Renato Curci TEATRO - IBS · 2017. 6. 7. · persone. 5. In Boal, 1979, p. 118 (traduzione di...

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  • Renato Curci TEATRO DI LIBERAZIONE

    Quasi un manuale sulle artidi strada

    edizioni la meridianap a r t e n z e

  • Indice Introduzione .....................................................9Parte PrimaLA STORIABoal e l’esperienza peruviana .........................15Il lavoro con i classici......................................19Jorge Acuña Paredes.......................................25Intervista a Jorge Acuña Paredes ...................27Hugo Suárez e Ines Pasic ...............................39

    Parte SecondaLA TEORIAPremessa..........................................................45Natura sociale e missionariadel Teatro di Strada.........................................51Come solisti o in compagnia...........................53Morale e moralismo in scena ..........................57

    Parte TerzaLA PRATICAPer uno spettacolo di affabulazione...............61Per uno spettacolo di mimo e pantomime .....71Teatro di figure corporali: compendiodi drammaturgia .............................................75

    Parte QuartaTESTI (MATERIALI APERTI) PER UN PROGETTODI SPETTACOLOPer uno spettacolo di affabulazione

    1. El ladrón que robó al raton .................902. La signora del circolo tennis .................923. Parenti stretti: il padre ..........................944. Posto fisso..............................................995. Il comizio.............................................1026. Parlami d’amore ..................................1037. Non ho più niente da darvi (lo studente).1058 Il proprietario......................................1089. Le buone maniere ...............................110

    Per uno spettacolo di mimo e pantomime1. Dr. Jekill & Mr. Hyde .........................1142. Genitori: la famiglia.

    Piccolo quadretto familiare.................1153. Zug! .....................................................117

  • Teatro di figure corporali1. Teodoro y la Rosa ................................1262. La scarpa cantante...............................130

    Epilogo ..........................................................133

    Bibliografia....................................................135

  • 1. Viene usata volutamente la parola con il maiuscolo, perché viene quiintesa con un’accezione spirituale.

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    sapienza che renda capaci di agire.Questo testo parla di teatro di liberazioneperché vuole essere un discorso sul teatro comestrumento di liberazione, collettiva ma ancheindividuale.Come si può comprendere, la materia in analisiè quindi tanta e articolata. Talvolta vi saràqualche ripetizione, come capita quando sicerca di rendere partecipi di una visione in cuisi crede e in cui i vari punti si collegano fra loroin diversi modi. È un manuale di teatro distrada e di figura, ma è anche un testo che vuolfar luce su una possibile evoluzione che staavvenendo nel teatro, anche occidentale, grazieall’apporto fondamentale delle personalitàcitate, e di come questa non sia una linea isolatama piuttosto il frutto di un clima culturale glo-bale a cavallo tra gli anni Sessanta ad oggi.

    Il senso del nostro lavoro:la GioiaPerché facciamo ciò che facciamo? Il teatrointendo.Tra le tante visioni che se ne possono avere, lapiù corretta e più giusta, è la Gioia. Il lavoro deiteatranti, e soprattutto quello dei comici, èimparentato a quello dei medici. Curano anime,anime che molto spesso sono scisse, zoppicanti.Si badi bene: qui non si vuol sottintenderenessun ruolo salvifico dell’arte. Questo non ènemmeno un lavoro di rigetto a fatti ed espe-rienze precedenti, ma di integrazione e di com-pletamento e perfezionamento.Le pagine che seguono sono quindi utili perchépossono essere uno strumento per trasmettereGioia1 di vivere. Per questo ci battono le mani,e non perché siamo degli dei: noi restituiamo

    Introduzione

    Perché questo libro?Trent’anni di percorso teatrale son volati. Ciòche so e che ricordo è il quadro di un unicogrande spettacolo, dove ho visto la gente rideree ridere tanto, mentre io sudando, godevo e sof-frivo, per creare gioia.

    Questo libro è soprattutto un manuale di teatrovisuale e sulle arti di strada, non perché si debbaagire solo in strada, ma perché la strada diventiil banco di prova della teatralità. Se può funzio-nare in strada, senza attrezzature e protezioni(luci, scenografie, ecc.), catturando, mante-nendo e soddisfando l’attenzione del passante,allora può funzionare dovunque. Un teatro distrada di qualità e un teatro di figura che non habisogno nemmeno dei burattini per essere rap-presentato è un teatro che ha un senso vero,sociale, rivolto al pubblico in maniera nondemagogica, che può creare quella Gioia di cuisi tratterà nelle prossime pagine. Qui parleremodi un modello di spettacolo possibile che parlicon il linguaggio della parola, del mimo e dellafigura, senza dilungarci su queste tecniche speci-fiche, ma concentrandoci sulla struttura di unospettacolo da solista o di gruppo, che parli conquei o con altri linguaggi scenici.

    Con questo lavoro si vuole cercare di trasmet-tere una conoscenza concreta, operativa, riccadi intelligenza spirituale, cioè attenta a una

  • 2. Nei paesi ricchi a causa per esempio delle depressioni e nei paesipoveri per mancanza di risorse materiali.

    3. E questo è il motivo per cui molte persone ci cercano come fossimodei preti o degli psicologi, senza rendersi conto che non possiamosempre lavorare o stare poeticamente in scena. Lo spettacolo finisceprima o poi... Ladislaus Boros è un teologo cattolico dell’area tedesca,scomparso nel 1981.

    4. Noi comici sperimentiamo come un gruppo di persone in unambiente freddo e silenzioso prima di uno spettacolo, poi comunichicon tanto più calore in seguito. Qualcosa cambia nella relazione fra lepersone. 5. In Boal, 1979, p. 118 (traduzione di Renato Curci).

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    questa relazione.Qui, con Boal, come con tutti gli altri autori dicui parleremo, ci troviamo di fronte alla voce diun continente che ci interpella e ci aiuta resti-tuendoci una saggezza semplice, che noi occi-dentali abbiamo un po’ perso.

    Liberare il liberatoreCorreva l’anno 1978, a Bari.

    Un giovane attore, brasiliano, si era seduto sullapanchina di un parco e si intratteneva con un pic-colo registratore: “Sono così solo”. Poi lasciavascorrere il nastro all’indietro e ripeteva: “Sonocosì solo”. “Non ho amici. Nessuno parla con meperché sono straniero. Perché la gente qui nonama gli stranieri. Sono disoccupato. Sono dispe-rato...”. […] Il registratorino ripeteva tutto.Alcuni passanti si fermavano, qualcuno gli rivol-geva la parola, lo consolava. Era una scena chemancava di qualsiasi elemento spettacolare, deli-cata, trattenuta, silenziosa, nonostante le auto ei rumori della strada. Uno di noi pose la que-stione: abbiamo il diritto di farlo? Il brasilianonon era realmente disoccupato, ed era felice-mente sposato. Non era colui che aveva interpre-tato. Non soffriva di solitudine a Bari. Ma questerealtà esistono. […] Realtà che spostate nellospazio e nel tempo, esistono e purtroppo semprenuovamente si rinnovano.5

    Si trattava di un esperimento di teatro invisibileed era animato da tre attori: un attore brasilianodi nome Raúl, il sottoscritto diciottenne e uncollega di cui oggi non ricordo più né il nomené il volto. Il teatro invisibile è una forma diteatro che si occupa di un tema di attualità quo-tidiana che sicuramente può suscitare l’inte-resse dei cittadini di una comunità. Su un datotema viene elaborato collettivamente e messoper iscritto un testo, che sarà il punto di par-tenza per l’azione degli attori. Gli attori poi

    Gioia e voglia di vivere alla gente. Questo è ilsenso del nostro lavoro. A volte nella vita quoti-diana subentra tutta una serie di piccole ten-sioni o inquietudini, e i piccoli problemi comin-ciano ad apparire ben più grandi di ciò che inrealtà sono. Attraverso una Gioia ben motivataartisticamente e da motivi reali, restituiamo vitaalle persone e siamo utili anche in luoghi doveapparantemente il comico sembrerebbe super-fluo. Sia nel Nord che nei Sud del mondo, permotivi completamente diversi, molte personepensano che la loro vita sia definitivamentedistrutta, senza speranza, di non avere piùniente a cui ancorarsi2.Allora noi dobbiamo dare gioia nel mondo.Anche se e quando saremo umanamente bru-ciati, avremo ancora il compito di ardere ecomunicare gioia agli altri. La gioia può diven-tare la croce più pesante della vita di un comico.“Essa costituisce forse la testimonianza piùpesante del divino” come disse una volta Ladi-slaus Boros3.E tutto questo anche senza tenere in conto tuttele implicazioni pedagogiche e politiche che ha ilteatro, con un forte potere di trasformazionereale della vita del pubblico con cui si lavora,attraverso tutta una serie di modalità comequelle sviluppate, per esempio, dal team diBoal. Il lavoro dell’artista cerca e opera nellagioia della gente, nella cultura del popolo. Cosìottiene anche l’effetto collaterale di cercarel’uomo per incorporarlo nella famiglia umanadi cui fa parte4. I personaggi che rappresen-tiamo e lo stesso spettacolo sono strumenti di

  • 6. L’intervista a Jorge Acuña Paredes è riportata in un capitolo successivo.

