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1 IL CONTENZIOSO IN MATERIA DI SINISTRI STRADALI: LE PRINCIPALI PROBLEMATICHE SOSTANZIALI E PROCESSUALI ****** Villa di Castel Pulci Scandicci 4 luglio 2017 ****** Relatore: Dott. Massimo Donnarumma (giudice del Tribunale di Firenze) ****** 1 Statuto della responsabilità da circolazione di veicoli: genesi e tratti distintivi Da più parti si è detto in dottrina che l’intero sistema della responsabilità civile è fondato sulla centralità della persona umana. Come tale, esso non può non avere un diretto fondamento costituzionale e ciò vale anche nella materia della responsabilità per danni da circolazione stradale. Il principio del neminem laedere assume valenza costituzionale, poiché concerne la tutela della persona umana: il riferimento va, in pri mo luogo, all’art. 32 Cost., secondo il quale la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. La salute, indispensabile presupposto per il godimento di tutti gli altri diritti costituzionali, costituisce il diritto fondamentale, la cui lesione impone un integrale risarcimento del danno. La necessità di una completa e piena riparazione dei danni alla persona è oggi un punto fermo difficilmente contestabile: semmai, si discute sulla liquidazione del

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IL CONTENZIOSO IN MATERIA DI SINISTRI STRADALI:

LE PRINCIPALI PROBLEMATICHE

SOSTANZIALI E PROCESSUALI

******

Villa di Castel Pulci – Scandicci

4 luglio 2017

******

Relatore: Dott. Massimo Donnarumma (giudice del Tribunale di Firenze)

******

1 – Statuto della responsabilità da circolazione di veicoli: genesi e tratti distintivi

Da più parti si è detto in dottrina che l’intero sistema della responsabilità civile è

fondato sulla centralità della persona umana.

Come tale, esso non può non avere un diretto fondamento costituzionale e ciò vale

anche nella materia della responsabilità per danni da circolazione stradale.

Il principio del neminem laedere assume valenza costituzionale, poiché concerne la

tutela della persona umana: il riferimento va, in primo luogo, all’art. 32 Cost.,

secondo il quale la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto

dell’individuo e interesse della collettività.

La salute, indispensabile presupposto per il godimento di tutti gli altri diritti

costituzionali, costituisce il diritto fondamentale, la cui lesione impone un integrale

risarcimento del danno.

La necessità di una completa e piena riparazione dei danni alla persona è oggi un

punto fermo difficilmente contestabile: semmai, si discute sulla liquidazione del

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danno, sull’individuazione dell’oggetto dell’obbligazione risarcitoria e sulla sua

misurazione in termini pecuniari.

Non è un caso, in quest’ottica, che, in relazione al tema della responsabilità da

circolazione dei veicoli, la Corte Costituzionale (sentenza N. 77 del 24.3.1983)

abbia rimarcato che il sistema normativo previsto nel nostro paese pone in massimo

rilievo la tutela del terzo danneggiato.

Con questo obbiettivo l’ordinamento ha istituito l’assicurazione obbligatoria,

ponendo la norma di ordine pubblico per cui ogni veicolo o natante deve essere

assicurato: in tal modo si realizzano, nella materia de qua, le esigenze di solidarietà

sociale cui l’art. 2 Cost. ha conferito rilevanza costituzionale.

L’estensione dell’area dei danni risarcibili, la preminenza del rapporto di causalità

sull’elemento soggettivo, l’individuazione di criteri di collegamento che prescindono

del tutto o in parte dalla colpa, l’adozione di modelli no fault testimoniano di una

progressiva trasformazione della regola di responsabilità in sistemi di social

security.

Secondo la Consulta (sentenza N. 24 del 14.2.1973) l’introduzione nel nostro

ordinamento dell’assicurazione obbligatoria con la legge 24 dicembre 1969, N. 990,

è il punto di arrivo di un ampio movimento di idee, di studi e di proposte di legge

ispirate dall’esigenza di garantire il risarcimento del danno alle vittime della

circolazione stradale, esigenza ritenuta di pubblico interesse.

La vera finalità del sistema non sta nel salvaguardare il patrimonio del responsabile,

bensì nel garantire un risarcimento al danneggiato passando per una distribuzione

mutualistica del rischio.

Sicché, sono state previste a tutela del danneggiato:

- l’obbligatorietà dell’assicurazione, innanzitutto;

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- l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore (art. 18 della L. N. 990/1969,

ora art. 144 del C.d.a.), azione che concorre con quella verso il responsabile

dell’illecito ex art. 2054 c.c. e che pone il danneggiato a riparo dal pregiudizio

di un’eventuale insolvibilità del responsabile e, comunque, rafforza la

protezione del danneggiato;

- l’inopponibilità delle eccezioni inerenti al rapporto contrattuale assicurativo;

- l’istituzione del Fondo di Garanzia.

In questo contesto si inquadra anche l’ulteriore disposizione (prima art. 22 della L. N.

990/1969, ora art. 145 del D. Lgs. N. 209/2005) che, subordinando la proponibilità

dell’azione del danneggiato alla previa comunicazione all’istituto assicuratore della

richiesta di risarcimento del danno ed al successivo decorso del termine di giorni

sessanta, intende porre le imprese nella condizione di istruire la pratica e di

raccogliere tutti gli elementi di valutazione, così che sia favorita la possibilità di

liquidazione dell’indennizzo in via stragiudiziale, in chiave deflattiva del

contenzioso.

È fortemente sintomatico della centralità della tutela del danneggiato il fatto che il

legislatore abbia reso l’obbligazione dell’assicuratore verso la vittima del sinistro

in qualche misura indipendente dall’obbligazione verso l’assicurato.

Ciò accade, per esempio, quando, ai sensi dell’art. 2054, comma terzo, c.c., viene

meno la responsabilità del proprietario del veicolo o dei soggetti a lui equiparati

(responsabilità che, in linea di principio, è solidale con quella del conducente),

laddove risulti provato che la circolazione del veicolo è avvenuta prohibente

domino.

In tal caso, l’assicuratore deve, comunque, indennizzare il danneggiato, salvo il

diritto di ottenere dal conducente la restituzione di quanto abbia pagato al

danneggiato.

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Quando, poi, il danno sia stato provocato dalla circolazione di un veicolo non

assicurato, l’indennità corrisposta dai soggetti che operano nell’ambito del sistema

del Fondo di Garanzia potrà essere recuperata ottenendone la restituzione dai

responsabili del sinistro e, perciò, dal solo conducente nell’ipotesi di circolazione

avvenuta contro la volontà del proprietario o anche di questi nel caso contrario.

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2 – Le fattispecie di responsabilità di cui all’art. 2054 c.c. e le altre fonti

normative

A) Come si è già detto, il risarcimento del danno derivante dalla circolazione di

veicoli rientra nel più vasto ambito della responsabilità extracontrattuale.

È noto che i criteri generali in tema di responsabilità extracontrattuale

(responsabilità da fatto illecito o responsabilità aquiliana) sono dettati dall'art. 2043

c.c., che costituisce norma cardine della responsabilità extracontrattuale e che, ai fini

della configurabilità dell'obbligo risarcitorio, richiede la presenza di un fatto

causativo di un danno ingiusto connotato, sul piano soggettivo, dalla colpa o dal dolo

di chi lo ha commesso: elementi, questi, che devono esser provati da chi agisce in

giudizio domandando il risarcimento del danno subito.

Tuttavia, il nostro codice civile prevede una disposizione ad hoc relativa alla

responsabilità civile connessa alla circolazione di veicoli; disposizione che contiene

alcune particolarità rispetto alla fattispecie generale di cui all'art. 2043 c.c.

L'art. 2054 c.c., difatti (dedicato proprio alla « circolazione dei veicoli»), prevede, al

comma 1, l'obbligo per il conducente di un veicolo di risarcire il danno prodotto a

persone o a cose dalla circolazione del veicolo stesso, « se non prova di aver fatto

tutto il possibile per evitare il danno ».

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È questione controversa quale sia il criterio di imputazione della responsabilità

regolata dalla citata disposizione: v’è chi ritiene che si tratti pur sempre di una

responsabilità per colpa, chi, invece, parla di responsabilità oggettiva, chi, ancora, di

responsabilità semioggettiva.

Chi ritiene che si tratti di responsabilità oggettiva evidenzia come, sul piano

normativo, si richieda, ai fini della prova liberatoria, la dimostrazione della condotta

prudente e diligente del conducente, ma come, in concreto, parte della giurisprudenza

sia solita richiedere la prova di un fatto che interrompa il nesso di causalità ovvero

del fatto del terzo o del caso fortuito, elementi, questi, esterni alla condotta del

conducente e, quindi, al profilo colposo.

Secondo altra visione prospettica, le fattispecie di responsabilità, come quelle in

esame, in cui la prova liberatoria gravante sull'agente consiste nella dimostrazione di

aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, sarebbero in realtà da

intendersi in chiave di responsabilità semioggettiva.

Un'ulteriore impostazione, invece, individua il criterio di imputazione della

responsabilità in parola pur sempre nella colpa.

Si tratterebbe, infatti, di un'ipotesi di c.d. responsabilità aggravata: la circolazione dei

veicoli (senza guida di rotaie) costituisce «attività pericolosa», con la conseguenza

che il legislatore ha scelto di derogare al principio generale secondo cui è il

danneggiato, al fine di ottenere il risarcimento del danno, ad essere onerato della

prova non solo di aver subito un danno, ma anche del nesso di causalità tra fatto e

danno (ovvero, in pratica, che il danno è stato cagionato dal soggetto dal quale si

pretende di essere risarciti), nonché della colpa (o del dolo) del danneggiante.

Il medesimo art. 2054 c.c. dispone poi, al comma 2, che «nel caso di scontro tra

veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia

concorso ugualmente a produrre il danno subìto dai singoli veicoli».

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Anche in tali ipotesi, controversa è la natura del relativo criterio di imputazione.

Se, infatti, secondo un primo orientamento interpretativo, ricorrerebbe un'ipotesi di

responsabilità oggettiva in capo al conducente, v’è altro indirizzo che riconduce

l'ipotesi di responsabilità in parola nello schema di imputazione per colpa,

evidenziando, ancora una volta, le peculiarità rispetto al modello di cui all'art. 2043

c.c.

Il comma 3 del medesimo art. 2054 c.c. è dedicato alla specifica problematica della

responsabilità del proprietario del veicolo condotto da altri: in particolare, esso

dispone che «il proprietario del veicolo o, in sua vece, l'usufruttuario o l'acquirente

con patto di riservato dominio, è responsabile in solido col conducente, se non prova

che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà», mentre l'ultimo

comma del medesimo art. 2054 c.c. prevede, «in ogni caso», la responsabilità delle

persone indicate dall'art. 2054 c.c. in parola (ovvero «il conducente di un veicolo

senza guida di rotaie», il «proprietario del veicolo o, in sua vece, l'usufruttuario o

l'acquirente con patto di riservato dominio») per i «danni derivanti da vizi di

costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo».

B) In ordine alle ipotesi di responsabilità delineate dall’art. 2054 c.c. ed alla natura

del criterio di imputazione si sono, recentemente, pronunciate le Sezioni Unite con la

sentenza N. 8620 del 29.4.2015, evidenziando, innanzitutto, che l'art. 2054 c.c.

accorpa quattro ipotesi di responsabilità, apparentemente eterogenee, assunte sotto

l'unica nozione di "circolazione dei veicoli".

Secondo la Suprema Corte, l'art. 2054, comma 1, prevede un obbligo di prevenzione

"unilaterale" (in una situazione, definita dalla dottrina di "unilateralità del rischio da

circolazione"), facendo carico al conducente, per liberarsi dalla presunzione di

responsabilità per i danni arrecati a persone o a cose "dalla circolazione del veicolo",

di provare di "aver fatto tutto il possibile per evitare il danno", intendendosi per tale,

non già l'impossibilità o la diligenza massima, bensì l'avere osservato, nei limiti della

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normale diligenza, un comportamento esente da colpa e conforme alle regole del

codice della strada, da valutarsi dal giudice con riferimento alle circostanze del caso

concreto. Il secondo comma postula una situazione di rischio "comune" da

circolazione stradale, qual è quella del "caso di scontro tra veicoli", presumendo che

ognuno dei conducenti "abbia ugualmente concorso a produrre il danno", salvo prova

liberatoria (e, cioè, di aver fatto "tutto il possibile per evitare il danno").

Il terzo comma estende il rischio da circolazione, come prefigurato dai due commi

precedenti, al proprietario (e ai soggetti ad esso equiparati), presumendone la

responsabilità solidale per il fatto del conducente, sul presupposto dell'incauto

affidamento, allorché "non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la

sua volontà", e cioè non dimostra di aver tenuto un concreto ed idoneo

comportamento ostativo, specificamente inteso a vietare ed impedire la circolazione

del veicolo ed estrinsecatosi in atti e fatti rivelatori della diligenza e delle cautele allo

scopo adottate. Infine, l'ultimo comma prevede "in ogni caso" la responsabilità di

tutte le persone sopra indicate per i danni derivanti da "vizi di costruzione o da

difetto di manutenzione del veicolo", con la conseguenza che esse sono esonerate da

responsabilità solo ove risulti dimostrata l'interruzione del nesso causale tra l'evento e

la circolazione del veicolo, attraverso la prova dell'esistenza del caso fortuito ovvero

dell'inesistenza del vizio di manutenzione o costruzione.

Se si cerca il "filo" che collega, sotto l'unica rubrica di "circolazione di veicoli", tutte

queste ipotesi di responsabilità presunta e, nel caso dell'ultimo comma, di

responsabilità oggettiva (cfr. Cass. 06 agosto 2004, n. 15179; Cass. 09 marzo 2004, n.

4754), questo va individuato nella pericolosità dei due elementi caratterizzanti tutte

le ridette ipotesi e, cioè, della circolazione e del veicolo - non già singolarmente

intesi, ma nella loro interazione - per la considerazione della prevedibilità del danno

che ne può derivare a persone e cose.

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La disciplina dell'art. 2054 cod. civ. costituisce, invero, un'applicazione della regola

generale posta dal precedente art. 2050 c.c., nel senso che la circolazione dei veicoli è

stata considerata dal legislatore un caso particolare di attività pericolosa, come

risulta espressamente affermato nella Relazione ministeriale al codice civile, laddove,

nello spiegare il trattamento dettato per le attività pericolose (art. 2050 c.c.), si

afferma che "il principio consacrato nell'art. 120 del testo unico delle disposizioni per

la tutela delle strade e per la circolazione 8 dicembre 1933, n. 1740, riprodotto

nell'art. 2054 c.c., è stato esteso a tutte le attività che possono creare pericolo per i

terzi" (sub n. 795) e, successivamente, nell'illustrare l'art. 2054 c.c. (sub n. 796) si

ribadisce che: "dettata nell'art. 2050 c.c., la regola generale sopra esposta, di essa si fa

applicazione nell'art. 2054 c.c., ove si regola la responsabilità per la circolazione dei

veicoli, già disciplinata nell'art. 120 C.d.S.".

L'art. 120 C.d.S. del 1933 è stato sostanzialmente trasposto nell'art. 2054 c.c.

(con alcune precisazioni che la pratica aveva indotto a ritenere necessarie) e nel

contempo se ne è ricavata una norma generale (l'art. 2050 c.c.), con la conseguenza

che la circolazione dei veicoli concreta una species rispetto al genus delle attività

pericolose, come è confermato dall'identità della prova liberatoria per il superamento

della presunzione di responsabilità, prevista rispettivamente dall'art. 2050 c.c. (che

richiede la dimostrazione di "avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno")

e dall'art. 2054 c.c., comma 1, (che prevede la dimostrazione che il conducente ha

fatto "tutto il possibile per evitare il danno").

Anche la responsabilità del proprietario (e soggetti equiparati), di cui ai commi 3 e 4,

è espressione del rischio insito nella circolazione dei veicoli ed è correlata al

principio cuius commoda eius et incommoda, con una sostanziale differenza; ciò in

quanto, nell'ipotesi di cui al comma 3, che è di responsabilità per colpa (presunta), la

prova liberatoria consisterà nella dimostrazione da parte del proprietario

dell'assolvimento dell'obbligo comportamentale imposto al conducente dai commi

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precedenti (di aver fatto "tutto il possibile per evitare il danno") ovvero nella prova

che la circolazione è avvenuta contro la sua volontà, mentre, nell'ipotesi di cui al

comma 4, che è di responsabilità oggettiva, occorrerà la prova, da parte di tutti i

soggetti di cui ai commi precedenti, dell'interruzione del collegamento causale

dell'evento con un vizio di costruzione o di manutenzione (id est con la circolazione

del veicolo), attraverso la dimostrazione di un fattore esterno che, con propria

autonoma ed esclusiva efficienza causale, abbia determinato il verificarsi del danno,

nel qual caso, unico responsabile di esso sarà il soggetto cui va ascritta la

responsabilità in ordine al fattore sopraggiunto.

È evidente, poi, che è proprio la peculiarità della fattispecie di responsabilità prevista

"in ogni caso" dall'art. 2054 c.c., u.c., a spiegare perché, nel caso di veicolo che si

trovi al di fuori del possibile controllo del conducente (qual è quello del veicolo

regolarmente parcheggiato sulla pubblica via), non sia consentito al proprietario (ed

agli altri soggetti indicati nei commi precedenti, tra cui il conducente) di sottrarsi alla

responsabilità per i danni derivati dalla circolazione (fatta, per quanto innanzi detto,

di movimento e di sosta) per vizi di costruzione o per difetto di manutenzione, ove sia

mancata la dimostrazione di un apporto causale esterno (il caso fortuito, ivi incluso il

fatto doloso del terzo) in assenza del quale, per il vero, non è dato ipotizzare altro che

un guasto tecnico.

C) Ciò premesso, è il caso di soggiungere come anche nella materia oggetto della

presente trattazione trovino applicazione quei principi dell’ordinamento che non

sono espressamente derogati dalla particolare disciplina di cui all'art. 2054 c.c.

E ciò, in particolare, sia con riferimento al sorgere dell'obbligo risarcitorio (ad

eccezione, in estrema sintesi, della tematica della sussistenza, e dell'accertamento,

della colpa, elemento, come visto, affrontato in modo specifico dalla disciplina

particolare della responsabilità civile per i danni cagionati dalla circolazione di

veicoli) sia con riferimento alla liquidazione del danno (relativamente al quale vige il

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rinvio operato dall'art. 2056 c.c., in materia di « valutazione dei danni » da fatto

illecito, ai criteri generali di cui agli artt. 1223 ss. c.c.).

