Relazioni di prossimità, framework, keying, … Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 18 Nella...
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Relazioni di prossimità, framework, keying,
transazioni, triangoli incrociati d’identità
1 Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011
In senso sociologico, il bullismo è una forma di
oppressione che si realizza, attraverso la violenza
psicologica e fisica, nella relazione.
L’oppressione si riferisce a fenomeni strutturali che
stabilizzano un gruppo attraverso le azioni reciproche dei
suoi stessi membri, e stabilite dai “copioni specifici" del
carnefice, della vittima, dello spettatore. Essa definisce
uno stato relazionale nel quale una o più persone non sono
in grado di manifestare liberamente ciò che sono e cosa
vogliono. Come scrive Marylin Friye, essa designa «una
soffocante struttura di forze e di barriere che tende ad
immobilizzare e a limitare un gruppo o una categoria di
persone» (Frye 1983: 11).
2 Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011
La posta in gioco è l’accettazione reciproca e la
permanenza nel gruppo con la conseguente
creazione di un’identità all’interno dello stesso
gruppo.
Molti individui, oggi più che in passato, subiscono
l’oppressione di una violenza sistematica, vivono
nella consapevolezza di poter essere oggetto di
aggressioni ingiustificate e di restrizioni della
propria libertà di agire, determinate –queste
ultime - dalla volontà altrui di mortificare,
danneggiare e umiliare la propria persona,
all’interno di un gruppo.
3 Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011
Accettare l’oppressione per molti di loro equivale
ad esercitare il diritto all’identificazione con gli
oppressi e/o con gli oppressori all’interno di un
gruppo che li rende visibili. Appartenere ad un
gruppo, significa, qualunque sia il ruolo, il copione
che si dovrà impersonare nel gruppo, ex-sistere,
venire fuori da una condizione e da una auto-
percezione di inesistenza soggettiva.
L’ipotesi del lavoro condotto assume il bullismo
come variabile determinata da uno stato di
oppressione causato dalla condizione di incertezza
identitaria propria di molti adolescenti.
4 Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011
Tutte le forme d’interazione fanno ricorso al FRAMING. Il
FRAME consente di attribuire un significato alle esperienze,
di incorniciare le situazione quotidiane dando, attraverso
questa operazione di “incorniciamento”, un significato alle
interazioni.
Il FRAME è una cornice all’interno della quale i
partecipanti assumono specifici ruoli. Essa non è una
cornice/struttura statica. É, al contrario, un FRAMEWORK.
La capacità di adeguarsi ad un determinato frame non è
innata, bensì acquisita. La dinamica con la quale “ci
rendiamo partecipi” di determinate esperienze entro
specifici schemi interpretativi è, appunto, indicata da
Goffman con il termine FRAMEWORK (Frame Analysis, 1974) .
5 Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011
Il FRAMEWORK costituisce una vera e propria attività di
adeguamento alla realtà che viene realizzata da tutti
coloro che sono reciprocamente legati dalle medesime
esperienze in un medesimo contesto.
Trasforma i “modi della relazione” in “abitudini
comportamentali acquisite” o “life-styles” o “rituali”.
Nel caso dell’azione violenta, il FRAMEWORK PRIMARIO si
identifica nella possibilità stessa, offerta ai
partecipanti, di essere riconosciuti nel ruolo
impersonato, nella possibilità di impersonare una
maschera qualunque essa sia all’interno di quello
stesso FRAME.
6 Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011
Tuttavia, nonostante la realtà sia fondamentalmente
una costruzione sociale, essa stessa è caratterizzata
da un polimorfismo interpretativo.
La realtà, cioè, può assumere forme differenti a
seconda del punto di vista che si assume.
Se gli attori – il carnefice, la vittima, lo spettatore –
rendono possibile la messa in scena di quel
determinato “rituale” (proprio perché la violenza
all’interno della relazione è reiterata e non
occasionale), ciò avviene per quella che Gallino (2002)
qualche anno fa ha definito come “responsabilità
cognitiva”.
7 Ignazia Bartholini, Cosenza 7 0ttobre 2011
La RESPONSABILITÀ COGNITIVA indica che i modelli
impiegati per capire, interpretare il mondo, la società, i
processi sociali, e il ruolo stesso dei partecipanti alle
interazioni, sono suscettibili di scelta da parte dei
partecipanti all’interazione che ne sono responsabili.
