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in collaborazione con Proposta per un patto aperto contro la povertà Versione del 24/07/2013 Una proposta elaborata da: Cristiano Gori (coordinatore), Massimo Baldini, Emanuele Ciani, Alberto Martini, Daniela Mesini, Maurizio Motta, Paolo Pezzana, Simone Pellegrino, Stefano Sacchi, Marcella Sala, Pierangelo Spano, Stefano Toso, Ugo Trivellato REIS www.redditoinclusione.it

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in collaborazione con

Proposta per un patto aperto contro la povertà Versione del 24/07/2013

Una proposta elaborata da: Cristiano Gori (coordinatore), Massimo Baldini, Emanuele Ciani,

Alberto Martini, Daniela Mesini, Maurizio Motta, Paolo Pezzana, Simone Pellegrino, Stefano

Sacchi, Marcella Sala, Pierangelo Spano, Stefano Toso, Ugo Trivellato

REIS www.redditoinclusione.it

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La proposta del Reddito d’inclusione sociale e quella del Patto aperto contro la povertà nascono da un’idea di Cristiano Gori. Gori ha coordinato il gruppo di esperti che ha elaborato la proposta illustrata nel presente testo. Il documento è il frutto di uno sforzo comune di tutto il gruppo, che si è caratterizzato per una modalità di lavoro fortemente condivisa. Queste le responsabilità per i diversi capitoli: Cristiano Gori ha scritto il capitolo 1; Massimo Baldini ha coordinato il capitolo 2 e lo ha scritto insieme ad Emanuele Ciani; Massimo Baldini ha coordinato il capitolo 3 e lo ha scritto insieme ad Emanuele Ciani, tranne la sezione 3.1.2, di Paolo Pezzana e l’appendice 2, di Stefano Sacchi; Ugo Trivellato e Alberto Martini hanno scritto il capitolo 4, con il contributo di Daniela Mesini per la sezione 4.3 e utilizzando elaborazioni georeferenziate di Fabio Dusio e Mattia Monti per la sezione 4.5; Daniela Mesini ha coordinato il capitolo 5 e lo ha scritto insieme a Marcella Sala, con il contributo di Maurizio Motta e Marco Faini; Daniela Mesini ha coordinato il capitolo 6 e lo ha scritto insieme a Marcella Sala e Stefano Sacchi, con il contributo di Paolo Pezzana; Maurizio Motta ha scritto il capitolo 7; Ugo Trivellato e Alberto Martini hanno scritto il capitolo 8, tranne l’Appendice A, di Maurizio Motta; Stefano Toso e Simone Pellegrino hanno scritto il capitolo 9; Pierangelo Spano ha scritto il capitolo 10; Stefano Sacchi ha scritto il capitolo11. Rosemarie Tidoli ha curato la revisione dei capitolo e l’organizzazione del testo.

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INDICE ANALITICO

Introduzione 1.La proposta e le sue ragioni 1.1 Il Reis 1.2 Il percorso attuativo 1.3 La spesa e il finanziamento 1.4 Il disegno e i “dettagli” 1.5 Il Patto aperto contro la povertà 1.6. Il testo e il sito 1.7. Il percorso compiuto 1.8. Ringraziamenti 2. Chi sono i poveri 2.1 La povertà assoluta in Italia 2.2 La stima della povertà assoluta per il calcolo del Reis 2.3 Chi sono i poveri assoluti nell’approccio misto reddit0-consumo 3. Utenti e importi 3.1 Chi sono gli utenti 3.2 I criteri per accedere al Reis 3.3 Adeguatezza: l’importo mensile e i suoi effetti Appendice 1: Una soglia fissa di Isee Appendice 2: La riforma degli ammortizzatori sociali 4. L’impianto istituzionale e organizzativo 4.1 Obiettivi e lezioni dall’esperienza 4.2 Il primo livello essenziale nel sociale 4.3 Il ruolo dei diversi soggetti nel Reis e nel welfare locale 4.4 La struttura centrale 4.5 La struttura locale e la sua mappa territoriale 4.6 La collaborazione tra le due strutture 4.7 Poteri sostitutivi dello Stato in caso di inadempienze 5. Il welfare dei servizi (I). L’accesso e la presa in carico 5.1 L’infrastruttura nazionale per il welfare locale 5.2 Un mix di prestazioni monetarie e servizi 5.3 Accesso e presa in carico 6. Il welfare dei servizi (II). I percorsi d’inclusione e i controlli 6.1 Premessa 6.2 I percorsi di inclusione sociale e lavorativa e i relativi servizi 6.3 Controlli, condizionalità e incentivi

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7. La ricomposizione del sistema 7.1 Il sistema attuale contro la povertà e i suoi effetti negativi 7.2 Gli effetti negativi del sistema attuale 7.3 Cosa significa ricomporre un sistema frammentato? 7.4 La transizione al nuovo sistema e le tappe del riordino 8. Il monitoraggio e la valutazione 8.1 Un’indispensabile premessa: attrezzarsi per imparare dall’esperienza 8.2 L’impianto complessivo 8.3 Osservazione continua di una sessantina di Ambiti-sentinella per l’analisi di implementazione 8.4 Costruzione di un sistema informativo longitudinale sulle famiglie e gli individui in difficoltà

economica 8.5 Sugli obiettivi conoscitivi della valutazione 8.6 Indagini campionarie sulle condizioni di vita 8.7 Disegno e supervisione di una decina di esperimenti randomizzati 8.8 I microdati come patrimonio informativo per la comunità dei ricercatori 8.9 Il raccordo con altri programmi contro la povertà 8.10 Una prima stima di massima dei costi del monitoraggio e della valutazione Appendice A: Uno strumento per migliorare informazioni e sostegni ai cittadini Appendice B: Sintetiche chiarificazioni sulla stima dei costi del monitoraggio e della valutazione 9. Il finanziamento del Reis 9.1 Introduzione 9.2 Le spese 9.3 La logica del finanziamento 9.4 Le strategie del finanziamento 9.5 L’impatto distributivo delle strategie di finanziamento: le minori spese 9.6 L’impatto distributivo delle strategie di finanziamento: le maggiori entrate 9.7 L’ordine temporale degli interventi

10. Il piano pluriennale 10.1 Perché un’introduzione graduale 10.2 L’estensione progressiva dell’utenza 10.3 Il progressivo incremento della risorse dedicate nel quadro della finanza pubblica 10.4 Conclusioni. Come proteggere il percorso pluriennale 11. Che cosa ci possiamo aspettare 11.1 Introduzione 11.2 L’Italia e gli altri: il posto del Reis nel sistema di sostegno al reddito 11.3 Beneficiari e costi degli schemi di reddito minimo in Europa a confronto col Reis 11.4 I criteri di accesso 11.5 La governance della misura 11.6 Inserimento, condizionalità, servizi 11.7 Conclusioni: che cosa aspettarsi dal Reis

Gli Autori

Allegato: Paper tecnico no. 1/2013 Spano Trivellato Zanini

Bibliografia

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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INTRODUZIONE Non mancano le ragioni per fare qualcosa contro la povertà in Italia. Da oltre un decennio il nostro paese condivide con la Grecia il poco invidiabile primato di essere l’unica unica nazione dell’Europa a 15 priva di una misura nazionale contro la povertà assoluta1. Una misura rivolta a tutti i nuclei che vi-vono questa condizione, cioè privi dei beni e dei servizi necessari a raggiungere un livello di vita “mi-nimamente accettabile”, come definito dall’Istat2. Una misura altresì composta da una prestazione monetaria e da servizi alla persona, e basata su un mix tra diritti e doveri, secondo linee d’intervento condivise a livello europeo (tab. 1). Le negative conseguenze di questa mancanza sono state da più parti segnalate (Bin Italia, 2012; Boeri e Perotti, 2002; Campiglio e Rovati, a cura di, 2009; Ferrera, a cura di, 2012; Fondazione Zancan, 2012; Saraceno, 2013). Tale assenza lascia oggi il welfare sguarnito davanti alla crisi, con le famiglie in povertà assoluta passate - tra il 2011 e il 2012 - dal 5,2% al 6,8% del totale, cioè un aumento del 31% in un anno. Il diffondersi della povertà assoluta, peraltro, non costituisce una novità: nel 2005 la sperimentava il 4% delle famiglie mentre nel 2012, come detto, lo fa il 6,8%, con un incremento del 70% in sette anni (tab. 2).

Per affrontare questa drammatica situazione si propone l’introduzione del Reddito d’Inclusione So-ciale (Reis) in Italia. Il Reis è rivolto a tutte le famiglie in povertà assoluta nel nostro paese e consiste in un trasferimento monetario, d’importo adeguato a farle uscire da questa condizione, accompagna-to da servizi alla persona per l’attivazione e il reinserimento sociale. Le altre misure oggi utilizzate per contrastare la povertà assoluta saranno assorbite al suo interno. Si prevede che la sua introduzione si articoli in un piano quadriennale, che permetta così di suddividere lo sforzo attuativo e di diluire l’impegno finanziario richiesto nel tempo. Il piano dovrà essere attentamente monitorato e verificato in divenire.

La proposta del Reis e il percorso da compiere per metterla in atto vengono dettagliatamente illu-strati dal prossimo capitolo in avanti. Qui si vuole fornirne una sintetica visione complessiva, illustra-re gli argomenti a favore della sua introduzione e presentare il Patto aperto contro la povertà che si propone per sostenerlo. Così facendo, s’intende delineare il quadro di riferimento del quale le parti illustrate a cominciare dal prossimo capitolo rappresentano i singoli tasselli.

1 Nei rapporti di ricerca sulla lotta alla povertà in Europa, i riferimenti al nostro paese sono abitualmente di questo tenore: “L’analisi degli esperti mostra che, ad eccezione di Grecia ed Italia, tutti gli Stati Membri [dell’Unione Europea, n.d.a] hanno, con forme diverse, una misura di reddito minimo a livello nazionale” (Frazier e Marlier, 2009, pag 15).

2 Avere un livello di vita “minimamente accettabile” significa, in concreto, poter raggiungere standard nutri-zionali adeguati, vivere in un’abitazione con un minimo di acqua calda ed energia, potersi vestire decente-mente e così via.

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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TAB 1 - L’INTRODUZIONE DI UNA MISURA NAZIONALE CONTRO LA POVERTÀ ASSOLUTA NEI PAESI EU 15 PAESE ANNO D’INTRODUZIONE Austria Tra il 1970 e il 1975 Belgio 1973 Danimarca 1974 Finlandia 1971 Francia 1988 Germania 1961 Grecia - Irlanda 1975 Italia - Lussemburgo 1986 Paesi Bassi 1963 Portogallo 1996 Regno Unito 1948 Spagna Tra il 1995 e il 2000 Svezia 1956 Fonte: Madama, 2012

TAB 2 – INCIDENZA DELLA POVERTÀ ASSOLUTA PER RIPARTIZIONE GEOGRAFICA, % DI FAMIGLIE, ANNI VARI 2005 2009 2011 2012 Nord 2,7 3,6 3,7 5,5 Centro 2,7 2,7 4,1 5,1 Sud 6,8 7,7 8 9,8 Italia 4,0 4,7 5,2 6,8 Fonte: Istat, anni vari

1.1. IL REIS È una misura nazionale rivolta a tutte le famiglie che vivono la povertà assoluta in Italia. Questa se-zione illustra i tratti principali che assumerà una volta entrata a regime, cioè a partire dal quarto ed ultimo anno del percorso di transizione, accompagnandoli con i rispettivi principi guida (tab 3 e tab 4).

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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TAB 3 –IL REIS IN SINTESI Utenti Tutte le famiglie in povertà assoluta

Legittimate a vario titolo alla presenza sul territorio italiano e regolarmente residenti nel paese da almeno dodici mesi. Importo La differenza tra il reddito familiare e la soglia Istat di povertà assoluta Variazioni geografiche Le soglie d’accesso variano secondo il costo della vita delle di-verse aree del paese

Gli importi variano secondo il costo della vita delle diverse aree del paese Servizi alla persona Al trasferimento monetario si accompagna l’erogazione di ser-vizi

Sono servizi per l’impiego, contro il disagio psicologico e/o so-ciale, per esigenze di cura e altro Welfare mix

Il Reis viene gestito a livello locale grazie all’impegno condiviso di Comuni, Terzo Settore, servizi per formazione/impiego e al-tri soggetti. Il Comune ha il ruolo di regia e il Terzo Settore co-progetta in-sieme ad esso, esprimendo le proprie competenze in tutte le fasi dell’intervento

Lavoro Tutti i membri della famiglia tra 18 e 65 anni ritenuti abili al lavoro devono attivarsi in tale direzione Si tratta di cercare un lavoro, dare disponibilità a iniziare un’occupazione offerta dai Centri per l’impiego e a frequentare attività di formazione o riqualificazione professionale. Livelli essenziali Il Reis costituisce il primo livello essenziale delle prestazioni nelle politiche sociali

Utenti: le famiglie in povertà assoluta, che nel 2012 erano il 6.8% dei nuclei in Italia. Il Reis è destina-to ai cittadini di qualsiasi nazionalità, in possesso di un valido titolo di legittimazione alla pre-senza sul territorio italiano e ivi residenti da almeno 12 mesi. Il principio guida è l’universalismo: una misura per tutte le famiglie in povertà assoluta.

Importo: ogni famiglia riceve mensilmente una somma pari alla differenza tra il proprio reddito e la soglia Istat della povertà assoluta. Il principio guida è l’adeguatezza: nessuna famiglia è più pri-va delle risorse necessarie a raggiungere un livello di vita “minimamente accettabile”.

Variazioni geografiche: la soglia di povertà assoluta cambia in base alla macro-area (nord/centro/sud) ed alla dimensione del comune (piccolo/medio/grande) dove ci si trova. Si tiene così conto delle notevoli differenze nel costo della vita esistenti in Italia, in modo da assi-curare a tutti eguaglianza sostanziale nell’accesso alla misura e nel potere d’acquisto che que-sta garantisce. Il principio guida è l’equità territoriale: poter avere le stesse condizioni econo-miche effettive in qualunque punto del paese.

Servizi alla persona: insieme al contributo monetario, gli utenti del Reis ricevono i servizi dei quali hanno bisogno. Possono essere servizi per l’impiego (si veda sotto), contro il disagio psicologi-co e/o sociale, riferiti a bisogni di cura - disabilità, anziani non autosufficienti - o di altra natura. S’intende così fornire nuove competenze alle persone e/o aiutarle ad organizzare diversamen-te la propria esistenza. Il principio guida risiede nell’inclusione sociale: dare alle persone

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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l’opportunità di costruire percorsi che – nei limiti del possibile – permettano di uscire dalla condizione di marginalità.

Welfare mix: il Reis viene gestito a livello locale, grazie ad un impegno condiviso, innanzitutto, da Comuni e Terzo Settore. I Comuni – in forma associata nell’Ambito – hanno la responsabilità della regia complessiva e il Terzo Settore co-progetta insieme a loro, esprimendo le proprie competenze in tutte le fasi dell’intervento; anche altri soggetti svolgono un ruolo centrale, a partire dai quelli dedicati a formazione e lavoro. Il principio guida consiste nella partnership: solo un’alleanza tra attori pubblici e privati a livello locale permette di affrontare con successo il nodo povertà.

Lavoro: tutti i membri della famiglia in età tra 18 e 65 anni ritenuti abili al lavoro devono attivarsi nel-la ricerca di un’attività professionale, dare disponibilità a iniziare un’occupazione offerta dai Centri per l’impiego e a frequentare attività di formazione o riqualificazione professionale. Il principio guida consiste nell’inclusione attiva: chi può, rafforza le proprie competenze profes-sionali e deve compiere ogni sforzo per trovare un’occupazione.

Livelli essenziali: il Reis costituisce un livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell’art 117 della Co-stituzione3 ed è il primo inserito nelle politiche sociali del nostro paese. Viene così introdotto un diritto che assicura una tutela a chiunque cada in povertà assoluta. Il principio guida è quel-lo di cittadinanza, secondo il quale viene assicurato a tutti il diritto di essere protetti contro il rischio di povertà assoluta. TAB 4 – I PRINCIPI GUIDA DEL REIS DIMENSIONE PRINCIPIO GUIDA Utenti UNIVERSALISMO Una misura per tutte le famiglie in povertà assoluta Importo ADEGUATEZZA Nessuna famiglia al di sotto di un livello di vita “minimamente accettabi-le” Variazioni geografiche EQUITA’ TERRITORIALE Le stesse condizioni economiche effettive in qualunque punto del paese Servizi alla persona INCLUSIONE SOCIALE L’opportunità di costruire percorsi per – nei limiti del possibile – uscire dalla condizione di marginalità Welfare mix PATNERSHIP TRA ENTI LOCALI E TERZO SETTORE L’impegno coordinato di attori pubblici e privati a livello locale come u-nica possibilità di successo Lavoro ATTIVAZIONE Chi può rafforza le proprie competenze professionali e deve compiere ogni sforzo per trovare un’occupazione Livelli essenziali CITTADINANZA Il diritto per tutti ad essere tutelati contro il rischio di povertà assoluta

3 Recita l’articolo 117, comma 2, lettera m che tra le materie sulle quali lo Stato ha legislazione esclusiva vi è

“la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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1.2 IL PERCORSO ATTUATIVO Il Reddito d’Inclusione Sociale è introdotto gradualmente, lungo un cammino articolato in quattro annualità. L’utenza viene ampliata annualmente e così il quarto - e ultimo - anno della transizione corrisponde al primo a regime, cioè quello a partire dal quale il Reis è rivolto a tutte le famiglie in po-vertà assoluta. Nell’ipotesi che l’introduzione cominci nel 2014 la misura andrà a regime nel 2017.

Il progressivo allargamento dell’utenza segue il principio di “dare prima a chi sta peggio”. Detto al-trimenti, si comincia da coloro i quali versano in condizioni economiche più critiche e progressiva-mente si copre anche chi sta “un po’ meno peggio” sino a rivolgersi – a partire dal quarto anno - a tutti i nuclei in povertà assoluta.

La spesa pubblica dedicata ammonta – a regime (cioè a partire dal quarto anno) – a 6.062 milioni di Euro, come dettagliato nella prossima sezione. In ogni anno della transizione, le risorse stanziate so-no superiori rispetto al precedente: i percorsi che si possono seguire nel loro progressivo incremento sono vari. Ad esempio, immaginando di suddividere l’aumento in quattro parti uguali, ogni anno la spesa pubblica sarà di 1515,5 milioni (cioè un quarto di 6.062) superiore al precedente configurando il seguente percorso: primo anno = 1515,5 milioni per il Reis, secondo anno = 3.031, terzo anno = 4.546,5, quarto anno (primo a regime) = 6.062.

Durante la transizione, le prestazioni contro la povertà assoluta già esistenti vengono progressiva-mente abolite. Oggi, infatti, allo scarso investimento pubblico nel settore si affianca la frantumazione dell’esistente in numerose prestazioni, tra loro scoordinate per criteri di accesso, importi ed Enti che li gestiscono, che danno vita a un sistema con il quale è assai complesso per i cittadini relazionarsi. Secondo la nostra proposta, invece, le misure presenti vengono progressivamente assorbite all’interno del Reis, con il risultato che - a partire dal quarto anno - lo sforzo pubblico contro la pover-tà, oltre ad essere ben superiore rispetto ad oggi, risulta concentrato in un’unica risposta basata sulle stesse regole per tutti.

A sostenere l’attuazione del Reis è l’ “infrastruttura nazionale del welfare locale”, cioè un insieme di strumenti che lo Stato – in collaborazione con le Regioni fornisce ai soggetti del territorio per metterli in condizione di operare al meglio4. Si tratta, innanzitutto, di impiantare un solido sistema di monito-raggio e valutazione, capace di comprendere ciò che accade nelle varie realtà locali, esaminarlo e trarne indicazioni operative utili al miglioramento, nella prospettiva di apprendere dall’esperienza. Inoltre, i territori sono accompagnati grazie ad iniziative di formazione, occasioni di confronto tra o-peratori di diverse realtà, scambio di esperienze, linee guida. Infine, laddove la riforma risulti inattua-ta o presenti forti criticità, lo Stato interviene direttamente, ricorrendo a propri poteri sostitutivi (box 1).

Il gradualismo nell’introdurre la nuova misura è sostenuto da diverse ragioni. Da una parte, permette di diluire il necessario incremento di risorse nel tempo, rendendolo meglio sostenibile dalla finanza pubblica. Dall’altra, solo in questo modo è possibile consolidare la misura assicurando adeguati tempi di apprendimento e di adattamento organizzativo a tutti soggetti chiamati ad erogarla nel territorio (Comuni, Terzo Settore, Centri per l’Impiego e così via). Trattandosi di un’innovazione ambiziosa per il nostro sistema di welfare, che lo spinge ad un robusto cambiamento sul piano organizzativo, pro-

4 Il primo strumento consiste in adeguati stanziamenti dedicati alla componente servizi del Reis, illustrati nel-

la prossima sezione.

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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cedere per gradi e fornire allo stesso tempo tutti gli strumenti necessari al livello locale paiono condi-zioni non rinunciabili per il suo successo (box 1). BOX 1 – IL PERCORSO ATTUATIVO L’introduzione è graduale, ha luogo in quattro anni Ogni anno la spesa pubblica dedicata aumenta rispetto al precedente L’utenza si allarga progressivamente, partendo da chi è in condizioni economiche peggiori Le prestazioni contro la povertà esistenti progressivamente scompaiono perché vengono tutte assorbi-te nel Reis “Infrastruttura nazionale per il welfare locale”: lo Stato, in collaborazione con le Regioni, fornisce ai soggetti del territorio un insieme di strumenti per metterli in condizione di fornire il Reis al meglio 11.3 LA SPESA E IL FINANZIAMENTO A regime, cioè a partire dal quarto e ultimo anno della transizione, la misura richiede al bilancio pub-blico uno stanziamento addizionale di 6.062,4 milioni di Euro, pari allo 0,34% del Pil. Questa é all’incirca la distanza esistente tra la spesa pubblica destinata alla lotta contro la povertà nella media dei paesi europei (0,4% del Pil) e quella italiana (intorno allo 0,1% del Pil) (dati Eurostat).

I 6.062,4 milioni necessari si suddividono tra quelli dedicati alle prestazioni monetarie (4.982), la componente per i servizi alla persona (1.078) e le risorse destinate al monitoraggio e alla valutazione (2,4). A differenza di quanto accade con le altre due parti della spesa, i finanziamenti ulteriori dedica-ti ai servizi non corrispondono all’ammontare di risorse pubbliche che risulteranno effettivamente utilizzabili poiché bisogna conteggiare alcuni finanziamenti già nella disponibilità dell’ente pubblico5. Qui, dunque, la spesa complessiva dedicata è di 1.644 milioni di Euro annui. La spesa per i servizi è cosi pari ad un terzo di quella per le prestazioni monetarie, un valore indubbiamente elevato e che rende concreto il rilievo loro assegnato nel disegno del Reis.

Come reperire le risorse necessarie? La metodologia adottata si articola in tre passaggi. Primo, si de-finiscono i criteri di accettabilità, cioè quelli che secondo noi ogni ipotesi di finanziamento deve ri-spettare – nel loro insieme - per poter essere giudicata utilizzabile. Sono:

− la concretezza (le opzioni devono essere misurabili), − l’equità (devono favorire le fasce di popolazione con redditi più bassi) − l’efficienza (devono interferire il meno possibile con il funzionamento del mercato e, se del

caso, correggere le inefficienze del mercato stesso).

Secondo, s’individua un mix di misure di riduzione e/o riordino della spesa pubblica e di incrementi di imposizione fiscale che rispettano tali criteri e sui quali si ritiene possibile intervenire. Di ognuna delle possibili fonti di finanziamento si quantificano la minore spesa o il maggior gettito che ne potrebbe derivare e l’impatto redistributivo atteso. Questo secondo passaggio è finalizzato ad individuare un insieme di possibili misure di finanziamento per un ammontare di risorse superiore al necessario.

Il terzo e ultimo passaggio consiste nella scelta di quali fonti privilegiare, tra quelle qui individuate, per finanziare la misura: la decisione non può che spettare al livello politico.

5 Qui come in tutto il paragrafo 2, che sintetizza i principali tratti del Reis, non vengono esplicitate le varie i-

potesi alle base dei calcoli condotti e delle ipotesi avanzate, per le quali si rimanda ai capitoli successivi.

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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Prende così forma un approccio alternativo alla diatriba – dai tratti sovente schizofrenici – tra chi so-stiene che “con tutti gli sprechi esistenti nel sistema pubblico si possono trovare tante risorse” e co-loro i quali controbattono affermando che “non si può fare niente perché non ci sono soldi”.

Utilizzando questa metodologia sono stati individuati interventi che permetterebbero di recuperare un insieme di risorse compreso tra i 13 e i 18,8 miliardi di Euro, dunque ben al di sopra dei circa 6 mi-liardi di cui ha bisogno il Reis a regime. Si dimostra, pertanto, che seppure senza dubbio complicato, se si vuole è possibile trovare gli stanziamenti necessari, ed è possibile farlo nel rispetto di quei prin-cipi di giustizia sociale e sostegno allo sviluppo economico che ci riteniamo non negoziabili. Questo è un punto fondamentale della nostra metodologia perché la scelta delle modalità di finanziamento – come noto - non è affatto neutrale. BOX 2 – IL FINANZIAMENTO E LA SPESA A regime, la misura costa 6.062 milioni di Euro annui. Con questa cifra si colma la distanza tra la spesa pubblica destinata in Italia alla lotta contro la povertà e la media europea La metodologia adottata per il reperimento delle risorse necessarie si articola in tre passaggi:

-- definizione dei criteri di accettabilità delle strategie di finanziamento: concretezza, equità ed effi-cienza -- individuazione di un mix di misure di minori spese e/o maggiori entrate che rispettano tali criteri, per un ammontare complessivo di risorse ben superiore al necessario -- Scelta delle opzioni di finanziamento da parte del livello politico

Con il metodo proposto si potrebbero recuperare tra 13 e 18,8 miliardi di Euro l’anno, largamente su-periori ai 6 mld. calcolati per il Reis Il reperimento delle risorse necessarie rispetterebbe i fondamentali principi di giustizia sociale e soste-gno allo sviluppo economico 1.4 IL DISEGNO E I “DETTAGLI” Sono stati sin qui tratteggiati i punti chiave del Reis, che compongono il disegno complessivo della proposta. Su un simile disegno, come già ricordato, concorda la gran parte di osservatori ed esperti.

Minore interesse, invece, suscita l’ampio insieme di azioni da intraprendere per tradurlo in pratica. Si tratta di affrontare gli innumerevoli passaggi del percorso attuativo e di confrontarsi con i tanti a-spetti tecnici concernenti le singole parti della proposta. Molti li considerano “dettagli” rispetto al di-segno strategico: sono questi, invece, a decidere in che modo un progetto di cambiamento riesce a diventare realtà e, pertanto, cosa può significare per la vita delle persone. Proprio perché sono deci-sivi e – in Italia – sottovalutati, a questi “dettagli” viene dedicato il maggior sforzo di approfondimen-to del nostro lavoro, come si vedrà a partire dal prossimo capitolo. COSA NON È IL REIS Il Reddito d’Inclusione Sociale è rivolto a tutte le famiglie che vivono in povertà assoluta e risulta net-tamente distinto dagli interventi necessari contro l’impoverimento, cioè la condizione di coloro i qua-li si trovano al di sopra della soglia ma, senza adeguate risposte, sono destinati a cadere nell’indigenza. Similmente, il Reis è separato chiaramente dalle ulteriori riforme delle quali il nostro welfare avrebbe bisogno. Si tratta di azioni auspicate dalla metà degli anni ’90 e realizzate in quasi tutti i paesi dell’Europa a 15, concernenti i servizi alla prima infanzia, il fisco a sostegno delle famiglie con figli e gli interventi per le persone non autosufficienti (individui disabili e anziani).

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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Evidenziare che la nuova misura ha esclusivamente l’obiettivo di combattere la povertà assoluta e marcarne con precisione i confini è di particolare importanza, dal punto di vista sia politico sia tecni-co. Innanzitutto, serve a sottolineare che quella qui delineata non è assolutamente l’unica riforma necessaria al sistema di welfare del nostro paese: bisogna agire anche sui temi sopra menzionati. L’assenza di riforme degli ultimi 20 anni e i tagli della fase più recente – a fronte di bisogni crescenti – rendono più ampi interventi di welfare tanto consigliabili quanto urgenti.

Peraltro, potenziare da subito pure le altre aree della protezione sociale permetterebbe anche di “proteggere” il Reis. Si rischia, infatti, che la sua introduzione risulti l’unica risposta di rilievo messa in campo, in questa fase, dal sistema pubblico a favore delle persone più fragili. Se così fosse sul Reddi-to d’Inclusione Sociale si riverserebbero, in particolare nei territori dove il tessuto socio-economico è più debole e contemporaneamente la presenza di servizi maggiormente carente, anche le tante do-mande di tutele originate da situazioni diverse dalla povertà assoluta (ad esempio il costo dei figli, l’impoverimento, la non autosufficienza) (Ferrera, a cura di, 2005). Il Reis, però, non può – per sua natura - soddisfare queste domande. Nello scenario prefigurato, dunque, si creerebbero difficoltà or-ganizzative dovute all’impegno extra richiesto per esaminare un numero particolarmente elevato di richieste, scontento nei tanti che le vedrebbero rifiutate e pressioni affinché la misura venisse impro-priamente utilizzata per scopi diversi da quelli che le sono propri.

Si spera, quindi, che l’auspicata introduzione del Reis venga accompagnata – da oggi e nel corso del tempo – dagli altri interventi necessari a rendere il sistema di welfare più adeguato al profilo della società italiana attuale. Infatti, il Reddito d’Inclusione Sociale dovrebbe rappresentare tanto un punto di arrivo nella lotta alla povertà assoluta quanto un tassello del ben più ampio puzzle del nuovo wel-fare nel nostro paese (box 2). BOX 2 - I CONFINI DEL REIS -È contro la povertà assoluta e non serve a fronteggiare l’impoverimento

-Non è da confondere con le altre riforme nazionali necessarie (a partire da quelle rivolte alla non au-tosufficienza e al sostegno alle famiglie con figli)

-Bisogna evitare che sul Reis si scarichino tutte le domande insoddisfatte di pertinenza di altre aree del welfare

-L’introduzione del Reis dovrebbe essere accompagnata da altri interventi di rafforzamento del si-stema di protezione sociale I BUONI MOTIVI PER INTRODURRE IL REDDITO D’INCLUSIONE SOCIALE (REIS) Le varie ragioni a favore della proposta sono presentate – in forma ampia ed articolata – nei capitoli successivi. Per completare la visione di quadro tratteggiata in questa parte iniziale, nondimeno, se ne propone qui una raccolta completa in versione sintetica6. Di ognuna si illustra il “nocciolo”, cioè il punto chiave, lasciando la trattazione diffusa e i dati di riferimento al prosieguo del lavoro.

6 In qualcuna delle ragioni a favore del Reis contenute in questo paragrafo vengono ripetute alcune informa-

zioni/considerazioni già presentate altrove nel capitolo. Queste ripetizioni non sono state tolte intenzional-mente, al fine di presentare ogni argomentazione nella sua interezza.

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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1. Non si può più farne a meno

L’Italia è l’unico paese europeo - insieme alla Grecia - privo di una misura a sostegno delle famiglie in povertà assoluta, perlopiù denominata reddito minimo. Questa mancanza può essere superata intro-ducendo il Reis, un “reddito minimo 2.0”, cioè una nuova proposta elaborata cercando di apprendere al massimo dall’esperienza degli ultimi 20 anni (gli interventi attuati localmente, le proposte già a-vanzate, le sperimentazioni nazionali, cosa hanno fatto gli altri paesi). Un “reddito minimo 2.0”, non-dimeno, anche perché disegnato avendo in mente la società italiana di oggi e di domani.

Per lungo tempo ha prevalso l’ipotesi che, grazie a un proprio equilibrio, distorto ma funzionale, il welfare italiano potesse prescindere da una misura contro la povertà assoluta. Lo si sosteneva sulla base di una certa tenuta del quadro occupazionale, del supporto offerto dalle reti familiari e informa-li e dell’utilizzo - spesso improprio rispetto agli obiettivi primari - di altre politiche pubbliche (pensio-ni, invalidità, vari interventi per l’occupazione) in funzione anti-povertà. Non sappiamo se ciò fosse vero in passato ma, in ogni modo, non è più utile chiederselo. Di certo, infatti, non è vero oggi poiché le condizioni menzionate sono, in varia misura, venute meno. Lo sintetizzano due dati: le famiglie in povertà assoluta sono aumentate del 31% tra il 2011 e il 2012 (dal 5,2% al 6,8% del totale dei nuclei) e del 70% tra il 2005 e il 2012 (dal 4% al 6,8% del totale) (fonte Istat). Il protrarsi dell’assenza di un reddito minimo rischia di produrre conseguenze letali sulla coesione sociale del nostro paese.

2.Raccoglie ampio consenso tra gli esperti

Il Reddito d’inclusione sociale è coerente con il maggior numero delle proposte avanzate negli ultimi anni per combattere la povertà assoluta in Italia. Il dibattito in merito, infatti, presenta un aspetto peculiare, assente nelle altre aree del welfare: al di là delle dichiarazioni di principio, gran parte degli esperti concorda circa i punti chiave delle risposte da mettere in campo. Universalismo dell’utenza, mix di prestazione monetaria e servizi alla persona, diritti accompagnati a doveri, partnership Enti lo-cali-Terzo settore, definizione di un livello essenziale sociale e altri tratti di fondo sono, infatti, condi-visi. Nel nostro paese, detto altrimenti, tutti sanno cosa bisognerebbe fare contro la povertà ma il problema è un altro: riuscirci.

Il valore aggiunto del lavoro qui illustrato si esprime proprio nel promuovere il passaggio dal consen-so dichiarato all’effettiva realizzazione. Da una parte, lanciamo l’idea di idea di dar vita a un Patto aperto contro la povertà, costruendo un fronte il più ampio possibile di soggetti impegnati ad ottene-re l’introduzione del Reis, ognuno portatore del proprio specifico contributo (cfr. par. 5). Dall’altra, la proposta aggredisce il nervo scoperto del dibattito italiano. Nel confronto tra gli esperti, infatti, all’ampia concordanza circa i tratti distintivi della risposta da attivare si è sinora accompagnato un ridotto approfondimento su come farlo in concreto. Sono stati esaminati solo marginalmente il per-corso di transizione da compiere per passare dalla situazione attuale al nuovo regime, le strategie per superare le difficoltà che l’implementazione porta naturalmente con sé, i numerosissimi singoli cam-biamenti di ordine tecnico legati all’introduzione della misura e così via. La nostra proposta, invece, contiene la più approfondita disamina degli aspetti attuativi legati all’introduzione di una misura con-tro la povertà mai elaborata – a mia conoscenza – in Italia.

3. Supera l’alternativa tra misure emergenziali e riforme strutturali

I suggerimenti per affrontare fenomeni di evidente gravità – com’è oggi la povertà – si polarizzano sovente tra due opzioni. Una è rappresentata dalle misure emergenziali, cioè quelle azioni una tan-tum o comunque estemporanee, che producono risultati in tempi brevi ma mettono una toppa senza giungere alla radice del problema. Una volta esaurite, queste misure non lasciano eredità alcuna: alla

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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prossima emergenza si ricomincerà daccapo. L’alternativa sono le riforme strutturali, che vanno alla radice del problema ma non offrono risposte tangibili nel breve periodo, dato che per complessità ed impegno attuativo richiesto manifestano i loro effetti solo dopo alcuni anni; permetteranno così di offrire gli interventi migliori la prossima volta che il fenomeno si presenterà ma per la crisi corrente sono inutili.

Il nostro piano individua una sintesi tra le due strade. Si tratta di una riforma strutturale, da introdur-re gradualmente in quattro anni, alle fine dei quali il problema (l’assenza di un diritto sociale per tut-te le famiglie in povertà assoluta) sarà stato risolto alla radice. Il percorso di transizione, però, è co-struito in modo tale da fornire già dal primo anno di attuazione una tangibile risposta all’emergenza.

4. È a favore dei “senza lobbies”

La disattenzione sinora dedicata alla povertà costituisce l’esempio estremo delle difficoltà della poli-tica italiana. Nel nostro paese i Governi hanno una ridotta capacità di prendere decisioni in modo au-tonomo, e gruppi di pressione e lobbies ne condizionano fortemente le scelte. Lo sguardo verso la realtà suggerirebbe di compiere interventi a favore del 6.8% di famiglie economicamente più deboli, ma ciò non si è mai verificato poiché esse non sono organizzate in alcuna incisiva lobby e, dunque, non sono in grado di esercitare pressioni sul decisore. Introdurre il Reddito d’inclusione sociale costi-tuirebbe il modo più tangibile, per l’élite politica, di mostrare la fattiva intenzione di cambiare strada, puntando su azioni guidate dalle esigenze della popolazione e non dal peso delle corporazioni.

5. È economicamente sostenibile

La proposta è costruita in modo tale da rendere meglio affrontabile economicamente una scelta a favore delle famiglie in povertà. Si concentra, infatti, sui nuclei che ne vivono la forma assoluta (la più grave) e diluisce il necessario incremento di spesa nelle quattro annualità della transizione. A queste condizioni, il nostro lavoro mostra l’esistenza di varie strade percorribili nel rispetto delle compatibili-tà di finanza pubblica al fine di reperire le risorse necessarie a colmare gradualmente la distanza tra l’attuale spesa italiano contro la povertà e la media europea. Noi siamo arrivati a dimostrare l’impossibilità di affermare che non vi siano soldi per il Reis: si può soltanto dire che esistono altre priorità. Non neghiamo che fare della lotta alla povertà una priorità sia impegnativo (e inusuale) ma mostriamo che, volendo, è possibile, dipende dalle scelte. Lo chiariamo partendo dai dati empirici, come in tutta la proposta: i numeri mostrano anche come le politiche contro l’esclusione sociale ab-biano un costo contenuto rispetto alle altre voci del bilancio pubblico, assai meno gravoso di quanto – a causa di un dibattito politico e mediatico avulso dalla realtà - molti credano.

6.Non si può incrementare la spesa sociale senza un’adeguata progettualità

Il finanziamento statale delle politiche sociali risulta debole per quantità e qualità. Colmare la distan-za quantitativa con il resto d’Europa - che i tagli degli anni recenti, particolarmente profondi nel no-stro paese, hanno ancor più allargato – rappresenta, dunque, un’azione necessaria ma non sufficien-te. Bisogna pure qualificare maggiormente gli stanziamenti statali, superando la prassi - sinora preva-lente – di trasferire risorse dal centro ai territori senza accompagnarle con indicazioni sul loro utilizzo né con verifiche (si pensi alla precedente esperienza del Fondo Nazionale Politiche Sociali, FNPS). In altre parole, le auspicabili maggiori risorse non debbono essere impiegate per reiterare il modello dello “Stato Bancomat” (lo Stato come semplice erogatore di soldi ai territori) bensì per costruire l’ “Infrastruttura nazionale per il welfare locale” (lo Stato stanzia risorse, definisce poche regole chiare per il loro utilizzo, sostiene i territori nell’attuazione, ne verifica l’effettivo impiego). Alcune recenti azioni statali hanno compiuto passi in tale senso, ad esempio il Piano Nidi 2007-2009 e il riparto del

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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FNPS per il 2013. La nostra proposta vuole spingersi ancora più avanti, legando i maggiori stanzia-menti contro la povertà all’introduzione – e poi al mantenimento – di una misura stabile ed efficace, un livello essenziale, di fronteggiamento di questa condizione.

7.Il percorso indicato rappresenta l’unico modo di realizzare una riforma

L’attuazione del Reddito d’inclusione sociale incontrerà inevitabilmente ostacoli di varia natura, do-vuti per esempio ai tentativi di frode e alle difficoltà nell’effettiva attivazione di validi servizi alla per-sona. Esserne consapevoli, però, non costituisce un buon motivo per rinunciare, per una semplice ra-gione: qualsiasi riforma degna di questo nome è destinata ad incontrare numerose difficoltà sul pro-prio cammino e, dunque, l’unico modo per non affrontarle è non fare nulla. La consapevolezza delle criticità operative, invece, rappresenta una spinta a dedicare la massima attenzione alla fase attuati-va, mettendo sul tappeto tutti gli strumenti necessari a sostenere i territori: questa è la strada scelta dal Reis. Si progetta, infatti, un percorso di progressiva introduzione in quattro anni nell’ambito di un quadro di riferimento pluriennale chiaramente definito, si prevedono incisivi meccanismi di verifica delle condizioni degli utenti e controlli sui loro comportamenti, ai servizi è rivolta una linea di finan-ziamento dedicata, i territori sono accompagnati con linee guida – formazione - momenti di verifica e confronto. Viene messo in campo, nondimeno, un sistema di monitoraggio e valutazione basato su standard internazionali, che permetta effettivamente di imparare dall’esperienza e di utilizzare quan-to appreso per migliorare gli interventi nei territori.

8.Tiene insieme Nord e Sud

Un piano nazionale funziona solo se sa interpretare le grandi differenze socio-economiche esistenti tra le aree d’Italia (nessun altro paese europeo presenta disuguaglianze territoriali così elevate). Per definire la possibilità di ricevere il Reis e per quantificarne l’ammontare, s’impiega la soglia di povertà assoluta: se questa fosse uguale ovunque, si penalizzerebbero le realtà dove il costo della vita è mag-giore, cioè quelle settentrionali (sino a + 30% rispetto al meridione). La soglia di povertà dell’Istat, qui utilizzata, varia invece secondo le macro-aree territoriali (nord/centro/sud) così come in base alla dimensione del comune di residenza (piccolo/medio/grande), altra causa di differenza di prezzi e ta-riffe. La differenziazione dei suoi valori fa sì che la soglia assicuri il medesimo potere d’acquisto in tutto il paese: si garantisce così l’uguaglianza sostanziale nell’accesso e nell’importo del Reddito d’Inclusione Sociale.

9. I doveri accompagnano i diritti

L’unica strada per combattere seriamente la povertà consiste nell’introdurre un pacchetto di diritti e doveri, in una logica dove gli uni non possono prescindere dagli altri. Le famiglie cadute in povertà assoluta hanno il diritto – garantito dalla definizione di un livello essenziale – ad una tutela pubblica e, contemporaneamente, devono compiere ogni sforzo per raggiungere il loro inserimento sociale.

Può trattarsi, secondo i casi, di frequentare i corsi di formazione o di riqualificazione professionale previsti, assicurare la frequenza scolastica di chi è in età dell’obbligo, portare i figli a compiere visite mediche periodiche, rispettare i piani di rientro da morosità nel pagamento dell’affitto e così via; in caso contrario decade la possibilità di ricevere il Reis. All’interno di questa logica si colloca la conce-zione di condizionalità adottata nella proposta con riferimento alle persone occupabili, che dovranno cercare attivamente un impiego ed essere immediatamente disponibili in caso di congrua offerta di lavoro. Particolare attenzione è rivolta alla costruzione di puntuali meccanismi di verifica dei compor-tamenti degli utenti.

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Puntare sul mix diritti/doveri costituisce la via verso una migliore efficacia dell’intervento, lo dicono l’esperienza e le ricerche. Nondimeno, in un paese come l’Italia, segnato da una storia di utilizzo della spesa di welfare con finalità assistenziali-passivizzanti e, sovente, clientelari, sembra possibile chiede-re nuovi stanziamenti pubblici solo a patto che al riconoscimento di nuovi diritti si accompagni il ri-spetto di precisi doveri.

10. È strumento di autonomia

Le famiglie necessitano di azioni capaci non solo di tamponare lo stato di povertà (la mancanza di de-naro) ma anche di agire sulle cause (i fattori responsabili delle difficoltà di vita), consentendo loro, dove possibile, di uscire da questa condizione e, in ogni caso, di massimizzare la propria autonomia. È il compito dei servizi alla persona, che lo svolgono fornendo competenze e/o aiutando ad organizzare diversamente la quotidianità. Il Reis, dunque, prevede - a fianco del contributo monetario - l’erogazione dei servizi (per l’impiego, formativi, di cura e altri).

Poiché offrire servizi di qualità rappresenta una sfida particolarmente impegnativa, vengono creati tutti i presupposti necessari per vincerla, cominciando da un adeguato pacchetto di risorse economi-che destinate ai servizi nel budget del Reis. Un’ altra condizione per il successo dei servizi consiste in una fattiva co-progettazione tra Comuni (associati negli Ambiti Sociali), Terzo Settore - si veda il pros-simo punto - e altri soggetti del welfare locale, a partire da centri per l’impiego, servizi socio-sanitari, scuola e formazione regionale. Inoltre, viene costruita l’ “infrastruttura nazionale del welfare locale”, cioè un insieme di strumenti che lo Stato – in collaborazione con le Regioni - fornisce ai servizi locali affinché possano operare al meglio: oltre alla risorse, percorsi di accompagnamento e formazione, momenti di condivisione di esperienze tra diverse realtà, monitoraggio e valutazione dell’esperienza, interventi diretti nei contesti in grave difficoltà.

11.Tutela dei diritti e promozione della sussidiarietà hanno successo solo insieme

In un dibattito con forti venature ideologiche, questi due fondamentali obiettivi vengono abitualmen-te presentati come se fossero l’uno indipendente dall’altro (se non in contrapposizione). Da una par-te, chi promuove la tutela dei diritti – realizzabile solo attraverso adeguati finanziamenti pubblici – si concentra molto sul ruolo dei Comuni e spesso sottovaluta l’azione del Terzo Settore nella progetta-zione e nell’erogazione di servizi. Dall’altra, coloro i quali insistono sull’importanza della sussidiarietà orizzontale – cioè la valorizzazione degli interventi provenienti dalla società e dal Terzo Settore – tendono a trascurare la necessità di un adeguato finanziamento pubblico del welfare.

Partendo dai dati concreti, invece, la nostra proposta ribalta la prospettiva. Diritti e sussidiarietà non solo non sono indipendenti, ma – anzi - producono i risultati di cui ha bisogno la popolazione esclusi-vamente se vengono tradotti in pratica congiuntamente. Lo Stato definisce il Reis come livello essen-ziale contro la povertà, con i relativi criteri di accesso, e ne assicura gli stanziamenti. Per quanto ri-guarda la progettazione e la realizzazione dei servizi nel territorio, è previsto che alla funzione di re-gia dei Comuni si affianchi un coinvolgimento ampio del Terzo Settore, senza il cui forte ruolo sareb-be impossibile offrire interventi adeguati ai cittadini. Nondimeno, è solo grazie alla definizione dei di-ritti, ed al conseguente stanziamento di finanziamenti pubblici, che il Terzo Settore può trovare le ri-sorse necessarie a mettere in campo le proprie risposte.

12. È la pre-condizione per una riforma a favore delle persone non autosufficienti

L’introduzione del Reis rappresenta la condizione necessaria affinché si possa avviare l’altra grande riforma nazionale del welfare sociale oggi al centro dell’attenzione, quella delle politiche rivolte alle

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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persone non autosufficienti (anziani e persone con disabilità). Quest’ultima, infatti, non potrà che partire da una rivisitazione dell’indennità di accompagnamento, il principale strumento nelle mani dello Stato in materia, che tutti gli esperti ritengono sia da migliorare. Si noti che dall’analisi dei dati emerge come la più elevata percentuale di beneficiari nelle aree deboli del paese – perlopiù meridio-nali – sia dovuta, per una parte, ad una maggiore presenza di aventi diritto e, per l’altra, a un suo uti-lizzo improprio come misura di supporto alle famiglie povere, di fatto in sostituzione del reddito mi-nimo mancante. Una simile situazione si è già verificata in passato con altre prestazioni d’invalidità. Gli addetti ai lavori concordano nel ritenere che la riforma dell’indennità dovrebbe rivedere i criteri di accertamento della non autosufficienza, poiché gli attuali sono assai grezzi (non differenziano tra livelli diversi di bisogno e hanno sinora reso relativamente semplice erogare la misura a persone che non ne avevano effettivamente necessità). Migliorarli significa renderli più capaci di cogliere le reali condizioni di non autosufficienza e, dunque, interromperne l’utilizzo come “reddito minimo sotto mentite spoglie”. Detto altrimenti, se si fa in modo che chi non è autosufficiente possa ricevere l’indennità più agevolmente, contemporaneamente si impedisce a chi non ne ha realmente i requisiti di riceverla. Perché un simile cambiamento sia socialmente gestibile – nelle aree economicamente più deboli del paese - è necessario però introdurre una vera misura di reddito minimo, cioè il Reis. Ecco il punto: dato che storicamente il welfare italiano ha costruito il proprio equilibrio imperfetto attraverso l’impiego di alcune prestazioni per obiettivi diversi da quelli originari, l’intreccio creatosi è tale che oggi non si può pensare di far cessare gli utilizzi impropri di una misura senza introdurne un’altra che risponda ai bisogni che altrimenti rimarrebbero scoperti.

1.5. IL PATTO APERTO CONTRO LA POVERTÀ Acli e Caritas propongono di siglare un Patto Aperto contro la Povertà a tutti soggetti sociali interes-sati alla lotta per estirpare questo flagello in Italia. Si tratta, dunque, di unire le forze e percorrere in-sieme un cammino finalizzato a promuovere l’introduzione del Reddito d’Inclusione Sociale nel no-stro paese. Inoltre, se - come ci auguriamo - il Reis diventerà realtà, gli aderenti al Patto si impegne-ranno ad assicurarne la migliore attuazione possibile.

È invitato ad aderire al Patto ogni soggetto sociale che deciderà di fare propria la proposta, nei suoi punti chiave, e di contribuire alla campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle forze politiche per ottenerne l’introduzione. Inoltre, in caso di esito positivo, gli aderenti lavoreranno per promuoverne la corretta attuazione così come per verificarla.

I contenuti dell’attività di sensibilizzazione saranno definiti congiuntamente dai diversi sostenitori, in coerenza con la logica prescelta; evidentemente non potrebbe definirsi “aperto” un Patto dai con-torni già definiti, cioè chiusi. Allo stesso modo, mentre i capisaldi della proposta sono fermi, gli ade-renti potranno portare il proprio contributo per migliorarne le specifiche parti, sulla base delle loro competenze ed esperienze. In caso di esito positivo, un non minore coinvolgimento sarà richiesto nel controllare l’attuazione del Reis e nel favorire il superamento delle difficoltà che si presenteranno in fase realizzativa, come è naturale che avvenga passando dalla teoria alla pratica.

Perché un Patto contro la povertà? Allo scopo di superare la distanza tra la scarsa attenzione che, da sempre, la politica nazionale dedica al problema e l’urgenza di mettere in campo adeguate azioni per contrastarlo. Nella concretezza delle risposte portate avanti a livello locale, tanti soggetti sono abi-tuati ad unire gli sforzi e a realizzare insieme interventi contro l’esclusione sociale, in innumerevoli territori. Passando all’attività di sensibilizzazione svolta a livello nazionale, invece, il quadro cambia perché le numerose azioni effettivamente compiute vengono realizzate da singoli attori, gli uni auto-nomamente rispetto agli altri. Fare della povertà una priorità della politica nazionale costituisce, oggi,

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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una sfida insieme decisiva ed assai complessa (cfr. par 1.4): per vincerla è necessario un salto di quali-tà, unendo le forze e dando vita ad un’azione corale. La costruzione del Patto è facilitata dalla pecu-liarità della lotta alla povertà: su quali dovrebbero essere i punti cardine di una misura nazionale per fronteggiarla, infatti, esiste ampio consenso tra gli addetti ai lavori. Detto altrimenti, tutti sanno cosa fare, il problema è riuscirci: mobilitarsi insieme è un passaggio decisivo a tal fine (cfr. par 1.4).

Perché “Aperto” ? Innanzitutto per un motivo di senso. Nessuno – a cominciare dai promotori e dagli autori della presente proposta - può ritenere di avere il monopolio della lotta alla povertà, la voce di ognuno ha lo stesso valore di quella degli altri. Vi è, nondimeno, una ragione di contenuto. L’ampiezza della sfida è tale da rendere necessaria la condivisione di esperienze, competenze e crea-tività di ognuno, con riferimento ai diversi piani della sensibilizzazione, del miglioramento della pro-posta e della verifica sulla sua (eventuale) attuazione (box 3). BOX 3 – IL PATTO APERTO CONTRO LA POVERTA’ L’idea

Tutti i soggetti sociali interessati a combattere la povertà uniscono le forze e percorrono insieme il cammino finalizzato ad ottenere l’introduzione del Reddito d’Inclusione Sociale

È invitato ad aderire

Ogni soggetto sociale interessato

Che faccia propri i capisaldi del Reis

Che intenda dare il proprio contributo al percorso

Aree di azione dei soggetti coinvolti

Attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle forze politiche

Miglioramenti di specifici aspetti della proposta

(in caso di introduzione del Reis) Promozione e verifica della corretta attuazione

La logica pattizia permea l’intera proposta. Passando dai soggetti sociali alle forze politiche, infatti, questa si conferma la chiave di volta per il successo del Reis. Un Patto tra i partiti è necessario affin-ché tutti insieme decidano l’introduzione del Reis e si assumano la responsabilità di sostenerne con-giuntamente l’attuazione, quale che sia la collocazione futura di ognuno (maggioranza o opposizio-ne). In altre parole, si propone loro di prendere un impegno condiviso ad appoggiare il percorso di messa in pratica della misura negli anni a venire, che ogni attore dovrebbe portare avanti indipen-dentemente dal colore dei prossimi Governi e dall’evoluzione del confronto politico (box 4).

L’attuazione del Reddito d’Inclusione Sociale incontrerà inevitabilmente numerosi ostacoli: altrimenti la riforma non sarebbe degna di questo nome. Si ipotizza, pertanto, un percorso pluriennale affinché i soggetti impegnati localmente - Enti Locali e Terzo Settore – dispongano del tempo necessario ad assimilare il cambiamento e apprendere come gestire la nuova misura. In questa fase i territori sa-ranno accompagnati da Regioni e Stato grazie a sistemi di monitoraggio e valutazione, azioni formati-ve, momenti di confronto e altro. Solo se graduale e ben supportato, infatti, un percorso di cambia-mento del welfare locale può arrivare a buon fine7 (cfr. par 1.4).

7Inoltre, suddividere l’introduzione in più anni consente di diluire nel tempo il necessario incremento di spesa.

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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Il gradualismo è la scelta migliore – l’unica possibile, a ben vedere – per le politiche, cioè per il conte-nuto degli interventi, mentre presenta alcuni rischi riguardanti la politica, intesa come il confronto tra le diverse forze coinvolte. Tenere il “cantiere” aperto tre anni8, infatti, significa vivere un lungo peri-odo di “lavori in corso” durante il quale le naturali difficoltà potrebbero essere sfruttate – secondo le convenienze del momento – per rimettere il Reis in discussione, facendone il pretesto per una batta-glia politica. Gli argomenti addotti potrebbero essere quelli tante volte sentiti, da “siamo realisti, il welfare italiano non è in grado di amministrare una misura simile” a “sarebbe bello ma costa trop-po”9.

Il Patto servirebbe a proteggere la lotta alla povertà da questi rischi, impedendo ai partiti di cadere in tentazioni strumentali. Si vorrebbe creare così un clima nel quale non venissero messe in discussione l’esistenza del Reis e il suo impianto – certezze necessarie ai cittadini in povertà per veder rispettati i propri diritti e agli operatori del welfare per agire in un contesto stabile – e l’attenzione potesse con-centrarsi su come affrontare al meglio le difficoltà concrete incontrate nel percorso attuativo.

Può apparire ingenuo, davanti alla realtà del confronto politico italiano, proporre un simile patto e immaginarne il rispetto nel tempo. D’altra parte, un progetto con queste caratteristiche (è a favore della parte più debole della società, permette di superare un ritardo ormai insostenibile del nostro paese, ha il consenso dei tecnici, accompagna diritti e doveri, ed è costruito così da richiedere al bi-lancio pubblico un impegno sostenibile) costituisce un terreno particolarmente favorevole per un ac-cordo capace di andare oltre le rispettive appartenenze. In ogni modo, si è visto sopra, il Patto tra i soggetti sociali avrà tra i propri compiti quello di promuovere e verificare la corretta attuazione del Reis; un’opera costante di stimolo e controllo della politica costituirà una parte centrale di tale fun-zione. BOX 4 – LA LOGICA PATTIZIA E LA POLITICA L’idea

Tutti i partiti insieme decidono di introdurre il Reis e si assumono la responsabilità di sostenerne nel tempo il percorso attuativo, indipendentemente dall’evoluzione del quadro politico nei pros-simi anni

Il significato

Il pluriennale percorso di attuazione incontrerà inevitabilmente numerose difficoltà

Solo un accordo per proteggere il Reis da eventuali strumentalizzazioni politiche può creare il cli-ma adatto ad affrontare con successo gli ostacoli che si presenteranno lungo il cammino

1.6. IL TESTO E IL SITO Dopo questo capitolo iniziale, che ne ha illustrato il quadro d’insieme e le sue ragioni, la presentazio-ne della proposta si articola nel modo seguente. Il prossimo contributo mette a fuoco il profilo delle famiglie che sperimentano la povertà assoluta in Italia, dettagliandone i diversi caratteri per età, col-

8 Il quarto anno del percorso di transizione è il primo nel quale la misura a tutti gli utenti, di fatto il primo an-

no a regime. 9 Le buone ragioni a favore della riforma, presentate nel paragrafo 6.2, confutano queste affermazioni.

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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locazione professionale, area geografica di appartenenza, ampiezza e altre dimensioni (cap. 2). Il ca-pitolo successivo comincia a presentare i contenuti del Reddito d’Inclusione Sociale, soffermandosi sui criteri per riceverlo e sull’ammontare da erogare agli aventi diritto (cap.3). Una volta definiti u-tenza e importi, il passaggio ulteriore riguarda l’impianto organizzativo ed istituzionale congegnato per sostenere l’erogazione del Reis, con riferimento ai rapporti tra i diversi livelli di governo – stato, regioni, enti locali – ed ai vari soggetti operanti nel territorio (cap. 4). All’interno di una struttura così definita, si gioca il ruolo del welfare dei servizi, approfondito nei due capitoli che seguono. Uno si concentra sui passi da compiere per accedere al Reis e sulla presa in carico nelle sue diverse compo-nenti, in particolare il progetto personalizzato e il patto con l’utente (cap. 5). L’altro è dedicato ai percorsi d’inclusione sociale e lavorativa dell’utente - e ai diversi servizi che vi sono coinvolti – per approfondire successivamente il tema delle verifiche e dei controlli all’accesso e per la permanenza dei requisiti (cap.6). Il contributo che segue illustra in che modo si prevede di riassorbire all’interno del Reis le numerose prestazioni già esistenti contro la povertà assoluta (cap. 7). Termina così la pre-sentazione dei diversi elementi che compongono il Reis: la parte rimanente del testo riguarda gli strumenti e le risorse necessari al suo funzionamento. Si comincia con il sistema di monitoraggio ed attivazione predisposto, articolato in analisi d’implementazione, un sistema informativo longitudina-le, analisi campionarie e un pacchetto di sperimentazioni controllate (cap. 8). Il capitolo seguente e-spone la strategia per il finanziamento del Reis, partendo dai criteri che ne stanno alla base per poi approfondire le varie strade individuate per trovare le risorse e quantificarne l’ammontare di ognuna (cap. 9). Il capitolo successivo, infine, articola il percorso graduale – lungo quattro anni – disegnato per la messa in atto del Reis, legato al progressivo ampliamento dell’utenza e all’allargamento della spesa (cap. 10). La presentazione della proposta, in tutti suoi aspetti, termina qui. Per concludere il testo, invece, ne vengono ripresi i tratti principali confrontandoli con l’esperienza degli altri paesi eu-ropei, così da mettere a fuoco cosa sia (e cosa non sia) lecito aspettarsi dall’introduzione del Reis in Italia (cap. 11)

Il testo può essere scaricato dal sito www.redditoinclusione.it, creato appositamente per il Reis. Il sito entra in funzione contemporaneamente al lancio pubblico della proposta, nel luglio 2013 e verrà progressivamente arricchito di materiali. Una volta a regime, cioè dall’autunno 2013, il sito svolgerà quattro funzioni, alle quali corrispondono contenuti differenti. La prima consiste nell’illustrare la proposta, proponendone versioni adatte a vari livelli di approfondimento. Verranno presentati il te-sto integrale (questo), i singoli capitoli separatamente, alcune sintesi (di varia lunghezza), e i paper tecnici10. La seconda funzione è quella di far conoscere i soggetti coinvolti. Il sito conterrà, pertanto, informazioni riguardanti gli attori aderenti al Patto aperto contro la povertà così come gli estensori del Reis. La terza funzione risiede nel seguire la proposta nel tempo. Verranno, pertanto, segnalati gli eventi riguardanti il Reddito d’Inclusione Sociale, si raccoglieranno gli articoli pubblicati in merito dal-la stampa e dai siti, e si riferirà su come procederà la campagna a favore della sua introduzione. Il si-to, infine, monitorerà l’evoluzione delle politiche contro la povertà in Italia, fornendo un quadro ag-giornato della situazione e dei cambiamenti in atto.

L’ultima funzione è complementare alle precedenti poiché mentre quelle si concentrano sul Reis, questa volge lo sguardo verso il contesto per il quale la proposta è pensata.

10 Si tratta di contributi che approfondiscono temi strettamente legati alla proposta. Il primo, già disponibile, è

“Le esperienze italiane di contrasto alla povertà. Che cosa possiamo imparare?” di Pierangelo Spano, Ugo Trivellato & Nadir Zanini. A settembre saranno disponibili i due successivi: “Le esperienze europee di con-trasto alla povertà. Che cosa possiamo imparare?” di Stefano Sacchi e “La mappatura territoriale di Ambiti socio-assistenziali, Distretti socio-sanitari e Centri per l’Impiego" di Mattia Monti e Fabio Dusio.

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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI

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1.7. IL PERCORSO COMPIUTO Più sopra è stato introdotto il Patto aperto contro la povertà, cioè l’architrave del percorso che s’intende compiere - d’ora in avanti - per promuovere l’introduzione del Reis. Ma qual è stato il tratto di strada completato sinora, cioè quello che ha permesso di arrivare sino a qui, al lancio della propo-sta? L’inizio è datato settembre 2011, quando il coordinatore del progetto presentò l’idea ai respon-sabili delle Acli e a quelli della Caritas, riscontrando subito una forte concordanza di vedute. Da lì è cominciato un lavoro comune caratterizzato da continui confronti e scambi, allargatosi all’insieme del gruppo di lavoro che ha elaborato il testo e a tante persone appartenenti alle due organizzazioni.

Se è nel settembre 2011 che il testo qui presentato ha iniziato a prendere forma, i semi che ne hanno permesso la nascita erano già stati gettati prima. Acli e Caritas, infatti, avevano lavorato in preceden-za a proposte che – pur concepite separatamente – muovevano nella stessa direzione. Una è quella del “Reddito di Autonomia”, promosso dalla delegazione lombarda della Caritas, con riferimento a tale regione (Lodigiani e Riva, 2011), e innestato sull’ampio patrimonio di spunti e analisi contenuti nel “Rapporto annuale su povertà ed esclusione sociale in Italia” pubblicato a partire dal 1996 (sino al 2011 in collaborazione con la Fondazione Zancan, Caritas – Fondazione Zancan, anni vari). L’altra è la proposta di una “Nuova social card”, lanciata tempo fa dalle Acli nazionali al fine di superare la Carta Acquisti tradizionale e compiere un primo passo verso quella misura di reddito di stampo europeo mancante nel nostro paese (Gori et alii, 2010); la sperimentazione di un nuovo modello di Social Card recentemente avviata dal Governo nelle 12 città più popolose d’Italia riflette – in gran parte dei suoi tratti principali - la proposta Acli11.

Le precedenti proposte di Acli e di Caritas erano coerenti tra loro sotto tre profili. Primo, i contenuti, dato che ne condividevano i principali: non è necessario richiamarli ora poiché sono i medesimi capo-saldi del lavoro che qui comincia, sintetizzati nel par. 1.2. Secondo, il metodo poiché entrambe hanno un taglio decisamente concreto e operativo, molto attento alla dimensione attuativa; tratti che, di nuovo, si ritrovano nel presente progetto. Terzo, il fatto di presentarsi come transitorie in attesa del-la necessaria riforma strutturale di livello nazionale, legandosi a specifiche contingenze.

Per Caritas riguardavano il territorio, poiché si trattava di una proposta rivolta ad una singola regio-ne, con una funzione da “battistrada” per l’auspicata misura da inserire nell’intero paese. Nel caso delle Acli, invece, la contingenza era temporale, laddove s’intendeva modificare la Social Card al fine di proporne una nuova configurazione, concepita come il primo passo di un cammino verso la neces-saria riforma nazionale. La concordanza su questi diversi aspetti ha fatto sì che – davanti alla necessi-tà di costruire una proposta per una riforma strutturale contro la povertà assoluta - Acli e Caritas ab-biano condiviso il proprio impegno. L’unione degli sforzi, è poi diventata una prospettiva fondante dell’intera operazione avviata, attraverso la proposta di un “Patto aperto contro la povertà”, al fine di costruire un legame tra il maggior numero possibile di soggetti interessati alla lotta di questo flagello, come illustrato nel paragrafo 1.5.

Durante l’elaborazione, il lavoro del gruppo Acli-Caritas si è incrociato con un altro in corso da tempo, quello del progetto “Costruiamo il welfare di domani: proposta di riforma delle politiche e degli in-terventi socioassistenziali”, realizzato dall’Associazione per la ricerca sociale (ARS) e sostenuto da

11 Tutti gli autori di tale proposta fanno parte del gruppo che ha dato vita a quella qui presentata, e anche il co-

ordinatore è il medesimo.

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Fondazione Cariplo e Istituto per la Ricerca Sociale (IRS) (AAVV, 2011)12. I due gruppi hanno dato vita ad un rapporto pienamente coerente con l’idea del “Patto aperto contro la povertà”, in una collabo-razione intensa caratterizzata da un fitto scambio di dati, analisi e stimoli.

1.8. RINGRAZIAMENTI Il cammino che ci permette di lanciare oggi il Reddito d’inclusione sociale e di proporre il Patto aper-to contro la povertà è stato – come detto - reso possibile dal sostegno di vari soggetti. Desideriamo ringraziare, innanzitutto, Acli nazionale e Caritas italiana per aver creduto nel progetto, averlo soste-nuto concretamente e accompagnato nel tempo, nell’ambito di un fecondo scambio d’idee con il gruppo di lavoro.

Per quanto riguarda le Acli, la nostra gratitudine va al presidente Gianni Bottalico, al vice presidente vicario Stefano Tassinari, al responsabile del dipartimento welfare Andrea Luzi, al coordinatore delle segreteria Lanfranco Norcini Pala, e al coordinatore del dipartimento welfare, David Recchia. Siamo ugualmente riconoscenti ad Andrea Olivero e Vittoria Boni, rispettivamente ex presidente ed ex re-sponsabile del dipartimento welfare, che hanno promosso la precedente proposta delle Acli in mate-ria e avviato il cammino che ha portato al Reis.

Per quanto concerne Caritas Italiana, la nostra gratitudine va al presidente, S. Ecc. Mons. Giuseppe Merisi, al direttore, don Francesco Soddu, e al vicedirettore vicario, Francesco Marsico. Desideriamo esprimere riconoscenza anche agli autori della proposta del Reddito di Autonomia, Rosangela Lodi-giani ed Egidio Riva, dell’Università Cattolica di Milano, e al delegato delle Caritas Lombarde, Don Ro-berto Davanzo, suo principale promotore.

Inoltre, vogliamo ringraziare gli autori del progetto “Costruiamo il welfare di domani: proposta di ri-forma delle politiche e degli interventi socioassistenziali”, realizzato dall’Associazione per la ricerca sociale (ARS) e sostenuto da Fondazione Cariplo e Istituto per la Ricerca Sociale (IRS), guidato da E-manuele Ranci Ortigosa, presidente dell’ARS e direttore scientifico dell’IRS, per aver condiviso con noi idee, dati e analisi durante l’elaborazione dei rispetti lavori.

Un ringraziamento particolare, infine, lo desideriamo porgere a tutti coloro i quali vorranno – nel prossimo futuro – confrontarsi con noi sul Reis, aiutarci a migliorarlo e aderire al Patto aperto contro la povertà. La speranza è di vedere tutti i soggetti interessati alla lotta contro questo flagello alleati e sempre più capaci di condizionare le scelte politiche.

La responsabilità di quanto scritto in questo testo è condivisa dal gruppo autori ed è esclusivamente sua.

12 Questo riferimento bibliografico riguarda la prima versione della proposta. Una successiva versione si potrà

trovare dall’ottobre 2013 sul sito di “Prospettive Sociali e Sanitarie” (http://pss.irsonline.it) e successivamen-te in un numero monografico della medesima rivista.

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2. CHI SONO I POVERI

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La proposta qui presentata riguarda la povertà assoluta. Sperimenta questa condizione chi è privo dei beni e dei servizi necessari a raggiungere un livello di vita “minimamente accettabi-le”, come definito dall’Istat. Avere un livello di vita “minimamente accettabile” significa, in concreto, poter raggiungere standard nutrizionali adeguati, vivere in un’abitazione con un minimo di acqua calda ed energia, potersi vestire decentemente e così via Secondo i dati più recenti, nel 2012 la povertà assoluta colpisce circa 1.72 milioni di famiglie, il 6.8% di tutte le famiglie italiane. Tra il 2011 e il 2012 le famiglie in povertà assoluta sono passate dal 5,2% al 6,8% del totale: un aumento del 31% in un anno. Tra il 2005 e i 2012 le famiglie in povertà assoluta sono passate dal 4% al 6,8% del totale: un aumento del 70% in sette anni. I poveri assoluti sono soprattutto minori, disoccupati, casalinghe, operai con figli, e in genere le famiglie con al più un reddito da lavoro. La povertà assoluta è un fenomeno storicamente più presente nel meridione, dove riguarda oggi il 9,8% delle famiglie. La novità di questa fase è il suo radicamento anche nel nord del paese, dove nel 2011 toccava il 3,7% delle famiglie mentre nel 2012 è arrivata al 5,5%. Il capitolo fornisce una panoramica sui concetti di povertà relativa ed assoluta e sui metodi per calcolarle, analizza i dati più recenti e illustra il metodo da noi scelto per calcolare la po-vertà assoluta. Si tratta di un metodo coerente con l’obiettivo di costruire un trasferimento monetario contro la povertà.

Questo capitolo ha l’obiettivo di presentare un quadro della diffusione e delle caratteristiche della pover-tà assoluta in Italia. Nel primo paragrafo illustriamo le caratteristiche dell’indicatore di povertà assoluta predisposto pochi anni fa dall’Istat, e mostriamo i più recenti dati disponibili relativi a diffusione ed inten-sità della povertà assoluta in Italia. Nel secondo paragrafo discutiamo invece le scelte metodologiche che abbiamo adottato per il calcolo della povertà assoluta, che solo in parte seguono le regole adottate dall’Istat; passiamo poi, nel paragrafo 3, a descrivere brevemente alcuni dati che applicano queste scelte di metodo al più recente dataset di microdati disponibile, l’indagine Silc 2010.

2.1. LA POVERTÀ ASSOLUTA IN ITALIA Il metodo tradizionalmente seguito in Italia per la quantificazione del fenomeno della povertà è basa-to sulla spesa per consumi delle famiglie. L’Istat considera infatti come povere le famiglie di due per-sone che presentano una spesa inferiore alla spesa media pro-capite (Istat 2012). Per i nuclei di di-versa numerosità, la linea di povertà si ottiene moltiplicando la soglia relativa a due componenti per una scala di equivalenza, che tiene conto della presenza di economie di scala all’aumentare della di-mensione della famiglia. L’area della povertà ottenuta in questo modo corrisponde ad un concetto di povertà relativa, perché si è poveri quando si possiede un tenore di vita significativamente inferiore a quello medio dell’intera popolazione.

Sempre seguendo un approccio relativo, l’Eurostat calcola invece la povertà sulla base non del livello della spesa per consumi, ma del reddito disponibile delle famiglie (Eurostat 2012). In questo caso si

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2. CHI SONO I POVERI

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considera come povero un individuo che vive in una famiglia il cui reddito equivalente è inferiore al 60% del reddito equivalente mediano della distribuzione individuale.13 Dal 2004, cioè da quando in Italia viene svolta l’indagine annuale Silc sui redditi delle famiglie, l’Istat pubblica anche i dati sulla povertà di reddito, calcolati seguendo la metodologia Eurostat.

Negli ultimi anni l’Istat ha arricchito l’analisi della povertà, affiancando al tradizionale calcolo degli indicatori relativi anche una stima dell’estensione della povertà assoluta. Viene considerata in pover-tà assoluta una famiglia che presenta una spesa per beni e servizi primari inferiore ad una soglia valu-tata come indispensabile per poter vivere in modo minimamente dignitoso. Apparentemente questo criterio sembra prescindere dal tenore di vita medio della popolazione, da cui l’aggettivo assoluto, ma in realtà anch’esso deve tenere conto del contesto di riferimento. E’ chiaro, ad esempio, che il va-lore del paniere necessario per poter vivere in modo dignitoso in Italia è sensibilmente superiore a quello di un paniere capace di garantire una vita modesta ma dignitosa in un’area rurale dell’Africa. Resta però vero che la povertà assoluta si calcola in modo del tutto indipendente dal reddito medio o mediano della popolazione, ed è quindi insensibile ad oscillazioni di breve termine dovute a variazio-ni dei livelli medi o mediani14 del reddito o del consumo nazionali.

Il livello della soglia di povertà assoluta corrisponde al valore di un paniere di beni e servizi, calcolato da una commissione di esperti (Istat 2009), differenziato in base a tipologie socio-demografiche quali il numero e l’età dei componenti, l’area geografica e la dimensione del comune di residenza. Questo valore viene annualmente aggiornato in base al tasso di variazione dei prezzi per area geografica.

Più in particolare, del paniere fanno parte una componente alimentare, una abitativa ed una residuale (I-stat, 2009). La prima viene definita sulla base dei Livelli di Assunzione Raccomandati di Nutrienti per gli italiani (Larn). La seconda si basa su un fabbisogno abitativo minimo in termini di ampiezza dell’alloggio, corrispondente al parametro per la concessione dell’abitabilità individuato dal decreto ministeriale del 5 luglio 1975. A partire da questo viene poi calcolato il costo per l’affitto e quello per le dotazioni dell’abitazione (energia elettrica, beni durevoli e riscaldamento). Infine, la componente residuale stima la spesa minima necessaria “per arredare e manutenere l’abitazione, vestirsi, comunicare, informarsi, muo-versi sul territorio, istruirsi e mantenersi in buona salute” (Istat, 2009, pag. 59).