D) Peraltro, accanto all’impianto normativo sin qui illustrato (ex art. 2054 c.c.),

devono considerarsi alcune rilevanti normative di settore.

In particolare, assumono rilievo in materia di responsabilità civile da sinistro stradale

il c.d. Codice della strada (d.lgs. n. 285/1992), nonché il c.d. Codice delle

assicurazioni private (d.lgs. n. 209/2005).

Nel Codice della strada sono dettate le norme di condotta cui sono tenuti gli utenti

della strada, norme che rilevano in sede di indagine in ordine alla sussistenza degli

elementi richiesti dal legislatore per l'affermazione della responsabilità civile in capo

ai soggetti coinvolti in un sinistro stradale.

Quanto, invece, al Codice delle assicurazioni private, va ricordato che nel nostro

ordinamento la copertura dei rischi derivanti dalla circolazione degli autoveicoli è

gestita con un meccanismo che vede coinvolte le regole della responsabilità civile e

del contratto di assicurazione in una logica third party insurance: tale sistema

prevede, in sintesi, che l'assicuratore si impegni, contro pagamento di un premio, a

tenere indenne l'assicurato per i danni che questi abbia cagionato a terzi.

In definitiva, lo statuto della responsabilità per danni da circolazione stradale è

costituito, oltre che dall'art. 2054 c.c. e dalle disposizioni generali in materia di

responsabilità civile, per quanto applicabili, anche dalle norme dettate dal Codice

della strada, dagli artt. 122-160 Cod. ass., nonché dalle disposizioni generali dettate

dal codice civile in tema di contratto di assicurazione.

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3 – La nozione di circolazione stradale e le nozioni correlate

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A) L’art. 122 del Codice delle Assicurazioni prevede che i veicoli possano essere

messi in circolazione solo se coperti dall’assicurazione per la responsabilità civile

derivante – appunto – dalla circolazione dei veicoli.

Occorre stabilire, pertanto, cosa debba intendersi per circolazione dei veicoli.

A tal proposito, esiste uno spunto normativo nell’art. 3 del Codice della Strada, a

tenore del quale la “circolazione è il movimento, la fermata e la sosta dei pedoni, dei

veicoli e degli animali sulla strada”.

Sostanzialmente, tale nozione coincide con quella elaborata dalla giurisprudenza e

dalla dottrina in relazione all’art. 2054 c.c., che usa il termine circolazione:

- al comma primo, il quale prevede che il conducente di un veicolo senza guida

di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla

circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare

il danno;

- al comma terzo, secondo il quale il proprietario del veicolo o, in sua vece,

l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato dominio è responsabile in

solido col conducente se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta

contro la sua volontà.

Si considera in circolazione anche un veicolo parcheggiato sulla pubblica via ed, a

tal proposito, disponeva, testualmente, l’art. 2, comma primo, del DPR 24 novembre

1970, N. 973 (Regolamento di esecuzione della L. 24 dicembre 1969, N. 990): “sono

considerati in circolazione anche i veicoli in sosta su strade di uso pubblico o su aree

a queste equiparate”.

Ciò perché la sosta, intesa come arresto del veicolo protratto nel tempo, è uno stato

suscettibile di trasformarsi in ogni momento in movimento.

Si è precisato in giurisprudenza che, pur comprendendo la nozione di circolazione

anche i veicoli momentaneamente in sosta (Cass. Civ., 17.6.1993, N. 6750), non può

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considerarsi evento correlato alla circolazione l’incendio propagatosi da un veicolo

in sosta ed appiccato dall’azione dolosa di terzi, con la conseguenza che, in tal caso,

il danneggiato non ha azione diretta verso l’assicuratore del veicolo dal quale si è

propagato l’incendio (Cass. Civ., 18.4.2000, N. 5033).

Dunque, nell’ampio concetto di circolazione stradale, indicato dall’art. 2054 c.c.

come possibile fonte di responsabilità, rientrano anche le posizioni di arresto,

fermata e sosta su area pubblica, poiché anche in tali condizioni sussiste la

possibilità di uno scontro o, comunque, di un’interferenza con la circolazione di altri

veicoli o di persone ed anche in tali contingenze il conducente non può ritenersi

esonerato dall’obbligo di assicurare l’incolumità dei terzi.

Rilevano, in definitiva, anche le fasi c.d. non dinamiche.

B) Di recente, in relazione ad un caso di danno derivante dall’utilizzo di un braccio

elevatore di una gru, si sono pronunciate le Sezioni Unite della Suprema Corte

(sent. cit. N. 8620/2015).

La pronuncia costituisce punto di arrivo di un dibattito dall'esito non scontato, che

ha investito negli anni la dottrina e la giurisprudenza, tanto che la Terza Sezione della

Cassazione, con ordinanza N. 5053/2014, ne aveva rimesso la soluzione al massimo

consesso decisionale di quell'organo.

In particolare, era stata avvertita l'esigenza di definire l'ambito applicativo del

concetto di circolazione stradale, con riguardo tanto al profilo statico/logistico quanto

a quello operativo/funzionale dei veicoli coinvolti in un sinistro e ciò ai fini della

verifica dell'area sottoposta alla disciplina dell’assicurazione obbligatoria.

La sezione rimettente aveva rilevato che, ferma la generale accettazione che nel

significato di circolazione vadano compresi sia i veicoli in movimento che quelli in

stato di quiete (arresto, fermata, sosta), non vi era, invece, unicità di indirizzo

rispetto a talune ipotesi di sosta, in occasione delle quali il veicolo svolgeva

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peculiari operazioni, funzionalmente riconducibili proprio alle caratteristiche del

mezzo.

Si era, infatti, constatato che ad un orientamento che equiparava semplicemente lo

stato di quiete al movimento — includendo nella disciplina dettata in materia di

assicurazione obbligatoria il veicolo per il solo fatto di sostare su strada o area

pubblica o ad essa equiparata — se ne contrapponeva un secondo, per il quale

occorreva invece verificare la esistenza o meno di un nesso eziologico tra il sinistro e

la circolazione, e prima ancora un rapporto tra le funzioni esplicate in quel momento

dal veicolo in sosta e l'evento dannoso, che fosse sussumibile nell'alveo della

circolazione.

In alternativa, infatti, si riteneva possibile che la fattispecie lesiva si fosse realizzata

per mera occasionalità in un'area di circolazione, senza tuttavia rapportarsi a questa in

alcun modo.

Pertanto, il quesito con il quale il collegio della Terza Sezione rimetteva gli atti al

Primo Presidente della Corte verteva sui «limiti e [del]le condizioni di applicabilità

del concetto di circolazione stradale tanto sotto il profilo statico/logistico quanto

sotto quello operativo/funzionale, e [de]i limiti e [del]le condizioni di applicabilità

del concetto in parola alla sosta di un veicolo sottoposto al regime della

assicurazione obbligatoria».

L'intento del quesito, più che finalizzato a fissare il concetto di circolazione stradale,

era dunque riconducibile alla esigenza di superare, una volta per tutte, le incertezze

sulla applicabilità delle regole della assicurazione obbligatoria, e con esse delle

conseguenze sia di ordine processuale (l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore

ed il litisconsorzio necessario di questi, dell'autore della condotta illecita, del soggetto

che, nella titolarità di una delle posizioni previste dall'art. 2054, comma 3, c.c.,

risponde in solido dei danni), sia di ordine sostanziale-processuale

(il quantum assicurato quale limite della domanda nei confronti dell'assicuratore, le

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presunzioni vigenti nella responsabilità da circolazione di veicoli, con l'inversione

dell'onere della prova per la esclusione della condotta colposa del conducente, la

sostituzione del Fondo di Garanzia per tutte le ipotesi previste dalla legge).

In altri termini, pur riconoscendosi generalmente che il concetto di circolazione

comprenda entrambe le vicende fenomeniche, sia quelle collegate al c.d. rischio

dinamico che quelle correlate al rischio statico nella circolazione dei veicoli, andando

a considerare in concreto la casistica dei sinistri in cui era coinvolto un mezzo in stato

di quiete, sia esso in posizione di arresto, di fermata o di sosta, non vi era omogeneità

di decisioni in ordine alla sussunzione delle concrete fattispecie nel regime della

assicurazione obbligatoria.

Per esempio, in talune ipotesi, si riteneva interrotto il nesso eziologico tra la

circolazione dei veicoli e l'evento dannoso, e ciò a seconda del punto d'osservazione,

e della prevalenza o meno della attenzione sulla attività funzionale in quel momento

svolta dal veicolo in sosta, piuttosto che sull'elemento spaziale in cui il veicolo si

trovava ad operare.

La casistica sulla quale si erano concentrati i maggiori dubbi riguardava mezzi

che circolano sui luoghi deputati a tanto, ma che per le loro caratteristiche, quali

macchine operatrici o mezzi speciali, svolgono specifiche funzioni.

Sicché, a questi veicoli ed alla circostanza che l'evento dannoso si verifica in

occasione della loro operatività si era soliti ricondurre interpretazioni che

escludevano l'area applicativa del concetto di circolazione stradale.

Componendo il contrasto, le Sezioni Unite hanno statuito che “la nozione tecnico

giuridica di circolazione stradale, quale assunta dall'art. 2054 c.c. (e, perciò,

rilevante ai fini dell'operatività della garanzia assicurativa) ha una connotazione

diversa e più ampia rispetto a quella che il termine "circolazione" assume nel

linguaggio comune, sostanzialmente evocante l'idea dello spostamento o movimento,

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dovendo il concetto di "circolazione stradale", al di là dell'apparente incongruità

lessicale, comprendere anche la "circolazione statica", e, cioè, anche i momenti di

quiete dei veicoli, siccome costituenti un'utilizzazione della strada al pari del

transito. Tanto risulta expressis verbis dal Codice della Strada, e segnatamente dalla

definizione contenuta sub n. 9 dell'art. 3 (a tenore del quale si intende per

circolazione "il movimento, la fermata e la sosta dei pedoni, dei veicoli e degli

animali sulla strada"), nonché nell'art. 157, lett. c) (secondo cui "per sosta si intende

la sospensione della marcia del veicolo protratta nel tempo, con possibilità di

allontanamento da parte del conducente") e trova indiretta conferma dalla

considerazione del principio informatore dello stesso Codice sub art. 140 ("Gli utenti

della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la

circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale"),

giacché anche la condizione statica di ingombro da parte del veicolo della sede

stradale interferisce con la circolazione. Ma anche al di là del riferimento alle norme

del C.d. S. (che pure appare corretto, avuto riguardo all'origine storica dell'art. 2054

c.c., che è una trasposizione di una norma del Codice della strada del 1933), è la

stessa ratio legis della norma cit. che suggerisce una nozione "ampia" di circolazione

stradale” (Cass. Civ., Sez. Un., 29.4.2015, N. 8620).

Secondo le Sezioni Unite, la ratio legis risiede nella pericolosità della circolazione

stradale, giacché anche in occasione di fermate o soste sussiste la possibilità di

incontro o, comunque, di interferenza con la circolazione di altri veicoli o persone, in

quanto i veicoli, seppur fermi, ostacolano o alterano il movimento degli altri veicoli,

ingombrando necessariamente la sede stradale (cfr. Corte Cost., 2-14 aprile 1969, N.

82), con la conseguenza che anche in tali contingenze il conducente ed il proprietario

non possono ritenersi esonerati dall’obbligo di assicurare l’incolumità di terzi.

Ciò vale anche per i danni verificatisi quando il veicolo trovasi al di fuori del

possibile controllo del conducente, con il limite di quelli derivanti da causa

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sopravvenuta, quale l’azione dolosa di un terzo, di per sé sufficiente a determinare

l’evento dannoso.

Su questi presupposti, in ordine al caso concreto sottoposto alla loro attenzione, le

Sezioni Unite hanno ritenuto che l’utilizzo del braccio elevatore per l’operazione di

carico dovesse intendersi come rientrante nel concetto di circolazione, essendo, tra

l’altro, pacifico che l’autogru si trovava in una strada pubblica od equiparata e che

l’uso che si faceva della stessa corrispondeva all’utilitas propria del mezzo.

C) Mette conto precisare, sul piano terminologico, che alla luce dell’art. 157 del

Codice della Strada:

- per arresto si intende l’interruzione della marcia dovuta ad esigenze della

circolazione;

- per fermata si intende la temporanea sospensione della marcia anche se in area

ove non sia ammessa la sosta, per consentire la salita o discesa delle persone

ovvero per altre esigenze di brevissima durata; durante la fermata, che non

deve arrecare intralcio alla circolazione, il conducente deve essere pronto a

riprendere la marcia;

- per sosta si intende la sospensione della marcia del veicolo protratta nel tempo,

con possibilità di allontanamento da parte del conducente; sosta di emergenza

è, invece, l’interruzione della marcia in caso di inutilizzabilità del veicolo per

avaria ovvero per un malessere fisico del conducente o di un passeggero.

Com’è evidente, la differenza tra sosta e fermata è data dall’elemento temporale

ovvero dalla durata della sospensione della marcia.

D) Da precisare, poi, a proposito delle fasi non dinamiche della circolazione, che

rileva, ai fini del 2054 c.c., come possibile fonte di responsabilità, oltre che la

posizione di arresto del veicolo, anche quella della partenza o, meglio, rilevano le

operazioni eseguite in funzione della partenza, tant’è che secondo la Suprema Corte

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va risarcito il danno derivato al passeggero dalla chiusura inerziale dello sportello

verificatasi a causa della partenza (cfr. Cass. Civ., 29.11.2004, N. 22374).

Parimenti, si è affermato che, in caso di danno provocato ad un motociclista

sopraggiungente dal terzo che, trasportato su una vettura arrestata sulla pubblica via,

abbia aperto lo sportello provocando un urto, sussiste responsabilità del predetto

terzo ex art. 2043 c.c. nonché quella del proprietario e del conducente

dell’autovettura ex art. 2054 c.c. (cfr. Cass. Civ., 15.10.1997, N. 10110).

In tal caso si configura una responsabilità solidale, stante l’imputabilità dell’unico

evento dannoso alla condotta causalmente efficiente dei predetti soggetti, a nulla

rilevando la diversità del titolo delle singole responsabilità (cfr. Cass. Civ., 6.6.2002,

N. 8216).

E) Coerentemente con quanto si è detto a proposito della nozione di circolazione, per

“scontro” deve intendersi qualsiasi urto tra due o più veicoli in marcia ovvero tra uno

in moto ed uno fermo.

La presunzione di colpa concorrente opera, quindi, anche quando uno dei due veicoli

sia in sosta su area pubblica, atteso che il conducente che lascia il veicolo in sosta su

area pubblica è tenuto ad adottare le cautele necessarie per impedire situazioni di

pericolo o incidenti.

Sotto altro profilo, deve ritenersi che la presenza di un veicolo fermo sulla corsia di

sorpasso di un’autostrada costituisca un evento del tutto imprevedibile, che si pone in

contrasto, oltre che con le norme anzidette, anche con quelle della convivenza civile.

Per “conducente” si intende chiunque sia preposto alla guida di un veicolo e abbia

l’effettiva disponibilità dei congegni meccanici atti a determinare il movimento e la

direzione ovvero a dirigerne e controllarne la circolazione.

Stante l’ampiezza della nozione di circolazione, è da ritenere che un conducente vi

sia anche quando il veicolo, lasciato in sosta nella pubblica via, si metta

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spontaneamente in moto per una qualsiasi causa, come, per esempio, per una difettosa

tenuta dei freni, perché in tal caso sarà da considerare conducente chi lo abbia guidato

fino a quel punto ed ivi l’abbia lasciato in sosta.

“Veicolo” è, invece, ogni mezzo o strumento idoneo a trasportare persone o cose

circolando senza guida di rotaie, con esclusione quindi del tram e della rete

ferroviaria (Cass. Civ., III, 29.5.2015, N. 11192).

Solo i mezzi stabilmente impossibilitati a muoversi non assurgono al concetto di

veicolo; per l’operatività della garanzia per la R.C.A. è necessario il mantenimento,

da parte del veicolo, nel suo trovarsi su strada di uso pubblico o sull’area parificata,

delle caratteristiche che lo rendono tale sotto il profilo concettuale; è necessario che il

veicolo possa intendersi tale in relazione alle sue funzionalità, risultando, invece,

indifferente l’uso che in concreto si faccia dello stesso, sempre che rientri in quello

che secondo le sue caratteristiche il veicolo può avere (vd. Cass., Sez. Un., cit.).

F) Dopo le Sezioni Unite del 2015, la Suprema Corte è ritornata sul concetto di

circolazione stradale ai fini della operatività della disciplina sulla assicurazione

obbligatoria con una pronuncia della III civile (Cass. Civ., III, 19.2.2016, N. 3257),

che ha confermato l'orientamento espresso con la sentenza N. 8620/2015.

La fattispecie riguardava un sinistro mortale causato da una operazione imperita,

eseguita dal proprietario di un mezzo speciale, in sosta sulla pubblica, via nei

pressi di una officina e in attesa di riparazione, che, nello sganciare il tirante della

rampa posta sul carrellone a rimorchio dell'automezzo, non si avvedeva della

presenza di un operaio, che rimaneva investito dalla stessa rampa e decedeva a

seguito delle lesioni riportate.

La contestazione — sollevata dalla convenuta società assicuratrice — sulla

riconducibilità del sinistro alla definizione di «fatto derivante dalla circolazione di cui

all'art. 2054 c.c.» veniva accolta dalla Corte di merito, che, pur includendo la sosta

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dell'automezzo nel concetto di circolazione, e dunque nell'alveo applicativo della

disciplina sulla assicurazione obbligatoria per responsabilità civile, ne circoscriveva

l'ambito a quella prodromica al movimento della vettura, escludendo le ipotesi non

funzionalmente collegabili alla circolazione; con conseguente inapplicabilità al caso

di specie, nel quale la sosta aveva costituito una mera occasione durante la quale si

era verificato il fatto dannoso.

La Corte di legittimità, invece, ha cassato la sentenza (decidendo nel merito),

condividendo il più ampio significato che al «fatto della circolazione» era stato

riconosciuto dalla menzionata pronuncia delle Sezioni Unite.

