Riassunto La Relazione Bambino Insegnante
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Hinde (1981) descrive il concetto di relazione come una serie di interazioni che ricorrono tra
due individui, dove queste ultime sono relativamente limitate nella durata, ma sono
influenzate da quelle passate e a loro volta influenzeranno quelle future. Le relazioni sono
trattate come sistemi diadici sottoposti a determinati principi del comportamento. La relazione
tra un bambino e un insegnante o un genitore non è costituita solo dalle interazioni o dalle
caratteristiche individuali dei due soggetti; quindi non è determinata solo dal temperamento,
dalle abilità comunicative o dall’intelligenza di uno dei due partecipanti. Le relazioni hanno una
loro precisa identità che va oltre gli elementi citati (Sroufe,1989b).
Le relazioni, in quanto sistemi diadici sono cioè costituiti da diversi elementi che appartengono
sia ai partecipanti: comprendono le caratteristiche degli individui coinvolti, sia di carattere
biologico, che di personalità, della storia evolutiva ed elementi che appartengono
squisitamente alla relazione, ciò che Bowlby indica come rappresentazione che i soggetti
hanno della relazione. Inoltre quest’ultime includono elementi di feedback, fondamentali per
garantirne il buon funzionamento, che prevedono lo scambio di informazioni tra gli individui
riguardo la percezione di sé e dell’altro.
La relazione diadica tra adulto e bambino ha carattere asimmetrico, tra i due componenti il
bambino è il sistema meno maturo; in linea con le concezioni bowlbiane e, per altre ragioni
evoluzionistiche, l’organismo meno maturo si lega ad uno più maturo, responsabile del suo
sviluppo e della sopravvivenza. E’ quindi evidente che l’andamento della relazione e il suo
peso, nelle esperienze relazionali in generale, dipendono quasi esclusivamente dall’adulto.
Le relazioni tra bambini e adulti hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo della personalità
e delle competenze scolastiche nel periodo prescolare, della scuola elementare e della scuola
media. Esse danno origine alle basi e ai mezzi che il bambino può utilizzare per costruire le
proprie esperienze scolastiche. Le relazioni di quest’ultimo con i genitori e con gli insegnanti
hanno una forte influenza nello sviluppo di abilità sociali con i compagni, di abilità scolastiche
come l’attenzione, la motivazione, l’ autostima, e inoltre nello sviluppo emotivo e
dell’autoregolazione.
Gli aspetti fondamentali di relazioni di questo tipo risiedono nella disponibilità e nella capacità
dell’adulto di leggere e rispondere in maniera appropriata ai messaggi e alle richieste del
bambino. Si intende cioè, un adulto, che sia in grado di comunicare accettazione e calore
emotivo, di offrire aiuto, di regolare e supportare il comportamento del bambino.
La relazione insegnante-alunno è un argomento poco considerato dalla ricerca, i pochi
contributi derivano dalla ricerca psicologica in campo educativo, proprio per l’incidenza che
questa relazione ha nelle dinamiche di adattamento scolastico.
Le relazioni con gli insegnanti incidono su molti esiti in ambito scolastico. Da ricerche di Pianta
(1992), Linch e Cicchetti (1992) emerge il peso che, la relazione insegnante-alunno, ha
nell’adattamento del bambino in età prescolare, nei primi anni delle elementari e oltre. Le
relazioni sono un espressione diretta del contesto, e i bambini risultano più competenti e si
adattano meglio al contesto quando sono supportati da questo, e quindi dalle stesse relazioni
(Pianta, 1999).
In particolare nei primi anni di scuola l’insegnante instaura un rapporto molto particolare con i
bambini, diventando spesso sostituto dei genitori (Howes, Hamilton, 1992); deve occuparsi
sia dell’insegnamento che della loro cura. Soprattutto nei primi anni di scuola elementare,
ogni bambino è profondamente convinto di avere un rapporto privilegiato con l’insegnante e
mette in atto una serie di strategie per realizzarlo. Nella fase iniziale della scuola, ogni
bambino richiede l’approvazione e ricerca il contatto fisico con quest’ultimo. Con il tempo però
anche la relazione con l’insegnante, come quella fra genitore e bambino, può prendere pieghe
diverse alcune possono essere intime e affettuose, altre distanti e formali con conseguenze
diverse sul processo di adattamento.
In passato la relazione educativa era affrontata solo in termini disciplinari, lo scopo era cioè
quello di individuare stili educativi che, se adottati dall’insegnante, favorivano la condotta
disciplinare dell’alunno. Solo negli ultimi quindici anni, la ricerca si è si spostata su variabili
non esclusivamente cognitive ma legate all’intero processo di adattamento; considerando però
più che altro, le competenze relazionali dell’insegnante, e non la relazione, come intesa da
Hinde nel suo carattere di reciprocità, quindi anche dal punto di vista della percezione
dell’alunno. Uno dei pochi contributi che rientra maggiormente in questa concezione di
relazione è quello di Franta (1991); egli pone l’accento sugli aspetti relazionali del processo di
insegnamento-apprendimento, considerandoli fondamentali ai fini dello sviluppo di una
personalità scolastica.
Emerge dunque che il motivo principale che ha eletto la relazione insegnate-alunno ad
oggetto di studio in ambito psicologico è l’influenza che questa relazione ha
sull’adattamento scolastico del bambino. La definizione di adattamento ha subito, nel
corso del tempo, diversi cambiamenti a seconda che fosse considerato come risultato della
caratteristiche dell’individuo o di quelle dell’ambiente. Ad oggi viene considerato come l’esito
complesso di un processo evolutivo dato dall’ interazione tra caratteristiche dell’individuo e
quelle dell’ambiente.
In particolare l’adattamento scolastico non è più valutato solo come rendimento o livello di
apprendimento scolastico; la scuola presenta una serie di “sfide” al bambino, che consistono
nelle richieste e nei compiti che questo deve assolvere. Queste sfide superano la semplice
trasmissione delle conoscenze, e coinvolgono anche altri livelli tra cui quello delle relazioni
interpersonali, e ognuna di loro richiede al soggetto una forma di adattamento. L’adattamento
per essere definito deve dunque considerare tutti quegli aspetti che influenzano ciò che
accade in classe: la percezione del bambino circa l’ambiente scuola, le reazioni psicologiche e
affettive, la partecipazione o il disimpegno rispetto alle stesse attività di classe, rendimento e
progressi nel campo delle conoscenze.
