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5 Retina e visione: elogio dell’ imperfezione Seconda parte: Imperfezioni ottiche, campionamento e “aliasing” ANDREA MORIONDO E MARCO PICCOLINO Nella prima parte del nostro articolo abbiamo preso in considerazione l’organizzazione morfologica e fun- zionale della retina (e del sistema visivo nel suo complesso), e ci siamo soffermati in particolare a discutere il significato delle connessioni che esistono a vari livelli tra i neuroni visivi vicini [Piccolino e Moriondo, 2002]. Abbiamo mostrato come queste connessioni, luogo di interazioni “ laterali” tra i canali di codificazione e trasmissione dell’ informazione visi- va, lungi dal degradare l’ immagine neurale del mondo esterno, giocano un ruolo fondamentale nei processi attraverso cui il sistema visivo estrae l’ informazione ambientale di maggiore rilievo per l’ adattamento e la sopravvivenza dell’ individuo e della specie. Abbiamo concluso mettendo in evidenza come quella che per lungo tempo era sembrata un’ evidente imperfezione del disegno neurale del sistema visivo, di cui era difficile comprendere il significato nell’ ambito di una concezione basata sulla “metafora” dell’ immagine, è invece espressione di un’organizzazione funzionale particolarmente efficace e adatta alle necessità degli organismi viventi. V’ è un altro tipo di imperfezione a cui abbiamo già accennato, e che vorremmo ora discutere, quella che dipende dalla qualità apparentemente “scadente” del sistema ottico dell’occhio, imperfezione che si traduce in una qualità relativamente mediocre dell’ immagine “fisica” che si forma sulla retina. In effetti, nel confronto con sistemi ottici più sofisticati costruiti dall’uomo, come ad esempio quelli che sono alla base di microscopi e telescopi ottici ad elevate prestazioni, l’occhio apparirebbe a prima vista come progettato da un ingegnere abbastanza rozzo, e costruito con materiali tutto sommato scadenti, inadatti alla formazione di un’ immagine nitida e senza distorsioni. Senza entrare troppo nei dettagli, possiamo elencare alcuni di questi difetti dell’ottica visiva, che sono stati riconosciuti già a partire dall’Ottocento, in un’ epoca in cui, come sottolineava Helmholtz, ci si aspettava che l’occhio fosse, anche per il suo disegno fisico, un apparato di gran lunga più perfetto degli strumenti costruiti dall’uomo [Helmholtz, 1865-1876 e 1867]. In primo luogo le curvature delle superfici della cornea e del cristallino non sono state corrette per evitare le cosiddette “aberrazioni di sfericità” , aberrazioni che tendono a verificarsi soprattutto per i raggi luminosi non “parassiali” , cioè per quei raggi che entrano con angolo relativamente grande rispetto all’ asse ottico. Questo provoca anomalie che sono particolarmente severe per immagini di oggetti grandi e/o situati alla periferia del campo visivo. In secondo luogo il sistema ottico dell’occhio presenta notevoli “aberrazioni cromatiche” . Questo tipo di imperfezioni sono una conseguenza diretta delle leggi fondamentali della rifrazione, leggi che stabiliscono che, a parità di angolo di incidenza, l’ angolo di rifrazio- ne di un raggio luminoso è più piccolo per luci a grande lunghezza d’onda e, viceversa, più grande per luci a lunghezza d’onda corta. Le aberrazioni cromatiche sono la causa di un fenomeno di cui può capitare di fare esperienza nella vita quotidiana, in particolare nei giorni di bel tempo, quando ci accada di osservare i raggi del sole che attraversano una bottiglia o un coccio di vetro. La luce solare, che entrando sulla superficie del vetro appare bianco-gialla (a seconda dell’ora del giorno), si separa, dopo il passaggio attraverso il vetro, in riverberi di vario colore. Se “colpiti dalla curiosità del fenomeno” (per usare un’ espressione che troviamo a volte negli scritti degli scienziati), ci soffermassimo a manipolare in vario modo gli oggetti di questa casuale osservazione (oppure se facessimo lo sforzo di ricor- dare le leggi della rifrazione che di solito si imparano - e si insegnano - nella scuola superiore), allora potrem- mo notare che i raggi azzurro-verdi tendono a conver- gere più vicino al vetro, mentre l’ immagine del disco solare corrispondente ai raggi rossi si forma più lonta- no. Nel caso dell’occhio, a causa delle aberrazioni cromatiche, accade che l’ immagine retinica corrispon- dente alle componenti azzurre della luce solare si formi “davanti” alla retina (cioè verso l’umor vitreo, la sostanza gelatinosa che riempie la cavità oculare) quando, come di solito avviene, il sistema ottico mette a fuoco sulla retina i raggi luminosi di colore giallo- arancio. Per dare un’ idea quantitativa delle aberrazioni cromatiche, possiamo dire che un individuo normale dal punto di vista ottico (cioè “emmetrope”), sarebbe “miope” di circa una diottria per la luce blu allorché mette a fuoco le lunghezze d’onda più grandi.

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Retina e visione: elogiodell’imperfezioneSeconda parte: Imperfezioni ottiche, campionamento e“aliasing”

ANDREA MORIONDO E MARCO PICCOLINO

Nella prima parte del nostro articolo abbiamo preso inconsiderazione l’organizzazione morfologica e fun-zionale della retina (e del sistema visivo nel suocomplesso), e ci siamo soffermati in particolare adiscutere il significato delle connessioni che esistono avari livelli tra i neuroni visivi vicini [Piccolino eMoriondo, 2002]. Abbiamo mostrato come questeconnessioni, luogo di interazioni “laterali” tra i canalidi codificazione e trasmissione dell’informazione visi-va, lungi dal degradare l’immagine neurale del mondoesterno, giocano un ruolo fondamentale nei processiattraverso cui il sistema visivo estrae l’informazioneambientale di maggiore rilievo per l’adattamento e lasopravvivenza dell’individuo e della specie. Abbiamoconcluso mettendo in evidenza come quella che perlungo tempo era sembrata un’evidente imperfezionedel disegno neurale del sistema visivo, di cui eradifficile comprendere il significato nell’ambito di unaconcezione basata sulla “metafora” dell’immagine, èinvece espressione di un’organizzazione funzionaleparticolarmente efficace e adatta alle necessità degliorganismi viventi.V’è un altro tipo di imperfezione a cui abbiamo giàaccennato, e che vorremmo ora discutere, quella chedipende dalla qualità apparentemente “scadente” delsistema ottico dell’occhio, imperfezione che si traducein una qualità relativamente mediocre dell’immagine“fisica” che si forma sulla retina.In effetti, nel confronto con sistemi ottici più sofisticaticostruiti dall’uomo, come ad esempio quelli che sonoalla base di microscopi e telescopi ottici ad elevateprestazioni, l’occhio apparirebbe a prima vista comeprogettato da un ingegnere abbastanza rozzo, e costruitocon materiali tutto sommato scadenti, inadatti allaformazione di un’immagine nitida e senza distorsioni.Senza entrare troppo nei dettagli, possiamo elencarealcuni di questi difetti dell’ottica visiva, che sono statiriconosciuti già a partire dall’Ottocento, in un’epoca incui, come sottolineava Helmholtz, ci si aspettava chel’occhio fosse, anche per il suo disegno fisico, unapparato di gran lunga più perfetto degli strumenticostruiti dall’uomo [Helmholtz, 1865-1876 e 1867].In primo luogo le curvature delle superfici della corneae del cristallino non sono state corrette per evitare le

