I tentativi svolti, per un verso, confermano la necessità di disporre di dati
comparabili, e, per l’altro, sono indicativi di una cultura amministrativa e di un
atteggiamento delle pubbliche amministrazioni che, al di là delle disposizioni in materia
di trasparenza e partecipazione, tuttavia, non contemplano ordinariamente la possibilità
di fornire dati sulla propria attività.
Né di maggiore utilità sono state le informazioni pubblicate sul web, dal
momento che raramente esse presentano i caratteri della completezza tanto da
consentire una tracciabilità dei dati relativi ai procedimenti soprattutto all’utente
esterno, non direttamente coinvolto.
Potrebbero risultare maggiormente utili, in quest’ottica, le informazioni
pubblicate sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per il
coordinamento amministrativo (Dica), relativamente alla remissione alla delibera del
Consiglio dei Ministri ex art.14-quater, comma 3, legge n.241/1990 64. I dati ivi
disponibili, tuttavia, oltre a riguardare solo l’arco temporale degli anni 2012 e 2013,
ancora una volta, non possono essere valutati pienamente, in mancanza di informazioni
relativamente agli esiti complessivi delle conferenze.
7. Considerazioni di sintesi
Il funzionamento della conferenza di servizi ha richiesto un inevitabile anche se,
come è stato rilevato, fisiologico aumento della complessità. Gli effetti
dell’applicazione della legge n. 241/1990 devono quindi essere valutati alla luce della
condotta delle amministrazioni e dei giudici, chiedendosi se le reazioni alla l. n.
241/1990 abbiano determinato un maggiore o minore formalismo. Si è anche posto in
dubbio il fatto che i risultati siano dovuti alla non corretta applicazione della disciplina
ovvero a lacune normative.
Dall’analisi che si è svolta si presume che delle due ipotesi, la prima sia quella
più probabile. I risultati della ricerca fanno emergere il dato relativo alla difficoltà di
decidere: in presenza di interessi profondamente differenti, e a fronte dell’attività
dell’amministrazione procedente, le altre amministrazioni reagiscono secondo propri
tempi, quando non anche agiscono con ritardo o restano inerti.
64 Si v, il seguente indirizzo url: http://www.governo.it/Presidenza/DICA/art_14_quater_legge_241_1990/presentazione.html
148
Un ulteriore profilo di cui occorre tenere conto in sede di valutazioni, infatti, è
quanto lo strumento della conferenza si sia trasformato in funzione di limitazione della
discrezionalità. Al riguardo, si può anche discutere, entrando nel merito delle soluzioni
sinora adottate, con particolare riferimento ai meccanismi di semplificazione che
possono operare all’interno della conferenza, della coerenza delle scelte sui meccanismi
di risoluzione dei conflitti, che, animati dalla necessità di comporre i diversi interessi
giungendo comunque ad una determinazione, finiscono per chiedere una rivisitazione
dei tradizionali meccanismi decisionali rimessi in ultima istanza alle conferenza
intergovernative, andando ad incidere sui confini tra politica e amministrazione nonché
sul rispetto delle autonomie territoriali, e provocando quindi una prevaricazione delle
sedi politiche e centrali di decisione, rispetto a determinazioni che dovrebbero aver
luogo nelle sedi amministrative, con conseguenze, non da ultimo, sulla prevalenza delle
esigenze di semplificazione rispetto a quelle relative alla migliore determinazione in
ordine agli interessi coinvolti65.
In considerazione di ciò, c’è da chiedersi se gli aspetti sui quali potrebbe
risultare nuovamente opportuno l’intervento del legislatore, possano essere ancora oggi
quelli volti a chiarire i meccanismi di superamento del dissenso, a disciplinare il
superamento delle assenso e delle ritrosie amministrative, facendo in modo che la
conferenza risulti effettivamente un luogo di efficace rappresentazione degli interessi e
di loro effettiva composizione (soprattutto in relazione alla configurazione decisoria
dell’istituto)66.
A fronte di ciò, restano ancora alcune riflessioni sull’opportunità di ulteriori
interventi. Se la complicazione in sede normativa è necessaria ad una semplificazione
amministrativa, occorre, però, comprendere fino a che punto possa - e debba - spingersi
il legislatore nella disciplina dei dettagli, per evitare che le misura adottate siano
piuttosto produttrici di nuove complicazioni (sia normative - il che forse non sarebbe un
male di per sé - ma anche amministrative) e fino a che punto abbia ancora un senso che
65 Ne riferisce criticamente, da ultimo F. Cortese, Il coordinamento amministrativo. Dinamiche e
interpretazioni, Milano, 2012, in particolare p. 55. 66 Nel rapido report a cura dell’ufficio legislativo della regione Puglia, tali tendenze risultano
confermate: si v. Evoluzione e realtà della conferenza di servizi, (a cura del Servizio Legislativo della Giunta della Regione Puglia). In tema si v. anche, Semplificazione - La riforma della conferenza di servizi e la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), pubblicata sul sito di Confindustria Roma, in data 13 giugno 2011.
149
questo avvenga, non tanto in ambito statale67, ma in sede di approvazione della
normativa di carattere generale.
Ciò che appare sicuramente indifferibile, ai fini di ogni eventuale ulteriore
provvedimento legislativo, invece, è un intervento volto alla valutazione del
funzionamento reale delle conferenze, nonché alla misurazione degli aspetti
problematici e della loro incidenza sul corrente andamento dell’attività amministrativa.
67 Per una discussione su questo profilo, si v. comunque, M. Santini, Conferenza di servizi e
Titolo V della parte seconda della costituzione; analisi e prospettive, in www.federalismi.it, 27 maggio 2004.
150
LA CERTEZZA DEI TEMPI PROCEDIMENTALI
di Susanna Screpanti
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Il principio di certezza dei tempi procedimentali e i principi generali dell’azione amministrativa. – 2.1. Il fattore tempo nella legge generale sul procedimento e l’ambito di applicazione. – 2.2. L’art. 2 dopo venti anni dalla legge n. 241/1990. – 3. L’attuazione della disciplina generale e la prassi amministrativa sui tempi procedimentali. – 3.1. Il primo ciclo di attuazione amministrativa: dal 1990 al 2009. – 3.2. Il nuovo ciclo di attuazione: dal 2009 ad oggi. – 3.2.1. I nuovi regolamenti ministeriali. – 3.2.2. L’attuazione nelle Regioni. – 3.2.3. L’attuazione negli Enti locali. 4. Il fattore tempo come indicatore di trasparenza, qualità e performance della pubblica amministrazione. – 4.1. Il tempo dei procedimenti come indicatore di trasparenza dell’azione amministrativa. 4.2. I tempi di erogazione dei servizi come indicatore e standard di qualità. - 4.3. Il rispetto e la riduzione dei tempi: obiettivo strategico e indicatore di performance amministrativa. - 5. Il problema dei ritardi e le misure per la tempestività dei pagamenti della pubblica amministrazione. – 5.1. L’indicatore di tempestività e l’obbligo informativo sui pagamenti della pubblica amministrazione. - 6. Innovazione tecnologica, amministrazione digitale e impatto sui tempi di procedimenti e servizi. 7. I profili patologici e il sistema di rimedi, responsabilità e sanzioni. – 8. Considerazioni conclusive.
1. Introduzione
La previsione di termini certi per la conclusione dei procedimenti amministrativi o
per l’erogazione di servizi pubblici, l’effettivo rispetto degli stessi, la progressiva
riduzione, laddove possibile, dei tempi procedimentali e, infine, la pubblicazione e il
monitoraggio dei dati sulla tempistica procedurale costituiscono azioni fondamentali per
garantire la certezza, l’effettività, l’efficacia e la trasparenza dell’azione amministrativa
nonché la tutela delle correlate situazioni giuridiche di cittadini, imprese e investitori, i
quali spesso si confrontano con tempi burocratici lunghi e incerti nei settori di
competenza delle amministrazioni pubbliche più disparate.
Dopo una breve analisi dei principi e dei contenuti essenziali della disciplina
generale e delle relative riforme, il contributo mira ad analizzare lo stato di attuazione
dell’art. 2 della l. n. 241/1990, al fine di verificare il grado di certezza e, laddove
possibile di effettività, dei termini e dei tempi procedurali previsti sia a livello centrale,
con focus sui Ministeri, sia a livello regionale e locale, partendo dai regolamenti
attuativi, laddove adottati, e dai dati empirici raccolti in precedenti e/o recenti ricerche o
disponibili nei siti web istituzionali delle amministrazioni pubbliche.
L’analisi sui tempi procedimentali è poi svolta in connessione con un set di
norme, contenute in leggi diverse dalla l. n. 241/1990, ma ad essa complementari, in cui
151
il fattore tempo dei procedimenti amministrativi risulta rilevante e funzionale per
l’attuazione concreta di alcuni principi generali dell’azione amministrativa, quali la
semplificazione, la trasparenza e l’efficienza della pubblica amministrazione. In questa
prospettiva, il contributo analizza gli obblighi della pubblica amministrazione di
pubblicare, principalmente online, e monitorare dati, documenti e informazioni sui
tempi procedimentali, sui tempi medi di erogazione dei servizi pubblici, sui tempi medi
di pagamento dei debiti verso i privati.
L’attuazione corretta di tali obblighi può costituire peraltro un’occasione che le
pubbliche amministrazioni non dovrebbero perdere per meglio garantire tempi certi ai
cittadini e alle imprese, conoscere meglio le disfunzioni procedurali interne e ragionare
in modo strategico sui tempi effettivi della propria azione, soprattutto al fine di ridurre i
tempi burocratici troppo lunghi, determinare e far circolare best practices e standard di
qualità, nonché valutare la performance organizzativa e individuale. In tale contesto, la
certezza dei tempi viene analizzata per la valenza specifica che assume quale indicatore
di trasparenza, qualità e performance amministrativa.
Il problema dei ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione verso i
fornitori privati costituisce un esempio pratico, rappresentativo del significativo impatto
sociale ed economico che l’incertezza dei tempi procedimentali ha per l’economia e la
società civile, ed è stato, dunque, selezionato come specifico campo d’indagine. In
particolare, dopo aver esaminato il contesto italiano e le misure recentemente adottate
per rimediare all’incertezza e alla lentezza dei pagamenti delle pubbliche
amministrazioni, che contribuiscono a creare debito pubblico e a frenare la ripresa del
Paese, si analizza la portata e lo stato di attuazione dell’indicatore di tempestività e
dell’obbligo informativo sui tempi medi di pagamento nelle transazioni commerciali.
Molti altri sarebbero i campi di indagine in cui la certezza dei tempi
procedimentali gioca un ruolo importante non solo per la garanzia dei cittadini e delle
imprese, ma anche per lo sviluppo e la crescita del Paese. Si pensi al settore delle opere
pubbliche, in cui l’incertezza e la lunghezza dei tempi di finanziamento, progettazione,
approvazione e realizzazione, ad esempio delle infrastrutture strategiche, bloccano la
152
crescita del Paese sia in termini economici, sia di coesione territoriale e sociale e
disincentivano gli investimenti privati, nazionali ed internazionali1.
Infine, dopo l’esame dell’impatto delle nuove tecnologie dell’informazione e delle
comunicazioni (TIC) sull’azione amministrativa e, in particolare, sulla tempistica
procedurale, la ricerca si conclude con l’analisi del sistema di rimedi, responsabilità e
sanzioni attualmente previsto per garantire e tutelare i privati di fronte ai comportamenti
patologici – ritardo e inerzia – della pubblica amministrazione e per incentivare
quest’ultima a dare effettività al processo di attuazione dell’art. 2 della legge sul
procedimento amministrativo.
2. Il principio di certezza dei tempi procedimentali e i principi generali
dell’azione amministrativa
Grazie all’art. 2 della l. n. 241/1990, la certezza dei tempi dei procedimenti
amministrativi e delle prestazioni pubbliche ha assunto la dignità di un vero e proprio
principio generale dell’azione amministrativa, funzionale a garantire la prevedibilità dei
termini dell’attività delle pubbliche amministrazioni e la stabilità delle situazioni
giuridiche soggettive di cittadini, imprese e investitori che però, nella pratica, si trovano
spesso a confrontarsi con tempi burocratici incerti e lunghi.
La garanzia di termini e tempi procedurali certi costituisce, inoltre, una
condizione necessaria per l’attuazione concreta di ulteriori principi generali di matrice
nazionale, anche di rango costituzionale, quale il principio del buon andamento:
un’azione amministrativa tempestiva può contribuire, infatti, non solo alla garanzia
delle situazioni giuridiche dei privati, ma anche all’efficacia, all’efficienza e
all’economicità dell’organizzazione amministrativa stessa.
La garanzia e l’attuazione del principio di certezza dei termini e dei tempi
procedurali non può prescindere peraltro dal principio di matrice europea di
ragionevolezza dell’attività amministrativa, in particolare nelle declinazioni della
ragionevolezza del termine e della ragionevole durata del procedimento.
La certezza dei tempi dei procedimenti amministrativi e di erogazione dei servizi
pubblici è, inoltre, sempre più strettamente connessa a vere e proprie politiche
1 La complessità e l’articolazione della questione della tempistica procedurale relativa alle opere pubbliche suggerisce una trattazione a parte e un approfondimento specifico per ciascuna fase (progettazione, approvazione, finanziamento, realizzazione) che esula, dunque, da questo contributo.
153
legislative e amministrative, improntate a garantire la pubblicità, la trasparenza e la
semplificazione amministrativa.
Nell’ottica di garantire la massima pubblicità e trasparenza dell’azione
amministrativa, il legislatore ha previsto, specialmente dopo il 2009, diverse misure che
hanno imposto alle pubbliche amministrazioni obblighi di pubblicazione di dati,
informazioni e documenti sui termini e i tempi medi di conclusione dei procedimenti e
di erogazione dei servizi o i dati sui tempi di pagamento delle transazioni commerciali
(v. § 4 e 5).
La questione dei tempi procedimentali è peraltro legata da un relazione biunivoca
con il principio di semplificazione amministrativa. Se da una parte, il taglio o la
riduzione progressiva dei termini e dei tempi procedurali costituisce una misura di
semplificazione dell’azione amministrativa (come testimoniato dalla ratio espressa dal
legislatore), dall’altra, l’adozione di apposite e ulteriori misure di semplificazione (si
pensi al Suap o alla Scia) contribuisce a snellire l’attività amministrativa, riducendone i
tempi.
2.1. Il fattore tempo nella legge generale sul procedimento e l’ambito di
applicazione
Prima del 1990, l’amministrazione pubblica godeva di piena discrezionalità nell’
an e nel quando del potere amministrativo e le norme che fissavano la durata del
procedimento avevano essenzialmente un carattere eccezionale e settoriale. In questo
contesto, l’attenzione della dottrina e della giurisprudenza era concentrata non tanto sul
rispetto dei tempi dell’azione amministrativa, quanto sull’incidenza del termine
sull’efficacia dell’atto, nonché sulle conseguenze dell’inerzia da parte della pubblica
amministrazione, che doveva provvedere solo se diffidata.
Con la l. n. 241/1990 si ha una svolta epocale nei rapporti tra amministrazione
pubblica e cittadino: si stabilisce una disciplina generale ed organica del procedimento
amministrativo che fa venir meno la discrezionalità amministrativa nell’ an e nel
quando dell’azione amministrativa e impone la previsione di termini certi per la
conclusione dei procedimenti amministrativi2.
2 S. Cassese, La disciplina legislativa del procedimento amministrativo. Una analisi comparata,
in Il Foro italiano, 1993; M. Clarich, Termine del procedimento e potere amministrativo, Torino, 1995;
154
Oltre ai termini massimi di conclusione dei procedimenti amministrativi,
disciplinati nell’art. 2, il fattore tempo rileva nella disciplina generale per la scansione
temporale delle fasi procedurali di alcuni istituti (ad es: preavviso di rigetto e
conferenza dei servizi) o per alcune specifiche attività, quali l’attività consultiva (art.
16) o anche per la disciplina delle conseguenze del ritardo dell’amministrazione nella
conclusione del procedimento (art. 2 bis).
Infine, la legge 241 si occupa dei tempi procedimentali nell’art. 29, in cui si
disciplina l’ambito di applicazione e, in particolare, il rapporto tra legge generale sul
procedimento, leggi regionali e potestà regolamentare degli Enti locali. Le Regioni e gli
Enti locali, in base ai propri ordinamenti, possono infatti fissare termini di conclusione
dei procedimenti differenti rispetto a quelli previsti nella disciplina generale statale.
Tuttavia, l’articolo 10 della legge n. 69 del 2009, modificando l’articolo 29 della n. 241
del 1990, ha aggiunto il comma 2 bis, in cui si stabilisce che gli obblighi per la pubblica
amministrazione di concludere il procedimento entro il termine prefissato attengono ai
livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m),
della Costituzione.
Le amministrazioni regionali e locali devono, dunque, adeguarsi alla normativa
generale statale per quanto riguarda la definizione e la riduzione dei tempi dei
procedimenti e, pur potendo prevedere termini diversi e maggiormente favorevoli per
imprese e cittadini, devono:
→ emanare regolamenti che fissino termini certi di conclusione di
procedimenti, la cui inosservanza diviene elemento di valutazione dei
dirigenti e obbligo per le pubbliche amministrazioni di risarcire il danno
ingiusto cagionato al cittadino;
→ informare gli utenti sui tempi e i responsabili dei procedimenti;
B.G. Mattarella, Pubblica amministrazione: i termini stanno per scadere, nelMerito.com, 11 giugno 2010; A. Sandulli, Il procedimento amministrativo, in S. Cassese, Trattato di diritto amministrativo, vo. II, Milano, 2003; Id. Il procedimento amministrativo e la teoria del Big Rip, in Giornale di diritto amministrativo 11/2009; L. Torchia, L’amministrazione italiana (ri)entra nello spazio-tempo: le regole sul termine e sul responsabile del procedimento, in Reg. gov. Loc., 1992, 345 ss. B. Carotti, La riduzione dei termini procedimentali, ASTRID, 2010; F. Merusi, La certezza dell'azione amministrativa tra tempo e spazio, in Tempo, spazio e certezza dell'azione amministrativa, Atti del XLVIII Convegno di studi di scienza dell'amministrazione, Milano, Giuffré, 2003, 23; M. Lipari, I tempi del procedimento amministrativo: certezza dei rapporti, interesse pubblico e tutela del cittadino, in Dir. Amm., 2003, 291-385. R. Greco, La riforma della legge 241/1990: in particolare le novità sui termini di conclusione del procedimento e la nuova disciplina della conferenza di servizi, in Giust. Amm. 2009.
155
→ progettare ed implementare soluzioni innovative orientate alla
semplificazione dell’iter procedimentale e alla riduzione dei tempi dei
procedimenti.
La legge n. 241/1990 costituisce, dunque, una normativa di principio e di
orientamento per l’azione amministrativa di tutte le amministrazioni pubbliche, sebbene
spesso vi siano eccezioni e alcuni termini procedimentali siano disciplinati in specifiche
leggi settoriali, ad esempio sui procedimenti tributari e in materia di giochi pubblici.
Una disciplina speciale riguarda peraltro tutti i procedimenti di verifica o
autorizzativi concernenti i beni storici, architettonici, culturali, archeologici, artistici e
paesaggistici (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) e quelli in materia ambientale. Tali ipotesi
eccezionali non consentono comunque di poter parlare di una vera e propria fuga dalla
legge n. 241/1990 che rimane dunque la normativa di riferimento dei procedimenti
amministrativi, in tema di tempistica procedurale e di certezza temporale dell’azione
amministrativa.
2.2. L’art. 2 dopo venti anni dalla legge n. 241/1990
L’art. 2 costituisce il cardine della disciplina sui tempi procedimentali, sotto il
profilo dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi delle amministrazioni
nazionali, regionali e locali. Sebbene dal 1990 ad oggi, l’art. 2 sia stato interessato da
numerose riforme che, per aggiunte successive, si sono stratificate nel tempo, i capisaldi
della disciplina sono rimasti immutati e orientati alla garanzia della certezza dei tempi:
-‐ obbligo di conclusione del procedimento con un provvedimento espresso;
-‐ predeterminazione della durata massima dei singoli procedimenti in specifiche
previsioni normative o regolamentari (ad oggi, termini non superiori a 90 giorni o a 180
giorni in casi eccezionali e motivati);
-‐ previsione di un termine residuale (ad oggi, pari a 30 giorni);
-‐ pubblicità delle determinazioni adottate;
-‐ rimedi e sanzioni in caso di comportamenti patologici della pubblica
amministrazione.
Le riforme alla versione originaria dell’art. 2, concentrate principalmente in tre
anni di snodo (2005, 2009 e 2012), hanno introdotto diverse novità, giustificate da una
156
generale ratio di semplificazione amministrativa, come indicato dallo stesso legislatore
secondo il seguente schema3.
Riforme Ratio Principali novità
Legge n. 15/2005 Modifiche ed integrazioni alla L. 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa + Legge n. 80/2005 Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali
Semplificazione amministrativa
1) Il ricorso avverso il silenzio può essere proposto anche senza necessità di diffida all'amministrazione inadempiente fin tanto che perdura l'inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini. 2) È fatta salva la ri-proponibilità dell'istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti.
Legge n. 69/2009 Disposizioni per lo sviluppo economico,la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile.
Certezza dei tempi di conclusione del procedimento
1) Abbreviazione del termine residuale a trenta giorni. 2) Adozione dei regolamenti attuativi con DPCM. 3) Riduzione dei tempi procedimentali (non superiori a 90 giorni). 4) Termini non superiori a 180 giorni solo in casi eccezionali e motivati. 5) Previsione espressa
3 È opportuno ricordare il d. l. n. 163/1995 con cui non si modifica l’art. 2, ma lo si integra,
perché la versione originaria dell’art. 2 trascurava il profilo patologico.
157
della risarcibilità del danno da mero ritardo. 6) Ritardo come fonte di responsabilità dirigenziale
D.L. n. 5/2012 conv. in legge n. 35 /2012 Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo.
Semplificazione amministrativa
1) Trasmissione alla Corte dei conti delle sentenze di condanna passate in giudicato che accolgono il ricorso avverso il silenzio. 2) Previsione di poteri sostitutivi in caso di inerzia. 3) La mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.
La buona riuscita della disciplina sui tempi, sotto il profilo della certezza e
riduzione della tempistica procedurale, non si misura tanto sulle novità introdotte
progressivamente dalle differenti riforme legislative, quanto sull’effettività del processo
di attuazione concretamente posto in essere dalle singole amministrazioni pubbliche,
nonché sulla soddisfazione o percezione dei cittadini, imprese e investitori in relazione
alla tempestività dell’azione amministrativa e conseguente certezza delle proprie
situazioni giuridiche soggettive. In tale prospettiva, è rilevante e interessante indagare i
caratteri del processo attuativo dell’art. 2 al fine di verificarne luci e ombre.
3. L’attuazione della disciplina generale e la prassi amministrativa sui
tempi procedimentali
L’analisi dell’attuazione dell’art. 2 della l. n. 241/1990 e della relativa prassi
amministrativa è affrontata nei seguenti paragrafi seguendo un metodo principalmente
158
cronologico, con una periodizzazione bifasica: dal 1990 al 2009 e dal 2009 ad oggi4,
considerando l’adozione della legge n. 69/2009 quale punto di svolta rispetto
all’originaria versione dell’art. 2, sia per i contenuti innovativi, sia per la spinta
propulsiva ad un nuovo processo attuativo.
Nel primo periodo si esamina, in particolare, un ventennio di applicazione della
disciplina generale sui tempi e i termini procedimentali, confrontando i risultati delle
amministrazioni centrali, regionali e locali e dedicando un’attenzione specifica allo
snodo della riforma legislativa del 2005.
Nel secondo periodo, che va dall’entrata in vigore della legge n. 69 sino ad oggi,
si esamina l’inizio di un nuovo ciclo di attuazione amministrativa che sta impegnando
tuttora le amministrazioni centrali, regionali e locali, in stretto collegamento, peraltro,
con innovative politiche e misure di semplificazione amministrativa, previste, da ultimo,
nel d. l. n. 5/20125.
3.1. Il primo ciclo di attuazione amministrativa: dal 1990 al 2009
L’adozione dell’art. 2 della legge n. 241 ha determinato, sin dal 1990, un
importante effetto di certezza sui tempi dei procedimenti, obbligando le singole
amministrazioni a stabilire termini certi di conclusione dei rispettivi procedimenti e
prevedendo ex lege un termine residuale di trenta giorni (poi novanta e oggi di nuovo
trenta)6.
La garanzia effettiva della certezza dei termini di conclusione dei procedimenti, e
quindi della loro durata complessiva, è rimessa ai regolamenti attuativi dell’art. 27, la
cui adozione ha impegnato le pubbliche amministrazioni centrali, regionali e locali
4 I dati analizzati nel paragrafo 3 e ss. sono tratti sia dai siti istituzionali delle amministrazioni
pubbliche, sia da precedenti ricerche che hanno riguardato in via diretta o indiretta il tema dei tempi procedimentali. Si ringrazia, inoltre, la dott.ssa Carmen Iuvone per il cortese interessamento alla ricerca e per la preziosa discussione relativa all’attuazione della legge sul procedimento in ambito regionale e locale.
5 Su cui si v. M. Clarich, Il Decreto“Semplifica Italia”, in Giornale diritto amministrativo, 2012, 7, 691; R. Goso, Il decreto legge semplificazioni - nuove regole in tema di conclusione del procedimento amministrativo, in Urbanistica e appalti, 2012, 6, 645.
6 La scelta di prevedere un unico termine finale per ogni procedimento, piuttosto che una pluralità di termini per ciascuna fase procedurale, costituisce una misura di semplificazione amministrativa che vale peraltro anche per i procedimenti complessi in cui intervengono più amministrazioni che devono concludere o partecipare a intese, accordi e conferenze di servizi.
7 Per espressa indicazione del Consiglio di Stato (parere 22 novembre 1991), i regolamenti attuativi andavano adottati in base alla procedura di cui all’art. 17 l. n. 400, per garantire omogeneità e pubblicità in relazione alle situazioni giuridiche soggettive private.
159
soprattutto nei cinque anni successivi all’entrata in vigore della legge 241 8 . In
particolare, le pubbliche amministrazioni sono state chiamate a svolgere un significativo
lavoro preparatorio di censimento dei procedimenti di rispettiva competenza e di
determinazione di termini diversi a seconda delle specifiche esigenze organizzative e
funzionali interne.
I primi risultati positivi sul piano attuativo sono stati realizzati nei primi anni dalle
amministrazioni centrali ministeriali, anche grazie al significativo ruolo di impulso,
assistenza, coordinamento e controllo da parte del Consiglio di Stato 9 e del
Dipartimento della funzione pubblica (DFP), in particolare, della Commissione di
studio per l’attuazione della legge 241 (1991 – 1992), istituita presso lo stesso
Dipartimento, sotto la Presidenza di Sabino Cassese10.
Il processo di attuazione nelle Regioni e nelle amministrazioni locali è risultato,
invece, piuttosto arretrato o perché il contenuto risultava appiattito sulla disciplina
statale, o a causa dei numerosi casi di sospensione, deroga e innalzamento fino a sei
volte del termine di conclusione del procedimento rispetto alla disciplina generale.
8 Per un’analisi sul primo ciclo di attuazione dell’art. 2 l. n. 241/1990 si v. Relazione al
Parlamento del Ministro per la funzione pubblica sull’attuazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, in Atti parlamentari, X legislatura, Doc. XXVII, n. 7, 1991; Relazione conclusiva sull'attività della Commissione di studio per l'attuazione della legge sul procedimento amministrativo e sull’accesso ai documenti amministrativi (l. n. 241/1990) in Foro it., 1992, III, 138; E. Cardi, Il procedimento amministrativo, in Enciclopedia giuridica, XXIV, 1995; Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento funzione pubblica, La semplificazione dei procedimenti amministrativi: proposte e realizzazioni, 1993; Id., I Procedimenti amministrativi statali, 1994; Id., L’attuazione della legge 7 agosto 1990 e la semplificazione dei procedimenti amministrativi, Roma, 1994; Id., Semplificazione e trasparenza. Lo stato di attuazione della l. n. 241/1990, 2005; ISTAT, Statistiche delle amministrazioni pubbliche, 2003; Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministro per le Riforme e le Innovazioni nella Pubblica Amministrazione, Misure di semplificazione nel rapporto tra cittadini, PA e imprese, 2006; Presidenza del consiglio dei ministri, Piano di azione per la semplificazione e la qualità della regolazione, dicembre, 2007; F. Patroni Griffi, La l. 7 agosto 1990, n. 241 a due anni dall’entrata in vigore. Termini e responsabile del procedimento; partecipazione procedimentale, in Foro it., 1993, III, 65; S. Cassese, Passato, presente e futuro della legge sul procedimento amministrativo, in Nuova rass., 1994, 2397; G. Vesperini, L’attuazione della legge sul procedimento amministrativo, in Giornale di diritto amministrativo, 1995, 2, 251; T. Di Nitto, A. Sandulli, a cura di, I procedimenti amministrativi: un bilancio quantitativo e qualitativo, Note e commenti sul sistema amministrativo italiano 2003-2004, vol. 1: Rapporti settoriali, Formez, 2004; L. Torchia, a cura di, Il sistema amministrativo italiano, Il Mulino, 2009.
9 Cons. St. Adunanza Plenaria, parere 23 gennaio 1992 n. 10. 10 Su iniziativa dello stesso Cassese, in veste di Ministro per la funzione pubblica, è stata adottata
la legge 24 dicembre 1993, n. 537 in cui si prevedono (art. 2) specifiche disposizioni per la semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti amministrativi quali, ad esempio, la riduzione dei termini di conclusione dei procedimenti, compresi quelli che coinvolgono più amministrazioni e l’uniformazione dei tempi di conclusione dei procedimenti dello stesso tipo, che si svolgono presso diverse amministrazioni, ovvero presso diversi uffici della medesima amministrazione.
160
Sebbene l’adozione dei regolamenti sulla fissazione dei termini procedurali risulti
in diversi studi (ad esempio Istat, 2003) quale esempio di pronta applicazione della
legge n. 241/1990 - insieme all’individuazione del responsabile del procedimento
amministrativo e all’adozione dei regolamenti sul diritto di accesso - nel complesso, il
processo è stato graduale, con un’accelerazione da metà degli anni Novanta, e anche
piuttosto disomogeneo e frammentato a livello territoriale, sia in senso soggettivo
(amministrazioni centrali e locali), sia in senso geografico (Nord, Centro e Sud).
Lo sfasamento temporale tra l’adozione dell’art. 2 (nel 1990) e la sua attuazione
concreta (soprattutto a partire dal 1994) può essere in parte imputabile alla rigidità
dell’organizzazione amministrativa di fronte alla nuova disciplina del procedimento e
alla concezione che si aveva del termine procedimentale nei primi anni Novanta11. Si
riteneva, infatti, che il termine avesse una valenza prettamente interna, rilevante solo per
l’organizzazione dell’attività amministrativa, tanto che i termini potevano essere fissati
dalle amministrazioni con semplici atti amministrativi generali e persino con circolari
interne12. Nei pochi casi di adozione dei regolamenti attuativi dell’art. 2, i termini
previsti risultavano peraltro piuttosto lunghi, benché adeguati alla realtà normativa e
applicativa dell’epoca.
L’adozione dei regolamenti attuativi ha conosciuto una forte accelerazione nel
periodo compreso tra il 1994 e il 1998 per poi gradualmente rallentare nel periodo
compreso tra il 1999 e il 2004. Una tale dinamica è riconducibile al progressivo
processo di adeguamento organizzativo alle regole della legge sul procedimento
amministrativo, peraltro agevolato dal ricorso sempre più pregnante a nuovi strumenti
informatici, che hanno comportato un cambiamento migliorativo della tempistica
procedurale, e dalle successive leggi finanziarie che chiedevano alla PA una riduzione
della spesa pubblica recuperando efficienza e trasparenza nell’azione amministrativa,
soprattutto.
11 La Commissione appositamente costituita con D.P.C.M. del 14 febbraio 1991 presso il
Dipartimento della Funzione Pubblica ha messo in evidenza le notevoli difficoltà nell’attuazione della legge n. 241 nei primi anni Novanta.
12 Alla circolare del Ministro della Funzione Pubblica dell’8 gennaio 1991, n. 60397-7/463 si contrappone nello stesso anno il parere del Consiglio di Stato, Adunanza plenaria 21 novembre 1991, n. 141, in base al quale la fissazione dei termini da parte delle amministrazioni è esercizio di una potestà normativa di natura generale e astratta, prevista da una norma di principio dell’ordinamento e deve quindi estrinsecarsi nelle forme garantite della normazione erga omnes. Da allora, di conseguenza, i termini dovevano essere fissati dalle amministrazioni con veri e propri regolamenti a norma della l. n. 400/88, con validità esterna e generale.
161
Nel complesso, alla fine del 2004, si osserva che su un totale di 1.035
amministrazioni osservate, il 69,4 per cento delle amministrazioni pubbliche, centrali e
locali, ha adottato il regolamento sulla fissazione dei termini, per un totale, quindi, di
718 amministrazioni adempienti.
Sono soprattutto le amministrazioni locali a risultare adempienti (71,4%), mentre
il 55,8% delle amministrazioni centrali risulta inadempiente in relazione all’emanazione
del regolamento attuativo, in controtendenza rispetto ai risultati positivi dei primissimi
anni di attuazione.
In base alla ripartizione geografica di appartenenza dell’amministrazione
pubblica, risulta che nel complesso le amministrazioni inadempienti sono relativamente
più frequenti nelle aree del Mezzogiorno (39,4 per cento) e del Centro (37,8 per cento),
mentre i 4/5 di quelle localizzate nelle Regioni settentrionali hanno dichiarato di aver
adempiuto all’adozione di questo istituto. Le amministrazioni del Nord sono state
relativamente più celeri nell’attuazione all’art. 2 poiché si sono attivate nel periodo
1993-1997 (36,1%), mentre le amministrazioni del Centro e del Mezzogiorno si sono
mosse soprattutto nel quadriennio successivo. Inoltre, è stato rilevato che, nello stesso
periodo di maggior attivismo delle zone centrali e meridionali, la quota di
amministrazioni localizzate nelle Regioni settentrionali che hanno attuato la norma sulla
fissazione dei termini è comunque superiore (32,5 per cento).
TAB. 1. Riepilogo adozione del regolamento sulla fissazione dei termini per anno di emanazione, per sotto-settore istituzionale e ripartizione geografica (valori percentuali)
Fonte: ISTAT (2003)
162
Il 34% delle amministrazioni che ha adottato il regolamento attuativo sulla
fissazione dei termini (244), ha provveduto anche all’aggiornamento dello stesso,
soprattutto a partire dal 1997-1998, con il culmine nel periodo 2001-2004. In senso
contrario al trend riscontrato nell’adozione dei regolamenti attuativi, le amministrazioni
centrali sono risultate le più attive nell’opera di aggiornamento dei regolamenti (47,1%),
rispetto alle amministrazioni locali (33,3%).
Infine, incrociando i dati sull’aggiornamento del regolamento e la ripartizione
geografica di appartenenza dell’amministrazione, si osserva che anche in questo caso le
amministrazioni del Nord si sono mosse più frequentemente (15,8 per cento) nel
periodo compreso tra il 1997 e il 2000, mentre quelle localizzate nelle Regioni centrali
si sono mosse più tardi, ma più massicciamente (28,8 per cento nel periodo 2001-2004).
Le amministrazioni del Mezzogiorno seguono gli stessi andamenti dei quelle del
Centro, ma in proporzioni più contenute.
TAB. 2. Riepilogo aggiornamento del regolamento sulla fissazione dei termini, per anno, per sotto-settore istituzionale e ripartizione geografica (valori percentuali)
Fonte: ISTAT (2003)
Per lo stesso periodo sinora considerato (1990-2004), non ci sono dati specifici o
aggregati sulla durata effettiva di procedimenti o sulla consistenza delle violazioni dei
termini stabiliti dalla norma o dai regolamenti, ma alcuni dati significativi e di sintesi
sulla durata e i tempi medi dei procedimenti amministrativi sono stati raccolti ed
elaborati in una ricerca sul sistema amministrativo italiano, con specifico riguardo alle
amministrazioni centrali dello Stato13.
13 Si v. L. Torchia, a cura di, Il sistema amministrativo italiano, Il Mulino, 2009, p. 249 e ss.
163
A tal proposito, si rileva che nel decennio 1994-2004, i termini previsti per la
conclusione dei procedimenti sono stati decisamente lunghi, “conclusione che non
deriva tanto dal dato assoluto, cioè dalla media di 176 giorni del 1994 e di 137 giorni
del 2004, quanto dalla facilità con cui l’amministrazione ha abbreviato i termini
evidentemente definiti con eccessiva generosità o prudenza”.
In generale, il decennio preso in considerazione appare caratterizzato da un’opera
di progressiva riduzione dei termini, soprattutto dei procedimenti più lunghi con durata
superiore ad un anno, che risultano complessivamente diminuiti, passando dal 10 al
5,19% del totale. Circa un terzo dei procedimenti ha un termine compreso tra uno e tre
mesi, oltre un quarto un termine compreso tra tre e sei mesi.
Per quanto riguarda i singoli tipi di procedimento, nel 1994, il termine medio era
di 166 giorni per le autorizzazioni, 223 giorni per le concessioni e 233 giorni per i
contratti. Rispetto al 1994, si registra una progressiva riduzione dei termini
procedimentali medi di tutte le amministrazioni statali, sebbene rimangano notevoli
disparità nella durata media dei procedimenti delle varie amministrazioni: da un minimo
di 61 giorni (Ministero del commercio internazionale) a un massimo di 186 giorni
(Ministero delle Giustizia). In sede centrale, l’oscillazione dei termini è compresa tra 30
e 298 giorni, mentre in sede periferica si registra una maggiore oscillazione dei termini,
compresi tra 60 e 720 giorni.
Ai fini della riduzione dei tempi procedimentali, ulteriori margini di manovra
sono stati recuperati tagliando la tempistica dell’attività di auto-amministrazione e/o
endo-procedimentale, poiché spesso i tempi dei procedimenti strumentali risultano
maggiori dei procedimenti finali (179 giorni contro 169 nel 1994) o facendo un corretto
ed effettivo uso di alcuni strumenti di semplificazione, quali ad esempio la conferenza
di servizi, che consentono risparmi di tempo.
Il fatto poi che si siano registrati tempi diversi per lo stesso tipo di procedimento
di amministrazioni diverse (ad esempio, il procedimento di riconoscimento delle
persone giuridiche private è concluso da un'amministrazione in 120 giorni, da un'altra in
270, da una terza in 730) o addirittura di uffici diversi della stessa amministrazione (ad
esempio, un procedimento di gestione del personale può durare in un caso, 500 giorni,
in altro caso 1500), suggerisce l’opportunità che gli uffici pubblici s’impegnino a
dialogare tra loro, scambiandosi le migliori pratiche ed esperienze acquisite per il
164
rispetto e il taglio dei tempi e adottando criteri comuni per la definizione della migliore
tempistica procedurale.
Quanto alla durata media dei procedimenti regionali, si rileva la medesima
tendenza generale dei procedimenti delle amministrazioni statali, anche se è
notevolmente variabile in relazione ai tipi di procedimento: da pochi giorni per alcune
autorizzazioni a molti mesi per l’adozione di sanzioni amministrative o regolamenti.
A seguito del periodo analizzato (1990-2004), non si riscontrano particolari novità
sull’attuazione dell’art. 2, connesse o comunque stimolate dalle riforme del 2005 della
legge n. 241/1990. Nel biennio 2005-2007, sembra dunque in fase di esaurimento la
spinta non solo a dare attuazione all’art. 2, mediante l’adozione e l’aggiornamento dei
regolamenti attuativi, ma anche a rendere più tempestiva l’azione amministrativa
mediante la riduzione o il ripensamento dei tempi e dei termini procedimentali.
Nuovo impulso è stato dato dal Governo con l’adozione di un «Piano di azione
per la semplificazione e la qualità della regolazione» (PAS), in cui una parte importante
è dedicata proprio alla tempistica dei procedimenti amministrativi14. In tale prospettiva,
si prevedono diverse misure:
1. un generale adeguamento dei regolamenti di attuazione della legge n. 241
del 1990 e la pubblicazione delle informazioni sui procedimenti e
sull’organizzazione nei siti web delle singole amministrazioni;
2. la necessità di una misurazione basata su diversi profili: a)
l’individuazione delle best practices relative ad esperienze già in corso di
misurazione dei tempi procedimentali e loro diffusione presso le altre
amministrazioni; b) l’avvio di attività sperimentali, prettamente tecnologiche, per
la misurazione dei tempi medi di conclusione dei procedimenti, con l’ausilio dei
relativi servizi di controllo interno, anche avvalendosi dei sistemi di protocollo
informatico; c) la predisposizione delle linee guida sulla misurazione dei tempi
procedimentali. L’introduzione dei sistemi di misurazione è funzionale, in
prospettiva, all’avvio di interventi di riduzione dei termini procedimentali, ulteriori
rispetto a quelli previsti negli specifici programmi di riduzione di cui al punto
seguente;
14 Il PAS è stato adottato dal Consiglio dei Ministri il 15 giugno 2007 sulla base dell’attività
prevista dalla direttiva annuale del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 marzo 2007.
165
3. l’adozione di programmi di riduzione dei termini procedimentali con lo
scopo di ridurre i termini procedimentali di almeno il 10%, non solo attraverso
l’adozione del nuovo regolamento di attuazione dell’art. 2 della l. n. 241/1990, ma
anche tramite l’incremento dell’efficienza, l’uso di tecnologie, l’innovazione
organizzativa e l’accorpamento dei procedimenti. I programmi devono riguardare
essenzialmente le misure di riduzione che possono essere disposte in via
amministrativa, anche attraverso il coordinamento con le altre amministrazioni
interessate al procedimento.
La maggior parte dei Ministeri ha provveduto a predisporre e inviare al
Dipartimento della funzione pubblica (DFP) il programma di riduzione, previsto nel
PAS, ad esclusione di:
-‐ Ministero dei trasporti,
-‐ Ministero dello sviluppo economico,
-‐ Ministero del lavoro e della previdenza sociale,
-‐ Ministero delle politiche agricole.
Il Ministero delle comunicazioni e il Ministero della solidarietà sociale non hanno
inviato il programma, ma si sono impegnati nella fase di elaborazione del regolamento
di attuazione a darne seguito.
Da un confronto tra le tabelle dei regolamenti attuativi adottati negli anni Novanta
ed i programmi di riduzione dei tempi pervenuti all’Unità di semplificazione del DFP, è
stato possibile riscontrare una riduzione generalizzata dei termini, in media, pari a
14,89%, passando da un termine medio pari a 146,4 giorni (vecchio termine) a un
termine medio di 124,6 giorni (termine medio nuovo). In particolare, i Ministeri hanno
ridotto i termini nella misura illustrata nella seguente tabella:
TAB. 3. - Interventi per la riduzione dei termini procedimentali
Ministero Termine medio
vecchio (gg)
Termine
medio nuovo
(gg)
Tasso di riduzione
termine medio (%)
Ambiente 169 141 15,97%
Pubblica Istruzione 119 106 11%
Affari Esteri 121,6 87,6 27,96%
166
Commercio Internazionale 71,5 61,1 14,5%
Beni Culturali 159 109,07 45,77%
Università e Ricerca 127 112 11,80%
Interno 161,9 140,4 13,28%
Infrastrutture 171,84 153,83 10,47%
Economia e Finanze n.p. 80 n.p.
Giustizia 204 186,5 9,6%
Difesa 172 151 12,20%
Salute 134 122 9,1%
Media 146,4 124,6 14.89%
Fonte: PAS – Presidenza del Consiglio dei Ministri (nel calcolo della media, non si è tenuto conto dei dati forniti dal MEF)
L’obiettivo del PAS di riduzione del 10% dei termini procedurali è stato raggiunto
essenzialmente attraverso la predisposizione di un nuovo regolamento di attuazione
dell’art. 2 della l. n. 241/1990 e in molti casi la riduzione è stata superiore all’obiettivo,
se si guarda ad esempio ai risultati del MIBAC e del MAE che, con il nuovo
regolamento, hanno ridotto in misura consistente il termine di 27 procedimenti. Nel
caso del Ministero dell’Università e della ricerca, il termine medio si è abbassato per
effetto della soppressione di alcuni procedimenti, non essendovi state riduzioni nei
termini previsti (al contrario, sono stati aumentati i termini di tre procedimenti). Il
Ministero dell’Interno ha ridotto con il nuovo regolamento il termine di 76 procedimenti
e ha innalzato quello di 14 procedimenti (con il precedente regolamento, i procedimenti
che avevano un termine inferiore o uguale a 90 giorni erano 229, con il nuovo
regolamento sono 319; i procedimenti con un termine superiore a 180 giorni, invece,
passano da 143 a 112).
Oltre alle riduzioni dei termini realizzate con la predisposizione del nuovo
regolamento, alcune amministrazioni hanno programmato nuove azioni finalizzate ad
una ulteriore riduzione dei termini, connesse ad esempio allo sviluppo di processi di
informatizzazione (si pensi al MAE con il sistema informativo SIMAE), la
reingegnerizzazione dei procedimenti o dando seguito a sanzioni per l’inosservanza dei
termini procedimentali.
167
L’attuazione del PAS, con riferimento alla finalità di riduzione del 10% di termini
procedimentali, ha rilanciato e rafforzato la volontà di agire sulla tempistica
procedurale, in un’ottica di semplificazione, trasparenza e maggiore efficienza
dell’azione amministrativa, sebbene solo a livello statale. Tale iniziativa governativa ha
preceduto e indubbiamente ha inciso sull’adozione della legge n. 69/2009 che ha
sostanzialmente riformato l’art. 2 e stimolato un nuovo ciclo di attuazione
amministrativa sui tempi e termini procedimentali.
3.2. Il nuovo ciclo di attuazione: dal 2009 ad oggi
In linea con gli obiettivi del PAS, la legge n. 69 del 2009 ha apportato importanti
modifiche alla legge n. 241 del 1990, con il fine di ridurre i termini di conclusione dei
procedimenti ed assicurare l’effettività del loro rispetto da parte delle amministrazioni
pubbliche15. In particolare, l’articolo 7, sostituendo integralmente l’art. 2 della legge n.
241 del 1990, stabilisce che i procedimenti amministrativi di competenza delle
amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro trenta
giorni a meno che disposizioni di legge o di regolamento prevedano un termine diverso.
Per l’adozione dei regolamenti di definizione dei termini e dei responsabili viene
disciplinata una nuova procedura: con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei
ministri, adottati ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su
proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica
amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione, sono individuati i termini di
conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali. Gli enti
pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini entro cui devono
essere conclusi i procedimenti di rispettiva competenza.
L’altra novità introdotta dalla legge n. 69 del 2009 è che, in entrambi i casi, i
termini fissati dalle amministrazioni non possono comunque essere superiori ai novanta
giorni o al massimo centottanta giorni. Quest’ultima ipotesi (termine massimo di 180
giorni) deve essere motivata ed è possibile esclusivamente e tassativamente quando
emergano rilevanti profili di sostenibilità dell’organizzazione amministrativa, di
15 Si v. il decreto 12 gennaio 2010 del Ministro della pubblica amministrazione e
dell'innovazione, adottato di concerto con il Ministro della semplificazione amministrativa, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 1° aprile 2010, n. 76, con il quale sono state approvate le linee di indirizzo per l'attuazione dell'articolo 7 della legge 18 giugno 2009, n. 69.
168
contemperamento degli interessi pubblici tutelati oppure occorrano valutazioni
eccezionali sulla complessità del procedimento.
Secondo la disciplina del 2009, il processo attuativo avrebbe dovuto concludersi
entro un anno dall’entrata in vigore della nuova normativa, ovvero entro il 4 luglio
2010. Al proposito, il primo dato da rilevare è il mancato rispetto di tale termine da
parte delle amministrazioni centrali, nonché regionali e locali, per le quali la disciplina
del nuovo art. 2 rappresenta “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale” ai sensi delle lett. m) comma 2 art. 111 Cost.
Nei paragrafi successici si approfondisce l’analisi del processo attuativo del
novellato art. 2 che, in generale, può dirsi ancora incompleto e caratterizzato da una
certa omogeneità per le esperienze delle amministrazioni centrali; da eterogeneità nelle
scelte regionali e, infine, da una spiccata frammentarietà nel caso degli Enti locali.
Un ulteriore tema interessante è quello della riduzione dei termini procedimentali,
peraltro sempre più pregnante e strettamente collegato ad una politica pubblica di
semplificazione amministrativa. Basti pensare al recente art. 3 d. l. n. 5/201216, in base
al quale è stato avviato il nuovo programma triennale 2013-2015 per la misurazione e la
riduzione dei tempi dei procedimenti amministrativi e degli oneri gravanti su imprese e
cittadini nell’ottica di garantire tempi certi per le pratiche amministrative17. Ad aprile
16 Si v. i commi 3 sexies – speties, secondo cui, “con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, previa intesa in sede di Conferenza unificata, è adottato, nel quadro delle indicazioni e delle raccomandazioni dei competenti organismi dell'Unione europea, il programma 2012-2015 per la misurazione e la riduzione dei tempi dei procedimenti amministrativi e degli oneri regolatori gravanti su imprese e su cittadini, ivi inclusi gli oneri amministrativi. Il programma è ispirato al principio della proporzionalità degli oneri alla tutela degli interessi pubblici, tiene conto dei risultati delle attività di misurazione e di riduzione già realizzate e individua le aree di regolazione, i tempi e le metodologie di intervento nonché gli strumenti di verifica dei risultati, assicurando la consultazione dei cittadini, delle imprese e delle loro associazioni. Per la riduzione degli oneri nelle materie di competenza regionale si provvede ai sensi dell'articolo 20-ter della legge 15 marzo 1997, n. 59, e dei successivi accordi attuativi. Per l'attuazione del programma di cui al comma 3-sexies si applicano le disposizioni di cui ai commi da 2 a 7 dell'articolo 25 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni. Entro il 31 gennaio di ciascun anno, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione rende comunicazioni alle Camere sullo sviluppo e sui risultati delle politiche di semplificazione nell'anno precedente, con particolare riguardo all'attuazione del presente decreto e dei programmi”.
17 I. Salza, L’attuazione delle regole in materia di attività produttive e le prospettive di riforma del quadro normativo, in Relazione annuale al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali alle imprese e ai cittadini 2012; CNEL, Relazione annuale al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali alle imprese e ai cittadini, 13 dicembre 2012.
169
del 2012, è stato siglato un Accordo inter-istituzionale tra il Governo, in particolare, i
Ministri dello sviluppo economico e per la PA e la semplificazione, le Regioni, le
Province autonome e le autonomie locali, per l’attuazione coordinata delle misure di
semplificazione previste dal d. l. n. 5/201218.