Ladd (1989) elabora, sulla base critica di modelli precedenti, un modello dell’adattamento
scolastico interpretato come processo dinamico e circolare. Secondo questo modello
l’adattamento scolastico è il risultato degli sforzi che il bambino fa nel tentativo di rispondere
alle richieste dell’ambiente scolastico.
Ladd sostiene che per misurare l’adattamento non esistono parametri fissi all’interno di ogni
livello di età , ma vengono delineati dall’interazione di caratteristiche dell’ambiente scolastico
e caratteristiche sociali, emotive e comportamentali del bambino in quel contesto e in quel
momento. Infatti ogni anno cambiano sia le richieste poste dall’ambiente scuola sia le
capacità del bambino di rispondere, sono proprio i risultati ottenuti dai bambini in questo
ambito a diventare “indicatori” del loro stesso adattamento, ad indicare cioè se il bambino si è
adattato o meno al contesto scuola.
Per riuscire in questo intento, e fronteggiare le richieste della scuola, i bambini possono
attingere a fattori personali e a risorse derivanti dalle esperienze con ambienti sociali vicini,
dalle quali impareranno stili comportamentali che vanno ad influenzare la capacità di
relazionarsi in modo efficace agli altri.
In un’ottica circolare l’adattamento raggiunto o meno nel corso di un anno scolastico diventa a
sua volta fattore di protezione o di rischio per l’anno scolastico successivo. Quando il bambino
torna a scuola ha gia un immagine di questa e all’interno del gruppo classe riveste un ruolo
preciso determinato da ciò che è accaduto l’anno precedente, dai suoi esiti di adattamento.
Con il procedere degli anni scolastici le richieste fatte ai bambini diventano sempre più
esigenti, e a queste si sommano quelle degli anni precedenti che devono continuare a
soddisfare. Tra queste permangono quelle relative alla necessità di avere relazioni
soddisfacenti con i pari e con gli insegnanti, che potranno proseguire invariate o cambiare nel
corso del tempo. La capacità di rispondere a questa sfida relazionale, costituisce un
importante fattore di protezione rispetto a variabili quali il rendimento e l’interazione positiva
con i pari.
Secondo la teoria psicoanalitica nella storia dell’individuo sono fondanti le esperienze
infantili. Il contributo psicoanalitico alla psicologia dell’educazione si esplica nella misura in
cui, si estende anche al contesto scolastico, l’idea che le primarie relazioni con l’oggetto
d’amore influenzino ogni tipo di esperienza che l’individuo fa nel corso della vita.
Inoltre l’ idea della relazione madre-bambino descritta come dinamica tra contenitore-
contenuto viene estesa dalla psicoanalisi anche alla situazione dell’apprendimento e quindi alla
figura dell’insegnante.
Autori vari partendo dalla teoria di Bion offrono interessanti spunti di riflessione circa la
relazione insegnante alunno. Le stesse Bombi e Scittarelli (1998) fanno notare che, se è vero
che Bion nella teoria del pensiero e della conoscenza (1962) non affronta direttamente il
problema della relazione insegnante-alunno, è pur vero che dà lo spunto per interessanti
considerazioni a riguardo. Le autrici sottolineano che dal pensiero di Bion si può dedurre che
se il bambino nasce con una funzione che lo spinge a conoscere, questa funzione può
esplicarsi solo all’interno di una dinamica relazionale tra contenitore e contenuto, considerato
che le prime esperienze di apprendimento sono particolarmente ricche dal punto di vista di
emozioni, angosce, fantasie. Questa analisi viene estesa alla situazione dell’apprendimento
per cui, secondo Bion esistono diversi modi di apprendere a seconda della relazione che
l’alunno instaura con il suo oggetto d’ amore interno-esterno.
Nell’ambito di varie posizioni psicodinamiche, la dinamica della relazione insegnante-alunno
cosi concepita, viene guardata con un occhio di riguardo proprio per il peso che assume
nell’attività di adattamento e nel processo di crescita cognitiva. Questo può essere
incrementato da un certo tipo di relazione, in cui l’altra persona raccolga, e restituisca all’altra
le emozioni implicate nei processi d’apprendimento. Una dinamica relazionale cosi improntata
consente, secondo Bion, di attenuare il disagio cognitivo ed emotivo che si vive quando
nell’apprendimento si incontra l’ignoto. Per questo motivo il modello contenitore-contenuto
viene eletto modello di apprendimento-insegnamento per eccellenza, proprio perché, consente
al soggetto che apprende di imparare gradatamente ad interagire con la realtà. La madre per
mettere in atto una simile funzione relazionale deve tollerare e a contenere le richieste del
bambino.
Parallelamente questa funzione di contenitore-contenuto che deve espletare la madre
all’interno della relazione con il figlio, viene quindi trasportata al rapporto insegnante-alunno,
poiché il compito del primo consiste nella crescita personale dell’allievo, e può quindi
compiersi se l’insegnante è in grado di contenere e mentalizzare le esperienze emotive legate
all’apprendimento.
La teoria dell’attaccamento formulata da Bowlby si presenta aperta a raccogliere influssi di
altra natura oltre quelli psicanalitici da cui deriva. Ed è proprio in questa ampiezza di vedute
che si colloca il tentativo di Bowlby di gettare un ponte tra la posizione classica di Freud e la
teoria delle relazioni oggettuali della Klein da una parte e la ricerca sperimentale dall’ altra, al
fine di individuare non solo la relazione caregiver-bambino, ma anche quella tra i vari membri
di un gruppo (per caregiver si intende la figura che si prende cura del bambino).
Bowlby sottolinea come la formazione del legame di attaccamento tra madre e bambino sia
alla base dello sviluppo della personalità di quest’ultimo. Questo legame nasce da una serie di
comportamenti innati che appartengono sia alla madre che al bambino, ma è indipendente
dalla soddisfazione dei bisogni fisiologici legati alla sopravvivenza. In questo risiede la
primaria differenza tra la posizione psicoanalitica e quella bowlbiana, secondo quest’ultima il
legame di attaccamento è un legame affettivo, intimo, duraturo con una figura materna che
risponde ai bisogni del bambino e serve da base sicura per esplorare l’ambiente naturale.