cosiddette “aberrazioni di sfericità”, aberrazioni chetendono a verificarsi soprattutto per i raggi luminosinon “parassiali”, cioè per quei raggi che entrano conangolo relativamente grande rispetto all’asse ottico.Questo provoca anomalie che sono particolarmentesevere per immagini di oggetti grandi e/o situati allaperiferia del campo visivo.In secondo luogo il sistema ottico dell’occhio presentanotevoli “aberrazioni cromatiche”. Questo tipo diimperfezioni sono una conseguenza diretta delle leggifondamentali della rifrazione, leggi che stabilisconoche, a parità di angolo di incidenza, l’angolo di rifrazio-ne di un raggio luminoso è più piccolo per luci a grandelunghezza d’onda e, viceversa, più grande per luci alunghezza d’onda corta. Le aberrazioni cromatichesono la causa di un fenomeno di cui può capitare di fareesperienza nella vita quotidiana, in particolare neigiorni di bel tempo, quando ci accada di osservare iraggi del sole che attraversano una bottiglia o un cocciodi vetro. La luce solare, che entrando sulla superficiedel vetro appare bianco-gialla (a seconda dell’ora delgiorno), si separa, dopo il passaggio attraverso il vetro,in riverberi di vario colore. Se “colpiti dalla curiositàdel fenomeno” (per usare un’espressione che troviamoa volte negli scritti degli scienziati), ci soffermassimo amanipolare in vario modo gli oggetti di questa casualeosservazione (oppure se facessimo lo sforzo di ricor-dare le leggi della rifrazione che di solito si imparano- e si insegnano - nella scuola superiore), allora potrem-mo notare che i raggi azzurro-verdi tendono a conver-gere più vicino al vetro, mentre l’immagine del discosolare corrispondente ai raggi rossi si forma più lonta-no. Nel caso dell’occhio, a causa delle aberrazionicromatiche, accade che l’immagine retinica corrispon-dente alle componenti azzurre della luce solare si formi“davanti” alla retina (cioè verso l’umor vitreo, lasostanza gelatinosa che riempie la cavità oculare)quando, come di solito avviene, il sistema ottico mettea fuoco sulla retina i raggi luminosi di colore giallo-arancio. Per dare un’idea quantitativa delle aberrazionicromatiche, possiamo dire che un individuo normaledal punto di vista ottico (cioè “emmetrope”), sarebbe“miope” di circa una diottria per la luce blu allorchémette a fuoco le lunghezze d’onda più grandi.

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A partire dall’Ottocento l’uomo ha appreso comecorreggere negli strumenti ottici le aberrazioni croma-tiche. Una possibilità è quella di costruire lenti “com-poste” utilizzando materiali con indici di rifrazionediversi (come accade per esempio nella costruzione deicosiddetti “doppietti ottici”) . Ma l’ “architetto” che hadisegnato il nostro occhio sembra non aver preso inconsiderazione questo accorgimento, e il nostro mecca-nismo visivo non risulta essere corretto neppure perquesto tipo di aberrazioni, a differenza di quantoaccade per i buoni microscopi e i buoni telescopi, oanche semplicemente per le buone macchine fotogra-fiche. A proposito di telescopi, è forse interessanteosservare qui come Newton, il primo a dimostrare, conuno di quegli esperimenti che meritano, come si dice,“di far epoca negli annali della scienza”, che la lucebianca del sole è in realtà composta da molte lucicolorate, riuscì a risolvere il problema delle aberrazioniottiche nei telescopi. Non sapendo come affrontaredirettamente il problema del differente indice di rifra-zione corrispondente alle diverse componenti dellospettro solare, il grande scienziato inglese ricorseall’artificio di costruire il telescopio utilizzando spec-chi riflettenti invece che vetri trasparenti. Con glispecchi infatti il problema non si pone perché l’angolodi riflessione non varia al variare della lunghezzad’onda della luce.L’accenno ai vetri trasparenti ci porta a considerare unaltro aspetto della qualità relativamente scadente del-l’ottica dell’occhio. I materiali che la luce deve attraver-sare per andare a formare l’immagine sulla retina nonsono perfettamente trasparenti, e questo dipende so-prattutto dalla presenza di piccole disomogeneità alloro interno. Di questo ci si può rendere conto guar-dando l’azzurro del cielo o una superficie uniforme-mente chiara, perché allora ci capita di vedere diversicorpuscoli che si muovono al muoversi del nostrosguardo. La non perfetta trasparenza dei mezzi diottri-ci dell’occhio dipende almeno in parte dai processi chehanno portato alla loro formazione (per esempio alcu-ni degli elementi che creano disomogeneità nell’umorvitreo sono il residuo di vasi sanguigni che si sonoatrofizzati nel corso dello sviluppo embrionale). An-che la struttura fibrillare del cristallino, dovuta alladisposizione ordinata di elementi cellulari e di matriceextracellulare, contribuisce a questo tipo di aberrazio-ne ed è in parte responsabile dell’aspetto sfrangiato “astella” col quale ci appaiono molti corpi celesti tra cui,appunto, le stelle.La “imperfetta” trasparenza dei mezzi ottici dell’oc-chio rappresenta una condizione fisiologica, ma ilfenomeno può assumere carattere patologico. L’esem-pio più comune in cui questo accade è la cataratta, unadiminuzione della trasparenza del cristallino (partico-larmente accentuata nella banda blu-verde dello spet-

tro), che può arrivare a compromettere in modo seriola capacità visiva (nella cataratta il cristallino assumeuna tinta giallastra). La cataratta tende a compariresoprattutto nell’età avanzata, e vi sono soggette inmodo particolare le persone che si espongono eccessi-vamente alla luce solare intensa o ad altre radiazioniluminose. A questo proposito ricordiamo qui come nefosse affetto il grande pittore francese Claude Monet(autore, nel 1873, di “Impression soleil levant” il quadroche diede il nome alla pittura impressionissta): Monetamava passare molto tempo a dipingere all’aperto (“enplein air”) e quindi fu particolarmente esposto aglieffetti negativi dell’eccessiva irradiazione solare. Siritiene che nell’età avanzata la sua pittura, ed in parti-colare i toni cromatici delle sue composizioni, risentis-sero in modo importante delle modificazioni percetti-ve dovute allo sviluppo di una cataratta molto severa(che arrivò a renderlo quasi cieco obbligandolo infinea sottoporsi, nel 1923, ad un intervento chirurgico).Tra i dipinti di Monet in cui è sembrato di poter notarein modo particolarmente evidente questa relazione tracaratteristiche della pittura e sviluppo delle alterazionipercettive riconducibili alla cataratta vi sono i quadri agrande formato della serie “Ninfee” che l’artista dipin-se in varie occasioni a partire dal 1900 fino alla suamorte nel 1926.Un’altra causa di imperfezione dell’immagine retinicaè rappresentata dai processi di diffrazione che si veri-ficano in modo particolare al passaggio della luceattraverso il foro pupillare, e sono la conseguenza dellanatura ondulatoria della luce. Nell’ottica “geometrica”si trascura di solito il fatto che la luce si propaga sottoforma di oscillazioni di lunghezza d’onda variabile tra400 e 700 nanometri (un nanometro corrisponde ad unmiliardesimo di metro, e luci con bassa lunghezzad’onda appaiono in circostanze normali come violetto-azzurre, mentre le luci a grande lunghezza d’ondaappaiono rosse). Queste oscillazioni non si propaganoin modo rigorosamente rettilineo come fanno i raggigeometrici con i quali di solito si illustra il camminodella luce nei diagrammi ottici. Nel calcolare le imma-gini in un sistema ottico, le predizioni che risultanodall’ottica geometrica sono di solito abbastanza precisetranne nei casi in cui la luce debba passare per forimolto ristretti o incontri oggetti molto piccoli (perinciso è conseguenza di processi di diffrazione laragione del fatto per cui un microscopio ottico non puòrisolvere immagini di oggetti di dimensioni inferiori acirca 200 nanometri).Per quanto riguarda l’occhio, la diffrazione diventa viavia più importante come causa di imperfezione otticaa misura che il foro pupillare si restringe. I suoi effettisi fanno più evidenti quando l’illuminazione ambien-tale diviene più intensa, perché, per azione del riflessopupillare, il diametro della pupilla si riduce allorché