Nel 2012, secondo il documento “La povertà in Italia” dell’Istat (2013), 1 milione e 725 mila famiglie (il 6,8% delle famiglie residenti) risultano in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni e 814 mila individui (l’8% dell’intera popolazione). L’incidenza, tra le famiglie, ha mostrato un aumen-to, rispetto al 2011, di ben 1,6 punti percentuali a livello nazionale, di 1,8 nel Nord e nel Mezzogiorno e di 1 punto percentuale nel Centro; le variazioni tra gli individui (pari rispettivamente a 2,4, 2,5 e 1,6 punti percentuali) sono ancora più accentuate, a seguito del marcato incremento della povertà asso-luta tra le famiglie più ampie. L’incidenza aumenta tra le famiglie con tre (dal 4,7% al 6,6%), quattro (dal 5,2% all’8,3%) e cinque o più componenti (dal 12,3% al 17,2%), che nella grande maggioranza dei

13 Il reddito equivalente di una famiglia è il rapporto tra il reddito disponibile di familiare e la scala di equivalen-

za “Ocse modificata”, che dà peso 1 al primo adulto in famiglia, 0.5 ad ogni altro membro con almeno 14 anni, 0.5 ai bambini fino a 13 anni. A ciascuna persona viene assegnato il reddito equivalente della famiglia a cui appartiene. La mediana di questa distribuzione tra individui dei redditi equivalenti (cioè il reddito che divide la popolazione in due gruppi ugualmente numerosi, metà con reddito più basso, metà con reddito superiore) viene poi moltiplicata per 0.6 per ottenere la linea di povertà.

14 Il reddito medio è quel livello di reddito che sarebbe posseduto da ciascuna famiglia, in caso di distribuzione perfettamente egualitaria. Si ottiene dividendo il totale per il numero dei casi.

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2. CHI SONO I POVERI

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casi sono famiglie con figli: coppie con un figlio (dal 4% al 5,9%, se minore dal 5,7% al 7,1%), con due figli (dal 4,9% al 7,8%, se minori dal 5,8% al 10%) e soprattutto coppie con tre o più figli (dal 10,4% al 16,2%, se minori dal 10,9% al 17,1%). Peggiora anche la condizione delle famiglie di monogenitori (dal 5,8% al 9,1%) e con membri aggregati (dal 10,4% al 13,3%), per le quali l’incidenza di povertà as-soluta ha ormai oltrepassato il valore medio nazionale. Si conferma e si amplia, quindi, lo svantaggio delle famiglie più ampie, nonostante segnali negativi, seppur su livelli contenuti, si registrino anche tra le persone con meno di 65 anni, sole (dal 3,5% al 4,9%) o in coppia (dal 2,6% al 4,6%).

Un livello di istruzione medio-alto e un lavoro, anche di elevato livello professionale, non garantisco-no più dal rischio di cadere in povertà assoluta, soprattutto quando altri membri della famiglia per-dono la propria occupazione o modificano la propria posizione professionale. Peggiorano le condizio-ni delle famiglie con tutti i componenti occupati (dal 2,5% al 3,6%) o con a capo un occupato (dal 3,9% al 5,5%); oltre che tra le famiglie di operai (dal 7,5% al 9,4%) e di lavoratori in proprio (dal 4,2% al 6%); la povertà assoluta aumenta, seppur su livelli più bassi, tra gli impiegati e tra i dirigenti (dall’1,3% al 2,6%).

Trend negativi si osservano tra le famiglie con redditi da lavoro e da pensione (dal 3,6% al 5,3%). Ne deriva un aumento della povertà sia tra le famiglie con capo una persona con licenza media inferiore (dal 6,2% al 9,3%), sia tra quelle con a capo un diplomato o un laureato (dal 2% al 3,3%). Ancora una volta, tuttavia, l’incidenza cresce tra le famiglie con a capo una persona non occupata (dall’8,4% all’11,3% se in condizione non professionale, dal 15,5% al 23,6% se in cerca di occupazione) e rag-giunge i livelli più elevati tra le famiglie senza occupati né ritirati dal lavoro: nel 2012 quasi un terzo di queste famiglie (il 30,8%) è assolutamente povero (erano il 22,3% nel 2011).

Da ultimo una considerazione assumendo una prospettiva temporale più ampia. L’analisi qui propo-sta si è soffermata sul cambiamento tra il 2011 e il 2012 perché il brusco incremento della diffusione della povertà assoluta nel nostro paese colpisce e merita attenzione. Ampliamo ora lo sguardo sino al 2005, primo anno per il quale dati comparabili sono disponibili. Le famiglie in povertà assoluta sono passate dal 4% del 2005 al 6,8% del 2012: vuol dire un incremento del 70% in 7 anni. La povertà asso-luta, purtroppo, sta mettendo le radici nel nostro paese.

Al contrario di quanto accade per altri dati, l’Istat non diffonde quelli sulla povertà assoluta a livello regio-nale. Le tab. 1 e 2 riassumono i principali indicatori sulla dinamica della povertà assoluta in Italia. TAB. 1 INDICATORI DI POVERTÀ ASSOLUTA IN ITALIA 2005 2007 2008 2009 2010 2011 2012 famiglie povere (migliaia) 932 975 1.126 1.162 1.156 1.297 1.725 famiglie residenti (migliaia) 23268 23.881 24.258 24.609 24.898 25.165 25.384 persone povere (migliaia) 2381 2.427 2.893 3.074 3.129 3.415 4.814 persone residenti (migliaia) 58.077 58.757 59.261 59.674 60.005 60.287 60.450 INCIDENZA DELLA POVERTÀ (%) (%) Famiglie 4,0 4,1 4,6 4,7 4,6 5,2 6,8 Persone 4,1 4,1 4,9 5,2 5,2 5,7 8,0 INTENSITÀ DELLA POVERTÀ (%) (%) Famiglie 17,7 16,3 17,0 17,3 17,8 17,8 17,3 Fonte: Istat (2013)

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TAB. 2 INCIDENZA DELLA POVERTÀ ASSOLUTA PER ALCUNE TIPOLOGIE SOCIO-DEMOGRAFICHE IN ITALIA 2011 2012 2011 2012 2011 2012 Età della per-sona di riferi-mento Ampiezza della famiglia Tipologia famigliare <=34 5.3 8.1 1 5.1 5.5 Persona sola con meno di 65 anni 3.5 4.9 35-44 4.8 7.4 2 4.1 5.5 Persona sola >= 65 anni 6.8 6.2 45-54 5.3 7.3 3 4.7 6.6 Coppia con capofami-glia <65 2.6 4.6 55-64 3.8 6.6 4 5.2 8.3 Coppia con capofami-glia >=65 4.3 4.0 >=65 6.0 6.1 >=5 12.3 17.2 Coppia con 1 figlio 4.0 5.9 Coppia con 2 figli 4.9 7.8 Coppia con 3+ figli 10.4 16.2 I dati mostrano un forte aumento della diffusione della povertà assoluta nel 2012 rispetto all’ano precedente, concentrata in particolare tra le famiglie numerose e con figli. Gli anziani, grazie anche all’indicizzazione delle pensioni ai prezzi, sembrano avere conservato in genere il proprio tenore di vita, che invece è in deciso peggioramento per le coppie più giovani, anche quelle con un solo figlio.

2.2. LA STIMA DELLA POVERTÀ ASSOLUTA PER IL CALCOLO DEL REIS Le nostre stime della povertà assoluta si differenziano in parte dall’approccio seguito dall’Istat, per-ché adottiamo un criterio misto reddito-consumo: ci basiamo infatti sul confronto tra il reddito di-sponibile delle famiglie e le linee di povertà assoluta elaborate dall’Istat.15 Definiamo quindi in pover-tà assoluta una famiglia che non percepisce un reddito corrente sufficiente per l’acquisto di un panie-re minimale di beni e servizi, lo stesso determinato dalle soglie di povertà assoluta Istat. Abbiamo scelto di definire la condizione di povertà assoluta sulla base del reddito disponibile corrente per ot-tenerne una definizione che sia idonea alla predisposizione di una misura di sostegno monetario alle famiglie che in essa si trovano. Si consideri infatti che:

in primo luogo, la rilevazione analitica della spesa delle famiglie per stabilire l’accesso al beneficio sa-rebbe un’attività del tutto nuova per le amministrazioni pubbliche e per l’Inps, che invece già possie-dono molte informazioni sui redditi delle famiglie;

inoltre, la Carta Acquisti, la misura che attualmente cerca di intervenire sulla platea dei poveri assolu-ti, prevede un meccanismo di selezione basato sull’Isee, indicatore della situazione economica, che dipende dal reddito e dal patrimonio delle famiglie ma non dal loro consumo. Anche l’assegno socia-le, che è lo strumento che più si avvicina ad un trasferimento contro le forme di povertà più grave degli anziani, viene erogato in presenza di un ridotto livello di reddito e non di consumo;

15 Il reddito disponibile comprende tutte le possibili forme di entrata ricevute dalla famiglia, al netto delle im-

poste, così come rilevato dall’Istat nell’indagine Silc.

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infine, anche nei paesi europei e negli Usa gli schemi di trasferimento monetario per le famiglie più povere considerano, sia per la selezione dei beneficiari che per la fissazione del trasferimento, il red-dito disponibile (Immervoll, 2012). Sono poi spesso previsti anche vincoli al possesso di attività pa-trimoniali, che anche noi consideriamo nella nostra proposta, in aggiunta al criterio reddituale.

Se una famiglia possiede la casa in cui risiede, incrementiamo il suo reddito disponibile di una com-ponente figurativa che corrisponde al beneficio ricevuto dalla propria abitazione. Questa componen-te è pari alla spesa minima per l’affitto che viene inserita dall’Istat nel calcolo della soglia di povertà assoluta. In questo modo si introduce una differenza tra il tenore di vita effettivo di una famiglia che vive in proprietà e quello di un’analoga famiglia che vive in affitto, a parità di reddito monetario. Per le famiglie con mutui in corso di pagamento sottraiamo però gli interessi passivi.

L’adozione delle linee di povertà assoluta elaborate dall’Istat ci permette di tenere conto del diverso livello dei prezzi tra le aree del paese (Nord, Centro e Sud) e tra comuni di piccola, media e grande dimensione. In altre parole, con un dato livello di reddito monetario si può essere poveri se si risiede in una grande città dell’Italia settentrionale, mentre si può non esserlo se si vive in un piccolo comu-ne del Sud.

Per applicare queste scelte metodologiche serve un campione di microdati sulle famiglie italiane. Il più recente disponibile al momento in cui sono state compiute le nostre analisi (primavera 2013) è il database Silc 2010, che riporta i redditi del 2009. E’ un periodo relativo ad una fase della crisi ancora non acuta come negli ultimi due anni ma utile per ottenere alcune informazioni sulle caratteristiche che la povertà assoluta assume se si adotta il criterio reddito-consumo da noi proposto. Per tenere conto anche del peggioramento recente della congiuntura, con il forte incremento della diffusione della povertà, abbiamo proceduto in questo modo: sviluppiamo qui alcune analisi piuttosto appro-fondite sul dataset Silc 2010 per una discussione delle conseguenze del nostro approccio su dati che possiamo considerare rappresentativi di un periodo “normale” o quasi (scenario “contesto economi-co ‘normale’ ”), ma nel capitolo successivo presenteremo anche alcune elaborazioni che aggiornano sullo stesso dataset la platea dei poveri assoluti alle informazioni recentemente messe a disposizione dall’Istat (scenario “contesto economico di forte crisi”) (cfr. par 3.3).

2.3 CHI SONO I POVERI ASSOLUTI NELL’APPROCCIO MISTO REDDITO-CONSUMO Nello scenario “contesto economico ‘normale’ ” sviluppiamo alcune analisi dettagliate sull’indagine campionaria Silc relativa all’anno 2010. In questa indagine vengono rilevate le condizioni di vita delle famiglie nell’anno 2010 ed il reddito da esse percepito nel corso del 2009. Nel 2009/2010 il periodo di crisi economica tuttora in corso era agli inizi ed aveva manifestato ancora poche conseguenze sui redditi delle famiglie italiane. Si potrebbe quindi obiettare che le elaborazioni qui presentate forni-scono un quadro non realistico della situazione, perché oggi la povertà è molto più diffusa a causa dell’aggravarsi della crisi. Ci pare che le nostre elaborazioni siano comunque significative, per diverse ragioni. In primo luogo, non abbiamo alternative, perché usiamo il dataset sui redditi più aggiornato messo a disposizione dell’Istat al momento di condurre le nostre elaborazioni (primavera 2012). Inol-tre, la situazione non cambierebbe qualora svolgessimo le nostre elaborazioni nel momento nel qua-le il rapporto viene reso pubblico (luglio 2013) perché ora i microdati disponibili si riferiscono al 2010. In quest’ultimo anno, il quadro della povertà, infatti, era molto simile al 2009. Inoltre, come si vedrà tra poco sotto, almeno fino al 2011 la povertà assoluta è rimasta sostanzialmente stabile in Italia, e solo nell’ultimo biennio la crisi stia assumendo una maggiore gravità; le elaborazioni dettagliate qui

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presentate non riflettono quindi la fase più grave dell’attuale recessione ma sono comunque rappre-sentative di un periodo di recessione; esse hanno lo scopo principale di mostrare le conseguenze del-la definizione della povertà assoluta in termini di basso reddito e non di basso consumo, ma il calcolo del costo e della platea del Reis sarà effettuato, nel prossimo capitolo, anche sulla base dei più recen-ti dati Istat riferiti al 2012 (cfr. par 3.3).

Nel 2009 si trovavano – seguendo la nostra metodologia di calcolo - in condizione di povertà assoluta il 5.4% delle famiglie italiane, una percentuale che corrisponde a circa 1.37 milioni di nuclei, ed il 5.5% degli individui, cioè approssimativamente 3.3 milioni di persone. La tabella 1 confronta le quote di famiglie e di individui in povertà assoluta da noi calcolate (in base al reddito) con le stime di fonte Istat (ottenute in base alla spesa per consumi).16 La dimensione del fenomeno è simile nei due ap-procci. La rilevazione Istat relativa al 2011 produce valori assai simili ai nostri, che si fermano al 2009. L’incidenza della povertà tra le famiglie da noi calcolata è superiore di circa 0.7 punti percentuali a quella ottenuta dall’Istat per il 2009, e di circa 0.3 punti per gli individui. La differenza corrisponde a circa 176 mila nuclei e 181 mila individui. La povertà assoluta nelle stime Istat (consumi) è costante-mente in crescita tra 2005 e 2011. Viceversa, i calcoli sulla base dei redditi in Silc mostrano un calo fra 2005 e 2007 e una ripresa a partire dal 2008. TAB.3 INCIDENZA DELLA POVERTÀ ASSOLUTA, PER ANNO

Nostre elaborazioni

(reddito) Istat

(consumi)

% famiglie % individui % famiglie % individui 2005 5.6% 5.6% 4.0% 4.1% 2006 5.2% 5.2% 4.1% 3.9% 2007 4.8% 4.5% 4.1% 4.1% 2008 5.2% 5.1% 4.6% 4.9% 2009 5.4% 5.5% 4.7% 5.2% 2010 4.6% 5.2% 2011 5.2% 5.7% 2012 6.5% 8.0% Fonte: nostre elaborazioni su vari anni dell’indagine Silc per la seconda e terza colonna, Istat per le altre

La tabella 2 approfondisce il confronto tra i nostri risultati e quelli ottenibili sulla base della spesa per consumi. Riportiamo anche le elaborazioni di fonte Istat per lo stesso anno. Il quadro che ne risulta è piuttosto coerente. Tra le aree geografiche, ad esempio, sulla base sia del reddito che del consumo risulta che nel Nord l’incidenza della povertà è circa la metà di quella riscontrabile nelle regioni meri-dionali, e che il Centro è assai più vicino al Nord che non al Sud. Rispetto all’analisi dei consumi, la quota di famiglie povere sulla base del reddito è più ridotta al Sud e maggiore al Centro, mentre si mantiene attorno al 4% nel Nord. Questa differenza può essere spiegata da diversità territoriali nell’importanza della produzione domestica. Poiché la definizione di povertà sui consumi è basata

16 Le statistiche sulla povertà assoluta di fonte Istat (consumi) sono tratte dalle note sintetiche sulla povertà di-

sponibili nel sito www.istat.it.

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sulla spesa effettiva, nelle aree dove una parte consistente di beni e servizi vengono prodotti in fami-glia, e non acquistati sul mercato, è possibile che le famiglie risultino più povere.

Considerando invece la condizione professionale del capofamiglia, emergono alcune similarità ma anche qualche differenza interessante.17 La quota di famiglie di operai in povertà assoluta è, ad e-sempio, straordinariamente simile nelle rilevazioni, così come quella delle famiglie di impiegati e diri-genti e quella dei nuclei rientranti nella categoria residuale “altri”, che comprende casalinghe, stu-denti, inabili al lavoro o altre condizioni non professionali. Secondo le nostre elaborazioni sono inve-ce più a rischio di povertà assoluta, rispetto alla fonte Istat, le famiglie dei disoccupati e quelle dei la-voratori indipendenti. E’ ragionevole ritenere che la causa di questa differenza stia nel diverso metro da noi usato, cioè il reddito rispetto al consumo. Il reddito è decisamente più volatile del consumo, dal momento che oscillazioni del primo possono essere compensate da variazioni del risparmio o da trasferimenti provenienti da eventuali reti informali di aiuto. In questi casi una famiglia potrebbe ri-sultare povera sulla base del reddito corrente, ma non del suo consumo.

Nel caso dei nuclei di pensionati, invece, le nostre elaborazioni producono un minore rischio di po-vertà. Anche in questo caso, ci pare che ciò possa essere attribuito alla differenza tra reddito e con-sumo, in particolare alla presenza di alcuni nuclei che, preferendo uno stile di vita sobrio (per abitu-dine o per il forte timore di dover affrontare nel prossimo futuro rilevanti spese sanitarie), riescono ad avere un risparmio positivo anche in presenza di un reddito non elevato.18 Viceversa, molte fami-glie giovani possono presentare livelli di consumo molto vicini o anche superiori al reddito corrente, per necessità incomprimibili di spesa legate all’acquisto dell’immobile o alla presenza di bambini, o perché contano su futuri aumenti del reddito associati alla carriera lavorativa. Inoltre, occorre consi-derare che le famiglie di pensionati hanno minori spese legate al lavoro, ad esempio per i trasporti, e hanno più tempo a disposizione per produrre beni e servizi direttamente senza acquistarli sul merca-to.19

Dai nostri risultati, comunque, emerge un quadro della povertà assoluta sostanzialmente coerente con quello di fonte Istat: la povertà colpisce soprattutto famiglie di operai, disoccupati e di persone in “altra” condizione, nonché le famiglie molto numerose. La mancanza di adeguati redditi da lavoro in famiglia sembra emergere come la causa principale, anche se non l’unica, della povertà assoluta.

Tab.4 Incidenza della povertà assoluta tra famiglie: confronto tra le nostre elaborazioni (reddito) e le stime Istat (consumo) (scenario “contesto economico ‘normale’ ”)

Nostre elabo-razioni, 2009

Istat 2009 Nostre elabo-razioni, 2009

Istat 2009

Ampiezza famiglia Condizione capo-famiglia

17 Nelle nostre elaborazioni su dati Silc, definiamo il capofamiglia come la persona con maggiore reddito indivi-

duale all’interno del nucleo familiare. Nei dati Istat (consumi), il capofamiglia è l’intestatario della scheda anagrafica.

18 La diffusione della povertà assoluta tra i pensionati cambia pochissimo (dall’1.4% all’1.5%) se sottraiamo dal reddito famigliare l’indennità di accompagnamento.

19 Battistin et al (2009) e Miniaci et al. (2010) mostrano come il calo nella spesa per consumi al momento del pensionamento possa essere spiegato da un calo delle spese legate al lavoro e da un aumento della produ-zione domestica di beni e servizi. Battistin et al. (2009) mostrano anche che il calo può essere dovuto a un cambiamento nella composizione del nucleo familiare, in seguito all’uscita dei figli adulti.

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1 6.9% 4.5% Operaio 6.0% 6.9% 2 4.1% 3.8% Impiegato, diri-gente 1.0% 1.5% 3 4.0% 4.2% Indipendente 6.3% 2.0% 4 4.9% 5.8% Pensionato 1.4% 4.6% >=5 comp. 11.3% 9.2% Disoccupato 36.1% 14.5% Area geografica Altro 12.4% 9.1% Nord 4.1% 3.7% Totale 5.4% 4.7% Centro 4.6% 2.7% Sud 8.0% 8.5% Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010 per la seconda colonna, Istat per le altre

Quali forme di intervento sono più opportune per contrastare la povertà assoluta? La risposta dipen-de dalle caratteristiche delle famiglie povere. Per alcune potrebbe essere essenziale un semplice tra-sferimento monetario, per altre la combinazione di denaro e nuove opportunità di reinserimento la-vorativo, oppure di denaro e servizi di altro tipo (ad esempio servizi di cura o di formazione). Può dunque essere utile classificare le famiglie che si trovano in povertà in alcuni gruppi, definiti in base alla condizione della persona di riferimento e descritti nella prima colonna della tabella 5. La penul-tima contiene il numero di nuclei in povertà assoluta per ciascun gruppo. Tra le famiglie povere, quel-lo decisamente più numeroso è rappresentato da famiglie in cui la persona di riferimento ha un lavo-ro. Seguono i nuclei con capofamiglia disoccupato o classificato come “altro” (una categoria che comprende le seguenti modalità rilevate dall’Istat nell’indagine: casalinga, studente, inabile al lavoro, in altra condizione), con meno di 50 anni e quelli di anziani. Abbiamo isolato inoltre le famiglie con persona di riferimento in condizione non professionale ma con oltre 50 anni perché anche per esse è ragionevole supporre che le prospettive di inserimento occupazionale siano ancora più molto incerte. TAB. 5 LA POVERTÀ ASSOLUTA PER ALCUNI GRUPPI DI FAMIGLIE (SCENARIO “CONTESTO ECONOMICO ‘NORMALE’ )

Composizione dell’intero

insieme delle famiglie (an-che quelle non povere)

Quota di famiglie in povertà assoluta all’interno del

gruppo

Composizione dell’insieme delle famiglie povere asso-

lute Capofamiglia che lavora 54.8% 4.3% 43.9% Capofamiglia disoccupato o "altro" con meno di 50 anni 4.8% 36.3% 32.1% Capofamiglia disoccupato o "altro" tra 50 e 64 anni 2.8% 21.1% 11.0% Capofamiglia con almeno 65 anni 37.6% 1.9% 13.1% Totale 100% 5.4% 100% Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010

Nel gruppo più numeroso, il primo, la grandissima maggioranza delle famiglie vede la presenza di un solo lavoratore. La loro condizione di povertà dipende quindi soprattutto dalla mancanza di un se-condo reddito da lavoro. Ulteriori elaborazioni effettuate sul dataset mostrano che nel 75% delle fa-

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miglie povere del primo gruppo vi è almeno una persona, diversa dal capofamiglia, che ha meno di 50 anni e che attualmente non lavora. Questo risultato conferma le osservazioni di Brandolini, Cipollone e Sestito (2001) e Brandolini (2009), i quali notano come il numero di familiari occupati, in particolare delle persone diverse dal capofamiglia, sia uno dei fattori più correlati con la probabilità di essere in povertà.20 Nelle altre tipologie familiari il lavoro è invece praticamente assente. La scarsità di lavoro sembra quindi essere la principale determinante della povertà assoluta per circa il 70% delle famiglie in povertà assoluta (considerando il primo gruppo al netto delle famiglie senza altri membri adulti non occupati ed il secondo gruppo). È però ragionevole pensare che questa sia una valutazione assai generosa del numero di famiglie che potrebbero uscire dalla povertà attraverso una maggiore parte-cipazione al mercato del lavoro, perché probabilmente molti dei loro membri, anche se giovani, sono scarsamente occupabili, per motivi personali o per la presenza di impegni di cura. Questa stima gros-solana ci aiuta comunque a comprendere quale potrebbe essere il bacino interessato, oltre che ad un trasferimento monetario, anche a servizi di formazione e accompagnamento all’impiego.

Per un altro 20% circa (il resto del gruppo 1 più il gruppo 3) appare difficile ipotizzare che l’uscita dal-la povertà possa provenire da un aumento del reddito da lavoro, vuoi perché non vi sono altri mem-bri potenzialmente occupabili oltre al capofamiglia, vuoi perché si tratta di nuclei di disoccupati o persone in altra condizione, non più giovani anche se non ancora anziani. Per queste famiglie, l’intervento principale per migliorare il loro tenore di vita sembra essere l’integrazione monetaria. La mancanza di informazioni dettagliate nel campione sulle caratteristiche personali dei soggetti appar-tenenti a queste famiglie impedisce di valutare se ed in quale misura altri tipi di servizi, diversi dall’accompagnamento al lavoro, potrebbero essere rilevanti per questo gruppo, anche se è ragione-vole pensare che per molte famiglie la risposta sia positiva. Infine, vi sono in povertà assoluta fami-glie di anziani per le quali le principali esigenze riguardano sia un maggiore reddito disponibile che, molto realisticamente, servizi per un’adeguata assistenza sanitaria. In sintesi, per circa il 70% delle famiglie povere l’intervento più appropriato sembra consistere nella combinazione di un trasferimen-to monetario e di servizi per l’impiego e la formazione. Per l’altro 30%, invece, l’elemento centrale pare essere il trasferimento monetario, affiancato da servizi ad hoc per affrontare situazioni proble-matiche di varia natura.

I difetti strutturali del sistema assistenziale italiano appaiono con evidenza dalla tab. 6, che mostra come solo la metà circa delle famiglie in povertà assoluta riceva almeno un aiuto monetario, conside-rando tra i trasferimenti ogni forma di sussidio in denaro.21 La tab. 8 presenta la quota di famiglie che, in ciascun gruppo, ricevono almeno un trasferimento monetario.

20 Il lavoro di Brandolini, Cipollone e Sestito (2001) analizza gli anni 1977-1998 e si riferisce alla povertà relativa

con linee fissate al 40% e 60% della mediana. Gli autori concludono che un basso tasso di occupazione dei familiari diversi dal capofamiglia è più importante nello spiegare la povertà rispetto alla presenza di bassi salari. Per quanto riguarda Brandolini (2009), ci riferiamo alla tabella 5 in cui l’autore analizza gli anni 2000-2006. Simili considerazioni si trovano in Brandolini (2005).

21 Pensioni di ogni tipo o altri trasferimenti (disoccupazione, assegni familiari, trasferimenti da enti locali, sus-sidi vari, ecc.).I trasferimenti pensionistici comprendono le pensioni di ogni tipo, comprese quelle di rever-sibilità e invalidità: in Silc, corrispondono alla somma per famiglia delle variabili py100 (old-age pensions), py110 (survivor benefits) e py130 (disability benefits). I trasferimenti contro la disoccupazione corrispon-dono alla variabile py090 (unemployment benefits), quelli del terzo gruppo comprendono le variabili py140n (education-related allowances), hy050 (family / children allowances, hy060 (social exclusion not el-sewhere classified) e hy070 (housing related allowances).

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2. CHI SONO I POVERI

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TAB.6 FAMIGLIE IN POVERTÀ ASSOLUTA CHE RICEVONO ALMENO UN TRASFERIMENTO MONETARIO PUBBLICO (SCENARIO “CONTESTO ECONOMICO ‘NORMALE’ ”) Trasf. pensionistici

Trasf. associati alla mancanza di lavoro Trasf. assistenziali Totale Capofamiglia che lavora 2.9% 30.3% 27.0% 44.5% Capofamiglia disoccupato o "altro" con meno di 50 anni 10.2% 20.3% 22.9% 46.2% Capofamiglia disoccupato o "altro" tra 50 e 64 anni 29.2% 10.0% 21.9% 45.6% capofamiglia con almeno 65 anni 84.2% 1.5% 17.9% 84.2% Totale 18.8% 21.1% 23.9% 50.3%

Fonte: ns. elaborazione su Silc 2010

Mentre tra le famiglie povere assolute “giovani” meno di una su due è raggiunta da sussidi in denaro, oltre l’80% delle “anziane” ne riceve almeno uno. I sussidi di disoccupazione interessano solo una piccola minoranza delle famiglie dei disoccupati, solo in parte rimpiazzati da quelli di tipo assistenzia-le.

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3. UTENTI E IMPORTI

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Il Reis è ispirato all’universalismo, quindi può essere richiesto da tutti i residenti in Italia che si trovino in condizione di povertà assoluta, cioè privi dei beni e dei servizi necessari a rag-giungere un livello di vita “minimamente accettabile”, come definito dall’Istat. La condizione di povertà assoluta viene misurata in base al reddito familiare. Tra i potenziali richiedenti sono inclusi i cittadini stranieri legittimati alla presenza sul terri-torio italiano e residenti da almeno dodici mesi nel nostro paese. Per una famiglia con date caratteristiche, l’importo del Reis viene calcolato come differenza tra la linea di povertà assoluta dell’Istat per quel tipo di famiglia ed il suo reddito disponibile. Il reddito della famiglia viene verificato attraverso un indicatore di controllo sui consumi, che consenta di attribuire alle famiglie un reddito presunto. Inoltre, solo le famiglie che hanno un Isee (riformato) inferiore ad una data soglia possono ottenere il Reis. In questo modo vengono escluse famiglie con reddito modesto ma significa-tive disponibilità patrimoniali. La seconda parte del capitolo descrive alcuni effetti quantitativi dell’introduzione del Reis: numero dei soggetti coinvolti, spesa totale e media, conseguenze sulla diffusione della pover-tà. Queste stime vengono presentate in due versioni: a) scenario “Contesto economico ‘norma-le’” (basato sulla distribuzione dei redditi del 2009, la più recente disponibile per analisi su microdati al momento di preparare questo rapporto); b) scenario “Contesto di forte crisi e-conomica” (costruito tenendo conto delle recenti stime della povertà assoluta nel 2012, dif-fuse dall’Istat nel luglio 2013, una settimana prima della presentazione di questo lavoro). Nel primo scenario, il Reis andrebbe ad 1,28 milioni di famiglie, che si riducono a circa un mi-lione se si assume, realisticamente, che non tutte farebbero domanda (take-up rate del 75%). La spesa totale per la componente di trasferimenti monetari sarebbe attorno a 4.4 miliardi di euro all’anno. In questo scenario, l’importo medio del trasferimento economico annuo sa-rebbe pari a 4675 euro annui, cioè il 58% del reddito familiare medio delle famiglie interes-sate, Nel secondo scenario, il 6.5% delle famiglie italiane potrebbe essere interessato al trasferi-mento (circa 1,6 milioni di nuclei). Assumendo in anche in questo caso un take-up rate del 75%il numero delle famiglie beneficiarie in questi anni di acuta recessione dovrebbe atte-starsi, a regime, attorno ad 1,2 milioni, con una spesa totale per la componente di prestazio-ne monetaria di circa 5,5 miliardi annui. In questo scenario, l’importo medio del trasferimen-to economico annuo sarebbe è pari a 4542 euro annui, circa il 51% del reddito familiare me-dio delle famiglie interessate.

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3. UTENTI E IMPORTI

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3.1. CHI SONO GLI UTENTI In questo capitolo vengono presentate le principali caratteristiche del trasferimento che proponiamo. Ci concentriamo in particolare sull’estensione della platea dei beneficiari del Reis, sulle regole di cal-colo e sul suo costo complessivo.

3.1.1. Universalismo e contrasto della povertà assoluta

L’obiettivo centrale del Reis è il contrasto della povertà assoluta in Italia, senza vincoli categoriali che potrebbero restringerne l’utenza. Rispetto agli altri strumenti oggi presenti in Italia per combattere la povertà, come le carte acquisti (riservate agli anziani o alle famiglie con minori) o la pensione sociale (solo per chi ha più di 65 anni22) che sono limitate a specifiche categorie familiari, il Reis ha un’impostazione decisamente universalistica. È anche soggetto ad una prova dei mezzi, perché l’utenza è rappresentata, in prima approssimazione, da tutte le famiglie in povertà assoluta, definita sulla base delle soglie di povertà elaborate dall’Istat. Dal momento che riteniamo che il tenore di vita di una famiglia non dipenda solo dal reddito percepito ma anche dalle disponibilità patrimoniali ac-cumulate, aggiungiamo anche una soglia definita in termini di Isee per escludere i casi caratterizzati da basso reddito ma da patrimonio significativo, secondo modalità che verranno dettagliate nel pro-sieguo del capitolo.

Il Reis è un trasferimento monetario e non una card per l’acquisto di beni di consumo, con vantaggi in termini di fungibilità del denaro, di riduzione del rischio di stigma, di minori costi di gestione rispet-to al voucher. Esso permette anche una ricomposizione del sistema italiano di protezione sociale, in cui finora manca uno strumento monetario di contrasto della povertà assoluta non categoriale. Si tratta di un mix di denaro e servizi: al sostegno economico saranno abbinati, per quanto possibile, percorsi di attivazione dei beneficiari (sociale e/o lavorativa), mirati ad alleviare le situazioni di pover-tà agendo non solo sulle condizioni di vita, migliorandole, ma anche sui comportamenti che le hanno provocate, in una logica d’inclusione attiva.

Il ricorso alle linee di povertà assoluta ci permette inoltre di differenziare l’importo del trasferimento, a parità di reddito familiare, tra le varie aree del paese, per tenere conto delle notevoli differenze del costo della vita tra Nord e Sud e tra grandi e piccoli centri urbani. A questo aspetto è dedicato l’ultimo paragrafo del capitolo.

3.1.2. Per tutte le famiglie residenti in Italia

Anche se in linea di massima il target del Reis è costituito dall’insieme delle famiglie in povertà asso-luta, è comunque necessario stabilire un insieme di regole che permettano al trasferimento di essere efficace e di evitare distorsioni, specie in considerazione del fatto che la misura non comporta solo un’erogazione monetaria, ma anche una presa in carico con prestazione di servizi, necessariamente da organizzarsi su base locale da parte dei Comuni. Non è quindi scontato che la platea dei beneficia-ri del trasferimento corrisponda pienamente a quella dei poveri assoluti né che la componente di servizi facenti parte della misura porti a percorsi di attivazione identici per tutti sull’intero territorio nazionale.

22 Da gennaio 2013 l’età minima per richiedere la pensione sociale è passata a 65 anni e 3 mesi. A seguito della

riforma Fornero crescerà poi in base alla speranza di vita con cadenza triennale. Per semplicità, qui e nei ca-pitoli successivi si farà riferimento alla soglia dei 65 anni.

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3. UTENTI E IMPORTI

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Iniziamo dalla questione della residenza.

La prima versione della carta acquisti è stata riservata solo ai cittadini italiani, una grave limitazione se si pensa che tra gli immigrati il rischio di povertà è sicuramente molto alto. La nuova versione, in-trodotta in via sperimentale nel 2013, corregge questo limite includendo anche gli stranieri, ma si tratta appunto solo di una sperimentazione con una modesta dotazione finanziaria. Il Reis da noi proposto si pone in continuità con l’evoluzione introdotta con questa nuova carta acquisti, adattan-done lo spirito al carattere integrato e “sintetico” della nuova misura, nella quale confluiscono anche prestazioni già esistenti, che vengono erogate a prescindere dal requisito della residenza. Hanno quindi il diritto di accedere al Reis, in presenza dei requisiti economici che verranno descritti nel se-guito, tutti i cittadini, di qualsiasi nazionalità, in possesso di un valido titolo di legittimazione alla pre-senza sul territorio nazionale, regolarmente residenti nel Comune italiano nel quale fanno richiesta della misura ed iscritti in modo continuativo all’anagrafe della popolazione residente in Italia (non necessariamente nel Comune in cui si fa istanza), da almeno dodici mesi.

In linea con la giurisprudenza oramai consolidata della Corte Costituzionale23 e della Corte Europea, il Reis va considerato una misura che non solo tutela un diritto soggettivo ma che è “destinata alla sal-vaguardia di condizioni di vita accettabili” (Corte Cost. 329/2011) per il contesto familiare in cui il be-neficiario è inserito, dovendosi necessariamente considerare anche le persone in condizioni di pover-tà assoluta, intesa quale condizione di impossibilità di provvedere autonomamente ai propri bisogni primari, come soggetti «affetti da un disagio particolarmente grave (…) e dunque particolarmente bi-sognevoli di specifiche misure di assistenza» (Corte Cost. 40/2013). Qualsiasi discriminazione o limi-tazione nell’accesso a tale misura fondata sulla diversità di cittadinanza o titolo di soggiorno contra-sterebbe quindi con l’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e rappresenterebbe una violazione dell’art. 2 della Costituzione Italiana.

Quanto al requisito della residenza, la normativa attuale in Italia, dopo le riforme introdotte dal co-siddetto “pacchetto sicurezza” (legge 15 luglio 2009 n. 94), dal D.M. 06 luglio 2010, istitutivo del “re-gistro delle persone senza fissa dimora”, e con l’introduzione, avvenuta con l’art. 5 della legge 4 apri-le 2012, n. 35, della cosiddetta “residenza in tempo reale”, è esplicita nel riconoscere il diritto all’iscrizione anagrafica a qualunque cittadino regolarmente presente sul territorio nazionale, privo di una residenza valida in Italia e domiciliato, anche elettivamente, nel Comune in cui fa istanza di iscri-zione. Tali provvedimenti non lasciano neppure più dubbi circa la necessità e l’obbligo, per i Comuni, di istituire nelle proprie anagrafi un’apposita sezione ove iscrivere, presso indirizzi fittizi o domicili e-lettivi, le persone che la legge considera senza fissa dimora. Anch’esse quindi potranno avere accesso liberamente al Reis una volta ottenuta la residenza anagrafica. Parimenti il contesto normativo attua-le supera e definisce definitivamente le controversie in passato verificatesi tra Comuni in ordine al riconoscimento del cosiddetto “domicilio di soccorso”, ponendo quale norma di chiusura il requisito per cui, in assenza di una residenza valida e di un domicilio accertabile, la residenza va concessa dal Comune di nascita. Potrebbe continuare, almeno per coloro che non hanno un domicilio facilmente accertabile, vivendo in spazi aperti o transitori, a sussistere un problema in termini di accertamento del domicilio dichiarato da parte degli ufficiali di anagrafe, quando questo domicilio non sia concesso presso indirizzi fittizi istituiti dallo stesso Comune o da enti ed associazioni consenzienti. In tali casi la normativa viene correttamente interpretata con un favor per la persona che fa istanza: si ritiene che l’accertamento del domicilio vada condotto ricorrendo a tutti i mezzi a disposizione per verificare che

23 Vedi ad esempio le sentenze 348/2007, 349/2007, 306/2008, 11/2009, 187/2010, 329/2011, 3/2013,

40/2013.

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il domicilio dichiarato, fosse anche uno spazio pubblico aperto, corrisponda effettivamente ad un luogo abitualmente frequentato dalla persona stessa. Accade tuttavia nella prassi che molti Comuni, specie i più piccoli e meno attrezzati, facciano resistenza a questo tipo di accertamenti ed oppongano quindi illegittimi dinieghi alla concessione della residenza a persone senza dimora che ne avrebbero titolo. Si tratta di un problema interpretativo ed amministrativo che, quando sollevato in sede giuri-sprudenziale, in termini di diritto viene costantemente risolto in favore dell’istante e non dell’anagrafe. In relazione specifica all’accessibilità del Reis, il problema dunque non si pone poiché, ove vi fossero illegittimi dinieghi all’iscrizione anagrafica, la persona potrebbe agire per l’acquisizione della residenza e, una volta ottenuta l’iscrizione, se vi sono gli altri requisiti, richiedere il Reis, che va dunque considerata una misura pienamente accessibile anche alle persone senza dimora. In caso di ottenimento della residenza a seguito di azione giudiziale, appare equo, opportuno e necessario con-siderare, ai fini del Reis, il momento di decorrenza del termine dei dodici mesi di residenza continua-tiva dalla data della presentazione della richiesta di iscrizione anagrafica e non dalla pronuncia giudi-ziale.

Quanto al requisito del domicilio, posto che lo stesso può essere anche elettivo o concesso presso as-sociazioni o enti con i quali la persona in condizioni di povertà assoluta sia in contatto, per il Reis è richiesto meramente che esso sussista nel Comune in cui si fa istanza al momento in cui è stata con-cessa la residenza anagrafica (ancora valida) alla persona interessata. In caso il domicilio della perso-na sia nel frattempo variato, ma non sussistano le condizioni per variare o cancellare la residenza a-nagrafica nel Comune di precedente domiciliazione, la competenza per l’erogazione del Reis rimarrà in capo al Comune di residenza. Lo stesso potrà eventualmente stipulare intese con il Comune di do-micilio effettivo per l’erogazione dei servizi legati alla misura, qualora ciò sia possibile, utile, necessa-rio ed opportuno.

Il Reis è una misura d’inclusione sociale che prevede anche percorsi di presa in carico ed accompa-gnamento attraverso una relazione stabile con i servizi sociali e le organizzazioni di terzo settore di un territorio. Per tale motivo il limite di dodici mesi di residenza continuativa in Italia appare con-gruo, legittimo, sostenibile e compatibile con la necessità d’intervenire in modo sollecito ed urgente a sollievo delle persone in condizioni di povertà assoluta, tutelando nel contempo l’amministrazione da potenziali comportamenti opportunistici. Da un lato, infatti, non sono richiesti dodici mesi di resi-denza continuativa nel medesimo Comune, come nel caso della nuova carta acquisti, eccezion fatta per il caso di precedente irreperibilità della persona o di prima iscrizione anagrafica in Italia. Ciò in quanto, a differenza della nuova carta acquisti, il Reis da noi proposto integra in sé trasferimenti mo-netari nazionali già esistenti, che non presentano tale soglia minima di residenza come requisito per l’erogazione e di cui i beneficiari potrebbero già godere al momento della richiesta del Reis. Il fatto di porre una soglia simile a quella della nuova carta acquisti (utile laddove l’obbiettivo sia quello di evi-tare comportamenti opportunistici e forme improprie di “migrazione assistenziale” verso i Comuni con migliori e più ampi servizi di supporto) in questo caso equivarrebbe a sancire, per alcuni benefi-ciari, la potenziale sospensione di prestazioni già ottenute ed in vigore, generando effetti perversi ed evidenti problemi di equità e legittimità.

Dall’altro, per chi fosse in precedenza irreperibile o sia alla prima richiesta di iscrizione anagrafica in Italia, dodici mesi appaiono una soglia congrua perché avvenga una “territorializzazione” adeguata del potenziale beneficiario, intesa come relazione sufficientemente stabile con un territorio e con i servizi che vi operano. Sotto i dodici mesi la persona non sarà del resto abbandonata, ma assistita (come avviene già ora) attraverso i servizi “emergenziali” (prevalentemente ma non esclusivamente gestiti dal terzo settore e dal volontariato e sempre erogati sotto la regia comunale) esistenti sul ter-ritorio. Essi potrebbero così focalizzare in questa fase “di accesso” e “di aggancio” le loro attenzioni e

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la loro operatività, senza doversi far carico sine die (come succede adesso) di carichi assistenziali du-revoli, impossibili da sostenere.

È evidente che tale requisito temporale andrà accertato solo al momento della prima richiesta della misura poiché, in caso di trasferimento della residenza del beneficiario da un Comune ad un altro, andrà previsto, al momento dell’avvenuta nuova iscrizione anagrafica, l’automatico trasferimento della posizione del beneficiario verso il nuovo Comune senza decadenza o sospensione della misura. Per evitare che, in caso di temporanea irreperibilità durante un passaggio di residenza, un soggetto già beneficiario del Reis possa decadere dalla misura (cosa che può verificarsi con persone partico-larmente deboli, in difficoltà a gestire correttamente le pratiche di trasferimento della residenza), con apposita norma transitoria si potrà prevedere che l’interessato, in caso di cancellazione della re-sidenza anagrafica presso un Comune, per i dodici mesi successivi possa continuare a ricevere la somma presso il Comune di ultima residenza. Questo nell’eventualità che non avvenga subito una nuova iscrizione anagrafica ma permangano i requisiti per l’erogazione. Il beneficiario dovrà però at-tivarsi per richiedere una nuova iscrizione all’anagrafe della popolazione residente.

Per quanto riguarda le notifiche, le comunicazioni e ogni altro scambio di informazioni necessarie tra il cittadino richiedente e l’amministrazione nell’ambito del processo di erogazione del Reis, nel caso in cui il domicilio indicato o eletto dalla persona non sia anche domicilio postale e fisico della stessa, si procederà eleggendone uno ad hoc presso i servizi sociali del Comune di residenza ove l’istanza è presentata. Il ruolo di possibile domiciliatario e facilitatore amministrativo (che- specie nei confronti di persone senza dimora o comunque soggetti gravemente emarginati- può essere esercitato dalle organizzazioni di Terzo Settore che si dichiarino disponibili) può essere particolarmente prezioso sia per ridurre il carico amministrativo dei servizi sociali, sia per facilitare i processi di accesso alla misura da parte delle persone più distanti dalla pubblica amministrazione. Tale ruolo andrebbe pertanto ri-conosciuto ed incentivato.

Sempre allo scopo di tutelare l’amministrazione da comportamenti opportunistici e “falsi positivi” – ai quali un criterio di accesso alla misura così ampio sotto il profilo della residenza potrebbe dare luogo - si potranno introdurre una serie di misure cautelative nell’istanza di accesso, in forma di au-tocertificazione e dichiarazioni di consapevolezza ex art. 76 del D.P.R. 28/12/2000 n. 445. In partico-lare, essendo il Reis finalizzato al soddisfacimento di esigenze primarie legate alla dignitosa sopravvi-venza di individui in povertà assoluta, potrebbe essere pertinente richiedere agli istanti di certificare l’impossibilità di rivolgersi ai soggetti ex. art. 433 del codice civile per la prestazione dell’obbligo ali-mentare. È vero che la pubblica amministrazione, stante l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 433 come obbligazione meramente privata e vigente inter partes, non potrebbe comunque rifarsi su-gli obbligati qualora si scoprisse della loro esistenza e capienza né richiedere loro alcuna prestazione o dichiarazione. Tuttavia, una tale autocertificazione potrebbe comunque avere un effetto dissuasivo in termini “morali” sul potenziale richiedente fraudolento; infatti egli dovrebbe in ogni caso dichia-rarsi consapevole, attraverso la dichiarazione medesima, che in tali comportamenti potrebbe essere ravvisata anche la fattispecie penale di truffa a danno dello stato. Questo, ad esempio, potrebbe ac-cadere per uno studente fuori sede, residente nel Comune ma di fatto domiciliato in un altro Comu-ne presso i genitori, che lo mantengono; oppure nel caso di un titolare di residenza presso una se-conda casa di fatto, che viva in altro Comune con famigliari il cui reddito sia superiore alle soglie pre-viste per la misura. Sempre in tal senso (e sempre con la consapevolezza che - salvo modifiche nor-mative - non è al momento in potere dei Comuni effettuare interventi di accertamento o segnalazio-ne) potrebbe essere utile anche avvisare formalmente il potenziale beneficiario, al momento di pre-sentazione dell’istanza, che durante il periodo di fruizione della misura potranno essere disposti dalle amministrazioni competenti accertamenti fiscali ed amministrativi nei confronti suoi e del suo nucleo

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famigliare. Il fine sarebbe quello di verificare la conformità di quanto dichiarato in termini reddituali con la situazione effettiva ed i consumi, come la misura prevede, informandolo nel contempo dell’entità delle sanzioni previste ed ulteriori rispetto al decadimento dalla misura. Dopo un congruo periodo di sperimentazione, qualora si registri un numero eccessivo di falsi positivi, si potrà decidere un innalzamento delle misure preventive, basato su un’analisi più efficace dei comportamenti da prevenire. 3.2. I CRITERI PER ACCEDERE AL REIS Nell’introduzione si è sottolineato che il Reis è un trasferimento monetario alle famiglie povere asso-lute, di carattere universale quanto a possibili beneficiari, perché non sono previsti criteri categoriali per la sua erogazione, ma nel contempo selettivo, perché basato sulla verifica della condizione eco-nomica della famiglia. La tabella 1 riassume i criteri per l’accesso al Reis e per la determinazione del suo importo. TAB. 1 CRITERI PER L’ACCESSO AL TRASFERIMENTO E PER LA DETERMINAZIONE DELL’IMPORTO: SINTESI Criteri di accesso Isee familiare (riformato) inferiore ad una determinata soglia. Reddito disponibile familiare inferiore alle soglie di povertà assoluta definite dall’ISTAT. Calcolo del reddito dispo-nibile familiare Tutte le entrate ricevute dalla famiglia nell’anno precedente alla domanda, compresi i trasferimenti esenti ad eccezione dell’indennità di accompagnamento, più la componen-te abitativa per chi risiede in abitazione di proprietà. Per questi ultimi vengono anche sottratti gli interessi passivi sui mutui contratti per l’acquisto della prima casa. Tutti i redditi sono calcolati al netto dell’imposta personale sul reddito. Ad ogni famiglia viene attribuito un livello minimo di consumi presunti, sulla base della numerosità familiare, dell’area di residenza, del possesso di automobili e della dimen-sione dell’abitazione. Se il reddito disponibile risulta inferiore ai consumi presunti, calcolati in base alla strut-tura della famiglie, esso viene sostituito con questi ultimi oppure si può procedere con il ricalcolo del reddito disponibile. Calcolo dell’importo Trasferimento = soglia di povertà assoluta - reddito disponibile familiare In pratica, l’iter da seguire per ricevere la misura dovrebbe essere il seguente:

Le famiglie che richiedono il beneficio presentano la dichiarazione Isee (riformata), eventualmente integrata da un modulo specificamente pensato per accedere al Reis se la dichiarazione Isee non do-vesse, anche dopo la riforma, contenere tutti i dati necessari (su questo punto ritorneremo tra bre-ve). Si fissa dapprima una soglia di Isee al di sopra della quale non si può richiedere il sussidio.

Per le famiglie con Isee inferiore alla suddetta soglia, c’è un secondo criterio di selezione, basato sul reddito: non beneficiano del trasferimento le famiglie che, malgrado presentino un Isee inferiore alla soglia Isee, abbiano un reddito superiore alla rispettiva linea di povertà assoluta.

L’importo del trasferimento si calcola come differenza tra la soglia di povertà assoluta Istat ed il red-dito disponibile della famiglia.

L’unità di riferimento dell’intervento è la famiglia con i suoi componenti, sia per la misurazione della condizione economica, che per la possibile attivazione di percorsi d’inclusione. Per l’accesso alla pre-stazione e il calcolo del suo importo imponiamo una doppia soglia, prima in termini di Isee e quindi in termini di reddito disponibile familiare. Il senso generale di questa doppia soglia consiste nell’obiettivo di intervenire a favore delle famiglie con reddito basso, escludendo però i nuclei che

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dispongono di un patrimonio non irrilevante. Vediamo più in dettaglio le ragioni di questo duplice cri-terio.

3.2.1. Il ruolo dell’Isee

L’Isee, l’indicatore della situazione economica equivalente, è da oltre un decennio in uso per gradua-re l’accesso alle prestazioni sociali agevolate offerte soprattutto dagli enti locali. Sono note a tutti le criticità dell’indicatore attuale, ampiamente documentate dalla pratica agita. È a queste criticità che la riforma dell’Isee prevista dall’art. 5 della Legge n. 214 del 2011, di conversione del cosiddetto De-creto ‘Salva Italia’, mirava a dare risposte concrete. Nel corso del 2012 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali del Governo Monti ha condotto un complesso percorso tecnico, arrivando ad elabo-rare un articolato progetto di riforma di questo indicatore, che dovrebbe diventare norma operativa nei prossimi mesi. Riteniamo che l’Isee potrebbe avere un ruolo significativo nel processo di eroga-zione del Reis, nello specifico come primo filtro per l’accesso, per le seguenti ragioni:

Soprattutto dopo la sua riforma, l’Isee rappresenterà uno strumento fondamentale per selezionare l’accesso alle prestazioni sociali e socio-sanitarie. L’uso di questo indicatore da parte del Reis garanti-sce che anche il contrasto alla povertà assoluta si inserisca in modo coerente con l’impostazione uni-versalistica e selettiva che dovrebbe sempre più connotare, anche grazie all’Isee, le politiche sociali nel nostro paese.

Applicare l’Isee come primo filtro consentirebbe di individuare le famiglie che, pur avendo redditi contenuti, possiedono dotazioni patrimoniali di una certa rilevanza. Occorre infatti ricordare che il benessere di una famiglia non dipende solo dal reddito corrente, ma anche dallo stock di patrimonio accumulato.24 In molti paesi un sussidio per il contrasto della povertà viene erogato solo a chi rispet-ta determinati requisiti in termini di patrimonio mobiliare o immobiliare oltre che di reddito (Immer-vol, 2012), e l’Isee può essere utilizzato proprio a questo scopo, fissando un criterio di esclusione che consideri non solo il reddito, ma anche le dotazioni patrimoniali possedute dalla famiglia.

Il ricorso ad una soglia definita in termini di Isee consente di ammettere al beneficio solo una parte delle famiglie che subiscono una drastica riduzione del reddito corrente, escludendo quelle che pos-sono far fronte a tale peggioramento attingendo alle risorse patrimoniali di cui dispongono. Molte famiglie, soprattutto di lavoratori indipendenti, sono infatti soggette a variazioni di breve periodo an-che molto brusche nel reddito corrente, ma non tutte possono essere considerate “povere” perché tale situazione può essere solo transitoria, oppure perché possono porvi rimedio attingendo al pa-trimonio accumulato in passato. In questi anni di crisi è probabile che un numero significativo di fa-miglie si trovi in questa condizione, e ciò rende ancora più utile applicare l’Isee come selettore dell’accesso.

Infine, il ricorso ad una preliminare selezione in base all’Isee permette almeno in parte di contrastare fenomeni di evasione fiscale che possono manifestarsi in false dichiarazioni reddituali, se gli evasori hanno in precedenza investito i propri redditi nell’acquisto di immobili che, in sede di dichiarazione Isee, è difficile occultare

Il fatto di avere un Isee inferiore alla rispettiva soglia non garantirebbe l’accesso al sussidio, ma per-metterebbe una prima scrematura delle domande, con vantaggi sul piano amministrativo e informa-tivo. Per avere un’idea del livello a cui fissare la soglia Isee, può essere utile osservare la distribuzione dei valori di Isee per i nuclei che si trovano in povertà assoluta. La figura 1 presenta, per l’insieme del-

24Si veda Brandolini et al (2010) per un’analisi del concetto di asset-poverty.

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le famiglie povere assolute, le funzioni di densità cumulata dell’Isee attualmente in vigore ed anche dell’Isee riformato secondo la proposta del Ministero del Lavoro, ricostruiti entrambi su Silc 2010 con riferimento a quello che – nelle pagine successive – viene definito lo scenario di “Contesto economi-co ‘normale’” (cfr. par 3.3.1)25 (i valori dell’Isee, nell’asse orizzontale, sono espressi in migliaia di eu-ro).26 Le due curve sono vicine, ma si nota che i valori dell’Isee riformato sarebbero leggermente su-periori a quelli dell’attuale indicatore per una certa quota di famiglie. Circa il 30-40% delle famiglie povere assolute avrebbe un Isee nullo, e l’80% avrebbe un Isee inferiore a 8-9mila euro. Dato che il 96% dei nuclei risulta avere un Isee inferiore a 20.000 Euro, nel fissare una soglia limite di Isee si po-trebbe scegliere un valore elevato, che includerebbe tutti i poveri assoluti, oppure si potrebbe fissare una soglia relativamente bassa, escludendone una maggiore quota. Ad 8mila euro, per esempio, si perderebbe circa il 10% delle famiglie povere assolute se si considera l’attuale Isee, poco più del 20% dopo la sua riforma. Scegliendo un valore elevato di Isee, si ammetterebbe una maggiore quota di famiglie in povertà. Ci concentriamo sull’Isee riformato perché, come già discusso, il suo calcolo si avvicina di più al concetto di reddito in base al quale determiniamo l’importo del trasferimento, ed anche perché è molto probabile che esso sostituisca nel prossimo futuro l’attuale versione dell’Isee.

Occorre poi considerare un aspetto ulteriore, che si collega al senso generale della nostra proposta. Se nella fissazione dei livelli di povertà assoluta da colmare, definiti in termini di reddito, teniamo conto della presenza di un maggiore livello dei prezzi nelle regioni centro-settentrionali rispetto al re-sto del paese, per coerenza si dovrebbero fissare soglie di Isee anch’esse differenziate nelle varie a-ree del paese. Ciò servirebbe a riconoscere il fatto che un dato ammontare di patrimonio nelle regio-ni settentrionali “valga meno” della stessa somma nelle regioni meridionali, perché il contesto è in media più ricco e perché il potere d’acquisto di un’unità di reddito o patrimonio è inferiore, a causa del maggiore livello medio dei prezzi. Questa impostazione non mette in discussione il ruolo dell’Isee come selettore definito in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, ma tiene aperta la possibili-tà di inserire una variabilità nelle soglie da applicare nelle diverse aree del paese.

Se si accetta quest’impostazione, come è possibile differenziare le soglie Isee tra macro-aree? L’operazione non è semplice, perché i rapporti tra le linee di povertà assoluta tra Nord e Sud, ad e-sempio, non sono costanti tra le diverse tipologie familiari. Dopo varie elaborazioni, siamo giunti alla conclusione che le linee di povertà assoluta calcolate dall’Istat sono al Nord di circa il 30% superiori a quelle del Sud, mentre lo sono di circa il 25% al Centro. Se fissassimo al Sud una soglia di Isee rifor-mato a 12.000 euro, e la maggiorassimo del 25% al Centro e del 30% al Nord, circa il 10% dei poveri assoluti rimarrebbe escluso dal programma, sempre secondo i dati Silc. Questo sarebbe un compro-messo tra un livello ancora più alto, che ingloberebbe tutti i poveri ma non sarebbe selettivo, ed uno più basso, che escluderebbe troppi poveri assoluti. Questi livelli di soglia Isee (riformato) sono ov-viamente in parte arbitrari, a differenza della scelta delle soglie definite in termini di reddito, che coincidono con le linee di povertà assoluta Istat. Mentre l’ipotesi di differenziare le soglie Isee ci sembra coerente con l’approccio generale scelto per il contrasto alla povertà assoluta, che riconosce la presenza di differenze geografiche nel costo della vita, la scelta delle soglie è un problema da ap-

25 Si tratta di uno dei due scenari sulla complessiva situazione dell’economia italiana per i quali è stato stimato

l’impatto del Reis, l’altro è lo scenario “contesto di forte crisi economica” (cfr. par 3.3.2). 26 La curva di densità cumulata mostra la percentuale di famiglie che presentano un Isee inferiore o al più ugua-

le a ciascun dato valore. Per esempio, dalla figura risulta che circa l’80% delle famiglie in povertà assoluta ha meno di 6mila euro di Isee (prima della riforma).

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profondire. In Appendice mostriamo alcuni risultati relativi ad un caso alternativo, in cui si adotti una linea di Isee unica su tutto il territorio nazionale.

Fig.1 Curve di densità cumulata dell’Isee per le famiglie in povertà assoluta – Scenario “Contesto e-conomico ‘normale’ ”

Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. L’indicatore Isee viene simulato partendo dai dati reddituali presenti nell’indagine. Una descrizione dettagliata della procedura seguita per la simulazione dell’Isee è disponibile su richiesta agli autori.

3.2.2. Il confronto tra il reddito e la linea di povertà assoluta

Una volta definite le buone ragioni per l’utilizzo dell’Isee come primo selettore, vale ora la pena di considerare le motivazioni che spingono ad utilizzare anche un secondo filtro all’accesso, sulla cui ba-se dovrà poi essere definita l’integrazione spettante.

Non usiamo l’Isee per il calcolo del trasferimento, bensì il reddito disponibile, perché il nostro obiet-tivo è il contrasto della povertà assoluta, che abbiamo definito seguendo l’approccio Istat. La defini-zione della povertà assoluta adottata dall’Istat, in effetti, prescinde dall’Isee, in quanto è calcolata sulla base della spesa per consumi, ovvero del reddito disponibile spendibile per l’acquisto di un pa-niere di consumo minimo (cfr. cap. 2). Ecco allora che la principale soglia di accesso dovrebbe essere espressa proprio nella stessa unità di misura utilizzata per la stima dei poveri assoluti, direttamente correlabile con quest’ultima. Solo le famiglie che, oltre ad avere un Isee inferiore ad una certa soglia, presentano anche un reddito minore della linea di povertà assoluta Istat possono ricevere il trasferi-mento. Come illustrato nel capitolo 2, le soglie di povertà assoluta Istat sono differenziate in base alla tipologia familiare ed anche all’area geografica di residenza, nonché alla dimensione del Comune. Es-se sono quindi crescenti rispetto alla numerosità dei componenti della famiglia, ed a parità di compo-sizione demografica sono maggiori per le regioni centro-settentrionali rispetto a quelle meridionali.

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Isee riformato

Isee attuale

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In questo modo il Reis tiene conto del fatto che il costo della vita è superiore nel Nord del paese ri-spetto al Centro e soprattutto al Sud.

L’indicatore reddituale è definito come segue. Innanzitutto, ci riferiamo alla somma di tutti i redditi esenti e non esenti, calcolati al netto dell’imposizione fiscale e della contribuzione obbligatoria. L’unica eccezione a questa regola consiste nel fatto che non consideriamo nel calcolo l’indennità di accompagnamento, prestazione non sottoposta alla prova dei mezzi, a carattere risarcitorio, che vie-ne assegnata in ragione delle maggiori spese che un individuo disabile deve sostenere per l’assistenza e non come diretto sostegno al reddito (Gori, 2011b)27. Questa decisione aumenterebbe leggermen-te il numero di famiglie beneficiarie rispetto a quello delle famiglie in povertà assoluta, in particolare fra gli anziani e fra i capofamiglia in “altra” condizione lavorativa.

Al reddito disponibile monetario corrente delle famiglie che possiedono l’abitazione in cui risiedono va poi aggiunta la componente abitativa definita dall’Istat per il calcolo delle soglie di povertà assolu-ta. Si tratta di una somma, variabile a seconda della dimensione del comune e dell’area geografica di residenza, che corrisponde al canone di affitto che una famiglia con certe dimensioni dovrebbe me-diamente pagare per una casa non di lusso nello stesso comune in cui risiede. In questo modo si dif-ferenzia il reddito delle famiglie che vivono in proprietà da quello dei nuclei in affitto. Per le famiglie con mutuo in corso di pagamento sottraiamo dal reddito gli interessi passivi, ma aggiungiamo la componente abitativa, come per le altre famiglie con alloggio di proprietà.

Di particolare rilievo, in questa fase di crisi economica, sono i casi nei quali vi sia una variazione im-provvisa del reddito corrente: si tratta abitualmente di un abbassamento, dovuto principalmente alla perdita del lavoro ma anche all’insorgere di altre situazioni di crisi nella famiglia. In questi casi, quan-do la variazione risulti superiore ad una certa percentuale (da stabilire, ad esempio al 20%), il reddito disponibile dovrà essere calcolato sulla base del reddito medio degli ultimi 3 mesi, moltiplicato per 4 in modo da ottenere un valore annuale. I redditi da lavoro autonomo andranno comunque riferiti agli ultimi 12 mesi, per tenere conto della stagionalità. Non ci è possibile simulare queste variazioni, poi-ché nel dataset Silc i redditi vengono riportati con riferimento all’anno precedente rispetto a quello dell’intervista.28

3.2.3. Come ottenere le informazioni sulla condizione economica

La presenza di un requisito reddituale accanto a quello definito in base all’Isee pone a questo punto un problema cruciale: come raccogliere le informazioni necessarie per il calcolo del reddito disponibi-le della famiglia? L’attuale dichiarazione Isee (anteriore alla riforma) non è adatta a questo scopo, perché nel modulo che viene compilato dai cittadini per autocertificare i propri redditi non c’è la pos-sibilità di indicare in modo differenziato da quali fonti essi provengano (ad esempio da lavoro, da

27 Non si ritiene di utilizzare lo stesso trattamento per la pensione di invalidità in quanto meanstested e dunque

considerabile come un, seppur indiretto, sostegno al reddito. L’indennità di accompagnamento è invece del tutto indipendente dalle condizioni economiche della famiglia. Sarebbe quindi scorretto considerare come “meno povera” una persona solo perché riceve l’indennità di accompagnamento.

28 In Silc, ai lavoratori dipendenti viene richiesto di riportare la mensilità corrente netta. La media di questa va-riabile è però inferiore a quella relativa all’anno precedente, sia perché non viene corretta con gli archivi amministrativi, sia perché è meno precisa nell’identificare i compensi aggiuntivi. Di conseguenza noi preferiamo non utilizzarla, sia perché rischieremmo di sovrastimare il calo dei redditi per i lavoratori dipendenti, sia perché non possiamo simulare la stessa situazione per i lavoratori autonomi e per le persone in transizione verso il pensionamento.

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pensione, assistenziali), essendo previsto un unico campo nel quale va scritto il totale dei redditi fa-migliari. Inoltre sono escluse le entrate non fiscalmente rilevanti, come pensioni e assegni sociali, che invece devono essere considerate tra i redditi per erogare il Reis. Oltre all’incompletezza delle infor-mazioni reddituali, l’attuale dichiarazione Isee soffre di un problema legato al periodo temporale di riferimento. Vi si trova infatti il reddito dell’intero anno fiscale precedente la data della dichiarazione, che potrebbe essere molto lontano da quello corrente, in particolare se la caduta in povertà fosse un fenomeno recente. Nella dichiarazione dell’Isee ipotizzato nel Decreto che intende riordinarlo, si de-ve dichiarare addirittura il reddito di due anni prima: se si presenta ad esempio la dichiarazione Isee dell’anno 2012, si deve fare riferimento alla dichiarazione dei redditi dell’anno precedente, che a sua volta è relativa a quello prima ancora, cioè il 2010. Perciò l’Isee in realtà riporta il reddito di un perio-do abbastanza lontano dal momento in cui la famiglia richiede l’intervento contro la povertà. Nel de-creto di riordino dell’Isee si prevede (articolo 9) di utilizzare un “Isee corrente”, che descriva una condizione economica più aggiornata nel caso si siano verificate variazioni significative. Questa mo-dalità è in parte indebolita dal fatto che l’Isee corrente viene previsto unicamente come facoltà a scelta del dichiarante, e non come obbligo, soltanto nel caso sia inferiore del 25% rispetto a quello standard (che deve già essere noto), ed esclusivamente se è cessata l’attività lavorativa. Inoltre l’Isee corrente vale solo due mesi e, nella sua formulazione attuale, non è né vincolante né utilizzabile quando la condizione economica sia mutata per motivi diversi dai redditi da lavoro o sia migliorata. Nonostante queste difficoltà, nel caso l’Isee venga riformato seguendo lo schema già elaborato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la possibilità di ricorrere all’Isee corrente appare molto promettente ai fini del Reis, anche se saranno forse necessari alcuni adattamenti che dovranno esse-re approfonditi. È comunque essenziale che la nuova Dichiarazione Sostitutiva Unica dell’Isee rifor-mato venga modificata rispetto alla sua versione attuale e permetta di evidenziare le singole voci reddituali. Nell’eventualità che anche la riformulazione della certificazione relativa all’Isee non per-metta di ricostruire con precisione il reddito corrente della famiglia, sarà necessario predisporre un modulo integrativo che le famiglie richiedenti il Reis dovranno compilare assieme alla dichiarazione Isee.

3.2.4. Un indicatore integrativo basato sul consumo

Uno dei problemi principali nel determinare la quota di reddito disponibile è dato dalla presenza di una percentuale consistente di famiglie che dichiarano redditi nulli oppure molto bassi.. Questa si-tuazione si verifica di frequente anche nelle dichiarazioni Isee, come è evidente dalla figura 1, dun-que occorrerà calcolare anche un indicatore di controllo sui consumi che consenta di attribuire alle famiglie un reddito presunto più in linea con l’effettivo tenore di vita. Proponiamo quindi di fare rife-rimento all’impostazione dell’ormai collaudato indicatore di controllo previsto dal Reddito di Garan-zia della Provincia Autonoma di Trento. Qui l’indicatore di controllo sui consumi viene utilizzato al momento del calcolo dell’ICEF (l’Isee locale), come indicatore di congruità alla fonte, per verificare se una stima prudente dei consumi possa essere in linea o nettamente superiore al reddito dichiarato.29

In pratica, per ogni famiglia che richiede l’ammissione al sussidio l’amministrazione calcola un con-sumo annuo, presunto in base ad alcune semplici informazioni relative al numero dei componenti, al titolo di godimento dell’abitazione, alla presenza di mutui ancora da estinguere e all’eventuale pos-sesso di automobili. Questa stima viene effettuata a partire dai valori medi di spesa per famiglie po-vere effettuati dall’Istat nell’Indagine sui consumi delle famiglie, differenziati per area geografica.

29 Per maggiori dettagli, si veda Zanin et al (2011).

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3. UTENTI E IMPORTI

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Le categorie di consumo considerate sono solo quelle che si può ragionevolmente assumere siano strettamente necessarie alla sopravvivenza quotidiana: alimentazione, abbigliamento, energia elet-trica e comunicazioni (essenzialmente linea telefonica). Sulla base dei dati Istat sui consumi delle fa-miglie, raccolti presso il pertinente campione di famiglie trentine, si determina l’ammontare medio annuo – commisurato alle dimensioni del nucleo familiare - della spesa per consumo in ognuna di queste voci. Questi valori sono poi ridotti per tenere conto del fatto che si ha a che fare con famiglie povere. In concreto, la spesa media per consumi alimentari è ridotta del 20%, quella per abbiglia-mento e calzature del 60%, quella per energia elettrica del 50% e quella per comunicazioni del 60%.

Il reddito familiare stimato sulla base dei consumi imputati viene confrontato con il reddito familiare dichiarato dal richiedente: il maggiore diventa quello considerato ai fini del calcolo dell’ammontare dell’integrazione monetaria spettante alla famiglia. Il richiedente può rifiutare questa procedura di stima e portare dimostrazioni che il suo livello di reddito è quello dichiarato e non quello derivante dai suoi consumi presunti. La fondatezza delle argomentazioni contrarie addotte dal richiedente vie-ne accertata dai servizi sociali.

L’utilizzo del consumo presunto ha avuto un forte effetto dissuasivo sui casi di falsa positività, pres-soché annullati; inoltre, praticamente nessuno, avendo dichiarato un reddito inferiore a quello de-terminato in base ai consumi presunti, ha rifiutato la revisione verso l’alto del reddito dichiarato.

Nel caso in cui l’indicatore sui consumi sia superiore al reddito dichiarato nel modello ICEF, la do-manda viene considerata incongrua e il beneficiario ha due possibilità: (i) accettare l’imputazione dell’indicatore di condizione economica superiore, corrispondente ai costi dei consumi, (ii) se non ac-cetta, potrà accedere all’intervento solo a seguito di correzione/validazione dell’ICEF. Utilizzando l’indicatore dei consumi è emerso che molte domande per il Reddito di Garanzia presentavano delle dichiarazioni ICEF incongrue, e dunque passibili di verifica, in cui una stima molto prudente dei con-sumi era superiore al reddito dichiarato, con frequente conseguente spontaneo abbandono della pretesa da parte dei richiedenti.

Il calcolo dei consumi presunti diventa quindi cruciale per la determinazione dell’ammissibilità. I con-sumi di base - alimentari, abbigliamento, energia - dovranno essere accuratamente calcolati, ad e-sempio individuando il livello minimo come il 1° percentile nella distribuzione dei consumi osservati nell’Indagine Istat sui Consumi delle Famiglie. Questo livello andrà calcolato separatamente per cia-scuna delle tipologie familiari che compongono le soglie di povertà assoluta Istat, ovvero tenendo conto del numero di componenti, della loro età, dell’area e della dimensione del Comune di residen-za. Relativamente alle spese per canoni di locazione e per interessi passivi sui mutui, faranno fede i valori inseriti nella dichiarazione Isee, mentre le spese per il mantenimento di autoveicoli e di manu-tenzione dell’alloggio saranno attribuite forfettariamente.

Il calcolo di questi livelli richiederà dunque un lavoro accurato, disaggregato non solo per tipologia familiare, ma anche per ripartizione geografica e dimensione del Comune di residenza. Occorrerà, i-noltre, controllarne la coerenza con le soglie di povertà per evitare che il livello di consumi presunti finisca per annullare automaticamente il trasferimento. Non è dunque possibile presentare già in questa sede una stima della riduzione della spesa complessiva che potrebbe risultare da questo con-trollo dei consumi. Riteniamo tuttavia che l’utilizzo del valore maggiore fra i consumi presunti ed il reddito disponibile dichiarato potrà ragionevolmente portare ad una riduzione del trasferimento e dunque del numero totale di beneficiari ammessi. La spesa totale necessaria a finanziare la misura presentata più avanti potrà dunque essere considerata lievemente sovrastimata.

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3. UTENTI E IMPORTI

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3.2.5 La logica complessiva

Prima di presentare alcune stime quantitative su platea, impatto distributivo e costi del Reis, può es-sere utile cercare di riepilogare i punti fondamentali attorno ai quali ruota la nostra proposta per quanto riguarda i criteri di accesso. La stella polare è il principio dell’universalismo, in base al quale la misura viene rivolta a tutte le famiglie in povertà assoluta, senza differenziazioni di natura categoria-le. Nel rispetto di questo principio fondante, vi sono tre punti specifici che guidano la definizione dei criteri di accesso.

Il primo riguarda il concetto di benessere economico, che privilegiamo. Esso dipende in primo luogo dal reddito corrente e da ciò che permette di acquistare, coerentemente con il nostro obiettivo di colmare un gap di reddito. Riteniamo però che il benessere economico di una famiglia dipenda non solo dal reddito ma anche dal patrimonio, fattore che, riflettendo le scelte di consumo e risparmio del passato, conferisce al suo possessore margini di manovra che le persone prive di capitale non hanno. Non ci sembrerebbe quindi coerente concedere l’accesso al Reis anche a famiglie con basso reddito corrente ma con significative dotazioni patrimoniali. Abbiamo comunque proposto una soglia piuttosto elevata in termini di Isee, perché in caso contrario rimarrebbero escluse molte famiglie con reddito oggettivamente basso. L’impianto disegnato, infatti, porta ad escludere solo il 10% delle fa-miglie con reddito inferiore alla soglia di povertà assoluta30. L’obiettivo di fondo è quello di aiutare le famiglie in oggettiva difficoltà, quindi sia con basso reddito che con scarso o nullo stock di patrimo-nio. Ci rendiamo conto che ciò può porre problemi di disincentivo al risparmio per i poveri, ma la so-glia Isee è fissata a livelli piuttosto elevati anche per consentire di disporre di un certo risparmio e di essere comunque beneficiari del Reis.