Fin dalla prima infanzia, il bambino sviluppa un modello di attaccamento particolare in
funzione dell’atteggiamento della figura materna al suo riguardo. Questo legame
interiorizzandosi serve in seguito da modello a tutte le relazioni intime e sociali dell’individuo.
E’ stato Bowlby per primo a definire l’attaccamento in termini di un sistema comportamentale
diadico, precedentemente era stato definito come un tratto del bambino in termini di
frequenza di un particolare comportamento (per esempio piangere o aggrapparsi). Secondo la
teoria bowlbiana esistono nel primate umano dei comportamenti precostituiti funzionali alla
sopravvivenza; i piccoli umani li esprimono naturalmente se supportati da un adeguato
ambiente. Il bambino in circostanze naturali ha la tendenza ad organizzare questi
comportamenti intorno ad uno o ad una ristretta cerchia di adulti. Questi non hanno bisogno
di insegnare o rinforzare questi comportamenti, ma affinché si esprimano devono rendersi
disponibile ad interagire.
Bowlby distingue la relazione d’attaccamento dai comportamenti di attaccamento, la prima si
riferisce alla particolare organizzazione dei comportamenti rispetto al caregiver, ed allo
speciale ruolo di questa organizzazione diadica nella regolazione emozionale. I bambini che
hanno sviluppato questo tipo di legame non si aggrappano ogni volta al caregiver, l’equilibrio
tra questo e l’esplorazione fa tanto parte della sopravvivenza quanto lo stesso attaccamento,
dato il ruolo del padroneggiamento dell’ ambiente nell’ adattamento umano. Non è quindi la
misura della prossimità, ma la sua organizzazione con altri comportamenti nel contesto, che
definisce la relazione d’attaccamento. Entro la fine del primo anno di vita tutti i bambini
normali hanno sviluppato questo tipo di legame tanto è predisposto il sistema nervoso.
La qualità dell’attaccamento, tuttavia, può variare notevolmente, a seconda della responsività
del caregiver e della reciprocità tra questo e il bambino; fa dunque riferimento ad una speciale
relazione emozionale tra bambino e caregiver, e come le altre relazioni evolve nel tempo ed è
il prodotto di una storia interattiva propria di una particolare diade in evoluzione, in cui
entrambi i membri sono emozionalmente legati.
La Ainsworth ha sviluppato una procedura di valutazione della sicurezza o qualità di
attaccamento tra bambino e madre, la Strange Situation, ancorata alle osservazioni dell’
equilibrio tra il legame e l’ esplorazione nell’ambiente naturale.
Le differenze nella qualità dell’accudimento portano a delle differenze nella qualità
dell’attaccamento, la “disponibilità emozionale” del caregiver e la qualità della comunicazione
emozionale, sono in relazione con la successiva sicurezza del legame. In generale, l’ipotesi
che la qualità dell’attaccamento sia in relazione con la qualità del precedente accudimento è
ampiamente supportata da studi evolutivi.
In ambito educativo Waters e Deane (1985) hanno messo a punto uno strumento parallelo a
quello della Ainsworth per valutare la qualità dell’ attaccamento nella relazione insegnante-
alunno, basato sull’osservazione naturalistica del comportamento dei bambini con i loro
insegnanti nei momenti di separazione e di riunione: l’Attachment Q-Sort. E’ uno strumento
valido anche nella prima infanzia, non solo fino a 18 mesi come quello della Ainsworth, e
contiene una serie di rapporti descrittivi sulle interazioni tra il bambino e il suo adulto-
insegnante preferito. Alcuni rapporti Q-Set valutano direttamente la dimensione
dell’attaccamento, mentre altri descrivono genericamente il comportamento sociale che
ricorre negli scambi tra bambino e insegnante.
Il concetto psicoanalitico di monotropia è oggi messo in discussione, poiché non si ritiene più
che la relazione affettiva fondamentale nei primi anni di vita debba essere necessariamente
unica per far si che si abbia lo sviluppo di una identità stabile. Per motivazioni sociali e
culturali, nelle società occidentali a sviluppo industriale hanno preso corpo delle pratiche di
socializzazione che hanno visto l’intervento di più persone nell’allevamento degli infanti.
Questa nuova situazione è rappresentabile in un modello non più diadico, che prevede la
presenza di una sola persona significativa per il bambino, ma bensì poliadico in cui vi è la
presenza di più figure allevanti che instaurano legami affettivi privilegiati con scarsa
gerarchizzazione degli attaccamenti.
In questo contesto la stessa legge della continuità, per cui “più stabile e predicibile è il
regime, più sicuro tende ad essere l’attaccamento del bambino; più discontinuo e
impredicibile è il regime, più ansioso è il suo attaccamento”, elaborata da Bowlby nel 1973,
deve necessariamente essere modificata in modo da includere diverse persone candidate a
divenire figure di attaccamento. Lo studio circa le dinamiche e lo strutturarsi di legami di
attaccamento all’interno delle istituzioni educative comporta secondo Main e Weston (1981),
la possibilità di poter fare importanti predizioni sul futuro sviluppo socio-emozionale del
bambino e delle sue competenze con i pari.
Uno studio abbastanza recente di van Ijzendoor et al., 1992 si è occupato di aspetti che
riguardano appunto se la relazione che il bambino costruisce nella primissima infanzia
con gli educatori possa essere considerata una relazione di attaccamento. Sono stati
messi a confronto i risultati di due ricerche longitudinali e interculturali condotte su campioni
di bambini , loro educatori e genitori, con caratteristiche simili.
Lo studio è stato condotto su un campione di infanti con età compresa tra gli 11 mesi e i 2
anni, sui loro genitori ed educatori, utilizzando la Strange Situation, l’Attachment Q-Sort, scale
di sviluppo e scale per valutare aspetti nell’abilità di interagire con gli adulti. La ricerca ha
rivelato che già a 2 anni i bambini mostrano di avere stabilito una relazione di attaccamento
con il proprio educatore; il risultato è ritenuto valido poiché il numero di bambini “evitanti”
con gli educatori non superano quello generalmente riscontrato nella relazione con le madri o
con i padri, e inoltre non si è trovato un numero particolarmente alto di bambini “non
classificabili”. Un aspetto degno di nota fa riferimento al fatto che nonostante gli educatori non
fossero sempre i medesimi nei diversi momenti di valutazione, le classificazioni di
attaccamento si sono ripetute in maniera analoga. Questo testimonia che già i bambini
prescolari creano con gli insegnanti legami di attaccamento, e che questi possono essere
multipli, cioè rivolti a più figure di insegnanti.
