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edizioni la meridiana p a r t e n z e Teoria e tecnica del teatro IL TEATRO DEGLI OPPRESSI Augusto Boal

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Colori compositi

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edizioni la meridianap a r t e n z e

Teoria e tecnica del teatro

IL TEATRODEGLI OPPRESSI

Augusto Boal

Euro 18,50 (I.i.)

In copertina disegno di Silvio Boselli

Perché leggere questo testo tanto fondamentale e fondativo del Teatro degliOppressi a distanza di decenni? Per tre buoni motivi. Innanzitutto perritrovare le origini e le radici storiche del Teatro degli Oppressi nella lottapolitico-teatrale per liberare dall’oppressione. Ritrovare le radici vuole direrecuperare l’attenzione agli aspetti politici ed etici, non lasciarsi sopraffaredall’agire quotidiano e dalle lusinghe del mercato, avere antenne sensibiliper prevedere le trappole possibili. Il secondo motivo è che contiene partitecniche fresche e ancora attuali come il teatro-mito, il teatro-feuilleton, ilteatro-giornale e poi, ancora, strumenti usati alle origini, tecniche più antichee meno pregnanti del teatro-forum, in cui è chiara la scelta poetica di attivarelo spett-attore, di dialogare col pubblico. In ultimo, questa edizione cancellal’immagine, molto alimentata nel mondo accademico, di un Boal militantepolitico di un teatro ridotto a insieme di “giochini divertenti”, ben lontanidalla serietà della sperimentazione teatrale.Queste pagine oggi come allora vanno lette e sperimentate con lo stessoscopo: analizzare e trasformare il mondo presente, alla luce di quello passato,così da creare il mondo futuro che vogliamo, un altro mondo possibile. Sceltecoraggiose in un’Italia che sembra aver smarrito il livello etico prima chepolitico.

Augusto Boal (1931-2009) è stato il fondatore del teatro Arena di San Paoloe ha scritto diverse opere teatrali con Chico Barque. Nei suoi testi, tradottiin trentacinque lingue, espone i metodi presentati nei suoi stage di formazionee diffusi ormai in tutto il mondo. Con la meridiana ha pubblicato L’arcobalenodel desiderio (2010), Dal desiderio alla legge. Manuale del teatro di cittadinanza(2002) e Il poliziotto e la maschera. Giochi, esercizi e tecniche del Teatro dell’Oppresso(2009).

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Augusto Boal IL TEATRODEGLI OPPRESSITeoria e tecnicadel teatro

Traduzione di Patrizia Picamus eGiorgio Ursini Ursic

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Indice Introduzione di Roberto Mazzini ........................... 7Premessa di Ursini Ursic ..................................... 11Un’intervista a Boal a cura di Ursini Ursic ......... 15

Parte PrimaPOETICA DELL’OPPRESSO

Un’esperienza di teatro popolare in Perù ........... 25

Parte SecondaCATEGORIE DI TEATRO POPOLARE

Prima categoria di teatro popolare(del popolo e per il popolo) ................................. 51Teatro a prospettiva popolare,però per altro destinatario ................................... 57Teatro a prospettiva antipopolaree il cui destinatario è il popolo ............................ 61Il teatro “giornalistico”:quarta categoria di teatro popolare ..................... 65

Parte TerzaTECNICHE LATINOAMERICANE DI TEATRO POPOLARE

Collages ................................................................ 77Feste e tradizioni popolari ................................... 79Favole e storie popolari ....................................... 85Teatro di stampo classico ..................................... 89Teatro non istituzionalizzabile: teatro invisibile ..93Teatro-processo .................................................. 101Conclusione ........................................................ 103

Parte QuartaFASI DEL TEATRO ARENA DI SÃO PAULO

Mostri sacri “popolari” ...................................... 107Mostri sacri borghesi ......................................... 111L’emozione prioritaria ........................................ 115Razionalizzare l’emozione .................................. 121La ricerca del tempo perduto ............................ 123

Parte QuintaIL SISTEMA “COMODÍN”

Fasi del Teatro Arena di São Paulo ................... 131Necessità del “Comodín” .................................. 137

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Le mete del “Comodín” .................................... 141Le strutture del “Comodín” .............................. 145

Parte SestaIL SISTEMA TRAGICO COERCITIVO DI ARISTOTELE

Boal e “Il sistema tragico coercitivodi Aristotele”: le ragioni di una traduzionedi Preziosa Salatino ............................................. 157Il sistema tragico coercitivo di Aristotele .......... 159Piccolo dizionario di parole semplici ................ 175Diversi tipi di conflitto.Hamartia ed ethos sociale .................................. 179Conclusioni ........................................................ 183

APPENDICE

TdO ed Etica ...................................................... 187Indirizzi nel mondo ........................................... 189

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Introduzione

Il 2 maggio 2009, muore Augusto Boal, malatoda tempo ma sempre presente per dare il suocontributo alla lotta di liberazione dell’essereumano.Poco più di un mese prima, il 25 marzo, aParigi, aveva celebrato la Giornata Mondiale delTeatro con un discorso all’Unesco in cui riba-diva che: “essere cittadini non vuol dire farparte di una società, ma provare a trasformarla”.Precedentemente, in occasione del Festivaldello storico gruppo indiano Jana Sanskriti1 aCalcutta, aveva marciato faticosamente coi con-tadini appoggiandosi a un bastone per le stradedella città, per dare la sua solidarietà al loromovimento teatral-sindacale di lotta per i dirittialla terra, contro lo sfruttamento delle multina-zionali.Negli ultimi anni si era dedicato a sperimentarel’ultima svolta del TdO, l’Estetica dell’Op-presso2, e a contrastare gli usi impropri del me -todo, volti a confondere o “intrattenere” gli op -pressi, invece di appoggiarne la loro lotta libe-ratrice.

Nonostante la generosità del fondatore, sipotrebbe dire che il TdO non è attuale nelmon do della “società liquida”3, della “cadutadelle grandi narrazioni”, del potere di “con-trollo diffuso”4, della “globalizzazione”…Si potrebbe inoltre sostenere che dal 1977(anno della prima pubblicazione italiana di

questo testo) molte cose sono cambiate e, comegià si pensava in quegli anni, il TdO non èadatto al contesto occidentale, ma solo a Paesidel Terzo Mondo.In realtà abbiamo visto svilupparsi enorme-mente, proprio dagli anni della presenza stabiledi Boal a Parigi, un’applicazione pedagogica,sociale, politica e finanche terapeutica del TdO.A tutt’oggi sono censiti ben 85 paesi al mondo5

con una presenza ufficiale di gruppi che usanoil metodo, in Europa pullulano singoli e orga-nizzazioni, in Svezia c’è una rete che organizzafestival annuali, in Austria una che ha organiz-zato nell’ottobre 2009 un Festival Internazio-nale…Quindi sarebbe casomai da chiedersi: perchénon è stato ripubblicato prima?

Sicuramente il contesto in cui è nato (Brasileanni Sessanta, dittature sudamericane, miseria,lotte di liberazione…) è stato particolare ediverso dall’Italia di allora e da quella di oggi.Ciò nonostante il TdO si è evoluto e ha creatonuove tecniche, molti sperimentandolo hannosaputo innestarlo con Brecht, Freire e altriapprocci psicologici, sociologici, politici, este-tici…6

Certamente all’inizio molti contesti e applica-zioni non erano nemmeno stati immaginati mal’incontro tra Boal e l’Europa, nel suo esilio dal1976 al 1986, ha prodotto tanti sviluppi teorici,metodologici e tecnici.Il TdO non è un sistema rigido di precetti, anzi,Boal e la sua opera sono ben vivi e incarnati neicorpi di decine di migliaia di persone che lopraticano: dai contadini brasiliani del SemTerra, ai ragazzi di strada di Vancouver, daidetenuti di Reggio Emilia ai “sans-papiers” diParigi, dai giovani a rischio di alcolismo svedesiagli omosessuali in Germania, dalle donne mal-trattate del Congo ai giovani iraniani oppositoridel regime, ecc.

7IL TEATRO DEGLI OPPRESSI

1. www.janasanskriti.org.2. www.ctorio.org.br.3. Baumann Z., Liquid Times: Living in an Age of Uncertainty, Polity,Cambridge 2006. Vita liquida, Laterza Roma-Bari 2006; Id., Science ofScience and Reflexivity, Polity, Cambridge 2004.4. Foucault M., Microfisica del potere: interventi politici, Einaudi,Torino 1977.

5. www.theatreoftheoppressed.org.6. Schutzman M., Cohen-Cruz J. (a cura di), Playing Boal: theatre,therapy, activism, Routledge, London 1994.

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Nessun tema di oppressione è stato dimenti-cato, nessun gruppo oppresso è stato esclusodal TdO.

Ripubblicare oggi il suo primo testo significache c’è spazio per riconsiderare la pratica e lateoria di Boal che, insieme ad altri approcci(Freire7, Approccio di comunità8, Lavoro direte9, ecc.) sono ancora oggi strumenti di crea-zione di un altro mondo possibile.Ripubblicare questo testo significa sostenereche il TdO serve oggi per costruire un mondomigliore:

1. serve in campo politico, per ridare vocealla base, costruire percorsi di cittadi-nanza attiva, di controllo dal basso delleistituzioni politiche e delle amministra-zioni (cfr. il Teatro-Legislativo);

2. serve in campo sociale: per rafforzare iprocessi di liberazione dei gruppi discri-minati e oppressi, ma anche per indagarele nostre vite quotidiane e scoprire i cam-biamenti necessari (lavoro, qualità dellavita, ambiente, sviluppo economico soste-nibile o decrescita felice, sicurezza e coe-sione sociale, immigrazione…) (cfr.Teatro-Immagine, Teatro-Forum, Teatro-Invisibile);

3. serve in campo educativo, per svilupparenei giovani cittadini strumenti di analisidella realtà, di gestione dei conflitti, dicomunicazione costruttiva, di autostima efiducia… (giochesercizi – nel gergo diBoal – in primis, ma anche il Teatro-Forum);

4. serve in campo terapeutico, per non lasciareche la terapia operi il suo riduzionismo tra-sformando il malessere sociale in problemapsicologico individuale, af finché si riescanoa individuare i legami tra “sofferenza indivi-

duale” e “contraddizioni sociali” (le tecnichedel Flic-dans-la-tête);

5. serve in campo teatrale, per ridare alteatro una funzione sociale forte e nonridurlo a mero commercio di prodotti o asemplice intrattenimento (tutte le tec-niche e l’Estetica dell’Oppresso);

Boal diceva che il TdO si situa tra questecinque aree, a cavallo di esse, sfumando l’unanell’altra, in modo transdisciplinare.Credo, dunque, che ci sia bisogno di questotesto per almeno tre buoni motivi.

Innanzitutto per ritrovare le origini e le radicistoriche del TdO, nella lotta politico-teatraleper liberare dall’oppressione. Questione impor-tante oggi dove il TdO, almeno in Europa,sembra oscillare tra generosità di molti militantidi base e “professionalismo” di alcuni individuie gruppi.Con il termine “professionalismo” intendo evi-denziare la contraddizione nel fare del TdOuna professione invece di “ridare gli strumentidi produzione teatrale al popolo”, scelta cherischia di allontanare il TdO dai propositi ini-ziali.Noi stessi siamo nella contraddizione, avendocreato una cooperativa di lavoro che si basaproprio sul TdO.Da un lato farne una professione permette diaccelerare comprensione ed evoluzione delmetodo: si può dedicare molto tempo al TdO,lo si può praticare spesso e questo crea un cir-colo virtuoso di azione-riflessione-azione, unaprassi molto sviluppata che sa adattarsi ai con-testi, che fugge dal tecnicismo. Dall’altrocostringe a misurarsi col mercato, crea “merce”TdO, generando non pochi rischi.Chi ci chiama per tranquillizzare una classe agi-tata, chi per far passare una linea decisa ai ver-tici sindacali, chi vuole tacitare i conflitti diquartiere, chi intrattenere i detenuti, e millealtre forme di perversione/seduzione.Il problema sorge quando, dovendo vivere diquesto, ci troviamo a valutare proposte allet-

8 Augusto Boal

7. Istituto Paulo Freire: Freire P., L’educazione come pratica dellalibertà, Mondadori, Milano 1977; Id., La pedagogia degli oppressi,Mondadori, Milano 1971.

8. Martini R. e Torti A., Fare lavoro di comunità. Riferimenti teorici estrumenti operativi, Carocci Editore, Roma 2003.

9. Maguire, L., Il lavoro sociale di rete, Erickson, Trento 1987.

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tanti, ma probabilmente ambigue o contrastanticon l’etica del TdO. Che fare? Non c’è un’unica soluzione validasempre e comunque.

Tuttavia credo sia importante, per chi fa TdO,entrare in queste contraddizioni e porsi semprequattro domande relative al committente (siache finanzi sia che ci chieda di intervenire):

1. È eticamente e politicamente “abba-stanza” corretto?