Il secondo punto che ha guidato la definizione dei criteri d’accesso fa riferimento all’equità territoria-le. Proponiamo infatti di differenziare la soglia reddituale di accesso e l’importo del trasferimento non solo in funzione del reddito e delle caratteristiche della singola famiglia, ma anche dell’area geo-grafica di residenza, visto che l’Italia è un paese dalle grandi disuguaglianze spaziali di natura socio-economica, senza pari in tutt’Europa. Non abbiamo bisogno a questo scopo di stime nuove, ci basta applicare le soglie di povertà assoluta calcolate dall’Istat, che tengono conto di queste differenze. Se è vero che un euro di reddito ha un potere d’acquisto diverso a seconda dell’area di residenza, que-sta considerazione deve valere anche per un euro di patrimonio. Ci sembra quindi coerente con l’approccio alla povertà assoluta che anche le soglie preliminari definite in termini di Isee vengano differenziate geograficamente. Infine, sempre secondo la medesima logica, anche il controllo sui con-sumi dovrà basarsi su livelli di spesa presunti differenziati per aree.

Infine, c’è il punto della condizionalità. Il Reis spetta solo alle famiglie povere che accettino di rispet-tare alcuni vincoli, relativi alla verifica della loro condizione economica in termini di Isee, reddito cor-rente e consumi presunti, nonché ad una serie di impegni successivi all’entrata nel programma che saranno descritti nel capitolo 6. Solo le famiglie che rispettano questi vincoli di trasparenza e di com-portamento potranno ricevere il beneficio.

30 La percentuale del 10% di famiglie in povertà assoluta escluse dal Reis per la loro significativa dotazione pa-

trimoniale vale sia per lo scenario “Contesto economico ‘normale’ ” sia per lo scenario “Contesto di forte crisi economica” (cfr. par 3.3).

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3. UTENTI E IMPORTI

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3.3. ADEGUATEZZA: L'IMPORTO MENSILE E I SUOI EFFETTI

Si è già chiarito che il trasferimento viene calcolato in questo modo:

Trasferimento = Soglia di povertà assoluta – reddito disponibile della famiglia.

Per incentivare il fatto che i beneficiari della misura lavorino, contenendo il più possibile il rischio che incorrano nella “trappola della povertà”, in linea con i più moderni sistemi di welfare europeo si in-trodurranno appositi accorgimenti, per i quali si rimanda al capitolo 631. Vediamo ora quanti saranno i beneficiari del trasferimento e a quanto ammonterà la spesa totale.32 Una simulazione dettagliata delle conseguenze distributive e di spesa derivanti dalla introduzione del Reis può essere effettuata solo su un campione di microdati rappresentativo dell’intera popolazione delle famiglie italiane. Al momento nel quale la maggior parte di queste simulazioni è stato effettuata (primavera 2013), il più recente dataset Silc disponibile ai ricercatori esterni all’Istat era relativo al 2010 (con i redditi dell’anno 2009). Simulazioni condotte su questa banca dati possono essere rappresentative di un quadro sociale ed economico “normale”, perché in quel periodo la crisi in Italia era ancora agli inizi e non aveva avuto modo di dispiegare grandi effetti sui tassi di disoccupazione e povertà. I dati Silc di-sponibili, inoltre, sono rappresentativi della realtà della povertà assoluta italiana nel triennio 2009-2010-2011, quando il suo valore era rimasto sostanzialmente costante. Una settimana prima della presentazione di questo testo, però, nel luglio 2013, l’Istat ha pubblicato i nuovi dati sulla povertà as-soluta nel 2012, che ne mostrano un brusco peggioramento rispetto alla piatta dinamica degli anni precedenti (dal 5,2% delle famiglie in tale condizione nel 2011 al 6,8% nel 2012, si veda il cap 1). Ci è sembrato importante, pertanto, cercare di fornire anche una stima degli effetti del Reis che sia più rappresentativa della situazione di grave crisi economica nella quale ci troviamo.

Le stime sugli effetti del Reis vengono quindi presentate in due versioni: la prima è basata sulla di-stribuzione dei redditi del 2009, la più recente disponibile per analisi su microdati, e quindi può riflet-tere ciò che potrebbe accadere in un quadro economico “normale” (Scenario “Contesto economico ‘normale’ ”) , a cui speriamo presto di tornare, mentre la seconda cerca di tenere conto delle recenti stime della povertà assoluta nel 2012 (Scenario “Contesto di forte crisi economica”). Poiché anche le stime di questa seconda versione sono condotte sulla stessa banca dati Silc 2010, esse sono necessa-riamente più incerte della precedente ed incorporano un inevitabile margine di maggiore arbitrarietà nelle scelte metodologiche, ma ci pare comunque importante inserire il Reis in un contesto più rap-presentativo della gravità della crisi in corso. Lavorare su due diversi scenari permette, inoltre, di col-locare l’introduzione del Reis nelle differenti configurazioni che l’economia italiana potrebbe assume-re nei prossimi anni.

3.3.1 Gli effetti del Reis nello scenario “Contesto economico ‘normale’ “

Iniziamo quindi presentando i risultati delle simulazioni condotte su Silc 2010 (redditi 2009), che pos-sono come suggerito fornire un quadro valido una volta che l’economia italiana sia uscita da questa fase di emergenza. Seguendo il percorso logico fin qui descritto e ipotizzando la doppia soglia di sele-

31Di questi accorgimenti non si tiene conto nelle simulazioni seguenti perché non ci è dato in alcun modo di sapere quale sia la probabilità che gli individui percettori del trasferimento riescano a trova-re un lavoro. 32 Abbiamo aggiornato tutti i valori monetari al 2013 per tenere conto dell’inflazione, usando l’indice IPCA an-

nuale per tutte le famiglie e assumendo un’inflazione pari all’1.5% nel 2013.

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3. UTENTI E IMPORTI

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zione dei potenziali beneficiari, la tabella 1 mostra il caso della copertura integrale del gap per le fa-miglie con Isee inferiore alla soglia e reddito disponibile inferiore alla linea di povertà assoluta. Sa-rebbero in questo modo coinvolte dal trasferimento il 90% delle famiglie in povertà assoluta (il 5.1% delle famiglie italiane), cioè 1.28 milioni di nuclei e 3.2 milioni di persone. Per queste famiglie l’integrazione media sarebbe pari a 4634 euro all’anno (pari al gap medio tra linea di povertà e reddi-to), per una spesa complessiva annuale di 5.9 miliardi di euro.

Tale stima è stata effettuata non considerando l’indennità di accompagnamento nel calcolo del red-dito disponibile e ipotizzando che tutte le famiglie al di sotto di entrambe le soglie (Isee e povertà as-soluta) ricevano il trasferimento, anche quando risulti solo di pochi euro al mese. È realistico pensare che nel caso di importi modesti, cioè in presenza di redditi appena inferiori alla linea di povertà, mol-te famiglie possano non presentare domanda. La letteratura disponibile (Hernanz et al, 2004, Matsa-ganis et al, 2008) su numerosi paesi europei conferma che il take-up rate, cioè la quota di soggetti che, avendo potenzialmente diritto ad un beneficio, effettivamente lo ricevono, è generalmente infe-riore al 100%, a volte anche in modo molto netto. Per l’Italia, la percentuale di take-up relativa all’esperienza della sperimentazione del reddito minimo di inserimento alla fine degli anni ’90 fu compresa tra il 40% (al Nord) e l’80% (al Sud), con una media nazionale del 67% (Saraceno, 2002). Considerato che quella ebbe un carattere sperimentale mentre la prestazione qui proposta dovrebbe essere permanente, è probabile che la quota di adesioni sia bassa nei primi anni, per poi crescere nel tempo. D’altra parte, le ricerche internazionali dimostrano che in effetti la probabilità di richiedere un beneficio è correlata positivamente con l’importo del beneficio atteso (si veda, tra gli altri, Her-nanz et al, 2004, pg. 18). È quindi ragionevole ritenere che il take-up rate non potrà mai essere pari al 100%. Sulla base di queste considerazioni, non ci sembra irragionevole aspettarci un take-up rate at-torno al 75%, una quota piuttosto alta perché, appunto, superiore a quella della sperimentazione del RMI di 15 anni fa, pure allora molto pubblicizzata. La percentuale del 75% è anche superiore a quelle registrate nella gran parte delle varie esperienze locali di reddito minimo finora attuate nel nostro paese (si veda Spano et al., 2013). Supponendo per semplicità che il minor take up rate sia distribuito in modo omogeneo, la spesa per la parte del Reis di trasferimenti monetari dovrebbe essere pari, a regime, a 4425 milioni di Euro annui (tab 2). Per una discussione sulla spesa totale per il Reis, com-prensiva anche della componente in servizi e del monitoraggio/valutazione, si rimanda al capitolo 9. TAB. 2 LE FAMIGLIE BENEFICIARIE DEL TRASFERIMENTO Gruppo Capof. Lavo-ra Capof. disocc. o "altro", meno di 50 anni Capof. disocc. o "al-tro", più di 50 anni

Capof. pensiona-to o 65+ anni Totale % famiglie che ottengono il beneficio in ogni gruppo 4.1% 35.1% 19.9% 1.6% 5.1% % famiglie povere assolute che otten-gono il beneficio in ogni gruppo 94.5% 94.0% 84.2% 73.8% 90.5% Trasferimento medio annuo (euro) 3874 6399 4058 3035 4634 Totale individui beneficiari (migliaia) 1617 1029 247 292 3186 Totale famiglie beneficiarie (migliaia) 567 423 142 147 1280 Spesa totale (mln di euro) 2198 2711 576 447 5931 Totale individui beneficiari con take 1213 772 185 220 2390

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up rate al 75% (migliaia) Totale famiglie beneficiarie con take up rate al 75% (migliaia) 425 318 106 110 960 Spesa totale (mln euro) con take up rate al 75% 1649 2033 432 335 4425 Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Queste simulazioni incorporano la deduzione dal reddito

dell’indennità di accompagnamento

La successiva tab. 3 descrive le caratteristiche socio-anagrafiche delle famiglie che percepirebbero il trasferimento, se si colma il 100% del gap rispetto alla soglia di povertà assoluta Istat. Le famiglie be-neficiarie sono maggiormente concentrate nelle fasce giovani. La composizione per condizione pro-fessionale del capofamiglia evidenzia tra i percettori una più decisa prevalenza dei nuclei dei working poors rispetto alla ripartizione dei poveri assoluti. La quota di beneficiari che risiede al Sud e Isole (48.5%) è simile a quella dei poveri assoluti. Si noti inoltre che la probabilità di ricevere il beneficio è decisamente superiore per le famiglie degli stranieri, ma nonostante ciò i nuclei con capofamiglia di cittadinanza italiana costituiscono la netta maggioranza della platea totale dei beneficiari. Sarebbe quindi sbagliato considerare il Reis come un trasferimento destinato prevalentemente agli immigrati, così come altrettanto erroneo sarebbe ritenerlo un trasferimento a favore soprattutto delle famiglie meridionali. Più di metà del totale delle famiglie beneficiarie infatti non risiede al Sud (e riceve il 52% dell’importo totale del trasferimento). TAB. 3 FREQUENZA E COMPOSIZIONE DELLE FAMIGLIE BENEFICIARIE PER VARIE CARAT-TERISTICHE Area geografica Frequenza Composizione Cittadinanza Frequenza Composizione Nord 3.6% 34.2% Italiana 4.2% 77.8% Centro 4.4% 17.3% Altro 18.4% 22.2% Sud 7.7% 48.5% Totale 5.1% 100.0% Totale 5.1% 100.0%

Educazione del cf Frequenza Composizione Età del capofami-glia Frequenza Composizione Elementari 4.5% 22.4% <30 16.5% 17.6% Medie 7.0% 38.3% 30-39 7.4% 25.1% Diploma 4.9% 32.9% 40-49 6.7% 28.3% Laurea 2.6% 6.4% 50-64 4.0% 19.0% >=65 1.6% 9.9% Totale 5.1% 100.0% Totale 5.1% 100.0% Condizione professionale del capofamiglia Frequenza Composizione Numero compo-nenti Frequenza Composizione Operaio 5.9% 23.2% 1 6.1% 37.6% Impiegato 0.9% 3.9% 2 3.6% 18.8% Atipico 21.3% 2.2% 3 4.1% 16.4% Indipendente 5.8% 15.0% 4 4.8% 16.0% Pensionato 1.1% 6.2% 5 10.7% 8.3% Disoccupato 34.3% 19.5% 6+ 15.2% 2.9%

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Altro 11.7% 29.9% Totale 5.1% 100.0% Totale 5.1% 100.0% Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Tutti i valori monetari sono stati aggiornati al 2013 usando l’indice IPCA annuale per tutte le famiglie.

La tabella 4 mostra, per le famiglie coinvolte, il trasferimento medio per classi di reddito disponibile familiare (inclusa la componente per l’affitto). Per le famiglie più povere, l’incidenza del trasferimen-to è molto elevata e pari a più di sette volte il reddito iniziale. Progressivamente il valore si riduce, anche se rimane consistente pure per le famiglie della classe più elevata, che includono nuclei più numerosi o con caratteristiche tali da corrispondere a una soglia di povertà assoluta più elevata. In media il trasferimento è pari a 4675 euro annui, circa il 58% del reddito familiare medio delle famiglie interessate, una percentuale in grado di modificare in modo significativo il tenore di vita dei poveri. TAB. 4 L’EFFETTO DEL NUOVO SCHEMA SUL REDDITO DELLE FAMIGLIE BENEFICIARIE Classe di reddito Reddito familiare medio Trasferimento medio Trasferimento in % del reddito Ripartizione % delle famiglie povere asso-lute che ottengono il trasferimento 0-3000 1209 9227 763% 12.4% 3000-6000 4523 6168 136% 27.0% 6000-9000 7522 3504 47% 24.3% 9000-12000 10301 3048 30% 14.7% >12000 15414 2426 16% 21.5% Totale 8037 4634 58% 100% Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Per reddito familiare si intende reddito monetario disponibile (esclusa l’indennità di accompagnamento) + componente abitativa. Tutti i valori monetari sono stati aggiornati al 2013 usando l’indice IPCA annuale per tutte le famiglie.

Quale sarebbe l’impatto del Reis sulla povertà in Italia? Nell’ipotesi teorica in cui si riescano a rag-giungere tutte le famiglie potenzialmente interessate, la povertà assoluta subirebbe ovviamente un drastico ridimensionamento, perché il nostro obiettivo consiste proprio nel colmare - almeno in teo-ria - tutto il gap che separa i redditi dei poveri dalle soglie di povertà assoluta. Al limite, se vi fossero un perfetto targeting ed un totale take-up, la povertà assoluta dovrebbe scomparire. È quindi inte-ressante chiedersi anche cosa accadrebbe alla povertà relativa, calcolata sul reddito disponibile, che include sia la componente monetaria che gli affitti imputati.33 Essa, se valutata con l’indice di diffu-sione (la quota di individui o famiglie con reddito inferiore ad una certa quota del reddito medio o mediano nazionale), rimarrebbe invece sostanzialmente inalterata, perché le soglie ragionevoli di po-vertà relativa si collocano ben al di sopra di quelle di povertà assoluta. Se una famiglia in condizioni di indigenza ottiene un incremento notevole del proprio reddito, ma non per questo riesce a superare la linea di povertà relativa, essa rimane in condizioni di povertà relativa. L’indice di diffusione della povertà relativa, che misura la quota di famiglie che si trovano sotto la linea, è infatti insensibile alla gravità della povertà stessa, cioè alla distanza tra il reddito e la soglia. Servono quindi indicatori meno rozzi per cogliere l’impatto del Reis sulla povertà. L’indice di Forster, Greer e Thorbecke è una media

33 Vengono anche sottratti gli interessi su mutui passivi per l’acquisto della casa di abitazione.

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delle distanze tra soglia e reddito, dove ciascuna distanza viene pesata tanto più quanto è maggiore. Quindi, anche se nessuna famiglia supera la soglia di povertà, l’indice diminuisce quando aumenta il reddito delle famiglie povere, e diminuisce tanto più quanto minore è il reddito delle famiglie benefi-ciarie del trasferimento. Su tutte le famiglie italiane, considerando come soglia di povertà quella cal-colata con il metodo relativo al 60% della mediana della distribuzione individuale del reddito equiva-lente prima del trasferimento, l’indice di FGT34 è pari a 0.024 prima dell’erogazione e scende a 0.012 dopo, con una riduzione molto forte. È ovvio che si tratta di un’ipotesi teorica, perché presuppone un totale take up e nessuno spreco di risorse a favore di famiglie che non sono povere. Tuttavia, anche al netto di questi “caveat” l’effetto sulla povertà sarebbe davvero significativo: con circa cinque mi-liardi la “povertà” in Italia risulterebbe dimezzata, se definita usando un indice che è meno grezzo della semplice quota di poveri relativi perché pesa maggiormente i redditi bassi.

La fig. 2 mostra come cambia l’indice FGT sulla distribuzione familiare del reddito per alcune dimen-sioni delle famiglie italiane. La riduzione della povertà sarebbe molto forte in tutte le aree del paese e per tutte le dimensioni familiari. FIG. 2 INDICE DI FGT PRIMA E DOPO IL TRASFERIMENTO

È noto che in Italia il rischio di povertà, sia relativa che assoluta, colpisce soprattutto le persone in giovane età. Verifichiamo quindi l’impatto del Reis sul rischio relativo di povertà, attraverso il con-

34 La formula dell’indice FGT è (1/N) ∑i ((z-yi)/z)a, dove N è il numero totale delle famiglie, z è la linea di povertà,

y il reddito disponibile equivalente. I risultati riportati nel testo sono stati calcolati con a=2.

0

0,01

0,02

0,03

0,04

0,05

Nord Centro Sud

Area di residenza

prima

dopo

00,010,020,030,040,050,060,070,08

1 2 3 4 5 >=6

Numero componenti

prima

dopo

00,0050,01

0,0150,02

0,0250,03

0,0350,04

elem. medie dipl. laurea

Istruzione capofamiglia

prima

dopo

00,010,020,030,040,050,060,070,08

italiano straniero

Nazionalità capofamiglia

prima

dopo

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fronto dell’indice FGT prima e dopo il trasferimento, sulla distribuzione individuale del reddito per classi di età non dei capifamiglia, come fin qui fatto, ma di ciascuna persona (fig. 3). Purtroppo l’indice di FGT non ha un’interpretazione intuitiva che possa renderlo “attraente”. È utile quindi os-servare soprattutto come esso cambia nel passaggio dalla distribuzione del reddito senza Reis a quel-la che lo include. La riduzione della povertà sarebbe particolarmente forte proprio per le fasce di età più basse, mentre l’impatto del Reis sulla povertà degli anziani sarebbe poco significativo, perché es-sa è già oggi bassa. FIG. 3 INDICE DI FGT PER LA DISTRIBUZIONE INDIVIDUALE DEL REDDITO, PRIMA E DOPO IL TRASFERIMENTO

Mantenendo la copertura al 100% delle linee di povertà assoluta Istat, la parte superiore della tab. 1 ci dice che il 10% circa delle famiglie povere assolute non riceverebbero il trasferimento. Le famiglie escluse sarebbero in genere nuclei con reddito disponibile sostanzialmente simile, in media, a quello delle famiglie incluse, ma con Isee decisamente più alto. La differenza, quindi, sta nel valore del pa-trimonio mobiliare ed immobiliare: le famiglie beneficiarie del sussidio sono spesso prive di patrimo-nio immobiliare, ivi compresa la casa di abitazione (solo un quarto vive in proprietà), mentre riman-gono escluse famiglie che, pur essendo povere assolute in termini di reddito, hanno patrimoni signifi-cativi. Suddividendole per classe di età del capofamiglia, le famiglie che, malgrado siano povere asso-lute in termini di reddito, non sarebbero beneficiarie del trasferimento, si concentrano nelle fasce più avanzate, che hanno avuto nel tempo la possibilità di accumulare uno stock patrimoniale. Sarebbe infatti escluso dal trasferimento il 29% delle famiglie con persona di riferimento dai 65 anni in su ed il 19% dei nuclei con capofamiglia tra 50 e 64 anni, contro quote inferiori al 10% per le fasce di età infe-riori. La selezione in base all’Isee non esclude che sia comunque possibile per i beneficiari detenere un certo ammontare di patrimonio mobiliare o immobiliare. Non vogliamo, in altre parole, disincen-tivare l’accumulazione di uno stock patrimoniale. È però importante che vi sia una soglia che tenga conto del valore del patrimonio, perché altrimenti si corre il rischio di erogare un trasferimento a chi avrebbe la capacità di far fronte autonomamente, attingendo a patrimoni significativi, a situazioni di emergenza.

Equità territoriale: l’aggiustamento al costo della vita

00,005

0,010,015

0,020,025

0,030,035

0,040,045

0,05

<=9 10-19 20-29 30-39 40-49 50-59 60-69 70-79 >=80

primadopo

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3. UTENTI E IMPORTI

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È noto che in Italia il livello dei prezzi di molti beni e servizi è decisamente differenziato tra aree geo-grafiche. Secondo i dati Silc, ad esempio, il canone medio d’affitto nelle regioni settentrionali era nel 2009 di 6020 euro annui, contro 4200 euro in quelle meridionali, una differenza del 43% (del 38% se restringiamo il calcolo alle zone ad alta densità abitativa). Le statistiche sulla povertà relativa, di red-dito o di consumo, non tengono però conto di queste differenze perché sono basate sul confronto tra i redditi o i consumi delle singole famiglie ed un’unica linea di povertà, calcolata come la media (o mediana) della distribuzione del reddito o del consumo sull’intero territorio nazionale. Una parte del maggior reddito medio delle famiglie residenti nel centro-nord rispetto a quelle meridionali non cor-risponde però a maggior benessere, ma serve solo a compensare un più elevato livello dei prezzi. Le misure di povertà relativa calcolate con linea unica nazionale, quindi, sottostimano la povertà nelle regioni centro-settentrionali e la sovrastimano in quelle del Sud. La stima della povertà assoluta con-dotta dall’Istat non soffre però d questo limite, perché le linee sono differenziate anche sulla base dell’area di residenza. Nel 2011, ad esempio, la linea di povertà assoluta per una persona sola resi-dente in un grande comune del Nord è di 747 euro al mese, al Centro 719, al Sud 561. La differenza percentuale tra Nord e Sud è quindi del 33%. Per una famiglia con due minori tra quattro e dieci anni e due adulti, i corrispondenti valori per le tre aree sono 1495, 1412 e 1175, con una differenza per-centuale tra Nord e Sud del 27%.

Il Reis, basandosi sul principio di colmare il gap tra linea di povertà assoluta e reddito disponibile ed essendo strettamente collegato alla metodologia seguita dall’Istat per il computo delle soglie di po-vertà assoluta, risulterà quindi graduato secondo il costo della vita del territorio in cui si trova il ri-chiedente. Le variabili saranno in particolare due: la macro area (Nord, Centro, Sud) e la dimensione del comune di appartenenza (piccolo, grande, area metropolitana). Si modificherebbe così la situa-zione attuale, che svantaggia le realtà dove il costo della vita è maggiore, cioè le regioni settentrionali ed i comuni più grandi. A parità di reddito e di struttura per età dei membri, una famiglia del Nord ri-ceverebbe un trasferimento superiore rispetto a famiglie residenti nel resto del paese, ottenendo grazie a questa differenziazione il medesimo potere di acquisto.

La tabella 5 mostra i valori medi del trasferimento, del reddito prima di esso e della linea di povertà assoluta per le famiglie composte da una persona e da quattro persone nelle tre macro-aree del pae-se. Per le persone sole, la linea di povertà assoluta supera quella delle famiglie meridionali di circa il 35% (comprendendo i comuni di tutte le dimensioni). Il trasferimento medio che va alle persone sole del Nord è solo di poco superiore a quello percepito dalle corrispondenti famiglie meridionali a causa del più basso reddito medio pre-trasferimento di queste ultime. A parità di reddito il trasferimento sarebbe comunque maggiore, in modo da garantire il medesimo potere d’acquisto. Le stesse consi-derazioni si applicano ai nuclei di quattro componenti: la linea media di povertà del Nord supera del 25% quella del Sud, anche se il trasferimento medio al Nord è inferiore perché il reddito pre-Reis è decisamente superiore. TAB. 5 MEDIE ANNUE DEL TRASFERIMENTO, DEL REDDITO PRE-TRASFERIMENTO E DELLA LINEA DI POVERTÀ ASSOLUTA PER FAMIGLIE RESIDENTI IN DIVERSE MACRO-AREE Reis Reddito familiare prima del trasferi-mento Linea di povertà asso-luta

Un componente Nord 3510 6009 9519 Centro 3027 6251 9279

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3. UTENTI E IMPORTI

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Sud 3161 3899 7060 Totale 3285 5262 8547 Quattro componenti Nord 5995 13154 19149 Centro 6202 12315 18517 Sud 6079 9208 15287 Totale 6075 10652 16727 Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Per reddito familiare s’intende il reddito monetario disponibi-le (esclusa l’indennità di accompagnamento) più la componente abitativa. Tutti i valori monetari sono stati aggiornati al 2013 usando l’indice IPCA annuale per tutte le famiglie.

La presenza di linee di povertà assoluta che riflettono i diversi livelli dei prezzi fa sì che la ripartizione delle famiglie beneficiarie del trasferimento sia decisamente più equilibrata rispetto alla ripartizione delle famiglie povere in senso relativo. Come già mostrato in tab. 3, nelle regioni meridionali risiede poco meno della metà delle famiglie potenzialmente beneficiarie del Reis (mentre la prima Social Card, già più selettiva del criterio della povertà relativa, andò per il 65% a famiglie del Sud35), una quota comunque ancora superiore a quella delle famiglie meridionali sul totale delle famiglie italiane. Anche la ripartizione della spesa totale per il trasferimento vede leggermente al di sotto del 50% del totale le risorse che affluirebbero alle regioni meridionali. Il trasferimento medio è però simile nelle varie aree del paese (terz’ultima colonna della tab. 6), nonostante le linee superiori al Nord, per due ragioni principali: le famiglie beneficiarie del Nord e del Centro hanno un reddito pre-trasferimento decisamente più alto. Essendo inoltre molto più piccole di quelle delle regioni meridionali, ricevereb-bero in media un Reis inferiore: al Nord solo il 18% dei nuclei che ricevono il Reis è composta da al-meno quattro persone, la metà rispetto al Sud. TAB. 6 ALCUNE STATISTICHE RELATIVE AI NUCLEI BENEFICIARI DEL TRASFERIMENTO, DI-VISI PER MACRO-AREA Riparti-zione tutte le famiglie italiane

Riparti-zione fa-miglie be-neficiarie Riparti-zione spe-sa totale Reddito medio pre-trasferi-mento

Reddito medio pre-trasferi-mento pro-capite Trasferi-mento me-dio % fami-glie bene-ficiarie con uno o due com-ponenti

% fami-glie bene-ficiarie con alme-no quat-tro com-ponenti Nord 48.3% 34.2% 34.0% 8697 4742 4611 65.0% 17.9% Cen-tro 19.8% 17.3% 17.7% 8391 4487 4743 63.4% 20.5% Sud 31.9% 48.5% 48.3% 7445 2972 4611 47.8% 36.1% Tota-le 100.0% 100.0% 100.0% 8036 3839 4634 56.4% 27.2% Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010.

35 Inps 2010.

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3. UTENTI E IMPORTI

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La tab. 7 offre una panoramica più disaggregata della distribuzione del Reis, considerando le singole regioni. La ridotta dimensione campionaria a livello regionale deve naturalmente indurre alla cautela nell’interpretare questi numeri come veramente rappresentativi, ma la tabella propone comunque spunti interessanti. La prima colonna espone la quota di famiglie che in ogni regione dovrebbero es-sere interessate al trasferimento, seguita dal loro numero assoluto. Le ultime tre colonne sono dedi-cate all’effetto sull’indice FGT di povertà relativa di reddito, che come abbiamo visto attribuisce un peso maggiore ai cambiamenti di reddito che interessano le famiglie più povere. TAB. 7 ALCUNE STATISTICHE SULLA RIPARTIZIONE DEL REIS TRA LE REGIONI

% famiglie che ricevono il Reis Numero fa-miglie che ricevono il Reis Trasf. medio per famiglia beneficiaria Ripartizione spesa totale FGT prima (alfa=2) FGT dopo (alfa=2) variazione % FGT Piemonte 4.2% 84675 4751 6.8% 0.01638 0.00582 -64% Valle d’Aosta 1.9% 1136 4910 0.1% 0.00666 0.00318 -52% Lombardia 4.1% 177803 4310 12.9% 0.01478 0.00575 -61% Bolzano 3.1% 6348 3869 0.4% 0.00708 0.00223 -69% Trento 1.6% 3633 9696 0.6% 0.00916 0.003 -67% Veneto 3.5% 71571 4185 5.0% 0.01101 0.00428 -61% Friuli V. G. 3.2% 17700 3279 1.0% 0.01185 0.00657 -45% Liguria 4.4% 34809 4813 2.8% 0.01726 0.00559 -68% Emilia Romagna 2.0% 40022 6477 4.4% 0.01058 0.00345 -67% Toscana 4.2% 67375 4346 4.9% 0.01266 0.00401 -68% Umbria 3.6% 13524 4729 1.1% 0.01841 0.00667 -64% Marche 4.0% 25299 5655 2.4% 0.01950 0.00637 -67% Lazio 4.9% 114902 4776 9.3% 0.01275 0.00436 -66% Abruzzo 3.8% 20605 5882 2.0% 0.03018 0.01669 -45% Molise 4.0% 5113 4511 0.4% 0.02900 0.01901 -34% Campania 9.4% 197645 5007 16.7% 0.05630 0.03184 -43% Puglia 6.0% 92189 4831 7.5% 0.04078 0.02109 -48% Basilicata 6.1% 14034 5286 1.3% 0.03950 0.02331 -41% Calabria 8.2% 64443 3746 4.1% 0.05205 0.03398 -35% Sicilia 10.2% 204889 4274 14.8% 0.05391 0.03002 -44% Sardegna 3.2% 22286 4205 1.6% 0.02295 0.01332 -42% Italia 5.1% 1280003 4634 100% 0.02420 0.01181 -51%

Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010.

3.3.2 Gli effetti del Reis nello scenario “Contesto di forte crisi economica”

In questa sezione finale simuliamo le conseguenze del Reis tenendo conto del forte peggioramento della crisi economica nel corso degli ultimi mesi. Per farlo non modifichiamo la banca dati di riferi-mento su cui sono state eseguite le elaborazioni già presentate, cioè il dataset Silc 2010 (redditi 2009), perché non abbiamo a disposizione microdati relativi al periodo 2012-13, ma lo adattiamo sul-la base delle informazioni fornite dall’Istat il 17 luglio 2013, relative alla diffusione della povertà rela-

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3. UTENTI E IMPORTI

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tiva ed assoluta in Italia nel 201236 In un solo anno, la diffusione della povertà assoluta tra le famiglie in Italia è passata dal 5.2% del 2011 al 6.8% del 2012, cioè da circa 1,3 ad 1,7 milioni di nuclei. Il peg-gioramento è stato particolarmente forte per le famiglie numerose con figli. Riprodurre in modo pre-ciso queste dinamiche sul nostro campione Silc 2010 non è possibile, non solo perché noi stimiamo la povertà assoluta in base al reddito e non al consumo, ma anche perché non possediamo dati sulle di-stribuzioni congiunte delle famiglie in povertà in base a caratteristiche socio-demografiche. Sulla ba-se del fatto che il nostro metodo di calcolo della povertà assoluta in termini di reddito ha prodotto nel dataset Silc una quota di famiglie in povertà assoluta molto vicina alle stime Istat fino al 2011, ca-libriamo i microdati in modo da riprodurre un ampliamento della platea dei poveri assoluti simile a quello effettivamente registrato dall’Istat per il 2012. A questo scopo riduciamo proporzionalmente i redditi delle famiglie, con coefficienti di riduzione più elevati per i nuclei con capofamiglia in più gio-vane età o di dimensione elevata, in modo da ottenere una quota di famiglie in povertà assoluta del 6.8%. Ipotesi alternative sulla dimensione dei coefficienti hanno fornito risultati molto simili. Si noti che le quote di famiglie in povertà assoluta per fascia di età del capofamiglia non sono simili a quelle calcolate dall’Istat, perché come si è già osservato nel capitolo 2 l’uso del reddito al posto del consu-mo incrementa il rischio di povertà per i giovani e lo riduce tra gli anziani. Abbiamo però cercato di incrementare il rischio di povertà per fasce di età con variazioni simili a quelle che l’Istat ha docu-mentato essersi verificate tra il 2011 ed il 2012. Siamo consapevoli che si tratta di un metodo che può fornire risultati solo approssimativi, ma in mancanza di microdati più recenti non abbiamo alter-native se vogliamo tenere conto delle recenti dinamiche della crisi.

Seguendo la metodologia illustrata, la tab. 8 riprende la precedente tab. 2 e mostra che, con ipotesi di pieno take-up, il numero di famiglie beneficiarie del Reis passerebbe da 1,28 milioni della tab. 1 a 1,63 milioni di nuclei, per una spesa media di 4451 euro annui per famiglia ed una spesa totale di 7,4 miliardi. Se invece, più realisticamente, ipotizziamo un take-up al 75%37, il numero delle famiglie che ricevono il Reis raggiunge gli 1,22 milioni, in aumento di 260 mila unità rispetto al caso che non tiene conto degli sviluppi recenti della crisi. La spesa totale per la componente monetaria del Reis passe-rebbe a 5,54 miliardi di euro, con una crescita di 1,1 miliardi rispetto al caso “normale” precedente-mente considerato. TAB. 8 LE FAMIGLIE BENEFICIARIE DEL TRASFERIMENTO NELLO SCENARIO DI CRISI Gruppo Capof. Lavo-ra Capof. disocc. o "altro", meno di 50 anni Capof. disocc. o "al-tro", più di 50 anni

Capof. pensiona-to o 65+ anni Totale % famiglie che ottengono il beneficio in ogni gruppo 6.0% 40.0% 22.0% 1.8% 6.5% % famiglie povere assolute che otten-gono il beneficio in ogni gruppo 95.0% 94.5% 85.1% 73.8% 90.9% Trasferimento medio annuo (euro) 3944 6239 4154 2944 4542 Totale individui beneficiari (in mi-gliaia) 2578 1228 286 359 4451 36 Si veda Istat 2013. 37 Sul take-up si veda il par. 3.3.1.

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3. UTENTI E IMPORTI

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Totale famiglie beneficiarie (in mi-gliaia) 821 482 157 166 1626 Spesa totale (mln di euro) 3239 3009 652 490 7387 Totale individui beneficiari con take up rate al 75% (migliaia) 1933 921 214 269 3338 Totale famiglie beneficiarie con take up rate al 75% (migliaia) 616 361 118 124 1219 Spesa totale (mln euro) con take up rate al 75% 2429 2257 489 368 5540 Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Queste simulazioni incorporano la deduzione dal reddito

dell’indennità di accompagnamento

La tab. 9 che segue descrive le caratteristiche socio-anagrafiche delle famiglie che percepirebbero il trasferimento, se si colma il 100% del gap rispetto alla soglia di povertà assoluta Istat, ancora nel ca-so il Reis si introduca in un periodo di forte crisi economica come l’attuale. Se invece assumiamo un take-up parziale, tutte le percentuali delle colonne “Frequenza” andrebbero proporzionalmente ri-dotte. Rispetto allo scenario “normale”, la probabilità di ricevere il Reis cresce soprattutto per le fa-miglie giovani e per quelle numerose, ma nel complesso le caratteristiche dei nuclei maggiormente interessati dallo schema non dovrebbero cambiare in modo netto. Poco meno della metà della spesa totale per il Reis andrebbe alle regioni meridionali, e più di un terzo a quelle del Nord. In gran parte inoltre la spesa totale affluirebbe a famiglie con nazionalità italiana. Molte delle famiglie beneficiarie hanno persona di riferimento che lavora, ma evidentemente con reddito basso o con molti carichi familiari. Nell’altra metà dei casi mancano invece redditi da lavoro. TAB. 9 FREQUENZA E COMPOSIZIONE DELLE FAMIGLIE BENEFICIARIE PER VARIE CARAT-TERISTICHE Area geografica Frequenza Composizione Cittadinanza Frequenza Composizione Nord 4.8% 35.9% Italiana 5.3% 77.0% Centro 5.3% 16.3% Altro 24.2% 23.0% Sud 9.7% 47.8% Totale 6.5% 100.0% Totale 6.5% 100.0%

Educazione del capofamiglia Frequenza Composizione Età del capofamiglia Frequenza Composizione Elementari 5.0% 21.5% <30 19.4% 16.3% Medie 9.0% 38.7% 30-39 10.1% 26.9% Diploma 6.3% 32.9% 40-49 9.0% 29.9% Laurea 3.5% 6.9% 50-64 5.0% 18.8% >=65 1.6% 7.9% Totale 6.5% 100.0% Totale 6.5% 100.0% Condizione professionale del capo-

famiglia Frequenza Composizione Numero componenti Frequenza Composizione Operaio 9.3% 28.9% 1 6.5% 31.5% Impiegato 1.3% 4.3% 2 4.1% 17.3% Atipico 23.8% 1.9% 3 5.2% 16.2%

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3. UTENTI E IMPORTI

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Indipendente 7.5% 15.3% 4 7.9% 20.1% Pensionato 1.4% 6.1% 5 17.8% 10.1% Disoccupato 40.0% 17.9% 6+ 22.4% 3.4% Altro 12.7% 25.6% Totale 6.5% 100.0% Totale 6.5% 100.0% Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Tutti i valori monetari sono stati aggiornati al 2013 usando l’indice

IPCA annuale per tutte le famiglie.

Per le famiglie coinvolte, il trasferimento medio rappresenterebbe ancora una parte molto significa-tiva del reddito disponibile (tab. 10). In media il sussidio annuale è pari a 4542 euro annui, circa il 51% del reddito familiare medio delle famiglie interessate. TAB. 10 L’EFFETTO DEL NUOVO SCHEMA SUL REDDITO DELLE FAMIGLIE BENEFICIARIE Classe di reddito Reddito familiare medio Trasferimento medio Trasferimento in % del reddito Ripartizione % delle famiglie povere asso-lute che ottengono il trasferimento 0-3000 1202 9423 784% 10.3% 3000-6000 4488 6289 140% 22.6% 6000-9000 7487 3838 51% 23.1% 9000-12000 10410 3592 35% 15.6% >12000 15371 2476 16% 28.4% Totale 8858 4542 51% 100% Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Per reddito familiare si intende reddito monetario disponibile (e-

sclusa l’indennità di accompagnamento) + componente abitativa. Tutti i valori monetari sono stati aggiornati al 2013 usando l’indice IPCA annuale per tutte le famiglie.

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3. UTENTI E IMPORTI

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Appendice 1: Una soglia fissa di Isee In questa prima appendice consideriamo l’effetto della determinazione di una soglia di Isee fissa, an-ziché variabile a seconda della macro-area. Presentiamo i risultati con riferimento a due soglie Isee, a 12mila e ad 8mila per tutto il territorio nazionale, relativamente allo scenario “Contesto economico ‘normale’”

Con Isee massimo a 12mila, la spesa totale scenderebbe solo di poco rispetto al caso presentato nel testo, a 5,77 miliardi di euro (assumendo un pieno take-up), mentre il numero delle famiglie coinvol-te sarebbe di 1.24 milioni. Le famiglie escluse sarebbero circa il 13% di quelle in povertà assoluta.

Nel caso di una riduzione della soglia Isee da 12mila ad 8mila euro, il numero delle famiglie beneficia-rie diminuirebbe a 1.1 milioni e la spesa annua passerebbe a 5.17 miliardi di euro. Il numero delle famiglie in povertà assoluta che resterebbero fuori dal Reis si avvicinerebbe al raddoppio, circa il 22%, e questa riduzione colpirebbe soprattutto le famiglie più anziane perché a parità di reddito l’Isee tende a crescere con l’età. TAB. A1 BENEFICIARI E SPESA CON SOGLIE FISSE DI ISEE Gruppo

Capof. La-

vora

Capof. disocc. o "altro", meno di

50 anni Capof. disocc. o "altro",

più di 50 anni

Capof. pen-sionato o 65+ anni Totale Soglia Isee 12000 % famiglie che ottengono il benefi-cio in ogni gruppo 4.0% 34.2% 18.5% 1.5% 4.9% % famiglie povere assolute che ot-tengono il beneficio in ogni gruppo 92.1% 91.8% 77.3% 71.5% 87.7% Trasferimento medio annuo (euro) 3,904 6,438 4,085 2,940 4,656 Totale individui beneficiari 1,592,205 1,003,023 234,511 282,047 3,111,786 Totale famiglie beneficiarie 552,781 412,523 131,586 142,164 1,239,055 Spesa totale (mln di euro) 2,158 2,656 538 418 5,770 Spesa totale (mln di euro) con take up 75% 1619 1992 404 314 4328 Soglia Isee 8000 % famiglie che ottengono il benefi-cio in ogni gruppo 3.6% 30.8% 16.1% 1.3% 4.4% % famiglie povere assolute che ot-tengono il beneficio in ogni gruppo 83.2% 83.5% 66.5% 60.3% 78.5% Trasferimento medio annuo (euro) 3,906 6413 4272 2902 4675 Totale individui beneficiari 1,450,369 909,000 203,340 246,273 2,808,983 Totale famiglie beneficiarie 499,565 371,283 114,548 121,217 1,106,613 Spesa totale (mln di euro) 1,951 2,381 489 352 5,174 Spesa totale (mln di euro) con take up 75% 1463 1786 367 264 3881

Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010.

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3. UTENTI E IMPORTI

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Appendice 2: La riforma degli ammortizzatori sociali In questa seconda appendice ci chiediamo se la riforma degli ammortizzatori sociali approvata dal Parlamento nel 2012 (riforma Fornero del mercato del lavoro, legge 92/2012) potrà avere effetti sulla spesa totale per il Reis e sul numero dei beneficiari. Se, infatti, la riforma aumentasse il numero dei beneficiari di prestazioni di disoccupazione tra le famiglie che usufruiscono del Reis, alcune di loro potrebbero non trovarsi più in condizioni di povertà assoluta: nelle nostre stime di spesa dovremmo tenerne conto.

Dall’inizio del 2013 è entrata in vigore l’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego), il nuovo sussidio di disoccupazione che sostituisce l’indennità di disoccupazione ordinaria. È prevista una fase di transi-zione piuttosto lunga verso l’assetto definitivo, che sarà raggiunto solo dal 2016. In quell’anno, l’Aspi avrà una durata annuale, che potrà essere estesa sino a 18 mesi per gli ultra 55enni che abbiano una contribuzione continua e regolare. La platea dei possibili beneficiari dell’Aspi comprende tutti i di-pendenti, inclusi gli apprendisti ed i soci di cooperativa che svolgono un lavoro subordinato.

Per averne diritto occorre (come per la vecchia indennità di disoccupazione ordinaria) essere iscritti all’assicurazione contro la disoccupazione da almeno due anni ed avere versato contributi per almeno do-dici mesi nel corso dei due anni precedenti l’inizio della disoccupazione. L’importo dell’Aspi è pari al 75% della retribuzione media se essa non supera i 1180 euro, più il 25% della differenza tra la retribuzione e la soglia dei 1180 euro, con un massimale. Dopo sei mesi l’indennità viene ridotta del 15%, e di un altro 15% dopo ulteriori sei mesi. Visto che i requisiti contributivi non si modificano rispetto al passato, non credia-mo che l’Aspi possa ridurre la spesa totale per il Reis e la platea ad esso interessata.

Per i disoccupati che non possiedono i requisiti per accedere all’Aspi è prevista una “mini-Aspi”, che spetta solo se nei 12 mesi precedenti la disoccupazione sono stati accreditati almeno 13 contributi settimanali, equivalenti a tre mesi in totale (non c’è quindi il requisito dei due anni di iscrizione all’assicurazione contro la disoccupazione). Questo dovrebbe allargare in modo significativo la platea dei soggetti coinvolti. L’entità della mini-Aspi è la stessa dell’Aspi; la sua durata massima, pari alla metà del numero di contributi settimanali accreditati nei 12 mesi precedenti la disoccupazione, varia da un minimo di un mese e mezzo a un massimo di sei mesi.

Per avere un’idea del possibile impatto della mini-Aspi sul Reis, selezioniamo nel campione Silc quan-ti abbiano lavorato con un contratto di lavoro dipendente per almeno tre mesi nell’anno precedente e siano disoccupati nell’anno in corso, senza aver ottenuto un sussidio di disoccupazione. Imputiamo ad essi un reddito per i mesi lavorati e calcoliamo la mini-Aspi a cui avrebbero diritto. Ci risulta che circa 115mila disoccupati riceverebbero questo trasferimento, per una spesa totale di circa mezzo miliardo di euro. Di essi, però, solo il 20% vivrebbe in famiglie povere assolute. Queste simulazioni sono state effettuate sul campione Silc con redditi al 2009, quindi sono riferite allo scenario “Conte-sto economico ‘normale’ “. Rispetto all’anno a cui si riferisce il campione, però, il numero dei disoc-cupati è decisamente aumentato, soprattutto tra i giovani. Poiché molti di loro hanno scarsi versa-menti contributivi, è ragionevole ritenere che in questo periodo e negli anni futuri il numero dei sog-getti coperti dalla mini-Aspi sarà superiore. Tuttavia, anche ammettendone un numero doppio o per-sino triplo, l’impatto sul Reis sarebbe comunque piuttosto limitato: nella nostra simulazione relativa allo scenario normale, ad esempio, considerando l’aumento del reddito familiare reso possibile dal percepimento della mini-Aspi, la spesa totale per il Reis diminuirebbe di 60 milioni all’anno, ed il nu-mero delle famiglie coinvolte si ridurrebbe di 10mila unità. Lo scenario di crisi acuta aumenterà sicu-ramente queste cifre, ma il risparmio di spesa per il Reis dovrebbe essere ancora limitato (e compen-sato da una maggiore spesa per ammortizzatori sociali).

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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO

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Nel quindici anni trascorsi dall’introduzione del Reddito minimo di inserimento, il rap-porto fra amministrazione centrale, amministrazioni regionali e amministrazioni locali è stato sovente caratterizzato da un mediocre coordinamento, quando non da separatezza. La proposta del Reddito di inclusione sociale (Reis) fa perno, invece, sulla chiara integra-zione delle funzioni e sulla collaborazione. Rispetto ai molteplici compiti che l’implementazione del Reis richiede – dalla sua pubbli-cizzazione alla prova dei mezzi, all’erogazione monetaria, alle azioni di inclusione sociale e di attivazione al lavoro – è previsto il concorso di diversi attori: l’Inps, i Comuni orga-nizzati in forma associata negli Ambiti socio-assistenziali, il Terzo Settore, i Centri per l’Impiego, i Caf/Patronati i Distretti socio-sanitari, le scuole e gli istituti regionali di for-mazione, le Regioni. Ciò richiede di combinare una convincente distribuzione e interazione di competenze fra centro e periferia. Quanto alla struttura centrale, essa è incentrata su un Comitato di ge-stione, costituito presso il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (Mlps), che so-vraintende e dirige il processo di riforma. Vi è, poi, una Consulta, rappresentativa ma non pletorica, che esamina lo stato di avanzamento della riforma e fornisce pareri sul modo col quale conviene procedere. Infine, vi è un’infrastruttura operativa centrale Mlps-Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef)-Inps, che svolge due compiti essenziali: è il soggetto finale di verifica dell’ammissibilità al Reis e di erogazione del trasferimento monetario; realizza un sistema informativo adeguato a rispondere alle esigenze conosci-tive di tutti i soggetti – centrali e locali – coinvolti nella gestione del Reis, anche per l’offerta di servizi e per gli esiti delle azioni di inclusione sociale e di attivazione al lavoro. La struttura locale poggia sulla scelta degli Ambiti territoriali socio-assistenziali, cioè dei soggetti che (anche con denominazioni diverse nelle varie Regioni) gestiscono tali fun-zioni in forma associata per conto di Comuni, come pivot. In ogni Ambito socio-assistenziale vi è un Comune capofila. È inoltre prevista la creazione di uno snello Grup-po di coordinamento, del quale, accanto alla rappresentanza dell’Ambito, fanno parte i principali attori locali (Centri per l’Impiego, Distretti socio-sanitari, ecc.). Un tassello cruciale per il buon esito del Reis è la collaborazione fra la struttura centrale e quella locale rappresentata dagli Ambiti, in particolare per quanto riguarda l’alimentazione e l’accesso all’infrastruttura operativo-informativa incentrata sull’Inps. In caso di gravi inadempienze degli Ambiti è previsto un tempestivo intervento sostituti-vo dello Stato tramite la nomina di un commissario ad acta per il Reis.

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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO

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4.1 OBIETTIVI E LEZIONI DALL’ESPERIENZA Come già sottolineato, l’obiettivo del Reddito di Inclusione Sociale è ambizioso: giungere in po-che tappe – nell’arco di quattro anni – a una misura nazionale di contrasto della povertà impron-tata all’universalismo selettivo, che si propone due obiettivi: integrare il reddito delle famiglie con un trasferimento monetario che le porti alla soglia considerata essenziale per uno standard di vita accettabile, assorbendo così i molteplici interventi di stampo categoriale rivolti ai poveri; affiancare al trasferimento monetario misure di sostegno sociale e di attivazione al lavoro, impe-gnative tanto per chi le eroga quanto per i destinatari. Le esperienze fatte in Italia negli ultimi quindici anni (IRS, Fondazione Zancan e Cles, 2001; Mi-nistero della Solidarietà Sociale, 2007; Granaglia e Bolzoni 2010; Spano, Trivellato e Zanini, 2013) segnalano vari elementi di debolezza dell’impianto istituzionale e organizzativo: l’eterogeneità dei comportamenti dei Comuni nel gestire il Reddito minimo di inserimento (Rmi), che pure era stato disegnato come una «sperimentazione» nazionale, con un impianto largamente omogeneo; le scelte operate dalle Regioni dopo la riforma del titolo V della Costitu-zione, sovente contraddistinte da un diverso grado di accentramento e da differenti forme di co-involgimento delle Province e dei Comuni (singoli Comuni, Comuni capofila di ambiti socio-assistenziali o di distretti socio-sanitari). Per il buon funzionamento di una misura di contrasto della povertà quale quella proposta, è es-senziale superare questa separatezza dei rapporti fra i diversi soggetti istituzionali e puntare in-vece a una chiara integrazione delle loro funzioni. Il Reis, in quanto misura nazionale, richiede una struttura nazionale, che ne assicuri omogeneità di applicazione, segnatamente per la prova dei mezzi e per il conseguente trasferimento monetario, e la affianchi con un’adeguata, traspa-rente documentazione. Nel contempo, necessita del cruciale concorso degli enti locali e di altri attori diffusi sul territorio, per disporre di una capillare rete di pubblicizzazione del Reis ai cit-tadini, in particolare a quelli più poveri – sovente non raggiunti dagli usuali mezzi di comunica-zione –, per fornire agli stessi molteplici ed agevoli “porte di accesso” alla misura, per porre in essere gli interventi di integrazione sociale e, per le persone in età lavorativa e abili al lavoro, a-zioni di attivazione al lavoro. 4.2 IL PRIMO LIVELLO ESSENZIALE NEL SOCIALE Il Reis rappresenterà un livello essenziale delle prestazioni sociali, ai sensi della Costituzione (art 117, comma 2, lettera m)). Si tratterebbe del primo livello essenziale per le politiche sociali introdotto nel nostro paese. Diventerebbe così, con il graduale percorso attuativo delineato, un vero diritto di cittadinanza nazionale per le famiglie povere. Questo livello essenziale sociale poggerebbe su un rapporto di forte collaborazione tra Stato, Regioni ed Enti Locali, come pro-spettato nel seguito del capitolo. I livelli essenziali di assistenza – come noto – oggi sono inesistenti nelle politiche sociali, ma la loro mancanza diventa sempre meno sostenibile e, da tante parti, se ne sollecita giustamente l’introduzione. Per definire i livelli essenziali del sociale in modo appropriato è necessario pro-muovere un confronto maggiore, ma non teorico, astratto, bensì basato sui dati di fatto. La no-stra proposta introdurrebbe il primo livello essenziale nelle politiche sociali, accompagnandolo con un’attenta attività di monitoraggio e di valutazione in corso d’opera. L’attuazione del Reis diventerebbe, in tal modo, un “laboratorio di livelli essenziali” capace di fornire un bagaglio di indicazioni assai utili per l’auspicabile introduzione di questi ultimi anche negli altri settori del sociale.

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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO

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4.3 IL RUOLO DEI DIVERSI SOGGETTI NEL REIS E NEL WELFARE LOCALE Anche alla luce dei soddisfacenti risultati della struttura nazionale che gestisce l’attuale Social Card e gestirà la breve esperienza della nuova Social Card Sperimentale, si prevede di utilizzare per il Reis un’infrastruttura informativa centralizzata, facente capo al Ministero del Lavoro e del-le Politiche sociali (Mlps), al Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) e, operativamente, all’Inps. Tale infrastruttura svolgerà peraltro un ruolo essenziale anche per i compiti dei Comuni (o meglio, degli «Ambiti territoriali» che gestiscono le funzioni socio-assistenziali per conto di Comuni singoli o associati, secondo la dizione della legge n. 328/2000; della maglia territoriale locale preferibile discuteremo peraltro nella sez. 4.5 e per ora, per semplicità, spesso parleremo genericamente di Comuni, intendendoli in forma associata). La scelta di fare riferimento a un’infrastruttura informativa centralizzata è funzionale sia alla corretta gestione dell’erogazione del trasferimento monetario – permette, infatti, un drastico contenimento della discrezionalità –, sia all’effettuazione di verifiche incrociate sui requisiti di accesso e sulla permanenza degli stessi nel tempo – delle quali garantisce una maggiore rapidità di svolgimento –. Tale gestione delle erogazioni dovrà essere realizzata in stretta sinergia con i Comuni che, alleggeriti da compiti burocratico-amministrativi, avranno un ruolo di regista del Reis a livello locale. Inoltre, alla struttura informativa confluiranno anche le informazioni essenziali sulle azioni di sostegno sociale e di attivazione, così come informazioni aggiuntive sui restanti interventi del welfare locale. Diversi attori del welfare, istituzionali e non, saranno coinvolti nella specificazione operativa e nella gestione del Reis. Nel seguito ne delineiamo sinteticamente i ruoli. Inps L’Inps costituisce il soggetto attuatore della misura, che verrà poi materialmente erogata dall’Inps stesso, con accredito sul conto corrente dei beneficiari o attraverso altre modalità (ad es. assegno postale o bancario, trasferimento ai Comuni che faranno poi il mandato di pagamen-to ai beneficiari, fino alla possibilità di appoggio dell’assegno presso il servizio sociale per fami-glie che debbano essere supportate nell’uso del denaro). In seguito all’analisi delle domande presentate, l’Inps definirà l’ammissibilità del richiedente nonché il conseguente ammontare del contributo da erogare. Sarà poi suo compito comunicare ai Comuni l’elenco degli ammessi e procedere, mensilmente e per un anno1, al trasferimento monetario. Il ruolo dell’Inps sarà cruciale anche per l’effettuazione di verifiche sui requisiti di accesso attra-verso gli strumenti a sua disposizione (Agenzia delle Entrate, Anagrafe Tributaria, ecc.). In parti-colare, dovrà effettuare: Verifiche incrociate ex-ante su tutte le domande, per accertare la veridicità delle informazioni economico-finanziarie dichiarate all’accesso;

Verifiche in itinere, entro l’anno di permanenza nel Reis, su sollecitazione dei Comuni che avessero rilevato una modifica del tenore di vita del nucleo beneficiario,per accertare la per-manenza dei requisiti e, se del caso, modificare (o revocare) il trasferimento monetario; 1 Salvo casi di revoca, riduzione o sospensione temporanea della misura, a seguito del venir meno dei requisiti di

di accesso economico-reddituali e/o anagrafici o per mancato rispetto dei patti (vedi il paragrafo immediata-mente successivo).

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Verifiche ex-post, allo scadere del primo anno dalla presentazione della domanda, per accerta-re la permanenza dei requisiti di accesso e, in caso positivo, determinare il pertinente trasfe-rimento monetario, invariato o convenientemente modificato. È ragionevole prevedere che per gli ammessi al Reis non bisognosi di una presa in carico sociale o di attivazione al lavoro (essenzialmente gli ultra 65enni senza fragilità), l’erogazione del con-tributo potrà avvenire da parte dell’Inps subito dopo la definizione conclusiva dell’ammissibilità, mentre per tutti gli altri nuclei (i cosiddetti “re-inseribili”) sarà subordinata al via libera dei Co-muni a seguito degli incontri/colloqui presso i servizi sociali ed alla sottoscrizione del “patto de-finitivo”, che definisce obblighi reciproci delle amministrazioni e dei beneficiari. Comuni, o meglio la loro organizzazione in forma associata in Ambiti socio-assistenziali Ai Comuni (lo ripetiamo, operanti in forma associata tramite gli Ambiti socio-assistenziali, salvo che per la loro dimensione costituiscano essi stessi un Ambito: vedi oltre la sez. 4.5) compete la pubblicizzazione della misura tramite gli sportelli e i servizi sul territorio, nonché il concorso nell’attrazione dei “falsi negativi” (cioè di famiglie povere che, perché non informate a causa del-la loro grave marginalità sociale o per una forma di ritegno a rivelare la loro condizione econo-mica, neppure presentano domanda per il Reis). Ad essi spetterà anche la funzione di porta di accesso, eventualmente coadiuvati da altri soggetti (Terzo Settore, Caf, Patronati; le decisioni in merito saranno presi dai Comuni organizzati a livello di Ambito). I Comuni concorreranno anche alle verifiche ex ante e periodiche rispetto alla permanenza dei requisiti. In particolare, nel caso di dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni presentate, i Comuni procederanno al controllo dei consumi, facendo riferimento, di massima, all’impostazione dell’indicatore di controllo previsto dal Reddito di Garanzia della Provincia Autonoma di Trento (vedi cap. 3) . Dopo aver ricevuto l’elenco dei nuclei ammessi dall’Inps, i re-inseribili sono convocati dal Co-mune, se del caso coadiuvato dal Terzo Settore, per un incontro/colloquio di valutazione multi-dimensionale svolto presso i servizi sociali (o effettuato a domicilio da parte di un assistente so-ciale). Tale colloquio potrà essere reiterato per i casi più complessi e culminerà nella sottoscri-zione del patto definitivo, col quale si darà formale avvio ai percorsi di reinserimento. A seguito alla sottoscrizione del patto si procederà anche all’attivazione dell’erogazione, tramite comuni-cazione all’Inps. Per quanto riguarda, infine, i percorsi di inclusione sociale e lavorativa, al Comune spettano spe-cifici ruoli, quali: il presidio di tutti i percorsi e il raccordo, tramite appositi protocolli di intesa, con gli altri at-tori territoriali;

la progettazione e gestione diretta dei percorsi di inclusione sociale, laddove possibile sulla base delle risorse interne;

il presidio della “condizionalità”, cioè dei doveri dei beneficiari associati ai diritti e alle pre-stazioni di cui godono, di concerto con gli altri attori territoriali (Centri per l’Impiego in pri-mis);

la revoca, decurtazione o sospensione della misura qualora vengano meno (o si modifichino) i requisiti di ammissibilità economica accertati dall’Inps e/o nel caso di mancato rispetto del patto definitivo.

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Terzo Settore Il Terzo Settore, sarà coinvolto dai Comuni in fase di programmazione degli interventi e dei piani di inclusione sociale. Il suo contributo potrà rivelarsi essenziale nella fase di network building, necessaria a garantire l’integrazione dei servizi e delle prestazioni a supporto dei percorsi di in-clusione. Il Terzo Settore avrà un ruolo di primo piano nella pubblicizzazione della misura, con-tribuendo in particolare all’individuazione dei falsi negativi, grazie alla sua rete sul territorio e ai contatti con le persone in condizioni di grave marginalità, alle quali potrà garantire un’informativa capillare sul Reis. Le organizzazioni di Terzo Settore potranno, inoltre, svolgere la funzione di porta di accesso al Reis, se così indicato dai Comuni attraverso apposite convenzioni. In contesti di particolare diffi-coltà dei Comuni e dei loro servizi sociali va prevista pure la possibilità che queste organizzazio-ni realizzino anche il lavoro di presa in carico della misura, di nuovo su indicazione dei Comuni attraverso apposite convenzioni. In tal caso sarebbe il Terzo Settore a svolgere colloqui con i po-tenziali beneficiari e a sottoscrivere il patto definitivo (al solito, solo per i re-inseribili). In queste situazioni si dovrà, comunque, prevedere un rigoroso percorso di potenziamento delle capacità operative dei relativi servizi sociali comunali. Per quanto riguarda i percorsi d’inclusione sociale e lavorativa, il Terzo Settore svolgerà un ruo-lo fondamentale nel fornire i propri servizi al fine di promuovere l’inserimento sociale e occupa-zionale delle persone coinvolte. Proprio perché la proposta del Reis mette al centro la funzione dei servizi come strumenti di autonomia, fornendo competenze alle persone e aiutandole a ri-progettare la loro quotidianità, il ruolo del Terzo Settore – dato il suo bagaglio di competenze - è decisivo. Infine, il Terzo Settore potrà contribuire al monitoraggio e alla valutazione della misura, fornen-do, come tutti gli altri attori, le informazioni richieste per l’alimentazione del sistema informati-vo nazionale (vedi oltre il cap. 8) e mettendo inoltre a disposizione le risultanze dei propri os-servatori. CAF/Patronati2 Tali soggetti, specificamente accreditati dalle Regioni sulla base di un sistema nazionale di ac-creditamento, potranno supportare i Comuni nell’accesso alla misura (se questi ultimi lo riter-ranno opportuno). Anch’essi, così come gli operatori dei Comuni, dovranno provvedere ad in-formare e orientare i potenziali beneficiari rispetto all’intera gamma di possibili altre prestazio-ni che potrebbero ricevere, anche se dovessero chiederle in una sede diversa. Le persone con disabilità, che già in parte si rivolgono ai Patronati per la domanda di pensione di invalidità, potranno continuare a rivolgersi a tali enti anche per richiedere il Reis per evitare un nuovo iter. I disabili beneficiari del Reis già inseriti in percorsi socio-sanitari continueranno a seguirli e a rivolgersi ai servizi a cui risultano già in carico; starà a tali servizi attivare i rapporti con i Patronati per la domanda del Reis. 2 I CAF si occupano di assistenza fiscale, seguono le pratiche relative a redditi, tasse, visure (730, Unico, RED,

ISEE, IMU), curano anche la richiesta di prestazioni sociali agevolate quali l’assegno di maternità e l’assegno al nucleo familiare, fino alle agevolazioni sulle tariffe elettriche (bonus gas ed elettricità). I Patronati si occu-pano della parte previdenziale (contributi e pensioni varie), tra cui l’assegno e la pensione sociale. Per il Resi, fino alla sua piena messa a regime, gli interlocutori saranno presumibilmente i CAF. Poi si potrà ipotizzare una gestione congiunta CAF/Patronati; questi ultimi risulteranno infatti progressivamente “svuotati” della ge-stione delle pensioni e degli assegni sociali, che saranno assorbiti nella nuova misura.

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Presso i CAF/Patronati avrà poi luogo la compilazione e la certificazione della domanda di acces-so al Reis, corredata dalla dichiarazione dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (Isee) e del reddito disponibile. Ai CAF/Patronati spetterà anche, in grandissima parte, l’essenziale controllo di composizione della famiglia anagrafica. Centri per l’Impiego I Centri per l’Impiego (CpI) avranno un ruolo importante nella progettazione, attivazione e pre-sidio dei percorsi di inclusione lavorativa. La condizionalità dei percorsi sarà definita in accordo con i Comuni. Questi aspetti verranno analizzati in dettaglio nel capitolo 5 per gli aspetti orga-nizzativi e nel capitolo 6 per quelli sostantivi. Qui basti dire che per i soggetti in età da lavoro ri-tenuti abili al lavoro il patto definitivo stipulato dai beneficiari del Reis con i servizi sociali viene ulteriormente specificato da un “patto di servizio” stipulato con i CpI, che ne costituisce parte in-tegrante. Il “patto di servizio” specifica le azioni di inserimento lavorativo e di formazione e ri-qualificazione professionale che il beneficiario del Reis deve intraprendere e che il CpI si impe-gna a fornire, così come gli obblighi che ne conseguono, e ricorda le sanzioni previste in caso di non ottemperanza (che sono stabilite per il Reis a livello nazionale). Distretti socio-sanitari, istituti scolastici e istituti regionali di formazione Tali soggetti saranno responsabili dei percorsi di loro competenza, nell’ambito degli specifici piani di assistenza socio-sanitaria, di istruzione e formazione professionale e di assistenza socia-le, sempre in accordo con i Comuni (come ipotizzato per i CpI). Regioni Data la natura del Reis – livello essenziale nel sociale, improntato a una logica nazionale e carat-terizzato da un forte ruolo dei Comuni – è naturale domandarsi quale ruolo assumano in questo contesto le Regioni. Il loro spazio di autonomia decisionale –– sarà rilevante ma verrà necessa-riamente ridefinito nell’ottica dell’integrazione Stato-Regioni-Enti e soggetti locali. Alle Regioni restano ruoli importanti, vuoi sul piano istituzionale vuoi affidati alla loro iniziativa. Quanto alla prima dimensione, sono rappresentate nel Comitato di gestione e nella Consulta (vedi la successiva sez. 4.4) e avranno quindi un’importante funzione di raccordo tra il livello centrale e quello locale. Inoltre, sulla base di criteri definiti a livello nazionale, procedono all’accreditamento dei CAF/Patronati e dei soggetti del Terzo Settore. Le Regioni avranno poi un rilevante spazio di responsabilità e di azione in varie direzioni: favorire lo scambio di esperienze fra Comuni, anche con iniziative sistematiche di incon-tro/confronto;

accompagnarli e sostenerli in presenza di criticità organizzative e/o operative, segnatamente tramite attività di formazione di operatori con competenze e specializzazione adeguate;

documentare il procedere del programma a livello regionale, tramite un rapporto annuale;

in definitiva, favorire la conoscenza e la diffusione di buone pratiche e in tal modo stimolare e sostenere la sperimentazione di nuove forme d’intervento (di attivazione al lavoro e/o di inte-grazione sociale), aggiuntive a quelle dell’azione nazionale, definite in accordo con la Struttu-ra Unitaria di Valutazione (vedi oltre la sez. 8.2.2) anche per quanto riguarda il disegno della sperimentazione e i metodi per favorirne una rigorosa valutazione degli effetti;

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BOX 1 – I MOLTEPLICI SOGGETTI COINVOLTI NELLA REALIZZAZIONE DEL REIS

Soggetti Funzioni salienti

A livello centrale: Inps Verifica finale sull’ammissibilità al Reis ed erogazione del trasferimento mone-tario; gestione del Sistema Informativo Longitudinale sulle Famiglie e gli Indivi-dui in Difficoltà Economica (vedi cap. 8).

A livello locale e regionale: Ambiti ter-ritoriali socio-assistenziali (che gesti-scono tali servizi in forma associata, per conto dei Comuni)

Pivot del sistema a livello locale: curano la pubblicizzazione del Reis; concorrono alle verifiche ex-ante e periodiche sulle condizioni di ammissibilità, incluso il controllo dei consumi; hanno la responsabilità ultima delle porte di accesso al sistema e della presa in carico; stabiliscono e sottoscrivono il patto definitivo per gli interventi d’inserimento sociale e/o lavorativo; coordinano, tutti i per-corsi in raccordo con i diversi attori locali.

Terzo Settore Collabora con i Comuni per l’individuazione dei cosiddetti “falsi negativi” e nelle fasi di programmazione dei piani locali d’inclusione sociale. È una delle possibili porte di accesso al sistema. In contesti di particolari difficoltà dell’ente pubblico può occuparsi anche della presa in carico. Fornisce servizi per i percorsi d’inclusione sociale e occupazionale

CAF/Patronati Sono una delle possibili porte di accesso al Reis. In questo caso compilano e cer-tificano la domanda del Reis, dell’Indicatore della situazione economica equiva-lente (Isee) e del reddito disponibile.

Centri per l’Impiego (CpI) In accordo con gli Ambiti, progettano e realizzano i patti di servizio per i percorsi di attivazione per le persone abili al lavoro.

Distretti socio-sanitari, istituti scolastici e istituti regionali di formazione

Sono responsabili dei percorsi di loro competenza, nell’ambito degli specifici piani di assistenza socio-sanitaria, di istruzione e formazione professionale e di integrazione sociale, sempre in accordo con gli Ambiti.

Regioni Sono rappresentate nel Comitato di gestione e nella Consulta (box 4.2); hanno quindi una funzione di raccordo tra il livello centrale e quello locale. Hanno poi uno spazio di responsabilità e di azione per favorire lo scambio di esperienze fra Ambiti, accompagnarli e sostenerli in presenza di criticità organizzative e/o ope-rative, svolgere attività di formazione di operatori con competenze e specializ-zazione adeguate, favorire la diffusione di buone pratiche, documentare il pro-cedere del Reis a livello regionale con un rapporto annuale. inoltre, compartecipare al finanziamento del Reis, innanzitutto rafforzando strutturalmente e sostenendo correntemente l’insieme dei servizi di sostegno della misura: di presa di carico, di inclusione sociale, di attivazione al lavoro. Rientrerà, infine, nelle loro competenze anche l’eventuale incremento dei trasferimenti monetari alle famiglie tramite l’innalzamento delle soglie di povertà nazionali. È, questa, peraltro, un’ipotesi che riteniamo ad un tempo poco probabile e poco opportuna. Poco probabile per i vincoli di finanza pubblica che costringono, e per un non breve lasso di tempo costringeranno, il nostro paese, quindi anche le singole Regioni. Poco opportuna, perché la proposta del Reis pre-vede soglie di povertà differenziate territorialmente – per ripartizione geografica e per dimen-sione del Comune –, in grado quindi di tenere ragionevolmente conto di disparità nel costo della vita. Piuttosto, per Regioni con discrete disponibilità finanziarie e propense a dedicarne una par-te crescente all’area socio-assistenziale non mancano certo altri spazi per sviluppare un’azione ad un tempo equa ed efficace.

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4.4 LA STRUTTURA CENTRALE Già da questa traccia sul ruolo dei soggetti coinvolti nel Reis e nel welfare locale emerge un ele-mento di novità della proposta: combinare una convincente distribuzione di competenze fra cen-tro e periferia, assicurando contestualmente una loro efficace interazione. Vediamo ora di completarla con indicazioni di larga massima, potremmo dire con prime somma-rie ipotesi, sull’organizzazione rispettivamente della struttura centrale e di quella locale, nonché con una notazione sull’importanza di una piena collaborazione fra le due strutture. La struttura centrale può essere convenientemente articolata in un Comitato di gestione, una Consulta e in un’infrastruttura operativa. Comitato di gestione E’ costituito presso il Mlps. Il suo compito basilare è dirigere il processo di riforma delle misure di contrasto contro la povertà, fino alla compiuta realizzazione del Reis (e di continuare poi l’opera di manutenzione/miglioramento della misura). Di conseguenza è anche l’organo di sup-porto e consulenza del Ministro, che ne risponde in Parlamento. Quanto alla sua composizione, ne dovrebbero fare parte il Direttore Generale per l’Inclusione e le Politiche Sociali, un alto diri-gente del Mef, un alto dirigente dell’Inps, un rappresentante rispettivamente della Conferenza unificata Stato-Regione, dell’Anci e del Forum del Terzo Settore, il presidente della Struttura Uni-taria di Valutazione (vedi il cap. 8), ed eventuali poche altre figure necessarie per il suo efficace funzionamento. Consulta Si riunisce di massima due volte l’anno, col compito di esaminare lo stato di avanzamento della riforma e di fornire pareri sul modo col quale conviene procedere. Presieduta dal Ministro (o dal vice-ministro), dovrebbe comprendere i componenti del Comitato di Gestione; i Direttori Gene-rali per i servizi del lavoro e per le politiche attive e passive del lavoro del Mlps; dirigenti di ri-lievo dei ministeri degli Interni, della Pubblica Istruzione e della Salute; alcuni rappresentanti delle Regioni e dell’Anci impegnati nel settore delle politiche sociali ed eventuali altre figure, comunque in misura tale che le esigenze di rappresentatività non vadano a scapito di quelle di capacità decisionale. Infrastruttura operativa centrale È costituita da dirigenti e personale tecnico di Mlps, Mef e Inps. In termini generali, essa presen-ta analogie con l’attuale infrastruttura per la Social Card, ma nello stesso tempo se ne differenzia decisamente. Da un lato, essa dev’essere fortemente potenziata nelle sue capacità di ammini-strazione del Reis, del quale diviene il soggetto finale di verifica dell’ammissibilità e di erogazio-ne del trasferimento monetario. Dall’altro, deve configurarsi come un sistema informativo ade-guato a rispondere alle esigenze conoscitive di tutti i soggetti – centrali e locali – coinvolti nella gestione del Reis e più in generale del welfare locale, non soltanto per gli aspetti di erogazioni monetarie ma anche per l’offerta di servizi e per gli esiti di questi interventi (torneremo sull’argomento nel cap. 8). 4.5 La struttura locale e la sua mappa territoriale L’altro polo del Reis è costituito dai Comuni, che, largamente per il tramite dei CAF/Patronati, concorrono allo svolgimento della prova dei mezzi e sono poi il perno delle azioni d’inclusione sociale e di attivazione al lavoro dei beneficiari, nelle quali vengono coinvolti molti altri attori lo-cali.

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Ma come organizzare in maniera convincente, idonea a favorire un’azione efficiente degli enti lo-cali, la moltitudine dei Comuni italiani: oltre 8.000, di dimensioni e capacità operative le più di-verse? E come farlo nell’attuale, confuso contesto di discussione/decisione sui riassetti istituzio-nali, che coinvolge non solo Governo e Parlamento nazionale, ma anche le Province? L’idea base dalla quale prendiamo le mosse è quella di una ricomposizione dei Comuni in chiave associata, centrata sulle funzioni socio-assistenziali ma attenta anche alle necessarie interazioni con gli altri attori locali che abbiamo richiamato nella sez. 4.3 – scuole e istituti di formazione, CpI, distretti socio-sanitari, Terzo Settore –, il cui concorso è indispensabile per gran parte delle azioni di recupero sociale e al lavoro. Un ragionevole punto di partenza è dato dalla legge 328/2000 (all’art. 8, comma 3 lett.a)), che ha stabilito la determinazione, da parte delle Regioni, di «Ambiti territoriali [socio-assistenziali …] per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete. […con] incentivi a favore dell'esercizio associato delle funzioni sociali in ambiti territoriali di norma coincidenti con i di-stretti sanitari»3. In tutte le regioni questi organismi sono stati costituti, sia pure con nomi di-versi (Ambiti, Consorzi, Zone, ecc.), anche se con un affidamento ad essi delle funzioni socio-assistenziali dei Comuni di varia dimensione. Operano comunque da anni e le loro potenzialità sono state sfruttate in BOX 2 – LA STRUTTURA DI GOVERNO DEL REIS

A livello centrale: Il Comitato di gestione è costituito presso il Mlps col compito di dirigere il processo di riforma delle misure di contrasto contro la povertà, fino alla compiuta realizzazione del Reis, e di conti-nuare poi, al massimo livello, l’opera di manutenzione/miglioramento della misura.