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l’intensità della luce aumenta. A questo propositonotiamo che per quanto riguarda la dipendenza daldiametro pupillare, le aberrazioni dovute ai processi didiffrazione dipendono da questo parametro in manieraopposta rispetto alle aberrazioni cromatiche e di sferi-cità. Queste ultime infatti diventano più importantiquando il foro pupillare si allarga (questo avviene incondizioni di bassa illuminazione ambientale).Tra le cause delle imperfezioni fisiche potremmoanche considerare qui i movimenti degli occhi e inparticolare quei piccoli movimenti involontari a cuiabbiamo fatto cenno nella prima parte di questo artico-lo (“micronistagmo”). A seguito di questi movimenti,che hanno, come abbiamo detto, una frequenza di circa80 oscillazioni al secondo, avviene che l’immagineretinica non sia mai perfettamente immobile nell’ambi-to temporale necessario ai fotorecettori per generare larisposta alla luce (tempo che è di circa 20 millisecondiquando la luce è forte, ma può superare i 200 millise-condi a basse intensità luminose). Se da una parte ilmicronistagmo contribuisce ad impedire la perdita divisibilità che si verificherebbe per immagini retinicheperfettamente stazionarie, d’altra parte esso può altera-re la qualità delle immagini neurali a livello dei fotore-cettori. E’ facile renderci conto del perché questo possaavvenire; basti pensare a cosa succederebbe se, nel fareuna foto utilizzando un tempo di esposizione relativa-mente lungo (da 1/60 di secondo in su), facessimotremolare la mano con la quale manteniamo l’apparec-chio fotografico.Questa breve analisi delle imperfezioni ottiche dell’oc-chio potrebbe lasciarci interdetti, convinti, come spes-so siamo, del fatto che l’evoluzione (o, se volete,l’Architetto supremo), di solito fa le cose abbastanza concura, e certo non si scoraggerebbe, se lo volesse,dinanzi al compito di trovare accorgimenti per supera-re le difficoltà fisiche che gli organismi si trovano adaffrontare nel loro rapporto con l’ambiente. Cosa direpoi dell’occhio, e più in generale del sistema visivo, cherappresenta forse l’apparato sensoriale in cui il sistemanervoso dei primati, e dell’uomo in particolare, sembraaver investito la maggior quantità di risorse (si pensi inproposito che circa una metà del nostro cervello ricevein modo diretto o indiretto input visivi).Gli studi moderni, fondati sul concetto di informazio-ne e basati sull’uso di reticoli spaziali sinusoidali per lostudio della performance visiva (si veda il nostroprecedente articolo), permettono di gettare una lucenuova anche su questi aspetti del sistema visivo,rivelando, al di là delle apparenti imperfezioni, lastraordinaria perfezione del disegno globale dell’oc-chio.Cercheremo ora di capire come sia possibile cheun’ottica “scadente” possa paradossalmente risolversiin una performance più efficace del sistema visivo. A

questo scopo dovremo considerare alcuni aspetti dellascienza dell’informazione, anche se lo faremo senzaentrare troppo in dettagli tecnici.Un teorema fondamentale della teoria della comunica-zione dice che per codificare in modo adeguato un’on-da sinusoidale, avendo a disposizione un sistemaformato da elementi di campionamento discreti (cioèun sistema digitale), è necessario disporre di almenodue elementi di codificazione (o campionamento) perogni ciclo della sinusoide. Se applichiamo questoteorema alle immagini retiniche, allora dobbiamo tene-re conto che nella fovea, la zona centrale della retina,quella che ci permette la massima capacità di risoluzio-ne spaziale, vi sono in media due fotorecettori (coni)per ogni cinque micron di segmento retinico (unmicron corrisponde, come sappiamo, ad un millesimodi millimetro). Questo significa che i coni della retinanon potrebbero codificare accuratamente immaginisinusoidali con periodo spaziale (a livello retinico)inferiore a circa cinque micron. Traducendo questedimensioni da grandezze retiniche in grandezze dellospazio visivo possiamo dire che, se come negli esempifinora considerati, l’osservatore si ponesse a circa 60centimetri di distanza da uno schermo, i coni nonpotrebbero codificare in modo appropriato sinusoidispaziali il cui periodo (o larghezza di banda) fosse,sullo schermo, inferiore a circa un sessantesimo dicentimetro.Se nell’immagine visiva esistessero sinusoidi a bandapiù stretta, si potrebbe verificare un errore di “sotto-campionamento”, indicato come “aliasing”, in grado dicompromettere in modo importante la capacità visiva,perché farebbe apparire immagini senza corrispettivoreale (nella scena visiva) in grado di disturbare lafunzione percettiva. Come discuteremo in dettaglio frapoco, sinusoidi spaziali a bande molto strette sono ineffetti presenti nelle immagini esterne del nostro mon-do visivo quando ci troviamo dinanzi a oggetti odisegni dai contorni nitidi, e quindi esiste, almeno inlinea di principio, la possibilità d’insorgenza di feno-meni di aliasing. Se sinusoidi spaziali a banda moltostretta fossero presenti anche nelle immagini retini-che allora, per effetto dell’aliasing, la percezionevisiva apparirebbe fortemente disturbata dalla com-parsa di effetti di scintillazione molto fastidiosi.Fortunatamente però questa condizione non si veri-fica di fatto nella vita ordinaria perché il sistemavisivo ha messo a punto efficaci accorgimenti percontrastare gli effetti del sottocampionamento. Que-sti accorgimenti sfruttano, come ora discuteremo, leapparenti imperfezioni dell’occhio, eliminando dalleimmagini retiniche i dettagli più fini e le sinusoidispaziali più fitte, cioè quegli aspetti dell’immagineche non possono essere adeguatamente campionatidal mosaico dei fotorecettori.

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Fig. 1. Ritratto di Hermann von Helmholtz. In A il ritratto è stato acquisito con uno scanner utilizzando una risoluzioneelevata (600 dpi) mentre in B la risoluzione utilizzata è stata di soli 100 dpi. Il reticolato a chiazze chiare e scure che apparein A è dovuto all’aliasing, conseguente al sottocampionamento dell’immagine che si è verificato in queste circostanze.

In condizioni sperimentali è possibile produrre alia-sing spaziale nella percezione visiva utilizzando meto-diche che permettono di generare sinusoidi spaziali abanda molto stretta, aggirando in qualche modo alcunedelle limitazioni ottiche dell’occhio [Campbell e Gre-en, 1965]. Queste metodiche sono basate su tecnichesofisticate ed anche potenzialmente pericolose (utiliz-zano l’interferenza di raggi laser) e non si prestanoquindi per una dimostrane facile, che possa essereeventualmente utilizzata anche a scopo didattico. E’possibile però dare un’idea delle condizioni in cui siproduce l’aliasing spaziale facendo ricorso ad esempiche ci vengono posti, si potrebbe dire, “sotto gli occhi”dall’uso ormai tanto frequente dello schermo del com-puter per la visualizzazione di immagini.Può capitare a volte di imbattersi in uno strano feno-meno quando si tenta di visualizzare sullo schermo diun computer un’immagine ad alta definizione (peresempio un’immagine che abbiamo acquisito con unoscanner utilizzando una risoluzione molto alta, 600 o1200 punti per pollice o, come si dice, dpi – cioè dotsper inch). In queste circostanze può accadere infatti ditrovarci inaspettatamente dinanzi un’immagine pesan-temente alterata dalla presenza di chiazze chiare oscure (o variamente colorate se l’immagine originaria èa colori) disposte secondo un reticolo bidimensionale.Nella figura 1 A questo tipo di aliasing appare nellavisualizzazione di un ritratto di Hermann von Hel-mholtz, il grande scienziato tedesco che affrontò neisuoi classici studi di ottica fisiologica anche le proble-matiche relative ai limiti della risoluzione spaziale nelle

immagini retiniche [Helmholtz, 1867]. Il fenomenorappresenta un caso di aliasing dovuto alla risoluzionerelativamente bassa dei comuni schermi dei computer(di solito 75 dpi) rispetto alla risoluzione dell’immagi-ne da visualizzare. Le chiazze non appaiono infatti sele immagini vengono acquisite a risoluzione relativa-mente bassa (e sono quindi prive di dettagli spazialitroppo fini, vedi Fig. 1 B) o se si usano schermi adefinizione molto alta. Esse non appaiono di solitoneppure nelle immagini stampate, perché le stampantiche noi usiamo normalmente hanno risoluzioni moltopiù elevate degli schermi (600 dpi ed oltre).Dunque, in sistemi di visualizzazione basati su uncampionamento di tipo digitale, vi è il rischio di pesantidistorsioni quando nell’immagine vi siano dettaglispaziali troppo fini e tali da eccedere il limite dicampionamento del sistema. Questo limite, come ab-biamo accennato sopra, è quello per cui devono esservialmeno due punti di campionamento per ogni ciclodelle sinusoidi spaziali a banda più stretta (o a frequen-za più elevata) presenti nell’immagine (limite di Nyquist).Dal momento che, come abbiamo accennato sopra emeglio discuteremo in seguito, nelle immagini esternedel nostro mondo visivo vi possono essere sinusoidi abanda spaziale molto stretta, è necessario far ricorso adaccorgimenti tali da evitare il rischio di aliasing. Ariguardo conviene considerare innanzitutto le strategieutilizzate dagli ingegneri delle comunicazioni che sitrovano spesso ad affrontare il fenomeno dell’aliasingnei sistemi di trasmissione digitale di segnali, per ilnumero necessariamente finito dei punti di campiona-