Di questa ha riportato alcuni significativi passaggi, ribadendo, tra l’altro, l’irrilevanza

dell'uso che del mezzo si faccia su aree destinate alla circolazione, purché ciò

avvenga nel rispetto delle caratteristiche del mezzo stesso, in quanto tutte

riconducibili al concetto di «circolazione del veicolo» ai sensi dell'art. 2054 c.c.

La pronuncia in commento acquisisce la prospettiva delle Sezioni Unite, in

particolare laddove esse affermano che la peculiarità della fattispecie di

responsabilità prevista in ogni caso dall'art. 2054, ult. comma, c.c., rende evidente che

nel caso di « veicolo che si trovi al di fuori del possibile controllo del conducente

(qual è quello del veicolo regolarmente parcheggiato sulla pubblica via) non sia

consentito al proprietario (ed agli altri soggetti indicati nei commi precedenti, tra cui

il conducente) di sottrarsi alla responsabilità per i danni derivanti dalla circolazione

... per vizi di costruzione o per difetto di manutenzione, ove sia mancata la

dimostrazione di un apporto causale esterno (il caso fortuito, ivi incluso il fatto

doloso del terzo)».

Aderendo, dunque, alla ricostruzione resa dalle Sezioni Unite sul concetto di «fatto

derivante dalla circolazione», la sentenza in esame non dubita che le lesioni mortali

avvenute per lo sganciamento della rampa del carrellone di rimorchio dell'automezzo,

in sosta su pubblica via, davanti alla officina meccanica che doveva provvedere alla

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riparazione, e dunque in costanza di difetto manutentivo del mezzo, siano

riconducibili a fatto illecito avvenuto nel corso della circolazione stradale «nella sua

omnicomprensiva dimensione dinamico-statica, con conseguente operatività della

garanzia assicurativa».

G) Dal punto di vista processuale, si pone il problema di stabilire cosa debba

intendersi per “circolazione di veicoli” ai fini dell’art. 7 cpc, il quale prevede che il

Giudice di pace è altresì competente per le cause di risarcimento del danno prodotto

dalla circolazione di veicoli e di natanti, purché il valore della controversia non superi

euro ventimila.

Più concretamente, trattasi di stabilire se il giudice di pace debba essere considerato

competente solo nel caso di scontro tra veicoli oppure anche nel caso di incidenti di

singoli veicoli.

A tal proposito, ha statuito la Suprema Corte che la domanda proposta dal conducente

di un veicolo circolante su una strada pubblica contro un comune, per ottenere il

risarcimento del danno derivante un sinistro causato dalle condizioni della strada

comunale, esula dalla competenza ex art. 7, comma secondo, cpc e rientra nella

competenza per valore del giudice di pace nei limiti di cui al comma primo (cfr. Cass.

Civ., 5.9.2014, N. 18813).

Altrimenti, se è più elevata, appartiene alla competenza del tribunale.

******

4 – Strade pubbliche e private

Ai sensi dell’art. 122 del Codice delle Assicurazioni, i veicoli a motore non possono

essere posti in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate

se non siano coperti dall’assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi.

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Invece, l’art. 193 del Codice della Strada prevede, più semplicemente, che i veicoli a

motore non possono essere posti in circolazione sulla “strada” senza la copertura

assicurativa a norma delle vigenti leggi sulla responsabilità civile verso i terzi.

Lo stesso Codice della Strada delinea, poi, la nozione di strada, prevedendo, all’art.

2, che per essa deve intendersi l’area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei

pedoni, dei veicoli e degli animali.

Evidentemente, non assume rilievo la proprietà della strada: ove la stessa sia destinata

in fatto all’uso pubblico, trova applicazione il codice della strada.

Il citato art. 122 del C.d.A. rimanda, invece, ad un regolamento ministeriale per la

individuazione delle aree equiparate a quelle di uso pubblico.

Siffatto regolamento è stato effettivamente emanato con D.M. dell’1.4.2008, N. 86,

che, all’art. 3, dispone che:

- sono equiparate alle strade di uso pubblico tutte le aree, di proprietà pubblica o

privata, aperte alla circolazione del pubblico;

- sono considerati in circolazione anche i veicoli in sosta su strade di uso

pubblico o su aree a queste equiparate.

In giurisprudenza è indirizzo costante che non rilevi la natura pubblica o privata

dell’area aperta alla circolazione, rilevando soltanto l’uso pubblico della stessa

ovvero l’apertura dell’area o della strada ad un numero indeterminato di persone od

anche, detto in altri termini, la possibilità, giuridicamente lecita, di accedere ad esse

da parte di soggetti diversi dai titolari di diritti sulle stesse.

Si è ritenuto anche che non venisse meno l’indeterminatezza dei soggetti aventi

possibilità di accesso lecito alle aree, anche di proprietà privata, aperte alla

circolazione del pubblico per il sol fatto che essi appartenessero tutti ad una o a più

categorie determinate o che il loro accesso avvenisse per particolari finalità e sotto

specifiche condizioni (cfr. Cass. Civ., 11.4.2000, N. 4603, che equipara ad una strada

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di uso pubblico l’area occupata da un cantiere edile aperto al traffico di tutti coloro

che svolgono mansioni all’interno dello stesso e che hanno rapporti commerciali con

l’impresa di costruzioni).

Si sono registrate, per vero, anche posizioni più restrittive in seno alla giurisprudenza

della Suprema Corte, ritenendosi, per esempio, che il cortile di una scuola

configurasse luogo privato, accessibile solo a pochi e ben individuabili veicoli (cfr.

Cass. Civ., 13.5.2002, N. 6811).

Questa giurisprudenza muove dall’enunciato, per cui, per stabilire se il luogo da cui si

sbocca nella strada sia o non soggetto al pubblico passaggio, occorre considerare

l’uso concreto cui il luogo è destinato e cioè se quel luogo sia soggetto anche solo di

fatto al transito abituale di un numero indeterminato o indiscriminato di persone che

si serva di esso passandovi uti cives e non uti singuli.

L’art. 2054 c.c. non usa il termine “strada”, per cui, nel silenzio della legge,

occorre rifarsi alla elaborazione giurisprudenziale resa sul tema.

Si è affermato, a tal proposito, che, perché sorgano ed operino la presunzione di colpa

prevista dall’art. 2054 c.c. a carico del conducente del veicolo e la conseguente

responsabilità del proprietario, è necessario che ricorra il presupposto della

circolazione del veicolo su strada pubblica o su strada privata soggetta ad uso

pubblico o, comunque, adibita al traffico di pedoni o veicoli; diversamente, laddove il

danno sia stato prodotto in area privata priva di traffico e circolazione di veicoli, non

opera la presunzione di colpa di cui all’art. 2054 c.c.

Esemplificando, si è ritenuto che rientrassero nella nozione di strada ad uso

pubblico:

- la strada comunale, pur in presenza di un divieto di transito (Cass. Civ. N.

13393/2001);

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- il cortile privato utilizzato per l’accesso dei fornitori e della clientela di un

negozio (Cass. Civ. N. 3785/1989);

- il giardino pubblico adiacente ad una strada pubblica cui tutti potevano

liberamente accedere (Cass. Civ. N. 2477/1982);

- l’area di parcheggio di un supermercato (Cass. Civ. N. 17279/2009);

- l’area all’interno di un cantiere (Cass. Civ. N. 20911/2005);

- l’area destinata alla distribuzione di carburante (Cass. Civ. N. 5111/2011);

- le aree vicinali aperte all’uso collettivo ed alla circolazione su strade

interpoderali (Cass. Civ. N. 17350/2008).

******

5 – L’ipotesi di responsabilità di cui al comma primo dell’art. 2054 c.c.

A) Come si è già detto, l'art. 2054 c.c. prevede, al comma 1, che «il conducente di un

veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a

cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per

evitare il danno».

Secondo l’orientamento interpretativo maggioritario, che ha trovato l’avallo delle

Sezioni Unite (Cass. Civ., U, N. 8620/2015), trattasi di un'ipotesi di responsabilità

aggravata: l’obbligo risarcitorio è correlato al meccanismo della c.d. presunzione di

colpa.

In sintesi, il sorgere dell'obbligo al risarcimento del danno cagionato dal veicolo è

connesso sì, secondo la regola generale di cui all'art. 2043 c.c., all'elemento

soggettivo della colpa del danneggiante, ma in capo a questi detto elemento

soggettivo è presunto, diversamente da quanto previsto dall'art. 2043 c.c.

Dal punto di vista pratico, l'attore che agisce in giudizio domandando il risarcimento

del danno da sinistro stradale è tenuto a provare tutti gli elementi richiesti dall'art.

2043 c.c., ad eccezione della colpa del conducente-danneggiante, che, appunto, si

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presume sussistente in capo al medesimo una volta che l'attore abbia provato in

giudizio fatto, danno e nesso di causalità.

Di contro, il danneggiante convenuto potrà sottrarsi solo fornendo la prova

dell'assenza di colpa nella sua condotta.

Quel che cambia nella disciplina del risarcimento del danno da sinistri stradali,

rispetto a quella generale del risarcimento del danno da fatto illecito, non è la

sussistenza o meno dell'elemento della colpa, che, in entrambi i casi, è un elemento

essenziale per il sorgere dell'obbligo risarcitorio, ma — sul piano pratico — la prova

della sussistenza di tale elemento.

In questi termini, la presunzione di responsabilità posta a carico del conducente

dall'art. 2054 c.c. non appare in contrasto con il principio della responsabilità per

fatto illecito, fondata, come noto, sul rapporto di causalità fra evento dannoso e

condotta. Difatti, da un lato, la presunzione di responsabilità in questione scatta solo

in seguito alla prova, da parte del danneggiato che agisce in giudizio, dell'evento e del

nesso causale col danno lamentato, dall'altro — come la richiamata giurisprudenza di

merito ha di recente ribadito —, il fatto che il conducente non riesca a fornire la

prova idonea a vincere la presunzione di colpa in parola non preclude l'indagine in

ordine all'eventuale concorso di colpa del danneggiato (in tal senso si veda Trib. Bari,

27 marzo 2014, in Redazione Giuffrè, 2014).

B) Tra le ipotesi riconducibili alla fattispecie in esame quella che più frequentemente

si presenta all’attenzione del giudice civile è, senz’altro, la fattispecie

dell’investimento del pedone.

Come accennato, alla stregua del dettato normativo di cui all'art. 2054 c.c., raggiunta

la prova che il pedone è stato investito da un veicolo a motore, «la responsabilità del

conducente si presume, almeno che questi non provi di aver fatto tutto il possibile per

scongiurare il predetto evento, o che lo stesso danneggiato abbia realizzato una

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condotta illecita che, concretamente, abbia assunto rilievo eziologico, esaustivo o

concorrente, rispetto alla verificazione dell'incidente» (in tal senso si veda Trib. Bari,

27 marzo 2014, cit.).

La prova liberatoria di cui all'art. 2054 c.c., pertanto, può anche risultare

dall'accertamento che il comportamento della vittima sia stato fattore causale

esclusivo dell'evento dannoso, comunque non evitabile da parte del conducente,

attese le concrete circostanze della circolazione e la conseguente impossibilità di

attuare una qualche manovra di emergenza.

Sulla scorta di tali argomentazioni, è stato di recente affermato che «in materia di

sinistro stradale integrato dall'investimento di un pedone, questi, al fine di andare

esente da responsabilità, è tenuto a provare l'assenza di sua colpa nella causazione

del sinistro anche laddove l'investitore non abbia dato una prova diretta della

incensurabilità del suo comportamento, ma si sia avvalso di prove indiziarie che

inducano a ritenere la sussistenza di un concorso di colpa del pedone o una sua

esclusiva responsabilità» (così App. Roma, 8 gennaio 2013, n. 49, in Guida dir.,

2013, 12, 36).

A questo punto, è utile enucleare le situazioni, in presenza delle quali la

giurisprudenza ha ritenuto che il conducente investitore andasse esente da

responsabilità.

C) Una di queste (situazioni) è, certamente, l’imprevedibilità / anomalia della

condotta del pedone o del terzo.

Il nodo problematico sta nell’individuare i confini della prevedibilità di una

situazione, circostanza in cui la presunzione opera, distinguendo tali casi da quelli di

imprevedibilità e, quindi, di anomalia della situazione, che escludono, invece, la

responsabilità.

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Diventa, a questo punto, fondamentale chiarire cosa si intenda per anomalia della

condotta del pedone.

Giunge in aiuto, a tal proposito, una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.

Civ. 24472/2014), che ben enuclea le caratteristiche che la condotta deve presentare

perché sia superata la presunzione di cui all’art. 2054, co. 1, cc.:

“l'anomalia della condotta del pedone che, in caso di investimento al di fuori delle

strisce di attraversamento, consente di ritenere superata la presunzione di

responsabilità esclusiva del conducente prevista "iuris tantum" dall'art. 2054, primo

comma, cod. civ., non coincide con la mera inosservanza dell'obbligo di dare la

precedenza ai veicoli in transito, ma esige la dimostrazione che egli, violando le

regole del codice della strada, si sia portato imprevedibilmente dinanzi alla

traiettoria di marcia del veicolo investitore”.

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava, nello specifico, la signora

(OMISSIS) che, nell’atto di attraversare la strada, veniva investita da un ciclomotore

di proprietà e condotto da (OMISSIS), minorenne all’epoca dei fatti.

La signora, che riportava lesioni personali, adiva il Tribunale di Perugia per veder

condannato l’investitore al risarcimento dei danni.

Con sentenza del 18.1.2007 N. 4, il Tribunale di Perugia riteneva che il sinistro

occorso fosse imputabile a titolo di concorso di colpa paritario del pedone e del

conducente del ciclomotore.

Veniva, pertanto, adita la Corte d’appello di Perugia, che confermava la decisione di

primo grado in ordine al profilo della responsabilità, accogliendo parzialmente

l’appello della vittima su un aspetto afferente al quantum debeatur.

La sentenza d’appello veniva impugnata per cassazione dalla signora (OMISSIS)

sulla base di sette motivi tra cui figurava il profilo della presunzione di responsabilità

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del conducente ex art. 2054 cc, sul quale, a detta della ricorrente, non si era

adeguatamente motivato.

In ordine a siffatta censura la Suprema Corte stabiliva:

“nel caso di investimento di un pedone da parte di un veicolo senza guida di rotaie

l’articolo 2054 c.c., comma 1, pone a carico del conducente di quest’ultimo una

presunzione juris tantum di colpa.

Per vincere tale presunzione il conducente ha l’onere di provare che il pedone abbia

tenuto una condotta anomala, violando le regole del codice della strada e parandosi

imprevedibilmente dinanzi alla traiettoria di marcia del veicolo investitore.

Da ciò deriva che la mera violazione, da parte del pedone, dell’obbligo di concedere

la precedenza ai veicoli in transito quanto attraversi la strada al di fuori dei

passaggi pedonali, non basta di per se’ ad escludere in toto la colpa del conducente.

Pertanto:

(a) il pedone può essere ritenuto responsabile esclusivo del sinistro soltanto quando

si pari improvvisamente ed imprevedibilmente dinanzi a traiettoria del veicolo;

(b) la violazione di una regola di condotta da parte del pedone non è di per se’

sufficiente a ritenere la colpa esclusiva di quest’ultimo;

(c) la violazione di una regola di condotta da parte del pedone è però sufficiente a

ritenere un concorso di colpa del pedone stesso, ex articolo 1227 c.c., nella

causazione del sinistro”.

Quindi, l’anomalia deve consistere in un comportamento autonomo, eccezionale e

straordinario, che irrompa nella serie causale dando luogo ad un decorso causale

atipico, imprevedibile ed incontrollabile.

Ciò vale ad escludere la responsabilità del conducente.

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Argomentando a contrario è agevole dedurre che, quando una situazione di pericolo

sia evidente e, pertanto, prevedibile e prevenibile, nonostante l’anomalia della

condotta del pedone, non può ritenersi responsabile dell’evento il terzo che ha posto

in essere tale situazione.

In tal senso va un’altra pronuncia dei Giudici di legittimità (Cass. Civ., 12.1.2011, N.

524), ove si è affermato il seguente principio di diritto:

“in caso di investimento pedonale, la circostanza che il pedone abbia

repentinamente attraversato la strada non vale ad escludere la responsabilità

dell'automobilista, ove tale condotta anomala del pedone fosse, per le circostanze di

tempo e di luogo, ragionevolmente prevedibile; tale prevedibilità, in particolare,

deve ritenersi di norma sussistente con riferimento alla condotta dei bambini, in

quanto istintivamente imprudenti, con la conseguenza che in presenza di essi, e

massimamente in prossimità di istituti scolastici, l'automobilista ha l'obbligo di

procedere con la massima cautela, e tenersi pronto ad arrestare il veicolo in caso di

necessità”.

In applicazione di tale principio, la Suprema Corte cassava con rinvio la sentenza di

merito che aveva escluso la responsabilità di un automobilista per l'investimento di

una bambina in prossimità di una scuola e nell'ora di uscita degli scolari, osservando

che il giudice di merito non aveva indagato se la condotta pur imprudente della bimba

potesse essere prevista dal conducente.

In tal caso il concetto di prevedibilità della condotta del pedone è ancorato alle

circostanze di tempo e di luogo che avrebbero potuto rendere prevedibile la condotta

della bambina, per cui il conducente non va esente da responsabilità.

D) Altra situazione idonea a mandare esente da responsabilità il conducente è il caso

fortuito, che, com’è noto, consiste in un fatto assolutamente improvviso,

imprevedibile e non evitabile, che esclude l’elemento psicologico, ponendosi come

esimente idonea a superare la presunzione di responsabilità del conducente.

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Il concetto di fortuito – con ogni evidenza – sembra coincidere con quello di

condotta anomala.

L’uno e l’altro fattore irrompono in modo improvviso, imprevedibile ed

incontrollabile nell’azione del conducente, il quale non può e non avrebbe potuto in

alcun modo prevedere e prevenire le conseguenze derivanti dall’immissione di tale

evento nella sua condotta.

Il caso fortuito, che rende inevitabile il verificarsi dell’evento dannoso, deve porsi

come unica causa dello stesso e deve escludere del tutto l’elemento psicologico:

l’evento dannoso non deve potersi ricondurre al conducente nemmeno a titolo di

colpa (tanto è vero che la configurabilità del caso fortuito è esclusa per il conducente

che non abbia adeguato la velocità alle condizioni della strada).