I ruoli non sono quindi suggeriti, o dettati, o imposti dal
contesto, ma sono il prodotto di un’interpretazione
volontaria e incrociata della realtà.
Goffman evidenzia la necessità dell’attore, di prendere
parte alla scena, al fine di ottenere un riconoscimento
di ruolo, ed evidenzia pure la necessità dei partecipanti
di costruire una situazione nella quale a ciascuno sia
data la possibilità di recitare.
8 Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011
Erich Berne (1910-1970), fondatore della psicologia
transazionale, condivide con Goffman il corollario secondo
cui, partendo dall’ipotesi che ciascuno, in quanto attore,
reciti quotidianamente delle parti come se fosse sul
palcoscenico di un teatro.
Se però l’analisi di Goffman è centrata soprattutto sulla
diade sull’ATTORE/PERSONAGGIO e sulla sua capacità di
adeguarsi alla PARTE/RUOLO che dovrà impersonare, affinché
anche gli altri attori, e soprattutto gli spettatori, vengano
coinvolti all’interno della drammatizzazione; Berne è
interessato ad analizzare le STRATEGIE che rendono possibile
il radicamento, lo stabilizzarsi della relazione e dei ruoli
individuati.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 9
Nella “relazione di prossimità” presa in esame, coetanei
a vario titolo (compagni di scuola così come
appartenenti alla medesima comitiva, ragazzi dello
stesso quartiere o frequentanti gli stessi luoghi di ritrovo
e palestre) sono interagenti nello stesso contesto.
Tale relazione prevede, da parte degli attori coinvolti,
l’accettazione dei ruoli di vittima, carnefice e
spettatore.
Spettatori, nel caso di un gruppo di coetanei, sono
alcuni degli stessi compagni non coinvolti direttamente
nella dinamica vittima-carnefice, ma che assumono un
ruolo necessario allo stabilizzarsi della relazione.
Ignazia Bartholini,, Cosenza 7 ottobre 2011 10
La violenza è sia uno strumento di regolazione dei
rapporti, che una forza sociale autonoma in grado di
dare significato alla realtà.
Per la prima definizione, la violenza è finalizzata
all’ottenimento di un potere maggiore o è volta a
riequilibrare il potere fra gli attori coinvolti.
La seconda definizione rimanda invece alla possibilità
stessa che la violenza, in quanto forza strutturante la
relazione, coinvolga i partecipanti conferendo ad essi
un ruolo – vittima, carnefice, spettatore – e dunque
un’identità
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 11
In una prospettiva interazionista le persone attribuiscono determinati significati a ciò che li circonda in base all’interazione con gli altri e all'interpretazione che viene negoziata nel corso dell’interazione (Blumer 1969).
Nell’attribuire un significato alle azioni che si esplicitano all’interno della relazione, ciò che viene coinvolto non è solo il significato simbolico a cui l’azione rimanda, ma i ruoli che all’interno della performance forniscono a vario titolo un’identità ai partecipanti.
La violenza agita all’interno del frame, prevede l’accettazione di specifici ruoli da parte dei soggetti coinvolti. Fra loro si determina una “reciproca referenza”, un interfacciarsi – framework - dei ruoli impersonati, reso accettabile dalla stessa posta in gioco: la conquista di un’identità riconosciuta e in cui riconoscersi.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 12
La violenza agita all’interno di un frame diviene un vero
proprio framework primario.
I framework primari, che descrivono una sorta di
“cosmologia” o “sistema di credenze” riferibili ad un
gruppo, rappresentano il primo passo per “capire” una
situazione, riproducendo per Goffman il principio
organizzatore con cui il mondo della “realtà quotidiana” è
“verificato” dalla comprensione intersoggettiva.
«Le prospettive primarie, naturali e sociali,
disponibili ai membri di una società come la nostra,
influenzano più che i soli partecipanti a un’attività; GLI
SPETTATORI CHE GUARDANO SEMPLICEMENTE SONO ANCHE
PROFONDAMENTE COINVOLTI».
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 13
La violenza connota alcune specifiche relazioni della vita quotidiana; fungendo da sostrato stesso della relazione, ad essa si lega la dimensione cognitiva, educativa, culturale che ne fa una struttura primaria.