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    giocato all’aperto (e rappresentabile anche alchiuso), che restituiva gioia di vivere alla popo-lazione di un paese così martoriato dallapovertà materiale come è ancora il Perù. Primadi iniziare a lavorare sulla Plaza San Martín,Jorge Acuña aveva già dato numerosissime rap-presentazioni nei quartieri e nelle comunitàindigene dal 1961 in poi, associando il lavorouniversitario alle feste patronali, ai carnevali, osviluppando strategie di teatro all’aria apertanei piccoli comuni peruviani. Definiva il pro-prio pubblico come: “persone a cui era vietatoil teatro per il prezzo dei biglietti, per carenzadi vestiti adatti, o per mancanza di coscienzache il teatro esista anche come mezzo di intrat-tenimento spiritualmente elevato e di apprendi-stato vitale”6.Jorge Acuña Paredes era regista, attore edocente di teatro dell’Università di Huamanga, efu espulso dall’università e privato della cattedracome ritorsione per aver esercitato il ruolo didirigente dell’Asociación de Empleados de laUniversidad, subendo il divieto di esercitare ilproprio lavoro di docente presso qualsiasi altraistituzione statale per tre anni. E così si trovòrealmente nella stessa situazione che rappresen-tavamo virtualmente a Bari qualche anno piùtardi, con una famiglia da mantenere e più figli acarico. Questa circostanza lo portò in terminipratici e per ragioni di necessità a fare dellastrada uno spazio estetico e teatrale.La storia raramente procede in maniera pro-gressiva e rettilinea. Al contrario, ci sonosempre delle persone che sono in grado di cata-lizzare gli avvenimenti perché incarnano lo spi-rito del tempo e producono accelerazioniimprovvise nel corso delle cose. Ci sono per-sone che, anche loro malgrado, si trovano aessere con la loro vita i canali di tutta la culturadi un popolo, che incarnano e rappresentano.Per quanto riguarda il teatro, figure di riferi-

    recitano per degli spettatori inconsapevoli inluoghi di vita pubblica, come la stazione di unametropolitana, un ristorante, in una piazza ostrada, oppure durante un convegno in unasala.Il teatro di Augusto Boal non è un teatro fine ase stesso, finalizzato cioè ad un progetto mera-mente artistico, ma costruisce uno spazio este-tico con una motivazione di base che tende allaliberazione da vari tipi di oppressioni che pos-sano affliggere un essere umano. È un teatrostraordinariamente utile ed efficace, ma con unlimite che con questo libro si vorrebbe cercaredi colmare. Il Teatro dell’Oppresso (come vienechiamato) lavora sempre su dinamiche sociali opsicologiche attraverso le attività di gruppo. Mache succede se un individuo viene a ritrovarsisolo (e/o povero), in un frangente sfortunatodella propria vita? Se questo individuo è poi unattore, magari impegnato proprio nell’utilizzodelle tecniche del Teatro dell’Oppresso, laprima domanda che bisognerebbe farsi è: comeliberare il liberatore?Sappiamo bene che uno dei bisogni fondamen-tali dell’essere umano è anche e soprattuttoquello dell’autonomia economica nell’etàadulta. Queste pagine vogliono fornire gli stru-menti, a chi sia interessato o abbia la voglia e lacapacità di esporsi in un’attività teatrale, perpoter costruire uno spettacolo anche in solitu-dine e di metterlo in scena, guadagnandosi davivere attraverso un rapporto diretto con ilpubblico, che costituisce la sua famiglia umana.Si vuol dare un’occasione di Liberazione in piùattraverso il teatro.La storia che qui viene raccontata è quella diJorge Acuña (e poi di Hugo Suárez), un belesempio di elaborazione di una strategia disopravvivenza che ha lavorato su due piani: daun lato la liberazione personale da un bisogno,quello economico dell’attore stesso, legato allasopravvivenza della propria professionalità, dal-l’altro lo sviluppo di uno spettacolo pedagogico

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    tere insieme i tasselli di un mosaico più ampio ecompleto, sino a oggi raccontato solo in parte(con la vita e l’opera di Boal). In realtà questa èsolo un’operazione di integrazione e riunifica-zione di tutta un’esperienza che già è unita nelleradici della cultura innanzitutto latinoameri-cana, e oggi, ormai, anche europea e globale.Un vero teatro di liberazione non può (oltre adar coscienza al pubblico) non rispondere abisogni primari e insegnare attività utili allavita, cercando tutti i modi possibili per ridareun’identità a chi vive una condizione di povertào disagio, fornendo gli strumenti non solo persopravvivere, ma anche per rimanere vivi condignità e passione.Questi scritti vogliono fornire alcuni strumentiper un teatro di liberazione personale anche perchiunque voglia intraprendere un’attività tea-trale senza dover subire la costrizione di passareattraverso il giogo dei proprietari di un teatrointeso come luogo fisico, o di un sapere acqui-sito ed esercitato come forma di potere daalcune persone su altri individui, o di ungruppo subito e non scelto liberamente (cioècome unione di libere volontà e affetti che siritrovano uniti da un comune gusto e sognoartistico). Si parte da una considerazione essen-ziale: lavorare da soli o in gruppo più che unascelta è spesso una condizione imposta dallecircostanze della vita. Le esperienze fatte inquesti anni ci portano verso una realtà che èanche il sogno di chi scrive: creare un teatrodove non abbia più senso una distinzione digenere fra teatro ragazzi e teatro per adulti, efra la dimensione artistica e quella sociale.

    mento sono state Augusto Boal, Jorge AcuñaParedes e Hugo Suárez, tutti facenti parte ini-zialmente della famiglia latinoamericana, perpoi confluire in un più ampio ambito mondiale.Esiste, infatti, ancora un teatro d’autore, unaspecie di zona franca, in cui militano teatrantiprovenienti da un contatto con il pubblico cheè nello stesso tempo puro e condizionato da esi-genze di vita ben concrete. Questo teatro siriappropria del diritto di essere un teatro atutto tondo, senza dover fare assurde divisionidi etichetta sulla base di una scelta che rispondesolo a esigenze di tipo narrativo, in rapporto alpubblico e al mercato a cui si rivolge (teatro-forum, affabulazione o mimo e teatro di figura).Sicuramente il dato unificante di questa culturaè il popolo (e a volte la strada).Ma ci può essere un’altra scelta per un tea-trante? Si può chiedere a un frutto di avere unsapore diverso a seconda di chi lo debba man-giare? O a una medicina di curare in manieraselettiva un corpo rispetto a un altro? Certo, cipossono essere delle differenze nelle dosi tera-peutiche o in certe sostanze poco indicate per ibambini, per esempio, ma né un frutto né unamedicina efficace possono fare differenze dicultura o di classe. Nutrono corpi e anime,restituendo le persone alla vita.Teatro sociale o militante? Affabulazione omimo? Mimo o teatro di figura? Le etichette sisprecano quando si parla di questi padri e fra-telli del teatro mondiale. Se in questa parata dipersonalità pionieristiche (e ancora attive) cipermettiamo di metterli insieme in una sorta dianalisi comparata e riunificante è perché tuttisono stati mossi, da un punto di vista esperien-ziale e ideale, da istanze sociopolitiche simili, eperché alcuni di loro, nel corso della loro car-riera professionale, hanno anche avuto modo dilavorare insieme, quasi rendendo omaggio allateoria goethiana delle affinità elettive.Provando a raccontare e riunificare la vita e l’e-sperienza di queste persone, si cerca qui di met-

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    Questa forma teatrale ebbe molto successo. Maun bel giorno mi venne incontro una donnatimida:

    – So che voi fate teatro politico, il mio non è unproblema politico, ma è un problema grande,ed è il mio. Potete aiutarmi col vostro teatro?

    Io quando posso aiuto gli altri. Lei mi ha raccon-tato la sua storia: tutti i mesi, anche più volte almese, suo marito le chiedeva dei soldi per pagarele rate della casa che – diceva lui – stava facendocostruire per loro. Il marito, che faceva dei lavo-retti, guadagnava pochissimo. Tuttavia lei gliconsegnava i loro risparmi. Ogni tanto suomarito le dava in cambio le “ricevute” delle rate,scritte a mano e profumate. Quando lei gli chie-deva di vedere la casa, lui rispondeva: “Piùavanti”. E lei non vedeva mai niente. Cominciòad avere dei sospetti. Un giorno litigarono. Cosìlei decise di chiamare la vicina – che sapeva leg-gere – e le chiese di leggere le ricevute profu-mate. Non erano ricevute: erano lettere d’a-more. Dell’amante del marito, che la moglieanalfabeta custodiva accuratamente sotto ilmaterasso.

    – Mio marito è partito e mi ha detto che andavaa lavorare per tutta la settimana a Chaclacayo.Ma adesso so bene dove è andato. Ritornadomani. Che cosa devo fare?

    – Io non lo so, signora. Chiediamolo al pubblico.

    Non era un problema politico, ma era un veroproblema. Decidemmo di accettare la suarichiesta e la sera stessa, dopo aver costruito unoscenario, recitammo lo spettacolo in dramma-turgia simultanea. Arriva la “crisi”: il maritosuona alla porta. Che fare? Io non lo sapevo, feciappello al pubblico. Le soluzioni piovevano:

    – Deve lasciarlo entrare, dirgli che ha scoperto laverità e cominciare a piangere, piangere molto,piangere per venti minuti buoni. Allora lui sisentirà colpevole, si pentirà e lei potrà perdo-narlo. Sapete, per una donna sola in questopaese... è molto pericoloso...

    Improvvisammo la soluzione e i pianti. Venne ilpentimento, venne il perdono, ma venne anchelo scontento di una seconda spettatrice:

    – No, così non va proprio! Bisogna che lasci suomarito “chiuso” fuori!

    Boal e l’esperienzaperuviana

    Nel 1973, nel quartiere di San Hilarión a Lima,il regista brasiliano Augusto Boal con una pic-cola compagnia di attori, partecipa a una cam-pagna di alfabetizzazione in Perù. Il gruppodegli alfabetizzatori sta usando una nuovaforma di teatro, chiamata drammaturgia simul-tanea. Una signora propone un tema scottante.Gli attori lo trasformano in forma di drammache racconta il problema al quale si vorrebbetrovare una soluzione, e lo interpretano.

    Durante lo spettacolo una donna del pubblico,insoddisfatta dell’interpretazione di un’attrice,sale sul palco e mostra “come si deve fare”.È la nascita del teatro-forum. Leggiamo la testi-monianza diretta della vicenda.

    In Perù, dove ho lavorato nel 1973 con il teatronell’ambito di un programma di alfabetizza-zione, ho cominciato a utilizzare una nuovaforma di teatro, che ho chiamato drammaturgiasimultanea. Consisteva in questo: presentavamoun dramma che raccontava un problema al qualevolevamo trovare una soluzione. Lo spettacolo sisviluppava fino al momento della crisi, puntocruciale in cui il protagonista doveva prendereuna decisione. A quel punto smettevamo di reci-tare e domandavamo agli spettatori che cosadovesse fare il protagonista. Ciascuno dava il suosuggerimento. E gli attori improvvisavano inscena i suggerimenti sino al loro completo esuri-mento.Era già un progresso. Non davamo più consigli,imparavamo insieme. Ma gli attori conservavanoil loro “potere”, il dominio della scena. I suggeri-menti partivano dal pubblico, ma sulla scena era-vamo sempre noi, gli artisti, a rappresentare ciòche veniva proposto.

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    – Lo voglio.

    Allora ho chiesto all’attrice di esagerare un poconella spiegazione, di spiegare il meglio possibile,e di esigere dal marito spiegazioni più profondee sincere. Così è stato. Dopo aver ben spiegatotutto, il marito, innamorato e perdonato,domandava alla moglie di andare in cucina eportare la minestra. Erano sul punto di vivereeternamente felici, quando ho sentito la grossasignora più furiosa, più minacciosa e più perico-losa che mai. Molto nervoso e, lo ammetto, unpoco spaventato (la signora era molto piùrobusta di me) le ho detto:

    – Signora, noi facciamo il meglio che possiamoper capire quello che lei vuole, cerchiamo lespiegazioni che ci sembrano più chiare. Sequesto non la soddisfa, perché non viene inscena e ci mostra lei stessa quello che vuol dire?