2. Ha degli obiettivi compatibili con quellidi liberazione del TdO?

3. Ci lascia dei margini di manovra per defi-nire gli obiettivi, gli esiti finali, le pre-senze, la gestione del gruppo?

4. Ci chiede di lavorare con un gruppo cheriteniamo oppresso o oppressore?

Se la risposta a uno solo di questi interrogativi èno, rifiutiamo subito la richiesta o cerchiamoprima di negoziare e in caso negativo rifiu-tiamo.Raramente è capitato un rifiuto perché, chi cichiama, in genere sa cosa facciamo, per cui alladomanda 1 è più facile che succeda di scopriredopo, che il committente non era proprio cor-retto.Analizzare la risposta alla domanda 2 è più dif-ficile perché verbalmente ci si trova spesso d’ac-cordo, poi nella pratica possono emergeredistorsioni (per esempio in una scuola fummochiamati per gestire una conflittualità interna alcollegio docenti e, quando facemmo emergerele ragioni di una parte, la dirigenza ci accusò difomentare conflitti e di non fare educazione allapace!).La domanda 3 ha spesso risposta positiva nellanostra pratica, ma occorre precisione e accura-tezza nel fissare le condizioni in modo da nonscoprire troppo tardi dei vincoli inaspettati(necessità di produrre lo spettacolo finale, pre-senza obbligatoria dell’insegnante durante illavoro, ecc.).La risposta alla domanda 4 richiede un’analisi

del campo oppressivo, su cui i punti di vistapossono divergere. Per esempio, non tutti lavo-rerebbero con gli agenti di polizia penitenziaria,ritenendoli oppressori dei detenuti. Noiabbiamo scelto di lavorarci, non certo per aiu-tarli a essere più oppressivi, ma con l’obiettivodi avere maggior coscienza delle loro oppres-sioni, come elementi che poi li portano a sfo-garsi sul detenuto (sindrome da burn-out). L’i-potesi di lavoro è stata quindi quella di un pro-cesso di coscientizzazione che permettesse aloro di riconoscere le radici del loro malesserenell’organizzazione del lavoro (ruolo socialedemandato, struttura gerarchica, nonnismo...) enon nel semplice comportamento aggressivodei detenuti. Sappiamo che questo è solo ilprimo passo e che serve molto cammino perarrivare a comprendere il ruolo del carcerenella società, la giustizia di classe, le alternativepossibili, ecc.10

Credo, quindi, che ritrovare le radici del TdOvoglia dire avere attenzioni a questi aspetti poli-tici ed etici, non lasciarsi sopraffare dall’agirequotidiano e dalle lusinghe del mercato, avereantenne sensibili per prevedere le trappole pos-sibili.Porsi queste domande significa anche “profes-sionalità”, cioè capacità di usare seriamente ilmetodo nelle sue potenzialità e finalità, leg-gendo i contesti, le relazioni, i campi oppres-sivi11.Il libro può aiutarci in questo perché presentascelte chiare e coraggiose che, pur apparte-nendo a un contesto diverso, possono e devonoessere tenute presenti nel nostro lavoro quoti-diano.Scelte coraggiose in un’Italia di oggi che sembraaver smarrito il livello etico prima che politico.

Il secondo motivo per cui è importante la ri-pubblicazione del testo, è che contiene partitecniche interessanti che possono essere ripro-

9IL TEATRO DEGLI OPPRESSI

10. Baratta A., Criminologia critica e critica del diritto penale, il Mulino,Bologna 1982.

11. Bourdieu P., Practical Reason: On the Theory of Action, StanfordUniversity Press, 1998.

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poste oggi in Italia come il Teatro-Mito, ilTeatro-Feuilleton, il Teatro-Giornale… stru-menti usati alle origini del TdO, tecniche piùantiche e meno pregnanti del Teatro-Forum, incui è chiara la scelta poetica di attivare lo spett-attore, di dialogare col pubblico.Tuttavia credo che anche quelle tecniche “pri-mordiali” possano essere di stimolo e, riadat-tandole, efficaci anche oggi.

Una intervista a Boal contiene argomenti ancoraattuali come il nesso tra teatro e politica e ilconcetto di teatro popolare.Un’esperienza di teatro popolare in Perù è inte-ressante per le riflessioni metodologiche sucome “ridare al popolo gli strumenti di produ-zione teatrale”, frase che ne evoca una di Marx(ridare al popolo i mezzi di produzione) e chenecessita di un aggiornamento all’oggi, vistoche la direzione del mondo del teatro oggi èmolto diversa, sempre più specialistica e riser-vata a un’élite. Inoltre descrive parecchi eserciziancora utilizzabili attualmente.Categorie di teatro popolare ha un carattere piùstorico, utile ad avere un quadro evolutivo delTdO delle origini, ma che contiene anche lalista delle 11 tecniche del Teatro-Giornale. Tecniche latinoamericane di teatro popolare fauna panoramica di altre tecniche usate nelteatro popolare che possono essere utili ancoraoggi e dedica una parte ad azioni di Teatro-Invi-sibile in vari luoghi.Il teatro Arena di São Paulo permette di entrarenello sviluppo storico della poetica del TeatroArena, ma fonda anche teoricamente la chiavedell’interpretazione del personaggio, basata sulconcetto di volontà e contro-volontà, tuttoravalida e impiegata ampiamente da Giolli. Èun’impostazione teorica che dà molti spunti percreare o ripescare esercizi ad hoc, rende i perso-naggi meno macchiettistici, introduce la con-traddizione interna come elemento di trasfor-mazione possibile del personaggio durante ilTeatro-Forum.Il sistema “Comodín” contiene la descrizione diquesto sistema di costruzione dello spettacolo

che svincola gli attori dai personaggi, introducela varietà degli stili e altre innovazioni. Puòessere di stimolo per alcune sperimentazioni.

In ultimo, l’edizione italiana del 1977 presen-tava una serie di imprecisioni e veri e proprierrori di traduzione che sono stati corretti inquesta. Inoltre questa nuova edizione presentaper la prima volta, anche rispetto all’edizioneitaliana precedente, delle parti dell’originalefrancese molto importanti perché ci rendonoun Boal teorico del teatro cancellando il pregiu-dizio che se ne ha all’Università, di un militantepolitico che faceva “anche” teatro o di chipensa al TdO come a un insieme di “giochinidivertenti”, ben lontani dalla serietà della speri-mentazione teatrale.Ma questo aspetto viene spiegato bene dallacollega Preziosa Salatino che ne ha tradotto uncapitolo.

Con questo vi invito alla lettura e alla sperimen-tazione di quel che trovate adatto ai vostribisogni, per dare corpo agli scopi del TdO: ana-lizzare e trasformare il mondo presente, allaluce di quello passato, così da creare il mondofuturo che vogliamo, un altro mondo possibile.

Roberto Mazzini

10 Augusto Boal

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Un’esperienzadi teatro popolarein Perù12

Nel 1973 il governo rivoluzionario peruvianoiniziò un piano nazionale di alfabetizzazionesotto la denominazione di Operazione di Alfabe-tizzazione Integrale, ponendosi l’obiettivo di sra-dicare l’analfabetismo nel giro di quattro annicirca. Si ritiene che vi siano in Perù dai tre aiquattro milioni di analfabeti o semi-analfabeti, suuna popolazione di quattordici milioni di per-sone.Dappertutto insegnare a leggere e a scrivere aun adulto è spesso un problema difficile, deli-cato. In Perù questo lo è ancora di più, a causadell’enorme numero di linguaggi e dialetti par-lati dai suoi abitanti. Secondo studi recenti, sicalcola che esistano almeno 41 dialetti delle duelingue principali, quechua e aymara, senza con-tare il castigliano. Alcune inchieste svolte nellaprovincia di Loreto, nel Nord del paese, hannodimostrato l’esistenza di 45 lingue differentisolo in questa regione: si tratta non di semplicidialetti, ma di 45 lingue vere e proprie. E ciòavviene in una provincia che è forse la menopopolata del Perù.Questa grande varietà di idiomi ha fatto facil-mente capire agli organizzatori dell’operazione

di alfabetizzazione integrale che gli analfabetinon sono affatto delle persone “che non siesprimono”: sono semplicemente delle personeincapaci di esprimersi in un linguaggio determi-nato che sarebbe il castigliano. Tutti gli idiomisono “linguaggio”, ma esiste un’infinità di lin-guaggi che non sono idiomatici ovvero basatisulla parola. Ci sono molti linguaggi oltre allelingue parlate o scritte. E la padronanza di unnuovo linguaggio offre alla persona che lo uti-lizza un modo nuovo di conoscere la realtà e ditrasmettere questa conoscenza agli altri. Tutti ilinguaggi trovano complemento in una più per-fetta e ampia conoscenza del reale. Partendo daquesto presupposto il progetto ALFIN preve-deva due punti essenziali:

1. alfabetizzare nell’ambito della linguamadre e del castigliano senza costringereall’abbandono della prima a beneficiodella seconda;

2. alfabetizzare nell’ambito di tutti i lin-guaggi possibili, specie quelli artistici:teatro, fotografia, marionette, cinema,giornalismo, ecc.

La preparazione degli “alfabetizzatori”, sceltinelle regioni stesse dove si voleva far opera dialfabetizzazione, si sviluppava in quattro stadi,secondo le caratteristiche specifiche di ognigruppo sociale:

1. quartieri poveri o villaggi di recente for-mazione, che corrispondono alle nostrebidonville;

2. regioni rurali;3. regioni minerarie;4. regioni dove esistono lingue madri diverse

dal castigliano e che comprendono il 40%della popolazione. Di questo 40%, lametà è costituita da cittadini bilingui, chehanno imparato il castigliano dopo unapiena padronanza della loro linguamadre; l’altra metà non parla lo spagnolo.

25IL TEATRO DEGLI OPPRESSI

12. Questa esperienza è stata realizzata con la preziosa collaborazionedi Alicia Saco, nel quadro del programma di Alfabetizzazione Inte-grale (ALFIN) diretto da Alfonso Lizarzaburu, e con la partecipa-zione nei diversi settori di Estela Linares, Luis Garrido Lecca,Ramon Vilcha e Jesus Ruiz Durand, nell’agosto del 1973, nelle cittàdi Lima e Chaclacayo. Il metodo di alfabetizzazione utilizzato perALFIN fu naturalmente ispirato da Paolo Freire.Buenos Aires, marzo 1974.

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Il piano ALFIN è comunque ancora ai suoi inizied è perciò troppo presto per valutarne i risul-tati. Mi propongo pertanto con questo lavoro difare una relazione della mia esperienza perso-nale nel settore teatrale e di tutte le esperienzeche abbiamo fatto considerando il “teatro comelinguaggio”, adatto a essere utilizzato da qual-siasi persona che abbia o meno attitudine arti-stiche. Intendiamo inoltre dimostrare comenella pratica il teatro può esser posto al serviziodegli oppressi affinché questi esprimano sestessi e affinché, utilizzando questo nuovo lin-guaggio, scoprano anche nuovi contenuti.

Per comprendere questa “Poetica dell’Op-presso”, bisogna tener presente il suo princi-pale obiettivo: trasformare il popolo “spetta-tore”, essere passivo nel fenomeno teatrale, insoggetto, attore, capace di modificare l’azionedrammatica. Spero che risultino chiare le diffe-renze: Aristotele instaura una poetica in cui lospettatore delega i suoi poteri al personaggio,affinché questi agisca e pensi in vece sua;Brecht propone una poetica in cui lo spettatoredelega i suoi poteri al personaggio affinchéquesti agisca al suo posto, ma si riserva tuttaviail diritto di pensare per conto suo, spesso inopposizione col personaggio. Nel primo caso siproduce una “catarsi”, nel secondo una “presadi coscienza”. Ciò che propone la Poetica del-l’Oppresso è l’azione in sé: lo spettatore nondelega poteri al personaggio né perché pensi,né perché agisca al posto suo; al contrario, èegli stesso che assume un ruolo di protagonista,modifica l’azione drammatica, tenta soluzioni,considera dei cambiamenti – in breve, si allenaper l’azione reale. Può darsi che in questo casoil teatro non sia rivoluzionario in sé, ma è sicu-ramente una prova della rivoluzione. Lo spetta-tore liberato, uomo integro, si lancia nell’a-zione. Non importa che questa sia fittizia; bastache sia azione!

Tutti i gruppi teatrali veramente rivoluzionaridevono ridare al popolo i mezzi di produzioneteatrale, affinché sia il popolo stesso a utiliz-

zarli. Il teatro è un’arma, ed è il popolo chedeve maneggiarla.Però come operare questo trasferimento? Eccol’esempio di ciò che fece Estela Linares, respon-sabile del settore fotografico nel piano ALFIN. Quale sarebbe stata la vecchia maniera d’utiliz-zare la fotografia in un piano di alfabetizza-zione? Certamente quella di fotografare cose,strade, persone, panorami, negozi, ecc., equindi di esporre queste foto e discuterle. Machi le avrebbe scattate? Gli istruttori, gli alfabe-tizzatori. Quando si tratta di consegnare allagente i mezzi di produzione, bisogna conse-gnare in questo caso la macchina fotografica.Così si fece nel piano ALFIN. Si consegnava unapparecchio fotografico alle persone delgruppo che si stava alfabetizzando, si insegnavaloro il suo funzionamento e si faceva loro laseguente proposta:“Noi vi faremo alcune domande. Per questoparleremo in castigliano. E voi dovrete rispon-dere. Ma non potrete parlare in castigliano:dovete parlare in ‘fotografia’. Noi vi faremodomande in lingua castigliana, che è un lin-guaggio, e voi ci risponderete con delle foto,che è pure un linguaggio.”Le domande che si facevano erano molto sem-plici, e le risposte, cioè le foto, venivano poidiscusse dal gruppo. Per esempio quando sidomandò loro “Dove vivete?” si ricevetterofoto-risposte di questo tipo:

1. una foto che mostrava l’interno di unacapanna: a Lima non piove praticamentemai e per questo le capanne si costrui-scono con stuoie invece che con pareti etetti. Generalmente sono costituite da ununico ambiente che serve da cucina,salone e camera da letto; le famiglie configli vivono nella più grande promiscuità eaccade spesso che i figli più piccoli assi-stano ai rapporti sessuali dei loro genitori,ciò rende molto comune che fratelli esorelle di 10 o 12 anni pratichino il sessotra loro semplicemente per imitare i lorogenitori. Una foto che mostri l’interno di

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una capanna risponde in pieno alla do -manda “Lei dove vive?”. Tutti gli ele-menti della foto hanno un loro significatospeciale che deve essere discusso nelgruppo: gli oggetti in primo piano, l’an-golo da cui si riprende la foto, la presenzao l’assenza di persone in essa, ecc.