A) B)

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mento disponibili nelle linee di trasmissione. Di solitol’aliasing viene evitato facendo ricorso a opportunifiltri in grado di eliminare le componenti dei segnali afrequenza troppo elevata, che supererebbero il limitedi Nyquist del sistema. Il buon ingegnere calcola conaccuratezza il tipo di filtri da utilizzare. Se infatti ilfiltro non riuscisse ad eliminare efficacemente le sinu-soidi a frequenza alta, allora l’aliasing sarebbe attenua-to ma non eliminato del tutto. Se invece il filtroeliminasse, oltre alle sinusoidi “disturbanti”, ancheuna parte delle sinusoidi a frequenza bassa (tali dapoter essere codificate e trasmesse in modo efficacedal sistema disponibile), allora si avrebbe un’inutileperdita di informazione ed una conseguente degrada-zione della qualità del messaggio trasmesso.Se ad un ingegnere esperto nella trasmissione di imma-gini digitali chiedessimo di suggerirci un modo perevitare l’aliasing nella retina, quasi certamente egli,dopo aver esaminato il problema, ci suggerirebbe dieliminare dall’immagine retinica tutte le sinusoidi spa-ziali con larghezza di banda uguale o inferiore a 5micron a livello del fondo dell’occhio (che nello spaziovisivo corrispondono, come abbiamo già osservato, asinusoidi di larghezza di banda di circa 1/60 di centi-metro se osservate dalla distanza di 60 centimetri). Uningegnere moderno penserebbe forse che il modomigliore per far questo sarebbe applicare all’immagineun algoritmo opportuno (di quelli magari facilmenteimplementabili nei sistemi elettronici) in grado dieliminare le sinusoidi spaziali a frequenza troppoelevata (magari dopo aver trasformato l’immagineottica in immagine elettronica in modo da renderlaadatta al filtraggio digitale).Un ingegnere meno moderno, e più saggio forse,cercherebbe di ottenere lo stesso effetto in un modopiù semplice ed economico, utilizzando le risorse e gliaccorgimenti facilmente disponibili in un ambiente(quello dell’occhio, dei suoi mezzi ottici, dei suoiumori acqueo e vitreo, delle sue cellule nervose) chenon sembra prestarsi tanto immediatamente alle mani-polazioni dei dati rese possibili della moderna elettro-nica digitale. Questo ingegnere “saggio” ci suggerireb-be molto probabilmente di rendere l’ottica dell’occhiogiusto un poco imperfetta in modo tale da eliminaredall’immagine retinica le sinusoidi troppo fitte (chenon potrebbero essere codificate efficacemente daifotorecettori per il loro numero necessariamente limi-tato), lasciando invece le sinusoidi a banda più largache, come vedremo, sono più ricche di informazionerilevante per la nostra sopravvivenza in circostanzeordinarie (un’ottica imperfetta degrada infatti più gros-solanamente le sinusoidi a banda stretta che quelle abanda larga). Quello che il saggio ingegnere proporreb-be è proprio ciò che avviene nel nostro occhio inconseguenza di quella qualità apparentemente “sca-

dente” dell’apparato ottico sulla quale ci siamo a lungosoffermati. L’imperfezione sembra in effetti calcolata,come vedremo, per eliminare dall’immagine otticaquelle componenti sinusoidali in grado di provocare ilfenomeno dell’aliasing (cioè le sinusoidi la cui larghez-za di banda è inferiore a circa 5 micron sulla retina,responsabili dei dettagli estremamente fini dell’imma-gine), ma non le sinusoidi con banda medio-larga. Inquesto modo la nostra visione di oggetti a contornimolto nitidi o di pattern a elementi molto fitti nonviene disturbata dall’aliasing, senza che per questo siabbia una perdita significativa di informazione spazia-le rilevante.Per approfondire la discussione su questo argomentobisogna considerare ora le ragioni per cui sinusoidispaziali a banda molto stretta possono essere presentinel nostro mondo visivo, in particolare, come abbiamodetto, in immagini che contengono contorni moltodefiniti dovuti a variazioni molto brusche di luminosi-tà e/o di colore. Sebbene la cosa possa sembraretutt’altro che intuitiva (le immagini della vita reale nonsembrano presentare quelle caratteristiche di periodi-cità spaziale che caratterizzano le sinusoidi a bandastretta - o larga - che siano), è possibile dimostrare inmodo rigoroso la presenza di sinusoidi nel nostromondo visivo abituale - ed in particolare di sinusoidi abanda stretta nelle immagini a contorni nitidi. Pren-dendo l’espressione da Alessandro Volta, che nel 1792riteneva di poter spiegare in modo semplice alcunesorprendenti osservazioni di Luigi Galvani, ci sforze-remo ora di mostrare “come mai questo possa accadere d’onde”. A questo scopo faremo ricorso all’analisi diFourier.Il teorema di Fourier, su cui questa analisi è basata,rappresenta uno degli strumenti matematico-concet-tuali più importanti ed efficaci di tutta la scienzaoccidentale. Lo dobbiamo all’ingegno del barone JeanBaptiste Fourier, scienziato dell’epoca napoleonica,uno dei savants che presero parte alla spedizione inEgitto e, come tanti altri scienziati di quell’epocaaffascinante e turbinosa, furono impegnati nelle vicen-de politiche e amministrative del loro tempo. Tra l’altroFourier fu anche nominato prefetto da Napoleone, ma,pur assolvendo ai suoi incarichi politico-istituzionali,riuscì a trovare il tempo (e a mantenere la passioneintellettuale) per sviluppare geniali elaborazioni mate-matiche. Egli elaborò il teorema che porta il suo nomeall’inizio dell’Ottocento per spiegare i fenomeni dipropagazione del calore. Negli ultimi due secoli l’ana-lisi spettrale derivata dagli sviluppi del teorema diFourier è stata applicata in un numero estremamentegrande di settori della scienza e della tecnologia conrisultati a volte straordinari.Prima di discutere la possibile applicazione del teore-ma di Fourier all’analisi delle immagini visive è bene

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Fig. 2. Sintesi di Fourier di un’onda quadra. A partire da una sinusoide fondamentale il cui periodo è uguale a quellodell’onda quadra da sintetizzare vengono aggiunte in opportuna relazione di fase le componenti armoniche dello spettrodi Fourier. A misura che questo viene fatto l’onda risultante appare via via più simile all’onda quadra.

riprendere il problema dai suoi principi, e considerarnein primo luogo l’uso nello studio di funzioni di tipoperiodico con forme d’onda le più disparate (peresempio onde “quadre”, “triangolari”, “rettangolari” a“dente di sega” etc. così dette dall’aspetto della lororispettiva rappresentazione su di un grafico cartesia-no). Sulla base del teorema di Fourier è possibilescomporre una determinata onda periodica in una seriedi onde sinusoidali (serie o “spettro” di Fourier) le cuifrequenze si dimostrano essere multipli interi di un’on-da sinusoidale con periodo (e frequenza) uguale aquella dell’onda originaria. Questa onda a frequenzapiù bassa viene detta “fondamentale”, mentre le ondea frequenza via via più elevate sono indicate comearmoniche (un termine questo che deriva dal fatto cheil teorema di Fourier è stato storicamente molto utiliz-zato per l’analisi delle onde sonore). Attraverso glistrumenti matematici forniti dal teorema di Fourier èpossibile calcolare l’ampiezza e la fase di tutte le ondesinusoidali della serie in cui l’onda periodica di parten-za è scomponibile. Per esempio, è possibile dimostrareche un’onda quadra è scomponibile in una serie dionde sinusoidali che hanno frequenza pari a 1, 3, 5, 7… n volte la fondamentale, ed ampiezza progressiva-mente decrescente secondo un rapporto inverso rispet-to alla frequenza (e cioè 1, 1/3, 1/5, 1/7 e così via) etutte in fase tra di loro.Uno dei motivi di interesse del teorema di Fourier è cheesso, oltre a permettere di analizzare una funzionenelle sue componenti sinusoidali, si presta anche al-