In quest’ottica, è evidente che nemmeno l’assicurazione potrà rispondere per eventi

verificatisi secondo le predette modalità.

“Il caso fortuito, al pari della colpa del danneggiato o del terzo e della forza

maggiore, qualora rappresenti l'unica causa che abbia determinato l'evento dannoso,

fa venir meno la presunzione di colpa stabilita dall'art. 2054 c.c., in quanto non si

può rispondere per colpa extracontrattuale di un fatto non preveduto che, secondo

la comune esperienza e il normale svolgersi degli eventi, non sia neppure

prevedibile. La prova del fortuito può essere fornita dal danneggiante anche a mezzo

di presunzioni, purché gravi, precise e concordanti (Cass. Civ., III, 6 giugno 2006, N.

13268).

Nella specie, la S.C. confermava la sentenza di merito, che aveva escluso la

responsabilità del conducente che aveva perduto il controllo della propria vettura

sbandando e poi sconfinando nella corsia opposta, ove era avvenuto l'impatto con

altro autoveicolo, ritenendo provato presuntivamente - sulla base delle perfette

condizioni della vettura, della velocità moderata della stessa e della presenza di un

chiodo della grandezza di una penna a sfera nel pneumatico - che l'impatto fosse

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avvenuto a seguito ed a causa dello scoppio di un pneumatico posteriore,

improvvisamente trapassato da un grosso chiodo.

Riguardo a tale profilo, è interessante una pronuncia della giurisprudenza di merito

(Trib. Venezia, 18 settembre 2008, N. 2119), secondo la quale non è esonerato da

responsabilità il conducente investitore che, a fronte di sintomi palesi, sia stato

colpito da un malore.

Infatti, nella condotta del conducente, sarebbe possibile ravvisare una violazione

dell'obbligo generale di prudenza, principio informatore codificato all'art. 140 del

nuovo CdS ("gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire

pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso

salvaguardata la sicurezza stradale"), in quanto il malore, seppur non

volontariamente causato, sarebbe stato prevedibile alla luce dei sintomi avvertiti in

precedenza.

E) Merita affrontare, nel panorama in esame, anche il tema dello stato di necessità.

Norma di riferimento è l’art. 2045 cc, che disciplina il caso in cui la condotta del

danneggiante sia stata necessitata, al fine di salvare sé od altri dal pericolo attuale di

un danno grave alla persona, pericolo non volontariamente causato e non altrimenti

evitabile.

Nel soppesare il danno ingiusto provocato nella sfera giuridica altrui ed il danno alla

persona che è stato scongiurato, il legislatore non ha inteso mortificare colui che ha

agito per salvaguardare la vita umana, pur provocando al terzo un danno ingiusto.

Allo stesso tempo, non sarebbe stato giusto sacrificare del tutto la tutela del terzo ed è

proprio per questo che il codice prevede la corresponsione di una indennità al

danneggiato, nella misura che il Giudice riterrà congrua ed adeguata.

Si chiarisce che, anche in tale ipotesi, non può mancare il nesso di causalità, così

in Cassazione civile sez. III 21 dicembre 2004 n. 23696:

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“Ai fini dell'attribuzione dell'indennità prevista dall'art. 2045 cod.civ., che

costituisce un "minus" rispetto all'ordinario risarcimento, occorre che esista pur

sempre un nesso di causalità fra l'atto necessitato e l'evento dannoso, che il danno

sia cioè conseguenza immediata e diretta della condotta nel caso dall'agente

mantenuta, il che è da escludersi qualora si ritenga che il danno lamentato si sarebbe

egualmente verificato anche in assenza dell'azione necessitata (nell'affermare il

suindicato principio la corte cass., nel rigettare le doglianze del ricorrente, ha

confermato la sentenza del giudice di merito che aveva negato la corresponsione

dell'indennità di cui all'art. 2045 cod. civ. richiesta dalla passeggera di un autobus

dell'ATAC per i danni subiti in conseguenza delle lesioni riportate all'esito di una

caduta avvenuta in ragione di una frenata operata dal conducente, per prevenire

l'urto con un'autovettura che ne aveva intralciato repentinamente la traiettoria)”.

F) Orbene, esaminate le situazioni che vedono il superamento della presunzione di

responsabilità e che, per così dire, scagionano il conducente, occorre analizzare la

tematica del concorso di colpa del danneggiato, con particolare riferimento

all'applicabilità della regola generale di cui all'art. 1227 c.c. alle fattispecie

risarcitorie connesse ai sinistri stradali.

Come noto, l'art. 1227 c.c. dispone, al comma 1, che «se il fatto colposo del creditore

ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità

della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate».

La giurisprudenza di legittimità ha di recente ribadito che il citato art. 1227, comma

1, c.c., risulta applicabile in tema di responsabilità extracontrattuale (in tal senso si

veda Cass. civ., 13 febbraio 2013, n. 3542, in Navig. dir., 2013, 8), alla luce del

richiamo contenuto, nell'art. 2056 c.c., all'art. 1227 c.c.

Infatti, l'art. 2056 c.c. dispone che il risarcimento dovuto al danneggiato va

determinato secondo le disposizioni di cui agli artt. 1223, 1226 e, appunto, 1227 c.c.

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Da ciò consegue, innanzitutto, che il conducente non è tenuto a risarcire per intero il

pregiudizio subito dal pedone, ove questi abbia a sua volta concorso colposamente a

causare l'incidente.

Dal principio dell'applicabilità dell'art. 1227, comma 1, c.c., alle fattispecie

risarcitorie da sinistro stradale consegue anche che, nel caso dell'investimento

del pedone, la circostanza che il conducente non abbia fornito la prova idonea a

vincere la presunzione di cui all'art. 2054, comma 1, c.c., non preclude l'indagine in

ordine all'eventuale concorso di colpa, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c.,

del pedone investito, «con la conseguenza che, allorquando siano accertate la

pericolosità e l'imprudenza della condotta del pedone, la colpa di questi concorre, ai

sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., con quella presunta del conducente» (in tal senso

si è pronunciata Cass. civ., 8 agosto 2007, N. 17397, in Giust. civ. Mass., 2007, 7-8,

nonché, più recentemente, Cass. civ., 13 marzo 2012, n. 3966, in Giust. civ. Mass.,

2012, 3, 330, con la quale la Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici

del merito che avevano ritenuto sussistere, nella misura del 50%, il concorso di colpa

del pedone, investito dall'autovettura, perché aveva attraversato in ora notturna una

strada a scorrimento veloce, senza essersi assicurato, al momento dell'inizio

dell'attraversamento, di essere stato avvistato dal conducente del mezzo investitore).

Per altro verso, la Suprema Corte ha affermato che l'accertamento del comportamento

colposo del pedone (quale che sia la gravità della colpa) non è sufficiente per

l'affermazione della sua esclusiva responsabilità, essendo pur sempre necessario che

l'investitore vinca la presunzione di colpa posta a suo carico dall'art. 2054, comma 1,

c.c.

Dunque, «anche nel caso in cui il pedone, che intenda attraversare la strada, là dove

manchino le strisce pedonali, ometta di dare la precedenza ai veicoli che

sopraggiungono ed inizi l'attraversamento distrattamente, è configurabile una

concorrente responsabilità del conducente il veicolo investitore, ove risulti che questi

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abbia tenuto una velocità eccessiva o, comunque, non adeguata alle circostanze di

tempo o di luogo, e non abbia rallentato o non abbia arrestato la marcia del

veicolo» (in tal senso si veda Cass. civ., 21 aprile 1995, N. 4490, in Giust. civ. Mass.,

1995, 888).

In sintesi, la giurisprudenza di legittimità è giunta ad affermare il principio secondo

cui «è compito del giudice di merito valutare la sussistenza delle eventuali rispettive

responsabilità, tenendo presente che l'accertamento della colpa del conducente

investitore non esclude, di per sé, quella del pedone, così come la dimostrazione

della colpa di quest'ultimo non consente di ritenere pacifica l'assenza di colpa del

conducente» (in tal senso si veda Cass. civ., 5 marzo 2013, n. 5399, cit.).

Merita sottolineare che anche il comportamento colposo del danneggiato rilevante ai

fini dell’applicazione dell’art. 1227 cc deve presentare un nesso di causalità con

l’evento dannoso prodotto, tant’è che la Suprema Corte ha chiarito:

“Il fatto colposo del danneggiato, rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 1227,

comma 1, c.c., deve connettersi causalmente all'evento dannoso, non potendo

quest'ultimo essere pretermesso nella ricostruzione della serie causale

giuridicamente rilevante, né potendosi collegare direttamente la condotta colposa del

danneggiato con il danno da lui patito; ne consegue che non ogni esposizione a

rischio da parte del danneggiato è idonea a determinarne un concorso

giuridicamente rilevante, all'uopo occorrendo, al contrario, che tale condotta

costituisca concreta concausa dell'evento dannoso” (Cass. Civ., 19.1.2017, N. 1295).

Come si è già detto, l’accertamento della sussistenza di un concorso colposo del

danneggiato provoca una riduzione proporzionale del risarcimento dovuto.

A tal proposito, è interessante una recente pronuncia della Suprema Corte, ove si

afferma che, in un incidente mortale in cui trova applicazione l’art. 1227 cc, la

riduzione, che opera anche nei confronti dei congiunti in relazione agli effetti riflessi

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causati dall’evento dannoso, non opera tanto per l’applicazione della regola ex art.

1227, ma piuttosto per l’applicazione di un diverso principio:

“in materia di responsabilità civile, nell'ipotesi di concorso della vittima di un

illecito mortale nella produzione dell’evento dannoso, il risarcimento del danno non

patrimoniale da perdita del rapporto parentale, patito “iure proprio” dai familiari

del deceduto, deve essere ridotto in misura corrispondente alla parte di danno

cagionato da quest’ultimo a sé stesso, ma ciò non per effetto dell’applicazione

dell’art. 1227, comma 1, c.c., bensì perché la lesione del diritto alla vita

colposamente cagionata da chi la vita perde non integra un illecito della vittima nei

confronti dei propri congiunti, atteso che la rottura del rapporto parentale ad opera

di una delle sue parti non può considerarsi fonte di danno nei confronti dell’altra,

costituendo una conseguenza di una condotta non antigiuridica” (Cass. Civ.,

12.4.2017, N. 9349).

G) Il principio dell'applicabilità, alla responsabilità civile da sinistro stradale, delle

norme sul concorso del fatto colposo del creditore-danneggiato, con conseguente

compatibilità operativa tra art. 1227 c.c. ed il criterio della presunzione di

responsabilità di cui all'art. 2054, comma 1, c.c., è stato di recente ritenuto applicabile

anche nel caso in cui il danneggiato sia soggetto incapace di intendere e di volere.

La Suprema Corte ha, infatti, affermato, sul punto, che «il comportamento del

danneggiato, incapace di intendere e di volere, concorrente nella produzione

dell'evento dannoso, può integrare il fatto colposo del danneggiato-creditore previsto

dall'art. 1227, comma 1, c.c.» (in tal senso si veda Cass. civ., 13 febbraio 2013, N.

3542, in Navig. dir., 2013, 8)

Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione d'appello, secondo

cui, nel sinistro occorso ad un bimbo di tre anni che, sceso dalla bicicletta della nonna

e svincolatosi dalle sue mani per correre dietro al cugino che aveva attraversato la

strada, veniva investito, la maggiore responsabilità veniva attribuita al piccolo ai

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sensi dell'art. 1227 c.c. (avendo egli attraversato la strada a distanza di più di venti

metri dalle strisce pedonali e di corsa; qualificando nella specie la responsabilità del

guidatore nel 15%).

I Giudici di legittimità precisano che l'espressione «fatto colposo» che compare

nell'art. 1227 c.c. deve intendersi come sinonimo di «comportamento oggettivamente

in contrasto con una regola di condotta», e non quale sinonimo di «comportamento

colposo».

Da ciò discende, come corollario pratico-applicativo, che una volta integrato dal

comportamento del danneggiato incapace di intendere e di volere il fatto colposo del

danneggiato-creditore ex art. 1227 c.c., va, anche in tal caso, applicata la conseguente

riduzione proporzionale del danno da risarcire.

H) Accanto alla compatibilità operativa tra art. 1227, comma 1, c.c. (concorso del

fatto colposo del terzo danneggiato) e criterio della presunzione di responsabilità di

cui all'art. 2054, comma 1, c.c., è stata di recente confermata la compatibilità tra il

criterio della presunzione di responsabilità posta a carico del conducente e la regola

di cui all'art. 2052 c.c. relativa alla responsabilità per danni cagionati da animali.

Posto, infatti, che l'art. 2052 c.c. dispone che il proprietario di un animale (o chi se ne

serve per il tempo in cui l'ha in uso) è responsabile dei danni cagionati dall'animale,

«salvo che provi il caso fortuito» (e ciò sia nel caso in cui l'animale sia nella sua

custodia, sia nel caso in cui questo sia smarrito o fuggito), la giurisprudenza di merito

ha recentemente affermato che nel caso in cui un animale sia stato colpito da un

autoveicolo, da un lato, sussiste, anche in tal caso, la presunzione di responsabilità

sancita dall'art. art. 2054, comma 1, c.c., e, dall'altro, essa concorre con quella

prevista dall'art. 2052 c.c. prima richiamato (Trib. Cagliari, 8 novembre 2006, n.

2745, in Riv. giur. sarda, 2008, 337, con nota di Zuddas, affrontava il caso di un

cavallo che era stato urtato, rimanendo ucciso, da un autoveicolo che procedeva nella

medesima direzione).

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D'altronde, la giurisprudenza di merito aveva già da tempo affermato la compatibilità

operativa tra i due criteri risarcitori, evidenziando che il conducente di un veicolo che

investa un animale, benché gravato dalla responsabilità del comma 1

dell'art. 2054 c.c., può essere liberato dal fatto di non aver potuto evitare l'urto, con

conseguente applicabilità della responsabilità prevista dall'art. 2052 c.c. in capo al

proprietario o utilizzatore dell'animale (sul punto si veda Trib. Milano, 30 novembre

2005, in Riv. giur. sarda, 2005, 11, 76, che affrontava un caso relativo

all'attraversamento repentino della strada da parte di un cane, investito da un

motociclista che sopraggiungeva in quel momento, con conseguente rovinosa caduta

del conducente del motociclo e morte del cane; il giudice riteneva che avessero

concorso a causare l'evento di danno consistente nella rovinosa caduta i proprietari

dei cani coinvolti nel sinistro, di cui il primo di grossa taglia ed aggressivo, lasciato

libero e senza museruola sulla pubblica via, che aveva messo in fuga un cane bassotto

che aveva attraversato inopinatamente la strada sbucando da veicoli in sosta e

parandosi davanti al motociclista a breve distanza; precisava il giudice, da un lato,

che il conducente del motociclo, benché gravato dalla responsabilità del comma 1

dell'art. 2054 c.c. per aver ucciso il cane bassotto, era liberato dal fatto di non aver

potuto evitare l'urto e, dall'altro, che trovava nella specie applicazione

la responsabilità dei proprietari dei cani prevista dall'art. 2052 c.c., ripartita ex art.

2055 c.c. nella misura di 2/3 a carico del proprietario del cane aggressore e nella

misura di 1/3 dell'utilizzatore del cane bassotto per essersi portato sulla pubblica via

con tre cani al guinzaglio, così trovandosi nella condizione di non averne il pieno

controllo nel traffico cittadino).

******

6 – La presunzione di pari responsabilità ex art. 2054, 2°, c.c.

A) Come accennato, il comma 2 dell'art. 2054 c.c. dispone che «nel caso di

scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti

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abbia concorso ugualmente a produrre il danno subìto dai singoli veicoli» (la

Corte costituzionale, con sentenza 29 dicembre 1972, N. 205, ha dichiarato

l'illegittimità costituzionale dell'art. 2054, comma 2, c.c., limitatamente alla parte

in cui, nel caso di scontro tra veicoli, esclude che la presunzione di egual concorso

dei conducenti operi anche se uno dei veicoli non abbia riportato danni).

La norma, volta a fornire una regola per il riparto della responsabilità civile (e

quindi dei conseguenti obblighi risarcitori) in capo ai conducenti dei veicoli

coinvolti in un sinistro stradale tra più veicoli a motore, riguarda, in particolare —

seguendo l'orientamento interpretativo secondo il quale il criterio di imputazione

della responsabilità regolata dalla norma citata sia costituito dalla colpa — gli

aspetti, strettamente connessi tra loro, della colpa dei conducenti, nonché

dell'apporto causale delle rispettive condotte con riferimento al fatto dannoso

prodotto: si presume, fino a prova contraria, che ciascun conducente abbia

provocato con pari colpa e con pari efficienza causale i danni causati dallo scontro

(sia i propri, sia quelli riportati dagli altri conducenti) (in tal senso si veda Trib.

Torre Annunziata, 15 gennaio 2014, N. 204, in Redazione Giuffrè, 2014).

Con riferimento alla presunzione in parola, va, innanzitutto, precisato che essa

trova applicazione soltanto ove le risultanze probatorie non consentano di accertare

in modo concreto in quale misura la condotta dei due conducenti abbia cagionato

l'evento dannoso; essa, pertanto, svolge una funzione sussidiaria, operando

soltanto nel caso in cui non possano attribuirsi le effettive responsabilità del

sinistro (in tal senso si veda Cass. civ., 18 luglio 2013, N. 17568, in Navig. dir.,

2013, 30).

Sulla scorta di tale considerazione, quindi, può osservarsi che la pari responsabilità

di cui all'art. 2054, comma 2, c.c., integri una c.d. presunzione relativa (in questi

termini si veda, da ultimo, App. Potenza, 26 novembre 2013, in Nuova proc. civ.,

n. 5/2013; e Trib. Torre Annunziata, 15 gennaio 2014, n. 204, cit.): essa, infatti,

opera fino a prova contraria.

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B) Il problema è delimitare l’ambito di operatività della presunzione di pari

responsabilità in analisi ovvero stabilire quando, in concreto, trovi applicazione

la presunzione di pari responsabilità di cui al comma 2 dell'articolo in studio e,

quando invece, essa non può essere applicata.

Parte della giurisprudenza ha affermato che la presunzione in parola opererebbe

sino a quando in giudizio non si dimostri la responsabilità esclusiva di uno dei

conducenti, con conseguente possibilità per l'altro di essere sollevato da ogni

responsabilità (si veda Trib. Torre Annunziata, 15 gennaio 2014, n. 204, cit.).

