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Euro 16,50 (I.i.)

In copertina disegno di Silvio Boselli ISBN 978-88-6153-164-2

L’Arcobaleno del desiderio è la raccolta sistematica delle tecniche del Teatrodell’Oppresso nelle sue applicazioni alla realtà europea. Nel Teatrodell’Oppresso lo spettatore è aiutato a liberarsi dai veti e dalle repressionifrutto di una ingiusta struttura sociale, indicati da Boal con il termine flics(poliziotti).In un contesto come quello europeo, dove i bisogni materiali sembrano esseresoddisfatti, l’oppressione assume caratteristiche di tipo psicologico. I poliziottiesercitano la loro funzione di sorveglianza o repressione in modo molto piùpersuasivo e sottile, nella testa di ciascuno di noi, e il teatro diviene, nellaprovocatoria proposta di Boal, tecnica assai efficace per liberarsi dai flics chedanzano nella testa. La sua funzione terapeutica trasforma il disagio senzanome degli spett-attori in un “desiderio” incomprensibile di liberazione, cheloro stessi organizzano sulla scena. Ancora una volta il teatro si offre comeun fecondo strumento di cambiamento sociale assolutamente unico.

Augusto Boal (1931-2009) è stato il fondatore del teatro Arena di San Paoloe ha scritto diverse opere teatrali con Chico Barque. Ha pubblicato Théatrede l’opprimé e Jeux acteurs et non-acteur, tradotti in trentacinque lingue; in essiespone i metodi presentati nei suoi stage di formazione e diffusi ormai intutto il mondo. Con la meridiana ha pubblicato Dal desiderio alla legge. Manualedel teatro di cittadinanza (2002) e Il poliziotto e la maschera. Giochi, esercizi etecniche del Teatro dell'Oppresso (2009)

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2010 © edizioni la meridiana1994 © edizioni la meridiana - 2a edizioneVia G. Di Vittorio, 7 – 70056 Molfetta (BA) – tel. 080/[email protected] 978-88-6153-164-2

Volume pubblicato grazie alla consulenza editoriale di Daniele Novara:[email protected]

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edizioni la meridianap a r t e n z eedizioni la meridianap a r t e n z e

Augusto Boal L’ARCOBALENODEL DESIDERIOIntroduzione di Claudio Meldolesi

Traduzione di Claudia Melli

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Indice

Introduzione all’edizione italiana di Claudio Meldolesi 7Presentazione di Claudia Melli 15

Perché questo libro? 19

Parte prima - La teoria

Il teatro, prima invenzione umana 27

Gli esseri umani, la passione e il palco: lo spazio estetico 29

Le tre ipotesi del flic dans la tête 41

Negli ospedali psichiatrici 44

Preliminari per l’utilizzazione delle tecniche 52

Parte seconda - La pratica

Le tecniche prospettive 63

Le tecniche introspettive 102

Le tecniche di estroversione 140

Postafazione di Roberto Mazzini 149

Indirizzi nel mondo 151

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L’arcobaleno del desiderio esce in Italia a qualcheanno dalla prima pubblicazione — quella france-se del 1990 — quando il Teatro dell’Oppresso stasegnando in Brasile una nuova tappa: il Teatrolegislativo.

Al mio ritorno dal 7° Festival Internazio-nale di Teatro dell’Oppresso — che si è tenuto aRio de Janeiro nel luglio del 1993 — stavo termi-nando la traduzione dell’arcobaleno del desiderio.Ho ritenuto particolarmente interessante riflette-re sulla distanza che apparentemente separa que-ste due tappe successive del Teatro dell’Op-presso.

Dopo l’esilio europeo Boal rientra in Bra-sile; alla fine del 1992 è eletto alla Camera deiVereadores di Rio de Janeiro per il P. T. (Partito deiLavoratori); insieme al Centro di Teatro dell’Op-presso di Rio crea in tutta la città una rete dinuclei di Teatro dell’Oppresso, che utilizzano ilteatro forum per discutere i problemi delle comu-nità, dei lavoratori, dei negri, delle donne, deibambini di strada, dei disoccupati, dei senzatetto,ecc., con lo scopo di trovare insieme al pubblicole possibili soluzioni ai problemi rappresentati, eformulare, in base ai suggerimenti emersi, pro-getti di legge da presentare alla Camera deiVereadores (i consiglieri dello Stato di Rio), richie-derne perfezionamenti o esigerne l’applicazione,riportando poi teatralmente nelle strade e nellepiazze le discussioni parlamentari.

Il Teatro dell’Oppresso, ritornato alle sueradici politiche e culturali, si coniuga ora con lapolitica istituzionale.

Il Festival di Rio — a cui partecipanogruppi di Teatro dell’Oppresso provenienti datutto il mondo — è caratterizzato da una fortecentralità del Centro del Teatro dell’Oppresso diRio.

Boal inaugura il Festival il 15 luglio alCentro Cultural del Banco do Brasil. «Il linguaggioteatrale è il linguaggio umano per eccellenza. Noisiamo teatro» è il suo esordio, ben noto a chisegue il suo lavoro. Questo principio, che inEuropa richiede una riflessione per essere accol-to, a Rio è un’evidenza.

Al nostro arrivo siamo invitati al Largo daLapa alla festa di inaugurazione di una casa asse-gnata ad alcuni gruppi artistici, tra cui il Centrodo Teatro do Oprimido. Nella grande agorà ai piedidell’antico acquedotto i gruppi inscenano, unodopo l’altro, spettacoli di teatro e di danza, men-tre dalle gradinate i carioca (così sono chiamati gliabitanti di Rio) occupano lo spazio scenico con leloro rappresentazioni: balli, gesti, narrazioni.Sono prostitute, una mendicante col bambino inbraccio, un vecchio ubriaco. Neppure l’enormebanditore-presentatore, che sgrida il pubblicoquando ritiene troppo tiepidi gli applausi, simostra turbato; e ci sono artisti che li integranonel loro spettacolo. Dall’alto, il trenino che passasull’acquedotto, con la gente appesa fuori, siferma per ammirare lo spettacolo.