Si è proceduto, inoltre, alla creazione di un apposito Tavolo istituzionale in cui
siedono i rappresentanti dei suddetti soggetti con il compito di individuare i
procedimenti prioritari da sottoporre a misure di semplificazione, anche attraverso la
consultazione degli stakeholders19. Nell’accordo sono, altresì, definiti i criteri secondo i
quali il Tavolo deve procedere alla ricognizione delle procedure da semplificare ed
esprimere le sue valutazioni al riguardo, che saranno propedeutiche all’adozione dei
regolamenti delegificanti tesi alla “razionalizzazione” dei procedimenti inerenti
l’esercizio dell’attività d’impresa20.
3.2.1. I nuovi regolamenti ministeriali
I regolamenti attuativi dell’art. 2, così come novellato nel 2009, sono stati adottati
mediante Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.) da otto Ministeri
su tredici, a partire dal dicembre del 2010, comunque in ritardo rispetto al termine
legislativo previsto per l’attuazione (4 luglio 2010).
I cinque Ministeri che risultano inadempienti, nel momento in cui si scrive, sono:
-‐ il Ministero della giustizia;
-‐ il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
-‐ il Ministero dell’ambiente, tutela del territorio e del mare;
-‐ il Ministero della Salute;
-‐ il Ministero dell’istruzione, università e ricerca.
18 L’Accordo è stato sottoscritto in seno alla Conferenza unificata e prevede l’attuazione
coordinata degli articoli 3, 12 e 14 del decreto legge n. 5/2012 relativi, rispettivamente, alla riduzione degli oneri amministrativi, semplificazioni procedimentali per l’esercizio delle attività economiche, semplificazione dei controlli sulle imprese.
19 Per raccogliere indicazioni per la sua attuazione è stata lanciata la consultazione telematica "SemplificaPA".
20 I criteri che il Tavolo dovrà seguire per fare le sue valutazioni sono: la presenza di ostacoli alla regolare conclusione dei procedimenti ovvero la difformità dei tempi rispetto a quelli di altri Paesi dell’Unione europea, la possibilità di miglioramento della relativa disciplina, la frequenza e l’intensità del mancato rispetto dei termini di conclusione, l’ingiustificata previsione di oneri amministrativi per i cittadini e le imprese, l’esistenza di soluzioni tecnologico informatiche particolarmente atte a rafforzare lʹ interoperabilità tra amministrazioni e lʹ interconnessione tra i procedimenti.
170
In assenza dei nuovi regolamenti attuativi, le vigenti disposizioni regolamentari
che contengono termini procedimentali superiori a novanta giorni cessano di avere
effetto e si applica, fino a nuova determinazione, il termine residuale di trenta giorni
previsto dall’art. 2 della l. n. 241, che vale anche per i procedimenti per i quali non sia
stato fissato alcun termine. Continuano, invece, ad applicarsi le disposizioni
regolamentari che prevedono termini non superiori a novanta giorni.
Gli altri Ministeri hanno adempiuto l’obbligo di legge di individuazione dei
termini procedimentali, adottando due distinti regolamenti, che sono da rivedere e
aggiornare con cadenza almeno biennale: uno per i procedimenti con termini non
superiori a novanta giorni ed uno per i procedimenti con termini superiori a novanta
giorni, ma inferiori a centottanta.
Nel caso dei regolamenti con termini superiori a novanta giorni, solo poche
amministrazioni hanno motivato la scelta di termini superiori ai novanta giorni (ad
esempio il Ministero Infrastrutture e Trasporti e il Ministero dell’Interno)21, mentre altre
non hanno motivato per nulla la scelta del termine superiore (ad esempio il Ministero
dello Sviluppo Economico), o si sono limitate a fare una breve nota sul procedimento o
a richiamare genericamente le esigenze di sostenibilità dell’organizzazione
amministrativa, di contemperamento degli interessi pubblici tutelati e/o la complessità
del procedimento amministrativo. Il Ministero per i beni e le attività culturali non ha,
invece, adottato alcun regolamento sui procedimenti con termini superiori a novanta
giorni, nonostante sia stato tra i primi apparati ministeriali ad aver adottato il
regolamento attuativo sui termini non superiori a novanta giorni.
Quanto ai regolamenti sui termini procedimentali fino a novanta giorni, è
possibile rilevare che i Ministeri hanno generalmente previsto il termine massimo
consentito dalla legge (90 g.) per ogni procedimento, prevedendo termini ridotti soltanto
per alcuni procedimenti specifici.
21 Il termine massimo di 180 giorni può essere superato, ai sensi di legge, solo per i procedimenti
di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione. In particolare, per l’acquisto e la concessione della cittadinanza italiana è stato previsto il termine massimo di 730 giorni, considerata la complessità del procedimento, che richiede accertamenti sia con autorità straniere che nazionali. In tal senso di v. il D.P.C.M. n. 58/2013, Regolamento di attuazione dell'articolo 2, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, riguardante i termini di conclusione dei procedimenti amministrativi di competenza del Ministero dell'interno di durata superiore a novanta giorni, che peraltro conferma il termine già vigente in base alle precedenti disposizioni legislative e regolamentari.
171
Dall’analisi dei termini procedimentali previsti nei nuovi regolamenti ministeriali
non è agevole ricostruire l’evoluzione della tempistica e comprendere soprattutto se vi è
stata un’effettiva riduzione dei tempi. Ciò è dovuto fondamentalmente all’asimmetria
tra le strutture e le tipologie procedimentali esistenti negli anni Novanta e quelle attuali.
In tale prospettiva, è comunque interessante e andrebbe replicata dagli altri Ministeri,
quantomeno nel momento di revisione e aggiornamento dei rispettivi regolamenti,
l’esperienza del MISE, il cui regolamento attuativo dell’art. 2 ha il pregio di indicare
non solo la classificazione dei procedimenti, la fonte normativa, l’unità organica
responsabile, ma anche i termini di conclusione previgenti e quelli nuovi per ciascun
tipo di procedimento, con l’indicazione della decorrenza del termine e dei casi di
procedimenti di nuova istituzione.
I dati che consentono un confronto tra i termini previgenti e quelli attuali per
ciascuna tipologia procedimentale è importante non solo per un corretto adeguamento
all’art. 2, ma anche per realizzare, laddove possibile, una riduzione dei tempi
procedimentali precedentemente previsti. L’indicazione precisa dei termini, vecchi e
nuovi, di conclusione per ciascuna tipologia procedimentale dovrebbe, inoltre, essere
arricchita, anche se non previsto dalla legge, dai dati sui valori medi di durata e/o sulla
durata effettiva dei procedimenti, anche al fine di individuare le concrete disfunzioni
amministrative su cui ragionare in termini strategici per termini e tempi procedimentali
sempre più certi e sempre più brevi, con un impatto progressivamente migliorativo per
quei procedimenti che maggiormente incidono sulle situazioni giuridiche soggettive di
cittadini e imprese.
È opportuno, dunque, che tutte le amministrazioni centrali concludano anzitutto
l’iter di adozione dei regolamenti attuativi dell’art. 2, ma è necessario poi procedere al
monitoraggio, all’aggiornamento e all’eventuale arricchimento dei dati come sopra
indicato. Tale azione peraltro deve essere realizzata in stretta connessione con gli
obblighi di pubblicazione e monitoraggio dei tempi procedimentali, che devono essere
pubblicati in modo omogeneo sul sito web istituzionale di ciascuna amministrazione
(non solo Ministeri), nell’apposita sezione denominata «Amministrazione trasparente»
(si v. § 4 e ss.).
Nella seguente tabella sono riportati gli attuali regolamenti attuativi ministeriali
(esclusi quelli senza portafoglio), adottati con Decreto del Presidente del Consiglio dei
172
Ministri, a cui sono stati abbinati quelli adottati, con decreto ministeriale, nel corso del
precedente ciclo di attuazione (prima metà degli anni Novanta), considerando
naturalmente le riforme e gli accorpamenti che negli anni hanno interessato gli apparati
ministeriali22.
TAB. 5 – Regolamenti attuativi dei Ministeri Amministrazione Regolamenti attuativi
precedenti Regolamenti attuativi
attuali
Ministero Affari Esteri
D.M. 3 marzo 1995, n. 171 D.M. 5 gennaio 2004, n. 57
D.P.C.M. 8 settembre 2011, n. 178, per i procedimenti di durata non superiore a novanta giorni D.P.C.M. 3 marzo 2011, n. 90, per i procedimenti con termini superiori a novanta giorni
Ministero Interno
D.M. 2 febbraio 1993, n. 284
D.P.C.M. 10 ottobre 2012, n. 214 sui termini di conclusione dei procedimenti fino a novanta giorni
D.P.C.M. 21 marzo 2013, n. 58, per i procedimenti di durata superiore a novanta giorni
Ministero Difesa
D.M. 16 settembre 1993, n. 603
Attuato con il codice dell’ordinamento militare
22 Quanto all’attuazione da parte di altri enti statali, è opportuno ricordare il D.P.C.M. 17
novembre 2010, n. 246, per il Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e l'innovazione; la Delibera 4 novembre 2010, n. 3/2010/Del, per la Corte dei conti; il Reg. 18 marzo 2011, per l'ACI; la Delibera 24 maggio 2011, n. 35/2011 per l'Agenzia spaziale italiana; il D.P.C.M. 30 giugno 2011, n. 163, per l'Istituto nazionale di statistica; il Provv. 26 settembre 2012, per l'Agenzia del demanio. Con riferimento alle Autorità indipendenti, l’art. 2, comma 5 prevede che “fatto salvo quanto previsto da specifiche disposizioni normative, le autorità di garanzia e di vigilanza disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza”. In proposito, si deve richiamare, la delibera della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) 28 novembre 2012, n. 18388 (Gazz. Uff., 28 dicembre 2012, n. 301) e la deliberazione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) di aprile 2012, n. 223 (Gazz. Uff., 15 giugno 2012, n. 138). La CONSOB ha peraltro avviato una consultazione pubblica sulla proposta di regolamento in materia in cui si prevede di dimezzare i tempi dei procedimenti sanzionatori con l’obiettivo di migliorare l’efficacia deterrente delle sanzioni e di ridurre l’incertezza sull’esito dei procedimenti. Il dimezzamento dei tempi è reso possibile principalmente grazie ad una semplificazione procedurale e organizzativa, in quanto l’istruttoria è accentrata presso l’Ufficio sanzioni amministrative che può avvalersi delle divisioni operative. I tempi vengono ridotti dagli attuali 360 giorni per i soggetti residenti in Italia e dagli attuali 540 per quelli residenti all’estero a 180 giorni come termine massimo di conclusione del procedimento, valido in tutti i casi.
173
Ministero Economia e Finanze
D.M. 23 marzo 1992, n. 304 D.M. 14 dicembre, n. 602 D.M. 19 ottobre 1994, n. 678 D.M. 5 agosto 1997, n. 325 D.M. 8 giugno 1993, n. 299 D.M. 1 settembre 1993, n. 475 D.M. 11 settembre 2000, n. 289
D.P.C.M. 30 giugno 2011, n. 147 per i procedimenti con termini non superiori a novanta giorni Con 5 distinte tabelle sui termini dei procedimenti amministrativi di competenza di:
1. Ministero dell'economia e delle finanze; 2. Scuola superiore dell'economia e delle finanze; 3. Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; 4. Guardia di finanza; 5. Fondi previdenziali e assistenziali del personale della Guardia di finanza.
D.P.C.M. 5 maggio 2011, n. 109 per i procedimenti con termini superiori a novanta giorni con 9 tabelle sui termini relativi ai procedimenti di:
1. Ministero dell'economia e delle finanze; 2. Scuola superiore dell'economia e delle finanze; 3. Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; 4. Agenzia delle entrate; 5. Agenzia del territorio; 6. Agenzia delle dogane; 7. Fondo di Previdenza per il Personale del Ministero delle Finanze; 8. Guardia di finanza; 9. Fondi previdenziali e assistenziali del personale della Guardia di finanza.
Ministero dello Sviluppo economico
D.M. 26 marzo 1993, n. 329 D.M. 11 aprile 1994, n. 454 D.M. 28 dicembre 1994, D.M. 10 gennaio 2001, n. 9
D.P.C.M. 22 dicembre 2010, n. 273 per i procedimenti con termini non superiori a novanta giorni
D.P.C.M. 22 dicembre 2010, n. 272 per i procedimenti con termini superiori a novanta giorni
Ministero
Infrastrutture e trasporti
D.M. 30 marzo 1994, n. 765 D.M. 14 febbraio 1994, n. 543 D.M. 18 aprile 1994, n. 594 D.M. 8 ottobre 1997, n. 524
D.P.C.M. 11 novembre 2011, n. 225 per i procedimenti con termini non superiori ai novanta giorni
174
D.P.C.M. 28 novembre 2000, n. 454
D.P.C.M. 3 marzo 2011, n. 72 per i procedimenti con termini superiori ai novanta giorni
Ministero Politiche agricole,
alimentari e forestali
D.M. 25 maggio 1992, n. 376
NO
Ministero Ambiente, tutela
territorio e mare
D.M. 16 giugno 1994, n. 527
NO
Ministero Lavoro e Politiche sociali
D.M. 12 gennaio 1995, n. 227
D.P.C.M. 22 dicembre 2010, n. 275, per i procedimenti con termini non superiori a novanta giorni (con specifica distinzione tra amministrazione centrale e periferica)
D.P.C.M. 18 febbraio 2011, n. 46, per i procedimenti con termini superiori a novanta giorni
Ministero Salute
D.M. 18 novembre 1998, n. 514
NO
Ministero Istruzione, Università, Ricerca
D.M. 14 giugno 1994, n. 774 D.M. 6 aprile 1995, n. 190
NO
Ministero Beni e Attività culturali
D.M. 13 giugno 1994, n. 495
D.P.C.M. 22 dicembre 2010, n. 271 per i procedimenti con termini non superiori a novanta giorni
Non risulta adottato il regolamento per i procedimenti con termini superiori a novanta giorni
Ministero Giustizia
D.M. 20 novembre 1995, n. 540
NO
3.2.2. L’attuazione nelle Regioni
L’analisi del processo attuativo della disciplina generale sui tempi procedimentali
non può prescindere dall’esame del processo di adeguamento da parte delle Regioni, la
maggior parte delle quali ha adottato sin all’inizio degli anni Novanta specifiche leggi
regionali di applicazione della legge n. 241/90, non avendo tuttavia previsto ulteriori
175
integrazioni e/o modifiche alla luce delle successive riforme del 2005 (l. n. 15/2005 e l.
n. 80/2005). Si deve rilevare, inoltre, che la maggior parte delle disposizioni sulla
determinazione dei tempi procedimentali regionali è contenuta in specifiche normative
settoriali23.
A seguito dell’adozione della legge n. 69/2009, le Regioni e gli Enti locali hanno
considerato non perentorio il termine per l’adeguamento alle nuove previsioni generali
(un anno dalla data di entrata in vigore della legge statale), dando inizio in ritardo al
processo attuativo o rimanendo del tutto inerti al riguardo24. Solo alcune Regioni,
dunque, hanno adottato o aggiornato la normativa regionale e adeguato i relativi tempi
procedimentali alla nuova disciplina della legge n. 69 del 2009.
Le esperienze regionali sono, peraltro, molto disomogenee nel percorso attuativo:
la Regione Toscana oltre a essere stata tempestiva nell’adeguamento normativo, nel
2009 ha adottato una legge regionale già particolarmente avanzata nei contenuti (si
pensi all’introduzione dell’indennizzo da ritardo), così come la Regione Umbria che ha
adottato nel 2011 una legge regionale con una specifica attenzione alla tempistica
procedurale (anche in questo caso si prevede, ad esempio, l’indennizzo automatico in
caso di mero ritardo).
Ci sono, tuttavia, Regioni che non risulta abbiano legiferato in modo sistematico
la materia (Molise) o aggiornato la normativa (Basilicata e Lazio) o sono ancora in fase
di approvazione di specifici progetti di legge (Abruzzo).
Alcune Regioni sono peraltro ancora in fase di censimento e classificazione dei
procedimenti regionali e/o stanno costruendo delle banche dati per ciascun
procedimento con la relativa tempistica, a prescindere da una disciplina normativa
23 Per l’analisi del processo di attuazione regionale si v. F. Ferrara, A. Natalini, a cura di, Nuove
politiche di semplificazione: i fabbisogni delle regioni, Rapporto finale dell’indagine Formez, 2008; F. Ferrara, L’attuazione nelle Regioni e negli enti locali della legge n. 69/2009, Quaderno Formez n. 32, 2012; Formez, Le nuove politiche di semplificazione. Un’indagine nelle Regioni, 2008; Formez, Linee guida per la misurazione dei tempi e oneri amministrativi nelle Regioni, 2009; G. Vesperini, La semplificazione amministrativa nelle regioni, in Quaderni Formez, n. 23, 2004; L. Faina, I tempi del procedimento, in F. Peta e A. d’Ambrosio, a cura di, La semplificazione tra Stato, Regioni e Autonomie locali. Il caso della legge 241, in Quaderni Formez, n. 50, 2006, p. 61-79; A. Caldarozzi, F. Sarpi, Il programma di riduzione dei tempi e degli oneri dei procedimenti, in F. Ferrara, A. Natalini, a cura di, La riduzione degli oneri amministrativi nelle Regioni: sistemi di analisi e valutazione, Formez, 2008; A. Caldarozzi, La semplificazione amministrativa nelle regioni e nei comuni: a che punto siamo, in Astrid.eu.
24 A differenza delle amministrazioni statali, il mancato adeguamento alla norma statale non viene risolto con la sostituzione della determinazione legislativa (termine residuale 30 giorni) a quella regolamentare.
176
generale. La fase di ricognizione ed elaborazione dei tempi dei procedimenti
amministrativi, anche se utile al fine di ragionare in modo strategico sulla tempistica
procedimentale, non dovrebbe però essere considerata esaustiva, ma dovrebbe piuttosto
essere prodromica all’adozione di specifici provvedimenti normativi o regolamentari
che consentano non solo il necessario adeguamento alla disciplina legislativa statale
generale, ma anche la creazione di certezza per le situazioni giuridiche soggettive dei
cittadini e delle imprese.
È possibile rintracciare una generale tendenza a dare concreta attuazione alle
disposizioni legislative statali o regionali con l’adozione di specifici regolamenti
attuativi (ad esempio, Liguria, Piemonte, Toscana, Sicilia) soprattutto a partire dal 2011
e, contestualmente, una maggiore sensibilità da parte delle Regioni sul tema della
riduzione della tempistica procedurale.
Un impulso significativo alla realizzazione di attività finalizzate a dare certezza
alle imprese e ai cittadini sui termini di conclusione dei procedimenti e sugli
adempimenti necessari può essere connesso a una serie di progetti sviluppati a livello
centrale, quali ad esempio il progetto realizzato all’interno del PON 2007–2013
«Governance e Azioni di Sistema» dal Dipartimento degli Affari Regionali e dal
Dipartimento della Funzione Pubblica, attraverso Formez PA: il progetto «Regioni
Semplici - Regioni (da) semplificare per le imprese e i cittadini».
In particolare, sono stati messi a disposizione di dirigenti e funzionari delle
amministrazioni delle Regioni c.d. Obiettivo convergenza (compresi gli Enti locali di
tali Regioni), alcuni modelli operativi per effettuare la rilevazione dei tempi
procedimentali e per adeguare la normativa alla disciplina introdotta in materia dalla
legge n. 69/2009, nell’ottica di un’opera di progressiva misurazione e riduzione dei
tempi burocratici25.
25 Sulla metodologia per la misurazione e riduzione dei tempi burocratici dei procedimenti
regionali, si v. A. Caldarozzi, F. Sarpi, Il programma di riduzione dei tempi e degli oneri dei procedimenti, in F. Ferrara, A. Natalini, a cura di, La riduzione degli oneri amministrativi nelle Regioni: sistemi di analisi e valutazione, Formez, 2008. La soluzione più adeguata in relazione alle finalità del progetto (è rappresentata dalla tecnica denominata “Systematic activity description” (SAD), la quale consente:
a) di identificare in modo autonomo rispetto alle operazioni i relativi input e output; b) di identificare gli attori responsabili delle singole operazioni; c) di associare a ciascuna operazione l’indicazione del relativo tempo di realizzazione; d) di associare a ciascuna operazione informazioni aggiuntive relative, ad esempio, alle criticità
di attuazione. e) di aggregare le operazioni omogenee in macro-fasi.
177
TAB. 6 – Ricognizione sullo stato di attuazione nelle Regioni italiane Regione Riferimenti normativi
Leggi Regionali (L.R.) Disposizioni rilevanti sui
tempi Attuazione
Abruzzo
Progetto di legge
regionale n. 426/12 Legge organica in
materia di procedimento amministrativo, sviluppo dell’amministrazione digitale e semplificazione del sistema amministrativo regionale e locale
Art. 7 Obbligo di adozione del provvedimento espresso
-‐ Art. 8
Certezza dei termini di conclusione del procedimento
Art. 9 Riduzione dei termini vigenti non previsti in leggi o regolamenti regionali Art. 10 Sospensione e interruzione dei termini per provvedere
Art. 11 Responsabilità per mancata o tardiva emanazione del provvedimento amministrativo Art. 12 Responsabile della correttezza e della celerità del procedimento
Art. 13 Indennizzo per il ritardo nella conclusione dei procedimenti Art.14 Procedura per la corresponsione dell’indennizzo da parte della Regione Abruzzo
Basilicata
L.R. n. 12/92
Art. 2 Termini del procedimento amministrativo
Regolamento approvato con delib. CR n. 1565/95 Prime norme sullo snellimento e sulla
Il SAD, quindi, restituisce una rappresentazione completa del procedimento in termini di
responsabilità e tempi di realizzazione, restituendo informazioni immediate circa i nodi decisionali e le attività critiche, potranno, dunque, essere più facilmente separate dalle attività a minore valore aggiunto.
178
trasparenza dell’attività amministrativa
Calabria
L.R. 4 settembre 2001, n. 19 Norme sul procedimento amministrativo, la pubblicità degli atti ed il diritto di accesso. Disciplina della pubblicazione del Bollettino Ufficiale della Regione Calabria
Art. 19 Termini per la conclusione del procedimento
Ci sono stati studi per l’adeguamento alla l. n. 69/2009
Art. 21 Decorrenza e sospensione dei termini Art. 22 Proroga dei termini
Campania
L.R. 17 ottobre 2005, n. 17 Disposizioni per la semplificazione del procedimento amministrativo.
Art. 1 Termine a
provvedere per le commissioni consiliari
-
Emilia-
Romagna
L.R. 6 settembre 1993, n. 32 Norme per la disciplina del procedimento amministrativo e del diritto di accesso
Art. 16 Termini per la conclusione dei procedimenti
-
Art. 17 Decorrenza e sospensione dei termini
Art. 18 Proroga dei termini
Art. 19 Procedimenti aventi ad oggetto benefici finanziari
L.R. 18/2011 Misure per l’attuazione degli obiettivi di semplificazione del sistema amministrativo regionale e locale. Istituzione della sessione di semplificazione (in parte attuazione 69/2009)
Art. 6 Certezza dei tempi di conclusione dei procedimenti, responsabilità e trasparenza dell’azione amministrativa
Friuli-Venezia
Giulia
L.R. 20-3-2000 n. 7 Testo unico delle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso
Art. 5 Termine del procedimento
-
Art. 6 Decorrenza e scadenza del termine
Art. 7 Sospensione del termine
179
Lazio
L.R. 22-10-1993 n. 57 Norme generali per lo svolgimento del procedimento amministrativo, l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi e la migliore funzionalità dell’attività amministrativa. Come modificata dalla L.R. 22-7-2002 n. 22 Modifiche alle leggi regionali 22 ottobre 1993, n. 57 “Norme generali per lo svolgimento del procedimento amministrativo, l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi e la migliore funzionalità dell’attività amministrativa” e 18 febbraio 2002, n. 6 “Disciplina del sistema organizzativo della Giunta e Consiglio e disposizioni relative alla dirigenza ed al personale regionale
Art. 3 Obbligo di provvedere
Banca dati informatica con schede dettagliate sui procedimenti regionali che includono i termini previsti dalle norme che scandiscono le singole fasi procedimentali
Art. 4 Termine del procedimento
Liguria
L.R. 25 novembre 2009 n. 56 Norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi
Art. 7 Termini del procedimento
Regolamento n.2/2011 di attuazione della legge regionale n.56/2009, Norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. I procedimenti non rientranti nel Regolamento sono stati oggetto di successiva rilevazione tramite l’atto ricognitivo approvato con DGR n.1622 del 22/12/201126.
Art. 8 Sospensione dei termini
L.R. 8 giugno 2011, n. 13 Norme sulla qualità della regolazione e sulla semplificazione amministrativa
Art. 15 Finalità della semplificazione amministrativa (comma 1 lett. b): ridurre i tempi burocratici)
26 I 723 procedimenti ricompresi nel Regolamento costituiscono, all'incirca, l'80% di tutti i
procedimenti amministrativi di competenza della Giunta regionale. I 177 procedimenti ricompresi nell'atto ricognitivo costituiscono, all'incirca, il 20% di tutti i procedimenti amministrativi di competenza della Giunta regionale. La ricognizione di tutti i procedimenti di competenza della Giunta costituisce un importante strumento di trasparenza e ha costituito l'occasione per effettuare la rivalutazione e la razionalizzazione dei procedimenti a fini di semplificazione amministrativa e di contenimento della loro durata. Ove possibile si è proceduto alla riduzione dei termini e alla semplificazione amministrativa.
180
Lombardia
L.R. 1-2-2012 n. 1 Riordino normativo in materia di procedimento amministrativo, diritto di accesso ai documenti amministrativi, semplificazione amministrativa, potere sostitutivo e potestà sanzionatoria.
Articolo 4 Dovere di adozione del provvedimento
Sul sito internet – sezione Amministrazione trasparente, Attività e procedimenti - Censimento dei procedimenti con scheda dettagliata e termini di conclusione di ciascun procedimento e relativa giorno di decorrenza
Articolo 5 Termini per provvedere
Articolo 6 Sospensione e interruzione dei termini per provvedere
Marche
Proposta di legge regionale della Giunta recante “Legge di innovazione e semplificazione amministrativa” (Delibera 936/2012)
Art. 20 Riduzione dei termini dei procedimenti
-
Art. 21 Potere sostitutivo Art. 25 Indennizzo per il ritardo nella conclusione dei procedimenti
Molise
-
-
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Piemonte
L.R. 04-07-2005, n. 7 Nuove disposizioni in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.
Art. 6 Termini
La Giunta regionale ha approvato le deliberazioni con le quali si sono adeguati i procedimenti, che non hanno termini già prefissati, alle nuove disposizioni contenute nella l. n. 69/2009. Ogni deliberazione è corredata da due allegati con termini fino a 90 o fino a 180 giorni
Art. 7 Sospensione dei termini
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Puglia
L.R. 20 giugno 2008 n. 15 Principi e linee guida in materia di trasparenza dell’attività amministrativa nella Regione Puglia
Art. 3 Diritti di cittadinanza Amministrativa (tra cui partecipazione ai procedimenti amministrativi e conclusione dei medesimi in tempi prestabiliti)
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Sardegna
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Sicilia
legge regionale 30 aprile 1991, n. 10 Disposizioni per i procedimenti amministrativi, il diritto di accesso ai documenti amministrativi e la migliore funzionalità dell’attività amministrativa Come modificata L.R. 5 aprile 2011, n. 5 Disposizioni per la trasparenza, la semplificazione, l’efficienza, l’informatizzazione della pubblica amministrazione e l’agevolazione delle iniziative economiche. Disposizioni per il contrasto alla corruzione ed alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Disposizioni per il riordino e la semplificazione della legislazione regionale
Art. 2 Tempi di conclusione del procedimento (termini più favorevoli al cittadino di quelli nazionali nell’ottica dei LEP). Solo deroghe migliorative
Nel 2012, il Presidente della Regione ha approvato, con decreto, i regolamenti con i tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi per ciascun Dipartimento regionale, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana e consultabili online27
Toscana
L.R. 23 luglio 2009, n. 40, Legge di semplificazione e riordino normativo come modificata dalla
Art. 11-bis Responsabile della correttezza e della celerità del procedimento e poteri
Delibera Giunta regionale 804 del 26-09-2011 allegato A: elenco
27 Ad esempio, il Dipartimento Regionale delle Attività Produttive con Decreto presidenziale n.
31 del 11 aprile 2012 ha provveduto alla ricognizione dei procedimenti amministrativi di competenza, elaborando due tabelle allegate al regolamento, ove sono stati inseriti rispettivamente i procedimenti con termine di conclusione compreso tra i 31 e i 60 giorni (111 procedimenti) e quelli con termine di conclusione compreso tra i 61 e 150 giorni (60 procedimenti). Nelle tabelle è presente una serie di informazioni allegate al regolamento, quali: il servizio responsabile; la fonte normativa di riferimento; la natura giuridica dell'iniziativa se di ufficio o di parte; il tipo di provvedimento finale che conclude la procedura. È peraltro compresa la relazione con cui si motiva per ciascun procedimento amministrativo in merito alle ragioni che rendono necessaria la fissazione di un termine di conclusione superiore a 60 giorni. L'attività di ricognizione e mappatura sarà oggetto di revisione ed aggiornamento con cadenza biennale come l'attività di aggiornamento dei procedimenti inclusi nel regolamento.
182
L.R. 14-3-2013 n. 9 Norme sul procedimento amministrativo, per la semplificazione e la trasparenza dell’attività amministrativa
sostitutivi dei procedimenti amministrativi regionali con termine di conclusione entro i trenta giorni (rivolto a soggetti privati); allegato B: elenco dei procedimenti amministrativi regionali con termine di conclusione superiore ai trenta giorni con indicazione delle specifiche motivazioni (rivolto a soggetti privati); -allegato C: elenco dei procedimenti amministrativi con termini rivolti agli enti locali, agli enti, agenzie e aziende dipendenti dalla Regione; allegato D: elenco dei procedimenti amministrativi con termini disciplinati da fonte statale o comunitaria
11- ter Pubblicità Art. 11-quater Procedimento per l’esercizio dei poteri sostitutivi Art. 12 Certezza dei termini di conclusione del procedimento Art. 13 Riduzione dei termini vigenti non previsti in leggi o regolamenti regionali Art. 13-bis Termine del procedimento e mancata presentazione di documentazione Art. 14 Sospensione dei termini di conclusione dei procedimenti Art. 14-bis Pareri e valutazioni tecniche Art. 15 Ulteriore riduzione dei termini. Art. 16 Indennizzo per il ritardo nella conclusione dei procedimenti e Art. 17 procedura per la corresponsione dell’indennizzo (non sostituisce il danno da ritardo)
Trentino
Alto/Adige
L.R. 31-07-1993, n. 13 Norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi
Art. 3 Conclusione del procedimento
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Art. 4 Proroga dei termini per domande ed istanze
Umbria
L.R. 16-9-2011 n. 8 Semplificazione amministrativa e normativa dell’ordinamento regionale e degli Enti locali territoriali
Art. 20 Termini del procedimento
Deliberazione Giunta regionale n. 522 del 2012, Regolamento interno - Termini di
Art. 21 Riduzione dei termini correlata al possesso di determinate certificazioni
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Art. 22 Decorrenza dei termini
conclusione dei procedimenti amministrativi aventi durata superiore a trenta giorni + tabella con procedimenti
Art. 23 Indennizzo da ritardo
Valle d’Aosta
L.R. 6-8-2007 n. 19 Nuove disposizioni in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi come modificato dalla L.R. 23 maggio 2011, n. 12
Art. 3 Conclusione del procedimento
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Art. 4 Decorrenza dei termini Art. 5 Sospensione dei termini
Veneto
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Nell’ambito del “Progetto di semplificazione” stabilito con DGR n. 1599 dell’11 ottobre 2011, Deliberazione n. 574 del 3 aprile 2012
Ricognizione dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi regionali
Resta ferma la vigenza del termine di 90 giorni, indicato in via generale dalla DGR n. 1787 del 2010, relativamente ai procedimenti per i quali non risulti espressamente stabilito da legge statale, da legge regionale o dal provvedimento regionale un termine diverso28
28 La Giunta regionale con Deliberazione n. 574 del 3 aprile 2012 ha aggiornato la ricognizione
dei procedimenti amministrativi di competenza regionale e i relativi termini. La DGR n. 400 del 2000 è l'ultimo dei provvedimenti che ha definito in modo sistematico l'articolazione dei procedimenti amministrativi regionali, inclusi i termini degli stessi. Con DGR n. 1787 del 2010, in attuazione dell'articolo 7 della Legge n. 69 del 2009, è intervenuta stabilendo in via generale il termine di 90 giorni per la conclusione dei procedimenti amministrativi di competenza regionale per i quali non risulti espressamente stabilito, da legge statale, legge regionale o da precedente deliberazione della Giunta regionale, un termine diverso. Con successivi provvedimenti (in particolare DDGR n. 3203/2010, n.
184
3.2.3. L’attuazione negli Enti locali
Mancano dati aggregati o di sintesi sull’attuazione e la prassi ammnistrativa degli
Enti locali (Comuni e Province) in materia di tempi e termini procedimentali, ma si ha
evidenza dello stretto collegamento del tema della riduzione dei tempi procedimentali
con le politiche sulla semplificazione amministrativa, soprattutto grazie ad alcuni studi
effettuati dall’ANCI29.
Nonostante l’assenza di dati complessivi e trasversali, è possibile comunque
analizzare due interessanti esperienze, di segno opposto, legate alla tempistica
procedimentale dei Comuni: l’una rappresentativa di una criticità procedurale, che
funge peraltro da benchmark internazionale su cui viene valutato il sistema Paese; l’altra
valutata positivamente in termini di soddisfazione dei cittadini nazionali in virtù della
certezza e della drastica riduzione dei tempi procedimentali che è stata realizzata.
Con riferimento alla prima esperienza, la tempistica procedurale è presa
specificamente in considerazione nel rapporto Doing Business 2013 della Banca
Mondiale, in cui l’Italia risulta complessivamente al venticinquesimo posto sui 27 Paesi
UE, ma al centotreesimo posto per la tempistica relativa alla procedura di rilascio del
permesso costruire30. In particolare, i giorni mediamente necessari sono 234 e sono di
gran lunga superiori a quelli europei (97 giorni in Germania; 99 nel Regno Unito; 184 in
Francia e de gli altri maggiori partner) e negli Stati Uniti, in cui sono richiesti soltanto 71/2011, n. 981/2011), si è inoltre prevista, per taluni procedimenti amministrativi, a fronte di una specifica ed espressa giustificazione, una durata compresa tra 91 e 180 giorni. Con DGR n. 1599 del 2011, ha provveduto ad avviare l'attività di aggiornamento della ricognizione dei procedimenti amministrativi regionali, invitando, conformemente a quanto stabilito con la citata DGR n. 2 del 2012, ciascun dirigente regionale a valutare, per ciascun procedimento di rispettiva afferenza, l'eventuale riduzione del termine di durata degli stessi. Ad esito della suddetta attività ricognitiva risultano censiti 1084 procedimenti di competenza regionale Per 296 procedimenti (pari al 27% del totale) è stato possibile ridurre il termine procedimentale rispetto a quello di 90 giorni fissato in via generale dalla DGR n. 1787 del 2010. In caso di mancato rispetto dei termini del procedimento, il privato potrà rivolgersi al competente Segretario regionale perché, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario.
29 Cittalia, Fondazione ANCI ricerche, La semplificazione amministrativa nei Comuni italiani e Cittalia, Fondazione ANCI Ricerche, Politiche di semplificazione amministrativa. Indagine sullo stato di attuazione presso le amministrazioni comunali, Rapporto finale, 2008.
30 È opportuno ricordare il decreto legge n. 70/2011, convertito con legge n. 106/2011, che ha introdotto una modifica al Testo Unico sull'edilizia in base al quale è possibile presentare l'istanza e la documentazione per via telematica allo sportello unico per l'edilizia, che provvederà a trasmetterla alle amministrazioni interessate. Ciò dovrebbe avere un impatto positivo in termini di semplificazione amministrativa anche in virtù della possibile riduzione dei tempi.
185
27 giorni. La tempistica procedurale è peraltro molto disomogenea in termini geografici,
differenziandosi di molto da città a città: a Catanzaro e a Palermo sono necessari oltre 6
mesi, mentre occorre la metà del tempo a Napoli, Campobasso e Potenza, e appena 30
giorni a Milano. Gli Enti locali sono chiamati, dunque, ad intervenire non solo per dare
mera attuazione a misure di tipo legislativo, ma soprattutto per eliminare la lunghezza e
l’incertezza dei tempi procedurali che, con riferimento alla procedura di rilascio del
permesso di costruire, costituiscono una criticità rilevata a livello internazionale che
blocca lo sviluppo del Paese.
Se l’edilizia costituisce una materia problematica, oggetto peraltro di misure di
semplificazione che hanno tra gli obiettivi anche la riduzione dei tempi burocratici31,
una recente iniziativa che ha prodotto risultati positivi sulla tempistica riguarda il
procedimento per il cambio di residenza. Si tratta di un procedimento completamente
semplificato che attualmente, in particolare dal 9 maggio 2012, può risolversi in un solo
giorno, a decorrere da quando viene fatta la dichiarazione anagrafica32. I controlli sulla
sussistenza effettiva dei requisiti, a cui è subordinata la registrazione, devono essere
effettuati nei 45 giorni successivi e se il termine decorre senza risposta da parte
dell’amministrazione, quanto dichiarato si considera conforme alla situazione di fatto in
essere alla data della dichiarazione. In precedenza, invece, i cittadini erano costretti ad
attendere alcuni mesi, sopportando su di sé tutti i conseguenti disagi.
4. Il fattore tempo come indicatore di trasparenza, qualità e
performance della pubblica amministrazione
L’analisi sulla certezza dei tempi procedimentali non può prescindere dall’esame
di alcune recenti norme contenute in leggi ulteriori rispetto alla l. n. 241/1990, ma ad
essa complementari, in quanto il fattore tempo è rilevante sia per i procedimenti
31 Nel c.d. “Decreto Fare”, si prevede in materia di edilizia una riduzione dei termini per il rilascio del permesso a costruire nei comuni con più di 100.000 abitanti ad eccezione dei progetti particolarmente complessi da realizzare. Si semplifica, inoltre, la realizzazione di varianti ai permessi a costruire che non costituiscono variazioni essenziali, assoggettandole alla SCIA.
32 Si v. l’art. 5 del d. l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35 sul cambio di residenza in tempo reale. Per l’attuazione di tale previsione normativa, si v. il regolamento di attuazione contenuto nel D.P.R. 30 luglio 2012 , n. 154 che modifica il regolamento anagrafico della popolazione residente (DPR 30 maggio 1989 n. 223). Sulle modalità di applicazione, si v., inoltre, la Circolare n. 9/2012 del Ministero dell'Interno - Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali. Oltre alla modalità attualmente prevista (dichiarazione resa in Comune), è possibile inviare per via telematica la dichiarazione sottoscritta con firma digitale o inviarla sottoscritta con firma autografa (allegando la fotocopia del documento di identità) per posta, via fax o e-mail.
186
amministrativi, sia per l’erogazione dei servizi pubblici e risulta funzionale
all’attuazione concreta di alcuni principi generali dell’azione amministrativa, quali la
semplificazione, la trasparenza e l’efficienza della pubblica amministrazione, nonché la
legalità/liceità dell’azione amministrativa, in termini di anti-corruzione.
In tale prospettiva, l’art. 2 della l. n. 241/1990 e le relative disposizioni attuative
devono essere analizzate con metodo sistematico, considerando un eterogeneo set di
leggi:
→ il decreto legislativo n. 150 del 2009, Attuazione della legge 4 marzo
2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di
efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni;
→ la legge n. 190/2012, Disposizioni per la prevenzione e la repressione
della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, in cui la trasparenza
costituisce una misura fondamentale per prevenire la corruzione;
→ il decreto legislativo n. 33/2013, Riordino della disciplina riguardante
gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle
pubbliche amministrazioni 33 (Testo Unico sulla trasparenza), con cui s’intende
riordinare e razionalizzare gli obblighi di trasparenza e pubblicità a carico delle
pubbliche amministrazioni, standardizzando le modalità attuative, nonché rafforzare il
principio della trasparenza quale strumento fondamentale per la prevenzione della
corruzione34;
→ il decreto legge n. 101/2013 Disposizioni urgenti per il perseguimento di
obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni che, tra le misure per
l'efficientamento e la razionalizzazione delle pubbliche amministrazioni, prevede una
33 Per la specificazione delle disposizioni normative si v. la circolare n. 2/2013 della Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della funzione pubblica del 19 luglio 2013. É interessante notare che la circolare è rivolta non solo alle pubblica amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del D.lgs. 165/2001, agli enti pubblici economici e non economici e alle autorità indipendenti, ma anche alle società a partecipazione pubblica e agli altri enti di diritto privato in controllo pubblico. Gli adempimenti attuativi per le regioni e gli enti locali, nonché per i soggetti pubblici e privati sottoposti al loro controllo devono essere definiti attraverso intese raggiunte in sede di Conferenza unificata (dal 3 luglio 2013 sono stati avviati i lavori in sede tecnica per il raggiungimento delle intese), ferma restando l’efficacia generale del provvedimento dall’entrata in vigore. Per un primo commento al testo Unico, si v. Savino M., La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, in Giornale di diritto amministrativo, 8-9, 2013, 795, ss. che si sofferma anche sul peculiare rapporto tra obblighi di pubblicazione e diritto di accesso.
34 Tali norme statali sono rilevanti ai sensi dell’art. 117 Costituzione, secondo comma, lettere m) e r), in quanto costituiscono livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche (statali, regionali e locali) a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione e rappresentano, inoltre, esercizio della funzione di coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale.
187
netta distinzione di competenze in materia di trasparenza, qualità e performance
dell’attività amministrativa e di erogazione dei servizi pubblici. In particolare, l’art. 5
prevede che la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle
amministrazioni pubbliche (CIVIT) si concentri sui compiti di trasparenza e di
prevenzione della corruzione nelle pubbliche amministrazioni, mentre sono trasferite
all'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) le
funzioni in materia di misurazione e valutazione della performance35. Sono, invece,
trasferite al Dipartimento della funzione pubblica (DFP) le funzioni in materia di qualità
dei servizi pubblici36.
Se da una parte, è importante delineare il perimetro delle rispettive funzioni,
dall’altra appare opportuno che la frammentazione delle competenze che ne deriva sia
adeguatamente compensata da un efficace coordinamento tra le differenti autorità
pubbliche nell’esercizio dei relativi poteri di valutazione e controllo e di ogni altro
potere ad esse, o eventualmente ad altre autorità pubbliche, attribuito dalla legge.
Come si vedrà nei paragrafi successivi, la rilevanza effettiva e/o potenziale del
fattore tempo quale indicatore di trasparenza, qualità e performance della pubblica
amministrazione si evince analizzando in modo sistematico non solo le leggi
menzionate, ma anche gli strumenti di programmazione strategica amministrativa che
ciascuna amministrazione deve adottare in attuazione di tali norme:
1. il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità 37, attualmente
previsto come apposita sezione del Piano di cui al punto seguente;
2. il Piano triennale della prevenzione della corruzione, da adottare sulla
base di un piano nazionale anticorruzione, che ha la funzione di fornire una valutazione
35 La CiVIT ha già trasmesso, a settembre 2013, all’ARAN un elenco delle iniziative e dei
procedimenti in corso al 31 agosto 2013 in corso nell’ambito della performance, dando conto del livello di attuazione dei piani e relazioni sulla performance della CiVIT e degli OIV, nonché i rapporti sul monitoraggio del ciclo delle performance.
36 La CiVIT ha già trasmesso, a settembre 2013, l’elenco delle iniziative e delle procedure in corso nell’ambito della qualità dei servizi pubblici.
37 Previsto dal d.lgs. n. 150/2009 come modificato dal d.lgs. 33/2013. Si v. anche CiVIT, delibera n. 105/2010, Linee guida per la predisposizione del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità; delibera n. 2/2012, Linee guida per il miglioramento della predisposizione e dell’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità e delibera n. 50/2013 Linee guida per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2014-2016. Il collegamento fra il Piano triennale di prevenzione della corruzione e il Programma triennale per la trasparenza e l’integrità è assicurato dal Responsabile della trasparenza le cui funzioni, secondo quanto previsto dall’art. 43, c. 1, del d.lgs. n. 33/2013, sono svolte, di norma, dal Responsabile per la prevenzione della corruzione, di cui all’art. 1, c. 7, della legge n. 190/2012.
188
del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di corruzione e di indicare gli
interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio38;
3. il Piano triennale della performance che individua gli indirizzi e gli
obiettivi strategici ed operativi e definisce, con riferimento agli obiettivi finali ed
intermedi ed alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della
performance dell'amministrazione, nonché gli obiettivi assegnati al personale
dirigenziale ed i relativi indicatori e la relazione sulla performance che deve
evidenziare, con riferimento all’anno precedente, i risultati organizzativi e individuali
raggiunti rispetto agli obiettivi programmati nonché in relazione alle risorse disponibili,
con evidenziazione di eventuali scostamenti39.
4.1. Il tempo dei procedimenti come indicatore di trasparenza dell’azione
amministrativa
Recenti disposizioni normative hanno previsto una serie di obblighi di
informazione che ciascuna amministrazione deve rispettare, pubblicando sul proprio sito
web, in un’apposita sezione denominata “Valutazione, trasparenza e merito” (oggi,
Amministrazione trasparente), una serie di dati, informazioni e documenti relativi
all'organizzazione e all'attività amministrativa, inclusi quelli sui tempi procedimentali.
Gli obblighi di pubblicazione sono funzionali a garantire la massima trasparenza
dell’azione amministrativa, intesa come accessibilità totale delle informazioni delle
pubbliche amministrazioni in quanto, se attuati, consentono una sorta di controllo
diffuso sull’organizzazione e l’attività amministrativa. A tali obblighi infatti
corrisponde il diritto all’accesso civico, ovvero il diritto di chiunque di richiedere i
medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione, naturalmente nel
rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali 40.
38 Si v. la delibera n. 72/2013 del 11 settembre 2013, con cui la CiVIT – Autorità Nazionale
Anticorruzione ha approvato in via definitiva il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA). 39 Si v. la delibera CiVIT, quale Autorità Nazionale Anticorruzione, n. 6/2013, Linee guida
relative al ciclo di gestione della performance per l’annualità 2013. 40 Non c’è alcuna limitazione alla legittimazione soggettiva del richiedente e la richiesta,
gratuita, non deve essere motivata. La richiesta di accesso civica deve essere rivolta al responsabile della trasparenza dell’amministrazione che ha omesso la pubblicazione (il responsabile della trasparenza di norma coincide con il responsabile della prevenzione della corruzione). L’amministrazione inadempiente, entro 30 giorni, procede alla pubblicazione nel sito del documento, del dato o dell’informazione e alla contestuale trasmissione al richiedente ovvero comunica al medesimo l’avvenuta pubblicazione indicando il collegamento ipertestuale. In caso di inadempimento, è previsto che operi il potere sostitutivo secondo
189
In particolare, il D.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 prevede che le amministrazioni
pubblichino, secondo quanto indicato dalla Delibera CiVIT n. 105/2010 e dalle Linee
guida del Garante per la Privacy del 2 marzo 2011, le seguenti informazioni:
→ dati informativi sull'organizzazione e i procedimenti, tra cui
l’elenco delle tipologie di procedimento svolte da ciascun ufficio di livello
dirigenziale non generale;
→ il termine per la conclusione di ciascun procedimento ed ogni
altro termine procedimentale;
→ il nome del responsabile del procedimento e l'unità organizzativa
responsabile dell'istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale,
nonché dell'adozione del provvedimento finale e le scadenze e modalità di
adempimento dei procedimenti individuati ai sensi degli articoli 2 e 4 della
legge n. 241 del 199041.
Sulla base di un’analisi a campione svolta dalla CiVIT sui siti istituzionali dei
Ministeri per verificarne il livello di compliance e valutarne la qualità rispetto ad alcuni
dati particolarmente significativi, è emerso, in convergenza con le valutazioni degli
Organismi Indipendenti di Valutazione (OIV) che gli inadempimenti più evidenti
riguardano proprio gli obblighi relativi alla pubblicazione dei tempi dei procedimenti e
dei tempi medi di pagamento che non sono affatto pubblicati o sono pubblicati in forma
largamente incompleta e non aggiornata. La CiVIT rileva al riguardo che, se le norme
relative ai tempi di pagamento sono relativamente recenti, il principio del termine del
le modalità previste all’art. 2, comma 9 bis l. n. 241/1990, per cui il richiedente può rivolgersi all’organo di governo individuato nell’ambito delle figure apicali o, in mancanza, al dirigente generale, al dirigente preposto all’ufficio o al funzionario di più elevato livello nell’amministrazione
41 È richiamato peraltro il D. Lgs. 82/2005 Codice dell’amministrazione digitale, art. 54 (in vigore dal 20 ottobre 2012), in base al quale i siti delle pubbliche amministrazioni devono contenere necessariamente i seguenti dati pubblici: a) l'organigramma, l'articolazione degli uffici, le attribuzioni e l'organizzazione di ciascun ufficio anche di livello dirigenziale non generale, i nomi dei dirigenti responsabili dei singoli uffici, nonché il settore dell'ordinamento giuridico riferibile all'attività da essi svolta, corredati dai documenti anche normativi di riferimento; b) l'elenco delle tipologie di procedimento svolte da ciascun ufficio di livello dirigenziale non generale, il termine per la conclusione di ciascun procedimento ed ogni altro termine procedimentale, il nome del responsabile e l'unità organizzativa responsabile dell'istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell'adozione del provvedimento finale, come individuati ai sensi degli articoli 2, 4 e 5 della legge 7 agosto 1990, n. 241; c) le scadenze e le modalità di adempimento dei procedimenti individuati ai sensi degli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241
190
procedimento e l’obbligo delle amministrazioni di verificarne il rispetto esistono da
oltre venti anni, a tutela di un forte interesse all’informazione da parte dei cittadini42.
L’attuazione degli obblighi di pubblicazione dei dati sui tempi procedimentali,
sebbene ancora non completa, ha dato vita ad una mera attività di ricognizione e di
caricamento online dei dati esistenti sui tempi procedurali previsti dalle differenti
norme. Da una parte, tale operazione, quando portata a compimento, ha indubbi
vantaggi nell’ottica di garantire la trasparenza verso i cittadini e le imprese e di
consentire alla PA di avere contezza di alcuni dati rilevanti sulla tempistica
amministrativa. Dall’altra, però, occorre un passaggio ulteriore al fine di rendere
l’azione amministrativa non solo più trasparente, ma anche più efficiente: la
pubblicazione dei dati procedurali dovrebbe preludere ad un’azione di monitoraggio
periodico e di successiva pubblicazione di dati sui tempi procedimentali, non solo
previsti, ma anche effettivi.
In tal senso sembra orientata la legislazione recente. In particolare, la l. n.
190/2012 (art. 1 comma 28) prevede che le amministrazioni provvedano al
monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali e alla tempestiva
eliminazione delle anomalie e pubblichino i risultati del monitoraggio nel sito web
istituzionale.