Ma, a tal proposito, si osserva che, a rigore, il dettato normativo di cui

all'art. 2054, comma 2, c.c., non pare però fare riferimento, ai fini del superamento

della presunzione in discorso, alla sola prova di esclusiva responsabilità di uno dei

conducenti, quanto, invece, alla possibilità di provare il grado delle varie

responsabilità: a rigore, quindi, la presunzione di pari responsabilità non dovrebbe

operare anche nel caso in cui, pur non accertata l'esclusiva responsabilità di uno

dei conducenti, si possa dimostrare la misura della responsabilità del medesimo, e

— ovviamente — degli altri conducenti coinvolti nel sinistro (o, meglio:

la presunzione di pari responsabilità, in ragione del suo carattere residuale, non

dovrebbe operare prima che si sia provato a verificare le colpe e le efficienze

causali delle condotte dei veicoli coinvolti nel sinistro, e ciò a prescindere dalla

dimostrazione o meno dell'esclusiva responsabilità di uno dei conducenti).

Ovviamente, l'accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti libera

l'altro dalla presunzione della concorrente responsabilità di cui all'art. 2054,

comma 2, c.c. (nonché dall'onere di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per

evitare il danno) (sul punto si veda Cass. civ., 31 luglio 2013, N. 18340, in

www.dirittoegiustizia.it.; per la giurisprudenza di merito si veda Trib. Savona, 29

novembre 2013, in Redazione Giuffrè, 2013); ma ciò non vuol dire — si ritiene —

che in assenza di accertata responsabilità esclusiva operi automaticamente

la presunzione in parola, dovendosi pur sempre indagare in ordine alle concrete

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responsabilità dei veicoli coinvolti (che possono essere quindi anche concorrenti,

in eguale o diversa misura); solo ove tale indagine non sia possibile, opererà

la presunzione di pari responsabilità di cui alla norma in studio.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha, infatti, precisato che la presunzione di

cui all'art. 2054, comma 2, c.c., dato il suo carattere sussidiario, trova applicazione

soltanto nel caso in cui sia impossibile accertare in concreto il grado di colpa di

ciascuno dei conducenti coinvolti nel sinistro (in tal senso si veda Cass. civ., 23

maggio 2013, n. 12667, in www.dirittoegiustizia.it; in argomento si veda anche

Cass. civ., 12 giugno 2012, n. 9528, in Giust. civ. Mass., 2012, 6, 776).

Recente giurisprudenza di merito ha inoltre aggiunto che la presunzione di pari

responsabilità stabilita dal comma 2 dell'art. 2054 c.c. ricorre non solo nei casi in

cui sia certo l'atto che ha causato il sinistro ma sia incerto il grado di colpa

attribuibile ai diversi conducenti, ma anche quando non sia possibile accertare il

comportamento specifico che ha causato il danno, con la conseguenza che, «in

tutti i casi in cui sia ignoto l'atto generatore del sinistro, causa presunta

dell'evento devono ritenersi in eguale misura i comportamenti di entrambi i

conducenti coinvolti nello scontro anche se solo uno di essi abbia riportato

danni» (così App. Potenza, 26 novembre 2013, cit.).

C) Di notevole interesse è, al riguardo, la giurisprudenza formatasi con riferimento

alle ipotesi in cui sia stata accertata la violazione di norme del codice della

strada in capo ad uno dei conducenti coinvolti nel sinistro; giurisprudenza che ha

ribadito che l'accertata violazione di norme del codice della strada in capo ad uno

dei conducenti non dispensa il giudice dal verificare il comportamento dell'altro

conducente si segnalano numerose recenti pronunce di merito (si vedano Cass.

civ., 23 maggio 2013, n. 12667, cit.; e Cass. civ., 14 novembre 2013, n. 25620, in

Giust. civ. Mass., 2013).

Da ciò possono trarsi le seguenti considerazioni: pur in presenza di un'accertata

violazione da parte di uno dei conducenti di norme dettate dal codice della strada

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(quindi, in estrema sintesi, nell'ipotesi di sussistenza di una condotta colposa),

la presunzione di cui al comma 2 dell'art. 2054 c.c. non può essere applicata,

dovendosi pur sempre verificare se il comportamento degli altri conducenti sia

anch'esso (e in che misura) connotato da colpa (con relativa indagine

sull'efficienza causale); il giudice che abbia in concreto accertato la colpa di

uno dei conducenti non può, per ciò solo, escludere la responsabilità dell'altro,

essendo invece tenuto — come la giurisprudenza di merito ha di recente ribadito

(sul punto si veda Trib. Roma, 9 ottobre 2012, N. 18910, in Guida dir., 2012, 50,

42; e Trib. Bari, 13 settembre 2012, N. 2881, in Giurisprudenzabarese.it, 2013) —

ad accertare in concreto se quest'ultimo abbia o meno tenuto una condotta di guida

irreprensibile. In senso conforme al principio secondo cui l'accertata violazione di

norme del codice della strada in capo ad uno dei conducenti non dispensa il

giudice dal verificare il comportamento dell'altro conducente è stato così osservato

dalla Suprema Corte come l'accertamento dell'intervenuta violazione, da parte di

uno dei conducenti, dell'obbligo di dare la precedenza, non dispensi il giudice dal

verificare il comportamento dell'altro conducente onde stabilire se quest'ultimo

abbia a sua volta violato o meno le norme sulla circolazione stradale ed i normali

precetti di prudenza, «potendo l'eventuale inosservanza di dette norme comportare

l'affermazione di una colpa concorrente » (in tal senso si veda Cass. civ., 23

maggio 2013, n. 12667, cit.).

Allo stesso modo, la Suprema Corte ha affermato che nel caso in cui sia accertata

l'inosservanza da parte di uno dei conducenti, intento a svoltare sulla destra,

dell'obbligo (ex art. 153, comma 3, lett. a, cod. str.) di tenersi il più possibile vicino

al margine destro della carreggiata, nonché di mantenere una velocità moderata,

non sussiste automaticamente la sua colpa esclusiva e la liberazione dell'altro

conducente proveniente dal contrario senso di marcia ed intento a svoltare a

sinistra, laddove quest'ultimo, essendo rimasta carente la prova concernente il

punto della carreggiata dove era avvenuto l'urto tra i veicoli, non abbia, a sua volta,

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dimostrato di aver rispettato le norme di comportamento di cui all'art. 143 cod.

str. (si veda al riguardo Cass. civ., 14 novembre 2013, n. 25620, cit.).

In senso conforme si segnalano anche numerose recenti pronunce di merito.

In tema di accertamento della responsabilità da sinistro stradale, ad esempio, è

stato di difatti osservato che per ascrivere la responsabilità esclusiva del sinistro al

veicolo che ha invaso l'opposta corsia di marcia è pur sempre necessario che il

danneggiato dimostri di aver tenuto rigorosamente la destra, di aver condotto il

veicolo a velocità moderata e di essersi posto in condizione di impedire il

danno (in questi termini si veda Trib. Bari, 2 maggio 2013, in

Giurisprudenzabarese.it, 2013.).

Ancora, si è affermato che l'accertamento della colpa, anche se grave, di uno dei

due conducenti, non esonera l'altro dall'onere di provare di aver fatto tutto il

possibile per evitare il danno, osservando le norme della circolazione stradale ed i

normali precetti della prudenza, al fine di escludere la configurazione di un

concorso di colpa a suo carico (si veda Trib. Bari, 21 novembre 2013, in

Giurisprudenzabarese.it, 2013).

Inoltre, in tema di concorso di colpa a carico del conducente antagonista che si

trovi nella possibilità di compiere manovre d'emergenza di fronte all'altrui

violazione, è stato ribadito il suo dovere di attivarsi, facendo anche ricorso, ove

ne sussistano le condizioni, a dette manovre di emergenza o di «fortuna» che, nel

caso concreto, si presentino come le più opportune ed efficaci; ciò alla luce del

«principio di solidarietà sociale in virtù del quale il conducente del veicolo

antagonista a quello che ha commesso la violazione deve comunque cooperare al

fine di evitare che il sinistro si verifichi, non potendo trincerarsi dietro la

circostanza che egli non versa in violazione di norme comportamentali» (in questi

termini si veda Trib. Monza, 6 marzo 2013, in Redazione Giuffrè, 2013).

Difatti, al fine di escludere la colpa concorrente occorre la dimostrazione che il

conducente, oltre ad uniformarsi alle norme della circolazione e a quelle della

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comune prudenza, abbia fatto tutto il possibile per evitare lo scontro, salvo che

ovviamente il giudice non accerti che l'incidente si sia verificato per colpa

esclusiva di uno dei conducenti e neghi che la colpa dell'altro abbia avuto rilievo

causale (così Trib. Salerno, 5 febbraio 2013, in Redazione Giuffrè, 2013).

A volte, però, la giurisprudenza ha considerato la violazione di norme del

codice della strada come condotta che integra la colpa esclusiva, con la

conseguenza che, accertata la colpa esclusiva di uno dei conducenti, gli altri

conducenti coinvolti nel sinistro risultano liberati dalla presunzione della

concorrente responsabilità di cui all'art. 2054, comma 2, c.c., nonché dall'onere di

dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno (sul punto si veda

Cass. civ., 31 luglio 2013, n. 18340, cit.): la Suprema Corte ha, ad esempio,

affermato che, nell'ipotesi di scontro tra veicoli, l'attraversamento dell'incrocio con

luce semaforica rossa esenta l'altro conducente, che impegna l'incrocio con luce

semaforica verde, dal dover fornire la prova di superamento della presunzione di

concorrente responsabilità di cui all'art. 2054, comma 2, c.c. (Cass. civ., 23

gennaio 2014, n. 1365, in www.dirittoegiustizia.it, con nota di Villa. In senso

conforme, nella recente giurisprudenza di merito, si veda Trib. Torre Annunziata,

15 gennaio 2014, n. 204, cit.).

D) In merito alla prova liberatoria per il superamento della presunzione di colpa

in parola, va precisato che essa non deve necessariamente essere fornita in modo

diretto, potendo anche risultare indirettamente, tramite l'accertamento del

collegamento eziologico esclusivo dell'evento dannoso con il comportamento

dell'altro conducente (sul punto si veda Cass. civ., 31 luglio 2013, n. 18340, cit.

Tra la più attuale giurisprudenza di merito si veda Trib. Torre Annunziata, 15

gennaio 2014, n. 204, cit.).

Non occorre, dunque, necessariamente, la dimostrazione di non aver arrecato

apporto causale alla produzione dell'incidente, né la dimostrazione di avere assunto

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un comportamento esente da colpa e perfettamente conforme alle regole del codice

della strada.

Secondo recente giurisprudenza di merito, tuttavia, quando non sia possibile

accertare il comportamento specifico che ha causato il danno (quindi «in tutti i casi

in cui sia ignoto l'atto generatore del sinistro»), la presunzione in parola sarebbe

superata unicamente dalla «duplice prova, posta a carico del danneggiato, che lo

scontro è dipeso dal solo comportamento colposo dell'altra parte e che il

danneggiato medesimo ha fatto tutto il possibile per evitare il verificarsi

dell'evento dannoso » (così App. Potenza, 26 novembre 2013, cit.).

In ogni caso, ai fini dell'accertamento della responsabilità delle parti, occorre una

valutazione complessiva di tutti gli elementi che possono aver costituito un

contributo colposo alla verificazione dell'evento, costituendone un antecedente

causale (in questi termini si veda Cass. civ.,12 ottobre 2012, n. 17407, in Arch.

giur. circ. sin., 2013, I, 18); fra tali elementi, ha precisato la Corte relativamente ad

una controversia concernente il decesso del passeggero sprovvisto di casco,

occorre considerare se il trasportato abbia accettato consapevolmente i rischi della

circolazione e se l'omesso uso del casco abbia concretamente influito sulla

causazione del danno.

******

7 – La responsabilità del proprietario ex art. 2054, comma terzo, c.c.

L’attenzione della più recente giurisprudenza si è soffermata anche sul comma 3

del medesimo art. 2054 c.c., che afferisce allo specifico tema della responsabilità

del proprietario del veicolo condotto da altri.

Il comma in parola, com’è noto, considera il proprietario del veicolo coinvolto in

un sinistro (o, in sua vece, l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato

dominio) responsabile in solido col conducente, «se non prova che la

circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà».

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Quanto alla prova liberatoria in discorso, è stato recentemente chiarito che non è

sufficiente dimostrare che la circolazione del veicolo sia avvenuta senza il

consenso del proprietario, essendo invece necessario fornire la più gravosa

dimostrazione, alla luce dell’esplicita lettera di cui all’art. 2054, comma 3, c.c., che

la circolazione del veicolo sia avvenuta contro la volontà del proprietario, il che ha

portato la prevalente dottrina a ritenere che la norma in questione integri un’ipotesi

di responsabilità oggettiva (il proprietario appare infatti tenuto a risarcire i danni

prodotti dalla circolazione dal veicolo anche ove non sussista una propria colpa, in

relazione alla causazione dell’evento.

Precisa sul punto la Suprema Corte che la volontà contraria richiesta dal

legislatore perché il proprietario del veicolo possa superare la presunzione di

responsabilità posta a suo carico si estrinseca in «un concreto ed idoneo

comportamento specificamente inteso a vietare ed impedire la circolazione del

veicolo mediante l’adozione di cautele tali che la volontà del proprietario non

possa risultare superata » (sul punto si veda Cass. civ., 27 giungo 2013, n. 16217,

in www.dirittoegiustizia.it.); nella specie, riguardante un sinistro stradale nel quale

un pedone veniva investito dal fratello minore del proprietario dell’autoveicolo, la

Cassazione ha rigettato il ricorso avverso la pronuncia d’appello (che aveva

respinto il gravame con cui si era sostenuto che la circolazione dell’autoveicolo era

avvenuta contro la volontà del proprietario dell’auto in quanto il minore aveva

forzato il cassetto ove le chiavi dell’auto erano custodite mentre il proprietario

stava effettuando il servizio obbligatorio di leva) osservando che non era stata

ritenuta fornita la prova liberatoria in esame, per non aver il ricorrente specificato

le modalità di custodia delle chiavi sottratte dal fratello minore e per non aver

indicato, in corso di causa, i testi con cui dimostrare detta circostanza.

***

8 – Il risarcimento diretto

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A) La locuzione “risarcimento diretto”, che si rinviene nell’art. 149 del D. Lgs. N.

209/2005, deriva dal fatto che il danneggiato non si rivolge all’assicurazione del

proprietario del veicolo antagonista, per ottenere il risarcimento del danno, come

accade secondo l’iter ordinario, ma alla propria assicurazione, che provvederà a

valutare i presupposti di colpa e di danno e, quindi, a rivalersi, eventualmente,

sull’assicurazione del danneggiante.

Nel quadro di un generale riassetto della materia, tale procedimento è stato introdotto

per apprestare un ulteriore strumento di tutela al danneggiato, in prospettiva di una

satisfattiva soluzione della controversia già in fase stragiudiziale, nonché al fine di

creare le condizioni per un contenimento del contenzioso giudiziario - notoriamente

inflazionato anche da liti bagatellari, - ed un miglioramento delle prestazioni

assicurative.

L’azione di cui si discute non deriva dal contratto assicurativo, ma dalla legge, che

la ricollega al verificarsi del sinistro a certe condizioni, per cui l’esistenza del

contratto assicurativo si pone come presupposto legittimante.

La posizione del danneggiato non cessa di essere originata dall’illecito, assumendo la

posizione contrattuale del medesimo verso l’assicurazione soltanto la funzione di

sostituire l’assicurazione del danneggiato a quella del responsabile nel rispondere

della pretesa risarcitoria.

In dottrina si suole ravvisare nel rapporto giuridico così delineato gli estremi del

mandato “ex lege”, attribuendo all’impresa assicurativa del danneggiato il ruolo di

mandatario dell’impresa di assicurazione del responsabile, caricandolo di tutti gli

obblighi su questa gravanti (Scotti).

B) Il procedimento di risarcimento diretto è disciplinato dall’art. 149 del Codice

delle assicurazioni private (d.lgs. n. 209 del 2005), il quale dispone che “In caso di

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sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile

obbligatoria, dal quale siano derivati danni ai veicoli coinvolti o ai loro conducenti, i

danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento all'impresa di

assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato”.

I presupposti per l’azione di risarcimento diretto sono i seguenti:

- Il sinistro deve risolversi in un urto tra due veicoli.

Tuttavia, con l’ordinanza N. 3146/2017 della III Sezione Civile della Corte di

Cassazione, gli ermellini hanno dato un’interpretazione estensiva dell’ambito

di applicabilità dell’art. 149 Cda, ritenendo che la procedura dell’indennizzo

diretto “è ammissibile anche in caso di collisione che abbia riguardato più di

due veicoli, con esclusione della sola ipotesi in cui oltre al veicolo dell’istante

e a quello nei cui confronti questi rivolge le proprie pretese, siano coinvolti

ulteriori veicoli responsabili del danno”.

Dunque, ai fini dell’applicabilità dell’indennizzo diretto, non rileverebbe il numero di

veicoli coinvolti, bensì la ripartizione della responsabilità e, segnatamente, la

circostanza che gli altri mezzi coinvolti non abbiano causato neppure in minima parte

il danno1.

1 “La conclusione è coerente del resto con la ratio della disposizione di cui all'art. 149 del codice delle assicurazioni

private, che ha introdotto la speciale procedura dell'indennizzo diretto per semplificare gli adempimenti ai fini della

liquidazione del risarcimento in caso di sinistri stradali in cui si siano verificati esclusivamente danni a cose e/o danni

lievi alle persone, prevedendo che i danneggiati possano rivolgersi alla propria compagnia di assicurazione, la quale

gestisce la pratica per conto della compagnia del soggetto responsabile, per poi regolare i rapporti con quest'ultima

attraverso una stanza di compensazione. Il meccanismo di rappresentanza e di compensazione tra le due compagnie di

assicurazione interessate risulta articolato in modo tale da poter operare non solo in caso di sinistro con unico

responsabile, ma anche laddove sussista la corresponsabilità del danneggiato istante, indipendentemente dall'esistenza

di altri danneggiati, mentre resta escluso nel caso in cui, essendovi ulteriori soggetti responsabili, si avrebbe il

coinvolgimento di una ulteriore compagnia di assicurazione” (Cass. n. 3146/2017).