L’ARCOBALENO DEL DESIDERIO 15

Presentazione

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Qui è evidente che l’uomo parla teatro.È altrettanto evidente l’oppressione.La Costituzione brasiliana viene elaborata

nel 1988. Nonostante l’apertura di spazi demo-cratici, non si verifica una trasformazione nellapolizia militare che, istituita sotto il regime mili-tare come braccio dell’esercito, continua a svolge-re apertamente una funzione violentementerepressiva.

Durante il Festival presso la chiesa dellaCandelaria, a pochi passi dal Centro Cultural —dove si svolge la parte pubblica del Festival —uno squadrone della morte stermina una bandadi bambini di strada. E’ un avvenimento normalein Brasile e in particolare a Rio, così come è nor-male l’impunità degli assassini. I partecipanti alFestival, provenienti da tutto il mondo, presen-ziano e partecipano a commissioni, incontri,manifestazioni. L’evento è davanti agli occhi ditutto il mondo. Per la prima volta due degliassassini vengono identificati e arrestati. Sonopoliziotti militari.

Nel Brasile democratico i poliziotti sonoancora nelle strade.

Introducendo L’arcobaleno del desiderio Boalracconta la storia del Teatro dell’Oppresso; e nelracconto del suo esilio europeo scrive: «era comese mi chiedessi meccanicamente: ma dove sono ipoliziotti?»; poi vede che nei paesi dove non simuore di fame, dove i bisogni essenziali sonosoddisfatti, l’oppressione ha caratteristiche diver-se, che si presentano come vissuti soggettivi.

«I flics sono nella testa, le caserme sonofuori: si tratta di scoprire come sono penetratinelle nostre teste e di inventare i modi per farliuscire».

L’arcobaleno del desiderio si avventura inquesta ricerca teatrale. E’ la prima raccolta siste-matica delle tecniche del flic dans la tête, letteral-mente il poliziotto dentro la testa. Ho preferitolasciare il francese flic, perché flic non è soltanto ilpoliziotto, è colui che esercita una funzione di sor-veglianza e di repressione all’interno di un organismo.Se in Brasile l’oppressione è agita nelle strade inmaniera violenta e manifesta, nel suo esilio euro-peo Boal vede che qui gli oppressori sono entratinella testa delle donne e degli uomini, e di qui

esercitano la loro funzione di sorveglianza e direpressione in maniera talora sottile e oscura. Sitratta allora di dare corpo a questi oppressori e divederli, per poter ricercare e provare i modi dellapropria liberazione.

Nel teatro forum — che è la forma teatralepiù nota del Teatro dell’Oppresso — gli attorirappresentano una scena conflittuale. Gli spett-attori sono invitati a vedere, e successivamente aentrare in scena sostituendo il protagonista o isuoi alleati per provare le proprie proposte disoluzione al conflitto.

Nelle tecniche del flic — che si svolgonoper lo più all’interno di un gruppo — il protago-nista è a sua volta spett-attore. Vede se stessonella situazione oppressiva, nella scena da luistesso attivata. Vede i suoi flics che hanno presocorpo a partire dalle identificazioni, dai ricono-scimenti, dalle risonanze sentite dagli altri parte-cipanti — spett-attori a loro volta — che ne rap-presentano l’immagine col proprio corpo. Provaquindi la propria liberazione.

E’ interessante ricordare che provare, eti-mologicamente, è trovar probo, e la radice di proborimanda al crescere favorevolmente, nonché a emi-nente, potente.

Lo spett-attore protagonista nelle tecnichedel flic, come lo spett-attore che entra in scena nelforum, prova la propria crescita, l’esercizio delproprio potere.

Come ripensare l’arcobaleno del desideriodopo l’ultima tappa brasiliana del Teatro del-l’Oppresso?

Rimane un insieme di tecniche riservatealla cultura in funzione della quale sono state ela-borate, una cultura opulenta e complessa, e insie-me di meno diretta capacità espressiva e comuni-cativa?

E’ un metodo di teatro e di terapia, come reci-ta il titolo dell’editore francese Méthode Boal dethéatre et de thérapie. L’arc- en-ciel du désir?

Si tratterebbe allora di un capitolo del Tea-tro dell’Oppresso tecnicamente più complesso epiù sofisticato, ritagliato su una specifica zona dicompetenza, separato e distinto rispetto all’ela-borazione precedente e a quella successiva, nate

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— queste — da istanze sociali e politiche, e qualistrumenti di intervento sociale e politico.

Nel 1980 Boal scriveva: «Gli esercizi diTeatro dell’Oppresso sono già teatro dell’oppresso,sono parte integrante di una totalità; non sonosemplicemente esercizi per mettersi in forma chepreparano a qualcosa che verrà dopo, ma sono l’i-nizio di un processo che si sviluppa in tappe suc-cessive e continue» (1).

Questa unità del Teatro dell’Oppresso hale sue radici profonde nell’idea conduttrice: l’uo-mo è spett-attore, l’uomo parla teatro. Diversa-mente dagli altri animali, ha la straordinariacapacità di vedersi in azione, e per ciò stesso diavere memoria e progettualità.