l’operazione in qualche modo “reciproca”, permettecioè di ricostituire la funzione originaria a partire dallaserie delle sue componenti sinusoidali. Esiste in altritermini una relazione biunivoca tra onda originaria eserie delle onde sinusoidali in cui essa è scomponibile,e si indica come analisi di Fourier l’operazione attra-verso la quale si passa dall’onda originaria alle suecomponenti sinusoidali, e sintesi di Fourier l’operazio-ne reciproca (vedi Fig. 2).Il teorema di Fourier è applicabile di fatto a tutte leonde periodiche che si incontrarono nella realtà fisica.Esso può essere inoltre applicato anche a molti eventinon periodici, con l’artificio matematico di considerarequesti eventi come fenomeni periodici a periodo infi-nitamente lungo. Questo modo particolare di concepi-re gli eventi non periodici rende ragione del perchél’onda fondamentale della serie di Fourier di un feno-meno aperiodico abbia frequenza infinitamente picco-la (tendente cioè a zero). Questo accade in quanto,come abbiamo detto, la fondamentale della serie diFourier ha una frequenza pari a quello dell’eventooriginario (che tende a zero nel caso del fenomeno nonperiodico perché, lo ripetiamo, il suo periodo è infini-tamente lungo). Un’altra importante conseguenza èche lo spettro di un evento non periodico risulta esserecontinuo, costituito cioè da tutte le possibili frequenze:questo accade in quanto la serie di tutte le frequenzemultiple di una frequenza infinitamente piccola è unaserie continua. Questa caratteristica dello spettro dellefunzioni non periodiche rappresenta un’importante

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Fig. 3. Un reticolo spaziale ad onda quadra verticale e la sua sintesi di Fourier ottenuta aggiungendo alla sinusoidefondamentale le armoniche dispari di opportuna ampiezza e relazione di fase fino a quella indicata in corrispondenza diogni pannello.

differenza rispetto alle funzioni periodiche che hannoinvece uno spettro “discreto”, costituito cioè solo daalcune onde (quelle che sono multipli interi dellafrequenza della fondamentale che, come abbiamovisto, è uguale, nel caso delle onde periodiche, allafrequenza dell’onda originaria ed è dunque finita).Sebbene il ragionamento matematico possa portarci aconcepire in modo astratto come un evento non perio-dico sia rappresentabile come evento periodico a peri-odo infinitamente lungo, tuttavia l’applicazione del-l’analisi di Fourier ad eventi non periodici ha conse-guenze sorprendenti. Nel caso delle onde sonore si puòinfatti dimostrare come un suono che duri un istanteinfinitamente breve sia scomponibile in una serieinfinita di onde sonore di tutte le frequenze possibili,onde iniziate all’inizio dei tempi e che non esaurirannomai la loro oscillazione. O, in altri termini, che combi-nando in modo opportuno lo spettro continuo di tuttele onde sinusoidali possibili (ognuna delle quali corri-sponderebbe di per sé ad un suono puro di duratainfinita) si può ottenere un suono che esiste solo per unistante infinitamente breve. Questo accade in quanto èteoricamente possibile combinare uno spettro conti-nuo di onde sinusoidali in modo tale che esse sicancellino reciprocamente l’un l’altra (perché risultanoin opposizione di fase) lungo un amplissimo arcotemporale, tranne che per il brevissimo istante in cuiesse sono in fase tra di loro, generando allora il suonodi durata infinitamente breve.Che questo ragionamento non corrisponda ad unapura finzione mentale resa possibile dall’astrazione

matematica può essere mostrato generando un rumoredi brevissima durata, ma abbastanza intenso, in pre-senza di tanti diapason (per esempio percuotendo conun martelletto un corpo abbastanza rigido): tutti idiapason tenderanno allora a vibrare perché entreran-no in risonanza con alcune delle infinite sinusoidi di cuil’improvviso rumore prodotto dal martelletto risultaessere composto. Come nel caso di altri tipi di eventi,per quel che riguarda le immagini visive l’analisi (e lasintesi) di Fourier risultano essere relativamente sem-plici matematicamente nel caso in cui l’onda originariasia periodica ed unidimensionale. Ciò accade con unpattern spaziale costituito da un profilo di luminositàmonocromatico che varia secondo una sola direzionedello spazio in modo ripetitivo. Un pattern di questotipo è per esempio un reticolo a bande verticali bianchee nere (la maglietta della Juventus, tanto per intenderci,vedi Fig. 3). In questo caso la luminosità varia sololungo la direzione orizzontale, secondo una funzioneche viene indicata matematicamente come “onda qua-dra”, con salti improvvisi da un minimo di luminosità,in corrispondenza delle bande scure, ad una massimo,in corrispondenza delle bande chiare. Lungo la direzio-ne verticale la luminosità rimane invece costante.Come abbiamo già detto, la serie di Fourier di un’ondaquadra è formata unicamente dai multipli dispari diuna sinusoide spaziale verticale della stessa frequenzadell’onda quadra di partenza (sinusoide detta fonda-mentale) con ampiezza progressivamente decrescentesecondo un rapporto inverso rispetto alla frequenza (ecioè 1, 1/3, 1/5, 1/7 e così via) e tutte in fase tra di loro.

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E’ possibile dare un’idea in qualche modo intuitivadella scomposizione in serie di Fourier di un patternperiodico come l’onda quadra spaziale confrontandol’aspetto dell’onda originaria con i pattern che risultanodalla somma di armoniche di frequenza via via cre-scente. Iniziamo dal confronto dell’onda quadra origi-naria con la fondamentale dello spettro di Fourier:notiamo allora una differenza ben evidente in quantol’onda quadra appare costituita, come abbiamo detto,da transizioni nette tra i soli due valori che la funzionepuò assumere (minimo e massimo), mentre nella sinu-soide “fondamentale” vi è una transizione continua edolce di luminosità tra il valore minimo ed il massimo,secondo l’andamento tipico delle funzioni sinusoidali(vedi Fig. 3). La differenza è ancora ben evidente seconfrontiamo l’onda quadra con l’onda che risultadalla combinazione della fondamentale con la terzaarmonica della serie (cioè con l’onda sinusoidale difrequenza tre volte più grande della fondamentale e diampiezza tre volte minore). Man mano che aggiungia-mo armoniche superiori la differenza diviene peròmeno percettibile, in particolare se osserviamo il pat-tern da una distanza sufficientemente grande. Connumero abbastanza notevole di armoniche diventa difatto impossibile distinguere l’onda quadra originariadall’onda risultante dalla sintesi della onde corrispon-denti allo spettro di Fourier dell’onda quadra. Questoaccade perché l’aggiunta di ogni nuova armonica tendea rendere più “netta” la fase di salita dell’onda sintetiz-zata (perché tutte le onde sono qui in fase), e al tempostesso a rendere più piatte le zone di luminosità minimae massima con un’evidente “squadratura” progressivadell’onda risultante.Come per le onde quadre, sulla base del teorema diFourier risulta abbastanza agevole analizzare (o sinte-tizzare) altre funzioni periodiche monodimensionalicalcolando ampiezza e fase delle loro componentisinusoidali. Per le onde monodimensionali è anchesemplice rappresentare graficamente la serie (o spet-tro) di Fourier, ricorrendo per esempio ad un graficocartesiano in cui siano riportate le frequenze dellesinusoidi componenti sulle ascisse, e sulle ordinate lerispettive ampiezze (e fasi).L’analisi di Fourier diventa più difficile per funzionipluridimensionali non periodiche, come sono la mag-gior parte delle immagini che si incontrano nel corsodella vita reale: questo accade anche perché nelleimmagini della vita reale la luminosità varia di solito inmodo complesso e poco prevedibile, sia secondo ladirezione orizzontale che verticale, e, oltre alla lumino-sità, variano di solito anche altri importanti parametrivisivi (il colore innanzitutto). Nonostante queste diffi-coltà è però ora abbastanza semplice analizzare imma-gini visive complesse soprattutto facendo ricorso aparticolari algoritmi matematici che si prestano facil-

