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Cendon / Book IL DANNO TANATOLOGICO NELL’ATTUALE SISTEMA DI RESPONSABILITÀ CIVILE PROFILI GIURISPRUDENZIALI Alfonso Fabbricatore DIRITTO CIVILE PROFESSIONAL

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Cendon / Book

IL DANNO TANATOLOGICO

NELL’ATTUALE SISTEMA DI

RESPONSABILITÀ CIVILE

PROFILI GIURISPRUDENZIALI

Alfonso Fabbricatore

DIRITTO CIVILE PROFESSIONAL

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Edizione GIUGNO 2015

Copyright © MMXV KEY SRL VIA PALOMBO 29 03030 VICALVI (FR) P.I./C.F. 02613240601

ISBN 978-88-6959-261-4

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione, di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi. _______________________________________________________________

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DIRITTO CIVILE

Professional

IL DANNO TANATOLOGICO

NELL’ATTUALE SISTEMA DI

RESPONSABILITÀ CIVILE PROFILI GIURISPRUDENZIALI

Alfonso Fabbricatore

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L'autore Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza, Alfonso Fabbricatore si dedica all’approfondimento della materia del diritto civile, con particolare attenzione alla tutela dei diritti della personalità. Iscritto al Foro di Nocera Inferiore, collabora con la Rivista giuridica “Persona & Danno”, sotto la direzione scientifica del Prof. Avv. Paolo Cendon, ove ha pubblicato diversi contributi. Oltre a svolgere attività forense, è amministratore delegato di una importante realtà industriale. Partecipa con assiduità ed immutato interesse a gruppi di studio interuniversitari.

L’Opera L’intento è quello di offrire un quadro chiaro e dettagliato dei più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia di risarcimento dei danni non patrimoniali, con particolare attenzione ai profili di maggior criticità, specie in materia di danni da morte. L’opera si prefigge pertanto di ricostruire, in chiave critica, quasi un secolo di storia, tentando di offrire una soluzione al discusso argomento della risarcibilità del danno tanatologico.

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INDICE

Capitolo Primo

IL FATTO ILLECITO

1. Premessa – 1.1 La clausola dell’ingiustizia nella storia della responsabilità civile - 1.2. Il fatto materiale - 1.3. Il nesso di causalità - 1.3. Il dolo e la colpa

Capitolo secondo

I DANNI NON PATRIMONIALI: IERI, OGGI, DOMANI

2. Una breve ricostruzione storica - 2.1. I danni non patrimoniali prima del 2003 - 2.2. I danni non patrimoniali dopo il 2003 - 2.3. Le sentenze gemelle del 2008 - 2.4. Il quadro attuale - 2.5. Il danno biologico come (sotto)categoria omnicomprensiva - 2.6. Le funzioni del risarcimento dei danni non patrimoniali - 2.7. Il rapporto tra gli articoli 2043 e 2059 c.c.

Capitolo Terzo

I DANNI DA LUTTO E DA UCCISIONE

3. Il diritto alla vita come diritto inviolabile della persona- 3.1. La morte, l’accertamento della morte e le conseguenze sul piano giuridico 3.2. Il danno tanatologico: l’ultima frontiera del danno ingiusto - 3.3. I legittimati ad agire - 3.4. La legittimazione iure proprio - 3.5. Il danno dei superstiti come danno esistenziale - 3.6. La legittimazione iure successionis - 3.7. I danni terminali: il danno biologico e morale catastrofali – 3.8. Il danno patrimoniale da morte

Capitolo Quarto

IL DANNO TANATOLOGICO, TRA GIURISPRUDENZA E DOTTRINA

4. Le ragioni del grande rifiuto - 4.1 La tesi dominante - 4.2. La

critica - 4.3. Il problema della capacità giuridica

Capitolo Quinto

UN NUOVO ORIZZONTE

5. La sentenza 1361/14 - 5.1. La perdita di chance de survivre - 5.2.

Alcune perplessità – 5.3. La parola, ancora, alle Sezioni Unite

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Capitolo Primo

IL FATTO ILLECITO

SOMMARIO 1. Premessa - 1.1. La clausola dell’ingiustizia nella storia della

responsabilità civile – 1.2. Il fatto materiale - 1.3. Il nesso di causalità -

1.4. Il dolo e la colpa

1. Premessa

Il tempo dà modo di riflettere e di comprendere ciò che nel presente,

a volte, è più difficile carpire.