    Illuminata, trasfigurata, la grossa signora hariempito il petto d’aria, si è tutta gonfiata, e congli occhi sfavillanti ha chiesto:

    – Posso?

    – Può!

    Salì in scena, prese il povero attore-marito indi-feso, che era un vero attore ma non era un veromarito, e per di più era magro e debole, e colmanico di una scopa cominciò a colpirlo contutta la sua forza dicendogli tutto quello chepensava dei rapporti fra marito e moglie. Cer-cammo di soccorrere il nostro compagno in peri-colo, ma la grossa signora era molto più forte dinoi. Finalmente si interruppe e, soddisfatta, misela sua vittima seduta a tavola e disse:

    – Ora che abbiamo avuto questa conversazionemolto chiara e sincera puoi andare in cucina eportarmi la mia minestra.

    Per essere chiaro era chiaro, non poteva esserlodi più.Mi è sembrata ancora più chiara questa verità:quando lo spettatore in persona entra in scena evi realizza l’azione che immagina, lo fa inmaniera personale, unica e non trasferibile,come lui solo può farlo, e come nessun artistapuò farlo al suo posto1

    Ecco un teatro non didattico, nel vecchio sensodel termine e dello stile (come in Brecht), ma

    Improvvisammo la chiusura. L’attore-marito, ungiovane minuto, era raggiante:

    – Ah, è così? Ottimo! Oggi è giorno di paga,porto la paga alla mia amante e me ne vado avivere con lei.

    Una terza spettatrice propose l’esatto contrario:doveva lasciare il marito solo a casa, abbando-narlo. L’attore-marito era ancora più raggiante:avrebbe portato l’amante a casa, a vivere con lui.

    Continuavano a piovere proposte. Noi le improvvi-sammo tutte. D’un tratto scorsi una donna piut-tosto voluminosa, seduta in terza fila, che sbuffavadi rabbia scuotendo la testa. Ebbi paura perchésembrava che mi guardasse con occhi carichi diodio. Le chiesi, il più gentilmente possibile:

    – Signora, sento che lei ha un’idea. La racconti, enoi la improvviseremo.

    – Ecco che cosa deve fare: deve far entrare ilmarito, avere con lui una conversazione seria, esolo dopo potrà perdonarlo.

    Ero delusissimo. Con tutto il suo respiro ansi-mante, con i suoi “puff puff puff” e i suoisguardi carichi di odio, mi aspettavo che propo-nesse soluzioni più forti. Tuttavia non hodiscusso e ho detto agli attori di improvvisarequesta nuova soluzione. Hanno improvvisato,ma senza slancio. Il marito ha protestato in nomedel suo amore, e (tutto è bene quel che finiscebene) ha chiesto alla moglie di portargli il brododi gallina. Lei è andata verso la cucina, e la scenasi è conclusa così.

    Guardavo la signora grossa: sbuffava più chemai, e gli sguardi fulminanti erano ancor piùassassini e furiosi.

    – Signora, sono desolato, ma noi abbiamo fattociò che lei ha suggerito: la moglie ha avuto unaspiegazione chiara con il marito, poi lo ha per-donato. Sembra che ormai potranno esserefelici.

    – Ma non è quello che avevo detto: lei dovevaavere con lui una spiegazione chiara, moltochiara, e dopo, solo dopo, poteva perdonarlo.

    – Credo che sia quello che abbiamo improvvi-sato, ma se lei vuole possiamo improvvisare dinuovo.

  • 1. Tratto da Boal, 2010, pp. 20-22.

    2. Ivi, p. 32.3. Boal A., op. cit., p. 52.

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    quando questo personaggio si trasformò in undivertimento gentile per élite3.

    Un autore spesso viene “compreso” soloquando muore o quando è ormai anziano edebole ed è ormai manipolabile. Diventa così“un classico”, entra nelle università, nellescuole, nelle istituzioni culturali. Ma il tempopassa, e col passare del tempo cambiano i refe-renti culturali, cambiano i modi e i tempi dellacomunicazione fra le persone, cambia la perce-zione di tutta la società nella fruizione di un’o-pera di teatro. La riproposizione di un classicoche non tenga conto di questo cambiamentopuò solo produrre una messa in scena quasisempre un po’ noiosa. Perché è ormai un cada-vere, a meno che non la si attualizzi, o la si tra-duca nel linguaggio e nella percezione dei nuovitempi che si vivono. È necessario restituirlequella chimica, quella forza che comunque pos-siede, quella vita che aveva originalmente in sé.

    pedagogico, nel senso di un apprendimentocollettivo.

    In uno spettacolo “stanislaskiano” l’attore sa diessere attore ma cerca consapevolemente diignorare la presenza degli spettatori. In unospettacolo “brechtiano” l’attore ha piena consa-pevolezza della presenza degli spettatori, chetrasforma in interlocutori veri, ma muti (anche inquesto caso si tratta di un soliloquio. Soltanto inuno spettacolo di teatro-forum lo spettatoreacquisisce voce e movimento, suono e colore, epuò manifestare idee e desideri. Per questo èstato scoperto il Teatro dell’Oppresso)2.

    L’evento teatrale in campi esterni al teatro (lapolitica, il sociale, l’educazione e la psicote-rapia) ha un potere straordinario, di intensa edefficace energia. Siamo di fronte al teatro usatocome simulazione di e per un cambiamentonella vita reale. Un teatro utile a trasformare eal servizio della vita. Calato in una realtà dovenormalmente si consuma, anche a livello arti-stico, un tradimento della vita reale, per operadi gruppi e di persone appartenenti alla politicaprofessionale e alle classi ricche della società, lequali gestiscono i mezzi di comunicazione dimassa e gran parte delle istituzioni culturali, inmolti paesi del mondo come in Italia.Pensiamo solo a come vengono trattati i nostriclassici: un’opera di Shakespeare o di Brecht,giusto per fare un esempio, nel tempo in cuiveniva prodotta e rappresentata aveva un tre-mendo potere di impatto emozionale e vitalesulla e nella società in cui nasceva. Per fare unesempio semplice, poteva produrre un’emo-zione altrettanto forte come quella che provo-cava un concerto dei Beatles negli anni in cuisuonavano insieme. Era un evento, e un eventoalmeno emozionalmente molto intenso: unevento anche scomodo per alcuni.

    Gli stracci con cui si vestiva Arlecchino sono statitrasformati in rombi vivaci, però solamente

  • 1. Uno degli argomenti usati da molti funzionari di reti televisive pergiustificare scelte di scarsa qualità culturale di molti programmi inonda, è che il pubblico voglia e richieda quel tipo di trasmissioni. L’opi-nione del pubblico (raccolta attraverso diversi metodi) in realtà esprimesolo un’indicazione generica di gusto, ma non di sostanza, su quello chesi va trasmettendo. L’atteggiamento di molti funzionari è offensivosoprattutto per le persone dei ceti meno abbienti, perché implicita-mente dichiara che il popolo è emozionalmente stupido. La realtà è chese hai sete, ed è disponibile solo acqua inquinata, non puoi fare a menodi berla (come mi ha detto una volta lo scrittore Fausto Marinetti). Lariprova di questo l’abbiamo avuta rappresentando nelle piazze dei pic-coli centri della provincia torinese lo spettacolo Zug, in pieno inverno.Si trattava di una pièce di teatro-danza (anche molto divertente), nor-malmente rappresentata in teatro. Il pubblico familiare recepiva perfet-tamente tutti gli aspetti parodistici dello spettacolo, dimostrando un

    interesse che lo portava a seguire la performance rimanendo al freddo ein piedi durante tutti i 25 minuti della sua attuazione. Il testo dello spet-tacolo Zug! è riportato più avanti in un capitolo successivo.Si può dire altrettanto dei pubblici popolari brasiliani con lo spettacoloManologías de La santa Rodilla. Una volta è stato proiettato un video dialcuni momenti dello stesso spettacolo in quartiere ad alto degrado dellacittà di Bari, sotto un tendone. Nonostante si trattasse di una registra-zione di uno spettacolo pensato per il teatro, la reazione del pubblico,formato in maggioranza da ragazzi dagli undici ai tredici anni di età, èstata sorprendente in quanto a comprensione e intelligenza emozionale.2. “Conferencia-recital ‘Un poeta en Nueva York’”, in F. García Lorca,Poeta en Nueva York, a cura di P. Menarini, Madrid, Espasa-Calpe,1990. “Io non vengo oggi a intrattenervi. Non me ne importa niente enon ne ho voglia. Piuttosto sono venuto... a lottare. A lottare corpo acorpo con una massa tranquilla... e devo difendermi da questo enormedrago che ho davanti, che mi può divorare in un attimo con trecentosbadigli dalle sue trecento teste deluse. E questa è la lotta; perché vogliocon forza comunicare con voi giacché son venuto, poiché son qui. Lottacorpo a corpo in cui non mi importa di essere vinto...”. Tremendoinizio di relazione con un pubblico!

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    Garcia Lorca durante la conferenza-recital concui presentava Poeta en Nueva York tra il 1932 eil 1934:

    Yo no vengo hoy para entretener a ustedes. Niquiero, ni me importa, ni me da la gana. Másbien he venido a luchar. A luchar cuerpo acuerpo con una masa tranquila [...][...] y yo necesito defenderme de este enormedragón que tengo delante, que me puede comercon sus trescientos bostezos de sus trescientascabezas defraudadas. Y ésta es la lucha; porqueyo quiero con vehemencia comunicarme convostros ya que he venido, ya que estoy aquí [...][...] Lucha cuerpo a cuerpo en la cual no meimporta ser vencido2.

    Se pensiamo che stiamo trattando di spettacolieffettuati e da effettuare senza alcun tipo diprotezione, il quadro si fa ancora più chiaro.Questa lotta e questo gioco, in cui i tempi diriflessione e di reazione si fanno strettissimi,non può che provocare in alcuni artisti unatteggiamento a volte allergico nei confronti dimolte costruzioni teoriche che riflettano astrat-tamente sul nostro lavoro. E più specificata-mente su quelle che possano risultare fuorviantio inutili nel momento della lotta stessa, doveogni astrazione è pericolosa. Il nostro è unlavoro con implicazioni pragmatiche chedevono necessariamente rivelarsi effettualmentemolto precise, soprattutto se lo spettacolo viene

    Premessa

    È utile fare una serie di attente precisazioni intro-duttive sia ai metodi stessi che alle altre praticheteatrali. Si vuole quindi individuare la natura dialcune leggi generali che regolano la vita e il per-petuo maturarsi del linguaggio scenico.