Sulla base della storia interattiva il bambino si forma delle aspettative circa la responsività del
caregiver e nel tempo, in modo complementare, circa il proprio grado di efficacia nel
sollecitare le risposte. Tali aspettative sono rivelate nell’organizzazione del comportamento
d’attaccamento; i bambini che si aspettano che il caregiver sia responsivo esplorano con
fiducia, segnalano i loro bisogni e rispondono prontamente al caregiver aspettandosi di essere
efficaci.
Nel corso della relazione la realizzazione positiva delle aspettative maturate nei confronti del
caregiver diviene la fiducia che il bambino ripone in quella relazione ed, in fine, la fiducia in se
stessi che guida il soggetto nelle varie esperienze relazionali. Questo sistema di aspettative, e
la loro responsività, circa la figura e il rapporto con l’insegnante, nel tempo si organizzano in
ciò che Bowlby definisce “modelli operativi interni”. Una sorta di modello, appunto, che
l’individuo porta con sé e contiene una serie di regole comportamentali che vengono osservate
nello svolgersi della relazione, formulate sulla base delle esperienze passate o attuali.
Di fatto i modelli operativi interni codificano la storia della relazione e funzionano come
memoria storica della relazione stessa in cui sono presenti le aspettative dei due componenti
relativamente al comportamento dell’altro; un elemento che distingue le relazioni dalle
semplici interazioni è infatti, secondo Hinde (1981), il modo in cui le aspettative o
rappresentazioni entrano in gioco per guidare il comportamento, influenzando futuro e
presente.
Quanto detto non implica però un modello semplice e lineare della causalità. In accordo con
Bowlby il comportamento è sempre il prodotto complesso delle esperienze passate e di
circostanze attuali; egli postula l’esistenza di modelli sia di assimilazione che di
accomodamento ai cambiamenti delle circostanze da parte dei modelli operativi interni. Nelle
situazioni in cui si verificano cambiamenti profondi i modelli operativi interni si modificano per
includere nuove informazioni sul Sé e sull’altro. Tutti gli itinerari di sviluppo hanno dunque un
origine comune ma possono avere esiti profondamente diversi; in letteratura si ritrovano
riscontri empirici sia della continuità che della stabilità dei modelli di attaccamento.
Bowlby postula che i modelli operativi interni siano relativamente aperti al cambiamento
soprattutto nei primi anni di vita in relazione al mutare delle qualità degli scambi con le figure
di accudimento pur non venendo meno il peso della figura materna. Da ciò ne deriva che i
bambini hanno più alte probabilità di formare attaccamenti separati e indipendenti, mentre nel
corso degli anni i modelli cominciano a stabilizzarsi e a gerarchizzarsi fino a divenire più una
caratteristica della personalità che della relazione. Il soggetto adulto, in seguito a diverse
esperienze, si trova a poter utilizzare diversi modelli operativi legati a diversi ruoli che
vengono attivati da particolari condizioni o caratteristiche dell’ altra persona.
Diversi aspetti dei modelli rappresentazionali hanno un importanza cruciale, primo tra questi è
il fatto che questi modelli sono dei sistemi e quindi i sentimenti , le credenze, i ricordi e le
esperienze che li costituiscono, sono stati organizzati in modo tale da poter influenzare anche
i sentimenti associati ad un’altra relazione o l’ interpretazione di nuove esperienze con la
stessa o con un’ altra persona, e inoltre come gia detto sono sistemi aperti, quindi sensibili al
cambiamento.
Nella formazione dei modelli rappresentazionali trovano posto oltre che al sistema di
aspettative che distingue la relazione dalle semplici interazioni, anche piccoli elementi tipici di
quest’ultime. Tra questi il tono della voce dell’adulto, il contatto oculare e vari segnali emotivi;
risulteranno quindi diverse le relazioni con un insegnante che è in grado di porre attenzione o
meno a questi elementi nel contatto con il bambino.
Pianta (1999) sottolinea come per lavorare con gli insegnanti e aiutarli a instaurare relazioni
di vicinanza con i bambini sia centrale considerare le rappresentazioni delle loro relazioni
adulto-bambino, che non si dovranno limitare alle relazioni all’interno della classe ma
considerare anche quelle che gli insegnanti hanno a loro volta avuto da bambini con gli adulti.
Da ricerche condotte su bambini del Nord America sembra che questi si formino dei modelli
operativi interni delle figure degli insegnanti, in base ai quali tendono a interagire e a
relazionarsi con i vari educatori con cui vengono a contatto. I bambini che hanno partecipato
alla ricerca hanno avuto esperienze di preschool in strutture più formalizzate come i child
care, altri in situazioni meno formalizzate come gli home center care o le family day-care
home (nel sistema americano il periodo che segue a quello del prechool è quello del
Kindergarten che si conclude a 5 anni, momento in cui il bambino fa l’ingresso nella scuola
primaria).
I risultati di Howes e Hamilton (1992b) lasciano supporre che il periodo 18-24 mesi sia
particolarmente cruciale per la formazione di un modello di ruolo dell’insegnante come figura
in grado di fornire o non fornire sicurezza del bambino in situazione di child care. La stabilità
della relazione fra il bambino e l’insegnante appare complicata dal fatto che gli insegnanti, nel
periodo e nelle strutture in cui si è svolta la ricerca, cambiano spesso. Quando l’insegnante
non cambia la relazioni rimangono stabili nel tempo, mentre quando cambiano i punteggi di
sicurezza diminuiscono, mostrando instabilità nella relazione insegnante-bambino. Le autrici
della ricerca fanno notare come questa instabilità sia maggiore quando il cambiamento
dell’insegnante avviene appunto tra i 18 e i 24 mesi.