La Consulta comprende i membri del Comitato di gestione e rappresentanze di altri Ministeri coinvolti, delle Regioni e dell’Anci. Rappresentativa ma non pletorica, si riunisce di massima due volte l’anno, col compito di esaminare lo stato di avanzamento della riforma e di fornire pareri sul modo col quale conviene procedere.

L’infrastruttura operativa centrale Mlps-Inps (i) è il soggetto finale di verifica dell’ammissibilità e di erogazione del trasferimento monetario e (ii) realizza un sistema informativo adeguato a ri-spondere alle esigenze conoscitive di tutti i soggetti – centrali e locali – coinvolti nella gestione del Reis, anche per l’offerta dei vari servizi e per i loro esiti.

A livello locale: L’Ambito territoriale socio-assistenziale (che gestisce tali servizi in forma associata per conto dei Comuni che ne fanno parte) è maglia territoriale appropriata ai compiti del Reis a livello locale:

in un’ottica interna, coordina gruppi di operatori sociali, che costituiscono così una massa critica e possono quindi introdurre un ragionevole grado di specializzazione nei compiti che svolgono;

nell’ottica dei rapporti con l’esterno, hanno una dimensione che lo rende interlocutori adeguato degli altri attori locali presentati nel Box 4.1.

In ogni Ambito è individuato un Comune capofila, con funzioni e poteri di coordinamento.

In ogni Ambito è costituito uno snello Gruppo di coordinamento, del quale, accanto alla rappre-sentanza dell’Ambito, fanno parte rappresentanti dei CAF/Patronati, dei CpI dei Distretti socio-sanitari, della rete di scuole e istituzioni formative regionali, e del Terzo Settore. Esso è essenzia-le perche essi operino in modo coordinato ed efficace nel progettare e realizzare gli interventi di integrazione sociale e di attivazione al lavoro.

misura variabile, in alcuni casi in modo apprezzabile, nei diversi territori. Essi hanno una maglia territoriale appropriata ai compiti del Reis a livello locale, sotto un duplice profilo: 3Va da sé che per Comuni con dimensione demografica abbastanza grande l’Ambito coincide col Comune, salva

al più l’inclusione di piccoli comuni di cintura.

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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO

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- in un’ottica interna, coordinano gruppi di operatori sociali, che costituiscono così una massa critica, “lavorano insieme” e possono quindi introdurre un ragionevole grado di specializzazione nei compiti che svolgono; - nell’ottica dei rapporti con l’esterno, hanno una dimensione che li rende interlocutori adeguati degli altri attori locali appena richiamati. Palesemente, non hanno problema alcuno a interloqui-re con scuole e istituti di formazione, che tipicamente sono presenti entro il territorio degli Am-biti. Inoltre, il grado di sovrapposizione territoriale di Ambiti, Distretti socio-sanitari e CpI è no-tevole e ne agevola l’interazione. Una ricerca condotta da Monti e Dusio (2013) fornisce dati di sicuro interesse. Restando alle e-videnze essenziali, il tasso di sovrapposizione dei bacini di utenza di Ambiti socio-assistenziali e Distretti socio-sanitari è molto alto, mediamente dell’80%, nel senso che l’80% dei Distretti so-cio-sanitari ha un ambito territoriale che coincide con quelli degli Ambiti socio-assistenziali (ve-di Tab. 1). TABELLA 1 - TASSO DI COINCIDENZA DELL’AMBITO TERRITORIALE DEI DISTRETTI SOCIO-SANITARI CON GLI AMBITI SOCIO-ASSISTENZIALI

Ripartizione geografica Tasso di coincidenza (%)

Nord-Est 77,9

Nord-Ovest 72,4

Centro 96,7

Sud e isole 77,7

Italia 80,0

Fonte: Bellentani et al. (2011), pag. 31.Dati riferiti a 678 Distretti su 711; indagine del 2010.

Inoltre, l’esame delle rispettive mappe territoriali in 5 regioni – Piemonte, Emilia-Romagna, Marche, Lazio e Puglia – rivela che le differenze sono inesistenti (Emilia-Romagna e Marche) o comunque contenute (vedi Tab. 2). Più variegata è la situazione se si guarda alla sovrapposizione delle mappe fra Ambiti e CpI, che resta comunque soddisfacente. La differenza è molto ridotta in Puglia e Piemonte (una volta che per il Piemonte si tenga conto delle 21 sedi decentrate dei CpI). È più marcata in Lazio e soprat-tutto elle Marche, dove la dimensione territoriale dei CpI è decisamente maggiore. L’opposto ac-cade, invece, in Emilia-Romagna, ove i CpI sono più numerosi,quindi più distribuiti, che non gli Ambiti. TABELLA 2 - NUMERO DI AMBITI, DISTRETTI E CPI IN 5 REGIONI

Regione Ambiti Distretti CpI

Piemonte 65 (55 + 10 a Torino) 58 (48 + 10 a Torino) 30 (+ 21 sedi decentrate)

Emilia-Romagna 38 38 46

Marche 23 23 13

Lazio 55 55 27

Puglia 45 49 44

Fonte: elaborazioni su dati di Monti e Dusio (2013).

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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO

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In via esemplificativa, un’interessante visualizzazione è fornita dalle Figg. 1 e 2, che presentano rispettivamente la sovrapposizione delle mappe dei Piani di Zona (ovvero degli Ambiti) e dei Di-stretti socio-sanitari del Lazio e dei Consorzi socio-assistenziali (ovvero degli Ambiti) e dei CpI del Piemonte. La nostra scelta di massima è, dunque, quella di individuare gli Ambiti territoriali socio-assistenziali come i soggetti locali responsabili della gestione del Reis. Tipicamente, poi, ad ogni Ambito corrisponde un Comune capofila (così, ad esempio, formalmente in Friuli Venezia Giulia e in Puglia, ma sostanzialmente ovunque). Se fosse necessario istituzionalizzare tale figura, si può prevedere che le Regioni vi provvedano sollecitamente, sentiti i Comuni interessati. Il numero e la distribuzione degli Ambiti (così come dei Distretti) per Regione non sono facili da determinare, perché sono soggetti a non infrequenti variazioni nel tempo da parte delle Regioni stesse. I dati, per molte Regioni aggiornati, sono riportati nella Tabella 3: complessivamente, gli Ambiti socio-assistenziali sfiorano i 760. Laddove possibile sulla base delle risorse interne, l’Ambito provvederà direttamente alla proget-tazione dei percorsi d’inclusione sociale, mentre coinvolgerà i Centri per l’impiego per l’inclusione lavorativa. È dunque l’Ambito – eventualmente con la collaborazione di altri attori sociali che si riveli necessario o opportuno, coinvolgere – che inizialmente opera la partizione (reversibile) fra famiglie/persone che abbisognano di percorsi di integrazione sociale, persone in età lavorativa ed abili al lavoro e, per residuo, famiglie che necessitano solo del trasferimento monetario. Per un efficace funzionamento del Reis, larga parte dei progetti di integrazione sociale e certa-mente i programmi di attivazione al lavoro (nonché la documentazione dei loro esiti) richiede-ranno peraltro il concorso di altri attori locali. Servirà quindi la creazione di uno snello “Gruppo di coordinamento”, del quale, accanto alla rappresentanza dell’Ambito, facciano parte rappre-sentanti dei CAF/Patronati, dei Distretti socio-sanitari, della rete di scuole e istituzioni formative regionali, dei CpI e del Terzo Settore. Rispetto alla maglia territoriale omogenea costituita dagli Ambiti va considerata con attenzione l’opportunità di ammettere l’eccezione per aree sostanzialmente “provinciali” – e istituzional-mente col rango di Regione a statuto speciale –, rappresentate dalla Valle d’Aosta e dalle Provin-ce autonome di Trento e Bolzano. Aspetto tutt’altro che trascurabile, queste tre Regioni hanno già una misura di contrasto della povertà prossima al Reis, che funziona piuttosto bene.

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FIGURA 1 – CONFRONTO DELLE MAPPE TERRITORIALI DEI PIANI DI ZONA ( AMBITI) SOCIO-ASSISTENZIALI E DEI DISTRETTI SOCIO-SANITARI DEL LAZIO

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FIGURA 2 – CONFRONTO DELLE MAPPE TERRITORIALI DEI CONSORZI ( AMBITI) SOCIO-ASSISTENZIALI E DEI CENTRI PER L’IMPIEGO DEL PIEMONTE

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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO

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ABELLA 3 – NUMERO DI AMBITI SOCIO-ASSISTENZIALI E DI DISTRETTI SOCIO-SANITARI NELLE RE-GIONI

Regioni Distretti socio-sanitari Ambiti socio-assistenziali

Piemonte 58 65

Valle d’Aosta 4 5

Lombardia 81 98

P.a.di Bolzano 20 20

P.a.di Trento 13 16

Veneto 50 50

Friuli Venezia Giulia 20 19

Liguria 19 71

Emilia Romagna 38 38

Toscana 34 34

Umbria 12 12

Marche 23 23

Lazio 55 55

Abruzzo 25 35

Molise 7 7

Campania 72 42

Puglia 49 45

Basilicata 11 7

Calabria 35 35

Sicilia 62 55

Sardegna 23 25

Italia 711 757

Fonti: per i Distretti Belentani et al. (2011), pag. 31: dati riferiti ai 711 distretti esistenti al 31.12.2009; per gli Ambiti Monti e Dusio (2013),esclusi Veneto e Calabria; per queste ultime due Regioni dati tratti da Pe-saresi (2008), pag. 8, riferiti al 2005.

4.6 LA COLLABORAZIONE FRA LE DUE STRUTTURE La collaborazione fra la struttura centrale, in particolare quella operativo-informativa incentrata sull’Inps e la struttura locale rappresentata dagli Ambiti è un tassello cruciale per il buon esito del Reis. Essa verte:(a) sul vaglio iniziale e il controllo corrente dei requisiti di ammissibilità; (b) sull’arricchimento del sistema informativo centrale di gestione delle erogazioni monetarie con la documentazione sugli interventi di attivazione e di sostegno sociale e i loro esiti; (c) sulla conse-guente accessibilità dei Comuni al sistema informativo centrale, in relazione ad entrambi i punti precedenti. Questi aspetti sono prossimi all’attività di documentazione e monitoraggio: sono trattati pertan-to nel capitolo 8.

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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO

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4.7 Poteri sostitutivi dello Stato in caso di inadempienze In caso di gravi inadempienze degli Ambiti, da “tipizzare” convenientemente anche sulla base di ormai consolidati standard utilizzati in relazione ai Fondi strutturali dell’Unione europea (ad es. inadeguata attività istruttoria per l’ammissibilità al Reis, ritardi o utilizzazioni incoerenti dei tra-sferimenti monetari per i beneficiari, ritardi o utilizzazioni incoerenti dei fondi per i servizi da attivare a livello locale, inadempienza rispetto ad impegni assunti rispetto al monitoraggio e alla valutazione dell’intervento), va previsto un tempestivo intervento sostitutivo dello Stato. A differenza di quanto avvenuto in almeno una circostanza nel corso della «sperimentazione» del reddito minimo di inserimento, dove l’intervento dello Stato, tramite il Prefetto, è consistito nella chiusura della «sperimentazione» nel Comune inadempiente, per il Reis l’intervento dello Stato deve essere volto ad assicurarne il proseguimento con modalità consone. La soluzione che ci pare preferibile, se non addirittura necessaria, è la nomina, da parte del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di un commissario ad acta. Proprio in ragione delle inadempienze che por-tano a tale nomina, inadempienze che rivelano un mix di inefficienza e di comportamenti incoe-renti con le finalità del Reis – forse al limite del fraudolento –, è indispensabile che il commissa-rio sia persona di provata competenza e autorevolezza, sia esterno alla regione ove si trova l’Ambito commissariato e possa rivolgersi al Comitato di Gestione da un lato e alla Struttura Uni-taria di Valutazione (di cui si tratta nel capitolo 8) dall’altro, rispettivamente per il necessario supporto e per suggerimenti di natura tecnico-scientifica.

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5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)

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L’ACCESSO E LA PRESA IN CARICO

Il Reis è una misura integrata, mix di denaro e servizi, non una card per l’acquisto di beni di consumo; mira ad alleviare la condizione di povertà delle famiglie, promuovendo l’inclusione sociale e/o lavorativa dei componenti, secondo la logica del welfare attivante. Sarà introdotta tramite legge nazionale a cui seguiranno specifici decreti attuativi; il suo accesso non sarà regolato tramite bando, ma avverrà ‘in continuo’, in quanto la selezione dei potenziali beneficiari avverrà già in base alla condizione economica. La funzione di accesso del Reis sarà svolta da Comuni (Associati in forma di Ambito) CAF, Patronati o Terzo Settore, sulla base della scelta dei Comuni. Sarà definito un sistema co-mune di accreditamento che prevedrà, tra l’altro, una idonea formazione dei rispettivi ope-ratori e l’utilizzo di un sistema informativo unico. Tutti i potenziali beneficiari della misura, già all’atto della presentazione della domanda, saranno chiamati a sottoscrivere il proprio impegno (‘patto preliminare’) rispetto all’utilizzo del denaro e a garantire stili di vita e regole di comportamento di buona citta-dinanza. I beneficiari ammessi al Reis, ultra 65enni, anche se già beneficiari di pensione sociale, soli o con coniuge ma senza altre fragilità oltre il disagio economico, non sottoscriveranno ul-teriori impegni e riceveranno solo il contributo economico. I beneficiari di età inferiore a 65 anni o ultra 65enni con membri familiari più giovani e/o con particolari e ulteriori fragilità saranno convocati presso i servizi sociali comuna-li/Terzo Settore per un incontro/colloquio di valutazione multidimensionale delle condi-zioni del nucleo familiare, sulla base del quale si opererà una distinzione (reversibile) fra: persone idonee al lavoro, in vista di un percorso di inserimento lavorativo, persone bisognose di un percorso di inserimento sociale, socio-sanitario o socio-educativo. Alla luce di queste valutazioni sarà definito un ‘patto definitivo’, che consisterà in un vero e proprio ‘programma di presa in carico’, sottoscritto dalle parti interessate (beneficiari e servizi).

5.1 L’INFRASTRUTTURA NAZIONALE PER IL WELFARE LOCALE

È il Governo nazionale, innanzitutto, ad essere chiamato in causa per la traduzione della nostra pro-posta nella realtà. In quanto livello essenziale delle prestazioni sociali, infatti, una nuova misura di contrasto alla povertà ispirata ai principi dell’universalismo dev’essere impostata a livello centrale ed opportunamente declinata ai diversi livelli di governo, in coerenza con quanto sancito dalla legge 328/00 e dalla riforma del Titolo V della Costituzione.

Nell’impostazione del Reis, il ruolo dello Stato è tanto decisivo quanto precisamente delimitato. Quest’ultimo, infatti, ha la responsabilità di introdurre il diritto al Reddito d’inclusione sociale per tutte le famiglie in povertà assoluta, definendone i criteri di accesso, e di assicurare i relativi finan-ziamenti. Oltre a ciò, è compito dello Stato indicare poche regole – specificate in modo chiaro – per l’azione dei servizi a livello locale: le illustrano presente capitolo e il prossimo. Dopodiché si lascia un

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5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)

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ampio spazio di autonomia ai territori nella determinazione degli aspetti applicativi, in modo che questi ultimi possano essere adattati al contesto sociale, politico ed economico di riferimento.

Complessivamente, il compito dello Stato consiste nel costruire l’ “infrastruttura nazionale per il wel-fare locale”, cioè attivare quell’insieme di elementi capaci di mettere gli enti locali e gli altri soggetti impegnati sul territorio nella situazione migliore possibile per offrire un Reis di qualità e “vestito” sul-le caratteristiche del contesto locale. Detto altrimenti, più che (spesso irreali) prescrizioni lo Stato deve fornire ai territori le condizioni che offrano loro le migliori possibilità effettive di costruire inter-venti. L’infrastruttura nazionale si compone di:

− il diritto al Reis per tutte le famiglie in povertà, definendo i criteri di accesso (cfr.cap.3) e il re-lativo finanziamento (cfr. cap 9),

− poche regole per l’operato dei soggetti impegnati nel contesto locale (cfr. questo capitolo e il prossimo)

− un sistema di monitoraggio e valutazione che permetta di imparare dall’esperienza e di ren-dere quanto appreso effettivamente fruibile per chi opera localmente (cfr. cap. 8),

− un insieme di azioni e strumenti capaci di accompagnare i territori nel proprio sforzo (favori-re lo scambio di esperienze fra Enti Locali, anche con iniziative sistematiche di incon-tro/confronto; accompagnarli e sostenerli in presenza di criticità organizzative e/o operative, segnatamente tramite attività di formazione di operatori con competenze e specializzazione adeguate e così via) (cfr. cap 4)

− interventi sostitutivi in caso di inadempienze gravi (ad esempio grandi ritardi nell’utilizzo dei fondi Reis o loro dirottamente su altri impieghi) in modo da tutelare i cittadine delle aree colpite (cfr. cap. 4).

Come mostra il capitolo 4, le Regioni hanno vari compiti di affiancamento dello Stato nel manteni-mento dell’infrastruttura, con particolare riferimento ai punti c) e d), ma non solo.

Alla base dell’impostazione prescelta si trovano due considerazioni. Primo, le politiche pubbliche possono avere successo solo se risultano duttili rispetto alle diverse realtà territoriali: non si può cor-rere il rischio che queste ultime siano soverchiate dall’onere di rispettare norme eccessivamente det-tagliate, perdendo di vista l’obiettivo di fondo. Una cornice normativa essenziale non solo evita di appesantire il lavoro già oneroso degli Enti Locali e degli altri soggetti cui è affidata la realizzazione della policy ma gli dà valore. La logica del Reis, infatti, mira a rendere gli attori territoriali non meri esecutori di politiche top-down (“dall’alto verso il basso”), ma vuole valorizzare le loro capacità di fa-re sistema in vista di un obiettivo comune, divenendo così protagonisti bottom-up (“dal basso verso l’alto”) e, dunque co-registi dell’azione locale. Secondo, dare priorità all’autonomia dei territori non significa affatto abbandonarli a se stessi, bisogna anzi superare questo utilizzo improprio del concetto di autonomia, che è stato diffuso in anni recenti come artificio retorico per giustificare il sostanziale disinvestimento dello Stato dal sociale. Assegnare autonomia, invece, vuol dire mettere i territori nel-le migliori condizioni di compiere le proprie scelte, senza però interferire con esse, ovviamente nella misura in cui queste si realizzino nel pieno rispetto dei diritti dei cittadini.

Nel presente capitolo tratteremo nel dettaglio il percorso che i nuclei familiari dovranno seguire per accedere alla misura, nonché la successiva presa in carico da parte del sistema dei servizi sociali, lad-dove prevista. Sarà quindi chiaro, alla fine, quale organizzazione è disegnata per la misura, quali sog-getti sono coinvolti e in che modo. Anche il capitolo successivo sarà dedicato al welfare dei servizi, ma approfondirà nello specifico gli aspetti relativi ai percorsi di inclusione sociale e lavorativa, le re-gole di condizionalità e il sistema dei controlli. I due capitoli, dunque, illustrano il quadro delle regole

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5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)

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nazionali per il welfare locale e muovono naturalmente dalle stesse premesse di partenza, quelle qui enunciate.

5.2 UN MIX DI PRESTAZIONI MONETARIE E SERVIZI

La proposta del Reis nasce da più di dieci anni di osservazione e studio delle misure di contrasto alla povertà, a partire dalla sperimentazione nazionale del Reddito Minimo d’Inserimento1, passando per le esperienze regionali con un epilogo più o meno felice2, per arrivare alla Social Card (SC) del 20083 e all’attuale Nuova Social Card (NSC)4 introdotta in via sperimentale nel secondo semestre del 2013 nelle maggiori città italiane. In particolare, il recente dibattito ha messo in forte dubbio che una “card” riservata all’acquisto di beni di consumo sia preferibile ad una semplice erogazione monetaria quale misura di contrasto alla povertà, per diverse ragioni che di seguito elenchiamo.

Innanzitutto, la carta impone al beneficiario di esibire la sua condizione di povertà nei luoghi dove va utilizzata per l’acquisto dei beni previsti; questi luoghi spesso sono quelli della vita quotidiana, ad e-sempio il supermercato sotto casa. Il possibile stigma, cioè la paura di essere in qualche modo disap-provati socialmente o – peggio – ‘marchiati’ come poveri, può generare una sorta di auto-selezione dei potenziali beneficiari della misura, come è accaduto ad esempio nell’utilizzo della carta acquisti, rifiutata da molti anziani che pure avevano i requisiti per fruirne.

A tal proposito, può essere utile ricordare che diversi Comuni non hanno scientemente attuato la di-sposizione che prevedeva la pubblicazione di “albi” nominativi dei beneficiari di assistenza economi-ca comunale5.

La seconda ragione consiste nel fatto che una carta pre-pagata e con un preciso vincolo d’uso vanifica il principale vantaggio dell’utilizzo del denaro, ossia la sua fungibilità. Ad esempio la carta acquisti (sia SC sia NSC) può essere utilizzata solo per le spese alimentari presso esercizi commerciali convenzio-nati o può consentire di pagare le utenze domestiche (gas ed elettricità) presso gli Uffici Postali. I tito-

1 Il Reddito Minimo di Inserimento, introdotto in via sperimentale con il D.lgs 237/98, è una misura di contrasto della povertà che si basa su due elementi: un'erogazione monetaria e la partecipazione a programmi di reinserimento sociale. La sperimentazione, limitata a 39 Comuni nel biennio 1999-2000, venne poi estesa per una seconda fase ad altri 267 Comuni dal 2001 al 2003. Per un approfondimento dei principali risultati della sperimentazione nazionale si rimanda a Ranci Ortigosa E., Mesini D., 2002 e Saraceno, 2002. 2 Si fa riferimento ad esempio al Reddito di Cittadinanza campano (LR n.2/2004) e al più recente Reddi-to di Base per la Cittadinanza del Friuli Venezia Giulia (LR n.6/2006, art. 59). 3 La Social Card o carta acquisti, introdotta con il D.lgs 112/2008 (convertito, con modificazioni, con la legge del 6 agosto 2008 n. 133, articolo 81, comma 32), è una tessera anonima, simile ad una normale carta di credito, concessa dallo Stato a coloro che versano in situazioni di disagio sociale ed economico per l'acquisto di alimenti e più in generale di prodotti di prima necessità, di prodotti farmaceutici e pa-rafarmaceutici e per il pagamento delle bollette di luce e gas. La Social Card ha una disponibilità eco-nomica di € 40,00 mensili e può essere utilizzata per effettuare i propri acquisti in tutti i negozi abilita-ti. È rivolta in particolare ad anziani e famiglie con figli sotto i 3 anni. 4 La Nuova Social Card o Social Card Sperimentale, introdotta con Decreto Interministeriale del 10 gen-naio 2013 n.102, è una carta acquisti in via di sperimentazione nelle 12 maggiori città italiane e rivolta alle famiglie povere con minori. Tale carta affianca la Social Card ordinaria, senza possibilità di sovrap-posizione: i beneficiari della carta acquisti ordinaria devono rinunciarvi, limitatamente al periodo di sperimentazione, se vogliono beneficiare della nuova. 5 Ci si riferisce qui all’Albo prescritto dal Decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2000, n. 118 e precisamente agli articoli 1 e 2.

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5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)

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lari della carta acquisti non possono in alcun modo ‘spenderla’ presso altri negozi o per altre finaliz-zazioni, quali ad esempio la copertura di parte dell’affitto, l’abbonamento al trasporto pubblico o la mensa scolastica dei figli.

Vero è che il rischio di fornire denaro contante a persone fragili e spesso incapaci di utilizzarlo se non in maniera impropria (ad esempio per l’acquisto di alcool o sostanze, a scapito del soddisfacimento di bisogni primari quali cibo e abbigliamento) è effettivo; nel caso gli operatori dei servizi potrebbero valutare se per segmenti molto circoscritti di utenza non sia più opportuno trasformare il contributo monetario spettante in una carta. In generale comunque possibili usi impropri del denaro andranno sicuramente fronteggiati con una forte condizionalità nell’utilizzo del trasferimento monetario e quindi nella sottoscrizione di precisi impegni ed obblighi da parte del beneficiario.

Un’altra motivazione a sfavore della formula ‘card’ è che un voucher mal si presterebbe ad una pro-gressiva ricomposizione delle misure categoriali attualmente orientate al sostegno ai poveri, che la nostra proposta mira a perseguire.

La gestione di un voucher implica inoltre rilevanti costi dedicati, sia di investimento nel sistema che la produce che di gestione corrente e manutenzione, che potrebbero essere gradualmente eliminati trasformando la forma dell’erogazione.

Da ultimo si aggiunga il fatto che in tutti i sistemi di welfare europeo che hanno attivato delle politi-che di contrasto alla povertà si prevedono dei trasferimenti monetari abbinati a percorsi di attivazio-ne più o meno stringenti, ma in nessun caso carte acquisti pre-pagate.

Se è vero, come fin qui sostenuto, che l’erogazione monetaria è in generale preferibile ad una “card”, è anche vero che essa da sola non può costituire una misura efficace per contrastare la povertà. A questo proposito il dibattito degli ultimi anni ha sottolineato l’esigenza di prevedere oltre al sostegno economico anche percorsi di inclusione sociale e lavorativa, secondo un approccio volto alla valoriz-zazione e attivazione delle capacità dei beneficiari. La NSC prevede già, in effetti, che una buona par-te dei fruitori dello strumento sia coinvolta in percorsi di questo tipo. Sul solco di questa esperienza, la nostra riforma intende abbinare al contributo monetario, per quanto possibile, progetti di attiva-zione dei beneficiari mirati ad alleviare le situazioni di povertà agendo non solo sulle condizioni di vi-ta, migliorandole, ma anche sui comportamenti che le hanno provocate. In altre parole, si tratta di accompagnare la prestazione monetaria a specifici servizi (sociali, educativi, formativi, lavorativi) che siano promozionali ed incentivanti per i beneficiari e li portino gradualmente ad affrancarli dalla po-vertà.

La necessità di combattere la povertà attraverso un mix di denaro e servizi è condivisa da tutti gli e-sperti, in Italia (ad esempio Ranci, Mesini, 2012; Caritas, Fondazione Zancan, 2012; Campiglio, Rovati, 2009) come a livello internazionale (Immervol, 2012), e suggerita dalle istituzioni comunitarie6. Si tratta, peraltro, della strada seguita nel resto d’Europa. In generale la maggior parte dei Paesi aderi-sce alla logica dell’inclusione attiva condizionando l’erogazione monetaria a obblighi di comporta-mento e (per gli abili al lavoro) di attivazione lavorativa più o meno stringenti. Occorre tenere conto, tuttavia, delle possibilità di attuazione reali di tali comportamenti richiesti e controprestazioni, che dipendono sia dalle potenzialità dei beneficiari a cui si rivolgono, sia dai diversi contesti nazionali (si

6 Tra le altre si ricordano la Raccomandazione Commissione Europea del 3 ottobre 2008 e la Risoluzione del Parlamento Europeo del 6 maggio 2009, sull’inclusione attiva delle persone escluse dal mercato del lavoro; da ultima la Risoluzione del Parlamento Europeo del 20 ottobre 2010, che ha proposto l’introduzione di sistemi di reddito minimo in tutti gli Stati membri dell’Unione per combattere la po-vertà.

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pensi in particolare al sistema dei servizi e al mercato del lavoro, che scontano oltretutto gli effetti dell’attuale congiuntura economico-finanziaria).

Nella tab. 1 si propone uno schema di sintesi delle principali caratteristiche del Reis.

TABELLA 1 - LE PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEL REIS

È un’erogazione monetaria, non un voucher

Elimina il rischio di stigma

Consente un libero utilizzo (fungibilità del denaro)

Permette un risparmio dei costi di produzione/gestione del voucher

Renderà possibile la progressiva ricomposizione di altre misure contro la povertà

È di importo variabile, non a cifra fissa L’integrazione spettante è pari alla differenza tra reddi-to disponibile e soglia di povertà assoluta, dunque cor-relata all’effettivo disagio economico del nucleo

È una misura integrata, con interventi e servizi di attivazione

Mira alla responsabilizzazione del beneficiario nella di-rezione della sua progressiva autonomizzazione

Prevede percorsi di re-inclusione sociale e/o lavorativa, attuati dai soggetti territoriali

5.3 ACCESSO E PRESA IN CARICO

5.3.1 La porta di accesso alla misura

La nuova misura sarà introdotta tramite legge nazionale a cui seguiranno specifici decreti attuativi. La sua pubblicizzazione avverrà innanzitutto tramite lo sforzo congiunto dei Comuni (associati in forma di Ambito territoriale) e dei vari soggetti del Terzo Settore, nelle loro occasioni di rapporto con il pubblico dei potenziali beneficiari. In questa fase informativa iniziale avranno un ruolo fondamentale anche le organizzazioni del Terzo Settore, che attraverso la loro rete capillare sul territorio potranno contribuire in modo significativo ad attrarre i ‘falsi negativi’7 (le persone senza fissa dimora in partico-lare, ma anche tutti i soggetti fragili che i servizi sociali intercettano con maggiore difficoltà, come in qualche caso avviene con gli anziani soli). L’attenzione ai falsi negativi, cioè i soggetti che pur posse-dendo i requisiti non presentano domanda per accedere alla misura, è un elemento innovativo della nostra proposta. Dal 1999 ad oggi, infatti, in nessuna misura di contrasto alla povertà abbiamo trova-to attività mirate a individuare tali soggetti. L’attenzione posta invece su questo tema in altri Paesi (per una meta-analisi della letteratura si veda Bargain et al., 2012) sollecita un intervento per colma-re questo vuoto (Spano, Trivellato, Zanini, 2013).

L’accesso alla nuova misura non sarà regolato tramite bando, ma avverrà ‘in continuo’, cioè sarà di-retto, non contingentato e la domanda per accedervi potrà essere presentata in qualsiasi momento dell’anno. La prima ragione di questa scelta è che non vi è necessità alcuna di razionamento dei po-tenziali beneficiari, pertanto la selezione avverrà semplicemente in base alla soglia di accesso. Inoltre pressoché nessuna delle misure esistenti contro la povertà, sia locali (assistenza economica dei Co-muni) sia nazionali (assegni sociali, bonus energia, SC, ecc.), che oltretutto si intende progressiva-mente riassorbire nel Reis, è attivata tramite bando. L’unica prestazione che lo prevede è il contribu-to per l’affitto, il cui accesso ha evidenziato tuttavia rilevanti criticità sia in termini gestionali-

7 Con questo termine si intendono i potenziali beneficiari che, pur avendo i requisiti per esservi ammes-si, rimangono esclusi dall’intervento per qualche motivo.

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organizzativi sia di tempestività nella risposta agli effettivi bisogni. Per queste ragioni anche la mag-gior parte dei Comuni coinvolti nella nuova NCS ha deciso di non utilizzare questa modalità per la fa-se sperimentale.

L’accesso al ReIS consisterà essenzialmente in un colloquio con l’operatore appositamente incaricato mediante in quale verrà approfondita l’istanza da parte del cittadino e valutati i requisiti di ammissi-bilità per accedere al beneficio.

La porta di accesso alla nuova misura sarà rappresentata dai Comuni in forma associata, eventual-mente supportati da altri soggetti (es. CAF, Patronati, Terzo Settore) abilitati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ed appositamente accreditati dalle Regioni, sulla base di un sistema nazionale di accreditamento. I requisiti essenziali da garantire ai fini dell’accreditamento saranno nel-lo specifico:

− la dotazione di una struttura organizzativa idonea, che può parzialmente variare a seconda del contesto territoriale;

− l’utilizzo del sistema informativo unico per la gestione della misura;

− la presenza di personale qualificato per svolgere le mansioni sia amministrative sia di orien-tamento e informazione dei potenziali beneficiari.

Riguardo al punto 2, in particolare, si fa riferimento all’obbligo di utilizzare l’infrastruttura informati-va centralizzata che sarà prevista quale strumento chiave di gestione della misura (cfr. Cap. 8). Tale flusso informativo, cui potranno accedere tutti i soggetti che entreranno in contatto con la misura, conterrà in particolare tutta la documentazione presentata dal richiedente in fase di accesso, oltre che lo stato di avanzamento della domanda e gli esisti di verifiche e controlli.

In relazione al punto 3, invece, la struttura di primo accesso avrà l’obbligo di svolgere, oltre alle fun-zioni amministrative, anche una funzione informativa e di orientamento rispetto al percorso relativo al Reis, oltre che sull’intera gamma di possibili prestazioni che il cittadino può ricevere, in aggiunta alla misura, anche se deve chiederle in una sede diversa. Lo svolgimento di questa funzione è indi-spensabile al fine di colmare l’attuale carenza informativa del nostro sistema di welfare, che si riper-cuote soprattutto sui soggetti più fragili e ai margini, tipicamente a maggior rischio di isolamento. La nostra riforma mira perciò a valorizzare il servizio di informazione e orientamento, prevedendo una formazione ad hoc degli operatori nonché strumenti che lo rendano concretamente possibile. Come si delineerà meglio più avanti (Cap. 8, appendice A), uno strumento utile potrebbe essere un catalogo strutturalmente dinamico delle misure di contrasto alla povertà, fondato su un database dedicato con l’obiettivo di aiutare gli operatori a:

− conoscere con facilità e con costante aggiornamento la mappa delle diverse prestazioni che sono disponibili, ovunque, per i cittadini;

− trasmettere meglio queste informazioni alle famiglie povere.

Nella pratica tale strumento dovrebbe consentire di ottenere in modo diretto, inserendo a sistema le caratteristiche della famiglia, un catalogo “su misura” delle prestazioni fruibili, incluse le informazioni dedicate alle modalità con cui richiedere gli interventi (“come, dove e quando”). Un database unico, aggiornato e interrogabile ad hoc è funzionale rispetto allo scopo informativo sui servizi al cittadino, che sono variabili nel tempo così come rispetto ai destinatari cui di volta in volta si rivolgono.

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TABELLA 2 – FAVORIRE L’ACCESSO AI SERVIZI A CHI HA PIÙ BISOGNO

Azioni Soggetti coinvolti Quando Modalità di intervento

1. Intercettare chi ha biso-gno ma è isolato rispetto ai servizi/Reis

Terzo Settore Nell’attività ordinaria

Pubblicizzare il Reis, accompa-gnare la persona a fare doman-da, informare sulle altre presta-zioni cui può accedere.

2. Informare e orientare i potenziali beneficiari del Reis su tutti i servizi

Soggetto responsabile dell’accesso (Comune, eventualmente coadiuva-to da Terzo Settore, CAF o Patronato)

Nella fase di accesso e pre-sentazione della domanda

Fornire informazioni e orientare il richiedente su tutti i servizi cui può accedere, anche se occorre fare domanda presso una sede diversa.

La porta di accesso alla misura sarà come già detto costituita dai Comuni associati, eventualmente supportati da altri soggetti territoriali. Occorre infatti considerare che i territori presentano risorse e soggetti estremamente diversificati. Ad esempio: alcune associazioni di Comuni sono più efficienti di altre; presso alcuni Comuni esistono degli sportelli INPS, presso altri no; i CAF e i Patronati non si tro-vano ovunque e così via. Sembra dunque opportuno prevedere la possibilità che il primo accesso av-venga non solo presso i Comuni associati, i soli di fatto ad averne la titolarità giuridica; ove i Comuni lo riterranno sostenibile e perseguibile, sarà infatti lasciata loro la possibilità di essere supportati ne-gli accessi anche da altri soggetti privati, purché a ciò appositamente accreditati. In questo modo si potrà, se ritenuto opportuno, evitare di sovraccaricare gli Ambiti con ulteriori oneri amministrativi.

Presso i soggetti responsabili dell’accesso avrà luogo la presentazione dei documenti necessari per la compilazione della dichiarazione ISEE e del reddito disponibile. Gli assistenti sociali dei Comuni prov-vederanno anche al calcolo dell’indicatore di controllo sui consumi, predisposto sul modello trentino (cfr. Cap 3), sulla base delle informazioni e autocertificazioni fornite. La compilazione di questi docu-menti sarà coadiuvata da applicativi ad hoc. Le persone con disabilità, che già in parte si rivolgono al Patronato per fare domanda di pensione di invalidità, potranno continuare a rivolgersi a tale ente anche per richiedere il Reis, al fine di evitare di sovraccaricarle con iter eccessivamente lunghi e one-rosi.

Ai soggetti responsabili dell’accesso alla misura spetterà anche l’essenziale controllo di composizione della famiglia anagrafica, che potrà avvenire, tramite la consultazione delle anagrafi comunali, pro-gressivamente integrate in un’anagrafe unitaria esistente presso l’ISTAT8. Per legge anche le persone senza fissa dimora devono essere registrate presso le anagrafi comunali, attraverso l’attribuzione di una residenza fittizia (legge 15 luglio 2009, n. 94). In realtà, non tutti i Comuni sono stati solerti nel

8 Dal punto di vista normativo sono già state attivate varie indicazioni sia per rendere interoperabili le anagrafi comunali con altri soggetti (pubblici), sia per costruire una anagrafe unitaria presso il Mini-stero degli Interni alimentata correntemente dalle anagrafi locali (DL 18 ottobre 2012 , n. 179 (art 2), pubblicato nel supplemento ordinario n. 194/L alla Gazzetta Ufficiale 19 ottobre 2012, n. 245, coordi-nato con la legge di conversione 17 dicembre 2012, n. 221, recante: «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese»). Questo decreto istituisce l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), che si prevede subentrerà completamente alle anagrafi comunali entro il 31/12/2014. L’accesso all’ANPR sarebbe aperto alle PA e a tutti gli organismi che erogano pubblici servizi. Al fine di superare i vincoli del Garante sulla Privacy, l’unica strada percorribile appare il fatto che sia la norma che istituisce la prestazione a definire anche il sistema per erogarla, includendo appunto l’accesso alle anagrafi da parte di tutti gli attori che concorrono alla gestione, individuati con formale procedura co-me accreditati/concessionari per svolgere una funzione pubblica. La vicenda dell’anagrafe unitaria è ancora in divenire dunque la reale possibilità di utilizzo ai fini del Reis non si può, allo stato attuale, da-re ancora per certa.

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mettere in atto questa norma, pertanto si prevede, in vista dell’introduzione del Reis, di fare un’opportuna sollecitazione a livello nazionale/regionale nei confronti dei Comuni inadempienti (cfr. Cap. 3).

5.3.2 Il percorso di accesso

Contestualmente alla presentazione della domanda tutti i potenziali beneficiari saranno tenuti a sot-toscrivere il ‘patto preliminare’, ovvero un accordo in forma scritta stipulato fra la persona/famiglia richiedente il Reis e l’operatore del soggetto abilitato all’accesso, contenente l’assunzione di respon-sabilità del beneficiario nei confronti delle regole di ‘buona cittadinanza’, quali ad esempio il paga-mento delle utenze domestiche o l’obbligo di mandare i figli a scuola, configurando così una condi-zionalità “di base”. Lo scopo essenziale di questo patto (la cui rottura comporta delle sanzioni: vedi cap. 6.3.2) è una prima forte responsabilizzazione dei destinatari del Reis (si pensi, appunto, all’impegno all’obbligo scolastico), così da porre le basi di un accordo fra beneficiario e soggetto pub-blico.

La stipula del patto preliminare è condizione necessaria e sufficiente per l’erogazione del Reis nel ca-so dei beneficiari che abbiano raggiunto l’età pensionabile (ultra 65enni), soli o con coniuge, non por-tatori di altre fragilità oltre il disagio economico9. Per queste persone infatti l’erogazione monetaria potrà partire subito dopo le verifiche sui requisiti di accesso, pertanto tale patto sarà già da conside-rarsi ‘definitivo’. Nel caso in cui invece l’anziano vivesse con persone più giovani o si riscontrassero particolari fragilità oltre al disagio economico, i nuclei in questione seguirebbero un percorso di vera e propria presa in carico da parte dei servizi sociali, attraverso colloqui successivi. La scelta di non prevedere per tutti i beneficiari un possibile successivo passaggio presso i servizi sociali è legata a considerazioni di realismo: i servizi comunali rischierebbero un eccessivo carico di lavoro, anche in considerazione delle difficoltà oggettive che gli operatori incontrerebbero nell’offrire percorsi di in-clusione a persone difficilmente reinseribili, soprattutto dal punto di vista lavorativo. Si sottolinea in ogni caso come per queste persone il Reis non si esaurisca alla sola erogazione monetaria, dal mo-mento che, come sopra detto, in fase di accesso riceveranno un servizio di informazione e orienta-mento su tutti i servizi cui possono accedere. L’obiettivo è perciò quello di accompagnare la persona nella valutazione della propria condizione di bisogno e nella selezione dei servizi cui rivolgersi, perché non si trovi sola e, come spesso succede, incapace di orientarsi.

Per facilitare il riconoscimento di eventuali fragilità, come l’abuso di sostanze alcoliche o la dipen-denza da gioco, sarà possibile, in fase di accesso, somministrare brevi questionari volti a farle emer-gere10. Naturalmente questa operazione, qualora prevista, si inserirà all’interno del servizio di infor-mazione e orientamento.

Per tutti i beneficiari che invece non hanno ancora compiuto 65 anni, o che hanno un’età maggiore ma vivono con persone più giovani o presentano fragilità particolari, il ‘patto preliminare’ prevederà l’impegno a formulare successivamente un ‘contratto’ più sostantivo con l’operatore sociale, che in-nescherà l’avvio di percorsi di inclusione sociale o lavorativa. Al primo patto ne seguirà perciò un se-condo che prevederà diritti e obblighi più vincolanti.

9 Per convenienza, si farà riferimento ai soggetti che abbiano raggiunto l’età pensionabile come “ultra 65enni” e la soglia sarà appunto posta a 65 anni. Siamo consapevoli che tale soglia andrà modificata in connessione all’aumento automatico dell’età pensionabile in conseguenza dell’aumento della speranza di vita, previsto dalle correnti regole previdenziali (vedi cap. 3). 10 Si veda ad esempio: Federzoni, De Girolamo, Goldoni (2005), Valutazione di un questionario telefonico per

l’identificazione di anziani fragili, al’indirizzo http://www.provincia.modena.it/sociale/allegato.asp?ID=40554.

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I soggetti responsabili dell’accesso inseriranno nel sistema informativo unico le domande ammissibili, che saranno così a disposizione di INPS, Comuni e Terzo Settore per le rispettive verifiche successive. In questa fase il ruolo dell’INPS sarà quello di effettuare verifiche incrociate su tutte le domande pre-sentate, attraverso gli strumenti a sua disposizione (Agenzia delle Entrate, Anagrafe Tributaria, even-tualmente il Pubblico Registro Automobilistico, etc.), per accertare la veridicità delle informazioni e-conomico-finanziarie dichiarate, nonché per verificare la presenza dei requisiti necessari per l’ammissibilità al Reis (cfr. par. 6.3.1).

I Comuni potranno svolgere, di concerto con il Terzo Settore e solo con riferimento agli aspiranti be-neficiari ‘noti’, perché già in carico ai servizi comunali o al privato sociale11, un ulteriore controllo sul-la corrispondenza tra il dichiarato ed il reale tenore di vita delle famiglie richiedenti la misura. Il fine è quello di sventare gli eventuali ‘falsi positivi’, ovvero quei soggetti che risultano formalmente ammis-sibili dall’analisi dei documenti presentati (ISEE, dichiarazione dei redditi,…), ma il cui stile di vita è ben al di sopra delle disponibilità economiche dichiarate, motivo per cui occorre che siano esclusi dalla misura, o quantomeno ‘riverificati’. In particolare, i Comuni ed il Terzo Settore potranno esami-nare l’effettiva entità delle prestazioni assistenziali da loro direttamente erogate ai nuclei in carico, e da questi ultimi auto-certificate (o meno) nella domanda di accesso. Comuni e Terzo settore non po-tranno svolgere verifiche ispettive ed invasive, anche perché non giuridicamente titolati ad effettuar-le; tuttavia, data la loro vicinanza agli utenti, saranno sicuramente in grado di ravvisare situazioni so-spette. Tali situazioni dovranno essere immediatamente segnalate all’INPS per ulteriori verifiche, e si potrà anche richiedere ai potenziali beneficiari, se rilevate incongruità, di ripresentare formalmente la domanda.

Vale la pena ricordare che, in generale, i controlli da parte di INPS, Comuni e Terzo Settore dovrebbe-ro avvenire in uno stesso momento e non in tempi successivi: ciò sarà reso possibile dal sistema in-formativo unico tramite il quale si potranno attivare, a seconda dei casi, ‘semafori rossi’ o ‘semafori verdi’ rispetto al via libera sull’ammissione del Reis.

Una volta definiti i nuclei ammessi, l’INPS calcolerà per ciascuno l’ammontare di integrazione spet-tante e metterà a disposizione sul sistema informativo unico l’elenco dei nominativi.

Nel caso degli ultra 65enni soli o con coniuge e non portatori di altre problematiche oltre al disagio economico, a seguito dell’ammissione al Reis l’INPS potrà automaticamente procedere con la liquida-zione del contributo. Tutti gli altri ammessi, invece, saranno convocati con apposita lettera dal Co-mune o dal Terzo Settore12 per un successivo incontro/colloquio, durante il quale verrà effettuata una valutazione multidimensionale della situazione del nucleo familiare.

Entro un tempo massimo da stabilire dal ricevimento della lettera, i componenti delle famiglie con-vocate si dovranno presentare ai (o, se impediti da condizioni fisiche o di salute, dovranno essere og-getto di una visita da parte dei) servizi sociali del Comune o soggetti del Terzo Settore. Durante l’incontro saranno valutate, oltre alle fragilità e ai bisogni dei componenti del nucleo, anche le loro concrete possibilità di attivazione13. Tale incontro/colloquio potrà essere reiterato per i casi più com-

11 Non è possibile richiedere ai Comuni una verifica anche sugli aspiranti beneficiari non noti, poiché, a maggior ragione, mancherebbe loro la titolarità giuridica per investigazioni ispettive di questo tipo. 12 Il concorso del Terzo Settore in questa fase è previsto più che altro in contesti di particolari difficoltà dei Comuni, ed è comunque possibile solo entro certi limiti, al fine di evitare una delega totale da parte dell’ente locale. 13 Al fine di fornire una valutazione corretta dell’abilità al lavoro e delle possibilità di attivazione lavorati-va, è auspicabile già in questa fase una stretta collaborazione fra servizi sociali e Centri per l’impiego: vedi la sezione 5.3.3.

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plessi e culminerà nella sottoscrizione del ‘patto definitivo’, un accordo in forma scritta stipulato fra la persona/famiglia ammessa al Reis e il Servizio sociale del Comune o il soggetto del Terzo Settore, col quale si darà formale avvio ai percorsi di reinserimento.

Solo a questo punto il Comune/Terzo Settore potrà dare il via libera alla liquidazione del contributo, e l’INPS provvederà ad effettuare il primo trasferimento monetario alle famiglie. Per i nuclei ammessi, la subordinazione dell’erogazione del Reis alla presentazione al colloquio e alla sottoscrizione del ‘patto definitivo’ vuole naturalmente costituire un incentivo a recarsi presso i servizi sociali/Terzo Settore. In ogni caso, per evitare che famiglie in grave difficoltà economica tardino a percepire il con-tributo, a causa della lentezza del processo, si auspica che passi un massimo di 30/40 giorni dal collo-quio alla prima erogazione.

Come si è visto, in tutti i passaggi di accesso alla misura il Terzo Settore compare sempre, insieme al Comune, quale soggetto potenzialmente coinvolto in prima linea. Questo accadrà anche nella fase di presa in carico dell’utente, che declineremo nel successivo paragrafo. In effetti la nostra riforma si inserisce nel solco della NSC, che già prevede un ampliamento del ruolo del Terzo Settore rispetto al-la SC. Vale la pena, in ogni caso, esplicitare meglio quale ruolo dovrà avere il Terzo Settore e quale equilibrio si dovrà creare con il Comune. Da un lato, il ruolo del Terzo Settore è legato alla considera-zione delle sue caratteristiche peculiari, che ne fanno un attore cruciale come sensore dei bisogni: abbiamo già visto, ad esempio, come nella fase iniziale di pubblicizzazione della misura possa profi-cuamente utilizzare le proprie “antenne” per avvicinare i cosiddetti “falsi negativi”. Ancora, è impor-tante valorizzare il suo ruolo nell’ambito della co-progettazione del welfare e dell’offerta di servizi che possono rendere la misura più efficace nel rispondere ai bisogni delle famiglie in povertà. Si ve-dano ad esempio i servizi a bassa soglia destinati alle persone in grave emarginazione (cfr. Cap. 6.2.2). Questo non significa che il Terzo Settore debba subentrare all’ente pubblico: i Comuni conti-nueranno a mantenere la regia del welfare locale, ma il Terzo Settore potrà via via esercitare un ruo-lo cruciale di supporto, o in alcuni casi anche sostitutivo delle funzioni comunali (si pensi alla fase di accesso alla misura), forte delle sue competenze, specificità e vicinanza ai bisogni.

Certo è che il suddetto iter di accesso al ReIS potrà essere realizzato con tempi diversi, in funzione delle differenti dotazioni professionali ed organizzativa effettivamente disponibili, che a loro volta di-penderanno dai differenti sistemi territoriali di riferimento. La messa a regime della macchina indub-biamente potrà beneficiare del percorso graduale di implementazione della misura previsto in alme-no quattro anni (cfr. cap.10).

A conclusione del paragrafo proponiamo due diagrammi di sintesi del percorso di accesso alla misu-ra: il primo rappresenta i passaggi iniziali, e si conclude con l’erogazione del Reis per gli anziani senza particolari fragilità o con la non ammissione alla misura; il secondo illustra la continuazione del per-corso per le persone con età inferiore a 65 anni o anziane con ulteriori problemi oltre a quello eco-nomico.

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Calcola l’ammontare di contribu-to spettante e invia al Comu-ne/Terzo Settore l’elenco degli

Invia lette-ra al ri-hi d t

Riceve let-

Fa un check sui richie-denti già in carico veri-ficando:

- corrispondenza tra di-chiarato e reale tenore di vita delle famiglie ri-

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5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)

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5.3.3 La presa in carico e il contratto con l’utente

Durante l’incontro/colloquio con i servizi sociali del Comune o gli operatori del Terzo Settore si ope-rerà una distinzione, con carattere di reversibilità, fra:

(i) persone idonee al lavoro, in vista di un percorso di inserimento formativo e/o lavorativo e

(ii) persone o famiglie bisognose di un percorso di inserimento sociale.

Nella realtà la distinzione non sarà così netta perché all’interno di uno stesso nucleo familiare si po-trebbe verificare la necessità di un percorso di inserimento sociale per uno dei componenti (es. alfa-betizzazione della madre o obbligo scolastico dei figli minori) e di un (re)inserimento nel mercato del lavoro per un altro membro. Inoltre, poiché la valutazione circa l’idoneità al lavoro o a percorsi di ti-po socio-assistenziale è reversibile, essa dovrà essere riesaminata periodicamente.

Alla luce delle suddette valutazioni, gli operatori dovranno definire per questi gruppi di persone o famiglie un ‘patto definitivo’, che consisterà in un vero e proprio ‘programma di presa in carico’ con precisi diritti e obblighi, definiti sia per i servizi sociali sia per il soggetto beneficiario.

Il patto definitivo potrà anche coincidere con il percorso di inclusione sociale vero e proprio, ed in questo caso conterrà una specifica definizione del progetto personalizzato, dei suoi passaggi e delle regole di condizionalità applicabili. Il patto definitivo afferente l’avvio di un percorso di inclusione la-vorativa rimanderà invece al ‘patto di servizio’ per la sua definizione puntuale (cfr. par. 6.2.3).

Il ‘patto di servizio’ sarà curato dal Centro per l’Impiego in accordo con i servizi sociali. Pare appro-priato immaginare, in questa fase, una stretta collaborazione fra CpI e servizi sociali, se non addirittu-ra una valutazione congiunta e condivisa dell’abilità al lavoro, eventualmente coinvolgendo anche i servizi sanitari. Si arriverebbe così ad una valutazione integrata e multidimensionale della situazione individuale e di quella familiare, verosimilmente preferibile rispetto alla valutazione da parte dei soli servizi sociali che poi inviano ai CpI i beneficiari attivabili. L’esperienza comparativa mostra infatti come alcuni percorsi di reinserimento lavorativo o di formazione o riqualificazione professionale debbano essere preceduti e/o affiancati da prestazioni mediche e psicologiche, che richiederebbero pertanto una valutazione integrata.

In conclusione, il patto definitivo dovrà essere sottoscritto dagli interessati pena la non ammissione alla misura. Si auspica che anche in questo caso intercorra un tempo massimo di 30/40 giorni tra la prima erogazione del contributo e l’effettivo avvio di percorsi di inserimento.

Il Reis sarà poi erogato, mensilmente e per un anno14, con possibilità di rinnovo nell’anno successivo previa verifica della permanenza dei requisiti di accesso. Le modalità di pagamento potranno diffe-renziarsi a seconda delle esigenze: accredito bancario su conto corrente oppure altre modalità (es. trasferimento ai Comuni/Ambiti territoriali socio-assistenziali che faranno poi il mandato di paga-mento ai beneficiari), nel caso in cui i beneficiari non possiedano un conto corrente. Sarà anche pos-sibile l’erogazione attraverso assegno, che potrà in alcuni casi essere recapitato al servizio sociale perché siano gli operatori stessi a consegnarlo, ad esempio laddove è previsto un accompagnamento del beneficiario nell’uso del denaro. In generale, durante tutto il percorso di accesso e presa in carico della misura, il Comune manterrà il ruolo di regia: suo sarà infatti il compito, seppure di concerto con l’INPS e con gli altri soggetti territoriali coinvolti, sia di far partire l’erogazione per le persone di età

14 Salvo casi di revoca, riduzione o sospensione temporanea della misura, a seguito del venir meno dei requisiti di accesso economico-reddituali e/o anagrafici o per mancato rispetto dei patti (cfr. par. 6.4.2).

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5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)

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inferiore a 65 anni o gli anziani con fragilità, sia di sospendere, decurtare e/o revocare il trasferimen-to nei casi in cui il patto non sia stato rispettato e/o i requisiti di accesso siano venuti meno.

Nella tabella sottostante si propone un box riassuntivo dei principali “contratti” previsti dal Reis15.

TABELLA 3 – IL CONTRATTO CON L’UTENTE

Tipologie di contratti con l’utente Chi lo sottoscrive? Contenuti

Patto preliminare

Tutti i beneficiari

(per i beneficiari non av-viati a percorsi di inseri-mento coincide con il patto definitivo)

Accordo in forma scritta stipulato fra la perso-na/famiglia richiedente il Reis e l’operatore del sogget-to responsabile dell’accesso alla misura, contenente l’assunzione di responsabilità del beneficiario (o della persona di riferimento della famiglia) nei confronti delle regole di ‘buona cittadinanza’. Il patto contiene anche l’impegno ad avviare successivamente (qualora ce ne siano le condizioni) dei percorsi di reinserimento. La stipula del patto preliminare è condizione necessaria e sufficiente per l’erogazione del contributo per i benefi-ciari non inseriti in percorsi.

Patto definitivo Solo i beneficiari avviabili a percorsi di reinseri-mento sociale/lavorativo

Accordo in forma scritta stipulato fra la perso-na/famiglia ammessa al Reis e l’operatore dei servizi sociali o del Terzo settore, contenente il reciproco im-pegno a rispettare il percorso di inclusione socia-le/lavorativa concordato. Il patto definitivo può coinci-dere con il percorso di inclusione sociale vero e proprio e contenerne una specifica definizione, passaggi e ob-blighi.

Patto di servizio Solo i beneficiari attivabi-li nel mercato del lavoro

Accordo in forma scritta stipulato, fra il Centro per l’impiego in accordo con i servizi sociali, e il beneficiario in età lavorativa avviabile ad un re-inserimento nel mercato del lavoro. Nel patto di servizio sono specifica-te le azioni e gli obblighi reciproci cui i contraenti sono tenuti per la realizzazione di tale percorso.

15 Le diciture ‘patto preliminare e patto definitivo’ prendono spunto dalla promettente esperienza del Reddito di Base per la Cittadinanza, introdotta in fase sperimentale in Regione Friuli Venezia Giulia (L.R. n. 6/2006), ma purtroppo soppressa, a meno di un anno dall’avvio effettivo della misura, dopo so-lo la fase di ‘collaudo’. Per un approfondimento dell’esperienza friulana si rimanda a: (Ranci Ortigosa E., Mesini D.), Il Reddito di Base per la Cittadinanza in Friuli Venezia Giulia: resoconto di un’esperienza interrotta, in Granaglia E., Bolzoni M., “Il reddito minimo di inserimento. Analisi e valutazioni di alcune esperienze locali”, Quaderni CIES (Commissione di Indagine sull’Esclusione Sociale), n. 3, 2010.

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6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)

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I PERCORSI D’INCLUSIONE E I CONTROLLI

Il Reis è una misura di integrazione monetaria e di attivazione: specifici percorsi di inclusione sociale e lavorativa saranno realizzati nei confronti dei componenti le famiglie in carico, secondo una logica di empowerment che tenga conto delle caratteristiche ed abilità dei soggetti. Il Servizio Sociale dei Comuni, associati in forma di Ambito, curerà, attraverso specifici protocolli d’intesa, i rapporti con gli attori del territorio deputati all’avvio ed alla realizzazione dei percorsi di inclusione lavorativa (in primo luogo i CpI) e sociale (in primo luogo il Terzo Settore, specie con rife-rimento alla marginalità grave) e definirà di concerto con i suddetti soggetti gli obblighi e gli impegni per i beneficiari. Il trasferimento monetario sarà erogato a tutti tramite l’INPS, mensilmente e per un anno, dopo le opportune verifiche di ammissibilità e, per i soli beneficiari potenzialmente destinatari di un percor-so di inclusione, dopo la sottoscrizione del ‘patto definitivo’. Alla scadenza del primo anno il nucleo familiare potrà ripresentare la domanda. Le verifiche circa il rispetto del patto definitivo e la permanenza dei requisiti saranno effettuate in

itinere e saranno responsabilità dei Comuni associati, in accordo con gli altri soggetti coinvolti (INPS, terzo settore, ecc.). La condizionalità sarà maggiormente stringente per i percorsi lavorativi destinati ad adulti abili sen-za altre patologie e /o fragilità, ferma restando comunque la tutela dei minori. In caso di mancato ri-spetto del patto sarà prevista una riduzione progressiva, fino alla decurtazione. Il ritorno al lavoro sarà reso ‘conveniente’ tramite appositi incentivi monetari. 6.1 PREMESSA Come il precedente, questo capitolo è dedicato al welfare dei servizi, che rappresenta una delle componenti essenziali del Reis. Nello specifico qui saranno approfonditi gli aspetti relativi ai

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percorsi di inclusione sociale e lavorativa, le regole di condizionalità e il sistema dei controlli. Nell’affrontare questi temi ci siamo basati ancora una volta su un approccio pragmatico, finaliz-zato all’obiettivo, e sul principio della sussidiarietà, di cui si è già detto nel cap. 5, par.1. Cominceremo trattando i percorsi di inclusione che saranno realizzati nei confronti dei compo-nenti le famiglie in carico, secondo una logica di empowerment che tenga conto delle loro carat-teristiche socio-anagrafiche, abilità e potenzialità. Un’attenzione particolare in questo capitolo sarà inoltre rivolta ai controlli, sia relativi al possesso e alla permanenza dei requisiti di accesso di tipo socio-anagrafico, economico e patrimoniale, che al rispetto degli impegni assunti con i percorsi di inclusione intrapresi. La messa in campo di azioni di verifica e di accertamento nell’ambito del Reis ha come obiettivo generale quello di ‘sventare’ o quantomeno contenere si-tuazioni opportunistiche e improprie, evitando che “finti poveri” ne beneficino senza averne di-ritto, a scapito di famiglie meritevoli che ne resterebbero ingiustamente escluse. Infine, un’ultima focalizzazione riguarderà i possibili incentivi per rendere conveniente per il beneficia-rio del Reis intraprendere un’occupazione remunerata (make work pay). 6.2 I percorsi di inclusione sociale e lavorativa e i relativi servizi 6.2.1 Di quale inclusione stiamo parlando? Il Reis prevede di abbinare al trasferimento monetario interventi di attivazione, recupero e re-sponsabilizzazione dei beneficiari. La possibilità di reale empowerment sarà tuttavia direttamen-te proporzionale alle caratteristiche e potenzialità dei beneficiari, oltre che alle effettive oppor-tunità del sistema dei servizi e del mercato del lavoro in cui tali percorsi saranno progettati e condotti. Posto che per tutti i beneficiari del Reis sarà doverosa un’assunzione di responsabilità rispetto all’utilizzo del contributo (es. per la copertura di utenze o affitto) e all’impegno a garantire de-terminati stili di vita e regole di comportamento (es. il rientro da morosità, la frequenza scolasti-ca dei figli minori, la partecipazione ai colloqui con gli insegnanti), possiamo introdurre la se-guente distinzione rispetto alla possibilità di ‘inclusione’:

- per soggetti portatori di problematiche complesse, in situazione di disagio sociale e/o di forte emarginazione o in condizione di salute incompatibile con lo svolgimento di attività lavorativa, saranno realizzati percorsi di inclusione sociale e relazionale o socio-sanitaria; - ai minori appartenenti a famiglie in disagio economico e sociale saranno rivolti specifici percorsi di inclusione socio-educativa, ad esempio finalizzati a prevenire la dispersione scolastica, o a favorirne il recupero ed il rendimento; - per i soggetti in età attiva e abili al lavoro in condizione di disoccupazione, inoccupazio-ne, inattività, oppure iscritti nelle liste di mobilità, in cassa integrazione (ordinaria, stra-ordinaria o in deroga), ma anche per i cosiddetti “working poor”, cioè lavoratori a basso reddito, saranno attivati percorsi formativi e di inclusione attiva nel mercato del lavoro; - i soggetti che abbiano raggiunto l’età pensionabile (per convenienza qui e altrove: ultra 65enni; vedi cap. 3), anche già beneficiari di pensioni sociali, soli o coniugati ma non por-tatori di altre fragilità al di là del disagio economico, saranno destinatari del solo trasfe-rimento monetario; - le persone con disabilità o non autosufficienti che, indipendentemente dall’età, benefi-ciano del Reis, continueranno a seguire i percorsi socio-sanitari in cui sono inseriti e a ri-volgersi ai servizi cui risultano già in carico, fatta salva una valutazione dei servizi sociali

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circa l’opportunità di attivazione di nuovi e differenti percorsi per sopravvenuti o modi-ficati bisogni (tab 1). Vale qui la pena ricordare che, essendo la famiglia l’unità di riferimento dell’intervento, i percor-si di inclusione attivabili in capo ad uno stesso nucleo familiare potranno essere più di uno, tanti quanti saranno gli effettivi bisogni riscontrati al suo interno. La distinzione fra persone abili al lavoro e non abili, così come il grado di complessità delle pro-blematiche che potrà rendere più o meno percorribili percorsi di attivazione, avrà ovviamente carattere di reversibilità e dipenderà dall’evoluzione delle condizioni umane, sociali ed economi-che della persona, e del suo nucleo familiare di appartenenza. Sarà dunque compito degli opera-tori dei servizi giudicarne l’entità e formulare eventuali rivalutazioni durante il periodo di trat-tamento del Reis. In particolare, gli operatori dei servizi (sociali e per l’impiego) valuteranno at-tentamente le reali chances di occupabilità dei beneficiari ultra-60enni al fine della previsione effettiva di misure di attivazione per tali beneficiari, anche in considerazione dei costi effettivi di tali misure relativamente ai benefici attesi. TABELLA 1 – BENEFICIARI E PERCORSI DI INCLUSIONE

Tipologie di beneficiari possibili Percorso di inclusione? Quale inclusione possibile?

Soggetti portatori di fragilità sociali più o meno complesse, indipendentemente dall’età

Sì Inclusione socio-relazionale o socio-sanitaria

Minori appartenenti a famiglie in disa-gio economico e sociale

Sì Inclusione socio-educativa

Soggetti in età attiva e abili al lavoro, in condizioni di disagio lavorativo

Sì Inclusione attiva nel mercato del lavoro

Persone con disabilità Sì Nei percorsi socio-sanitari in cui sono già inseriti, presso i soggetti cui sono in carico, fatta salva l’opportunità di attivazione di nuovi e differenti percorsi per sopravvenu-ti o modificati bisogni.

Soggetti ultra 65enni, anche già benefi-ciari di pensioni sociali, soli o coniugati ma non portatori di altre fragilità al di là del disagio economico

No Solo erogazione monetaria.

6.2.2. I percorsi di inclusione sociale e i servizi alla persona I percorsi di inclusione sociale, come già più volte sottolineato, hanno lo scopo di favorire il su-peramento dell'emarginazione dei singoli e delle famiglie in carico alla misura attraverso la promozione delle capacità individuali e dell'autonomia economica. Tali programmi, personaliz-zati sulla base delle caratteristiche, abilità e fragilità di ciascuno sono orientati a raccordare il REIS con altri servizi ed interventi relativi alle politiche di protezione sociale, socio-sanitaria, educativa ed in generale con tutti gli altri interventi finalizzati al benessere della persona ed alla prevenzione delle condizioni di disagio sociale. Relativamente alla possibile casistica prefigurabile ci vengono in aiuto le esperienze di Reddito Minimo nazionale e regionale sperimentate in Italia nell’ultimo decennio (IRS, Fondazione Zan-can, Cles, 2001; IRS, Censis, Cles, Fondazione LABOS, 2004; Ranci, Mesini, 2010; Mesini, 2011; Spano, Trivellato, Zanini, 2013). E’ possibile distinguere i percorsi di inclusione sociale in 4 cate-

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gorie, che indubbiamente non esauriscono l’insieme degli interventi attivabili nei confronti dei beneficiari del REIS, ma ne danno una rappresentazione indicativa (Lodigiani e Riva, 2011): - Percorsi di tipo terapeutico-riabilitativo - rivolti essenzialmente a persone portatrici di pro-blematiche complesse e spesso in condizioni di salute compromesse, anche per l’uso di so-stanze; possono essere fatti rientrare in questa categoria trattamenti presso i servizi speciali-stici o l’inserimento in comunità terapeutiche; - Percorsi di sostegno alle responsabilità familiari - riguardanti il supporto ad attività di cura e accudimento di anziani e minori, interventi di prevenzione e sostegno socio-sanitario e psico-logico alle famiglie ed alle coppie; - Percorsi socio-educativi e di alfabetizzazione1 - finalizzati a limitare la dispersione scolastica e il rendimento dei minori, ma anche a promuovere il recupero della scolarità perduta degli adulti e percorsi di alfabetizzazione per cittadini stranieri; - Percorsi di integrazione socio-relazionale - rivolti all’inserimento dei beneficiari in attività di volontariato presso associazioni e cooperative e finalizzati ad accompagnare la persona nell’acquisire maggiore autonomia e autostima, in una logica di empowerment; si tratta ad esempio dell’inserimento in Centri di Aggregazione, ludoteche, esperienze di educativa terri-toriale. Il percorso di inclusione sociale può riguardare uno o più dei componenti il nucleo in carico, è costruito in modo personalizzato, dopo la valutazione multidimensionale dei SS, tiene conto del-le caratteristiche e delle esigenze individuali e familiari secondo obiettivi, contenuti e impegni ben definiti, inclusi nel Patto definitivo e sottoscritti dai beneficiari. Per ciascun percorso sarà prevista la figura di un tutor (o case manager), individuata fra il per-sonale dei Servizi sociali territorialmente competenti. Tale figura avrà compiti di coordinamen-to, accompagnamento e verifica dell’attuazione del progetto di attivazione e del rispetto degli obblighi previsti. L’adozione di tale figura risponde alla necessità di affrontare il fenomeno della povertà ed esclusione sociale nella sua natura multidimensionale, cumulativa e preventiva, tesa a rimuovere le cause scatenanti e quindi a ridurre progressivamente gli effetti complessivi della povertà sui corsi di vita individuali e familiari. Si prevede che tale figura si manterrà, per quanto possibile, stabile per tutta la durata del REIS: il programma personalizzato dovrà essere accom-pagnato e seguito nei suoi esiti nel tempo, attraverso un lavoro di monitoraggio del caso. I suddetti percorsi non possono essere portati avanti dai soli servizi sociali ma richiedono una rete di collaborazioni con i servizi territoriali per la presa in carico e l’accompagnamento delle persone verso percorsi di autonomia. Si tratta di collaborazioni in molti casi già presenti e attive, che il Reis consentirà di consolidare e potenziare. Un ruolo significativo sarà quello dei servizi socio-sanitari specialistici quali SERT e DSM in primis, ma anche dei centri socio-educativi, con-sultori familiari, istituti scolastici e istituti professionali ed organizzazioni del terzo settore, nella pluralità delle loro forme. Queste ultime svolgeranno in tutti i contesti un ruolo importante, forti delle loro specificità e vicinanza ai territori. La loro attività sarà particolarmente utile, poi, in al-cune zone del Sud Italia, dove più debole e meno strutturata è l’azione dei servizi, e nei confronti della marginalità grave, come ampiamente trattato nel paragrafo successivo. 1 La conoscenza della lingua italiana tra i beneficiari del REIS non è cosa scontata. L’esperienza del Reddito di

Garanzia della Provincia di Trento insegna come tra i beneficiari sia lecito attendersi una quota di stranieri più che proporzionale rispetto all’incidenza sull’intera popolazione. Dovranno essere dunque predisposti degli in-terventi adeguati, quali corsi di alfabetizzazione e di formazione linguistica, anche con l’aiuto di mediatori culturali e preliminarmente all’avvio di percorsi di attivazione nel mercato del lavoro.

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TABELLA 2 – PERCORSI DI INCLUSIONE SOCIALE

6.2.3 I senza fissa dimora e i servizi per l’emarginazione grave Il Reis, nell’ambito della lotta alla grave emarginazione e del lavoro con le persone senza fissa dimora, può rappresentare un punto di svolta. Esso costituisce infatti, per la prima volta nel wel-fare italiano, una misura strutturale di tipo non emergenziale che viene messa a disposizione dei percorsi di inclusione sociale e inclusione attiva per la grave emarginazione. Oggi la protezione delle persone senza fissa dimora passa prevalentemente dalla disponibilità di servizi di emer-genza a sostegno e sollievo delle fasi critiche degli eventi emarginanti (perdita dell’alloggio, di-sponibilità di un riparo durante i periodi freddi, sostegno in caso di malattia, etc.) ma si tratta di una risposta insufficiente. L’esperienza di molti contesti locali – in Italia ed in Europa – dimostra invece in modo inequivocabile l’esistenza di alcune condizioni per il successo degli interventi di contrasto alla grave emarginazione: la disponibilità di una misura universale di sostegno eco-nomico di base; la presenza di servizi di accompagnamento e supporto in una dimensione per-sonalizzata e non istituzionalizzante; la disponibilità di capitale sociale e relazionale da mettere a disposizione delle persone emarginate quale vettore di riconoscimento, valorizzazione identi-taria, appartenenza territoriale e fiducia in se stessi e nel proprio futuro (European Observatory on Homelessness, 2009). Il REIS non può garantire tutto questo, ma, specie se riconosciuto come livello essenziale di assi-stenza sociale, può rappresentare il punto di innesco sul quale finalmente costruire, nella rete locale dei servizi pubblici e privati, percorsi integrati, personalizzati e multidimensionali ai quali le persone possano avere accesso. Disporre del REIS può consentire alle persone in stato di grave emarginazione, soprattutto se senza dimora, di avere a disposizione un minimo potere di acquisto attraverso il quale scegliere, in un contesto protetto e con il supporto di operatori specificatamente preparati, un percorso comunitario effettivo di reinclusione sociale. In questo modo avranno anche la possibilità di emanciparsi dai circuiti socio-assistenziali attuali dell’emergenza abitativa e reddituale (mense, dormitori, centri di distribuzione indumenti etc.), in una logica di progressivo empowerment. Si può immaginare anche che, attraverso il REIS, progressivamente e mano a mano che il sistema di offerta privato e pubblico evolva, i beneficiari possano acquistare a condizioni agevolate beni e servizi aggiuntivi importanti. Si potrebbero ipotizzare, ad esempio: pernottamenti in strutture alberghiere low cost; periodi di permanenza in alloggi; prestazioni medico-specialistiche ed o-dontoiatriche; farmaci; servizi telefonici e di accesso alla rete internet e altre utenze; titoli di vi-aggio del trasporto pubblico locale ed altre forme di mobilità sostenibile; quote di piani di coper-tura mutualistico-assicurativa prestata da programmi locali di welfare integrativo, programmi per la socializzazione ed il tempo libero ecc. Questa nuova offerta di servizi e prestazioni, da cui oggi le persone in grave emarginazione sono generalmente escluse, dovrebbe essere sinergica e complementare a quella dei servizi esistenti, adottando piattaforme compatibili ed accreditando nel sistema una pluralità di servizi, contesti ed opportunità che al momento, pur avendo anche

Possibili tipologie di percorsi di inclusione sociale Soggetti attivabili

Percorsi terapeutico-riabilitativi Servizi specialistici (SERT, DSM, ecc….), Terzo Settore (es. gruppi di mutuo aiuto)

Percorsi di sostegno alle responsabilità familiari SS comunali, Terzo Settore

Percorsi socio-educativi e di alfabetizzazione Scuole, istituti di formazione, Terzo Settore

Percorsi di integrazione socio-relazionale Terzo Settore (Centri di Aggregazione, ludoteche, associazioni di volontariato, cooperative, etc…)

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una valenza sociale, non sono formalmente inclusi nei circuiti di welfare (si pensi agli albergatori che praticano tariffe molto basse). E’ evidente che un tale strumento potrebbe, con logiche bottom-up, favorire la riconfigurazione di molte attività che attualmente i soggetti erogatori di tali servizi, specie quelli del Terzo Setto-re, svolgono esclusivamente attraverso l’intermediazione dell’acquirente istituzionale (Comune) e che si trovano oggi in seria crisi a causa dei tagli ai budget dei Comuni. Questo potrebbe inoltre dare vita a un laboratorio assai interessante di innovazione sociale, nel quale sviluppare offerte a basso costo ma di qualità da rendere accessibili al maggior numero di persone possibili, a partire dalle più svantaggiate, che possano quindi ambire a sviluppare volumi importanti di mercato, rendendo anche economicamente interessante l’investimento privato in questo ambito. Il Terzo Settore avrà indubbiamente un ruolo preponderante nel promuovere e sviluppare da un lato l’integrazione/collaborazione con il sistema pubblico, dall’altro forme innovative di risposta al bisogno. 6.2.4 L’inclusione lavorativa e i servizi per l’impiego I percorsi di inclusione lavorativa hanno lo scopo di consentire ai beneficiari abili al lavoro di in-serirsi, per quanto possibile, nel mercato del lavoro, anche attraverso percorsi di formazione e riqualificazione volti a far loro ottenere le competenze necessarie. Essi devono quindi iscriversi al Centro per l’impiego provinciale, impegnarsi attivamente nella ricerca di un lavoro e dichia-rarsi immediatamente disponibili ad accettare un’offerta di lavoro congrua (nei limiti di un pen-dolarismo ragionevole ed economicamente sostenibile) e a frequentare corsi di formazione o di riqualificazione professionale. A tal fine il Centro per l’impiego predispone un patto di servizio, con un programma personalizzato di inserimento lavorativo e/o formativo o di riqualificazione professionale, stilato in base ad una valutazione delle caratteristiche individuali. Il patto di servi-zio impegna bilateralmente i servizi per l’impiego e il beneficiario. Come visto, esso non esclude per gli stessi beneficiari la copertura di bisogni di natura extra-occupazionale, che dovrebbe es-sere fornita dai servizi sociali. I contenuti del patto di servizio dovranno necessariamente essere raccordati con quanto previ-sto dalla legge 92/2012 recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, con i contenuti dell’attuazione della delega sulle politiche attive del lavo-ro prevista dalla legge 247 del 2007 e ribadita dalla legge 92 del 2012, e con le azioni di imple-mentazione della raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea sulla Youth Guarantee (Garanzia per i giovani) di febbraio 2013, che pone particolare attenzione ai giovani con meno di 25 anni che non studiano né lavorano (i NEET) 2.