2. Per rispondere alla stessa domanda unuomo scattò la foto della riva del fiume.La discussione che ne seguì chiarì il suosignificato: il fiume Rimac, che attraver-sava Lima, ha piene molto abbondanti inalcuni periodi dell’anno. Questo rendemolto pericolosa la vita sulle rive; ed è unfatto frequente che le capanne si sfascino,con conseguenti perdite di vite umane. Èmolto comune anche che i bambinicadano nel fiume mentre giocano, equando le acque salgono è molto difficilesalvarli. Quando un uomo risponde conquesta foto, sta esprimendo tutta la suaangoscia: come potrà lavorare in pace seforse suo figlio sta affogando nel fiume?

3. Un altro uomo fotografò un tratto delfiume dove i pellicani sono soliti venire amangiare immondizie quando hannomolta fame; gli uomini ugualmente affa-mati allora catturano i pellicani, li ammaz-zano e se li mangiano. Mostrando questafoto, l’uomo esprimeva con enorme ric-chezza linguistica di vivere in un postodove si benediceva la fame dei pellicaniche venivano attratti e che potevano poisaziare la fame degli uomini.

4. Una donna, emigrata da poco da un pic-colo paese dell’interno, rispose con la fotodella strada principale del suo quartiere;da un lato di questa via vivevano i vecchiabitanti di Lima, dall’altro quelli che veni-vano dall’interno. Da un lato quelli chevedevano i loro lavori minacciati dainuovi venuti; dall’altro i poveri che ave-vano abbandonato tutto dietro di sé percercare lavoro. La strada divideva questifratelli ugualmente sfruttati, che si trova-vano così l’uno di fronte all’altro come

nemici. La foto metteva in evidenza lasomiglianza del loro stato: miseria daambedue le parti. Fotografie dei quartierieleganti avrebbero mostrato chi eranoinvece i loro veri nemici. La foto dellastrada divisoria dimostrava la necessità diun nuovo orientamento nella violenza.L’esame della foto della sua via aiutavaquesta donna a capire la sua stessa realtà.

5. Un giorno un uomo scattò la foto delvolto di un bambino, per rispondere allasolita domanda. Naturalmente tutti pen-sarono che l’uomo si era sbagliato e glirifecero la domanda:

– “Lei non ha capito; ciò che vogliamo è checi mostri dove lei vive. Scatti una foto e cimostri in che luogo vive. Qualsiasi foto:una strada, la casa, la città, il fiume…”

– “Qui è la mia risposta. Qui vivo io.”– “Ma è un bambino…”– “Guardi il suo volto: c’è sangue. Questo

bimbo, come tutti quelli che abitano daqueste parti, vive minacciato dai topi chepullulano sulle rive del Rimac. Chi lo pro-tegge sono i cani che attaccano i topi e lifanno fuggire. Però ci fu un’epidemia discabbia e il comune fece catturare molticani e se li portò via. Questo bambinoaveva un cane che lo proteggeva; digiorno quando i suoi genitori andavano alavorare egli rimaneva col cane. Ma oranon lo ha più. Alcuni giorni fa, quando leimi aveva chiesto dove io vivessi, proprioallora erano venuti i topi mentre il bam-bino dormiva e gli avevano mangiato unpezzo di naso. Per questo c’è tanto sanguesul suo volto. Guardi la foto: è questa lamia risposta. Io vivo in un luogo dovecapitano sempre cose come questa…”

Vi potrei scrivere un racconto sui bambini deiquartieri del fiume Rimac: ma solo una fotografia,e nessun altro linguaggio, poteva esprimere ildolore di quegli occhi infantili, di quelle lacrimemescolate a quel sangue. E, per maggior ironia erabbia, la foto era in Kodachrome, made in Usa…

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La fotografia può così aiutare a scoprire simbolivalidi per un’intera comunità o gruppo sociale.Accade spesso che gruppi teatrali con buonipropositi non riescano a intendersi con un pub-blico popolare perché utilizzano simboli che perquesto pubblico non significano nulla. Unacorona reale potrebbe essere un simbolo dipotere, ma un simbolo è simbolo solo quando èaccettato dai due interlocutori, quello che tra-smette e quello che riceve. A qualcuno la coronareale potrà provocare una terribile emozione,mentre a un altro potrebbe non dire nulla. Che cos’è lo sfruttamento? La tradizionaleimmagine dello zio Sam è, per molti gruppisociali attraverso tutto il mondo, il più perfettoe riuscito simbolo dello sfruttamento. Esprimealla perfezione l’imperialismo nordamericano. Anche a Lima si chiese alla gente che cosa fosselo sfruttamento. Molte foto rappresentavano ilpadrone di un magazzino; altre colui cheriscuote l’affitto; alcune un pubblico ufficio,ecc. Un bambino rispose invece con la foto diun chiodo sulla parete. Per lui il chiodo era ilpiù perfetto simbolo dello sfruttamento. Pochilo capirono, però tutti gli altri bambini eranoperfettamente d’accordo sul fatto che la fotoesprimeva il loro sentimento di fronte allosfruttamento. La discussione della foto spiegòtutto. Il lavoro più semplice che i bimbi di 5 o6 anni incominciano a fare è quello di lustra-scarpe. Dal momento però che nei quartieridove vivono non hanno nulla da lustrare,devono andare nel centro di Lima per poterpraticare il loro mestiere. Hanno l’abitudine diportare con sé le loro casse con gli altri stru-menti. Tuttavia non possono stare tutte le mat-tine e tutte le sere a trascinare le loro cassettedal posto di lavoro a casa e viceversa. Cosìsono costretti ad affittare un chiodo sullaparete della bottega di un uomo che si fapagare due o tre soles per notte e per chiodo. Èproprio quando guardano un chiodo chequesti bambini odiano l’oppressione; se osser-vano una corona, lo zio Sam, Nixon, ecc., èmolto probabile che non abbiano nessuna rea-zione.

È molto facile dare un apparecchio fotograficoin mano a una persona che non ha mai scattatoin vita sua una foto, dirle da che parte deveguardare e quale pulsante deve premere. Sem-plicemente con questo, i mezzi di produzionedella fotografia sono nelle mani di questa per-sona. Ma come fare nel caso del teatro? Nel caso della fotografia i mezzi di produzionesono costituiti dalla macchina fotografica, che èrelativamente facile da maneggiare, ma i mezzidi produzione teatrale sono costituiti dall’uomostesso, che non è altrettanto facile da maneg-giare.Possiamo affermare che la prima parola delvocabolario teatrale sia il corpo umano, fonteprincipale di suono e movimento. Perciò, peravere una padronanza dei mezzi di produzionedel teatro, l’uomo deve prima di tutto saperdominare il proprio corpo, conoscerlo, perpoterlo poi rendere maggiormente espressivo.Solo a questo punto sarà pronto per mettere inatto forme teatrali nelle quali si libererà pergradi dalla sua condizione di “spettatore” eassumerà quella di “attore”, nella quale smet-terà di essere oggetto per convertirsi in sog-getto, passando così dalla posizione di testi-mone a quella di protagonista.Il piano generale per la conversione dello spet-tatore in attore può essere schematizzato nellaseguenti quattro fasi:

Prima fase: conoscere il proprio corpoSerie di esercizi con i quali si inizia a conoscereil proprio corpo, i propri limiti e le propriecapacità, le proprie deformazioni a causa del-l’ambiente sociale e le varie possibilità di recu-pero.

Seconda fase: modellare il proprio corpo inmodo espressivoSerie di giochi grazie ai quali uno incomincia aesprimersi attraverso il corpo, abbandonandoaltre forme di espressione più usate e quoti-diane.

Terza fase: il teatro considerato come linguaggio

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Si impara a fare teatro come se fosse un lin-guaggio vivo e presente, e non come un pro-dotto finito che mostra immagini del passato:

1. Primo grado – Drammaturgia simultanea:gli spettatori “scrivono” mentre gli attorirecitano.

2. Secondo grado – Teatro-immagine: glispettatori intervengono direttamente,“parlando” attraverso statue costituite dalcorpo degli attori.

3. Terzo grado – Teatro-forum: gli spettatoriintervengono direttamente nell’azionedrammatica e fanno anche loro rappre-sentazione scenica.

Quarta fase: il teatro considerato come undiscorsoSi tratta sempre di forme semplici con le qualilo spettatore-attore presenta “spettacoli”secondo le proprie necessità di discutere deter-minati temi o provare certe azioni. Esempi:

1. Teatro giornalistico2. Teatro invisibile3. Teatro-fotoromanzo4. Lotta contro la repressione5. Teatro-mito6. Teatro-processo7. Rituali e maschere

Prima fase: conoscenza delcorpoIl primo approccio con un gruppo di contadinio operai o paesani è assai difficile se si proponeloro di “far teatro”. La cosa più probabile è chenon abbiano mai sentito parlare di teatro e, seanche hanno qualche idea in proposito, questaè stata deformata dalla televisione e dalle suelacrimevoli pellicole o da una qualsiasi troupe di

circo. È molto frequente anche che queste per-sone associno l’idea di teatro a quella di ozio oprofumi. È necessario quindi fare attenzione,anche quando il contatto avvenga attraverso unalfabetizzatore che appartenga alla stessa classedegli analfabeti o semianalfabeti, anche se eglivive tra di loro in una capanna uguale alla loro,con la stessa mancanza di comodità. Il semplicefatto che l’alfabetizzatore arrivi con l’incarico dialfabetizzare (il che fa supporre un’azione coer-citiva, imposta) tende ad allontanarlo dallagente del luogo. Per questo conviene che l’ap-plicazione di un sistema teatrale tragga originenon da qualcosa di estraneo alla gente (comeinsegnare o imporre tecniche teatrali), ma pro-prio dal corpo stesso delle persone che si accin-gono a partecipare all’esperienza.La quantità di esercizi che si possono mettere inpratica è enorme, e tutti con lo scopo precipuodi fare in modo che ognuno sia cosciente delproprio corpo, delle sue capacità fisiche e delledeformazioni che subisce secondo il lavoro chepratica. Ognuno, cioè, soffre di un’alienazionemuscolare imposta al proprio corpo dall’attivitàlavorativa.Un piccolo esempio basterà a spiegare questopunto: si faccia il paragone tra le strutturemuscolari di un dattilografo e quelle di un guar-diano notturno di una fabbrica. Il primo svolgeil suo lavoro seduto su una sedia: dall’ombelicoin giù il suo corpo si trasforma, durante illavoro, in una specie di piedistallo, mentre lesue braccia e le sue dita diventano più agili. Ilguardiano notturno invece è obbligato a cam-minare da una parte all’altra per otto ore diseguito e quindi svilupperà strutture muscolariche lo aiutino a camminare. I corpi di entrambisi alienano secondo i rispettivi lavori. Ciò che succede con questi due lavoratoriavviene pure con qualsiasi persona che svolgauna qualsiasi funzione in un qualsiasi stratosociale. L’insieme di ruoli che una persona deveeseguire le impone una maschera di comporta-mento. Per questo finiscono per assomigliarsipersone che svolgono le stesse funzioni: artisti,militari, uomini di chiesa, maestri, operai, con-

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Prima categoriadi teatro popolare(del popoloe per il popolo)

Questa categoria è eminentemente popolare: lospettacolo si rappresenta secondo la prospettivatrasformatrice del popolo, il quale ne è, allostesso tempo, anche il destinatario. Le rappre-sentazioni si fanno generalmente davanti agrandi concentrazioni di lavoratori, nei sinda-cati, nelle strade, nelle piazze, nei circhi, nelleAssociaciones de Amigos del Barrio (Associa-zioni di Amici del quartiere) e altri locali. Lì sipossono rappresentare almeno tre tipi di teatropopolare: di propaganda, didattico e culturale.

1. PropagandaTrova utilizzazione in vari paesi, compresi gliStati Uniti, da cui proviene l’espressione “agit-prop” (agitazione e propaganda).In Brasile fu praticato per molti anni fino al1964, data del primo colpo di stato della ditta-tura, nei cosiddetti Centros Populares de Cul-tura (Centri Popolari di Cultura) che insegna-vano al popolo sia arte culinaria, che cantocorale, danza, interpretazione teatrale, dramma-turgia, cinema, pittura, ecc. Gli spettacoli tea-trali organizzati da questi Centri si occupavanodei problemi più immediati e importanti per le

comunità. In alcuni casi erano gli stessi operai ascrivere le opere o a dare i dati o a commentarefatti, che poi altri avrebbero drammatizzato escritto. Molti centri erano diretti da studenti chepartecipavano assiduamente ai comizi elettorali.Era comune rappresentare scene teatrali primadella realizzazione di atti politici: queste verte-vano su temi che poi sarebbero stati trattatidagli oratori. Per dare un esempio di questoteatro di propaganda si può menzionare unabreve opera: Solamente Janio dà alla ESSO ilmassimo (Solo Janio le da a la ESSO elmaxímo). Il titolo era la parodia di uno sloganmolto conosciuto: “Solamente la ESSO dà allasua auto il massimo”. Janio era Janio Quadros,candidato reazionario alla Presidenza dellaRepubblica; l’opera mostrava i vincoli di Qua-dros con l’imperialismo.L’imperialismo, di fatto, era il tema dominantein questo tipo di teatro. L’episodio “José DaSilva y el Angel de la guardia” (José Da Silva el’angelo custode) preso dall’opera Rivoluzionenell’America del Sud, veniva rappresentato fre-quentemente prima dei discorsi politici dei can-didati di sinistra. La scena mostrava un giornoqualsiasi nella vita di un operaio brasiliano,costretto a pagare “royalty” alle imprese ameri-cane, da quando si sveglia e accende la luce(Light and Power), a quando si lava i denti(Colgate, Palmolive) e le mani (Lever S.A.), obeve il caffè (American Coffee Company), o vaa lavorare, sia con l’autobus della MercedesBenz o a piedi (suola di scarpe Goodyear), o semangia la sua “feijoada” in una lattina Swift,Armour o Anglo; poi, quando va al cinema avedere un western (Hollywood produce piùdella metà dei film che si vedono in Brasile) eanche all’interno del cinema, quando semplice-mente respira (aria condizionata Westinghouse)o usa un ascensore Otis o Atlas; finché dispe-rato da tante royalty tenta di uccidersi; ma pro-prio nell’ora della morte, appare, come semprel’Angelo Custode degli interessi imperialisti: unangelo con accento inglese che riscuote dalpovero José i royalty della Smith and Wesson,noti fabbricanti di armi.