Il framework è reso possibile attraverso un vero e proprio codice interpretativo.
Ogni gruppo, come osserva Goffman, ha un suo codice specifico che lo caratterizza e lo distingue dagli altri (ad esempio, nel gruppo dei barboni, il rifiuto sistematico del lavoro).
Il KEYING è un procedimento in virtù del quale certe attività possono venir definite in modi diversi (ad esempio, una situazione che può essere definita sia come sport sia come lavoro).
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 0ttobre 2011 14
Il key è un elemento del framework: mentre il frame
permette d’incorniciare la situazione, di costruire una
dinamica relazionale, il key permette di “entrare
dentro” la situazione e cogliere le implicazioni e le
sfumature implicite in essa e, quando necessario di
spostare l’angolo visuale con cui interpretare la
situazione.
Le relazioni fra gli attori sono rese accettabili e
condivisibili in base alla prospettiva assunta attraverso
«l’insieme di convenzioni sulla base delle quali una data
attività, già significativa viene trasformata in qualcosa
di modellato su questa attività ma visto dai partecipanti
come qualcos’altro (keying)».
Ignazia Bartholini, Corso di Sociologia 15
Goffman introduce anche i MARCATORI o “parentesi”, che consentono ai partecipanti alla situazione di essere consapevoli di ciò che sta avvenendo.
Grazie alla presenza dei MARCATORI, i partecipanti comprendono qual è la posta in gioco della drammatizzazione in atto e i suoi eventuali capovolgimenti.
Il MARCATORE è simile al sipario del teatro, esso rappresenta una parentesi che invita a mettere in chiave “teatrale” ciò che stiamo per vedere.
Goffman sostiene che siamo responsabili cognitivamente del modo in cui scegliamo le intelaiature concettuali, i frames attraverso i quali modelliamo la realtà, dopodiché la interpretiamo, la definiamo e infine la giudichiamo.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 16
Nel caso dell’azione violenta il framework primario è
dato dalla stessa accettazione condivisa dei ruoli
predisposti e nella accettazione di una maschera da
impersonare all’interno di quello stesso frame.
Goffman evidenzia soprattutto la necessità, da parte
dell’attore, di prendere parte alla scena al fine di
ottenere un riconoscimento del ruolo impersonato. Ma
evidenzia pure la necessità, da parte dei partecipanti, di
porre in essere una situazione nella quale a ciascuno è
data la possibilità di recitare.
In una grande cattedrale ognuno di noi occupa una
nicchia... ed a tutti farebbe piacere se qualcuno gli
accendesse davanti un lumino!
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 17
Erich Berne (1910-1970), fondatore della psicologia
transazionale, condivide con Goffman il corollario secondo
cui, partendo dall’ipotesi che ciascuno, in quanto attore,
reciti quotidianamente delle parti come se fosse sul
palcoscenico di un teatro.
Se però l’analisi di Goffman è centrata soprattutto sulla
diade sull’ATTORE/PERSONAGGIO e sulla sua capacità di
adeguarsi alla PARTE/RUOLO che dovrà impersonare, affinché
anche gli altri attori, e soprattutto gli spettatori, vengano
coinvolti all’interno della drammatizzazione; Berne è
interessato ad analizzare le STRATEGIE che rendono possibile
il radicamento, lo stabilizzarsi della relazione e dei ruoli
individuati (copioni) attraverso le transazioni.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 18
Nella prospettiva di Berne quasi tutte le attività umane sono programmate in base a qualche “ruolo” impersonabile.
Si ha una transazione complementare quando, da uno stimolo transazionale di un individuo X (una frase, un gesto, un'espressione del volto, un'azione) viene sollecitata una risposta transazionale di un altro individuo Y; risposta che diventa a sua volta stimolo per X, la cui ulteriore risposta diventa nuovo stimolo per Y.
In questo modo si innesta una catena nella quale è possibile individuare le modalità comportamentali dei soggetti interessati che costituiscono una sequenza in gran parte prevedibile.
Diverso è il caso delle transazioni incrociate fra stati non congruenti che interrompono la comunicazione.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 19
Berne condivide il corollario di Goffman secondo cui,
partendo dall’ipotesi che ciascuno, in quanto attore,
viva i suoi giorni recitando delle parti come se fosse sul
palcoscenico di un teatro, è interessato a fare la sua
parte quanto più a lungo possibile.