E’ un’idea forte di teatro.Ciononostante Boal — che pure è uomo di

teatro — non sembra particolarmente interessatoal teatro in sé, quanto piuttosto a rendere possibi-le per gli uomini la consapevolezza del propriospecifico linguaggio, in modo tale da padroneg-giarlo, da poterlo liberare dalle gabbie e dallepastoie che lo inibiscono e lo costringono, libe-randosi contestualmente dalle proprie oppressioni.

«Il teatro si è allontanato progressivamen-te dalla società...», scrive Ruckhaberle.

«Il teatro per una vita possibile, il tentati-vo di ‘trasformare il mondo fino alla conoscibi-lità’ (Ernest Bloch) o perlomeno di renderlo con-sapevole di se stesso, non ha luogo...».

«La domanda è: di quale individuo si trat-ta, di quale società? Per chi? Contro chi? Dovenon si richiedono risposte, vengono tutt’al piùillustrate le domande, ma non ricercato il cambia-mento. Mentre è il cambiamento, l’oggetto delteatro» (2).

Se è vero che il teatro è in crisi, e se è veroche il teatro è il linguaggio umano, altro — con ilteatro — è in crisi.

Il Teatro dell’Oppresso si muove nei luo-ghi in cui anzitutto questo altro è in crisi, operan-do teatralmente, ma sempre al limite, una ricercadel cambiamento possibile: al limite tra il teatro eil sociale, tra il teatro e il pedagogico, tra il teatroe la terapia, tra il teatro e il quotidiano.

Al termine di questo lavoro di traduzionepenso che secondo gli interessi, le propensioni, lepassioni personali, ci si possa immergere in unsegmento qualsiasi di questo libro e trovare unorizzonte che si apre, ricco di domande e di ricer-che personali.

Claudia Melli

Note

1. A. Boal, Stop! C’est Magique, Hachette, Paris 1980, p. 25.(2) H. J. Ruckhaberle, Teatro è espressione, non interiorizza-zione, in «Teatro e Storia», 1988, pp.303-308.

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L’ARCOBALENO DEL DESIDERIO 27

Il teatro è la prima invenzione umana ed è anchequella che permette e genera tutte le altre inven-zioni e scoperte.

Il teatro nasce quando l’essere umano sco-pre che può osservare se stesso. Quando scopreche, in questo atto di vedere, può vedersi: vedersi«in situazione».

Vedendosi l’essere umano percepisce ciòche è, scopre ciò che non è, e immagina ciò chegli è possibile diventare. Percepisce dove è edove non è, e immagina dove gli sarebbe possibi-le andare. Si crea una triade: l’io osservatore, l’ioin situazione e il non-io, cioè l’altro. Solo l’essereumano ha questa capacità di osservarsi in unospecchio immaginario (indubbiamente ha speri-mentato prima altri specchi — gli occhi di suamadre, i riflessi dell’acqua — ma ormai puòvedersi lui stesso con la sola immaginazione). Lospazio estetico, di cui tratteremo successivamen-te, ci offre questo specchio immaginario.

Sta qui l’essenza del teatro: nell’essereumano che si osserva. L’essere umano non «fateatro»: «è» teatro. Alcuni, oltre ad essere teatro,«fanno» anche teatro.

Il teatro non ha niente a che vedere con unedificio o con qualsiasi altra costruzione. Il teatro— o la teatralità — è questa capacità, questa pro-prietà umana che permette all’uomo di osservar-si in azione, in attività. L’autoconoscenza cosìacquisita gli permette di essere soggetto (cheosserva) di un altro soggetto (che agisce): e glipermette di immaginare delle varianti della sua

azione, di studiare delle alternative. L’essereumano può vedersi nell’atto di vedere, in quellodi agire, di sentire, di pensare; può sentire se stes-so che sente, pensarsi pensante.

Il gatto caccia il topo, la leonessa inseguela preda, ma sono entrambi incapaci di auto-osservarsi. Quando l’essere umano caccia unbufalo si vede nell’atto di cacciare; perciò puòdipingere l’immagine di un cacciatore — di sestesso — mentre caccia un bufalo. Può inventarela pittura perché ha inventato il teatro: si è vistomentre vedeva. Attore, agente, ha imparato adessere lo spettatore di se stesso. Questo spettatore(spett-attore) non è soltanto oggetto: è soggettoperché agisce anche sull’attore, è l’attore, puòguidarlo, modificarlo. Spett-attore che agisce sul-l’attore che agisce.

L’uccello canta, ma non conosce la musica.Cantare fa parte della sua attività animale —come mangiare, bere, accoppiarsi — e per questoil suo canto non varia mai: un usignolo non cer-cherà mai di cantare come una rondine, o unmerlo come un’allodola. L’essere umano invece ècapace di cantare e di vedersi mentre canta. Perquesto può imitare gli animali, scoprire dellevarianti del proprio canto, comporre. Gli uccellinon sono dei compositori, e non sono neppuredegli interpreti. Cantano così come mangiano,bevono, si accoppiano. Solo l’essere umano è tri-dimensionale (l’io che si osserva, l’io in situazio-ne, il non-io) perché lui solo è capace di dicoto-mia (vedersi mentre vede). E poiché si pone den-

Il teatro, prima invenzione umana

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tro e fuori la situazione, qui potenzialmente e làin atto, ha bisogno di rappresentare simbolica-mente questa distanza che separa lo spazio edivide il tempo, distanza che va dall’essere alpotere essere, dal presente al futuro; ha bisognodi rappresentare simbolicamente la potenzialità,di creare dei simboli che occupano lo spazio diciò che è ma che non esiste concretamente, di ciòche è possibile e che potrà esistere un giorno.Crea allora dei linguaggi simbolici: la pittura, lamusica, la parola. Gli animali hanno accesso soloal linguaggio segnico (segnali fatti di grida, bisbi-gli, smorfie). Il grido di terrore di una scimmiaafricana sarà percepito perfettamente da unascimmia amazzonica della stessa specie (1), ma lastessa parola di terrore — pericolo! — detta inbuon italiano non sarà compresa da uno svedeseo da un norvegese (che potrebbero tuttavia com-prendere il terrore espresso in maniera segnicadal viso di colui che grida).