Nella storia scolastica ed evolutiva di un soggetto il passaggio dalla scuola elementare a
quella media costituisce un momento particolare per diversi motivi, la stessa fase iniziale
dell’adolescenza costituisce di per sé un periodo di transizione, nel quale si verificano molti
sviluppi, in diversi campi ed in rapida successione. Vi sono nuove sfide e nuove scoperte,
vulnerabilità e tensione; alcuni adolescenti vivono questa fase tranquillamente e senza
eccessivi problemi, altri incontrano difficoltà.
La preadolescenza è un periodo dai molteplici aspetti, in cui si è impegnati su diversi fronti; si
compie un processo di maturazione biologica, si ha un’ evoluzione nel funzionamento
intellettivo e nel pensiero morale, la relazione con i genitori assume un aspetto diverso e la
vita, tramite lo sviluppo psicosessuale, si arricchisce di nuove dimensioni. Tutte queste forme
di sviluppo non sono indipendenti e influiscono, con tutta la loro complessità, sulle relazioni
della persona con se stessa e con gli altri e vanno integrate nell’ immagine che l’individuo ha
di sé e degli altri con cui interagisce.
Inoltre tutti i nuovi problemi e le nuove realtà si presentano contemporaneamente, e spesso
improvvisamente, prima che un ragazzo o una ragazza siano in possesso degli strumenti
psicologici necessari per poterli affrontare efficacemente. Può accadere cosi che il soggetto
sperimenti un senso di disorientamento e di difficoltà di gestione del cambiamento (Petter
1990). Nonostante i numerosi cambiamenti non si tratta comunque di un periodo di rottura
con il passato, rispetto al quale rimane un grado di continuità, come per tutti i momenti e
processi dello sviluppo umano.
A questo particolare momento, che vive l’individuo, si aggiunge un cambiamento notevole,
quello dell’ingresso in un nuovo ambiente scolastico.
Ad osservatori esterni il panorama della scuola media appare una realtà piuttosto composita,
da una parte vi è un ambiente scolastico più esigente dove l’insegnante conquista sempre più
posizioni di autorità e di leadership, dall’altra l’alunno portatore di nuovi bisogni di crescita, di
affermazione del sé, di conoscenza, di conquista di spazi, autonomia, indipendenza. In questo
contesto gli insegnanti costituiscono, insieme ai genitori, un’altra categoria di quelli che Petter
(1990) definisce “adulti preminenti” nella vita quotidiana di un preadolescente.
In questo complesso e intricato panorama il processo di insegnamento-apprendimento appare
senza dubbio più difficoltoso, anche perché l’ insegnante si sente maggiormente investito,
rispetto a quello delle elementari, del ruolo di “istruttore”. Il suo ruolo appare ora più spostato
verso la trasmissione delle conoscenze rispetto a quello di “accudimento”, e può accadere che
proprio l’ eccessiva preoccupazione per gli aspetti “contenutistici” dell’educazione, portino
l’insegnante a trascurare gli aspetti di relazione che sono invece il medium attraverso cui si
realizza l’ apprendimento (Bombi e Scittarelli 1999).
Studi sull’argomento hanno evidenziato come per alcuni preadolescenti, il passaggio alla
scuola media, corrisponda a declini graduali in diverse aree, tra cui il successo scolastico, lo
sviluppo personale, la motivazione, l’interazione con la famiglia. Relativamente a queste si
assiste di sovente ad un visibile calo della motivazione degli studenti nei confronti della scuola
o di particolari compiti di apprendimento, che dà luogo a distanza di tempo a fenomeni di
dropout, declino nella fiducia nelle proprie abilità intellettuali e nelle percezione di sé e della
propria autoefficacia (Simmons e Blythe 1987; Midgley, Feldaufer, Eccles, 1989b).
Fattori di rischio che contribuiscono alla messa in atto di situazioni come quelle sopraindicate,
sembrano ricondursi all’aumento di disciplina e controllo esercitato dagli insegnanti, degli
standard valutativi, nonchè dalla direzione che le relazioni con gli insegnanti assumono. Gli
alunni percepiscono i rapporti con i loro insegnanti come meno personali e meno positivi
rispetto a quelli avuti alle elementari (Bombi e Scittarelli). Più l’ambiente della scuola si adatta
alle necessità degli adolescenti tanto più questo costituisce un fattore di protezione per
l’individuo; la relazione insegnante-alunno nel periodo della scuola media è stata studiata
proprio in quest’ottica, e soprattutto nei riguardi del problema motivazionale.
La maggior parte degli studi condotti, riguardo il rapporto con gli insegnanti nel momento
della transizione, è da ricondurre al momento di passaggio tra situazioni di child care a
kindergarten. Nello studio di Howes e Hamilton (1992b), emerge che la stabilità della
relazione con l’insegnante, legata alla natura delle esperienze di child-care, è legata al fatto
che l’insegnante non cambi, mentre si complica nel momento in cui avviene il cambiamento,
soprattutto se questo si presenta tra i 18 e i 24 mesi.
Uno dei pochi studi che si rifanno ad ordini di scuola superiori, dalla scuola elementare a
scuola media è il Michigan Study of Adolescent Life Transition (MSALT, Eccles Midgley et al.
1993). E’ uno studio longitudinale condotto su 1500 preadolescenti in cui si è fatto uso di
questionari per valutare come il cambiamento del clima classe agisse nel modificare le
percezioni che insegnanti e studenti avevano, rispettivamente, della propria efficacia e della
propria relazione.
Dai risultati è emerso che gli studenti alla scuola media percepivano un deterioramento della
loro relazione con l’insegnante, la valutavano come meno supportiva rispetto a quella
dell’anno precedente. In questo studio sono state trovate anche correlazioni positive tra il
senso di autoefficacia dell’insegnante di matematica e l’autopercezione dello studente delle
proprie abilità e competenze in tale disciplina. Gli studenti che, al primo anno delle medie si
era trovati a relazionarsi con insegnanti che si percepivano meno efficaci, rispetto a quelli
precedenti, avevano concluso l’anno con percezioni delle loro performance in matematica più
basse; al contrario degli studenti che non avevano sperimentato cambiamenti nell’efficacia
dell’ insegnante. Questo effetto ha avuto un impatto maggiore nei ragazzi con livello di
successo scolastico più basso, questi sono arrivati alla fine dell’ anno scolastico facendo
registrare un drammatico declino della fiducia nelle loro abilità a fronteggiare compiti di
matematica.
