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Relazioni di prossimità, framework, keying, transazioni, triangoli incrociati d’identità 1 Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011

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Relazioni di prossimità, framework, keying,

transazioni, triangoli incrociati d’identità

1 Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011

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In senso sociologico, il bullismo è una forma di

oppressione che si realizza, attraverso la violenza

psicologica e fisica, nella relazione.

L’oppressione si riferisce a fenomeni strutturali che

stabilizzano un gruppo attraverso le azioni reciproche dei

suoi stessi membri, e stabilite dai “copioni specifici" del

carnefice, della vittima, dello spettatore. Essa definisce

uno stato relazionale nel quale una o più persone non sono

in grado di manifestare liberamente ciò che sono e cosa

vogliono. Come scrive Marylin Friye, essa designa «una

soffocante struttura di forze e di barriere che tende ad

immobilizzare e a limitare un gruppo o una categoria di

persone» (Frye 1983: 11).

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La posta in gioco è l’accettazione reciproca e la

permanenza nel gruppo con la conseguente

creazione di un’identità all’interno dello stesso

gruppo.

Molti individui, oggi più che in passato, subiscono

l’oppressione di una violenza sistematica, vivono

nella consapevolezza di poter essere oggetto di

aggressioni ingiustificate e di restrizioni della

propria libertà di agire, determinate –queste

ultime - dalla volontà altrui di mortificare,

danneggiare e umiliare la propria persona,

all’interno di un gruppo.

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Accettare l’oppressione per molti di loro equivale

ad esercitare il diritto all’identificazione con gli

oppressi e/o con gli oppressori all’interno di un

gruppo che li rende visibili. Appartenere ad un

gruppo, significa, qualunque sia il ruolo, il copione

che si dovrà impersonare nel gruppo, ex-sistere,

venire fuori da una condizione e da una auto-

percezione di inesistenza soggettiva.

L’ipotesi del lavoro condotto assume il bullismo

come variabile determinata da uno stato di

oppressione causato dalla condizione di incertezza

identitaria propria di molti adolescenti.

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Tutte le forme d’interazione fanno ricorso al FRAMING. Il

FRAME consente di attribuire un significato alle esperienze,

di incorniciare le situazione quotidiane dando, attraverso

questa operazione di “incorniciamento”, un significato alle

interazioni.

Il FRAME è una cornice all’interno della quale i

partecipanti assumono specifici ruoli. Essa non è una

cornice/struttura statica. É, al contrario, un FRAMEWORK.

La capacità di adeguarsi ad un determinato frame non è

innata, bensì acquisita. La dinamica con la quale “ci

rendiamo partecipi” di determinate esperienze entro

specifici schemi interpretativi è, appunto, indicata da

Goffman con il termine FRAMEWORK (Frame Analysis, 1974) .

5 Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011

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Il FRAMEWORK costituisce una vera e propria attività di

adeguamento alla realtà che viene realizzata da tutti

coloro che sono reciprocamente legati dalle medesime

esperienze in un medesimo contesto.

Trasforma i “modi della relazione” in “abitudini

comportamentali acquisite” o “life-styles” o “rituali”.

Nel caso dell’azione violenta, il FRAMEWORK PRIMARIO si

identifica nella possibilità stessa, offerta ai

partecipanti, di essere riconosciuti nel ruolo

impersonato, nella possibilità di impersonare una

maschera qualunque essa sia all’interno di quello

stesso FRAME.

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Tuttavia, nonostante la realtà sia fondamentalmente

una costruzione sociale, essa stessa è caratterizzata

da un polimorfismo interpretativo.

La realtà, cioè, può assumere forme differenti a

seconda del punto di vista che si assume.

Se gli attori – il carnefice, la vittima, lo spettatore –

rendono possibile la messa in scena di quel

determinato “rituale” (proprio perché la violenza

all’interno della relazione è reiterata e non

occasionale), ciò avviene per quella che Gallino (2002)

qualche anno fa ha definito come “responsabilità

cognitiva”.

7 Ignazia Bartholini, Cosenza 7 0ttobre 2011

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La RESPONSABILITÀ COGNITIVA indica che i modelli

impiegati per capire, interpretare il mondo, la società, i

processi sociali, e il ruolo stesso dei partecipanti alle

interazioni, sono suscettibili di scelta da parte dei

partecipanti all’interazione che ne sono responsabili.