L’essere diventa umano quando inventa ilteatro.

All’origine attore e spettatore coesistevanoin una stessa persona; quando si sono separati,quando alcuni si sono specializzati come attori ealtri come spettatori, allora sono nate le formeteatrali così come le conosciamo oggi. Sono natianche i «teatri», architetture destinate a sacraliz-zare questa divisione, questa specializzazione. Ènata la professione di «attore».

La professione teatrale, che appartiene adalcuni, non deve nascondere l’esistenza e la per-manenza della vocazione teatrale, che appartienea tutti. Il teatro è una vocazione per tutti gli esseriumani.

Il Teatro dell’Oppresso è un sistema diesercizi fisici, di giochi estetici, di tecniche diimmagine e di improvvisazioni particolari, il cuiscopo è salvaguardare, sviluppare e ridimensio-nare questa vocazione umana, facendo dell’atti-vità teatrale uno strumento efficace per la com-prensione e la ricerca di soluzioni a problemisociali e personali.

Il Teatro dell’Oppresso si sviluppa in trebranche principali: educativa, sociale, terapeuti-ca. Questo libro, specializzato nella branca tera-peutica, utilizza in maniera nuova antiche tecni-che dell’arsenale (2) del Teatro dell’Oppresso eintroduce delle tecniche recenti (1988/89) specifi-che del Flic dans la tête. Spero che saranno utilitanto nel campo della terapia quanto in quellodel teatro.

Il titolo L’arcobaleno del desiderio si ispira alnome di una tecnica presentata in questo libro. Inrealtà tutte le tecniche hanno qualcosa a chevedere con «l’arcobaleno del desiderio»: tuttecercano di aiutare ad analizzarne i colori percombinarli in proporzioni diverse, in formediverse, in altri disegni desiderati.

Note

(1) Sappiamo che le grandi scimmie hanno un linguaggiotribale. Ma resta sempre linguaggio segnico. Sono capacid trasmettere il pericolo di un albero senza essere tutta-via capaci di comprendere il concetto di albero. Sono ingrado di trasmettere il disegno di albero pur senza capireil concetto di albero.(2) L’insieme organico di esercizi, giochi e tecniche delTeatro dell’Oppresso.

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L’ARCOBALENO DEL DESIDERIO 41

Le tre ipotesi del flic dans la tête

In un incontro di Teatro dell’Oppresso non c’èspettatore, ci sono osservatori attivi, spett-attori. Ilcentro di gravità è nella sala, non sulla scena.Non si può lavorare con queste tecniche suun’immagine o una scena che non si ripercuotasugli spettatori, che tratti di un caso personalenon pluralizzabile.

Il Teatro dell’Oppresso ha due principifondamentali: aiutare lo spettatore a trasformarsi

in protagonista dell’azione drammatica affinchépossa, successivamente, estrapolare nella sua vitareale le azioni che ha provato nella pratica teatrale.

Per realizzare questi compiti primordiali,il Teatro dell’Oppresso in generale e il camminodel flic dans la tête in particolare propongono treipotesi fondamentali.

L’osmosi _______________________________________________

«Nelle cellule più piccole dell’organizzazionesociale (la coppia, la famiglia, il vicinato, la scuo-la, l’ufficio, la fabbrica, etc.) così come negli avve-nimenti più piccoli della vita sociale (un inciden-te all’angolo della strada, il controllo di identitànella metropolitana, una visita medica etc.) sonocontenuti tutti i valori morali e politici dellasocietà, tutte le sue strutture di dominio e dipotere, tutti i suoi meccanismi di oppressione».

Tutti i grandi temi generali sono iscrittinei piccoli temi personali. Se parliamo di un casostrettamente individuale parliamo anche dell’in-sieme dei casi simili, e della società in cui questocaso particolare può accadere.

Tutti i singoli elementi del racconto indivi-duale devono acquistare un carattere simbolico, e

perdere la limitazione della propria singolarità,della propria unicità. Mediante la generalizzazio-ne — e non la singolarizzazione — abbandonia-mo un terreno che è più proprio della ricerca psi-coterapica e ci limitiamo a quello che è il nostroterreno e il nostro privilegio: l’arte teatrale.

Vent’anni fa negli Stati Uniti, nel sudsegregazionista e a New York dove l’integrazioneera più avanzata, è stato fatto un esperimentointeressante. Sono state mostrate a dei bambinidelle bambole bianche, verdi, blu, nere. Quindi èstato chiesto di indicare la più bella e la più brut-ta. Nel sud dove i neri «segregati» conservavanopiù fermamente i loro valori i bambini dicevanoche la più bella era la nera e la più brutta la bian-ca. Nel nord, dove l’integrazione impone i valori

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della società bianca, il risultato era inverso: labianca era la bella e la nera la brutta. I bambinineri avevano assimilato i valori bianchi.

Chiamerò osmosi, interpenetrazione que-sta propagazione delle idee, dei valori, dei gusti.

Come si produce l’osmosi? Per repressio-ne, così come per seduzione. Per repulsione,odio, paura, violenza, costrizione, o al contrarioper attrazione, amore, desiderio, promesse,dipendenza, etc.