    La teoria e la prassi (l’inimiciziacon i critici)La logica performativa sottende una filosofia diattività che corre costantemente il rischio diessere anche fortemente antiteorica, perché leanalisi delle varie scuole di pensiero che si occu-pano di arti sceniche e delle relative pedagogiesono spesso molto distanti dalla prassi della vitalavorativa di chi si occupa in prima linea dellenostre attività. Una prima linea oltre la quale c’èfisicamente il pubblico. Ogni artista che affrontie sviluppi un lavoro seriamente popolare (e nonpopulista) dovrà anche subire i contraccolpi diuna relazione a volte molto dura e difficile1.A tal prosposito ecco le parole pronunciate da

  • 3. Ecco perché la su citata introduzione di García Lorca è così partico-lare.

    4. Acuña si riferisce ai maestri di scuola elementare e ai professori ingenere.

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    che può sempre verificarsi fra due esseri umaniche si trovino in una relazione uno a uno, messiuno di fronte all’altro. La famiglia umana chetroveremo di fronte sarà quasi sempre in gradodi accoglierci e di capire la quantità di ore cheabbiamo passato in sala prove, per preparare ildono che stiamo porgendo e la festa che stiamocercando di innescare. Se, come dice JorgeAcuña, “l’attore è (nella sostanza) il fratellogemello del maestro”4, quale grande beneficione avrebbe la pedagogia in una relazione istitu-zionale anche più stretta con le arti sceniche!

    Il conflittoAl comico non è permesso vivere nessun conflittoprima di andare in scena. Nessun conflitto conun collega o amico prima della rappresentazione,ma anche nessun conflitto con se stesso. Noitutti sappiamo bene come l’età adulta sia spessoun susseguirsi di periodi di inquietudini, didomande irrisolte, un’oscillazione fra la nostracoscienza e certi nostri desideri in contrasto conessa. Prima di andare in scena siamo quasi obbli-gati a metterci in pace con la nostra anima, penauna parziale incapacità di interpretazione dell’o-pera a livello ritmico e musicale, o di comunioneprofonda con il pubblico. La festa potrebbe noninnescarsi. Il comico non può rispettarsi più ditanto per quanto concerne i tempi di matura-zione e di crescita della propria personalità chesono invece concessi agli operatori di altreumane attività. Per questo molti di noi svilup-pano dei meccanismi mentali di difesa a volteben complessi, per restare a galla e poter ricrearequella Gioia profonda che il nostro mestiere cirichiede di far costantemente rinascere.

    spogliato da ogni protezione architettonica. Perusare una metafora, è chiaro che un medico siarrabbierebbe tantissimo se, a causa di un far-maco sbagliato o di una dose eccessiva, ilpaziente dovesse morire. Questo è uno deimotivi della nostra allergia a ogni minimosovrappiù di teoria. Ecco perché il lavoro diregia, se affrontato con la dovuta onestà, è unlavoro molto complesso. Nel nostro campo pro-liferano un’infinità di pubblicazioni partoriteda molti sedicenti letterati e filosofi della scena.Ma in relazione alla quantità di parole scritte odette, poche sono quelle veramente utili allacreazione della comunione con il pubblico, l’u-nica capace di trasmettere quella Gioia che cer-chiamo allegramente (e faticosamente) ognivolta di ri-creare e di far rinascere.L’inimicizia storica che molti attori nutronoverso i critici deriva proprio da questi motivi,più che dal fatto che il critico rivesta un ruolodi potere che può danneggiare l’immagine di unartista o di un suo prodotto.Un’altra delle ragioni di questo atteggiamentosta nella dimensione fortemente anti-dimostra-tiva della recitazione. A differenza di un’inter-rogazione scolastica o di un esame universitario,per creare la comunione con un pubblico ognicomico deve dimostrare (o fingere...) una certaumiltà nel porsi di fronte a una platea. Por-gendo ciò che ha imparato come un dono, e avolte anche come un forte gesto di ribellionecondiviso con il pubblico, ma mai come unapura ostentazione di forza o di bravura3.Se durante un’interrogazione o un esame avolte è meglio non svelare troppo una propriavisione particolare del mondo perché questapotrebbe entrare in conflitto con quella deldocente, durante uno spettacolo è invece neces-saria proprio una vibrazione emozionale chemetta a nudo l’artista di fronte al pubblico: quinon si corre il rischio dello scontro caratteriale

  • 5. Rimando all’intervista: p. 33.6. Boleslav Polivka (Cecoslovacchia), uno dei maggiori clown dei nostritempi, diceva che la straordinaria comicità dei suoi anni d’oro derivavain gran parte da questa pratica.

    7. Trattasi dello stesso fenomeno che si presenta quando un impresarioorganizza due spettacoli uno dopo l’altro, e il primo è uno spettacolo diburattini tradizionali.

    TEATRO DI LIBERAZIONE 47

    due di queste architetture possibili che hannopassato l’esame di una valutazione storica,dimostrando la loro validità grazie ai risultaticonseguiti negli anni passati. Infatti, fatti salvi ifattori interni dell’interpretazione dei comici, èimportante che anche esternamente tutto sia inordine. Facciamo un esempio semplice: in unospettacolo rappresentato qualche tempo fa sisvelò, dopo una serie di repliche, un difetto difabbricazione che creava un problema nella rela-zione con il pubblico. Lo spettacolo in que-stione era “Ridi, ridi”. L’intoppo si verificavasempre dopo l’esecuzione di una pantomima incui veniva rappresentato un uomo-lupo chefaceva più volte irruzione nello spazio del pub-blico creando un contatto più diretto con glispettatori. Questo tipo di contatto faceva sì che,quando si passava alla scena successiva, i bam-bini presenti nel pubblico non accettassero piùla distanza scenica necessaria fra il comico e ilpubblico, creando così grosse difficoltà al prose-guimento dello spettacolo. Questa sorta di agita-zione e animazione involontaria creava un climasimile a quello del teatro tradizionale di burat-tini, dove il pubblico infantile interagiscecostantemente con il burattinaio e intervienenella storia in una relazione immediata con ipersonaggi.Per cui non era più possibile per il comico tor-nare a una relazione serena con il pubblico7.Questo esempio è per sottolineare che anchequando uno spettacolo venga eseguito da artististraordinari, è sempre necessaria una soliditàdella costruzione drammaturgica che nondipenda solo dall’originalità dei linguaggi sce-nici o dalla qualità della poesia di questo o quelmomento.A volte, se solo la posizione di una delle sceneall’interno dello show è sbagliata (come nel casosu citato), può crearsi un’interruzione della

    L’ascolto (musicale)Quando gli domandarono che cos’è il mimo,Marceau disse: “Il mimo è spazio e ritmo” (JorgeAcuña Paredes)5

    Un’altra componente importante dell’interpre-tazione è un gioco scenico svolto sempre inascolto dei colleghi, del pubblico e di tutti queifattori ambientali imprevisti che vanno necessa-riamente inglobati nella musica dello spettacolostesso. Una volta dissi scherzando a un collegache interpretare, per noi, è come giocare a pal-lone con la sensibilità di un bravo musicista.Fuori di metafora, è estremamente importanteche l’aspetto ludico e quello musicale (soprat-tutto ritmico) vengano riuniti in un tutt’unoarmonico. Esistono diveri esercizi utili a svilup-pare questa sensibilità. Uno dei maestri di que-st’arte è stato lo svizzero Michel Seigner, unodei primi componenti del Teatro del Sole diMilano. Sicuramente utili a questo scopo sonoanche diversi esercizi di Yoga e, più in partico-lare, la pratica e l’utilizzo di molte posizioni(asana) di Hatha Yoga, soprattutto quelle chelavorano anche sul respiro (pranayama)6.

    La scaletta dello spettacoloRicapitolando: assenza di conflitto e capacità diascolto. Ognuna di queste due componentiinterne non può fare a meno dell’altra. Ma esisteanche una terza componente esterna necessariaa una buona rappresentazione, e cioè una solidastruttura architettonica dello spettacolo che lofaccia funzionare, una struttura anche indipen-dente dai contenuti drammaturgici della perfor-mance. Nel prossimo capitolo verranno svelate

  • Renato Curci48

    sionista: dovrebbe essere insita egualmente nel-l’opera stessa, se di poesia vera si tratta. Questoscarto fra capacità di improvvisazione e strut-tura drammaturgica d’appoggio all’attore puòessere superato solo attraverso un lungo lavorodi prove che costruisca sia la somatizzazione ditutto un vocabolario di gesti, parole e suoni perl’attore che interpreta, sia un lavoro scenico(cioè una scrittura drammaturgicamente maturae autenticamente poetica in se stessa).

    La relazione fisica con gli spettatoriUn fenomeno importante che riguarda soprat-tutto lo spettacolo non verbale è legato alla rela-zione fisica con il pubblico che, in questo caso, èpiù sviluppata. Una delle cose che saltano all’at-tenzione di un comico che si trovi a lavorare inuno spazio aperto, è il fatto che le persone (ilpubblico) si portano a fior di pelle le proprieinquietudini e domande irrisolte. Quanto piùgrande sarà l’inquietudine di una persona, tantopiù sarà difficile per questa persona avere uncontatto fisico con un altro essere umano, esseretoccata: cioè tanto maggiore sarà la reattività e ilsenso di invasione percepita rispetto a un altrocorpo che entri in relazione e arrivi a un con-tatto fisico con lei. Il fatto è che nel caso del tipodi spettacolo di cui ci stiamo occupando nonesiste la quarta parete, o è molto esigua... Soprat-tutto negli spettacoli mimici o clowneschiaccade spesso che il comico invada lo spaziodegli spettatori, rivolgendosi direttamente a essi,e arrivi a toccare, per esempio, le mani di uno diloro, o a un qualsiasi altro contatto di tipoludico. Il dramma che noi attori comici viviamoè questo: con quale diritto andiamo a invaderela sacralità di una vita in nome di un nostroastratto diritto-dovere al lavoro? Specialmente

    comunione emotiva con il pubblico che, a suavolta, può provocare un effetto domino cherovina il clima scenico, magari solo per un pro-blema emozionale dell’attore che non riesce ariprendersi dalla cattiva impressione che haprovocato e subito durante l’interpretazione.Una buona architettura scenica può permettereun buon livello spettacolare anche agli inter-preti meno esperti. Per questo è importantecostruire scientificamente la posizione di ognimomento all’interno dello spettacolo.