In questa norma, dunque, ciò che rileva non è tanto l’obbligo di pubblicazione dei
dati sui termini procedurali di conclusione dei procedimenti amministrativi - obbligo
che potrebbe essere adempiuto pubblicando i regolamenti sulla fissazione dei termini
procedimentali – quanto i risultati di un’attività di monitoraggio sul rispetto dei termini
procedurali. Il monitoraggio dei tempi procedimentali arricchisce l’attività richiesta alle
pubbliche amministrazioni che oltre alla ricognizione, alla raccolta e alla pubblicazione
dei dati, si devono occupare di controllare regolarmente il rispetto della tempistica
procedurale dandone contro sui siti istituzionali.
42 Si v. in proposito CIVIT, Per una semplificazione della trasparenza. Esiti della consultazione
sugli obblighi di pubblicazione previsti in materia di trasparenza ed integrità , Dicembre 2012; CIVIT, Relazione sulla performance delle amministrazioni centrali anno 2011, Dicembre 2012; CIVIT, Rapporto sulla trasparenza negli enti pubblici nazionali, Dicembre 2012; CIVIT, Rapporto sulla trasparenza nei Ministeri, Agosto 2012; CIVIT, Sintesi sulla legislazione di adeguamento da parte delle Regioni ai principi del d. lgs. n. 150 del 2009, giugno 2011.
191
La ratio anti-corruzione della legge in esame spiega perché gli obblighi di
pubblicazione e contestuale monitoraggio riguardano solo alcune tipologie procedurali,
maggiormente esposte al rischio corruttivo:
-‐ i procedimenti di autorizzazione o concessione;
-‐ i procedimenti di scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e
servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture;
-‐ i procedimenti di concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi,
ausili finanziari, nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a
persone ed enti pubblici e privati;
-‐ i concorsi e le prove selettive per l'assunzione del personale e progressioni di
carriera.
Nella stessa direzione si muove il decreto legislativo n. 33/2013, adottato al fine
di unificare in un unico testo normativo l’intera disciplina in materia di obblighi di
trasparenza e pubblicità, in base al quale le pubbliche amministrazioni e gli enti privati a
controllo pubblico devono raccogliere e pubblicare i dati sulla tempistica dei
procedimenti amministrativi, organizzarli, aggiornarli e monitorarli periodicamente. In
base a tale decreto, oltre al monitoraggio periodico dei tempi procedimentali, si prevede
anche la pubblicazione dei risultati di tale monitoraggio, specialmente quello effettuato
ai sensi dell'articolo 1, comma 28, della legge 6 novembre 2012, n. 190.
Il decreto peraltro obbliga ciascuna amministrazione a predisporre sul proprio sito
web un’apposita sezione denominata «Amministrazione trasparente» (in sostituzione
della sezione Trasparenza, valutazione emerito), divisa in apposite sotto-sezioni
omogenee tra loro, al fine di una pubblicazione uniforme di tutti i dati e le informazioni
comprese quelle sull’organizzazione e l’attività amministrativa. L’omogeneità
nell’organizzazione dei dati da pubblicare agevola la trasparenza amministrativa e
consente un raffronto tra amministrazioni e, all’interno della stessa amministrazione, tra
organi interni.
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I dati relativi alla tempistica procedurale, inclusi quelli sui risultati del
monitoraggio periodico dei tempi procedimentali, devono essere inclusi nella sotto-
sezione «Attività e procedimenti», come riportato nella seguente tabella43.
Attività e procedimenti
Dati aggregati attività amministrativa
Tipologie di procedimento Monitoraggio dei tempi procedimentali Dichiarazioni sostitutive e acquisizione d’ufficio dei dati
Con riferimento agli obblighi di pubblicazione dei dati aggregati relativi
all'attività amministrativa, si prevede che le pubbliche amministrazioni organizzino, a
fini conoscitivi e statistici, i dati in forma aggregata - per settori di attività, per
competenza degli organi e degli uffici, per tipologia di procedimenti - li pubblichino e
poi li tengano costantemente aggiornati.
Le tipologie procedimentali devono essere pubblicate in formato tabellare e per
ciascuna tipologia deve essere indicato il termine previsto dalla normativa per la
conclusione del procedimento e ogni altro termine rilevante, nonché il nome del
soggetto a cui è attribuito, in caso di inerzia, il potere sostitutivo e le modalità per
attivare tale potere, con indicazione dei recapiti telefonici e delle caselle di posta
elettronica istituzionali.
Gli adempimenti sulla trasparenza, il monitoraggio e l’aggiornamento dei dati,
specialmente quelli sui tempi procedurali, devono essere curati in maniera tempestiva e
funzionale alle esigenze dei cittadini e delle imprese che peraltro hanno a disposizione
una serie di strumenti per rimediare e far sanzionare l’inosservanza del termine di
conclusione del procedimento, quale da ultimo l’ipotesi dell’indennizzo da ritardo (v. §
7).
43 L'elenco dei contenuti indicati per ogni sotto-sezione sono da considerarsi i contenuti minimi,
ma possono essere comunque inseriti altri contenuti, riconducibili all'argomento ritenuti utili per garantire un maggior livello di trasparenza. Eventuali ulteriori contenuti da pubblicare ai fini di trasparenza e non riconducibili a nessuna delle sotto-sezioni indicate devono essere pubblicati nella sotto-sezione "Altri contenuti". Nel caso in cui sia necessario pubblicare nella sezione "Amministrazione trasparente" informazioni, documenti o dati che sono già pubblicati in altre parti del sito, è possibile inserire, all'interno della sezione "Amministrazione trasparente", un collegamento ipertestuale ai contenuti stessi, in modo da evitare duplicazione di informazioni all'interno del sito dell'amministrazione. L'utente deve comunque poter accedere ai contenuti di interesse dalla sezione "Amministrazione trasparente" senza dover effettuare operazioni aggiuntive.
193
In base ad un recente monitoraggio a campione effettuato sullo stato di attuazione
degli obblighi di trasparenza da parte dei Comuni più importanti, risulta che circa il
30% degli enti non ha ancora adeguato il proprio sito ed utilizza ancora la sezione
«Trasparenza, valutazione e merito». Il 70% degli enti (sulla stessa linea le Regioni e
alcune esperienze provinciali44) sono stati adempienti, ma di questa percentuale solo il
30% ha strutturato le sezioni così come indicato nell’allegato a del d.lgs. n. 33/201345.
Occorre agire per una celere e corretta attuazione degli obblighi di pubblicazione
dei dati, specialmente quelli sui tempi dei procedimenti amministrativi, sul sistema delle
responsabilità e dei poteri sostitutivi in caso di inosservanza, non solo per una maggiore
trasparenza dell’azione amministrativa rispetto ai cittadini, alle imprese e agli
investitori, ma anche per una più efficace accountability dei dipendenti, funzionari e
dirigenti pubblici, i quali hanno l’occasione di trasformare un obbligo di legge in
un’opportunità di razionalizzare e rendere più efficiente l’azione amministrativa,
analizzando l’attività svolta, individuando i mal funzionamenti, tagliando i tempi
laddove possibile, anche grazie all’uso di nuove tecnologie e digitali e strumenti
informatici.
4.2. I tempi di erogazione dei servizi come indicatore e standard di qualità
Le pubbliche amministrazioni sono obbligate a pubblicare informazioni, dati e
documenti relativi ai servizi erogati46, in particolare:
-‐ le informazioni sulla dimensione della qualità dei servizi erogati;
44 Si pensi alla Provincia di Roma che già dal 2009 ha pubblicato i dati relativi ai tempi medi di conclusione dei procedimenti ed erogazione dei servizi, mettendoli poi a confronto. Nel 2011, oltre il 96,17% dei procedimenti censiti, per cui è previsto da norme legislative o regolamentari un termine di conclusione, sono stati conclusi entro tale termine, conseguendo un miglioramento rispetto alla performance rilevata nell’anno 2010, imputabile sia ad un processo di miglioramento delle procedure legato alla Delibera del Consiglio n. 42/2010 Regolamento per la disciplina dei procedimenti amministrativi, sia alle innovazioni organizzative e procedurali che, messe in atto dalle strutture competenti anche con l’ausilio delle nuove tecnologie, consentono di razionalizzare e velocizzare l’intero iter procedimentale.
45 Si v. la circolare n. 2/2013 del 19 luglio 2013 della Presidenza del Consiglio dei Ministrati – Dipartimento della funzione pubblica. Per la verifica dell’effettività degli adempimenti in materia di trasparenza per l’anno 2013, la CiVIT si avvale delle attestazioni degli Organismi Indipendenti di Valutazione (OIV) o delle strutture che svolgono funzioni analoghe, che agiscono in collaborazione con i Responsabili della trasparenza, i quali sono tenuti a fornire tutte le informazioni necessarie a esaminare l’effettività e la qualità dei dati pubblicati. In tal senso si v. CiVIT, delibera 71/2013, Attestazioni OIV sull’assolvimento di specifici obblighi di pubblicazione per l’anno 2013 e attività di vigilanza e controllo della Commissione, del 1 agosto 2013.
46 Ai sensi dei principi di cui all'articolo 11 del Decreto legislativo n. 150 del 2009 e delle indicazioni di cui alla Delibera CiVIT n. 88 del 24 giugno 2010.
194
-‐ la carta della qualità dei servizi del soggetto erogatore del servizio;
-‐ i tempi medi di definizione dei procedimenti e di erogazione dei servizi con
riferimento all’esercizio finanziario precedente (articolo 23, comma 5, lettera b) della
legge n. 69/2009);
-‐ i dati relativi alle buone prassi in ordine ai tempi per l’adozione dei
provvedimenti e per l’erogazione dei servizi al pubblico (articolo 23, commi 1 e 2, della
legge n. 69/2009).
La pubblicazione di tali dati rileva non solo ai fini della trasparenza in materia di
servizi pubblici, in quanto la tempestività della prestazione pubblica erogata e i tempi di
risposta ai cittadini e alle imprese diventano parametro e standard di qualità e
performance dei servizi delle pubbliche amministrazioni centrali, regionali e locali47.
Con il d.lgs. n. 33/2013 (art. 32) si prevede, inoltre, che le pubbliche
amministrazioni individuino i servizi erogati agli utenti e pubblichino:
a. i costi contabilizzati, evidenziando quelli effettivamente sostenuti
e quelli imputati al personale per ogni servizio erogato e il relativo
andamento nel tempo;
b. i tempi medi di erogazione dei servizi (per ogni servizio erogato)
agli utenti, sia finali che intermedi, con riferimento all'esercizio finanziario
precedente. (da pubblicare ogni anno e in formato tabellare).
Inoltre, il fattore tempo rileva anche con specifico riferimento alle prestazioni
sanitarie perché l’art. 41, comma 6 stabilisce che gli enti, le aziende e le strutture
pubbliche e private che erogano prestazioni per conto del Servizio sanitario sono tenuti
ad indicare nel proprio sito, in un’apposita sezione denominata «Liste di attesa», i tempi
di attesa previsti e i tempi medi effettivi di attesa per ciascuna tipologia di prestazione
erogata48. Ciò consentirebbe ai cittadini di conoscere in anticipo la struttura che può
47 Con riferimento alle regioni, la CiVIT, Sintesi sulla legislazione di adeguamento da parte
delle Regioni ai principi del d. lgs. n. 150 del 2009, giugno 2011, rileva che generalmente non sono presenti previsioni specifiche in merito alla definizione degli standard di qualità e alle carte dei servizi. In alcuni casi, la qualità è menzionata tra le finalità della legge. In un caso (Sicilia) si prevede che i dati relativi al rispetto dei termini di conclusione del procedimento e all’ammontare delle somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno costituiscono parametri di valutazione della performance e della qualità dei servizi.
48 Su un’analisi a campione effettuata sui siti istituzionali di cinque Aziende sanitarie (Asl Bergamo; Asl 2 Liguria; Usl 5 Pisa; Asl Salerno; Azienda sanitaria Prov. R. Calabria) e riportata in Il Sole 24 Ore del 16 settembre 2013, Ministeri ed enti locali si aprono alla trasparenza, p. 11, emerge che nessuna delle cinque realtà esaminate ha pubblicato i tempi previsti per ciascuna prestazione e solo l’Asl di Bergamo ha pubblicato i tempi medi per ogni prestazione nelle singole strutture, divisi per classi e
195
erogare più velocemente la prestazione sanitaria d’interesse e accorciare, dunque, i
tempi di attesa in un settore delicato e fondamentale quale quello della salute dell’uomo.
I dati devono poi essere raccolti in un’apposita sotto-sezione sui servizi erogati,
strutturata secondo il seguente schema.
Servizi erogati
Carta dei servizi e standard di qualità Costi contabilizzati Tempi medi di erogazione dei servizi Liste di attesa
In tale contesto, è particolarmente interessante il decreto del MISE del 28 maggio
2012 con cui si individuano i servizi e i relativi standard qualitativi del Ministero,
nonché l'organo a cui notificare la diffida del ricorrente ai sensi dell'articolo 3 del
decreto legislativo n. 198 del 2009. I servizi erogati, con indicazione dei responsabili,
delle dimensioni della qualità adottate, degli indicatori e dei valori standard, nonché i
risultati del monitoraggio ed i successivi aggiornamenti ed implementazioni sono
pubblicati sul sito web del Ministero e comunicati alla CiVIT entro il 31 gennaio di ogni
anno.
In tale decreto, la tempestività nell’erogazione dei servizi costituisce una delle
dimensioni fondamentali che deve essere garantita insieme all’accessibilità, l’efficacia e
la trasparenza. Il fattore tempo rileva, in particolare, come indicatore e standard di
qualità, nell’ottica di stabilire uno specifico target di tempo per ciascun servizio. Ad
esempio, il MISE individua i seguenti servizi alle imprese e, per ciascun servizio,
stabilisce la differente rilevanza e misurazione del tempo49.
1. Servizio assistenza e supporto alle imprese in materia di lotta alla
contraffazione,
-‐ indicatore di qualità: tempo di risposta alla richiesta assistenza;
percentuali. Nel caso della Asl di Savona, invece, si rimanda ai dati della Regione, senza alcuna articolazione per struttura. Nel caso della Usl 5 di Pisa, esiste solo il titolo, ma ancora non sono stati inseriti i contenuti. Nel caso, infine, di Reggio Calabria, mancano del tutto sia i dati sui tempi previsti, sia quelli sui tempi effettivi.
49 Nel rapporto individuale sull’avvio del ciclo delle performance 2012 del MISE, la CiVIT ha rilevato che “risulta positiva l’individuazione dell’elenco delle principali tipologie di procedimento, del termine per la conclusione di ciascun procedimento ed ogni altro termine procedimentale, del nome del responsabile del procedimento e l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria, nonché dell’adozione del procedimento finale. Per alcuni di questi procedimenti potrebbero essere adottati standard di tempestività migliorativi rispetto ai termini procedimentali di legge".
196
-‐ modalità di misurazione (formula): tempo tra la data di ricezione richiesta
assistenza e quella di risposta;
-‐ standard di qualità: 1 settimana.
2. Servizio procedura di concessione dei brevetti per invenzione industriale,
-‐ indicatore di qualità n. 1: Tempo di trasmissione delle domande all’ufficio
europeo per la ricerca di anteriorità;
-‐ modalità di misurazione (formula): Tempo intercorrente tra la ricezione delle
domande e la trasmissione all’EPO;
-‐ standard di qualità: 5 mesi.
-‐ Indicatore di qualità n. 2: Tempo di concessione del brevetto;
-‐ modalità di misurazione (formula): Tempo intercorrente tra la ricezione della
domanda di brevetto e la concessione o rigetto del brevetto;
-‐ standard di qualità: 24 mesi.
3. Servizio riconoscimento qualifiche professionali.
-‐ Indicatore di qualità: tempo tra la presentazione della richiesta completa di tutta
la documentazione e l’emanazione del decreto direttoriale di riconoscimento;
-‐ modalità di misurazione (formula): Provvedimenti emanati entro i termini di
legge (120 giorni dal completamento della documentazione presentata)/n. totale delle
richieste di riconoscimento titoli (con esclusione delle richieste di riconoscimento per le
quali la documentazione richiesta non è stata fornita in maniera completa a seguito di
richiesta di integrazione);
-‐ standard di qualità (target): 100%.
Il caso del MISE mette in evidenza l’importanza del fattore tempo come
indicatore e standard di qualità dei servizi erogati o che s’intendono erogare e si pone in
linea con le recenti evoluzioni legislative sugli obblighi informativi da pubblicare online
sui siti istituzionali. Le altre amministrazioni non risultano sinora aver pubblicato dati,
informazioni o documenti specifici sui servizi erogati, con uno specifico rilievo e/o
focus sulla tempistica di erogazione dei servizi pubblici e sull’effettiva adozione della
tempestività delle prestazioni pubbliche quale indicatore e/o standard di qualità.
4.3. Il rispetto e la riduzione dei tempi: obiettivo strategico e indicatore di
performance amministrativa
197
In base alla recenti norme, le amministrazioni pubbliche sono tenute a raccogliere
e pubblicare dati sull’organizzazione e l’attività amministrativa, inclusi quelli sui tempi
(anche in valori di media) di conclusione dei procedimenti amministrativi, di
erogazione dei servizi pubblici e, come si vedrà nel paragrafo successivo, sui tempi
medi di pagamento. Le amministrazioni sono, inoltre, tenute ad aggiornare i dati e a
monitorarli periodicamente, pubblicando peraltro i risultati di tali attività sul sito web
istituzionale.
Le amministrazioni devono, dunque, innanzitutto effettuare una ricognizione dei
tempi previsti nelle norme di legge o nei regolamenti per la conclusione di ciascuna
tipologia procedimentale o per l’erogazione delle prestazioni inerenti i servizi pubblici.
Tale attività implica una fase di censimento e di analisi dei processi interni che ancora
in molte amministrazioni non è terminata o quanto meno non se ne dà rilevanza esterna.
Occorre però rilevare l’assenza quasi totale di dati sui tempi effettivi dei
procedimenti e di erogazione dei servizi e sugli scostamenti rispetto ai tempi previsti
nelle diverse fonti normative o regolamentari. L’obbligo di monitoraggio periodico dei
tempi e la pubblicazione dei relativi risultati dovrebbe essere l’occasione per sopperire a
tale mancanza, misurare i tempi effettivi, rimediare alle eventuali anomalie esistenti e
agire per una eventuale riduzione della tempistica.
La raccolta, la messa a sistema, la pubblicazione e il monitoraggio dei dati sui
tempi procedimentali – sia quelli previsti, sia quelli effettivi – può risultare funzionale
non solo alla trasparenza dell’azione amministrativa, ma anche all’efficienza e alla
produttività dell’organizzazione amministrativa in un’ottica di semplificazione per i
cittadini e le imprese.
Il rigoroso rispetto dei tempi procedimentali e di erogazione dei servizi, nonché la
riduzione dei tempi stessi, laddove possibile, dovrebbe, infatti, diventare un obiettivo
strategico delle pubbliche amministrazioni e un indicatore di performance organizzativa
e individuale, utile per la valutazione delle strutture pubbliche e del rendimento del
personale dipendente.
In questa prospettiva, il fattore tempo dovrebbe assumere un rilievo significativo
nel ciclo di gestione della performance, nel piano triennale delle performance e nel
sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa e individuale. In
parte, ciò avviene già, poiché il fattore tempo è considerato ai fini del contenimento e
198
della riduzione dei costi ed ha uno specifico rilievo in termini di efficiente impiego delle
risorse pubbliche e di ottimizzazione dei tempi dei procedimenti amministrativi.
Nell’ambito del sistema di valutazione delle performance delle strutture pubbliche
e del personale dipendente, il fattore tempo potrebbe rilevare non solo in connessione
con l’uso efficiente delle risorse pubbliche. Si potrebbe considerare un sistema di premi
e sanzioni che, sulla base dei dati raccolti e pubblicati, incentivi, ad esempio,
l’allineamento tra tempi teorici e tempi reali delle procedure; tempi (medi) per
l’istruttoria e tempi (medi) per l’adozione del provvedimento e/o la riduzione dei tempi
già previsti in disposizioni normative. Altri indicatori di produttività ed efficienza, legati
al fattore tempo, potrebbero essere individuati e sulla base di tali indicatori e dei risultati
ottenuti e pubblicati si potrebbe controllare e valutare più efficacemente la performance
amministrativa della struttura e/o dei dipendenti pubblici responsabili.
5. Il problema dei ritardi e le misure per la tempestività dei pagamenti
della pubblica amministrazione
In base a recenti studi50, risulta che in Italia i tempi di pagamento della pubblica
amministrazione verso i fornitori di beni e servizi sono più lunghi che nel settore privato
e superano di molto la media europea, pari a circa 65 giorni di ritardo51. L’Italia
rappresenta il fanalino di coda, insieme alla Grecia, perché la pubblica amministrazione
paga i fornitori in media in 180 giorni (90 giorni di ritardo, rispetto ai 90 giorni previsti
dal contratto), con picchi differenti a seconda delle aree geografiche e dei settori
considerati (500 - 600 giorni in alcune Regioni, soprattutto nel Sud e specialmente nel
settore sanitario).
Il problema del ritardo nei pagamenti è particolarmente grave perché ha
contribuito nel tempo alla formazione di un significativo stock di debiti della pubblica
amministrazione verso i privati, recentemente stimato dalla Banca d’Italia per un
importo pari a 91 miliardi di euro a fine 2011, su un campione di 4200 imprese con più
50 Prometeia – Intesa-SanPaolo; Rapporto Intrum Justitia Indagine European Payment Index
2012. 51 Il panorama europeo è piuttosto eterogeneo: ci sono paesi in cui la PA è puntuale nei
pagamenti (Finlandia, Svezia e Norvegia) o che in occasione della crisi hanno migliorato i termini di pagamento a favore delle imprese (Germania), o si sono dotati di una normativa per contenere i tempi di pagamento (Francia e Spagna). Fanno meglio dell’Italia in termini di pagamento dei propri fornitori anche Ungheria, Lituania, Romania, Bulgaria.
199
di 20 addetti. Circa la metà dell’importo di tali debiti è peraltro da attribuire alle Regioni
e alle ASL e si concentra specialmente nei settori della sanità, dell’edilizia, dei lavori
pubblici, delle costruzioni e dell’ICT.
Il problema dei ritardati pagamenti incide significativamente sull’attività delle
imprese e sulle prestazioni ai cittadini, contribuendo ad alimentare una crisi economica
e di competitività del tessuto imprenditoriale e sociale italiano, particolarmente rilevante
in una contingenza economica quale quella in cui si trova attualmente l’Italia. Sono
specialmente le piccole e medie imprese (PMI) che soffrono il fenomeno delle
insolvenze e dei ritardati pagamenti della PA, in termini di liquidità disponibile e
investimenti realizzabili. Secondo uno studio I-Com, il costo sostenuto dalle imprese
per mancata liquidità a causa del ritardo nei pagamenti ammonta a oltre 1,9 miliardi di
euro l’anno.
Nel solo settore dei lavori pubblici, la dimensione finanziaria dei ritardi di
pagamento della PA è stimata in circa 19 miliardi di euro e i tempi medi di pagamento
risultano di circa otto mesi, con punte di oltre tre anni, peraltro in costante crescita52.
Tali ritardi verso le imprese di costruzione sono per due terzi imputabili agli Enti locali,
principalmente Comuni, Province, Regioni e ASL e causati dai vincoli del Patto di
Stabilità Interno.
Dalle dimensioni del fenomeno dei ritardi nei pagamenti della PA, è evidente che
il tema della tempestività e della celerità delle procedure di pagamento della PA per
l’acquisto di beni e servizi è centrale non solo per un’efficiente azione amministrativa,
ma anche per un’adeguata politica economica ed industriale del Paese e per la tutela
delle situazioni giuridiche soggettive di cittadini, imprese e investitori.
È interessante, dunque, analizzare le misure adottate per rimediare, da una parte,
al problema dello smaltimento dei debiti pregressi della PA causati dai ritardati
pagamenti accumulati nel tempo e, dall’altra, le misure previste per accelerare i tempi
dei futuri pagamenti.
Sul versante delle misure adottate per risolvere il problema dello stock di debito
pregresso, accumulato soprattutto a causa dei ritardi nei pagamenti, il Governo è
intervenuto inizialmente con quattro decreti ministeriali, di cui due, adottati dal Ministro
dell’economia e delle finanze, concernono la certificazione di crediti scaduti,
52 Elaborazioni ANCE su documenti ufficiali, riportati in Il Sole 24 Ore del 24 gennaio 2013.
200
rispettivamente, nei confronti delle amministrazioni centrali, inclusi gli enti pubblici
nazionali, le Regioni e gli Enti locali (compresi gli enti del Servizio sanitario) 53.
I problemi di tempistica nei pagamenti pubblici risultano legati soprattutto alla
procedura di certificazione dei crediti delle imprese verso la PA, condizione necessaria
per rendere un credito certo, liquido ed esigibile. Al fine di agevolare il processo di
certificazione dei crediti, di registrazione delle successive operazioni e di verifica da
parte del sistema bancario, è stata istituita un’apposita piattaforma telematica,
predisposta dalla Ragioneria Generale dello Stato e operativa dal 18 ottobre 2012, alla
quale le pubbliche amministrazioni devono registrarsi.
A febbraio 2012, risultano iscritte solo 1.227 amministrazioni, di cui 900 Comuni
del Centro Nord e solo 70 enti del servizio sanitario nazionale54. Dalla relazione del
Garante delle Micro e delle PMI, risulta inoltre una scarsa attività di certificazione che
ha riguardato solo 71 casi per un ammontare di 2,9 milioni di euro, a fronte di 467
istanze presentate per 45 milioni, con cinque casi in cui è stata chiesta la nomina di un
commissario ad acta.
È possibile rilevare, dunque, un ritardo da parte delle amministrazioni pubbliche
sia nella ricognizione dei debiti, sia nella registrazione alla piattaforma informatica,
anche perché non sono state previste specifiche sanzioni, con la conseguenza che
l’introduzione della piattaforma elettronica non ha consentito di accelerare le procedure
di certificazione dei crediti verso la PA55.
Per rimediare a tale situazione di scarsa e tempestiva attuazione, è stato adottato il
decreto legge 8 aprile 2013, n. 35, Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti
scaduti della pubblica amministrazione56, in cui si prevedono specifiche misure per il
53 I decreti ministeriali del 22 maggio 2012 (Enti statali) e del 25 giugno 2012 (Regioni, Enti
locali e enti del S.S.N.), attuativi dell’articolo 9 del decreto-legge n. 185/2008 e s.m.i., sono entrati in vigore a luglio 2012. Sul tema si v. anche Degni M., Ferro P., I tempi e le procedure dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche, Relazione annuale al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali alle imprese e ai cittadini, CNEL, Roma, novembre 2011.
54 Si v. i decreti ministeriali del MEF del 22 maggio 2012 e del 25 giugno 2012. È stato inoltre creato un apposito sito web consultabile all’indirizzo http://certificazionecrediti.mef.gov.it/CertificazioneCredito/home.xhtml.
55 Secondo i dati resi noti l’11 febbraio 2013 dal Ministro dello Sviluppo Economico, tre milioni di euro sono stati certificati con la piattaforma elettronica messa a disposizione dalla Consip a partire dall’ottobre 2012.
56 Convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, l. 6 giugno 2013, n. 64.
201
pagamento dei debiti della pubblica amministrazione maturati al 31 dicembre 2012 ed in
materia di certificazione dei crediti.
In particolare, l’art. 7 (Ricognizione dei debiti contratti dalle pubbliche
amministrazioni) impone alle amministrazioni pubbliche - ai fini della certificazione
delle somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti - di registrarsi sulla
piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni e la
mancata registrazione è rilevante ai fini della misurazione e della valutazione della
performance individuale dei dirigenti responsabili e comporta responsabilità
dirigenziale e disciplinare. I dirigenti responsabili sono assoggettati, altresì, ad una
sanzione pecuniaria pari a 100 euro per ogni giorno di ritardo nella registrazione sulla
piattaforma elettronica 57 . Si stabilisce così un forte incentivo a provvedere alla
registrazione nella piattaforma informatica, in quanto fase propedeutica alla
certificazione e, infatti, al 3 maggio 2013, ovvero a due settimane dopo la scadenza del
termine perentorio - gli enti registrati risultano:
-‐ 5.000 Comuni su 8.082 (il 62%) e 75 Unioni di Comuni;
-‐ 89 Province su 107 (83%);
-‐ 18 Regioni e Province autonome su 22 (82%);
-‐ 1.100 amministrazioni centrali di cui 6 provveditorati interregionali alle opere
pubbliche su 11;
-‐ 85 ASL.
Le pubbliche amministrazioni debitrici devono, inoltre, comunicare a partire dal
1° giugno 2013 ed entro il termine del 15 settembre 2013, utilizzando la piattaforma
elettronica, l'elenco completo dei debiti certi, liquidi ed esigibili, maturati alla data del
31 dicembre 2012, con l'indicazione dei dati identificativi del creditore58. Il mancato
adempimento da parte delle pubbliche amministrazioni debitrici rileva ai fini della
misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili
e comporta responsabilità dirigenziale e disciplinare.
57 100 euro di sanzione per i responsabili finanziari degli Enti locali che non sono riusciti ad
accreditare il proprio ente alla piattaforma elettronica dell'Economia per la certificazione dei debiti nei confronti dei fornitori.
58 Il termine del 15 settembre per la comunicazione completa dei crediti certi, liquidi ed esigibili (maturati al 31 dicembre 2012 e non ancora estinti) non risulta essere stato rispettato soprattutto da Regioni ed Enti locali, in ritardo nel comunicare i dati sulla piattaforma elettronica del Tesoro che consente la gestione telematica del rilascio delle certificazioni. Il censimento dei debiti commerciali della PA risulta, dunque, incompleto.
202
In caso di omessa, incompleta o erronea comunicazione da parte
dell'amministrazione pubblica di uno o più debiti, il creditore può, inoltre, richiedere
all'amministrazione stessa di correggere o integrare la comunicazione del debito e,
decorsi 15 giorni dalla data di ricevimento della richiesta senza che l'amministrazione
abbia provveduto ovvero espresso un motivato diniego, il creditore può presentare
istanza di nomina di un Commissario ad acta, mediante la piattaforma elettronica59.
Il meccanismo descritto risulta oggi funzionante, anche se sarà interessante
verificare non solo il rispetto dei molteplici termini perentori stabiliti ex lege, ma anche
l’effettiva attuazione del sistema sanzionatorio previsto in caso non si garantisca la
tempestività della procedura di ricognizione dei debiti, registrazione sulla piattaforma e
certificazione dei crediti60.
Ulteriori misure in tema di tempi dei pagamenti della PA sono state adottate
nell’ordinamento nazionale in attuazione della normativa europea nell’ottica di ridurre i
tempi delle future transazioni commerciali con le imprese e di evitare un ulteriore
accumulo di debito pubblico. In particolare, l’Italia ha adottato il d.lgs. 9 novembre
2012, n. 192 (che modifica il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231), con cui ha dato
attuazione alla Direttiva 2011/7/UE (che ha sostituito la precedente Direttiva
2000/35/CE), relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento che si applica, a partire dal
1 gennaio 2013, alle transazioni commerciali della PA61. Si deve rilevare che, a livello
nazionale, è stata adottata un’importante circolare del MISE del 23 gennaio 2013 che
include i settori dell’edilizia e dei lavori pubblici, tra i più colpiti dai ritardati pagamenti
59 Con la legge di conversione del decreto-legge n. 35 (l. n. 64/2013) si è previsto anche che
entro il 5 luglio 2013 le pubbliche amministrazioni devono pubblicare sul proprio sito internet l'elenco completo, per ordine cronologico di emissione della fattura o della richiesta equivalente di pagamento, dei debiti per i quali è stata effettuata comunicazione, indicando l'importo e la data prevista di pagamento comunicata al creditore. La mancata pubblicazione è rilevante ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comporta responsabilità dirigenziale e disciplinare. I dirigenti responsabili sono assoggettati altresì ad una sanzione pecuniaria pari a 100 euro per ogni giorno di ritardo nella certificazione del credito.
60 Sui risultati delle misure adottate per lo smaltimento dei debiti pregressi della PA verso i fornitori, accumulati anche a causa dei ritardati pagamenti, si v. la Relazione sui debiti delle pubbliche amministrazioni, allegato alla Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, 2013.
61 All’esito di un difficoltoso iter per il recepimento della direttiva europea, l’Italia ha preferito non riconoscere la retroattività delle norme con i nuovi termini di pagamento, in virtù dei potenziali effetti negativi sulla finanza pubblica dovuti alla prevedibile difficoltà delle amministrazioni pubbliche di pagare nei termini previsti a livello europeo e rispettare contestualmente gli stringenti vincoli previsti nel Patto di stabilità e crescita europeo (PSC) e nel Patto di Stabilità Interro (PSI) con riferimento a regioni ed enti locali.
203
delle pubbliche amministrazioni, nell’ambito di applicazione della nuova normativa
nazionale62.
La nuova disciplina sui tempi di pagamento delle transazioni commerciali tra
imprese e PA è particolarmente rigorosa e impone alla pubblica amministrazione
l’obbligo di pagare i fornitori entro 30 giorni dalla data di ricevimento della fattura (o di
richiesta di pagamento equivalente), oppure dalla data di ricevimento delle merci o di
prestazione dei servizi, oppure dall’accettazione o dalla verifica delle merci o dei servizi
(procedura che non può superare i trenta giorni di tempo, salvo diverso accordo espresso
e purché ciò non sia gravemente iniquo per il creditore).
I termini legali sono raddoppiati (60 giorni) per «enti pubblici che forniscono
assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tale fine» (ASL e
ospedali) e imprese pubbliche tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza delle
relazioni finanziarie. Nel settore sanitario, è possibile pagare a 60 giorni sulla base di
provate giustificazioni notificate alla Commissione europea.
Inoltre, le amministrazioni pubbliche possono stabilire, in modo espresso e con
clausola da provare per iscritto, termini superiori a trenta giorni solo «quando ciò sia
giustificato dalla natura o dall’oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al
momento della sua conclusione». In nessun caso, però, è consentito alle
amministrazioni pubbliche di concordare termini superiori a sessanta giorni, limite
massimo consentito dalla direttiva europea.
In caso di inadempimento, il soggetto pubblico che non ha rispettato la nuova
tempistica dovrà pagare interessi di mora pari a 8% da calcolare sul tasso fisso BCE, per
cui è molto importante che le amministrazioni pubbliche diano effettiva attuazione alle
norme per evitare, da un lato, di incrementare la spesa pubblica per interessi e,
dall’altro, di allungare i tempi di pagamento che andrebbero a formare nuovo debito
pubblico da aggiungere al pregresso.
Se l’impianto normativo è incoraggiante quantomeno per l’obiettivo, peraltro
imposto dall’Unione europea, di ridurre la tempistica dei pagamenti della PA e alcuni
risultati postivi siano stati effettivamente ottenuti per lo smaltimento del debito
62 In particolare, il MISE ha chiarito che la nuova tempistica per le transazioni commerciali della
PA si applica ai contratti pubblici relativi a tutti i settori produttivi, inclusi i lavori pubblici, stipulati a decorrere dal 1 gennaio 2013. Le norme contenute nel d.lgs. n. 192/2012 si devono peraltro ritenere prevalenti su quelle in tema di tempi e sanzioni contenute nel codice degli appalti pubblici, salve le norme del codice civile e delle leggi speciali, più favorevoli per il creditore.
204
pregresso, accumulato a causa dei ritardi amministrativi, non è altrettanto incoraggiante
il processo di attuazione della direttiva europea sulla tempistica dei pagamenti futuri.
Si pensi alla Regione Lazio che, quindici giorni dopo la pubblicazione sulla
«Gazzetta Ufficiale» del d.lgs. n. 192/2012, ha pubblicato sul bollettino regionale un
decreto commissariale, con cui è stato stabilito che per il 2013, le fatture ai fornitori di
beni e servizi di Asl e ospedali della Regione Lazio vanno liquidate entro 120 giorni,
con la rinuncia peraltro da parte delle imprese degli interessi maturati.
L’ANCE rileva, inoltre, che la direttiva europea rimane ancora in larga misura
disattesa nel settore dei lavori pubblici: i tempi di pagamento registrati sui nuovi
contratti sono fino a due o tre volte superiori a quelli fissati dall’Unione Europea.
Inoltre, si registra una riduzione dei bandi di gara o, in alcuni casi, la rinuncia a
sottoscrivere nuovi contratti dopo la pubblicazione di bandi, perché le amministrazioni
aggiudicatrici non sono in grado di rispettare i tempi previsti dalla normativa europea il
più delle volte per la mancanza delle risorse o per i vincoli del patto di Stabilità. In
spregio dello spirito e degli obblighi della normativa europea e nazionale, alcune
amministrazioni prevedono nei bandi o nei capitolati di gara termini di pagamento
superiori ai 60 giorni o la possibilità di dilazione dei tempi per l’emissione degli stati di
avanzamento lavori o ancora tassi di mora differenti da quello previsto
obbligatoriamente dalla norma (maggiorazione automatica dell’8%)63.
Tali evidenze caratterizzano in senso negativo il processo attuativo della
normativa nazionale ed europea. La realtà e la prassi amministrativa sono, dunque,
ancora ben lungi da una corretta e tempestiva attuazione degli obblighi di legge e sono,
invece, caratterizzate da molteplici situazioni dilatorie, derogatorie e/o speciali, al limite
del vessatorio, motivate per lo più dalla logica emergenziale e dalla scarsezza di risorse.
Sebbene siano evidenti e in parte plausibili le difficoltà pratiche di allinearsi alla nuova
stringente e rigorosa tempistica, occorre puntare su un processo di attuazione basato su
interventi strutturali e lungimiranti per rimediare e prevenire le cause dei ritardi che
hanno formato o che possano incrementare l’attuale stock dei debiti della PA verso i
privati.
63 Si v. ANCE, Attuazione della nuova direttiva europea sui ritardi di pagamento in Italia, in cui
si rileva peraltro che nel primo semestre 2013 è stato raggiunto il più alto livello dei ritardi di pagamento nel settore dei lavori pubblici, con un tempo medio di pagamento pari a 235 giorni. Si v. anche Pagamenti Pa sempre in ritardo, in Il Sole24Ore del 23 settembre 2013, 9.
205
5.1. L’indicatore di tempestività e l’obbligo informativo sui pagamenti della
pubblica amministrazione
In base alla l. n. 69/2009, l’amministrazione pubblica oltre a dover dar conto della
tempistica seguita per ciascun procedimento, deve anche determinare e pubblicare, con
cadenza annuale, nel proprio sito internet o con altre forme idonee, un indicatore dei
propri tempi medi di pagamento relativi agli acquisti di beni, servizi e forniture,
denominato «indicatore di tempestività dei pagamenti». Tale indicatore è legato alla
«gestione economico finanziaria», piuttosto che al tema dell’organizzazione e
dell’attività amministrativa.
Per la specificazione dell’indicatore, il legislatore ha previsto l’adozione di un
apposito decreto interministeriale ancora da adottare, per cui la maggior parte delle
amministrazioni pubbliche non ha ancora dato seguito alla disposizione legislativa64. In
attesa del provvedimento attuativo, la CiVIT ha istituto un Tavolo tecnico di
approfondimento e di confronto, con lo scopo di offrire alle amministrazioni pubbliche
gli strumenti idonei alla realizzazione di quanto richiesto dalle norme, convocando i
Responsabili della trasparenza di tutti i Ministeri ed un rappresentante del Dipartimento
della Funzione pubblica (DFP), con il compito di effettuare una ricognizione ed
un’istruttoria sulle principali problematiche per l’elaborazione dell’indicatore e per
sollecitare il DFP all’adozione del decreto attuativo.
Il decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, Ulteriori misure urgenti per la crescita
del Paese65, ha recepito la proposta avanzata dai partecipanti al Tavolo tecnico di
avvalersi delle funzionalità del sistema informativo SICOGE (sistema di contabilità
generale), tramite cui la Ragioneria Generale dello Stato66 gestisce in modo integrato la
contabilità economica e finanziaria delle amministrazioni pubbliche. Tale sistema potrà
64 L’art. 5, comma 6, stabilisce che con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, sono definite le modalità di attuazione dell’obbligo informativo, avuto riguardo all’individuazione dei tempi medi ponderati di pagamento con riferimento, in particolare, alle tipologie contrattuali, ai termini contrattualmente stabiliti e all’importo dei pagamenti.
65 Convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, l. 17 dicembre 2012, n. 221. 66 Si v. l’art. 15 pagamenti elettronici comma 3, in cui si prevede che “al fine di dare piena
attuazione a quanto previsto in materia di pubblicazione dell'indicatore di tempestività dei pagamenti relativi agli acquisti di beni, servizi e forniture dall'articolo 23, comma 5, lettera a), della legge 18 giugno 2009, n. 69, secondo le modalità di attuazione che saranno stabilite con il decreto di cui al comma 6 del medesimo articolo, tutte le amministrazioni centrali dello Stato, incluse le articolazioni periferiche, si avvalgono delle funzionalità messe a disposizione dal sistema informativo SICOGE”.
206
essere ora utilizzato anche ai fini della elaborazione dei dati relativi ai tempi medi di
pagamento per acquisti di beni, servizi e forniture.
Con il recente d.lgs. n. 33/2013, è stato ribadito l’obbligo di pubblicazione, nella
sezione «Amministrazione trasparente», dei tempi di pagamento dell’amministrazione,
prevedendo all’art. 33 che le pubbliche amministrazioni pubblichino, con cadenza
annuale, un indicatore dei propri tempi medi di pagamento relativi agli acquisti di beni,
servizi e forniture, denominato: «indicatore di tempestività dei pagamenti, secondo la
seguente tabella che mira a rendere omogenea la pubblicazione e, dunque, la fruibilità
dei dati in materia.
Pagamenti dell’amministrazione
Indicatore di tempestività dei
pagamenti
IBAN e pagamenti informatici
Con riferimento all’attuazione concreta dell’obbligo informativo in esame, la
CiVIT ha rilevato che non risultano ancora adottate le disposizioni di attuazione per i
tempi medi di pagamento. Per i Ministeri, si rileva un totale inadempimento
dell’obbligo di pubblicazione dell’indicatore, imputabili alla scarsa attitudine e
all’assenza di prassi in materia. Un benchmark potrebbe essere fornito dall’esperienza
della stessa CiVIT che ha utilizzato come descrizione dell’indicatore sia la media
aritmetica dei tempi di pagamento (tempo intercorso tra la ricezione della fattura e
l'emissione del relativo mandato), sia la media pesata dei tempi di pagamento (tempo
intercorso tra la ricezione della fattura e l'emissione del relativo mandato) pesata in
modo direttamente proporzionale all'importo dei mandati.
Nell’ambito dei lavori presso il CNEL per la predisposizione della prima
Relazione annuale al Parlamento e al Governo sul livello e la qualità dei servizi erogati
dalle amministrazioni pubbliche a imprese e cittadini, sono stati individuati una serie di
indicatori di comportamento e finanziari la cui adozione potrebbe integrare quelli
207
individuati dalla CIVIT. In particolare, per quanto attiene i ritardi di pagamento, sono
stati suggeriti indicatori riguardanti: il tempo medio di pagamento rispetto alla data
della fattura o stato di avanzamento dei lavori; gli adempimenti dei responsabili della
spesa nei vari passaggi anche temporali della procedura di spesa e dei controlli; il grado
di soddisfazione delle imprese che forniscono beni e servizi alle pubbliche
amministrazioni nei confronti dei comportamenti delle stesse. Inoltre, si è proposto di
inserire il pagamento dei fornitori quale elemento vincolante per valutare -‐ nell’ambito
dei meccanismi di benchmark previsti dal decreto sul fisco regionale -‐ la virtuosità o
meno delle Regioni e, quindi, per definire meccanismi sanzionatori o premiali nella
distribuzione delle risorse.
L’elaborazione e la pubblicazione di un indicatore di tempestività dei pagamenti,
a cui sarebbe auspicabile si associassero anche i dati su fatture, mandati, tempi effettivi
di pagamento, certificazione dei crediti, potrebbe essere utile non sono al fine di
garantire la massima trasparenza dell’azione amministrativa nei confronti degli utenti,
ma anche a raccogliere le informazioni necessarie per elaborare una strategia tale da
monitorare e ridurre i tempi medi di pagamento della PA e dare impulso ad un effettivo
sistema di controlli e responsabilità dei dipendenti pubblici sull’efficacia dell’azione
amministrativa e sul buon uso delle risorse pubbliche.
In ambito regionale, si ha evidenza di alcune esperienze virtuose. La Regione
Piemonte e la Regione Toscana, ad esempio, hanno attuato quanto previsto dalla l. n.
69/2009 per garantire la tempestività dei pagamenti delle somme dovute per
somministrazioni, forniture ed appalti, provvedendo anzitutto a monitorare
periodicamente i tempi di pagamento delle transazioni commerciali e determinando i
criteri ed i termini del monitoraggio. Ciò ha consentito di constatare i principali fattori
di ritardi e di intervenire sugli stessi, laddove imputabili a comportamenti scorretti
dell’amministrazione, con un generale miglioramento delle performance in termini di
riduzione della tempistica ed eliminazione della cause di ritardo. I tempi sono peraltro
migliorati più velocemente a seguito dell’utilizzo di apposite banche dati e della messa a
regime di nuove procedure telematiche e all'addestramento del personale al loro uso.
6. Innovazione tecnologica, amministrazione digitale e impatto sui
tempi di procedimenti e servizi
208
L’innovazione tecnologica e, in particolare, l’uso delle tecnologie
dell'informazione e delle comunicazioni (TIC) sono una leva fondamentale non solo per
lo sviluppo del Paese, in linea con l’Agenda digitale europea e l’Agenda digitale
italiana, ma anche per l’ammodernamento ed un efficiente funzionamento del settore
pubblico. L’introduzione e l’utilizzo da parte delle pubbliche amministrazioni di nuove
tecnologie, informatiche e digitali e, in definitiva, la digitalizzazione della pubblica
amministrazione consente o può agevolare risparmi di spesa pubblica, aumento di
produttività del lavoro e tagli dei tempi burocratici legati ai procedimenti amministrativi
(interni e finali) e all’erogazione e qualità dei servizi pubblici. L’impatto delle TIC è
positivo non solo in termini di tempi e costi di procedimenti e servizi, ma anche di
incremento della trasparenza dei dati e di semplificazione nei rapporti tra la pubblica
amministrazione ed il privato e tra le stesse pubbliche amministrazioni.
In tale prospettiva, è interessante analizzare l’art. 2 della l. n. 241/1990 in
connessione con le disposizioni contenute nel codice dell’amministrazione digitale
(CAD), in base al quale lo Stato, le Regioni e le autonomie locali devono assicurare la
disponibilità, la gestione, l'accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità
dell'informazione in modalità digitale e devono organizzarsi e agire a tale fine,
utilizzando con le modalità più appropriate le TIC per la realizzazione degli obiettivi di
efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e
partecipazione nel rispetto dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, nonché
per la garanzia dei diritti dei cittadini e delle imprese67.
Si deve però riscontrare un netto ritardo sia sul versante dell’alfabetizzazione della
popolazione nell’utilizzo di servizi digitali, sia nel processo di digitalizzazione della PA
italiana, in parte imputabile alla scarsa diffusione della banda larga e alla lentezza negli
investimenti per le infrastrutture di rete, comprese le reti di nuova generazione, che
consentirebbero servizi digitali innovativi e veloci.
In particolare, secondo il Digital Agenda Scoreboard 2013 - Italy della
Commissione europea, nel 2012, solo il 19% della popolazione italiana ha fatto uso di
internet per servizi di e-Government, molto lontano dalla media europea (44%), a
67 Si v. in particolare , l’art. 1 e l’art. 12 del d.lgs. 7.3.2005, n. 82 e s.m.e. Si v. anche il d. l. 18
ottobre 2012, n. 179, Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese" (c.d. decreto crescita 2), convertito con l. 17 dicembre 2012, n. 221, con cui è stato dato rafforzato il sistema digitale previsto nel CAD ed è stato dato un forte impulso al documento elettronico e al domicilio digitale, per cittadini e imprese, nonché alle misure in tema di sanità e giustizia digitale.
209
differenza delle imprese italiane, l’84% delle quali usa internet per entrare in contatto
con le autorità pubbliche (la media europea è dell’87%).
Quanto alla digitalizzazione della PA, negli ultimi dieci anni l’Italia ha compiuto
progressi significativi sul fronte della digitalizzazione dei processi interni e dei rapporti
tra la pubblica amministrazione, da un parte, e i cittadini e le imprese, dall’altra.
Si ha contezza dell’ampia diffusione delle tecnologie digitali nelle PA, e in
particolare la quasi totale digitalizzazione di scuole e Università, seguite da PA centrale
e Enti locali, leggendo la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e
Finanza 2013, in cui si ripercorrono gli esiti di un monitoraggio sullo stato di attuazione
del CAD, che ha visto coinvolte 1.497 Amministrazioni.
Nello stesso senso, sono interessanti i dati raccolti in una recente indagine Istat
(2013), concentrata sulle amministrazioni locali, in cui si riscontra un giudizio
sostanzialmente positivo sull’impatto delle nuove tecnologie sull’attività e
l’organizzazione amministrativa68.
Per alcune attività quali la gestione del protocollo, della contabilità, dei
pagamenti, dei tributi e, per i soli Comuni, dell’anagrafe e stato civile, risulta una buona
informatizzazione in rete, rispettivamente l’80,4%, il 77%, il 71,6% e il 70,5% e un
buon livello di integrazione tra diversi applicativi delle diverse attività gestionali di una
stessa amministrazione locale. Altre attività, quali la gestione del provveditorato, dei
contratti e delle gare di appalto risultano, invece, poco informatizzate in rete.
In generale, l’Istat riscontra una lenta crescita nell’utilizzo delle TIC (come
riportato nel seguente grafico, relativo ai dati 2012, in valori %) prendendo a
riferimento: PEC; utilizzo di internet tramite VoIP; e-procurement; Open Source; e-
learning e Cloud-comupting.
68 Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella pubblica amministrazione locale
(anno 2012). In tale indagine si rileva che, nel 2012, gran parte delle amministrazioni locali più grandi risultano dotate di uno specifico ufficio dedicato alle TIC: 21 Regioni e Province Autonome su 22; 80 Comuni su 100, con più di 60.000 abitanti, contro 6 Comuni ogni 100 tra quelli fino a 5000 abitanti. I principali ostacoli all’uso delle tecnologie sono stati individuati nella carenza di staff qualificato (59%); nell’elevata spesa per l’uso delle TIC (53,8%); nella mancanza di integrazione tra applicazioni (30,5%) e nella rigidità organizzativa al cambiamento da parte degli uffici pubblici (20,6%). L’Istat rileva, inoltre, che nonostante l'utilizzo capillare di tecnologie in banda larga, non tutte le amministrazioni usufruiscono di una velocità di connessione adeguata (ovvero almeno uguale o superiore a 2 Mbps): mentre le Regioni e le Province si collegano a una velocità contrattualmente in banda larga, tra i Comuni ciò avviene nel 75% dei casi. In particolare per i Comuni di alcune Regioni la discrasia tra tecnologia e velocità in banda larga si manifesta a livelli molto superiori alla media nazionale. La Toscana è la Regione con la percentuale maggiore di Comuni con reti locali wireless.