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- Entrambi i veicoli devono essere immatricolati in Italia, nella Repubblica di

San Marino o nello Stato della Città del Vaticano.

- Entrambi i veicoli devono essere identificati e regolarmente assicurati.

- Entrambe le compagnie assicurative devono aver aderito alla Convenzione

Card (Convenzione tra Assicuratori per il Risarcimento Diretto) che, per la

regolazione contabile dei rapporti economici, prevede una stanza di

compensazione dei risarcimenti effettuati.

Sono esclusi dalla procedura d’indennizzo diretto:

- i sinistri senza urto (c.d. sinistro da turbativa);

- i sinistri avvenuti con un veicolo straniero;

- i sinistri in cui sono coinvolti altri veicoli responsabili, oltre a quello

dell’istante e a quello nei cui confronti questi rivolge le proprie pretese (come

da ordinanza della Cassazione sopra citata);

- i sinistri con veicoli assicurati con compagnie che non abbiano aderito alla c.d.

Card;

- i sinistri con un ciclomotore che non sia munito della c.d. “nuova targa” (ex

d.P.R. 6 marzo 2006, n. 153).

Il regime del risarcimento diretto trova dei limiti di applicabilità anche con

riferimento alla tipologia dei danni risarcibili.

Ai sensi dell’art. 149 Cda, i danni risarcibili con l’indennizzo diretto sono quelli

subiti dal veicolo assicurato, quelli a cose trasportate appartenenti al proprietario o al

conducente, le lesioni di lieve entità subite dal conducente, intendendosi come tali

quelle che si risolvono in un danno biologico di invalidità permanente inferiore o

uguale al 9% (c.d. micropermanenti), giusta tabella ministeriale predisposta a seguito

della L. N. 57/2001.

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C) Il risarcimento del terzo trasportato, pur presentando diverse analogie, non

rientra nell’ambito della procedura dell’indennizzo diretto.

Il terzo trasportato, che si avvalga, ex art. 141 del d. lgs. N. 209/2005, dell’azione

diretta nei confronti dell’impresa di assicurazioni del veicolo sul quale viaggiava al

momento del sinistro, deve provare di aver subito un danno a seguito di quest’ultimo,

ma non anche le concrete modalità dell’incidente allo scopo di individuare la

responsabilità dei rispettivi conducenti, trattandosi di accertamento irrilevante ai fini

dell’art. 141 cit.

Trattasi di azione tipica, diretta a rafforzare la posizione del terzo trasportato che

prescinde dalla specifica prova della responsabilità nella causazione del sinistro e

subordina l'accoglimento della domanda risarcitoria alla mera prova dell'evento

storico del sinistro e della presenza del trasportato sul veicolo coinvolto

nell'incidente.

Per tali ragioni si parla di “liquidazione “automatica” ed “eziologicamente neutra” del

danno subito dal terzo trasportato2.

D) Ciò posto, in tutti i casi in cui non sia applicabile la procedura di indennizzo

diretto, il risarcimento deve essere richiesto nei confronti della Compagnia

assicuratrice del responsabile, utilizzando l’iter risarcitorio ordinario previsto dall’art.

148 del Codice delle Assicurazioni.

2 “L’art. 141 Codice delle Assicurazioni ha introdotto una regola no-fault, in quanto prevede che l’assicuratore del

vettore sia sempre tenuto al risarcimento del danno subito dal terzo trasportato salvo il caso in cui il sinistro sia

conseguenza del caso fortuito ovvero non sia ascrivibile a nessuno dei conducenti dei veicoli coinvolti, non potendo

essere ricompreso nel concetto di caso fortuito il fatto doloso o colposo dell’altro conducente” (Trib. Napoli, 17-09-

2015, n. 11760; sul punto vedi anche Tribunale Roma, sez. XII, 09/12/2016, n. 22858).

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Pertanto, nel nuovo assetto del Codice delle Assicurazioni, al danneggiato non è stata

tolta la generale azione, che, anzi, è prevista e disciplinata dall’art. 144 Cda, ma sono

state aggiunte due azioni speciali, ex artt. 141 e 149.

In tal senso si è, più volte, pronunciata la Corte Costituzionale, che, già con

ordinanza N. 441 del 23.12.2008, nel dichiarare la manifesta inammissibilità delle

questioni di legittimità costituzionale degli articoli 149 e 150 del decreto

legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private),

sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione, da l Giudice di

pace di Milano e dal Giudice di pace di Parma, rilevava, tra l’altro, che i giudici

rimettenti non avevano adempiuto l’obbligo di ricercare una interpretazione

costituzionalmente orientata della norma impugnata, nel senso, cioè, che essa

si limitasse a rafforzare la posizione dell’assicurato rimasto danneggiato,

considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente nei confronti

della propria compagnia assicuratrice, senza togliergli la possibilità di fare

valere i suoi diritti secondo i principi della responsabilità civile dell’autore del

fatto dannoso.

Dunque, già in quella sede, la Consulta evidenziava come, alla luce di

un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 149, potesse ritenersi che,

accanto all'azione diretta contro la compagnia assicuratrice del veicolo utilizzato,

persistesse la tutela tradizionale nei confronti del responsabile civile.

Nel 2009, il Giudice delle leggi è tornato sull’argomento, affrontandolo, questa volta,

nel merito e con approccio sistematico, con la sentenza N. 180 del 19.6.2009, che

così recita:

“… Il predetto Codice, nel quadro di un complessivo “riassetto” della materia

– il termine è impiegato dal legislatore delegante, che proprio con l'art. 1

della legge n. 229 del 2003 modifica i principi ispiratori della delegazione

legislativa di cui all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, al fine di

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garantire organicità e completezza della materia oggetto del riordino –

introduce un meccanismo che, in presenza di certe condizioni, agevola la

tutela del danneggiato e, in prospettiva, come lo stesso giudice a

quo riconosce, si propone di creare le condizioni per un miglioramento delle

prestazioni assicurative. Pur nell'approssimativo coordinamento delle norme

del titolo X del Codice, nel loro complesso e nei rapporti con la disciplina

vigente, nulla autorizza a ritenere che siano stati stravolti i principi in tema di

responsabilità civile, tanto più che le norme poste dal legislatore delegato

sono da interpretare nel significato compatibile con i principi ed i criteri

direttivi della delega (sentenze n. 98 del 2008 e nn. 170 e 340 del 2007).

Nella misura in cui l'azione diretta contro l'assicuratore del danneggiato non

rappresenta una diminuzione di tutela, ma un ulteriore rimedio a disposizione

del danneggiato, non è riconoscibile un vizio nel procedimento di formazione

legislativa: il sistema di liquidazione del danno creato nell'esercizio della

delega è misurabile nei termini del riassetto normativo delegato.

La non riconoscibilità del denunciato stravolgimento del sistema dà ragione

del contributo consultivo offerto alla formazione del d.lgs. n. 209 del 2005 dal

Consiglio di Stato (parere n. 11603/05) su uno schema che ancora non

comprendeva il rimedio migliorativo descritto, tanto più che un esame

puntuale della coerenza delle disposizioni recate dalla nuova normativa

sull'azione diretta con i criteri direttivi della legge di delega n. 229 del 2003,

è stato comunque compiuto a posteriori, in sede di consultazione sulla

normativa secondaria, attuativa dell'art. 150 (pareri n. 5074/05 e n. 746/06).

Il nuovo sistema agevola i danneggiati che hanno contratto l'assicurazione

(che non è dubbio rientrino in dette categorie), anche in relazione allo

specifico riferimento dell'art. 4 lettera b) della legge delega al “processo di

liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali di tale servizio”: se

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l'ipotesi statisticamente più accreditata, che il danneggiato coincida con il

conducente assicurato, costituisce attuazione del principio di tutela del

consumatore posto dalla legge delega, l'estensione delle nuove modalità di

tutela al conducente non contraente resta elemento neutro, dato che

comunque, secondo i principi tradizionali del risarcimento diretto

nell'assicurazione obbligatoria (art. 18 della legge n. 990 del 1969), il

conducente dovrebbe rivolgersi ad un assicuratore con cui non ha nessun

contratto. Ne viene sostanzialmente modificata la modalità di ottenimento

della tutela, ma non risultano sovvertiti i criteri posti dalla legge delega. La

constatazione riguarda anche l'adeguamento alla disciplina comunitaria (art.

4 lettera a), giacché l'esperibilità dell'azione di responsabilità e di quella

diretta contro l'assicuratore del responsabile civile, secondo

un'interpretazione costituzionalmente orientata, si dimostra rispettosa della

direttiva 2005/14/CE: questa obbliga gli Stati membri a provvedere affinché le

persone lese da un sinistro, causato da un veicolo assicurato, possano

avvalersi di un'azione diretta nei confronti dell'impresa che assicura contro la

responsabilità civile la persona responsabile del sinistro. Senza considerare

che l'azione diretta è ora esperibile contro il proprio assicuratore, perché

questi non fa altro che liquidare il danno per conto dell'assicurazione del

danneggiante (art. 149, comma 3, del Codice delle assicurazioni), tanto che la

seconda può intervenire nel giudizio intrapreso dal danneggiato contro il

primo, ed estrometterlo (comma 6).

La tesi dell'ammissibilità, accanto all'azione diretta, della tradizionale az ione

di responsabilità civile, toglie, altresì, fondamento alle censure di ordine

sostanziale mosse dal rimettente, sotto i profili della lesione del diritto di

azione e dei principi del giusto processo, nonché della disparità di

trattamento riguardo ad altre categorie di danneggiati.

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Il nuovo sistema di risarcimento diretto non consente di ritenere escluse le

azioni già previste dall'ordinamento in favore del danneggiato. Del resto, dati

i limiti imposti dalla legge delega e la necessità, già sottolineata , di

interpretare la normativa delegata nel significato compatibile con principi e

criteri direttivi della delega stessa, la scelta del danneggiato di procedere nei

soli confronti del responsabile civile trova fondamento nella

normativa codicistica, non esplicitamente abrogata. Allo stesso modo in cui fu

pacificamente ritenuto che l'introduzione, con l'art. 18 della legge 24

dicembre 1969, n. 990, dell'azione diretta contro l'assicuratore non elideva

l'ordinaria azione di responsabilità civile nella circolazione stradale (art.

2054 cod. civ.: v., da ultimo, Cass., sentenza 11 giugno 2008, n. 15462),

parimenti, la disciplina confermativa dell'azione diretta (art. 144 Cod. ass.) e

l'introduzione di un'ipotesi speciale di essa, quella contro il proprio

assicuratore (art. 149), non può aver precluso l'azione di responsabilità

civile.

A favore del carattere alternativo, e non esclusivo, dell'azione diretta nei soli

confronti del proprio assicuratore, depone, poi, oltre all'interpretazione

coerente della delega (dalla quale non sembra emergere la possibilità di uno

stravolgimento del sistema), uno dei principi fondamentali della stessa, che è

quello (art. 4, comma 1, lettera b) della “tutela dei consumatori e più in

generale dei contraenti più deboli avuto riguardo alla correttezza dei

messaggi pubblicitari e del processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli

aspetti strutturali di tale servizio”. In presenza di tale formula, appare

coerente con le finalità della legge delega un rafforzamento del servizio a

tutela dei consumatori e dei contraenti deboli, che si estrinseca attraverso il

riconoscimento di una ulteriore modalità di tutela”.

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E) Circa la forma e la modalità di presentazione della domanda di risarcimento

diretto vale quanto previsto dall’art. 143 Cda e, cioè, che “i conducenti dei veicoli

coinvolti o, se persone diverse, i rispettivi proprietari sono tenuti a denunciare il

sinistro alla propria impresa di assicurazione, avvalendosi del modulo fornito dalla

medesima, il cui modello è approvato dall'ISVAP. In caso di mancata presentazione

della denuncia di sinistro si applica l’articolo 1915 del codice civile per l’omesso

avviso di sinistro. Quando il modulo sia firmato congiuntamente da entrambi i

conducenti coinvolti nel sinistro si presume, salvo prova contraria da parte

dell’impresa di assicurazione, che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le

modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo stesso”.

Qualora la richiesta di risarcimento sia incompleta o siano necessarie delle

integrazioni, la compagnia assicuratrice ha trenta giorni di tempo per chiedere le

informazioni necessarie all’interessato.

Valutati tutti gli elementi ivi contenuti, con apposita comunicazione inviata al

danneggiato, dovrà formulare una congrua offerta di risarcimento del danno nel

termine di trenta giorni in caso di danno a veicoli ed a cose se il modulo di denuncia

del sinistro sia sottoscritto da entrambi i conducenti coinvolti.

Il termine sarà di sessanta giorni nel caso di danni solo a veicoli e cose senza

sottoscrizione del “foglio blu” o di novanta giorni in caso di lesioni.

Nell’ipotesi in cui riceva l’offerta, il danneggiato potrà scegliere di accettare l’offerta,

dichiarare di non accettarla oppure non rispondere alla proposta.

La compagnia assicuratrice dovrà, in ogni caso, provvedere ad effettuare il

pagamento della somma offerta nel termine di quindici giorni dal ricevimento della

accettazione o del rifiuto dell’offerta o comunque decorsi trenta giorni dalla

comunicazione senza aver ricevuto alcuna risposta da parte del danneggiato.

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Se il danneggiato dichiara di accettare la somma offerta, l’impresa di assicurazione

provvede al pagamento entro quindici giorni dalla ricezione della comunicazione e il

danneggiato è tenuto a rilasciare quietanza liberatoria valida anche nei confronti del

responsabile del sinistro e della sua impresa di assicurazione.

Lo stesso dicasi nell’ipotesi in cui il danneggiato abbia comunicato di non accettare

l’offerta o non abbia fatto pervenire alcuna risposta; la somma in tal modo corrisposta

è imputata all’eventuale liquidazione definitiva del danno.

Infine, in caso di comunicazione dei motivi che impediscono il risarcimento diretto,

ovvero nel caso di mancata comunicazione di offerta o di diniego di offerta entro i

termini previsti stabiliti dall’art. 148 Cda o di mancato accordo, il danneggiato, per

effetto del nuovo sistema di tutela delineato nel nuovo codice delle assicurazioni

(sistema del doppio binario), può scegliere se agire in giudizio nei confronti

dell’impresa assicuratrice del responsabile civile oppure nei confronti del proprio

assicuratore.

F) In punto di proponibilità dell’azione, l’art. 145 D. lgs. n. 209/2005, al comma 2,

stabilisce: “Nel caso in cui si applichi la procedura di cui all’articolo 149 l’azione

per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i

quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi

sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello

in cui il danneggiato abbia chiesto alla propria impresa di assicurazione il

risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento,

inviata per conoscenza all’impresa di assicurazione dell’altro veicolo coinvolto,

avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti dagli articoli 149 e 150”.

G) Né in tale norma né in altre si dice alcunché in ordine alla necessità di evocare in

giudizio il presunto responsabile civile del danno.

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55

Un recente arresto della Corte di Cassazione, intervenuto con ordinanza N.

9276/2017, lascia aperta la questione3.

Dottrina e giurisprudenza di merito si sono interrogate sulla necessità di citare in

giudizio anche il responsabile del sinistro in qualità di litisconsorte necessario.

Com’è noto, la necessità che sia evocato in giudizio anche il responsabile civile è un

punto fermo nell’ipotesi in cui il danneggiato si rivolga all’impresa assicuratrice del

proprietario del veicolo antagonista: in tal senso v’è un’espressa previsione nell’art.

144, comma terzo, C.d.a.

Lo stesso non può dirsi nell’ambito della procedura di indennizzo diretto.

Secondo un primo risalente orientamento, una lettura costituzionalmente orientata

dell’art. 149 Cda imporrebbe di ritenere che nel giudizio risarcitorio intrapreso nei

confronti della propria assicurazione debba essere citato anche il responsabile del

danno, proprietario del veicolo danneggiante, atteso che la pronuncia di condanna al

risarcimento del danno postulerebbe la previa declaratoria della responsabilità nella

causazione dell’evento dannoso.

Per un secondo orientamento, oramai invalso tra i giudici di merito, l’art. 149 Cda

non richiederebbe affatto la partecipazione in giudizio del danneggiante in qualità di

litisconsorte necessario.

A sostegno di tale soluzione viene in soccorso, prima di tutto, il tenore letterale dello

stesso art. 149 Cda, a mente del quale è prevista l’“azione diretta nei soli confronti

della propria impresa di Assicurazione”.

3 Corte di Cassazione, Ordinanza 11 aprile 2017, n. 9276: “[omiss], infatti, a prescindere dalla natura necessaria o

facoltativa del litisconsorzio disposto nei confronti del danneggiante [omiss].”

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È stato, inoltre, precisato che l’azione diretta ex art. 149 Cda, come suesposto, trova il

suo fondamento nel rapporto contrattuale che lega il danneggiato alla sua Compagnia

assicurativa, obbligata ex lege al risarcimento, e non nella responsabilità del

danneggiante strictu sensu intesa.

In sostanza, il titolo in base al quale si agisce nei confronti della propria Compagnia

assicurativa non è quello della responsabilità aquiliana ex art. 2043-2054 c.c., ma ha

natura contrattuale/legale: l'azione diretta nei confronti del proprio Assicuratore ha la

sola funzione di accertare l'obbligo della Compagnia, impostole dall’art. 149 Cda e

dal contratto assicurativo, di provvedere al risarcimento del danno patito dal proprio

assicurato, senza incidere sulla autonoma posizione del responsabile civile, il quale è

totalmente estraneo al rapporto contrattuale intercorrente tra danneggiato e propria

Assicurazione e, quindi, carente di legittimazione passiva c.d. sostanziale.

H) Secondo espressa previsione legislativa, l’azione diretta proposta nei confronti

della propria assicurazione può “mutare” in corso di causa il legittimato passivo,

trasformandosi in una normale azione nei confronti dell’assicurazione del

danneggiante.

Ai sensi dell’art. 149, ultimo comma seconda parte, infatti, “l'impresa di

assicurazione del veicolo del responsabile può chiedere di intervenire nel giudizio e

può estromettere l'altra impresa, riconoscendo la responsabilità del proprio

assicurato ferma restando, in ogni caso, la successiva regolazione dei rapporti tra le

imprese medesime secondo quanto previsto nell'ambito del sistema di risarcimento

diretto”.