Dove si produce l’osmosi? Ovunque. Intutte le cellule della vita sociale. Nella famiglia(mediante il potere legale dei genitori, il denaro,la dipendenza, l’affettività...), nel lavoro (median-te il salario, i premi, le vacanze, la disoccupazio-ne, il pensionamento, etc.), nell’esercito (il casti-go, la promozione, la gerarchia, la seduzione del-l’esercizio del potere, etc.), nella scuola (i voti, leclassificazioni di fine anno, i giudizi...), nellapubblicità (con le false associazioni di idee: lebelle donne e le sigarette, Niagara Falls e whisky,etc.), nei giornali (la selezione delle notizie, lamanipolazione dei diagrammi...), nella Chiesa(l’Inferno, il Paradiso, l’inconoscibile, la comu-nione, il perdono, la colpa, la speranza).

Così nel teatro. Come?

Il teatro tradizionale mette in contatto duemondi: il mondo della sala e quello della scena. Irituali teatrali convenzionali determinano i ruoliche devono giocare gli uni e gli altri. Sulla scenasi presentano immagini della vita sociale inmaniera organica, autonoma, non modificabileda parte della sala. Durante lo spettacolo la sala èdisattivata, ridotta alla contemplazione (anche setalora critica) degli avvenimenti che si svolgonoin scena.

L’osmosi si produce in maniera intransiti-va, dalla scena verso la sala. Se c’è una forte resi-stenza da parte della sala a lasciarsi disattivare,

lo spettacolo può fermarsi, ma non può trasfor-marsi, perché è predeterminato.

Il rituale teatrale convenzionale è immobi-lizzante. Certamente attraverso questo immobili-smo si possono trasmettere (veicolare sempreintransitivamente) idee mobilitanti. Ma il ritualeresta immobilizzante.

Numanzia, il dramma di Cervantes, narrala storia di una città assediata, i cui abitanti ave-vano deciso di resistere fino all’ultimo uomo,l’ultima donna, l’ultimo bambino. Sono massa-crati, ma non si arrendono. In Spagna durante laguerra civile Numanzia è stata rappresentata inuna città assediata dai fascisti. È evidente che lospettacolo ha prodotto un effetto mobilitante fan-tastico, pur restando immobilista il rituale teatra-le. In questo caso specifico la realtà stessa avevaspezzato violentemente il rituale. In uno spetta-colo normale, normalmente si dimentica la realtàesterna, si fa attenzione solo alla scena. Qui lascena ricordava agli spettatori ciò che si svolgevanella strada. L’immobilismo del rituale teatraleera rotto dal dinamismo degli avvenimenti delmondo sociale.

Nel Teatro dell’Oppresso si cerca di rove-sciare questo immobilismo, di rendere il dialogosala-scena totalmente transitivo: la scena può cerca-re di trasformare la sala, ma anche la sala puòtrasformare tutto, sperimentare tutto.

Questa trasmissione non è sempre pacifi-ca. Riposa sulla relazione soggetto-oggetto. Manessuno può essere ridotto alla condizione dioggetto assoluto. Dunque, l’oppressione producenell’oppresso due tipi di reazione: la sottomissio-ne e la sovversione. Ogni oppresso è un sovversivosottomesso. La sua sottomissione è il suo flic dansla tête, la sua introiezione. Ma possiede anche l’al-tro elemento, la sovversione. Il nostro scopo èdinamizzare la sovversione, facendo scomparirela sottomissione.

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Le tecniche presentate in questo libro possonoessere utilizzate tutte in maniera varia e differen-ziata. Il modo è una tecnica ausiliaria, che puòessere utilizzata in maniera complementare adun’altra tecnica, per approfondire una ricerca incorso e facilitare la scoperta e la comprensione diuna scena e dei rapporti tra i personaggi. Unastessa tecnica può realizzarsi con modi distinti evariati: ciascuno conserva la sua utilità e le sueproprietà particolari.

Il modo «normale»

Il modo normale è la base reale su cui si faun’improvvisazione. Dico reale e non realistica,perché realistica è una parola troppo carica diconnotazioni di stile teatrale. In una improvvisa-zione si deve mirare alla realtà, non al realismo. Ilprotagonista e gli altri attori devono mirare allaverità e non alla verosimiglianza. Un’improvvi-sazione può essere reale anche se è surrealista,espressionista, simbolica, metaforica. Un’improv-visazione è reale quando è vissuta.

Prima di partire per un’improvvisazionesecondo il modo normale, che serve abitualmen-

te come base per un buon lavoro, colui che con-duce deve accertarsi — insisto su questo punto –che la struttura dell’improvvisazione sia suffi-cientemente teatrale. Poi si sviluppa l’improvvi-sazione: il suo punto di partenza, la crisi e ancheil suo scioglimento possono essere noti senza chetuttavia si sappia — ed è qui la parte improvvisa-ta — come si svolgerà l’azione, quali saranno lesue caratteristiche. Ogni improvvisazione è unaricerca, una scoperta. Perché la ricerca sia efficacela partenza deve essere quanto più possibiledinamica.

Per questo il conduttore deve accertarsiche ogni attore sappia che cosa vuole ogni perso-naggio. Voglio dire che ogni attore è tenuto avivere intensamente il desiderio del personaggio, enon solo ad esibire in scena questo desiderio. Seogni personaggio ha un desiderio intenso, sedesidera intensamente qualcosa — e desiderarepuò essere anche non desiderare... — questi desi-deri entreranno in conflitto e da questo conflittoscaturirà l’azione drammatica.