Trent’anni orsono il compianto Prof. Galgano paragonava il danno

risarcibile ad un universo in continua espansione, definizione che

oggi conserva immutata efficacia.

La presente trattazione, con spirito critico, sarà concentrata su

alcune problematiche emerse nei moti perenni di questo universo. Si

cercherà di ricostruire, in maniera compiuta, il percorso

giurisprudenziale e dottrinale della risarcibilità dei danni da lutto.

L’argomento, complesso, merita oggi di essere approfondito, alla

luce di alcuni interventi della Suprema Corte che sembrano

distaccarsi completamente dagli orientamenti consolidatisi in decenni

di accesi dibattiti.

Il quadro di riferimento tuttora non è chiaro: buona parte degli

studiosi, da anni, spinge per un riconoscimento pieno, anche in

ambito aquiliano, dei valori che si compendiano nell’idea di

“persona”, tra cui, in primis, la vita umana.

Passi da gigante sono stati compiuti, ma altri ancora devono essere

mossi. Ricordo, con rinnovato interesse, gli sviluppi di una materia

che oggi si proietta prepotentemente al centro del pensiero giuridico

moderno: la risarcibilità dei danni non patrimoniali.

Non si sottrae, la nostra analisi, da una seppur breve indagine in

chiave storico-ricostruttiva di tale argomento.

Offro, mi auguro, l’occasione per una riflessione.

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1.1 La clausola dell’ingiustizia nella storia della responsabilità

civile

L’ingiustizia del danno, di cui all’art. 2043 c.c., è un principio tutto

sommato moderno, non deve ingannare la sua “età”. Introdotto con il

codice civile del 1942, ha atteso alcuni decenni per trovare una

propria collocazione all’interno del nostro ordinamento. Mancava tale

previsione nel precedente codice del 1865 (cfr. art. 1151 c.c.,

secondo cui “Qualunque fatto dell'uomo che arreca danno ad altri,

obbliga quello per colpa del quale è avvenuto, a risarcire il danno”),

tuttavia, nonostante l’assenza di una espressa previsione, si dubitava

che la “colpa” cui si faceva riferimento, da sola bastasse a qualificare

il fatto dell’agente come illecito ex lege Aquilia (sul punto Monateri,

La responsabilità civile, in Tratt. Dir. civ., diretto da Sacco, 1998, p.

195 ss.).

Con l’introduzione, dunque, del canone dell’ingiustizia nel successivo

codice del 1942, il legislatore ha inteso formalizzare un principio

implicitamente già operante nel diritto vivente.

Non deve trascurarsi che gli studi su tale aspetto si accompagnano

con l’evoluzione del concetto stesso di danno risarcibile, concetto

autonomo, tuttavia, dal primo: quando, infatti, l’ingiustizia del danno

inizia ad essere strumento di tutela per una fitta schiera di interessi,

abbandonando la classica funzione di difesa della proprietà privata,

solo allora si riesce a dare un senso agli approdi più moderni nel

campo della responsabilità civile. Il superamento del principio

“nessuna responsabilità senza colpa” e, di conseguenza, della

funzione esclusivamente sanzionatoria del risarcimento, oltre che le

più moderne diatribe sull’atipicità dell’illecito civile e sul graduale

dilatarsi dell’area del risarcibile aquiliano, sono il frutto del lungo

percorso interpretativo della qualificazione di danno nella sua

accezione di ingiustizia, che progressivamente si pone come tecnica

di risoluzione di qualsivoglia conflitto di interessi all’interno del vasto

ambito della responsabilità civile.

Durante tutta la prima metà del secolo scorso, e comunque fino agli

anni ’60, il danno ingiusto veniva comunemente accostato al fatto

colposo o doloso del’agente: il danno, inteso come perdita

economica, non poteva qualificarsi né come ingiusto né, tantomeno,

come ingiusto (cfr. Schlesinger, in Jus, 1960, 336). Ciò comportava

che l’ingiustizia venisse comunemente accostata alla condotta del

danneggiante, finendo così per attribuire maggior risalto alla illiceità

di un determinato comportamento dell’agente, anziché al danno.