    Improvvisazione e capacità degliitaliani: il lavoro delle prove percostruire la poeticaNoi italiani (come altri popoli latini) posse-diamo un istinto all’improvvisazione che cirende molto efficaci nella comunicazione con ilpubblico, specialmente per ciò che riguarda l’a-spetto comico dell’interpretazione. Però, sequesto è forse il nostro maggior pregio recita-tivo, costituisce anche un limite: molto spessonon dedichiamo alla preparazione dello spetta-colo il tempo necessario e sufficiente per farmaturare fisicamente (individualmente) e dram-maturgicamente la struttura interpretativa eregistica delle performance che mettiamo inscena. Affidiamo così soprattutto all’estro e allabravura dell’interprete anche il peso chedovrebbe essere portato in egual misura dall’ar-chitettura stessa dello spettacolo, indipendente-mente dalla maestria dell’attore. Questo fa sìche un certo spettacolo possa essere recitatosolo da un determinato attore-mimo, o che lostesso spettacolo diventi un peso per l’inter-prete con l’andare avanti degli anni.La poesia di un’opera non può essere affidatasolo alla bravura dell’interprete e morirequando l’attore non sia un bravissimo profes-

  • 8. Il che non significa che rimarremo sempre con un sorriso di distan-ziamento che tolga anche valore a quello che stiamo facendo, comecapita a molti comici cabarettisti, soprattutto a quelli senza scuola.Sarebbe necessaria una spiegazione più approfondita che non è possi-bile fornire completamente solo tramite la scrittura, ma sono sicuro chele mie parole lasciano già una traccia utile per un inzio di indagine piùempirica e personale.

    TEATRO DI LIBERAZIONE 49

    delle emozioni del personaggio e dell’astrazionedel fenomeno teatrale, ma nessuno potrà mainegarci il diritto a giocare, perché sarebbe comenegarci il diritto a esistere. Noi abbiamo tutto ildiritto a essere su quella piazza e a muoverciall’interno di una modalità di vita semplicecome il gioco. E il passante-spettatore perce-pisce l’energia dell’attore che si avvicina conl’intenzione di giocare. Questa intenzionespesso fa cadere anche l’inquietudine che questi(lo spettatore) si porta addosso, rendendolo piùdisposto (se ne ha tempo e voglia) a far parte delpubblico che si va formando. E non dimenti-chiamo che, in questo caso, anche quando cidovessimo trovare di fronte a persone moltodisturbate dalla vita, avremo sempre la compli-cità e l’appoggio di tutto il resto del pubblicoche ci sta guardando. Il gioco teatrale sarà cosìleggero, anche quando energico, e si caricheràsolo nei momenti di pathos e nel climax di quellaforza emotiva che invece con un’immedesima-zione costante l’attore porterebbe in sé durantetutta la rappresentazione, creando un probabileconflitto. Il gioco comico ha poi la capacità dineutralizzare qualsiasi conflitto, come sappiamobene noi comici quando dobbiamo reagireimprovvisando e trasformando la reazione natu-rale a un insulto che parta da un qualche bullonel pubblico, perché è l’unico modo di portareavanti lo spettacolo. Con dei risultati anchestraordinari da un punto di vista creativo...

    Stage e corsi a breve termineSi assiste nel nostro campo a una frequenta-zione massiccia a svariati stage delle diversediscipline sceniche che si svolgono in tuttaEuropa e nel resto del mondo. Numerosi iscrittia questi spesso costosi brevi corsi inseguonouna speranza molte volte disillusa di poter

    nel caso di spettatori che non hanno cosciente-mente scelto di esserlo, ma che si trovano aessere coinvolti loro malgrado nelle nostre rap-presentazioni estemporanee. La soluzione èquella di un distanziamento interpretativo ludico.In qualsiasi forma teatrale (a seconda dello stileo del genere) la distanza tra l’attore e il suo per-sonaggio può crescere o diminuire. Diminuiscein un’interpretazione stanislavskiana e cresce inun’interpretazione brechtiana. È più piccolanell’attore, più grande nel clown. Quindi esi-stono diversi modi di recitare un personaggio.Uno è quello di viverlo (in differenti modi,seguendo Brecht, o Stanislavskij, eccetera).L’altro è quello di privilegiare il rapporto con glispettatori, in una sorta di relazione uno a uno:attore(i)-pubblico. Un rapporto di amicizia,dove il personaggio scivoli dentro la rappresen-tazione e sia strumento di una relazione cheserva soprattutto a trasmettere e vivere Gioia (epoesia) con il pubblico. Noi sappiamo che ininglese, in tedesco e in altre lingue non c’è diffe-renza fra la parola recitare e la parola giocare(play in inglese, spielen in tedesco e jouer infrancese…). Io propongo di giocare il perso-naggio: di usare le parole, i gesti e tutto ciò che ilpersonaggio rappresentato fa, come se fossero lepalline di un giocoliere, da tenere in un sacco danon buttare fra noi e il pubblico, ma da tenere aun lato, usandole poco a poco all’interno di unarelazione semplice e diretta.Uno dei risultati sorprendenti sarà che, a tratti,entreremo emozionalmente nel personaggio, macon il permesso del pubblico8. In tal modoavremo soprattutto risolto il problema di cuistiamo parlando: la relazione fisica con il pub-blico. Certo, non abbiamo il diritto di invaderela sacralità della vita dello spettatore in nome

  • Renato Curci50

    tura drammaturgica non troppo specifici dob-biamo considerare che ogni essere umano èpotenzialmente un nostro spettatore. Per cui èpossibile ricorrere a un amico, che faccia le vecidi occhio esterno o assistente alla regia (chiamia-molo come ci pare), che crei con noi, o ci aiuti acreare, e che ci renda almeno consapevoli diquel 40% di ciò che accade durante una crea-zione o una prova, e che neanche una videoca-mera è in grado di restituirci.

    maturare una capacità performativa sempre piùeccellente in rapporto alla quantità di oreimpiegate come allievi di molti docenti. Cosìfacendo, però, sopravvalutano l’importanza diquesti corsi a breve termine.Ogni stage ha un carattere informativo e di spe-rimentazione ben limitato rispetto a una piùnecessaria pratica personale di apprendimento.Per questo motivo, prima di affrontare concre-tamente un metodo di costruzione di uno spet-tacolo di strada, viene qui proposto di fare unascaletta qualitativa dei momenti necessari allariuscita dell’obiettivo di cui stiamo trattando.Una scaletta qualitativa, e non cronologica.In ordine di importanza dobbiamo valutarequattro momenti di esercizio e di pratica:• la pratica performativa dello spettacolo vero

    e proprio. Questo è il training più impor-tante per un comico: la pratica, lo sforzo el’apprendimento involontario del vocabo-lario dei suoni, gesti e azioni che si svilup-pano durante il rapporto con il pubblico;

    • il lavoro a casa o in teatro: le prove, cioè lasomatizzazione di quello che si deve faredurante lo spettacolo la prima e poi prossimavolta che lo si rappresenti: le nuove inven-zioni, soprattutto a partire dalla riflessione diquello che ci è successo durante lo spettacoloprecedente;

    • il training fisico sulle tecniche utili di cuiabbiamo effettivamente bisogno durante lospettacolo e non in astratto: per esempio unpo’ di giocoleria se facciamo un numero digiocoleria con le palline o con il cappello enon tutti gli esercizi di giocoleria possibili, inun percorso che non avrebbe mai fine;

    • il rapporto con l’esterno, cioè una relazionepersonale e utile con un esperto di arti sce-niche che possa risolverci questo o quel pro-blema specifico e concreto che tecnicamenteabbiamo incontrato durante la creazione diuna scena. In un lavoro da farsi a parte, enon durante uno stage. Per problemi di scrit-

  • TEATRO DI LIBERAZIONE 71

    strada di Jorge Acuña. Con ciò si corre il peri-colo che questa pietra preziosa possa risultareutile anche a chi voglia coltivare il proprio narci-sismo. Esistono anche tante persone emozional-mente disturbate che non vogliono condividereniente e che cercano soltanto di nutrire un’atti-vità solitaria, inseguendola come condizione per-manente, e non come strumento per un dialogoal servizio dell’Alegria per l’umanità (e quindi aun rapporto con dei colleghi). Sono persone checoltivano una sorta di religione dell’arte, che è inrealtà solo un servizio al culto di se stessi.È un rischio che non si può fare a meno di cor-rere per comunicare qualcosa che serve allalibertà degli uomini e delle donne, e che spe-riamo serva a far crescere anche il senso critico dimolti pubblici.Altra cosa importante: non stiamo trasmettendoun modello chiuso, bensì un punto di partenzache possa comunicare quella sicurezza storicanecessaria all’attore-mimo perché possa andarein strada con la certezza che, se la formulaperformativa ha funzionato prima di lui, puòancora funzionare attraverso di lui (sempre chel’impegno sia sincero e il lavoro ben fatto). Talestruttura favorisce poi tutto l’apporto creativo dichi scrive ed esegue uno spettacolo con talemetodologia.Fare uno spettacolo in una piazza o strada non èuna cosa semplicissima, soprattutto se si lavora dasolista, in uno spettacolo non supportato né pro-grammato da nessuno: infatti si può anchedisporre di un repertorio meraviglioso, ma nes-suno ti presterà immediatamente attenzione,perché è importante innanzitutto quasi un quartod’ora circa per la costruzione del pubblico e perla costruzione di un rapporto con esso.Per esempio, in uno spettacolo di mimo, comequello di Hugo Suárez, le pantomime sono ese-guite solo dopo un bel po’ che lo spettacolo ècominciato: se si dovessero eseguire subito, nes-suno le guarderebbe o capirebbe (come è capitato).La stessa cosa succede anche in teatro (penso al

    Per uno spettacolodi mimo epantomime

    L’arte non si trasmette soltanto tramite la ragionpura, ma anche attraverso la sensibilità. La

    parola, a teatro, è certo importante, ma il teatronon è soltanto parola, così com’è assurda l’idea

    di non voler utilizzarla più [...]C’è una poesia brasiliana che dice: “La piazza è

    del popolo, come il cielo è del condor.”

    Augusto Boal, Il Teatro degli Oppressi

    In questo capitolo non insegneremo il linguaggiomimico (sarebbe necessario un libro a parte perquesto), ma come, attraverso il dominio (neces-sario) di una tecnica, si può creare uno spetta-colo di questo e altro genere per un pubblico (inbibliografia segnaliamo diversi manuali di tec-niche mimiche).Il lavoro che stiamo analizzando sarà valido, neinostri paesi, non nella misura in cui verrà accet-tato, bensì nella misura in cui verrà utilizzato.Come abbiamo già detto in un capitolo prece-dente, è importante saper e poter lavorare ancheda soli per essere autonomi da un punto di vistaemozionale ed economico. Ecco perché il primopasso per un vero Teatro dell’Oppresso non puòche essere anche individuale se vuole essere vera-mente liberatorio.Lo spettacolo di Hugo Suárez, dunque, rappre-senta un’evoluzione del modello di spettacolo di

  • 17. In Boal, 2009, p. 67.