Se le volontà che mobilitano i personaggisono volontà essenziali — che rinviano a neces-sità reali dei personaggi e non a loro capricci —l’azione drammatica si incamminerà verso lacrisi, il punto in cui deve essere fatta la scelta. Ilpunto di crisi (crisi cinese: nella lingua cinese c’è

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Preliminari per l’utilizzazione delle tecniche

I modi _________________________________________________

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un ideogramma che significa «pericolo» e unaltro che significa «opportunità»: insieme forma-no la parola «crisi») deve essere inteso come ilmomento di sviluppo di una struttura di rapportiumani da cui sono possibili diverse alternative.Generalmente nelle improvvisazioni basate sufatti reali della vita dei protagonisti, quando siarriva a un punto di crisi questi scelgono l’alter-nativa meno conveniente per loro, o quella chenon desiderano e di cui rimpiangeranno le conse-guenze. In generale in questo nocciolo, in questocentro conflittuale si trovano gli elementi piùimportanti della struttura dei rapporti tra i perso-naggi. Si deve perciò studiare questo punto dicrisi, analizzarlo, approfondirlo.

Per raggiungere il punto di crisi è indispen-sabile che la volontà dei personaggi sia intensa. Ilteatro è conflitto perché la vita è conflitto.

Il modo «rompere l’oppressione»

Spesso i partecipanti raccontano storie e propon-gono improvvisazioni in cui il protagonista èestremamente debole, rassegnato, privo di desi-deri. Questo di solito dipende dal fatto che lascena reale «ha già avuto luogo». E, benché tuttociò che ha avuto luogo continui ad avere luogo (congradi di intensità che differiscono secondo l’im-portanza emotiva dell’avvenimento vissuto),spesso il protagonista ha praticamente rinuncia-to: «È così, non c’è niente da fare».

Se davvero non c’è niente da fare non valeneppure la pena di provare. Ma di solito qualco-sa si può fare. L’esperienza dimostra che il prota-gonista, per il solo fatto di raccontare la scenavissuta o di proporre un’improvvisazione, rivelail suo desiderio di riviverla, di trasformarla, diesaminarne varianti e alternative. Dunque, sideve provare.

Può succedere che la prima improvvisa-zione risulti troppo fragile, senza forza, senzainteresse. In questo caso è necessario lavorareperché gli altri partecipanti possano intervenireulteriormente e il protagonista stesso possa rica-

ricarsi del desiderio di trasformare la scena e ten-tare altre alternative. Se ci troviamo davanti adun conflitto troppo debole e poco interessante, lanostra creatività non potrà essere stimolata.Sarebbe come assistere ad un incontro di boxe incui uno dei boxeur entra in scena zoppicandosulle stampelle. È evidente che un incontro cosìnon potrebbe interessarci perché il finale sarebbeprevedibile prima ancora del primo scontro. Cosìper il teatro, e per l’improvvisazione. Il protago-nista deve avere delle possibilità di vincere. Seinvece per la sua connaturata debolezza o per l’e-strema disparità delle forze in conflitto il prota-gonista è inevitabilmente votato alla sconfitta,non siamo masochisti: non lavoriamo teatralmen-te ad una scena che ci condurrà sicuramente alladisperazione.

Il modo rompere l’oppressione consistefondamentalmente nel chiedere al protagonistadi rivivere la scena non come è realmente acca-duta, ma come potrebbe o potrà accadere nelfuturo. Gli antagonisti ovviamente non rimango-no inerti, reagiscono, e la temperatura del conflit-to tenderà a salire. Così, ristabilita la dinamica, lasituazione diventerà più chiara e le alternativepiù evidenti.

Il modo rompere l’oppressione può aiuta-re, ma qualche volta è insufficiente. Perché qual-che volta lo stesso protagonista non conosce onon riconosce o semplicemente non vede deglielementi essenziali della scena. In questo casoutilizziamo il modo fermatevi e pensate!

Il modo «fermatevi e pensate»

Il modo fermatevi e pensate è una tecnica cheutilizzo da molti anni durante le prove per glispettacoli.

Questo modo si fonda sul fatto che, comenon possiamo impedire ai nostri cuori di batteree ai nostri polmoni di respirare, così non possia-mo impedire al nostro cervello di pensare. Inostri sensi funzionano in permanenza: percepia-mo costantemente ciò che tocchiamo, sentiamo

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Le tecniche prospettive

L’immagine delle immagini ______________________________

In un gruppo nuovo è bene cominciare con que-sta tecnica. L’immagine delle immagini può essereutilizzata anche per verifiche periodiche di grup-po. Mette in relazione i problemi individuali, sin-goli, con i problemi collettivi vissuti dal gruppo.

Prima tappa: le immagini individuali

I partecipanti formano gruppi di 4 o 5 persone.Ogni partecipante dovrà immaginare, con unbreve tempo a disposizione, un’oppressioneattuale (che agisce ancora nel presente o chepotrebbe agire di nuovo). Questa immagine puòessere realistica o surrealista, simbolica o metafo-rica. Quello che importa è che sia vera, che siasentita come vera dal protagonista.

Il protagonista scolpisce l’immagine, quin-di prende il proprio posto nell’immagine, e cioèla propria posizione di oppresso. È proibito par-lare durante la costruzione dell’immagine. Perfarsi capire dagli altri il protagonista può usare illinguaggio dello specchio, facendo lui stesso il gestoe l’espressione del viso che vuole vedere ripro-dotto, oppure il linguaggio della scultura, model-lando con le proprie mani l’attore, come uno

scultore con la statua. L’interdizione della parolaè fondamentale per permettere a tutti i parteci-panti di vedere realmente l’immagine. L’immagi-ne è un linguaggio; se si parla, tutte le possibiliinterpretazioni sono ricondotte ad una sola: lapolisemia dell’immagine è distrutta. Mentre laricchezza di questo linguaggio sta proprio nellapolisemia.

Nell’immagine il protagonista deve neces-sariamente tenere la propria posizione di oppres-so. Darà agli altri le posizioni che vuole sia comeoppressori sia come alleati.