Assumere come requisito fondamentale della responsabilità il fatto,

in luogo del danno, rispondeva anche ad una lettura in chiave etica

dell’ingiustizia, dovendosi ritenere ingiusto il danno non già per aver

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violato un interesse riconosciuto meritevole di tutela dall’ordinamento

in capo al danneggiato e per aver comportato una serie di

conseguenze dannose, ma perché il fatto generatore di danno

derivava dalla colpa del danneggiante (cfr. Visintini, I fatti illeciti, I,

Ingiustizia del danno. Imputabilità, Padova, 1987, p. XVI ss.).

L’ingiustizia viene così riferita al fatto, non già al danno, in guisa da

giustificare un’interpretazione dell’art. 2043 c.c. come norma

fortemente sanzionatoria e secondaria o di rinvio. Ciò perchè la

sanzione costituiva la risposta alla violazione del precetto contenuto

in altre norme dell’ordinamento.

La tesi della responsabilità basata sulla colpa traeva la propria

legittimazione da un presupposto, dunque, in parte anche etico,

consistente nella violazione colposa di un dovere morale di alterum

non laedere. Sennonché, la crescita esponenziale di danni derivanti

dalla sempre più fiorente attività industriale, e comunque legati

all’inesorabile progresso tecnologico, iniziarono a minare le teorie

colpa-centriche. Questa evoluzione, lenta ma lineare, andava di pari

passo con il prolificare di occasioni di danno difficilmente riconducibili

alla colpa di un soggetto.

Sia chiaro, il problema della responsabilità da colpa si

accompagnava, in quegli anni, ad un altro fattore che ne

condizionava, in maniera assai rilevante, un’interpretazione molto più

ampia. Tradizionalmente, infatti, fino alle aperture più recenti frutto di

decenni di dibattiti, solo i diritti assoluti potevano essere tutelati in via

aquiliana, in quanto la norma ex art. 2043 c.c. obbligava al

risarcimento per la violazione di precetti contenuti in altre norme

dell’ordinamento. Il principio generale dell’alterum non laedere veniva

in questo modo fortemente contenuto e tipizzato in virtù non solo del

requisito della colpa come fondamento del giudizio di responsabilità,

ma anche e soprattutto per la presunta natura di norma di rinvio.

Questo passaggio è evidente nella sentenza di appello relativa al c.d.

caso Meroni:

“Il precetto neminem laedere, se, nella sfera etica, possiede un suo

valore imperativo generale ed autonomo, nel senso che impone

dall’astenersi da ogni atto riprovato dalla comune coscienza,

proiettato nella sfera giuridica, valore imperativo conserva soltanto

quando al precetto corrisponda uno specifico dovere legale di

astensione”.

App. Torino, 27 gennaio 1969, in Giur. it., I, 2, 682;

I primi tentativi volti ad espandere i confini interpretativi del danno

ingiusto, pur interessanti, restano comunque ancorati ad un concetto

di antigiuridicità rivolto al fatto e non al danno.

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Fu proposto, in prima battuta, di riferire l’antigiuridicità della condotta

ad un comportamento giustificato, anziché ingiustificato: in questo

modo ingiusto sarebbe stato qualsiasi fatto dannoso non giustificato

da alcuna previsione normativa dell’ordinamento (danno “non iure”).

La libertà di agire di un soggetto troverebbe, di conseguenza,

soltanto un limite nel non arrecare danni ad altri che non siano

giustificati dall’ordinamento (cfr. Schlesinger, La ingiustizia del danno

nell’illecito civile, in Jus, 1960, 342 ss.). Portando ad una estrema

sintesi tale teoria, potrebbe obiettarsi che troverebbe spazio la

risarcibilità anche di danni derivanti dalla lesione di meri interessi di

fatto, qualora venga accertata l’assenza di una causa di

giustificazione da ricollegare alla condotta dell’agente.

Diverso, invece, il punto di vista di altri studiosi. Anziché opporre il

divieto di ledere interessi altrui laddove la condotta dannosa non sia

coperta da una esimente, la libertà di agire del soggetto viene

contenuta dal principio di solidarietà avente rango costituzionale: in

questo modo l’ingiustizia viene ricondotta alla lesione di interessi

giuridicamente protetti, anche se non qualificabili come diritti

soggettivi (danno “contra ius”), qualora da un bilanciamento degli

interessi venuti a collidere, risulti la compromissione della sfera

giuridica altrui dalla prevaricazione ingiustificata di un interesse

sull’altro (Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Milano,

1964, 195 ss.).