-«Ovunque vi siano delle persone riunite, ognuna di esse
cerca di interpretare il suo “ruolo”. Vi sono coloro che
si dimostrano calmi e freddi, quelli che giocano a fare
gli intellettuali, quelli che cercano aiuto e quelli che
invece lo offrono» (Berne, Ciao…e poi? 1997[1976]).
A giudizio di Berne, chi ha adottato un certo ruolo si
aspetta che le persone da lui scelte – coniuge, amici
etc.- siano propensi a recitare il ruolo complementare.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 20
Se però l’analisi di Goffman è centrata soprattutto
sull’attore/personaggio e sulla sua capacità di adeguarsi
alla parte che dovrà impersonare affinché anche gli altri
attori e, soprattutto gli spettatori, vengano coinvolti
all’interno della drammatizzazione, Berne è interessato
ad analizzare le strategie che rendono possibile il
radicamento della relazione.
La RELAZIONE, cioè il frame goffmiano, è il prodotto di
reciproche aspettative individuali che si incontrano in un
agire dinamico, comunicativo-transazionale.
La TRANSAZIONE, cioè il frame berniano, è l’unità
fondamentale del rapporto sociale, dalla cui partecipa-
zione ciascuno desidera trarre un vantaggio soggettivo.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 21
L’analisi transazionale, oltre ad essere una «teoria della
personalità», è soprattutto una «teoria del rapporto
sociale» basata sull’analisi di tutte le transazioni possibili
fra due o più soggetti, dalle profonde implicazioni
sociologiche.
La transazione avviene all’interno di un gruppo in cui si
realizza il «bisogno di struttura» da parte dell’attore,
mediante quelle sensazioni che solo gli esseri umani
possono offrire («bisogno di riconoscimento»); e
mediante quegli stimoli che portano piacere («bisogno di
stimolo e sensazione»).
Tali bisogni sottolineano l’importanza della componente
sociale dell’essere umano che avvengono attraverso
strutturazioni (copioni).
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 22
All’interno di una transazione, il copione indica una
complessità, un modo di narrarsi in relazione alle attese
e alle pretese altrui nonché un modo di strutturarsi nel
tempo attraverso «sei classificazioni a breve scadenza»:
a. l’isolamento,
b. i rituali,
c. le attività,
d. i passatempi,
e. i giochi,
f. l’intimità.
Una strutturazione può avvenire per periodi più o meno
lunghi (mesi, anni, tutta una vita) a seconda delle
esigenze di strutturazione del soggetto.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 23
Il tipo di relazione individuata da Berne si definisce
transazione soprattutto «perché ognuna delle due
parti in causa ne ricava qualcosa che è poi la ragione
per cui vi si impegna» (Berne, Ciao...e poi?).
Rituali, passatempi, attività, giochi e intimità,
rappresentano, secondo Berne, l’intero spettro di
opzioni comunicative di cui gli individui dispongono,
quando entrano in relazione gli uni con gli altri
attraverso transazioni.
Berne spiega che ciò che si ricava dalla transazione è
appunto una “carezza” (stroke), intendendo con ciò
«ogni atto che implichi il riconoscimento di un’altra
persona» (Berne, A che gioco giochiamo?) .
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 24
Nel linguaggio berniano, le relazioni fra gli attori
prendono il nome di TRANSAZIONI DI TIPO PARALLELO, quando
le richieste reciproche attivate comunicativamente,
coinvolgono aspetti congruenti degli attori.
Prendono il nome di RELAZIONI INCROCIATE, quando
coinvolgono aspetti non congruenti ma necessari o utili
al bisogno di ruolo .
Nel caso della violenza nelle relazioni fra pari, a mio
giudizio, possiamo quindi immaginarci che ciascun
partecipante – carnefice, vittima, spettatore –
sperimenti il ruolo necessario al soddisfacimento di un
bisogno di riconoscimento, e che tale ruolo sia
congruente al raggiungimento dello scopo.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 25
Quando, tuttavia, è possibile azzardare l’ipotesi che la
relazione violenta imploda o si autodistrugga?
La risposta a questa domanda, fondamentale a che la
performance si concluda nel più breve tempo possibile,
dipende dalla tenuta della transazione complementare
o della sua trasformazione in transazione incrociata.