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Questa scena, a prescindere dalla sua ovvietà, ea volte proprio per questo, rivelava con effi-cacia al pubblico di contadini e operai l’onni-presenza dell’imperialismo, che smetteva così diessere una parola vuota. Gli attori aggiunge-vano in ogni città o provincia particolari tipici ole caratteristiche più convenienti alla finalitàdell’opera. La scena, che in origine duravacinque minuti, arrivò a essere rappresentatacome un’opera di un’ora, prendendo in consi-derazione le esigenze e i suggerimenti prove-nienti dal pubblico popolare stesso.In Brasile, quando avveniva un fatto politicoimportante, immediatamente i Centri si mobili-tavano per scrivere e rappresentare un’opera diteatro su quel problema. La notte in cui il presi-dente Kennedy ordinò il blocco navale di Cuba,alcuni autori si riunirono all’Unione Nazionaledegli studenti dello Stato di Guanabara (UníonNacional de los Estudiantes del Estado de Gua-nabara) per scrivere un’opera; quella stessanotte la portarono a termine. Gli attori la pro-varono il giorno dopo e, la sera, fu rappresen-tata all’aperto, sulla scalinata del Teatro Muni-cipale. Il titolo era El auto del bloqueo roto. Ilblocco era stato decretato da poco e le navirusse continuavano a navigare verso l’isola,cosicché la soluzione del problema era abba-stanza incerta. Il testo elencava le cause del con-flitto e le sue possibilità di sviluppo. L’operaincoraggiò in modo straordinario la mobilita-zione popolare in difesa della RivoluzioneCubana e la coscientizzazione del popolo, chepoté vedere ogni sera la rappresentazione (connuove azioni a seconda dei nuovi sviluppi gior-nalieri) finché non fu decisa la sospensionetotale del blocco. In seguito opere simili e conuguali finalità furono rappresentate continua-mente. Basti citare alcuni titoli: Patria o muerte,Venceremos, Cuba sí, Yankee no, ecc.Il teatro di propaganda non si limitava comun -que a temi internazionali; si occupava anche diproblemi di minore ampiezza e diretti a un pub-blico più specifico. Gli alunni dell’UniversitàPolitecnica di San Paolo, per esempio, hannorappresentato un’opera sugli inconvenienti della

cattedra a vita, sui professori “accademici”, sugliinsegnamenti antiquati. Il titolo di quest’operaera Professor Vitalicio de Tal, catedrático. Eviden-temente la tecnica usata rispondeva agli obiettivi:non c’è spazio per le raffinatezze quando si rap-presenta su un camion, né per sottili simbolismiin un circo di 2000 posti, o in una piazza dove ilpubblico si muove e sta in piedi, e dove ilrumore del traffico e le grida dei pedoni gareg-giano con le voci degli attori. Questa estetica nonè né più né meno, né meglio né peggio dell’o-pera. È quello che è. Come la politica di unospettacolo per 50 spettatori d’élite non è né piùné meno politica dell’altra: è quello che è… Gliallievi del Politecnico, in questo caso, non ten-tennavano a servirsi dei mezzi più grossolani, permettere in evidenza i loro punti di vista: l’assi-stente svegliava il Cattedratico nel suo sarcofagoperché facesse una lezione sul vero colore dellemutande di Don Pedro I quando proclamò l’in-dipendenza del Brasile. Si tratta di un teatroinsolente, aggressivo, volgare, estetico. Il teatro èuna forma di conoscenza, per questo è politico; isuoi mezzi sono sensitivi, e quindi è estetico.Nel teatro per le strade (“callejero”) non c’ètempo per sottigliezze psicologiche su questo oquel prestanome dell’imperialismo, su questoproprietario terriero o quel gorilla: quando undeterminato personaggio può essere facilmentericonosciuto attraverso un simbolo ovvio,questo veniva utilizzato per quanto ovvio fosse;così l’attore entrava cavalcando una scopa (sim-bolo di Janio Quadros) o con enormi occhiali eali di corvo (Carlos Lacerda), o con un cilindroazzurro e rosso (Zio Sam), ecc. Quando nonc’era un simbolo di facile individuazione, siricorreva spesso a un cartello con il nome delpersonaggio.Sarebbero forse più utili le maschere dellaCommedia dell’Arte? Gli stracci con cui vestivaArlecchino sono stati trasformati in rombivivaci, però solamente quando questo perso-naggio si trasformò in un divertimento gentileper élite. La stessa cosa capitò con tutte le altremaschere o con le situazioni più rozze di questoteatro popolare – i Brighella, i dottori – che non

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poterono essere concepiti in forma più caricatu-rale e grottesca. Si trattava, è chiaro, di unacaricatura che doveva mantenere e ampliarel’essenza del personaggio messo in caricatura;nello stesso modo si procedette in Brasile:Lacerda era l’uccello da preda, lo zio Sam l’ar-ciladro.Gli obiettivi del teatro di propaganda eranomolto chiari e definiti. Bisognava spiegare alpubblico un fatto accaduto; e si aveva fretta: ilsuo lavoro di chiarimento avrebbe compresoanche che lo spettatore votasse per questo oquel candidato, aderisse o meno a determinatiscioperi, affrontasse o no una repressione dellapolizia.Il teatro di propaganda si pronunciò in Brasilecontro tutti gli atti imperialistici, fino al 1964.

2. DidatticoMentre il teatro di propaganda affrontavasempre temi di estrema immediatezza, il teatrodidattico (praticato anche dai CPS e da gruppiprofessionisti, come il Teatro Arena di SãoPaulo) si incentrava su problemi più generali.Questo tipo di teatro non si proponeva dimobilitare il pubblico rispetto a un fatto immi-nente – come votare, fare uno sciopero o unamanifestazione – ma di offrire un insegnamentopratico e teorico.Si sceglieva un tema: la Giustizia. Sappiamo chele classi dominanti tentano sempre di imporrele loro idee, i loro valori morali, ecc. alle classidominate. Da qui il fatto che cerchino di farcredere a tutti che la Giustizia sia una sola,lasciando appena trasparire che sono loro, leclassi dominanti, a essere incaricate di dettarepoteri decisionali e a esercitare questa Giu-stizia, che desiderano unica. Però se si scarta l’i-potesi di una giustizia divina, si ammette che gliuomini sono divisi, e che i più forti imporrannola loro giustizia come fosse unica.Una spiegazione così astratta come quella che

abbiamo appena dato non arriverebbe però allacoscienza delle masse. Per questo il teatrodidattico cerca di esporla in maniera concreta,sensoriale. Il miglior sindaco, il Re (El mejoralcalde, el Rey), fu rappresentata per tre mesi inun teatro “callejero” – camion, chiese, ecc. –per un pubblico popolare formato da operai,contadini, impiegati, domestiche, studenti, sot-toproletariato, ecc. Nell’opera, Sancho è un gio-vane contadino, innamorato della bella Elvira,che lo contraccambia; siccome vogliono spo-sarsi, Elvira dice a Sancho di chiedere il con-senso di suo padre, Don Nuño; questi accon-sente ma chiede a sua volta di chiedere il con-senso del signore di tutte quelle terre, che era –si capisce – signore anche della Giustizia che luistesso esercitava. Don Tello – uomo di buoncuore – si sente orgoglioso di possedere vassallicosì buoni, così rispettosi delle leggi e dellesane abitudini medioevali. Si rivela tanto buonoche decide di dare come regalo di nozze unaventina di pecore e alcune vacche. E inoltredecide di essere egli stesso padrino alle nozze,per onorare un vassallo così esemplare.La notte delle nozze, don Tello si reca in visitapresso la capanna dei fidanzati e, come c’era daimmaginarsi, di fronte alla bellezza di Elvira,egli pure si innamora. Ritarda le nozze dicendodi voler onorare ancora di più il futuro sposo,poiché la futura sposa gli sembra straordinaria-mente bella. Il fidanzato protesta, però DonTello è padrone della legge, e i suoi desiderisono sempre giusti. Durante la notte, il nobilesignore manda i suoi servi a rapire Elvira e la facondurre al suo castello. La giovane opponeresistenza, però don Tello pretende di rispettareun suo diritto. La Giustizia stabiliva infatti chela prima notte le fidanzate appartenessero alpadrone delle terre: don Tello, pertanto,secondo la Giustizia, vuole far valere un diritto.Sancho, indignato, si rivolge al Re per chiedereaiuto. Nel nostro adattamento teatrale dell’o-pera di Lope, il Re è occupato nelle sue guerre(e per di più ha bisogno dell’appoggio delleforze di don Tello), e non ha tempo di preoccu-parsi di una verginità in più o in meno. Il servo

53IL TEATRO DEGLI OPPRESSI

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fa dunque ritorno intristito; a questo punto ilsuo amico Pelayo ricorre a uno stratagemma:egli stesso si traveste da Re e aiutato da vari con-tadini cattura don Tello, istituisce un tribunale efa giustizia. Però argomenta: qui ci sono duegiustizie; quella del fidanzato (e di tutti i conta-dini in genere) e quella del signore (e dellanobiltà in genere). Come fare giustizia totale?Facendone due. Comincia il processo. MentreSancho andava a vedere il Re, la fidanzata fuviolata e pertanto, secondo il codice d’onorespagnolo dell’epoca, non poteva più sposarsicon Sancho. Pelayo giudica don Tello comenobile e lo condanna a sposarsi con Elvira, laplebea, della quale continua a essere innamo-rato. La violenza carnale è punita con il matri-monio tra nobile e plebea (qui il pubblico gri-dava, protestava e quasi non permetteva la con-tinuazione del processo, poiché non era assolu-tamente d’accordo). Immediatamente, e primache il pubblico interrompesse lo spettacolo,Pelayo procedeva al secondo processo, inaccordo con la giustizia contadina di Sancho. Ilnobile era condannato alla forca per avere eser-citato unilateralmente un diritto che i contadininon gli riconoscevano. ContemporaneamenteElvira, vedova, ereditava la metà dei suoi posse-dimenti, recuperava il suo onore – per essersisposata con chi le aveva strappato la sua inno-cenza – e otteneva una dote insperata. L’operaterminava con il matrimonio tra Sancho edElvira e tutti comprendevano che anche quandoesistono divisioni tra gli uomini, quando ci sonosfruttati e sfruttatori, quando esistono classisociali, esisterà sempre la giustizia degli uni edegli altri. Solamente quando si elimineranno leclassi esisterà una sola Giustizia.I contadini che assistevano allo spettacolo,arrampicati spesso sugli alberi o sui tetti dellecase vicine, per dare finalità all’opera ne dibat-tevano il contenuto con gli artisti. Quan doqualcuno chiedeva loro qualcosa su Don Tellorispondevano: “Chi? Il colonnello Firminio?”,capivano che sotto l’apparenza di un’epoca lon-tana, in cui si usava un linguaggio ridondante,c’era il nemico di qui e di adesso, quello che si

rappresentava travestito. Quando abbiamo par-lato di Sancho, lo identificavano con qualchecontadino ingenuo e credulone.Il teatro didattico popolare rappresentò spessoopere di questo tipo, discutendo e analizzandoun determinato problema etico. Altre volte,spes so, il contenuto non era di carattere morale,ma piuttosto obiettivo e materiale; si fece teatrodidattico anche con l’agricoltura. Nel Nord-Estdel Brasile erano molto bene accolte le operebrevi, secondo lo stile delle fiabe, che insegna-vano come utilizzare determinati insetticidi percombattere una piaga specifica: la eroina mi -nac ciata dall’abominevole villano era peresempio la carota, l’eroico giovane che la riscat-tava era l’insetticida. L’opera spiegava comeavveniva la lotta tra di loro, e come si potevavincere il villano. La storia si sviluppava inmodo tale che i contadini potessero apprenderealcune caratteristiche dell’agricoltura per poter -la incrementare. Mi hanno raccontato che nellaCina comunista si sono utilizzati sistemi simili.A São Paulo, il Dipartimento del Traffico(Departamento de Tránsito) tentò di usare glistessi mezzi per insegnare ai pedoni ad attraver-sare le strade, però sembra che non abbia avutoun grande successo… Il teatro didattico, dun -que, non è infallibile.

3. CulturalePer essere popolare il teatro deve trattare sem -pre i temi seguendo la prospettiva del popolo,cioè quella della trasformazione permanente,della non alienazione, della lotta contro lo sfrut-tamento, ecc. Per questo non occorre ricorrereesclusivamente a temi cosiddetti “politici”.Niente dell’umano è estraneo al popolo, agliuomini. Quando attacchiamo il teatro “psicolo-gico” non è perché sia tale, ma perché in questeopere la società appare da un punto di vista, dauna prospettiva soggettiva di un personaggio.