I ruoli non sono quindi suggeriti, o dettati, o imposti dal

contesto, ma sono il prodotto di un’interpretazione

volontaria e incrociata della realtà.

Goffman evidenzia la necessità dell’attore, di prendere

parte alla scena, al fine di ottenere un riconoscimento

di ruolo, ed evidenzia pure la necessità dei partecipanti

di costruire una situazione nella quale a ciascuno sia

data la possibilità di recitare.

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Erich Berne (1910-1970), fondatore della psicologia

transazionale, condivide con Goffman il corollario secondo

cui, partendo dall’ipotesi che ciascuno, in quanto attore,

reciti quotidianamente delle parti come se fosse sul

palcoscenico di un teatro.

Se però l’analisi di Goffman è centrata soprattutto sulla

diade sull’ATTORE/PERSONAGGIO e sulla sua capacità di

adeguarsi alla PARTE/RUOLO che dovrà impersonare, affinché

anche gli altri attori, e soprattutto gli spettatori, vengano

coinvolti all’interno della drammatizzazione; Berne è

interessato ad analizzare le STRATEGIE che rendono possibile

il radicamento, lo stabilizzarsi della relazione e dei ruoli

individuati.

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Nella “relazione di prossimità” presa in esame, coetanei

a vario titolo (compagni di scuola così come

appartenenti alla medesima comitiva, ragazzi dello

stesso quartiere o frequentanti gli stessi luoghi di ritrovo

e palestre) sono interagenti nello stesso contesto.

Tale relazione prevede, da parte degli attori coinvolti,

l’accettazione dei ruoli di vittima, carnefice e

spettatore.

Spettatori, nel caso di un gruppo di coetanei, sono

alcuni degli stessi compagni non coinvolti direttamente

nella dinamica vittima-carnefice, ma che assumono un

ruolo necessario allo stabilizzarsi della relazione.

Ignazia Bartholini,, Cosenza 7 ottobre 2011 10

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La violenza è sia uno strumento di regolazione dei

rapporti, che una forza sociale autonoma in grado di

dare significato alla realtà.

Per la prima definizione, la violenza è finalizzata

all’ottenimento di un potere maggiore o è volta a

riequilibrare il potere fra gli attori coinvolti.

La seconda definizione rimanda invece alla possibilità

stessa che la violenza, in quanto forza strutturante la

relazione, coinvolga i partecipanti conferendo ad essi

un ruolo – vittima, carnefice, spettatore – e dunque

un’identità

Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 11

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In una prospettiva interazionista le persone attribuiscono determinati significati a ciò che li circonda in base all’interazione con gli altri e all'interpretazione che viene negoziata nel corso dell’interazione (Blumer 1969).

Nell’attribuire un significato alle azioni che si esplicitano all’interno della relazione, ciò che viene coinvolto non è solo il significato simbolico a cui l’azione rimanda, ma i ruoli che all’interno della performance forniscono a vario titolo un’identità ai partecipanti.

La violenza agita all’interno del frame, prevede l’accettazione di specifici ruoli da parte dei soggetti coinvolti. Fra loro si determina una “reciproca referenza”, un interfacciarsi – framework - dei ruoli impersonati, reso accettabile dalla stessa posta in gioco: la conquista di un’identità riconosciuta e in cui riconoscersi.

Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 12

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La violenza agita all’interno di un frame diviene un vero

proprio framework primario.

I framework primari, che descrivono una sorta di

“cosmologia” o “sistema di credenze” riferibili ad un

gruppo, rappresentano il primo passo per “capire” una

situazione, riproducendo per Goffman il principio

organizzatore con cui il mondo della “realtà quotidiana” è

“verificato” dalla comprensione intersoggettiva.

«Le prospettive primarie, naturali e sociali,

disponibili ai membri di una società come la nostra,

influenzano più che i soli partecipanti a un’attività; GLI

SPETTATORI CHE GUARDANO SEMPLICEMENTE SONO ANCHE

PROFONDAMENTE COINVOLTI».

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La violenza connota alcune specifiche relazioni della vita quotidiana; fungendo da sostrato stesso della relazione, ad essa si lega la dimensione cognitiva, educativa, culturale che ne fa una struttura primaria.