210
Istat, 2013
Anche se rimangono differenze sostanziali tra enti di diversa ampiezza
demografica, la crescente informatizzazione e il graduale utilizzo delle TIC consentono
non solo una maggiore offerta di servizi online, ma anche una progressiva riduzione dei
costi e dei tempi amministrativi.
Per quanto riguarda la disponibilità di servizi offerti online tramite sito web, nel
2012, il 90,5% delle amministrazioni ha dichiarato di consentire agli utenti l’accesso a
servizi di visualizzazione e/o acquisizione delle informazioni; il 75,9% (contro il 67,8%
del 2009) la possibilità di scaricare modulistica; il 36,7% (15,6% nel 2009) di inoltrarla
online e il 19,1% (7,6% nel 2009) di avviare e concludere per via telematica l’intero iter
relativo al servizio richiesto. Risulta, inoltre, che il 16,3% delle amministrazioni locali
(sulla stessa linea le Regioni) consente a cittadini e imprese di effettuare pagamenti
online (il 13% nel 2009), con diversa nel Nord-est (23,3%) e nei Comuni con oltre
60.000 abitanti (40,1%).
Analizzando l’offerta per specifica tipologia di servizio (si v. il seguente grafico),
risulta che le amministrazioni locali offrono online soprattutto i servizi relativi
all’imposta comunale sugli immobili (76,7% contro il 60,6% del 2009), alla tassa per lo
smaltimento dei rifiuti solidi urbani (61,9% contro il 53,1% del 2009) e ai certificati
anagrafici (57,2%), mentre tra i servizi meno presenti nell’offerta online si annovera la
211
scelta del medico di base (3,9%), la richiesta di esenzione dal ticket (5,9%) e il
pagamento dei parcheggi (8,2%).
Istat, 2013
Quanto ai benefici dichiarati dalle amministrazioni locali legati all'utilizzo delle
TIC, risulta che, per l’anno 2012, l’uso delle nuove tecnologie ha migliorato
l'organizzazione interna e la durata dei procedimenti, aumentando peraltro le
informazioni disponibili. In particolare, il 13% del totale delle amministrazioni locali ha
rilevato che l’impatto sulla tempistica procedurale è molto positivo; il 49% ha giudicato
l’impatto abbastanza positivo, mentre il 30% poco positivo e solo il 6% circa per nulla
positivo.
Stabilito che esiste un trend crescente nella diffusione delle TIC nel settore
pubblico che ha un impatto positivo sulla tempistica procedurale, soprattutto in termini
di riduzione dei tempi e con riferimento ad alcuni servizi offerti al pubblico, occorre
evidenziare l’importanza di due strumenti informatici che giocano o possono svolgere
un ruolo sempre più rilevante in termini di trasparenza e efficienza dell’organizzazione
e dell’attività amministrativa: l’uso del sito web istituzionale e delle banche dati
informatiche.
212
Il sito web costituisce senz’altro la sede istituzionale per la pubblicazione di dati,
documenti e informazioni, che può consentire la costruzione progressiva di
un’importante base dati, compresi quelli sui tempi procedimentali, funzionale ad una
successiva verifica dell’obiettivo strategico della tempestività dell’azione
amministrativa.
Il sito web istituzionale migliora, inoltre, la possibilità per l’utenza (famiglie,
imprese e istituzioni) di interagire con le pubbliche amministrazioni, ad esempio
scaricando la modulistica per via telematica e inoltrando online istanze e/o documenti,
con un impatto positivo sui tempi di conclusione dell'intero iter procedurale e/o del
servizio richiesto.
Gli esiti della classificazione dei procedimenti amministrativi e di un corretto
censimento dei termini di conclusione dei procedimenti e di erogazione dei servizi, in
attuazione degli obblighi di pubblicazione sul sito web (analizzati nei paragrafi
precedenti) dovrebbero poi confluire in apposite banche dati informatiche,
possibilmente con l’inclusione di dati aggiuntivi sulla durata effettiva delle attività e i
tempi di adozione dei provvedimenti e di erogazione delle prestazioni.
La raccolta sistematica in apposite banche dati avrebbe il pregio di consentire alle
amministrazioni pubbliche di conoscere meglio i termini e i tempi interni, individuando
duplicazioni, sovrapposizioni e disfunzioni operative che molto spesso si traducono in
ritardi ed inefficienze.
In proposito, esiste già il progetto di costituire e alimentare una banca dati sui
procedimenti amministrativi delle amministrazioni statali presso il Dipartimento della
funzione pubblica che renderà i dati accessibili anche sul proprio sito istituzionale (in
nuce la bussola della tasparenza)69. In base a tale progetto, la mancata comunicazione o
aggiornamento dei dati è rilevante ai fini della misurazione e valutazione della
performance individuale dei dirigenti. Il progetto della banca dati sui procedimenti
69 Si consideri “La Bussola della Trasparenza” un’iniziativa online http://www.magellanopa.it/bussola/ della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, che consente alle pubbliche amministrazioni e ai cittadini l’analisi ed il monitoraggio della trasparenza dei siti web istituzionali. Questa iniziativa è in linea con i principi dell'open governement e mira a rafforzare la trasparenza e l’accountability delle amministrazioni, nonché la partecipazione diretta dei cittadini a un processo di ottimizzazione della qualità delle informazioni online e dei servizi digitali. La “bussola della trasparenza” dei siti web istituzionali della pubblica amministrazione (esito del monitoraggio al 3 aprile 2013) in relazione: 1) all’indicatore di tempestività dei pagamenti, nonché tempi medi di definizione dei procedimenti e di erogazione dei servizi con riferimento all'esercizio finanziario precedente e 2) Buone prassi in ordine ai tempi per l'adozione dei provvedimenti e per l'erogazione dei servizi al pubblico.
213
amministrativi consiste nella creazione di un portale unitario dove rintracciare tutti i
tempi di conclusione dei procedimenti, previsti nelle leggi, atti con forza di legge,
regolamenti attuativi ed eventuali termini di sub-procedimenti, potendo visualizzare
automaticamente le stesse informazioni in un’apposita sezione dei siti istituzionali delle
amministrazioni.
Gli obiettivi sono essenzialmente quello di garantire maggiore trasparenza e
certezza a favore di privati, abbinata alla possibilità di segnalazione da parte degli utenti
del mancato rispetto del termine, e quello di costituire una base informativa per
costruire una strategia di riduzione dei termini procedimentali e far convergere i tempi
su standard virtuosi, oppure utilizzare le differenze come fattori di valutazione delle
performance delle PA (confrontabilità tra i termini di procedure analoghe di diverse
amministrazioni; classificazione per tipologia procedimentale e confronti tra
amministrazioni con comparazione dei tempi dei procedimenti comuni; standard per
procedimenti comuni alle diverse amministrazioni; eventuale comparazione dei termini
tra le sedi territoriali di amministrazioni statali ed eventuale definizione di diversi pesi
tra tempi dei procedimenti di autoamministrazione e procedimenti di servizio;
pubblicazione di statistiche sui termini – amministrazioni virtuose vs. amministrazioni
meno virtuose; analisi e controllo dei procedimenti che interessano più
amministrazioni).
Sarebbe auspicabile che il progetto si connettesse, in modo ordinato e coordinato,
con i dati già raccolti e/o con altre iniziative in corso in modo tale da realizzare quel
“coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione
statale, regionale e locale” di cui alla lett. r) dell’art., 117 secondo comma della
Costituzione, peraltro utile anche per i processi di valutazione e benchmarching delle
performance amministrative.
In tal senso, tra le iniziative avviate, è particolarmente interessante quella
dell’Istat sul nuovo “Sistema informativo statistico sulla pubblica amministrazione”70,
70 Si v. ISTAT, Il nuovo sistema informativo statistico sulla pubblica amministrazione, 2013. Il
nuovo Sistema Informativo statistico della PA rappresenta un contributo significativo alla conoscenza della Pubblica Amministrazione. Si tratta del primo passo di un progetto triennale, condotto in collaborazione con il CNEL, che prevede di mettere a disposizione dell'utenza, entro il 2013, un repertorio completo e dettagliato di dati e indicatori sulle risorse, le attività, i prodotti e i servizi resi dalle amministrazioni pubbliche nei vari settori di intervento. Va sottolineato che il Sistema Informativo Statistico fornisce dati statistici, destinati ad essere utilizzati esclusivamente per finalità statistiche. PA-PubblicaAmministrazione.Stat considera le amministrazioni pubbliche definite tali dalle regole del
214
nonché il Sistema Pubblico di Connettività (SPC)71 che consiste in un insieme di
infrastrutture tecnologiche e di regole tecniche con lo scopo di “federare” le
infrastrutture TIC delle pubbliche amministrazioni al fine di realizzare servizi integrati
mediante regole e servizi condivisi. Tale integrazione permette di risparmiare sui costi e
sui tempi e di realizzare i servizi finali centrati sull’utente, evitando richieste continue di
dati da parte delle amministrazioni, oltre che duplicazioni di informazioni e controlli.
Le Regioni, attraverso i progetti di e-gov, stanno realizzando portali regionali
contenenti banche dati sui procedimenti amministrativi, che consentono di conoscere la
normativa, scaricare la modulistica, conoscere l’iter procedimentale, i tempi e i vari
adempimenti. Sarebbe auspicabile che anche le Regioni e gli Enti locali comunicassero i
dati sui procedimenti amministrativi ad una struttura che funga da focal point (ad
esempio, ANCI per i Comuni, UPI per le Province) per la raccolta, l’aggregazione e il
confronto dei dati comunicati dai singoli enti territoriali, con specifica attenzione alla
tempistica procedurale.
7. I profili patologici e il sistema di rimedi, responsabilità e sanzioni
La previsione normativa e regolamentare di termini per la conclusione di specifici
procedimenti è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per garantire la certezza
dei tempi procedurali e la tempestività dell’azione amministrativa a favore dei cittadini,
delle imprese e degli investitori. Occorre, infatti, che le pubbliche amministrazioni
agiscano effettivamente e concretamente nel rispetto della tempistica procedurale,
Sistema Europeo dei conti nazionali (Sec95), al quale si fa riferimento anche per l'elaborazione dei conti economici nazionali. Il campo di osservazione coincide quindi con l'elenco ufficiale delle amministrazioni pubbliche, aggiornato annualmente dall'Istat e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Il Sistema si caratterizza per due aspetti: 1. un elevato dettaglio delle informazioni archiviate, che si spinge - laddove possibile - fino al livello di singola amministrazione, in modo da soddisfare, tra le altre, la generale domanda di trasparenza; 2. una ampia disponibilità di misure relative, cioè di indicatori statistici in grado di favorire - tanto più se costruiti a livello micro - una valutazione comparativa dell'attività delle amministrazioni, utile per la definizione degli interventi necessari alla razionalizzazione e al recupero di efficienza della PA. In questa prospettiva, il Sistema mette a disposizione dell'utenza oltre 60 indicatori economico-finanziari, costruiti sulla base dei dati sulle entrate e le spese delle amministrazioni e sul loro personale. Gli indicatori selezionati sono il risultato di un'intensa e proficua attività di collaborazione svolta con il CNEL, contitolare del progetto, il Dipartimento della Funzione pubblica, le amministrazioni locali e le Camere di commercio, in una logica di condivisione delle scelte che l'Istat ha posto alla base del progetto a garanzia dell'utilità dell'informazione prodotta. Per le principali tipologie amministrative pubbliche (Regioni, Province, Comuni, Università, ASL, Aziende ospedaliere, Camere di Commercio) gli indicatori sono disponibili a livello di singola amministrazione.
71 Si v. l’art. 73 del Codice dell’amministrazione digitale e per maggiori informazioni sul piano attuativo si v. l’indirizzo http://www.digitpa.gov.it/spc.
215
dando un’efficace attuazione alle disposizioni normative sul tema. Nella prassi, però, le
pubbliche amministrazioni hanno spesso adottato il provvedimento amministrativo in
ritardo o sono rimaste inerti, violando dunque, l’obbligo di provvedere in modo
espresso entro i termini prestabiliti.
Il ritardo e l’inerzia della pubblica amministrazione sono comportamenti
patologici che non determinano soltanto l’incertezza dell’azione amministrativa e delle
situazioni giuridiche soggettive correlate, ma contribuiscono ad allungare i tempi
procedurali, a cui si aggiungono i tempi del contenzioso eventualmente instaurato
davanti al giudice amministrativo, con un possibile onere o vero e proprio danno
economico per i privati.
I ritardi e i silenzi dell’amministrazione pubblica costituiscono peraltro ostacoli
burocratici che potrebbero essere un sintomo o comunque un’occasione di corruzione.
Tale profilo patologico è stato preso in considerazione con la legge anti-corruzione in
cui si prevede, infatti, che il responsabile della prevenzione della corruzione nominato
in ciascuna amministrazione debba monitorare il rispetto dei termini procedimentali.
Il legislatore è intervenuto, dunque, per tutelare i privati contro le violazioni delle
norme sulla tempistica procedurale e garantire l’effettività dei termini e dei tempi
amministrativi mediante un sistema composto ed eterogeneo di rimedi, responsabilità e
sanzioni che fungesse da efficace deterrente contro il ritardo e l’inerzia delle
amministrazioni pubbliche. La panoplia di strumenti escogitati per indurre
l’amministrazione a rispettare i termini di conclusione dei procedimenti è stata via via
incrementata e progressivamente inasprita, soprattutto a partire dal 2009, per rimediare
alla costante scarsa applicazione pratica della norma e ai frequenti comportamenti
patologici delle amministrazioni pubbliche.
Di fronte all’inerzia della pubblica amministrazione, il legislatore ha sviluppato la
disciplina sul silenzio, distinguendo il silenzio inadempimento dalle ipotesi di silenzio
significativo, in cui una specifica previsione normativa attribuisce al comportamento
inerte della PA il significato di un provvedimento di accoglimento o di rigetto,
direttamente impugnabili davanti al giudice amministrativo. Con riferimento al silenzio-
inadempimento, la formulazione originale dell’art. 2 non prevedeva una vera e propria
sanzione, ma un complesso meccanismo basato su una diffida del privato alla pubblica
amministrazione ad adempiere che doveva necessariamente precedere il ricorso davanti
216
al giudice amministrativo per ottenere il provvedimento richiesto, anche attraverso la
nomina di un commissario ad acta.
Attualmente, la tutela in materia di silenzio dell'amministrazione è disciplinata nel
codice del processo amministrativo in cui è prevista un’apposita azione giurisdizionale
(art. 31) che non deve essere preceduta da alcuna diffida del privato e che può essere
proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla
scadenza del termine di conclusione del procedimento. In particolare, decorsi i termini
per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla
legge, chi vi ha interesse può chiedere al giudice l’accertamento dell’obbligo
dell’amministrazione di provvedere (sentenza di condanna al rilascio di un
provvedimento) ed il giudice può pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in
giudizio purché però si tratti di attività vincolata o risulti che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità amministrativa e non sono necessari
adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione. È comunque
salva la ri-proponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i
presupposti.
Con il decreto “semplifica Italia”, sono state inserite nell’art. 2 della l. n.
241/1990 due novità in caso di silenzio della pubblica amministrazione 72 . Con
riferimento all’azione giurisdizionale, si prevede che le sentenze passate in giudicato
che accolgono il ricorso avverso il silenzio inadempimento dell'amministrazione siano
trasmesse, in via telematica, alla Corte dei conti ai fini della valutazione di un eventuale
responsabilità per danno erariale (in realtà il danno erariale sembra più facilmente
configurabile nel caso di accoglimento di un’azione volta a ottenere il risarcimento del
danno da ritardo).
La seconda novità consiste nell’obbligo per le amministrazioni pubbliche di
individuare, nell'ambito delle figure apicali, un soggetto titolare di uno specifico potere
sostitutivo da esercitare in caso di inerzia amministrativa. Peraltro, il legislatore ha
disciplinato direttamente le conseguenze in caso di una mancata attuazione della norma,
prevedendo che il potere sostitutivo si consideri attribuito ex lege al dirigente generale
72 Si v. l’art. 2, commi da 8 e 9 quinquies come inseriti dal D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, modificato
dalla legge di conversione 4 aprile 2012, n. 35 e s.m.e. Per un commento alle novità introdotte con tale decreto si v. M. Clarich, Il Decreto “Semplifica Italia”, in Giornale diritto amministrativo, 2012, 7, 691.
217
o, in mancanza, al dirigente preposto all'ufficio o, in via subordinata, al funzionario di
più elevato livello presente nell'amministrazione.
In alternativa al rimedio giurisdizionale avverso il silenzio, il privato ha dunque la
possibilità di rivolgersi al responsabile individuato dalla legge o dall’amministrazione,
titolare del potere sostitutivo, affinché questi, entro un termine pari alla metà di quello
originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o
con la nomina di un commissario ad acta. In tale contesto, la tutela del privato è
facilitata dall’obbligo di trasparenza, imposto dalla legge a ciascuna amministrazione, di
pubblicare sul sito internet istituzionale e per ciascun procedimento, in formato tabellare
e con collegamento ben visibile nella homepage, l'indicazione del soggetto a cui è
attribuito il potere sostitutivo e a cui l'interessato può rivolgersi.
Consultando i siti istituzionali delle amministrazioni statali, regionali e locali, è
possibile registrare una positiva, progressiva e celere attuazione di tale adempimento, in
quanto una buona parte delle amministrazioni pubbliche ha provveduto a individuare il
responsabile titolare del potere sostituivo e a darne evidenza sul sito in un’apposita
sezione, spesso con un apposito indirizzo web a cui rivolgere le istanze. È ancora
prematuro, ma sarà interessante raccogliere dati sull’esperienza concreta, che peraltro
potrebbe anche dimostrare la ritrosia dei privati ad attivare il potere sostitutivo.
In caso di accertato ritardo, il titolare del potere sostituivo deve comunicare senza
indugio il nominativo del responsabile, ai fini della valutazione dell'avvio del
procedimento disciplinare, secondo le disposizioni del proprio ordinamento e dei
contratti collettivi nazionali di lavoro e, in caso di mancata ottemperanza, assume la sua
medesima responsabilità oltre a quella propria.
L’individuazione del responsabile del potere sostituivo consente non solo un
rimedio alternativo e meno dispendioso per il privato rispetto all’azione giurisdizionale,
ma potrebbe contribuire a migliorare la conoscenza e a sollecitare l’efficienza e
l’efficacia della tempistica procedurale, in virtù dell’obbligo di comunicare all'organo di
governo competente i procedimenti, suddivisi per tipologia e strutture amministrative
competenti, nei quali non è stato rispettato il termine di conclusione previsto dalla legge
o dai regolamenti.
L’ordinamento giuridico prevede rimedi non solo in caso di inerzia della pubblica
amministrazione, ma anche in caso di tardiva emanazione del provvedimento. È ormai
218
pacifica la possibilità per il privato di chiedere al giudice amministrativo il risarcimento
del danno da ritardo, imputabile sia alle amministrazioni pubbliche, sia ai soggetti
privati che svolgono attività amministrativa (art. 2 bis l. n. 241/1990). La risarcibilità
del danno ingiusto da mero ritardo, cagionato in conseguenza della semplice
inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, rende
evidente come ormai nel nostro ordinamento giuridico il fattore tempo è considerato un
bene della vita in sé.
Il decreto legge n. 69/2013 (c.d. decreto del Fare)73 modifica l’art. 2 bis della l. n.
241/1990, aggiungendo un rimedio che incrementa le possibilità di ristoro del privato e
mira a completare la panoplia degli strumenti che dovrebbero fungere da incentivo per
la pubblica amministrazione a rispettare la certezza dei termini di conclusione dei
procedimenti. In un’ottica di semplificazione amministrativa, il legislatore prevede, in
particolare, un indennizzo monetario forfetario da corrispondere in caso di semplice
inosservanza del termine di conclusione del procedimento amministrativo iniziato ad
istanza di parte, per il quale sussiste l'obbligo di pronunziarsi da parte della pubblica
amministrazione o di soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative (ad
esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici).
In caso di ritardo, la pubblica amministrazione procedente o quella responsabile
del ritardo e i gestori di pubblici servizi devono corrispondere all'interessato, a titolo di
indennizzo, una somma pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo con decorrenza dalla
data di scadenza del termine del procedimento, fino a un massimo di 2.000 euro.
Peraltro, le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte
dal risarcimento che può essere chiesto parallelamente, in quanto la richiesta di
indennizzo e di risarcimento per il mero ritardo non sono tra loro alternative.
Si parla di un indennizzo automatico, ma al fine di ottenerlo il soggetto interessato
(colui che ha avviato il procedimento) è tenuto ad azionare il potere sostitutivo nel
termine perentorio di venti giorni dalla scadenza del termine di conclusione del
procedimento74 e il titolare del potere sostitutivo deve concludere il procedimento nella
73 Convertito con modificazioni con L. 9 agosto 2013, n. 98. Si v. in particolare l’art. 28,
Indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento, in vigore dal 21 agosto 2013. 74 Nella comunicazione di avvio del procedimento e nelle informazioni sul procedimento
pubblicate ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, devono essere indicati i termini di conclusione del procedimento, il soggetto responsabile, titolare del potere sostitutivo, e come
219
metà del tempo originariamente previsto oppure deve liquidare l’indennizzo nel range
stabilito dal legislatore. Nel caso in cui anche il responsabile del potere sostitutivo non
provveda ad emanare il provvedimento o a liquidare l’indennizzo, l’interessato può
rivolgersi al giudice amministrativo potendo proporre ricorso avverso il silenzio o
richiedendo un decreto ingiuntivo ai sensi del codice del processo amministrativo.
La pronuncia di condanna a carico dell'amministrazione è comunicata alla Corte
dei conti al fine del controllo di gestione sulla pubblica amministrazione, al Procuratore
regionale della Corte dei Conti per le valutazioni di competenza, nonché al titolare
dell'azione disciplinare verso i dipendenti pubblici interessati dal procedimento
amministrativo.
La novità dell’indennizzo in caso di inosservanza dei termini di conclusione dei
procedimenti è relativa, non solo perché riprende una proposta già avanzata negli anni
Novanta con la legge Bassanini n. 59/1997, ma anche perché l’indennizzo è previsto in
via sperimentale solo per i procedimenti amministrativi che interessano nuove iniziative
economiche (avvio ed esercizio dell’attività di impresa) iniziate successivamente
all’entrata in vigore del decreto75. La nuova previsione normativa è peraltro già
presente in alcune esperienze regionali, in particolare Umbria e Toscana, in cui si
prevede l’ipotesi di un indennizzo automatico in caso di ritardo nella conclusione dei
procedimenti amministrativi regionali, da corrispondere all’interessato che ne faccia
semplice richiesta e salvo comunque il diritto al risarcimento del danno da ritardo da
chiedere al giudice amministrativo76.
A completamento dei rimedi disponibili sia per garantire il privato contro l’inerzia
e i ritardi amministrativi, sia per incentivare la pubblica amministrazione alla
esercitare il diritto all'indennizzo. Nel caso di procedure complesse, è tenuta a pagare l’indennizzo il soggetto pubblico responsabile del ritardo.
75 Entro 18 mesi dall’entrata in vigore del Decreto, si stabilirà, inoltre, sulla base della prima sperimentazione, con un apposito decreto del Presidente del Consiglio, sentite le Regioni e i Comuni, se confermare, rimodulare, o abbandonare il nuovo strumento indennitario o, eventualmente, a estendere anche gradualmente l’indennizzo a diversi procedimenti amministrativi.
76 Nel caso delle L.R. n. 40/2009, (artt. 16 e 17), la Regione Toscana prevede che l’indennizzo per il mero ritardo è di 100 euro per ogni dieci giorni, fino a un massimo di 1.000 euro e deve essere richiesto con istanza scritta al responsabile della correttezza e della celerità del procedimento. Nel caso, invece, della l. r. n. 8/2011 (art. 23), la Regione Umbria stabilisce che l’indennizzo sia pari a 70 euro per ogni giorno di ritardo, fino a un massimo di 2.000 euro e l’istanza debba essere presentata a pena di decadenza entro 60 giorni dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento amministrativo alla Direzione regionale competente in materia di risorse umane, finanziarie e strumentali. Il rimedio dell’indennizzo automatico è peraltro previsto anche nei progetti di legge della Regione Abruzzo e della Regione Marche relativi ai procedimenti amministrativi di competenza.
220
trasparenza, all’efficienza e alla garanzia di certezza dei tempi procedurali è prevista
l’azione collettiva per l'efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi
pubblici (c.d. class action pubblica)77, nonché un impianto eterogeneo di responsabilità.
In particolare, il nuovo comma 9 dell’art. 2 della l. n. 241/1990, come novellato
dal decreto “Semplifica Italia”, prevede che la mancata o tardiva emanazione del
provvedimento costituisca un elemento di valutazione della performance individuale
(con sanzioni che possono incidere sulla retribuzione), nonché di responsabilità
disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.
Oltre a tali ipotesi di responsabilità, applicabili anche in caso di violazione degli
obblighi di trasparenza, si deve aggiungere quella dirigenziale e, nei casi più gravi,
quella penale per il reato di rifiuto o omissione di atti d’ufficio (ex art. 328 c.p.).
8. Considerazioni conclusive
L'imprevedibilità, la lunghezza e l’incertezza dei tempi procedimentali
costituiscono un serio problema per i soggetti privati, per i quali il tempo è un bene
della vita prezioso e limitato. Le pubbliche amministrazioni devono agire, dunque, con
l’obiettivo di dare certezza, in termini di tempo, ai diritti dei cittadini, alle attività delle
imprese e agli investitori, nazionali o stranieri, che devono programmare e realizzare
investimenti nel nostro Paese.
La garanzia della certezza dei tempi procedimentali non rileva solo per le
situazioni giuridiche dei singoli, ma per l’intero sistema Paese, in quanto tempi certi e
brevi dell’azione amministrativa possono contribuire a ridurre i costi e gli sprechi e a
rendere maggiormente moderno e competitivo il sistema amministrativo italiano.
Dall’analisi svolta risulta che l’impianto normativo generale sulla tempistica
procedurale è passato attraverso numerose riforme legislative, stratificate nel tempo, ma
è ormai completo e corredato da una serie di obblighi informativi sui termini e i tempi
procedimentali e da una panoplia di strumenti sanzionatori che impongono e/o
incentivano le amministrazioni pubbliche a rispettare tempi certi. Inoltre, la garanzia di
certezza e la riduzione dei tempi costituiscono sempre di più una parte integrante di una
più ampia politica di trasparenza e semplificazione e strategia di modernizzazione delle
77 Si v. D. lgs. 20 dicembre 2009, n. 198 Attuazione dell'articolo 4 della legge 4 marzo 2009, n.
15, in materia di ricorso per l'efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici.
221
amministrazioni pubbliche, peraltro in stretta connessione con l’obiettivo di lottare
contro la corruzione nel settore pubblico.
Il quadro normativo senza una corretta e tempestiva attuazione amministrativa,
anche dal punto di vista della prassi, rimane però lettera morta, con buona pace della
certezza dei tempi procedimentali. L’analisi svolta ha messo in luce che, a più di venti
anni dall’adozione della legge n. 241/1990, occorre ancora un intenso lavoro sul piano
del processo di attuazione, compiuto solo parzialmente e in modo peraltro disomogeneo
tra amministrazioni pubbliche anche dello stesso livello.
L’incompiutezza del processo attuativo anzitutto testimonia che la forza
propulsiva della legge sul procedimento, specialmente come modificata dalla l. n.
69/2009, debba ancora esaurirsi e, in secondo luogo, innesca una superfetazione
legislativa, in quanto il legislatore è dovuto intervenire a più riprese e in modo
successivo per rimediare alle criticità e alle inerzie degli apparati pubblici e alla
disomogeneità e frammentazione nelle esperienze applicative. Le principali criticità in
materia di tempi procedimentali si sono verificate, infatti, a causa di una generale
resistenza e scarsa reattività delle pubbliche amministrazioni alle riforme sulla
tempistica procedurale che implicassero una trasformazione o un cambiamento
nell’organizzazione amministrativa o nell’esercizio dell’attività amministrativa.
Ad oggi, è possibile parlare di certezza dei tempi procedimentali più che altro in
termini legislativi, anche se molte Regioni ancora devono affrontare il tema in modo
organico e sistematico. Sul versante attuativo, la garanzia di tempi procedurali certi ha
conosciuto fasi alterne di accelerazione e rallentamento ed è un risultato che ancora
molte amministrazioni pubbliche devono realizzare, sebbene vi siano comunque alcune
esperienze virtuose.
È necessario, dunque, che tutte le amministrazioni pubbliche concludano in tempi
rapidi il percorso di attuazione con la previsione di termini e tempi procedimentali certi
e ragionevoli, che garantiscano la certezza delle situazioni giuridiche soggettive dei
privati, ai quali ormai deve essere anche garantita la trasparenza sulla tempistica
procedurale.
È opportuno però rilevare che la previsione normativa o regolamentare di termini
o tempi certi per la conclusione dei procedimenti amministrativi non equivale
necessariamente ad un’effettiva garanzia di certezza dell’azione amministrativa e delle
222
correlate situazioni giuridiche soggettive. Si deve fare molto di più: si deve agire
anzitutto a livello amministrativo per un’adeguata determinazione di buone regole e
prassi, criteri e parametri al fine di individuare, misurare e ridurre i tempi
procedimentali per ciascuna tipologia procedurale, in base ad esempio alle risorse
disponibili e all’impatto maggiore dei procedimenti sulle situazioni giuridiche di
cittadini e imprese.
La quasi totale mancanza di dati sui tempi effettivi dei procedimenti
amministrativi e di erogazione dei servizi pubblici mette in evidenza peraltro come la
pubblica amministrazione sia chiamata ad un duplice sforzo: non solo adottare i
regolamenti attuativi, ma anche confrontare, misurare, monitorare, valutare i tempi
procedurali effettivamente realizzati, con l’obiettivo strategico di rispettare e ridurre i
termini procedimentali e di garantire l’effettiva certezza dei tempi previsti dalle norme o
nei regolamenti.
La garanzia di certezza e di riduzione dei tempi procedimentali richiede non solo
una buona programmazione dell’attività e una funzionalizzazione dell’organizzazione
amministrativa in tal senso, ma anche, e forse soprattutto, un forte commitment politico-
amministrativo che dia la priorità istituzionale a far rispettare, misurare e tagliare i
tempi procedurali, quantomeno nei settori che incidono maggiormente sulla vita dei
cittadini e delle imprese, quali ad esempio l’edilizia, il fisco, l’ambiente, la salute, il
lavoro, il welfare, i beni culturali, le infrastrutture, gli appalti78.
Il processo attuativo in materia di tempi procedimentali deve, dunque, essere
completato, arricchito, in connessione con le politiche e le misure di trasparenza,
semplificazione amministrativa, anti-corruzione, e deve essere poi seguìto da un
costante processo di monitoraggio e verifica dei tempi effettivi, anche con l’ausilio di
misure e strumenti che, sfruttando l’innovazione tecnologica, consentano
un’amministrazione più semplice e digitale.
In definitiva, è “tempo di non aspettare altro tempo” per una celere, completa ed
effettiva attuazione dell’art. 2 della legge n. 241/1990, funzionale non solo di una più
78 Su un nuovo programma di riforma di ammodernamento della PA che coinvolga la
misurazione e la riduzione degli oneri e dei tempi burocratici, si v. ASTRID e Istituto dell’Enciclopedia Treccani, Ammodernamento della Pubblica Amministrazione, crescita e competitività del Paese, luglio 2013, in cui per la riduzione dei termini si propone il target di una riduzione media di almeno il 25% dei termini di conclusione dei procedimenti.
223
efficace azione amministrativa, ma anche ad una migliore garanzia dei cittadini, delle
imprese e degli investitori.
Per far ciò occorre anzitutto una visione strategica, d’insieme e prospettica, con
un orizzonte temporale di medio-lungo termine, non solo dei vertici politici, ma
soprattutto dei vertici e dei dipendenti degli apparati amministrativi, che non sia ispirata
dalla logica di evitare le sanzioni e le responsabilità attualmente previste, ma quella di
rendere il miglior servizio possibile ai cittadini e al Paese, secondo una rinnovata cultura
amministrativa.
224
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228
LA PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO di Donatella Scicchitano
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Gli strumenti di partecipazione. - 3. La diffusione delle ICT nelle amministrazioni e la partecipazione al procedimento amministrativo elettronico. - 4. Legge sul procedimento e partecipazione nelle Regioni ed Enti locali. - 5. ”Democrazia partecipativa” e governo del territorio. Alcune esperienze a livello regionale e locale. – 1. L’esperienza toscana. - 6. Le consultazioni telematiche delle Autorità Indipendenti (AI). - 7. Considerazioni conclusive.
1. Premessa
La legge 7 agosto del 1990 n. 241 costituisce il momento “positivo” di un nuovo
modo di intendere i rapporti tra cittadino e potere pubblico ispirato ad una duplice
finalità quella della “democratizzazione” e “semplificazione” 1 che si è andata
sostituendo alla tradizionale dicotomia tra pubblica amministrazione - amministrati.
La storia del pensiero sul procedimento è legata ai nomi di grandi giuristi2 che
ne hanno valorizzato talvolta gli aspetti formali, quelli sostanziali e lo stretto
collegamento con il processo amministrativo, ma soprattutto, per quel che rileva in
questa sede, hanno messo in evidenza il “superamento del vincolo unilaterale tra legge
ed atto amministrativo”, nonostante le giustificate preoccupazioni avanzate da taluno3.
Ne è derivato che l’interesse pubblico non poteva essere compiutamente definito
nell’astratta previsione di legge, ma è determinato nel procedimento come risultato
dell’esercizio di un potere “partecipato”, nell’accezione di Benvenuti, e della co-
determinazione degli interessi 4 , nell’ottica in cui sostanzialmente si esaurisce la
disciplina statunitense (Administrative Procedure Act 1946), di cui peraltro il modello
italiano ripete la struttura snella e l’impostazione per principi.
In questo contesto si colloca, quindi, l’istituto della partecipazione, disciplinato
dal Capo III della legge sul procedimento amministrativo, che consiste nella possibilità
1 Relazione illustrativa del Disegno di Legge presentato alla Camera dei Deputati il 19 novembre 1987, n.1913.
2 M. NIGRO, Il nodo della partecipazione, in Riv. trim dir. pubbl, 1980; A. M. SANDULLI, Il procedimento amministrativo, Milano, 1940. F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. Trim dir. pubbl, 1952, 126 ss.; M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1993, II; S. CASSESE, La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche. Saggio di diritto comparato, in Riv. Trim, dir. pubb., 2007, 13 ss..
3 G. CORSO, Il principio di tipicità, in Codice dell’azione amministrativa (a cura di M. A. Sandulli), Milano, 2010.
4 Prospettiva condivisa, sebbene con parziali differenze, da Benvenuti, Nigro e Cassese.
229
riconosciuta a soggetti pubblici e privati di intervenire nel procedimento mediante la
presentazione di memorie e documenti attinenti all’oggetto dello stesso e l’esercizio
dell’accesso partecipativo.
Prima della legge del 1990, la partecipazione era stata prevista, seppure in
misura embrionale dalla Legge di abolizione del contenzioso amministrativo5 e da
singole disposizioni relative ad alcuni tipi di procedimenti, tuttavia, solo con la legge sul
procedimento amministrativo ha ottenuto riconoscimento quale principio generale.
Il principio della partecipazione trova riscontro anche a livello europeo,
nell’art.41 della Carta di Nizza, oggi vincolante in base all’art. 6, p.1 del Trattato di
Lisbona, che prevede “il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi
confronti venga ad essere adottato un provvedimento che gli rechi pregiudizio”, mentre
a livello costituzionale non esiste un riferimento esplicito che lo legittimi costituendo
declinazione dei principi di buon andamento ed imparzialità contenuti nell’art. 97 Cost6.
L’istituto della partecipazione ha suscitato molti dubbi ermeneutici con
riferimento alla sua funzione e alla natura della posizione giuridica soggettiva
legittimante la partecipazione.
Con riferimento alla sua funzione è stato inteso dapprima secondo una visione
garantistica, evidenziandone la finalità di tutela anticipata della posizione giuridica del
soggetto che interviene nel procedimento 7 . In questo modo l’intervento nel
procedimento e il contraddittorio che ne derivano sono intesi in un’accezione
“paragiurisdizionale”8.
Un diverso orientamento interpreta l’istituto in chiave collaborativa e quindi
destinato all’acquisizione dei fatti ed individuazione degli interessi che
l’amministrazione è tenuta a valutare nel procedimento, mirando a garantire il
raggiungimento della completezza della fase istruttoria.
5 Art. 3 co.1, della L. 20 marzo 1865, n.2248. 6 M. C. ROMANO, Modelli partecipativi tra garanzia ed efficienza. L’ascendenza pretoria delle
scelte legislative sul procedimento, Amministrazione in cammino, 2012. 7 Sull’argomento v. F. PATRONI GRIFFI, Valori e principi tra procedimento amministrativo e
responsabilizzazione dei poteri pubblici (con un’attenzione in più per invalidità non invalidante del provvedimento, efficienza e trasparenza, danno da ritardo), in Relazione al convegno “La disciplina dell’azione amministrativa a vent’anni dalla legge n. 241 del 1990”, Roma, Palazzo Spada, 12 gennaio 2011; R. CHIEPPA, Mario Nigro e la disciplina del procedimento amministrativo,in Riv. trim. dir. pubbl., 2010, 03, 667.
8 Formulazione impiegata nel testo elaborato dalla “Commissione Nigro”.
230
Infine, un’altra prospettiva9, oltre al ruolo “giustiziale” e di “funzione giuridica
preventiva” già descritte, coglie il “carattere politico” della partecipazione inteso come
strumento di rappresentanza democratica degli interessi. Quest’ultima consente di
mettere in evidenza lo stretto legame intercorrente tra l’intervento e la democrazia
partecipativa che trova fondamento nel principio democratico di cui all’art. 1 Cost. e
consente ai cittadini in quanto singoli e ai rappresentanti delle formazioni sociali di
incidere sulla gestione dei pubblici poteri.
Ad ogni modo le distinzioni in termini di funzione del contraddittorio
partecipativo non vanno intese come contrapposte ovvero alternative bensì come
proiezioni di un medesimo istituto osservato da punti di vista diversi10.
In ordine alla seconda delle questioni, sulla qualificazione delle pretese
partecipative11, la difficoltà si spiega per l’impossibilità di determinare a priori i
connotati dell’interesse dell’interveniente prima dell’esercizio del potere da parte della
pubblica amministrazione e quindi di stabilire come la situazione giuridica soggettiva de
quo verrà incisa. Le diverse prospettive (diritto soggettivo12, interesse legittimo13,
interesse procedimentale14) si fondano solo sulle possibili conseguenze e sul potenziale
pregiudizio che potrà derivare a seguito dell’esercizio del potere.
A circa venti anni dalla legge sul procedimento i dibattiti intorno a tali questioni
ermeneutiche possono ritenersi ormai sopiti, ma l’istituto della partecipazione
9 La tesi relativa alle tre funzioni della partecipazioni è stato evidenziato da S. CASSESE, La
partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche. Saggio di diritto comparato, in Riv. Trim, dir. pubb., 2007, 13 ss.
10 Sull’argomento v. F. PATRONI GRIFFI, Valori e principi tra procedimento amministrativo e responsabilizzazione dei poteri pubblici (con un’attenzione in più per invalidità non invalidante del provvedimento, efficienza e trasparenza, danno da ritardo), in Relazione al convegno “La disciplina dell’azione amministrativa a vent’anni dalla legge n.241 del 1990”, Roma, Palazzo Spada, 12 gennaio 2011.
11 Sul punto G. FERRARI, Art. 7, in Codice dell’azione amministrativa e delle responsabilità, (a cura di Bartolini, Fantini, Ferrari), Roma, 2010.
12 Questa tesi si basa in particolare sulla qualificazione che a dette pretese l’art.10 della l. 241/1990 assegna. In questo senso, fra gli altri: E. DELFINO, L. PACCIONE, Basi per il diritto soggettivo di partecipazione nel procedimento amministrativo, in Foro It., 1992, V, 382. e A. ZITO, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Milano, 1996.
13 G. PASTORI, Attività amministrativa e tutela giurisdizionale, in Le riforme della L. 7 agosto 1990, n.241 tra garanzia della legalità ed amministrazione di risultato (a cura di L. Perfetti), Padova, 2008.
14 Secondo questa teoria nella pretesa partecipativa è ravvisabile un mero interesse procedimentale che nasce e si esaurisce nell’ambito del procedimento e non si riferiscono direttamente a beni della vita ma a “fatti procedimentali che a loro volta investono beni della vita”. Questa categoria si contrappone a quella che considera l’interesse a partecipare come interesse sostanziale avente ad oggetto un bene della vita. Il primo è strumentale al secondo. In questo senso tra gli altri v. M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1993, II, 77.
231
costituisce un terreno in parte conquistato e in parte da conquistare nonostante i
numerosi passi avanti compiuti a seguito dei numerosi interventi normativi.
La legge n.241 dal momento della sua entrata in vigore ha subito molte riforme
normative cui sono derivati importanti mutamenti istituzionali nella direzione generale
di un riconoscimento, tanto sotto il profilo formale che sostanziale, di una maggiore
apertura della pubblica amministrazione al coinvolgimento degli interessati alla
adozione delle decisioni secondo schemi semplificati e concordati. Ne è derivato il
superamento, anche se non completamente, del modello autoritativo del pubblico potere
in favore di soluzioni adottate su base paritaria tra i singoli e la PA.
La partecipazione procedimentale, che è l’istituto che meglio scolpisce l’idea del
passaggio dallo stato di suddito a cittadino nei rapporti con il potere, trova, dunque,
attuazione nella legge sul procedimento amministrativo tramite alcuni strumenti come:
la comunicazione di avvio del procedimento, i diritti dei partecipanti (comprensivo del
diritto di accesso ai documenti del procedimento), il preavviso di rigetto e gli accordi
con la PA.
Si tratta di istituti che hanno inteso conformare l’azione amministrativa ai
principi di economicità, efficacia, trasparenza e imparzialità.
Il diritto dell’Unione Europea ha condizionato molto il percorso giuridico del
procedimento amministrativo stimolando una maggiore apertura in questo senso. Si
pensi a titolo esemplificativo alla disciplina nel settore degli appalti oppure a quella
relativa alla tutela dell’ambiente15.
Tuttavia le recenti riforme subite dalla legge sul procedimento nell’accogliere
una concezione sostanzialistica dell’invalidità del provvedimento rispetto ad alcune
violazioni procedimentali (art. 21 octies) incidono sull’istituto della partecipazione
rischiando di vanificare l’efficacia delle garanzie procedimentali conquistate16.
15 Ad esempio il regolamento n.1367 del 2006 ha applicato agli organismi comunitari le
disposizioni della Convenzione di Aarhus, relative tra l’altro all’accesso alle informazioni ambientali e alla partecipazione del pubblico ai piani e ai programmi ambientali. Sul punto si v. E. CHITI, La dimensione funzionale del procedimento, in AA. VV., Le amministrazioni pubbliche tra conservazione e riforme, Milano, 2008, 211 ss.
16 G. FARINA, L’art. 21 octies della nuova legge 241/1990: la codificazione della mera irregolarità del provvedimento amministrativo, www.lexitalia.it, 2005, 09; P. AMOVILLI, La comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza (art. 10-bis l. 241/90) tra partecipazione, deflazione del contenzioso e nuovi modelli di contradditorio “ad armi pari”, www.giustizia-amministrativa.it, 2009, 11.
232
Lo scopo della ricerca è stato esaminare il livello di attuazione degli istituti di
partecipazione procedimentale a circa venti anni dalla legge sul procedimento
amministrativo chiarendo quali delle promesse della l. 241/1990 sono state realizzate, a
livello formale e sostanziale, e quali ancora necessitano di attuazione. Nel corso
dell’indagine si è tentato di rispondere ad alcuni interrogativi in tema di partecipazione
e “democrazia partecipativa”17; quest’ultima costituisce una categoria che orienta
l’istituto alle procedure di partecipazione popolare piuttosto che a quella degli interessi
costituiti e che ha trovato a livello comparatistico un ampio riscontro18.
In Italia queste esperienze sono in via di progressiva diffusione sia a livello
comunale che regionale. In particolare la Regione Toscana, con una legge generale sulla
promozione della partecipazione ed attraverso l’adesione al Protocollo d’intesa Regione
– Enti locali, ha suscitato esperienze partecipative su scala locale.
Gli interrogativi posti alla base della presente ricerca possono così riassumersi:
quali sono i procedimenti in cui l’istituto della partecipazione trova maggiore
attuazione? La partecipazione ha un riscontro effettivo sul provvedimento finale? Chi
sono i soggetti che generalmente partecipano? In che modo oggi avviene
prevalentemente? Quali sono gli strumenti più utilizzati? La partecipazione ha in
concreto una funzione deflattiva del contenzioso? In quali procedimenti è più evidente
lo scopo deflattivo? C’è una corrispondenza tra i soggetti che partecipano al
procedimento e chi invece è legittimato alla tutela giurisdizionale? Il fatto che alcuni
procedimenti si svolgano mediante l’ausilio di strumenti di natura telematica, in tutto o
in parte, facilita la partecipazione ovvero la rende più complicata/discriminatoria? Come
si conciliano le esigenze di partecipazione democratica e di trasparenza con i principi di
economicità e celerità dell’attività amministrativa? In che rapporto oggi la
partecipazione ai procedimenti amministrativi, alla luce delle nuove esperienze
riscontrate, si colloca nei confronti della l. 241/1990?
Per rispondere a tali quesiti, preliminarmente, si è inteso passare in rassegna gli
interventi di riforma della materia in modo da descrivere lo stato della normativa
17 Sui rapporti tra democrazia partecipativa e democrazia rappresentativa v: U. ALLEGRETTI, Procedura, procedimento, processo. Un’ottica di democrazia partecipativa, in Dir. Amm., 2007, 04, 779:“La democrazia partecipativa non dovrebbe essere intesa come concorrente della democrazia rappresentativa ma tradursi in un reciproco arricchirsi della società e delle istituzioni”.
18 Per la distinzione tra democrazia partecipativa e partecipazione si v. U. ALLEGRETTI, Basi giuridiche della democrazia partecipativa in Italia: alcuni orientamenti, in Democrazia e diritto, 2006, 3, 151 ss.
233
vigente, anche di settore, al fine di chiarire il livello formale di attuazione dell’istituto;
successivamente sono stati esaminati alcuni papers, rapporti e ricerche compiute da
Osservatori ed Enti di ricerca sul concreto svolgimento dei procedimenti amministrativi
e, in particolare, della partecipazione agli stessi. Sulla base dei dati registrati, anche
mediante ricerche trasversali, sono state effettuate le opportune valutazioni e confronti
in relazione alle premesse della l. 241/1990.
E’ bene chiarire fin da subito che i dati disponibili in ordine ai procedimenti
amministrativi presentono diversi limiti di attendibilità. L’elevato grado di incertezza e
approssimazione si spiega per più ragioni: non esiste, infatti, una mappatura recente che
definisca il livello di attuazione degli istituti di partecipazione nelle varie
amministrazioni pubbliche ovvero che compia una comparazione del diverso loro livello
di attuazione nei differenti procedimenti amministrativi19. Ne è derivato, pertanto, un
quadro di indagine non sempre aggiornato che si è tuttavia tentato di attualizzare
attraverso interviste e l’esame della giurisprudenza più recente. Le esperienze di
democrazia partecipativa e delle consultazioni telematiche, hanno, invece, consentito di
definire un quadro più aggiornato perché il reperimento dei dati è risultato più agevole.
Va, inoltre, evidenziato come l’indagine specifica sulla partecipazione e sui
procedimenti partecipativi presenta complicazioni peculiari in quanto non esiste un
modello certo di valutazione degli stessi né in generale né in relazione ad un dispositivo
di legge sperimentale. Pertanto, l’attività valutativa è essa stessa sperimentale.
Poste tali premesse, la ricerca quindi si è sviluppata ripercorrendo i profili
normativi degli istituti previsti dalla 241/1990, arricchiti dalle riflessioni fornite dalla
dottrina e dalla giurisprudenza per poi accedere al dato esperienziale, esprimendo infine
le dovute considerazione sulla base dei dati disponibili reperiti. E’ stata dedicata
un’apposita sezione al procedimento amministrativo elettronico ed esaminate le
esperienze regionali e locali sulla partecipazione. In particolare hanno costituito oggetto
di approfondimento e di studio i casi di democrazia partecipativa, con riferimento al
governo del territorio, ai bilanci partecipativi e ad altri settori, di alcune Regioni
(Toscana, Emilia-Romagna, Lazio ecc.) ed Enti locali. Un’ultima sezione è stata
19 L’ultima indagine su ampia scala è stata pubblicata nel 2005 e compiuta dalla Presidenza del
Consiglio dei ministri- Dipartimento della funzione pubblica –Ufficio per l’innovazione delle pubbliche amministrazioni, Semplificazione e trasparenza. Lo studio di attuazione della legge n.241 del 1990, M. L. D’Autilia e N. Zamaro (a cura), Roma Edizioni Scientifiche italiane, 2005.
234
destinata all’esame delle consultazioni telematiche nei procedimenti regolatori di alcune
Autorità Indipendenti cui hanno fatto seguito le opportune conclusioni di chiusura del
lavoro.
2. Gli strumenti di partecipazione
Gli strumenti di partecipazione contemplati dalla legge sul procedimento
amministrativo sono disciplinati dal Capo III della l. 241/1990 a cui corrispondono in
particolare la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, l’intervento,
l’accesso endoprocedimentale, il preavviso di rigetto e gli accordi con la PA. Talvolta è
inserito in questa categoria anche l’istituto della conferenza di servizi, in quanto
meccanismo dedito alla partecipazione di una peculiare categoria di soggetti interessati
al procedimento amministrativo vale a dire le Pubbliche amministrazioni, anche se è più
comunemente noto come strumento di semplificazione. Peraltro, la duplice
considerazione di strumento di semplificazione e partecipazione accomuna anche
l’istituto degli accordi tra privati e PA, sebbene inserito nel testo normativo della legge
sul procedimento amministrativo tra gli strumenti di partecipazione. Queste peculiarità
si spiegano per l’osmosi esistente tra partecipazione e semplificazione che costituiscono
le due anime della l. 241/1990.
La l. 241 del 1990 è stata oggetto di numerosi interventi normativi negli ultimi
anni che per certi versi hanno promosso ed incentivato la partecipazione amministrativa
dando attuazione ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento a cui deve
conformarsi l’attività amministrativa, mentre sotto altri profili ne hanno determinato una
battuta d’arresto, dando prevalenza alle esigenze di celerità ed economicità dell’attività
amministrativa20.