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Questa visione soggettiva, attraverso l’empatia,viene trasferita allo spettatore, che necessaria-mente resta passivo. Questo trasferimento disoggettività impedisce la conoscenza oggettiva ereale. Però, sia chiaro, non possiamo mai esserecontro qualche tema, come l’incomunicabilità,la solitudine, l’omosessualità, ecc. Ci oppo-niamo invece alla maniera antipopolare di met-tere a punto qualsiasi tema. Alla borghesia inte-ressa presentare gli uomini come soggetti prividi comunicabilità, ma la visione popolare met-terà in evidenza il fatto che essi comunicanosempre e sempre lo hanno fatto, anche se alleclassi dominanti conviene che questa comunica-zione finisca. Un’interpretazione borghese dellaVisita della vecchia signora, di Dürrenmatt, faràapparire la Vecchia come un peccato originale,contro cui non si può lottare; una versionepopolare la assocerà alla “Alleanza per il Pro-gresso”, contro cui invece si può lottare.La borghesia dirà che tutti quelli che rinuncianoalla propria personalità o cose del genere sono“rinoceronti”; la versione popolare mostreràinvece che il cammino della libera impresa con-duce i rinoceronti al fascismo. Anche se è veroche nessun tema è estraneo al teatro popolare – ilpopolare in teatro è questione di soluzione e nondi tema – esistono tuttavia temi prioritari. Ed èseguendo questa priorità che si dà maggiorrisalto ai problemi politici. Anche se molte voltesi può accusare il teatro popolare di esseremonotematico, è stato provato che la lottacontro l’imperialismo è un problema di primariaimportanza, rispetto a qualsiasi altro tema.Il teatro politico in Brasile si incentrò sempre sucontenuti con radici profonde rifiutando ferma-mente quelli di minore importanza, abitudineche, forse, si potrebbe considerare sbagliata.Però dobbiamo tener presente che la borghesia,da parte sua, propone solamente temi minori esecondari volti solo a distrarre l’attenzione dellospettatore dalle questioni realmente importanti.Non ho mai visto una serie televisiva che trat-tasse i problemi della penetrazione del capitalenordamericano nel paese e nel resto dell’Ame-rica latina, o dell’importanza della salita al

potere di governi popolari come quello di Cubao quello peruviano, collegati con la liberazionedei popoli del nostro continente; ho visto,invece, molte trasmissioni sulle nevrosi indivi-duali, sulla solitudine o sull’omosessualità. Èchiaro che la tematica borghese si occupaspesso di temi “sociali” minori, come i rapportitra le varie classi, per esempio. In Brasile, inquesto preciso momento di terribile e spietatadittatura, sono stati rappresentati alla televi-sione una serie di telefilm sulla vita degli operai;qual era la trama? Un operaio s’innamora dellafiglia del padrone, dopo vani conflitti psicolo-gici per convincere il vecchio, si sposa. Vivonofelici, e hanno molti operaietti (o borghesetti?).La censura proibì che nell’opera si parlasse di“sciopero”, “retribuzione”, “costo della vita” ealtri temi “che attentano alla Sicurezza Nazio-nale”…Anche i classici (Shakespeare, Molière, Aristo-fane, Goldoni e altri) possono servire ai bisognidel teatro popolare. Ugualmente anche gli spet-tacoli folcloristici possono servire da buondiversivo per il popolo. Però bisogna avvertireche quando il contenuto dell’opera non è abba-stanza chiaro, o può racchiudere varie interpre-tazioni, la classe borghese può intervenire, ecercherà sempre, attraverso i suoi attori, registi,ecc., di trovare una versione che concordi con isuoi interessi. Rispetto al folclore cercherà dimostrare un popolo “fedele alle sue origini” enon quello che ha combattuto fin dalle sue ori-gini per la costruzione di un futuro; e se prendela Bibbia, si soffermerà, come ci insegna AngelaDavis, su scene di obbedienza e rispetto all’or-dine stabilito, occultando i passi in cui com-paiano violenza, cambiamenti e ribellionecontro la violenza organizzata.Non toglie importanza al folclore il fatto che laborghesia se ne sia appropriata: è perfettamentepositivo offrire spettacoli di danza e canti doveil popolo sviluppa e pratica ritmi e movimentipropri; bisogna tuttavia controllare le manovredella classe dominante per utilizzare il folclore.In Brasile, per esempio, il carnevale è semprestato una valvola di sfogo, una forma di catarsi

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che elimina ogni tendenza contro l’ordine stabi-lito: gli individui trasgrediscono a leggi e a tra-dizioni per tre giorni, per poi ritornare all’or-dine e alla legge. Il governo brasiliano arrivapersino ad aiutare economicamente le famose“scuole di samba”. E le persone che vi parteci-pano credono che questa “generosità” nonobbedisca a nulla; in realtà le autorità esigonoin cambio che si censuri la storia delle scuoleper imporre così la propria ideologia. Perquesto le scuole di samba interpretano la storiadel Brasile, dalla sua scoperta fino alla borsavalori di Rio de Janeiro… Quelli che cantanoquesto “progresso” sono gli stessi sfruttati oaffamati che lo rendono possibile, grazie all’inu-mano sfruttamento del lavoro che rende mag-gior lucro al capitale.Il teatro politico anche prima del 1964 si valevadel folclore; rappresentava canti e balli, a volte informa convenzionale e in altre introducendocambiamenti originali; è molto conosciuta peresempio, la danza “Bumba Meu Boi”, durante laquale viene squartato un bue simbolico e le sueparti vengono offerte ai presenti, secondo ilsignificato attribuito a esse; il cuore a chi desi-dera il bene, la merda a quelli che non lo deside-rano, i corni a qualche marito infelice, e così conil resto. Alla fine della danza il bue riunisce le sueparti e rivive. Nella provincia di Bahia, unCentro Popolare di Cultura rappresentò un“Bumba Meu Boi” nel quale il bue era il Brasilee il suo corpo squartato veniva rubato da compa-gnie straniere, quella mineraria, del caffè, delpetrolio, ecc. Secondo la tradizione il bue siricomponeva (il Brasile rivoluzionario) e passavaal contrattacco, avventandosi contro il suo squar-tatore, che – non occorre chiarirlo – vestiva diazzurro e rosso con un cappello pieno di stelle.Conviene allora stabilire che in verità il teatropopolare non si impernia su nevrosi o triangoliamorosi, ma è ugualmente vero che il teatroborghese non denuncia l’intromissione dellaUnited Fruit nel commercio interno dell’Ame-rica Centrale o della Standard Oil in quello ditutti i paesi del mondo.

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Teatro di stampoclassico

9. Teatro di stampo classico conopere esemplificatriciAlcuni gruppi di teatro popolare nell’Americalatina preferiscono collocarsi a un livello strate-gico contrapposto al livello “tattico” della mag-gior parte delle tecniche finora esposte. Preferi-scono presentare spettacoli di stampo più omeno classico, e con questo intendiamo un’o-pera, qualunque sia il suo stile, elaborata finoalle possibilità estreme, provata da attori profes-sionisti o non, ma di gran volontà, provata bene,con méritier (con merito), e in un locale prece-dentemente designato come teatro o adattato atale finalità. Il repertorio di queste compagnieteatrali abbraccia sia autori classici che latinoa-mericani contemporanei, da Shakespeare eMolière fino ad arrivare a Miller e Peter Weiss.Il Teatro Experimental del Cali (Teatro Speri-mentale di Cali), preoccupato dal pressanteproblema della coscienza dei soldati che lottanocontro il popolo durante una repressione,decise di realizzare Soldados (Soldati) di CarlosJosé Reyes. Attraverso varie discussioni con ilpubblico, gli attori si rendono contro di proba-bili difetti nel testo o nel montaggio e studianouna nuova versione della stessa opera. Questain particolare è stata sottoposta già a sette ver-sioni diverse. Lo stesso è capitato con le operedi Enrique Buenaventura, direttore del gruppo,o con El canto del fantoche lusitano (Canto delfantoccio portoghese), presentato anche daquesto gruppo in più di cinque versioni.I gruppi che praticano questo tipo di teatro si

inseriscono nella categoria del teatro popolare“del popolo e per il popolo”, o “del popolo peraltro destinatario”. In generale si tratta digruppi che hanno a disposizione una sala per-manente, che oltre al lavoro popolare propria-mente detto devono far rappresentazioni perpubblici normali, cioè per chiunque paghi l’en-trata. Il Teatro Arena di São Paulo accanto adattività più schiettamente popolari come quellesviluppate dal Grupo Nucléo manteneva infunzione la sua sala permanente con opere tea-trali che potremmo definire di stampo classico(posto che la parola “convenzionale” implicacaratteristiche dispregiative che non possonoessere applicate a questi casi). L’Arena presen-tava opere di Lope de Vega, Molière, Brecht eanche produzioni teatrali di autori brasiliani,senza discriminazioni di pubblico, con preva-lenza di studenti universitari.Nelle sue tournée adattava qualsiasi locale,come stadi, ristoranti, circhi, ecc. e lì presentavai suoi spettacoli. Il teatro Ruth Escobar adibì unenorme treno a palcoscenico, camerino, sala disuono e luce e naturalmente a mezzo di loco-mozione… il gruppo Rita Montaner di L’Avanapresentò recentemente Los chapuzones (I tuffi)di Ignacio Gutiérrez, opera realista con scene didocumentari, in cui si narra la storia della cat-tura di marinai cubani, pescatori nelle acqueinternazionali a opera di navi pirata yankee.Questa è una forma si teatro popolare che è bendistante dalla maggior parte che qui presen-tiamo – forma più lontana dalla guerriglia evicina alla guerra classica.

10. Riduzione teatrale diproblemi locali Attualmente questa è una delle forma di teatropopolare maggiormente diffuse in Argentina. Incittà come Buenos Aires o Cordoba esisteun’infinità di gruppi che lavora con i loro futuri

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spettatori nelle Villas Miserias (bidonville),nelle fabbriche o scuole, indagando su proble -mi locali e del momento e riducendoli poi aopere teatrali. La maggior parte delle volte sitratta di forme semplici, realiste, di scene che sisusseguono intrecciandosi con spiegazioniofferte direttamente dallo spettatore, di stati-stiche, notizie dell’ultimo minuto che aiutano achiarire il tema trattato.Libre Teatro-Libre di Cordoba in Contratando(Trafficando) analizza il problema dell’insegna-mento, mettendo in luce le dure condizioni divita dei maestri, le difficoltà dei bambini denu-triti che seguono i corsi, la necessità che le fami-glie povere hanno di ritirare i loro bambinidalla scuola perché possano aiutare a sostenerela famiglia cercando una qualsiasi occupazione,e sottolinea infine l’interesse che ha la classedominante a mantenere questo stato di cose,ecc. I temi possono essere di questo tipo, l’inse-gnamento in generale ad esempio; oppure pos-sono vertere su qualcosa di molto particolare,riferito a una cittadina specifica. Fu scritta adesempio una breve opera sull’assenza di unsemaforo a un angolo, il che aveva procuratogià vari incidenti mortali, mentre il governo sipreoccupava solamente di spendere il suodenaro per abbellire le strade del centro o iquartieri della gente ricca. Il Gruppo “La Candelaria”, di Bogotá, allestìLa ciudad dorata (La città dorata), opera scrittacollettivamente attraverso varie improvvisazionibasate su uno studio, fatto dalla compagnia tea-trale, sulle condizioni di vita di una invasión –complesso di residenze estremamente povero,formato attraverso l’invasione di un terrenoappartenente al governo, in cui si installò clan-destinamente acqua ed elettricità. Lo spettacolofa vedere l’organizzazione interna di una inva-sión, i problemi che si trova ad affrontare con leautorità che tentano di far sloggiare, i problemiinterni dei suoi abitanti (alcolismo, ozio, droga,rapporti sessuali, ecc.). A Cuba, il gruppo diretto da Sergio Corrieri,decise che dovevano non solo visitare, cono-scere e chiarire con i loro spettatori, ma anche

convivere con loro, sentire dal di dentro,assieme a loro i loro problemi, vivendo quell’e-sperienza in prima persona. Per questo motivoquesto gruppo si trasferì sulla sierra di Escam-bray, e per mesi lavorarono come contadini. Perloro non era un fatto nuovo perché a Cuba tuttala gente lavora per un periodo dell’anno in ciòche viene chiamato “lavoro produttivo”: èquesto un modo saggio d’agire, in modo chetutti, specialmente gli intellettuali che hannofacilità a estraniarsi su di un piano astratto, sen-tano la vita nella sua pienezza, e non parlino dioperai, senza parlare come operai. Il lavoroproduttivo è un’usanza di tutto il popolocubano, ma il gruppo di Sergio Corrieri se neandò proprio a vivere in campagna, e non soloper realizzare compiti periodici di lavoro pro-duttivo. Dopo un mese iniziarono a scrivere leloro prime opere che vertevano su problemi deicontadini, contadini come loro. Una di questeopere metteva a fuoco il problema che alloraera più grave in quella regione, in cui alcuniprofessavano la religione conosciuta comequella dei Testimoni di Geova. Tra le varieusanze di questi religiosi vi è quella di non lavo-rare né sabato, né domenica. Ma nella rivolu-zionaria Cuba, questo non era ammissibile;all’epoca della mietitura bisognava lavoraretutti i giorni della settimana senza poter ripo-sare, sebbene dopo si passassero intere setti-mane senza lavorare. Non fu per altro motivoche il popolo riunitosi in piazza prese la risolu-zione di spostare le celebrazioni del Natale e diCapodanno (periodo di intenso lavoro nell’agri-coltura) al mese di luglio (epoca di altre festenazionali e di lavoro meno intenso). La reazioneinternazionale gridò che i dirigenti cubani ave-vano violato, sacrilegamente, una commemora-zione religiosa e familiare al tempo stesso: ilNatale, dicevano, è il momento in cui le fami-glie si riuniscono per festeggiare la nascita diCristo. Menzogna! A Cuba le famiglie che siriunivano, prima della rivoluzione, erano soloquelle ricche, dal momento che i contadinipoveri rimanevano sempre nei campi a lavorareper i padroni della terra; invece in luglio sì che

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era possibile effettuare una vera riunione fami-liare. Questi problemi venivano così analizzatidagli attori e dagli altri contadini e solo allora siscriveva l’opera e la si rappresentava per glistessi contadini, e per coloro che venivano daaltre regioni.La riduzione a forma teatrale di problemi cheinteressano una zona o l’altra offre molti spuntie temi molto ricchi e belli. Ad esempio la storiadi un operaio, minatore nel Sud argentino, cheviveva in un piccolo paese, in cui non esiste-vano né cinema né televisione. L’unico diverti-mento era costituito dalle riunioni che la gentefaceva le domeniche per una gara pericolosa: sidava fuoco a un pacchetto di dinamite e vinceval’operaio che riusciva a tenere per più tempo inmano la dinamite, senza lanciarla lontano perfarla esplodere in aria. Uno di questi operaiaveva le mani rovinate, per aver giocato ungiorno mentre era ubriaco. Bisogna però capireche bere vino in un paesino di minatori del Sudargentino non significa “il terribile vizio dell’al-colismo”; la gente beve per difendersi dalfreddo, non disponendo di una casa conforte-vole con riscaldamento a gas. Il bere si tra-sforma in vizio, ma è principalmente una difesacontro l’inverno; e questo operaio con una solamano percepiva un salario dai suoi padroniproporzionale al lavoro che poteva svolgere conla sua unica mano. E l’inverno continuava aessere freddo, egli continuava a sorseggiare isuoi bicchieri e poiché non c’erano apparecchitelevisivi, né cinema, questo operaio sapeva cheavrebbe continuato a ubriacarsi, a giocare conla dinamite e tragicamente si accorse che prestoo tardi avrebbe perso anche la sua mano destra.Un’altra storia reale, e in questo caso esem-plare, capitò nella Villa de Retiro, vicinoall’Hotel Sheraton. Dal momento che questaVilla si trovava troppo vicina all’hotel degliyankees della ITT, arrivò un momento in cui sidecise di sradicare questa Villa. Ma in essaviveva un poliziotto che alla sera partecipavaagli incontri sul quando e il come la repressioneavrebbe espulso gli abitanti della Villa; e dinotte partecipava alle riunioni con i suoi com-

pagni per organizzare la resistenza. Una storiaidentica è accaduta in una cava del Brasile, incui un poliziotto viveva in una baracca sopra aquesta cava; di sera con il suo nucleo si prepa-rava allo sgombero e di notte lui stesso prepa-rava la resistenza.