    Renato Curci72

    improvvisando con giochi del tipo segui per-sona o clown di Amsterdam17, eccetera. Gio-cheremo comunque con i passanti ignari, contutti i tipi di giochi che ci possano venire inmente in quel momento. Questa fase puòvariare molto (per me è il momento più bello).Quando sentiamo che la musica del nostroprimo gioco è finita, senza perdere la tensionepsicologica del nostro personaggio, possiamotornare verso il luogo dove abbiamo deciso ditenere la nostra rappresentazione e dove ilnostro amico ci aspetta in prima fila pergodersi lo spettacolo. Lì faremo il nostro…

    • primo numero tecnico (sempre giocando);• secondo numero tecnico (la mano che sven-

    tola, per esempio, eseguita mimicamente,oppure dei giochini mimici iniziali di manosemplici, seguiti da un qualche esercizio diabilità tecnica che sbalordisca: la mano chesventola, appunto);

    • adesso, se il luogo è quello giusto, e se siamostati bravi, ci dovrebbe essere un po’ di genteche ci sta guardando. Bisognerà fare il cer-chio, compattarlo, chiuderlo, facendo avvici-nare qualcuno, allontanando altri, senza for-zare nessuno (metà degli spettatori non vor-ranno muoversi dal luogo in cui si trovano.Non importa: non bisogna forzarli). Si puòcercare di dare al pubblico la forma che sivuole: rettangolo, quadrato, semicerchio,eccetera. Ci sono diverse forme per questaazione: come un vigile urbano, facendosegnali con le mani (ma non rimanendo nellapropria posizione, spostandosi sul pubblico);o come fa Claudio Cremonesi (un bravoclown e giocoliere di Milano), con una cordae un annaffiatoio, che è legato a un bauleposto al centro dello spazio scenico. Claudiodisegna un semicerchio sul suolo utilizzandol’annaffiatoio come compasso e come matita,bagnando la strada. In pratica creando ciòche Acuña disegnava con il gesso sul suolo;

    brano di apertura Io mi chiamo G di GiorgioGaber), ma lì il tempo d’introduzione è moltopiù limitato. Molti artisti eseguono un brano diriscaldamento, che serve a uno studio reciproco:dell’attore verso il pubblico e del pubblicoverso l’attore.Ci sono molti metodi per far ciò. Qui si pro-pone il metodo utilizzato da Hugo Suárez e cheprevede varie fasi:

    • la scelta dello spazio più adatto a contenerel’energia che usiamo al meglio: ci sono spet-tacoli più intimi che necessitano di una viapedonale più o meno ampia e ci sono altrispettacoli (di trampolieri, ecc.) che riesconoal meglio su piazze, quindi su spazi piùgrandi. Spesso è importante scegliere diavere le spalle coperte da qualcosa: un muro,una pianta, eccetera, che farà da sfondo allanostra rappresentazione. Chiaramente unavetrina di negozio potrebbe essere poco indi-cata, perché ci illuminerebbe dal retro, abba-gliando il pubblico e distraendolo da ciò chestiamo facendo;

    • una volta deciso lo spazio e la direzioneverso cui abbiamo deciso di giocare,potremmo indicare al nostro amico e com-plice che è venuto con noi il punto più cen-trale della prima fila immaginaria che vor-remmo si formasse, perché si fermi in quelpunto. La fila si formerà più facilmenteattorno a lui, e noi avremmo sempre qual-cuno per cui varrà la pena di continuare alavorare, anche se non si dovesse fermarenessuno, e che saprà consigliarci per ilmeglio alla fine della rappresentazione.Depositeremo i nostri pochi oggetti nellospazio scenico da cui partiremo e verso cuiritorneremo, perché:

    • inizia lo spettacolo. Partendo da quel puntosi può iniziare una rappresentazione a 360gradi verso ogni luogo della piazza (non solodove faremo lo spettacolo vero e proprio),

  • TEATRO DI LIBERAZIONE 73

    6. Ancora 4 o 5 esercizi-giochi.7. Spettacolo vero e proprio (di solito si fanno

    due pantomime, o storie di teatro di figura).8. Giro con il cappello per la questua.9. Non succede spesso, ma se ci dovesse accor-

    gere a questo punto che il pubblico è ancoranumeroso ed è cambiato nel corso dello spet-tacolo, è possibile eseguire una terza panto-mima o numero, e poi ripetere tutto dal punto2 al punto 8.

    La colletta (punto 8) è un momento molto impor-tante, che richiede un numero artistico studiatocon cura. Normalmente è necessario un piccologioco comico per alleggerire un momento cosìdelicato come quello della richiesta di denaro eogni artista potrà inventare o scegliere la formapiù consona alla propria sensibilità e creatività.Senza vergogna. Perché non sta pretendendonessuna cifra stabilita e non sta chiedendo l’ele-mosina, in una logica dove anche il denaro si spo-glia di ogni calcolo e diventa ciò che è: solo unnudo strumento utile a vivere.Si potrebbe, ad esempio, chiedere una partecipa-zione più attiva del pubblico che si può svolgerenelle seguenti forme: mimare che tiriamo fuori ilportafogli da una tasca versando tutto il conte-nuto nel cappello che sarà stato poggiato al suolo.Poi mimare di mettere nel cappello l’orologio, gliorecchini, la piccola medaglia d’oro con l’imma-gine sacra che baciamo prima di depositare nelcappello, e infine... il dente d’oro!Non è finita qua: si può prendere il cappello da terrache rimane rigido a mezz’aria come nel numero delpunto fisso iniziale, lo trasciniamo a fatica verso lospettatore più vicino e possiamo tendere verso di luidisperati la mano implorando aiuto, affinché dia unamano a trascinare il cappello. Normalmente luiaccetta di darci la mano e (in ogni caso), a questopunto si libera la tensione mettendogli il cappellosotto il naso e chiedendogli i soldi. Possiamo fare ilgiro del pubblico senza soffermarci troppo e senzainsistere, perché si tratta solo di ricevere il dovuto.

    • a questo punto non si creda che si possa giàfare lo spettacolo vero e proprio. Sono neces-sari almeno altri 4 o 5 micro-numeri, megliose basati su abilità tecniche riconoscibili(muro invisibile, camminate, punto fisso,eccetera). Al posto del muro invisibile si pos-sono eseguire giocando altri numeri di gioco-leria (o di altre abilità), ma la sostanza noncambia. Si può far precedere questa faseancor più tecnica da un bell’inchino e da unapresentazione verbale dello spettacolo, comese fossimo nel più grande teatro del mondo(cioè subito dopo la formazione del cerchio eprima dei numeri che citavo: muro, ecc.).

    Ricapitolando:

    1. Improvvisazione libera attraverso ogni tipodi gioco con i passanti.

    2. Rientro nello spazio scenico e primo eser-cizio-gioco più tecnico, in cui si mostra alpubblico le meraviglie della nostra arte (eche non siamo solo bravi a giocare). Ultima-mente ci siamo resi conto che attraverso ilteatro di figura è possibile già presentare unpersonaggio ed un numero a questo puntodella rappresentazione, anticipando i tempied entrando nel vivo dello spettacolo vero eproprio. Il teatro visuale infatti ha una forzadi impatto visuale molto forte sullo spetta-tore, per cui non ha bisogno di ulterioripreamboli per far entrare il pubblico nelvivo di un numero o di una storia più strut-turata e con una durata più lunga. Nel pros-simo capitolo tratteremo dell’argomento.

    3. Secondo esercizio-gioco scenico. Attenzione,molto importante: questo è un punto in cuianche molti bravi artisti rischiano di naufra-gare. In più occasioni è necessario ripetere unaseconda volta gli stessi esercizi tecnici (punti 1,2 e 3), come se niente fosse, per creare l’atten-zione in un numero maggiore di passanti.

    4. Creazione del cerchio (o rettangolo).5. Inchino e presentazione dello spettacolo.

  • Renato Curci74

    sull’arte di strada sono dei veri segreti dell’an-dare a cappello, molto preziosi e che raramentesi trovano su libri di testo scenici.

    A questo punto è possibile mettere in atto unespediente (siamo al punto 9), nei casi in cui citrovassimo in situazioni molto favorevoli: fac-ciamo subito dopo una terza pantomima che faparte del nostro repertorio, approfittando delpubblico rimasto e dei curiosi che sono suben-trati in ritardo.Poi eseguiamo con facilità molto maggiore glistessi esercizi-giochi d’abilità dell’inizio (il cer-chio del pubblico è già presente) e infine ancoralo spettacolo vero e proprio: o ripetendo lestesse storie già eseguite o facendone altre delnostro repertorio. In tal modo è possibile fareun doppio cappello.È importante anche riscaldarsi muscoli e voce(canticchiando), dove si può (purtroppo quasimai in strada), prima di iniziare a lavorare.Questa è un’ottima struttura per eseguire unospettacolo spontaneo di strada.Un’altra cosa importante: se il carico di tensionie soprattutto di responsabilità individuali che ciassumiamo è troppo grande (come nel caso incui si è interpreti e registi di uno spettacolo), ilrischio è anche quello di entrare in un clima digrande egoismo, che può crearci addirittura unaspinta che ci allontana dagli altri, invece di avvi-cinarci al prossimo (il pubblico). Come ci dicevaJorge Acuña Paredes nell’intervista:

    ...la misión del teatro no es contemplar, la misióndel teatro es comulgar. Se tiene que produciruna comunión entre actores y espectadores. Sino se ha dado la comunión, no se ha dado laceremonia teatral. (La missione del teatro non ècreare la contemplazione, ma la comunione. Sideve produrre una comunione tra attori e spet-tatori. Se non si è creata la comunione, non c’èstata la cerimonia teatrale.)

    Ecco perché è importante avere con sé almenoun amico, anche quando si fanno gli spettacolida solisti: il lavoro dovrebbe essere sempre nonsolo un momento in cui iniziare a fare dellecose, ma un tempo in cui incontrare altre per-sone e mettersi a disposizione di altri esseriumani. I consigli tecnici che qui vengono dati

  • Posto fissodi Renato Curci e Carlo Curci

    5

    Il burocrate entra in scena lateralmente: indossa camicia, cravatta e un paio di occhiali da vista con la mon-tatura nera. Porta con sé un quotidiano. Sul palcoscenico c’è una sedia. Si rivolge a un immaginario col-lega, alla sua destra. Ci troviamo di fronte a un personaggio flemmatico e un po’ rozzo, nonostante il suoabbigliamento pulito e borghese. Ha due matite o penne colorate sistemate nel taschino della giacca.Dove possibile c’è un cartello che viene giù dall’alto, al di sopra di un immaginario sportello, su cui c’èstampata l’indicazione: LÌ.

    Il burocrate: Aeih! (gutturale). Trimigliò’! Trimigliò’, è inutile che fai il buono, Trimigliozzi! Trimi-gliozzi ti ho capito a te, è inutile che fai lo scemo, Trimigliò! Eh! (Rivolgendosi a un altro immaginariocollega situato in un altro punto dell’ufficio). Quello, quello fa il buono, quello: “No, io, io ti voglio benea te, ti voglio bene...”, e tutti i giorni mi fa trovare la Gazzetta del giorno prima: mah! Trimigliò’, ti hoca...(Si volta alla propria sinistra, dove si trova, in piedi vicino a lui un altro immaginario impiegato, che cercadi parlare con lui) Tu, che vuoi? Che vuoi, tu? Ho capito, ho capito, vai ad aprire, che le ho viste pure iole mandrie che premono là dietro la vetrata. Vai ad aprire, va’! Va’!...Neanche il tempo di prendere il caffè, l’espressino...