Il che può accadere solo quando il framework su cui si
innesta ha esaurito la sua capacità di soddisfare le
esigenze di ruolo di tutti i partecipanti coinvolti, ovvero
quando la performance di ciascuno non soddisfa più le
esigenze di scena, quando l’attore non è più in sintonia
con il co-protagonista o non soddisfa più le esigenze del
pubblico. E. ultima ma cruciale possibilità, quando lo
spettatore si trasforma nel salvatore.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 26
Nell’analisi di Berne, è necessario soffermarci sul COME
l’io, assumendo un ruolo per il riconoscimento del Sé,
dispieghi una valenza triadica.
Il comportamento di una persona, all’interno di una
transazione, proviene da uno dei suoi tre stati dell’Io o
modelli di comportamento:
a. stato dell’Io Genitore (piano normativo dell’agire,
spesso introiettato acriticamente) .
b. stato dell’Io Bambino (piano emozionale delle
reazioni, tipico dell’età infantile) .
c. stato dell’Io Adulto (piano del “qui ed ora”, in cui si
gestisce nel modo quanto più possibile oggettivo il
rapporto con la realtà). Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 27
Lo stato del genitore – normativo o affettivo - è una
specie di registratore: è una raccolta di codici pre-
registrati, di strumenti categoriali con cui ci si giudica in
anticipo, di preconcetti che indirizzano la vita del
soggetto in questione.
In questo stato i soggetti che agiscono nel ruolo di
vittima e carnefice, giustificano le proprie condotte con
la formula:
a. «subisco la violenza perché la merito» - vittima,
b. «uso violenza perché se la merita» - persecutore.
In questo stato, nell’interagire violento, la persona vive
senza l’ausilio degli stati del bambino o dell’adulto,
privo quindi dei due terzi di tutto il suo potenziale.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 28
Nello stato del Bambino, agiamo come agirebbe il
fanciullo della nostra infanzia.
Quando il Bambino è affettuoso o scontroso, impulsivo,
spontaneo o giocoso, viene detto Bambino Naturale.
Quando è pensoso, creativo, ingegnoso è detto il Piccolo
Professore. Se ha paura, si sente in colpa o si vergogna
è detto Bambino Adattato.
Il Bambino prova tutte le emozioni: paura, amore,
rabbia, gioia, tristezza, vergogna e così via.
Nel caso di una relazione violenta, la transazione
incrociata deve i ruoli del «bambino» e dell’ «adulto»
trovarsi a condividere una storia che, per un certo
periodo di tempo soddisfa tutte le esigenze dei soggetti.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 29
Tralasciando lo stato dell’io adulto che consentirebbe
l’esplicitarsi di transazioni non problematiche né
patologiche, l’azione reiteratamente violenta fra pari
facenti parte di un gruppo prevede nella congruenza
(complementarietà degli stati dell’io bambino) i ruoli
fondamentali del Persecutore, della Vittima e dello
Spettatore.
Berne non parla di Spettatore, bensì di Salvatore, ma a
nostro giudizio il Salvatore è il possibile sviluppo del
ruolo dello spettatore nel triangolo drammatico.
Lo spettatore (futuro Salvatore) è il prodotto dell’io
adulto che trasforma la relazione complementare fra
l’io-bambino della vittima e l’io bambino del
persecutore in una relazione incrociata.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 30
Com’è facilmente comprensibile, la transazione
complementare vittima-persecutore, presente quasi
sempre in una situazione di violenza, fa sì che lo
spettatore assuma il ruolo di genitore che consente la
violenza come necessaria, meritata, oppure
routinaria.
Lo spettatore-genitore può approvare la violenza
attribuendo alternativamente una carezza al
persecutore e alla vittima.
Può successivamente trasformarsi in salvatore quando le
ingiunzioni e le attribuzioni fornite al persecutore e alla
vittima si capovolgono da positive (OK) in negative (non
OK) .
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 31
E’ lui che con lo sguardo l’approva, approva il gioco di
ruolo fra vittima e carnefice e approva la transazione.
Berne la descrive la transazione come «la sola risposta
soddisfacente alla fame di stimolo, di
riconoscimento, di struttura».
Lo stimolo ha a che fare con un livello concreto
dell’altro come soggetto di bisogno che vuole essere
gratificato.