mente al calcolo automatico con i computer (la cosid-detta “Fast Fourier Transform” per esempio, e le suenumerose derivazioni).La Fig. 4 mostra un esempio di applicazione dell’ana-lisi di Fourier ad un’immagine bidimensionale in tonidi grigio (il ritratto di Andrew Huxley, uno scienziatofamoso, che insieme ad Alan Hodgkin ha chiaritoproprio cinquant’anni or sono i meccanismi che sonoalla base della generazione e propagazione dell’impul-so nervoso). Come di solito si fa in casi di questogenere, per illustrare graficamente lo spettro di Fourierdi questa immagine abbiamo utilizzato un grafico ditipo polare, in cui sono rappresentate le frequenze piùbasse nella parte centrale del grafico e le frequenze piùelevate a distanze via via più grandi rispetto al centro,con la convenzione di rappresentare l’ampiezza dellediverse componenti con l’intensità luminosa dei puntiche corrispondono alle diverse frequenze spaziali.Come si vede dal grafico, l’immagine risulta essereformata da un grande numero di sinusoidi spaziali contutti i vari orientamenti possibili ed una “densità”spettrale particolarmente elevata nelle regioni centrali(la regione delle sinusoidi spaziali a frequenza piùbassa).E’ abbastanza facile manipolare lo spettro di Fourierdell’immagine, come appare nella Fig. 4, e poi sintetiz-zare l’immagine dallo spettro modificato. Questo per-mette di valutare il contributo delle diverse frequenzespaziali all’immagine originaria, soprattutto in terminidi informazione rilevante per il riconoscimento dioggetti o persone presenti nelle immagini del nostromondo visivo. Di particolare rilievo per il problemache ci eravamo posti in rapporto ai limiti di risoluzionespaziale del mosaico dei fotorecettori retinici (ed alpossibile verificarsi di fenomeni di aliasing in presenzadi frequenze spaziali troppo elevate), è il contributodelle frequenze spaziali superiori a 60 cicli per grado diangolo visivo. Se noi rimuoviamo da un’immagine lesinusoidi spaziali di frequenza superiore a 60 cicli pergrado non avvertiamo alcuna differenza significativatra l’immagine così manipolata e l’immagine originaria.Che questo accada è peraltro facilmente comprensibilein quanto un pattern costituito da sinusoidi spaziali difrequenza uguale o superiore a 60 cicli per grado ciapparirebbe come uno sfondo grigio uniforme privo alsuo interno di qualsiasi informazione spaziale.Se invece rimuoviamo una quota importante dellefrequenze spaziali elevate operando il “taglio” a partireda frequenze più basse otterremo immagini che appa-riranno via via meno nitide e prive di dettagli semprepiù significativi. D’altra parte, perché l’immagine per-da la sua informazione essenziale (nel caso specificodel ritratto utilizzato per il nostro esempio nella Fig. 4perché la persona rappresentata risulti completamenteirriconoscibile) è però necessario che venga eliminata

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Fig. 4. Filtraggio spaziale del ritratto dello scienziato inglese Andrew Huxley conrimozione selettiva delle frequenze elevate come indicato dalla rappresentazionebidimensionale dello spettro visualizzata a destra di ogni immagine con il circolo nellaparte esterna che segna le frequenze di 60 cicli per grado.

una quota molto significativa delle frequenze spazialimedio-alte.Un fenomeno in parte analogo a quello che si verificaper la perdita di una quota importante delle frequenzespaziali elevate è quello che avviene in persone condifetti ottici che non facciano ricorso ad occhialiappropriati. Nei miopi, per esempio, un anomaloallungamento della camera posteriore dell’occhio fa sìche l’immagine non sia a fuoco sulla retina, ma davantiad essa. In questo modo quando si guardano oggettilontani avviene che alcune componenti in frequenza, a

partire da quelle a frequenzapiù elevata, vengono “filtrate”e non raggiungono più la reti-na. Dal momento però chequeste frequenze appartengo-no al gruppo di quelle codifica-bili, la loro scomparsa fa sì chei “canali” che avrebbero dovu-to portare questo tipo di infor-mazione al cervello siano si-lenti, e ciò genera la visionesfocata e priva di dettagli finitipica delle persone miopi.Con le tecniche di manipola-zione delle immagini rese fa-cilmente realizzabili con l’usodei computer possiamo sot-trarre selettivamente da un’im-magine anche le componenti afrequenza bassa. Operando inquesto modo ci accorgiamo chel’immagine perde rapidamenteil suo contenuto informativoanche con un’eliminazione re-lativamente esigua del suo spet-tro. Nel caso del ritratto diHuxley illustrato di nuovo nel-la Fig. 5, il personaggio risultaa malapena riconoscibile no-nostante che sia stata rimossasolo una piccolissima porzio-ne dello spettro nella zona del-le frequenze spaziali basse, e si“svuota”, diventando una spe-cie di fantasma del tutto irrico-noscibile, con la rimozione diuna quota ancora relativamen-te modesta della superficie spet-trale.Possiamo concludere questodiscorso dicendo che le sinu-soidi spaziali ad alta frequenzapresenti nelle immagini visiveportano l’informazione corri-

spondente ai dettagli più fini dell’immagine. D’altraparte le sinusoidi a frequenza molto elevata (superiorea 60 cicli per grado) possono essere eliminate senzaalcuna perdita di informazione biologicamente rile-vante. Questo accade sia perché l’informazione asso-ciata a queste sinusoidi non è rilevata dal nostrosistema visivo, sia perché essa porta elementi scarsa-mente utili all’identificazione del contenuto delle im-magini visive. Essa non è rilevata dal sistema visivo perle caratteristiche spaziali del mosaico dei fotorecettoriretinici che non permette, come abbiamo notato, il

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campionamento adeguato di sinusoidi a frequenzatroppo alta. L’eliminazione dell’informazione portatadalle sinusoidi spaziali con frequenza superiore a 60cicli ha, d’altra parte, il significativo vantaggio dicontrastare efficacemente il fenomeno dell’aliasingche deriverebbe dal sottocampionamento di sinusoidia frequenza troppo elevata. Le imperfezioni ottiche dicui abbiamo parlato all’inizio di questo articolo “de-gradano” dunque l’immagine che si forma nella retinain un modo molto particolare e preciso, eliminandoproprio le sinusoidi non campionabili, prive di impor-tante informazione biologica. Insomma, la Natura ha

Fig. 5. Eliminazione progressiva di basse frequenze spaziali dallo stesso ritratto diHuxley illustrato nella Fig. 4.

agito proprio come quell’inge-gnere saggio di cui abbiamoparlato, che utilizzando mate-riali abbastanza semplici e ap-parentemente poco adatti, comedicevamo, alle manipolazionidella tecnologia digitale, avreb-be filtrato dall’immagine retini-ca le sinusoidi spaziali a fre-quenza eccessivamente alta sem-plicemente rendendo un pocoimperfetto l’apparato ottico del-l’occhio.E’ importante, lo ripetiamo, cheil “filtraggio” operato dall’ap-parato ottico dell’occhio sia bencalibrato sui limiti di risoluzio-ne del mosaico dei fotorecettoriretinici, e che non vengano eli-minate sinusoidi a frequenzaspaziale medio-alta che potreb-bero essere adeguatamente co-dificate, perché se così non fos-se si avrebbe una perdita diinformazione che potrebbe ave-re conseguenze molto serie peralcuni aspetti fondamentali del-la performance visiva. La cosapuò non sembrare immediata-mente evidente perché le mani-polazioni che abbiamo operatosul ritratto di Huxley mostranoche noi possiamo eliminare unaporzione molto grande delle si-nusoidi nella banda delle fre-quenze alte senza degradare l’im-magine al punto da non ricono-scere più il personaggio raffigu-rato. Per capire come un’ecces-siva eliminazione di frequenzespaziali medio-alte potrebbecompromettere aspetti impor-tanti della funzione visiva fac-

ciamo innanzitutto ricorso ad un nuovo esempio in cuiil filtraggio di un’immagine visualizzata sullo schermodi un computer è spinto oltre il limite necessario adeliminare l’aliasing.Nella Fig. 6 applichiamo le manipolazioni al ritratto diErnst Mach, il grande fisico e filosofo austriaco, checome abbiamo detto nella prima parte di questo artico-lo, si occupò di psicofisiologia sensoriale e mise inevidenza particolari fenomeni di interazioni laterali nelprocesso visivo [vedi Piccolino e Moriondo, 2002]. LaFig. 6 B è stata ottenuta dalla Fig. 6 A eliminando solole frequenze spaziali più alte che producevano aliasing