Ne consegue che l’invio, per conoscenza, della richiesta risarcitoria all’impresa di

assicurazione del veicolo del responsabile civile è un atto indispensabile perché

quest’ultima possa prendere atto, sin dalla fase stragiudiziale, dell’eventuale futura

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azione nella quale potrà o meno intervenire ex art. 149, comma 6, d.lgs. n. 209 del

2005.

Tale adempimento è condizione di proponibilità dell’azione secondo quanto

disposto dall’art. 145, comma 2, d.lgs. n. 209 del 2005 e consente alla compagnia di

assicurazione del veicolo responsabile di intervenire nel giudizio ed estromettere

l’altra impresa, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato.

Nel tempo, è invalsa la pratica dell’intervento volontario della compagnia del

danneggiato nel giudizio intentato da quest’ultimo nei confronti del responsabile

civile e della sua Assicurazione ex art. 148 Cda.

Siffatta prassi ha incontrato rilievi critici in una parte consistente della

giurisprudenza di merito, che ha sostenuto la carenza di interesse a resistere

dell’assicurazione del danneggiato.

In tal senso, si è affermato che “Mentre l’art. 149 C.d.A. prevede l’intervento

dell’assicuratore del responsabile nella procedura di risarcimento diretto al fine di

estromettere la compagnia del danneggiato, al contrario nel contesto dell’azione

esperita nei confronti del responsabile e della sua compagnia assicurativa non è

previsto l’intervento dell’assicuratore del danneggiato”, il quale “pare carente dei

presupposti di cui agli artt. 105 e 100 c.p.c., non avendo l’assicuratore del

danneggiato alcun interesse alla soccombenza del suo assicurato di fronte al

responsabile civile evocato in giudizio (e nemmeno costituitosi). Quanto, poi, agli

accordi intervenuti fra assicuratori (convenzione CARD) “trattasi di atti di natura

privatistica che non possono legittimare l’esercizio di diritti davanti all’Autorità

Giudiziaria in contrasto con le norme che disciplinano la materia”; diversamente

opinando, l’azione ex art. 149 CdA che la Corte Costituzionale ha chiarito essere

facoltativa ed aggiuntiva nell’interesse dell’assicurato diventerebbe - per effetto di

un accordo cui l’assicurato è estraneo che impone all’assicuratore del responsabile

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di ‘rinviare’ il danneggiato al suo assicuratore – obbligatoria in contrasto con

l’insegnamento della Corte”4.

Secondo altra ricostruzione, invece, l’intervento della propria compagnia

nell’ambito di un’azione ex art. 148 Cod. Ass.ni. è ammissibile e si fonda, a livello

sostanziale, sulla figura giuridica della delegazione cumulativa, disciplinata dagli artt.

1268 ss. c.c.

Nell’ambito del rapporto di provvista (rapporto tra delegante e delegato) diverse sono

le ragioni che possono indurre il terzo delegato ad assumere il debito del delegante,

ovvero a provvedere (nel caso di delegatio solvendi) al pagamento del debito

originariamente assunto dal delegante; nel caso in esame tale assunzione avviene in

ragione della sottoscrizione della CARD.

L’esistenza sul piano sostanziale di una delegazione cumulativa vale a fondare

l’interesse della Compagnia del danneggiato a resistere alla domanda attorea e,

quindi, ne legittima l’intervento in giudizio.

“L’intervento dell’impresa del danneggiato sarà da qualificarsi in termini di

intervento adesivo autonomo (detto anche litisconsortile), che non pregiudica

minimamente la posizione processuale o sostanziale del danneggiato la quale, al

contrario, ne viene fuori rafforzata, se si considera che, per effetto della delegazione,

“il debitore originario non è liberato dalla sua obbligazione, salvo che il creditore

dichiari espressamente di liberarlo” (delegazione cumulativa) e che, sul piano

4 Trib. Torino sent. n. 389/13. Sul punto vd. anche sent. del Trib. Venezia secondo cui “quando il danneggiato opta di

convenire in giudizio l'assicurazione del responsabile civile anziché la propria, ritenere che un accordo fra

imprese assicuratrici possa determinare una modificazione del contraddittore processuale prescelto dal

danneggiato vorrebbe dire vanificare la facoltà del danneggiato di scegliere il proprio contraddittore

processuale, facoltà a lui riservata dalla interpretazione della sentenza della Corte costituzionale del

2009.Inoltre, se il comma 6 dell’art. 149 cod. ass. non consen te al danneggiato di convenire in giudizio

entrambe le compagnie assicuratrici, imponendogli di agire nei confronti o dell’una o dell’altra, non si

comprende per quale ragione dovrebbe invece permettersi alle stesse compagnie di stabilire, di comune accord o,

una compartecipazione spontanea di quella del danneggiato nel giudizio promosso contro quella del

responsabile civile” (sent. n. 1339/2015). Ancora, in tal senso, vd. G.d.P. Legnano, 21-11-2013, n. 431.

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processuale, l’intervento volontario del terzo produce l’automatica estensione nei

suoi confronti, anche in assenza di espressa istanza, della domanda originaria”5.

******

9 – La tutela del terzo trasportato

A) Il terzo trasportato è colui che subisce un danno trovandosi a bordo di un

veicolo coinvolto in un incidente stradale: nella nozione di terzo trasportato sono

ricompresi anche il proprietario o comproprietario dell'auto in cui gli stessi si

trovano a viaggiare.

Indipendentemente dal titolo in base al quale è effettuato il trasporto, oneroso o

gratuito, egli ha una duplice possibilità di azione, potendo scegliere a quale

Compagnia assicurativa rivolgersi: quella del veicolo sul quale si trovava al

momento del sinistro oppure quella del veicolo che ha causato l'evento dannoso.

Tale tutela bidirezionale è facoltativa, ma l'azione diretta nei confronti della

Assicurazione del vettore, a differenza di quella esperibile nei confronti del

conducente della autovettura antagonista, responsabile dell'evento, ha il

vantaggio di onerare il terzo trasportato della semplice allegazione e

dimostrazione del fatto storico e non anche della responsabilità del vettore e

tantomeno di quella del conducente dell'auto antagonista.

Trattasi di responsabilità di tipo oggettivo che è esclusa dal caso fortuito,

riconducibile, tra l’altro, ad un fatto dello stesso danneggiato (per esempio il non

aver indossato le cinture di sicurezza).

Non occorre per la operatività della speciale tutela il coinvolgimento nel sinist ro

di due autoveicoli né che entrambi siano assicurati.

5 Trib. Milano, sent. n. 13052/11.

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La disciplina del risarcimento dei danni del terzo trasportato è stata oggetto di

plurimi interventi legislativi fino alla recente regolamentazione di cui al D. lgs N.

209/2005 che, innovando al precedente sistema, rappresentato soprattutto dalle

leggi 990/1969 e 39/1977, ha avuto il merito di riconoscere al soggetto che si

trovi come passeggero a bordo di un veicolo rimasto coinvolto in un incidente

stradale una posizione di favore, decisamente rafforzata rispetto al passato anche

in ipotesi di trasporto di cortesia, ovvero di trasporto contrattuale sia oneroso che

gratuito, dato che, a norma dell'art. 122, 2° co., del D. lgs. N. 209/2005,

l'assicurazione obbligatoria comprende la responsabilità per i danni alla persona

causati ai trasportati, qualunque sia il titolo in base al quale è effettuato il

trasporto.

Tale posizione legittima il terzo trasportato, considerato soggetto debole, ad agire

direttamente anche nei confronti della compagnia assicuratrice del veicolo su cui

si viaggia, sulla base del principio vulneratus ante omnia reficiendus e della

semplice allegazione/dimostrazione del fatto storico e non anche della

responsabilità dei protagonisti, senza tuttavia togliergli la possibilità di far valere

i diritti derivanti dal rapporto obbligatorio scaturente dalla responsabilità civile

dell' autore del fatto dannoso.

Ovviamente rimane salva la rivalsa dell'assicuratore del vettore nei confronti

dell'effettivo responsabile, in tutto o pro-quota in base alla graduazione della

colpa nel caso concreto.

Può anche accadere che il veicolo sul quale il trasportato si trovava sia proprio

quello che ha provocato l'evento dannoso.

In tale ipotesi, non infrequente, verrebbe esclusa la opzione di cui sopra potendo

il terzo trasportato scegliere solo a quale titolo chiedere il risarcimento danni,

specificando nella relativa richiesta se intende agire ex art. 141 CdA ovvero

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attraverso l'azione ordinaria ex art. 2054 CC: nel primo caso, avvalendosi di un

regime probatorio più facile, dovendo solo dimostrare di aver subito un danno a

seguito di un sinistro, ma non anche le modalità concrete dello stesso allo scopo

di individuare la responsabilità dei rispettivi conducenti, trattandosi di

accertamento irrilevante ex art. 141 CdA (ex multis Cass. Civ., 30/07/2015, N.

16181), che è, invece, indispensabile ove si intenda agire sulla base della

responsabilità aquiliana.

Detta scelta costituisce una facoltà ma non un obbligo, con l'avvertenza che

sarebbe inammissibile la contestuale proposizione, da parte del terzo

trasportato, dell'azione speciale ex art. 141 CdA e di quella ordinaria nei confronti

della Compagnia di Assicurazioni del veicolo su cui era trasportato (vd. Tribunale

di Roma, 29/12/2015, in Giurisprudenza Massimata su “il Sole 24 ore”, 2015).

B) L’art. 141 C.d.a., che ha resistito al vaglio di legittimità della Corte

Costituzionale (ordinanza 13/06/2008 n° 205), recita testualmente:

"salva l'ipotesi di sinistro cagionato da caso fortuito, il danno subito dal terzo

trasportato è risarcito dall'impresa di assicurazione del veicolo sul quale era a

bordo al momento del sinistro entro il massimale minimo di legge, fermo restando

quanto previsto dall'art. 140 CdA, a prescindere dall'accertamento della

responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro, fermo il diritto al

risarcimento dell'eventuale maggior danno nei confronti della impresa di

assicurazione del responsabile civile, se il veicolo di quest'ultimo è coperto per

un massimale superiore al minimo. Per ottenere il risarcimento il terzo

trasportato promuove, nei confronti della Impresa Assicuratrice del veicolo sul

quale era a bordo al momento del sinistro, la procedura di risarcimento prevista

dall'art. 148".

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A questo punto, non può non ricordarsi che la non perfetta formulazione dell'art.

141 CdA, che sostanzialmente ha introdotto una ipotesi di responsabilità

oggettiva, ha determinato l'insorgere di non pochi problemi interpretativi, a

cominciare dalla individuazione di chi sarebbe il "terzo trasportato",

identificazione necessaria in quanto solo tale soggetto può beneficiare della

speciale disposizione legislativa sopramenzionata.

E così ancora si è posto l'interrogativo se l'art. 141 CdA possa applicarsi anche ai

sinistri verificatesi senza coinvolgimento di altri veicoli diversi da quello del

vettore (come, ad esempio, quando l'incidente è avvenuto per sbandamento del

veicolo del vettore che è uscito di strada per un errore di guida del conducente).

Ed, inoltre, si discute se detta disposizione operi anche per i sinistri verificatesi

tra un veicolo assicurato ed un veicolo non assicurato o non identificato.

E, poi, quid iuris nella ipotesi relativa ad un incidente in cui l'auto circola

prohibente domino?

Altro nodo interpretativo consiste nel verificare se la locuzione "terzo trasportato"

possa estendersi fino a ricomprendere anche i prossimi congiunti del terzo

deceduto nel sinistro.

È intuibile come si tratti di questioni che hanno una certa valenza e che possono

incidere sulla scelta del terzo trasportato di esercitare l'azione ordinaria piuttosto

che quella speciale per non incorrere in pronunce di inammissibilità laddove

l'opzione ex art. 141 CdA non fosse ritenuta possibile.

C) Ciò posto, andando ad affrontare, partitamente, i problemi posti dalla citata

disposizione di legge, terzo trasportato è colui che viaggia, a qualsivoglia titolo, a

bordo di un veicolo coinvolto in un incidente stradale e che, per effetto dello

stesso, ha subito in danno.

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Dibattuta è la questione se nella figura del terzo trasportato possa ricomprendersi

anche il proprietario/compropretario dell'auto su cui il medesimo si trovava al

momento del sinistro, contrapponendosi, sul punto, due teorie, una più restrittiva,

che esclude il proprietario dell'auto coinvolta nel sinistro dal beneficio previsto

dall'art 141 CdA, potendo lo stesso esperire l'azione ordinaria secondo i principi

della responsabilità aquiliana ed un’altra più permissiva.

Questa seconda teoria si fonda sui principi comunitari e sulla giurisprudenza della

Corte di Giustizia Europea (vd. sentenza 30/06/2005 nel procedimento C-

537/2003), che portano ad affermare che non sussisterebbero ragionevoli motivi

per escludere il terzo trasportato, il quale è contestualmente proprietario della

auto incidentata sulla quale viaggiava, dai benefici dell'art. 141 CdA.

Siffatta tesi, di chiara impronta solidaristica, è stata recepita dalla Corte di

Cassazione, che, con sentenza del 30/08/2013, N. 19963, ha affermato un

principio coerente con la superiore "ratio legis Europae" espressa dalle direttive

europee, per cui il terzo trasportato ha sempre diritto al risarcimento integrale del

danno da parte dell'assicuratore.

Una recente sentenza della Suprema Corte, del 6.10.2016, N. 19986, ha esteso la

speciale tutela, di cui qui si discute, anche ai danni sofferti dal coniuge,

trasportato sulla vettura assicurata, comproprietario del veicolo in regime di

comunione legale dei beni.

D) Il principio è ricavabile anche dalla pronuncia della Cassazione del 27/08/2014

N. 18308, resa in relazione ad un caso in cui un terzo trasportato sulla propria

autovettura e titolare del contratto di assicurazione era deceduto a seguito di un

sinistro stradale.

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La particolare fattispecie ha permesso alla S.C. di chiarire altri aspetti giuridici

dibattuti nella giurisprudenza.

Considerata l'esistenza di una clausola del contratto di assicurazione per la RC,

che rendeva inoperativa la garanzia nel caso in cui il veicolo assicurato fosse

condotto, al momento del sinistro, da persona non munita della prescritta

patente di guida (come nella fattispecie scrutinata), si è posto l’interrogativo se

siffatta clausola fosse o meno opponibile, da parte della Assicurazione, al terzo

trasportato proprietario dell'auto su cui viaggiava, avendo gli eredi di questi,

deceduto nell'incidente, agito iure proprio per far valere il danno non

patrimoniale per perdita del rapporto parentale e quello da perdita dell'assegno di

mantenimento.

Gli Ermellini opinarono per la inopponibilità trattandosi di eccezione derivante

dal contratto in un contesto in cui l'assicurazione per la RC, per il suo stampo

pubblicistico e obbligatorio, connota il diritto al risarcimento danni del terzo

danneggiato di una condizione di autonomia nei rapporti con la compagnia di

Assicurazioni rispetto al diritto dell'assicurato danneggiante, salvo rivalsa

dell'assicuratore stesso quando abbia risarcito il danno.

Di qui la legittimità della domanda risarcitoria presentata iure proprio dagli eredi.

Ma, come già accennato, sulla questione più in generale della legittimità degli

eredi del terzo trasportato, deceduto in un incidente stradale, di poter vantare

pretese risarcitorie sulla base dell'art. 141 CdA, l'orientamento giurisprudenziale

si presenta variegato ancorché il problema non si ponga nella ipotesi in cui i

successori avanzino pretese iure hereditatis: in tale ipotesi, infatti, la loro

posizione ripete quella del proprio dante causa.

Il contrasto si riscontra soprattutto nella giurisprudenza di merito.

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Secondo una prima opinione, più rigorosa e che si basa sul dato letterale dell'art.

141 CdA, la locuzione “terzo trasportato” non può estendersi fino a

ricomprendere i prossimi congiunti del terzo medesimo nel caso in cui questo sia

deceduto.

La disposizione in esame apparirebbe chiara, per cui in claris non fit

interpretatio.

La natura eccezionale della norma non consentirebbe il ricorso alla analogia.

La diversità di trattamento, laddove gli eredi agiscano iure proprio, è

riconducibile ad una scelta di politica legislativa chiaramente orientata a creare

una corsia preferenziale nei confronti del solo terzo trasportato, in quanto vittima

primaria di un danno diretto, a differenza degli eredi, che, viceversa, sono titolari

di un pregiudizio riflesso.

In questo senso si è pronunciata una recente sentenza del Tribunale di Oristano

(sent. 23/06/2016, N. 564, in Redazione Giuffré 2016; in senso conforme

Tribunale Caltanissetta del 24/04/2014, in Foro.it 2014, 6, I, 1952).

La contraria opinione, che, come visto, trova l'avallo della S.C., è sostenuta

soprattutto dai giudici milanesi.

Nella recente decisione del Tribunale di Milano, X Sezione Civile, 22/04/2016 N.

5104 (in Giur. Mass. Il Sole 24 ore-2016) si afferma testualmente: "come già in

precedenza affermato da codesto Tribunale, il superamento di una lettura

strettamente letterale della norma è stato da più parti auspicato con una

interpretazione estensiva che sola farebbe salvi i dubbi di costituzionalità

altrimenti emergenti, non sussistendo motivi per i quali la tutela assegnata al

trasportato non debba essere riconosciuta ai parenti di questo che, per effetto del

danno subito dal loro congiunto, ne patiscono i propri: oltre che con il

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riferimento al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., del resto una

applicazione restrittiva della norma urterebbe da un lato con il criterio di

economicità dei giudizi e contro il diritto di cui all'art. 24 Cost., dall'altro.

Diversamente, non si spiegherebbe la ragione per cui il principio secondo il

quale il danneggiato ha l'onere di dedurre unitariamente tutte le possibili voci di

danno che abbia subito in conseguenza di un illecito (Cass. SS.UU. 2376/2007;

Cass. 65971/2010) non preclude al prossimo congiunto del defunto la possibilità

di azionare la procedura di cui all'art. 141 Cod. Ass. anche per i danni di natura

ereditaria, riconoscendogli una tutela riconosciutagli dall'Ordinamento".

E) Altra questione molto dibattuta attiene alla necessità o meno che il sinistro

abbia visto il coinvolgimento di almeno due veicoli, entrambi assicurati.