20 Ad esempio in particolare gli artt. 11 e 21 octies della L. 241/1990. Sulla riforma del 2005 la
dottrina è copiosa: ex multis M. GARGANO, Attività amministrativa e moduli consensuali: gli accordi tra p.a. e privati, in Giur. merito 2006, 12, 2581 ss.; G. MASTRODONATO, La motivazione del provvedimento nella riforma del 2005, www.lexitalia.it, 2005, 10. G. FARINA, L’art. 21 octies della nuova legge 241/1990: la codificazione della mera irregolarità del provvedimento amministrativo, www.lexitalia.it, 2005, 09; D. CHINELLO, Portata e limiti della partecipazione al procedimento amministrativo dopo la legge n. 15/2005, www.lexitalia.it, 2005, 05; V. FERA, Il principio del giusto procedimento alla luce della legge 15 del 2005, www.giustamm.it, 3, 2005.
235
I. La comunicazione di avvio del procedimento è disciplinata dagli artt. 7- 8
della l. 241/1990 che ne individuano rispettivamente i destinatari, le modalità e i
contenuti della stessa.
Tale strumento ha lo scopo di informare i soggetti interessati al procedimento
del suo avvio in modo da sollecitarne la partecipazione e consentire il confronto tra le
posizioni antagoniste e contemporaneamente l’arricchimento del campo cognitivo
dell’amministrazione21.
Per questa ragione l’art.7 della l. 241/1990 individua come destinatari non solo i
soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti o
che per legge devono intervenire ma anche soggetti diversi dai destinatari purché
ricorrano due presupposti: siano “individuati o facilmente individuabili” e “possano
subire un pregiudizio dal provvedimento finale”22.
Tali requisiti si spiegano alla luce delle esigenze di celerità e non aggravamento
del procedimento23 con cui la partecipazione deve essere contemperata in modo da
evitare che l’azione amministrativa possa essere compromessa, subire ritardi e costi
eccessivi a causa di indagini lunghe e dispendiose.
Il legislatore ha poi definito in modo tassativo il contenuto della comunicazione
di avvio del procedimento amministrativo consistente in elementi informativi (quali
l’amministrazione competente, l’oggetto del procedimento, l’ufficio e la persona del
responsabile del procedimento e l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti) idonei
a consentire e sollecitare la partecipazione degli interessati. Ne ha poi esteso il
contenuto, in attuazione dell’obbligo di clare loqui posto dall’art. 2 della l. 241/1990, a
seguito della riforma del 2005, prescrivendo anche l’indicazione della data entro cui
deve concludersi il procedimento ed i rimedi esperibili in caso di inerzia
21 R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, 589 ss. 22 La giurisprudenza ha interpretato questi requisiti precisando che debba trattarsi di soggetti
individuati o facilmente individuabili con la normale diligenza e che la valutazione circa la possibilità di subire un pregiudizio debba essere compiuta ex ante e in concreto, e riguardare un pregiudizio giuridicamente apprezzabile, con esclusione di riflessi indiretti, meramente economici. Ex multis T.A.R. Veneto, sez. II, 9 febbraio 2007, n.365.
23 Ai sensi dell'art. 1, comma 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241, la pubblica amministrazione «non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria». La disposizione, come è noto, è stata lasciata inalterata dalla riforma sull'«azione amministrativa» operata dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15. Sul punto v. S. TARULLO, Il divieto di aggravamento del procedimento amministrativo quale dovere codificato di correttezza amministrativa, in Dir. amm., 2008, 02, 437.
236
dell’amministrazione, nonché, nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di
presentazione della relativa istanza.
In assenza di indicazioni sui tempi della comunicazione, si ritiene che essa debba
essere compiuta in modo tale da consentire agli interessati di presentare le relative
osservazioni, al fine di evitare che l’intervento assolva ad un ruolo meramente formale,
privo di una reale incidenza sull’istruttoria. Quanto alle modalità, l’art. 8 della l.
241/1990 prescrive che la comunicazione di avvio del procedimento debba essere
personale, ossia rivolta ad ogni singolo destinatario, in forma scritta, ovvero con le
forme di pubblicità idonee stabilite dalla Pubblica amministrazione in ragione del
numero dei destinatari.
Nell’ottica dell’assolvimento dei principi di celerità e speditezza, la
comunicazione può essere effettuata anche mediante procedure informatiche, in accordo
a quanto stabilito dall’art. 3 bis della l. 241/1990 che incentiva l’uso della telematica da
parte della pubblica amministrazione anche nei rapporti con i privati. Pertanto la
comunicazione è compiuta mediante raccomandata con avviso di ricevimento,
notificazione, telegramma, telefax e anche via e- mail.
Tralasciando i casi in cui l’obbligo di comunicazione dell’avvio del
procedimento è escluso per disposizione di legge24, è stata oggetto di discussione la sua
applicazione in materia di espropriazione. A tal proposito, si sono a lungo contrapposti
diversi indirizzi giurisprudenziali, quello tuttavia prevalente ha ritenuto opportuna
l’applicazione generale dell’obbligo di comunicazione al fine di assicurare le finalità
collaborative e difensive sottese alla partecipazione; ciò, come è stato precisato25, vale
anche per i procedimenti espropriativi a dichiarazione di pubblica utilità implicita.
24 Vale a dire per procedimenti cautelari e per quelli per i quali sussistono ragioni di
impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità. Mentre nel primo caso la deroga legislativa pur consentendo l’adozione dei provvedimenti cautelari anche prima dell’effettuazione della comunicazione posticipa soltanto temporalmente tale obbligo, nel secondo caso invece lo fa venir meno del tutto. Tra le fattispecie escluse ci sono le ordinanze di necessità ed urgenza emesse dal sindaco quale ufficiale di governo di cui agli artt. 50 e 54 D.Lgs. n.267/2000, che presuppongono una situazione di urgenza e necessità, accertata e qualificata, al fine di prevenire gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini. A queste fattispecie si aggiungono i procedimenti previsti dall’art. 13 della l. 241/1990 che riguardano l’ambito di applicazione dell’intero Capo III sulla partecipazione e per cui restano ferme le particolari leggi che li regolano. V. in proposito M. DE BENEDETTO, Istruttoria amministrativa, Diritto on line, 2012; M. CLARICH, Garanzia del contraddittorio nel procedimento, in Dir. amm., 2004, 01, 59.
25 Quest’ultima ha stabilito l’obbligo, anche in riferimento a tali tipologie di procedimenti espropriativi, della comunicazione di avvio del procedimento, da esplicarsi, prima dell’approvazione del progetto definitivo, secondo la sequenza deposito atti- ricevimento di osservazioni- decisioni sulle stesse. Cons. Stato, Ad. Plen., 15 settembre 1999, n. 14.
237
Più di recente il Consiglio di Stato26, tornando sul punto, ha evidenziato che in
caso di approvazione di progetti di opere pubbliche in cui sia esclusa la partecipazione
del privato alle determinazioni relative alle scelte progettuali discrezionali, il
proprietario espropriando verrebbe formalmente reso edotto di detta approvazione
soltanto al momento dello spossessamento del bene, impedendosi quindi qualsiasi
apporto di elementi di valutazione da parte degli interessati. Si è, inoltre, escluso che
all'assenza della comunicazione di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990 possa sopperire
l'art. 21 octies della medesima legge.
Gli istituti introdotti dalla l. 241/1990 a garanzia del cittadino hanno favorito
l’aumento del contenzioso giurisdizionale, sempre più frequenti, infatti, sono state le
impugnazioni aventi ad oggetto la violazione delle disposizioni in essa contemplate.
L’aumento complessivo dei ricorsi induce a ritenere che anche il cittadino comune abbia
preso maggiore consapevolezza delle garanzie procedimentali che l’ordinamento gli
assicura. Il dato interessante è che il contenzioso non sembra in fase di recessione: si
consideri che mentre in relazione ai primi nove anni 1990-1998, sono state poco più di
1600 le decisioni emesse a seguito dell’invocazione in giudizio di disposizioni della l.
241/1990, dal 1999 al 2003 sono state più di 1850. Particolare attenzione desta il dato
concernente la comunicazione di avvio del procedimento, il contenzioso ad essa relativo
è persino raddoppiato tra il 1999 e il 200327. Al di là dei dati quantitativi la rilevanza
dell’intervento giurisprudenziale è ricavabile dalla trasformazione ad integrazione dei
vari istituti introdotti dalla legge sul procedimento che ha provveduto a riempirli di
contenuto.
Per i casi di comunicazione carente e di omissione totale della comunicazione è
ormai prevalsa la tesi secondo cui il raggiungimento dello scopo, quale meccanismo
sanante, preclude l’illegittimità del provvedimento28. Questa lettura sostanziale piuttosto
che meramente formale dell’art. 7 della l. 241/1990 è stata codificata dal Legislatore nel
co. 2 dell’art. 21 octies della l. 241/1990 in forza del quale, quindi, la mancata
comunicazione dell’avvio del procedimento non inficia il provvedimento
amministrativo, qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del
26 Cons. Stato, sez. IV, 31 dicembre 2010, n. 9612. 27 FORMEZ, I procedimenti amministrativi: un bilancio quantitativo e qualitativo, (a cura di) T.
Di Nitto e A. Sandulli, Roma, 2004, 32 ss. 28 T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 23 giugno 2010, n.1583.
238
provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. A
differenza del co. 1 della medesima disposizione, più in generale sui vizi formali e
procedimentali del provvedimento, il Legislatore non limita l’operatività della regola
alla sola attività vincolata e pone a carico della PA l’onere probatorio della non
incidenza del vizio sul contenuto del provvedimento. Al di fuori di tali ipotesi,
l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento determina l’illegittimità del
provvedimento per violazione di legge29.
Tale disposizione si spiega in base alle finalità sottese alla prescrizione
normativa in esame destinata a sollecitare la partecipazione dei soggetti interessati per
assolvere ad esigenze di natura difensiva e collaborativa, ampliando, in questo modo, il
campo cognitivo dell’amministrazione per l’esercizio della relativa azione sulla base di
una istruttoria completa. Alla luce di tali novità appare ormai evidente il mutamento
dell’oggetto del giudizio amministrativo, non più esclusivamente sull’atto
amministrativo ma sul rapporto30.
Per l’importanza che la legge sul procedimento amministrativo assegna alla
comunicazione di avvio e nonostante l’assenza di criteri univoci che consentano di
distinguere i diversi ed autonomi procedimenti dalle singole fasi, l’orientamento
giurisprudenziale oggi prevalente è incline a ritenere che l’amministrazione procedente
abbia l’obbligo di effettuare la comunicazione per tutte le fasi in cui il procedimento
può eventualmente articolarsi (c.d. sub procedimenti) in modo da consentire al cittadino
interessato di poter utilizzare in maniera più sollecita ed adeguata gli strumenti di
partecipazione31. Medesime considerazioni valgono per l’esercizio dell’autotutela, per
cui dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere, in base al criterio del c.d.
contrarius actus, che l’amministrazione debba utilizzare le stesse modalità
procedimentali e forme con le quali è stato adottato il provvedimento oggetto di
riesame, garantendo pertanto la partecipazione dei soggetti interessati.
29 M. VAGLI, La comunicazione di avvio del procedimento negli atti vincolati tra evoluzione giurisprudenziale e novità legislative, www.lexitalia.it, 2005, 04.
30 R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, 1095 ss. 31 Una conferma di questo orientamento è stata riscontrata a livello normativo nell’art.146 del
Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. 22 gennaio 2004, n.42) che ha introdotto un innovativo modello autorizzatorio, garantendo le istanze partecipative dei soggetti interessati anche nella fase di competenza della sopraintendenza, prevedendo espressamente l’obbligo di comunicazione di avvio sub procedimento, eliminando tra l’altro il potere di annullamento ministeriale. Vedi R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, 596.
239
II. I soggetti che partecipano al procedimento hanno le facoltà e i diritti stabiliti
dall’art. 10 della l. 241/1990 che si sostanziano, come è noto, nell’accesso
endoprocedimentale32, ossia nel diritto di prendere visione degli atti del procedimento,
salvo i casi previsti dall’art. 24 della medesima legge, e nel diritto di presentare
memorie scritte e documenti pertinenti all’oggetto del giudizio da cui deriva l’obbligo
dell’amministrazione di valutarli e, ove vengano disattesi, di darne conto nella
motivazione del provvedimento.
I destinatari della comunicazione di avvio del procedimento non costituiscono
gli unici soggetti legittimati alla partecipazione amministrativa essendo riconosciuta la
facoltà di intervenire anche ai soggetti indicati dall’art. 9 della l. 241/1990 ossia a
“qualunque soggetto portatore di interessi pubblici o privati, nonché portatori di
interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio
dal provvedimento”
Tale disposizione ha lo scopo di confermare e rafforzare le finalità collaborative
sottese all’istituto della partecipazione riconoscendo la legittimazione procedimentale
dei portatori di interessi diffusi, anche se il riferimento alle associazioni e ai comitati
sembra piuttosto evocare la categoria degli interessi collettivi33.
L’individuazione dei soggetti legittimati alla partecipazione consente di
affrontare la vexata quaestio della correlazione tra i legittimati al procedimento e i
legittimati al processo34.
In particolare la tutela degli interessi diffusi nel procedimento e processo
amministrativo è stata fonte di un tradizionale dibattito dottrinale e giurisprudenziale
che non ha ottenuto una soluzione esaustiva da parte del Legislatore, sia con riferimento
32 L’accesso endoprocedimentale costituisce un’anticipazione del più generale diritto di accesso regolato dal successivo art. 22 della l. n.241/1990.
33 In termini di definizione occorre distinguere gli interessi collettivi dagli interessi diffusi: i primi sono quegli interessi che fanno capo ad un gruppo organizzato, onde il carattere della personalità e differenziazione necessari per qualificarli come legittimi e per aprire la via della tutela davanti al giudice amministrativo potrebbe più facilmente essere rinvenuto sostituendo al tradizionale soggetto atomisticamente inteso, il gruppo, soggetto al quale gli interessi sono comunque riferibili”. Sono invece interessi diffusi quelli che appartengono allo stesso modo ad una pluralità di soggetti più o meno determinata e che hanno per oggetto beni non suscettibili di appropriazione e godimento esclusivo. Si distinguono dagli interessi collettivi da un punto di vista soggettivo, in quanto appartengono ad una pluralità di soggetti, da un punto di vista oggettiva, in quanto non sono suscettibili di fruizione differenziata, v. E CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2012, 332.
34 Sul punto ampiamente: D. LOPOMO, La tutela degli interessi diffusi nella più recente evoluzione normativa e giurisprudenziale con particolare riferimento alle associazioni di consumatori, in Foro amm. Tar, 2010, 04, 1511 ss.; R. LEONARDI, La legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste: alcune questioni ancora giurisprudenziali, in Riv. Giur. Edilizia, 2011, 01, 3.
240
alle associazioni ambientaliste sia con riferimento alle associazioni dei consumatori. Le
medesime problematiche in ordine alla corrispondenza tra legittimazione
procedimentale e processuale si sono poi riproposte con riferimento all’AGCM, a
seguito del recente intervento legislativo sulla legge n. 287/1990, che ha introdotto l’art.
21 bis35.
Come si è detto, il sistema di gestione dell’interesse pubblico è passato “da un
modello di rapporto decisionale con gli interessati inteso in senso verticale ad un
modello di tipo collaborativo e associativo” 36 . Ciò è avvenuto attraverso il
coinvolgimento degli interessi sopra-individuali, nel procedimento quanto nel processo,
delle associazioni, soggetti privati, portatori di istanze collettive.
In questo modo l’esercizio del pubblico potere ha assunto la fisionomia di una
procedura decisionale multilivello, concordata e partecipata da cittadini e associazioni
che fanno entrare nel procedimento valori sociali attraverso la loro soggettivizzazione in
enti esponenziali.
Sotto il profilo giurisdizionale si è posto il problema della giustiziabilità degli
interessi diffusi in quanto a differenza degli interessi collettivi non fanno capo ad enti
esponenziali. Pertanto, ci si è chiesto se potesse essere riconosciuta in capo ad
un’organizzazione a tutela del consumatore ovvero della salubrità dell’ambiente una
posizione qualificata e differenziata legittimante istanze imputabili ad una collettività
indistinta. Si tratta di interrogativi connessi alla dimensione soggettiva della tutela
giurisdizionale amministrativa costruita intorno alla figura dell’interesse legittimo37.
La situazione viene affrontata a livello normativo e giurisprudenziale ma non
completamente risolta.
Nel primo caso è la legge a stabilire se un’organizzazione possa fare valere in
via giurisdizionale le istanze di una collettività indifferenziata senza perciò fare alcun
35 Articolo aggiunto dall'articolo 35, comma 1, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201. V.
sull’argomento: R. GIOVAGNOLI, Atti amministrativi e tutela della concorrenza. Il potere di legittimazione a ricorrere dell’AGCM nell’art. 21 bis legge .287/1990, Testo scritto della relazione al convegno tenutosi presso l’Università degli studi di Milano il 27 settembre 2012, www.giustizia-amministrativa.it.
36 D. LOPOMO, La tutela degli interessi diffusi nella più recente evoluzione normativa e giurisprudenziale con particolare riferimento alle associazioni di consumatori, in Foro amm. Tar, 2010, 04, 1511 ss.
37 Quale situazione giuridica di tipo materiale, qualificata, personale e differenziata, riferibile ad un soggetto preciso che perciò solo diviene legittimato all’impugnazione dell’atto amministrativo. Per un esame della questione v. R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, 1736 ss.
241
riferimento alla qualificazione della situazione giuridica soggettiva legittimante la tutela
giurisdizionale.
In particolare, in tema di tutela della salubrità dell’ambiente gli artt. 13- 18 co.5
della l. n. 349/198638, istitutiva del Ministero dell’Ambiente, hanno riconosciuto alle
associazioni di protezione ambientale la legittimazione ad impugnare davanti al Giudice
amministrativo i provvedimenti ritenuti illegittimi e lesivi dell’ambiente, circoscrivendo
tuttavia tale potere alle sole associazioni iscritte in appositi elenchi39.
Ad essi vanno aggiunti gli orientamenti giurisprudenziali 40 che estendono
l’accesso alla tutela giurisdizionale ad associazioni non iscritte purché ricorrano alcuni
presupposti che il giudice ha il compito di verificare per l’ammissibilità del ricorso.
Si tratta di criteri concorrenti e attinenti al collegamento che un’associazione può
avere con un determinato ambiente41 ovvero alla complementarità tra partecipazione
procedimentale e legittimazione processuale; in sostanza la partecipazione al
procedimento dell’attore collettivo42 determinerebbe la qualificazione e differenziazione
dell’interesse diffuso in capo all’organizzazione e di conseguenza la legittimazione ad
impugnare l’atto che lo conclude43. In questo modo risulta particolarmente valorizzata la
funzione deflattiva del giudizio dell’istituto della partecipazione.
38 L’art. 13 co.1: “Le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle
presenti in almeno cinque regioni sono individuate con decreto del Ministro dell’ambiente sulla base delle finalità programmatiche e dell’ordinamento interno democratico previsti dallo statuto, nonché della continuità dell’azione e della sua rilevanza esterna, previo parere del Consiglio nazionale per l’ambiente da esprimere entro novanta giorni dalla richiesta”. L’art.18 co.5 :”Le associazioni individuate in base all’art. 13 della presente legge possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi”.
39 Va aggiunto il riferimento all’art. 146 co. 13, d.lgs. 22 gennaio 2004, n.42 (Codice dei beni culturali ed ambientali) che ha riconosciuto alle associazioni ambientaliste portatrici di interessi diffusi individuate in base all’art. 13, l. 8 luglio 1986, n.349, anche la legittimazione ad impugnare l’autorizzazione paesaggistica.
40 In questo senso: Ad. Plen. Cons. Stato, 19 ottobre 1979, n.24: aveva, infatti, ritenuto tutelabili davanti al giudice amministrativo gli interessi degli appartenenti ad una comunità insediata in un determinato ambiente qualora vengano incisi da un provvedimento amministrativo e ha affermato l’azionabilità di tale tutela anche da parte di un’associazione, pur se non riconosciuta, che abbia come finalità la tutela di quell’ambiente. Vedi anche: T.A.R. Liguria, 18 marzo 2004, n.267.
41 Cons. Stato, 29 aprile 1980, n. 473:“A fronte di provvedimenti amministrativi afferenti valori ambientali, sono riconoscibili posizioni di interesse legittimo unicamente in capo a quei soggetti i quali col determinato ambientale di volta in volta inciso presentino ben precisi e consistenti collegamenti”.
42 In base all’art. 9 della L. 241/1990 e in materia ambientale all’art. 309 del D.lgs. 152/2006. 43 Cons. Stato, 15 aprile 1980, n.407. In questo senso v. anche Cons. Stato, 2 ottobre 2006,
n.5760. Contra: Cons. Stato, 25 giugno 2008, n. 3234, in cui si evidenzia come la legittimazione riconosciuta dall’art. 9 della l. 241/1990 ai portatori di interessi diffusi lascia impregiudicata e non fa scaturire automaticamente la legittimazione processuale di tali soggetti. Per un’attenta ricostruzione giurisprudenziale v. D. FURLAN, La legittimazione dei Comitati e delle Associazioni che si propongono
242
Questa tesi, volta ad estendere l’accesso alla tutela giurisdizionale anche alle
associazioni non riconosciute, ha trovato riscontro nel diritto europeo44 e nel principio
di sussidiarietà orizzontale come emerge dall’art. 118 c.4 Cost., a seguito della modifica
del titolo V operata dalla Legge Cost. 3/2001 che sancisce un percorso di autonomia
correlato più propriamente alla società civile e al suo sviluppo democratico volontario.
In particolare, tra gli interventi normativi di livello sovranazionale il principale è
costituito dalla Direttiva 1985/377 del 27 giugno 1985 concernente la valutazione
dell’impatto ambientale di progetti pubblici e privati determinati, poi modificata dalla
Direttiva 2003/35, in attuazione degli accordi derivanti dalla Convenzione di Aarhus45,
che ha sancito il diritto del “pubblico di ricevere informazione in ordine a processi
decisionali in materia ambientale46, il diritto del “pubblico interessato” di partecipare a
tali procedure e di accedere alla tutela giurisdizionale per contestare la legittimità di atti
ed omissioni soggetti alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico previste dalla
direttiva47.
Tuttavia, la tesi della complementarietà tra legittimazione processuale e
procedimentale viene smentita dal legislatore nel Testo unico ambientale, D.lgs. 3 aprile
2006, n.152. La partecipazione al procedimento, pertanto, non sarebbe idonea a fare
assumere alla situazione di cui sono portatori gli enti esponenziali, la natura giuridica di
interesse legittimo e dunque di una situazione giuridica qualificata e differenziata che li
legittimi al ricorso giurisdizionale. Negli artt. 309 e 310 del D.lgs. 152 del 2006 si
ripropone, pertanto, il modello originario delle legittimazioni processuali.
di tutelare l’ambiente a impugnare con ricorso al Giudice amministrativo provvedimenti lesivi di interessi ambientali, www.eco-magazine.it.
44 Si pensi agli artt. 1 n. 2 e 10 bis della Direttiva europea 85/337/CE come modificata dalla direttiva 2003/35/CE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privato e che riconosce alle associazioni ambientaliste la legittimazione a ricorrere contro i provvedimenti che autorizzano progetti con impatto ambientale. Ulteriori contrasti si sono rintracciati con la direttiva 2003/4/CE sull' actio ad exhibendum ed infine con la Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998, ratificata dall'Italia con L. del 16 marzo 2001, n. 108. Sul punto v. F. R. MAELLARO, La legittimazione al ricorso in materia urbanistica, in Giur. merito, 2012,7- 8,1492; E. FASOLI, Associazioni ambientaliste e procedimento amministrativo in Italia alla luce degli obblighi della convenzione Unece di Aarhus del 1998 in Riv. giur. ambiente, 2012, 3- 4, 331.
45 Firmata il 25 giugno del 1998, sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. Convenzione che attua il principio della Dichiarazione sull’ambiente e lo sviluppo approvata alla conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro nel 1992.
46 Art. 6 co. 2. 47 Artt. 6 co. 4 -10 bis.
243
Viene codificato il ruolo che l’art. 309 riconosce in capo alle sole associazioni
riconosciute di presentare al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio denunce
e osservazioni concernenti qualsiasi caso di danno ambientale al fine di orientare ed
incentivare un’attività di prevenzione e tutela dell’ambiente. In base all’art. 310, le
medesime possono: impugnare, dinanzi al giudice amministrativo in giurisdizione
esclusiva48, atti e provvedimenti adottati in violazione della sesta parte del decreto per
ottenerne l’annullamento, agire avverso il silenzio inadempimento del Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nonché per ottenere il risarcimento
del danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da parte del medesimo Ministero,
delle misure necessarie di precauzione, prevenzione o contenimento del danno
ambientale49.
Il codice nulla dispone con riferimento alle associazioni ambientaliste non
riconosciute ma in possesso dei requisiti di rappresentatività né tanto meno scioglie la
questione della legittimazione processuale delle sole associazioni a livello nazionale a
sacrificio di quelle a livello locale50. Ciò in palese contrasto con i principi ispiratori del
codice stesso e dei principi costituzionali ed europei, in particolare il principio di
sussidiarietà51.
Ancora l’art. 311 del Codice attribuisce esclusivamente in capo al Ministero
dell’ambiente la legittimazione per chiedere il risarcimento del danno ambientale in
favore dello Stato.
L’esame della normativa a circa venti anni della legge 241/1990, riguardante sia
in generale la tutela dell’ambiente sia in particolare i poteri delle associazioni di
protezione ambientale riconosciute dal Ministero, rende evidente il progressivo e
crescente riconoscimento, in sede legislativa, del ruolo delle associazioni con finalità di
tutela dell’ambiente52. Nonostante dunque le discontinuità riscontrate tra il percorso
48 Art. 133 co. 1 lett. s), c.p.a. 49 R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, 1742 ss. 50 Va infatti segnalato l’orientamento giurisprudenziale che con riferimento alle Associazioni
ambientaliste rinnega la legittimazione processuale alle loro articolazioni locali per riconoscerlo esclusivamente alla struttura nazionale. Non mancano, peraltro, sentenze di segno contrario e i due indirizzi opposti sembrano convivere tuttora. Cfr. Cons. Stato 19 ottobre 2007, n 5453; Cons. stato 21 ottobre 1996, n.1379.
51 R. LEONARDI La legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste: alcune questioni ancora giurisprudenziali, in Riv. Giur. Edilizia, 2011, 01, 3.
52 Si v. la l. 6 dicembre 1991, n.394 (Legge quadro sulle aree protette); l’art .17 co. 46 della l. 15 maggio 1997 n.127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo); D.Lgs. n.39 del 14 febbraio 1997 poi sostituito dal D.Lgs. n.195 del 19 agosto
244
tracciato dal legislatore nazionale e quello comunitario e dalla giurisprudenza, sembra
tuttavia prevalere oggi l’orientamento, in origine minoritario, favorevole ad attribuire la
legittimazione a impugnare atti lesivi dell’ambiente anche ad associazioni non
legittimate ex lege, purchè siano accertati specifici indici di rappresentatività e di
vicinitas con l’interesse che si assume leso, escludendo l’automaticità tra legittimazione
procedimentale e processuale53. Resta preclusa tale legittimazione ai comitati istituiti
temporaneamente con scopo preciso e limitato in quanto non costituiscono portatori in
modo continuativo di interessi diffusi radicati nel territorio54.
A seguito di alcune interviste compiute ad alcune associazioni a tutela
dell’ambiente e in base alla giurisprudenza consultata è emerso che l’intervento
procedimentale di tale categoria di portatori di interessi diffusi trova effettiva
applicazione soprattutto nei procedimenti di natura precettiva/regolatoria (per i settori
relativi alla tutela dell’ambiente, all’urbanistica ecc) sebbene non sempre riescano ad
influenzare la decisione finale della PA.
Questa scarsa influenza si spiega poichè il coinvolgimento delle associazioni
portatrici di interessi diffusi avviene in ritardo e non in una fase preliminare di
definizione del provvedimento. Ne consegue una predilezione da parte delle stesse per
metodologie di dialogo deliberativo disciplinate da alcune leggi regionali come la
Regione Toscana e Regione Emilia Romagna, che sono state esaminate nelle successive
sezioni del presente lavoro, in quanto in grado di garantire “fasi procedimentali
strutturate, informazioni accurate, analisi delle alternative, tempi certi, obblighi di
risposta argomentata”.
Quanto alla legittimazione processuale, dai dati rilevati è emerso che le
associazioni propongono con scarsa frequenza ricorso al Giudice amministrativo.
La tematica della legittimazione ad agire delle associazioni dei consumatori non
ha trovato riscontri in giurisprudenza analoghi a quelli in materia di ambiente e al di là
2005 di attuazione della direttiva 2003/4 sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale; l’art. 9 co. 3 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n.267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) articolo poi abrogato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio; art. 146 co.12 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n.42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). Per questa ricostruzione normativa si v. D. FURLAN, La legittimazione dei Comitati e delle Associazioni che si propongono di tutelare l’ambiente a impugnare con ricorso al Giudice amministrativo provvedimenti lesivi di interessi ambientali, www.eco-magazine.it.
53 Ex multis v. Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd, 16 ottobre 2012, 933; Cons. Stato 23 maggio 2011, n.3107; Cons. Stato, sez. VI, 13 settembre 2010, 6554, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 15 luglio 2010, 2995; T.A:R:, Trentino Alto Adige, 9 luglio 2008, 164.
54 T.A.R. Toscana, 1 gennaio 2011, n.567.
245
dell’esplicito riferimento normativo contenuto nella disciplina di settore. Questo si
spiega per il più forte impatto sul corpo sociale che il valore della salubrità
dell’ambiente ha per la sua correlazione con la tutela della salute55 e con altri valori che
contribuiscono a creare una “nozione allargata”56 di ambiente.
Gli sviluppi giurisprudenziali e normativi non permettono di riconoscere una
generale legittimazione ad agire delle associazioni dei consumatori dinnanzi al giudice
amministrativo.
Manca, infatti, nel Codice del consumo una disposizione assimilabile all’art. 18
co. 5 della l. 349/1986 che riconosca una generale legittimazione ad agire delle
associazioni dei consumatori davanti al Tribunale amministrativo57. La disciplina del
Codice del consumo prevista dagli artt. 139-140 è orientata ad ammettere una tutela più
efficace degli interessi superindividuali davanti al giudice ordinario, attraverso vari
strumenti: azione inibitoria, misure “idonea a correggere o eliminare gli effetti dannosi
delle violazione accertate”, pubblicazione della sentenza. In questo quadro è stata
inserita la class action, di cui all’art. 140 bis, destinata ad ottenere il risarcimento del
danno subito da una pluralità di consumatori58.
Prima della riforma del 2009 sia la tutela inibitoria che la class action potevano
essere attivate direttamente da enti esponenziali, associazioni la cui rappresentatività era
presunta in quanto iscritte nell’elenco tenuto presso il Ministero dello Sviluppo
Economico, comitati e associazioni privi del requisito dell’iscrizione ma dotati di
rappresentatività in concreto, vale a dire adeguatamente rappresentativi degli interessi
collettivi fatti valere, da verificarsi caso per caso59.
L’estensione degli effetti della sentenza collettiva era garantita dal meccanismo
dell’adesione all’azione. Al contempo era sempre ammesso l’intervento di consumatori
o utenti che volessero proporre domande aventi il medesimo oggetto.
55 Cass. Civ., sez. III, 25 settembre 1996, n.5650. 56 Comprensiva della tutela del patrimonio anche culturale, storico e artistico del Paese. In questo
senso: Cons. Stato 9 ottobre 2002, n. 5365. 57 Sul punto v. D. LOPOMO, La tutela degli interessi diffusi nella più recente evoluzione
normativa e giurisprudenziale con particolare riferimento alle associazioni di consumatori, in Foro amm. Tar, 2010, 04, 1511 ss.
58 Introdotta dall’art. 2, comma 446, l. n.244 del 24 dicembre 2007 (Legge finanziaria 2008) che ha inserito l’art. 140 bis nel D.Lgs. 6 settembre 2005, n.206 (Codice del consumo). Tale disposizione è stata oggetto di varie modifiche.
59 Art. 140 bis co.2 del Codice del consumo.
246
Dopo la riformulazione dell’art. 140 bis, l’azione collettiva può essere proposta
sia da un consumatore/utente danneggiato nei suoi diritti (chiamato tecnicamente dalla
norma "componente della classe"), che da un’associazione o un comitato a cui il
soggetto leso decida di dare mandato. A differenza della versione precedente
dell'articolo e' stata quindi eliminata la legittimazione diretta ad agire di associazioni dei
consumatori e comitati, che pertanto potranno esser parte del giudizio solo su esplicito
mandato di un consumatore, introducendo in questo modo uno strumento processuale
più vicino al modello della class action dell’ordinamento federale statunitense60.
L'azione di classe di cui all’art. 140 bis ha, dunque, per oggetto la tutela di diritti
individuali omogenei dei consumatori e degli utenti ed è destinata all'accertamento della
responsabilità, alla condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli
utenti consumatori61.
Per quanto riguarda la tutela davanti al giudice amministrativo il D.lgs. 198/2009
ha introdotto la class action pubblica62. Si tratta di uno strumento di azione, individuale
o collettiva, avverso le inefficienze delle amministrazioni e dei concessionari di servizi
pubblici 63 . Questo meccanismo di garanzia del buon andamento dell’azione
amministrativa consente ai “titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per
una pluralità di utenti e consumatori”64, di agire in giudizio, previa diffida, per la
violazione di standard di qualità, economicità e tempestività da parte di una Pubblica
amministrazione o di un concessionario di pubblico servizio nell’erogazione di un
servizio al fine di ripristinare il suo corretto svolgimento. Il ricorso non consente di
ottenere un risarcimento del danno subito ma, piuttosto, ha lo scopo di ordinare alla
Pubblica amministrazione di porre rimedio all’inerzia. Per la tutela azionata dagli enti
60 Sul punto v. ampiamente R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo,
Roma, 2012, 1755 ss. 61 Secondo la nuova formulazione dell’art. 140 bis introdotta dal Decreto Liberalizzazioni (d.l.
1/2012). Tale decreto, inoltre, accanto alla tutela civile, ha introdotto una tutela amministrativa dei consumatori, inserendo nel codice del consumo l’art.37 bis (Tutela amministrativa contro le clausole vessatorie), il quale conferisce all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, sentite le associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale e le camere di commercio interessate o loro unioni, d’ufficio o su denuncia, il potere di dichiarare la vessatorietà delle clausole inserite nei contratti tra professionisti e consumatori che si concludono mediante adesione a condizioni generali di contratto o con la sottoscrizione di moduli, modelli o formulari.
62 La disciplina della class action pubblica non è stata trasfusa nel Codice del processo amministrativo sulla base della considerazione che come il codice di procedura civile non disciplina azioni collettive. V. Relazione di accompagnamento al Codice del processo amministrativo.
63 R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, 1764 ss. 64 Art. 1 co. 1 del D.Lgs. 198 del 2009.
247
esponenziali, la valutazione relativa alla legittimazione è stata quella della
rappresentatività dell'ente desunto dall'indicazione, tra i fini statutari, della protezione
dell'interesse oggetto di tutela giurisdizionale65 per evitare di far trasmodare l'azione
esercitata in generico controllo dell'operato dell'amministrazione66.
Dall’analisi complessiva appena compiuta emerge che la giurisprudenza tende
ad escludere la giustiziabilità degli interessi diffusi negando ad essi un valore autonomo
trasformandoli volta per volta in interessi collettivi riferibili a formazioni sociali munite
di struttura organizzativa.
Le considerazioni appena compiute trovano un’ulteriore conferma nella materia
della concorrenza ed in particolare con riferimento al recente intervento normativo che
ha introdotto l’art. 21 bis alla legge 287/1990 che attribuisce all’AGCM il potere di
impugnare “gli atti amministrativi generali, i regolamenti e i provvedimenti di qualsiasi
pubblica amministrazione che violino le norme a tutela della concorrenza e del
mercato”. La disposizione ha posto seri dubbi interpretativi in ordine alla qualificazione
di tale potere, al suo inserimento in un contesto di tutela giurisdizionale amministrativa
caratterizzato da una dimensione soggettiva67 e numerose implicazioni di carattere non
solo teorico ma anche pratico68. Nonostante le posizioni diverse assunte dalla dottrina si
è ritenuta condivisibile la prospettiva maggiormente compatibile con il sistema
costituzionale che qualifica l’AGCM come ente esponenziale di un interesse particolare
65 V. in tal senso Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2009, n. 2549: «Appare priva del requisito dello
stabile collegamento territoriale l'associazione che non sia formata da commercianti del quartiere interessato dal provvedimento amministrativo impugnato, dal momento che affinché possa dirsi trasformato l'interesse diffuso in interesse collettivo, così divenendo interesse legittimo tutelabile in giudizio è necessario che: 1) l'ente dimostri la sua rappresentatività rispetto all'interesse che intende proteggere, il quale deve essere desunto dal fatto che deve trattarsi di un ente il cui statuto preveda come fine istituzionale la protezione di un dato interesse diffuso o collettivo; 2) che l'ente sia in grado, per la sua organizzazione e struttura, di realizzare le proprie finalità ed essere dotato di stabilità, nel senso che deve svolgere all'esterno la propria attività in via continuativa; 3) che sussista uno stabile collegamento territoriale tra l'area di afferenza dell'attività dell'ente e la zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso (vicinitas)».
66 D. ZONNO, Class action pubblica: nuove forme di tutela dell'interesse diffuso?, in Giur. merito, 2010, 10, 2362.
67 Si pongono, pertanto, le seguenti alternative: la tesi che intende riconoscere con tale attribuzione una speciale forma di legittimazione al ricorso scollegata dalla titolarità di una posizione giuridicamente qualificata e differenziata; e quella che qualifichi la concorrenza come interesse legittimo, una sorta di interesse collettivo di cui l’AGCM diventerebbe una specie di ente esponenziale secondo un modello già noto con riferimento agli interessi diffusi.
68 Ad esempio la compatibilità di tale disposizione con l’art. 103 Cost; l’ambito di applicazione della medesima quale eccezione al regola. La questione è stata affrontata da: R. GIOVAGNOLI, Atti amministrativi e tutela della concorrenza. Il potere di legittimazione a ricorrere dell’AGCM nell’art. 21 bis legge n.287/1990, Testo scritto della relazione al convegno tenutosi presso l’Università degli studi di Milano il 27 settembre 2012, www.giustizia-amministrativa.it.
248
e differenziato69 che come nel caso delle associazione ambientaliste e dei consumatori
risulta dotato dei necessari requisiti di rappresentatività e destinazione alla tutela di
interessi diffusi. Anche in questo caso, pertanto, si ammetterebbe la trasformazione
dell’interesse diffuso della tutela della concorrenza in interesse collettivo nel momento
in cui il legislatore ne affida la cura all’AGCM che, quale ente esponenziale, ne
assumerebbe la legittimazione ad agire per la sua tutela.
La differenza rispetto, tuttavia, agli altri enti esponenziali sta nel fatto che si
tratta di un soggetto pubblico qualificato70. A sostegno di questo orientamento vi è la
constatazione della difficoltà del privato di fare valere in giudizio la lesione del mercato
quando essa non si traduca in una lesione particolare della propria sfera giuridica non
potendo vantare una posizione differenziata da coloro i quali condividono il medesimo
interesse71.
Per concludere la disamina degli istituti di partecipazione è necessario procedere
all’esame del preavviso di rigetto e degli accordi.
III. Il preavviso di rigetto previsto dall’art. 10 bis della l. 241/1990 è stato
introdotto dalla riforma del 2005, che ha codificato un orientamento già affermato in
giurisprudenza secondo cui l’amministrazione ha un potere dovere di attivarsi allo
scopo di istaurare un contraddittorio endoprocedimentale con i privati interessati sulle
ragioni che ostano all’accoglimento della domanda, nel rispetto dei principi di buon
69 In questo senso tra gli altri: M. A. SANDULLI e R. GIOVAGNOLI. 70 A sostegno di questa tesi è richiamato l’orientamento dottrinale (G. GRECO, Il modello
comunitario della procedura di infrazione e il deficit di sindacato di legittimità dell’azione amministrativa in Italia, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2010), che propone l’introduzione nell’ordinamento interno di uno strumento di sindacato sulla legittimità dell’azione amministrativa analogo alla procedura di infrazione prevista a livello comunitario per Commissione nei confronti degli Stati membri. In quest’ottica viene richiamato l’obbligo di leale cooperazione di cui all’art. 120 comma 2. Cost. In questo senso: M. A. SANDULLI, Introduzione a un dibattito sul nuovo potere di legittimazione al ricorso dell’Agcm nell’art. 21 bis l. n.287 del 1990. Il testo costituisce la rielaborazione dell’Introduzione all’ Incontro di studio su “Il nuovo potere di legittimazione al ricorso dell’AGCM nell’art. 21 bis l. n. 287 del 1990”, svoltosi in collaborazione tra l’AGCM e la Cattedra di Giustizia amministrativa della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tre presso l’Auditorium dell’AGCM il 31 maggio 2012, federalismi.it n. 12/2012; In senso opposto F. CINTIOLI, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (art. 21 bis della legge n. 287 del 1990), in www.giustamm.it, il quale sostiene che la norma configuri un’ipotesi di giurisdizione oggettiva in quanto l’autorità potrebbe e dovrebbe attivarsi a tutela di un interesse generale al rispetto delle regole e non di un interesse particolare.
71 La medesima legittimazione a ricorrere avverso atti adottati da altre amministrazioni è stata prevista dall’art. 37 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, a favore della neo istituita Autorità di regolazione dei trasporti, in ordine agli atti di comuni e regioni, con particolare riferimento al servizio taxi, adottati in violazione dei principi individuati dallo stesso art. 37.
249
andamento di cui all’art. 97 Cost. e di leale collaborazione, economicità ed efficienza.
Inoltre, consente di realizzare quella parità di parti nel contraddittorio con il privato,
superando le asimmetrie sotto il profilo decisionale, nonostante le eventuali
osservazioni e memorie presentate dal privato sulle ragioni ostative all’accoglimento
dell’istanza che non importano alcun effetto conformativo sul potere decisionale della
pubblica amministrazione, ma solo un obbligo di motivazione. Il preavviso di rigetto ha
un ambito operativo ristretto, essendo esclusi dalla sua applicazione sia i procedimenti
di cui all’art. 13 della l. 241/1990, che le procedure concorsuali e i procedimenti in
materia previdenziale ed assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti da enti
previdenziali. Discussa è poi l’applicazione alle procedure avviate ad istanza di parte e
destinate ad ottenere l’erogazione di contributi pubblici.
Le questioni maggiormente dibattute con riferimento al preavviso di rigetto,
attengono all’applicabilità di tale istituto ai procedimenti avviati con segnalazione
certificata di inizio attività e la compatibilità di tale strumento di partecipazione con le
ipotesi di inerzia provvedimentale. Il primo dei problemi individuati è stato risolto in
senso negativo, dal momento che non si tratta di procedimenti ad istanza di parte. In
questi casi, tuttavia, non si verifica alcuna riduzione delle garanzie procedimentali
essendo piuttosto assicurate dalla disciplina speciale (art. 23 d.P.R 6 giugno 2001,
n.380). La questione sulla compatibilità del preavviso di rigetto con le ipotesi di silenzio
significativo è stata risolta in senso positivo cioè dunque affermando la piena operatività
di tale strumento sebbene comporti effetti diversi sull’iter procedimentale a seconda che
ricorra un’ipotesi di silenzio-assenso ovvero silenzio rigetto72.
Il preavviso di rigetto ha ridisegnato l’intera scansione temporale del
procedimento. Il legislatore ha stabilito che tale comunicazione debba essere compiuta
prima dell’adozione del provvedimento negativo e quindi della scadenza del termini di
conclusione del procedimento amministrativo. Tale strumento sostituisce un atto
endoprocedimentale e dunque non immediatamente impugnabile che si colloca tra
l’istruttoria e la fase decisoria. Inoltre interrompe i termini per la conclusione del
procedimento che inizieranno a decorrere dalla data di presentazione delle eventuali
osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine per l’esercizio di tale diritto (10
72 P. AMOVILLI, La comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza (art. 10-bis
l. 241/90) tra partecipazione, deflazione del contenzioso e nuovi modelli di contradditorio “ad armi pari”, www.giustizia-amministrativa.it, 2009, 11.
250
giorni dal ricevimento della comunicazione). Ne deriva una più evidente interazione tra
l’istituto della partecipazione e i principi di celerità e speditezza dell’attività
amministrativa. Tale assunto trova ulteriore conferma nell’ultimo periodo aggiunto dalla
l. 180/2011 (Statuto delle imprese), per cui non possono essere addotti come motivi
ostativi le inadempienze ed i ritardi attribuibili all’amministrazione73.
Di fatto, a seguito della comunicazione dei motivi ostativi, si apre una nuova
fase istruttoria nel corso della quale l’istanza iniziale può essere riformulata sulla base
dei motivi comunicati dall’amministrazione procedente come ostativi e determinanti
l’esito negativo del procedimento.
Quanto agli effetti dell’omissione del preavviso di rigetto, anche in questo caso
la giurisprudenza74 ha preferito un’interpretazione sostanzialistica escludendo pertanto
che da essa possa derivare automaticamente la caducazione del provvedimento finale,
facendo salvo lo stesso ogni qualvolta il privato abbia oltremodo potuto conoscere i
motivi ostativi ed esercitare pertanto le proprie facoltà partecipative. In assenza di un
rinvio espresso anche a questo strumento di partecipazione è discussa l’applicazione del
meccanismo sanante di cui alla seconda parte del comma 2 dell’art. 21 octies della l.
241/1990. Parte della giurisprudenza75, ha ritenuto estensibile tale regola all’istituto in
esame, ponendo in risalto la sua funzione comunicativa, partecipativa e sollecitatoria del
contraddittorio con il privato, comune alla comunicazione di avvio del procedimento.
IV. Concludendo questa prima sezione dedicata all’esame degli strumenti di
partecipazione non ci si può esimere dalla trattazione dell’istituto degli accordi
disciplinati dall’art. 11 della l. 241/1990 e affrontare le tematiche ad esso connesse.
73 R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, 608 ss. 74 Ex multis v. Tar Lazio, sez. I, 10 luglio 2007, n. 6230, Assicurazioni generali s.p.a. e Nuova
tirrena s.p.a. c. Agcm, in cui si afferma che in ossequio all’esigenza di far prevalere questioni di sostanza su profili meramente formali nonché in virtù del principio di buon andamento dell’amministrazione e dei suoi corollari (conservazione degli atti, strumentalità delle forme, raggiungimento dello scopo ed economicità dell’azione amministrativa), l’omissione del preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 è inidonea a fondare una pronuncia di annullamento nei casi in cui: a) l’interessato sia comunque venuto a conoscenza aliunde dell’esistenza di un procedimento che lo riguardasse; b) il procedimento abbia natura vincolata; c) il privato non abbia dimostrato in giudizio che la sua partecipazione avrebbe potuto portare a diverso esito.
75 Cost. Stato, sez. IV, 12 sttembre 2007, n. 4828.
251
L’esercizio consensuale della potestà amministrativa prima della l. 241 del 1990
era già stata utilizzato nella normativa di settore76, tuttavia esso ha trovato una
istituzionalizzazione con la legge sul procedimento amministrativo. Gli accordi si
distinguono dai contratti di diritto comune stipulati dalla Pubblica amministrazione in
quanto, in quest’ultimo caso, la pubblica amministrazione agisce jure privatorum ed è
equiparata ad un soggetto di diritto privato, sebbene sia prevista una procedura
amministrativa di evidenza pubblica destina ad assicurare il controllo sul perseguimento
dell’interesse pubblico che “funzionalizza”77 l’intera attività amministrativa e sulla
scelta del miglior contraente. Gli accordi costituiscono manifestazione della capacità di
diritto pubblico della pubblica amministrazione che si concretizza in un modo
consensuale di esercizio del potere amministrativo, tradizionalmente esercitato in via
unilaterale78.
L’amministrazione può concludere con i privati due categorie di accordi,
integrativi del contenuto del provvedimento amministrativo o sostitutivi dello stesso.
I primi hanno lo scopo di favorire la formulazione di una soluzione concordata
del contenuto discrezionale del provvedimento, senza sostituirlo. Pertanto il
procedimento amministrativo si concluderà con un provvedimento amministrativo e la
pubblica amministrazione sarà tenuta ad adottarlo con il contenuto stabilito nell’accordo
integrativo endoprocedimentale.
Gli accordi sostitutivi consistono in uno schema consensuale tra privati e
pubblica amministrazione che va a sostituire il provvedimento finale. Esempio ne è la
cessione volontaria in tema di esproprio.
A seguito dell’intervento normativo operato dalla l. 15 del 2005, l’ambito di
applicazione oggettivo degli accordi endoprocedimentali e di quelli sostitutivi coincide;
entrambi incidono sull’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, resta
esclusa invece l’attività interamente vincolata.
Prima, infatti, di tale riforma, gli accordi sostitutivi trovavano attuazione nelle
sole ipotesi stabilite espressamente dalla legge. Dopo la riforma anche questi sono stati
76 Si pensi all’accordo alternativo al provvedimento ablatorio di cui alla’art. 26 della L. 16
giugno 1865, n.2359 e all’art. 12, L. 22 ottobre 1971, n.865, poi trasfuso nel T.U.: 327/2001; nonché agli accordi collettivi in materia di pubblico impiego.
77 M. GARGANO, Attività amministrativa e moduli consensuali: gli accordi tra p.a. e privati, in Giur. merito 2006, 12, 2581.
78 R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, 991 ss.
252
resi atipici. sebbene, vada chiarito, che trattasi di una atipicità differente rispetto a quella
stabilita dal codice civile, in quanto inevitabilmente correlata ai requisiti di tipicità e
nominatività dei provvedimenti di base79.
L’accordo si inserisce all’interno di un procedimento amministrativo già in corso
e l’iniziativa in ordine alla sua conclusione può provenire tanto da un privato, che
presenti per iscritto osservazioni o proposte ai sensi dell’art. 10 della l. 241 del 1990,
che dalla stessa pubblica amministrazione procedente. L’accordo, inoltre, non può
essere adottato in pregiudizio dei terzi così come il provvedimento non può pregiudicare
direttamente i diritti di soggetti non coinvolti nel procedimento80.
Come per gli altri strumenti procedimentali, vale anche per gli accordi quanto
stabilito dall’art. 13 della l. 241/1990 per cui non trovano applicazione nei procedimenti
amministrativi finalizzati all’adozione di atti normativi, amministrativi generali, di
pianificazione né di programmazione.
Per tali procedimenti, come è evidente, gli accordi (ad esempio convenzioni
urbanistiche) potranno avere luogo solo se espressamente previsti dalla disciplina di
settore e secondo le regole particolari da questa previste (si pensi alle convenzioni di
lottizzazione81).