L’effetto del supporto come percepito dallo studente prima e dopo il passaggio alla scuola
media, era stato valutato anche in ricerche precedenti. Tra questi uno studio longitudinale di
Midgley et al. (1989b), effettuato su 1301 studenti e i loro insegnanti di matematica, sempre
in relazione al valore che gli adolescenti attribuiscono alla materia in questione, ha confermato
quanto detto prima, ovvero il valore attribuito alla matematica aumenta per gli studenti che
passano da insegnanti che vengono percepiti come meno supportivi a insegnanti percepiti
come più supportivi.
Anche un altro studio (Fekdlauer et al., 1988) che ha considerato la qualità della relazione
insegnante-alunno in rapporto al valore attribuito alla matematica, ha trovato che nel
passaggio alla junior high school gli studenti percepivano gli insegnanti come meno disposti a
fornire supporto rispetto a quelli dell’anno precedente.
Si è visto dunque come il momento della transizione alla scuola media rappresenti un
momento particolare per il preadolescente, questo deve affrontare l’ingresso in un nuovo
ambiente scolastico e venire a contatto con molte figure nuove.
Secondo un’ottica circolare dell’adattamento scolastico si è visto come i risultati alle sfide di
adattamento raggiunti in un primo momento dal bambino diventino le risorse per
l’adattamento futuro. Queste sfide comprendono anche la relazione educativa, che più che
mai in un contesto di cambiamento diventa una risorsa importante per l’adattamento alla
nuova condizione ambientale che il soggetto si trova a dover gestire. Il supporto della
relazione insegnante-alunno è documentato in letteratura soprattutto nella transizione dal
preschool al kindergarten e dal kindergarten alla scuola elementare. L’acquisizione e
l’applicazione delle abilità scolastiche da parte del bambino hanno luogo all’interno di un
contesto sociale, e vengono trasmesse attraverso l’interazione con un esecutore più abile,
inizialmente in un contesto di gioco, e successivamente in contesti sempre più formalizzati e
vincolati man mano che si prosegue nei vari ordini scolastici.
Le interazioni insegnante-alunno, che sono veicolo di trasmissione delle competenze
scolastiche, hanno l’obiettivo di aumentare le abilità del bambino in un certo campo, ma,
nonostante ciò, hanno luogo in un contesto relazionale e sono influenzate dalla qualità delle
relazioni in cui sono incorporate. Così le relazioni classificate come insicure o intrusive sono
parallelamente relazioni in cui la capacità di problem solving è ridotta, l’istruzione impartita è
di scarsa qualità, la comunicazione è poco sincronizzata, il feedback è distorto e poco preciso,
e i bambini vivono frustrazioni e insuccessi. Quindi un bambino che si sente emotivamente
isolato e lontano dal suo insegnante non imparerà dalle interazioni con lui tutto ciò che
apprenderà invece un altro che con l’insegnante ha un rapporto di vicinanza e di affetto.
La capacità di una relazione di agire da meccanismo che favorisce l’acquisizione di
competenze è valida anche nell’ambito del contesto scolastico. Pianta (2001) fa notare
l’importanza che assumono i processi relazionali nell’ambiente della classe come supporto allo
sviluppo delle abilità scolastiche. Saper interpretare gli stimoli e reagire ad essi, fornire un
feedback accurato e ben sincronizzato sulla prestazione, e sostenere il bambino nei periodi di
frustrazione legati al problem solving sono tutti processi che caratterizzano i sistemi adulto-
bambino ben funzionanti. Solo pochi autori hanno considerato alcuni aspetti legati
all’adattamento scolastico ponendosi in una prospettiva di ricerca basata sullo studio della
relazione insegnante-alunno, e per di più quasi tutti gli studi si muovono dalla percezione che
l’insegnante ha della relazione e non da quella dell’alunno.
Sroufe (1983) con ricerche condotte su bambini prescolari, dimostra come elemento
fondamentale, nell’adattamento scolastico, la relazione insegnante-alunno e il suo ruolo nello
sviluppo e nell’educazione del bambino, così come Pederson et al. (1978) sottolineano
l’impatto drammatico, o al contrario positivo, che la relazione insegnante-bambino può avere
nell’alterare il corso dell’adattamento scolastico.
In questo studio gli autori hanno chiesto ad un gruppo di adulti di richiamare alla mente
l’esperienza vissuta con il loro insegnante che consideravano come un “buon insegnante”, con
cui avevano una buona relazione. Lo studio è un tentativo di esaminare retrospettivamente le
caratteristiche e le conseguenze legate all’esperienza con un insegnante capace di esercitare
una forte influenza sui bambini. I soggetti che avevano avuto un insegnante stimolante e
efficace dal punto di vista relazionale, dichiaravano che questo li faceva sentire importanti,
sosteneva la loro indipendenza, li motivava a raggiungere gli obiettivi, e li aiutava a
interpretare e soddisfare le richieste dell’ambiente: li facilitava nella dinamica di adattamento.
Gli allievi di questo insegnante si sono differenziati da quelli seguiti da insegnanti con altre
caratteristiche per percentuali di abbandono scolastico, per rendimento, per le competenze
comportamentali e l’adattamento al mondo degli adulti. Da questo studio emerge la fortissima
influenza esercitata dall’insegnante, paragonabili addirittura a quella esercitata da un
genitore.
Pianta e Stenberg (1992) in uno studio su bambini di kindergarten e sui loro insegnanti, si
rivolgono alla relazione intesa come comprensiva delle interazioni comportamentali e degli
attributi motivazionali, affettivi e cognitivi individuali nel senso indicato da Hinde. Questo
studio utilizza infatti uno strumento per valutare le percezione dell’insegnante sulla sua
relazione con gli studenti, la Student-Teacher Relationship Scale (STRS; Pianta, 1990). E’ uno
strumento che consiste in una misura self-report che deriva da item basati sulla teoria
dell’attaccamento, che valutano i modelli operativi interni dell’insegnante circa la relazione con
l’alunno.
Gli autori hanno utilizzato lo strumento su bambini di kindergarten e sui loro insegnanti,
correlando i dati con misure relative i comportamenti sociali, e le competenze scolastiche dei
bambini. Quest’ultime sono state ottenute con l’utilizzo di scale completate dagli insegnanti
sia del kindergarten che della prima elementare e dalle madri dei soggetti.