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Fig. 6. Eliminazione progressiva di frequenze spaziali elevate da un ritratto di Ernst Mach acquisito con uno scanner arisoluzione elevata. Si noti come l’eccessiva eliminazione della banda delle frequenze elevate (C) renda irriconoscibile lalettura della scritta al di sotto del ritratto.

e, come si vede, il ritratto appare perfettamente nitido.Che la qualità dell’immagine come appare sullo scher-mo del computer non sia alterata dall’eliminazionedigitale delle frequenze spaziali più elevate è facilmen-te comprensibile. Come abbiamo detto più sopra par-lando del meccanismo retinico della visione, non siperde infatti risoluzione e qualità dell’immagine se sieliminano frequenze spaziali che non sono codificabilidal sistema di campionamento considerato (in questocaso lo schermo del computer). Nella Fig. 6 C ilprocesso di eliminazione è stato spinto oltre ed è stataeliminata anche una banda rilevante di frequenzespaziali medio-alte. In modo analogo a quello che eraaccaduto con alcune delle manipolazioni sul ritratto diHuxley della Fig. 4, Mach risulta ancora riconoscibile,anche se alcuni particolari appaiono meno nitidi. Nonriusciamo più però, e la cosa non è priva di importanza,a leggere la scritta col nome dello scienziato e la suadata di nascita e di morte.Questa osservazione ci porta ad una considerazioneimportante relativa agli accorgimenti che la natura hautilizzato per eliminare il rischio di aliasing nel proces-so visivo. Se il filtraggio delle frequenze spazialielevate fosse stato spinto troppo oltre in modo daeliminare una quota significativa di frequenze spazialimedio-alte non avremmo apparentemente perso forsemolta informazione per quel che riguarda le immaginidel nostro mondo visivo abituale, in particolare quellecorrispondenti a oggetti e a persone osservate da

distanze abbastanza ravvicinate. Non avremmo peròavuto la possibilità di sviluppare la scrittura (e lalettura), una funzione che richiede un’elevata capacitàdi risoluzione spaziale.Nonostante che il mondo verso cui ci dirigiamo sembriessere destinato al prevalere dell’immagine visiva sullinguaggio scritto, vi immaginate cosa sarebbe stata lastoria della “famiglia umana” senza quei “vari accoz-zamenti di venti caratteruzzi su una carta” che, comeGalileo ci diceva quasi quattro secoli fa, permettonoall’uomo “di comunicare i suoi più reconditi pensieri aqualsivoglia altra persona, benché distante per lunghis-simo intervallo di luogo e di tempo [...] parlare conquelli che son nell’Indie, parlare a quelli che non sonoancora nati né saranno se non di qua a mille e dieci milaanni.” [Galileo, 1632].Parlando di dettagli fini dell’immagine, dobbiamoconsiderare che essi non sono necessari soltanto aprestazioni evolutivamente così sofisticate quali lascrittura (e la lettura). Una grande capacità di risoluzio-ne spaziale fu infatti molto utile ai cacciatori primitivisoprattutto quando la caccia (e purtroppo anche laguerra) cominciò a basarsi sull’uso di strumenti chepermettevano di colpire bersagli lontani e relativamen-te piccoli (per esempio arco e frecce per la caccia aduccelli e a piccoli mammiferi). La frequenza spazialedelle componenti dell’immagine retinica di un oggettoo di un animale del nostro mondo visivo aumentainfatti con l’aumentare della distanza di osservazione.

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Quindi una buona risoluzione spaziale, basata sullapossibilità di rilevamento delle componenti spaziali afrequenza elevata diventa particolarmente importantequando si entra in relazione preferenziale con unmondo visivo distante di cui è importante decifrare ilcontenuto informativo. Prima dell’invenzione del can-nocchiale i mozzi di una nave o gli avvistatori dellatorre di guardia o del faro di un’isola avevano bisognodi una acuità visiva molto più grande rispetto a personeaddette a certi tipi di lavori manuali pesanti il cuiuniverso visivo si svolgeva prevalentemente in ambitiravvicinati e non implicava la risoluzione dei dettaglifini delle immagini.In tema di visione a distanza è utile qui fare ancheun’altra considerazione che ci ripropone il problemadell’aliasing. Anche non vi fosse una componentesignificativa di sinusoidi spaziali a frequenza elevatanella maggior parte delle immagini di oggetti del nostromondo visivo ordinario, il rischio di sottocampiona-mento si presenterebbe comunque qualora osservassi-mo questi oggetti da lontano se si formasse sulla retinaun’immagine perfettamente nitida. Questo avverrebbeperché, con l’allontanarsi progressivo dell’oggetto os-servato, aumentano le componenti ad alta frequenzanell’immagine retinica. Se non avessimo un’ottica unpoco imperfetta non potremmo, per esempio, osserva-re da lontano un prato erboso senza che si producessequel particolare sfarfallio che accompagna in partico-lari situazioni sperimentali la produzione di aliasingvisivo.Se allarghiamo il discorso alle necessità adattative dispecie animali diverse possiamo renderci conto diaspetti importanti della funzione visuo-spaziale dianimali differenti in rapporto al loro habitat e al lorocomportamento. A questo riguardo il ricorso allesinusoidi spaziali risulta particolarmente utile sia con-cettualmente che praticamente.

Fig. 7 Curva di sensibilità al contrasto spaziale ottenuta conmetodo psicofisico in un soggetto umano normale dalpunto di vista visivo. (da Campbell, e Maffei 1970).

L’importanza pratica delle sinusoidi spaziali nello stu-dio della funzione visiva degli animali dipende princi-palmente dal fatto che è possibile modificare la tecnicadi indagine basata sull’uso di pattern sinusoidali a cuiabbiamo fatto cenno nella prima parte di questo artico-lo in modo da poterla utilizzare anche in animali (o inpersone che per vario motivo non sono in grado di dircise, e cosa, vedono). A proposito della visione spazialedell’uomo studiata con la metodica psicofisica delcontrasto minimo a cui le sinusoidi di diversa frequen-za (o larghezza di banda) risultano visibili, ricordiamoche la visibilità massima si ha per sinusoidi di frequen-za spaziale di circa 3 cicli per grado (cioè per sinusoidiche abbiano tre cicli di alternanza completa tra bandachiara e banda scura quando siano osservate da circa60 centimetri di distanza). Come si può osservare dallaFig. 7, nella curva tipica di un soggetto adulto normale(dal punto di vista visivo) si ha una rapida discesa dellacapacità visiva per le frequenze spaziali più elevate(cioè le sinusoidi più fitte), e il limite di frequenzevisibili (a contrasto massimo) è di circa 50 cicli pergrado. Questo corrisponde a quanto abbiamo detto piùvolte, e cioè che il sistema visivo non riesce a rilevarefrequenze superiori a 60 cicli per grado. Vi è però unaridotta capacità visiva anche per le frequenze spazialipiù basse (le sinusoidi a banda più larga), una caratte-ristica questa che spiega il fenomeno, già notato nelprecedente articolo di questa serie, del ridursi dellavisibilità di un pattern costituito da sinusoidi a bandalarga quando ci si avvicina con lo sguardo all’immagine.La possibilità offerta dalla metodica basata sull’uso deireticoli spaziali sinusoidali per valutare la performancevisiva in un modo “obiettivo”, indipendentementecioè dalla possibilità del soggetto di comunicare inmodo esplicito ciò che vede, dipende dal fatto che, incerte condizioni, la stimolazione con pattern sinusoi-dali può generare potenziali elettrici rilevabili sulla cutedel cranio, in corrispondenza della corteccia visiva.Questi potenziali (indicati come “potenziali evocativisivi”), sono evidenti solo se lo stimolo è visibile daparte dell’osservatore. La loro presenza (o assenza)nella risposta a pattern di diversa frequenza spaziale ediverso contrasto può essere utilizzata quindi comemetodo obiettivo per stabilire se il soggetto vede (onon vede) il pattern che gli viene presentato.Con la tecnica dei potenziali evocati visivi è statopossibile dimostrare che animali diversi vedono prefe-renzialmente sinusoidi spaziali di differente larghezzadi banda. Mentre l’uomo e le scimmie più evolute(come per esempio i macachi) mostrano una massimacapacità visiva per sinusoidi con frequenza spaziale dicirca 3 cicli per grado, un gatto ha il massimo dicapacità visiva per sinusoidi di frequenza circa 10 volteinferiori (0,3 cicli per grado). Il falco e altri rapaci diurnihanno invece il massimo di capacità visiva per frequen-