    Si siede sulla sedia al centro dello spazio scenico.

    Vorrei sapere... il lavoro interinale... eh! Fremono, fremono di lavorare, non hanno ancora capito comefunziona qua la storia. Va bene, va! Avanti!

    Rivolgendosi al primo utente che si trova al di là del vetro, di fronte a lui. Si tratta di una donna.

    Mi dica, sì, mi dica. Signora, signooora! Il vetro ha la sua funzione. Io la sento benissimo, che ho unmicrofono GROSSO così qua!Ah!E va be’, l’importante è che capisco io... Chi glieli deve dare i docuuuuumenti a lei? Li deve dare lei ame o io a lei?!Eh!Va be’, che c’entra?! Quella è la richiesta, ma l’offerta chi gliela deve fare?Ah!E allora? Signora, per piacere, non si alteri, signora! Signora, se comincia lei, alla fine della giornata ilfegato mi deve schiattare (e porta le mani alla parte opposta del corpo rispetto al fegato). Mi deve... a me!Ah! Dove sta? (Comprende il proprio errore e cambia la posizione delle mani). Sta qua! Mi deve...Come se la mangia la paglia il cavallo! Mio nonno faceva il contadino. E noi abbiamo raggiunto ilbenessere: lo stipendio sicuro! (Alza una gamba e scoreggia) Altro che campagna: posto fisso! E mo’, ilculo, chi me lo stacca più dalla sedia?… Solo le scoregge. Altro che il trattore di mio nonno, questa èvita! A casa di mio nonno: tutti insieme si viveva! Tutti insieme. E che è: Nomadelfia? A casa mia: Io...

    Attività 4

    5. Opera creata a Bari nel 1989.

    TEATRO DI LIBERAZIONE 99

  • Renato Curci100

    e mia moglie e mio figlio sono pure assai!(La signora lo interrompe) Signora! Anche stamattina lei mi crea sempre un alterco interiore, ogni mat-tina! La faccia è diversa, ma la sostanza della signora è sempre la stessa. È vero, Rimagliò!?(Seguono espressioni dialettali pugliesi). Vénnen(e) ddô e volen(e) sapé’, volen(e) sapé’! Ce ccose volen(e) sapé’?(Calmandosi) Signora... signora guardi, il vetro ha la sua funzione... E poi guardi: la mano fuori dalvetro. La mano dentro al vetro, semplice... siamo a teatro, signora. Questa è solo una convenzione. Leideve pensare qua (il vetro), non guardi la mia mano. È l’attore che si rilassa, quello. Meh! Ancora ticredi, la sacralità del teatro... U’... Biip! (Censura) Eee... Va be’... Rispettiamo... Ancora dovesse venirequalcuno: “Che fa il cabaret, fa il tea... Che cos’è questo, ma abbiamo visto teatro o cabaret? Non sisa... È la scissione del ieeeh!...”(Pausa) Mi faccia vedere (afferra un immaginario documento che restituisce dopo avergli dato un’occhiataveloce) Signora, per l’elenco dei documenti che lei deve produrre, se lei stava un poco più attenta,avrebbe visto all’ingresso, alla sua destra, un enorme tabellone! E dentro il tabellon’ ci sta l’elenco deidocumenti che lei deve produRRe per effettuare questa... Signora, signora... Se io la potevo aiutare, lei,invece di trovarmi qua, dietro al vetro, mi avrebbe trovato dentro quel tabellone, stampigliato al postodi Padre Pio che la benedice! Se sto qua, qualche motivo ci sarà, eh, signora! Sì, eccome? Sì!...(Rivolgendosi al secondo utente, ancora una donna) avanti, mi dica! Si, mi faccia vedere! Eh, mi faccia...spinga! Pure lei con ‘sta storia del vetro. Che, non mi sente? (Con boria) Io la sento benissimo invece,signora! Sì, sì! Signora, non si alteri, stia calma! Il vetro, lo sa perché? Eh, e glielo dico io. Qua, se neviene uno spinellomane... (Fa il gesto di infilarsi l’ago di una siringa in un braccio),... mi fa: “Aaaah!”(Alita pesantemente sul vetro immaginario che lo separa dall’utente),... che mi devo prendere l’AIDS,signora!Ehi!...Si rivolge verso il centro della fila che dovrebbe essersi formata di fronte a lui, dietro alla signora con cuista attualmente parlando.Facciamo piano, là dietro! Dagli uno schiaffo, signora, al bambino, così si sta un po’ zitto! MetodoMontessori!(Prendendo mimicamente il documento) Ah, mi faccia vedere... Signora, signora... qua, che cosa civuole? Ecco, brava! Allora: lei esce, va sulla destra, cammina, cammina, cammina chi calza Leopoldina,arriva all’angolo, vedrà un’enorme T bianca...!Un’insegna con una T! Quella vuol dire: “Tabacchi”, ma non solo... stampigliata una T! Entra nelnegozio, prende la bella marca da bollo...Signora, signora, se io la potevo aiutare, qua dietro, al posto delle pratiche, avrebbe visto Camel, Marl-bone, Milde Sorte, Cote d’Or... (ed indica esagerando con una mano la lunghezza della tavoletta di cioc-colato).... Eh! Brava, la signora, brava... brava! E che è? Ma stiamo a scherzare? E, esci e valla a met-tere...Io le devo mettere la marca da bollo? (Seguono espressioni dialettali pugliesi). E che so’: pasticciere?Beh: va à pìgghie…! Vedi che ti muovi!Avanti! Sì!(Rivolgendosi all’utente successivo). Sì, mi ricordo... Mi dia il certificato di nascita...Bene, ora manca soltanto che ci porti un documento che dimostri fondatamente che bisogno c’era chelei nascesse (lo guarda serio, poi scoppia a ridere) No, va bene, va bene, vada, vada, fra due mesi... Avantiil prossimo!

  • TEATRO DI LIBERAZIONE 101

    No, QUI si inoltra QUELLO. QUESTO deve inoltrarlo LÀ... Infatti...Lei è...?Peppino delle banane, sono confidenze fra lei e i suoi clienti che non hanno alcun valore giuridico. Lei,per lo stato, è un operatore ortofrutticolo.Rrrr... Scusi, eh? (Rivolto al signor Peppino, poi rivolgendosi al collega alla sua destra) Rrrr... questo èper far arrabbiare mia nipote che ha la erre moscia... rrrr... orrrto-frutticolo... Aspetti! (All’utente).Avanti, mi dica, qual è la sua motivazione... mi dica! Lei è venuto qui per gli alloggi da assegnare daparte della protezione civile. Innanzitutto mi dica la causale dell’assegnazione: (calmissimo) frana, ter-remoto, alluvione, fatiscente costruzione, bombola del gas...?Frana? Trimigliò, hai sentito? A Bari, la frana... Lei ha i documenti?... E quello è l’importante... (Si levagli occhiali e lo guarda in modo più diretto) Signore, il problema è semplice, si risolve in un nonnulla, leimi deve produrre inoltre i seguenti documenti: certificaicato di distribuzione familiare nel territorio,l’agevolazione autenticata dalla commissione di sottoscrizione sul versamento iniziale minimo, lo statodel patrimonio ortofrutticolo sottoscritto dal sottosegretario del ministero per lo sviluppo dell’ortaggioin carica, e/o il documento sottoscritto da tutti gli operatori del settore. (Confidenziale) guardi, signorPeppino, sua moglie, dal punto di vista giuridico, è un’operatrice del settore (ridacchia).Ha già prodotto tutta la documentazione necessaria? Bene. (Pausa). Me la favorisca. Guardi, c’è unapiccola fessura sotto il vetro. Non passano? Spinga, spinga... Qua, nella fessura, signore! Sì! Spinga,spinga, la fessa della fessura... La sgarrassa, come la vuole chiamare lei.Eh, signore in fondo, non si alteri, stiamo chiudendo una pratica difficile!Spinga, spinga...(Visiona i documenti)Mocca alla calligrafia...(Si toglie gli occhiali, si alza e lo guarda)E non ha letto, Egregio Signore, lei che vende l’ortofrutta, che dalla mezzanotte di ieri decorrono i ter-mini di scadenza per la presentazione della domanda? E questo per lo Stato è come un pomodoromarcio, è come un frutto andato a male!...C’è da pagare una mora del 400%...Non ha prodotto i documenti in tempo utile... Ah, sua madre stava poco bene... Sua madre ha 77 anni?(Da una rapida occhiata al documento che ha con sé). Signor Gargiulo, e lei ha 60 anni, eh? E brava allamamma, se l’è bruciata subito la possibilità!Non si alteri, non si alteri! E siamo anche noi esseri umani! Questi utenti, quando entrano qua dentro,non so per quale misteriosaragione, perdono il senso dell’umorismo...E chi ci assicura a noi che sua madre stava male, a noi chi ce lo assicura...?(Con lo sguardo basso, sbrigativo). Ci faccia vedere sua madre e ne riparleremo...Sta poco bene? Guardi, eh, eh, eh... sta poco bene... (rivolgendosi al collega) dice che sta ricoverata allastazione intensiva, eh, ma che dobbiamo fare... sì! E non lo so... Ma guardi... Per lei è mo... E lo so, el’ho capito che è molto importante l’alloggio per lei! E, ma noi... io la posso capire come persona, ma...Cioè...Come Stato non posso capirla, eh! Oh, Santa... Senta, signor Peppino, è molto importante...(Rivolto al collega) dice che sta all’azione intensiva, sta molto male.Lei, faccia una cosa, signor Peppino, lei gli tolga il tubo, tanto, prima o poi, eh, eh... e gli allevii pureuna sofferenza a quella poveretta, eh, e poi mi porta un bel certificato, vedrà che l’alloggio, quattro equattro otto glielo danno. Non ci saranno più problemi... Sior Peppino, se vai al cimitero (contempora-

  • neamente si gratta i testicoli) sai quante tombe con tutte queste facce da quaranta cinquantenni cisono?La vita, la morte, ormai... Tutti dall’altra parte dobbiamo andare, tutti ci ritroveremo, quindi: (seguonoespressioni dialettali pugliesi) che cappero campiamo a fare? Levaci il tubo e prenditi l'appartamento, estai zitto... Sentimi a me!(Rivolgendosi al collega) E Trimigliò, che battuta ho fatt’, eh?!Eh! (Alla fila). Non funziona!Eee starà il terminale staccato, che vi devo dire! Eh, sì, ci vediamo più tardi. Dobbiamo aspettare.Dobbiamo fare un poco di pazienza, bisogna fare... Beh! Sì, sì... Andiamo a prendere l’espressino!(Rivolto ancora alla fila davanti allo sportello). Pausa, è chiuso! E che... Se ne riparla domani!Sì, sì, sì...