Il riconoscimento del ruolo congruente consente la
strutturazione della relazione, e perché ciò avvenga la
relazione necessita di una strutturazione nel tempo
attraverso il ruolo cruciale dello spettatore.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 32
E’ lo spettatore che fa sì che un gruppo di coetanei che
condividono una fase prolungata dell’esistenza, possa
rendere accettabile il reiterarsi della violenza come
espressione di una comunicazione patologica.
É possibile pensare che la posta in gioco per
l’attribuzione/accettazione di un ruolo sia contenuta nel
binomio in group/out group.
Ora, se in una situazione normale, “lo stare dentro” o
“lo stare fuori” la relazione in base all’accettazione dei
ruoli, è la causa del fallimento di un’amicizia o della sua
conferma; nella transazione di Berne come nel
framework di Goffman, il fallimento è nel “non saper
stare nel ruolo” o nella transazione non riuscita.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 33
Ciò che va sottolineato è il fatto che ogni aspirazione
identitaria, per potersi realizzare, necessita almeno due
persone, i cui ruoli (o identità transazionali) si
combinino tra loro.
Il “persecutore”, ad esempio, non può continuare a
impersonare questo ruolo senza almeno una “vittima”.
La “vittima”, a sua volta, sarà attratta dal carnefice e,
in taluni casi, cercherà anche il suo “salvatore”.
Berne però, come abbiamo visto, individua anche la
figura del salvatore. Il “salvatore” come terzo che a sua
volta, cercherà il prototipo della “vittima da salvare”.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 34
Il triangolo berniano dà una particolare rilevanza al
ruolo del “salvatore”, il quale, nel cercare di modificare
la relazione fra vittima e persecutore, fa sì che sia l’uno
e l’altro non elaborino in senso evolutivo i loro ruoli:
A. la vittima rimarrà tale e quindi si fisserà nel ruolo
impersonato, finché il salvatore non verrà a salvarla
appunto,
B. il persecutore continuerà ad abusare e maltrattare la
vittima, per ottenere un’identità anche se negativa.
Anche quando la vita è guidata da un copione, vi sono
sempre dei periodi in cui la persona sembra sfuggire al
suo infelice destino. Questo periodo che appare normale
è detto controcopione.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 35
Il controcopione è in funzione quando il piano di vita
infelice lascia spazio ad un periodo più felice. Ad
esempio, quando l’azione violenta si allenta o ha un
periodo di stasi. Questo però è solo temporaneo ed
invariabilmente si verifica un crollo che riporta al
copione originario. Nel caso di un alcolista, ci potrebbe
essere un periodo di sobrietà; per una persona depressa
con un copione di suicidio ci potrebbe essere un breve
periodo di felicità, che inevitabilmente termina quando
le ingiunzioni del copione prendono il sopravvento.
Lo spettatore però, proprio perché è quello che nel
triangolo vive un investimento emotivo minore, potrà
non essere disposto a rivivere la situazione determinata
all’interno dell’analisi transazionale. Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 36
La ricerca condotta a fin qui rilevato come di fatto, i
protagonisti alla relazione violenta non agiscono se non
attraverso azioni che hanno nelle loro persone fisiche e
mentali, la causa, il mezzo e la finalità stessa del
riconoscimento identitario (Honneth 2005).
L’io non può più considerarsi come un’entità delimitata,
ma come “qualcosa” che è legato ad altri (Buttler 2009).
L’altro è strumentale alla sopravvivenza di chi,
esercitando un potere distruttivo, di fatti edifica la
propria identità e contribuisce reversibilmente
all’identificazione altrui.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 37
Poiché ciascun individuo (ego state) non può
riconoscersi da solo, ma come “qualcuno” che è legato
ad altri (Buttler 2009), ogni io io-vittima ha bisogno di
un io carnefice e potenzialmente complementare.
Le interviste ad adolescenti vittime di violenza
confermano l'ipotesi di una violenza agita all'interno di
relazioni fra individui che hanno necessità di
appropriarsi di un’identità attraverso l'utilizzo di copioni
(Goffman) e di ruoli complementari (Berne).