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Mostri sacri“popolari”

A quel tempo in Brasile c’era un certo numerodi dive e divi che avevano al loro seguito alcuniattori e attrici e ottenevano un gran successopopolare, grazie alle loro doti di istrionismopersonale. Al pubblico non interessavano i per-sonaggi, le opere, ma solo osservare e ascoltare iloro attori preferiti. Gli spettacoli non eranoaltro che un puro esibizionismo individualedelle varie stelle, che generalmente erano ancheproprietari delle rispettive compagnie teatrali.Non esisteva alcuna preoccupazione estetica epoliticamente questi spettacoli riflettevano unamentalità conformista e per niente ribelle orivoluzionaria.Posso raccontare alcuni casi reali che illustre-ranno magnificamente questo tipo di attore inquesto particolare periodo. Procopio, uno deimaggiori divi di allora, stava facendo unatournée all’interno di São Paulo, con una pic-cola compagnia. Sapeva il testo a memoria, magli piaceva aggiungere a suo arbitrio alcune bat-tute, tutti i giorni, a seconda della platea e del-l’andamento dello spettacolo. Il pubblico sidivertiva. In cambio, gli altri attori perdevano laloro sicurezza e alcuni ridevano sulla scena evenivano così immediatamente messi al bando.Nel cast c’era un giovane attore che era agliinizi della carriera teatrale e si entusiasmavasentendo le nuove storielle che Procopio inse-riva nello spettacolo. Una sera, stimolato dalpadrone, il giovane attore decise di imitarlo, edopo un attimo di esitazione sparò la sua bat-tuta, che doveva essere piuttosto rozza. Il risul-tato fu eccezionale e l’intero pubblico e i suoi

compagni si misero a ridere: solo Procopio sifece molto serio e pensieroso. Alla fine dellospettacolo, gli attori si aspettavano la più ferocedisapprovazione verso il giovane che era allesue prime armi, invece Procopio si chiuse incamerino e non disse assolutamente nulla.Il giorno seguente, quando tutti erano prontiper entrare in scena, Procopio fece venire nelsuo camerino il giovane attore, che era morto dipaura per l’ardire della sera precedente. Fuinvece accolto con molta cordialità; Procopiogli parlò della sua arte, degli anni che aveva pas-sato sui palcoscenici, ecc. Dopo un lungodiscorso gli chiese: “Ti ricordi la battuta diieri?”, “Sì, sì”, rispose il giovane “non le è pia-ciuta?”, “Mi è piaciuta moltissimo, mi sembramolto buona”. “Grazie”, sospirò il giovaneormai sollevato. “Grazie. Sembra che sia pia-ciuta anche al pubblico. Ha riso molto. Anche imiei compagni si sono congratulati con me. Èstato un successo”. “Sì, sì”, disse Procopio. “Ilpubblico ha riso molto, perché era effettiva-mente una battuta molto buona. Ma oggi saròio che la dirò, e non tu, perché io sono ilpadrone della compagnia. Capito?”.Molto prima di Procopio, ci fu un altro mostrosacro, Leopoldo Fróes, oggi studiato con diffi-coltà dagli studiosi di teatro. Al suo tempo sisentiva troppo importante per assistere alleprove; non provava mai. Il suggeritore (alloranon si usava in Brasile il regista) si occupavadella sistemazione dei posti. Gli attori, dopoaver studiato e imparato a memoria il testo,assistevano ad alcune prove in cui il suggeritorediceva: “Lei si mette qui, perché il dottore (cosìsi faceva chiamare Leopoldo Fróes) in questascena starà qui. Lei, signore, non si avvicinitanto alla finestra, perché lì ci sarà il signor dot-tore. Ehi, giovane! Non si metta tanto vicino altavolo: nessuno si può fermare a meno di duemetri dal signor dottore…”. E così erano leprove. Un giorno prima del debutto si facevauna prova generale alla presenza del signor dot-tore. Mentre gli attori dicevano le loro partimeglio che potevano, Leopoldo Fróes mormo-rava la sua mentre contemporaneamente osser-

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vava l’assegnazione dei posti a opera del sugge-ritore. E naturalmente la modificava completa-mente: quelli che erano seduti dovevano alzarsiin piedi, e quelli che erano in piedi dovevanosedersi. Chi stava alla destra doveva andare allasinistra e viceversa. Naturalmente veniva così acrearsi un’enorme confusione ed era molto dif-ficile che gli attori riuscissero a fissare i nuovimovimenti e le nuove posizioni. Per questomotivo, il giorno della “prima” ognuno era perconto suo: era tutto un correre sul palcosce-nico, mentre tutti cercavano di evitare gli urtidel signor dottore, che improvvisava semprenuovi movimenti. Gli attori si appiattivano ilpiù possibile lungo le pareti, procurandosempre di conservare la distanza obbligatoria didue metri dal divo, che, nel frattempo improv-visava interminabili monologhi, servendosi deltesto come di una semplice guida…Comunque, per quanto camminasse, LeopoldoFróes rimaneva sempre al centro del palco; tuttii divi fanno così. E i suoi interlocutori devonosempre stare più vicini al pubblico, in modoche, quando c’è un dialogo, l’interlocutore saràcostretto a volgere le spalle al pubblico, mentreil divo rimarrà sempre di fronte.Mi ricordo una storia che spiega appunto que -sta tendenza che hanno alcuni di impadronirsidelle parti che credono “calde” sul palcosce-nico. Un giorno a São Paulo, un impresarioriuscì a mettere insieme in una stessa compa-gnia le due dive più in voga in quel momento.Gli costò molta fatica, perché dovette affron-tare difficili riunioni per lo stipendio, i cartel-loni, la pubblicità: le due volevano trarne ilmigliore profitto pubblicitario possibile.Durante l’intero spettacolo c’era un’unica scenain cui le due attrici dovevano affrontarsi (solesul palcoscenico). Non c’erano perciò moltiproblemi: quando una delle due era in scena, glialtri si ritiravano prudentemente verso le zonepiù esterne, e le due dame si sistemavano alcentro dello scenario, nella sua parte più alta,quella più lontana dal pubblico. Il giorno deldebutto, la disputa per conquistare i favori delpubblico fu dura e intensa. Via via che lo spet-

tacolo procedeva, si poteva prevedere un certoamichevole impatto tra le due; fino a che nonincominciò la famosa scena del lungo dialogotra le due dive. Tutto era molto curato sullo sce-nario, che rappresentava un enorme salone daballo, e sullo sfondo aveva una finestra spalan-cata su una meravigliosa notte piena di stelle.La scena ebbe inizio e il pubblico trattenne ilrespiro: per la prima volta nella storia del teatrodi São Paulo le due dame più famose, vestiteall’ultima moda europea, con i gioielli più suda-fricani, cavalcavano lo stesso palcoscenico.All’inizio, come gli incontri di boxe, le due con-tendenti durante le prime tirate si analizzarono.Quindi iniziò un’ardua lotta per il centro-campo; le due si avvicinavano in modo addirit-tura pericoloso, fino a trovarsi faccia a faccia,fino a sentirsi reciprocamente il respiro, eognuna cercava di forzare l’altra ad abbando-nare l’area “teatrale” dello scenario. Dopo,quando una delle due riuscì finalmente a siste-marsi al centro, l’altra con molta presenza dispirito iniziò a retrocedere collocandosi quasidietro la schiena della prima, che si vide alloracostretta a torcere il suo collo delicato e sensi-bile, per poter dialogare. Entrambe usarono lastessa tattica. A ogni tirata, la diva che parlavaretrocedeva di alcuni passi e si metteva piùindietro, costringendo l’avversaria ad assumereuna posizione alquanto scomoda. Il dialogocontinuava e continuava la lotta: una tirata, duepassi indietro, un’altra tirata e questa volta eral’altra che retrocedeva, e a ogni dialogo altripassi, a ogni poesia lo stesso, sul palcoscenicocosì perfettamente illuminato, con la sua bellafinestra aperta su una notte piena di stelle, mache aveva un parapetto troppo basso: nella loroansia di retrocedere per conquistare il centrodella scena, le due dame caddero di spalle eprecipitarono nella dolce notte…Questa storia, vera, è molto conosciuta dagliattori della vecchia generazione del teatro diSão Paulo. Le due lottavano per la parte“calda” del palcoscenico: ma non è neancheesatto dire così: il centro non è necessariamentela parte più calda, quella che richiama maggior-

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mente l’attenzione dello spettatore, la più tea-trale. Tutto dipende dalla scenografia che puòvalorizzare in modo del tutto diverso ogni parti-colare; o dalla luce che può richiamare l’atten-zione dello spettatore, oppure dal rapporto tracorpi degli attori in scena. Ma anche prendendoin considerazione un palcoscenico illuminato inmodo uniforme e ugualmente vuoto, anche cosìnon è il centro la zona più densa, ma quella asinistra dalla parte della platea. Per qualchestrano motivo, la parte destra del nostro corpoè più sviluppata di quella sinistra: la nostragamba destra fa passi più lungi di quella sini-stra, il nostro occhio destro vede meglio diquello sinistro. Una persona che si trovi neldeserto, credendo di andare avanti, gireràinvece in circolo, dirigendosi sempre a sinistra.La parte destra, più forte, ci spinge verso sini-stra. Ma le due dame lottavano per il centro, eper il centro caddero.Era l’epoca in cui, oltre ai vecchi divi, c’eranogli attori, divisi in categorie, che si specializza-vano in ruoli determinati: il galante, il protago-nista, il comico, la dama galante, la donna snob,la signora nobile, ecc.Vari rappresentanti di queste categorie si riuni-vano in un bar del centro di São Paulo, in attesadi impresari teatrali e di circo. In molti circhi sidava un’opera al giorno, cosicché un buonattore aveva ben memorizzate una cinquantinadi opere. È chiaro che la memoria qualche voltaveniva a mancare, perciò si lasciava spazioall’improvvisazione. Non era raro il caso di unattore, che, scelto in questo bar nel pomeriggio,sbagliasse la parte, rappresentando di sera unpersonaggio di un’opera che non aveva nulla incomune con l’opera che si stava trattando.Ma cose come queste si riescono sempre a siste-mare, per il piacere del pubblico fedele.

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Mostri sacriborghesi

Da un lato c’erano questi mostri sacri “popo-lari” e dall’altro i mostri borghesi, che raggiun-sero pieno vigore quando si sviluppò più rapi-damente una certa borghesia “nazionale” (inrealtà, prestanome dei grandi interessi interna-zionali, nel momento in cui i consorzi nordame-ricani e le grandi imprese multinazionali inizia-rono a estendere la loro potenza anche sull’in-dustria brasiliana). Questa borghesia cercòdunque di riprodurre in Brasile il “buon” teatroche aveva visto in Europa e negli Stati Uniti. Siinstaurò quindi il concetto di “buon teatro” ingenerale; la preoccupazione maggiore di alloraera quella di eguagliare Barrault, Olivier eVillar, senza alcuna preoccupazione prioritariaper il pubblico, cui questo teatro era destinato.Non era stata ancora acquisita la verità elemen-tare per cui niente è “estetico” di per se stesso:ciò che esiste è la comunicazione estetica. E lacomunicazione esige l’esistenza di un rapportodialettico tra artista e pubblico. Qui, al con-trario, l’opera d’arte veniva imposta dall’alto,dall’Olimpo artistico. Si ricercava il bello in sé,e questo arrivava a produrre risultati fantastici.Mi viene in mente a questo proposito il mon-taggio contemporaneo di due Antigoni: quelladi Sofocle e quella di Anouilh, opere cosìdiverse tra di loro, con intenti tanto dissimili,ma che in questo teatro borghese si trasforma-vano entrambe semplicemente nel “buonteatro”, e il buon teatro aveva una “buona” illu-minazione, una “bella” coreografia, dei “bei”vestiti, delle “buone” interpretazioni – tuttomolto bello e molto falso.