Il framework è reso possibile attraverso un vero e proprio codice interpretativo.

Ogni gruppo, come osserva Goffman, ha un suo codice specifico che lo caratterizza e lo distingue dagli altri (ad esempio, nel gruppo dei barboni, il rifiuto sistematico del lavoro).

Il KEYING è un procedimento in virtù del quale certe attività possono venir definite in modi diversi (ad esempio, una situazione che può essere definita sia come sport sia come lavoro).

Ignazia Bartholini, Cosenza 7 0ttobre 2011 14

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Il key è un elemento del framework: mentre il frame

permette d’incorniciare la situazione, di costruire una

dinamica relazionale, il key permette di “entrare

dentro” la situazione e cogliere le implicazioni e le

sfumature implicite in essa e, quando necessario di

spostare l’angolo visuale con cui interpretare la

situazione.

Le relazioni fra gli attori sono rese accettabili e

condivisibili in base alla prospettiva assunta attraverso

«l’insieme di convenzioni sulla base delle quali una data

attività, già significativa viene trasformata in qualcosa

di modellato su questa attività ma visto dai partecipanti

come qualcos’altro (keying)».

Ignazia Bartholini, Corso di Sociologia 15

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Goffman introduce anche i MARCATORI o “parentesi”, che consentono ai partecipanti alla situazione di essere consapevoli di ciò che sta avvenendo.

Grazie alla presenza dei MARCATORI, i partecipanti comprendono qual è la posta in gioco della drammatizzazione in atto e i suoi eventuali capovolgimenti.

Il MARCATORE è simile al sipario del teatro, esso rappresenta una parentesi che invita a mettere in chiave “teatrale” ciò che stiamo per vedere.

Goffman sostiene che siamo responsabili cognitivamente del modo in cui scegliamo le intelaiature concettuali, i frames attraverso i quali modelliamo la realtà, dopodiché la interpretiamo, la definiamo e infine la giudichiamo.

Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 16

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Nel caso dell’azione violenta il framework primario è

dato dalla stessa accettazione condivisa dei ruoli

predisposti e nella accettazione di una maschera da

impersonare all’interno di quello stesso frame.

Goffman evidenzia soprattutto la necessità, da parte

dell’attore, di prendere parte alla scena al fine di

ottenere un riconoscimento del ruolo impersonato. Ma

evidenzia pure la necessità, da parte dei partecipanti, di

porre in essere una situazione nella quale a ciascuno è

data la possibilità di recitare.

In una grande cattedrale ognuno di noi occupa una

nicchia... ed a tutti farebbe piacere se qualcuno gli

accendesse davanti un lumino!

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Erich Berne (1910-1970), fondatore della psicologia

transazionale, condivide con Goffman il corollario secondo

cui, partendo dall’ipotesi che ciascuno, in quanto attore,

reciti quotidianamente delle parti come se fosse sul

palcoscenico di un teatro.

Se però l’analisi di Goffman è centrata soprattutto sulla

diade sull’ATTORE/PERSONAGGIO e sulla sua capacità di

adeguarsi alla PARTE/RUOLO che dovrà impersonare, affinché

anche gli altri attori, e soprattutto gli spettatori, vengano

coinvolti all’interno della drammatizzazione; Berne è

interessato ad analizzare le STRATEGIE che rendono possibile

il radicamento, lo stabilizzarsi della relazione e dei ruoli

individuati (copioni) attraverso le transazioni.

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Nella prospettiva di Berne quasi tutte le attività umane sono programmate in base a qualche “ruolo” impersonabile.

Si ha una transazione complementare quando, da uno stimolo transazionale di un individuo X (una frase, un gesto, un'espressione del volto, un'azione) viene sollecitata una risposta transazionale di un altro individuo Y; risposta che diventa a sua volta stimolo per X, la cui ulteriore risposta diventa nuovo stimolo per Y.

In questo modo si innesta una catena nella quale è possibile individuare le modalità comportamentali dei soggetti interessati che costituiscono una sequenza in gran parte prevedibile.

Diverso è il caso delle transazioni incrociate fra stati non congruenti che interrompono la comunicazione.

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Berne condivide il corollario di Goffman secondo cui,

partendo dall’ipotesi che ciascuno, in quanto attore,

viva i suoi giorni recitando delle parti come se fosse sul

palcoscenico di un teatro, è interessato a fare la sua

parte quanto più a lungo possibile.