    Il comiziodi Renato Curci

    6

    Personaggio: l’uomo politico, indossa solo camicia chiara e cravatta, oppure giacca e cravatta.

    Se lo spettacolo si tiene in uno spazio chiuso, il personaggio esordisce così:Cittadini, grazie di avermi fatto questa domanda, che mi dà l’opportunità di rispondere.

    Se lo spettacolo si tiene in uno spazio all’aperto, l’inizio sarà questo:Cittadini, cittadine! Popolo d’Italia! (Rivolto a un passante) Dove vai?

    Dopo anni di sforzi congiunti, di ricerche, gargarismi intellettuali, siamo giunti a inaspettata conclu-sione, sul crollo delle macerie del mostro comunista, assassino! (Rivolto allo stesso passante, o a unaltro).Cittadini, grazie di avermi fatto questa domanda, che mi dà l’opportunità di rispondere. Ora chie-diamo a voi giovani e alla cittadinanza di collaborare, di sostenerci, me, ma soprattutto il partito.Al Comune, alla Regione, alla Provincia, alla circoscrizione... (conta rapidamente attraverso le dita dellamano)... e basta. La realtà è che l’Est ha asprepriato ai contadini la terra, hanno costruito a dismisura:Punta Perotti, Torre Quetta, Patate, riso e cozze… la nostra costa è un gibillero7. Ma questo è proprio iltempo per rimboccarsi le marsi le marsi le maniche. Ba ba basta babà col disordine e la promiscuità.Fondi comuni, lavoro ai disoccupati, case agli sfrattati e cappuccini agli avvocati. Cittadini, grazie diavermi fatto questa domanda, che mi dà l’opportunità di rispondere, perché bisogna anche difendere ipiccoli proprietari. La nostra Brundisium, violentata a dismisura. Questo mare di immondizia e diincertezze… ezze...!Voi siete il pensiero, il pensiero vero, la volontà di cambiare. Noi dobbiamo risolvere… ere… ere… iconflitti attraverso il nemico! E allora votate per i 14 milioni spesi in campagna elettorale, votate per iprossimi cinquanta euro infilati in busta, votate per buffet e per i buoni benzina. Votate la FIDUCIA…la serietà… il pensiero. Il pensiero vero. La volontà di continuare. Votate per la Sampdoria. (Prende un

    6. Opera creata a Bari nel 1989.7. Espressione barese che indica baldoria, caos senza confusione, cioè piacevole. Comunque non conta tanto ciò che il politico dice, ma il modo in cuil’attore recita il testo, che dà un senso particolare al monologo.

    Attività 5

    Renato Curci102

  • paio di occhiali, e se li infila. Da ora parla con l’erre moscia). Per non parlare poi della nostra program-mazione culturale nel panorama artistico autunno – inverno ‘10 – ‘11: (cambia, diventa professorale):films d’essai, proiezione di diapositive, spettacoli teatrali, veglioni di carnevale, pentolacce, ricchipremi e cotillon. Perché la cultura è imporrrtante. (Fa un grosso sputo per terra, e va via).

    Parlami d’amoredi Renato Curci

    8

    (ovvero dell’adulterio sentimentale).Monologo per un attore (o per un’attrice).

    Prologo.Oltre l’illusione l’altro ci appare così com’è.

    Il rapporto fra giovani innamorati è alle volte sconvolgente non solo per l’intensità dei sentimenti, maanche per la velocità con cui un sentimento profondo di amore può trasformarsi nel suo esatto con-trario, cioè in odio. L’insoddisfazione, le critiche reciproche, il malumore fra persone legate da unintimo rapporto affettivo sono spesso causate dalla pretesa di far coincidere la persona reale che abbiamoaccanto con la persona ideale che abbiamo nella nostra mente. È nel momento in cui non abbiamo piùalcuna aspettativa nei confronti dell’altro che l’illusione svanisce e l’altro ci appare così com’è.Monologo.Un divano per due (dove possibile). Disordine. Un telefono su di un tavolino, abbastanza evidente. Unpacchetto di sigarette, una bottiglia e un bicchiere mezzo pieno sul pavimento.Lui (o lei) fuma nervosamente, spegne subito la sigaretta in un portacenere già pieno, ha in mano un faz-zoletto con cui si terge il volto, forse da qualche lacrima, o da sudore. I capelli, impomatati e spettinati.

    Il mio rapporto con te è strano. Il mio rapporto con te. Innanzitutto... il mio rapporto è strano con te, ilmio rapporto con te è strano. Innanzitutto ci deve essere il mistero. Eh, eh, eh, ci deve essere il mistero,se non c’è il mistero... se non c’è il mistero, se non c’è il mistero non si va avanti. Ci deve essere ilmistero perché ci deve essere tensione, tensione, tensione fra me e te, tensione fra me e te... tensione! Ilmistero di chi sono io, di chi sei tu, di quello che dico, di quello che faccio, di come mi muovo, dellemie posture.Il mistero... il mistero di noi. È quello che noi siamo. Io e te. Il mistero non lo svelare, è da tenernascosto, attenta! Non lo svelare! Non svelare il mistero: finisce tutto! Cade il frutto, cade la tensione,cade tutto... E poi? Ah, e poi devi essere bella. (Ride brevemente). Devi essere bella. Di essere bella seibella. Sei bellissima. Sei bella. Vorrei prenderti fra le braccia per la tua bellezza, stringerti. Stringere iltuo angelo, stringerti a me, e sentirti. Sentirti calda, viva, palpitante. Sentire il tuo seno sul mio corpo, esei bella. Sei bella. Sentire il tuo sangue che scorre nelle tue nelle mie vene, e questo c’è, accidenti, c’è,come se non c’è... c’è, c’è, c’è, c’è!C’è, c’è questo corpo che si stringe al tuo corpo. Questo seno, c’è, c’è questo sentire questo corpovicino al tuo.

    Attività 6

    8. Opera creata a Bari nel 1990.

    TEATRO DI LIBERAZIONE 103

  • Renato Curci104

    Questo amore, amare, amare...L’attore (o l’attrice) si torce i capelli impomatati. Poi stringerà il proprio corpo con le braccia, lasciandosiandare a una interpretazione più sentimentale di ciò che dice.... C’è. Esiste, è un fatto reale. Perché a volte, è bellissimo, è bellissimo, è bellissimo sentire. Sentire,sentire, sentire tutto quello che ti succede. Vivere questa festa del corpo con il corpo, ed è bellissimo.(Acido e gutturale). Checché ne dicano i morti, i falsi moralisti. Ah, ah! (Sospira con ansia)Sentirla, sentire il suo piacere che cresce, che cresce. E guardarla mentre ti bacia. E godere della suabellezza. Sospiri, poi utero, eccetera. SSei bella anima mia, amica mia... (Pausa). Amica mia?E poi...? E poi? E poi, e poi devi, devi essere quello che sei. Si, devi essere quello che sei. Calda, sin-cera, affettuosa, non so. Qualsiasi lato tu voglia. Quella devi essere, io mi sono innamorato di quello,che tu... io mi sono innamorato di ciò che tu sostanzialmente sei, ciò che tu sostanzialmente sei... diquello io mi sono innamorato.Di ciò che tu sostanzialmente sei. Ehi! Ehi! Non provare a deludermi, non provare a deludermi, eh?Non provare a... a... a... non cercare di... no, no! Non devi, non devi essere diversa da quello che sei.No, no, no, non devi essere diversa da quello che tu sei sostanzialmente, eh?Ciccina... Tu devi essere quello che sei, quello che... dico... quello che sei insomma sostanzialmente.No, non puoi essere così, tu devi essere quello che sei, non così, così no, così non mi piaci, così non mipiaci. Devi essere non così, devi essere, devi essere quello che tu sei.No, non così. Tu devi essere quello che tu sei sostanzialmente, non così!No, no, così non mi piaci, così ti odio, così non ti sopporto, come tu sei adesso non ti sopporto.No, no, è stupido, è banale, non ti sopporto. Non ti sopporto con quelle tue... con quel volerti metterein mezzo. Non ti sopporto. No, no, così no. Tu devi essere quello che sei sostanzialmente, non quelloche sei, quello che dici adesso.(Pausa). Che cosa? Mi dici...? (Pausa). No, così no. Che dici? Che dici? Mi dici che... che non faniente? Mi dici che... che va bene? Mi rassicuri? Eh... (ride). Mi rassicuri? Eh, eh (risata breve). Ridi, mirassicuri? Eh, eh (ride ancora).(Di seguito). Mi dici che va bene mi rassicuri ridi? (Ride). Andiamo? Entriamo in macchina? È tuttookay, è tutto a posto, non c’è problema? Eh, eh, eh (ride). No, non così. (La voce è immediatamenteincrinata dal pianto). Non devi essere così, non devi dirmi questo.Perché mi riporti alla realtà, perché mi riporti alla realtà? Perché mi riporti alla realtà... (piange). Ecco,non mi capisci, tu non mi capisci. Neanche tu mi capisci. Sono un incompreso. Si, sono un incom-preso, un incompreso, un incompreso, un incompreso (piangendo). Nessuno, nessuno mi capisce. Tunon mi capisci (piange e sospira). Non mi capisci, sono un incompreso. Che delusione. Nessuno micapisce, nessuno mi capisce. Ah, povero me. Povero me (piange e sospira). Povero me, me, me.(Fermo). Povero me... C’è sempre... sono un incompreso. Tu non mi capisci, non mi capisci (pian-gendo), anche tu non esisti, non mi capisci, ecco: ecco. Non esisti. Ecco. Ecco, ecco. Ecco.(Seduto su di un lato del divano, rivolto verso un immaginario interlocutore seduto all’altro lato dellostesso, dove c’è il posto vuoto, asciugandosi il viso con il fazzoletto, rabbioso). Ma c’è una cosa che nonposso perdonarti: che tu non ci sia proprio adesso, che devo dirti che quando tu mi hai lasciato... io mene ero già andato!

    (Si dirige verso uno spettatore e canta verso di lui, in un rapporto diretto, una canzone con questo testo:“Latte, della vacca, della vacca della vacca che fa muuuu …” Va via cantando la stessa strofa)

  • Cop _Teatro di liberazioneTeatro di Liberazione 2-3Teatro di Liberazione 7-12Teatro di Liberazione 14-17Teatro di Liberazione 45-50Teatro di Liberazione 71-74Teatro di Liberazione 99-104quarta _Teatro di liberazione

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