Dall’analisi fattoriale è emerso che la relazione insegnante-bambino, così come percepita
dall’insegnante, può essere descritta da due dimensioni: l’esperienza emozionale e il
coinvolgimento, rispettivamente descritte dai fattori “conflitto-rabbia” e “cordialità”, che
corrispondono alle direzioni opposte che l’interesse del bambino può assumere rispetto alla
prima dimensione nei confronti dell’insegnante, e dai fattori di “dipendenza” e “agitazione”.
Questi corrispondono ai livelli di coinvolgimento massimo o nullo nelle interazioni
comunicative con l’ insegnante.
Dall’analisi statistica è emerso che il gruppo funzionale presenta livelli moderati sia di
interesse che di coinvolgimento, i bambini positivamente coinvolti hanno comportamenti verso
gli insegnanti che sono espressione di relazioni sicure. Inoltre è emerso che la relazione
insegnante-bambino agisce come fattore di protezione rispetto a quei bambini che sono a
rischio di precoci fallimenti nella scuola elementare. E’ stato visto infatti, dai risultati della
ricerca, che sulla probabilità di dover ripetere l’anno incidono non solo le capacità del bambino
ma anche il tipo di relazione che questo instaura con l’insegnante.
Pianta in una ricerca abbastanza recente (1994) ha esaminato le percezioni di 24 insegnanti
circa le loro relazioni con 400 alunni. L’autore ha ricavato sei tipi di relazione che si sono
instaurati tra insegnante e alunno: dipendente, positivamente coinvolta, disfunzionale,
mediamente funzionale, rabbiosa, non coinvolta. Le sei dimensioni citate sono determinate
dalla presenza o meno di calore, coinvolgimento, comunicazione, rabbia. I pattern emersi
sono stati associati con il comportamento dei bambini in classe e analizzati in base a come
erano distribuiti nelle classi. Gli indicatori di rischio generali riferiti ai bambini (condizione
socioeconomica, readiness scolastica) erano distribuiti abbastanza equamente nelle classi;
tuttavia le forme relazionali insegnante-alunno erano differenziate, indipendentemente dalle
differenze tra le classi nelle condizioni di rischio dei bambini. Così le relazioni insegnante-
bambino così come quelle con i genitori possono essere caratterizzate e suddivise in gruppi
che sono associati in maniera significativa con importanti risultati ottenuti dai bambini e dagli
insegnanti.
Pianta e collaboratori (1997) hanno evidenziato i collegamenti tra quanto riferito dagli
insegnanti sulle relazioni con i bambini e alcuni risultati nei primi anni della scuola
elementare. In uno studio gli autori hanno mostrato che i resoconti degli insegnanti della
scuola materna circa la sicurezza della loro relazione con i bambini è legata a resoconti circa
le competenze scolastiche di questi nel primo anno delle elementari.
Nella serie di studi descrittivi presentati, Pianta e Stenberg (1992) e Pianta (1994) hanno
dunque mostrato come la relazione insegnante-bambino può essere descritta dalle dimensioni
di conflitto, vicinanza ed eccessiva dipendenza. Queste dimensioni si ritrovano
indipendentemente dall’ età, appartenenza etnica e condizione economica, e sono presenti
dalla scuola materna fino ai primi due anni delle elementari; inoltre sono congruenti con
misure relative al presente e al futuro dell’adattamento e ai tassi di bocciatura (Birch, Ladd
1997; Pianta et al.,1995). Inoltre le variazioni in senso crescente nell’adattamento sono
correlate con la vicinanza all’ insegnante mentre quelle in senso decrescente con il conflitto.
Ed ancora Pianta (et al.,1995) dimostra che le relazioni insegnante–alunno funzionano come
forme di protezione contro il rischio. I bambini a rischio di bocciatura, o di invio a programmi
speciali, che poi non ottengono questi risultati sono quelli che hanno relazioni più intime con i
loro insegnanti, al contrario del carattere conflittuale della relazione di chi viene
effettivamente bocciato o inviato ai programmi speciali.
Van Ijzendoorn et al. (1992) hanno dimostrato che la sicurezza del rapporto tra bambino e
caregiver aggiunge una varianza specifica, oltre a quella data dalla relazione con la madre, nel
predire alcune variabili legate ad aspetti evolutivi e alla readiness scolastica. Bombi e
Scittarelli (1998), fanno notare che vista l’ importanza del rapporto insegnante-alunno
nell’adattamento scolastico, sarebbe doveroso approfondire quelle ricerche che tengono conto
anche della percezione del bambino oltre quella dell’insegnante, e rapportare così i risultati al
contesto dell’adattamento. I pochi studi che hanno considerato questo aspetto, come punto di
partenza, riportano comunque risultati analoghi a quelli basati sulla percezione
dell’insegnante.
Gli studi sovraesposti, che si sono occupati della relazione insegnante-alunno durante la
transizione dalle scuole elementari alle scuole medie, hanno indagato aspetti legati a come la
percezione dell’insegnante cambia in relazione a vari aspetti, quali la motivazione o il senso di
autoefficacia.
Ci sembra opportuno dedicare uno spazio particolare ad uno studio di Howes et al. (1999)
che si presenta come innovativo rispetto a quelli sulla relazione insegnante-alunno. Questo
rispetto agli altri studi si occupa della percezione della relazione insegnante-alunno in un
momento di transizione, quello tra preschool e kindergarten.
L’obiettivo dello studio di Howes et al. (1999) era esaminare la consistenza nella percezione
che i bambini hanno della qualità del rapporto insegnante-alunno nella transizione. Le autrici
erano particolarmente interessate a questo periodo poiché hanno supposto che questa
transizione rappresentasse un cambiamento nella definizione di ruolo dell’ insegnante,
cambiamento dato dal fatto che ai soli compiti di accudimento si aggiungesse quello di
educazione in senso più stretto.