-«Ovunque vi siano delle persone riunite, ognuna di esse

cerca di interpretare il suo “ruolo”. Vi sono coloro che

si dimostrano calmi e freddi, quelli che giocano a fare

gli intellettuali, quelli che cercano aiuto e quelli che

invece lo offrono» (Berne, Ciao…e poi? 1997[1976]).

A giudizio di Berne, chi ha adottato un certo ruolo si

aspetta che le persone da lui scelte – coniuge, amici

etc.- siano propensi a recitare il ruolo complementare.

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Se però l’analisi di Goffman è centrata soprattutto

sull’attore/personaggio e sulla sua capacità di adeguarsi

alla parte che dovrà impersonare affinché anche gli altri

attori e, soprattutto gli spettatori, vengano coinvolti

all’interno della drammatizzazione, Berne è interessato

ad analizzare le strategie che rendono possibile il

radicamento della relazione.

La RELAZIONE, cioè il frame goffmiano, è il prodotto di

reciproche aspettative individuali che si incontrano in un

agire dinamico, comunicativo-transazionale.

La TRANSAZIONE, cioè il frame berniano, è l’unità

fondamentale del rapporto sociale, dalla cui partecipa-

zione ciascuno desidera trarre un vantaggio soggettivo.

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L’analisi transazionale, oltre ad essere una «teoria della

personalità», è soprattutto una «teoria del rapporto

sociale» basata sull’analisi di tutte le transazioni possibili

fra due o più soggetti, dalle profonde implicazioni

sociologiche.

La transazione avviene all’interno di un gruppo in cui si

realizza il «bisogno di struttura» da parte dell’attore,

mediante quelle sensazioni che solo gli esseri umani

possono offrire («bisogno di riconoscimento»); e

mediante quegli stimoli che portano piacere («bisogno di

stimolo e sensazione»).

Tali bisogni sottolineano l’importanza della componente

sociale dell’essere umano che avvengono attraverso

strutturazioni (copioni).

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All’interno di una transazione, il copione indica una

complessità, un modo di narrarsi in relazione alle attese

e alle pretese altrui nonché un modo di strutturarsi nel

tempo attraverso «sei classificazioni a breve scadenza»:

a. l’isolamento,

b. i rituali,

c. le attività,

d. i passatempi,

e. i giochi,

f. l’intimità.

Una strutturazione può avvenire per periodi più o meno

lunghi (mesi, anni, tutta una vita) a seconda delle

esigenze di strutturazione del soggetto.

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Il tipo di relazione individuata da Berne si definisce

transazione soprattutto «perché ognuna delle due

parti in causa ne ricava qualcosa che è poi la ragione

per cui vi si impegna» (Berne, Ciao...e poi?).

Rituali, passatempi, attività, giochi e intimità,

rappresentano, secondo Berne, l’intero spettro di

opzioni comunicative di cui gli individui dispongono,

quando entrano in relazione gli uni con gli altri

attraverso transazioni.

Berne spiega che ciò che si ricava dalla transazione è

appunto una “carezza” (stroke), intendendo con ciò

«ogni atto che implichi il riconoscimento di un’altra

persona» (Berne, A che gioco giochiamo?) .

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Nel linguaggio berniano, le relazioni fra gli attori

prendono il nome di TRANSAZIONI DI TIPO PARALLELO, quando

le richieste reciproche attivate comunicativamente,

coinvolgono aspetti congruenti degli attori.

Prendono il nome di RELAZIONI INCROCIATE, quando

coinvolgono aspetti non congruenti ma necessari o utili

al bisogno di ruolo .

Nel caso della violenza nelle relazioni fra pari, a mio

giudizio, possiamo quindi immaginarci che ciascun

partecipante – carnefice, vittima, spettatore –

sperimenti il ruolo necessario al soddisfacimento di un

bisogno di riconoscimento, e che tale ruolo sia

congruente al raggiungimento dello scopo.

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Quando, tuttavia, è possibile azzardare l’ipotesi che la

relazione violenta imploda o si autodistrugga?

La risposta a questa domanda, fondamentale a che la

performance si concluda nel più breve tempo possibile,

dipende dalla tenuta della transazione complementare

o della sua trasformazione in transazione incrociata.