Proprio grazie a questi nuovi spunti inizia il lento processo di

erosione dei rigidi schemi vigenti (oltre all’apporto fondamentale del

Rodotà, cit., si rinvia a Busnelli, La lesione del credito da parte di

terzi, Milano, 1964, p. 69 ss.)

Nel solco di questi studi si collocano alcune storiche pronunce di

legittimità che costituiscono le vere tappe di un percorso, in parte,

ancora in essere. Il riferimento non può che essere al c.d. caso

Meroni (cfr. Cass. Sez. Un., 26 gennaio 1971, n. 174, in Giust. Civ.,

1971, I, 201, con nota di Santosuosso, La “nuova frontiera” della

tutela aquiliana del credito; in Foro it., 1971, I, 1286, con nota di

Busnelli, Un clamoroso “revirement” della Cassazione: dalla

“questione Superga” al “caso Meroni”), per arrivare poi ad altrettanto

importanti pronunce degli anni ’90 (cfr. Cass. Sez. Un. 22 luglio

1999, n. 500, in tutte le principali riviste), con le quali viene accolto

definitivamente un concetto di illecito extracontrattuale atipico e con

funzione prevalentemente compensativa.

Della necessità di tutelare adeguatamente i diritti assoluti della

persona non si è mai dubitato (anche se, si avrà modo di osservare,

non tutti i diritti assoluti hanno avuto lo stesso trattamento: si veda,

ad esempio, il lungo percorso evolutivo in materia di risarcimento del

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danno non patrimoniale da lesione del diritto alla salute): difficile

appariva, al contrario, prevedere lo stesso grado di tutela per un

diritto relativo quale il diritto di credito.

Il diritto in questione non ha carattere assoluto, non ha una portata

erga omnes, ed anzi rileva solo in capo alle parti dell’obbligazione.

Certo il creditore vanta pur sempre un interesse all’adempimento

dell’obbligazione tanto nei confronti del debitore quanto nei confronti

di terzi estranei al rapporto obbligatorio. Questo profilo dinamico

costituisce naturalmente un fattore determinante nel rapporto tra le

parti e, pertanto, non può non essere preso in considerazione

fintanto che l’obbligazione esiste e con essa l’interesse del creditore

a non veder pregiudicata la propria posizione a causa

dell’interferenza di terzi.

Nel caso, ad esempio, della morte del debitore per fatto altrui, la

pretesa creditoria verrebbe inesorabilmente ad estinguersi: questa è,

dunque, la chiave di lettura del problema, poiché solo in questo

modo è stato possibile ammettere che proprio questo interesse, non

qualificabile come diritto assoluto, possa ricevere adeguata tutela

giuridica in tutti i casi in cui si verifichi un’ingerenza ingiustificata, tale

da pregiudicarne la realizzazione.

Ancor più efficace, almeno in apparenza, l’analisi mossa da altro

angolo prospettico: dal tenore dell’art. 1180 c.c., norma che ammette

l’adempimento dell’obbligazione da parte di un soggetto diverso dal

debitore, sarebbe stato possibile, a contrario, riconoscere che anche

l’inadempimento possa essere causato dal fatto di un terzo. Entrambi

i casi, quello dell’adempimento e della lesione cagionata dal terzo,

altro non sono che due facce della stessa medaglia. A cambiare è

solo la conseguenza dell’insinuazione nel rapporto obbligatorio di un

soggetto ad esso estraneo: nel primo caso questa è rappresentata

dal soddisfacimento della pretesa creditoria, nel secondo dalla

vanificazione dell’interesse all’adempimento (cfr., ancora, Busnelli,

La lesione del credito da parte di terzi, Milano, 1964, p. 30 ss.).

Non mancavano, oltretutto, alcune antinomie evidenti: se infatti si

escludeva aprioristicamente la possibilità di tutelare il credito in via

aquiliana, al tempo stesso si riconoscevano, pur tuttavia in

determinati casi, alcune eccezioni, come nel caso di lesione del

diritto agli alimenti.

Si ammetteva pacificamente, infatti, il risarcimento a favore di quei

soggetti il cui diritto agli alimenti fosse venuto meno a seguito della

scomparsa dell’alimentante per il fatto illecito di un terzo, anche nei

casi di aspettativa legittima di un credito (alimentare) futuro (cfr.

Cass., 25 giugno 1981, n. 4137, in Riv. giur. circ. e trasp., 1981,

1054, con nota di Alpa, La liquidazione del danno per la morte di un