Durante questa prima tappa ciascuno deiquattro o cinque partecipanti al piccolo gruppocostruisce, a sua volta, la propria immagine indi-viduale, mentre coloro che sono modellati noncercano di influenzare l’immagine.

Seconda tappa: la sfilata di immagini

Nella seconda tappa il grande gruppo si riunisceal completo ed ogni piccolo gruppo a turno entrain scena, nello spazio estetico, riproponendodavanti a tutti la propria immagine.

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Il conduttore chiede al gruppo che guardadi commentare oggettivamente ogni immagine.Possono essere espressi anche commenti sogget-tivi, ma il conduttore deve sottolineare che sitratta di percezioni individuali, che non devonoin alcun modo essere interpretazioni, ma impres-sioni, ricordi, evocazioni. Se nell’immagine rap-presentata una persona è seduta oppure in piedisi tratta di un dato oggettivo, che potrà esserepercepito soggettivamente in maniere diverse.Perciò il conduttore deve sottolineare la differen-za tra osservazioni del tipo «vedo questo o quel-lo» (ciò che tutti possono vedere); e quelle deltipo «ho l’impressione che...», «mi sembra...».

Poi tutte le immagini devono sfilare una auna davanti a tutto il gruppo. In questa tappa ilconduttore sottolineerà i punti comuni ad imma-gini diverse.

Terza tappa: immagine unica

A questo punto il conduttore proporrà al gruppodi formare con tutte queste immagini un’immagi-ne unica, che ne conterrà gli elementi essenziali.Si può cominciare dall’immagine dell’oppressoprincipale, lo scultore. I partecipanti proporrannouno a uno le proprie immagini dell’oppresso, uti-lizzando il proprio corpo. Si sceglierà la più rap-presentativa del gruppo: la più completa, non «lamigliore», «la più carina», ma la più consensuale.

Può accadere che due immagini sianougualmente rappresentative di due versanti, duecaratteristiche, entrambe essenziali, dell’oppressoprincipale. In questo caso si possono costruiredue gruppi di immagini.

Successivamente si costruiranno attornoall’immagine centrale, una ad una, le altre imma-gini, che saranno in rapporto con l’immaginecentrale e che completeranno il quadro, ripren-dendo gli elementi importanti dell’insieme delleimmagini individuali.

Quarta tappa: la dinamizzazione

Per dinamizzare l’immagine delle immagini ilconduttore deve verificare il grado di interrela-zione attore-immagine:1) Tutti i partecipanti si identificano con le imma-gini che rappresentano? Coloro che risponderan-no positivamente rimarranno nell’immagine. Ilconduttore chiederà allora agli altri partecipantise qualcuno si identifica con le altre immagini,cioè quelle con cui non si identificano gli attoriche le rappresentano. Se qualcuno risponde posi-tivamente, andrà a sostituire i primi.2) Se, malgrado ciò, rimangono immagini con cuinon si è identificato nessun partecipante, il con-duttore chiederà se qualcuno riconosce questeimmagini o personaggi. Il procedimento è lo stes-so: gli attori che le hanno riconosciute restanonell’immagine, quindi, nel caso ancora più raroche rimangano ancora immagini o personagginon riconosciuti, il conduttore porrà la stessadomanda agli altri partecipanti del gruppo.3) Se, caso rarissimo, una o più immagini nonsono riconosciute, il conduttore domanderà —come sempre prima agli attori dell’immagine poiagli altri — se sentono una qualunque risonanzacon queste immagini o personaggi.

Una volta verificate queste interrelazionipartecipanti/immagini, si passa alle tre forme didinamizzazione:

Il monologo interiore — Per circa treminuti (il tempo a disposizione dipenderà dallacreatività del gruppo) tutti gli attori in immaginedevono dire senza interruzione quello che i loropersonaggi pensano in quel preciso istante. Gliattori, immobili, dicono tutto quello che gli vienein mente, non in quanto attori ma in quanto per-sonaggi; cioè tutto quello che concerne la situa-zione teatrale che stanno vivendo. Questo parlareininterrotto può essere molto difficile. Va dettoagli attori, affinché la difficoltà li stimoli. In gene-re dopo la difficoltà iniziale gli attori si abituanoe capita che, alla fine dei tre minuti, molti avreb-bero ancora voglia di continuare. Questa tappanutre enormemente le immagini.

Il dialogo — Per circa tre minuti ancoragli attori, sempre immobili, potranno dialogare.

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Il mondo del TdO si sta evolvendo in direzionidiverse e difficili da capire per la vastità deigruppi e singoli che fanno TdO nel mondo.Tuttavia è emerso con chiarezza nell’ultimo Festi-val Internazionale tenutosi a Graz (Austria) nel-l’ottobre 2009, che ci sono preoccupazioni daparte di alcuni esponenti, tra cui noi, che allamorte di Boal si scivoli rapidamente in un usocommerciale del TdO o come dice il figlio diBoal, Juliàn, nell’uso del TdO addomesticato,come “enterteinment for the oppressed”.Insomma non si cerchi più di usare il TdO percambiare le situazioni di oppressione, ma per intrattenere gli oppressi che ne soffrono.Ci sono gruppi che lavorano per le grandi impre-se, allo scopo di rafforzare il potere del manage-ment sui lavoratori, altri che pur di lavoraredimenticano o annacquano i principi del TdO(strumento di analisi e trasformazione dellesituazioni oppressive) per farlo diventare unsemplice arnese per il dialogo tra oppressi eoppressori.Qui si aprirebbero molte riflessioni sul concettodi oppressione, sui ruoli oppressivi, la collabora-zione con le strutture oppressive e la violenzaculturale oltre che diretta e strutturale.Il dibattito continua e appassiona.Giolli sostiene l’importanza di scegliere per chilavorare, per che obiettivi, con che gruppi.1) Pensiamo che Enti e gruppi dichiaratamentefascisti, razzisti, accusati di maltrattare i lavorato-ri, di non rispettare le condizioni di sicurezza,