Il che può accadere solo quando il framework su cui si

innesta ha esaurito la sua capacità di soddisfare le

esigenze di ruolo di tutti i partecipanti coinvolti, ovvero

quando la performance di ciascuno non soddisfa più le

esigenze di scena, quando l’attore non è più in sintonia

con il co-protagonista o non soddisfa più le esigenze del

pubblico. E. ultima ma cruciale possibilità, quando lo

spettatore si trasforma nel salvatore.

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Nell’analisi di Berne, è necessario soffermarci sul COME

l’io, assumendo un ruolo per il riconoscimento del Sé,

dispieghi una valenza triadica.

Il comportamento di una persona, all’interno di una

transazione, proviene da uno dei suoi tre stati dell’Io o

modelli di comportamento:

a. stato dell’Io Genitore (piano normativo dell’agire,

spesso introiettato acriticamente) .

b. stato dell’Io Bambino (piano emozionale delle

reazioni, tipico dell’età infantile) .

c. stato dell’Io Adulto (piano del “qui ed ora”, in cui si

gestisce nel modo quanto più possibile oggettivo il

rapporto con la realtà). Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 27

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Lo stato del genitore – normativo o affettivo - è una

specie di registratore: è una raccolta di codici pre-

registrati, di strumenti categoriali con cui ci si giudica in

anticipo, di preconcetti che indirizzano la vita del

soggetto in questione.

In questo stato i soggetti che agiscono nel ruolo di

vittima e carnefice, giustificano le proprie condotte con

la formula:

a. «subisco la violenza perché la merito» - vittima,

b. «uso violenza perché se la merita» - persecutore.

In questo stato, nell’interagire violento, la persona vive

senza l’ausilio degli stati del bambino o dell’adulto,

privo quindi dei due terzi di tutto il suo potenziale.

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Nello stato del Bambino, agiamo come agirebbe il

fanciullo della nostra infanzia.

Quando il Bambino è affettuoso o scontroso, impulsivo,

spontaneo o giocoso, viene detto Bambino Naturale.

Quando è pensoso, creativo, ingegnoso è detto il Piccolo

Professore. Se ha paura, si sente in colpa o si vergogna

è detto Bambino Adattato.

Il Bambino prova tutte le emozioni: paura, amore,

rabbia, gioia, tristezza, vergogna e così via.

Nel caso di una relazione violenta, la transazione

incrociata deve i ruoli del «bambino» e dell’ «adulto»

trovarsi a condividere una storia che, per un certo

periodo di tempo soddisfa tutte le esigenze dei soggetti.

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Tralasciando lo stato dell’io adulto che consentirebbe

l’esplicitarsi di transazioni non problematiche né

patologiche, l’azione reiteratamente violenta fra pari

facenti parte di un gruppo prevede nella congruenza

(complementarietà degli stati dell’io bambino) i ruoli

fondamentali del Persecutore, della Vittima e dello

Spettatore.

Berne non parla di Spettatore, bensì di Salvatore, ma a

nostro giudizio il Salvatore è il possibile sviluppo del

ruolo dello spettatore nel triangolo drammatico.

Lo spettatore (futuro Salvatore) è il prodotto dell’io

adulto che trasforma la relazione complementare fra

l’io-bambino della vittima e l’io bambino del

persecutore in una relazione incrociata.

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Com’è facilmente comprensibile, la transazione

complementare vittima-persecutore, presente quasi

sempre in una situazione di violenza, fa sì che lo

spettatore assuma il ruolo di genitore che consente la

violenza come necessaria, meritata, oppure

routinaria.

Lo spettatore-genitore può approvare la violenza

attribuendo alternativamente una carezza al

persecutore e alla vittima.

Può successivamente trasformarsi in salvatore quando le

ingiunzioni e le attribuzioni fornite al persecutore e alla

vittima si capovolgono da positive (OK) in negative (non

OK) .

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E’ lui che con lo sguardo l’approva, approva il gioco di

ruolo fra vittima e carnefice e approva la transazione.

Berne la descrive la transazione come «la sola risposta

soddisfacente alla fame di stimolo, di

riconoscimento, di struttura».

Lo stimolo ha a che fare con un livello concreto

dell’altro come soggetto di bisogno che vuole essere

gratificato.