Questa visione del teatro come qualcosa dicompiuto, di finto, di conosciuto trasformavagli artisti in artigiani: non potevano fare unavera opera di creazione, ma solo riprodurre unmodello prestabilito. E questo modello era lo“stile”.L’artista creatore consulta il suo popolo, dialogacon lui, instaura delle relazioni, e scopre leforme estetiche adatte al dialogo artistico. Quinon accadeva questo: l’artista convertito in arti-giano non aveva preoccupazione per il suopopolo e prestava invece attenzione solo all’ab-bigliamento dell’epoca. Se l’opera era di Shake-speare, cercavano di dimostrare tutta la lorofedeltà a Laurence Olivier e a John Gielgud.Quando la similitudine era vicina all’identità,l’interpretazione era pronta per essere rappre-sentata.Alla scuola di Arte Drammatica si imparava arecitare Shakespeare, Goldoni e classici porto-ghesi; si imparava a camminare con “stile”, afermarsi con il corpo rivolto per tre quarti alpubblico, ecc. In una parola: veniva impostauna “forma” e all’interno di essa e dei suoistretti limiti, l’attore doveva creare il suo perso-naggio, senza pregiudicare la forma prestabilitanei libri di storia teatrale. Deriva da qui l’im-portanza che aveva allora la cosiddetta tecnica.Tutti gli attori cercavano affannosamente diimparare questa tecnica. Ma che tecnica eraquesta? Come gli oggetti fisici assomigliano aforme geometriche ben definite (triangoli, qua-drilateri, sfere, cubi, ecc.) anche la voce e imovimenti degli attori dovevano assomigliare aforme ben definite. Si trattava quindi di uninsieme di tecniche geometrico-temporali.Voglio dare un’esemplificazione perché la que-stione risulti più chiara, descrivendo alcunedelle tecniche maggiormente in voga in quest’e-poca.

1. Momento di tensione: consiste nel fer-marsi alcuni secondi prima delle ultimeparole che daranno senso alla frase.Divenne celebre una pausa di un attoreche interpretava il ruolo di protagonista

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in un’opera di Arthur Miller, Uno sguardodal ponte, nella scena in cui scopre l’a-more di sua nipote per il suo ospite. Dopoun lungo monologo in cui parlava dellepremure per la nipote, e del suo odio peril ragazzo, l’attore tratteneva il respiro edesclamava: “E me la viene a rubare,questo… figlio di puttana”. Quasi ognisera il pubblico entusiasmato si mettevaad applaudire freneticamente. Credo siastata la prima parolaccia applaudita sullascena…

2. Variazione di ritmo: consiste nel dire rapi-damente la prima parte di una frase ediminuire via via la velocità, o procedereinversamente. Può essere utilizzata anchela variazione del tono; cambiando brusca-mente il tono di una parte della frase, siotterrà meccanicamente lo stesso effetto.

3. Automatismo: è usato molto spesso nelleopere comiche. Bergson aveva osservatoche il riso è la reazione naturale a qualsiasiavvenimento che rilevi l’automatismo diun’azione umana. Non ridiamo mai diqualcosa che non sia umano; quandoridiamo di una scimmia in un giardinozoologico, lo facciamo perché la scimmiaassomiglia a un essere umano: ridiamodegli esseri umani la cui meccanicità e ilcui automatismo possono essere parago-nati alla scimmia in gabbia. Sono varie leforme in cui si rileva l’automatismo, dallepiù semplici delle commedie de Los tresChiflados (I 3 rimbecilliti), (una donnavestita elegantemente, carica di pacchetti-regalo, che scivola su una buccia dibanana, rompe l’automatismo del suocamminare ondeggiante; così anche latorta che va a schiacciarsi sulla faccia diun signore in frac, elegante anche luiautomaticamente), a forme superioricome il pensiero automatizzato dei medicidi Molière, che credono che i malati esi-stono perché esiste la medicina, e nonviceversa. Qualsiasi forma che spezza orivela l’automatismo provoca il riso. Ad

esempio: cinque ladri stanno scappandodalla polizia, saltano un muro; alcuniistanti dopo, si vedono apparire a ritmo leloro teste sopra il muro: il primo, ilsecondo, il terzo, il quinto e, più tardi, ilquarto: il pubblico naturalmente si mettea ridere.Buster Keaton fugge da un poliziotto,corre spaventato per varie strade e cro-cicchi, e quando ormai si crede al sicuro,assume un’aria contenta, dà una ripulitaai suoi abiti, si aggiusta la cravatta, e staper attraversare la strada: in questo pre-ciso momento la telecamera inquadra lamano del poliziotto sulla spalla di BusterKeaton: il pubblico si mette a ridere. InTempi moderni l’operaio passa otto ore algiorno a schiacciare bottoni in una catenadi montaggio di una fabbrica; quandoesce vuole schiacciare ancora i bottoni ditutte le signore e di tutti i poliziotti cheattraversano il suo cammino. Anche aquesto punto il pubblico si mette a ridere.

4. Timbro di voce prestabilito. Questa è unadelle tecniche più comuni ed è divenutoquasi una specie di segno caratteristico:ogni divo aveva il suo timbro di voce par-ticolare, ma questo non doveva coinciderecon la sua vera voce, riservata all’usodomestico. Una famosa attrice parlavacon un tono sospirato, dando sempre avedere angustia e ansietà in tutto ciò chediceva. Un altro famoso attore parlavasempre, in ogni opera, qualunque ne fosselo stile, con un tremito vocale che locaratterizzava. Poteva trattarsi dell’Arlec-chino di Goldoni o del Soldato Tanaka diKaiser.

5. Movimenti rapidi verso il fondo dello sce-nario e poi una veloce voltata verso ilpubblico; movimenti a triangolo, con l’at-tore che svolge il ruolo principale posto alvertice più distante dalla platea, ecc.

Non per questo vogliamo dire che in questoperiodo eravamo carenti di grandi attori, anzi,

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c’era una grande varietà di attori bravissimi,con qualità eccezionali. Ma la loro preparazionepurtroppo era deformata a causa di una visioneartigianale, puramente formale, quasi sempreservile, che la maggior parte dei registi teatralipossiede.Nulla portò tanto danno al teatro brasilianocome il concetto di “buon teatro”. Non si erariusciti ancora a capire che sia il Brasile chel’Argentina, l’Europa, l’Indonesia, il Giappone,la Cina, la Corea, ogni continente, ogni stato e avolte perfino ogni regione di uno stesso paesedeve trovare, scoprire il suo “buon teatro”, chedeve essere adatto a circostanze specifiche enon assolutamente ad altre.Il colonialismo culturale consiste proprio inquesto: nell’accettare come “universali” i valoridella cultura del paese colonizzatore. Allora ilbuon teatro europeo e il buon teatro nordame-ricano dovrebbero essere il buon teatro di tutti ipaesi colonizzati e mai il contrario. Se il teatro borghese in Brasile dava precedenzaassoluta alla forma, il teatro Arena di São Paulo,di estrazione popolare, dava invece preminenzaall’emozione. Con il tempo siamo anche riuscitia capire l’identità del trinomio IDEA-EMO-ZIONE-FORMA. Ma quando abbiamo inco-minciato a lavorare, partivamo dall’emozionedel personaggio e lasciavamo che questo siesprimesse liberamente nell’attore, determi-nando in tal modo la sua forma propria. Questaforma ottenuta dall’emozione non era geome-trizzabile, ma anzi era un’emozione reale,profondamente dialettica, contraddittoria eumana.

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Razionalizzarel’emozione

Comunque un’intensa esercitazione di memoriaemotiva, o un qualsiasi esercizio di memoria ingenerale è molto pericoloso se non si fa inseguito una razionalizzazione di ciò che è acca-duto. L’attore scopre varie cose quando inco-mincia a sentire emozioni in circostanze speci-fiche. Si verificano casi estremi, come quello diVivien Leigh che si lasciava trasportare a talpunto nella parte di Blanche Dubois che finìper essere richiusa in una clinica per malati dimente.Questo comunque non significa che dobbiamosmettere di fare gli esercizi di emozione; anzi,bisogna continuare a farli, ma con l’obiettivospecifico di “capire” l’esperienza che viviamo,non solo di sentirla. Bisogna sapere “perché cisi emoziona”, qual è la natura della propriaemozione, quali ne sono le cause, e non solo inche modo ci si emoziona. È fondamentalecapirne il perché; se per noi è importante l’e-sperienza, il significato di questa esperienza lo èancora di più. Vogliamo conoscere i fenomeni,ma vogliamo conoscere pure e soprattutto leleggi che regolano questi fenomeni. Per questofine è utile l’arte: non solo per far vedere com’èil mondo, ma anche per mostrare perché è così,e in che modo è possibile trasformarlo. Speroche nessuno sia soddisfatto del mondo, com’èora: per questo è necessario trasformarlo.La razionalizzazione dell’emozione non è unprocedimento che avviene solo dopo che l’emo-zione è sparita, ma deve avvenire anche durantel’emozione stessa: si sviluppa per il tempo chedura. Esiste infatti una simultaneità tra sentire e

pensare. Cito qui un esempio che capitò pro-prio a me. Una delle emozioni più forti dellamia vita fu quella che provai quando morì miopadre. Durante la veglia, il funerale e la messadel settimo giorno, anche se ero realmente eprofondamente emozionato, non smettevo maidi osservare e analizzare le cose strane che sta-vano succedendo in tutti questi rituali. Miricordo del modo in cui cambiavano i fiori nellacassa da morto e del modo freddo e distaccatocon cui l’uomo manifestava il bisogno di cam-biare i fiori per avere una cassa più bella. Miricordo dei volti di tutte le persone che ci face-vano le condoglianze, e sui loro volti leggevo ilmaggiore o minore vincolo di amicizia verso dinoi, i familiari; mi ricordo l’espressione sul visostanco del prete, forse quello era il quarto oquinto funerale cui assisteva in quel giorno. Miricordo ancora tutto perché lo stavo analiz-zando nel momento in cui stava avvenendo,senza che per questo tuttavia fossi meno emo-zionato.Ho riportato questo esempio, che è capitato ame, ma potrebbe accadere a chiunque. Forseagli scrittori capita più frequentemente, perchéhanno uno spirito analitico per vocazione. Èstraordinario l’esempio di Dostoevskij. Ne L’i-diota, l’autore descrive alla perfezione e conenorme ricchezza di particolari gli attacchi diepilessia del protagonista. Dostoevskij era epi-lettico infatti, ma durante i suoi attacchi riu-sciva a mantenere una lucidità mentale e unaoggettività tali che poteva ricordare in seguito leemozioni e le sensazioni provate ed era anchecapace quindi di descriverle.In questo caso particolare l’autore scrive le sueemozioni dopo averle sentite, provate; tuttaviail caso di Proust è ancora più straordinario efantastico ma comunque reale. Mentre stavamorendo, dettava alla sua segretaria un lungocapitolo sulla morte di uno scrittore: lui stesso!E aveva una obiettività tale che indicava esatta-mente alla sua segretaria in quali pagine dovevarientrare questo capitolo, in quale romanzo, equali erano i cambiamenti che dovevano esserfatti nella prossima edizione: ora che stava

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morendo veramente, correggeva la morte fit-tizia che aveva descritto in precedenza. Equando ebbe finito di descrivere l’agonia loscrittore morì.Non ci importa ora di sapere se in questo casoc’è una vera simultaneità, o una velocissimainterruzione nel rapporto ragione-emozione.L’importante è prendere coscienza dell’errore econdannare gli attori che credono che tuttoconsista nell’emozionarsi. Quando un attore simostra incapace di sentire una vera emozionedurante le prove, sta già sbagliando. Così comenon commette un errore meno grave l’attoreche non riesce a controllarsi. Spesso il lasciarsiandare è un atteggiamento falso, è puro esibi-zionismo. Un certo attore era famoso per la vio-lenza con cui interpretava la parte di Otello, inmodo addirittura pericoloso, tanta era la suacapacità di emozionarsi. Quando si sentiva pos-seduto dal personaggio, varie volte tentò distrangolare Desdemona sul serio. Più di unavolta dovettero abbassare il sipario. La genterimaneva molto impressionata dalla potenzadell’emozione di questo attore. Secondo meinvece bisognava denunciarlo alla Società degliattori.In conclusione deve essere chiaro questo: nonha alcun valore l’emozione in sé, disordinata ecaotica. È importante invece l’emozione nel suosignificato. Non possiamo parlare di emozionesenza ragione o, viceversa, di ragione senzaemozione: una rappresenta il caos, l’altra lapura matematica.

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Diversi tipi diconflitto. Hamartiaed ethos sociale

Come abbiamo visto, nel sistema tragico coerci-tivo di Aristotele è essenziale che:

a) un conflitto abbia luogo fra l’ethos delpersonaggio e l’ethos della società nellaquale vive. Ci sia qualcosa che non vadabene;

b) si stabilisca un legame, chiamatoempathia, che consiste nel permettere alpersonaggio di condurre lo spettatoreattraverso le proprie esperienze – lo spet-tatore prova le stesse cose come se stesseagendo lui stesso, gode i piaceri e soffre idolori del personaggio, al punto di pen-sare i suoi pensieri;

c) lo spettatore subisce tre accadimenti dinatura violenta: la peripezia, l’agnorisis ela catarsi: subisce un’inversione di marcianel suo destino (l’azione della pièce), rico-nosce l’errore commesso per interpostapersona e si purifica dell’elemento antiso-ciale di cui riconosce di essere vittima.

Eccola l’essenza del sistema tragico coercitivo.Nel teatro greco, questo sistema funziona comeè mostrato nello schema. Ma nella sua essenza ilsistema ha continuato e continua a essere utiliz-zato ancora oggi, con le opportune modifichedovute al cambiamento della società.

Primo tipo: hamartia versus ethos sociale perfetto(tipo classico)È il caso più classico studiato da Aristotele.Proseguiamo con l’esempio di Edipo. L’ethossociale perfetto è rappresentato dal coro, o daTiresia nel suo grande discorso. Lo choc è fron-tale. Anche dopo che Tiresia ha rivelato che ilcriminale non era altri che Edipo stesso, questirifiuta di ascoltarlo e continua da solo le sueindagini. Edipo, uomo perfetto, figlio obbe-diente, marito innamorato, padre esemplare,uomo di Stato senza eguali, intelligente, bello esensibile. Edipo ha una colpa tragica: il suoorgoglio. È grazie a esso che raggiunge gli apicidella gloria, è per questo orgoglio che vienedistrutto. L’equilibrio non si ristabilisce che conla catastrophe, con la visione terribile della suasposa-madre impiccata e dei suoi occhi trafitti.