oggetto di campagne di boicottaggio, ecc. nonmeritino il nostro intervento.2) Gli obiettivi per cui lavorare sono il secondopunto cruciale; non tutti gli obiettivi vanno beneper il TdO; alcuni lo sviliscono oppure ci sonoaltri metodi più adatti.Riteniamo poi cruciale selezionare la domanda diintervento e ricontrattarla se necessario (peresempio alla richiesta “venite in classe e fate starbuoni i bambini” “venite al collegio docenti e cal-mate il conflitto con la direzione” “Venite in car-cere e intrattenete i detenuti così che abbiano unavalvola di sfogo”, ecc. la risposta non può essereun semplice “Sì”).3) Infine con chi lavorare è una scelta da compie-re consapevolmente: chiunque? Solo gruppi chesi sentono oppressi? Solo gruppi che riteniamooppressi? Il dibattito è complesso, ma non si può sfuggire adelle scelte etico-politiche. Il TdO non porta un’ideologia né le soluzionidall’esterno, le aiuta a cercare, assieme, dialogan-do. Ma questo non significa che non abbia deivalori (dialogo paritario, coscientizzazione, soli-darietà, non discriminazione, ecc.) e che quindinon abbia una posizione da cui legge gli interve-neti da compiere.

In tal senso anni fa era stato presentato da Boaluna carta dei principi, visibile anche sul nostrosito, di cui indichiamo qui alcuni elementi a mioavviso essenziali:

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Postfazione

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“I.T.O.O.”ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALEDEL TdO DICHIARAZIONE DEI PRINCIPI

Preambolo1) Lo scopo base del TdO è umanizzare l’Uma-nità2) Il TdO è un sistema di Esercizi, Giochi e Tecni-che basate sul Teatro Essenziale, per aiutareuomini e donne a sviluppare ciò che loro giàhanno dentro se stessi: il teatro.

… omissis …

Principi e obiettivi13) Il TdO è un movimento mondiale non-violen-to ed estetico che cerca la pace, non la passività.14) Il TdO cerca di attivare la gente in un tentati-vo umanistico espresso dal suo vero nome: teatrodi, da, e per l’oppresso. Un sistema che rendecapace la gente di agire nella finzione del teatroper diventare protagonista, cioè soggetto attivo,della propria vita.15) Il TdO non è né un’ideologia né un partitopolitico, non è dogmatico né coercitivo, ed èrispettoso di tutte le culture. È un metodo di ana-lisi e un mezzo per sviluppare società più felici.A causa della sua natura umanistica e democrati-ca, esso è largamente usato in tutto il mondo, intutti i campi di attività sociale come: educazione,cultura, arte, politica, lavoro sociale, psicoterapia,programmi di alfabetizzazione e salute.Nell’allegato a questa Dichiarazione dei Principi,sono elencati una serie di progetti esemplari perillustrare la natura e lo scopo del suo uso.16) Il TdO è ora usato in circa metà delle nazionidel mondo, elencate nell’allegato, come uno stru-mento per forgiare scoperte circa se stessi e circal’Altro, per chiarificare ed esprimere i nostri desi-deri; uno strumento per il cambiamento delle cir-costanze che producono infelicità e pena, e perl’intensificazione di ciò che porta pace; per rispet-tare le differenze tra gli individui e gruppi e perincludere tutti gli esseri umani nel Dialogo; e infi-ne uno strumento per ottenere giustizia economi-ca e sociale, che è il fondamento della vera demo-

crazia. In sintesi, l’obiettivo generale del TdO è losviluppo dei Diritti Umani fondamentali.

… omissis …

Roberto Mazzini

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9 788861 5 31 642

Euro 16,50 (I.i.)

In copertina disegno di Silvio Boselli ISBN 978-88-6153-164-2

L’Arcobaleno del desiderio è la raccolta sistematica delle tecniche del Teatrodell’Oppresso nelle sue applicazioni alla realtà europea. Nel Teatrodell’Oppresso lo spettatore è aiutato a liberarsi dai veti e dalle repressionifrutto di una ingiusta struttura sociale, indicati da Boal con il termine flics(poliziotti).In un contesto come quello europeo, dove i bisogni materiali sembrano esseresoddisfatti, l’oppressione assume caratteristiche di tipo psicologico. I poliziottiesercitano la loro funzione di sorveglianza o repressione in modo molto piùpersuasivo e sottile, nella testa di ciascuno di noi, e il teatro diviene, nellaprovocatoria proposta di Boal, tecnica assai efficace per liberarsi dai flics chedanzano nella testa. La sua funzione terapeutica trasforma il disagio senzanome degli spett-attori in un “desiderio” incomprensibile di liberazione, cheloro stessi organizzano sulla scena. Ancora una volta il teatro si offre comeun fecondo strumento di cambiamento sociale assolutamente unico.

Augusto Boal (1931-2009) è stato il fondatore del teatro Arena di San Paoloe ha scritto diverse opere teatrali con Chico Barque. Ha pubblicato Théatrede l’opprimé e Jeux acteurs et non-acteur, tradotti in trentacinque lingue; in essiespone i metodi presentati nei suoi stage di formazione e diffusi ormai intutto il mondo. Con la meridiana ha pubblicato Dal desiderio alla legge. Manualedel teatro di cittadinanza (2002) e Il poliziotto e la maschera. Giochi, esercizi etecniche del Teatro dell'Oppresso (2009)

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