Il riconoscimento del ruolo congruente consente la

strutturazione della relazione, e perché ciò avvenga la

relazione necessita di una strutturazione nel tempo

attraverso il ruolo cruciale dello spettatore.

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E’ lo spettatore che fa sì che un gruppo di coetanei che

condividono una fase prolungata dell’esistenza, possa

rendere accettabile il reiterarsi della violenza come

espressione di una comunicazione patologica.

É possibile pensare che la posta in gioco per

l’attribuzione/accettazione di un ruolo sia contenuta nel

binomio in group/out group.

Ora, se in una situazione normale, “lo stare dentro” o

“lo stare fuori” la relazione in base all’accettazione dei

ruoli, è la causa del fallimento di un’amicizia o della sua

conferma; nella transazione di Berne come nel

framework di Goffman, il fallimento è nel “non saper

stare nel ruolo” o nella transazione non riuscita.

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Ciò che va sottolineato è il fatto che ogni aspirazione

identitaria, per potersi realizzare, necessita almeno due

persone, i cui ruoli (o identità transazionali) si

combinino tra loro.

Il “persecutore”, ad esempio, non può continuare a

impersonare questo ruolo senza almeno una “vittima”.

La “vittima”, a sua volta, sarà attratta dal carnefice e,

in taluni casi, cercherà anche il suo “salvatore”.

Berne però, come abbiamo visto, individua anche la

figura del salvatore. Il “salvatore” come terzo che a sua

volta, cercherà il prototipo della “vittima da salvare”.

Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 34

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Il triangolo berniano dà una particolare rilevanza al

ruolo del “salvatore”, il quale, nel cercare di modificare

la relazione fra vittima e persecutore, fa sì che sia l’uno

e l’altro non elaborino in senso evolutivo i loro ruoli:

A. la vittima rimarrà tale e quindi si fisserà nel ruolo

impersonato, finché il salvatore non verrà a salvarla

appunto,

B. il persecutore continuerà ad abusare e maltrattare la

vittima, per ottenere un’identità anche se negativa.

Anche quando la vita è guidata da un copione, vi sono

sempre dei periodi in cui la persona sembra sfuggire al

suo infelice destino. Questo periodo che appare normale

è detto controcopione.

Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 35

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Il controcopione è in funzione quando il piano di vita

infelice lascia spazio ad un periodo più felice. Ad

esempio, quando l’azione violenta si allenta o ha un

periodo di stasi. Questo però è solo temporaneo ed

invariabilmente si verifica un crollo che riporta al

copione originario. Nel caso di un alcolista, ci potrebbe

essere un periodo di sobrietà; per una persona depressa

con un copione di suicidio ci potrebbe essere un breve

periodo di felicità, che inevitabilmente termina quando

le ingiunzioni del copione prendono il sopravvento.

Lo spettatore però, proprio perché è quello che nel

triangolo vive un investimento emotivo minore, potrà

non essere disposto a rivivere la situazione determinata

all’interno dell’analisi transazionale. Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 36

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La ricerca condotta a fin qui rilevato come di fatto, i

protagonisti alla relazione violenta non agiscono se non

attraverso azioni che hanno nelle loro persone fisiche e

mentali, la causa, il mezzo e la finalità stessa del

riconoscimento identitario (Honneth 2005).

L’io non può più considerarsi come un’entità delimitata,

ma come “qualcosa” che è legato ad altri (Buttler 2009).

L’altro è strumentale alla sopravvivenza di chi,

esercitando un potere distruttivo, di fatti edifica la

propria identità e contribuisce reversibilmente

all’identificazione altrui.

Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 37

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Poiché ciascun individuo (ego state) non può

riconoscersi da solo, ma come “qualcuno” che è legato

ad altri (Buttler 2009), ogni io io-vittima ha bisogno di

un io carnefice e potenzialmente complementare.

Le interviste ad adolescenti vittime di violenza

confermano l'ipotesi di una violenza agita all'interno di

relazioni fra individui che hanno necessità di

appropriarsi di un’identità attraverso l'utilizzo di copioni

(Goffman) e di ruoli complementari (Berne).

L’esposizione, attraverso cui ogni dinamica relazionale

sui generis ha un suo “palcoscenico” e i suoi spettatori,

ha di fatto dissolto la dicotomia tradizionale tra

pubblico e privato.

Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 38

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Alcune testimonianze:

Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 39

«Quando mi attaccavano c’erano altre persone, però non hanno fatto nulla; ad eccezion

fatta della mia migliore amica. Gli altri avevano troppa paura di loro tre per difendermi.

Perché se mi avessero difesa, se la sarebbero presa anche con loro» (Noemi).

«Quando accadevano gli episodi di violenza, GLI ALTRI non reagivano per paura … ed una

volta finito l’episodio di violenza qualcuno si avvicinava per consolarmi, ma davvero

pochi» (Giuseppe).

«Quando mi attaccavano, altri guardavano. Stavano a guardare, lì, ciascuno al posto suo,

come degli stronzi, senza dire nulla, senza reagire, senza arrabbiarsi ma anche i loro

sorrisi e le loro risate sembravano finti» (Francesco).

«Un giorno Giuseppe, che si avvicinava a me solo di nascosto, quando Paolo e Salvatore

non lo vedevano, mi ha detto: la prossima volta andiamo dalla Nacci e poi dal Preside,

anzi prima dal Preside e la smettiamo con questa storia» (Marco).

«Poi si sono stancate di divertirsi, Lucia e Giovanna, le amiche di Giusy si sono stancate,

non ridevano più e una volta, mentre come al solito mi mettevo a piangere stanca di

rispondere, perché loro erano in tre ed io da sola hanno detto «piantala!» (Michela)

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Con tutta evidenza, i contributi di Goffman e di Berne ci

fanno comprendere come nessun individuo sia

totalmente libero e come ciascuno di noi assuma un

ruolo all’interno di specifiche drammatizzazioni. Lo

snodo è nel trasformare lo spettatore in io salvatore.

Una posizione all’interno di una relazione è un ruolo che

un individuo tenderà a impersonare nel corso della sua

vita dentro quella stessa relazione.

La parte/posizione/ruolo dell’individuo nel copione, sia

quella del vincitore (il principe) o del perdente (il

ranocchio), è determinata da una richiesta di “carezze”

o di riconoscimenti. Lo spettatore è, rispetto alle altre

due figure, in deficit di carezze e può trasformare

quindi la transazione da complementare in incrociata.

Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 40

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Poiché lo spettatore è colui che non riceve

riconoscimenti diretti nella relazione triagolare è

possibile che il bisogno di «carezze» lo trasformi nel

salvatore. Finché lo spettatore renderà possibile la

violenza non sarà possibile uscire dall’empasse.

Trasformare lo spettatore il salvatore prevede la fusione

della triangolazione.

Sartre ha descritto questa dimensione dinamica

dell’agire di relazione con l’espressione “gruppo di

fusione”, individuando un’unità che si mantiene tale

nella misura in cui la temperatura di fusione consente il

movimento di ciò che altrimenti tornerebbe a

solidificarsi determinando uno stato inerziale.

Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 41

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In un contesto di triangolarità violenta, la scena finale,

è già prevista dalle scene precedenti; il “ciak-si gira”

del frame ha già previsto il “the end”, anche se tragico.

Il triangolo può interrompersi solo facendo leva sul ruolo

dello spettatore che può:

a. giustificare la scena con la sua approvazione indiretta

(io genitore – transazione convergente);

b. immedesimarsi nella scena alla ricerca di emozioni e

gratificazioni empatiche (io bambino – transazione

convergente)

c. far implodere la scena, trasformandosi in salvatore,

per un bisogno espresso e diretto di carezze (io adulto –

transazione incrociata).

Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 42

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L’Adulto decide (o dovrebbe decidere) quale stato

d’animo far affiorare nei vari momenti, qual è l’insieme

di atteggiamenti più appropriato in un determinato

contesto.

Noi tutti sentiamo necessario comportarci talvolta in

base ai dettami del genitore, altre volte abbiamo

bisogno di esprimerci con la spontaneità del bambino,

altre ancora dobbiamo valutare criticamente la realtà.

Quando lo spettatore, considererà inaccettabile

fossilizzarsi nella dinamica indiretta dello spettatore,

potrà svolgere una funzione atta a scardinare la

relazione fra ruoli congruenti. Perché questo accada

famiglia, scuola e società degli adulti deve ripensare le

proprie funzioni e ricostiture la propria immagine adulta Ignazia Bartholini, Cosenza 7 ottobre 2011 43