La disciplina degli accordi non è compiutamente definita dall’art. 11 che si
limita a fare un generico rinvio ai principi del Codice civile in materia di obbligazioni e
contratti in quanto compatibili e salvo deroga espressa. L’inciso “ove non diversamente
previsto” fa intendere che la deroga possa provenire dal Legislatore ovvero dalle stesse
79 T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII,05 settembre 2012: “La base normativa della previsione
degli strumenti consensuali per il perseguimento di finalità perequative va individuata nel combinato disposto degli artt. 1 comma 1 bis e 11, l. n. 241 del 1990. Invero, il legislatore ha optato per una piena ed assoluta fungibilità dello strumento consensuale rispetto a quello autoritativo, sul presupposto della maggiore idoneità del primo al perseguimento degli obiettivi di pubblico interesse. Essendo venuta meno la previgente riserva alla legge dei casi in cui alle Amministrazioni è consentito ricorrere ad accordi in sostituzione di provvedimenti autoritativi, tale possibilità deve ritenersi sempre e comunque sussistente (salvi i casi di espresso divieto normativo); col che non è stato affatto introdotto il principio della atipicità degli strumenti consensuali in contrapposizione a quello di tipicità e nominatività dei provvedimenti, in quanto lo strumento convenzionale deve pur sempre prendere il posto di un provvedimento autoritativo individuato fra quelli tipici disciplinati dalla legge: a garanzia del rispetto di tale limite, l'art. 11 citato prevede l'obbligo di una determinazione amministrativa che anticipi e legittimi il ricorso allo strumento dell'accordo”.
80 R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, 991 ss. 81 Gli strumenti attuativi delle decisioni pianificatorie, a differenza di queste ultime e quindi
degli atti di programmazione e pianificazione che hanno un contenuto altamente discrezionale e per i quali non è immaginabile una partecipazione dei privati, presentano una scarsa discrezionalità, in quanto legati al rispetto delle scelte operata a monte nel piano regolatore. Pertanto, in questi casi, gli accordi potranno ben essere utilizzati. In questo senso v. Cons. Stato sez. IV, 26 giugno 2000, n.3600.
253
parti. E’ richiesta la forma scritta ab substantiam in deroga al principio della libertà
delle forme; questo si spiega sulla base del principio di legalità dell’azione
amministrativa e di controllo sulla stessa in modo che sia sempre più rispondente
all’interesse pubblico perseguito. Gli accordi devono essere conclusi al fine di realizzare
l’interesse pubblico previa determinazione dell’organo che sarebbe competente
all’adozione del provvedimento. Tale interesse incide anche nella fase esecutiva
dell’accordo: è, infatti, riconosciuta alla pubblica amministrazione la facoltà di recesso
in caso di sopravvenute ragioni di interesse pubblico contro la corresponsione di un
indennizzo.
Al fine di garantite l’imparzialità e la massima trasparenza dell’attività
amministrativa, il co. 47 dell’art.1 della citata l. n. 190 del 2012 aggiunge al comma 2
dell’art. 11 della legge sul procedimento la disposizione secondo cui agli accordi
sostitutivi o integrativi del provvedimento si applica la disciplina sulla motivazione di
cui all’art. 3. Pertanto, tali accordi devono essere motivati con l’indicazione dei
presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione
dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.
Infine, in base all’art. 133 co.1 lett. a n. 2 del Codice del processo
amministrativo, D.lgs. 2 luglio 2010, n.104, le controversie in materie di formazione,
conclusione ed esecuzione degli accordi sono riservate alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo.
La questione più ampiamente dibattuta in materia di accordi riguarda la loro
natura giuridica ossia la qualificazione come contratti di diritto comune ad oggetto
pubblico82, contratti di diritto pubblico ovvero riconoscendogli una natura mista che
ammette la commistione tra aspetti pubblicistici e privatisti nell’ambito degli accordi.
82 Gli accordi avrebbero la natura di contratti di diritto comune ad oggetto pubblico e si
collocano nell’ambito dell’esercizio da parte della pubblica amministrazione dell’autonomia negoziale seppure con taluni elementi di specialità. Questo orientamento trova fondamento oltre che in alcune pronunce giurisprudenziali: nel dato normativo in particolare sul richiamo dell’art. 11 ai “principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti” che, nonostante le limitazioni aggiunte: “in quanto compatibili” e “ove non diversamente previsto”, può considerarsi un rinvio di carattere generale; nel comma 1bis dell’art.1 della legge sul procedimento amministrativo inserito dalla l. 15 del 2005 secondo il quale “la pubblica amministrazione nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”. Ed infine a sostegno della tesi privatistica si pone il co. 4 bis dell’art.11 in virtù del quale la conclusione dell’accordo deve essere preceduta da una determinazione della pubblica amministrazione procedente che sembra evocare la delibera a contrarre della procedura ad evidenza pubblica. La sent. 204 del 2004 ha condiviso la lettura in chiave privatistica degli accordi affermando la natura intrinsecamente contrattuale, salvo poi precisare che si tratterebbe di una forma di esercizio indiretto del potere amministrativo. v. Cons. Stato, sez V, 13
254
La vexata quaestio sulla natura giuridica degli accordi tra P.A. e privato si
spiega per l'estrema difficoltà di conciliare, a livello concettuale, “le nozioni di autorità
e di consenso”, che costituiscono manifestazioni dei concetti, diametralmente opposti,
di “potestà pubblica autoritativa e di autonomia privata” 83 . Mentre, infatti, la
consensualità implica di per sé una bilateralità e pariteticità nella composizione degli
interessi contrapposti, il potere amministrativo autoritativo si caratterizza per
l’unilateralità e la supremazia ad esso connaturata. Si tratta, dunque, di caratteristiche
contrastanti e difficilmente conciliabili. Tali difficoltà sono state progressivamente
superate, pervenendo alla considerazione che il potere amministrativo non debba
necessariamente esplicarsi in un atto unilaterale, ma possa trovare realizzazione anche
mediante un atto bilaterale (accordi e convenzioni). La tesi prevalente valorizza la
connotazione pubblicistica degli accordi qualificandoli come contratti di diritto pubblico
ovvero provvedimenti concordati costituenti esercizio consensuale del potere
amministrativo e fondati sul principio della sua inesauribilità84.
Come esempi di accordi vanno, dunque, considerati la cessione volontaria85, la
convenzione di lottizzazione86 e gli accordi bonari87 .
marzo 2000, n.1327 con riferimento alle concessioni contratto. Sull’argomento: M. GARGANO, Attività amministrativa e moduli consensuali: gli accordi tra p.a. e privati, in Giur. merito 2006, 12, 2581; R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, 991 ss.
83 M. GARGANO, Attività amministrativa e moduli consensuali: gli accordi tra p.a. e privati, in Giur. merito 2006, 12, 2581.
84 Questa teoria, prevalente si fonda su alcuni assunti che vengono tratti dallo stesso art. 11 della l. 241/1990 oltre che dalla giurisprudenza. Un primo spunto attiene alla terminologia utilizzata: si tratta di accordi anziché contratti. Si evidenzia che gli accordi in quanto sostitutivi del provvedimento amministrativo ovvero in grado di integrarne il contenuto non possono non partecipare della sua stessa natura. Si evidenzia, inoltre, che l’accordo sostitutivo risulta assoggettato agli stessi controlli ai quali sarebbe sottoposto il provvedimento. Sotto un profilo normativo poi il rinvio generale al diritto comune attiene esclusivamente ai principi del diritto civile in quanto compatibile, salvo espressa deroga e non alle norme puntuali del diritto civile. Inoltre la disciplina del recesso di cui all’art. 11 risulta assimilabile più facilmente alla disciplina della revoca dei provvedimenti ex art. 21 quincquies che non al recesso di cui all’art. 21 sexies della l. 241/1990. Argomenti a sostegno di questa tesi sono dedotti dalla Corte cost. 6 luglio 2004, n.204 e 191/2006. Sul tema della recesso dagli accordi: E. MAURO, Osservazioni in tema di revoca del provvedimento amministrativo e di recesso dagli accordi procedimentali, in Foro amm. Tar, 2004, 02, 554; R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, 991.
85 E’ previsto dall’art. 20 TU espr. (D.Lgs. n.325 del 2001) una volta comunicato all’espropriando la determinazione dell’indennità di esproprio questi può condividerla irrevocabilmente e depositare la documentazione attestante, in questo modo concludendo con l’amministrazione procedente un accordo ex art. 11 della l. 241/1990 avente ad oggetto la cessione del bene espropriato.
86 L’art. 28 della l. n.765/1967 disciplina la convenzione di lottizzazione che rappresenta lo strumento urbanistico di esecuzione dei piani regolatori generali e dei programmi di fabbricazione. V. Cons. Stato sez. IV,1 aprile 2011 n. 2040 sulla qualificazione delle convenzioni di lottizzazione come accordi sostitutivi: “La convenzione di lottizzazione ha natura giuridica di accordo sostitutivo di provvedimento ai sensi dell'art. 11, l. 7 agosto 1990 n. 241, e da essa discende, come conseguenza obbligata, la sua non modificabilità in caso di mancato coinvolgimento di tutti i loro originari firmatari; la
255
Si differenziano dagli accordi esaminati di cui all’art. 11 della l. 241/1990 gli
accordi tra amministrazione, disciplinati dall’art. 15 della l. 241/199088. Si tratta di
strumenti destinati a concordare lo svolgimento di attività in comune per realizzare
momenti di raccordo e semplificazione. Tale norma fa espresso richiamo ai commi 2- 3-
5- dell’art. 11 della l. 241/1990, mentre perplessità sono derivate dal mancato richiamo
al co. 4, relativo al diritto di recesso della PA per sopravvenute ragioni di interesse
pubblico.
I sostenitori della tesi che riconosce la natura pubblicistica agli accordi hanno
interpretato l’assenza del rinvio nel senso del riconoscimento di un illimitato potere di
recesso senza i limiti dei motivi sopravvenuti e l’obbligo di corresponsione
dell’indennizzo. Per il resto vale quanto sostenuto in materia di accordi. Un esempio di
accordi tra amministrazioni sono le conferenze di servizi le quali sono previste come
accordi sostitutivi di parti del procedimento caratterizzate dalla sussistenza di un
interesse pubblico prevalente.
Va ricordato, inoltre, che con riferimento agli accordi organizzativi, l’art. 6 D.L.
179/2012 ha disposto che a decorrere dal 1° gennaio 2013, siano sottoscritti con firma
digitale o con firma elettronica avanzata o con altra firma elettronica qualificata, a pena
di nullità. Dall’attuazione di tali novità non devono derivare nuovi o maggiori oneri a
carico del bilancio dello Stato dovendosi provvedere nell’ambito delle risorse umane,
strumentali, finanziarie previste dalla legislazione vigente.
Si differenziano dagli accordi tra amministrazioni gli accordi di programma
disciplinati dall’art. 34 TU Enti locali in quanto presentano un maggiore grado di
specificità in ordine all’oggetto dell’accordo, ai soggetti e al procedimento.
Da un’indagine compiuta dall’Istat nell’ambito dell’Osservatorio sulla
modernizzazione delle pubbliche amministrazioni del Dipartimento della funzione
possibilità per la p.a. di sciogliersi dall'accordo per sopravvenuti motivi di pubblico interesse e di regolare unilateralmente ed autoritativamente i rapporti e le attività oggetto della convenzione e, infine, l' attribuzione delle relative controversie alla giurisdizione del G.a.”
87 Gli accordi bonari disciplinati originariamente dall’art. 31 bis L. 109/1994 per i soli appalti di lavori pubblici trasfusi poi con alcune innovazioni nell’art. 240 del D.Lgs. 163/2006. Costituiscono una peculiare categoria di accordo amministrativo che si sostanzia in una forma di definizione precontenziosa e transattiva delle controversie di natura economica aventi ad oggetto diritti soggettivi che possono sorgere nel corso dell’esecuzione di contratti pubblici.
88 Esistono numerose figure di accordi tra pubbliche amministrazioni, ad esempio all’interno del TUEL sono disciplinati: gli accordi di programma, le convenzioni, i consorzi e l’esercizio associato di funzioni e servizi da parte dei comuni.
256
pubblica89 risulta che il numero di amministrazioni che dichiarano di aver fatto ricorso
ad accordi al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale è
piuttosto limitato (99 amministrazioni, pari al 9,6 della totalità), ed è solo di poco
superiore il numero di amministrazioni che hanno fatto ricorso ad accordi sostitutivi di
provvedimenti (119 unità, pari all’11,5%).Tuttavia è necessario, nella valutazione di tali
dati, considerare l’ambito operativo degli accordi sostitutivi prima dell’intervento
normativo del 2005 che, a differenza di quelli integrativi del contenuto del
provvedimento, non avevano applicazione generale ma solo nei casi stabiliti dalla legge.
Dalla medesima indagine è emerso che circa il 58% delle unità delle
amministrazioni locali, situate nel Centro e nel Settentrione ha concluso accordi con
altre amministrazioni per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di
interesse comune90.
89 Presidenza del Consiglio dei ministri- Dipartimento della funzione pubblica– ufficio per
l’innovazione delle pubbliche amministrazioni, Semplificazione e trasparenza. Lo studio di attuazione della legge n.241 del 1990, a cura di M. L. D’Autilia e N. Zamaro, Roma Edizioni Scientifiche italiane, 2005, 58.
90 Presidenza del Consiglio dei ministri- Dipartimento della funzione pubblica– ufficio per l’innovazione delle pubbliche amministrazioni, Semplificazione e trasparenza. Lo studio di attuazione della legge n.241 del 1990, a cura di M. L. D’AUTILIA e N. ZAMARO, Roma Edizioni Scientifiche italiane, 2005, 162.
257
Grafico elaborato dall’Istat91
In ordine al periodo in cui tali accordi sono stati conclusi si registra una
maggiore attività nel periodo compreso tra il 2001 e il 2003 per entrambe le categorie di
accordi, mentre negli anni compresi tra il 1997 e il 2000 le quote si attestano al 3,1%
per gli accordi integrativi e al 3,6 % per quelli sostitutivi. Infine solo l’1,3% delle
amministrazioni dichiara di aver concluso accordi prima del 1997 nei due casi. Per
entrambe le tipologie di accordo considerate, inoltre, non si osservano comportamenti
differenti tra le amministrazioni. Nel contempo si riscontra una progressione crescente
delle quote relative alle amministrazioni locali, mentre esiguo è il numero di
amministrazioni centrali che dichiara di avere definito accordi dei due tipi considerati92.
Grafico elaborato dall’Istat93
9191 Presidenza del Consiglio dei ministri- Dipartimento della funzione pubblica– ufficio per
l’innovazione delle pubbliche amministrazioni, Semplificazione e trasparenza. Lo studio di attuazione della legge n.241 del 1990, a cura di M.. L. D’AUTILIA e N. ZAMARO, Roma Edizioni Scientifiche italiane, 2005.
92 Presidenza del Consiglio dei ministri- Dipartimento della funzione pubblica– ufficio per l’innovazione delle pubbliche amministrazioni, Semplificazione e trasparenza. Lo studio di attuazione della legge n.241 del 1990, a cura di M. L. D’Autilia e N. Zamaro, Roma Edizioni Scientifiche italiane, 2005, 83- 84.
93 Presidenza del Consiglio dei ministri- Dipartimento della funzione pubblica– ufficio per l’innovazione delle pubbliche amministrazioni, Semplificazione e trasparenza. Lo studio di attuazione
258
Dal punto di vista territoriale si osservano valori analoghi a quelli rilevati per la
totalità delle amministrazioni solo per le unità del Centro, che risulta abbiano fatto
ricorso ad accordi integrativi del contenuto discrezionale del provvedimento nell’8,9%
dei casi e ad accordi sostitutivi nell’11,3% dei casi. Superiori sono i valori registrati per
le amministrazioni del Nord che hanno definito accordi del primo tipo (12,4%) e accordi
sostitutivi (13,2%). Infine, le amministrazioni situate nel meridione presentano valori
inferiori a quello complessivo per entrambe le tipologie di accordo considerate
(rispettivamente il 6,8% e il 9,8%). Le quote registrate per le amministrazioni del Nord
manifestano una, seppure contenuta, crescita al passare del tempo con riferimento ai
periodi considerati e dopo il 2000, in modo particolare nel Centro, una sorta di arresto94.
In assenza di un aggiornamento dei dati non è stato possibile operare un
confronto della situazione attuale con quella appena descritta. In attesa di un’indagine di
ampio respiro che consenta di disporre di dati più precisi, l’esame della giurisprudenza
ha dimostrato un lieve incremento dell’utilizzo di questi strumenti consensuali
nell’ultimo decennio, soprattutto, con riferimento al settore urbanistico.
In chiusura di questa sezione dedicata agli strumenti di partecipazione è bene
ricordare come tra i principi che sovraintendono l’attività procedimentale vi siano la
pubblicità e la trasparenza. Per una selezione resasi opportuna delle tematiche da
affrontare nel presente lavoro, sono state escluse dalla trattazione quelle inerenti
l’accesso ai documenti amministrativi che richiedono, per essere esaustivamente
affrontate, un intero lavoro ad esse dedicato, soprattutto alla luce dei recenti interventi
normativi (D.lgs. n.33 del 2013). In questa sede tuttavia si ritiene opportuno evidenziare
come l’obbligo previsto per le amministrazioni di informare i cittadini-utenti in ordine
alle proprie funzioni, ai propri servizi, alle modalità di erogazione degli stessi è
strettamente collegato alle garanzie di esercizio della partecipazione e del diritto di
della legge n.241 del 1990, a cura di M. L. D’Autilia e N. Zamaro, Roma Edizioni Scientifiche italiane, 2005.
94 Presidenza del Consiglio dei ministri- Dipartimento della funzione pubblica– ufficio per l’innovazione delle pubbliche amministrazioni, Semplificazione e trasparenza. Lo studio di attuazione della legge n.241 del 1990, a cura di M. L. D’Autila e N. Zamaro, Roma Edizioni Scientifiche italiane, 2005, 64- 85.
259
accesso ai documenti amministrativi95. Pertanto, il rispetto del principio di trasparenza
si traduce in ovvi benefici per la partecipazione, entrambi, peraltro, posti alla base delle
attività degli URP, Uffici per la relazione con il pubblico. Si chiarirà nella sezione
successiva, dedicata al procedimento elettronico, come tali principi trovino attuazione
attraverso l’utilizzo delle ICT.
Gli uffici per le relazioni con il pubblico sono stati previsti dall’art.12 del D.lgs.
3 febbraio del 1993, n.29 e le loro funzioni sono state ridefinite con interventi normativi
successivi.
Dai dati esaminati si registra un graduale e costante andamento positivo degli
URP.
Per avere un’idea della crescita delle strutture per l’informazione ai cittadini, si
consideri che la prima indagine compiuta dal Dipartimento per la funzione pubblica
aveva accertato già al luglio 1995 un numero pari a 1284 Urp96. La distribuzione
territoriale degli uffici esistenti evidenzia un dato interessante che mostra come i
Comuni del sud del Paese siano particolarmente sensibili alla loro istituzione. Tali dati
evidenziano un cambiamento rispetto al passato (1995) in cui si indicava una tendenza
opposta rispetto a quella appena riferita. Nessun cambiamento invece si registra in
ordine al tipo di attività svolta dagli uffici concernente principalmente l’informazione
sulle strutture e sull’attività delle amministrazioni in cui sono incardinati. Inferiore,
invece, risulta l’attività relativa ai servizi attinenti alla partecipazione procedimentale e
all’accesso ai documenti, nonché alla cosiddetta funzione di ascolto, destinati alla
predisposizione di strumenti volti a valutare il gradimento degli utenti rispetto
all’attività prestata97.
Va infine precisato che è sempre in crescita il numero degli sportelli in rete e che
collaborano nell’ambito del recente Progetto Urp degli Urp98.
95 In base al comma 2 dell’art. 22, l. n. 241/1990, nel testo oggi vigente, l’accesso ai documenti
amministrativi costituisce principio generale dell’attività amministrativa, volto a favorire la partecipazione e ad assicurare l’imparzialità e la trasparenza.
96 FORMEZ, I procedimenti amministrativi: un bilancio quantitativo e qualitativo, (a cura di) T. Di Nitto e A. Sandulli, Roma, 2004, 71 ss.
97 FORMEZ, I procedimenti amministrativi: un bilancio quantitativo e qualitativo, (a cura di) T. Di Nitto e A. Sandulli, Roma, 2004, 71 ss.
98 Di cui al sito www.urpgov.it .
260
3. La diffusione delle ICT nelle amministrazioni e la partecipazione al
procedimento amministrativo elettronico
La partecipazione dei cittadini alle attività della pubblica amministrazione
attraverso l'utilizzo delle Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione (ICT),
definita e- Participation, costituisce una qualificante garanzia delle politiche nazionali
di e- Government99.
Essa consente da un lato di migliorare l’accesso ai servizi (e- inclusion) e
dall’altro di facilitare, in un'ottica di apertura e trasparenza, la valutazione dall'esterno
dell'azione di governo, sia a livello nazionale che locale100.
La normativa relativa al procedimento amministrativo e quella relativa all’uso
delle tecnologie dell’innovazione e della comunicazione hanno avuto un notevole
sviluppo a partire dai primi anni ’90. Agli inizi del terzo millennio, il quadro normativo,
sia in tema di procedimento amministrativo cartaceo che sull’utilizzo delle tecnologie
informatiche nell’esercizio dell’azione amministrativa, si presentava sufficientemente
sviluppato, sebbene in quest’ultimo caso, la disciplina appariva piuttosto frammentata e
disarticolata con riferimento al rapporto tra atto e procedimento. In verità, l’uso delle
tecnologie informatiche è avvenuto tenendo in scarsa considerazione il procedimento
amministrativo quale processo unico, informatizzato e destinato all’adozione del
provvedimento finale, concentrandosi piuttosto su singole fasi del procedimento
amministrativo101.
Fino a poco tempo fa, pertanto, la tecnologia è stata limitata ad un uso di
99 “Le politiche italiane in materia di e- Government costituiscono l’attuazione a livello nazionale
di quelle europee. L’attuale quadro è stato determinato nel 2000 dal Consiglio europeo, riunito a Lisbona con l’obiettivo, per l’Europa, di: “diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”, la cui ultima evoluzione è la Strategia “2010”. Tutto ciò è considerato nell’ambito degli “obiettivi di Lisbona”, che sono tre: realizzare uno spazio unico europeo dell’informazione; rafforzare l’innovazione e gli investimenti nella ricerca sulle ICT; realizzare una società dell’informazione e dei media basta sull’inclusione. L’e- Government rientra tra i sotto- obiettivi del terzo punto, anche se tocca in parte il secondo: Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento della funzione pubblica, E- Government e organizzazione nelle amministrazioni pubbliche. Analisi di caso sulle leve e le condizioni organizzative per l’efficacia dell’e- Government, 2013, p.13.
100 Su questo tema si ricordano le numerose esperienze locali, soprattutto a livello comunale, di utilizzo delle tecnologie ICT per favorire la partecipazione dei cittadini alla vita democratica e le decisioni dell'amministrazione su temi quali: gli urban center, la pianificazione strategica, l'utilizzo del suolo e i PRG, il bilancio partecipato.
101 Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie, Linee guida per la promozione della cittadinanza digitale: e-democracy, Roma, 2004.
261
carattere strumentale destinato alla facilitazione e semplificazione di alcune fasi in cui il
procedimento amministrativo si articola, dando per presupposta la trattazione cartacea.
Far assumere alle ICT un ruolo centrale nel procedimento amministrativo
costituisce un’esigenza fondamentale per la semplificazione e democratizzazione
dell’attività amministrativa che richiede più ampiamente la ristrutturazione
organizzativa della stessa in termini di informatizzazione.
Se la decisione, dunque, sull’utilizzo delle ICT, sia nell’an che sul quando,
rientra nell’autonomia organizzativa dei soggetti pubblici e, in base al principio di
sussidiarietà, dovrebbe rientrare nella competenza degli Enti locali e Regioni, nel
quomodo deve essere uniformemente garantita. Usare tecnologie diversificate sarebbe
d’ostacolo al dialogo tra i vari soggetti coinvolti102.
Si registrano molti progressi nell’impiego dell’ICT sia in termini di servizi
erogati che di infrastrutture; “secondo l’ISTAT l’Italia si colloca al di sopra della media
europea in termini di disponibilità di servizi pubblici in rete, sebbene con un’offerta non
omogenea per qualità e completezza. Il CNIPA, Centro Nazionale per l’Informatica
nella Pubblica Amministrazione, oggi DigitPA103, ha contribuito alla definizione dei
processi di e- Government nelle amministrazioni pubbliche ed ha raccolto ed elaborato
le linee di programma future (contenute nel piano triennale ICT) della PA centrale del
dicembre 2007, in cui sono anche indicate le azioni multilivello rivolte a Regioni ed Enti
locali”104.
Con l’attuazione del D.Lgs n.82/2005 “Codice della PA digitale”, ribadita con la
direttiva del Ministro per le Riforme e le Innovazioni nella Pubblica Amministrazione
verso il sistema nazionale di e-Government- Linee strategiche (marzo 2007), si è
proposto un percorso di innovazione che è innanzitutto organizzativa prima ancora che
tecnologica: proprio quest’ultima può rappresentare “una risorsa strategica per la
realizzazione degli obiettivi di sviluppo economico e sociale del territorio propri delle
102 C. NOTARMUZI, “Il procedimento amministrativo informatico”, www.astrid-online.it.
Dello stesso Autore vedi anche: DigitPA: la terza riorganizzazione dell’informatica pubblica, in Giornale di diritto amministrativo, n. 10/2010, p. 1014 ss. e L’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione, in Giornale di diritto amministrativo, 2011, 6, 610 ss.
103 DigitPA- Ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione, in attuazione di quanto disposto dal d.lgs. n.177 del 1 dicembre 2009.
104 Presidenza del Consiglio dei ministri- Dipartimento della Funzione pubblica, E- Government e organizzazione nelle amministrazioni pubbliche. Analisi di caso sulle leve e le condizioni organizzative per l’efficacia dell’e- Government, 2013, 7.
262
PA locali e regionali”105.
I dati rilevati da una recente ricerca Formez- Istituto Piepoli106 ha dimostrato che
il 62% degli italiani non ha mai utilizzato un sito web della Pubblica Amministrazione,
mentre solo il 38% degli intervistati ha dichiarato di utilizzare internet per informarsi o
accedere ai servizi delle PA. La maggior parte di essi si pone nella fascia di età 18-34
anni ed ha un elevato livello di istruzione. L'accesso ai siti web pubblici è
principalmente dettato dall'esigenza di utilizzare un servizio erogato dalla PA ed i
servizi web più conosciuti sono quelli riguardanti i tributi locali (ICI/IMU), i certificati
anagrafici e catastali, le iscrizioni scolastiche, i concorsi pubblici e le prenotazioni delle
visite mediche. Il risparmio di tempo è il principale vantaggio riconosciuto da coloro
che utilizzano internet per entrare in contatto con la PA, ma ancora elevato è il numero
di cittadini che non utilizzano i servizi internet della PA, preferendo recarsi di persona
agli uffici pubblici.
Dai risultati di un’indagine condotta dal Formez107, è emerso che le Regioni
italiane, in ordine al sistema di informatizzazione dei procedimenti e più nello specifico
all’adeguamento ai dettami del Codice dell’amministrazione digitale, in quasi tutti i casi
esaminati, hanno realizzato “portali regionali contenenti banche dati sui procedimenti
amministrativi nelle quali viene indicata la normativa, la modulistica scaricabile on-line,
lo stato dell’iter procedimentale, i tempi e gli adempimenti previsti, mentre le rimanenti
Regioni hanno previsto nei loro programmi strumenti adeguati per l’utilizzo dei sistemi
informativi (Fig. 3.1). I servizi offerti sono in prevalenza di tipo informativo e solo in
limitati casi (quattro Regioni) di tipo interattivo” 108. Sono, tuttavia, state riscontrate
105 Presidenza del Consiglio dei ministri- Dipartimento della Funzione pubblica, E- Government
e organizzazione nelle amministrazioni pubbliche. Analisi di caso sulle leve e le condizioni organizzative per l’efficacia dell’e- Government, 2013, 7.
106 L'indagine, mirante a comprendere la percezione generale da parte dei cittadini del grado di digitalizzazione e informatizzazione delle Pubbliche Amministrazioni e dei servizi da esse erogati, è stata effettuata attraverso 1439 interviste a campione rappresentativo della popolazione italiana per i caratteri di sesso, età, area geografica e ampiezza centri. V. Indagine cittadini nuovo CAD –.Agenda digitale presentata il 13 marzo 2013 a Roma.
107 L’indagine, conclusa alla fine del 2007, è stata condotta su dodici amministrazioni regionali: Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio, Puglia, Campania, Basilicata. FORMEZ, Nuove politiche di semplificazione: i fabbisogni delle Regioni, A. Natalini, F. Ferrara (a cura), 2008.
108 Ciò avviene attraverso: a) l’introduzione di forme certificate e semplificate di rendicontazione degli incentivi; b) l’ invio telematico delle istanze e dei relativi allegati. Inoltre, la stessa regione, con riferimento ai procedimenti amministrativi di formazione dei decreti del Presidente della regione, ha automatizzato l’intero percorso, sostituendo i documenti ufficiali cartacei con i corrispondenti digitali. V.
263
esperienze avanzate di innovazioni tecnologiche applicate alla pubblica amministrazione
nella Regione Toscana (Rete Regionale dei Suap109) e Friuli- Venezia Giulia. In
quest’ultima Regione è prevista la semplificazione dei procedimenti, in particolare degli
adempimenti a carico delle imprese che riguardano i procedimenti contributivi.
Fig. 3.1. Il livello di informatizzazione dei procedimenti amministrativi nelle amministrazioni regionali110
Quanto alle moderne forme di comunicazione e coinvolgimento degli
stakeholders l’indagine condotta dal Formez nel 2007 ha esaminato le modalità di
interazione tra questi e la Regione in ordine alla formulazione delle politiche e dei
processi di semplificazione. Ne è derivato un quadro piuttosto limitato di casi in cui è
stata prevista la costituzione di organismi di consultazione con Enti locali e categorie
economiche e sociali dedicati alla semplificazione (Fig. 3.2). Non è questa la sede per
approfondire queste fattispecie, è però opportuno evidenziare come sia fortemente
sottoutilizzato il ricorso allo strumento telematico quale forma bidirezionale di
comunicazione tra pubblica amministrazione e cittadino, aspetto questo che, se
adeguatamente incentivato, costituirebbe un forte input allo sviluppo della cultura alla
partecipazione democratica dei cittadini (e- democracy) alle decisioni pubbliche. In
prevalenza, le Regioni preferiscono quali strumenti di consultazione i Tavoli di
A. CALDAROZZI, La semplificazione amministrativa nelle regioni e nei comuni:a che punto siamo, www.astrid.eu.
109 Si tratta di una piattaforma di servizi telematici a supporto della cooperazione tra le amministrazioni a cui hanno aderito, o stanno aderendo, la maggior parte delle amministrazioni locali. La piattaforma della Rete comprende gli strumenti tecnologici per la misurazione dei tempi effettivi di conclusione dei procedimenti e un servizio che offre ai Suap news, modulistica e consulenza specialistica on-line.
110 V. A. CALDAROZZI, La semplificazione amministrativa nelle regioni e nei comuni:a che punto siamo, www.astrid.eu.
264
concertazione e gli Osservatori regionali111.
Fig. 3.2. La presenza di forme di consultazione con gli stakeholders112
Le amministrazioni comunali, probabilmente condizionate dalla diffusione,
propria degli anni ’90, di approcci di tipo aziendalistico hanno concentrato la loro
azione sulla gestionali e informatizzazione dei processi di lavoro, apportando
cambiamenti che hanno permesso di migliorare le performance organizzative. Da una
ricerca compiuta dall’Anci 113 risulta un elevato livello di informatizzazione delle
procedure: circa il 98% dei Comuni campione di indagine ha dimostrato di possedere
una qualche forma di protocollo informatico114.
Sebbene i valori siano rincuoranti non sempre ad essi corrisponde un
adeguamento a standard prestazionali, e ciò per il carattere frammentato degli interventi
e la scarsa operatività del sistema informativo. Strumenti come la firma digitale e la
111 “Nel primo caso, i Tavoli (Regione Toscana) sono strutturati in modo tale che i temi in
discussione sono preceduti da un’istruttoria tecnica elaborata dai tavoli settoriali o da gruppi di lavoro fra tecnici dell’amministrazione e tecnici indicati dalle associazioni partecipanti al Tavolo. Nel secondo caso (Regione Piemonte), l’Osservatorio amministrativo regionale, che rappresenta una struttura stabile all’interno della regione, è composto da un Comitato tecnico, di cui fanno parte rappresentati della Regione e delle Autonomie locali, e da rappresentanti della società civile, delle categorie economico-produttive, del Terzo settore, dell’autonomia universitaria e scolastica. La sua funzione è quella di promuovere azioni di semplificazione”. Il Friuli-Venezia Giulia, invece, introducendo un sistema telematico di partecipazione per cittadini ed imprese consente l’invio on-line di proposte di semplificazione e miglioramento di leggi e procedure. V. A .CALDAROZZI, La semplificazione amministrativa nelle regioni e nei comuni:a che punto siamo, 2010, www.astrid.eu.
112 V. A .CALDAROZZI, La semplificazione amministrativa nelle regioni e nei comuni:a che punto siamo, 2010, www.astrid.eu.
113 La ricerca ha interessato comuni con più di 10000 abitanti distribuiti su tutto il territorio nazionale, ben 43 amministrazioni. Vedi. CITTALIA, Fondazione Anci ricerche- Dipartimento della funzione pubblica, La semplificazione amministrativa nei Comuni italiani, A. Caldarozzi e P. Testa (a cura), nell’ambito del progetto “La diffusione delle innovazioni nel sistema delle amministrazioni locali”.
114 Più della metà di essi ha impiantato sistemi di controllo di gestione integrati e nella stragrande maggioranza dei casi (81%) prevedono il monitoraggio di indicatori di processo. Quasi la metà dei comuni (45% complessivo che sale al 56% per le città sopra i 100000 mila abitanti) ha la possibilità di ricevere e-mail certificate dall’esterno.
265
PEC risultano premesse imprescindibili per l’immediata e diretta comunicazione tra
utenti e PA115. Tra le positività si segnala un’alta percentuale pari all’83% in cui l’utente
ha la possibilità di scaricare la modulistica direttamente dal sito istituzionale e ricevere
informazioni dal comune sui servizi offerti; inoltre quasi 3 amministrazioni su 4 (73%)
hanno comunicato ai propri cittadini quali sono gli adempimenti necessari per la
presentazione e l’accesso alle pratiche che li riguardano. Questo è un segnale di apertura
e di superamento del pregiudizio di una amministrazione chiusa e distante dagli
amministrati116.
Le conseguenze operative di questo scenario indicano come i risultati possibili
dei processi di e- Government siano legati soprattutto alla capacità delle pubbliche
amministrazioni di innovarsi nell’organizzazione prima ancora di procedere alla
digitalizzazione.
L’informatizzazione del procedimento amministrativo può assumere due livelli
di intensità: come strumento di “supporto” allo svolgimento del procedimento
amministrativo, consentendo alle ICT di gestire le medesime operazioni che si svolgono
con modalità cartacee, oppure in termini di “cooperazione applicativa”, in questo modo
l’intero procedimento è svolto secondo modalità telematiche e direttamente dai sistemi
informatici delle pubbliche amministrazioni. Ne consegue che, in tali casi, non sono gli
operatori della pubblica amministrazione a procedere allo scambio di dati e documenti
necessari per lo svolgimento del procedimento ma sono gli stessi elaboratori a
procedervi. Valgono in questo caso due principi: innanzitutto è necessario che le
pubbliche amministrazioni collaborino tra loro per integrare i procedimenti di rispettiva
competenza al fine di agevolare gli adempimenti di cittadini e imprese e rendere più
efficienti i procedimenti amministrativi attraverso meccanismi di cooperazione; in
secondo luogo, allo scambio di dati e documenti informatici compiuto mediante
tecnologie del sistema si deve riconoscere, ai fini procedimentali, il medesimo effetto di
un normale invio documentale, senza la previa stipula di accordi o convenzioni tra
115 Altrettanto confortanti sono i dati relativi all’adozione dei regolamenti interni per
l’applicazione della L. 241/1990 (69%) e all’individuazione per ciascuna categoria di procedimenti, dell’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedurale, nonché dell’azione del provvedimento finale (88% dei comuni).
116 CITTALIA, Fondazione Anci ricerche- Dipartimento della funzione pubblica, La semplificazione amministrativa nei Comuni italiani, A. Caldarozzi e P. Testa (a cura), nell’ambito del progetto “La diffusione delle innovazioni nel sistema delle amministrazioni locali”, 17.
266
amministrazioni117.
Il codice dell’amministrazione digitale (CAD) ha codificato questi principi118 e
disciplinato il procedimento elettronico per fasi: iniziativa, istruttoria e fase decisoria.
Ogni fase si distingue a seconda che l’informatizzazione avvenga come forma di
supporto o di cooperazione applicativa. In quest’ultimo caso le procedure assicurano
meglio l’esattezza dei dati che sono trattati nel rispetto del principio della privacy e
riservatezza, della salvaguardia della discrezionalità della Pa che rischia di essere
compromessa119.
E’ da evidenziare che con le modifiche introdotte al Codice
dell'Amministrazione Digitale dal Decreto legislativo 30 dicembre 2010, n. 235120 e con
il Decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150121, riguardo alle fasi del ciclo di gestione
della perfomance, il Legislatore ha valorizzato l’importanza del coinvolgimento degli
utenti e dei destinatari del provvedimento nelle decisioni della PA attraverso l’uso delle
ICT con le amministrazioni, al fine di migliorare i rapporti tra le stesse e gli
amministrati. “La telematizzazione e l’automatizzazione dell’azione amministrativa
sono, infatti, ‘le nuove tecniche’ di un’amministrazione pubblica che non solo deve
operare nella realtà di una società globalizzata dominata dalle leggi del mercato e del
‘fattore tempo’, ma deve ‘rispondere’ anche alla ‘centralità nuova’ del privato nel suo
rapporto con la pubblica amministrazione”122 . Ignorare queste prescrizioni non è
possibile dal momento che le disposizioni normative prevedono termini stringenti per
l’adeguamento e importanti sanzioni per gli Enti inadempienti.
117 Sul punto v. C. NOTARMUZI, “Il procedimento amministrativo informatico”, www.astrid-
online.it. 118 In particolare si vedano l’art. 12 co.2 relativamente all’organizzazione dei rapporti tra le
amministrazioni, art. 15 co.2 con riferimento alla semplificazione dei procedimenti e delle attività, l’art. 50 co. 1 per quanto concerne la fruibilità dei dati ed infine l’art. 76 del CAD per quanto riguarda lo scambio documentale.
119 C. NOTARMUZI, “Il procedimento amministrativo informatico” in www.astrid-online.it. 120 Sancendo il diritto all'uso delle tecnologie nelle comunicazioni con le amministrazioni e
quello alla partecipazione del cittadino al procedimento amministrativo, riconosce di fatto l'importanza del coinvolgimento dei cittadini nella vita politica e amministrativa.
121 Si stabilisce che uno degli ambiti d'intervento del sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa ha per oggetto proprio il miglioramento qualitativo e quantitativo delle relazioni con i cittadini, i soggetti interessati, gli utenti e destinatari dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione, da realizzare attraverso lo sviluppo di forme di partecipazione e collaborazione (art. 8, lettera e). Uguale attenzione deve essere data ad agevolare un'adeguata partecipazione dei cittadini e degli stakeholder al fine di contribuire a una corretta individuazione degli obiettivi strategici dei servizi pubblici (Delibere CIVIT n. 89/2010121 e n.105/2010121).
122 Introduzione a A. MASUCCI, Procedimento amministrativo e nuove tecnologie. Il procedimento amministrativo elettronico ad istanza di parte. Torino, 2011 p. 12.
267
La partecipazione al procedimento informatico123 è disciplinata dal combinato
disposto del Capo III della Legge 7 agosto 1990, n. 241 con gli artt. 3 e 4 del Codice
dell'amministrazione digitale, Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82, Decreto Crescita
2.0, Decreto Legge 18 Ottobre 2012 e dal Decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri 27 settembre 2012.
In base all’art. 41 del CAD le pubbliche amministrazioni gestiscono i
procedimenti amministrativi utilizzando le tecnologie dell’informazione e
comunicazione secondo quanto stabilito dalla normativa vigente. L’amministrazione
titolare del procedimento raccoglie in un fascicolo informatico gli atti, i documenti e i
dati del procedimento medesimo da chiunque formati. Al momento della comunicazione
di avvio del procedimento, deve informare i destinatari della facoltà di esercitare in
forma telematica i diritti riconosciuti dalla legge, specificando le modalità di accesso
telematico ai documenti e i recapiti telematici del responsabile del procedimento. Le
richieste, così come ogni altro atto e documento, devono essere formate e inviate
secondo le modalità previste dall’art. 65 del Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82, in
modo da consentire l’identificazione dell’autore attraverso firma digitale, PEC, carta di
identità elettronica, carta nazionale dei servizi, accesso da portale con autenticazione,
ecc.124. Le amministrazioni, inoltre, devono pubblicare sul proprio sito istituzionale il
registro dei processi automatizzati rivolti al pubblico, attivati (es. cambio di indirizzo
online, prenotazione tessera elettorale, pratiche edilizie online, ecc.). La pubblicazione
deve permettere al cittadino la verifica a distanza dell’avanzamento delle pratiche che lo
riguardano.
123 A riguardo risulta utile fare riferimento al sito web www.lineaamica.gov.it nella pagina
“Conosco i diritti” del Portale degli italiani, prevede una nuova sezione dedicata alla “Cittadinanza digitale”. Nella sezione sono pubblicate delle schede descrittive sui nuovi “diritti digitali” di cittadini ed imprese introdotti dal Codice dell’Amministrazione digitale (CAD), relativi all’utilizzo delle nuove tecnologie nel rapporto con la Pubblica Amministrazione e sugli strumenti che ne rendono possibile l’esercizio. In ogni scheda, liberamente consultabile è possibile trovare la descrizione del diritto o dello strumento digitale, indicazioni su cosa puoi fare, approfondimenti e riferimenti normativi, le domande e risposte sull’argomento. Per il monitoraggio dell’attività del servizio linea amica www.funzionepubblica.gov.it/lazione-del-ministro/servizi-per-il-cittadino/linea-amica/dossier-sullattivita-di-linea-amica.aspx.
124 C. NOTARMUZI, “Il procedimento amministrativo informatico”, www.astrid-online.it: “Occorre tuttavia precisare le differenze esistenti tra strumenti di identificazione quali la CIE/CNS –pin/password e gli strumenti di sottoscrizione quali le firme digitali. Si tratta di due mezzi nettamente distinti: mentre CIE/CNS servono ad accedere ai servizi erogati on line dalle amministrazioni, e quindi non per sottoscrivere i documenti, le firme digitali sono strumenti di sottoscrizione e non di accesso”.
268
Chi è interessato al procedimento amministrativo può inviare telematicamente
richieste di accesso, nei limiti stabiliti dalla legge, agli atti amministrativi, memorie
scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare e l’utente (es. un
cambio di residenza) può verificare online, in maniera riservata, lo stato di avanzamento
della pratica 125 . L’amministrazione deve rendere possibile agli interessati al
procedimento l’accesso endoprocedimentale mediante forma telematica ed indicarne le
modalità (modalità di accesso telematico, recapiti telematici del responsabile del
procedimento, ecc.) nella comunicazione di avvio del procedimento.
Avviandoci alle considerazioni conclusive di questa sezione è evidente che
l'interazione con gli utenti rappresenti un supporto prezioso ai decision maker pubblici,
sia in fase di progettazione che di correzione o ripensamento delle politiche pubbliche e
dei servizi al cittadino. L'adozione degli strumenti e delle logiche di open policy, cioè
caratterizzate da una forte interazione tra pari, devono diventare parte integrante delle
modalità con cui la pubblica amministrazione si rivolge agli utenti. Diventa oggi
prioritario, pertanto, che i siti e i servizi web delle pubbliche amministrazioni si dotino
di strumenti destinati ad aumentare la partecipazione degli utenti attraverso l'interazione
tra pubblica amministrazione e cittadini.
Al fine di evitare che le iniziative di e- Participation da strumenti di
semplificazione e democratizzazione dell’attività amministrativa si trasformino invece
in un limite all’accessibilità della partecipazione, devono essere accompagnate da
specifiche azioni allo scopo di: facilitare la partecipazione delle persone più
svantaggiate, con attenzione ai loro deficit specifici (sensoriali, motori, cognitivi, ecc.) e
all’adozione di soluzione più adeguate, ridurre il divario digitale attraverso misure volte
a favorire l'accesso gratuito alla rete Internet, promuovere il dialogo tra cittadini e
istituzioni già a partire dalla fase di avvio della progettazione attivando strumenti di
discussione e confronto online (forum pubblici, indagini e consultazioni online, chat
tematiche, ecc.). Gli strumenti di e-Participation dovrebbero essere integrate all'interno
dei siti istituzionali attraverso un "linguaggio naturale", semplificato ed accessibile in
125 L’art. 4 del Codice dell’Amministrazione Digitale prevede espressamente che i privati
(cittadini-imprese) possano esercitare il loro diritto alla partecipazione al procedimento amministrativo e di accesso ai relativi documenti anche mediante l’uso delle tecnologie telematiche.
269
modo da rendere comprensibili i contenuti informativi online e la partecipazione al
processo decisionale126.
Nelle prospettive de iure condendo si auspica una riconfigurazione dei servizi
web mediante l’introduzione di strumenti che garantiscano la sincronia nella interattività
tra utenti e Pa, assicurando nelle procedure il feedback agli interlocutori e soluzioni
adeguate a tutelare la privacy e la protezione dei dati dei cittadini, esplicitandone i
principi nel sito web.
4. Legge sul procedimento e partecipazione nelle Regioni ed Enti locali
Una volta ricostruiti attraverso l’esame della normativa, dei principali
orientamenti giurisprudenziali e della dottrina sulla materia e misurato, sulla base dei
dati disponibili, il livello di attuazione degli istituti di partecipazione, è necessario
definire l’ambito di applicazione degli stessi quale risulta dal combinato disposto degli
artt. 29 e 13 della legge 241/1990 come riformati dal Legislatore.
L’art.10 della legge 69/2009 ha interamente riscritto l’art. 29 riguardante
l’ambito di applicazione della l. 241/1990 mediante la modifica del co.1 e l’aggiunta dei
commi 2 bis - 2 quincquies. A seguito della novella, risulta una maggiore specificazione
dell’ambito di applicazione soggettivo in relazione a tutte e a singoli gruppi di
disposizioni.
La legge sul procedimento si applica non soltanto alle amministrazioni statali e
agli enti pubblici nazionali, ma anche alle società con totale o prevalente capitale
pubblico limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative. In secondo luogo, le
disposizioni suscettibili di applicazione a tutte le amministrazioni pubbliche, incluse le
Regioni e gli Enti locali, sono individuate secondo una duplice tecnica; da un lato
indicando le norme direttamente applicabili a tutte le amministrazioni pubbliche127,
dall’altro specificando le norme qualificabili quali livelli essenziali di prestazioni (LEP)
126 Linee guida per i siti web della PA previste dall’art. 4 della Direttiva 8/09 del Ministro per la
pubblica amministrazione e l’innovazione. Anno 2010. 127 Vale a dire quelle in materia di risarcimento del danno ingiusto in caso di mancato rispetto del
termine di conclusione del procedimento (art.2 bis), accordi con e tra amministrazioni (artt. 11 e 15), ricorso giurisdizionale avverso il diniego di accesso agli atti (art. 25 co. 5, 5 bis e 6), disciplina del provvedimento amministrativo (tutto il capo IV bis).
270
ai fini dell’applicabilità diretta anche da parte di Regioni e ed Enti locali128 (tra cui sono
richiamate le norme sulla partecipazione al procedimento amministrativo del Capo III,
artt. 7-13).
Ne deriva che gran parte delle disposizioni della legge sul procedimento
amministrativo sono vincolanti anche oltre l’ambito strettamente statale, a conferma
dell’assunto che la legge sul procedimento amministrativo reca i principi generali
dell’azione amministrativa.
Resta fermo, tuttavia, che in base al co. 2 dell’art.29 della l. 241/1990, in
attuazione dell’art. 117 co.6 Cost.129, Regioni ed Enti locali possono regolare in modo
autonomo la propria azione amministrativa, fermo restando il rispetto del sistema
costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa così
come definite dai principi stabiliti nella l. 241/1990.
Tuttavia, in forza del comma 2 quater del novellato art. 29, Regioni ed Enti
locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza non possono
stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai
livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2 bis e 2 ter, ma possono prevedere
livelli ulteriori di tutela.
Infine il nuovo comma 2 quincquies contiene la consueta clausola di
applicazione alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, le quali adeguano
la propria legislazione secondo i rispettivi statuti.
Con le modifiche descritte il Legislatore ha ricondotto la definizione dell’ambito
di applicazione delle disposizioni sull’accesso ai documenti all’interno del medesimo
128 La L. 69/2009 introducendo i nuovi commi 2 bis e 2 ter, ha disposto che sono riconducibili
all’interno dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantirsi in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, come previsto dall’art.117 della Cost., secondo comma, lettera m, le disposizioni concernenti: gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concludere il procedimento entro il termine fissato, nonché di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa; la durata massima dei procedimenti; la dichiarazione di inizio attività (poi divenuta scia) e il silenzio assenso e la conferenza di servizi, salva la possibilità di individuare, con intese in sede di conferenza unificata casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano. L’attinenza con i Lep comporta l’applicabilità delle relative disposizioni a tutte le amministrazioni e l’affermazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato. Sulla punto v. R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, 565 ss
129 “I Comuni, le Province e le città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”.
271
art. 29, in precedenza definito in via autonoma nel corpo dell’art. 22, in apertura del
capo dedicato all’accesso130.
Quanto poi in particolare al Capo III della l. 241/1990 relativo, dunque, agli
istituti di partecipazione, l’art. 13 della l. 241/1990 ne esclude in particolare
l’applicazione all’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti
normativi, amministrativi generali, di pianificazione e programmazione; il co. 2 prevede
che “dette disposizioni non si applicano altresì ai procedimenti tributari”. Per questi
procedimenti restano ferme le norme particolari a garanzia del contraddittorio e si
pongono in rapporto di specialità con la disciplina generale dell’istruttoria.