− La legge 92/2012 prevede che, nei confronti di “beneficiari di ammortizzatori sociali per i quali lo stato di disoccupazione costituisca requisito”, i Centri per l’impiego devono ga-rantire: − colloquio di orientamento entro i tre mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione;

2 La raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del febbraio 2013 invita i governi nazionali a “garan-tire che tutti i giovani di età inferiore a 25 anni ricevano un’offerta qualitativamente valida di lavoro, prose-guimento degli studi, apprendistato o tirocinio entro quattro mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema d'istruzione formale”. A valere sui fondi di coesione 2014-2020, il Consiglio europeo di giugno 2013 ha stabilito lo stanziamento, per l’Iniziativa per l’occupazione giovanile di cui la Garanzia per i giovani è parte, di 6 miliardi di Euro per gli anni 2014-15 nei paesi, tra i quali l’Italia, dove il tasso di disoccupazione giovanile sia superiore al 25%. A tal fine l’Italia deve elaborare entro la fine del 2013 un piano per combattere la disoccupazione giovanile, che comprenda anche l’attuazione della Garanzia per i giovani a partire da gen-naio 2014. È da notare come nella definizione delle azioni l’età massima per fruire delle misure della garanzia per i giovani in Italia verrà innalzata a 29 anni.

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− azioni di orientamento collettive tra i tre ed i sei mesi dall’inizio dello stato di disoccupa-zione, con formazione sulle modalità più efficaci di ricerca di occupazione adeguate al contesto produttivo territoriale; − formazione di durata complessiva non inferiore a due settimane tra i sei ed i dodici mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione, adeguata alle competenze professionali del di-soccupato ed alla domanda di lavoro dell’area territoriale di residenza; − proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo entro la scadenza del perio-do di percezione del trattamento di sostegno del reddito. Le suddette disposizioni possono costituire un benchmark per la formulazione dei patti di servi-zio; in altre parole i beneficiari del REIS dovrebbero ottenere almeno quanto stabilito per i bene-ficiari di sussidi di disoccupazione nei tempi previsti, e se possibile in tempi più brevi, quanto-meno per il colloquio di orientamento presso il Centro per l’impiego, così da dar luogo al patto di servizio. Ulteriori indicazioni sull’attuazione di queste azioni, e sulla cornice nella quale si situa-no le attività di formazione e riqualificazione in particolare, potrebbero poi venire dall’esercizio della delega sulle politiche attive prevista dalla legge 92/2012 e non attuata nella passata legi-slatura. Una possibile criticità connessa all’estensione ai beneficiari del REIS abili al lavoro delle previ-sioni di tale legge in materia di doveri dei Centri per l’impiego nei confronti dei beneficiari di sussidi di disoccupazione è dovuta all’incertezza circa la reale capacità dei CpI in alcune zone d’Italia, in mancanza di un serio piano di costruzione di capacità istituzionali e senza finanzia-menti specifici , di riuscire ad attuare il dettato normativo. Questo vale a maggior ragione per in-dividui quali i beneficiari di uno schema di reddito minimo che, ex ante, si possono considerare meno occupabili e con maggiori necessità di formazione o riqualificazione rispetto a percettori di sussidi di disoccupazione, come tali occupati sino a poco tempo prima. Tale considerazione si estende poi anche all’effettivo esercizio della condizionalità: se i Centri per l’impiego sono ina-dempienti, la misura perde parte della sua natura, quantomeno per quanto concerne l’obbligo di accettare offerte di lavoro o formazione che provengano dai servizi pubblici per l’impiego (non viene meno l’obbligo di cercare attivamente un’occupazione). Nell’attesa dell’attuazione della parte della legge 92/2012 che prevede l’attivazione di un sistema di premialità per la ripartizio-ne delle risorse del Fondo sociale europeo per gli interventi da questo cofinanziati, legato alla prestazione di politiche attive e servizi per l’impiego, potrebbe essere previsto per il REIS un si-stema di incentivi e sanzioni per i dirigenti dei Centri per l’impiego in base alla capacità effettiva di offrire servizi3. In generale, comunque, e preliminarmente a tutto il resto, a tutti i beneficiari devono essere of-ferti dal Centro per l’impiego corsi qualificati volti all’acquisizione e all’affinamento delle capaci-tà relazionali di base necessarie per ottenere e mantenere un posto di lavoro, scrivere un curri-culum, cercare e rispondere a offerte di lavoro, sostenere un colloquio, e così via. Al fine di aumentare le opportunità occupazionali dei beneficiari del REIS, i Centri per l’impiego segnalano i soggetti presi in carico che siano abili al lavoro anche alle Agenzie per il lavoro di na-tura privata. È auspicabile che accordi in questo senso vengano raggiunti con le associazioni di categoria Assolavoro e Alleanza lavoro. Inoltre, gli inserimenti lavorativi potranno coinvolgere tutta una serie di soggetti che andranno anche al di là dei CpI, a partire dai servizi di inserimento lavorativo dedicati alle politiche attive del lavoro e presenti all’interno di molti Comuni, oltre che le cooperative di tipo B, tipicamente

3 Occorre qui fare attenzione al rischio di un “effetto sabbie mobili”, in cui i territori che hanno maggior neces-sità di incentivi e risorse sono proprio quelli nei quali le percentuali di successo sono inferiori.

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attive sul fronte del lavoro protetto. Presumibilmente la condizionalità legata a quest’ultimo tipo di percorsi più ‘protetti’ dovrà essere meno stringente rispetto al (re)inserimento nel mercato del lavoro regolare. TABELLA 3 – PERCORSI DI INCLUSIONE LAVORATIVA

6.2.5 Inclusione lavorativa… ma con un sano realismo L’inclusione lavorativa può essere: a) reversibile e b) modulabile, rispetto alle reali possibilità di attivazione dei beneficiari. La reversibilità può essere dovuta alla sopravvenienza di fragilità (si pensi alla dipendenza da gioco o da sostanze) che rendano il beneficiario inadeguato rispetto all’inserimento lavorativo o di esigenze di cura per cui questi non possa garantire l’impegno lavorativo. Naturalmente vi può essere anche il processo inverso, per cui un beneficiario inizialmente non idoneo al lavoro lo di-venti in seguito. Per quanto riguarda la modulabilità del percorso di inclusione, è opportuno che siano tenute in conto le reali possibilità di attivazione dei beneficiari, nonché i diversi livelli di occupabilità. In vari casi nazionali (ad esempio la Germania e la Danimarca) i beneficiari attivabili sono inclusi in categorie diverse, a seconda dei loro bisogni e delle loro chance di occupabilità. In Germania, ad esempio, sono previste quattro categorie, a ciascuna delle quali sono associati differenti percorsi di reinserimento (Sacchi,2013). Coloro i quali rientrano nella prima categoria sono ritenuti im-mediatamente in grado di rientrare nel mercato del lavoro, pertanto senza ulteriore formazione; quanti sono nella seconda necessitano di brevi periodi di counseling e riorientamento; i soggetti nella terza hanno bisogno di counseling e percorsi più lunghi di formazione qualificante o riqua-lificante; chi rientra nella quarta necessita di un’attenzione speciale che eviti per quanto possibi-le il cronicizzarsi della situazione di bisogno. I servizi formativi vengono forniti tendenzialmente solo ai beneficiari inclusi nelle categorie due e tre, mentre per i beneficiari inclusi nella categoria quattro, con minori probabilità di uscire dallo schema attraverso un’occupazione non protetta, si prevede che il dovere di attivazione venga assolto attraverso lavori di utilità collettiva non re-munerati, se non a un tasso di salario simbolico (i one-euro jobs). Facendo tesoro dell’esperienza tedesca, la nostra proposta suggerisce che anche i CpI tengano conto di simili categorie nell’elaborazione della proposta di percorso d’inclusione, pur senza adottare una distinzione ri-gida che porterebbe con sé il rischio dell’etichettamento e della ghettizzazione. Inoltre l’inclusione lavorativa dei beneficiari di uno schema di garanzia di risorse minime va considerata con un po’ di sano realismo. La previsione di un diritto dei beneficiari ad ottenere - in breve tempo da parte dei servizi per l’impiego - servizi come quelli descritti nella sezione precedente (tipicamente immaginati per i

Obblighi dei servizi per l’impiego Obblighi dei beneficiari

- orientamento occupazionale

- promozione di proposte formative

- promozione di iniziative di inserimento lavorativo

- iscrizione presso il CpI provinciale

- impegno attivo (e documentabile) nella ricerca di un lavo-ro

- disponibilità ad accettare una ‘congrua offerta’ di lavoro

- disponibilità a partecipare a corsi di formazione o riqualifi-cazione professionale

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beneficiari dei sussidi di disoccupazione) non è da dare per scontata, anche nelle esperienze più avanzate (vedi cap. 11), e non può che fare i conti con le possibilità reali del sistema di offerta in cui i servizi si trovano ad operare. Si pensi in primis alle condizioni del mercato del lavoro, che possono variare di molto da zona a zona e contribuire al successo o al fallimento di alcuni inter-venti. Infine, bisogna essere consapevoli del fatto che tipicamente le percentuali di reinserimento lavo-rativo degli schemi di reddito minimo sono relativamente basse anche nei contesti istituzionali più virtuosi (cap. 11). Ciò vale soprattutto per gli schemi di attivazione rivolti ai soggetti più de-boli, quali è presumibile siano coloro che, pur essendo abili al lavoro, versano in condizioni di povertà assoluta. Valutare il successo o il fallimento di una programma di tutela di base (per sua natura complesso e multidimensionale, anche in considerazione dell’estrema eterogeneità dei target e delle tipolo-gie di percorsi attivabili) prevalentemente attraverso i tassi di reinserimento lavorativo dei be-neficiari, significa commettere un grave errore di politica pubblica ed ignorare in maniera miope l’evidenza empirica internazionale. 6.3 CONTROLLI, CONDIZIONALITÀ E INCENTIVI

6.3.1 Verifiche e controlli all’accesso e sulla permanenza dei requisiti La partita dei controlli è assai ampia e riguarda da un lato quelli sul possesso e la permanenza dei requisiti di accesso di tipo socio-anagrafico, economico e patrimoniale, dall’altro quelli rela-tivi al rispetto degli impegni assunti con i percorsi di inclusione intrapresi. Mettere in campo azioni di verifica ed accertamento nell’ambito del REIS ha come obiettivo ge-nerale quello di ‘sventare’ o quantomeno contenere situazioni opportunistiche ed improprie, e-vitando che finti poveri ne beneficino senza averne diritto. Relativamente alle verifiche sul pos-sesso e la permanenza dei requisiti di ammissibilità, verranno utilizzati, come ampiamente de-scritto nel capitolo 3 due selettori: l’ISEE e il reddito disponibile. Considerare l’Isee, riformato, come primo ‘filtro’ consentirà di selezionare famiglie che, pur a-vendo redditi contenuti, possiedono dotazioni patrimoniali di una certa rilevanza (cfr.cap. 3). Occorre infatti ricordare che il benessere di una famiglia non dipende solo dal reddito corrente, ma anche dallo stock di patrimonio accumulato. In molti paesi un sussidio per il contrasto della povertà viene erogato solo a chi non supera certe soglie di patrimonio mobiliare o immobiliare, oltre che di reddito (vedi cap. 11) e l’Isee può essere utilizzato proprio a questo scopo, fissando un criterio di esclusione che consideri non solo il reddito, ma anche le dotazioni patrimoniali possedute dalla famiglia. Il secondo filtro all’accesso, sulla cui base dovrà poi essere definita l’integrazione spettante, non sarà l’Isee, bensì il reddito disponibile. Questa motivazione dipende dal fatto che il nostro obiet-tivo è il contrasto della povertà assoluta, che abbiamo definito seguendo l’approccio Istat. La de-finizione della povertà assoluta adottata dall’Istat, in effetti, prescinde dall’Isee, in quanto è cal-colata sulla base della spesa per consumi, oppure del reddito disponibile spendibile per l’acquisto di un paniere di consumo minimo. Ecco allora che la seconda soglia di accesso sarà rappresentata proprio dalla stessa unità di misura utilizzata per la stima dei poveri assoluti, di-rettamente correlabile con quest’ultima. I (potenziali) beneficiari del REIS dovranno dunque presentare in sede di accesso e di verifica in itinere, sia la dichiarazione Isee, sia la dichiarazione di reddito disponibile, con tutte le informa-zioni necessarie per completarle ed eventualmente ‘attualizzarle’ nel caso siano intervenute in

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corso di erogazione del REIS delle variazioni significative della situazione economica e/o socio-anagrafica (cfr.cap. 3. Tuttavia, dal momento che, nonostante il doppio filtro numerosi saranno ancora i casi di famiglie con Isee e redditi nulli oppure molto bassi, occorrerà introdurre un ulteriore strumento di veri-fica, che consenta di attribuire alle famiglie un reddito presunto più in linea con l’effettivo tenore di vita. Si propone qui di fare riferimento ad un indicatore di controllo sui consumi, come peral-tro già variamente utilizzato in alcune Regioni in sostituzione o a conferma dell’Isee (Mesini, 2006)4. Come già anticipato (cfr.cap. 3 ), l’indicatore di controllo che intendiamo adottare nella presente proposta si riferisce all’impostazione del più recente ma ormai collaudato indicatore previsto dal Reddito di Garanzia della Provincia Autonoma di Trento. A Trento l’indicatore di controllo sui consumi viene utilizzato al momento del calcolo dell’ICEF (l’Isee locale), come indicatore di congruità alla fonte, per verificare se una stima prudente dei consumi possa essere in linea o nettamente superiore al reddito dichiarato. Utilizzando l’indicatore dei consumi è emerso che ben il 25% delle domande per il Reddito di Garanzia pre-sentavano delle dichiarazioni ICEF incongrue, e dunque passibili di verifica, in cui una stima mol-to prudente dei consumi era superiore al reddito dichiarato, con frequente conseguente sponta-neo abbandono della pretesa da parte dei richiedenti. Il calcolo dei consumi presunti diventa quindi cruciale per la determinazione dell’ammissibilità. Successivamente a questa scrematura ed al check sui consumi, altre verifiche incrociate saranno effettuate sugli ammissibili da parte dell’INPS attraverso le banche dati a sua disposizione, tra le quali le più significative sono: − INPS/INPDAP - permettono la lettura: dell’estratto conto contributivo, del CUD di pen-sionato e assicurato, del modello ObisM, del pagamento di pensioni (ammontare, n. del certificato, categoria, decorrenza), degli importi erogati dall’INPS a qualsiasi titolo (in-dennità di disoccupazione, maternità, mobilità, malattia), dei contributi versati dai lavo-ratori dipendenti e stipendi percepiti, nonché ricerche sulle aziende per conoscere l’elenco dei dipendenti e dei contributi e stipendi pagati; − Agenzia delle Entrate (sistema SIATEL), con lettura delle dichiarazioni effettuate ai fini fiscali − Agenzia del Territorio (sistema SISTER). La lettura del catasto consentirà di verificare le proprietà immobiliari (terreni e fabbricati) posseduti dal soggetto in tutta Italia, avendo la possibilità di stampare la visura catastale da cui si evincono, oltre alla categoria e alla rendita, la percentuale di possesso e i comproprietari con indicazione dell’atto con cui si è diventati proprietari

4 Esperienze passate significative in proposito sono quelle della Regione Basilicata e della Regione Campania. In particolare, appare interessante menzionare quanto previsto dal Regolamento attuativo del Reddito di Cittadi-nanza della Regione Campania, istituito con la legge regionale n. 2 del 19 febbraio 2004. Data la straordinaria incidenza (oltre il 70%) delle dichiarazioni ISEE pari a zero sul totale delle dichiarazioni ISEE entro la soglia massima per poter accedere alla misura, fissata all’ora in 5.000 euro annui, si è deciso di ricorrere alla determi-nazione di un reddito presunto che tenesse conto dei consumi relativi alle utenze domestiche, di quelli relativi alla proprietà di automobili e motocicli, alla casa di abitazione, nonché del valore del parametro della scala di equivalenza. Il reddito presunto così calcolato veniva quindi utilizzato, oltre che per la determinazione dell’importo di reddito soglia, anche come meccanismo di verifica dei mezzi per l’accesso alla misura.

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− Pubblico Registro Automobilistico (PRA) 5 consente di verificare il possesso di beni mo-bili registrati, tramite il nominativo dell’utente o la targa dell’auto Spetterà poi ai soggetti responsabili dell’accesso la verifica sulla composizione della famiglia a-nagrafica, tramite il sistema informativo messo a disposizione di tutti gli enti che entreranno in contatto con la misura (cfr. cap 8); infine, competerà ai Comuni associati in forma di Ambito, ed al Terzo Settore verificare la rispondenza delle informazioni dichiarate, rispetto al reale tenore di vita dei beneficiari in carico e dunque già noti, sia in fase di accesso alla misura che durante l’erogazione del REIS. Eventuali situazioni sospette dovranno essere segnalate in qualsiasi mo-mento all’INPS per ulteriori verifiche. I beneficiari della misura dal canto loro avranno l’obbligo di segnalazione immediata al Comune in qualsiasi momento, di variazioni nelle condizioni di ammissibilità al beneficio. Esse non do-vranno riguardare solo la condizione economica e patrimoniale del nucleo, ma anche quella ana-grafica, come la nascita o la morte di un componente, o l’intrapresa di un nuovo lavoro. Spetterà ancora una volta al Comune segnalare all’INPS le modifiche intervenute in corso di ero-gazione del REIS e quest’ultimo ricalcolerà l’importo spettante alla famiglia. La mancata comuni-cazione delle suddette variazioni potrà comportare temporanee sospensioni e/o riduzioni del contributo (cfr. paragrafo 6.4.2). Oltre ai controlli sulla situazione economica e anagrafica delle famiglie ci dovranno anche essere verifiche circa il rispetto da parte dei beneficiari in carico del percorso di inserimento intrapre-so. Tali verifiche saranno effettuate ogni 3/6 mesi e saranno responsabilità dei Comuni associati, in accordo con gli altri soggetti chiamati in causa per i rispettivi percorsi con i quali saranno formalizzati specifici accordi e protocolli d’intesa. Al fine di sventare possibili comportamenti opportunistici da parte dei beneficiari, quale ad e-sempio il fatto di mantenere un’occupazione nell’ambito del sommerso pur percependo il REIS, sia l’esperienza internazionale, sia quella del Reddito minimo di inserimento nazionale fornisco-no alcune possibili contromisure al riguardo. In Germania ad esempio il beneficiario è tenuto, durante i giorni lavorativi, ad essere rintracciabile dal proprio assistente all’indirizzo fornito o ad essere disponibile, se richiesto, a recarsi in breve tempo all’Agenzia del Lavoro di pertinenza. L’esperienza della sperimentazione nazionale è consistita nell'uso strumentale di programmi di inserimento ben definiti e monitorati che prevedono l’impegno quotidiano del soggetto in de-terminate ore della giornata, risultando, così poco compatibili con lo svolgimento di lavoro “in nero”. Il Reddito Minimo nazionale e le esperienze regionali insegnano anche quanto un poten-ziamento del lavoro di rete sul territorio, attraverso la formalizzazione di accordi ad hoc (con-venzioni, protocolli d'intesa, ecc) con i soggetti territoriali per la segnalazione dei casi dubbi, ol-tre che il diretto coinvolgimento della polizia municipale per controlli a campione sui casi di pa-lese contraddizione tra il dichiarato e l'effettivo fossero, siano risultati efficaci a sventare situa-zioni indebite. 5 In effetti appare onerosa e di difficile realizzazione una verifica ex-ante da parte dell’INPS sul possesso di au-

toveicoli e motoveicoli: spesso gli archivi del PRA sono poco aggiornati e di non facile consultazione. Si pro-pende dunque, come peraltro previsto dalla nuova SCS, per una autocertificazione del possesso di autoveicoli da parte dei cittadini, le cui dichiarazioni potranno essere verificate ex-post i sensi dell’art. 71 del DPR n. 445/2000. Il valore degli autoveicoli e motoveicoli, rientrerà, seppur forfetariamente, come già detto, nell’indicatore di controllo sui consumi.

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TABELLA 4 – IL SISTEMA DEI CONTROLLI

Tipologia di controllo ex ante e in itinere

Soggetti coinvolti Strumenti

1. controlli sui requisiti socio-anagrafici ed economico-patrimoniali

- situazione socio-anagrafica Soggetto responsabile dell’accesso (Comune, CAF, Patronato, Terzo Setto-re)

Anagrafi comunali

- requisiti economico-patrimoniali

- INPS

ISEE, reddito disponibile, indicatore di controllo sui consumi, banche dati (INPS/INPDAP, Agenzia delle Entrate, Agenzia del territorio, PRA,…)

- Comune e Terzo Settore - documentazione sui contributi eroga-ti dal soggetto stesso

- osservazione diretta sul territorio

2. rispetto degli impegni assunti con i percorsi di inclusione intrapresi

Comune (servizi sociali) e tutti i sogget-ti coinvolti nei percorsi (CpI, scuole,…)

Osservazione diretta sulla base dei pat-ti sottoscritti (patto definitivo, patto di servizio,…)

6.3.2 Regole di condizionalità Il Reis prevede un trasferimento monetario condizionato al rispetto ed al mantenimento di im-pegni più o meno stringenti, tenuto conto delle reali possibilità di inserimento ed accompagna-mento connesse al sistema dei servizi e del mercato del lavoro locali, particolarmente provati dall’attuale congiuntura, nonché delle effettive chances di attivazione dei beneficiari. Tutti i beneficiari della nuova misura saranno comunque tenuti al rispetto di comportamenti vir-tuosi che potremmo definire di ‘buona cittadinanza’ in generale, e di ‘buona genitorialità’ nei confronti del proprio nucleo familiare. Questo significa che all’atto della stipula del ‘patto preli-minare’ dovranno già essere specificate precise controprestazioni, che diverranno operative con il ‘patto definitivo’ siglato con i Servizi Sociali, quali ad esempio portare i figli a visite mediche periodiche, garantirne la frequenza scolastica, partecipare ai colloqui con gli insegnanti, pagare le utenze, rispettare piani di rientro da morosità nel pagamento dell’affitto, ecc.6 Il mancato rispetto dei suddetti impegni basilari così come l’inadempienza rispetto a quanto de-finito nell’ambito dei percorsi di (re)inserimento, oltre che la mancata comunicazione di varia-zioni della situazione economico-patrimoniale e/o anagrafica, potranno comportare la tempora-nea sospensione dell’erogazione del Reis e/o la sua progressiva decurtazione. In particolare, il Servizio Sociale dei Comuni, associati sotto forma di Ambito territoriale, potrà: − sospendere l’erogazione spettante, fino al momento dell’accertato rispetto degli impegni as-sunti; 6 Ad esempio, il programma Bolsa Familia, introdotto nell’ottobre 2003 in Brasile, prevede che le famiglie be-

neficiarie garantiscano un tasso di frequenza scolastica dei figli pari all’85% delle lezioni.

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− eventualmente prevedere la riduzione dell’integrazione spettante, in percentuale variabile e comunque correlata alla gravità della violazione degli obblighi ed impegni assunti, fino al momento dell’accertato rispetto degli stessi; − eventualmente revocare la misura nel caso in cui le cause che hanno prodotto le sospensioni e/o le riduzioni non siano state superate nell’arco di 3 mesi dalla prima segnalazio-ne/monito. Infine, nel caso in cui il mancato rispetto degli obblighi assunti sia imputabile solo ed esclusiva-mente ad uno dei membri della famiglia, il Servizio Sociale, di concerto con gli altri soggetti com-petenti potrà valutare l’opportunità di continuare ad erogare il contributo, eventualmente ridot-to, a beneficio dei minori presenti nel nucleo, come già avviene ad esempio in Provincia di Bol-zano. Comunque il mancato rispetto della condizionalità di base dovrebbe essere usato come campa-nello di allarme di situazioni di particolare criticità, da investigare e seguire ulteriormente da parte dei servizi sociali. L’evidenza empirica internazionale a tal proposito evidenzia che i risul-tati migliori in termini di attivazione dei beneficiari vengono raggiunti laddove a sanzioni parzia-li in caso di inadempienza si affiancano effettivi programmi di orientamento e recupero, mentre sanzioni più severe (quali l’immediata espulsione dal programma) rischierebbero di generare forti tassi di abbandono tra i beneficiari più deboli dal punto di vista delle prospettive di reinse-rimento (Immervoll, 2012). Ovviamente la condizionalità più rigida sarà prevista con riferimento all’attivazione lavorativa. In aggiunta alle controprestazioni di base viste sopra, tutti i soggetti abili al lavoro saranno cioè tenuti a rispettare il ‘patto di servizio’ e i doveri in questo contenuti. In generale, dovranno cer-care attivamente un’occupazione ed essere immediatamente disponibili al lavoro, accettando pertanto qualsiasi ‘congrua’ offerta di lavoro da parte del Centro per l’impiego, o dei servizi per l’impiego più in generale, e svolgendo le attività di formazione e riqualificazione previste. Ma vediamo che cosa è bene intendere per ‘congrua offerta di lavoro’. Al di là di quanto previsto dalla Legge Fornero, rispetto alla condizionalità associata ai sussidi di disoccupazione7, si preferisce qui riferirsi all’esperienza tedesca relativa allo schema di assi-stenza sociale per gli abili al lavoro (ALG II, vedi cap. 11), e dunque prevedere che il beneficiario del Reis debba accettare qualsiasi lavoro sia in grado di svolgere. Se il reddito derivante da tale occupazione dovesse essere inferiore al trasferimento fornito dal Reis, quest’ultimo integrereb-be la differenza, funzionando come in-work benefit, ed anzi verrebbero previsti opportuni incen-tivi cosicché il reddito percepito dal beneficiario che trova un’occupazione sarebbe comunque superiore all’importo della sola prestazione monetaria del Reis (cfr paragrafo 6.4.3). Un altro aspetto da considerare circa la congruità dell’offerta di lavoro è quello relativo agli spo-stamenti richiesti per raggiungere il luogo di lavoro, ai costi di produzione del reddito ad esso connessi e alle eventuali conseguenze sulla fornitura di cura all’interno della famiglia. La legge 92/2012, al riguardo, considera accettabili (e come tali non rifiutabili, pena la perdita dello stato di disoccupazione necessario per la corresponsione dei relativi sussidi) le attività lavorative o di formazione ovvero di riqualificazione che si svolgono in un luogo che non dista più di 50 chilo-metri dalla residenza del lavoratore, o è comunque raggiungibile mediamente in 80 minuti con i 7 La legge 92 del 2012 definisce ‘congruo lavoro’ un lavoro che dia luogo a un livello retributivo superiore al-

meno del 20% rispetto all’indennità percepita.

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mezzi di trasporto pubblici8. Questa sembra una definizione ragionevole di pendolarismo accet-tabile, ma riteniamo che, nell’ambito del Reis, vada valutata dai Servizi Sociali di concerto con i servizi per l’impiego in relazione ad eventuali compiti di cura del beneficiario. Potrebbero ad e-sempio essere prese in considerazione forme di sussidio ulteriore per compensare, almeno par-zialmente e sino a certe soglie, le spese di produzione del reddito con riferimento ai costi di spo-stamento, nel caso in cui questi siano rilevanti. Ciò potrebbe esser fatto in forma di prestazioni in natura (abbonamento ai mezzi pubblici, o al treno), di agevolazioni (il mantenimento delle age-volazioni per il trasporto pubblico previste per i disoccupati, ad esempio) o ancora di trasferi-mento monetario ulteriore, in una prospettiva di make work pay. Per quanto riguarda l’apparato sanzionatorio, date le caratteristiche del contesto italiano, pare appropriato adottare un sistema sufficientemente severo, nel quale siano previste riduzioni con-sistenti, o vere e proprie sospensioni dalla fruizione della prestazione, in caso di indisponibilità al lavoro o di non partecipazione ai programmi formativi o di riqualificazione. Al riguardo, molti paesi europei adottano un approccio graduale, nel quale inoltre le sanzioni possono essere diffe-renziate a seconda della gravità dell’infrazione (vedi Cap.11). Sulla scorta di quanto accade nell’esperienza internazionale, si potrebbe pensare, per il Reis, a delle sanzioni consistenti nella decurtazione del 20% dell’importo per tre mesi nel caso della prima violazione, del 50% per ul-teriori tre mesi nel caso di una seconda violazione e alla revoca della prestazione monetaria per almeno sei mesi in caso di ulteriori violazioni. Tuttavia, in quasi tutti i paesi europei, i soggetti in età lavorativa, potenzialmente abili ma impe-gnati in attività di cura diretta e continuativa di minori, anziani o persone con disabilità, sono esonerati dall’obbligo dell’attivazione nel mercato del lavoro9. Riteniamo che questo criterio sia applicabile anche al Reis, previa presentazione di apposita documentazione, temporaneamente e comunque per il tempo di effettiva sussistenza del bisogno di cura, che per i minori potrebbe si-gnificare il compimento dei 3/6 anni di età. Occorre tuttavia a questo proposito prestare atten-zione al rischio di replicare il modello di divisione del lavoro di genere di tipo male breadwinner: donne adibite a compiti di cura, uomini abili al lavoro e oggetto di formazione/riqualificazione, con il risultato di aumentare il capitale umano e le chance di rioccupabilità di questi, ma non di quelle, incatenandole alla famiglia e legando le chance della famiglia stessa di uscire da condi-zioni di povertà alla sola capacità lavorativa del maschio capofamiglia. Per non incorrere in que-sto rischio sarebbe opportuno prevedere per il Reis un mix che comprenda compiti lavorativi part-time o di formazione/riqualificazione anche per chi ha compiti di cura; nel caso l’impegno lavorativo o di formazione fosse completamente assorbente, occorrerebbe fornire servizi sociali che riducano i compiti di cura, liberando tempo per poter attuare il mix cura/attivazione. TABELLA 5 – REGOLE DI CONDIZIONALITÀ POSSIBILE

Condizionalità di base

8 Sembra in ogni caso sensato prendere in considerazione le condizioni dei trasporti pubblici locali, giacché un luogo di lavoro situato a distanza relativamente breve dal luogo di residenza potrebbe essere raggiunto soltanto con dif-ficoltà (molte coincidenze, ecc.) o in tempi lunghi senza un mezzo di trasporto privato. 9 La Provincia di Trento esonera dalla ricerca attiva di un lavoro anche studenti di scuola secondaria di secondo grado fino all'età di 21 anni o comunque nel corso legale di studi, studenti universitari titolari di borsa di studio, studenti frequentanti corsi post-universitari e persone impegnate nel servizio civile volontario.

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Mancato rispetto degli impegni di ‘buona cittadinan-za’

Mancata comunicazione delle variazioni nella situa-zione familiare

Inadempienza rispetto ai percorsi di inclusione sociale

sospensione dell’erogazione spettante, fino al momento dell’accertato rispetto degli impegni assunti;

eventuale riduzione dell’integrazione spettante, in per-centuale variabile e comunque correlata alla gravità della violazione;

eventuale revoca nel caso in cui le cause che hanno pro-dotto le sospensioni e/o le riduzioni non siano state supe-rate nell’arco di 3 mesi;

preservazione della ‘quota minori’

Condizionalità legata al lavoro

Mancato rispetto del ‘patto di servizio’ per i beneficia-ri potenzialmente ‘abili’

decurtazione del 20% dell’importo per tre mesi nel caso della prima violazione, del 50% per ulteriori tre mesi nel caso di una seconda violazione e la revoca della presta-zione monetaria per almeno sei mesi in caso di ulteriori violazioni;

temporanea esenzione dall’obbligo di attivazione per i beneficiati impegnati in attività di cura

6.3.3 Incentivi all’integrazione dei beneficiari in occupazioni remunerate Gli schemi volti a incentivare l’integrazione dei beneficiari nell’occupazione remunerata sono in generale di due tipi: incentivi all’assunzione dei beneficiari, rivolti agli imprenditori, e schemi in-tesi a rendere il lavoro conveniente per i beneficiari rispetto alla mera fruizione della prestazio-ne di reddito minimo (make work pay), attraverso varie forme.Una di tali forme è quella della creazione diretta di posti di lavoro, tipicamente nel settore pubblico, della quale è bene occupar-si subito. Un’analisi delle esperienze internazionali mostra che questi schemi, normalmente ri-volti a beneficiari di difficile occupabilità, sopravvivono in alcuni sistemi, mentre sono stati abo-liti in altri, che è la scelta fatta con il Reis10. L'evidenza empirica relativa a tali esperienze insegna come i lavori pubblici sussidiati siano scarsamente efficaci nell'integrare nel mercato del lavoro regolare i beneficiari del reddito minimo (Immervoll 2010, Kuddo 2012)11. Date le condizioni di finanza pubblica in Italia, e l’esperienza dell’Rmi e dei lavori socialmente utili nel nostro paese la scelta di escludere recisamente la possibilità di occupazione sussidiata nel settore pubblico dal 10 Se in Olanda l’uso di schemi di impiego pubblico è stato eliminato e l’occupazione sussidiata drasticamente

ridotta, in Francia lo strumento di inserimento lavorativo più diffuso tra i beneficiari del reddito minimo è il Contratto di accompagnamento nell’occupazione (CUI-CAE, Contrat d’accompagnement dans l’emploi), che è un contratto di durata sino a 2 anni (5 per i beneficiari ultracinquantenni), pressoché interamente sussidiato nei settori non di mercato (settore pubblico e terzo settore), rivolto a quanti abbiano particolari problemi di occupabilità, che prevede un salario orario pari al salario minimo. Lo strumento più utilizzato in Germania è l’Arbeitsgelegenheiten (“opportunità di lavoro”), i cosiddetti one-euro jobs, lavori di utilità collettiva remune-rati con un salario simbolico (1,5 euro all’ora). Dal 2011 è però stata abolita la creazione diretta di posti sussi-diati nel settore pubblico (i cosiddetti ABM, Arbeitsbeschaffungsmaßnahme).

11 Né, d'altro canto, sembra esservi evidenza di effetti positivi di tipo non occupazionale di tali lavori: “Questi programmi potrebbero, comunque, essere giustificati sulla scorta di altre considerazioni. Potrebbero infatti servire come test di disponibilità da parte di individui che vengono solitamente percepiti come poco motivati nella ricerca di lavoro. Inoltre, potrebbero mirare a promuovere abitudini e condotte lavorative (una sorta di training sul posto di lavoro) nonché l’inclusione sociale dei partecipanti, che potrebbero esser stati fuori dal mercato del lavoro per parecchio tempo. Vi è, però, poca evidenza concreta sui meriti dei programmi di occu-pazione nel settore pubblico nel promuovere esiti non occupazionali di questo genere” (Immervoll 2010, 42, nostra traduzione).

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novero delle possibilità contemplate dal Reis ci pare pienamente giustificata. Tale divieto non si estende a lavori di utilità collettiva remunerati con un salario simbolico. Per quanto riguarda gli incentivi all’assunzione da parte degli imprenditori, questi sono di vario genere: integrazioni salariali, rimborsi o riduzione dei contributi sociali, incentivi fiscali, rimbor-so dei costi sostenuti per la formazione, per citarne alcuni. Nell’esperienza comparativa, tali in-centivi vengono usati correntemente, nelle loro varie forme. In Francia i beneficiari dello schema di reddito minimo possono avere accesso al Contratto d’iniziativa per l’occupazione (CUI-CIE, Contrat initiative emploi) nel settore del commercio e dell’industria12. Il Contratto d’iniziativa per l’occupazione ha una durata compresa tra 6 e 24 mesi (5 anni per gli ultracinquantenni), per al-meno 20 ore settimanali retribuite al minimo salariale. Il datore di lavoro ottiene un rimborso pari al 47% del salario lordo, ma può stipulare tale contratto solo se non ha licenziato lavoratori nei 6 mesi precedenti e se non utilizza il beneficiario del reddito minimo per sostituire un licen-ziamento. Anche in Germania sono previste agevolazioni per le imprese che assumano beneficia-ri dell’assistenza sociale per gli abili al lavoro, con caratteristiche molto simili a quelle francesi. In Italia, il decreto legge 76 del 2013 ha previsto, in via sperimentale sino a giugno 2015, degli incentivi all’occupazione per i giovani tra i 18 e i 29 anni di età che rientrino in una delle tre se-guenti categorie: a) siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; b) siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionalizzante; c) vivano soli con una o più persone a carico. Per queste categorie, la legge prevede un incentivo per il datore di lavoro che proceda ad assun-zioni con contratto a tempo indeterminato pari a un terzo della retribuzione mensile lorda sino a 12 mesi, con un tetto di 650 euro mensili. L’incentivo viene attivato se le assunzioni comportano un incremento occupazionale netto, calcolato sulla base della differenza tra il numero dei lavora-tori rilevato in ciascun mese e il numero dei lavoratori mediamente occupati nei dodici mesi precedenti all’assunzione. Mentre sono da valutare i comportamenti individuali e familiari indotti dalla misura per quanto riguarda le categorie (b) (giovani a bassa scolarizzazione) e (c) (giovani con persone a carico) e la loro compatibilità con i principi ispiratori del Reis (ad esempio, quanto all’obiettivo della for-mazione e della qualificazione professionale dei beneficiari del Reis abili al lavoro), gli incentivi per l’assunzione dei giovani disoccupati da più di 6 mesi sono certamente da promuovere e uti-lizzare ai fini del reiserimento lavorativo dei beneficiari del Reis. Potrebbero a tale fine essere previste delle azioni prioritarie, rivolte ai beneficiari del Reis, nel quadro delle risorse messe a disposizione dalla nuova programmazione comunitaria 2014-2020 che vadano oltre la fase di sperimentazione che si concluderà nel 2015. Più in generale, peraltro, sarebbe pienamente com-patibile con il diritto comunitario l’adozione di un sistema di incentivi all’occupazione dei bene-ficiari del Reis (indipendentemente dall’età) disoccupati da oltre sei mesi, che copra sino al 50% dei costi del lavoro per un periodo sino a 12 mesi13. 12 I beneficiari dello schema di reddito minimo hanno accesso al Contratto unico di inserimento (Contrat unique

d’insertion, CUI), ulteriormente differenziato nel Contratto d’iniziativa per l’occupazione (CUI-CIE) nel set-tore del commercio e dell’industria oppure, per i casi di più difficile occupabilità, nel Contratto di accompa-gnamento nell’occupazione (CUI-CAE), che è un contratto interamente sussidiato nel settore pubblico o nel terzo settore (vedi nota 12).

13 Tali previsioni sono infatti in accordo con il Regolamento CE 800/2008 che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato comune. Tale Regolamento si applica sino al 31 dicembre 2013; occorrerà pertanto

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Il decreto legge 76 del 2013 prevede inoltre degli incentivi per gli imprenditori che assumano a tempo pieno e indeterminato lavoratori che fruiscono dell’Aspi14. Si potrebbe valutare l’estensione di tali incentivi, opportunamente rimodulati quanto a durata, anche per l’assunzione di beneficiari del Reis. Ovviamente, tutto ciò implicherebbe significativi costi aggiuntivi per la finanza pubblica, oppor-tunamente da valutare in aggiunta ai costi di finanziamento del Reis, e da computare nella voce relativa alle azioni di accompagnamento. Circa gli incentivi che agiscono sul versante dell’offerta di lavoro, rendendo conveniente per il beneficiario intraprendere un’occupazione remunerata (make work pay), questi possono essere suddivisi in due gruppi: 1) incentivi e agevolazioni all’auto-imprenditorialità (start-up subsidies); 2) schemi volti ad evitare la trappola della disoccupazione. Circa i primi, l’evidenza internazionale porta ancora una volta a considerare il caso tedesco, nel quale è possibile, a discrezione dell’autorità che eroga la prestazione di assistenza sociale per gli abili al lavoro, autorizzare l’ammissione del beneficiario del reddito minimo (ALG II) allo schema Gründungszuschuss (sussidio allo start-up) previsto per i beneficiari del sussidio di disoccupa-zione (ALG I). Tale schema prevede, a fronte della costituzione di un’impresa individuale, il pa-gamento della prestazione sino a sei mesi, più un contributo in somma fissa di 300 € al mese per coprire gli oneri sociali e previdenziali. Una previsione simile è ora in vigore anche in Italia per i beneficiari di sussidi di disoccupazione. La legge 92/2012 prevede che, in ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, in via sperimentale, i lavoratori aventi diritto all'Aspi e alla mini-Aspi potranno richiedere e ottenere la liquidazione degli importi del relativo trattamento, al fine di intraprendere un'attività di lavoro autonomo ovvero per avviare un’attività in forma di auto-impresa o di microimpresa o per associazioni in cooperativa. Per l'iniziativa la legge ha stanziato 20 milioni di euro per ciascuno degli anni inte-ressati all'incentivo. Come in Germania, si potrebbe estendere tale previsione anche ai beneficia-ri del Reis. Quanto alla trappola della disoccupazione, che si verifica quando un incremento unitario di red-dito da lavoro dà luogo ad una riduzione almeno di pari importo nella prestazione, l’evidenza comparata mostra vari tipi di schemi volti ad evitarla, tutti applicabili alla situazione in cui un beneficiario trovi un’occupazione remunerata nel periodo di fruizione del reddito minimo. L’obiettivo di tutti è quello di rendere conveniente il ritorno al mercato del lavoro secondo la lo-gica del welfare attivo, evitando così il rischio che abbandonare il sistema dei sussidi comporti un impoverimento. L’aspetto più significativo è la possibilità di cumulare il reddito da lavoro con il percepimento del sussidio, il cui diritto non decade se non a fronte di una situazione occupa-zionale adeguata ad innalzare il reddito della persona al di sopra della soglia di povertà, e in re-altà tipicamente ad un multiplo di questa, cosicché sia conveniente trovare un lavoro. In molti paesi pertanto gli schemi di reddito minimo prevedono una deduzione sul reddito da lavoro de-rivante dall’occupazione reperita durante il periodo di fruizione della prestazione. Ciò funziona inoltre come in-work benefit per occupazioni a bassa remunerazione o part-time, che diano luo-go a un reddito inferiore alla soglia. In Germania, in Finlandia e in Olanda vige un sistema di que-sto tipo, con deduzioni tipicamente intorno al 20% del reddito da lavoro. In Francia si consente

verificare la compatibilità delle proposte qui avanzate con le nuove norme europee sulla compatibilità con il mercato comune in corso di adozione.

14 L’incentivo è pari, per ciascuna mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore, al cinquanta per cento dell’indennità mensile residua che sarebbe stata corrisposta al lavoratore. Sono previste delle condizioni mi-ranti ad evitare comportamenti opportunistici da parte del datore di lavoro (licenziamento e riassunzione per godere degli incentivi).

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ai beneficiari che trovano un’occupazione di mantenere il reddito minimo sommandovi il reddito da lavoro nella misura del 62% (quindi con una deduzione su questo pari al 38%), sino al rag-giungimento di una soglia pari a 1,4 volte il salario minimo (che in Francia è fissato per legge ed è posto alla base delle prestazioni di assistenza sociale). In altri paesi, ai beneficiari di reddito minimo che trovino un’occupazione viene mantenuto il sussidio per un certo periodo di tempo, seppure in forma ridotta. Questo accade ad esempio in Austria, dove il sussidio viene preservato per un massimo di 18 mesi per un ammontare di rego-la pari al 15%. Una previsione simile è stata introdotta nel Reddito di Garanzia della Provincia di Trento. Qui lo schema di make work pay è congegnato come una lump sum: se un beneficiario trova un’occupazione remunerata che lo porta al di sopra della soglia di accesso al programma, allo scadere del primo anno di attività lavorativa ininterrotta può, su domanda, ricevere un tra-sferimento in somma fissa pari a due mensilità della prestazione goduta in precedenza. A fronte dell’esperienza comparativa, è auspicabile prevedere una deduzione con riferimento ai redditi derivanti da un’occupazione reperita durante il periodo di permanenza nel programma. Si potrebbero prospettare due soluzioni. Ai fini della valutazione dei requisiti di persistenza nel programma, i redditi da lavoro potrebbe-ro essere considerati solo nella misura dell’80% per il primo anno e del 90% nel secondo, pre-vedendo dunque una deduzione rispettivamente del 20% e del 10%. Uno schema simile rende il lavoro conveniente, e si configura come un in-work benefit per quanti trovino un’occupazione in-sufficiente a portarli sopra la soglia di povertà. In ogni caso, però, tale deduzione dovrebbe ap-plicarsi ai soli redditi da lavoro maturati durante la permanenza nel programma, e non prima di tre mesi dall’ammissione. Questo al fine di evitare comportamenti opportunistici da parte dei beneficiari. Gli aspiranti beneficiari potrebbero essere infatti indotti a rinviare l’avvio di una nuova possibile occupazione a un momento successivo all’adesione al programma. sfruttando così le facilitazioni previste dal Reis. Un’eccezione a tale previsione sarebbe in vigore nel caso in cui l’offerta provenisse dal locale Centro per l’Impiego o da un’Agenzia per il lavoro nel quadro degli accordi auspicati. In alternativa, si può immaginare uno schema di incentivo semplificato, ispirato alle esperienze austriaca e trentina, nel quale qualsiasi remunerazione ottenuta a fronte di un’occupazione nel mercato del lavoro regolare, trovata dopo almeno 6 mesi dall’ingresso nel programma, darebbe luogo ad un’indennità pagabile per un anno al massimo. Il suo ammontare potrebbe essere con-venzionalmente fissato nel 15% dell’entità della prestazione ricevuta prima di trovare l’impiego. Per coloro i quali grazie all’occupazione remunerata sono usciti dal programma, l’indennità co-stituisce un premio; per quanti nonostante l’ottenimento di un’occupazione remunerata siano ancora nel programma l’indennità si configura come un in-work benefit. Naturalmente quanto finora illustrato è percorribile nel caso in cui il beneficiario trovi un’occupazione regolare durante il periodo di percepimento del trasferimento. Occorre però prevedere, e dunque impedire, la possibilità di erogare il Reis in aggiunta ad un’occupazione continuativa nel sommerso. Rispetto a questa questione si rimanda a quanto già esposto nel pa-ragrafo sulla condizionalità.

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6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)

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TABELLA 6 - GLI INCENTIVI AL LAVORO

Tipologie possibili Previsti nel Reis Modalità attuative

1. creazione diretta di posti di lavoro nel settore pubblico

No Fatta salva la possibilità di lavori di utilità collettiva remunerati con salario simbolico (one euro jobs)

2. incentivi/sgravi alle imprese che assumono

(previa stima costi aggiuntivi e relativa sostenibilità)

Incentivi all’assunzione dei beneficiari disoccupati da più di 6 mesi, sino al 50% dei costi totali del lavoro per un periodo sino a 12 mesi.

Estensione degli incentivi previsti per le assunzioni dei percettori di ASPI.

3. politiche ‘make work pay’

a. start-up subsidies

- possibilità di chiedere la liquidazione del contributo al fine di intra-prendere un'attività di lavoro autonomo/imprenditoriale (possibile estensione di quanto previsto per ASPI e Mini ASPI dalla legge 92/2012)

b. schemi contro la trappola della disoccupazione

- deduzione dei redditi da lavoro (trovato durante il periodo di per-manenza nel programma e non prima di tre mesi dall’ammissione) del 20% e del 10% rispettivamente nel primo e nel secondo anno;

- indennità a fronte di un’occupazione trovata dopo almeno 6 mesi dall’ingresso nel programma, di importo pari al 15% dell’entità della prestazione ricevuta prima di trovare impiego (prevista per un anno al massimo)

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7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA

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L’attuale sistema di interventi pubblici contro la povertà è frantumato in almeno 5 diversi segmenti scoordinati: 1) interventi INPS per la povertà di anziani e nuclei; 2) detrazio-ni/deduzioni fiscali, 3) prestazioni istituite da leggi nazionali; 4) riduzioni di costi di servizi; 5) interventi locali di Regioni e Comuni. Un simile sistema – oltre a mancare di equità e gene-rare sprechi - produce una molteplicità di effetti negativi per i potenziali beneficiari, ad e-sempio l’impossibilità per i più fragili di conoscere tutto ciò che potrebbero richiedere. Inol-tre la dispersione delle erogazioni tra più Enti impedisce che per una stessa famiglia si pos-sano compattare le differenti risorse in un progetto organico. Si propone una transizione al nuovo sistema del REIS che includa una forte ricomposizione degli attuali interventi ma con una progressione graduale e con la tutela dei diritti acquisiti. In tal modo, chi già fruisce di interventi al momento del riordino potrà continuare a fruirne, con una messa a regime del nuovo sistema che eviti drastiche interruzioni di prestazioni o peggioramento delle protezioni . Secondo questa logica, al primo avvio del Reis: Chi riceve assegni sociali, integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali INPS continua a fruirne, sia nei primi tre anni che dopo la messa a regime. Chi ancora non ne riceve quando si avvia il REIS, se li richiede nei primi 3 anni può fruirne ma con metodi di valutazione delle proprie condizioni economiche più equi (valutazione del valore dei patrimoni oltre che del reddito, e di tutti i membri del nucleo familiare). Chi riceve social card, assegno per il primo figlio o per tre minori, bonus gas ed elettricità, contributi per l’affitto, esenzione canone RAI continua a riceverli solo sino alla messa a re-gime del REIS. Chi non ne riceve quando si avvia il REIS può ricevere soltanto il REIS (peral-tro più vantaggioso) se ne ha diritto; in caso contrario può riceverli solo sino alla messa a re-gime del REIS. Al momento della messa a regime, per le famiglie in povertà assoluta il REIS sostituirà sia as-segni sociali / integrazioni al minimo / maggiorazioni sociali INPS, sia le altre prestazioni nazionali (social card, assegno per il primo figlio o per tre minori, bonus gas ed elettricità, contributi per l’affitto, esenzione canone RAI). Persone e famiglie che da quel momento ri-chiedano per la prima volta interventi contro la povertà e siano effettivamente sotto le soglie di povertà assoluta ISTAT potranno fruire solo del REIS, più le eventuali integrazioni locali messe in opera da Regioni e Comuni. La gradualità della transizione consentirà di approfondire i successivi snodi del riordino, evi-tando cadute di prestazioni, pur modificando a fondo il sistema. In queste pagine ci si propone di: descrivere gli interventi attualmente esistenti contro la povertà economica ed evidenziarne le criticità, che la proposta del REIS intende ridurre; disegnare come può avvenire la transizione dal sistema attuale sino alla messa a regime del REIS, ri-componendo gli interventi oggi operanti.

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7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA

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7.1 IL SISTEMA ATTUALE CONTRO LA POVERTA’ E I SUOI EFFETTI NEGATIVI

7.1.1 La mappa degli interventi esistenti e dei percorsi per i cittadini Se osserviamo le prestazioni contro la povertà che consistono in sostegni al reddito, il welfare pubblico propone oggi interventi scoordinati e frantumati sotto diversi profili: i criteri di accesso, le prestazioni ricevute, gli Enti che li gestiscono. Ne risulta un sistema di non semplice descrizione né di facile cono-scenza per i cittadini. Per ricostruirne una sintetica mappa si possono richiamare i principali interventi esistenti nel 2013, e i percorsi che deve seguire il cittadino per accedervi: Le prestazioni assistenziali INPS per la povertà di anziani e nuclei Comprendono i trasferimenti monetari di natura assistenziale, ossia erogati indipendentemente dai contributi versati. Tra questi le misure di maggior rilievo sono: L’assegno sociale (sino al 31/12/1995 denominato “pensione sociale”), che viene erogato sino a un massimo di 442,29 Euro mensili (per 13 mesi) se il reddito dell’anziano oltre i 65 anni non coniugato (oppure dell’anziano e del coniuge) è inferiore a una soglia stabilita; dal 2013 l’età crescerà progressi-vamente sino a raggiungere nel 2018 i 66 anni e 7 mesi. Nella valutazione della condizione economica non vengono considerati i beni mobiliari ed immobiliari, né i redditi di eventuali altre persone diverse dal coniuge che compongono il nucleo familiare 13 . Le integrazioni di pensioni (integrazioni al minimo) e le maggiorazioni sociali: l’integrazione prevede che se con le pensioni percepite (di invalidità, vecchiaia e per i superstiti, e gli assegni sociali) il reddi-to dei pensionati resta inferiore a una soglia minima, l’INPS le integra sino a garantire un reddito mi-nimo. Nel 2013: se il pensionato è solo il reddito deve essere inferiore a 6.440,59 Euro annui; se è coniugato il reddito della coppia deve essere inferiore a 19.321,38 Euro annui. In questi casi la pensione è integrata per portarla a 495,43 euro per 13 mesi (6440,59 annui); se il reddito del pensionato solo è tra 6440,59 Euro e 12.881,18 Euro annui, e quando coniugato il red-dito della coppia è tra 19.321,77 Euro e 25.762,35 Euro annui, l’INPS integra con importi più limitati la pensione. Oltre questi ultimi limiti di reddito (che sono multipli dell’importo della pensione minima INPS) non è prevista integrazione. L’integrazione al minimo non si applica alla pensioni calcolate col metodo con-tributivo. La maggiorazione sociale è un importo mensile aggiuntivo alla pensione, crescente in base all’età, per chi ha redditi inferiori a soglie definite; per chi ha più di 70 anni (o di 60 se invalido) la maggiorazione ha anche un “incremento per soggetti disagiati”per portare la pensione a 631,86 Euro al mese. Inoltre a chi riceve una pensione derivante da contributi versati (esclusi pertanto pensione o assegno sociale) e non ha diritto alla maggiorazione sociale può essere erogato, se non supera limiti di reddito personali e del coniuge, un importo aggiuntivo una tantum alla tredicesima mensilità di 154,94 Euro. Può anche essere erogata una somma aggiuntiva una volta l’anno (cosiddetta “quattordicesima”) cre-scente in base ai contributi che sono stati versati dal pensionato, sino a 500 Euro. Per tutti questi interventi si valuta esclusivamente il reddito dell’anziano e del coniuge, e non viene considerato il valore dei beni mobiliari ed immobiliari posseduti 14. 13 Al 31/12/2011 erano vigenti 136.541 pensioni sociali (con un importo medio mensile di 399 Euro) e 691.259 assegni sociali (con un importo me-

dio di 388 Euro). Fonti : INPS: “Bilancio Sociale 2011” (reperibile sul sito www.inps.it), oppure dati in “Open data INPS” (www.inps.it) 14 Al 31/12/2011 le pensioni integrate al minimo erano 3,8 milioni (con una spesa stimata nell’intero 2010 di cir-ca 12 miliardi di euro 14 ) e le maggiorazioni sociali erano erogate su 1.185.000 pensioni, per un importo an-

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7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA

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Gli assegni al nucleo familiare: per nuclei familiari di lavoratori e pensionati l’INPS eroga un assegno mensile quando i redditi del nucleo sono inferiori a soglie determinate ogni anno. Si considerano i red-diti complessivi assoggettabili all’Irpef (da lavoro e pensione, da immobili, rendite) e i redditi di qual-siasi altra natura (esenti da imposta, soggetti alla ritenuta alla fonte, a imposta sostitutiva). Sono esclu-se le indennità di accompagnamento e le rendite INAIL quando superano una determinata soglia (che nel 2012 era di 1.032,91 Euro). Almeno il 70% del reddito familiare deve derivare da lavoro o pensio-ne. Il percorso di accesso ad assegno sociale, integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali implica la pre-sentazione di una richiesta all’INPS, direttamente o tramite un Patronato. Gli assegni al nucleo familia-re vanno invece richiesti, se lavoratori dipendenti, al proprio datore di lavoro. Detrazioni e deduzioni fiscali Includono anche benefici per persone con redditi inadeguati: in particolare se nell’anno per il quale si presenta la dichiarazione IRPEF si è abitato in un alloggio in affitto (con contratto registrato) e si di-chiara un reddito inferiore ad una soglia definita, si può ottenere una detrazione di circa 400 Euro. Se la persona non deve versare nulla di IRPEF, perché il reddito posseduto è basso, la detrazione diventa un accredito ossia un’erogazione monetaria che la persona riceverà. Per utilizzare questa detrazione è necessario presentare la dichiarazione IRPEF. Una conseguenza per i cittadini più poveri (e meno autonomi) è la necessità di presentare per questa unica ragione il 730, di norma tramite un CAF. Contributi economici istituiti da specifiche leggi nazionali Questa area di interventi è cresciuta con tratti spesso caotici in particolare negli ultimi 15 anni; tra gli interventi operanti nel 2013: La “Carta Acquisti” (o “social card”), che incorpora 40 Euro al mese (ricaricabili ogni due mesi) per ac-quisti effettuati presso esercizi commerciali abilitati al circuito Mastercard, o per pagare bollette agli Uffici Postali. 15 Nel 2011 i beneficiari (anziani e minori) sono stati 535.412, per un importo erogato di 207,1 milioni di Euro 16 . Un contributo (erogato in unica soluzione) se il nucleo ha sostenuto negli anni precedenti spese per l’affitto dell’abitazione che superano una percentuale definita del suo reddito annuo. Questa misura deriva dal Fondo Nazionale per il Sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione istituito con la legge 431 del 1998 e si fonda su risorse nazionali che sono state progressivamente molto ridotte. Gli importi che si possono ricevere dipendono sia dai criteri attuativi regionali che dall’entità del finanziamento per il bando dell’anno in corso. Un assegno per nuclei con un nuovo nato (denominato anche “assegno di maternità di base”) e un as-segno a nuclei con almeno 3 figli minori di età, che presentino un ISEE inferiore a soglie definite; nel 2013 l’assegno per il nuovo nato è erogato se una famiglia di 3 persone ha un ISEE non superiore a 34.873,24 Euro; quello per i 3 minori se una famiglia di 5 persone ha un ISEE inferiore a 25.108,71 Eu- nuo di 1,7 miliardi di euro. Sempre nel 2011 circa 1 milione di pensioni ha ricevuto l’assegno aggiuntivo una tantum (con una spesa di 147 milioni di euro), ed a 2,6 milioni di pensioni è stata erogata la “quattordicesima mensilità” per oltre 1 miliardo di euro. Fonte: INPS “Bilancio Sociale 2011” (reperibile sul sito www.inps.it), 15 Nel secondo semestre 2013 si avvia la sperimentazione, in 12 grandi Comuni, della “nuova social card” (attivata con Decre-to del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali pubblicato in G. Uff. il 3/5/2013, in attuazione dell’articolo 60 del D. L. 9/2/2012, n. 5, come modificato dalla legge di conversione 4/4/2012, n. 35) che prevede un accesso ai servizi dei Comuni (che devono anche proporre percorsi di inserimento formativo/lavorativo), un importo più significativo, e una tipologia di utenza più circoscritta. Questa nuova social card si estenderà anche alle regioni del Mezzogiorno, attraverso la “carta di inclusione sociale”, che raggiungerà una platea più ampia (170mila persone), rispondente agli stessi criteri della sperimen-tazione: famiglie con minori e con disagio lavorativo (disoccupati o con remunerazione molto bassa). E partirà entro il primo bimestre del 2014. 16 INPS: “Bilancio Sociale 2011” (reperibile sul sito www.inps.it)

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7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA

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ro. Se nel nucleo sono compresenti sia un nuovo nato che tre minori si possono ricevere entrambi gli assegni. L’assegno per i 3 minori nel 2013 è di 139,49 Euro mensili per 13 mesi; quello per il nuovo na-to è un assegno unico di 1672,65 Euro. 17 L’accesso a queste prestazioni implica percorsi diversi per i cittadini: a) La Carta acquisti (“social card”) si richiede agli Uffici Postali presentando l’ISEE, e quando concessa va ritirata sempre agli Uffici Postali. 18 b) Il contributo sull’affitto pagato va richiesto al Comune, ma solo dopo che la Regione attiva il bando per raccogliere le richieste dell’anno in corso. Il Comune nega o accoglie l’istanza. c) Gli assegni per il nuovo nato e i 3 figli vanno richiesti dal cittadino presentando l’ISEE ai Comuni di residenza, i quali accertano i requisiti per fruirne, respingono la richiesta oppure inviano il suo acco-glimento all’INPS, che provvede al pagamento. Molti Comuni hanno affidato tutte le fasi del rapporto con i cittadini e la gestione delle richieste ai CAF convenzionati. Riduzioni di tariffe e costi di servizi Alcuni di questi benefici sono stati introdotti con apposita legge nazionale: Riduzione di costi di servizi per l’abitazione, come il “bonus gas” (sui consumi di gas dell’abitazione principale) e il “bonus elettricità” (sui consumi di energia elettrica), che possono produrre una ridu-zione del costo sino a circa il 20%, in modo variabile in base ai componenti il nucleo familiare, sino a un massimo (per il 2013) di 242 Euro per i costi del gas, e di 155 Euro per l’energia elettrica. La ridu-zione del costo del gas opera solo per il metano distribuito in rete. L’esonero dal pagamento del canone di abbonamento alla RAI TV per chi ha compiuto 75 anni entro il termine di pagamento, non convive con altri soggetti diversi dal coniuge titolare di reddito proprio e possiede un reddito che (unitamente a quello del proprio coniuge convivente) non è superiore a una soglia stabilita annualmente. Nel 2013 il limite deve essere inferiore a 6.713.98 Euro, considerando il solo reddito imponibile ai fini IRPEF (al netto delle detrazioni). Altre riduzioni sono attivate dai singoli gestori di servizi; ad esempio: La riduzione del canone Telecom del 50% per nuclei familiari che includano una persona che percepi-sce la pensione di invalidità civile o la pensione sociale, oppure un anziano di età superiore ai 75 anni, o il capo famiglia disoccupato. L’ ISEE del nucleo familiare non deve essere superiore a una soglia defi-nita ogni anno. Anche l’accesso a queste prestazioni richiede percorsi diversi per i cittadini: I bonus per gas ed elettricità vanno richiesti dal cittadino ai Comuni di residenza presentando l’ISEE; i Comuni verificano i requisiti per fruirne, respingono la richiesta oppure inviano il suo accoglimento agli erogatori delle forniture di energia. Anche per questo beneficio molti Comuni hanno affidato tutti i rapporti con i cittadini e la gestione delle richieste a CAF convenzionati. Per il canone RAI bisogna spedire la domanda con gli allegati in plico raccomandato all’Agenzia delle Entrate, oppure consegnare la domanda presso un ufficio dell’Agenzia delle Entrate. Per il canone Telecom occorre presentare richiesta alla Telecom, seguendo la procedura ogni anno a-dottata. 17 Nel 2011 i beneficiari dell’assegno per i nuovi nati sono stati 143.437; quelli dell’assegno per 3 figli minori 199.944. Dati contenuti nella relazione tecnica del Ministero del Welfare di accompagnamento al DPCM propo-sto dal Governo per la revisione dell’ISEE (dicembre 2012) 18 La “nuova social card” in sperimentazione da metà 2013 prevede l’accesso tramite i Comuni

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Interventi delle Regioni e dei Comuni (o degli Enti che gestiscono i servizi socio assi-stenziali per conto dei Comuni) Includono le prestazioni messe in opera dai Comuni, anche sulla scorta di eventuali norme nazionali o regionali, in genere con spesa non coperta da finanziamenti nazionali specificamente mirati alla singo-la prestazione. Si articolano in due tipologie principali: Quasi tutti i Comuni prevedono interventi di assistenza economica: trasferimenti monetari erogati o in modo continuativo (per innalzare il reddito mensile sino ad un valore minimo finché permangono le condizioni di povertà) oppure per fronteggiare eventi momentanei e criticità straordinarie. Criteri e-rogativi ed importi presentano rilevanti differenze e variabilità nei diversi territori, perché dipendono da eventuali norme regionali sul tema (peraltro molto rare) e/o dalle scelte degli enti gestori locali. Per l’accesso a queste prestazioni i richiedenti devono di norma presentare una richiesta al servizio sociale del territorio di residenza. Riduzioni di tariffe e costi di servizi locali: riduzioni dei costi trasporti pubblici locali per persone e nuclei con basso reddito. In molti territori le società fornitrici della rete idrica prevedono un rimborso ai nuclei in difficoltà eco-nomica su quanto pagato per la fornitura dell’acqua (c.d. “bonus acqua”). Opera in molti Comuni una riduzione sulla tassa raccolta rifiuti dell’abitazione principale, in presenza di difficoltà economiche, nonché esoneri o riduzioni nelle tariffe per le mense scolastiche e dei nidi. Diversi Comuni prevedono esenzione dal pagamento dell’addizionale comunale IRPEF per chi ha red-diti inferiori a soglie definite dal Comune stesso . Per l’accesso a queste prestazioni di norma i richiedenti devono presentare una richiesta agli uffici del-le specifiche amministrazioni o aziende che gestiscono i diversi servizi (trasporti, acqua), od al Comu-ne. Va ricordato che sono anche presenti altri interventi economici contro la povertà, come quelli che di-verse Regioni hanno attivato per famiglie povere con figli (i cosiddetti “bonus bebè”) o la possibilità - che era stata avviata nel 2009 - di beneficiare di riduzioni dei costi per cure odontoiatriche presso i dentisti aderenti ad un accordo tra Ministero del welfare e Associazioni di dentisti. Inoltre soprattutto nei Comuni possono essere attive altre misure di sostegno del reddito e agevolazione per famiglie con basso reddito. Questo scenario di prestazioni e canali di accesso per il cittadino può essere rappresentato nella map-pa al grafico 1, che presenta in alto gli interventi operanti a livello nazionale ed in basso quelli locali.

GRAFICO 1 IL CITTADINO DEVE ACCEDERE PER RICHIEDERE INTERVENTI

A CHI CHE COSA

- Assegno sociale - Integrazione al minimo della pensione - Maggiorazioni sociali della pensione INPS Al’INPS o tramite i Patronati

Al datore di lavoro o all’INPS INPS Assegni al nucleo familiare

NA

LI

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Gestore forni-ture gas e/o elettriche Riduzione tariffe gas e/o elet-triche INPS Social card (Carta acquisti)

Comune Contributo per l’affitto pagato in anni precedenti RAI, TELE-COM Riduzione canone e tariffe

Comune/INPS Assegni per un nuovo nato e per 3 figli minori

Al Comune , o al gestore dei servizi sociali Assistenza economicaAll’Azienda che gestisce i trasporti locali Gestore dei trasporti Riduzione tariffe trasporti urbani

Al Comune, o ai CAF se previsto dal Comu-

Al Comune A Poste Italiane

A RAI e TELECOM, anche tramite Agenzia delle Entra-te Al Comune, o ai CAF

All’Azienda che gestisce la fornitura dell’acqua Gestore dell’acqua Contributo per il pa-gamento dell’acqua Al Comune Comune Esenzione/riduzione TARSU e addizionale IR-PEF; altre riduzioni o eso-neri di tariffe (ad es. nei idi)

Comune , o gestore dei servizi sociali

Ai CAF o al sostituto d’imposta Sostituto d’imposta Detrazione IRPEF per l’affitto pagato

LOCA

LI

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Una sintesi di criteri e modalità delle richieste ed interventi è esposta anche nella tabella 1

TABELLA 1. INTERVENTI A SOSTEGNO DEL REDDITO: MODALITÀ

INTERVENTI A SOSTEGNO DEL REDDITO: MODALITA’

Misura / Intervento: I criteri per fruirne sono definiti da norma nazio-nale

L’intervento si ri-pete o dura nel tempo:

La richiesta va presenta-ta entro scadenze rigide:

Con l’intervento il cittadino ottiene:

Assegni sociali, integrazioni al mini-mo, maggiorazioni sociali INPS

SI SI NO

Denaro

Assegni per il nucleo familiare SI SI NO

Detrazioni fiscali per l’affitto pagato SI NO SI

Contributo per pagare l’affitto NO (1) SI SI

Assegni per i nuovi nati e per 3 figli minori

SI NO SI

Bonus per l’acqua pagata NO NO SI

Assistenza economica NO Dipende dai criteri locali

In genere NO

Carta Acquisti (social card) SI SI NO

Riduzione di costi specifici che deve sostenere

Bonus per elettricità e per il gas SI SI NO

Riduzione spese trasporti locali e scolastiche; esenzioni IRPEF comuna-le

NO SI Dipende dai criteri locali

Riduzione o esonero del canone Tele-com e RAI

SI SI SI

NOTE:

Definiti dalle Regioni ma con forti vincoli (finanziari e di merito) nazionali

7.2. GLI EFFETTI NEGATIVI DEL SISTEMA ATTUALE Lo scenario di interventi contro la povertà sopra descritto presenta almeno queste criticità:

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Sono assai diverse tra i vari interventi le componenti fondamentali dei criteri di accesso, che determina-no “quanto” e “a chi” si eroga, come le modalità di valutazione delle condizioni economiche dei beneficia-ri (come si misura la povertà, i “test dei mezzi”), il concetto di “nucleo familiare” sia come beneficiario (l’erogazione è diretta a tutto il nucleo o solo ad alcuni), sia come produttore di redditi (si valuta la condi-zione economica di tutti o solo di alcuni). E ciò spesso senza motivazioni ragionevolmente fondate, ma come conseguenza di scarsa coerenza tra le scelte e gli strumenti utilizzati nelle differenti prestazioni e politiche. Il diritto del cittadino a ricevere interventi, ed il conseguente dovere delle amministrazioni a provveder-vi, è assai diverso tra le differenti prestazioni: vi sono interventi (pensioni/assegni sociali, integrazioni al minimo e maggiorazioni delle pensioni, bo-nus elettricità e gas, assegni per i nuovi nati e i 3 minori) regolati da norme nazionali che ne fissano con precisione criteri ed esigibilità. Questi interventi dunque: - hanno criteri di accesso ed erogazione identici in tutta Italia; sono assimilabili a diritti soggettivi perfetti per il cittadino, esigibili quando il richiedente possiede le condizioni di accesso, e per i quali l’amministrazione pubblica non può dilazionare o negare l’erogazione motivandolo con la scarsità di risorse disponibili, pena il ricorso vincente del cittadino alla Magistratura. Per altri interventi attivati in sede nazionale, come il contributo per l’affitto, la social card, le riduzioni ta-riffarie Rai e Telecom, la consistenza dell’intervento e la garanzia di esigibilità dipendono dal variare del finanziamento previsto e dai criteri (ad esempio per i contributi per l’affitto), regolabili anche con atti delle Regioni. Le prestazioni attivate dai Comuni dipendono dalle scelte locali, anche connesse alle disponibilità finan-ziarie. L’assistenza economica dei Comuni a sostegno del reddito è prevista dalle legge 328/2000 come uno degli interventi essenziali del sistema dei servizi sociali; in base all’art. 117 della Costituzione i suoi criteri dovrebbero perciò essere definiti nel contesto dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) che lo Stato deve approvare come “diritti sociali minimi” da garantire ovunque19. Al momento, però, lo Stato non ha definito i LEP per gli interventi di assistenza sociale, e pochissime Regioni hanno normato que-sta prestazione. Ne consegue che le prestazioni di assistenza economica dei Comuni: sono in genere definite con scelte esclusivamente locali (dei Comuni e loro Enti gestori), e sono perciò molto differenti nei diversi territori; non costituiscono per il cittadino un “diritto esigibile”, perché le prestazioni possono essere facilmente modificate dagli Enti locali, anche a seguito della riduzione delle loro risorse finanziarie. Nel sistema attuale per il sostegno del reddito quindi, oltre ai bonus energia ed agli assegni per i nuovi nati e i 3 figli minori, l’unico segmento che presenta le caratteristiche di diritto esigibile è quello degli as-segni sociali e integrazioni al minimo INPS. Tuttavia questi, come si è detto, sono anche gli interventi e-rogati con criteri meno mirati alle famiglie povere e dunque meno equi. Il mix delle prestazioni contro la povertà, lungi dal presentarsi come un sistema organico di offerte, si connota come un coacervo di prestazioni scoordinate. Ed alcune misure (come il bonus elettricità e gas, il contributo per l’affitto, le riduzioni Telecom e RAI, gli assegni per i figli minori) possono essere richie-ste solo entro specifiche finestre temporali durante l’anno. Ne derivano almeno queste conseguenze: Questo sistema implica che i poveri siano “costantemente competenti”, sempre ben informati sul mix di prestazioni che possono richiedere, sul luogo al quale rivolgersi, e sulle scadenze entro le quali presenta-re le diverse richieste. Comporta inoltre che possano recarsi in diverse sedi (Comune, CAF, INPS, etc.) in diversi periodi e sappiano produrre in ciascuna la documentazione necessaria. Ed è persino banale con-statare come mettere in atto queste capacità sia difficile per i possibili beneficiari più fragili, come gli 19 Si veda al proposito anche il cap. 4

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anziani che non hanno familiari o le persone in povertà estrema. Il rischio è perciò che il sistema contro la povertà non raggiunga proprio quegli utenti che dovrebbero essere il suo target prioritario, e impon-ga percorsi di accesso tali per cui i più deboli non arrivano nemmeno a richiedere interventi ai quali pu-re avrebbero diritto e che potrebbero ricevere. Inoltre la frantumazione degli interventi in molti canali di accesso rende quasi impossibile ai servizi che ricevono cittadini in condizioni di povertà (Comuni o CAF o associazioni) poter dare informazioni sull’intera gamma delle prestazioni che le persone potrebbero richiedere. 20 L’avere man mano aggiunto al sistema interventi molto settoriali, invece di muovere verso un sostegno del reddito più organico e unificato al nucleo, ha generato distorsioni anche interne alla singola presta-zione. Ad esempio, il “bonus gas” è fruibile solo da chi utilizza il gas distribuito in rete mentre una fami-glia che usa il gas a bombole non può fruirne anche se è povera. E ancora: il fatto di dover presentare la dichiarazione IRPEF per ottenere una detrazione fiscale per l’affitto obbliga i cittadini più poveri (e spesso meno autonomi) a presentare per questa unica ragione il 730 (adempimento dal quale in base al loro reddito sarebbero esentati in quanto “incapienti”), operazione che in genere richiede il supporto di un CAF, che per questo deve essere pagato. Ben lontani dalle ipotesi di federalismo, in questo sistema di offerte prevalgono i trasferimenti monetari dallo Stato al cittadino. Alcuni di essi (bonus elettricità e gas, contributo per l’affitto, assegni per i nuovi nati o i 3 figli minori), prevedono per i Comuni un ruolo minimale, di mera “agenzia esecutiva locale” che deve limitarsi a raccogliere le richieste dei cittadini, validarle ed inviarle a chi eroga. Non vi è dunque traccia di un ruolo di “governo” locale che consenta ai Comuni di costruire organici progetti per la fami-glia in povertà connettendo in modo coordinato tutte le risorse possibili. Il fatto che le erogazioni a sostegno del reddito siano disperse in molti flussi, gestiti da diversi enti, im-pedisce non solo che per la stessa famiglia si possano compattare in una offerta più organica tutte le ri-sorse, ma anche che si possa fornire (quando è necessario) un aiuto per usare il denaro nelle esigenze primarie e per mantenere beni essenziali. Un tipico esempio di questa situazione si ha quando persone di grande fragilità rischiano di perdere la casa perché non sono in grado di utilizzare i contributi econo-mici ricevuti per il pagamento costante dell’affitto. E questo supporto “per la gestione” delle risorse non può che essere esercitato dai servizi più vicini al cittadino, quelli comunali. 21 La presenza di diversi interventi gestiti da soggetti differenti produce costi moltiplicativi del welfare pubblico che sono assorbiti dalle spese di mera organizzazione, poiché ogni gestore deve attivare (e poi mantenere) il suo specifico sistema di erogazione. Molte delle misure elencate implicano investimenti per la messa in opera, nonché spese correnti per mantenere la gestione. E ciò accade sia a livello nazio-nale (ad esempio per i sistemi gestionali delle carte acquisti, per le riduzioni tariffarie di elettricità e gas e per gli assegni per i figli minori), che entro gli Enti locali (personale e organizzazioni dedicate, collabora-zioni con i Caf); e sono spese che si moltiplicano quanto più occorre gestire processi erogativi forzata-mente diversi e non unificabili. Molti dei luoghi di accesso per la famiglia che richiede interventi contro la povertà sono rappresentati da sportelli con funzioni esclusivamente amministrative. Gli sportelli INPS, i Patronati e i CAF svolgono di fatto l’unico ruolo di verificare le condizioni di accessibilità alla prestazione sotto il profilo amministrati-vo, ricevendo la dichiarazione del cittadino sulle proprie condizioni economiche e attivando l’intervento conseguente (assegno sociale, bonus gas/energia, assegno per il nuovo nato e/o i tre minori nel nucle-o). In queste circostanze La famiglia povera ha quindi accesso solo a luoghi che non possono svolgere anche le funzioni di: 20 Una proposta specifica per ridurre questa criticità è presentata nell’allegato A al capitolo 8 21 In proposito è sempre utile ricordare Amartya Sen, 2000: il denaro è solo uno strumento per gestire bisogni, os-sia occorre che chi lo riceve possa trasformare le “risorse” in “funzionamenti concreti” per vivere con libertà dai bisogni. Dunque una lotta alla povertà che si limita a fornire denaro, e che trascura i sostegni per fronteggiare l’eventuale incapacità di usarlo, rischia di essere miope e monca per i più fragili.