L’esposizione, attraverso cui ogni dinamica relazionale
sui generis ha un suo “palcoscenico” e i suoi spettatori,
ha di fatto dissolto la dicotomia tradizionale tra
pubblico e privato.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 38
Alcune testimonianze:
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 39
«Quando mi attaccavano c’erano altre persone, però non hanno fatto nulla; ad eccezion
fatta della mia migliore amica. Gli altri avevano troppa paura di loro tre per difendermi.
Perché se mi avessero difesa, se la sarebbero presa anche con loro» (Noemi).
«Quando accadevano gli episodi di violenza, GLI ALTRI non reagivano per paura … ed una
volta finito l’episodio di violenza qualcuno si avvicinava per consolarmi, ma davvero
pochi» (Giuseppe).
«Quando mi attaccavano, altri guardavano. Stavano a guardare, lì, ciascuno al posto suo,
come degli stronzi, senza dire nulla, senza reagire, senza arrabbiarsi ma anche i loro
sorrisi e le loro risate sembravano finti» (Francesco).
«Un giorno Giuseppe, che si avvicinava a me solo di nascosto, quando Paolo e Salvatore
non lo vedevano, mi ha detto: la prossima volta andiamo dalla Nacci e poi dal Preside,
anzi prima dal Preside e la smettiamo con questa storia» (Marco).
«Poi si sono stancate di divertirsi, Lucia e Giovanna, le amiche di Giusy si sono stancate,
non ridevano più e una volta, mentre come al solito mi mettevo a piangere stanca di
rispondere, perché loro erano in tre ed io da sola hanno detto «piantala!» (Michela)
Con tutta evidenza, i contributi di Goffman e di Berne ci
fanno comprendere come nessun individuo sia
totalmente libero e come ciascuno di noi assuma un
ruolo all’interno di specifiche drammatizzazioni. Lo
snodo è nel trasformare lo spettatore in io salvatore.
Una posizione all’interno di una relazione è un ruolo che
un individuo tenderà a impersonare nel corso della sua
vita dentro quella stessa relazione.
La parte/posizione/ruolo dell’individuo nel copione, sia
quella del vincitore (il principe) o del perdente (il
ranocchio), è determinata da una richiesta di “carezze”
o di riconoscimenti. Lo spettatore è, rispetto alle altre
due figure, in deficit di carezze e può trasformare
quindi la transazione da complementare in incrociata.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 40
Poiché lo spettatore è colui che non riceve
riconoscimenti diretti nella relazione triagolare è
possibile che il bisogno di «carezze» lo trasformi nel
salvatore. Finché lo spettatore renderà possibile la
violenza non sarà possibile uscire dall’empasse.
Trasformare lo spettatore il salvatore prevede la fusione
della triangolazione.
Sartre ha descritto questa dimensione dinamica
dell’agire di relazione con l’espressione “gruppo di
fusione”, individuando un’unità che si mantiene tale
nella misura in cui la temperatura di fusione consente il
movimento di ciò che altrimenti tornerebbe a
solidificarsi determinando uno stato inerziale.
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 41
In un contesto di triangolarità violenta, la scena finale,
è già prevista dalle scene precedenti; il “ciak-si gira”
del frame ha già previsto il “the end”, anche se tragico.
Il triangolo può interrompersi solo facendo leva sul ruolo
dello spettatore che può:
a. giustificare la scena con la sua approvazione indiretta
(io genitore – transazione convergente);
b. immedesimarsi nella scena alla ricerca di emozioni e
gratificazioni empatiche (io bambino – transazione
convergente)
c. far implodere la scena, trasformandosi in salvatore,
per un bisogno espresso e diretto di carezze (io adulto –
transazione incrociata).
Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 42
L’Adulto decide (o dovrebbe decidere) quale stato
d’animo far affiorare nei vari momenti, qual è l’insieme
di atteggiamenti più appropriato in un determinato
contesto.
Noi tutti sentiamo necessario comportarci talvolta in
base ai dettami del genitore, altre volte abbiamo
bisogno di esprimerci con la spontaneità del bambino,
altre ancora dobbiamo valutare criticamente la realtà.
Quando lo spettatore, considererà inaccettabile
fossilizzarsi nella dinamica indiretta dello spettatore,
potrà svolgere una funzione atta a scardinare la
relazione fra ruoli congruenti. Perché questo accada
famiglia, scuola e società degli adulti deve ripensare le
proprie funzioni e ricostiture la propria immagine adulta Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 43