L’ambito di applicazione dell’art. 13 della l. 241/1990 coincide non a caso con
quello della dispensa contemplata dall’art. 3 co. 2 della stessa legge relativa agli atti
amministrativi generali. Entrambe le deroghe ravvisano la propria ratio negli effetti
peculiari di questa tipologia di atti che, in quanto applicabili ad un numero
indeterminato né determinabile di situazioni giuridiche soggettive, non risultano
immediatamente lesive di posizioni soggettive. Sono sempre più numerosi e rilevanti,
tuttavia, i casi in cui l’obbligo di motivazione e l’istituto della partecipazione sono
previsti anche per gli atti a contenuto generale e ciò per l’immediata e concreta lesività
dell’atto nonostante sia qualificato astratto. I settori individuati dalla giurisprudenza a
tale riguardo sono quello dell’urbanistica, del diritto dell’ambiente, economia ecc. in cui
l’istituto della partecipazione più che strumentale al controllo giurisdizionale risulta
funzionale ad assicurare la democraticità delle procedure ed un elevato grado di
legittimazione alla scelta compiuta dall’amministrazione; si pensi, ad esempio, alle
consultazioni telematiche previste per i procedimenti regolatori delle Autorità
indipendenti per la cui trattazione si rinvia al paragrafo 6. La motivazione, invece, degli
atti di pianificazione ovvero di carattere generale può costituire il luogo di emersione e
di controllo degli effettivi criteri seguiti dall’autorità decidente nella selezione degli
interessi ritenuti rilevanti nella scelta finale valorizzandone l’apporto partecipativo131.
130 In particolare la legge n.69 ha soppresso la parte dell’art.22 co.2 della l. 241/1990 in cui si
prevedeva che le norme in materia di accesso attengono ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117 co.2 lett. m della Cost. e che le Regioni potevano prevedere esclusivamente livelli di accesso ulteriori rispetto a quelli già previsti dallo Stato.
131 Sul punto v. M. COCCONI, L’obbligo di motivazione degli atti amministrativi generali, in Riv., trim. dir. Pubbl., 2009, 03, 707. Sull’importanza del contraddittorio nei procedimenti normativi delle A.I. v. M. CLARICH, Garanzia del contraddittorio nel procedimento, in Dir. Amm., 2004, 01, 59.
272
Dal quadro descritto emerge che l’istituto della partecipazione si muove spesso
su binari paralleli ed autonomi rispetto alla l. 241 del 1990 operando anche in settori
esclusi dall’applicazione del capo III. Ciò avviene attraverso una legge regionale
generale (ovvero provinciale 132 ) di attuazione della legge sul procedimento
amministrativo133 ovvero un’apposita legge regionale sulla partecipazione come nei casi
della Toscana134, Emilia Romagna135 ed Umbria136, adottate allo scopo di promuovere e
migliorare il coinvolgimento delle comunità locali nei processi decisionali per la
gestione della cosa pubblica137 o, ancora, tramite una peculiare disciplina di settore.
Questo si spiega per la riscontrata inadeguatezza della l. 241/1990 che contiene
una disciplina valida solo per l’adozione di atti individuali in quanto la partecipazione è
riservata a coloro che hanno un interesse specifico e non costituisce uno strumento di
partecipazione dei cittadini alle decisioni di interresse generale138.
L’attuazione della l. 241 da parte delle amministrazioni e dei suoi istituti è
misurabile anche sulla base degli adempimenti normativi da esse poste in essere oltre
che dal dato effettivamente riscontrato di utilizzo degli istituti di partecipazione. Diverse
disposizioni della legge sul procedimento demandano alle amministrazioni il compito di
provvedere alla elaborazione di regolamenti e atti generali.
Sull’istruttoria amministrativa v. M. DE BENEDETTO, Istruttoria amministrativa, in Diritto on line, 2012.
132 Trento, L. prov. 30 novembre 1992, n.23 “Legge provinciale sull’attività amministrativa”; Bolzano, L. prov. 22 ottobre 1993, n.17 “Disciplina del procedimento amministrativo e del diritto di accesso ai documenti amministrativi.
133 Basilicata, L.R. 23 aprile 1992, n.12; Calabria L.R. 4 settembre 2001, n.19; Emilia Romagna L.R. 6 settembre 1993, n.32; Friuli Venezia Giulia, L.R. 20 marzo 2000, n.7, Lazio L.R. 22 ottobre 1993, n.57; Liguria, L.R. 25 novembre 2009, n.56; Lombardia, L.R. 1 febbraio 2012, n.1; Marche, L.R. 31 ottobre 1994, n.44, Piemonte L. R. 4 luglio 2005, n. 7; Sardegna, L.R. 22 agosto 1990, n.40; Sicilia, L.R 30 aprile 1991, n.10; Toscana, L.R. 23 luglio 2009, n.40; Trentino Alto Adige, L.R. 31 luglio 1993, n.13; Umbria L.R.16 settembre 2011, n.8; Valle d’Aosta, L.R. 6 agosto 2007, n.19.
134 Toscana, L.R. 27 dicembre 2007, n.69 “Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali” il cui termine di abrogazione previsto per il 31 dicembre 2012 è stato prorogato al 31 marzo 2013 dalla L.R. 10 dicembre 2012, n.72.
135 Emilia Romagna, L. R. 9 febbraio 2010, n.3 “Norme per la definizione, riordino e promozione delle procedure di consultazione e partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali”.
136 Umbria, L.R. 4 dicembre 2006, n.16 “Disciplina dei rapporti tra l’autonoma iniziativa dei cittadini e delle formazioni sociali e l’azione di comuni, province, Regione, altri enti locali e autonomie funzionali in ordine allo svolgimento di attività di interesse generale secondo i principi di sussidiarietà e semplificazione”.
137 Sul punto v.: A. CELOTTO, M. A. SANDULLI, Legge n. 241 del 1990 e competenze regionali:un"nodo di gordio", in Foro amm. Cds, 2005, 06, 1946.
138 A.A. V.V., Il sistema amministrativo italiano, L. Torchia (a cura), 2009, Bologna, 261- 262.
273
Da un’indagine del Dipartimento della funzione pubblica139 su un campione di
1035 amministrazioni e, per quanto riguarda le Amministrazioni centrali dello stato,
sull’analisi diretta dei regolamenti da esse adottate, è emerso che molte amministrazioni
ancora non hanno provveduto a darvi attuazione, precisamente il 32 %, tra le
Amministrazioni centrali il 20%. “I regolamenti nelle amministrazioni centrali hanno
per lo più una struttura comune in quanto redatti sulla base di uno schema elaborato in
un parere del Consiglio di Stato del 1992. In linea di massima, quelli delle
amministrazioni preposte a funzioni di ordine (come il Ministero dell’interno e della
difesa) sono più analitici di quelli delle altre amministrazioni”140.
Come è noto, la legge 241/1990 è stata la prima e fondamentale legge di
semplificazione, quest’ultima, dunque, si realizza attraverso l’applicazione degli istituti
in essa disciplinati.
Dall’esame dei risultati statistici pertanto è emerso che gli Enti locali abbiano
recepito con maggiore determinazione rispetto alle Amministrazioni centrali i principi
enunciati nella l. 241/1990. In particolare evidenziano di essersi dotati di quegli
strumenti che rendono più di altri effettivo l’esercizio dei diritti di partecipazione e di
informazione da parte dei cittadini. Tali, infatti, possono essere considerati i regolamenti
destinati a definire le modalità di partecipazione degli utenti al procedimento
amministrativo, quelli che stabiliscono le condizioni dell’accesso alle informazioni e
agli atti e gli istituti che il Legislatore ha predisposto per garantire la trasparenza del
procedimento in termini di verificabilità dell’azione amministrativa141.
L’accentuata attività svolta dalle amministrazioni locali in materia di
partecipazione al procedimento, pari al 71,4% e di diritto di accesso pari all’89,1%,
registrata142 va inoltre ricondotta alla considerazione che tali istituti costituiscono
contenuto obbligatorio degli Statuti secondo quanto indicato dagli artt. 8 ss. del D.Lgs
n.267/2000.
139 Presidenza del Consiglio dei ministri- Dipartimento della funzione pubblica– ufficio per
l’innovazione delle pubbliche amministrazioni, Semplificazione e trasparenza. Lo studio di attuazione della legge n.241 del 1990, M. L. D’Autilia e N. Zamaro (a cura), Roma Edizioni Scientifiche italiane, 2005.
140 A.A. V.V., Il sistema amministrativo italiano, L. Torchia (a cura), 2009, Bologna, 264 141 A.A. V.V., Il sistema amministrativo italiano, L. Torchia (a cura), 2009, Bologna, 261- 262 142 Presidenza del Consiglio dei ministri- Dipartimento della funzione pubblica– ufficio per
l’innovazione delle pubbliche amministrazioni, Semplificazione e trasparenza. Lo studio di attuazione della legge n.241 del 1990, M. L. D’Autilia e N. Zamaro (a cura), Roma Edizioni Scientifiche italiane, 2005, 56.
274
Tuttavia, mentre in genere per gli istituti di semplificazione quali la denuncia di
inizio attività, il silenzio assenso, si è riscontrato un maggiore utilizzo da parte delle
amministrazioni locali piuttosto che dalle amministrazioni centrali, per quanto riguarda
gli accordi le rilevazioni conducono a risultati opposti, essendosene riscontrata una
diffusione minore nelle amministrazioni locali a confronto con le centrali143.
Infine, la giurisprudenza ha dato un’attuazione progressiva alla legge, ma risente
ovviamente della struttura delle varie disposizioni e della loro idoneità a generare
contenzioso. Molti istituti, come il diritto di accesso, devono il loro successo
all’attivismo dei giudici, mentre altri (come gli accordi tra amministrazioni e privati)
sono rimasti poco utilizzati a causa della loro struttura o dell’inadeguatezza delle
amministrazioni.
Nel periodo compreso tra il 1991 e il 1994, prevalgono le sentenze di
accoglimento, poi quelle di rigetto. Questo dato deriva dal progressivo adeguamento
delle amministrazioni alle previsioni legislative. Le norme più invocate dai ricorrenti e
utilizzate dai giudici sono quelle sulla partecipazione, in particolare sulla
comunicazione di avvio del procedimento, e quelle sul diritto di accesso; in misura
minore quelle relative al termine del procedimento e alla motivazione del
provvedimento144.
Riguardo alle discipline regionali, che hanno attuato la legge 241/1990, e quindi
all’istituto della partecipazione si è proceduto ad una ricognizione delle leggi che recano
una disciplina organica del procedimento amministrativo e della partecipazione.
Da tale ricognizione, riportata nelle tab.4.1 e 4.2, suddivise per Regioni a Statuto
speciale e a Statuto ordinario, si evince che: le prime hanno tutte una legge generale
sull’attività amministrativa, invece, dieci delle quindici Regioni a statuto ordinario
hanno una legge specifica sul procedimento. I diversi Legislatori regionali sono
intervenuti nella materia a partire dal 1991 (Sardegna) fino al 2002 (Calabria) ma poche
143 Presidenza del Consiglio dei ministri- Dipartimento della funzione pubblica– ufficio per
l’innovazione delle pubbliche amministrazioni, Semplificazione e trasparenza. Lo studio di attuazione della legge n.241 del 1990, M. L. D’Autilia e N. Zamaro (a cura), Roma Edizioni Scientifiche italiane, 2005, 59.
144 M. CONTICELLI e S. QUINTILI, La giurisprudenza sul procedimento amministrativo: indagine statistica, in Riv. Trim. dir. pubb., 1999, 781.
275
(Friuli- Venezia Giulia, Piemonte) hanno poi adeguato la disciplina tenendo conto anche
delle modifiche subite dalla legge statale145.
Per quanto riguarda le cinque regioni (Abruzzo, Campania, Molise, Puglia,
Veneto) che non hanno una legge sull’attività amministrativa ad hoc, non è escluso
abbiano invece qualche disciplina attinente al procedimento ma riguardante settori
specifici146.
Solo tre di queste regioni si sono dotate di una legge specifica sulla
partecipazione: Emilia Romagna, Toscana e Umbria che sono state evidenziate nei
quadri sintetici proposti.
Tab. 4.1 Leggi regionali di attuazione della legge 7 agosto 1990, n.241
REGIONI A STATUTO SPECIALE
LEGGI DI ATTUAZIONE DELLA LEGGE 7 AGOSTO 1990 N.241
FRIULI VENEZIA GIULIA
L. R. 20 marzo 2000, n.7, “Testo unico delle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso” che ha abrogato la L.R. 28 agosto 1992, n.29” Norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi dell' Amministrazione regionale, degli Enti regionali e degli Enti strumentali della Regione Friuli - Venezia Giulia” e la L.R.18 maggio 1993, n. 25 “Disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia”.
SARDEGNA L.R. 22 agosto 1990, n.40, “Norme sui rapporti tra i cittadini e l’amministrazione della Regione Sardegna nello svolgimento dell’attività amministrativa”.
SICILIA L.R 30 aprile 1991, n.10, Disposizioni per i procedimenti amministrativi, il diritto di accesso ai documenti amministrativi e la migliore funzionalità dell' attività amministrativa.
TRENTINO -ALTO ADIGE
L.R. 31 luglio 1993, n.13, “Norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”.
VALLE D’AOSTA
L.R. 6 agosto 2007, n.19, “Nuove disposizioni in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” che ha abrogato la Legge regionale 2 luglio 1999, n. 18 “Nuove disposizioni in materia di procedimento amministrativo, di diritto di accesso ai documenti amministrativi e di dichiarazioni sostitutive. Abrogazione della legge regionale 6 settembre 1991, n. 59”.
Tab. 4.2 Leggi regionali di attuazione della legge 7 agosto 1990, n.241
145 FORMEZ. Quaderno- La semplificazione tra stato, regioni e autonomie locali. Il caso della
legge 241, Roma, 2006, 34 ss. 146 M. TRANI (a cura) Alcuni profili riguardanti la legge generale sul procedimento
amministrativo: L’impatto sulla legislazione regionale; la conferenza dei servizi, Osservatorio Legislativo Interregionale, Bari, 9 e 10 giugno 2005.
276
REGIONI A STATUTO ORDINARIO
LEGGI DI ATTUAZIONE DELLA LEGGE 7 AGOSTO 1990 N.241
ABRUZZO.
La Regione Abruzzo non ha una legge regionale di attuazione
BASILICATA L.R. 23 aprile 1992, n.12, Prime norme sullo snellimento e sulla trasparenza dell’attività amministrativa”.
CAMPANIA La Regione Campania non ha una legge regionale di attuazione. CALABRIA L.R. 4 settembre 2001, n.19, “Norme sul procedimento amministrativo, la pubblicità degli atti ed
il diritto di accesso. Disciplina della pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Calabria”.
EMILIA ROMAGNA
L.R. 6 settembre 1993, n. 32, “Norme per la disciplina del procedimento amministrativo e del diritto di accesso”. L.R. 9 febbraio 2010, n.3, “Norme per la definizione, riordino e promozione delle procedure di consultazione e partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali”.
LAZIO L.R. 22 ottobre 1993, n.57, “Norme generali per lo svolgimento del procedimento amministrativo, l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi e la migliore funzionalità dell’attività amministrativa”.
LIGURIA L.R. 25 novembre 2009, n.56, “Norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” che ha abrogato la L.R. 6 giugno 1991, n.8 “Norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”.
LOMBARDIA L.R. 1 febbraio 2012, n.1, ”Riordino normativo in materia di procedimento amministrativo, diritto di accesso ai documenti amministrativi, semplificazione amministrativa, potere sostitutivo e potestà sanzionatoria” che ha abrogato la L.R. 30 dicembre 1999, n.30 “Norme in materia di procedimento amministrativo, di diritto di accesso ai documenti amministrativi e di pubblicità degli atti”.
MARCHE L.R. 31 ottobre 1994, n.44, “Norme concernenti la democratizzazione e la semplificazione dell' attività Amministrativa regionale”.
MOLISE La Regione Molise non ha una legge regionale di attuazione PIEMONTE L . R . 4 l u g l i o 2 0 0 5 n . 7 , “ Nuove disposizioni in materia di procedimento amministrativo e
di diritto di accesso ai documenti amministrativi” che ha abrogato L.R. 25 luglio 1994, n. 27 “Norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.
PUGLIA La Regione Puglia non ha una legge regionale di attuazione TOSCANA L.R. 23 luglio 2009, n.40, “Norme sul procedimento amministrativo, per la semplificazione e la
trasparenza dell’attività amministrativa”, il cui titolo è stato modificato in questo modo dalla L.R. 14 marzo 2013, n.9 “Modifiche alla legge regionale L.R. 23 luglio 2009, n.40 (Legge di semplificazione e riordino normativo 2009) ed che ha abrogato la L.R. 20 gennaio 1995, n.9 Disposizioni in materia di procedimento amministrativo. L.R. 27 dicembre 2007, n.69, “Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali” il cui termine di abrogazione previsto per il 31 dicembre 2012 è stato prorogato al 31 marzo 2013 dalla L.R. 10 dicembre 2012, n.72 “Proroga del termine di abrogazione della legge regionale 27 dicembre 2007, n. 69 (Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali). L.R. 2 agosto 2013, n.46, “Dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali”.
UMBRIA L.R. 16 settembre 2011, n.8, “Semplificazione amministrativa e normativa dell'ordinamento regionale e degli Enti locali territoriali”. L.R. 9 agosto 1991, n.21, “Prime norme sul procedimento amministrativo”. è stata abrogata dall’art. 144, comma 3, L.R. 16 settembre 2011, n. 8 tuttavia le disposizioni continuano ad applicarsi sino all'entrata in vigore, del regolamento regionale di cui all'articolo 20, comma 3, della L.R. 8/2011, in quanto compatibili con la stessa legge. L.R. 4 dicembre 2006, n.16 “Disciplina dei rapporti tra l’autonoma iniziativa dei cittadini e delle formazioni sociali e l’azione di comuni, province, Regione, altri enti locali e autonomie funzionali in ordine allo svolgimento di attività di interesse generale secondo i principi di sussidiarietà e
277
semplificazione”. VENETO La Regione Veneto non ha una legge regionale di attuazione
Le leggi indicate tendono in linea di massima ad uniformarsi ai principi della l.
241/1990, tuttavia con lievi scostamenti, omettendo, in alcuni casi, di legiferare su
importanti istituti di semplificazione147.
Dagli studi del Formez148 è emerso che anche nel caso sia stata adottata una
legge generale sul procedimento amministrativo quasi mai le Regioni hanno adottato un
regolamento di attuazione relativa a singoli procedimenti. Con riferimento al diritto di
accesso in prevalenza le Regioni hanno disciplinato la materia dopo la l. 241/1990 ma
non sempre a seguito della riforma del 2005.
Per gli Enti locali la situazione normativa è confortante, da un’indagine
compiuta dall’Anci 149 rispetto all’adozione dei regolamenti di attuazione della l.
241/1990, questi sono stati adottati nel 55% dei casi esaminati, con una differenziazione
ricollegabile alla dimensione del comune. Sono infatti stati adottati in misura maggiore
nei comuni con oltre 100000 abitanti e in quelli con oltre 500000 abitanti, mentre
percentuali più basse sono state rilevate nei comuni di dimensioni minori.
Il dato, tuttavia, dimostra un ritardo delle amministrazioni nell’adozione dei
regolamenti. Un’analisi a campione compiuta di recente150 ha dimostrato che non ci
sono significative variazioni in relazione all’area geografica di appartenenza e che i
regolamenti in alcuni casi si limitano alla pedissequa riproposizione del contenuti della
legge n.241, eventualmente aggiungendovi norme organizzative e di controllo, altri
contengono una disciplina più specifica dei termini, del responsabile e della
partecipazione degli interessati.
Anche a livello locale, di riflesso ad iniziative normative regionali, sono state
riscontrate esperienze ulteriori di coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali e
nei procedimenti delle pubbliche amministrazioni aventi ad oggetto opere di recupero e
147 Come la conferenza di servizi, la dichiarazione di inizio attività ed il silenzio assenso o li hanno disciplinati in modo molto timido. Vedi FORMEZ- Quaderno, La semplificazione tra stato, regioni e autonomie locali, il caso della legge 241, 2006, 49.
148 FORMEZ- Quaderno, La semplificazione tra stato, regioni e autonomie locali, il caso della legge 241, 2006; FORMEZ, - Nuove politiche di semplificazione: i fabbisogni delle Regioni, A. Natalini, F. Ferrara, 2008.
149 CITTALIA, Fondazione Anci ricerche- Dipartimento della funzione pubblica, La semplificazione amministrativa nei Comuni italiani, A. Caldarozzi e P. Testa (a cura), nell’ambito del progetto “La diffusione delle innovazioni nel sistema delle amministrazioni locali”,18.
150 A.A.V.V., Il sistema amministrativo italiano, a cura di L. Torchia, 2009, Bologna, 266.
278
riqualificazione dei luoghi e immobili pubblici, smaltimento dei rifiuti, controllo
dell’inquinamento, bilancio partecipativo attraverso strumenti di democrazia
partecipativa di cui si dirà nel paragrafo successivo.
5. “Democrazia partecipativa” e governo del territorio. Alcune esperienze a
livello regionale e locale
Come è stato già detto, le disposizioni della legge sul procedimento
amministrativo hanno trovato attuazione a livello regionale in due tempi: attraverso
un’applicazione diretta ed integrale nelle more dell’adozione di una normativa generale
sul procedimento amministrativo da parte del Legislatore regionale, ovvero come
disciplina di principio.
Qualora il Legislatore regionale abbia adottato una normativa sul procedimento
vi ha provveduto in due modi diversi ossia riproducendo integralmente i contenuti della
l. 241/1990, opzione peraltro più frequentemente accolta dalle Regioni italiane, oppure
derogando ai livelli minimi di tutela posti a livello nazionale e accrescendo le garanzie
procedimentali per la popolazione interessata.
Per far ciò, esercitando il potere discrezionale riconosciutogli, si è avvalso di due
tecniche distinte ma anche complementari e consequenziali in quanto l’una per la verità
implica di conseguenza anche l’altra. Da un lato gli interventi in deroga hanno
riguardato la rielaborazione degli standards procedimentali di tutela posti dalla l.
241/1990 nella direzione di un loro accrescimento; dall’altro, tali interventi hanno inciso
sulle strutture procedimentali piuttosto che sulle garanzie in sé, allo scopo di una
facilitazione delle procedure di assunzione delle decisioni. Gli effetti che ne sono
derivati sono quindi equivalenti in entrambi i casi e valutabili nell’ottica di una
valorizzazione della “democrazia di prossimità” nei flussi decisionali, garantendo un
miglioramento almeno potenziale del rapporto amministrazione- cittadino attraverso lo
sviluppo di pratiche partecipative151.
151 G. SGUEO, Modelli procedimentali di partecipazione alle procedure di regolazione generale
su scala regionale, in "Quaderni regionali", Santarcangelo di Romagna, III, 2009.
279
Nonostante con frequenza nella legislazione regionali si parli di partecipazione,
tuttavia, non sempre si fa riferimento ad una partecipazione procedimentale strettamente
intesa.
Il termine, come è stato efficacemente riscontrato152, può attenere anche a
garanzie diverse da quella procedimentale, come nel caso della partecipazione politica
ed economica, tuttavia la ricerca in questa sede è chiaramente concentrata sulla
partecipazione endoprocedimentale. E’ bene evidenziare che esistono “zone grigie” in
cui la sovrapposizione tra partecipazione procedimentale e politica appare inevitabile.
La famiglia dei dispositivi di democrazia partecipativa, di cui, peraltro, la
dottrina italiana se ne è poco occupata, risulta particolarmente composita e opera quasi
sempre nell’ambito del governo del territorio153 e con una disciplina ricca di variabili154.
152 Il carattere polivalente del termine partecipazione è stato evidenziato da M. D’ALBERTI, La
“visione” e la “voce”: le garanzie di partecipazione ai procedimenti amministrativi, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, I, 2000, 1 ss., in cui l’Autore individua cinque forme di partecipazione: quella istituzionale, coincidente con la partecipazione politica, la partecipazione all’attività convenzionale che pongono in essere le pubbliche amministrazioni, la partecipazione ai servizi pubblici in funzione di “controllo” sulla qualità delle prestazioni rese; la partecipazione alle decisioni pubbliche di cui sono investiti quei soggetti cui la pubblica amministrazione delega l’esercizio di determinate funzioni, mantenendo un ruolo di vigilanza ed infine la partecipazione procedimentale vera e propria.
153 Sono state registrate da un recente studio (G. SGUEO, Modelli procedimentali di partecipazione alle procedure di regolazione generale su scala regionale, in "Quaderni regionali", Santarcangelo di Romagna, III, 2009, 6 ss.) ben dodici soluzioni originali di partecipazione ascrivibili alle due tipologie di intervento in deroga cui s’è detto prima. Si tratta dei “Laboratori di pianificazione partecipata” previsti dalla L.R. Campania n.13 del 2008; dei “fora” di consultazione e in misura minoritaria dell’“Osservatorio per la programmazione territoriale” entrambi regolati dalla L.R. della Regione Lombardia n.12 del 2005; degli “organismi consultivi” e dei “laboratori di partecipazione” cui fa riferimento la legge regionale della Calabria n.19 del 2002; del “comitato permanete per l’internazionalizzazione” della Regione Lazio, operante a partire dal 2008 secondo quanto previsto dalla L.R. n.5 dello stesso anno; dei “comitati consultivi” e della “Consulta regionale della sanità”, istituiti presso la Regione Sicilia; dell’”Autorità indipendente” preposta alla partecipazione procedimentale istituita presso la Regione Toscana con l. 69 del 2007. Peculiari sono a anche i modelli di istruttoria pubblica istaurati dalle Regioni Sardegna ed Emilia Romagna, con riferimento alla pianificazione territoriale e funzione generale e le procedure di partecipazione previste per la formazione del bilancio e di altri documenti di programmazione economica-finanziaria operanti nella regione Lazio a partire dal 2006.
154 Sono state individuate undici variabili con relative ai modelli di intervento (che possono essere a composizione mista pubblico- privato, prevedere organismi semi/ indipendenti o istruttorie peculiari) alla circoscrizione dei modelli a specifiche fattispecie di regolazione (mono- funzione o pluri- funzione), all’applicazione facoltativa ovvero obbligatoria, alla vincolavità degli esiti delle consultazioni, alle finalità e funzioni affidate a ciascun modello (che comprendono a seconda dei casi la consultazione degli interessati oppure anche la consulenza presso gli organi di vertice politici e eventualmente il monitoraggio sul sistema amministrativo) e alle proporzioni tra queste (quale tra le funzioni cioè prevale), al bacino di utenza interessato (se localizzato all’interno della comunità territoriale interessata ovvero se estesa anche a tutti i portatori di interessi residenti nella Regione ovvero anche a coloro che si trovano al di fuori di essa). Per un esame approfondito v. G. SGUEO, Modelli procedimentali di partecipazione alle procedure di regolazione generale su scala regionale, in "Quaderni regionali", Santarcangelo di Romagna, III, 2009, 26 ss.
280
Tali strumenti condividono l’apertura all’intervento nel processo deliberativo dei
singoli cittadini con l’obiettivo di rendere possibile un’influenza sulle decisioni finali.
Legittimato ad agire è chiunque, a differenza di quanto previsto dalla legge sul
procedimento che lo limita ai titolari di interessi giuridicamente tutelati. Quindi i
cittadini o stranieri che abbiano un collegamento con l’ordinamento considerato, le
istituzioni rappresentative e gli apparati burocratici possono intervenire.
La partecipazione è basata sull’argomentazione o sul dialogo aperto e non su
prese di posizioni predefinite ed è garantita un’efficacia sui risultati del processo.
Queste forme di democrazia diretta trovano una giustificazione costituzionale negli artt.
1- 2- 3- 43- 46- 49 e 118 co.4 Cost. Trattasi di principi autoapplicativi ed elastici nella
loro attuazione, caratteristica che deve essere rispettata nel loro impiego155. Per molti
decenni la democrazia partecipativa ha avuto scarsi riscontri normativi e pratici, finché
forme episodiche e per di più di carattere consultivo sono state introdotte a livello
regionale e locale, probabilmente dovute all’influenza delle esperienze straniere, allo
scopo di porre rimedio alle difficoltà della democrazia rappresentativa che presenta
diversi profili di criticità.
Merita forse un apprezzamento specifico l’esempio francese, nato nel contesto
della particolare ideologia “repubblicana” e dal sistema di accentramento e di
robustezza dell’amministrazione, in cui le procedure di “démocratie de proximité” e gli
stessi bilanci partecipativi, assieme all’originale esperienza del “débat public”156, svolti
tuttora in un contesto accentrato, stanno mutando in maniera consistente il clima
complessivo. In particolare alla procedura del “dibattito pubblico” partecipa tutta la
popolazione senza alcuna limitazione ed è avviato nella fase iniziale del progetto al fine
di valutare insieme alla popolazione l’opportunità dello stesso, le possibili soluzioni
alternative ed assumere attraverso il dialogo e l’ascolto, decisioni ponderate e
condivise157.
155 U. ALLEGRETTI, Il cammino accidentato di un principio costituzionale: quaranta anni di
pratiche partecipative in Italia, in Associazione italiana dei costituzionalisti, 1, 2011, 4. 156 La procedura del “dibattito pubblico” è stata, per la prima volta, disciplinata nella legge 2
febbraio 1995 e poi modificata con l’approvazione della legge 27 febbraio 2002 riguardante proprio la “democrazia di prossimità”. Detta legge ha, fra l’altro, previsto la trasformazione della precedente “Commissione nazionale sul dibattito pubblico” in una Autorità amministrativa indipendente con funzioni più estese.
157 Y. MANSILLON, L’esperienza del “débat pubblic” in Francia, in Democrazia e diritto, 3, 2006, 101 ss.
281
Va tuttavia evidenziato che di fatto le risultanze che scaturiscono dalle
esperienze partecipative, anche quelle più importanti e più riuscite, non hanno mai un
potere giuridicamente vincolante158.
In Italia è difficile negare che in materia di opere pubbliche e di governo del
territorio se ne senta il bisogno proprio anche a livello di interventi statali. Il caso TAV
Val di Susa ne costituisce un esempio così come il sottoattraversamento TAV dell’area
urbana fiorentina159.
La diffusione di tali strumenti a livello regionale e locale è avvenuta in modo
piuttosto eterogeneo. Da un lato non tutte le legislazioni regionali presentano il
medesimo grado di sviluppo nella disciplina del procedimento amministrativo e
dall’altro non tutte fanno ricorso a soluzioni gestionali sulla partecipazione ulteriori
rispetto al modello nazionale e quindi a strumenti di democrazia partecipativa.
I rapporti tra i diversi livelli di governo hanno complicato ulteriormente questa
situazione, tant’è che in molte Regioni è anche difficile parlare di procedure
amministrative in quanto, molte competenze gestionali sono state trasferite
all’autonomia degli Enti locali. Quelle che riguardano la regione sono considerate,
infatti, procedure amministrative sui generis160.
Come si è detto l’ambito di operatività di tali strumenti è individuato soprattutto
nel settore del governo del territorio, sebbene si registrino numerose esperienze in
settori diversi quali la sanità e bilancio161. Si tratta di procedure di carattere generale
destinate ad un numero indistinto di soggetti e che, proprio per tale ragione, richiedono
una maggiore democraticità.
I. Il governo del territorio, come è noto, costituisce una materia attribuita alla
competenza concorrente delle Regioni ex art. 117 co.3 Cost., che si caratterizza per la
158 L. BOBBIO, Dilemmi della democrazia partecipativa, in Democrazia e diritto, 4, 2006, 14 ss. 159 U. ALLEGRETTI, Democrazia partecipativa e processi di democratizzazione, relazione
generale al convegno “La democrazia partecipativa in Italia e in Europa: esperienze e prospettive”, del 2-3 aprile 2009 presso l’ Università degli studi di Firenze. C. LUCCHI, Firenze e la Tav, un discorso da riaprire, www.democraziakmzero.org.
160 Si v. Presidenza del Consiglio dei ministri- Dipartimento della funzione pubblica– Ufficio per l’innovazione delle pubbliche amministrazioni, Semplificazione e trasparenza. Lo studio di attuazione della legge n.241 del 1990, M. L. D’Autilia e N. Zamaro (a cura), Roma Edizioni Scientifiche italiane, 2005, 33.
161 Come nel caso delle esperienze delle Regioni Sicilia e Lazio.
282
necessità di soddisfare varie e diversificate esigenze 162 . Secondo consolidata
giurisprudenza l’attività amministrativa nell’ambito del governo del territorio è
connotata da un elevatissimo potere discrezionale e costituisce apprezzamento di merito
sottratto al sindacato di legittimità, salvo nel caso di errori di fatto o di parametri
abnormemente illogici. L’attività di pianificazione giustifica l’attenuazione delle
garanzie procedimentali in ordine all’obbligo di motivazione e alla disciplina sulla
partecipazione secondo quanto stabilito dagli artt. 3- 13 della l. 241/1990. Va, tuttavia,
tenuto presente che la pianificazione, pur costituendo un’attività generale, produce
importanti effetti in capo ai soggetti interessati, a titolo collettivo ed individuale. Il
numero delle persone coinvolte, l’eterogeneità degli interessi (ambientale, economici,
sociali) di cui sono portatrici e naturalmente, l’elevato livello di conflittualità tra questi
e con l’interesse pubblico perseguito, richiedono il coinvolgimento degli amministrati
nelle decisioni pubbliche163. Spesso la possibilità di addivenire a decisioni dipende dalla
capacità di superare il conflitto sottostante facendo ricorso a strumenti e decisioni di
emergenza come le ordinanze d’urgenza ovvero attraverso l’ampliamento dei
meccanismi di partecipazione che consentono di gestire e regolare il conflitto. Il sistema
è poi complicato dall’intreccio di interessi pubblici eterogenei e facenti capo a
pubbliche amministrazioni diverse che richiedo altresì composizione e
coordinamento164.
La rimodulazione del rapporto tra attori pubblici e privati nell’ambito
dell’attività pianificatoria in un’ottica di un’”urbanistica consensuale165” comporta,
162 In particolare “l’interesse nazionale alla realizzazione delle opere strategiche, l’interesse
regionale ad intervenire sulla localizzazione puntuale delle opere, l’interesse pubblico alla distribuzione delle funzioni sul territorio e i diritti dei privati a misure di perequazione e compensazione; il necessario ma difficile equilibrio tra conservazione e godimento collettivo del territorio e l’utilizzazione del territorio come una risorsa che può anche essere consumata o trasformata AA.VV., Lezioni di diritto amministrativo progredito, L. Torchia (a cura), Bologna, 2010, 38.
163 Si pensi in particolare alla sindrome Nimby (acronimo per “not in my back yard”) ossia quell’atteggiamento di protesta della comunità locale contro opere di interesse pubblico che comportano benefici per la collettività nazionale ma che hanno, o si teme possano avere, effetti negativi sui territori in cui verranno costruite (ad esempio grandi vie di comunicazione, cave, sviluppi insediativi o industriali, discariche, depositi di sostanze pericolose, centrali elettriche ecc.). Sul punto, AA.VV., Lezioni di diritto amministrativo progredito, L. Torchia (a cura), Bologna, 2010, 38.
164A tale proposito si fa spesso ricorso a strumenti di raccordo e cooperazione previsti già nella l. 241/1990, come la conferenza di servizi e gli accordi tra pubblica amministrazioni, ovvero meccanismi peculiari offerti dalla legislazione regionale in materia di governo del territorio, come la conferenza di pianificazione e gli accordi di pianificazione. Sul punto vedi AA.VV., Lezioni di diritto amministrativo progredito, L. Torchia (a cura), Bologna, 2010, 48.
165 S. MORO, Gli accordi ‘a monte’ delle prescrizioni urbanistiche: spunti di riflessione, in Riv. Giur. di Urbanistica, 3-4/ 2010, 453.
283
pertanto, il superamento del principio della formale gerarchia dei piani fino
all’affermazione del nuovo principio sostanziale della prevalenza della scelta che di
volta in volta si rivela esaustiva dell’interesse prevalente. Ne deriva una disciplina
urbanistica flessibile e in continua evoluzione in parallelo al complesso intreccio con gli
interessi sottostanti166.
In questo contesto si collocano dunque accanto alle procedure di pianificazione
tradizionali soluzioni originali e difformi rispetto al tracciato di cui alla l. 241/1990
ossia “i laboratori di pianificazione partecipata”(LPP) disciplinati dalla Regione
Campania, i “fora” per le consultazioni regolati della Regione Lombardia sul governo
del territorio, gli organismi consultivi e i laboratori di partecipazione della Ragione
Calabria167.
I LPP perseguono un duplice obiettivo: realizzare una piattaforma di
cooperazione, ove confluiscano informazioni, basi concettuali e competenze tecniche,
redigere e diffondere proposte, poi accorpate in draft preliminari, del Piano territoriale
regionale. I punti di forza dei LPP risiedono nella natura poliedrica dei saperi che vi
convergono e nella incidenza diretta sul PTR. La logica seguita è quella tipica della
partecipazione verticale ascendente o bottom-up mediante la quale si raccolgono le
opinioni delle parti interessate e vengono successivamente trasmesse presso organismi
preposti all’assunzione della decisione finale. Questi laboratori si collocano presso uno
o più comuni e le loro attività si svolgono all’interno degli enti ove sono collocati. Il
capitale fisico e finanziario per lo svolgimento della stessa vengono attinti dall’esterno.
Molto simili ai LPP sono i “fora” previsti dalla Regione Lombardia che con i
primi condividono finalità e procedure. In particolare hanno lo scopo di facilitare
l’acquisizione delle diverse opinioni delle comunità interessate per l’adozione di una
decisione finale largamente condivisa. Quanto alle procedure, risultano particolarmente
flessibili, senza regole predeterminate per il loro svolgimento, se non quelle imposte
dall’iter procedimentale nel cui ambito si collocano questi moduli. A differenza dei
LPP, i fora sono in grado di influenzare il procedimento in quanto si inseriscono
operativamente in una fase intermedia dello stesso che porta alla formazione del piano
166 P. STELLA RICHTER, I principi del diritto urbanistico, Milano, 2006, 65 ss. 167 Rispettivamente: L.R. Campania n.13 del 2008, L.R. Lombardia n.12 del 2005, L.R. Calabria
n.19 del 2002. La descrizione di queste fattispecie è stata condotta in modo approfondito da G. SGUEO, Modelli procedimentali di partecipazione alle procedure di regolazione generale su scala regionale, in "Quaderni regionali", Santarcangelo di Romagna, III, 2009, 8 ss. cui si rinvia.
284
sul governo del territorio, mentre i primi si collocano ad una estremità del percorso
procedimentale. Sono, inoltre, caratterizzati da una più intensa e numerosa
partecipazione da parte dei soggetti interessati. Quanto, infine, agli organismi consultivi
(OC) previsti dalla legge della Regione Calabria, come i LPP campani ed i “fora”
lombardi, costituiscono moduli procedimentali a partecipazione mista cui si demanda il
coordinamento e la gestione dei conflitti tra gli interessi privati coinvolti dall’intervento
regolatorio. E’ ammessa la partecipazione allargata di interessati istituzionali e non. Gli
OC costituiscono il canale di accesso preferenziale per le parti portatrici di interessi
diffusi, quelli ambientali che istaurano un dialogo costruttivo con i rappresentanti
istituzionali. Attraverso questi meccanismi ne risulta facilitata la composizione tra
interesse pubblico alla realizzazione dell’intervento sul territorio e le principali
associazioni portatrici di interessi economici e sociali168.
II. Quelli fin qui descritti costituiscono strumenti di partecipazione operanti
esclusivamente con riferimento al governo del territorio, tuttavia come si accennava
esistono altre piattaforme consultive che cooperano con le amministrazione al fine di
garantire una maggiore democraticità delle procedure e che trovano applicazione in
settori diversi169. Di rilievo sono le soluzione adottate dalle Regioni Emilia Romagna e
Lazio in merito alla partecipazione alle procedure regolatorie generali attraverso
l’introduzione di più articolate garanzie entro le procedure amministrative piuttosto che
mediante la creazione di strutture apposite con finalità partecipative.
Nello specifico l’esperienza della prima ricalca quella della Regione Toscana di
cui si dirà a breve. Lo statuto emiliano e la legislazione ordinaria, infatti, propongono
una disciplina articolata di istruttoria relativamente alla predisposizione di atti normativi
e amministrativi generali o di inchieste, affidando la gestione di ulteriori inchieste
conoscitive ad alcuni organismi collegiali permanenti o speciali, collocati direttamente
presso il Consiglio regionale170.
168 La descrizione di queste fattispecie è stata condotta in modo approfondito da G. SGUEO,
Modelli procedimentali di partecipazione alle procedure di regolazione generale su scala regionale, in "Quaderni regionali", Santarcangelo di Romagna, III, 2009, 9 ss. cui si rinvia.
169 E’ il caso dei comitati consultivi per la sanità della Regione Sicilia, il comitato permanente per l’internazionalizzazione, istituito dalla Regione Lazio nel 2008 ed infine l’Autorità toscana per la consultazione operante dal 2007 cui si dedicherà un apposito approfondimento nella successiva sezione.
170 G. SGUEO, Modelli procedimentali di partecipazione alle procedure di regolazione generale su scala regionale, in "Quaderni regionali", Santarcangelo di Romagna, III, 2009, 20 ss.
285
La crescita delle pratiche partecipative sviluppatesi negli ultimi 10 anni ha
condotto la Regione Emilia Romagna, già nel febbraio del 2010 ad assumere un ruolo di
guida e a regolare attraverso un’apposita legge regionale (l.r. 3/2010) strumenti più
idonei adeguati alle pratiche partecipative.
La Regione ha ritenuto, inoltre, di affidare ad una struttura unitaria la raccolta
delle esperienze del territorio. Mediante l’Osservatorio della partecipazione, infatti,
predisposto dall’ERVET, è possibile conoscere e monitorare il contesto sociale, i
processi partecipativi e proporre un confronto tra i diversi attori regionali171.
Il livello territoriale dei processi partecipativi rilevanti è prevalentemente
comunale (70% dei casi) segue il livello intercomunale (14% dei casi), il livello
provinciale (10%dei casi) ed il livello regionale (4% dei casi). Le esperienze già attivate
nella Regione e monitorate dall’Osservatorio si riferiscono in ordine decrescente di
prevalenza a tematiche ambientali, sociali, relativi alle reti di città, conoscenza e
trasparenza nella pubblica amministrazione. Il coinvolgimento dei soggetti è per lo più
concentrato sui temi dell’ambiente (Agenda 21 Locale), delle reti di città (in particolare
laboratori di riqualificazione urbana) ed empowerment sui temi sociali. Nel 68 % dei
casi è possibile riscontrare la compresenza di tutte le tipologie di soggetti, formalizzate
e non, di cui il 15,6% dei casi monitorati donne172.
III. Quanto, invece, alla Regione Lazio, significativo è il percorso inaugurato a
partire dal 2005173 di ”economia partecipata” che introduce all’interno delle procedure
di formazione del bilancio regionale e dei principali documenti sul governo economico
della Regione una serie di garanzie di natura partecipativa174. Il caso non ha precedenti a
livello regionale né nazionale. La partecipazione avviene su tre livelli: è prevista una
fase di informazione, di consultazione e di monitoraggio; allo scopo sono utilizzati sia
171 Le esperienze monitorate dall’Osservatorio dal 1998 a fine mese di maggio del 2011, nel
territorio regionale emiliano sono 243 di cui 40,7% concluse e il 57,6% ancora in corso con una tendenziale evoluzione registrata nell’intervallo compreso tra il 1998 e il 2003 e registrando due picchi, nel 2005 (14,8%) e nel 2010 (15,6%) che costituisce anche l’anno con il maggior numero di progetti conclusi (29,1 %). Il 2003 rappresenta un anno di rottura, a fronte di una crescita di progetti di avvio, non si registra alcun progetto concluso.
172 ERVET- Osservatorio della partecipazione, Rapporto delle attività, Emilia Romagna, luglio 2011
173 V. L.R. n.25 del 2001 e reg. n.4 del 2006. 174 In particolare v. A. L. PECORIELLO e F. RISPOLI, Pratiche di democrazia partecipativa in
Italia, in Democrazia e diritto, 3, 2006, 124 ss.; C. CELLAMARE e R. TROISI, Percorsi di economia partecipata nella regione Lazio, in Democrazia e diritto, 4, 2006 80 ss.
286
gli strumenti tradizionali sia strumenti di natura informatica. A conclusione della
consultazione si redige il documento della partecipazione che raccoglie ed armonizza
tutte le proposte pervenute, inizia così il monitoraggio indiretto che avviene attraverso
la pubblicazione dei dati sul sito internet della Regione seguendo la formazione dei
documenti normativi. L’esperienza ha prodotto ottimi risultati contando in tutte le
occasioni un numero consistente di interventi e contribuendo a trasformare la gestione
economica regionale in un insieme di procedure altamente condivise175.
La partecipazione al Bilancio partecipato del 2010176 ha costituito un valore
indicativo del percorso intrapreso in continua crescita ed evoluzione. In ordine al
processo del 2009 denominato “Metti la tua voce al bilancio”, sono stati 12.580 i
cittadini che si sono espressi nel corso della procedura di consultazione, attraverso
57.010 preferenze nei 20 ambiti di bilancio presenti. A totalizzare il maggiore numero
di voti è stato l’ambito della “green economy” vale a dire delle energie rinnovabili,
seguito dalla raccolta differenziata dei rifiuti e trasporto pubblico. Non prive di
attenzione, sebbene in misura inferiore, sono stati i temi dell’istruzione e welfare.
Di rilievo è stato anche il livello di diffusione del bilancio partecipato all’interno
delle amministrazioni regionali che ha superato le 100 amministrazioni comunali. I
soggetti che hanno partecipato in misura maggiore sono gli appartenenti alle fasce di età
più giovane che si sono dimostrate particolarmente attive e interessate, in particolare
con età inferiore ai 30 anni che sono risultati oltre un terzo del totale177. I cittadini
hanno, inoltre, premiato la novità del voto elettronico178.
A livello degli Enti locali, in ordine ai bilanci partecipativi si distinguono due
generazioni, l’una sviluppatesi nel 1994 con caratteri nettamente autoctoni come nel
175 Il successo del progetto ha dato vita a tre ulteriori iniziative: lo stanziamento di un fondo
destinato ad incentivare l’attuazione di processi partecipativi sul Bilancio anche a livello comunale, sulla scorta dell’esperienza positiva sperimentata presso la Regione, una nuova forma di partecipazione, il sondaggio partecipato; la terza si è concretizzata in un convegno internazionale nel 2005 avente lo scopo di confrontare l’iniziativa della Regione Lazio con quella di altri Paesi europei ed extra europei. C. CELLAMARE e R. TROISI, Percorsi di economia partecipata nella regione Lazio, in Democrazia e diritto, 4, 2006, 89- 90 ss.
176 I dati riportati risultano dal testo del Bilancio Partecipato 2010 consultabile sul sito della Regione Lazio.
177 Si registra una maggioranza di uomini pari al 66,31% in confronto al 36,68% delle donne. 178 Circa l’81% dei cittadini della Regione ha espresso la propria preferenza attraverso 293
postazioni di voto elettronico E- Poll, distribuite nei municipi romani e nei 67 comuni delle cinque province che hanno aderito al nuovo sistema di voto. Il resto dei partecipanti ha provveduto ad esprimere la propria preferenza attraverso il sito web. In tutto si sono tenuti 20 incontri pubblici con la cittadinanza per spiegare il bilancio regionale e rispondere alle domande poste dai cittadini.
287
caso del Comune di Grottammare nelle Marche. Tra il 2002 e 2004 nascono e si
affermano i bilanci partecipativi di Piave Emanuele, vicino Milano (meglio noto con
l’appellativo “Piave Alegre”), di altri comuni del circondario Milanese ed di un
municipio Romano. Quelli della seconda generazione vanno dal 2005 in poi e
riguardano città medio- grandi del territorio emiliano (Modena, Reggio, Parma). Infine
una terza generazione risulta strettamente collegate ad altri percorsi di partecipazione
(in ordine al recupero di spazi urbani, problemi di immigrazione e giovani). In
quest’ultima rientrano le esperienze dei comuni della regione Lazio. Altri esperimenti di
democrazia deliberativa hanno riguardato Torino, ove si sono create giurie civiche179.
In conclusione, si può affermare che il fenomeno delle democrazie partecipative,
destinato ad accrescere l’interazione tra amministrazioni regionali e comunità
interessate attraverso modelli di governance partecipata, è in aumento. Il panorama
attuale è, tuttavia, ancora frammentario in ordine alle soluzioni adottate, alle modalità
operative e ai risultati ottenuti. Nonostante siano stati compiuti numerosi passi avanti, si
registra ancora troppo ampia la distanza tra le istituzioni e i cittadini che incontra la
resistenza di una organizzazione istituzionale deficitaria per molti aspetti e ancora
troppo accentratrice nella gestione delle competenze pubbliche attribuite. Questa rigidità
istituzionale risulta poco propensa ai cambiamenti e a creare un dialogo con la
popolazione. Si riscontra, come si è detto, una evoluzione sia a livello normativo che
nella prassi verso un’apertura alla costruzione di un dialogo ma i dati dimostrano la
scarsa efficacia dei nuovi strumenti adottati dovuta a vari fattori: la limitata capacità dei
nuovi interlocutori di incidere sulle scelte della pubblica amministrazione, dovuta ad un
livello puramente consultivo di partecipazione, e la scarsa maturità culturale dei contesti
politici e istituzionali in cui si innestano tali forme partecipative. Queste considerazioni
vanno confrontate e integrate con i percorsi di e-democracy ancora in via di sviluppo.
5.1 L’esperienza toscana
179 V. ampiamente sull’argomento U. ALLEGRETTI, Il cammino accidentato di un principio
costituzionale: quaranta anni di pratiche partecipative in Italia, in Associazione italiana dei costituzionalisti, 1, 2011, 7.
288
Nel contesto delle democrazie partecipative si colloca l’esperienza della Regione
Toscana che merita una trattazione separata per il riconosciuto valore simbolico della
stessa oltre che per la sua compiutezza.
Il 27 dicembre 2007 il Consiglio regionale della Toscana ha approvato la Legge
n. 69 “Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche
regionali e locali”. La prima legge italiana sul tema fu il frutto di un lungo periodo di
studio del tutto particolare che ha coinvolto ampi strati della società regionale a più
riprese, oltre che gli addetti ai lavori.
I contenuti del testo sono sia di ordine regolativo che propulsivo. Le modalità
con cui è stata elaborata e naturalmente l’oggetto hanno carattere fortemente
sperimentale. Ciò è riconosciuto in primis dalla stessa legge che all’art. 26 co.1
prevedeva per il 31 dicembre 2012 la sua abrogazione. Tale termine è stato oggetto di
proroga fino al 31 marzo 2013 ad opera della legge regionale 10 dicembre 2012, n.72 .
L’idea di una legge regionale sulla partecipazione ha avuto origine dalla
preoccupazione derivante dalla constatazione che le istituzioni della democrazia
rappresentativa stanno attraversando una crisi di legittimazione. Esse, infatti, pur
essendo titolari di ampi poteri decisionali, risultano molto spesso scollate dalla società
in cui tali decisioni producono i loro effetti. Chi ha il potere di decidere opera in un
clima di sfiducia che influenza inevitabilmente l’efficacia e la tempestività dei processi
decisionali. Per superare questa situazione di deficit democratico risulta necessaria la
creazione di canali di comunicazione continua tra politica e società in grado di superare
i limiti e le difficoltà nei rapporti tra istituzioni e cittadini180.