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informare sull’intera gamma di possibili altri interventi contro la povertà che potrebbe ricevere, anche se in sedi diverse; 22 valutare eventuali altri problemi sociali presenti, ad esempio rischio di sfratto, esigenze di potenziare le capacità per non aggravare la povertà, fragilità che rischiano di far sprecare il sostegno economico (ad esempio alcoolismo o presenza di disabilità). attivare, quando occorre, oltre all’erogazione monetaria anche una presa in carico più articolata dei pro-blemi del nucleo, ed anche poter proporre percorsi/progetti di inserimento sociale oltre al contributo in denaro . La povertà si connota spesso come una spirale di esclusione: a causa della perdita del lavoro e delle diffi-coltà economiche si perde la casa per sfratto, si peggiorano le possibilità di crescita ed occupazione qua-lificata dei figli, e così via. La povertà dunque richiede di essere fronteggiata con pacchetti articolati, che contengano diversi interventi e sappiano offrire “non solo denaro”, ma soluzioni coordinate a problemi vitali diversi (il reddito, l’abitazione, l’emancipazione tramite attività lavorative)23. Per contro le politiche sociali italiane sono governate da normative nazionali interne solo alla singola politica (casa, lavoro, sa-nità, previdenza), ed è quasi del tutto assente sul piano normativo l’adozione di dispositivi che coordini-no misure erogative connettendo più politiche. Ne deriva che interventi più organici e multidimensiona-li, ossia cercare di offrire “non solo denaro”, vanno costruiti quasi esclusivamente con iniziative locali; tocca oggi di fatto ai Comuni l’arduo compito di tentare di compattare politiche costruite come separate alla fonte, e peraltro senza che i Comuni possano utilizzare tutte le risorse pubbliche per l’assistenza. Pensioni/assegni sociali, integrazioni al minimo e maggiorazioni delle pensioni, erogate dall’INPS, sono le più diffuse prestazioni nazionali contro la povertà economica (sebbene solo per gli anziani) e rappre-sentano la maggior spesa pubblica in materia di assistenza sociale24. Tuttavia sono erogate non solo a poveri, e producono quindi effetti redistributivi gravemente distorti: una elaborazione sui bilanci delle famiglie rilevati dall’ISTAT, che divide per decili le famiglie in base al loro reddito, segnala che la metà più ricca delle famiglie italiane fruisce del 24,2% delle pensioni sociali/assegni sociali, che sono prestazioni che dovrebbero invece essere riservate al contrasto della povertà 25. Per erogare questi interventi infatti viene valutata una “strana povertà”, perché si considera: a) solo la condizione economica del richiedente e del suo coniuge, e non di altri componenti il nucleo familiare; b) solo il reddito e non il valore dei beni mobiliari ed immobiliari posseduti. Questa disfunzionalità, anche se riguarda il livello macro del sistema contro la povertà, non è meno importante delle altre per le distorsioni che produce anche nella spesa. 7.3 COSA SIGNIFICA RICOMPORRE UN SISTEMA FRAMMENTATO? Nel dibattito sulle politiche contro la povertà, la ricomposizione è argomento particolarmente complesso e, più di altri, presta il fianco a fraintendimenti e strumentalizzazioni. La ragione risiede nella natura stessa della ricomposizione, che di fatto costituisce un nodo al crocevia tra una varietà di temi differenti. Si pensi ad una frase che ogni osservatore o operatore del welfare sottoscriverebbe: “bisogna ricom-porre le numerose prestazioni oggi rivolte alle famiglie in povertà in un’unica misura nazionale, che co-stituisca un diritto per tutti coloro i quali vivono tale condizione”. Nel pronunciarla si possono sottinten- 22 La proposta che si presenta in questo testo punta anche a prevedere che i luoghi nei quali il cittadino richiede prestazioni contro la povertà, incluso il REIS, possano informare su tutte le misure delle quali la famiglia potreb-be fruire, nonché raccordarsi con i servizi sociali locali. Sul punto si veda il capitolo 5 . 23 Si vedano al proposito i capitoli 5 e 6 24 Circa 16 miliardi di euro nel 2010, a fronte di 8,6 miliardi dell’intera spesa dei Comuni sia per servizi che in tra-sferimenti monetari. Fonte: IRS, 2011. 25 Ibidem, pagina 20

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dere almeno sette obiettivi diversi: più equità orizzontale26 (a differenza di oggi, ogni famiglia in povertà deve ricevere il medesimo trattamento dal sistema pubblico), più equità verticale (il sistema di welfare italiano deve sostenere maggiormente chi sta peggio, cioè le famiglie povere), maggiore accessibilità (u-na sola misura contro la povertà significa maggiore semplicità e chiarezza, rendendo così più facile per persone con bassi livelli d’istruzione e ridotte competenze relazionali richiederla e riceverla), introdu-zione di un livello essenziale (la ricomposizione deve portare con sé la definizione di un diritto rivolto a tutte le famiglie povere), incremento di efficacia (le risorse pubbliche oggi destinate alla povertà devono essere impiegate meglio), crescita di spesa pubblica (per coprire tutti i poveri alla ricomposizione delle risorse esistenti se ne devono aggiungere ulteriori), redistribuzione della spesa sociale come strategia del finanziamento (assegni sociali, integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali non devono essere più fornite a chi non è povero: con le risorse risparmiate si può finanziare la lotta alla povertà), decen-tramento delle risorse (ricomporre la spesa significa incrementarne la parte a disposizione del welfare territoriali). Alcuni di questi obiettivi sono compatibili tra loro, altri meno, certamente il campo di atten-zione è ampio. Inoltre, comune a tutti è il tema della transizione, cioè come passare gradualmente dal contesto attuale al REIS, tema particolarmente impegnativo in una realtà che coniuga la complessiva scarsità dello sforzo contro la povertà alla presenza di molteplici prestazioni con criteri di accesso diffe-renziati. Se così è, prima di dettagliare le proposte per la ricomposizione, è opportuno precisare le coordinate del-la proposta del REIS. Intanto, alcuni obiettivi richiamati sopra vengono fatti propri dalla proposta ma non sono discussi in questo capitolo 27 , dove ci si concentra sulla ricomposizione in senso stretto, cioè su come passare da una varietà di misure contro la povertà ad una sola. Dentro una simile prospettiva, il ra-gionamento che segue ha tre punti fermi: Un’unica prestazione per ogni nucleo in povertà assoluta. Infatti, alla fine della transizione, per tutte le famiglie in povertà assoluta deve esistere solo il REIS e la condizione di povertà deve essere affrontata esclusivamente attraverso questa misura nazionale mirata al sostegno del reddito, ferme restando le pos-sibili integrazioni economiche attivate dai governi locali. Tutela dei diritti acquisiti e gradualità della transizione. Va previsto che chi già fruisce di interventi al momento del riordino possa continuare a fruirne, facendo avviare il nuovo sistema in modo graduale ed evitando di peggiorare le condizioni di alcuno. Separazione tra il tema della ricomposizione e quello del finanziamento. I due argomenti vengono af-frontati autonomamente l’uno dall’altro, concentrandosi separatamente sulle specificità di ognuno28 (il finanziamento è discusso nel capitolo 9).

26 L’equità orizzontale consiste nella capacità di tutelare allo stesso modo individui/famiglie nelle medesime condi-zioni mentre quella verticale riguarda la capacità di tutelare in modo peculiare le famiglie in condizioni di mag-giore difficoltà. 27 L’importanza dell’equità verticale e dell’efficacia nello sforzo pubblico è insita nel disegno della proposta, in me-rito a come rendere accessibile il Reis si vedano i cap 5 e 6, su decentramento e livelli essenziali il capitolo 4, sulla necessità di maggiore spesa pubblica il capitolo 9. 28 Si tratta di una differenza con il progetto “Costruiamo il welfare di domani: proposta di riforma delle politiche e degli interventi socioassistenziali”, richiamato nel cap. 1, che affronta i temi congiuntamente. Mentre quel pro-getto predilige la redistribuzione interna alla spesa sociale come strategia di finanziamento, questo considera un insieme di opzioni differenti.

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7.4 LA TRANSIZIONE AL NUOVO SISTEMA E LE TAPPE DEL RIORDINO

7.4.1 Nel periodo di transizione sino alla messa a regime del REIS Allo scopo di offrire la massima tutela ai possibili beneficiari, il percorso d’introduzione del REIS è carat-terizzato da gradualità. Nei primi tre anni vengono compiuti una serie di passi intermedi, che a partire dal quarto portano alla complessiva ricomposizione del sistema. Il REIS pertanto, opererebbe a pieno regime al quarto anno dal suo avvio, come descritto al capitolo 10. La transizione può essere così dise-gnata:

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La logica della transizione Per gli assegni sociali, integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali INPS : Chi già li riceve al primo avvio del REIS continua a fruirne, sia nei primi tre anni che dopo la messa a re-gime del REIS, purché restino vive le condizioni per riceverli. Può ricevere anche il REIS se il nucleo ne ha i requisiti, e nella misura utile ad integrare le altre prestazioni. Chi non ne riceve quando si avvia il REIS se li richiede nei primi 3 anni può fruirne, anche proseguendo dopo la messa a regime del REIS, purché permangano le condizioni per riceverli. Ai nuovi interventi di questo tipo attivati dopo il primo avvio del REIS si applicano subito modalità più eque di valutazione del-le condizioni economiche dei richiedenti (valutazione del valore dei patrimoni oltre che del reddito, e di tutti i membri del nucleo familiare29). Dovrà essere approfondito il meccanismo da adottare per queste nuova modalità di valutazione della condizione economica del nucleo familiare, ricercandone la maggior coerenza possibile con il meccanismo del REIS. I nuclei possono chiedere anche il REIS, sia nei primi 3 anni che a regime, se hanno i requisiti e nella misura che integra le altre prestazioni. Per gli altri interventi nazionali contro la povertà (social card, assegno per il primo figlio 30 o per 3 mi-nori, bonus gas ed elettricità, contributi per l’affitto, esenzione canone RAI): chi già li percepisce al primo avvio del REIS continua a fruirne solo sino alla messa a regime del REIS. Può ricevere anche il REIS se il nucleo ha i requisiti per accedervi e nella misura utile per integrare le al-tre prestazioni. Può decidere se optare per il REIS rinunciando alle altre prestazioni. chi non ne riceve quando si avvia il REIS può beneficiare soltanto del REIS (che peraltro è più vantaggio-so) se il nucleo ne ha i requisiti in base alle soglie di accesso del momento. In caso contrario può ricever-li solo sino alla messa a regime del REIS. Poiché le soglie di accessibilità al REIS crescono nei primi 3 an-ni (come previsto al capitolo 10) progressivamente si riduce la platea di nuclei che per la prima volta fruisce di questi attuali interventi al posto della nuova misura. Per le famiglie che sono sotto la soglia di povertà assoluta, al momento della messa a regime del REIS questo intervento sostituirà sia assegni sociali / integrazioni al minimo / maggiorazioni sociali INPS, sia le altre prestazioni nazionali (social card, assegno per il primo figlio o per tre minori, bonus gas ed elettricità, contributi per l’affitto, esenzione canone RAI). Persone e famiglie che da quel momento ri-chiedano per la prima volta interventi per affrontare la loro condizione di povertà assoluta potranno frui-re solo del REIS, più le eventuali integrazioni locali attivate da Regioni e Comuni. Esempi concreti Alcuni esempi di questa transizione, illustrata anche nella tabella 2 e nel grafico 2, possono essere i se-guenti. Questi esempi, come anticipato, riguardano esclusivamente famiglie in povertà assoluta. Una famiglia composta da due anziani che all’avvio del REIS già ricevono assegno sociale e integrazio-ni/maggiorazioni INPS, ed anche bonus energia e contributi per l’affitto: 29 Questo riordino, oltre a rendere più eque e mirate ai veri poveri queste prestazioni, produce progressivi rispar-mi perché si riducono tra i beneficiari le famiglie non povere, risparmi che possono essere dirottati sul REIS. 30 L’assegno per il primo figlio, anche denominato “di maternità di base” è regolato dalla legge 448/1998, art. 66, e dal D.Lgs. 26/3/2001, n. 151, art. 74), ed è corrisposto alle madri (o donne che hanno adottato) che non benefi-ciano del trattamento previdenziale della indennità di maternità. Tuttavia qualora beneficino di indennità di ma-ternità (o trattamenti economici assimilabili) questo assegno può comunque essere erogato se l’ISEE del nucleo è inferiore alle soglie previste, ed in un importo pari alla differenza tra quanto ricevono come indennità di ma-ternità e l’importo previsto per l’assegno. Si tratta dunque di un intervento che è un mix di “sostituzione di in-dennità di maternità non percepite” e di “erogazione a causa della povertà del nucleo”. E questo secondo aspetto è prevalente, perché in ogni caso per erogare l’assegno e determinarne l’importo non si considera solo la madre, ma l’ISEE di tutto il nucleo, ossia reddito e patrimoni di tutti i conviventi. Dunque non è una misura costruita e dimensionata solo sull’evento “maternità”, ma (soprattutto) sulla condizione “povertà dell’intero nucleo” anche chi percepisce indennità di maternità può ricevere questo assegno, sempre valutando l’ISEE di tutto il nucleo

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Nei primi 3 anni dall’avvio del REIS continua a ricevere questi interventi, e può avere anche il REIS se ne ha i requisiti, per integrare quanto già percepisce sino all’importo del REIS. Alla messa a regime del REIS cessa di percepire bonus energia e contributo per l’affitto, continua a rice-vere le prestazioni INPS e può avere anche il REIS se ne ha i requisiti, per integrare quanto già riceve si-no all’importo del REIS. Le somme erogate come bonus energia e contributo per l’affitto vengono sosti-tuite (ed anzi aumentate) dal REIS. Una famiglia composta da due genitori e tre minori che all’avvio del REIS già fruisce dell’assegno per il nuovo nato, per i tre figli minori e della carta acquisti (social card): Nei primi 3 anni dall’avvio del REIS continua a ricevere questi interventi, e può ottenere anche il REIS se ne ha i requisiti, nella misura utile per integrare quanto già riceve. Alla messa a regime del REIS cessano gli altri interventi: il nucleo può ricevere solo il REIS se ne ha i re-quisiti. Quanto percepiva è sostituito (ed anzi aumentato) dal REIS. Una famiglia con un anziano e con due adulti, nella quale all’avvio del REIS l’unica prestazione fruita sia l’assegno sociale per l’anziano: Nei primi 3 anni dall’avvio del REIS continua a ricevere l’assegno sociale. Se non ha i requisiti per il REIS può fruire anche degli altri interventi nazionali (bonus energia, carta acquisti, contributi per l’affitto, etc). Se invece li possiede può ricevere solo il REIS, per integrare l’assegno sociale sino all’importo del REIS per il nucleo, sicuramente maggiore del mix delle altre prestazioni. Alla messa a regime del REIS cessano gli eventuali interventi diversi dall’assegno sociale, che invece pro-segue. La famiglia può ricevere il REIS se ne ha i requisiti. Quanto percepiva dalle prestazioni diverse dall’assegno sociale è sostituito (ed anzi aumentato) dal REIS. Una famiglia con un anziano, due adulti e tre minori che all’avvio del REIS non fruisce di alcun interven-to: Nei primi 3 anni del REIS può ricevere assegno sociale (e integrazioni/ maggiorazioni INPS) per l’anziano. Può usufruire anche degli altri interventi nazionali (bonus energia, carta acquisti, contributi per l’affitto, assegno per il nuovo nato e i tre minori) se non ha i requisiti per il REIS; in caso contrario ottiene il REIS. Alla messa a regime del REIS continua a fruire dell’assegno sociale se è stato richiesto nei 3 anni prece-denti. Riceve il REIS al posto degli altri interventi, nell’importo utile per integrare l’assegno sociale. Quanto percepiva dalle prestazioni diverse dall’assegno sociale è sostituito (ed anzi sicuramente aumen-tato) dal REIS. Famiglie di due anziani e un adulto, oppure con adulti e minori, che non fruiscono di alcun intervento quando il REIS viene messo a regime (ossia sono nuclei che cadono in povertà dopo quel momento), se sono sotto le soglie ISTAT di povertà assoluta possono ricevere solo il REIS, entro il quale sono ricompo-sti tutti gli interventi. La Tabella 2 schematizza che cosa accade nella transizione ed a regime

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TABELLA 2 – IL PERIODO DI TRANSIZIONE E QUELLO DI MESSA A REGIME DEL REIS

ALLE PERSONE E NUCLEI CHE ALL’AVVIO DEL REIS:

CHE COSA ACCADE:

NEI PRIMI 3 ANNI DALL’AVVIO DEL REIS A REGIME, AL QUARTO

ANNO DEL REIS

Non ricevono dall’INPS assegni sociali, integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali

Se li richiedono in questo periodo possono fruirne. Sin dall’avvio del REIS i nuovi interventi di questo ti-po vengono erogati con criteri più equi: si valuta sia il reddito che il valore dei patrimoni, e di tutti i membri del nucleo. Possono ricevere anche il REIS se il nucleo ne ha i requisiti, nella misura utile per integrare le prestazioni INPS

Continuano a fruirne pur-ché restino vive le condi-zioni per riceverli. E posso-no ottenere il REIS se utile per integrare quanto conti-nuano a ricevere

Se non li hanno richiesti si-no a questo momento e il nucleo è sotto le soglie di povertà assoluta possono chiedere e ricevere solo il REIS

Non ricevono altri interventi na-zionali contro la povertà (social card, assegni per il nuovo nato e i 3 figli minori, bonus gas ed e-nergia, contributo per l’affitto, esenzione canone RAI)

Se li richiedono in questo periodo:1) Se non possono fruire del REIS li riceveranno sino alla messa a regime del REIS. Possono ottenere an-che il REIS se ne hanno i requisiti, e per integrare quanto ricevono 2) Ricevono invece solo il REIS se hanno le condizio-ni per potervi accedere

Possono fruire solo del REIS e gli altri interventi vengo-no eliminati

Già ricevono dall’INPS assegni sociali, integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali

Continuano a fruirne, purché restino vive le condi-zioni per riceverli all’avvio dell’erogazione. Possono ricevere anche il REIS se il nucleo ne ha i requisiti, nella misura utile per integrare le prestazioni INPS

Continuano a fruirne, pur-ché restino vive le condi-zioni per riceverli. Possono ottenere anche il REIS se utile per integrare quanto continuano a ricevere

Già ricevono altri interventi na-zionali contro la povertà (elenca-ti due righe sopra)

Continuano a fruirne, se restano vive le condizioni per riceverli, sino alla messa a regime del REIS. Pos-sono ricevere anche il REIS se ne hanno i requisiti, per integrare le altre prestazioni

Possono fruire solo del REIS e gli altri interventi vengo-no eliminati

7.4.2 La ricomposizione degli interventi a regime A regime dunque il REIS: Per tutti i nuclei familiari che sono sotto le soglie di povertà assoluta ISTAT sostituisce e ricomprende: as-segni sociali, integrazioni al minimo delle pensioni e loro maggiorazioni sociali, assegni alle famiglie con nuovo nato e/o tre figli minori, carta acquisti, contributi per affitti pagati (ex legge 431/98), bonus gas ed energia, esenzione del canone RAI. Ossia tutti gli interventi nazionali erogati ai nuclei familiari per ridurne la povertà economica. Non ricomprende i seguenti interventi, che continuano ad essere erogati come attualmente: Assegni al nucleo familiare e prestazioni legate a requisiti contribuitivi (anche minimi), come le indenni-tà di disoccupazione o gli assegni ordinari di invalidità. I trasferimenti monetari erogati in base ad una condizione di limitazione dell’autosufficienza personale, come le indennità di accompagnamento, le pensioni di invalidità civile/assegni di invalidità (nelle loro di-

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verse articolazioni, anche se concesse previa valutazione della condizione economica dei beneficiari), le rendite INAIL. Vale la pena sottolineare, infatti, che il REIS mira a combattere la povertà assoluta e non va confuso con altri interventi contro i rischi di impoverimento. La seconda condizione è diversa dalla prima quando le famiglie che si impoveriscono, a differenza dei beneficiari del REIS, non scendono sotto la soglia di po-vertà. Ciò che può farle scivolare verso l’indigenza è il sopraggiungere di un evento critico al quale non venga fornita adeguata risposta, come la perdita dell’occupazione di uno o più membri, oppure forti spe-se connesse all’affitto dell’abitazione, o per la crescita ed educazione dei figli. Ma il REIS non può sostitu-ire tutte le altre politiche sociali, come quelle dirette alla promozione del lavoro, alla risposta ai problemi abitativi, a facilitare l’inserimento scolastico; e all’interno di ciascuna di queste politiche devono essere presenti specifici meccanismi di tutela per i più fragili e poveri. Anche il farsi carico di un familiare fragile o non autosufficiente può avviare la famiglia verso una spira-le di impoverimento (basti pensare alle elevate rette per l’inserimento in strutture residenziali, o ai costi per garantire una consistente assistenza al domicilio), ma il REIS non va confuso con le prestazioni a so-stegno della non autosufficienza. Non vi è dubbio che fronteggiare la perdita di autonomia di un familia-re implichi anche l’impiego di non poche risorse economiche del nucleo, specialmente dove la rete dei servizi pubblici è più carente. Ma questi bisogni devono trovare risposta tramite altre politiche, che sia-no appositamente finalizzate a sviluppare le prestazioni per la non autosufficienza ed a supportare le famiglie che devono con essa misurarsi, con una rete di misure che siano pensate in modo sistematico e coordinato, dal potenziamento dei servizi e del lavoro di cura sino a sostegni economici mirati per le fa-miglie, che vanno finalizzati in modo specifico a favorire i sostegni per la non autosufficienza: l’introduzione del REIS non rappresenta di certo l’unica riforma di cui il welfare italiano ha urgenza . 31 Tra gli interventi contro la povertà sono oggi in atto, come si è detto, anche erogazioni monetarie assi-stenziali locali. Nello sviluppo del REIS, che diventa una prestazione nazionale per garantire un reddito minimo del nucleo familiare, Regioni e Comuni possono continuare a mettere in campo eventuali altri interventi che servano ad innalzare ulteriormente questo reddito minimo. Dunque gli interventi locali, come l’assistenza economica dei Comuni, vengono “naturalmente” assorbiti nel sistema del REIS, nel senso che saranno erogati se Regioni e Comuni decideranno di integrare ulteriormente il reddito garan-tito con il REIS, anche quando questa misura sarà a regime. La proposta del REIS punta infatti a riordina-re e potenziare il sostegno economico nazionale alla povertà assoluta, in modo da renderlo più solido e complementare sia ad altre politiche nazionali di contrasto della povertà (ad esempio nel settore dell’abitazione e delle politiche attive del lavoro), sia alle iniziative locali. Questi orizzonti della proposta sono più ampiamente presentati nel capitolo 1. L’itinerario della transizione e il percorso per ricomporre entro il REIS le prestazioni già esistenti ven-gono descritti anche nel grafico 2 31 Iniziative e proposte per sviluppare le reti del welfare per la non autosufficienza stanno per fortuna crescendo. Ad esempio, considerando che spesso una rilevante spesa dei familiari di un non autosufficiente è destinata alla retribuzione di lavoratori al domicilio (le cosiddette “badanti”), un’utile analisi delle esperienze di Regioni ed Enti Locali per supportare il lavoro di cura al domicilio, e una rassegna di proposte per riordinare le politiche a que-sto scopo, è in S. Pasquinelli e G. Rusmini, 2013.

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GRAFICO 2 – ITINERARIO DELLA TRANSIZIONE E PERCORSO DI RICOMPOSIZIONE DEL REIS. Persone/Famiglie che all’avvio del REISNon ricevono Già ricevono

Assegni sociali, integrazioni al minimo INPS e maggiorazioni Assegni sociali, integrazioni al minimo INPS e maggiorazioni

Altri interventi nazionali contro la povertà (NOTA 1) Altri interventi nazionali contro la povertà (NOTA 1) Possono fruire degli interventi INPS con nuovi crite-ri (NOTA 2). E rice-vere anche REIS se in-

Continuano a fruire di questi inter-venti. E pos-sono riceve-re anche REIS se inte-gra

Hanno i re-quisiti per il REIS?NO SI

Possono frui-re dei vari in-terventi con-tro la povertà; e ricevere an-che REIS se integra Ricevono solo il REIS

Continuano a fruire di questi inter-venti. E pos-sono riceve-re anche REIS se in-tegra

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Se non richiesti sino a questo momento, e se il nucleo è sotto le soglie di po-vertà assoluta possono rice-vere solo il REIS

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7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA

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7.4.3 Problemi da valutare e momenti critici della transizione Quando cessa la possibilità di fruire di precedenti interventi e sorge l’obbligo di usare invece il REIS, è essenziale che questa transizione forzata non sia penalizzante per gli utenti. E’ prevedibile che ciò non accada per chi riceve social card, assegni per il nuovo nato e i 3 figli minori, bonus gas ed energia, con-tributo per l’affitto, esenzione canone RAI, perché l’erogazione tramite il REIS è maggiore del mix di questi interventi. Potrebbe forse presentarsi la possibilità di lievi riduzioni per gli assegni sociali e le al-tre prestazioni pensionistiche INPS, solo in quei territori ove la soglia di povertà assoluta dell’ISTAT (va-lore massimo erogabile con il REIS) sia inferiore all’importo massimo erogabile dall’INPS per tali misu-re. Questo aspetto dovrà essere approfondito e presidiato nella transizione a regime anche con simula-zioni mirate, valutando anche le evoluzioni delle soglie di povertà ISTAT nei diversi territori e le loro convergenze/distanze con gli importi delle prestazioni INPS. Senza tuttavia dimenticare che uno snodo cruciale del riordino che qui si propone è di traghettare anche queste prestazioni INPS, oggi scarsamen-te redistributive perché fruite anche da famiglie non povere, entro la logica del REIS, meglio costruito sulla povertà dell’intero nucleo familiare (valutando sia redditi che patrimoni) e ancorato ai costi della vi-ta diversi nei differenti territori. I bonus gas ed energia, nonché l’esenzione del canone RAI, dovrebbero essere inclusi nel REIS, sia per la loro chiara natura di sostegno del reddito sia per evitare al cittadino di peregrinare tra sportelli diversi. Tuttavia essi non consistono in denaro erogato alle famiglie bensì in riduzioni sulle bollette operate dal gestore della fornitura. Per ricomprenderle nel REIS sarà dunque necessario compiere una di queste o-perazioni: considerarle alla stregua di denaro (eliminando i sistemi che imputano gli sconti sulle bollette e sul canone RAI e calcolandone l’importo come una parte del REIS), oppure prevedere che il servizio che attiva il REIS possa imputare parte dell’erogazione ad una funzione “trasferimento in denaro” e par-te ad una funzione “sconto su bollette” ed ”esenzione canone RAI”.

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8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE

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Realizzare un efficace Reddito d’inclusione sociale (Reis) richiede tempo e capacità di appor-tare correzioni e affinamenti, imparando dall’esperienza. Per concorrere a migliorare l’intervento, monitoraggio e valutazione vanno approntati in modo prospettico. L’impianto complessivo poggia su quattro capisaldi, interconnessi e con obiettivi in larga parte integrati, che hanno come oggetto l’Ambito territoriale socio-assistenziale, la famiglia e i suoi compo-nenti e il progetto di inserimento sociale o lavorativo. Sovraintende l’impianto una snella e autorevole struttura di coordinamento tecnico-scientifico, la Struttura Unitaria di Valutazione (SUV), da rendere operativa e da dotare di risor-se ad hoc prima dell’avvio dell’intervento. La SUV opera in autonomia per definire il processo di raccolta dell’evidenza empirica sul funzionamento del Reis e per assicurare l’interconnessione fra i quattro capisaldi e la coerenza dell’insieme delle attività di osservazio-ne/documentazione/valutazione. Il primo caposaldo è l’osservazione continua di una sessantina di Ambiti-sentinella per l’analisi di implementazione del Reis, per (i) identificare inadeguatezze nelle modalità dell’intervento, in vista di porvi rimedio, e per (ii) definire modelli di rilevazione e schemi di classificazione più affinati dei vari strumenti di attuazione del Reis. Il secondo caposaldo è la costruzione di un Sistema Informativo Longitudinale sulle Famiglie e gli Individui in Difficoltà Economica(SILFIDE), alimentato dagli attori centrali e locali del Reis e accessibile agli stessi. Il terzo caposaldo consiste nello svolgimento di indagini campionarie “a due onde”, immedia-tamente prima dell’ammissione al Reis e un anno dopo, sia sui beneficiari del Reis sia sui non beneficiari che si collochino nella fascia di reddito immediatamente superiore alla soglia di povertà. Lo scopo è quello di valutare gli effetti dell’intervento sulle condizioni di deprivazione materiale e sui pattern dei consumi dei poveri. Il quarto caposaldo riguarda il disegno e la realizzazione di una decina di studi-pilota condotti con esperimento randomizzato (mediante sorteggio dei soggetti trattati in un modo e di quelli trattati in un altro modo, o non trattati affatto)su più Comuni. Il fine è quello di valutare l’efficacia di progetti/azioni per le quali appare di particolare interesse adottare modalità di operare (trattamenti) differenti. I microdati che risultano dall’insieme di tali attività divengono patrimonio informativo della comunità dei ricercatori. Pertanto, ragionevolmente protetti rispetto alle esigenze di privacy con avanzate soluzioni tecnico-informatiche,vengono resi accessibili a tutti gli analisti quali-ficati per finalità di ricerca.

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8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE

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8.1 UN’INDISPENSABILE PREMESSA: ATTREZZARSI PER IMPARARE DALL’ESPERIENZA “Monitoraggio e valutazione” sono un indissolubile, talvolta equivoco binomio, affermato in ogni provvedimento adottato per contrastare la povertà. Salve poche eccezioni, è tuttavia rimasto allo stato di enunciazione. Anche per questa ragione non si sono venuti consolidando strumenti in grado di dare attuazione a un coerente, crescente impegno sul versante della lotta alla povertà. E c’è da interrogarsi se ci sia, nelle classi dirigenti così come nell’opinione pubblica, adeguata consapevolezza dei termini del problema. Ne è una spia la sciatta disinvoltura con cui nel dibattito pubblico sovente si parla, va-gamente e indistintamente, di “reddito di cittadinanza”1 e di “reddito minimo” (garantito, di inse-rimento, di solidarietà attiva, o – come lo chiamiamo in questa proposta – di inclusione sociale)2. È essenziale, invece, prendere le collegate - ma ben distinte - attività di monitoraggio e di valuta-zione sul serio, perché le esigenze conoscitive connesse alla progressiva implementazione del Reis, con gli inevitabili adattamenti in itinere che esso richiederà, non possono essere ignorate, pena il contribuire al rischio non banale di insuccesso. Occorre dunque saper imparare davvero dall’esperienza. È questo l’elemento primo, fondamenta-le, della nostra proposta. Il monitoraggio e la valutazione, pur riguardando ciò che è accaduto, van-no approntati in modo prospettico, in una logica di apprendimento, così da concorrere al miglio-ramento dell’intervento. Vale forse la pena di aggiungere che le indicazioni che seguono da questa impostazione non rispondono a istanze accademiche, finalizzate alla ricerca, ma sono funzionali al processo di costruzione di una policy efficace. Del resto, è questa l’esperienza che ci consegnano ormai molti paesi, sviluppati e in via di sviluppo. Gurdando a due paesi a noi prossimi, in Francia l’ultima riforma in tema di reddito minino è rappresentata dal revenu de solidarité active, introdot-to nel 2009 dopo una sperimentazione condotta nell’arco di due anni in 34 départements. In Ger-mania, poi, un organico insieme di riforme del mercato del lavoro e della protezione sociale noto come riforme Hartz (dal nome del presidente della Commissione istruttoria istituita dal governo federale nel 2002), è stato realizzato dal 2003 al 2005, con l’obbligo – pienamente osservato – di condurre una valutazione dell’implementazione e degli effetti3. In secondo luogo, per rendere evidenti le esigenze conoscitive connesse alla realizzazione di una riforma di questa portata e di questa complessità, di proposito abbandoniamo il binomio “monito-raggio e valutazione” e preferiamo articolare gli strumenti di indagine in quattro aree. Ciò consen-te di rendere evidenti le domande, in parte specifiche, alle quali essi mirano a rispondere e, insie-me, di mettere in luce come i diversi strumenti di indagine concorrano a finalità conoscitive inte-grate, di vaglio di un’appropriata realizzazione del Reis e di valutazione dei suoi effetti. 1 Un reddito universale, che garantisce a qualunque persona un trasferimento monetario a prescindere dalle sue

condizioni economiche, slegato da qualsiasi obbligo. Un’ipotesi interessante sul piano della filosofia sociale, ma largamente impraticabile per ragioni vuoi economiche vuoi di accettabilità sociale. 2Come ben chiarito nel capitolo introduttivo, si tratta di un intervento informato all’universalismo selettivo, che

consta di un trasferimento monetario il quale integra il reddito familiare fino a una data soglia di povertà. All’erogazione vengono affiancate azioni di sostegno sociale e, per le persone in condizioni di occupabilità, a-zioni di attivazione al lavoro sostenute da condizionalità, in una logica di obblighi reciproci. 3 Vedi, rispettivamente, http://fr.wikipedia.org/wiki/Revenu_de_solidarit%C3%A9_active e Martini e Trivellato, 2011, pp. 82-90 e 160-163. Per le esperienze nei paesi in via di sviluppo vedi, tra i molti, Gertler (2011).

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8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE

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8.2 L’IMPIANTO COMPLESSIVO L’impianto si articola su quattro basilari linee di indagine e fa perno su una snella struttura di co-ordinamento. 8.2.1 I quattro strumenti di documentazione e di indagine, in sintesi Per rispondere alle esigenze conoscitive connesse all’implementazione e agli esiti del Reis, orga-nizziamo gli strumenti d’indagine in quattro aree, interconnesse e con obiettivi in larga parte inte-grati, che hanno come oggetto di osservazione l’Ambito territoriale socio-assistenziale, la famiglia e i suoi componenti e il progetto di inserimento sociale o lavorativo. In sintesi, gli strumenti di indagine sono i seguenti. L’osservazione diretta di una sessantina Ambiti, per l’analisi dell’implementazione del Reis. La do-manda alla quale si intende rispondere è se gli Ambiti facciano, o meno, quanto loro richiesto per il funzionamento della misura – sia al loro interno sia nell’azione di coordinamento degli altri attori locali – e quali siano gli ostacoli che trovano. La costruzione di un sistema informativo longitudinale sulle famiglie e gli individui in difficoltà e-conomica, facente capo all’Inps, che risponda a una duplice esigenza. La prima è la corretta ge-stione dei trasferimenti monetari. La seconda éla documentazione dell’attività degli Ambiti sul ter-reno dei progetti di inserimento sociale e di attivazione al lavoro, inclusi i loro esiti, con la possibi-lità per Ambiti e Comuni di avere accesso al sistema informativo. La realizzazione di un tale si-stema, correntemente aggiornato, è uno strumento essenziale per rispondere a una molteplicità di domande per vagliare se e come funziona il Reis (nella gestione della misura nei suoi aspetti amministrativi e finanziari, nell’attuazione delle azioni attese da parte degli Ambiti – e degli altri attori locali –, per analisi descrittive dei trend e delle differenze territoriali, fino a svolgimenti di analisi di valutazione degli effetti della misura con metodi non-sperimentali). La conduzione di indagini campionarie cosiddette “a due onde”, cioè immediatamente prima dell’ammissione al Reis e un anno dopo, in circa 60 Ambiti (di massima diversi da quelli del punto (i)), sia sui beneficiari del Reis sia sui non beneficiari che si collochino nella fascia di reddito im-mediatamente superiore alla soglia di povertà. La domanda alla quale si intende rispondere riguar-da i cambiamenti rilevati nella condizione di deprivazione materiale, nel pattern dei consumi e in altri aspetti riguardanti la normale partecipazione alla vita sociale e la possibilità di valutare gli ef-fetti del Reis al riguardo sulla base del confronto delle differenze nel tempo fra beneficiari e non beneficiari. Lo svolgimento di una decina di esperimenti randomizzati su azioni di integrazione sociale o lavo-rativa, ritenute di preminente interesse e svolte in modo differente in diversi Ambiti. La domanda alla quale questi esperimenti randomizzati intendono rispondere riguarda la diversa efficacia che possono avere due interventi con lo stesso obiettivo, ma disegnati e attuati in maniera differente – si pensi, ad esempio, a due diversi “trattamenti” di orientamento e placement –, in generale o ri-spetto a particolari categorie di beneficiari. 8.2.2 Una snella struttura di coordinamento Queste aree di documentazione e indagine richiederanno competenze diverse e saranno quindi condotte da soggetti diversi. Prima di delineare meno sommariamente alcune caratteristiche sa-lienti delle quattro aree, è essenziale sottolineare che serve una snella, efficace struttura di coordi-namento, la quale deve essere operativa ancor prima dell’avvio dell’intervento, appena approvata la legge. Così come è importante si sia consapevoli che sono necessarie risorse ad hoc, seppur di entità decisamente modesta (a fronte del costo del Reis), evitando la facile – e fallace – tentazione della clausola «senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica». La valutazione costa, se davvero si

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8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE

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vuole che generi conoscenza per influire sulle decisioni (in proposito si vedano la sez. 8.10 e l’Appendice B a questo capitolo). La Struttura Unitaria di Valutazione (SUV), distinta dal Comitato di Gestione (al quale innanzitutto riferisce: vedi cap. 4), è un agile organismo tecnico-scientifico, che opera in piena autonomia nel definire e gestire il processo di raccolta dell’evidenza empirica sul funzionamento del Reis. Esso è composto, di massima, da 5 persone: il Direttore Generale per l’Inclusione e le Politiche Sociali e 4 esperti di valutazione delle politiche sociali, nominati dal Ministro del Lavoro e delle Politiche So-ciali, sentite le pertinenti Commissioni parlamentari, sulla base di curricula vitae pubblici acquisiti a seguito di apposito avviso. I quattro esperti sono impegnati a metà tempo per due anni (rinno-vabili per altri tre anni). La SUV elegge al proprio interno, tra gli esperti, il presidente. Naturalmente, la SUV si avvale della pertinente struttura tecnica del Ministero del Lavoro e delle Po-litiche Sociali (d’ora in avanti MLPS). La SUV persegue gli obiettivi conoscitivi nelle quattro aree appena menzionate, secondo le linee che seguono. 8.3 OSSERVAZIONE CONTINUA DI UNA SESSANTINA DI AMBITI-SENTINELLA PER L’ANALISI DI IMPLEMENTAZIONE Questa prima attività va condotta su un campione di circa 60 Ambiti socio-assistenziali, scelti in maniera ragionata per macroarea geografica e per dimensione. Su questi Ambiti si svolge l’analisi dell’implementazione del Reis con strumenti di tipo investigativo, ma non ispettivo-sanzionatorio. Detto altrimenti, l’oggetto è l’osservazione diretta non intrusiva della realizzazione dell’intervento, muovendo dall’esigenza primaria di sapere che cosa succede realmente negli Ambiti e nei Comu-ni, andando in profondità e cogliendo quindi, per quanto possibile, il perché di quello che succede e non succede. La SUV gestisce direttamente il processo di raccolta delle evidenze, valendosi di massima di 20 col-laboratori assunti a tempo pieno determinato mediante annuncio pubblico e valutazione di titoli e colloquio. Le domande cruciali ruotano attorno al fatto che gli Ambiti facciano, o meno, quello che devono fa-re e agli ostacoli che trovano. Si mira innanzitutto ad osservare/stimare: i modi con i quali avviene la pubblicizzazione del Reis; gli aspetti operativi e gestionali attinenti all’organizzazione e supervisione delle “porte di accesso” alla misura (i Comuni che hanno optato anche per un accesso diretto e i CAF/Patronati), delle mo-dalità con le quali avvengono la compilazione e il controllo delle domanda di ammissione; l’evidenza, per quanto possibile documentata ma anche aneddotica, di falsi positivi e di falsi negati-vi; come avviene l’iniziale identificazione (reversibile) delle persone in età attiva e idonee al lavoro e delle persone che non lo sono; come avviene la definizione e messa in atto dei progetti di inserimento lavorativo e/o sociale; se e come è realizzata la condizionalità. In altre parole, gli obiettivi conoscitivi primari di questa fase riguardano l’impianto di organizza-zione e gestione del Reis da parte degli Ambiti socio-assistenziali, i perni su quali si fonda il Reis nei territori (vedi il cap 4): la verifica della congruità della determinazione dei flussi di trasferimen-ti monetari (per quanto Ambiti e Comuni vi concorrono) e della messa in atto delle componenti di

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servizi e di attivazione. La procedura di osservazione si serve di vari strumenti di rilevazione, sia predeterminati (check-list, questionari semi-strutturati), sia flessibili (interviste libere, focus groups, osservazione). È importante sottolineare che i 60 Ambiti vanno solo osservati, senza l’intento diretto di “affian-carli”; ad essi non viene correntemente offerto alcun feedback. Le lezioni che se ne ricavano, sia in termini di funzionamento dell’organizzazione e gestione del Reis a livello nazionale che di esigen-ze di aggiustamento complessivo, vanno veicolate al Comitato di Gestione. La SUV produce rapporti a cadenza quadrimestrale nel primo anno e semestrale negli anni succes-sivi; elabora inoltre una relazione annuale, entro 12 mesi dall’avvio del Reis e poi ogni anno solare successivo, sullo stato di avanzamento del programma e sulle difficoltà relative alla sua attuazione. Dal momento che i rapporti (sia quelli intermedi che la relazione annuale) possono evidenziare carenze e gettare una luce negativa sugli attuatori della misura, è essenziale che alla SUV venga ga-rantita piena autonomia. Le ricadute di questa attività di ricognizione continua avvengono in due direzioni: (i) se del caso, il Comitato di Gestione suggerisce al Ministro l’adozione di ulteriori direttive, volte a porre rimedio a inadeguatezze nelle modalità dell’intervento; (ii) l’evidenza acquisita porta a definire modelli di rilevazione e schemi di classificazione dei vari strumenti di attuazione del Reis via via più affinati (dal controllo delle condizioni di ammissibilità alla classificazione delle modalità di presa di carico e dei progetti di inserimento sociale o lavorativo)4. Completato questo iter, è ragionevole che l’informazione raccolta sugli Ambiti-sentinella venga re-stituita agli stessi e alle Regioni, in quanto utile a una loro riflessione al livello al quale, rispettiva-mente, operano. 8.4 COSTRUZIONE DI UN SISTEMA INFORMATIVO LONGITUDINALE SULLE FA-MIGLIE E GLI INDIVIDUI IN DIFFICOLTÀ ECONOMICA Oggi il sistema informativo di Mlps-Ministero dell’Economia e delle Finanze-Inps è mirato solo all’erogazione (della Social Card e della Social Card Sperimentale). Con la progressiva realizzazione del Reis, esso va ridisegnato e potenziato, nella prospettiva della costruzione di un Sistema Infor-mativo Longitudinale sulle Famiglie e gli Individui in Difficoltà Economica (SILFIDE). La denomi-nazione completa ne suggerisce l’ambito e la portata; l’acronimo segnala l’esigenza che il sistema informativo sia “amichevole”, utilizzabile in modo agile non solo dal centro per l’erogazione mone-taria ma anche, e fortemente, dagli Ambiti e dai Comuni per le loro azioni di attivazione L’obiettivo è quello di giungere progressivamente a un archivio delle persone vulnerabili: povere, non più povere e a rischio di povertà. A questo scopo SILFIDE raccoglie e conserva l’informazione 4Qualche lume per questa attività di osservazione continua può venire dal monitoraggio del piano nidi e dagli obiettivi di servizio per i servizi di cura per l’infanzia nelle regioni del Mezzogiorno (vedi rispettivamente http://www.politichefamiglia.it/documentazione/dossier/piano-straordinario-per-lo-sviluppo-dei-servizi-socio-educativi-per-la-prima-infanzia/il-piano-straordinario.aspx http://www.officinafamiglia.it/news/in-primo-piano/2013/aprile/monitoraggio-del-piano-nidi/ttp://www.dps.tesoro.it/obiettivi_servizio/servizi_infanzia.asp). Occorre tener presente, peraltro, la profonda diversità dei contesti: interventi – quello del piano nidi e dei servizi di cura per l’infanzia – circoscritti, con target pre-definiti, con indicatori che monitorano il processo di avvicinamento ai target vs. un intervento complesso e a spettro largo – il Reis –, che non ha target sensatamente definibili a priori e si confronta con l’esigenza di valutarne gli effetti secondo una logica controfattuale. Un’analogia più calzante, ma, ahimè, ben poco incoraggiante, è il processo di messa in opera dei servizi per l’impiego (Barbieri et al., 2003; Pirrone e Sesti-to, 2006; Naticchione e Loriga, 2008; Trivellato, 2011).

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su tutte le famiglie che presentano domanda (identificando tutti i loro componenti), siano esse ammesse o meno al ReIS, incluse le famiglie beneficiarie una volta che siano uscite dalla misura (almeno per un certo numero di anni, che per i minori coincide con gli anni residui fino alla mag-giore età). L’ipotesi è che ricevere, o aver ricevuto o anche solo richiedere, l’erogazione di un red-dito minimo sia un indizio di vulnerabilità economica che non si esaurisce nel breve periodo. Per produrre un quadro esaustivo delle condizioni che portano a condizioni di povertà, SILFIDE inte-gra le informazioni di natura amministrativa prodotte dalla gestione del trasferimento monetario con informazioni su retribuzione, altri redditi e partecipazione al lavoro, tratte prevalentemente da altri archivi Inps e fiscali. Vengono infine aggiunte le informazioni fornite dagli Ambiti socio-assistenziali sulla classificazione (reversibile) degli utenti – che necessitano solo del sostegno mo-netario, che sono in età attiva e abili al lavoro, non abili al lavoro che richiedono un supporto per l’integrazione sociale – e sulle caratteristiche dei progetti di inserimento lavorativo e sociale, non-ché sugli esiti degli stessi. In sintesi, i tratti distintivi di SILFIDE, a regime, possono essere così riassunti. Rappresenta un sistema informativo integrato, aggiornato correntemente, che, tra l’altro, consen-te di mettere in rilievo, oltre che l’unità “persona”, anche l’unità (mutevole) “famiglia”. L’informazione accumulata consente la produzione periodica di rapporti che illustrano la situazio-ne a livello nazionale sui beneficiari, sulla spesa e sull’organizzazione, su realizzazione ed esiti dei servizi per il lavoro e sociali. Restituisce alle Regioni, agli Ambiti e ai Comuni l’insieme delle informazioni pertinenti, alla scala micro e corredato da un primo insieme di elaborazioni standard. Non è questa la sede per approfondire gli aspetti attinenti all’infrastruttura informatica perché sia in grado di garantire un’efficace gestione del Reis. Il punto-chiave è che serve un sistema informa-tivo dedicato, per l’ appunto SILFIDE. Organizzato a livello statale ma, nello stesso tempo, offerto agli Ambiti socio-assistenziali e ai diversi attori locali che concorrono a gestire la prestazione, sia nella componente passiva che in quella attiva. Le basilari funzionalità che SILFIDE deve fornire at-tengono quindi alla gestione e al controllo delle richieste di accesso al Reis da parte dei cittadini, alla tempestiva e congrua erogazione (anche rispetto a variazioni della composizione e delle con-dizioni della famiglia nel tempo e/o a suoi trasferimenti di residenza), al recepimento delle infor-mazioni fornite dagli Ambiti sui progetti di inserimento lavorativo e sociale e sui loro esiti. In questa prospettiva, è importante che il sistema sia integrato, cioè a dire organizzato in modo che i vari operatori abilitati a differenti funzioni (a partire dagli operatori di front-office) siano po-sti nella condizione di svolgerle in maniera “amichevole” e, soprattutto, evitando inutili, anzi peri-colose, duplicazioni di immissione di dati: fonte di errori, incongruenze e lungaggini. A tale scopo, come già segnalato nel cap. 4, è importante giungere rapidamente a connettere, in modo strutturale e continuo, il sistema che gestisce il Reis con le anagrafi dei residenti nei Comuni (o con una corrispondente anagrafe unitaria nazionale). Ciò consentirebbe, tra l’altro, di disporre correntemente di dati affidabili sul nucleo familiare, quindi di far cessare (o ridurre) automatica-mente il Reis in caso di decessi e, più in generale, di adattare l’ammontare del trasferimento mone-tario a variazioni rilevanti del nucleo, evitando erogazioni monetarie improprie. Come chiarito nel capitolo iniziale, la realizzazione del Reis comporterà il progressivo assorbi-mento della miriade di interventi categoriali di contrasto della povertà oggi esistenti. Questa ri-composizione richiederà tuttavia, nella proposta qui presentata, un quadriennio. Non toccherà, poi, misure con finalità di contrasto di altre specifiche condizioni di disagio (quali la disabilità, la non autosufficienza e simili), né tantomeno integrative o di emergenza che quasi inevitabilmente si riveleranno necessarie e graveranno a livello locale. SILFIDE potrebbe utilmente prestarsi anche a questa ulteriore esigenza, costituendo un portale offerto ai Comuni per migliorare, secondo stan-

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dard orientati all’utenza e quindi ragionevolmente uniformi, le informazioni a disposizione dei cit-tadini: detto altrimenti, garantire che i molti “luoghi” del welfare che incontrano i cittadini poveri possano informare compiutamente. Quest’ulteriore prospettiva di utilizzo del sistema informativo longitudinale5 centrale è brevemente delineata nell’Appendice A a questo capitolo. Come già abbiamo anticipato, se ben disegnato e mantenuto correntemente aggiornato, SILFIDE può diventare uno strumento essenziale non solo per valutare se e come funziona il Reis (per ana-lisi descrittive dei trend e delle differenze territoriali nel tasso di adesione alla misura da parte delle famiglie ammissibili, di eventuali trappole della povertà e incentivi perversi), ma anche per valuta-zioni non sperimentali dei suoi effetti e, ancora, per capire meglio il complesso fenomeno della po-vertà. Il Sistema Informativo Longitudinale sulle Famiglie e gli Individui in Difficoltà Economica appena tratteggiato, di importanza cruciale per il Reis, dovrà naturalmente essere raccordato al meglio con altre iniziative del Ministero, già in atto, di costruzione/sperimentazione di sistemi informati-vi nell’area delle politiche sociali: quello degli interventi per le persone non autosufficienti (SINA), quello sulla cura e la protezione dei bambini e delle loro famiglie (SIMBA) e, soprattutto, quello su interventi e servizi sociali a contrasto della povertà e dell’esclusione sociale (SIP). Duplicazioni e/o carenze di integrazione, infatti, oltre a comportare spreco di risorse, possono compromettere la stessa qualità, quindi l’utilizzabilità, dei sistemi informativi. 8.5 SUGLI OBIETTIVI CONOSCITIVI DELLA VALUTAZIONE Prima di procedere a specificare per le due restanti aree gli obiettivi conoscitivi, focalizzati sulla valutazione degli effetti del Reis, conviene soffermarsi brevemente sul tema della valutazione degli effetti dell’intervento e su alcune tra le principali variabili-risultato alle quali è naturale guardare per un programma di reddito minimo. La valutazione degli effetti dell’intervento va condotta secondo la logica controfattuale. Sebbene il termine sia entrato nel linguaggio comune di operatori e policy makers, non è inutile spendere qualche riga per chiarire qual è la definizione controfattuale di effetto. L’effetto di un intervento è la differenza fra quanto si osserva, su un dato insieme di beneficiari in un dato tempo, in presenza dell’intervento stesso, e quanto si sarebbe osservato, sugli stesso beneficiari in quello stesso tem-po, in sua assenza. È immediato notare che, mentre il primo termine del confronto è osservabile, il secondo è ipotetico, inosservabile per definizione. Questo risultato ipotetico è definito appunto si-tuazione o risultato “controfattuale”. L’obiettivo della valutazione degli effetti è ricostruire in manie-ra credibile il controfattuale, detto altrimenti che cosa sarebbe accaduto ai beneficiari in assenza dell’intervento,e determinare l’effetto per differenza rispetto a ciò che è accaduto. Nel caso sia fattibile, il metodo preferibile per determinare gli effetti medi di un intervento è la rea-lizzazione di un esperimento randomizzato6, perché garantisce per costruzione (mediante il sor- 5La qualifica del sistema informativo come “longitudinale” sta a significare che esso non costituisce una “foto-

grafia” – o una serie di “fotografie” indipendenti l’una dall’altra – dei soggetti presenti nel sistema in vari i-stanti di tempo (tecnicamente, una sequenza di osservazioni sezionali su popolazioni diverse di soggetti). Esso è, invece, organizzato in modo da poter collegare tutte le informazioni riferibili a una stessa unità, persona o famiglia, nel tempo. Il sistema, in altre parole, è in grado di documentare le “storie di vita” di queste unità, quindi la dinamica che le caratterizza. 6Poniamoci nella semplice situazione in cui siamo interessati a valutare l’effetto di un nuovo trattamento, de-nominato A (si pensi a un programma integrato di orientamento/formazione breve mirata/placement), rispetto al trattamento tradizionale (si pensi a un corso lungo di formazione professionale), chiamato B. L’esperimento randomizzato si caratterizza per il fatto che, definito l’insieme dei soggetti che vi prenderanno parte, essi sono assegnati al trattamento A, oppure non vi sono assegnati (quindi sono assegnati al trattamento tradizionale B

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teggio) l’assenza di differenze sistematiche nelle condizioni di partenza di beneficiari e non bene-ficiari; in tal modo la differenza fra la media della variabile-risultato rispettivamente dei primi e dei secondi fornisce la stima dell’effetto. Gli esperimenti randomizzati sono particolarmente appro-priati nei casi in cui, a priori, l’effetto dell’intervento sia incerto – sicché l’obiettivo primo è ap-prendere se esso sia positivo (e quanto), nullo o addirittura negativo – ed è quindi utile provarlo inizialmente su piccola scala, tramite interventi-pilota. In sostanza, gli esperimenti randomizzati forniscono risultati robusti e di immediata lettura sugli effetti di specifici interventi-pilota. In contesti non sperimentali, quale quello fornito da SILFIDE, possono mostrarsi appropriati me-todi per contesti osservazionali, di massima combinando metodi di abbinamento statistico (al gruppo dei beneficiari si abbina, per confrontarlo e stimarne per differenza l’effetto, un gruppo di non-beneficiari adeguatamente simili ai primi rispetto a un pertinente insieme di caratteristiche osservabili) e il metodo della differenza-nelle-differenze (al quale abbiamo accennato introducen-do l’area di indagine (iii), tramite indagini campionarie “a due onde”, sulla quale torneremo tra po-co) o sfruttando eventuali discontinuità nel trattamento7. In prima approssimazione, i principali esiti rispetto ai quali valutare gli effetti dell’intervento sono del seguente tenore: cambiamenti nel rispetto delle norme (sulla cura dei minori, sull’adempimento dell’obbligo scola-stico, sul pagamento di utenze, ecc.) nonché di regole basilari della convivenza civile,per tutti i be-neficiari; cambiamenti nel grado di deprivazione materiale, nel livello e nella composizione della spesa per consumi – verso consumi alimentari sufficienti e qualitativamente equilibrati everso consumi du-revoli essenziali –, nella qualità dell’abitazione; per le persone in età attiva e idonee al lavoro, cambiamenti nella probabilità di accedere al lavoro, nella stabilità e qualità dello stesso, nella retribuzione; per le persone non idonee al lavoro e destinatarie di un intervento di sostegno/integrazione socia-le, miglioramento della loro integrazione sociale e in altre dimensioni di benessere materiale e mentale; raggiungimento dell’autosufficienza economica, con conseguente uscita dalla condizione di pover-tà, quindi dall’ammissibilità alla misura, per un orizzonte di almeno due anni. 8.6 INDAGINI CAMPIONARIE SULLE CONDIZIONI DI VITA Si potrebbe sostenere che il trasferimento monetario, che integra il reddito della famiglia fino alla prefissata soglia di povertà, in un certo senso realizzi – verrebbe da dire automaticamente, per de-finizione – l’obiettivo del Reis per quanto riguarda la componente passiva. Quando la realizzazione del Reis sarà giunta a regime, infatti, tenuto conto delle differenze nella composizione della fami-glia e nel costo della vita del comune in cui risiedono, tutte le famiglie ammissibili (che abbiano fat-

che consta di un lungo corso di formazione professionale e nient’altro) in maniera casuale. (Quest’assegnazione casuale viene poi mantenuta inalterata, integra, per l’intero periodo di svolgimento dell’intervento.) Chiamiamo i due gruppi rispettivamente “trattati” e “non trattati”. Data la modalità di asse-gnazione dei soggetti all’uno o all’altro gruppo, casuale – mediante sorteggio –, per costruzione i due gruppi sono in media equivalenti rispetto all’insieme delle condizioni di partenza, non mostrano cioè differenze si-stematiche rispetto a tali condizioni. Pertanto, la differenza fra la media della variabile-risultato rispettivamen-te dei trattati e dei non-trattati rivela l’effetto medio del trattamento (A) rispetto a quello (B). 7 Per introduzioni all’argomento vedi, tra gli altri, Martini e Sisti (2009), Trivellato (2010) e Martini e Trivellato (2011).

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to domanda) riceveranno un’integrazione che le porta a uno stesso livello di reddito, coincidente con la soglia di povertà. Tuttavia, l’eterogeneità che, inevitabilmente, caratterizza le famiglie con la stessa composizione e i loro comportamenti di spesa, suggerisce di indagare anche questo basilare aspetto del Reis. Farlo è teoricamente facile. Operativamente lo è molto meno, e può essere abbastanza costoso. L’operazione da fare è logicamente chiara, a prima vista semplice. Occorre disporre di una serie di informazioni attinenti al grado di deprivazione materiale, al pattern dei consumi alimentari (più o meno sufficienti e e più o meno qualitativamente equilibrati), alla disponibilità di beni di consumo durevole essenziali, alla congruità dell’abitazione, ecc., che caratterizzano le famiglie povere prima dell’ammissione al reddito minimo, e la parallela serie di informazioni delle stesse famiglie (che per semplicità ipotizziamo invariate) un certo tempo dopo, diciamo un anno dopo il godimento del trasferimento monetario. Per contare su un indispensabile termine di paragone, che consenta di tener conto della dinamica che caratterizza i comportamenti di spesa/consumo, occorre di-sporre poi di un’analoga serie di informazioni con la stessa cadenza temporale – quindi prima e dopo l’introduzione del Reis – per un adeguato insieme di famiglie non povere, ma sufficientemen-te vicine alle stesse quanto a reddito disponibile: diciamo nel decile (forse meglio un percentile in-feriore, nel ventesimo) immediatamente superiore della distribuzione del redditi. Tuttavia, mettere in pratica questo disegno, per poi confrontare le differenze nella (auspicabile) riduzione del grado di deprivazione materiale e negli altri indicatori di interesse tra famiglie bene-ficiarie del Reis e famiglie di poco al di sopra della soglia di povertà – e ricavarne quindi, ancora per differenza, una plausibile stima dell’effetto del Reis su queste variabili –, è tutt’altro che agevo-le. Per segmenti ridotti della popolazione di famiglie, dell’ordine del 5%, si possono avere stime di larga massima a livello nazionale da indagini campionarie nazionali condotte dall’Istat (ad es., la sezione italiana della europea Survey on Income and Living Conditions) o dalla Banca d’Italia (l’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane) , almeno per alcune delle principali variabili-risultato8. risultato8. L’alternativa è appunto quella enunciata nella sez. 8.2.1: la conduzione di apposite indagini cam-pionarie cosiddette “a due onde”, cioè immediatamente prima dell’ammissione al Reis e un anno dopo, in circa 60Ambiti (di massima diversi da quelli utilizzati per l’osservazione dell’implementazione della misura), sia sui beneficiari del Reis sia sui non beneficiari che si collo-chino nel decile (o nel ventesimo) di reddito immediatamente superiore alla soglia di povertà. Il guadagno in ricchezza dell’informazione sui temi della deprivazione materiale, dei pattern di con-sumo e, in generale, nelle condizioni di vita è notevole (come documenta l’esperienza condotta per il Reddito di garanzia di Trento, cfr. Spano, Zanini e Trivellato, 2013). L’impegno e i costi per rea-lizzare siffatte indagini sono, però, tutt’altro che trascurabili. Per la somministrazione dei questionari agli ammessi al Reis si può fare ricorso agli operatori so-ciali, convenientemente formati; inoltre, i questionari possono essere abbastanza snelli, limitarsi cioè alle domande essenziali sulle condizioni di vita, perché le informazioni di contesto (sulla com-posizione della famiglia, sulle caratteristiche demografiche dei suoi componenti, sul reddito dispo-nibile) vengono già acquisite nel corso dell’esame delle domande di ammissione. Ciò non vale, tut-tavia, per larghissima parte del campione di controllo9, rappresentato dalle famiglie nella fascia 8Dovendo per di più ricorrere a correzioni ad hoc delle stime, perché le misure di contrasto della povertà di solito non raggiungono tutti gli ammissibili, hanno cioè un tasso di adesione parecchio inferiore al 100%, per di più difficile da determinare. 9 Si tenga presente che nel campione di controllo confluiscono anche le famiglie che hanno fatto domanda e sono

no risultate non ammissibili al Reis perché superavano la soglia di reddito. Peraltro, esse sono utilizzabili sol-

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immediatamente superiore alla soglia di povertà, delle quali, tra l’altro, non è nemmeno agevole l’identificazione (stante l’assenza di informazioni affidabili sulla distribuzione dei redditi riferita all’intera popolazione). Per il campione di famiglie di controllo occorre un questionario più ricco e complesso, che grosso modo rilevi l’insieme delle informazioni disponibili per i beneficiari del Reis; serve una accurata strategia di campionamento che consenta di identificare un campione af-fidabile; bisogna condurre l’indagine dapprima contattando le famiglie e poi recandosi a domicilio. La soluzione che appare auspicabile è un accordo tra il MLPS e l’Istat, che porti all’affidamento dell’indagine sui non beneficiari all’Istituto di Statistica, facendo così tesoro della sua rete di rileva-zione e della sua esperienza in tema di indagini sociali sulle famiglie10. Almeno per due tappe del processo di introduzione del Reis, la prima e forse la terza, questo appa-rato di indagini longitudinali sulle condizioni di vita – nelle quali cioè le stesse famiglie devono es-sere intervistate ripetutamente nel tempo, dunque i soggetti intervistati nella seconda onda (ed eventualmente in onde successive, per documentarne la dinamica su un arco di tempo più lungo) debbono coincidere con quelli della prima – appare comunque utile per un’ adeguata valutazione degli effetti del Reis, innanzitutto della sua componente passiva, sulle condizioni di vita delle fami-glie beneficiarie. Quest’area d’indagine richiederà, dunque, un’analisi e una progettazione partico-larmente accurate, anche per contenere ragionevolmente i costi. 8.7 Disegno e supervisione di una decina di esperimenti randomizzati Come già segnalato nella sezione introduttiva, è facile enunciare obblighi e obiettivi (ad es., si può disporre per legge che tutti i beneficiari siano coinvolti in progetti di attivazione, in particolare che tutte le persone in età lavorativa e idonee al lavoro firmino patti di servizio), ma il rischio che tutto – o gran parte – resti soltanto sulla carta è alto. Pochi sono capaci di realizzare interventi la cui ef-ficacia sia scientificamente provata, credibile e allo stesso tempo applicabile ad altri contesti. È bene esserne consapevoli: non c’è scorciatoia possibile. Ci vogliono anni di sperimentazione per imparare a disegnare interventi capaci di incidere efficacemente sui meccanismi di uscita dalla povertà. In due paesi a noi vicini, Francia e Germania, le misure di reddito minimo sono state in-trodotte rispettivamente nel 1988 e nel 1961 e varie volte, anche in maniera marcata, sono state modificate alla luce dell’esperienza (Ferrera, 2012). È essenziale, quindi, che la SUV, sulla base dei feedback periodici ottenuti durante il primo anno, stabilisca di condurre approfondimenti sugli Ambiti e/o Comuni disponibili a partecipare a spe-rimentazioni controllate di iniziative sulla cui efficacia vi sia incertezza. Nel contesto del Reis, inoltre, la realizzazione di esperimenti randomizzati multicentrici è relati-vamente facile da gestire, per due ragioni. Primo, il fatto che la misura è di tipo nazionale ma viene realizzata in circa 760 Ambiti socio-assistenziali, e in oltre 8.000 Comuni, facilita il reclutamento dei siti in cui realizzare l’esperimento. Secondo, i membri dei gruppi di controllo sono tipicamente esentati dal dover partecipare a qualche attività onerosa in termini di tempo (come seguire parti-colari protocolli per colloqui di orientamento nei CpI, partecipare a corsi di formazione con speci-fiche caratteristiche quanto a contenuti/durata/frequenza, ecc.) e le informazioni che li riguarda-no possono essere tratte da da archivi amministrativi. L’ipotesi che appare ragionevole prospettare è che le prime 5 sperimentazioni controllate siano individuate dalla SUV alla fine del primo anno, e assegnate a enti di ricerca qualificati mediante una procedura competitiva. Ulteriori 5 sperimentazioni controllate vanno poi individuate entro il

tanto se viene loro somministrato lo snello questionario aggiuntivo sulle condizioni di vita del quale abbiamo appena detto, il che non appare banalmente facile. 10L’alternativa, verosimilmente più costosa e con risultati qualitativamente non migliori, è di affidare questa cru-

ciale parte dell’indagine a una società di rilevazione, selezionata con un buon bando di gara.

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secondo anno e assegnate in maniera analoga. I risultati preliminari devono essere forniti entro la fine del quarto anno e quelli definitivi entro la fine del quinto. Gli specifici interventi vanno individuati nel quadro degli obiettivi conoscitivi della valutazione del Reis, sommariamente delineati nella sezione precedente. La loro identificazione e il loro disegno richiederanno un adeguato approfondimento congiunto da parte della SUV e degli Ambiti o Comu-ni coinvolti. In prima approssimazione, essi dovrebbero comunque estendersi sia a progetti di so-stegno sociale sia a azioni di attivazione al lavoro, e concentrarsi su progetti/azioni per le quali appare di particolare interesse adottare modalità di operare diverse (detto in altre parole, “tratta-menti” differenti), quali: interventi mirati a indurre comportamenti corretti(cura dei minori, obbligo scolastico, ecc.); interventi d’integrazione sociale per nuclei familiari con problemi gravi (ad es., con persone con disabilità); interventi di alfabetizzazione funzionale per persone in età lavorativa e per il resto idonee al lavo-ro; una varietà di interventi-pilota di avviamento al lavoro – in tema di orientamento, formazione, placement, modi di applicazione delle condizionalità –, quindi in prospettiva mirati all’autonomia economica e alla conseguente uscita dalla condizione di povertà. Come già detto (vedi la sez. 4.3), altri esperimenti con randomizzazione potranno essere promossi dalle Regioni. Il disegno e le misure per assicurare l’integrità dell’esperimento randomizzato, cru-ciali perché esso fornisca risultati credibili, andranno definiti d’intesa fra la Regione interessata e la SUV. 8.8 I MICRODATI COME PATRIMONIO INFORMATIVO PER LA COMUNITÀ DEI RI-CERCATORI Sinora abbiamo sottolineato l’esigenza che l’accesso al patrimonio informativo che si genera per la corretta gestione del Reis, in particolare (ma non solo) SILFIDE, sia utilizzabile, secondo regole di accesso ragionevolmente aperte, da tutti i soggetti coinvolti, amministrazione centrale ed attori lo-cali. In verità, l’istanza di accessibilità è ben più ampia. La valutazione di una specifica politica –nel no-stro caso il Reis –, infatti, non è tanto (o comunque soltanto) un’operazione circoscritta svolta da un solo gruppo di analisti-valutatori ufficialmente incaricati di questo specifico compito. È un processo che si dispiega nel tempo, animato dal confronto fra più analisti indipendenti. Più strin-gente e serrato sarà il confronto sugli effetti del Reis, più stringente sarà il vaglio di affidabilità de-gli studi di valutazione, conseguentemente più credibili saranno le conclusioni che si raggiungono. Come è stato detto con efficace sintesi, «le valutazioni [degli effetti] si costruiscono sulla conoscen-za cumulativa» (Heckman e Smith, 1995, pag. 93). La replicabilità degli studi ne è una condizione necessaria. Ciò ha un’importante implicazione: che i microdati, ragionevolmente protetti rispetto alle esigenze di privacy,per finalità di ricerca siano accessibili a tutti gli analisti qualificati. A questo scopo serve una revisione della normativa italiana sull’accesso ai microdati per la ricer-ca, irragionevolmente restrittiva. Ma ancor più tornano utili soluzioni tecnico-informatiche, che consentono elaborazioni su microdati tramite remote data access, proteggendone nel contempo

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l’anonimità (vedi, ad es., l’esperienza svedese del Microdata OnLine Access e quella del Secure Data Service dell’UK Data Archive)11. Una tale modalità di accesso dovrebbe valere per: SILFIDE; i microdati delle indagini campionarie a due onde sulle condizioni di vita; i 10 esperimenti randomizzati, una volta concluse dagli enti di ricerca incaricati; i microdati di altri studi di valutazione che siano stati finanziati con risorse pubbliche o di fonda-zioni, una volta che i soggetti affidatari dello studio li abbiano conclusi. 8.9 IL RACCORDO CON ALTRI PROGRAMMI CONTRO LA POVERTÀ L’ipotesi dalla quale appare ragionevole muovere è che dal varo del Reis, presumibilmente ad ini-zio 2014, sino alla sua messa a regime, si realizzi progressivamente la ricomposizione entro que-sta misura di diverse prestazioni oggi presenti contro la povertà, descritta al cap. 7. Fino a poco tempo fa, questa transizione avrebbe implicato, tra l’altro, il superamento della Social Card, inclusa quella sperimentale avviata nel 2013. Il quadro, però, è ora mutato. Da una parte, la sperimenta-zione della Nuova Social Card nei 12 comuni più popolosi non si concluderà prima della fine del primo semestre 2014; dall’altra il Governo ha recentemente deciso la sperimentazione nel Mezzo-giorno della Carta per l’inclusione (così viene ora denominata la Social Card Sperimentale), grazie alla disponibilità di fondi comunitari, muta decisamente il quadro della situazione. Stanti soprattutto i margini di incertezza che ancora connotano tempi e modi di questo allarga-mento della Carta per l’inclusione, sarebbe azzardato tentare di definire, anche solo a maglie lar-ghe, le forme di raccordo del monitoraggio e della valutazione di questi interventi con le linee di a-zione suggerite per il Reis. Il significativo elemento di novità è la determinazione con cui il Ministero sta tracciando un impe-gno sistematico sul fronte del monitoraggio e della valutazione anche di questi interventi in qual-che misura “sperimentali” e con orizzonte temporale limitato12. Appena essi saranno compiuta-mente definiti, servirà dunque porre attenzione a un raccordo fra le attività di ma osservazio-ne/analisi/valutazione da mettere in atto per questi interventi e quelle delineate per la realizza-zione progressiva del Reis. 8.10 UNA PRIMA STIMA DI MASSIMA DEI COSTI DEL MONITORAGGIO E DELLA VALUTAZIONE Stimare, anche grossolanamente, i costi per l’attività di monitoraggio e valutazione delineata non è certo agevole. Molti interventi, infatti, possono comportare una forte variabilità dei costi, a se-conda della scala alla quale vengono condotti e del modo col quale vengono disegnati. Per fare un solo esempio, il costo di un esperimento randomizzato varia significativamente a seconda della numerosità del campione complessivo – di trattati e di non-trattati – e della sua dispersione terri- 11Vedi rispettivamente http://www.scb.se/Grupp/Tjanster/MONA_produktblad_engelsk.pdf e http://www.data-

archive.ac.uk/news-events/news.aspx?id=2375 12Su un terreno in parte diverso, attinente essenzialmente al monitoraggio e all’accountability, la definizione del-lo schema di riparto del Fondo Nazionale Politiche Sociali (FNPS) per il 2013 agli artt. 4 e 5 stabilisce che le Regioni si impegnano a programmare le risorse loro destinate per «aree di utenza», «macro-livelli» e «obiettivi servizio». Palesemente, anche queste indicazioni comportano la necessità di un monitoraggio più stringente, supportato da un adeguato sistema informativo.