Insomma, secondo un primo indirizzo, l'applicabilità dell'art. 141 CdA sarebbe

subordinata alla ricorrenza nel caso specifico di due condizioni:

- il coinvolgimento nel sinistro in cui sia rimasto danneggiato il terzo

trasportato di almeno due veicoli;

- il fatto che detti veicoli siano entrambi assicurati.

In difetto di tali condizioni, non si potrebbe esercitare l'azione diretta risarcitoria

nei confronti della Compagnia di assicurazioni dell'auto in cui era a bordo il terzo

trasportato, il quale, però, non perderebbe i suoi diritti potendo esperire l'azione

ordinaria.

Anche su tale questione di recente è intervenuta la giurisprudenza di merito con

due decisioni che si segnalano per il loro interessante percorso argomentativo.

Trattasi delle pronunce della Corte di Appello de L'Aquila del 30/03/2016 N. 335

(pubblicata su Redazione Giuffré 2016) e del Tribunale di Benevento (pubblicata

su" www. Il Caso Sez. Giurisprudenza 15774 pubb. 16/09/2016"), ove si

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sottolinea (soprattutto nella prima), attraverso una lettura costituzionalmente

orientata sulla base dell'intervento dell'Alta Corte (ordinanza 29276/2008), come

la norma dell'art. 141 CdA "presuppone solamente la sussistenza di un sinistro ed

un danno subito dal terzo trasportato ma non esige affatto, per la integrazione

della sua fattispecie, che il medesimo si sia verificato a seguito dello scontro tra

almeno due automezzi". La contraria opinione (vd., ad es., Tribunale di Cassino

4/06/2013, N. 487, in Giur. Mass. Il sole 24 ore), che si fonda sul mero dato

letterale della norma, comporterebbe “un indebito vulnus di tutela nei confronti

del terzo trasportato/danneggiato", che proprio il D.lgs 2005/2009 ha voluto

garantire, dato che lo scopo dell'art. 141 CdA, come più volte ritenuto dalla

Cassazione (ex multis 2005/16181), "è quello di fornire al terzo trasportato uno

strumento aggiuntivo di tutela, al fine di agevolare il conseguimento del

risarcimento del danno nei confronti della impresa assicuratrice, risparmiandogli

l'onere di dimostrare la effettiva distinzione della responsabilità fra i conducenti

dei veicoli coinvolti nel sinistro".

F) Le suddette ragioni di tutela del terzo trasportato prevalgono allorché il

trasporto possa considerarsi illegittimo, come nel caso della presenza di due

persone su un ciclomotore che va a scontrarsi con una autovettura.

Il terzo trasportato sul motociclo ha la possibilità di agire ex art. 141 CdA,

indipendentemente dal rilievo dell'abusivo trasporto, a meno che non sia

accertato che la presenza di due persone sul ciclomotore abbia avuto una

efficienza causale nella produzione del danno (in questo senso vd. Cass. Civ.

17/12/2015 N. 25345, che ribadisce principi già espressi in Cass. Civ. 22/11/2013

N. 26239).

G) E le stesse ragioni che hanno ispirato il dedotto trattamento di favore per il

terzo trasportato devono condurre alla conclusione della non necessità che tutti i

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veicoli coinvolti nel sinistro siano assicurati (in tal senso vd. Tribunale di Roma,

ordinanza del 21/11/2011, in www. Il Caso.it, 2012, pag. 7567, pt. I; contra vd.

Tribunale di Catania, sentenza 8/08/2011, N. 574, in Red. Giuffré 2011, in una

fattispecie in cui il veicolo privo di copertura era quello del responsabile civile,

mentre il trasportato viaggiava su veicolo regolarmente assicurato).

Sotto tale profilo, il riferimento nell'art. 141 CdA ai due Enti Assicurativi deve

essere interpretato (secondo il Giudice romano) come semplice riferimento alla

normalità dei casi e non come preclusivo della domanda qualora nel sinistro sia

coinvolto un veicolo non identificato o privo di copertura assicurativa.

Quindi, il terzo trasportato ha la possibilità di agire nei confronti della Compagnia

Assicuratrice del vettore, ex art. 141 CdA, per ottenere l'integrale risarcimento

ovvero parziale nei limiti del proprio concorso causale nella produzione del

sinistro, anche laddove la vettura antagonista risulti priva di copertura

assicurativa o non identificata.

Lo stesso dicasi laddove la responsabilità dell'evento fosse addebitabile al vettore

su cui viaggiava il terzo trasportato.

L'applicazione dell'art. 141 CdA prescinde, infatti, dall'accertamento della

responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro.

Nel caso, poi, che l'auto del vettore, con a bordo il terzo trasportato, risulti priva

della assicurazione, nulla vieta che, in quanto coerente con la ratio legis, questi

possa agire con azione diretta contro l'impresa designata dal Fondo di Garanzia

per le vittime della strada ex art. 283 CdA.

Ma, va ricordato, al riguardo, che, sulla base di una interpretazione letterale

dell'art. 141 CdA, in combinato disposto con l'art. 283 CdA, si è escluso che la

prima delle due anzidette disposizioni possa applicarsi oltre i casi da essa previsti,

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circoscritti, nella relativa formulazione, a quelli in cui il veicolo, per mezzo del

quale avviene il trasporto, sia provvisto di assicurazione (così Tribunale di

Imperia 27/10/2015, in Red. Giuffré, 2015).

Una interpretazione, questa, però che si rivela non aderente alla ratio legis di

favorire in ogni caso il terzo trasportato finendo di rendere inutile la nuova

normativa rispetto a quella già esistente.

H) Altra questione interpretativa posta dalla normativa in esame afferisce

all’ipotesi in cui il terzo trasportato viaggi su un veicolo posto in circolazione

contro la volontà del proprietario o dei soggetti equiparati a quest'ultimo.

Recita l'art. 122, 3° comma, CdA che l'assicurazione non ha effetto nel caso di

circolazione contro la volontà del proprietario, dell'usufruttuario, dell'acquirente

con patto di riservato dominio o del locatario in caso di locazione finanziaria, a

partire dal giorno successivo alla denuncia presentata all'Autorità di P.S., fermo

restando quanto disposto dall'art. 283, 1° comma, lettera d, CdA, che in ipotesi

pone a carico del Fondo di Garanzia per le vittime della strada l'obbligazione

risarcitoria con il limite previsto dal 2° comma, circoscrivendo il risarcimento dei

danni sia a cose sia alla persona, cagionati ai terzi non trasportati, ai trasportati

contro la propria volontà ed a quelli inconsapevoli della circolazione illegale.

Trattasi di una novità assoluta introdotta dal CdA la cui formulazione ha

determinato l'esigenza di chiarire il significato dell'inciso "contro la propria

volontà".

Orbene, nell'ambito della responsabilità civile in discussione, è nota la distinzione

tra circolazione invito domino (cioè senza il consenso del proprietario) e

prohibente domino (cioè avvenuta contro la sua volontà che deve manifestarsi in

un concreto ed idoneo comportamento ostativo, specificamente rivolto a vietare la

circolazione ed estrinsecandosi in fatti rivelatori della diligenza e delle cautele

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allo scopo adottate (vd. Cass. Civ., 7/07/2006, N. 15521; in senso conforme Cass.

Civ, 17/10/2014, N. 8461).

Ciò significa che, in caso di furto dell'auto, poi circolata e venuta a collisione

con altro automezzo, non sia sufficiente, per liberarsi da ogni responsabilità, che

il proprietario presenti una denuncia di furto (che proverebbe la circolazione

invito domino), ma occorrerà provare di aver adottato ogni misura idonea ad

impedire l'azione del ladro (non sarebbe ad esempio sufficiente per integrare detta

prova la condotta del proprietario che custodisca le chiavi dell'auto in un cassetto

accessibile a tutti).

Ciò posto, nel caso in cui la circolazione abbia avuto luogo contro la volontà del

proprietario o dei soggetti ad esso equiparati, l’obbligazione risarcitoria si sposta,

per così dire, dalla Compagnia Assicuratrice del vettore in capo al FGVS, con il

limite previsto dal 2° comma dell'art. 283 CdA che, come visto, circoscrive

l'intervento di detto fondo stabilendo che il risarcimento è dovuto a coloro che

sono trasportati contro la propria volontà ed a quelli inconsapevoli della

circolazione illegale, sia per i danni alle cose che alle persone.

È bene precisare che, secondo l'opinione maggioritaria, l'oggetto della tutela ex

art. 141 CdA riguarderebbe, oltre i danni alla persona, anche quelli alle cose di

sua proprietà perché, diversamente, si costringerebbe il danneggiato ad agire con

due azioni, quella ordinaria e quella speciale, pur potendosi obiettare che il

medesimo non sarebbe sfornito di tutela potendo svolgere unica domanda nelle

forme ordinarie, mercé la bidirezionalità facoltativa della tutela ad esso

riconosciuta, come sopra detto: con la precisazione, però, che il danneggiato non

godrebbe della condizione più favorevole prevista dall'art. 141 CdA per quanto

riguarda il regime probatorio.

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I) Il "caso fortuito" determina l'esclusione del risarcimento del danno a favore

del terzo trasportato, per cui occorre stabilire quando siffatta ipotesi ricorra in

concreto. È noto che, in tema di responsabilità aquiliana, il caso fortuito ricorre

quando l'evento è riconducibile ad un fattore esterno alla sfera di controllo della

persona, alla quale si imputa il danno, avente un impulso causale autonomo ed il

carattere della imprevedibilità ed eccezionalità.

In altro senso, l'evento dannoso è riconducibile al caso fortuito quando il nesso

eziologico, tra il comportamento del soggetto responsabile e l'evento dannoso,

viene interrotto da un fattore eccezionale che rende inevitabile il verificarsi

dell'evento stesso atteggiandosi come unica causa efficiente di esso.

Nella nozione di caso fortuito, la giurisprudenza ricomprende anche il fatto del

terzo o dello stesso danneggiato, come può essere la sua imprudenza, o, più in

generale, il comportamento avente una efficacia causale tale da interrompere il

suddetto nesso eziologico o tale da affiancarsi ad esso come ulteriore contributo

utile alla produzione del danno.

È stato argutamente sostenuto che nella nozione di caso fortuito non possa farsi

rientrare il fatto del terzo, individuabile in quelle fattispecie in cui viene in

considerazione la colpa esclusiva del conducente dell'auto antagonista e "quindi la

potenziale responsabilità assorbente di quest'ultimo, ma diversi fattori eziologici

estranei alla sfera di dominio delle parti (così testualmente Tribunale di Torino

11/09/2007 n° 6070, in Il Sole 24 ore Mass. Rep. Lex 24).

In buona sostanza, la colpa del conducente dell'auto antagonista non potrebbe

rilevare perché nel sistema della responsabilità diretta di cui all'art. 141 CdA

l'Assicurazione del vettore è comunque tenuta a risarcire il danno subito dal terzo

trasportato, anche nel caso di responsabilità esclusiva del conducente del veicolo

antagonista.

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Diversamente opinando, facendo rientrare nel caso fortuito anche il fatto del

conducente che con la propria condotta imprudente abbia causato il danno, si

svuoterebbe di contenuto il principio più volte predicato dalla giurisprudenza di

merito e legittimità e ulteriormente ribadito nella decisione 02/08/2016 N. 16037

che riafferma in pratica quella "costante giurisprudenziale" che vede nella ipotesi

di scontro di autoveicoli la possibilità del terzo trasportato di conseguire il danno

dalla Impresa di Assicurazione del vettore sulla base della semplice allegazione e

dimostrazione del fatto storico e non anche della responsabilità del vettore e tanto

meno di quella del conducente dell'auto antagonista.

L'orientamento appena ricordato appare in linea con la più volte ricordata ratio

legis che sarebbe del tutto svilita ricomprendendo nel caso fortuito anche l'ipotesi

di danno cagionato dal conducente dell'auto antagonista.

Tale impostazione è condivisa da altri Giudici di merito, citandosi, ad esempio, il

Tribunale di Taranto sentenza 10/01/2014 N. 9 (in Il Sole 24 ore, Repertorio

Mass. Lex 24), secondo cui "il caso fortuito non comprende l'ipotesi di colpa

esclusiva dell'altro conducente e l'accertamento di tale colpa è rimesso alla fase di

rivalsa tra le Compagnie di Assicurazione".

In questo senso vedasi anche Tribunale di Napoli, Sez. X, 17/09/2015, N. 11760

(in Redazione Giuffré 2015), secondo il quale "l'art. 141 CdA ha introdotto una

regola NO FAULT, in quanto prevede che l'Assicurazione del vettore sia sempre

tenuta al risarcimento del danno subito dal terzo trasportato, salvo il caso in cui il

sinistro sia conseguenza del caso fortuito ossia non sia ascrivibile a nessuno dei

conducenti dei veicoli coinvolti, non potendo essere ricompreso nel concetto di

caso fortuito il fatto doloso o colposo dall'altro conducente".

Quindi, in conclusione il danno subito dal terzo danneggiato deve essere sempre

risarcito dall'impresa del vettore sia nel caso in cui il proprio assicurato sia

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esente da qualsivoglia responsabilità del sinistro perché addebitabile al

conducente dell'auto antagonista sia nel caso in cui il proprio assicurato abbia

concorso nella causazione del sinistro.

Purtuttavia, il risarcimento del danno può essere ridotto o escluso nel caso di

corresponsabilità del terzo trasportato o di esclusiva sua responsabilità.

Si pensi, ad esempio, al caso classico in cui il terzo trasportato non indossava le

cinture di sicurezza, accorgimento che, viceversa, avrebbe escluso o limitato il

danno dallo stesso subito, come nel caso deciso da Cass. Civ., 15/03/2014, N.

5795. In tale decisione è stato affermato il principio che spetta comunque al

danneggiante fornire la prova che il comportamento del terzo trasportato abbia

avuto una efficienza causale tale da determinare in via esclusiva o concorrente il

pregiudizio da esso subito, nella fattispecie scrutinata, per non aver indossato le

cinture di sicurezza (ma si pensi ad una improvvisa ed inopinata uscita dal veicolo

in corsa, etc.).

Va ricordato, per concludere, che si è anche discusso, nel caso in cui il terzo

trasportato opti per lo strumento contemplato nell'art. 141 CdA, se l'azione

relativa vada proposta nei confronti della sola Compagnia del vettore o anche nei

confronti dei soggetti responsabili.

Ancora una volta la ratio legis dell'innovativo sistema normativo in esame

permette di fornire una risposta negativa, dato che si prescinde dall'accertamento

delle responsabilità in concreto dei soggetti coinvolti nel sinistro (così ex multis

Tribunale di Roma, 8/09/2015 N. 17826, in Red. Giuffré 2015; Tribunale di Roma

03/03/2010 in Foro.it 2010,9, I ,2561).

L) Riguardo, poi, alla disciplina relativa alla fase stragiudiziale ed all'azione

diretta del terzo trasportato, si applicano le disposizioni del Capo IV del Codice

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delle Assicurazioni, in quanto compatibili, in virtù dell'espresso richiamo operato

dal terzo comma dell'art. 141.

La disciplina è identica a quella, stabilita in via ordinaria, dal combinato disposto

degli articoli 144, 145 e 148, eccezion fatta per la diversa individuazione

dell'impresa legittimata dal lato passivo, osservandosi che l'art. 141 al secondo

comma si riferisce alla procedura stragiudiziale ed al terzo comma all'azione

diretta.

Il secondo comma dell'art. 141, in riferimento alla procedura stragiudiziale,

dispone che "per ottenere il risarcimento il terzo trasportato promuove nei

confronti dell'impresa di assicurazione del veicolo sul quale era a bordo al

momento del sinistro la procedura di risarcimento prevista dall'art. 148".

Dal richiamo espresso degli artt. 145 e 148 si evince che la richiesta di

risarcimento deve contenere tutti i requisiti richiesti dalla legge e deve essere

inviata dal trasportato all'impresa di assicurazione del vettore, mediante lettera

raccomandata con avviso di ricevimento, corredata dalla documentazione prevista

dal citato art. 148, subito avvertendosi che la suddetta richiesta risarcitoria deve

essere inviata per conoscenza anche all'impresa di assicurazione dell'altro veicolo

coinvolto (ex art. 145, comma 2, CdA).

Entro sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata per danni a cose, o

novanta giorni in caso di danno alla persona, l'Assicurazione del vettore formula

una offerta di risarcimento al danneggiato, o comunica i motivi per cui non ritiene

di effettuare alcuna proposta risarcitoria.

Entro quindici giorni dall'accettazione dell'offerta da parte del danneggiato, o dal

rifiuto dello stesso, l'assicurazione del vettore provvede al pagamento dell'importo

del risarcimento precedentemente liquidato.

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Se il danneggiato non ha fatto pervenire alcuna risposta in ordine all'offerta

dell'Assicurazione, l'impresa corrisponde al medesimo l'importo offerto, nel

termine di trenta giorni dalla formulazione dell'offerta.

La richiesta deve essere completa ed esaustiva, oltre che documentalmente

corredata, così come richiesto dalla legge, onde evitare contestazioni,

annotandosi, ad esempio, che il Tribunale di Milano, con sentenza 23/10/2013,

Sez. XIII, N. 13213, ha ritenuto che l’incompletezza della richiesta stragiudiziale

inviata all'assicuratore può configurare un vizio insanabile rendendo la domanda

improponibile (v. anche Tribunale di Genova 18/01/2011, in Red. Giuffré 2011).

Siffatto indirizzo è stato da ultimo confermato dalla Cassazione, che, con

decisione dell’11/03/2016 N. 4754, ha ritenuto che nel sistema del c.d. indennizzo

diretto l'azione proposta diventa improponibile se non è stata preceduta dalla

richiesta (conforme al dettato normativo) di risarcimento danni di cui all'art. 148

CdA.

Per completezza è da ricordare che, secondo un filone giurisprudenziale, la

condizione di procedibilità della domanda risarcitoria deve considerarsi assolta

ogni qualvolta il danneggiato presenti una richiesta contenente gli elementi

essenziali volti a consentire all'assicuratore una valutazione della richiesta stessa,

secondo un giudizio da effettuarsi ex post (Tribunale di Torre Annunziata

01/09/2014 n° 2327; Tribunale di Napoli 22/02/2016 n° 2318; Tribunale di

Palermo 23/11/2012 n° 43 – tutte in Red. Giuffré 2013, 2014, 2016).

Firenze, 4 luglio 2017

Dott. Massimo Donnarumma