Accanto alle difficoltà connesse alla democrazia rappresentativa si riscontra uno
stallo e un mal funzionamento dei tradizionali modelli partecipativi determinati da
un’eccessiva frammentazione dei movimenti della società civile che hanno determinato
un’“involuzione particolaristica” delle forme di mobilitazione collettiva.
La realizzazione di una Regione “coesa e partecipata” richiede “[..].una società
più partecipe dei processi di coesione ed inclusione, oltre i tradizionali modelli dello
stato sociale”, e quindi “una società più coinvolta attraverso nuove forme di
partecipazione fra diversi livelli istituzionali, associazioni, movimenti…ecc. [..]Tutto
180 Sul punto v. ampiamente U. ALLEGRETTI, Basi giuridiche della democrazia in Italia:
alcuni orientamenti, in Democrazia e diritto, 3, 2006, 151 ss.
289
questo richiede un’elevata partecipazione da parte di una società attiva, critica e
dinamica”181 .
La scelta della Regione Toscana è stata quella, quindi, di ripensare il ruolo e le
forme della partecipazione, ricercando un punto di equilibrio nuovo tra democrazia
rappresentativa e democrazia partecipativa che potesse passare attraverso una
partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica con contributi concreti e
non limitata alla mera informazione e consultazione.
La previsione di nuovi istituti partecipativi, percorsi e regole per discutere con la
comunità le varie problematiche, il dialogo e il confronto per giungere a soluzioni
condivise in tempi definiti costituiscono alcuni degli strumenti disciplinati dalla L.R.
Toscana, n.69 del 2007 per rendere effettivo il diritto di partecipare alla elaborazione e
formazione delle politiche regionali e locali182.
Si basa su tre pilastri: l’Istituzione del dibattito pubblico Regionale, un’azione di
sostegno e supporto ai processi locali di partecipazione e il rafforzamento ed estensione
dei numerosi movimenti di partecipazione già previsti nelle politiche regionali e nelle
stesse procedure della programmazione della Regione Toscana.
Quanto al primo, l’istituzione di un Dibattito Pubblico regionale183, riguarda la
possibilità di svolgere su grandi interventi, opere pubbliche o questioni di rilevante
impatto ambientale, sociale ed economico per la vita dell’intera comunità regionale, un
confronto politico, organizzato e condotto sotto la responsabilità di un organo terzo
indipendente e neutrale, che la legge istituisce: l’Autorità regionale per la garanzia e la
promozione della partecipazione.
Complessivamente il modello del dibattito pubblico si ispira alla Commission
Nationale du Débat Public, presente nella legislazione francese, avente la finalità di
assicurare la massima trasparenza tanto nelle fasi preliminare di elaborazione di un
progetto e quindi nella individuazione delle ragioni del medesimo, sia nella ricerca delle
soluzioni o delle possibili alternative.
In base all’art. 8 della legge la richiesta di organizzare un dibattito pubblico su
grandi interventi può essere avanzata da vari soggetti (cittadini residenti e associazioni,
enti locali territorialmente coinvolti ecc.).
181 Programma di governo per la VIII legislatura: “Una regione coesa e partecipata”, pp. 33-34. 182 Programma di governo per la VIII legislatura: “Una regione coesa e partecipata”, pp. 33-34. 183 Capo II (artt.7-10) della Legge regionale 27 dicembre 2007, n.69.
290
Non vengono fissati particolari criteri o condizioni per l’accoglimento di tali
domande affidando ogni valutazione in ordine alla rilevanza dell’impatto
dell’intervento, al suo accoglimento ed avvio alla discrezionalità dell’Autorità che deve
compiersi in una fase preliminare di elaborazione e definizione dello stesso.
Il dibattito costituisce una grande occasione di apertura e di coinvolgimento
collettivo, articolato in fasi di confronto tra ipotesi e soluzioni diverse. L’art. 9 della
legge ne disciplina le modalità di svolgimento affidando all’Autorità il compito di
fissarne la durata e di nominare il responsabile del dibattito affinché assicuri la parità e
uguaglianza nell’accesso, interrogazioni di esperti ed incentivi l’utilizzo delle nuove
tecnologie dell’informazione. Al termine dei lavori, il responsabile consegna all’autorità
un rapporto che lo approva e rende pubblico. Successivamente l’Autorità dichiara se
intende rinunciare, modificare o proseguire con il progetto sulla base di una serie di
condizioni che la legge individua.
L’ente competente deve tenere conto dell’esito del processo partecipativo e deve
motivare adeguatamente le ragioni che impediscono di accoglierle anche parzialmente.
In ordine al secondo pilastro è necessario che da parte degli Enti locali e dai
cittadini siano promosse azioni di sostegno e supporto dei processi locali di
partecipazione184. A livello regionale il sostegno ai processi partecipativi può essere
finanziario, metodologico e anche di tipo logistico attraverso la fornitura di supporti
informatici.
Sono varie le attività di monitoraggio e di osservazione che hanno concorso alla
costruzione di un quadro valutativo sugli effetti ottenuti.
Dalla consultazione di una ricerca compiuta dall’IRPET, Istituto Regionale
Programmazione Economica Toscana, in collaborazione con l’Autorità regionale per la
partecipazione185, si possono esprimere alcune considerazione sull’esperienza della
legge sulla partecipazione toscana.
Come evidenziato nel grafico n. 5.1.1 il tema della pianificazione territoriale ha
costituito la parte preponderante dei finanziamenti nei primi due anni di attività della
184 Capo IV (artt 14-17) della Legge regionale 27 dicembre 2007, n.69. 185 Avente ad oggetto il monitoraggio di alcuni processi finanziati nel corso del 2010
confrontando processi conclusi e risultati IRPET, Partecipazione, politiche pubbliche, territori. La L.R. 69/2007, Zetti I.(a cura), in Studi per il Consiglio, 2011, 6.
291
nuova legge186. L’Autorità per la partecipazione ha collegato questo dato alla difficoltà
di coordinamento della legge sulla partecipazione con la legge per il governo del
territorio. Quel che si è evidenziato è che la l. 69/2007 avrebbe dovuto evitare il rischio
di rivelarsi una fonte di finanziamento per le procedure previste dalle altre normative
(ad esempio: l. 10/2010 su Vas e Via).
Grafico n.5.1.1 Processi partecipativi locali (2008-2009)187
Quanto ai rapporti tra conflitti e decisioni, i processi non sono sempre stati
destinati a scelte specifiche rispetto ad opzioni alternative su un tema (solo nel 26,7 %
dei casi esaminati). Inoltre le iniziative nel proporre il percorso provenivano
principalmente dalle amministrazioni pubbliche a dimostrazione del fatto che la legge
non avesse prodotto l’effetto di promozione che perseguiva nei confronti di tutti.
Il giudizio sul rafforzamento dell’efficacia delle politiche pubbliche, che richiede
un’indagine a posteriore, si è compiuta attraverso un confronto tra tempi e modi
consueti di attuazione di alcune tipologie di decisione (per esempio sui lavori pubblici,
trasformazione dei luoghi e degli spazi ecc) e tempi e modi di attuazione delle decisioni
adottate a seguito di percorsi partecipativi. E’ stato rilevante notare che alcuni percorsi
siano giunti a risultati tangibili ma spesso per disponibilità di bilancio non sono stati
attuati né in tempi brevi e, in alcuni casi, affatto.
Uno degli aspetti rilevanti della legge 69 de 2007 ha riguardato il suo
finanziamento. Il tema del costo deve essere inquadrato nella logica di un buon utilizzo
delle risorse pubbliche, non solo al fine di sostenere un diritto ma anche nell’ottica di
186 Altri dati in merito al finanziamento dei processi partecipativi in attuazione della l.69/2007
sono ricavabili da: Autorità regionale per la partecipazione della Regione Toscana, Rapporto annuale 2012- 2013, R. Lewanski (a cura), marzo 2013.
187 IRPET, Partecipazione, politiche pubbliche, territori. La L.R. 69/2007, I. Zetti (a cura), in Studi per il Consiglio, 2011.
292
una migliore realizzazione e attuazione delle decisioni che andrebbe a compensare gli
aggravi di spesa188.
Allo stesso modo attraverso un collegamento tra l’impatto dei finanziamenti, la
dimensione demografica e le risorse locali disponibili rispetto al costo dei processi, si è
notato che al crescere della popolazione corrispondeva un minore impegno finanziario.
Mentre man mano che le dimensioni del comune diminuivano, il finanziamento
regionale aumentava.
Da un bilancio complessivo di tale esperienza normativa in tema di
partecipazione possono, quindi, essere compiute alcune considerazioni189. Il carattere
innovativo della Legge ha espresso la peculiare sensibilità della realtà istituzionale e
sociale della Regione Toscana al tema della democrazia partecipativa ma,
inevitabilmente, ha scontato le incertezze dell’essere la prima esperienza di questo tipo.
Alcune criticità sono state rinvenute sui soggetti partecipanti e sulle procedure con
particolare riferimento agli strumenti di comunicazione, tempi e spazi dei processi.
Laddove alcuni laboratori, assemblee o altre iniziative non hanno raggiunto le
aspettative in termini di coinvolgimento ovvero di capacità propositive, la responsabilità
è stata attribuita all’inidoneità dell’impostazione del processo partecipativo o della
conduzione dell’attività, piuttosto che ad una scarsa capacità di risposta degli abitanti.
Spesso le questioni di più alto rilievo politico non sono state poste come oggetto di
processo partecipativo, dimostrando una certa prudenza ovvero scarsa fiducia da parte
di chi detiene il potere decisionale nella considerazione di tali meccanismi partecipativi,
come opportunità di empowerment. Ciò probabilmente si giustifica per le difficoltà
riscontrate nella consuetudine e nella mentalità di chi ha responsabilità politiche e
amministrative ad interagire con un universo mobile variabile ed a creare un dialogo
diretto con quella che è stata definita “classe media riflessiva”190.
La limitata partecipazione è ricollegata alla mancanza o scarsa informazione e
comunicazione con la comunità di cittadini dovuta all’incapacità degli organizzatori dei
188 In ordine al costo del finanziamento dell’attuazione della l. 69/2007 a livello locale, utilizzando come dato certo i finanziamenti per tale scopo erogati dalla Regione che vengono controllati dalla Autorità è emersa una forte disparità tra le varie realtà comunali considerate. Ciò dipende dalla differenza dei costi dei progetti ma anche dai bilanci comunali IRPET, Partecipazione, politiche pubbliche, territori. La L.R. 69/2007, I. Zetti (a cura), in Studi per il Consiglio, 2011, 115.
189 Sul tema v. IRPET, Partecipazione, politiche pubbliche, territori. La L.R. 69/2007, I. Zetti (a cura), in Studi per il Consiglio, 2011, 125 ss.
190 P. GINSBORG, L’Italia del tempo presente. Famiglia, società civile, Stato (1980-1996) Torino, 2008.
293
vari percorsi partecipativi di rendere problemi e temi fortemente tecnici in un linguaggio
accessibile alla comunità dei partecipanti. E’ infine poi del tutto evidente che percorsi
aventi oggetto tematiche di particolare complessità mal si conciliano con esigenze
legate a tempi di decisione certi e a percorsi partecipativi incerti. Senza dubbio
l’esigenze della certezza temporale richiede un bilanciamento con quelle di
partecipazione democratica e della trasparenza ma allo stesso tempo queste ultime
devono dotarsi di canali elastici ed idonei alle pretese di celerità191.
A questo scopo si è rilevato utile l’uso di strumenti telematici ed informatici ma
contemporaneamente discriminatorio in quanto esso stesso meccanismo di selezione dei
potenziali partecipanti inibendo la stessa efficacia cui i processi partecipativi mirano.
Sebbene la valutazione sugli esiti della l.r. 69/2007, effettuata al termine di
un’indagine conoscitiva192, ha evidenziato differenti valutazioni sugli effetti prodotti
dalla medesima legge, ne risulta, tuttavia, riconfermata, l’opportunità e la validità di uno
strumento legislativo in tema di partecipazione, superando, mediante alcuni correttivi ed
innovazioni, le criticità emerse. In particolare, al termine del processo di valutazione, si
è ritenuto di considerare i principi e le finalità enunciati nella citata l.r. 69/2007 (ormai
abrogata) tuttora pienamente validi, trovando quindi riconferma anche nell’impianto di
una nuova legge193.
Il 2 agosto 2013, infatti, il Consiglio regionale della Toscana ha approvato la
nuova legge sulla Partecipazione, che ha assunto il numero 46 del 2013. Anche il titolo
della legge è cambiato: "Dibattito Pubblico regionale e promozione della partecipazione
191 IRPET, Partecipazione, politiche pubbliche, territori. La L.R. 69/2007, I. Zetti (a cura), in
Studi per il Consiglio, 2011, 134- 135. 192 “[] richiesta dal portavoce dell’opposizione, processo ed indagine che sono stati svolti nel
corso del 2012 e culminati nella Risoluzione (la n. 168 del 19 Dicembre 2012) con la quale il Consiglio regionale esprimeva un giudizio positivo sugli effetti della legge, affermava l’opportunità di una nuova approvazione della legge e indicava alcuni orientamenti per la revisione dei punti che avevano palesato delle criticità o dei limiti. Un gruppo tecnico misto Consiglio-Giunta ha lavorato nei primi mesi del 2013 e ha consegnato alla Presidenza della Prima commissione “Affari Istituzionali” una bozza della “nuova 69”. Relazione di accompagnamento alla proposta di legge Dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali”.
193“Tra le finalità generali enunciate dalla l.r. 69/2007 vanno riconfermate, in particolare, quella di promuovere forme e strumenti di partecipazione democratica per garantire e rendere effettivo il diritto di partecipazione alla elaborazione ed alla formazione delle politiche regionali e locali; quella di un rafforzamento della qualità della democrazia e dei suoi processi decisionali, attraverso la valorizzazione di modelli innovativi di democrazia partecipativa e di democrazia deliberativa; quella della diffusione e della concreta realizzazione e sperimentazione di nuove pratiche ed esperienze di coinvolgimento dei cittadini nella costruzione delle scelte pubbliche e delle decisioni collettive”: Preambolo alla L. R: 2 agosto 2013, 46 “Dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali”.
294
alla elaborazione delle politiche locali e regionali". In via di mero cenno, rispetto alla
legge precedente, si può da subito evidenziare la novità più significativa del nuovo testo
normativo, richiamata anche nel suo titolo: la nuova disciplina del Dibattito Pubblico
regionale. Tale istituto, come già visto, era presente anche nella precedente legge, ma
esso non aveva trovato di fatto applicazione: il nuovo testo introduce rilevanti novità,
prima fra tutte quella della obbligatorietà del Dibattito Pubblico, date certe soglie
finanziarie e determinate fattispecie.
Sulla base quindi anche dei più recenti sviluppi, si ritiene, pertanto, che
difficilmente potranno arrestarsi i percorsi partecipativi emersi in questa Regione ormai
divenuta un punto di riferimento e modello di democrazia partecipativa e di dialogo tra
cittadini e istituzioni.
6. Le consultazioni telematiche delle Autorità Indipendenti (AI)
Resta, infine, da esaminare i peculiari meccanismi partecipativi previsti per i
procedimenti regolatori delle Autorità indipendenti ossia le consultazioni telematiche.
L’affidamento di poteri normativi a soggetti autonomi, sottratti al modello di
responsabilità di cui all’art. 95 Cost., ha reso necessaria la ricerca di forme di
legittimazione democratica attraverso strumenti in grado di assicurare le garanzie del
contraddittorio. Si è tentato, pertanto, di colmare il deficit democratico e restituire
accountability a tali soggetti attraverso il controllo di tali atti in sede giurisdizione ed in
via preventiva mediante forme di legittimazione dal basso, destinate ad attuare il
principio del giusto procedimento194.
Molto discussa è stata l’esclusione dei procedimenti normativi dell’Authorities
dall’applicazione del capo III della l. 241/1990 sulla partecipazione e dall’obbligo di
motivazione dei provvedimenti di cui all’art. 3, cui si ricollega.
194 M. CLARICH, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Bologna, 2005,
154 ss.; S. DEL GATTO, La partecipazione ai procedimenti di regolazione delle Autorità indipendenti, in Giornale di diritto amministrativo, 9, 2010, 949.
295
Essa si spiega per la natura degli atti regolamentari di tali soggetti che in quanto
generali giustificano tale esclusione. Come è stato chiarito195, però, l’art. 13 della l.
241/1990 non deve essere interpretato nel senso della non necessarietà di apporti
partecipativi per i casi ivi previsti bensì come rinvio alla normativa di settore più
idonea.
Si è evidenziato196, in particolare, che la partecipazione a tali procedimenti non
ha solo una funzione collaborativa ma rappresenta lo strumento attraverso il quale
vengono accertati i fatti, eseguite le istruttorie ed espletati gli accertamenti tecnici. Ne
consegue che le Autorità indipendenti sono tenute a motivare i propri atti regolatori in
modo da assicurare l’effettività della partecipazione e del contraddittorio. Attraverso la
motivazione, infatti, gli interessati possono incidere concretamente sul contenuto dei
provvedimenti che vengono adottati e rendere più intenso il sindacato giurisdizionale.
Tali considerazioni sono state affermate dapprima dalla giurisprudenza e poi
codificate dal Legislatore, prevedendo, nell’ambito della normativa di settore, all’art. 23
della l. 262/2005 uno specifico obbligo di motivazione per i provvedimenti di natura
regolamentare o di contenuto generale della Banca d’Italia, della Consob, dell’Isvap e
del Covip197; lo stesso vale per i provvedimenti adottati dall’AGCM a seguito delle
consultazioni (art. 4 della Delibera 453/03/CONS).
Anche nel settore dell’energia l’art. 5 dell’allegato A alla Delibera n.46/09 GOP,
in materia di consultazioni prevede che l’atto di regolazione debba essere motivato
tenendo conto delle eventuali osservazioni e proposte che siano pervenute nel corso
della consultazione. Al fine di evitare eventuali ossificazioni dell’attività regolamentare
delle autorità, in vista delle esigenze di tempestività e rapidità richieste dai peculiari
settori in cui operano, è sufficiente al fine di adempiere all’obbligo di motivazione,
indicare i presupposti di fatto e di diritto che giustificano la decisione assunta198.
195 In questo senso v. AA. VV., L’autonomia privata e l’autorità indipendenti, G. Gitti (a cura),
Bologna, 2006, 135. 196 M. CLARICH, Garanzia del contraddittorio nel procedimento, in Dir. amm., 2004, 1, 59 ss 197 Devono essere motivati “con riferimento alle scelte di regolazione e di vigilanza del settore
ovvero della materia su cui vertono”. In proposito v. M. COCCONI, L’obbligo di motivazione degli atti amministrativi generali, in Riv. Trim. dir., pubb, 2009, 03, 707 ss.
198 L. TORCHIA, I modelli di procedimento amministrativo, in L. Torchia (a cura) Il procedimento amministrativo profili comparati, Padova, 1993, 33 ss; S. DEL GATTO, La partecipazione ai procedimenti di regolazione delle Autorità indipendenti, in Giornale di diritto amministrativo, 9, 2010, 952.
296
Se, tuttavia, le esigenza di effettività della partecipazione e ampiezza della
motivazione, sono state particolarmente valorizzate da forme di misurazione delle
performance attraverso analisi di impatto della regolazione tuttavia la giurisprudenza ha
sempre ritenuto opportuno contemperare queste stesse esigenze con quelle di efficienza
e celerità dei procedimenti regolatori199.
Le successive osservazioni in ordine alle consultazioni telematiche si ricavano
da un recente studio200 circoscritto ad alcune Autorità Indipendenti: Banca d’Italia,
CONSOB, AEEG, e AGCOM, avente ad oggetto consultazione pubbliche telematiche
afferenti al 2010, delle autorità indicate e reperibili sui rispettivi siti internet.
Da tale indagine è emersa una precisa classificazione delle consultazioni
pubbliche telematiche compiute da ciascuna Autorità esaminata che possono assumere
forme diverse e peculiari in base all’oggetto del provvedimento e alle finalità
perseguite. Si distinguono: le Notice and comment (NC) tradizionale a cui fanno ricorso
in particolare la Banca d’Italia e in parte la CONSOB, Notice and comment (NC) con
testo informativo (utilizzato dall’AGCOM e dalla CONSOB) e documenti di
consultazione di tipo illustrativo (tipici di AEEG e in parte di AGCOM).
La prima costituisce la tecnica più semplice attraverso cui le AI italiane
richiedono commenti ed osservazioni a tutti i soggetti potenzialmente interessati via
internet, le altre forme più complesse.
Il procedimento di consultazione ha avvio mediante la pubblicazione sul sito
web ufficiale di un documento contenente lo schema di regolamento già in forma di
articolato, preceduto dalle informazioni base relative alla consultazione quali giorno e
tempi di apertura, modalità per l’invio dei commenti ed eventualmente destinatari e
informazioni sul ritorno informativo assicurato dall’autorità. Qualora la consultazione
sia svolta per aggiornare o modificare provvedimenti già operativi, la NC si evolve nella
forma di revisione. Il modello di NC può essere integrato da una relazione illustrativa
che ad essa si allega e che funge da executive summery. Questa forma è più frequente
199 Ad esempio ritenendo la partecipazione non necessaria ai procedimenti di regolazione in cui
sussistono ragioni di urgenza o nell’ipotesi di provvedimenti volti ad apportare modifiche di scarso rilievo Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2007, 1822.
200 C. RAIOLA, Le consultazioni telematiche delle Autorità indipendenti. Gli effetti dell’AIR su tecniche e caratteristiche, in Osservatorio AIR, P 3/2012, maggio. Si è trattato di 100 documenti di consultazione pubblicati, 16 dei quali strutturati su provvedimenti sottoposti ad analisi di impatto della regolazione. Su 43 delle 100 consultazioni telematiche considerate è stata effettuata una breve analisi delle tipologie di soggetti partecipanti.
297
nelle consultazioni telematiche della Banca d’Italia e della CONSOB ed è preferita al
NC semplice da AEEG e AGCOM nei casi in cui si rende necessaria la pubblicazione di
bozze di articolato. Nelle consultazioni che riportano testi informativi, le NC sono
articolate in quesiti che indirizzano i partecipanti a concentrare le proprie osservazioni
su un aspetto dell’articolato piuttosto che su un altro. Questa prassi è riscontrabile
particolarmente nei casi riconducibili all’AGCOM.
Le Autorità indipendenti, infine, fanno ricorso alla terza tecnica di consultazione
nei casi in cui nei documenti non sia prevista la bozza di articolato ma contenga solo
l’intenzione regolatoria. Di solito è più diffusa nelle fasi iniziali del processo di
definizione dell’atto regolamentare quando cioè ancora non sussistano aspetti definiti
dello stesso ma piuttosto risulta in stato di definizione con l’ausilio delle osservazioni
degli stakeholders. Anche in questo caso molto spesso si inseriscono quesiti nei
documenti di consultazione.
Malgrado la diversa articolazione, le consultazioni telematiche sono accumunate
dallo scopo omogeneo di garantire la trasparenza nel processo regolamentare delle AI e
destinate a garantire la partecipazione attiva nel processo di definizione degli atti di
portata generale. La garanzia di partecipazione e trasparenza assume tuttavia diversi
livelli di intensità a seconda della forma assunta e della fase del processo regolamentare
in cui è svolta. E’ chiaro che più la consultazione è anticipata nel processo più la
consultazione avviene su bozze di atti ancora in via di definizione, spesso privi di una
bozza dell’articolato e dunque potenzialmente ancora plasmabili mediante osservazioni
degli stakeholders.
Al fine di esaminare l’iter di partecipazione telematica alle consultazioni sono
stati individuati taluni indicatori (tempi effettivi di apertura delle consultazioni, mole del
documento di consultazione, numero dei contributi partecipativi, emendamenti che ne
sono derivati e classificazione dei soggetti che vi hanno partecipato) in grado di fornire
un quadro omogeneo e comparabile delle caratteristiche dei procedimenti pubblicati e
dei processi di consultazione svolti.
Dall’indagine 201 risulta che nella quasi totalità dei casi le consultazioni
pubbliche garantiscono la piena inclusione di tutti i soggetti potenzialmente interessati
secondo i principi dell’OCSE. Le modalità di inoltro delle osservazioni sono piuttosto
201 C. RAIOLA, Le consultazioni telematiche delle Autorità indipendenti. Gli effetti dell’AIR su tecniche e caratteristiche, in Osservatorio AIR, P 3/2012, maggio.
298
semplici e realizzate per tutte le AI del campione attraverso: forum online con moduli
da compilare direttamente sul sito (usati dall’AEEG e CONSOB), PEC (indicata dalla
Banca d’Italia e AGCOM), posta, fax e e-mail comune a tutte le AI. Il tempo di
consultazione, ossia per l’inoltro di osservazioni e commenti da parte degli
stakeholders, previsto da ciascun regolamento è compreso tra i trenta e i sessanta giorni,
nella sostanza però la media è compresa tra 40 e 51 giorni. La mole dei documenti
pubblicati ai fini della consultazione, si attesta in media intorno alle trenta pagine,
tranne che per la Banca d’Italia, le cui consultazioni sono in genere più voluminose.
La trasparenza è assicurata attraverso vari meccanismi: pubblicazione integrale
delle osservazioni, in forma anonima e in via generica, ovvero come nel caso della
Banca d’Italia e della CONSOB mediante l’aggregazione delle stesse in un documento
di sintesi o resoconto che viene pubblicato sui rispettivi siti istituzionali. L’effettiva
ricezione delle osservazioni pervenute è, come si è detto, valutabile attraverso un
confronto con la motivazione dei provvedimenti adottati.
Dall’indagine 202 è emerso un quadro dei soggetti che più frequentemente
partecipano alle consultazione telematiche, quantificandone gli interventi ed operando le
opportune distinzioni a seconda delle diverse Autorità. Ne è derivato un valore
complessivo che si attesta in media compreso tra le 6 e 10 osservazioni per documento
di consultazione203.
I soggetti che intervengono sono di solito Associazioni rappresentative degli
interessi degli operatori, Associazioni rappresentative degli interessi dei consumatori,
operatori di mercato, studi legali, persone fisiche, fondazioni o associazioni, gruppi
estemporanei di lavoro formati da esperti o accademici, con uno sbilanciamento a
favore delle società, seguite dalle associazioni rappresentative (di operatori e
consumatori) e dagli studi legali, (si rinvia alla Fig. 6.1). Fig. 6.1 Categorie di soggetti partecipanti alle consultazioni pubbliche svolte da AEEG, CONSOB, Banca d’Italia, AGCOM. Anno2010
202 C. RAIOLA, Le consultazioni telematiche delle Autorità indipendenti. Gli effetti dell’AIR su
tecniche e caratteristiche, in Osservatorio AIR, P 3/2012, maggio. 203 La Banca d’Italia è risultata l’autorità, tra le quattro oggetto dell’indagine che ha un minor
numero di partecipanti per consultazione pubblica svolta, la CONSOB quella che ne ha di più.
299
Grafico elaborato dall’AIR204
Dallo studio è emerso un quadro differenziato (Fig. 6.2) a seconda dei
procedimenti ed autorità; in quelli afferenti alla Banca d’Italia, la categoria di
interlocutore numericamente più elevata è rappresentata dalle banche e dagli
intermediari, alla pari delle associazioni rappresentative, l’esatto contrario avviene nelle
consultazioni della CONSOB, in cui prevalgono in ordine decrescente gli studi legali, le
associazioni rappresentative degli operatori e un numero piuttosto alto di persone
fisiche. Per le consultazioni dell’AGCOM e dell’AEEG, le società sono i primi
interlocutori, seguite dalle associazioni rappresentative degli interessi dei soggetti
operanti nel mercato, dei consumatori/utenti.
Fig. 6.2. Ripartizione delle categorie partecipanti tra le consultazioni svolte da AEEG, CONSOB, Banca d’Italia, AGCOM. Anno 2010
Grafico elaborato dall’AIR205
204 C. RAIOLA, Le consultazioni telematiche delle Autorità indipendenti. Gli effetti dell’AIR su
tecniche e caratteristiche, in Osservatorio AIR, P 3/2012, maggio. 205 C. RAIOLA, Le consultazioni telematiche delle Autorità indipendenti. Gli effetti dell’AIR su
tecniche e caratteristiche, in Osservatorio AIR, P 3/2012, maggio.
300
Sotto il profilo del controllo di giurisdizionale degli atti di regolazione delle
autorità indipendente, assumono particolare rilievo le problematiche della
legittimazione a ricorrere, in relazione alla dimensione soggettiva della giurisdizione
amministrativa che presuppone una situazione giuridica incisa dalla decisione finale e
meritevole di tutela, e quella dell’estensione del sindacato del giudice in rapporto alla
discrezionalità tecnica delle AI206.
La giurisprudenza 207 ha affrontato entrambe le questioni e dandone solo
parzialmente una soluzione.
Con riferimento alla prima, ha riconosciuto la legittimazione ad impugnare di
tutti i soggetti incisi in via immediata o indiretta dall’esercizio del potere, adottando
un’interpretazione più estesa rispetto a quanto stabilito per i provvedimenti individuali
dell’AI208. Non è però stato riconosciuto l’interesse a ricorrere in capo alle associazioni
a difesa del consumatore o dell’ambiente209 e dei clienti delle imprese colpite dall’atto
impugnato210 sulla base del presupposto che la funzione di regolazione è volta a
conformare soltanto gli interessi omogenei degli operatori di mercato, ciò in evidente
contrasto con le finalità della funzione regolamentare legislativamente previste, tra cui
sono annoverati gli interessi dei consumatori ed utenti211. Ne risulta negata, pertanto, la
corrispondenza tra legittimazione al procedimento e legittimazione al processo.
La seconda delle questioni individuate, è risolta dalla giurisprudenza, da un lato
superando la dicotomia tra sindacato giurisdizionale “debole” e “forte”, in quanto la
distinzione tra scelte tecniche e scelte tecniche complesse non esclude la natura
specialistica degli accertamenti compiuti dall’AI, e dall’altro estendendo il sindacato del
giudice all’intera area di esercizio del potere regolatorio, con la preclusione del solo
riesercizio del potere dell’Autorità non potendo il giudice sostituirsi ad essa212. La teoria
del sindacato intrinseco forte, seppure più idonea a coniugare il principio costituzionale
dell’effettività della tutela con la specificità delle controversie aventi ad oggetto gli atti
206 Sull’argomento v. R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma,
2012, 341 ss.; AA.VV. Lezioni di diritto amministrativo progredito, L. Torchia (a cura), Bologna, 2012, 163- 164.
207 Cons. Stato, VI, 3 aprile 2001, n.1995. 208 TAR Lazio, I, 14 novembre 2001, n.9354. 209 Cons. Stato, Ad. Plen, 11 gennaio 2007, n.1. 210 TAR Lombardia IV, 18 gennaio 2006, n.80. 211 Sul punto v. AA.VV. Lezioni di diritto amministrativo progredito, L. TORCHIA (a cura di),
Bologna, 2012, 163- 164. 212 Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2004, n. 926.
301
delle autorità indipendenti, è stata scarsamente applicata dal giudice amministrativo il
quale si è limitato a circoscrivere il suo sindacato al rispetto dei principi generali della
materia (al principio di proporzionalità, garanzie della partecipative) al fine di
preservare il momento politico della regolazione ed evitare di esorbitare i propri limiti
istituzionali213.
In conclusione, anche con riferimento alle consultazioni telematiche siamo di
fronte a forme derogatorie di partecipazione che si discostano dagli strumenti previsti
dalla l. 241/1990, ma che trovano nella peculiarità del settore considerato
giustificazione oltre che fondamento normativo.
Il rinvio alle discipline settoriali piuttosto che l’inapplicabilità della
partecipazione a questi procedimenti vuole significare la necessità di modelli
partecipativi più consoni al profilo funzionale dell’azione amministrativa e con la
peculiare struttura dei procedimenti generali. In questo modo trovano attuazione i
principi costituzionali di buon andamento e imparzialità e quelli stabiliti dalla legge sul
procedimento. Si conferma, inoltre, il modo di intendere la legge sul procedimento
amministrativo, più volte avallato dalla Corte Costituzionale, non in termini di norma
interposta nel giudizio di legittimità sulle discipline settoriali dell’azione
amministrativa, ma come modello di principi nell’ottica della codeterminazione degli
interessi assimilabile, pertanto, all’Administrative Procedure Act statunitense.
Al di là delle differenze intrinseche relative alla tempistica e alle modalità di
consultazione delle singole autorità risultante dal campione esaminato, emerge un
efficace livello di attuazione dell’istituto della partecipazione effettivamente in grado di
consentire un concreto apporto collaborativo degli stakeholders e un efficace controllo
sull’attività regolamentare delle AI. Ne consegue un rafforzamento dell’accountability
attraverso una legittimazione dal basso che insieme al controllo giurisdizionale
sopperisce al deficit democratico.
E’ il caso di evidenziare come la trasparenza del processo di consultazione in
riferimento al rapporto con i rispondenti si concretizza quindi oltre che nel rispetto
dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti adottati anche nella pubblicazione delle
osservazioni ricevute secondo le modalità esaminate, delle consultazione successive e
213 Sul punto v. AA.VV. Lezioni di diritto amministrativo progredito, L. TORCHIA (a cura di),
Bologna, 2012, 158- 159; R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, 344 ss.
302
della delibera che chiude il processo. Laddove poi trova applicazione la metodologia
AIR (Analisi d’Impatto della Regolazione) prevista dall’art. 12 della legge n.229 del
2003, il coinvolgimento degli stakehorders nei processi di consultazione telematica
risulta maggiore214.
7. Considerazioni conclusive
A circa venti anni dalla legge n.241 che ha segnato agli inizi degli anni ’90
l’avvio di una nuova stagione dell’attività amministrativa in un’ottica di semplificazione
e democratizzazione, si è resa necessaria una riflessione sulla partecipazione al
procedimento amministrativo quale istituto che meglio scolpisce il superamento della
tradizionale dicotomia tra pubblica amministrazione e amministrati sostituendola con un
nuovo modo di intendere i rapporti tra amministrazione e cittadini.
La ricerca ha riguardato la verifica del livello di attuazione degli istituti
contenuti nel capo III della l. 241/1990, sia a livello normativo che nella prassi,
soffermandosi in particolar modo sulle realtà regionali e degli Enti locali e su forme di
partecipazione che si collocano al di fuori della l. 241/90 ma che ai principi della
medesima si ispirano.
L’intera indagine è stata svolta cercando di evidenziare quali delle promesse
della l. 241/1990 sono state realizzate in concreto e quali ancora necessitano di
attuazione. Per fare ciò si è tentato di rispondere ad alcuni interrogativi destinati a
verificare con quali strumenti la partecipazione avvenga più frequentemente, chi siano i
soggetti che partecipano, operando le opportune distinzioni a seconda dei procedimenti,
e a stabilire l’esistenza di una corrispondenza tra legittimazione procedimentale e
processuale ad impugnare il provvedimento adottato.
Ci si è interrogati sulla funzione prevalente della partecipazione, se collaborativa
ovvero difensiva, e sulla sua efficacia in concreto, ponendo la giusta attenzione
sull’influenza che la stessa esercita sul provvedimento finale.
214 C. RAIOLA, Le consultazioni telematiche delle Autorità indipendenti. Gli effetti dell’AIR su
tecniche e caratteristiche, in Osservatorio AIR, P 3/2012, maggio, 40.
303
Si è, inoltre, descritto come le esigenze partecipative si coniughino con gli altri
principi cui l’azione amministrativa deve conformarsi e, in ultima analisi, si è cercato di
definire i rapporti della legge 241/90 con le esperienze di democrazia partecipativa e
delle consultazioni telematiche di alcune Autorità Indipendenti (CONSOB, Banca
d’Italia, AGCOM, AEEG).
Come si è accennato in premessa la ricerca ha presentato diverse difficoltà in
ordine al reperimento dei dati presentando per questo motivo molti limiti di
attendibilità. In assenza di una mappatura recente che definisca il livello di attuazione
degli istituti di partecipazione nelle varie amministrazioni pubbliche ed in ordine ai vari
procedimenti amministrativi, il quadro di indagine non sempre è risultato aggiornato, si
è perciò provveduto ad integrarlo attraverso interviste e l’esame della giurisprudenza
più recente. Le esperienze di democrazia partecipativa e delle consultazione telematiche
delle Autorità Indipendenti, hanno, invece, consentito di definire un quadro senza
dubbio più aggiornato.
Va, inoltre, evidenziato come non esistendo un modello certo di valutazione dei
processi partecipativi né in generale né in relazione ad un dispositivo di legge
sperimentale l’attività valutativa può considerarsi essa stessa sperimentale.
Poste tali premesse, dalla ricerca è derivato un resoconto sulla partecipazione
composito sotto un profilo normativo, giurisprudenziale e della prassi.
Attualmente l’istituto della partecipazione si muove spesso seguendo binari
autonomi rispetto agli strumenti previsti dalla legge 241 del 1990 attuandone tuttavia i
principi. Questo si spiega per la riscontrata inadeguatezza della legge sul procedimento
che contiene una disciplina valida solo per l’adozione di atti individuali in ordine alla
quale la partecipazione è riservata a coloro che hanno un interesse specifico e non
costituisce normalmente uno strumento di partecipazione dei cittadini alle decisioni di
interesse generale. In questi casi, è proprio la normativa di settore a compensare i limiti
applicativi stabiliti dall’art. 13 della l. 241/1990 mediante disposizioni più idonee
ovvero esperienze di democrazia partecipativa a livello regionale e locale.
Il rinvio alle discipline settoriali non vuole significare l’inapplicabilità della
partecipazione a questi procedimenti, ma la necessità di modelli partecipativi più
consoni al profilo funzionale dell’azione amministrativa e alla peculiare struttura dei
procedimenti generali. In questo senso trova conferma il modo di intendere la legge sul
304
procedimento amministrativo avallato dalla Corte Costituzionale, non più in termini di
norma interposta nel giudizio di legittimità sulle discipline settoriali dell’azione
amministrativa, ma piuttosto come modello di principi nell’ottica della
codeterminazione degli interessi, assimilabile pertanto all’Administrative procedure Act
statunitense.
Inoltre, dall’indagine compiuta, è emerso che nei procedimenti soggetti al capo
III della l. 241/1990, non sempre gli strumenti di partecipazione trovano una piena
attuazione. Nonostante, infatti, gli innegabili passi avanti compiuti in tema di
partecipazione, si richiede ai pubblici poteri di compiere un ulteriore sforzo in questa
direzione.
Dai dati reperiti è emerso che gli istituti introdotti dalla l. 241/1990 a garanzia
del cittadino hanno favorito l’aumento del contenzioso giurisdizionale. Sempre più di
frequente l’attività posta in essere dalla pubblica amministrazione è impugnata davanti
al giudice, invocando la violazione delle disposizioni contenute nel capo III della
241/1990. Il fatto poi che il contenzioso non sia in recessione induce a ritenere che
anche il cittadino comune abbia preso maggiore coscienza delle garanzie procedimentali
che l’ordinamento gli assicura.
Ciò che è emerso è la rilevanza dell’intervento giurisprudenziale che è ricavabile
dalla trasformazione ad integrazione dei contenuti dei vari istituti introdotti dalla legge
sul procedimento. Si può dire, in tal senso, che se la legge ha codificato tali principi la
giurisprudenza amministrativa li ha riempiti di contenuto. Tanto con riferimento alla
comunicazione carente che all’omissione totale della comunicazione è ormai prevalsa la
tesi sostanzialistica secondo cui il raggiungimento dello scopo, quale meccanismo
sanante, preclude l’illegittimità del provvedimento adottato.
Alla luce delle modifiche operate nel 2005, con l’introduzione dell’art.21 octies
appare ormai evidente il mutamento dell’oggetto del giudizio amministrativo, non più
esclusivamente sull’atto amministrativo ma sul rapporto. I settori che hanno dimostrato
di presentare maggiori profili di criticità in riferimento all’applicazione di questo
strumento di partecipazione sono l’edilizia (in particolare in ordine al permesso di
costruire), l’espropriazione e il pubblico impiego.
Quanto agli altri istituti, dall’esame della giurisprudenza e dalle interviste ad
associazioni a tutela dell’ambiente è emerso che l’intervento procedimentale di tale
305
categoria di portatori di interessi diffusi trova effettiva applicazione soprattutto nei
procedimenti di natura precettiva/regolatoria (per i settori relativi alla tutela
dell’ambiente, all’urbanistica ecc.) sebbene riescano scarsamente ad influenzare la
decisione finale della PA. Le stesse considerazioni valgono per il preavviso di rigetto; le
osservazioni pervenute a suo seguito, infatti, vanno ad integrare la motivazione del
provvedimento finale piuttosto che modificare la decisione della PA.
Questa scarsa influenza si spiega poiché il coinvolgimento delle associazioni
portatrici di interessi diffusi avviene in ritardo e non in una fase preliminare di
definizione del provvedimento. Ne consegue una predilezione da parte delle stesse per
metodologie di dialogo deliberativo disciplinate da alcune leggi regionali come la
Regione Toscana e Regione Emilia Romagna, cui nel corso del lavoro si è dedicato
apposito approfondimento, in quanto in grado di garantire “fasi procedimentali
strutturate, informazioni accurate, analisi delle alternative, tempi certi, obblighi di
risposta argomentata”.
Nonostante gli interventi normativi da parte del Legislatore nazionale ed
europeo restano ancora dubbi sulla questione della corrispondenza tra legittimazione
procedimentale e processuale con riferimento alle associazioni a tutela dell’ambiente in
presenza di una giurisprudenza che tende a valorizzare specifici indici di
rappresentatività e di vicinitas con l’interesse che si assume leso. Dai dati rilevati è
emerso, tuttavia, che tali associazioni propongono con scarsa frequenza ricorso al
Giudice amministrativo.
La tematica della legittimazione ad agire delle associazioni dei consumatori non
ha trovato riscontri, a livello normativo e in giurisprudenza, analoghi a quelli in materia
di ambiente. Questo si spiega per il più forte impatto sul corpo sociale che il valore della
salubrità dell’ambiente ha per la sua correlazione con la tutela della salute e con altri
valori che contribuiscono a creare una “nozione allargata” di ambiente.
Quanto agli accordi di cui all’art. 11 della l. 241/1990, in base ai dati reperiti, è
emersa una scarsa applicazione degli stessi fino al 2003 sia per quanto riguarda gli
accordi integrativi che sostitutivi; è stata riscontrata una maggiore concentrazione nelle
amministrazioni del Centro e Nord Italia piuttosto che nel Meridione. E’ stato, però,
registrato un lieve incremento del loro utilizzo nell’ultimo decennio sopratutto con
riferimento al settore urbanistico.
306
Complessivamente i dati statistici mostrano una maggiore diffusione degli
strumenti di partecipazione e dei meccanismi informativi nelle amministrazioni locali
piuttosto che centrali sia sotto un profilo normativo, ossia mediante l’adozione di
regolamenti di attuazione della l. 241 del 1990, sia nella prassi. Il che si spiega sulla
base del principio di sussidiarietà e di previsioni normative come gli artt. 8 ss. del T.U.
Enti locali che inseriscono gli istituti di partecipazione e dell’accesso tra i contenuti
obbligatori degli statuti.
Dati più precisi e risultati più esaustivi provengono, invece, dai settori esclusi
dall’applicazione del capo III della l. 241/1990, in particolare in ordine ai procedimenti
relativi al governo del territorio, che nell’ottica di una “democrazia di prossimità”
operano un coinvolgimento sempre maggiore dei cittadini anche attraverso associazioni
rappresentative.
Hanno costituito oggetto di approfondimento nell’ambito del settore del governo
del territorio i laboratori per la pianificazione, i fora e gli organi consultivi. Più in
generale, con riguardo alla democrazia partecipativa, sono state segnalate le esperienze
di bilancio partecipativo, sia a livello regionale che locale. Infine si è dedicato un
approfondimento alla regione Toscana e alla sua legge sulla partecipazione ormai
divenuta un punto di riferimento per le altre regioni.
In questi casi, i dati dimostrano che la partecipazione abbia ricevuto un riscontro
positivo nella popolazione attraverso procedure di comunicazione e trasparenza e tempi
che consentono effettivamente agli interessati di fornire il proprio apporto partecipativo
e di intervenire presentando osservazioni in forma scritta o orale agli incontri
organizzati. Questi meccanismi partecipativi assumono specifiche caratteristiche man
mano che ci si addentra nelle singole esperienze e perseguono poi prevalentemente
finalità di natura consultiva e collaborativa. Va tuttavia evidenziato che di fatto le
risultanze che scaturiscono dalle esperienze partecipative, anche quelle più importanti e
più riuscite, non hanno mai un potere giuridicamente vincolante. Le principali criticità
riscontrate hanno riguardato il tema dei finanziamenti dei processi partecipativi, la
sfiducia da parte di chi detiene il potere decisionale nella considerazione di tali
meccanismi partecipativi come opportunità di empowerment e l’inadeguatezza dei
meccanismi di comunicazione e informazione alla comunità dei cittadini.
307
Peculiarità rispetto al modello tradizionale di partecipazione sono state rilevate
nelle consultazioni telematiche per l’adozione di provvedimenti di natura
regolamentare. Alle finalità di natura collaborativa si aggiungono, le esigenze di
accountability; attraverso il rispetto del principio del contraddittorio si ottiene una
legittimazione dal basso che va a colmare il deficit democratico dovuto all’esclusione
dal modello di responsabilità di cui all’art. 95 Cost.
Queste finalità di democratizzazione delle procedure decisionali sono evidenti
anche nelle esperienze di democrazia partecipativa e si spiegano per la difficoltà delle
democrazie rappresentative di riscontrare ampi consensi.
Ancora troppo limitato risulta l’uso delle ICT da parte delle popolazione che,
secondo un recente studio, nel 67% dei casi esaminati non ha mai consultato un sito web
della pubblica amministrazione, sebbene i protocolli informatici abbiano raggiunto un
buon livello di diffusione nelle amministrazioni sopratutto a livello degli enti locali. I
servizi web più conosciuti sono quelli riguardanti i tributi locali (ICI/IMU), i certificati
anagrafici e catastali, le iscrizioni scolastiche, i concorsi pubblici e le prenotazioni delle
visite mediche. La maggior parte dei soggetti che ha dichiarato di utilizzare internet per
informarsi o accedere ai servizi delle PA si pone in una fascia d’età al di sotto dei trenta
anni e ad elevato livello di istruzione.
In questi casi ne è derivato una miglioramento dell’attività amministrative in
termini di snellezza e quindi semplificazione, celerità e democraticità.
Il principale limite all’attuazione della partecipazione procedimentale è costituito
dal bilanciamento della stessa con i principi di celerità ed economicità dell’attività
amministrativa come è stato evidenziato dall’esame dell’esperienza toscana. Queste
difficoltà possono essere superate, in ottemperanza anche alle esigenze di trasparenza,
attraverso la informatizzazione dell’attività amministrativa procedimentale che richiede
naturalmente un intervento a livello dell’organizzazione ed un superamento dei limiti di
accessibilità al sistema informatico.
A circa venti anni dalla legge sul procedimento amministrativo quindi numerosi
passi avanti sono stati compiuti, ma si prospetta ancora lunga e piena di ostacoli la
strada per la totale attuazione delle promesse poste alla base della 241/1990. La
semplificazione e la democratizzazione costituiscono ancora oggi un terreno da
conquistare nonostante le recenti aperture del sistema (ad esempio, ultimamente, il
308
D.lgs. n. 33 del 2013, destinato a realizzare una total disclosure dell’attività
amministrativa e una piena attuazione del principio della trasparenza215).
I dati mostrano parecchi elementi di criticità dell’attività della pubblica
amministrazione.
Le iniziative destinate alle politiche di semplificazione hanno assunto un
carattere prevalentemente settoriale, mediante interventi “spot”, cui non ha fatto seguito
un coordinamento complessivo. Ne sono derivati diversi modelli di amministrazione216
e di conseguenza diversi livelli di democratizzazione dei procedimenti amministrativi,
considerata l’osmosi tra partecipazione e semplificazione che costituiscono le due anime
della l. 241/1990. Il tema cruciale da affrontare per inaugurare una nuova stagione della
semplificazione amministrativa217 è “quello di rifondare una vera e propria policy di
semplificazione multilevel in un quadro nel quale il baricentro della semplificazione si è
spostato nelle regioni ed enti locali”. E’ essenziale costruire una cooperazione
interistituzionale che assicuri procedure semplificate e standardizzate e allo stesso
tempo valorizzi il ruolo delle consultazioni telematiche per il coinvolgimento degli
stakeholders nella predisposizione delle stesse politiche amministrative di
semplificazione.
Quel che si deve evitare, è bene sottolinearlo, sono gli interventi di mera
soppressione e semplificazione normativa, aprendosi piuttosto ad operare interventi di
semplificazione e democratizzazione in una “logica di risultato”218.
Che la valorizzazione del tema della partecipazione sia in crescita è dimostrato
dalla presenza di numerosi studi e ricerche di recente pubblicazione su molti siti
istituzionali in particolare con riferimento alle esperienze di democrazia partecipativa.
Ma, come è stato precisato nella ricerca, la partecipazione può assumere diversi
significati, ne è dimostrazione il fatto che recentemente il Formez ha ritenuto opportuno
pubblicare un apposito dizionario sulla partecipazione219 che affronta le sue singole
215 G. PANASSIDI, S. FABRIS, Verso la trasparenza “total disclosure” nelle pubbliche
amministrazioni: dalla legge n.241 del 1990 al decreto legislativo n. 33 del 2013, in Molto comuni, 2013. 216 Dal confronto tra indicatori, è stato possibile evidenziare cinque diversi modelli di
amministrazione: olistica, organizzativista, interattiva, annuncio, a-impianto. A. CALDAROZZI, La semplificazione amministrativa nelle regioni e dei comuni: a che punto siamo, www.astrid.ue.
217 S. PAPARO, Per una semplificazione di risultato, www.astrid.ue. 218 S. PAPARO, Per una semplificazione di risultato, www.astrid.ue. 219 F. DE TOFFOL e A. VALASTRO, Dizionario di Democrazia Partecipativa, a cura del Centro Studi
Giuridici e Politici della Regione Umbria, 2012.
309
declinazioni, chiarendone differenze concettuali ed applicative. Malgrado le tendenze
positive, resta il dato negativo rilevato dell’inesistenza di una mappatura aggiornata
sull’attuazione degli strumenti di partecipazione della l. 241/1990 che metta in luce la
ancora insufficiente attenzione a queste tematiche.
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GLI AUTORI
MARIANGELA BENEDETTI è dottore di ricerca in diritto amministrativo nell’Università di Roma “Sapienza
MARTINA CONTICELLI è ricercatore di istituzioni di diritto pubblico nell’Università degli studi di Roma “Tor Vergata”
MAURIZIA DE BELLIS è ricercatore di diritto amministrativo nell’Università degli studi di Roma “Tor Vergata”
ALDO SANDULLI è professore ordinario di diritto amministrativo nell’Università degli studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa”
DONATELLA SCICCHITANO è dottoranda di ricerca nell’Università degli studi di Roma Tre
SUSANNA SCREPANTI è dottore di ricerca nell’Università degli studi di Roma Tre