La prospettiva, circa i rapporti insegnante-alunno, a cui si rifanno le autrici in questo studio è
quella della teoria dell’ attaccamento. Quindi sulla base di questa teoria, le autrici si
aspettavano che la qualità della relazioni insegnante-alunno al kindergarten fosse predetta
dalla qualità delle stesse relazioni ma con gli insegnanti precedenti. Queste predizioni erano
supportate da uno studio precedente (Howes e Hamilton, 1992), in cui era stata trovata
continuità nel rapporto tra insegnanti; i rapporti di attaccamento con gli insegnanti erano stati
osservati ogni sei mesi da quando i bambini muovevano i primi passi fino a quando erano
pronti ad entrare al kindergarten. Lo studio in esame estende la ricerca alla transizione
preschool-kindergarten, ha utilizzato i rapporti degli insegnanti circa la loro percezione sulla
qualità del rapporto con i bambini.
Sulla base della teoria dell’ attaccamento le autrici si aspettavano che l’ adattamento sociale
dei bambini prescolari influisse sulla qualità del rapporto con gli insegnanti del periodo
successivo, ipotesi giustificata anche dal collegamento che sussiste tra strutture di
adattamento sociale e strutture di interazione sociale: bambini socialmente più competenti si
relazionano meglio con gli adulti. Gli stessi insegnanti trovano più difficoltoso interagire con
bambini evitanti, che è più probabile che tendano ad isolare o trascurare. Da quanto detto
emerge che la percezione che gli insegnanti hanno del loro rapporto con i bambini , è
collegata con le loro percezioni circa l’ adattamento sociale di questi. In sintesi dunque
l’obiettivo principale dello studio era quello di esaminare la consistenza nella qualità dei
rapporti percepiti tra insegnante e alunno tra preschool e kindergarten.
I bambini partecipanti e i loro insegnanti erano anche i partecipanti al Cost Qualità e Outcome
Study (CQO), uno studio sulla qualità dei child care condotto su quattro stati considerati
rappresentativi: California, Colorado, Connecticut e Nord Carolina. Nella ricerca longitudinale
di Howes et al., qui in esame, 357 bambini hanno avuto dati completi dal primo anno di
preschool fino all’ ingresso al kindergarten, mentre 793 hanno avuto almeno un anno di dati.
Le misure utilizzate sono state le seguenti:
Qualità del rapporto insegnante-alunno: le percezioni degli insegnanti circa il loro rapporto con i bambini, valutate con la STRS che consiste dei punteggi di prossimità, conflittualità e
dipendenza. Adattamento sociale dei bambini: percezione degli insegnanti attraverso il CBI che comprende
punteggi di comportamento positivo, socievolezza e comportamenti problematici. Qualità prescolare: attraverso l’utilizzo delle seguenti scale: ECERS, valuta la qualità giornaliera di attenzione dedicata a bambino. CIS, valuta l’interazione del caregiver attraverso tre punteggi: sensibilità, durezza,
distaccamento. AIS, da cui si è ricavato un punteggio circa la percentuale di coinvolgimento sensibile
dell’insegnante.
Dalle tre scale si è ricavato un unico punteggio, attraverso il metodo delle componenti principali, che potesse rappresentare la qualità dell’interazione in aula.
Dai risultati è emerso che, coerentemente con le ipotesi, le percezioni della qualità di rapporto insegnante-alunno sono risultate costanti sia all’ interno del preschool che nella transizione al kindergarten. Questo vuol dire che i bambini entrano al kindergarten con un modello rappresentazionale dei rapporti con gli insegnanti, che fa si che la percezione e l’effettivo rapporto con questi rimanga coerente nonostante le differenze di ruolo dell’ insegnante stesso e nonostante la scarsissima comunicazione tra i due ordini di scuola. Sembra inoltre che dal punto di vista dell’insegnante, il fatto che i bambini provenissero da una struttura di child care piuttosto che da un’ altra, o non avessero frequentato tali strutture e venissero quindi dal contesto familiare, non influenzava la percezione degli insegnanti (anche bambini che non avevano frequentato child care, ma avevano avuto con le madri una modalità relazionale sicura non mostravano difficoltà a relazionarsi con gli insegnanti). La coerenza dei rapporti con gli insegnanti tra i due ordini di scuola è provata dal fatto che i bambini percepiti come più socievoli in preschool sono stati percepiti come altrettanto aperti alla relazione dagli insegnanti del kindergarten.
Il breve excursus presentato attraverso gli studi riportati, non fa che avvalorare ulteriormente la prospettiva della relazione insegnante-alunno come fondamentale nel processo di apprendimento e in generale di adattamento scolastico. Come fa notare Hunt, parlare di adattamento persona-ambiente nella scuola vuol dire riferirsi alla caratteristiche personali dello studente come “caratteristiche che siano direttamente traslabili nelle forme specifiche dell’ambiente educativo in modo da essere verosimilmente efficaci per l’ apprendimento o lo sviluppo della persona”.
Perché questo si realizzi sono indispensabili le capacità dell’ insegnante di organizzare le attività di apprendimento e di interagire in modo da soddisfare i bisogni dell’ allievo. Siamo, dunque di fronte ad una prospettiva relazionale che viene considerata di base perché si possa realizzare l’ apprendimento, infatti anche se dagli studi presentati, visti i disegni di ricerca, non si può parlare di nessi causali, si può parlare però di influenza che gli scambi interattivi tra insegnanti e allievi agiscono in modo reciproco sul senso del sé in relazione alle performance scolastiche e al più generale adattamento in questo contesto.
Vista dunque l’influenza che l’attaccamento tra insegnante e alunno ha nell’ adattamento scolastico sarebbe interessante verificare se, anche nel contesto delle scuole italiane (tutte la ricerche sono state condotte nei contesti scolastici americani) e in particolare nel passaggio tra la scuola elementare e quella media (per i motivi esposti che delineano questo momento come particolarmente delicato), questo tipo di relazione funge da fattore di protezione come già verificato in ricerche effettuate in transizioni tra contesti scolastici americani di ordine inferiore.
Questo tipo di verifica potrebbe sviluppare, a mio avviso, anche un interessante contributo dell’attività dello “psicologo scolastico” al fine di monitorare questo tipo di relazione e di
intervenire in situazioni considerate a rischio, viste le implicazioni che l’abbandono scolastico (che scaturisce anche da situazioni di cattivo adattamento al contesto scolastico) ha su scelte e “strade” che l’adolescente tende ad intraprendere.
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