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8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE

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toriale, così come varia ancor di più se esso comporta l’erogazione, ai trattati, di un trattamento costoso. Ci limitiamo qui a sintetiche indicazioni di massima, muovendo da una prima, motivata assunzio-ne: l’esclusione dalle voci di costo della realizzazione e gestione di SILFIDE, il Sistema Informativo Longitudinale sulle Famiglie e gli Individui in Difficoltà Economica. Infatti, tale sistema fa parte dell’insieme dei compiti istituzionali dell’Inps, che ha già attuato larga parte dello sviluppo del “Si-stema informativo dei percettori di sostegno del reddito”, mirato a connettere le informazioni in-dividuali relative ai vari ammortizzatori sociali13. Col decollo del Reis e il modo col quale ne abbia-mo previsto la realizzazione centralizzata del sistema informativo, un analogo obbligo vale di fatto, ci pare, per l’Inps anche per l’insieme delle persone che abbiamo qualificato “povere, non più po-vere e a rischio di povertà”. Il Sistema informativo dei percettori di reddito – si noti – potrebbe fornire importanti indicazioni per la realizzazione di SILFIDE, che con esso dovrebbe, tra l’altro, poter colloquiare in maniera agevole. La seconda assunzione dalla quale muoviamo è di contenere fortemente i costi, senza compromet-tere tuttavia l’essenziale per una solida attività di monitoraggio e valutazione. Rinviando all’Appendice B per sintetiche chiarificazioni, conviene segnalare innanzitutto che le nostre stime presuppongono un’attività di monitoraggio e valutazione estesa su cinque anni (comprensivi di 4-6 mesi precedenti l’avvio operativo del Reis e di 8-6 mesi successivi alla sua piena attuazione). La stima del totale dei costi è dell’ordine di 2,4 milioni di euro l’anno, complessivamente di circa 12 milioni di euro sino al completamento della valutazione del Reis a regime. Si tratta di cifre che rappresentano una frazione esigua del costo totale dell’intervento, incompri-mibili per una credibile attività di monitoraggio e valutazione.

13Questo sistema, accessibile all’indirizzo http://www.inps.it/portale/default.aspx?iMenu=2&iiDServizio=113 , mira a consentire ricerche incrociate in relazione alle diverse tipologie di ammortizzatori sociali. Lo scopo è duplice: (i) mo-nitorare gli esiti delle misure di sostegno al reddito; (ii) rendere effettiva la sanzione della decadenza da tali misure in caso di mancato rispetto degli obblighi di produrre la dichiarazione di disponibilità e di accettare un’offerta di riquali-ficazione o di lavoro congruo. Vi sono contenuti i dati dei percettori delle principali misure precedenti la cosiddetta “riforma Fornero” (Indennità di disoccupazione ordinaria con requisiti normali, Disoccupazione ordinaria e tratta-mento speciale edilizia, Disoccupazione lavoratori marittimi e sospesi, CIG ordinaria e in deroga, Indennità di mobilità ordinaria/lunga e in deroga, Sussidi). Gli utenti abilitati alla lettura sono Mlps, Regioni, Servizi per l’impiego (Centri per l'impiego e altri organismi autorizzati), Enti convenzionati allo scopo con Inps, Fondi interprofessionali (conven-zionati con Inps).

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8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE

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Appendice A: Uno strumento per migliorare informazioni e sostegni ai cittadini14 Il sistema di welfare locale contro la povertà è segnato da una doppia criticità: da un lato i cittadini non possono conoscere tutte le possibili prestazioni che potrebbero richiedere (e spesso proprio i più fragili non riescono a fruirne), e dall’altro gli operatori di front-office non sono in grado di es-serne pienamente aggiornati né di descriverle in modo adeguato alle persone che potrebbero uti-lizzarle. Questa criticità si presenterà anche dopo l’auspicata introduzione del Reis perché mentre le principali prestazioni monetarie contro la povertà saranno in esso riassorbite, l’insieme di in-terventi, luoghi e possibilità ai quali le famiglie in povertà potrebbero accedere, ma di cui non sono a conoscenza, rimarrà comunque articolato ed eterogeneo. Si tratta, dunque, di predisporre uno strumento informativo efficace, che contribuisca a superare la situazione descritta. Per riflettere su questo strumento è utile considerare due aspetti. 1) Gli operatori che oggi lavorano in front-office che ricevono famiglie povere (nei servizi so-cio-assistenziali dei Comuni o dei loro Enti gestori, nei centri di ascolto di associazioni) hanno ben chiara l’esigenza di informare in modo completo su tutti gli interventi che la famiglia potrebbe ri-chiedere, inclusi quelli messi in opera da altri servizi o Enti. Ma devono costruirsi una propria mappa delle offerte, con varie modalità (schede, appunti, file di servizio o di singoli operatori, cata-loghi e software locali, fotocopie di norme e circolari ). Con due conseguenti limiti: l’utilizzo di questa mappa è molto dipendente dalle scelte e possibilità personali dei singoli opera-tori o servizi, e non è detto si riesca a garantirne la messa in comune tra tutti coloro che potrebbe-ro utilizzarla; sono evidenti le difficoltà di mantenere sempre aggiornato il “catalogo” delle offerte, che deve con-tenere non solo le prestazioni di specifica competenza di quel servizio (ad esempio le prestazioni del Comune), ma anche di altri soggetti (le prestazioni Inps e quelle nazionali, i vari “bonus”, ecc.). 2) Lo strumento da costruire non può essere un testo scritto, ossia un catalogo cartaceo stati-co delle offerte disponibili, per due motivi: le prestazioni sono (purtroppo) molto diversificate per tipologia di possibili beneficiari, e sovrap-poste: alcune sono fruibili solo da anziani, altre da anziani e minori, altre da nuclei solo se con mi-nori, ecc.. Ciò implica che se l’operatore dispone solo di un catalogo stampato, pur con un indice ben articolato, gli è quasi impossibile ricostruire l’elenco delle misure che si attagliano alla persona o nucleo che ha di fronte, stante il caotico intreccio di possibili destinatari. Così come è quasi im-possibile spiegare dove e quando quello specifico cittadino può richiedere le diverse prestazioni, a meno che l’operatore ricopi su un testo che redige ad hoc ciò che ogni scheda del catalogo carta-ceo riporta. Inoltre lo scenario delle prestazioni disponibili è soggetto a molte variazioni (nuove scadenze, mo-difiche di criteri). Dunque occorre un elenco dinamico per garantire agli operatori un buon ag-giornamento a cura di un suo gestore, evitando che tale compito ricada (come ora accade) solo su interventi locali di manutenzione delle informazioni. Uno strumento utile potrebbe perciò essere un catalogo strutturalmente dinamicodelle misure di contrasto alla povertà, fondato su un database dedicato con l’obiettivo di aiutare gli operatori di tutti i front-office a: 14 Ragioni e contenuti di questa proposta sono anche descritti in Motta , 2013.

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8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE

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conoscere con facilità (e con costante aggiornamento) la mappa delle diverse prestazioni che sono disponibili, ovunque, per i cittadini; trasmettere meglio queste informazioni alle famiglie povere. Lo strumento dovrebbe consentire all’operatore di: inserire in una maschera le caratteristiche principali del nucleo che deve informare e ricavarne un catalogo “su misura” delle prestazioni fruibili, ossia quelle (e solo quelle) disponibili in quel momento per quella persona/nucleo, potendo stamparlo; incluse le informazioni dedicate a “dove, come e quando si possono richiedere quegli interventi”. Nell’utilizzo di un simile strumento potrebbero essere intravisti questi possibili rischi: Una dilatazione del tempo che va dedicato ad ogni utente ricevuto, se ai contenuti del colloquio dedicato al Reis si aggiungono contenuti informativi ulteriori. Il rischio di far individuare il front-office come il responsabile di tutte le prestazioni che vengono descritte, attribuendo a chi ha fornito l’informazione le disfunzioni che il cittadino incontra nei successivi percorsi (“voi mi avete detto che se andavo là potevo avere...e invece poi mi hanno det-to…”). Queste possibili preoccupazioni devono tuttavia essere valutate considerando che: già attualmente gli operatori svolgono funzioni di “segretariato sociale”, ma con strumenti poco efficaci e che implicano un faticoso lavoro locale di costruzione e manutenzione; il segretariato sociale è uno dei pochi livelli essenziali che già la normativa prevede debba esistere, e peraltro questo dovrebbe essere un ruolo di elezione dei servizi sociali di front-office; lo strumento potrebbe essere utilizzato da molti front-office dedicati al rapporto con utenza fragile, e tendenzialmente da tutti i luoghi di incontro con la povertà (Comuni, Centri d’ascolto, Associa-zioni varie, CAF, Patronati). Ed inoltre le offerte attivate da questi attori del welfare potrebbero es-sere man mano incluse tra le schede descrittive del catalogo. Il catalogo delle prestazioni contro la povertà potrebbe essere organizzato su più livelli: il catalogo base delle prestazioni nazionali, gestito e aggiornato dal livello statale; ulteriori schede sulle prestazioni locali, mantenendo la stessa struttura e funzionalità di ricerca. Ovviamente da tenere aggiornata con responsabilità locali. Ogni prestazione può essere descritta in una breve scheda che contenga: di che cosa si tratta, chi ne può fruire, con quali criteri di accesso ed erogazione; dove, come e quando si può richiedere (con la possibilità di stampare la relativa modulistica per la richiesta); ulteriori informazioni eventuali per gli operatori (indirizzi web, normativa). Di fronte al nucleo da informare l’operatore potrebbe riempire una “maschera” che descrive il nu-cleo, oppure cercare parole chiave e tag significativi (ad esempio per tipo di utenza), e ricavarne informazioni per sé, da descrivere agli utenti, e soprattutto una stampa mirata da consegnare al cittadino. Va segnalato che la costruzione di questo strumento, in parte sperimentato in alcuni Comuni, non implica rilevanti costi, perché questo sistema non deve gestire elaborazioni e processi, ma solo presentare risposte componendole in base alle schede del catalogo.

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8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE

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Come illustrato nel cap. 5, la presenza e l’utilizzo di questo catalogo saranno richiesto come requi-sito per l’accreditamento a: a) i soggetti responsabili della funzione di accesso e di prima verifica dei requisiti per accedere alla misura; b) quelli incaricati dell’incontro/colloquio di valutazione multidimensionale delle condizioni del nucleo familiare, sulla base del quale verrà definita la presa in carico e il percorso d’inclusione (sociale o lavorativa). Detto altrimenti, tutti i soggetti impegnati nel fornire il Reis nel territorio dovranno disporre di un ampio patrimonio d’informazioni condi-vise. Ciò sarà requisito di accreditamento valido in tutto il paese. Si aggiungono poi due auspici. Primo, che il catalogo possa venire utilizzato anche dalle realtà im-pegnate nel territorio a sostegno delle persone in povertà, ma non direttamente coinvolte nel Reis. Secondo, che le informazioni contenute nel catalogo riguardino sempre più non solo la povertà ma anche altri settori presso i quali inviare chi fa domanda per il Reis, ad esempio quelli concernenti non autosufficienza e disabilità. Si tratta, però, di auspici che sarebbe eccessivo inserire tra i crite-ri di accreditamento validi per tutto il paese. Se ne può, invece, augurare uno sviluppo a livello lo-cale (sviluppo che potrà essere facilitato dal lavoro di scambio di esperienze tra i diversi territori promosso dalle Regioni, così come dall’attività di queste ultime nel sostenere il miglioramento del-le realtà locali, tramite formazione e altro; vedi il cap. 4). APPENDICE B: SINTETICHE CHIARIFICAZIONI SULLA STIMA DEI COSTI DEL MONITORAGGIO E DELLA VALUTAZIONE

Voci di spesa € 1 anno € 5 anni

Quattro esperti del SUV (comprese spese di mobilità) 200.000 1.000.000

Venti persone per osservazione continua degli Ambiti-sentinella (comprese spese di mobilità)

800.000 4.000.000

SILFIDE - -

Due indagini campionarie “a due o tre onde” sulle condizioni di vita (per beneficiari operatori sociali; per controlli Istat): costo distribuito per anno

Cinque esperimenti randomizzati senza erogazione di un

trattamento oneroso (dimensione campionaria minima 350

trattati + 350 controlli; 3 rilevazioni)

550.000

250.000

2.750.000

1.250.000

Cinque esperimenti randomizzati con erogazione di un trattamento oneroso (di-mensione campionaria minima 350 trattati + 350 controlli; 3 rilevazioni): costo di-stribuito per anno

Costo totale

600.000

2.400.000

3.000.000

12.000.000

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9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS

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• La maggior spesa pubblica necessaria per l’introduzione del Reddito d’inclusione sociale è pa-ri a circa 5,3 miliardi di Euro annui. Si tratta della spesa a regime, cioè a partire dal quarto an-no della transizione. • -Al fine di reperire queste risorse si possono individuare varie strategie di finanziamento. Per essere ritenute utilizzabili, le strategie devono rispettare, simultaneamente, tre criteri di accet-tabilità: la concretezza (devono essere misurabili), l’equità (devono favorire le fasce di popola-zione con redditi più bassi) e l’efficienza (devono interferire il meno possibile con il funzio-namento del mercato e, se del caso, correggerne le inefficienze). • Il capitolo presenta numerose opzioni di finanziamento che rispettano i tre criteri, comincian-do da quelle riguardanti minori spese. Si guarda qui alla possibilità di riduzione e/o riordino di alcune voci di spesa per la previdenza e l’assistenza, con riferimento alle pensioni d’oro e ai trattamenti pensionistici di carattere assistenziale destinati specificatamente al sostegno del reddito (pensioni e assegni sociali, integrazioni al minimo delle pensioni). Interventi di questo tipo possono migliorare, da un lato, l’equità attuariale del sistema previdenziale, dall’altro, la

target efficiency della spesa per l’assistenza, permettendo di concentrare maggiormente le ri-sorse disponibili a favore dei più bisognosi. Vengono inoltre considerati, seppure impatto as-sai minore, possibili interventi sulle spese generali per le istituzioni. • Una parte delle risorse necessarie al finanziamento della nuova misura di contrasto della po-vertà assoluta potrebbe invece essere reperita dal lato delle entrate, attraverso: un incremento delle accise su tabacco e bevande alcoliche; una maggiore imposizione sui concorsi a premio; il riordino delle agevolazioni fiscali in sede IRPEF; il riordino dei trasferimenti alle imprese pri-vate; la proroga e la revisione del contributo di solidarietà in sede IRPEF; l’introduzione di una imposta progressiva sul patrimonio; la revisione dell’imposta sulle successioni e sulle dona-zioni; l’incremento della tassa di concessione governativa per la licenza di porto di fucile per uso caccia. • Complessivamente viene individuato un insieme di possibili misure per finanziare il Reis, o-gnuna coerente con i tre criteri di accettabilità indicati, le quali permetterebbero di recuperare risorse in un intervallo tra un minimo di 13.084 milioni di Euro annui e un massimo di 18.804 milioni. • Tra le opzioni così individuate, è responsabilità del decisore politico scegliere quali modalità di finanziamento privilegiare per ottenere i circa 5,3 miliardi necessari a regime.

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9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS

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9.1. INTRODUZIONE L’obiettivo di questo capitolo è individuare possibili strategie di finanziamento dirette al reperi-mento di risorse da destinare all’adozione del nuovo Reddito di inclusione sociale (Reis). Inizial-mente si quantificano le risorse necessarie all’istituzione del Reis (par 9.2) e in seguito si illustra-no la logica scelta per affrontare il tema del finanziamento e le ragioni che la sostengono (par 9.3). Il successivo paragrafo discute le possibili strategie di finanziamento, riguardanti maggiori entra-te e minori uscite (par. 9.4) mentre poi ne vengono esaminate le implicazioni distributive (par. 9.5 e 9.6). Infine, si forniscono alcuni spunti di riflessione inerenti la preferibilità di alcune fonti di fi-nanziamento tra le numerose analizzate in questo Capitolo (par 9.7). 9.2. LA SPESA

TAB 1 – LA SPESA ANNUALE AGGIUNTIVA A REGIME (DAL QUARTO ANNO)

MILIONI DI EURO

Contributo economico 4.425

Servizi alla persona 885

Monitoraggio e valutazione 2,5

Totale 5.312,5 A regime, cioè a partire dal quarto (e ultimo) anno della transizione, il Reis costa 5.312,5 milioni di Euro annui1, pari allo 0,30% del Pil2. Il totale si compone di tre parti: la spesa per il contributo e-conomico, quella destinata ai servizi alla persona e le risorse dedicate a monitoraggio e valutazio-ne (tab 1). Vediamole separatamente. La componente di spesa annua per la parte monetaria ammonta a 4.425 milioni di Euro, calcolati ipotizzando un take-up rate (cioè il rapporto tra il numero degli utenti effettivi e quello degli aventi diritto) pari al 75%. Come mostra il capitolo 3, si tratta di una percentuale piuttosto elevata, dato che in altri paesi simili al nostro il take-up rate è più basso e che la sperimentazione dell’RMI na-zionale di fine anni ’90, ampiamente pubblicizzata, lo vide arrivare al 67%. Nondimeno, le espe-rienze regionali esaminate da Spano ed altri hanno fatto registrare, nella gran parte dei casi, una percentuale al di sotto del 75% (Spano, Zanini e Trivellato, 2013). La parte di stanziamenti pubblici ulteriori da destinare ai servizi è di 885 milioni annui, uguale al 20% della componente per i contributi economici. A differenza di quest’ultima e della componente per monitoraggio/valutazione, però, i finanziamenti ulteriori dedicati ai servizi non corrispondo-no all’ammontare di risorse che risulteranno effettivamente disponibili. Infatti, agli 885 milioni bisogna aggiungere la spesa attuale dei Comuni per la lotta alla povertà, pari a 566 milioni di Euro 1 ). I 5.312,5 milioni di euro annui sono le risorse pubbliche addizionali da stanziare rispetto ad oggi. Circa 5,3 miliardi annui per una misura nazionale contro la povertà assoluta è un importo in linea con le altre stime esi-stenti in materia, si veda ad esempio il progetto “Costruiamo il welfare di domani: proposta di riforma delle politiche e degli interventi socioassistenziali” richiamato nel capitolo 1.

2 Questa percentuale è calcolata nell’ipotesi che l’introduzione del Reis avvenga nel quadriennio 2014-2017 e quindi il 2017 sia il primo anno a regime (cfr. cap. 10).

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annui3 (Istat, 2013). Il totale della spesa per la componente servizi ammonta, dunque, a 1451 mi-lioni annui, pari a circa un terzo della componente monetaria4. Queste risorse finanziano, innanzi-tutto, la verifica iniziale dei criteri di eleggibilità dei richiedenti, accompagnata da informazione e orientamento, e la successiva attività di valutazione multidimensionale e presa in carico degli uten-ti. Sulla base di alcuni studi precedenti, come l’analisi della sperimentazione del RMI nel periodo 1999-2022, è ragionevole supporre che queste attività richiedano una spesa pari al 10% della componente monetaria. La quota rimanente (maggioritaria) delle risorse per servizi serve a co-prire le attività legate all’inserimento sociale e lavorativo, che possono riguardare i centri per l’impiego, i servizi socio-sanitari, i servizi socio-educativi, altre componenti dei servizi sociali e al-tro ancora (cfr. cap. 6). S’immagina, dunque, che questa parte del budget venga allocata tra i diversi servizi menzionati in quote proporzionali al loro coinvolgimento nel percorso d’inserimento so-ciale e/o lavorativo. Il calcolo del costo della componente servizi merita alcune considerazioni. Innanzitutto, il tema è assai poco studiato, in Italia così come all’estero, dunque le nostre stime sono da ritenere provvi-sorie e maggiore ricerca è in merito è urgente. Ciò detto, l’ammontare di risorse ipotizzato è cer-tamente necessario per rendere concreto quel ruolo di primo piano dei servizi alla persona che noi auspichiamo, in linea con il dibattito italiano ed europeo. Detto altrimenti, forse ci vogliono maggiori risorse per i servizi, di sicuro meno non permetterebbero di realizzare una misura di lotta alla povertà assoluta degna di questo nome. Venendo a monitoraggio e valutazione, la spesa annua prevista è di 2,4 milioni annui, sulla base dei costi presentati in dettaglio nell’Appendice 2 del capitolo 8. Si tratta di risorse, che, pur residuali ri-spetto alla spesa complessiva del Reis, consentirebbero di svolgere le funzioni di monitoraggio e valutazione in modo coerente con il rilievo che il nostro progetto vi attribuisce. 9.3. LA LOGICA DEL FINANZIAMENTO Come reperire le risorse necessarie? La strada qui scelta si articola in tre passaggi. Primo, si defini-scono i criteri di accettabilità, cioè quelli che secondo noi ogni ipotesi di finanziamento deve ri-spettare – nel loro insieme - per poter essere giudicata utilizzabile. Sono: la concretezza (le opzio-ni devono essere misurabili), l’equità (devono favorire le fasce di popolazione con redditi più bas-si) e l’efficienza (devono interferire il meno possibile con il funzionamento del mercato e, se del caso, correggere le inefficienze del mercato stesso), come si cerca illustra nel prossimo paragrafo. Secondo, s’individuano un mix di misure di riduzione e/o riordino della spesa pubblica e di incre-menti di imposizione fiscale che rispettano tali criteri e sulle quali si ritiene possibile intervenire. Dato il contesto economico attuale e i vincoli di natura politica esistenti, è inevitabile che il piano di finanziamento faccia riferimento a un insieme piuttosto ampio e variegato di strumenti. Di o-gnuna delle possibili fonti di finanziamento si quantificano la minore spesa o il maggior gettito che ne potrebbe derivare e, ove possibile, l’impatto redistributivo atteso. Come si vedrà, l’insieme degli interventi prospettati permetterebbe di raccogliere risorse comprese tra i 13 e i 19 miliardi di Euro, dunque ben al di sopra dei circa 5,3 miliardi necessari al Reis a regime. Il terzo e ultimo passaggio nella definizione della nostra logica di finanziamento consiste nella scelta di quali fonti 3 I 556 milioni sono il totale della voce “Povertà, disagio adulti e senza fissa dimora” nell’indagine censuaria Istat sulla spesa per servizi e interventi sociali, riferito al 2010, l’anno più recente disponibile (Istat, 2013). Questa voce si divide, a sua volta, in spesa per servizi (da aggiungere alla stima della spesa Reis perché rivolta alla sua stessa popolazione target) e in spesa per trasferimenti monetari (da aggiungere perché non viene conteggiata nei modelli economici che stimano le risorse disponibili per gli interventi pubblici contro la povertà e quelle necessarie, cfr. cap. 3). 4 Si è presa a riferimento questa percentuale, pur nella grande incertezza degli studi in materia (si veda oltre), sulla base delle esperienze italiane già menzionate negli altri capitoli della proposta e di alcuni studi comparativi (in par-ticolare Immervol, 2010, 2012; Frazer & Marlier, 2009; Kuddo, 20102).

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di finanziamento privilegiare, tra quelle qui proposte, per finanziare la misura: questa decisione non può che spettare al livello politico. Prende così forma un approccio alternativo alla diatriba – dai tratti sovente schizofrenici – tra chi sostiene che “con tutti gli sprechi esistenti nel sistema pubblico si possono trovare tante risorse” e coloro i quali controbattono affermando che “non si può fare niente perché non ci sono soldi”. Co-me si cercherà di dimostrare nel prosieguo del capitolo, alcune risorse finanziarie possono essere recuperate, probabilmente minori di quanto ritengano i primi ma maggiori di ciò che pensano i secondi. Ciò detto, la scelta sulle specifiche strategie di finanziamento da adottare è nelle mani della politica. È, invece, compito di chi avanza una proposta mostrare che gli stanziamenti disponibili, se si vuo-le, non solo ci sono, ma si possono anche trovare nel rispetto di elementari principi di equità ed ef-ficienza. 9.3.1. Criteri di accettabilità delle strategie di finanziamento Al fine di individuare possibili strategie di finanziamento del Reis occorre definire i criteri per l’accettabilità tecnica e politica delle strategie medesime: si ritiene che tali criteri debbano avere a che fare con i possibili effetti di equità ed efficienza che il finanziamento della nuova misura (Reis) può determinare. In linea di principio ciascuna modalità di finanziamento del nuovo istituto di lot-ta alla povertà assoluta dovrebbe, infatti, poter essere valutata negli effetti che essa produce sui comportamenti economici (aspetti di efficienza) e sulla distribuzione finale delle risorse (aspetti di equità). Risulta altresì immediatamente evidente che il prerequisito fondamentale di qualsiasi cri-terio di accettabilità delle diverse modalità di finanziamento del Reis consiste nella possibilità di misurarle in modo puntuale e di poterne esaminare gli effetti economico-sociali. Lo strumento ideale per analizzare gli effetti di equità ed efficienza di ipotetiche forme di finan-ziamento del nuovo istituto di lotta alla povertà assoluta sarebbe un modello di microsimulazione tax-benefit. Questo tipo di modellistica è infatti in grado di quantificare non solo l’impatto sul bi-lancio pubblico delle diverse fonti di finanziamento della nuova misura, ma anche di valutare gli effetti di breve periodo sui bilanci familiari e sulla distribuzione del reddito (analisi di equità), nonché le possibili reazioni comportamentali, con particolare riferimento alle scelte individuali in materia di offerta di lavoro e/o di risparmio (analisi di efficienza). Ciò detto, approfondiamo ora ulteriormente i tre criteri di accettabilità. a)Concretezza Questo criterio potrebbe apparire a prima vista scontato ma così non è. È con riferimento a un principio di concretezza che, ad esempio, la nostra proposta non contempla, tra le possibili fonti di finanziamento del Reis, un recupero di risorse dal lato della lotta all’evasione fiscale e/o alla corru-zione, essendo tali misure di incerta quantificazione. b)Equità Si tratta evidentemente di valutare se, e in che misura, gli ipotetici interventi dal lato del finanzia-mento del nuovo Reddito di inclusione sociale producano effetti sul livello della diseguaglianza e della povertà economica. Sotto il profilo dell’equità, e per quanto questo concetto sia passibile di diverse interpretazioni, appaiono preferibili quelle forme di finanziamento che determinano una riduzione della forbice tra ricchi e poveri o una redistribuzione a favore dei nuclei familiari di red-dito più basso.

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c) Efficienza Si tratta qui, invece, di studiare i possibili effetti di medio-lungo periodo che tale finanziamento a-vrebbe sulle scelte economiche degli individui: si può presumere, infatti, che qualunque forma di tassazione e di spesa pubblica per l’assistenza subordinata a criteri di selettività economica, o loro ipotetiche riforme, influenzi le scelte economiche dell’individuo, determinando, ad esempio, un di-sincentivo all’offerta di lavoro e quindi alla produzione del reddito. Un incremento delle aliquote d’imposta o un’accentuazione della selettività sottesa alla fornitura di determinati programmi di spesa di welfare, aumentano infatti il carico fiscale che grava sul reddito (individuale o familiare) o riducono l’importo del beneficio assistenziale a cui si ha diritto. Sempre con riferimento ad un’analisi di efficienza, in linea teorica, si potrebbe anche voler misurare se, e quanto, ciascuna ipotetica misura di finanziamento del nuovo istituto di contrasto della povertà assoluta incida ne-gativamente sul tasso di crescita potenziale dell’economia o se, al contrario, sia in grado di correg-gere eventuali distorsioni preesistenti sui mercati. È evidente che, sotto questo profilo, sono tanto più accettabili quelle misure di finanziamento che hanno il minimo impatto distorsivo sulle scelte economiche degli individui o delle famiglie. Nella costruzione delle nostre ipotesi di finanziamento ai tre criteri guida illustrati si affianca un preciso approccio verso il tema in esame. Si tratta di una certa parsimonia nell’individuare le op-zioni da includere tra le strategie di finanziamento possibili, come mostrano alcuni esempi. Primo, per ognuna delle ipotesi di finanziamento considerate vengono presentati un valore minimo ed un valore massimo di risorse ottenibili: quest’ultimo, nella maggior parte dei casi, è piuttosto inferio-re all’ammontare più alto di risorse che si potrebbe effettivamente ottenere applicandola. Secon-do, non vengono considerate le risorse ulteriori che si potranno liberare nel periodo 2014-2017 grazie al maggior gettito dovuto alla ripresa della crescita del Pil (cfr. cap 10). Terzo, non vengono presi in considerazione stanziamenti aggiuntivi che potrebbero essere resi possibili da un even-tuale allentamento dei vincoli europei alla spesa pubblica. La congiunzione tra l’approccio parsi-monioso e il criterio della concretezza porta alla luce il messaggio di fondo del capitolo, che emer-gerà nelle prossime pagine: è difficile trovare le risorse per il Reis ma se esiste una volontà politica in questa direzione è possibile farlo, ed è possibile farlo compatibilmente con i criteri di giustizia sociale e sostegno allo sviluppo economico, che sono da ritenersi imprescindibili. Salvo rarissime eccezioni, la modellistica di microsimulazione impiegata in Italia, ma anche a livel-lo europeo, si limita a considerare i soli effetti d’impatto delle politiche pubbliche di spesa e di pre-lievo di tipo monetario; non vengono invece presi in esame né la redistribuzione attuata tramite i servizi (si pensi alla spesa pubblica per l’istruzione, per la sanità o agli interventi nel campo delle politiche abitative), né gli effetti di più lungo termine che tali politiche o loro ipotetiche riforme possono determinare sui comportamenti economici. Il modello di simulazione adottato in questa sede rientra in quest’ultima famiglia di strumenti d’analisi, essendo stato sviluppato, messo a pun-to e applicato ripetutamente nello studio degli effetti sul bilancio pubblico e sulla distribuzione personale del reddito delle principali riforme tributarie realizzate nel nostro paese dalla metà del decennio scorso ad oggi.

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9.4. LE STRATEGIE DI FINANZIAMENTO5

9.4.1. Minori spese Non è tra gli obiettivi del presente capitolo quello di indagare se e in che grado siano disponibili spazi di riduzione dei livelli attuali della spesa pubblica complessiva, a partire dalla individuazione di possibili aree di spreco o di inefficienza presenti nell’organizzazione dell’offerta dei servizi e investimenti pubblici e negli interventi finanziari disposti a favore di famiglie e/o imprese. La no-zione di inefficienza nella produzione di servizi pubblici e nell’organizzazione dell’intervento pubblico ha una tale varietà e complessità di dimensioni che meriterebbero una trattazione sepa-rata, che va ben al di là del presente lavoro6. La Tabella 2 riporta per il 2011 la spesa pubblica primaria per funzioni rispetto al PIL in Italia, in alcune delle economie europee facenti parte del nucleo precedente all’allargamento ad Est e nella media a 27 paesi (UE-27), mentre la Tabella 3 riporta la corrispondente composizione della spesa primaria. Fatta eccezione per la spesa per la protezione sociale, che risulta più alta della media eu-ropea di circa un punto percentuale assoluto, le altre voci relative all’Italia (Tabella 1) sono minori o al più sostanzialmente uguali a quelle che si registrano mediamente nel resto dell’Europa. Lie-vemente superiori alla media europea risultano solo la spesa per i servizi generali (3,9 per cento del PIL in Italia contro il 3,7 in Europa), l’ordine pubblico (2 per cento del PIL contro l’1,9) e la sa-nità (7,4 per cento contro 7,3). Analoghe considerazioni valgono se si considera la composizione della spesa primaria (Tabella 3). Come si evince dai dati, il 45,5 per cento della spesa primaria in Italia è assorbita dalla protezione sociale, contro il 42,4 per cento in Europa. È questa l’unica voce che, in relazione al forte peso che al suo interno riveste la spesa per pensioni, registra un sensibile differenziale positivo (circa tre punti percentuali) tra il nostro paese e il resto d’Europa. TABELLA 2. SPESA PUBBLICA PRIMARIA RISPETTO AL PIL - 2011

Paese Servizi

generali Difesa

Ordine pubblico

Affari e-conomici

AmbienteAbitazioni e territo-

rio Sanità Cultura Istruzione

Protezione sociale

Totale spesa

primaria

Italia 3,9 1,5 2,0 3,6 0,9 0,7 7,4 0,6 4,2 20,5 45,1

Francia 3,9 1,8 1,8 3,5 1,1 1,9 8,3 1,4 6,0 23,9 53,4

Germania 3,7 1,1 1,6 3,5 0,7 0,6 7,0 0,8 4,3 19,6 42,8

Belgio 4,5 1,0 1,8 6,5 0,8 0,4 7,9 1,3 6,2 19,5 49,8

Irlanda 2,2 0,4 1,8 7,9 1,0 0,6 7,5 0,9 5,2 17,3 44,8

Grecia 5,6 2,4 1,7 3,2 0,5 0,2 6,0 0,6 4,1 20,4 44,6 5 Nella definizione delle possibili fonti di finanziamento del nuovo Reddito di inclusione sociale non si fa riferimento alle risorse che si renderanno disponibili ad opera del Fondo sociale europeo, relativamente al periodo di program-mazione 2014-2020, non essendo ancora stati perfezionati (al momento della stesura del presente lavoro) gli “accordi di partenariato” e i programmi operativi previsti dalla Commissione europea. La promozione dell’inclusione sociale e la lotta alla povertà rientra, tuttavia, tra le aree tematiche rilevanti per le singole missioni/obiettivi individuati a livel-lo comunitario per quanto concerne l’uso del Fondo sociale 2014-2020. 6 Sulla performance delle amministrazioni pubbliche in tema di economicità, qualità ed efficienza dei servizi pubblici in Italia, con particolare riferimento al tema della “revisione della spesa pubblica” (spending review), si veda il Rappor-to presentato dall’allora Ministro con delega al programma di governo, Piero Giarda, al consiglio dei Ministri del 30 aprile 2012, poi confluito nel Rapporto riguardante l’analisi di alcuni settori della spesa pubblica (Presidenza del Con-siglio dei Ministri 2013). Sul tema della revisione della spesa pubblica nel contesto più ampio delle riforme istituzio-nali si veda anche il Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti (Corte dei Conti 2013, pp.65-75, 221-245).

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Spagna 3,2 1,1 2,2 5,3 0,9 0,6 6,3 1,5 4,7 16,9 42,7

Finlandia 5,9 1,5 1,5 4,8 0,2 0,6 7,8 1,2 6,4 23,7 53,6

Svezia 6,1 1,5 1,4 4,2 0,3 0,7 7,0 1,1 6,8 20,8 49,9

Regno Unito 2,4 2,5 2,6 2,6 1,0 0,9 8,0 1,0 6,5 17,9 45,4

Media UE-27 3,7 1,5 1,9 4,0 0,9 0,9 7,3 1,1 5,3 19,6 46,2

Fonte: Ragioneria gene-rale dello Stato, 2013.

TABELLA 3. COMPOSIZIONE DELLA SPESA PUBBLICA PRIMARIA - 2011

Paese Servizi

generali Difesa

Ordine pubblico

Affari e-conomici

AmbienteAbitazioni e territo-

rio Sanità Cultura Istruzione

Protezione sociale

Totale spesa

primaria

Italia 8,6 3,3 4,4 8,0 2,0 1,6 16,4 1,3 9,3 45,5 100,0

Francia 7,3 3,4 3,4 6,6 2,1 3,6 15,5 2,6 11,2 44,8 100,0

Germania 8,6 2,6 3,7 8,2 1,6 1,4 16,4 1,9 10,0 45,8 100,0

Belgio 9,0 2,0 3,6 13,1 1,6 0,8 15,9 2,6 12,4 39,2 100,0

Irlanda 4,9 0,9 4,0 17,6 2,2 1,3 16,7 2,0 11,6 38,6 100,0

Grecia 12,6 5,4 3,8 7,2 1,1 0,4 13,5 1,3 9,2 45,7 100,0

Spagna 7,5 2,6 5,2 12,4 2,1 1,4 14,8 3,5 11,0 39,6 100,0

Finlandia 11,0 2,8 2,8 9,0 0,4 1,1 14,6 2,2 11,9 44,2 100,0

Svezia 12,2 3,0 2,8 8,4 0,6 1,4 14,0 2,2 13,6 41,7 100,0

Regno Unito 5,3 5,5 5,7 5,7 2,2 2,0 17,6 2,2 14,3 39,4 100,0

Media UE-27 8,0 3,2 4,1 8,7 1,9 1,9 15,8 2,4 11,5 42,4 100,0

Fonte: Elaborazione su dati Ragioneria generale dello Stato, 2013.

Se si considera l’attuale struttura della spesa pubblica primaria, sembra difficile nel breve periodo trovare margini di manovra che comportino, ai fini del finanziamento del Reis, un significativo re-cupero di risorse dal lato della spesa, se non con riferimento alla protezione sociale e, segnatamen-te, alla spesa previdenziale e assistenziale. Più in particolare, le risorse necessarie per finanziare la nuova misura a contrasto della povertà assoluta potrebbero essere reperite attraverso i canali illu-strati di seguito. Interventi in materia di spesa per la previdenza Sul versante della spesa previdenziale, risparmi di spesa a carico delle pensioni più elevate an-drebbero nella direzione di rendere più incisive le restrizioni alla perequazione automatica al tas-so di inflazione delle pensioni e i prelievi sulle cosiddette pensioni d’oro, peraltro già introdotti fin dall’estate 2011 e a valere per il biennio successivo. Rientrerebbero in questo gruppo di interventi il blocco della rivalutazione automatica di tutti i trattamenti pensionistici che raggiungono un de-terminato importo (tipicamente un multiplo del trattamento minimo INPS) o una loro rivalutazio-

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ne inferiore al 100 per cento7, e il contributo di solidarietà sulle pensioni di importo superiore a determinati livelli (nel 2012 tale soglia era stata fissata a 90 mila euro annui). Interventi di questo tipo, e in particolare il ricorso a un contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro, avrebbero un ca-rattere progressivo e quindi di equità verticale (tale da ridurre le distanze relative tra i redditi dei pensionati) e si concentrerebbero principalmente sui trattamenti di anzianità erogati in anni pas-sati, in media più alti e palesemente non rispettosi del concetto di equità attuariale (Baldini e Paci-fico 2011; Mazzaferro e Morciano 2012; Boeri e Nannicini 2013). In aggiunta ai problemi di legit-timità costituzionale che interventi restrittivi di questo tipo sollevano, rimarrebbe da valutare, sul piano strettamente economico, quanto essi possano rallentare la dinamica della domanda aggrega-ta per consumi in una fase di persistente stagnazione dell’economia. Al netto degli effetti dell’imposizione fiscale e del loro carattere più o meno permanente, si stima che questi interventi sulla spesa pensionistica possano permettere di recuperare 1-1,5 miliardi di euro. Interventi in materia di spesa per l’assistenza Per quanto concerne, invece, gli interventi sul versante della spesa per assistenza, essi si giustifi-cherebbero, oltre che sul piano del recupero di risorse utili a finanziare la nuova misura, anche e soprattutto sul piano del conseguimento di una più elevata target efficiency della spesa stessa, ov-vero della capacità di andare a vantaggio dei soggetti effettivamente meritevoli di sostegno eco-nomico pubblico. Alcune stime mostrano come circa un quarto della spesa per pensioni sociali (1 miliardo su 4) e il 60 per cento della spesa per indennità di accompagnamento (la cui spesa complessiva si aggira sui 12 miliardi) vadano a vantaggio del 50 per cento più ricco delle famiglie italiane (IRS 2011). Se il dato per le indennità di accompagnamento riflette l’opportuna assenza di qualunque forma di se-lettività economica, quello relativo alla spesa per pensioni e assegni sociali denota invece l’insoddisfacente impatto redistributivo della normativa vigente. Dalla revisione dei criteri di me-ans-testing che si applicano alla spesa per assegni e pensioni sociali sarebbe possibile ottenere una riduzione di spesa di circa 1 miliardo di euro. Ciò potrebbe essere conseguito attraverso una modifica dei criteri di selettività a cui è condizionato il calcolo dell’importo del beneficio - criteri basati sul reddito dichiarato a fini fiscali (IRPEF) – e, in particolare, con l’estensione dell’ISEE an-che a tali prestazioni. Anche la distribuzione della spesa della componente integrata al minimo delle pensioni è verosimi-le che abbia un andamento non conforme a elementari criteri di equità verticale: in passato alcuni studi hanno stimato che non più del 25 per cento del totale di questo programma di spesa andasse ai nuclei familiari che occupavano i due decili più poveri della distribuzione (Toso 2000)8. Consi-derando che la spesa per le integrazioni al minimo delle pensioni è attualmente nell’ordine di 11-12 miliardi di euro, non si può non rimarcare la deludente azione di contrasto della povertà eserci-tata da questo istituto. L’introduzione del metodo contributivo, con la riforma Dini delle pensioni, ha in linea di principio fatto venire meno l’istituto dell’integrazione al minimo della pensione, sen-za tuttavia comportarne l’immediato superamento, considerati i tempi lunghi con i quali la riforma 7 Come è noto, la legge n. 214/2011, di conversione del decreto “Salva-Italia”, ha previsto per il biennio 2012-2013 la rivalutazione integrale per le pensioni fino a tre volte il minimo e nessun incremento sopra a tale soglia. Dal 2014 si sarebbe dovuto tornare al sistema delineato in precedenza dalla l. n. 388/2000, con la rivalutazione al 90% per le pensioni tra tre e cinque volte il minimo INPS e al 75 per cento oltre cinque. Nella legge di stabilità per il 2013 (l. n. 228/2012, art. 1, c. 236), tuttavia, al fine di trovare risorse finanziarie per i cosiddetti lavoratori esodati, è stato stabi-lito per il 2014 di non rivalutare le pensioni che superano la soglia di sei volte il trattamento minimo. 8 Più recenti analisi contenute nel rapporto “Costruiamo il welfare di domani: proposta di riforma delle politiche e de-gli interventi socioassistenziali”, di IRS e Fondazione Cariplo ( richiamato nel capitolo 1), mostrano la persistenza di forti iniquità nella distribuzione di questa spesa.

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andrà a regime. Anche in questo caso, analogamente a quanto scritto sopra con riferimento a pensioni/assegni sociali, si potrebbe ipotizzare una revisione dei criteri di verifica della condizio-ne economica a cui è subordinato il computo dell’integrazione al minimo che comporti l’adozione dell’ISEE. Da tale riforma sarebbe possibile ottenere una minor spesa stimabile in via prudenziale di circa 2,5-3,5 miliardi di euro. Un ulteriore capitolo di spesa che, se riformato, potrebbe contribuire al finanziamento di una nuova misura di contrasto della povertà, è quello delle pensioni di guerra indirette (ossia erogate al coniuge una volta deceduto il beneficiario), per le quali può essere opportuno condizionarne l’accesso a stringenti criteri di verifica della condizione economica, essendo meno cogente la natu-ra risarcitoria della prestazione. Attualmente la spesa per pensioni di guerra indirette è stimabile in poco più di 500 milioni. 3)Riduzione spesa pubblica per i servizi generali Le tabelle 2 e 3 mostrano uno scostamento nella spesa per i servizi generali delle amministrazioni pubbliche tra il nostro paese e la media europea. Come quota di Pil siamo 0,2 punti percentuali al di sopra della media (3,9 rispetto a 3,7) e come quota della spesa pubblica primaria siamo sopra di 0,6 punti percentuali (8,6 rispetto ad 8,0). Questa voce di spesa copre i costi di funzionamento delle istituzioni e al suo interno è così suddivisa: 63% del totale per “Organi esecutivi e legislativi, attività finanziarie e fiscali e affari”, 19% per “servizi generali”, e poi varie funzioni minori (Ra-gioneria Generale dello Stato, 2013). Pur essendo la portata di questa strategia di finanziamento più contenuta rispetto alla quasi totali-tà di quelle riguardanti minori spese, in un’epoca storica segnata da particolare attenzione ai costi del sistema politico-istituzionale e davanti a dati empirici che ne mostrano una spesa dedicata par-ticolarmente alta è parso opportuno inserirla. L’ipotesi massima è 1,6 miliardi, pari a quello 0,2% del Pil che ci distanzia dalla media europea, mentre l’ipotesi minima è di 0,8 miliardi, cioè lo 0,1% del Pil. In sintesi, esistono, almeno sulla carta, ampi margini di manovra, sia per ricondurre a obiettivi di maggiore equità la spesa per l’assistenza corrente, sia per recuperare risorse ai fini del sostegno del reddito di famiglie in condizioni di effettivo disagio economico. Complessivamente, gli inter-venti proposti sul versante della spesa, oltre a contribuire alla riqualificazione dei principali tra-sferimenti monetari gestiti direttamente dal governo centrale, garantirebbero una disponibilità di risorse comprese tra 6,3 e 8,6 miliardi di euro (si veda, più avanti, la Tabella 4). 9.4.2. Maggiori entrate Per quanto riguarda le maggiori entrate, le risorse potrebbero essere reperite attraverso le se-guenti misure. 1) Un incremento dell’accisa sul tabacco. Nel 2011 il gettito derivante dal consumo di tabacco è stato pari a 10,4 miliardi, solo moderatamente cresciuto nell’ultimo quinquennio (il gettito 2006 era pari a 9,3 miliardi) (Banca d’Italia, 2012). Rispetto ad altri paesi, l’Italia è caratterizzata da un prezzo di vendita del tabacco relativamente basso, nonostante i tributi costituiscano circa il 75 per cento del prezzo di vendita. Un incremento troppo consistente delle accise in questo comparto potrebbe determinare una forte contrazione dei volumi di vendita, già in calo nell’ultimo biennio a causa sia della crisi economica, sia della cre-scita dell’utilizzo delle cosiddette sigarette elettroniche. Un lieve incremento dell’accisa (e l’introduzione, come sembra sia possibile, di un’accisa per le sigarette elettroniche) potrebbe inve-ce costituire un’adeguata fonte di finanziamento.

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Tale misura dovrebbe peraltro incontrare una scarsa resistenza politica, a causa delle forti esterna-lità negative prodotte dal fumo. Considerando solamente le famiglie dove risiede almeno un fuma-tore, l’incidenza della spesa per il tabacco è fortemente decrescente all’aumentare del reddito; l’impatto distributivo atteso dall’incremento del sistema di accise sul tabacco è pertanto regressi-vo (vedi infra). Tale risultato non deve tuttavia essere da ostacolo, a causa delle ricordate esternalità negative del consumo di tabacco. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità, i volumi di vendita legali di tabacco in Italia ammontano a circa 90 mila tonnellate all’anno. Poiché un chilogrammo equivale a circa mille siga-rette, i pacchetti di sigarette venduti nel circuito regolare annualmente sono quantificabili in 4,5 miliardi. Ipotizzando una variazione del sistema dell’accisa che consenta un aumento di 25 cente-simi del prezzo di ogni pacchetto venduto, l’incremento di gettito è quantificabile in un 1,1 miliar-di di euro; ipotizzando un aumento del prezzo di vendita pari solamente a 10 centesimi, il gettito aggiuntivo è stimabile in circa 450 milioni di euro. Poiché non è ancora certa l’introduzione dell’accisa sulle sigarette elettroniche ed è difficile poter prevedere la possibile riduzione del con-sumo di tabacco nei prossimi anni, si considerano prudentemente incrementi di gettito minori del 15 per cento rispetto a quelli calcolati con gli ultimi dati disponibili, pari a 900 e 380 milioni di eu-ro, rispettivamente. 2) Un incremento dell’accisa sulla produzione di bevande alcoliche. Attualmente l’accisa sul vino è assente; l’accisa sulla birra è pari a 2,35 euro per ettolitro e per grado plato, mentre è pari a 68,51 euro per ettolitro per i prodotti alcolici intermedi. Per quanto riguarda la birra, il gettito derivante dall’accisa è pari nel 2011 a 529 milioni di euro (Relazione generale sulla situazione economica del paese – 2011, 2012). Nel 2011 sono stati pro-dotti 13,4 milioni di ettolitri e consumati 17,7 milioni; i volumi importati ammontano a 6,4 milioni mentre le esportazioni sono pari a 2,1 milioni di ettolitri. In media oggi l’accisa per litro di birra prodotta è pari a 39 centesimi di euro. Ipotizzando un aumento dell’accisa di 10 centesimi sarebbe possibile ottenere un gettito aggiuntivo di circa 130 milioni di euro. Per quanto riguarda gli spiriti, il gettito dell’accisa nel 2011 è pari a 554 milioni di euro (Relazione generale – 2011, 2012), corrispondenti a circa 8 milioni di ettolitri. Ipotizzando anche per questo comparto un incremento dell’accisa nell’ordine di 10 centesimi sarebbe possibile ottenere un maggior gettito stimabile in circa 80 milioni di euro. Passando al vino, dati gli elevati volumi di vendita (il raccolto 2012 è stimato in circa 40,8 milioni di ettolitri), sarebbe possibile, anche con l’introduzione di una accisa decisamente contenuta, pari ad esempio alla metà di quella oggi applicata in media sulla birra (20 centesimi di euro al litro), ottenere un gettito di circa 800 milioni di euro. Applicando un’accisa pari ad un quarto di quella prevista in media oggi sulla birra (10 centesimi di euro) il gettito ottenibile sarebbe pari a circa 400 milioni. Infine, poiché l’Italia è anche un forte esportatore di vino, una parte consistente dell’accisa (nell’ipotesi di piena traslazione) non inciderebbe sui costi dei produttori nazionali ma graverebbe sui consumatori esteri, rendendo politicamente più appetibile l’introduzione di un’accisa sul vino, oggi assente. 3) Un incremento del prezzo di vendita dei concorsi a premio (lotto e superenalotto) e l’introduzione o l’aumento dell’aliquota d’imposta sulle vincite. Le entrate derivanti da lotto e lotte-rie sono complessivamente pari nel 2011 a 12,8 miliardi di euro (Banca d’Italia, 2012). Secondo i dati dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (2012), l’ammontare complessivo della rac-colta dei giochi nel 2011 è pari a 79,8 miliardi di euro. La quota trasferita all’erario è variabile da

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gioco a gioco: è circa il 50 per cento per il Superenalotto, ma per molti altri giochi le percentuali sono inferiori. L’ammontare delle vincite pagate è pari a 61,3 miliardi; molte vincite sono esenti da imposta oppure tassate con aliquote estremamente ridotte. Scomponendo l’ammontare complessivo, i giochi che garantiscono la maggior raccolta sono quel-li delle “macchinette” e i giochi on line, per un ammontare pari a 44,9 miliardi di euro; seguono le lotterie (10,1 miliardi), il lotto (6,8), i giochi di carte (6,2), i giochi a base sportiva e ippica (com-plessivamente 5,3 miliardi) e il superenalotto (2,4 miliardi di euro). Chiudono il quadro i giochi di abilità a distanza (2,3 miliardi) e il bingo (1,9 miliardi). Ipotizzando l’incremento del prezzo di giocata di ogni gioco del 10 per cento, a parità di condizioni l’incremento della raccolta sarebbe pari a 8 miliardi di euro. È difficile stimare l’elasticità della rac-colta rispetto al prezzo di vendita; in via prudenziale si può supporre che la raccolta possa aumen-tare di 5 miliardi. Supponendo che all’erario ne affluisca una quota media del 20 per cento, l’incremento delle entrate sarebbe pari a 1 miliardo. La principale fonte di variazione di entrata è tuttavia costituita dall’imposizione sulle vincite. Ipo-tizzando una variazione d’imposizione del 5 per cento, l’incremento delle entrate sarebbe quanti-ficabile in 3 miliardi di euro. È da notare che in molti casi si tratterebbe di introdurre un’imposizione oggi assente (per le vincite al di sotto di una certa soglia), con un’aliquota decisa-mente contenuta. Inoltre, con la ritenuta alla fonte, l’imposta dovuta dal giocatore determinerebbe una riduzione del premio, con una scarsa percezione dell’imposta pagata. Dalle misure adottate sa-rebbe pertanto possibile ricavare complessivamente 3 o 4 miliardi di euro di euro. 4) Riordino delle cosiddette spese fiscali (tax expenditures) in sede di imposta personale e progres-siva sul reddito e riordino dei trasferimenti alle imprese private. Come indicato dalla Commissione Ceriani (2011), nell’ordinamento fiscale italiano sono presenti diverse centinaia di agevolazioni fiscali, alcune riguardanti le persone fisiche, altre le imprese9. 4.1) Per quanto riguarda le persone fisiche la Commissione indica un mancato gettito (rispetto al regime ordinario) pari a circa 104 miliardi di euro. La maggior parte di queste agevolazioni danno concreta attuazione al principio di discriminazione qualitativa dei redditi (si pensi alle detrazioni per redditi di lavoro) o perseguono finalità di equità orizzontale e sostegno delle responsabilità familiari (si pensi alle detrazioni per carichi di famiglia). Esistono tuttavia alcune tipologie di age-volazioni in sede IRPEF che potrebbero rientrare nel regime ordinario dell’imposta, alcune perché conferiscono regressività al nostro sistema fiscale avvantaggiando prevalentemente i contribuenti a reddito medio-alto, altre perché non si intuisce la ragione economica che giustifica il loro man-tenimento (oltre che essere fonte di complessità e scarsa trasparenza del sistema tributario)10. I-noltre, anziché ipotizzare, come spesso proposto, un taglio lineare di tutte le deduzioni e detrazioni per oneri, sarebbe più coerente prevedere, analogamente a quanto avviene oggi per le detrazioni per redditi di lavoro e per carichi familiari, che la quota di deduzione e detrazione fiscalmente am-messa sia decrescente all’aumentare del reddito. Il maggior gettito derivante da queste misure po-trebbe essere pari a 1-1,5 miliardi di euro. 4.2) La Commissione Giavazzi (2012) ha stimato (si veda anche Affuso e Nannariello (2011) e Servizio Studi del Senato (2011)) che la riforma e la razionalizzazione delle agevolazioni alle im- 9 Sull’argomento si veda anche il citato Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica (Corte dei Conti, 2013, pp.45-53). 10 Ad esempio: la forte sottostima dei redditi dei terreni e dei fabbricati; la deduzione della rendita rivalutata dell’abitazione di residenza dalla base imponibile; l’esenzione per i contribuenti con redditi da fabbricati inferiori a 500 euro e da terreni inferiori a 186 euro; detrazione per interessi passivi sui mutui per abitazioni diverse da quella di residenza; le deduzioni per le erogazioni liberali; le detrazioni per spese veteri-narie, ecc..

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prese su cui si potrebbe intervenire nel breve periodo, con riduzioni di spesa, potrebbe garantire risparmi pari a circa 10 miliardi di euro. La maggior parte della razionalizzazione di questo com-parto sarebbe destinata alla riduzione del costo del lavoro, particolarmente elevato nel nostro pae-se. Una parte minore (circa 500 milioni di euro, pari al 5 per cento del totale) potrebbe essere de-stinato al finanziamento del contrasto alla povertà assoluta. 5) Proroga e revisione del contributo di solidarietà in sede IRPEF. Per il triennio 2011-2013 è pre-visto un contributo di solidarietà pari al 3 per cento per i redditi superiori ai 300 mila euro, da ap-plicarsi solamente alla parte di reddito eccedente i 300 mila euro. Il contributo di solidarietà rap-presenta tuttavia un onere deducibile dal reddito complessivo del contribuente. Secondo gli ultimi dati sulle dichiarazioni (relativi al periodo d’imposta 2011), i contribuenti che dichiarano più di 300 mila euro di reddito complessivo IRPEF sono 31.752, e il loro reddito complessivo medio è pa-ri a 581 mila euro. Ipotizzando un contributo di solidarietà pari all’1,5 per cento a partire dal peri-odo d’imposta 2014, reso indeducibile dal reddito complessivo, il maggior gettito è pari a circa 134 milioni di euro11. 6) Introduzione di un’imposta progressiva sul patrimonio (valori mobiliari e immobiliari) focaliz-zata solamente sui grandi patrimoni. Nonostante oggi i flussi informativi consentano di individua-re l’ammontare di investimenti mobiliari in capo ad ogni soggetto, la gestione di questo flusso in-formativo necessita tuttavia di tempo per essere implementata in modo corretto. In via prudenzia-le, pertanto, nel breve periodo potrebbe essere introdotta una nuova imposta la cui base imponibile è costituita dai grandi patrimoni immobiliari. Per i contribuenti interessati, questa nuova imposta dovrebbe essere aggiuntiva all’IMU. Il sistema così strutturato sarebbe caratterizzato da una duplice forma di imposizione sui valori immobiliari: un’imposta reale con aliquota proporzionale su ogni immobile il cui gettito è destinato al finan-ziamento dei Comuni (l’IMU) e una progressiva sul coacervo patrimoniale, finalizzata ad incre-mentare la progressività complessiva del nostro sistema tributario. La rivisitazione del sistema impositivo sui patrimoni, anche se necessaria a causa dell’arretratezza del nostro sistema catastale, potrebbe tuttavia non ottenere il consenso politico. Il passaggio dall’ICI all’IMU ha determinato una variazione di gettito di circa 14 miliardi. Per questi motivi, si stima che da questa nuova imposta, limitata ai grandi patrimoni immobiliari, possano derivare maggiori entrate variabili tra uno e due miliardi di euro a seconda della struttura dell’imposta. 7) Revisione dell’imposta sulle successioni e donazioni. Nel 2012 il gettito di tale imposta è stato pari a 586 milioni di euro: nel contesto europeo l’Italia si caratterizza per un modesto gettito di questa natura. Rivedendo le franchigie e le aliquote attualmente applicate sarebbe possibile au-mentarlo del 10 per cento, rendendo disponibili ulteriori 60 milioni di euro. 8) Incremento della tassa di concessione governativa per la licenza di porto di fucile per uso cac-cia. Attualmente le licenze di caccia rilasciate sono circa 800 mila; la tassa di concessione governa-tiva è pari a 168 euro. Incrementandola a 300 euro si otterrebbe un aumento delle entrate pari a circa 100 milioni di euro. 11 Anche per questo tipo di intervento, si possono porre i problemi di legittimità costituzionale a cui si è accennato in precedenza, con riferi-mento all’ipotesi di un contributo di solidarietà sulle cosiddette pensioni d’oro.

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9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS

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Complessivamente, le misure considerate sul versante delle entrate garantirebbero un maggior gettito compreso tra 6,9 e 10,4 miliardi (Tabella 4). TABELLA 4. UNA SINTESI DELLE MISURE CONSIDERATE

Misure considerate Minori spese o maggiori entrate (milioni

di euro)

Minimo Massimo

Spese 6.300 8.600

Riduzione pensioni d’oro 1.000 1.500

Riordino pensioni sociali 1.000 1.000

Riordino integrazioni al minimo delle pensioni 3.000 4.000

Riordino pensioni di guerra indirette 500 500

Riduzione spesa pubblica per servizi generali 800 1.600

Entrate 6.784 10.204

Accisa sul tabacco 380 900

Accisa sulle bevande alcoliche 610 1.010

- di cui vino 400 800

- di cui birra 130 130

- di cui spiriti 80 80

Concorsi a premio, lotto e lotterie 3.000 4.000

Riordino spese fiscali IRPEF 1.000 1.500

Proroga contributo solidarietà in sede IRPEF 134 134

Revisione imposta sulle successioni e donazioni 60 60

Riordino trasferimenti alle imprese 500 500

Imposta sul patrimonio 1.000 2.000

Tassa di concessione governativa licenza di caccia 100 100

Totale 13.084 18.804

Considerando congiuntamente le misure proposte, sia sul versante della spesa sia quello delle entrate, le risorse che po-trebbero complessivamente rendersi disponibili variano tra 12,7 e 17,7 miliardi di euro. Poiché il costo dell’introduzione del nuovo Reddito d’inclusione sociale è decisamente minore, sarebbe possibile prevedere l’adozione solo di alcune misure, tra quelle considerate, oppure un diverso mix di misure rispetto a quanto proposto in questa sede.

Ovviamente altri interventi sul versante sia della spesa, sia delle entrate sarebbero possibili, come ad esempio un maggior recupero da evasione e riscossione dei tributi oppure una riduzione del fenomeno della corruzione. Non potendo quantifi-care e valutare gli effetti di queste misure, che pur sarebbero prioritariamente auspicabili, nel presente lavoro non se ne è tenuto conto.

Con riferimento alla varietà di fonti di finanziamento prese in considerazione, dev’essere infine aggiunto che una valutazio-ne accurata di ciascuna di esse presuppone, ove possibile, una stima del loro impatto sulla distribuzione personale del red-

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dito con opportuni strumenti di microsimulazione tax-benefit. Solo con il ricorso a tali strumenti è infatti possibile apprezza-re non solo il segno, ma anche l’intensità degli effetti delle varie ipotesi di finanziamento del nuovo Reddito di inclusione sociale sulla diseguaglianza e sulla povertà economica.

9.5. L’IMPATTO DISTRIBUTIVO DELLE STRATEGIE DI FINANZIAMENTO: LE MINORI SPESE La valutazione dell’impatto che i principali interventi precedentemente ipotizzati sul versante del-la spesa sociale avrebbero sulla distribuzione del reddito si concentra sul riordino dei trasferimenti monetari di carattere assistenziale vigenti nel nostro paese. Si stima che il complesso della spesa pubblica per assistenza destinata al contrasto della povertà (costituita essenzialmente da pensioni sociali, integrazioni al minimo delle pensioni, Carta Acquisti e altri istituti minori) assorba in Italia circa 17,9 miliardi di euro. Vista l’entità non trascurabile della spesa di welfare destinata al contrasto della povertà, può essere di qualche interesse indagarne la distribuzione tra le famiglie italiane, ordinate tra loro per livelli non decrescenti di condizione economica. La tabella 4 presenta la distribuzione per decili di fami-glie della spesa in questione, dopo aver ordinato i nuclei per livelli crescenti di ISEE (nella versione riformata contenuta nella bozza di DPCM predisposto dal Ministero del Lavoro e delle politiche so-ciali fin dalla seconda metà del 2012). A dimostrazione di come nel nostro paese i trasferimenti monetari a contrasto della povertà pre-sentino discutibilissimi effetti redistributivi, la Tabella 5 mette chiaramente in evidenza come un terzo di essa, pari a circa 6,5 miliardi di euro su 17,9, sia appannaggio delle famiglie che occupano la metà più benestante della popolazione, dal sesto al decimo decile. Per rendere disponibile un ammontare di risorse necessarie a finanziare il nuovo Reddito di inclusione sociale, quindi, sa-rebbe sufficiente azzerare (o quasi) le erogazioni monetarie contro la povertà, impropriamente destinate al 50% più ricco delle famiglie. Considerata l’inevitabile lentezza nella promozione della nuova misura, sarebbe forse sufficiente azzerare la spesa che va dal 7° al 10° decile, raccogliendo in questo modo circa 4,8 miliardi.

TABELLA 5. RIPARTIZIONE PER DECILI DI FAMIGLIE DELLA SPESA TOTA-LE PER TRASFERIMENTI MONETARI ASSISTENZIALI A CONTRASTO DEL-LA POVERTÀ (MILIARDI DI EURO)

decili di famiglie

(ordinate per livelli non decrescenti di ISEE)

Trasferimenti monetari assistenziali a contrasto del-la povertà

1 1,879

2 2,781

3 2,453

4 2,138

5 2,050

6 1,770

7 1,514

8 1,377

9 1,214

10 0,756

Totale 17,934

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Fonte: Elaborazioni di Massimo Baldini su dati EU-SILC.

Un intervento di questa entità solleverebbe prevedibilmente comprensibili resistenze sociali e po-litiche, da parte di coloro che vedrebbero ridursi una fonte di entrata ritenuta certa e, in assenza di compensazione, anche il proprio reddito disponibile. E’ pensabile quindi che l’intervento in esame possa avvenire in modo più mirato, ad esempio concentrandosi sugli ultimi quattro decili, dal set-timo al decimo, e con un certo gradualismo, ad esempio applicando aliquote di sottrazione dei be-nefici differenziate: 80% al decimo, 70% al nono, 60% all’ottavo e 50% al settimo nel primo anno. Nel secondo e terzo anno la percentuale di riduzione delle prestazioni potrebbe essere elevata di un 10% per tutti i decili ( (90-80-70-60%), fino ad arrivare al quarto anno in cui l’aliquota di sot-trazione dei sussidi passerebbe al 100%. Nella Tabella 6 si prendono in esame le implicazioni distributive dell’intervento ipotizzato a regi-me, ossia nel quarto anno, con riferimento alle principali caratteristiche socio-economiche dei nuclei familiari che occupano i decili dal settimo al decimo della distribuzione e ricevono almeno un sussidio assistenziale a contrasto della povertà. Come si evince chiaramente dai dati, la misura in esame riguarderebbe in larghissima parte, quasi il 70%, le famiglie in cui la persona di riferi-mento ha almeno 70 anni, mentre un altro 25% della popolazione sarebbe costituita da nuclei con capofamiglia di età compresa tra i 60 e i 69 anni. Il provvedimento interesserebbe quindi in pre-valenza nuclei anziani con capofamiglia pensionato, residenti in oltre la metà dei casi nel Nord-Italia. TABELLA 6. CARATTERISTICHE DELLE FAMIGLIE DAL SETTIMO AL DECIMO DECILE CHE RICEVONO ALMENO UN TRASFERIMENTO CONTRO LA POVERTÀ (FAMIGLIE ORDINATE PER LIVELLI CRESCENTI DI ISEE)

Classe di età del capofami-

glia

% Condizione del capofamiglia

% Area geogra-fica

% Classe di Isee (mi-gliaia di

euro)

%

<=29 0.5% Dipendente 5.4% Nord 54.9% 20-30 46.2%

30-39 0.6% Autonomo 4.1% Centro 21.4% 30-40 28.8%

40-49 1.6% Disoccupato 0.4% Sud 23.4% >40 25.0%

50-59 5.4% Pensionato 68.7%

60-69 23.4% Altro 21.4%

>=70 68.4%

Totale 100.0% 100.0% 100.0% 100.0%

Fonte: Elaborazioni di Massimo Baldini su dati EU-SILC.

9.6. L’IMPATTO DISTRIBUTIVO DELLE STRATEGIE DI FINANZIAMENTO: LE MAG-GIORI ENTRATE Per valutare l’impatto delle misure proposte sul versante delle entrate si utilizza un modello di mi-cro simulazione tax-benefit, la cui base dati è l’Indagine Banca d’Italia sui bilanci della Banca d’Italia e l’Indagine ISTAT sui consumi delle famiglie italiane sul periodo d’imposta 2010.

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Al fine di valutare l’impatto sul reddito delle famiglie imputabile ad una variazione d’imposizione nel settore dei tabacchi, dei concorsi a premio e delle bevande alcoliche si è reso necessario un match statistico tra i due dataset12. Per quanto riguarda, invece, la valutazione degli effetti delle imposte dirette (sul reddito e sul pa-trimonio immobiliare), il modello di microsimulazione utilizzato stima in modo preciso la distri-buzione delle imposte in esame secondo i dati del Dipartimento delle Finanze (Pellegrino et al., 2011, 2012; Monti et al., 2012; Arachi et al. 2012). Tra le misure sulle entrate proposte, non si va-lutano gli effetti distributivi della revisione dell’imposta di successione e del contributo di solidarie-tà in sede IRPEF poiché riguardano un numero troppo ristretto di contribuenti per consentire un’adeguata analisi redistributiva. 9.6.1. L’accisa sul tabacco e sulle bevande alcoliche e l’imposta sulle lotterie Le Tabelle 7-11 mostrano, per ogni voce di spesa oggetto di modifica, la distribuzione della spesa per decili di reddito familiare equivalente, la composizione della spesa per decili, la quota di fami-glie con spesa positiva in ogni decile e la spesa media. Le famiglie prese in considerazione sono solo quelle che hanno voci di spesa positive; per tutte viene considerata l’incidenza di tali spese sul reddito. L’accisa sul tabacco Considerando la spesa indicata nell’indagine ISTAT sui consumi delle famiglie, circa il 30 per cento dei nuclei ha una spesa positiva per il tabacco. Tale quota è pressoché costante all’aumentare del reddito: solo nel secondo e nel terzo decile la quota di famiglie è inferiore alla media. Considerando solo i nuclei con spesa positiva, la spesa media annua è pari a 835 euro, solo moderatamente cre-scente all’aumentare del reddito: 716 euro nel primo decile e 929 euro nell’ultimo. L’incidenza del-la spesa rispetto al reddito è fortemente decrescente all’aumentare del reddito: essa è pari al 9,2 per cento per le famiglie appartenenti al primo decile, e solamente allo 0,9 per cento per le fami-glie appartenenti all’ultimo decile (Tabella 7). Di conseguenza, l’incremento dell’accisa in questo comparto ha un effetto regressivo, poiché incide di più sulle famiglie appartenenti ai decili più bassi della distribuzione del reddito. La regressività della misura non deve essere tuttavia guardata con sfavore, a causa delle forti esternalità negative prodotte dal fumo.

TABELLA 7. LA DISTRIBUZIONE DELLA SPESA PER I TABACCHI

Tabacco

Decili di reddito al lordo dei tri-

buti

Quota di fami-glie con spesa

positiva

(%)

Composizione della spesa

(%)

Spesa media per le famiglie con spesa posi-

tiva

(euro annui)

Spesa media per le famiglie con spesa posi-tiva / reddito

(%)

Spesa media per tutte le fa-

miglie

(euro annui)

Spesa / reddito

(%)

1 29,3 8,4 716,3 9,2 210,0 3,0

2 26,5 8,3 783,9 5,1 208,1 1,6

3 25,9 8,3 801,1 3,8 207,2 1,1

4 30,0 10,7 893,3 3,6 268,1 1,2

5 30,6 10,3 842,5 3,0 257,5 1,0 12 Si ringrazia Massimo Baldini per aver fornito il programma di matching basato sul comando ps2match di STATA.

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6 32,8 10,4 791,3 2,5 259,5 0,9

7 31,2 10,6 856,9 2,3 266,9 0,7

8 30,3 10,1 833,4 1,9 252,3 0,6

9 33,2 12,0 903,1 1,7 300,2 0,6

10 29,8 11,0 929,6 0,9 276,6 0,3

Totale 29,9 100,0 835,4 2,2 249,8 0,7

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e Banca d'Italia.

Di particolare rilievo ai fini della valutazione della misura proposta è la composizione della spesa. La spesa dei primi tre decili è lievemente superiore all’8 per cento, mentre dal quarto all’ottavo de-cile la quota è costante e lievemente superiore al 10 per cento. Il nono decile spende il 12 per cento della spesa complessiva, mentre l’ultimo l’11 per cento. Tale composizione della spesa è particolarmente rilevante ai nostri fini perché, a parità di compor-tamenti rispetto allo status quo, evidenzia come si distribuisce il maggior carico fiscale derivante dall’aumento della struttura delle accise sul tabacco. Come osservato nel paragrafo precedente, un aumento del prezzo del pacchetto di sigarette di 25 centesimi di euro garantirebbe un maggior gettito stimabile in 1,1 miliardi di euro: circa 270 milioni inciderebbero sui primi tre decili, circa 600 per i decili dal quarto all’ottavo e circa 250 milioni di euro sugli ultimi due decili. L’accisa sulle bevande alcoliche Il 38 per cento delle famiglie ha una spesa positiva per il vino. Tale quota è fortemente crescente all’aumentare del reddito: si passa dal 32 per cento nei primi due decili a circa la metà nell’ultimo. La spesa media annua è pari a 377 euro, che raddoppia tra il primo e l’ultimo decile, fenomeno spiegabile con il fatto che le famiglie più ricche consumano, in media, prodotti di migliore qualità. Considerando l’incidenza della spesa rispetto al reddito, essa è decrescente: è pari al 3,2 per cento per le famiglie appartenenti al primo decile e allo 0,4 per cento per le famiglie appartenenti all’ultimo. Tuttavia la spesa appare abbastanza concentrata: gli ultimi tre decili di reddito comples-sivamente spendono il 46 per cento di tutta la spesa delle famiglie per il vino (Tabella 8), e quindi la composizione dell’incremento dell’accisa graverebbe prevalentemente sugli ultimi decili, come si osserva (vedi infra) anche per la spesa per la birra e i superalcolici.

TABELLA 8. LA DISTRIBUZIONE DELLA SPESA PER IL VINO

Vino

Decili di reddito al lordo dei tri-

buti

Quota di fami-glie con spesa

positiva

(%)

Composizione della spesa

(%)

Spesa media per le famiglie con spesa posi-tiva (euro an-

nui)

Spesa media per le famiglie con spesa posi-tiva / reddito

(%)

Spesa media per tutte le fa-

miglie

(euro annui)

Spesa / reddito

(%)

1 31,8 5,0 229,2 3,2 72,9 1,0

2 32,2 6,4 288,6 2,0 93,0 0,7

3 34,4 7,9 334,3 1,7 114,8 0,6

4 36,4 8,0 317,9 1,4 115,8 0,5

5 34,7 7,5 314,2 1,2 108,9 0,4

6 39,2 10,0 368,7 1,2 144,4 0,5

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9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS

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7 38,0 9,4 359,5 1,0 136,5 0,4

8 40,8 13,8 488,3 1,1 199,1 0,5

9 45,2 16,4 525,0 0,9 237,4 0,4

10 49,7 15,4 449,7 0,4 223,3 0,2

Totale 38,1 100,0 376,5 1,0 143,4 0,4

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e Banca d'Italia.

Focalizzando l’attenzione sulla birra, un po’ meno di un quarto delle famiglie ha una spesa positiva (Tabella 9). La spesa media annua è pari a 270 euro, pressoché costante all’aumentare del reddito. Ne consegue che l’incidenza di questa voce è decrescente all’aumentare del reddito. Per quanto ri-guarda invece la composizione della spesa, l’ultimo decile spende per la birra il 17 per cento della spesa complessiva delle famiglie, mentre il settimo, l’ottavo e il nono più del 10 per cento e i primi sei decili meno del 10 per cento. TABELLA 9. LA DISTRIBUZIONE DELLA SPESA PER LA BIRRA

Birra

Decili di reddito al lordo dei tri-

buti

Quota di fami-glie con spesa

positiva

(%)

Composizione della spesa

(%)

Spesa media per le famiglie con spesa posi-

tiva

(euro annui)

Spesa media per le famiglie con spesa posi-tiva / reddito

(%)

Spesa media per tutte le fa-

miglie

(euro annui)

Spesa / reddito

(%)

1 21,2 9,0 268,7 4,0 56,9 0,8

2 20,0 7,9 250,1 1,7 50,0 0,4

3 18,7 7,9 265,8 1,3 49,8 0,3

4 20,2 9,3 289,8 1,2 58,6 0,3

5 23,0 9,3 257,0 1,0 59,0 0,2

6 18,1 7,4 258,8 0,9 46,9 0,2

7 24,8 10,5 268,3 0,7 66,5 0,2

8 25,5 10,8 268,0 0,6 68,5 0,2

9 26,6 11,2 264,9 0,5 70,5 0,1

10 35,1 16,7 301,0 0,3 105,7 0,1

Totale 23,2 100,0 271,0 0,6 62,9 0,2

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e Banca d'Italia.