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ze spaziali circa 10 volte più elevate dell’uomo (e cioè~ 30 cicli per grado). Come nell’uomo, in quasi tutti glianimali studiati la capacità visiva declina abbastanzarapidamente al di fuori delle larghezze di banda ottima-li. Questo fa sì, per esempio, che un gatto non vedaaffatto i reticoli sinusoidali visibili per il falco, a menoche le sinusoidi non abbiano contrasto molto forte.L’uomo vede a malapena i reticoli che sono più visibiliper il gatto, perché sono di banda troppo larga per lanostra curva di visibilità, e, d’altro canto vede anchepoco i reticoli molto fitti, che sono invece i target piùvisibili per i falchi e per altri rapaci diurni. Un modointuitivo di figurarci cosa vede un gatto o un falcorispetto ad un uomo, almeno dal punto di vista dellavisione spaziale, potrebbe essere quello di dire che i tresoggetti vedono gli stessi particolari di una scena se laguardano da distanze diverse; e cioè il gatto da unmetro, l’uomo da dieci metri e il falco da cento metri.Oppure che, confrontato all’uomo, è come se il gattoguardasse la stessa scena attraverso un cannocchiale adieci ingrandimenti, ma rovesciato, e il falco inveceusasse nel modo “dritto” lo stesso cannocchiale.La possibilità di usare i reticoli sinusoidali spaziali peranalizzare in modo oggettivo la funzione visiva haavuto una grande importanza nella pratica clinica,soprattutto perché ha permesso di studiare le capacitàvisiva in bambini fin dai primi mesi di vita. Con questometodo, messo a punto a Pisa da Adriana Fiorentini edai suoi collaboratori, si dimostra che il lattante ha unacapacità di rilevazione delle sinusoidi spaziali che èall’incirca un decimo di quella dell’adulto. Nel bambi-no la prestazione visuo-spaziale migliora poi rapida-mente nel corso del primo anno, ma raggiunge il livellodell’adulto solo verso i tre, quattro anni. Il metodopermette di svelare in fase precoce deficit che passe-rebbero inosservati, e potrebbero compromettere poiin modo irreversibile lo sviluppo di una normalefunzione visiva. Molti studi hanno messo infatti inevidenza la necessità, ai fini di una corretta maturazio-ne dei processi percettivi, di un’esperienza visiva nor-male già nelle prime fasi della vita post-natale. Anoma-lie dell’esperienza visiva, come quelle che possonoessere indotte sperimentalmente negli animali (peresempio tenendoli al buio, o impedendo la visione daun occhio), o quelle che si producono nei bambini peranomalie o patologie oculari (cataratta congenita, stra-bismo), possono compromettere un normale sviluppodella visione per l’imperfetta maturazione che essecomportano delle vie e dei centri nervosi della visione.Una correzione di queste anomalie oculari in età adultapotrebbe rivelarsi inefficace ai fini del recupero di unafunzione visiva normale, e questo impone la necessitàdi una diagnosi precoce, che, come abbiamo detto, puòessere ottenuta con la metodica dei reticoli spaziali (ocon tecniche analoghe).

Nel concludere questa nostra discussione sui principidi funzionamento del sistema visivo, e della comples-sità e del fascino che appaiono evidenti a chi tenta dicapirne nel profondo i meccanismi operativi, potrem-mo a questo punto fare qualche considerazione su diun problema che è da tanto tempo al centro dellariflessione dell’uomo, quello relativo alla fedeltà o allafallacia dei dati dei sensi. Il sistema visivo, e più ingenerale i sistemi sensoriali, si sono sviluppati nelcorso dell’evoluzione per permettere un’interazioneefficace dell’organismo con l’ambiente, e a questoscopo essi hanno messo a punto meccanismi sofisticatiper estrarre dal mondo che ci circonda l’informazionepiù ricca di valore adattativo. Questi meccanismi sonoefficaci, nel senso che permettono di trasmettere edelaborare l’informazione secondo tempi e modalitàcorrispondenti alle necessità funzionali dell’organi-smo, e rendono così possibile la sopravvivenza dell’in-dividuo e della specie. Non pretendono però di fornirciuna rappresentazione “vera” del mondo che ci circon-da, rappresentazione che, per usare la metafora dell’im-magine, sarebbe contenuta in quell’immagine “perfet-ta” di cui abbiamo più volte parlato. Questo tipo diimmagine è, come abbiamo visto, da un lato fisicamen-te irrealizzabile, e dall’altro del tutto inadatta allenecessità funzionali degli organismi viventi. Da questopunto di vista è forse un falso problema dire se i sensisiano veridici o fallaci.A proposito di “fallacia” dei sensi, è da considerareperò il grande interesse che hanno per gli studiosi dellavisione quei fenomeni che mettono in evidenza lacorrispondenza apparentemente inesatta tra i dati deisensi e la realtà fisica del mondo esterno (come peresempio le bande di Mach, l’effetto Cornsweet e altrisorprendenti fenomeni percettivi, e in particolare moltifenomeni riguardanti la visione dei colori sui quali nonabbiamo potuto soffermarci per ragioni di brevità).Molti di questi fenomeni sono in effetti di granderilievo perché offrono una finestra per penetrare imeccanismi operazionali del funzionamento dei siste-mi sensoriali, e la constatazione della loro presenzainduce gli studiosi del campo a considerazioni diverseda quelle pessimistiche sull’umana “imperfezione”.A chi sottolineasse i limiti e le apparenti inadeguatezzedei sensi potremmo rispondere, con Cajal, dando laparola al “genio creatore della vita”, il quale “se sidegnasse di rispondere forse ci direbbe”, secondoquanto scrive il grande scienziato spagnolo:

Vi ho dotati degli organi sensoriali indispensabili alla difesa econservazione dell’esistenza, nell’ambito delle situazioni piùcomuni; se però desiderate penetrare profondamente nell’arcanodell’universo, non siete totalmente disarmati. A questo fine vi hoconcesso qualcosa di molto più prezioso di tutte le eccellenzesensoriali; un cervello privilegiato, organo sovrano di conoscenza

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ed azione, che se sapientemente utilizzato aumenterà finoall’infinito la potenza analitica dei vostri sensi. [Cajal, 1934]

I sensi continueranno a dirci che il sole ruota attornoalla terra, ma il cervello (cioè la scienza, la ragione, lariflessione) ci dimostrano che è la terra a ruotareintorno ad un sole relativamente immobile, e ci per-mettono altresì di dotarci di nuovi strumenti, tecnolo-gici e concettuali, che sopperiscono all’apparente ina-deguatezza dei nostri sistemi sensoriali, aiutandocicosì nel tentativo di “penetrare profondamente nell’ar-cano dell’universo”.

Andrea Moriondo e Marco Piccolino

BibliografiaS. R. Y Cajal, (1934) El mundo visto a los ochenta años: impresionesde un arterioesclerótico. MadridF. W. Campbell, D. G. Green (1965) Optical and retinal factorsaffecting visual resolution J. Physiol (London) 181: 576-593F. W. Campbell, L. Maffei (1970) Electrophysiological evidencefor the existence of orientation and size detectors in the human visualsystem. J Physiol. (London) 207:635-52H. L. F. Helmholtz (1867) Handbuch der physiologischen OptikL. Voss, LeipzigH. L. F. Helmholtz (1865-1876) Populäre wissenschaftlicheVorträge. F. Vieweg, BraunschweigM. Piccolino, A. Moriondo (2002) Retina e visione: elogiodell’imperfezione. Prima parte. L’immagine imperfetta e l’informa-zione biologicamente rilevante NATURALMENTE 15 (2) pp. 3-13J. S Werner (1998) Aging through the eye of Monet in Color vision.Perspectives from different disciplines (a cura di G. K. Werner,R.K. Backhaus, J. S. Werner) de Gruyter, Berlin

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