Secondo tipo: hamartia versus hamartia versusethos sociale perfettoLa tragedia riguarda due personaggi che si rin-contrano, due eroi tragici, ciascuno con la pro-pria colpa, che si annientano reciprocamenteinnanzi a una società staticamente perfetta. È ilcaso di Creonte e Antigone, entrambi eccellentiin tutto e per tutto, tranne nelle loro rispettivemancanze. In questo caso lo spettatore devenecessariamente legarsi per empathia ai due per-sonaggi, e non soltanto a uno dei due, poiché ilprocesso tragico deve purificarlo di due hamartie.Uno spettatore che si legasse solo ad Antigone,potrebbe essere indotto a pensare che è Creonteche possiede la verità, e viceversa. Lo spettatoredeve purificarsi dell’eccesso, in entrambi i sensi:eccesso d’amore per il bene dello Stato a disca-pito della famiglia, eccesso d’amore per la fami-glia a discapito dello Stato. Molto spesso, dal momento che l’agnorisis delper sonaggio potrebbe non bastare a convincere lospettatore, l’autore tragico utilizza direttamente ilragionamento del coro, che è il detentore delbuon senso, della moderazione e di altre qualità. Ma, in questo caso ancora, la catastrophe ènecessaria per produrre, grazie al terrore, lapurificazione dal male.

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Terzo tipo: hamartia negativa versus ethos socialeperfettoQuesto terzo tipo è ben diverso dai due prece-denti: in questo caso l’ethos del personaggio sipresenta sotto una forma negativa: egli possiedetutti i difetti e una sola virtù, e non, come pre-scrive Aristotele, tutte le virtù e un solo difetto,o colpa, o errore di giudizio. Proprio perchél’eroe possiede questa piccola virtù solitaria eglisi salva e in questo caso non avviene la cata-strophe ma l’happy-end. È importante notare che Aristotele si pronunciacontro il lieto fine, ma occorre anche sottolineareche la vera essenza della sua poetica risiede nelcarattere coercitivo del suo sistema. Di conse-guenza, è inevitabile che, cambiando un elementocosì importante come la composizione dell’ethosdel personaggio, si cambi nello stesso tempo ilmeccanismo strutturale del finale dell’opera,perché l’effetto purgativo rimanga inalterato. Il tipo di catarsi provocata da questa struttura,fu utilizzata soprattutto nel Medioevo. Così, ildramma medievale forse più famoso, Everyman(Tutti gli uomini), racconta la storia di un per-sonaggio chiamato Tuttigliuomini che, sulpunto di morire, vorrebbe sottrarsi alla danna-zione. Dialoga con la Morte e analizza assieme alei tutte le azioni della sua vita passata: vediamosfilare innanzi a loro tutti i testimoni che accu-sano Tuttigliuomini rivelando i peccati che egliha commesso... Tuttigliuomini alla fine rico-nosce tutte le sua colpe: ammette che nei suoiatti non vi è ombra di virtù, ma nello stessotempo egli confida nel perdono divino. Questafiducia è la sua sola virtù. Questa fiducia e ilsuo pentimento permetteranno la sua salvezza,per la più grande gloria di Dio...L’agnorisis (riconoscimento di tutti i peccati) siaccompagna qui alla nascita di un personaggionuovo, ed è questo personaggio che viene sal-vato. Nella tragedia, gli atti commessi dall’eroesono irrimediabili; in questo tipo di dramma, alcontrario, il personaggio può vedere le sueazioni perdonate a partire dal momento in cui sidecide a cambiare totalmente vita, a patto didiventare un nuovo personaggio.

Questo tema di una nuova vita (e si tratta pro-prio della “vita perdonata”, poiché il perso-naggio peccatore cessa di essere tale) appare inmodo chiaro ne El condenado por desconfiado diTirso da Molina. L’eroe, Enrique, riassume in sétutto ciò che un uomo può avere di cattivo: è unubriacone, assassino, ladro, ruffiano. Nessunacolpa, nessun difetto, nessun crimine gli èestraneo. Non c’è nessuno peggio di lui, nep-pure il diavolo. Egli ha l’ethos più perverso chesia mai stato inventato dalla drammaturgia uni-versale. Al suo fianco, c’è Pablo, personaggiopuro, incapace di commettere il benché minimopeccato, incapace di commettere la più piccolacolpa, neanche la più perdonabile. Pablo animacandida, insipida, leggera: la perfezione. Ma accadrà loro qualcosa di bizzarro che faràdei loro destini l’opposto di ciò che si potevaprevedere. Enrique il cattivo sa di essere cattivoe peccatore. Non ha alcun dubbio sulla giustiziadivina: sa che sarà divorato dalle fiamme nel-l’angolo più oscuro e profondo dell’inferno.Accetta la saggezza e la giustizia divina. Pablo alcontrario pecca a forza di volersi puro. Sidomanda continuamente se Dio saprà rendergliconto della vita di sacrifici e di privazioni checonduce. Desidera ardentemente morire e salireal Cielo, per iniziare lì probabilmente una vitaun po’ più gioiosa. Muoiono entrambi e, nello stupore generale, lavolontà divina emette la sentenza seguente:Enrique, nonostante tutti i suoi crimini, furti,sbronze, tradimenti, va in Paradiso, perché lacertezza che aveva nel suo castigo è tutta a mag-gior gloria di Dio. Pablo invece non credeva real-mente in Dio, poiché dubitava della sua salvezza:finisce pertanto all’inferno con tutte le sue virtù. Questa grossomodo è la pièce. Per quantoriguarda Enrique, è chiaro che si tratta di unethos totalmente cattivo, fatta salva un’unicavirtù. L’effetto esemplare infatti è dato dal-l’happy-end anziché dalla catastrophe. ConPablo invece siamo di fronte allo schema aristo-telico convenzionale, classico: tutto in lui è vir-tuoso tranne la sua colpa tragica, dubitare diDio. Per lui allora è davvero la catastrophe!

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Quarto tipo: hamartia negativa versus ethossociale negativoDobbiamo intenderci qui sul temine “nega-tivo”: esso non si riferisce a nessuna ideamorale. Designa un modello che è esattamentel’inverso del modello positivo tradizionale (pro-prio come sul “negativo” di una foto, in cuitutto ciò che è bianco appare nero e viceversa). Questo tipo di conflitto etico è l’essenza del“dramma romantico”. L’esempio migliore è Lasignora delle camelie. Come nel caso prece-dente, il personaggio principale presenta unanotevole collezione di vizi, di errori, di pec-cati... Di contro però, l’ethos sociale (le ten-denze morali, l’etica della società) questa volta ètotalmente conforme al personaggio – al con-trario dell’esempio precedente. I suoi vizi sonodel tutto accettabili e il personaggio non nedovrà soffrire.Vediamo cosa accade ne La signora delle came -lie: in una società corrotta che comprende laprostituzione, Marguerite Gauthier è una prosti-tuta esemplare – il vizio individuale in questocaso è difeso, esaltato da una società viziosa. Lasua professione è del tutto accettata, la sua casaè frequentata dagli uomini dell’alta società (con-siderato che si parla di una società il cui valoreprincipale è la ricchezza, e la sua casa è frequen-tata dai finanzieri...). La vita di Marguerite èpiena di felicità! Eppure... poveretta! Tutte lesue colpe sono accettate tranne la sua sola virtù:Marguerite si innamora, nel senso che ama vera-mente. Ah! Questo no, questo la società nonpuò permetterlo: è una colpa tragica e occorreche sia punita. Dal punto di vista dell’etica, ci viene presentatouna sorta di triangolo. Finora abbiamo analiz-zato conflitti etici nei quali l’“etica sociale” erala stessa per i personaggi e per gli spettatori.Qui ora abbiamo una dicotomia: l’autore desi-dera illustrare l’etica di una società condivisadai suoi membri, ma dalla quale lui, l’autore,vuole distaccarsi, proponendone un’altra.Quello della pièce è un universo ben preciso,mentre quello dello spettatore – o almeno la suamomentanea posizione per la durata dello spet-

tacolo – è differente. Alexandre Dumas ci dice:questa è la nostra società, ed è condannabile,ma noi non siamo così, o almeno non lo siamonel più profondo del nostro essere. Così Mar-guerite ha tutte le virtù che la società riconoscecome tali. Una prostituta deve esercitare condignità ed efficacia il suo mestiere di prostituta.Ma Marguerite commette una colpa che leimpedisce di esercitare la sua professione: simette ad amare. Come può una donna innamo-rata di un uomo servire con la stessa fedeltàtutti gli altri uomini (tutti quelli che possonopagarla)? È impossibile. Perciò per una prosti-tuta amare non è una virtù ma un vizio. Ma noi stessi, spettatori, noi che non facciamoparte dell’universo della pièce, possiamo direesattamente il contrario: la società che permettee incoraggia la prostituzione è una società pienadi vizi, una società che deve essere trasformata.Così si forma il triangolo: amare per noi è unavirtù, ma nella pièce è un vizio. Il vizio chedistruggerà Marguerite. Anche qui, in questo tipo di dramma roman-tico, la catastrophe è obbligatoria. E ciò chel’autore romantico spera è che lo spettatore sipurifichi non dalla colpa tragica dell’eroe, madall’intero ethos sociale!

Un altro dramma romantico, molto più moder -no, presenta questo stesso schema aristotelicomodificato: si tratta di Un nemico del popolo diIbsen. Anche qui, il dottor Spockman possiedeun ethos perfettamente conforme alla società incui vive, società fondata sul denaro e sul lucro.Ma ha una colpa: è onesto. Questo, la societànon può sopportarlo, non può tollerarlo. L’im-patto terribile di questa pièce viene proprio dalfatto che Ibsen mostra bene (che lo voglia o no)che è impossibile, nelle società fondate sul pro-fitto, preconizzare una morale “elevata”. Il capi-talismo è fortemente immorale, poiché la ricercadi un profitto, che è la sua essenza, è incompati-bile con la morale che vorrebbe proporre, con ivalori superiori della giustizia, ecc.Se il dottor Spockman è distrutto (perde il suoposto nella società, e lo stesso accade a sua figlia

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Petra che non riesce a integrarsi in una societàcompetitiva) è proprio a causa della suaprofonda virtù, qui considerata come un vizio,un errore, o una colpa tragica.

Quinto tipo: ethos individuale anacronisticoversus ethos sociale contemporaneoÈ il caso emblematico di Don Chisciotte: il suoethos sociale è in perfetto sincronismo conquello di una società che non esiste più...Questa società di un tempo, perduta, è con-frontata con la società contemporanea: il con-flitto è inevitabile. A causa del suo ethos ana-cronistico, Don Chisciotte, cavaliere errante,hidalgo di Spagna, Don Chisciotte, il signore,non può vivere in pace con la sua epoca, che èquella dell’ascesa della borghesia. La borghesiacapovolge tutti i valori: per lei tutto si trasformain denaro, e il denaro crea tutto. Esiste una variante di questo ethos anacroni-stico con l’ethos diacronico: il personaggio vivein un mondo morale, incensato da una societàche, in pratica, non accetta i valori che questipretende di possedere. Nel Jose, del parto a lasepultura (Jose dal parto alla sepoltura) il perso-naggio Jose da Silva incarna tutti i valori che laborghesia dice essere propri e la sua disgraziagli viene giustamente dal credere in questivalori e dal condurre la sua vita in funzione diquesti: culto del “self-made man”, culto delladevozione al padrone, del “bisogna lavorare piùdel necessario”, del “non bisogna creare pro-blemi sociali”, ecc. In breve, un personaggioche ha cercato la sua linea di condotta ne Leleggi del successo di Napoleon Hill o ne L’arte difarsi degli amici e di influenzare la gente di DaleCarnegie. Ed è questa la tragedia! E che tra-gedia!

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Colori compositi

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edizioni la meridianap a r t e n z e

Teoria e tecnica del teatro

IL TEATRODEGLI OPPRESSI

Augusto Boal

Euro 18,50 (I.i.)

In copertina disegno di Silvio Boselli

Perché leggere questo testo tanto fondamentale e fondativo del Teatro degliOppressi a distanza di decenni? Per tre buoni motivi. Innanzitutto perritrovare le origini e le radici storiche del Teatro degli Oppressi nella lottapolitico-teatrale per liberare dall’oppressione. Ritrovare le radici vuole direrecuperare l’attenzione agli aspetti politici ed etici, non lasciarsi sopraffaredall’agire quotidiano e dalle lusinghe del mercato, avere antenne sensibiliper prevedere le trappole possibili. Il secondo motivo è che contiene partitecniche fresche e ancora attuali come il teatro-mito, il teatro-feuilleton, ilteatro-giornale e poi, ancora, strumenti usati alle origini, tecniche più antichee meno pregnanti del teatro-forum, in cui è chiara la scelta poetica di attivarelo spett-attore, di dialogare col pubblico. In ultimo, questa edizione cancellal’immagine, molto alimentata nel mondo accademico, di un Boal militantepolitico di un teatro ridotto a insieme di “giochini divertenti”, ben lontanidalla serietà della sperimentazione teatrale.Queste pagine oggi come allora vanno lette e sperimentate con lo stessoscopo: analizzare e trasformare il mondo presente, alla luce di quello passato,così da creare il mondo futuro che vogliamo, un altro mondo possibile. Sceltecoraggiose in un’Italia che sembra aver smarrito il livello etico prima chepolitico.

Augusto Boal (1931-2009) è stato il fondatore del teatro Arena di San Paoloe ha scritto diverse opere teatrali con Chico Barque. Nei suoi testi, tradottiin trentacinque lingue, espone i metodi presentati nei suoi stage di formazionee diffusi ormai in tutto il mondo. Con la meridiana ha pubblicato L’arcobalenodel desiderio (2010), Dal desiderio alla legge. Manuale del teatro di cittadinanza(2002) e Il poliziotto e la maschera. Giochi, esercizi e tecniche del Teatro dell’Oppresso(2009).

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