Infine, solo il 9 per cento delle famiglie ha una spesa positiva per i superalcolici, ma nei primi decili i nuclei con questa voce di spesa positiva sono circa la metà di quello che si osserva nei decili più elevati (Tabella 10). La spesa media annua è di 257 euro, lievemente crescente all’aumentare del reddito. Come nel caso del vino, tuttavia, la spesa sembra essere abbastanza concentrata: i quattro decili più elevati spendono circa il 60 per cento di tutta la spesa per le famiglie per superalcolici. TABELLA 10. LA DISTRIBUZIONE DELLA SPESA PER I LIQUORI

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9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS

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Liquori

Decili di reddito al lordo dei tri-

buti

Quota di fami-glie con spesa

positiva

(%)

Composizione della spesa

(%)

Spesa media per le famiglie con spesa posi-

tiva

(euro annui)

Spesa media per le famiglie con spesa posi-tiva / reddito

(%)

Spesa media per tutte le fa-

miglie

(euro annui)

Spesa / reddito

(%)

1 7,7 8,5 259,6 3,6 20,0 0,3

2 4,8 4,5 219,3 1,5 10,6 0,1

3 10,3 9,8 223,5 1,1 23,1 0,1

4 6,6 6,3 225,2 1,0 14,8 0,1

5 5,7 6,1 252,7 0,8 14,3 0,1

6 6,4 6,1 222,6 0,6 14,3 0,0

7 11,6 12,9 261,9 0,7 30,3 0,1

8 11,2 12,7 266,4 0,6 30,0 0,1

9 14,8 17,3 276,0 0,5 40,8 0,1

10 12,1 15,7 303,5 0,3 36,8 0,0

Totale 9,1 100,0 256,9 0,6 23,4 0,1

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e Banca d'Italia.

L’imposta sul lotto e sulle lotterie Nell’indagine ISTAT sui consumi delle famiglie sembra essere presente solamente la spesa per il lotto e le lotterie, mentre sembra che non sia rilevata la spesa per altre tipologie di giochi, in parti-colare quella per le “macchinette” da cui tuttavia deriva la maggior parte delle entrate dei giochi. Le statistiche che si presentano in questo paragrafo focalizzano pertanto l’attenzione solo sulla spesa per il lotto e le lotterie. Solamente il 15 per cento delle famiglie ha una spesa positiva per il lotto, con percentuali oscillanti all’aumentare del reddito. Le spesa media annua è pari a 449 euro, cre-scente all’aumentare del reddito. Anche la composizione della spesa sembra non seguire uno spe-cifico trend rispetto al reddito, pur essendo più bassa nei decili inferiori e più elevata in quelli su-periori (Tabella 11). Vista nella sua accezione di “imposta sulla fortuna”, la distribuzione per decili di reddito di questa voce di spesa non è particolarmente rilevante ai fini dell’accettabilità della mi-sura dal punto di vista dell’equità. Lo è ancor di meno quando la spesa per i giochi (non solo per il lotto e lotterie come qui analizzato) assume caratteri patologici, a causa delle forti esternalità ne-gative.

TABELLA 11. LA DISTRIBUZIONE DELLA SPESA PER IL LOTTO E LE LOTTERIE

Lotto e lotterie

Decili di reddito al lordo dei tri-

buti

Quota di fami-glie con spesa

positiva

(%)

Composizione della spesa

(%)

Spesa media per le famiglie con spesa posi-

tiva

(euro annui)

Spesa media per le famiglie con spesa posi-tiva / reddito

(%)

Spesa media per tutte le fa-

miglie

(euro annui)

Spesa / reddito

(%)

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9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS

20

1 11,6 5,7 331,6 4,4 38,6 0,6

2 16,2 8,6 358,7 2,5 58,2 0,4

3 16,2 8,3 346,0 1,8 56,0 0,3

4 15,5 8,2 356,8 1,6 55,4 0,3

5 15,5 12,7 551,9 2,0 85,6 0,3

6 12,5 8,3 451,4 1,4 56,3 0,2

7 12,4 6,5 356,3 0,9 44,2 0,1

8 17,1 13,9 549,6 1,2 93,8 0,2

9 18,1 17,2 642,6 1,2 116,1 0,2

10 14,8 10,6 487,0 0,5 72,0 0,1

Totale 15,0 100,0 448,8 1,2 67,2 0,2

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e Banca d'Italia.

9.6.2. La revisione delle detrazioni per oneri personali in sede IRPEF Come evidenziato dalla Commissione Ceriani, il nostro sistema impositivo consente molte agevo-lazioni fiscali, alcune centinaia per l’esattezza. Focalizzando l’attenzione sull’IRPEF, molto numerose sono le spese fiscali che consentono una de-trazione per oneri personali. Spesso queste detrazioni consentono un risparmio fiscale crescente, sia in termini assoluti sia in termini relativi, all’aumentare del reddito, agevolando prevalentemen-te i decili più elevati della distribuzione del reddito. Un esempio è rappresentato dalle spese medi-che generiche e specialistiche: la quota di individui con questo onere detraibile è fortemente cre-scente all’aumentare del reddito. Una revisione del sistema delle detrazioni per oneri personali appare quindi giustificabile sotto il profilo distributivo. Come è noto, l’imposta personale italiana si basa su una progressività per scaglioni integrata da una progressività per deduzione e detrazione. È possibile quantificare la quota dell’effetto redistri-butivo imputabile alla scala delle aliquote, alle deduzioni e alle detrazioni (Pfähler, 1990). La Tabella 12 riporta la composizione del’effetto redistributivo considerando la normativa in vigo-re nel 2010. L’analisi è effettuata considerando sia i contribuenti IRPEF, sia le famiglie equivalenti. Per quanto riguarda le detrazioni, si analizza separatamente l’effetto dovuto alle detrazioni per o-neri da quello imputabile alle detrazioni per carichi di lavoro e di famiglia. Come si osserva dalla scomposizione di Pfähler sia per i contribuenti IRPEF, sia per le famiglie e-quivalenti, più della metà dell’effetto redistributivo è dovuto alla struttura delle detrazioni per cari-chi di lavoro e di famiglia; un po’ meno del 40 per cento è imputabile alla scala delle aliquote, men-tre un ruolo del tutto marginale giocano le deduzioni dal reddito complessivo e, soprattutto, le detra-zioni dall’imposta lorda. TABELLA 12. SCOMPOSIZIONE DELL’EFFETTO REDISTRIBUTIVO DELL’IRPEF

Deduzioni dal reddito com-

plessivo

Scala delle ali-quote

Detrazioni per carichi di lavoro

e di famiglia

Detrazioni per oneri

Totale

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9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS

21

Individui 4,1 39,4 56,3 0,2 100,0

Famiglie 2,3 38,7 58,9 0,2 100,0

Fonte: Elaborazione su dati Banca d'Italia 2012.

Per quanto riguarda le deduzioni dal reddito complessivo, che contribuiscono marginalmente all’effetto redistributivo complessivo dell’imposta, non si ipotizza alcuna restrizione in quanto se-gue. Molte deduzioni sono infatti costituite dai contributi previdenziali ed assistenziali dei lavora-tori autonomi, oppure da altre tipologie di deduzioni necessarie per non determinare una doppia imposizione sui medesimi redditi (come ad esempio le deduzioni per l’assegno corrisposto al co-niuge in caso di separazione). Il sistema delle detrazioni per oneri, invece, potrebbe essere ristrutturato seguendo la medesima logica che caratterizza le detrazioni effettive per carichi di lavoro e di famiglia. Esse potrebbero quindi essere rese decrescenti all’aumentare del reddito. In quanto segue si ipotizza che le detra-zioni per oneri possano essere pienamente sfruttate dai redditi individuali inferiori a 20 mila eu-ro; per redditi superiori, invece, si ipotizza che possano essere sfruttate in modo decrescente all’aumentare del reddito azzerandosi al di sopra di una certa soglia. Per ottenere un maggior get-tito di un miliardo di euro sarebbe necessario rendere linearmente decrescenti le detrazioni per oneri tra 20 e 130 mila euro, mentre per ottenere 1,5 miliardi di maggior gettito occorrerebbe rendere queste detrazioni linearmente decrescenti tra 20 e 90 mila euro. L’impatto della revisione è evidenziato nella Tabella 13. In base alla struttura ipotizzata, i contri-buenti con reddito complessivo inferiori a 20 mila euro (il reddito complessivo medio dichiarato ai fini IRPEF) non subiscono alcun aggravio. Circa l’80 per cento dei contribuenti con reddito com-plessivo superiore (cioè i contribuenti che presentano una detrazione per oneri positiva) subisco-no un aggravio, particolarmente contenuto per i redditi inferiori a 50 mila euro. TABELLA 13. L’IMPATTO SUI CONTRIBUENTI IRPEF DELLA REVISIONE DELLE DETRAZIONI PER ONERI

Classe di reddito comples-sivo IRPEF (migliaia di eu-

ro)

Quota di contribuenti che subiscono un aggravio (%)

Aggravio medio di imposta (euro) - Maggior gettito di

1 miliardo

Aggravio medio di imposta (euro) - Maggior gettito di

1,5 miliardi

fino a 20 0,0 0 0

da 20 a 30 79,4 15 24

da 30 a 50 85,3 77 122

da 50 a 85 92,0 237 372

da 85 a 130 96,4 546 739

sopra 130 86,5 1.129 1.129

Totale 30,7 82 118

Fonte: Elaborazione su dati Banca d'Italia 2012.

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9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS

22

9.6.3. L’introduzione di una patrimoniale sui grandi patrimoni immobiliari Per chiudere il quadro sulle possibili strategie di finanziamento, si ipotizza un’imposta patrimo-niale sui valori immobiliari che garantisca un gettito di 1 e 2 miliardi. Si ipotizza un’imposta pa-trimoniale sui valori catastali, su base familiare, che sia aggiuntiva all’IMU. L’imposta ipotizzata è simile a quella adottata dal sistema francese e riguarda solamente le famiglie con valori catastali ai fini IMU, compresa la prima casa, superiori a 500 mila euro. Per valori cata-stali inferiori a questo limite si è esenti da imposta, mentre per valori superiori la base imponibile è pari a tutto il valore patrimoniale. Le famiglie interessate sono circa 410 mila. Per ottenere un miliardo di gettito sarebbe necessario applicare un’imposta proporzionale con a-liquota pari al 3,1 per mille, mentre due miliardi di euro di gettito potrebbero essere ottenuti ap-plicando un’imposta proporzionale con aliquota pari al 6,2 per mille. In alternativa, potrebbe esse-re introdotta un’imposta progressiva per scaglioni: un primo scaglione per valori catastali inferiori a 750 mila euro, un secondo scaglione per valori compresi tra 750 mila euro e 1,25 milioni di euro e un terzo scaglione per valori superiori a 1,25 milioni di euro. Per ottenere un miliardo dovreb-bero essere applicate aliquote pari, rispettivamente, a 2,55 per mille, 5 per mille e 7 per mille. Per ottenere 2 miliardi di euro di maggior gettito dovrebbero essere applicate aliquote pari, rispetti-vamente, a 3,1 per mille, 10 per mille e 14 per mille. 9.7. L’ORDINE TEMPORALE DEGLI INTERVENTI L’analisi proposta in questo Capitolo si pone l’obiettivo di fornire un ventaglio di possibili strategie di finanziamento del nuovo Reddito di inclusione sociale. Nel primo anno di applicazione del nuo-vo istituto si prevede una spesa di circa 1,5 miliardi di euro, che aumenta di circa 1,3 miliardi all’anno raggiungendo un valore di circa 5,3 miliardi a regime (il quarto anno). Occorre pertanto domandarsi quali tra le strategie di finanziamento possibili siano preferibili. L’Italia è caratterizzata da una pressione fiscale molto elevata, pari al 44 per cento del PIL nel 2012. Il finanziamento del nuovo Reddito d’inclusione sociale per mezzo di nuovi tributi deve dunque essere valutato con estrema cautela. In linea di principio dovrebbe essere preferibile finanziare il nuovo istituto per mezzo di riduzioni di spesa, anche e soprattutto in relazione all’insoddisfacente performance redistributiva che una larga parte delle prestazioni di welfare attualmente registra. Accanto a misure dal lato del prelievo di peso modesto, sembra quindi opportuno ricorrere in prima battuta a interventi sul versante della spesa previdenziale e assistenziale, sia con riferimento alle pensioni d’oro sia per quanto ri-guarda la componente della spesa per l’assistenza attualmente destinata al sostegno del reddito familiare. D’altro canto, ci si rende ben conto che interventi di questo tipo sono molto difficili da attuare sul piano politico-sociale perché mettono in discussione diritti “acquisiti”, sedimentati nel tempo, ancorché non giustificabili sul piano dell’equità sia intergenerazionale, sia interpersonale. Per coprire la spesa necessaria per la messa a regime del nuovo istituto, si ritiene pertanto oppor-tuno che, accanto a graduali interventi dal lato delle correnti prestazioni di welfare, si faccia ricor-so anche a forme mirate di maggiore imposizione, come ad esempio l’imposizione sulle vincite derivanti dai giochi e dalle lotterie, che non incidono sul fattore lavoro. Quanto detto finora prescinde ovviamente dalle opportunità che, in termini di maggiori risorse fi-nanziarie, la possibile ripresa dell’economia renderebbe disponibili per un puro effetto di flessibi-lità automatica del bilancio pubblico (cfr. infra cap. 10). Va infatti tenuto conto che l’inversione del ciclo e la ripresa dell’occupazione permetterebbero al bilancio pubblico di poter contare, a politi-che invariate, di maggiori risorse, sia dal lato del gettito (tributario ed extra-tributario) sia dal lato della spesa, in relazione ad esempio alla minore spesa per ammortizzatori sociali.

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10. IL PIANO PLURIENNALE

Pagina 1

• Le riforme ambiziose richiedono di costruire le condizioni per una loro entrata a regime con tempi e modi appropriati. Pertanto, il Reddito d’Inclusione Sociale è introdotto gradualmente, attraverso un cammino articolato in quattro annualità. In concreto: • L’utenza viene ampliata annualmente e così il quarto - e ultimo - anno della transizione corri-sponde al primo a regime, cioè quello a partire dal quale il Reis è rivolto a tutte le famiglie in povertà assoluta. • Il progressivo allargamento dell’utenza segue il principio di “dare prima a chi sta peggio”. • Durante la transizione, le prestazioni contro la povertà già esistenti vengono progressivamente assorbite all’interno del Reis • Il piano pluriennale per l’introduzione del Reis è la traduzione operativa che consente: • di calibrare l'impatto finanziario in maniera sostenibile e compatibile con gli equilibri della fi-nanza pubblica, diluendo il necessario incremento di risorse nel tempo; • di consolidare la misura, radicandola nel nostro sistema di welfare locale; • di imparare dall’esperienza, grazie ad un robusto utilizzo degli strumenti di monitoraggio e valutazione; • di costruire un ampliamento progressivo della spesa dedicata alla nuova misura costruita an-che tenendo conto delle disponibilità di risorse legate alle prospettive del ciclo economico. 10.1. Perché un’introduzione graduale La storia di questi anni ci dimostra che la povertà è “questione” troppo grande per le possibilità di un singolo ente, organizzazione, gruppo, istituzione. Il fatto che, nonostante i nobili propositi, non si siano finora ottenuti risultati adeguati (Spano, Trivellato & Zanini, 2013) rappresenta un monito per non illudersi che sia semplice evitare i rischi di fallimento. Questa consapevolezza, tuttavia, non può inibire l’impegno per un piano nazionale di contrasto alla povertà,cornice in grado di cre-are quel coordinamento di azioni e di strumenti che oggi manca. È da qui che partono le ragioni di un approccio graduale che, attraverso una fase transitoria, possa calibrare l'impatto e consolidare il reddito di inclusione sociale (Reis) radicando questa nuova mi-sura nel nostro sistema di welfare. Le motivazioni per procedere con un piano graduale e plurien-nale che tuteli l’obiettivo finale vanno ricercate riflettendo su più fronti: la sostenibilità economica, i tempi per il radicamento e la gestione delle inevitabili difficoltà organizzative. Nel merito, la sostenibilità economica della misura rappresenta la grande sfida per il legislatore. La distanza tra i propositi e le possibilità, infatti, è stata spesso all’origine di fallimenti e delusioni. Per questo fin dalla legge istitutiva del Reis va garantita la sostenibilità finanziaria del progetto preve-dendo un finanziamento pluriennale, con il conseguente impegno delle risorse sul bilancio pluri-ennale dello Stato. Tale approccio, oltre a dare sicurezza al processo, consente di calibrare

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10. IL PIANO PLURIENNALE

Pagina 2

l’impegno finanziario come stock totale del finanziamento necessario e come flusso dei finanzia-menti aggiuntivi anno su anno, prevedendo annualmente le copertura indispensabilisino ad arri-vare alla fase a regime. Inoltre, procedendo per step,l’incremento di spesa viene spalmato lungo i quattro anni del percor-so di transizione. La gradualità diventa in questo caso una scelta strategica legata alla consapevo-lezza di una duplice esigenza. La prima è quella di non intervenire inizialmente con una richiesta incompatibile con i delicati equilibri del bilancio pubblico; la seconda è quella di costruire la neces-saria flessibilità della fase transitoria sulle potenzialità di manovra legate alla ripresa del ciclo eco-nomico e quindi del Pil. Più in generale, per quanto riguarda il pieno raggiungimento dell’ambizioso obiettivo posto dal nostro piano nazionale, l’esperienza insegna che ogni nuova politica richiede determinati tempi per l’entrata a regime. Per questo l’idea di agire con una logica complementare al sistema esisten-te, procedendo per gradi all’implementazione totale, sembra coerente con l’esigenza di costruire tempi di apprendimento e di adattamento organizzativo da parte di tutta la filiera istituzionale (Regioni e Comuni) e di tutta la rete sussidiaria (terzo settore, centri di assistenza fiscale, patrona-ti, ecc.). Ad ogni buon conto saràcruciale riuscire a caratterizzare l’intera fase transitoria con processi di dialogo e apprendimento dei principali risultati e delle evidenze. Nella prospettiva di apprendere dall’esperienza (cfr. cap 8), la sfida consisterà nel saper andare oltre la forma per puntare alla pos-sibilità di trasformare i dati in informazioni attraverso opportuni incroci e analisi. Oltre ai necessari sistemi di monitoraggio, sarà indispensabile coinvolgere nel progetto la stessa Conferenza Stato Regioni che potrebbe recepire quanto, di volta in volta, emergerà nell’ambito del percorso di implementazione, sfruttando nel modo migliore le potenzialità dei modelli di controllo finale (attraverso processi di feed back)e di controllo in itinere (attraverso i processi difeedfor-ward)(cfr. cap. 4). 10.2. L’ESTENSIONE PROGRESSIVA DELL’UTENZA

10.2.1 I punti fermi Il Reddito d’Inclusione Sociale è da introdurre gradualmente, con un cammino articolato in quattro annualità. Tale periodo, infatti, pare adeguato alle esigenze - sopra menzionate – di diluire l’incremento di spesa così da renderlo meglio affrontabile e di dare a tutta la filiera istituzionale il tempo necessario all’apprendimento e all’adattamento organizzativo. Ogni annualità vedrà l’utenza ampliarsi rispetto alla precedente e così il quarto - e ultimo - anno della transizione corri-sponderà al primo a regime, cioè quello a partire dal quale il Reis: a) sarà rivolto a tutte le famiglie in povertà assoluta e b) verrà erogato nella sua versione completa (componente servizi + 100% del contributo economico1). Le strade che si possono seguire nei primi tre anni sono numerose. A nostro parere, esistono al-cuni punti fermi che - in ogni caso – il percorso di progressiva introduzione del Reis dovrebbe ri-spettare. 1 Il 100% del trasferimento monetario significa un importo che copra l’intera distanza tra la soglia di po-vertà assoluta e il reddito disponibile (cfr. cap. 3).

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10. IL PIANO PLURIENNALE

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(i) Gradualismo in un orizzonte definito Sin dall’avviamento del percorso, il legislatore dovrebbe prendere precisi impegni riguardanti il suo punto di arrivo e le tappe intermedie. Ciò significa, in concreto, stabilire che il quarto anno corrisponderà al primo del Reis a regime e specificare l’ampliamento dell’utenza previsto in o-gnuna delle annualità precedenti; affinché ciò risulti possibile bisognerebbe – come già spiegato - prevedere il relativo finanziamento pluriennale, con il conseguente impegno di risorse. Senza una simile prospettiva pluriennale è irreale immaginare la costruzione di un sistema locale di servizi adeguato alla lotta contro l’esclusione sociale. Questa costruzione è – come noto – deci-samente complessa, richiede investimenti, sviluppo di competenze e programmazione: non si può pensare che gli enti locali, il terzo settore e gli altri soggetti impegnati nel territorio possano riu-scire a realizzarla senza avere certezze su cosa potrà accadere nell’arco di un anno o due. (ii) Transizione guidata dall’universalismo Una volta a regime, il Reis è caratterizzato a una precisa impronta universalistica poiché è destina-to a tutte le famiglie in povertà assoluta, senza alcuna specificazione categoriale2. Se così è a parti-re dal quarto anno, per il periodo precedente bisogna individuare il criterio che definisca l’ordine di progressiva ammissione della popolazione target tra gli aventi diritto; detto altrimenti, si tratta di decidere – durante i tre anni di transizione – quali famiglie povere inizieranno a ricevere il Reis prima e quali dopo. Esistono due possibilità. La prima è quella di seguire nella transizione quello stesso criterio uni-versalista che contraddistingue la misura a regime: l’ordine di entrata nella misura viene definito esclusivamente in base alla situazione economica, senza altre differenziazioni di alcun tipo. In al-tre parole, si comincia da coloro i quali versano in condizioni economiche più critiche e progressi-vamente si copre anche chi sta “un po’ meno peggio”, sino a rivolgersi – a partire dal quarto anno - a tutti i nuclei in povertà assoluta. L’alternativa consiste nell’adottare un criterio categoriale, cioè nel dare priorità temporale – tra le famiglie povere – a quelle che rispondono anche ad un altro re-quisito (ad esempio presenza di figli, presenza di figli di una determinata età, un certo numero di figli, un componente del nucleo con disabilità, il capofamiglia disoccupato e così via). La scelta tra i due criteri può essere dettata da ragioni legate al bisogno o da motivi di natura politi-ca. Con riferimento alle prime, si tratta di rispondere alla domanda “chi ha maggiore bisogno del Reis”? Seguendo una prospettiva categoriale, si possono trovare validi argomenti a favore di nu-merosi gruppi. Si potrebbe sostenere, ad esempio, la necessità di cominciare dalle famiglie con fi-gli piccoli per assicurare a questi ultimi un futuro migliore,oppure quella di dare priorità alle fa-miglie di persone con disabilità perché esiste un legame sempre più stretto tra questa condizione e l’impoverimento (Cies, 2012),e così via. Scegliere un gruppo invece di un altro, però, significhe-rebbe rinnegare il principio universalista che è alla base dell’intera proposta. Aderendo a questo principio, pertanto, riteniamo che la priorità temporale sia da assegnare a chi si trova in un condi-zione di povertà più severa. Sul piano politico, la domanda da porsi è “quale scelta offre maggiori garanzie che la transizione sia portata a termine (e che ciò accada nel modo migliore possibile)?”. Infatti, pure nell’auspicato quadro di “gradualismo in un orizzonte definito” (si veda sopra) i rischi che il percorso sia inter-rotto e/o il Reis venga snaturato non sono da poco. I motivi sono diversi: a) durante la transizione 2 Si tratterà della prima misura di questo genere mai introdotta nel nostro paese poiché le prestazioni oggi presenti per combattere la povertà, come la carta acquisti (riservate agli anziani o alle famiglie con minori) o la pensione sociale (solo per chi ha più di 65 anni) sono limitate a specifiche categorie (cfr. cap. 3).

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si avranno, inevitabilmente, rilevanti difficoltà attuative (non sarebbe una riforma ambiziosa al-trimenti, si veda oltre) che offriranno spazio a critiche e attacchi, b) una misura rivolta alla parte più debole della società è intrinsecamente debole politicamente, c) il sistema politico italiano è – come noto - assai turbolento. Procedere per categorie renderebbe il Reddito d’inclusione sociale molto più esposto a questi ri-schi. La ragione è semplice: così facendo si priverebbe il Reis del sostegno dell’unico universo di sog-getti che potrebbe battersi con forza a suo favore, cioè i soggetti che rappresentano le realtà del sociale. Ci si riferisce qui al Forum del Terzo Settore, a chi rappresenta la cooperazione (a partire dall’Alleanza delle Cooperative italiane), a chi svolge lavoro di Advocacy (come la Fish e la Fand per la disabilità), a chi rappresenta la filiera istituzionale (Anci e Regioni), e così via. Il Reddito d’inclusione sociale avrebbe una capacità particolarmente elevata di raccogliere il sostegno di tut-te le realtà del sociale perché supererebbe le due distinzioni principali che caratterizzano questo mondo: a)quella tra gruppi (la povertà è un problema di tutti i soggetti, dagli anziani, alle famiglie con figli, le persone con disabilità e così via), b)quella tra chi svolge advocacy e chi eroga servizi (battersi per il Reis significa sostenere l’introduzione di diritti oggi mancanti e allo stesso tempo promuovere i servizi alla persona). Le potenzialità del Reis sotto tale profilo sono evidentemente le medesime che stanno alla base del Patto aperto contro la povertà (cfr. cap. 1). Rinunciare all’universalismo dei primi anni di erogazione della misura aprirebbe, infatti, una querelle tra le diverse realtà del mondo sociale (ad esempio “perché cominciare dalle famiglie con figli e non da quelle con persone disabili?”, e si potrebbero trovare innumerevoli altri possibili conflitti). Questo, in un fase già oggi caratterizzata da crescenti avvisaglie di “guerre tra poveri”, causate dal dislivello tra bisogni in aumento e risorse scarse, vanificherebbe il messaggio chiave del Reis, quello di essere un diritto di cittadinanza che tratta tutte le famiglie povere allo stesso mo-do. In tal caso, invece, il Reis diventerebbe l’ennesima misura che privilegia alcuni rispetto ad altri, in un welfare – quello italiano – il cui tratto predominante è da decenni la frammentazione tra una miriade di interventi differenziati tra gruppi diversi, con tutto il carico di iniquità che questo porta con sé. A presidiare la misura rimarrebbero solo i soggetti rappresentati dai gruppi che vi avreb-bero accesso all’inizio i quali, però, in realtà non difenderebbero il Reis per il suo significato in-trinseco, bensì per il vantaggio che ne deriva loro. Assecondare la frammentazione tra gruppi, divenuta ultimamente sempre più aspra, renderebbe impossibile costruire un ampio fronte di soggetti sociali a sostegno del Reis. In questo scenario, dunque, dare vita al Patto aperto contro la povertà, così come a qualsiasi tipo di alleanza per la lotta alla povertà, non sarebbe possibile3. Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che la transizione debba essere guidata dall’universalismo. (iii) Componente servizi completa da subito

3La categorialità potrebbe risultare attraente nel breve periodo, in particolare se rivolta a gruppi le cui difficili condi-zioni suscitano particolare attenzione o emozione (ad es. il “Reis per nuclei poveri con capofamiglia esodato” oppure il “Reis per famiglie povere con figli”). E’ ragionevole affermare che la scelta di simili target incrementerebbe le probabi-lità di trovare risorse per finanziare il primo anno (o al massimo i primi due) della misura. Una simile ipotesi però, per i motivi menzionati sopra, aumenterebbe pure la probabilità che il Reis venisse poi abbandonato senza completarne l’introduzione perché ne annienterebbe tanto il valore simbolico quanto la capacità di raccogliere sostegno.

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Il percorso di accesso, presa in carico e perseguimento degli obiettivi d’inserimento sociale e/o lavorativo, dev’essere messo in campo – sin dal primo anno – per ogni utente. Si tratta, detto altri-menti, dell’insieme degli elementi che compongono la parte del Reddito d’inclusione sociale legata ai servizi alla persona. Come già sottolineato, dar vita ad una rete di servizi adeguata alle finalità del Reis risulterà particolarmente impegnativo. Ciò suggerisce di procedere gradualmente affinché i soggetti coinvolti localmente non siano sovraccaricati da un numero di casi ingestibile in fase di avviamento; allo stesso tempo consiglia di fornire a tutti gli utenti la “componente servizi” com-pleta fin da subito, affinché gli Enti Locali, il terzo settore e gli altri attori impegnati possano mi-gliorare progressivamente, grazie all’esperienza maturata. Mai come nei servizi, gradualismo e apprendimento vanno di pari passo. 10.2.2 Gli scenari possibili Sopra sono stati illustrati alcuni punti fermi dai quali – a nostro parere - non bisognerebbe pre-scindere, pena la messa a repentaglio della riforma. Esistono, invece, altri aspetti della transizione che potrebbero venire articolati con modalità differenti tra loro senza danneggiare il risultato fina-le. Questi aspetti sono elencati qui sotto mentre successivamente vengono presentati diversi sce-nari alternativi, che li combinano variamente. La progressione nell’incremento di spesa Tenendo fermo che a regime la misura costa circa 6,1 miliardi, la crescita delle risorse stanziate in ogni annualità della transizione può risultare più o meno rapida. Gli scenari presentati più avanti considerano due possibilità. Una è l’opzione “a velocità costante”, che prevede ogni anno un in-cremento di spesa rispetto al precedente di un quarto del totale (1,525 miliardi di Euro); in altre parole, si tratta di dividere l’aumento di spesa in quattro parti uguali. L’altra è l’opzione “ad accele-razione ritardata”, che prevede un incremento della spesa annua superiore nella seconda metà del quadriennio4.

La progressione nei criteri di accesso e la modalità di calcolo dell’importo La scelta tra le due opzioni di progressione nell’incremento di spesa dipenderà, ragionevolmente, dal più complessivo contesto politico ed economico. Per ognuna vengono disegnati scenari diffe-renti, in base alle possibili combinazioni tra due ulteriori variabili: a)la crescita nella soglia di red-dito necessaria per accedere al Reis5, b) le modalità di calcolo dell’importo, cioè se dare, da subito, agli utenti il 100% della distanza tra soglia povertà e reddito attuale oppure una percentuale (e in questo caso quale percentuale). Come già detto, a regime ogni utente riceverà il 100% della distan-za, mentre nella transizione alcune ragioni possono suggerire di erogarne solo una parte. Ciò in-fatti consentirebbe di aiutare da subito un maggior numero di persone e di ridurre le possibilità di tensioni tra chi inizia a ricevere prima la misura e chi dopo6. 4Vi sarebbe anche una terza opzione, quella ad “accelerazione anticipata”, che prevede un incremento di spesa annua superiore nella prima metà del quadriennio. L’opzione non pare oggi realistica e, pertanto, non viene presa in con-siderazione. 5 La soglia Isee, utilizzata come selettore rispetto al patrimonio (cfr. cap.3), viene impiegata da subito per tutti gli u-tenti. 6 Come si vedrà, esistono solidi argomenti anche in senso contrario, cioè nella direzione di coprire da subito il 100% della distanza (cfr. oltre).

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Scenario “Transizione a velocità costante con 100% dell’importo” Veniamo ora agli scenari. Nel primo, in ognuna delle quattro annualità l’incremento di spesa ri-spetto al precedente è pari ad un quarto della spesa totale, in modo da ripartire in parti uguali l’aumento di spesa annuale. In pratica, nel primo anno la spesa complessiva è un quarto di quella a regime, nel secondo anno ammonta a circa la metà, e così via. La variabile che utilizziamo per al-largare progressivamente l’utenza è costituita dalla linea di povertà. Nel primo anno sono così ammessi al beneficio solo i nuclei con reddito inferiore al 56% della rispettiva linea di povertà7. Il trasferimento corrisponde alla differenza tra questa percentuale e il reddito della famiglia, cioè si utilizza fin da subito la modalità di calcolo dell’importo impiegata a regime (importo = 100% della distanza tra la soglia di anno in anno considerata e il reddito della famiglia). In sintesi, a caratteriz-zare questo scenario è il mix tra la scelta sulla suddivisione dell’incremento di spesa (“velocità co-stante”) e quella sulla modalità di calcolo dell’importo (“100%”). E’ bene precisare che con “impor-to 100%” si intende indicare che viene coperta tutta la distanza tra il reddito e la soglia, che nei primi tre anni corrisponde solo ad una frazione della linea di povertà assoluta Istat. Nel quarto an-no, invece, si colma il 100% del gap tra la linea Istat e il reddito. Chiariamo con un semplice esem-pio : se la soglia di povertà assoluta per una certa tipologia familiare viene posta dall’Istat a 1000 euro al mese, nel primo anno sono ammesse al Reis tutte le famiglie con reddito inferiore a 560 euro mensili. Il valore del trasferimento è, per ciascun mese, dato dalla differenza tra 560 e il reddi-to disponibile della famiglia. Sono così ammesse, nel primo anno, solo le famiglie con reddito inferiore al 56% della soglia Istat, cioè poco più di un terzo circa del totale dei nuclei che a regime otterrebbero il trasferimento, per una spesa totale di 1,52 miliardi di Euro8. Nel secondo anno la quota della soglia viene aumentata al 75% (il trasferimento è pari alla differenza tra il 75% della linea Istat e il reddito disponibile), in modo da portare la spesa a circa 3 miliardi;, nel terzo all’87% (trasferimento pari alla differenza tra l’87% della linea Istat e il reddito disponibile), con una spesa a 4,6 miliardi. Nel quarto, infine, la misura si rivolge al 100% dell’utenza potenziale e copre tutto il gap tra linea Istat e reddito (tab. 1). Nel primo anno le famiglie in povertà assoluta che avrebbero la maggiore probabilità di essere ammesse sono quelle con capofamiglia disoccupato o “altro” con meno di 50 anni, seguite dai nu-clei con capofamiglia disoccupato o in altra condizione, con più di 50 anni. Evidentemente le fami-glie in povertà con persona di riferimento in pensione o occupata hanno in media redditi più vici-ni alla soglia rispetto ai gruppi dei disoccupati, sia giovani che anziani. Questi nuclei , quindi, non entrerebbero tra i beneficiari fin da subito , ma solo nel corso della transizione a regime. Se consi-deriamo, invece, la ripartizione dei poveri assoluti per area geografica, nel primo anno di transi-zione sia nel Sud che nel Centro-Nord circa un terzo dei poveri assoluti ivi residenti sarebbe già coinvolto. Non vi sarebbero quindi differenze significative tra area geografica nell’accesso alla mi-sura sin dal primo anno. TAB 1 - TRANSIZIONE A VELOCITÀ COSTANTE CON 100% DELL’IMPORTO

7 Tutte le linee relative alle varie tipologie familiari vengono quindi moltiplicate per il coefficiente 0.56. 8 Qui come nel resto del capitolo, si utilizza la stima di spesa complessiva per il Reis a regime specificata nel capitolo 9. Per motivi metodologici, mentre la stima precisa ammonta a 6062,4 milioni annui, in tutto questo capitolo viene arrotondata a 6100 milioni annui. Si tratta di circa 6,1 miliardi di Euro annui , che copre i trasferimenti monetari, i servizi alla persona e le attività di monitoraggio e valutazione. Il take up previsto è del 75% ed è ad esso che si fa riferimento nella stima delle fami-glie utenti (cfr. paragrafo 9.2).

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ANNO SPESA PUBBLICA TOTALE

SOGLIA DI ACCESSO PER RICEVERE REIS

MODALITA’ DI CALCOLO DELL’IMPORTO

Famiglie UTENTI

(% del totale9)

1 1.52mld 56% della linea di p.a. 0.56 * linea di p.a. – reddito 430mila

(38%)

2 3.05mld 75% della linea di p.a. 0.75 * linea di p.a. – reddito 650mila

(57%)

3 4.56mld 87% della linea di p.a. 0.87 * linea di p.a. – reddito 890mila

(79%)

4 (Primo a regime)

6.1mld 100% della linea di p.a. linea di p.a. – reddito 1130mila

(100%)

Scenario “Transizione in accelerazione ritardata con 100% dell’importo” In questa ipotesi si assume invece una progressione più lenta nell’incremento di spesa nei primi due anni, con una forte accelerazione nella seconda parte del quadriennio (“accelerazione ritarda-ta”), mentre si mantiene l’utilizzo da subito della modalità di calcolo impiegata a regime (“100% dell’importo”, cioè della distanza tra soglia fissata annualmente e reddito”). In questo scenario nel primo anno vengono ammesse al trasferimento solo le famiglie con reddito inferiore al 45% della rispettiva linea di povertà, con una spesa totale di circa 900 milioni; , nel secondo quelle con red-dito inferiore al 65% (con una spesa di 2,2 miliardi) e nel terzo le famiglie con reddito inferiore all’80% (con una spesa di 3,7 miliardi) (tab. 2). Anche in questo caso le famiglie in povertà assoluta con maggiori probabilità di accesso immedia-to sarebbero quelle con persona di riferimento priva di lavoro, sia che esistano figli piccoli che fi-gli più grandi. In questo percorso di aumento dell’importo, quasi la metà della spesa totale sarebbe necessaria solo nel passaggio finale allo schema a regime. Pure qui resta confermato che nei primi anni i beneficiari sono soprattutto famiglie prive di redditi da lavoro o da pensione, con un leggero sbilanciamento a favore delle regioni meridionali. I lavoratori con pesanti carichi familiari o i pen-sionati poveri beneficerebbero in modo significativo del Reis soprattutto con la sua entrata a regi-me, ovvero a partire da tassi di copertura della linea attorno all’80%.

TAB 2 - TRANSIZIONE IN ACCELERAZIONE RITARDATA CON 100% DELL’IMPORTO

ANNO SPESA PUBBLICA TOTALE

SOGLIA DI ACCESSO PER RICEVERE REIS

MODALITA’ DI CALCOLO DELL’IMPORTO

Famiglie UTENTI

(% del totale)

1 0.9mld 45% della linea di p.a. 0.45 * linea di p.a. – reddito 325mila

(29%)

2 2.2mld 65% della linea di p.a. 0.65 * linea di p.a. – reddito 430mila

(45%)

3 3.7mld 80% della linea di p.a. 0.80 * linea di p.a. – reddito 750mila

(66%)

4 (Primo a regime)

6.1mld 100% della linea di p.a. linea di p.a. – reddito 1130mila

9 Sia qui che nelle due tabelle successive con il termine “totale delle famiglie utenti” s’intende l’insieme di

quelle che riceveranno il Reis nel quadriennio, quindi – secondo la nostra ipotesi di take-up – il 75% delle fa-miglie in povertà assoluta (cfr. cap 3).

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(100%)

Scenario “ Transizione in accelerazione ritardata con 75% dell’importo” Gli scenari precedenti ipotizzano che la modalità di calcolo dell’importo del Reis sia – sin dall’inizio del percorso – quella a regime, che copre l’intera distanza tra il reddito della famiglia e una percen-tuale della rispettiva soglia Istat di povertà assoluta. Si potrebbe, però, utilizzare nei tre anni della transizione una diversa modalità di calcolo, che non consideri l’intera distanza tra reddito familiare e soglia, bensì una sua percentuale, qui identificata – a titolo di esempio – nel 75%. Ciò significhe-rebbe, durante la transizione, calcolare l’importo moltiplicando la distanza tra soglia e reddito per 0,75 mentre a partire dal quarto, cioè il primo a regime, la modalità diventerebbe per tutti quella abituale. Un altro esempio per essere più chiari: se la soglia di povertà assoluta per una certa tipo-logia familiare è posta dall’Istat a 1000 euro al mese, nel primo anno sono ammesse al Reis tutte le famiglie con reddito inferiore a 500 euro mensili (vedi la successiva Tab. 3). Il valore del trasferi-mento non è, per ciascun mese, dato dalla differenza tra 500 e il reddito disponibile della famiglia, ma dal 75% di questa differenza, cioè da 0.75*(500-reddito). L’utilizzo di questa procedura di calcolo nei primi tre anni può essere sostenuto da due argomenti. Primo, evitare che durante la transizione vi siano cambiamenti troppo bruschi di posizione relati-va tra le famiglie in povertà assoluta (cioè la condizione economica di una rispetto a quella delle al-tre), che potrebbero produrre tensione e malcontenti. Poniamo, ad esempio, di utilizzare da subi-to la modalità di calcolo dell’importo prevista a regime. Se prima dell’introduzione del Reis la fami-glia x ha un reddito pari al 12% della linea di povertà e la famiglia y lo ha pari al 46%, dopo il pri-mo anno nello scenario della tabella 2 la famiglia x (che entrerebbe subito nel Reis) avrebbe un reddito pari al 45% della linea mentre quella y (che vi entrerebbe l’anno successivo) rimarrebbe al 46%. Secondo, moltiplicare la distanza dalla soglia per una percentuale permetterebbe – a parità di spesa complessiva – di seguire un maggior numero di utenti; è tuttavia da sottolineare che questo argomento, se spinto troppo oltre, entrerebbe in conflitto con il gradualismo necessario ai servizi per adattarsi al nuovo contesto. I due scenari illustrati nelle tabelle precedenti sono stati, quindi, modificati ipotizzando una soglia pari al75% della distanza. Con lo scenario di tabella 1, però, (quello che ipotizza uguali incrementi di spesa per ogni annualità), nel primo anno destinare 1,3 miliardi con una modalità di calcolo pari allo 0.75 della distanza avrebbe significato portare la soglia di accesso attorno all’80% della linea di povertà assoluta, rendendo di fatto inutile il processo di transizione. Consideriamo quindi solo il secondo scenario (“transizione in accelerazione ritardata”) che richie-de nei primi anni un minore importo di spesa e, quindi, permette di applicare una quota inferiore della soglia di povertà. Definiamo, dunque, questa ulteriore ipotesi come “transizione in accelera-zione ritardata con 75% dell’importo”. Il primo anno la soglia per ricevere il Reis è il 50% della li-nea di povertà assoluta, il secondo il 72% e il terzo il 90%. Mentre nei primi tre anni l’importo co-pre il 75% della distanza tra il reddito e la soglia, a partire dal quarto si passa all’ammontare stan-dard, cioè quello che copre il 100% della distanza, l’intero poverty gap (tab. 3).

TAB 3 - TRANSIZIONE IN ACCELERAZIONE RITARDATA CON 75% DELL’IMPORTO

ANNO SPESA PUBBLICA TOTALE

SOGLIA DI ACCESSO PER RICEVERE REIS

MODALITA’ DI CALCOLO DELL’IMPORTO

Famiglie UTENTI

(% del totale)

1 0.9mld 50% della linea di p.a. 0.75*(0.5 * linea di p.a. – reddito)

375mila

(33%)

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2 2.2mld 72% della linea di p.a. 0.75*(0.72 * linea di p.a. – reddito)

600mila

(53%)

3 3.7mld 90% della linea di p.a. 0.75*(0.9 * linea di p.a. – reddito)

940mila

(83%)

4 (Primo a regime)

6.1mld 100% della linea di p.a. linea di p.a. – reddito 1130mila

(100%)

Rispetto alla penultima tabella, il numero delle famiglie coinvolte aumenterebbe nei primi anni, e non sarebbe, in un solo anno, molto inferiore a quello raggiunto complessivamente dalla Carta Acquisti; l’importo speso sarebbe invece significati-vamente superiore al budget stanziato per quest’esperienza. Il profilo distributivo dei beneficiari del Reis nella fase iniziale della transizione non cambia: inizialmente vengono coinvolte soprattutto le famiglie prive di redditi da lavoro, in modo so-stanzialmente equilibrato tra le aree geografiche. Sin dal primo anno, circa la metà della spesa totale va alle regioni meri-dionali ed il resto alle regioni centro-settentrionali, mentre in ognuna delle aree la quota di famiglie ammesse è pari a circa un terzo del numero che si raggiungerà a regime.

10.3. IL PROGRESSIVO INCREMENTO DELLA RISORSE DEDICATE NEL QUADRO DELLA FINANZA PUBBLICA Quello della sostenibilità economica è, in ogni caso, un passaggio obbligato di ogni politica pubbli-ca, soprattutto in epoca di spending review. Tuttavia, proprio in momenti come questi occorre “aggrapparsi” ai numeri e difendere a spada tratta la fattibilità del Reis a partire da argomentazioni concrete e credibili. Non si tratta, in alcun modo di negare che la proposta d’introdurre una nuova politica di welfare debba confrontarsi seriamente con la limitatezza delle risorse e con i vincoli del pareggio di bilancio, imposti dalla riforma dell’articolo 81 della nostra Costituzione. Su questo fron-te, invece, occorre ragionare, dati alla mano, prendendo le mosse dai documenti di programma-zione della finanza pubblica come definiti nella legge di riforma della contabilità pubblica (legge 196/2009 come modificata dalla legge 39/2011). In questo schema un ruolo fondamentale è quello del Documento di economia e finanza (DEF). La presentazione di questo documento assolve anche ad uno degli adempimenti richiesti all’Italia in quanto paese membro della Comunità Europea, in particolare in relazione alle richieste del “seme-stre europeo”19. Dal punto di vista economico-finanziario il DEF 2013 assume l’obbligo di mantenere nel periodo di riferimento (2013-2017) il pareggio di bilancio in termini strutturali, come previsto dalle regole del Patto di stabilità e crescita dell’UE (modificate nel novembre 2011) e confermate dal Fiscal Compact20. 19Con il termine “semestre europeo” ci si riferisce alle norme, in vigore dal 2011, che hanno l’obiettivo di rafforzare la

governance economica all’interno della UE. Il semestre inizia a gennaio e si conclude a giugno e prevede che entro il 30 aprile i governi dei paesi membri presentino a Bruxelles il Documento di economia e finanza (DEF) con l’aggiornamento delle stime macroeconomiche, assieme al Programma nazionale di riforme (Pnr). Lo scopo è quel-lo di dimostrare come intendono raggiungere una posizione di bilancio in linea con gli obiettivi di medio termine. La Commissione valuta questo programma e il Consiglio Ecofin esprime eventuali raccomandazioni. 20Con il termine Fiscal compact si identifica l’obbligo, entrato in vigore dal 1 gennaio 2013, di gestire i conti pubblici con un deficit strutturale non superiore allo 0,5% del Pil, soglia aumentata fino all’1% per i paesi con un rapporto debito – Pil superiore al 60%. Per questi paesi valgono le norme del “Six Pack”, entrate in vigore il 13 dicembre

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Durante il travagliato esordio della XVII legislatura il Governo Monti, in regime di prorogatio, ha presentato un DEF che il nuovo Governo potrà anche variare e integrare21, aggiornando opportuna-mente tutte le relative compatibilità finanziarie. L’introduzione e il consolidamento di una nuova misura di contrasto alla povertà devono, quindi, essere necessariamente collocati nell’alveo delle previsioni macroeconomiche del DEF 2013 (MEF, 2013). Questo significa valutare, in base ai dati contenuti nel DEF 2013 (MEF, 2013), la possibilità di giungere alla copertura dell’onere complessivo della fase transitoria e della misura a regime. La tabella 4 ipotizza il percorso di graduale introduzione del Reis a partire dal 2014, che significhe-rebbe rendere il 2017 il quarto anno della transizione, cioè il primo a regime; la tabella, a titolo di esempio, è costruita seguendo l’ipotesi di transizione a velocità costante (in ogni anno la spesa per il Reddito d’inclusione sociale cresce di un quarto del totale, cioè 1328,1 milioni, cfr. par. 10.2.2.1). La tabella mostra, alla luce della dinamica prevista dal DEF per il Pil nel periodo 2013-2017, come varieranno nel quadriennio il suddetto Pil, la spesa per pensioni, quella per altre prestazioni sociali e gli stanziamenti destinati al Reis. Ne emergono alcune considerazioni: 1)per prima cosa, bisogna sempre ricordare che con circa 5,3 miliardi di finanziamento a regime non si darà un’elemosina bensì si potrà migliorare sensibilmente la condizione di milioni di fami-glie e di persone che oggi – trovandosi nell’area della povertà - vedono progressivamente peggio-rare le loro situazione; 2)un budget di 5,3 miliardi, che pure non sono pochi, costituisce un impegno pari allo 0,3% circa dell’ammontare di spesa complessiva dello Stato. Si tratta della distanza che oggi separa la spesa ita-liana contro la povertà (0,1% del Pil) dalla media europea (0,4% del Pil). A titolo di confronto, la spesa pubblica primaria22 ammonta oggi al 45,6% del Pil e la spesa per la protezione sociale il 26,5% , men-tre previdenza e prestazioni sociali assistenziali ammontano rispettivamente al 15,9% e al 4,0% del Pil. I confronti concordano nell’indicare lo 0,3% come un ammontare di spesa pubblica non eccessi-vamente ampio; 3)i dati spiegano meglio di qualsiasi frase perchè l’approccio graduale permette di rendere il necessa-rio incremento di spesa sostenibile nel tempo. Infatti, non si tratta di reperire i 5,3 miliardi in una vol-ta sola, dal momento che - per raggiungere l’obiettivo - basterebbe iniziare con 111 milioni di euro al mese per l’anno di avvio, necessari a garantire il 25% del budget complessivo (1328,1 milioni di finan-ziamento, scenario “transizione a velocità costante”23) oppure con ancor meno, con 67 milioni di eu-ro, che servirebbero a garantire il budget minimo a partire (800 milioni per il primo anno, scenario

2011 per rafforzare il “Patto di stabilità”. In forza di queste norme i paesi come l’Italia,che hanno un rapporto debi-to- Pil oltre il 60%, anche se hanno un deficit sotto il 3% rischiano una procedura di infrazione. A partire dalla chiusura della procedura di infrazione per deficit eccessivo ottenuta a fine maggio 2013, stante questo quadro, l’Italia avrà tempo fino al 2015 per pensare ad una strategia in grado di ridurre il debito al ritmo medio di 1/20 del differenziale tra il livello attuale e il target del 60%. Concretamente, questo potrebbe richiede manovre correttive della finanza pubblica di una cinquantina di miliardi l’anno. 21Compatibilmente con il monito consegnato dal Presidente del consigli Mario Monti nella presentazione del DEF 2013 laddove ricorda che “… è però cruciale tenere la guardia alta sulle finanze pubbliche. Da una parte essere tra gli Stati “virtuosi” è la premessa obbligata per usufruire degli spazi che si stanno aprendo a livello europeo. Dall’altra, la riduzione del debito, che è a un livello troppo elevato, è l’unica strada per ridurre i costi degli interessi ed evitare penalizzazioni da parte dei mercati finanziari.” (MEF 2013). 22 Cioè senza considerare gli interessi da pagare sul debito pubblico. I dati sulla spesa pubblica primaria, sulla spesa per la protezione sociale, su pensioni e altre prestazioni sociali si riferiscono tutti al 2012. I dati su pensioni e altre prestazioni sociali si possono ritrovare nella tabella 4. 23 Questo scenario è illustrato nella tabella 1 e ripreso nella tabella 4.

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“transizione ad accelerazione ritardata”24). Ciò non può rappresentare un risultato impossibile per un Paese che sta spendendo circa 200 milioni al mese per la cassa integrazione in deroga25; 4)mantenendo fissa l’incidenza della spesa per “altre prestazioni sociali in denaro” al 4.1% del Pil, si potrebbe contare su un budget di 73,2 miliardi di euro nel 2017, con un incremento cumulato nel periodo di 8.503 milioni rispetto a quanto stanziato nel 2013; 5)nonostante il problema della bassa crescita stia limitando da tempo gli spazi di manovra della finan-za pubblica nel quadro stimato per la nostra economia, dopo il 2014 si dovrebbero creare le condizio-ni per una crescita economica che, finalmente, restituirebbe al legislatore uno spazio di manovra e-spansiva. Indubbiamente una simile impostazione sconta tutti i rischi tipici delle stime e delle previsioni. D’altra parte sembra ragionevole credere alle prospettive disegnate per il prossimo futuro nel do-cumento di programmazione economica e finanziaria DEF 2013. In sintesi, vista a partire dai dati, la sostenibilità finanziaria non sembra una chimera.

TAB. 4- QUADRO SINOTTICO DELLE PRINCIPALI GRANDEZZE CON IPOTESI D’INTRODUZIONE DEL REIS A PARTIRE DAL 2014 E TRANSIZIONE A VELOCITÀ COSTANTE26

2012* 2013 2014 2015 2016 2017

Variazione cumulata

2014-2017

PRODOTTO INTERNO LORDO,

PIL nominale

1.565.916 1.573.233 1.624.012 1.677.735 1.731.311 1.785.918

24 Questo scenario è illustrato in tabella 2 e tabella 3, in entrambe la suddivisione della spesa nel quadriennio è la me-desima. 25L’argomento della Cassa integrazione guadagni in deroga meriterebbe un approfondimento a parte dal momento che, in attesa degli ammortizzatori sociali «universali» contenuti nella riforma Fornero del mercato del lavoro, la cassa «in deroga» simboleggia in modo eloquente la balcanizzazione del nostro sistema di ammortizzatori sociali. La Cig,o la mobilità in deroga, infatti,rappresenta la somma erogata ai settori produttivi non coperti dalla Cassa in-tegrazione guadagni (commercio, bancari, trasporto aereo, tutti i moltissimi dipendenti delle piccole aziende, tanto per fare qualche esempio). Negli ultimi tempi con la «deroga» si è intervenuti anche per i lavoratori che hanno e-saurito la Cig ordinaria o straordinaria «normale» (ad esempio, per chi ha già fruito della Cig ordinaria per 12 mesi consecutivi). Oltre alle fattispecie a cui si applica l’altra grande caratteristica della Cig in deroga la sua caratteristica è che, a differenza di quella «normale» (ordinaria o straordinaria), non viene finanziata da contributi pagati da la-voratori e imprese, essendo tutta a carico dello Stato. 26La tabella 4 è costruita nell’ipotesi di uno scenario di “transizione a velocità costante con 100% dell’importo” illu-strata nel par 10.2.2.1 e in tabella 1. Dunque, oltre ad un incremento ogni anno di un quarto della spesa, si prevede che da subito venga erogato – come prestazione economica – il 100% della distanza il reddito della famiglia e la so-glia di povertà.

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Variazione assoluta27 - - 50.779 53.723 53.576 54.607 212.685

Tasso di variazione % - - 3,2% 3,3% 3,2% 3,21%

PENSIONI,

Spesa in valore assoluto

249.471 255.200 262.520 269.600 276.980 284.700

Spesa in % del PIL 15,9% 16,2% 16,4% 16,1% 16,0% 15,9%

Variazione assoluta - 7.320 7.080 7.380 7.720 29.500

Tasso di variazione % - 2,9% 2,7% 2,7% 2,8%

ALTRE PRESTAZIONI SOCIALI IN

DENARO,

Spesa in valore assoluto

61.942 64.720 67.270 69.080 70.460 73.223

Spesa in % del PIL 4,0% 4,1% 4,1% 4,1% 4,1% 4,1%

Variazione assoluta - 2.550 1.810 1.380 2.763 8503

Tasso di variazione % - 3,9% 2,7% 2,0% 3,9%

REIS,

Spesa in valore assoluto

- - 1.328,1 2.656,2 3984,3 5.312,5

Spesa in % del PIL - - 0,08% 0,16% 0,23% 0,30%

Spesa in % delle altre prestazioni sociali in denaro

- -

1,97% 3,85% 5,65% 7,26%

Variazione assoluta - - 1.328,1 1.328,1 1.328,1 1.328,1 5.312,5

Tasso di variazione % - - 100,00% 50,00% 33,30% ‘* Risultati della contabilità nazionale Fonte: ns elab su dati Documento economia e finanza 2013 (DEF, 2013 pag. 34)

10.4.CONCLUSIONI. COME PROTEGGERE IL PERCORSO PLURIENNALE Il progetto per l’introduzione del reddito di inclusione sociale (Reis) contiene gli indirizzi, gli strumenti e le risorse per un Piano nazionale contro le povertà. Si tratta di una novità importante di cui il nostro Paese ha un’urgente necessità. Il Piano nazionale, in attuazione dell’articolo 22 della legge n. 328 del 2000 e dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, definisce i livelli essenziali di assistenza e i diritti esigibili per prendere in carico le persone e le famiglie in condizioni di povertà. Con l’introduzione del Reis si punta decisamente a dotare l’Italia di una poli-tica universalistica di lotta alle povertà che superi gran parte degli interventi settoriali, categoriali e locali attualmente in vigore. Una riforma con questi propositi deve mettere in conto un percorso pluriennale che sarà minac-ciato dall’insorgere di inevitabili difficoltà applicative e da innumerevoli motivi di critica. Al fine di 27 In tutta la tabella, le variazioni sono da intendere rispetto all’anno precedente. La variazione cumulata è la somma delle variazioni fatte registrare tra il 2014 e il 2017 in ogni anno rispetto a quello prima.

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10. IL PIANO PLURIENNALE

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tutelare il percorso e consentirne la conclusione, la certezza del finanziamento, assicurato dall’impegno sul bilancio pluriennale dello Stato, rappresenta una prima significativa condizione. Tuttavia, il risultato finale non potrà fare a meno di un consenso sociale rispetto all’utilità di questa riforma, da costruire mediante un impegno bipartisan da parte di tutte le forze politiche. Come proposto nel capitolo 1, al varo della riforma dovrebbe essere affiancato un ulteriore impegno pubblico da concretizzare attraverso la sottoscrizione, da parte di tutte le forze politiche, di un “patto aperto contro la povertà” che dichiari apertamente l’impegno di tutti i soggetti politici a ga-rantire l’attuazione della riforma a prescindere dalla durata del Governo proponente. Infatti, l’idea è che la logica pattizia coinvolga inizialmente i soggetti sociali, per poi allargarsi alle diverse forze politiche. Oltre alla componente fortemente valoriale di un simile impegno, va sottolineata anche la scelta strategica di stimolare e far convergere nella riforma tutte le energie e competenze oggi dis-seminate in tante parti. Il patto “aperto” ha proprio questa funzione e, fermi restando i capisaldi della riforma, dovrebbe consentire il massimo coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, sia nel-la fase di lancio che nella lunga e complessa transizione verso l’entrata a regime. La sottoscrizione di un “Patto aperto contro la povertà” in questo senso potrebbe trovare un ulte-riore sostegno politico – istituzionale anche attraverso un impegno formale da parte di Anci e Con-ferenza delle Regioni. Rispetto al risultato finale non meno significativo risulterà anche una forma-lizzazione dell’impegno da parte dei soggetti del Terzo settore e della società civile ad appoggiare e a patrocinare il progetto attraverso idonee azioni di advocacy. Infine, last but not least, un ultimo argomento a sostegno dell’impegno pluriennale per la realizzazio-ne del Reis va collegato alle richieste della UE che, nell’ambito delle attività di coordinamento comu-nitario delle politiche economiche e occupazionali, ha adottato la cosiddetta Strategia EU2020. Quest’iniziativa, promuovendo una risposta integrata e innovativa ai problemi sociali ed economici che la crisi ha reso più urgenti e acuti, interpreta le politiche sociali – come pure quelle ambientali – non come appendici delle politiche economiche, ma come asset essenziali per la crescita dell’occupazione e dell’economia nel suo complesso. In questo quadro anche le politiche di contrasto alla povertà (es. inclusione attiva) contribuiscono a sostenere la domanda e rafforzare l’offerta di la-voro, consolidando la crescita economica (MLPS, 2012). In Italia manca una misura che possa essere ricondotta alle esperienze degli altri partner europei in materia di reddito minimo. Attraverso il reddito di inclusione sociale si andrebbe quindi a sana-re questa lacuna offrendo, una volta tanto, ai cittadini una percezione positiva dei vincoli comuni-tari. In ogni caso, anche a fronte di simili evidenze, non è possibile nascondersi le difficoltà e le incognite che gravano su un progetto pluriennale di riforma in un Paese come l’Italia, perennemente ostaggio dell’alternanza delle maggioranze politiche. Per questo occorre essere consapevoli che, in ultima i-stanza, quelle che garantiscono la continuità o determinano la fine delle politiche pubbliche sono sempre le scelte politiche. Alla fine non resta che fare ciascuno la propria parte e attendere il risulta-to, lasciando “ai posteri l’ardua sentenza”.

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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE

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Il Reis incorpora gli aspetti migliori, quelli che funzionano meglio, delle varie misure già introdotte e sperimentate in vari paesi del mondo, adattandoli alla realtà italiana. Nella maggior parte dei paesi europei gli schemi di reddito minimo svolgono un ruolo residuale, perché il grosso del sostegno al reddito viene svolto dalle altre prestazioni del welfare. In Italia il Reis dovrà scontare le carenze del sistema di welfare italiano, ma l’esplosione di spesa e numero di beneficiari so-no scongiurati dall’enfasi sulla povertà assoluta. Pur raggiungendo una quota di popolazione superiore a quella del reddito minimo olandese, danese o finlandese il Reis costa meno di questi, e degli altri schemi europei. Utilizzando l’ISEE, il reddito disponibile e gli indicatori di controllo sui consumi, il Reis adotta criteri d’accesso più raffinati rispetto a molti schemi europei I criteri di accesso in base alla residenza del Reis sono semplici, equi e non discriminatori. La governance del Reis va nella direzione dell’integrazione tra funzioni e del coordinamento tra istitu-zioni seguita negli ultimi dieci anni da tutti i paesi europei. È però fondamentale l’utilizzo di personale adeguatamente formato: anche a tale fine, il Reis prevede che il 25% della spesa venga destinata al fun-zionamento dei servizi sociali e per l’impiego. Il Reis si avvale dell’evidenza empirica internazionale su che cosa funziona in tema di obblighi e doveri dei beneficiari e di eventuali sanzioni, ma con un approccio capacitante e non punitivo. Tra beneficia-rio del Reis e amministrazione pubblica vige una condizionalità reciproca. L’evidenza comparativa serve per capire che cosa ci si può legittimamente aspettare dal Reis e che cosa va al di là delle possibilità di uno schema di reddito minimo anche dove le condizioni di contesto sono oggettivamente più favorevoli rispetto all’Italia. Occorre avere aspettative realistiche sugli effetti di inserimento lavorativo degli schemi di reddito mi-nimo. Le percentuali di attivazione dei beneficiari abili al lavoro variano dal 12% in Germania al 50% in Olanda. I tassi di reimpiego sono al più del 25%. Il principale metro di valutazione di uno schema di reddito minimo non è l’inserimento lavorativo: è il miglioramento delle condizioni materiali di vita dei beneficiari. Il Reis in primo luogo è una misura contro la povertà assoluta, e deve essere valutato sulla sua capacità di ridurre la povertà.

11.1 INTRODUZIONE In questo capitolo conclusivo guarderemo al Reis in una prospettiva comparata, con l’aiuto dell’evidenza empirica proveniente dall’esperienza internazionale e anche italiana, per gli schemi

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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE

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che sono stati introdotti negli ultimi anni a livello nazionale e regionale. Mostreremo che il Reis in-corpora gli aspetti migliori, quelli che funzionano meglio, delle varie misure già introdotte e spe-rimentate in vari paesi del mondo, dal Brasile alla Germania, adattandoli alla realtà italiana. Segnale-remo le differenze tra il Reis e schemi simili, dovute alle caratteristiche del contesto del nosto pae-se. Forniremo un metro di giudizio dei futuri risultati del Reis, evidenziando che cosa possiamo a-spettarci, che cosa non è lecito attendersi da un intervento che costa lo 0,34% del Pil e che cosa, in-vece, rappresenterebbe un successo. La progettazione del Reis ha costituito un esercizio di utilizzo dell’evidenza empirica disponibile per il miglior disegno possibile della misura, quanto viene detto “evidence-based policymaking” (Davies, Nutley, Smith 2000 e, in funzione critica, Cartwright e Hardie 2010). Per fare questo, so-no stati prodotti due studi dell’evidenza empirica nazionale e regionale (Spano, Trivellato e Zanini 2013) e internazionale (Sacchi 2013), che accompagnano questo capitolo come appendici al pro-getto e al quale il lettore interessato ai dettagli dovrebbe rivolgersi1. Ma l’attenzione all’evidenza empirica, per capire “che cosa funziona” (e che cosa no) non può esaurirsi nella fase di disegno della misura. Essa deve essere costante, per consentire correzioni a quegli aspetti del Reis che si dimostreranno problematici alla luce del suo effettivo funzionamento, sia nel disegno dell’intervento, sia nella sua governance, in un’ottica pragmatica e volta al costante miglioramento del Reis. Per fare questo è essenziale predisporre un impianto metodologicamente solido di valu-tazione del Reis, quanto è stato fatto nel capitolo 8, nonché prevederne il costo, quanto fatto nel capitolo 10. Più in generale, però, l’aggiustamento pragmatico del Reis alla luce del suo funziona-mento dovrà in primo luogo fare tesoro dei suggerimenti degli operatori e degli utilizzatori: per questo è di fondamentale importanza mantenere la logica del Patto aperto contro la povertà che ha guidato la formulazione di questa proposta di intervento contro la povertà assoluta. Pensare, nel parlare del Reis, alla Bolsa Familia brasiliana o al Konanthjaelp danese potrebbe sem-brare astruso: in fin dei conti ogni paese ha i suoi caratteri nazionali, i suoi problemi, le sue logiche di funzionamento. Vero, e infatti il Reis è stato calibrato sulle caratteristiche italiane, ma noi cre-diamo che si possa comunque imparare molto dall’esperienza comparata: tutti i paesi (e le regioni italiane) che hanno introdotto degli schemi di reddito minimo si sono dovuti confrontare con alcuni problemi simili e hanno dovuto compiere delle scelte, a Trento come a Helsinki, in Basilicata come in Francia. Faremo allora ricorso all’evidenza comparativa per capire che cosa ci possiamo legit-timamente aspettare dal Reis e che cosa no, che cosa va al di là delle possibilità di uno schema di reddito minimo anche dove le condizioni di contesto sono, oggettivamente, più favorevoli rispetto all’Italia. In passato, ad esempio nel rendere conto degli esiti della forma sperimentale di Reddito Minimo di Inserimento, sono stati utilizzati da parte dei media e della politica italiani dei metri di giudizio che sarebbero stati considerati eccessivi e privi di contatto con la realtà anche in paesi come la Danimarca o l’Olanda, che non hanno i problemi di disoccupazione e di arretratezza strut-turale di intere parti del territorio nazionale che abbiamo nel nostro paese. Occorrono, in altri termini, buon senso, misura e conoscenza della realtà empirica. Il Reis è uno strumento importante e può raggiungere degli scopi fondamentali per un paese civile, ma non può fare miracoli, e nemmeno raggiungere scopi che non sono i suoi. Per capirlo, occorre necessaria-mente guardare all’esperienza comparata, che è lo scopo di questo capitolo che conclude una pro-posta di policy fondata sull’evidenza empirica e organizzata come un’iniziativa aperta ai contributi 1 I casi analizzati a livello nazionale sono stati la sperimentazione del Reddito minimo di inserimento, la Carta acquisti sti e la sperimentazione della nuova Carta acquisti. A livello regionale, il Reddito di cittadinanza della Regione Campa-nia, il Reddito minimo di garanzia della Regione Lazio, il programma di Promozione della cittadinanza solidale della Regione Basilicata, il Reddito di base della Regione Friuli Venezia Giulia, e il Reddito di garanzia della Provincia auto-noma di Trento. A livello internazionale, gli schemi presenti in Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, O-landa, oltre ad alcuni spunti dagli schemi detti “cash conditional transfer” latinoamericani.

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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE

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di tutti. In quanto segue verranno allora ripercorsi i nodi fondamentali della nostra proposta nell’ordine in cui sono stati trattati nei capitoli precedenti, soffermandoci su quanto è possibile imparare, per ciascuno di essi, dalla migliore evidenza empirica disponibile. 11.2 L’ITALIA E GLI ALTRI: IL POSTO DEL REIS NEL SISTEMA DI SOSTEGNO AL REDDITO Nella maggior parte dei paesi europei gli schemi di reddito minimo svolgono un ruolo residuale. Il grosso del sostegno al reddito per i cittadini viene infatti svolto dalle altre prestazioni del welfare. In primo luogo, per gli abili al lavoro, i sussidi di disoccupazione. È utile immaginare gli schemi di sostegno al reddito per gli abili al lavoro come composti da due livelli: il primo è costituito dai sus-sidi di disoccupazione, il secondo è il reddito minimo (che non si rivolge soltanto ai disoccupati, e in generale non si rivolge soltanto agli abili al lavoro). I sussidi di disoccupazione normalmente prevedono un pilastro principale assicurativo, cioè non soggetto alla prova dei mezzi bensì a requisiti contributivi (avere lavorato/versato contributi per un certo periodo prima della disoccupazione). La nostra Aspi è uno schema di questo genere. In molti paesi europei, oltre al pilastro assicurativo nei sussidi di disoccupazione esiste anche un pi-lastro ulteriore, di tipo assistenziale e quindi basato sulla prova dei mezzi, rivolto ai disoccupati che abbiano esaurito i sussidi assicurativi senza riuscire a trovare un lavoro (e, in alcuni casi, an-che ai disoccupati che non hanno maturato i requisiti per ottenere i sussidi assicurativi). Questo in Italia è assente. All’Aspi si affianca infatti uno schema di disoccupazione con delle condizioni di accesso ridotte, la mini-Aspi, ma pur sempre di tipo assicurativo, rivolto a lavoratori che non han-no i requisiti per ottenere l’Aspi, ma hanno comunque lavorato e contribuito. Chi rimane scoperto dal pilastro assicurativo dei sussidi di disoccupazione italiani (l’unico esisten-te)? Circa un milione di lavoratori dipendenti (e a progetto) italiani, se perdono il lavoro, non rag-giungono i requisiti minimi né per l’Aspi né per la mini-Aspi. Vi sono poi circa cinque milioni di lavoratori autonomi, che non sono coperti dai sussidi di disoccupazione. Inoltre, l’assenza di un pilastro di sussidi di disoccupazione di tipo assistenziale fa sì che anche quanti ottengono i sussi-di, ma non riescono a trovare un lavoro prima della sua fine, si dovranno rivolgere al Reis (posto che le loro risorse patrimoniali e di reddito familiare siano inferiori alle soglie previste). In parti-colare, tra quelli che accedono ai sussidi, circa 500.000 sono coperti (dalla mini-Aspi) per al mas-simo tre mesi soltanto2. Ricapitolando, nella maggior parte dei paesi europei al di sotto del livello di protezione fornito dai sussidi di disoccupazione si trova un livello più generale, costituito dal reddito minimo. In Italia questo manca, ed è a questa assenza che intendiamo rimediare con il Reis. In molti paesi, poi, il primo livello di protezione, quello dei sussidi di disoccupazione, prevede due pilastri: uno assicu-rativo (e questo esiste anche in Italia), e uno assistenziale, tipicamente per i disoccupati di lunga durata (e questo in Italia non c’è). Non in tutti, però: Danimarca e Germania non prevedono infatti il pilastro assistenziale per i sussidi di disoccupazione. In questo senso, dopo l’introduzione del Reis l’Italia sarà direttamente comparabile a questi due paesi. Rispetto all’Italia, però, il sistema danese di sussidi di disoccupazione di tipo assicurativo è notoriamente più esteso, e nonostante la durata sia stata ridotta rispetto al passato, i disoccupati danesi possono ricevere l’indennità di di-soccupazione sino a due anni consecutivi, confinando l’assistenza sociale a compiti senz’altro re-siduali. 2 Per approfondimenti vedi S. Sacchi, La riforma dei sussidi di disoccupazione: miglioramenti e problemi aperti, pre-sentazione svolta all’AREL, Agenzia di ricerche e legislazione, Roma, 4 luglio 2013.

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Diverso è il caso della Germania, l’unico paese nel quale l’assistenza sociale svolge un ruolo non residuale. Il pilastro assicurativo dei sussidi di disoccupazione funziona infatti secondo le stesse regole dell’Aspi, e le riforme Hartz IV degli anni 2000 hanno abolito il pilastro assistenziale dei sus-sidi di disoccupazione e creato un livello generale di assistenza sociale per gli abili al lavoro (Ar-beitslosengeld II, detto ALG II). Questo intercetta quindi tutti quanti non ottengono i sussidi assicu-rativi (disoccupati di lungo periodo, lavoratori con carriere intermittenti, nuovi entranti nel mer-cato del lavoro, lavoratori esclusi dall’assicurazione contro la disoccupazione), mentre per i non abili al lavoro c’è uno schema categoriale (Sozialhilfe), che è ormai marginale. Rivolto sia agli indi-vidui abili al lavoro, sia a quanti non lo siano, il Reis tiene assieme i bacini di beneficiari potenziali di ALG II e Sozialhilfe. La differenza è però che il Reis è rivolto alle sole famiglie in povertà assolu-ta, riducendo così molto il numero dei beneficiari. Insomma, nella maggior parte dei paesi europei (ma non in Germania) gli schemi di reddito mi-nimo hanno un lavoro relativamente ridotto da compiere, perché altre prestazioni, in particolare i sussidi di disoccupazione (ma anche, ad esempio, i sussidi agli studenti) intercettano parte dei po-tenziali beneficiari prima che questi si rivolgano all’assistenza sociale. In Italia il Reis si troverà a scontare alcune note carenze del sistema di welfare italiano, anche dopo la riforma dei sussidi di disoccupazione introdotta nel 2012, e che andrà a regime nel 2016. Se numero di beneficiari e spesa complessiva verranno contenuti dal fatto che il Reis è una misura contro la povertà assoluta, è comunque da aspettarsi che molti dei beneficiari siano soggetti abili al lavoro, o lavoratori a bas-se competenze e basso salario (vedi cap. 3). Da qui l’enfasi sull’inserimento lavorativo (da conce-pire, come detto, con un sano realismo) e sull’acquisizione di competenze adeguate al mercato del lavoro. Da qui anche l’enfasi sull’importanza che ai beneficiari vengano forniti adeguati servizi alla persona, inclusi quelli per l’impiego.

TABELLA 11.1: IL REIS NEL SISTEMA DI SOSTEGNO AL REDDITO

Che cosa mostra l’evidenza internazionale Schemi di reddito minimo spesso residuali (non in Germa-nia)

Presenza di altri schemi di mantenimento del reddito

Il messaggio per il Reis Restrizione della platea dei beneficiari: solo famiglie in po-vertà assoluta

Enfasi su percorsi di inserimento sociale e lavorativo e for-mazione competenze

Enfasi su servizi alla persona e per l’impiego

11.3 BENEFICIARI E COSTI DEGLI SCHEMI DI REDDITO MINIMO IN EUROPA A CONFRONTO COL REIS

11.3.1 I beneficiari Alla luce di quanto appena visto, possiamo aspettarci che gli schemi di reddito minimo abbiano un’incidenza e una composizione molto differente a seconda della configurazione istituzionale complessiva dei sistemi di welfare nei quali si inseriscono. In alcuni paesi gli schemi di reddito minimo mantengono un ruolo residuale e di protezione di ultima istanza, mentre in altri comin-ciano ad avere un ruolo importante per tutta la popolazione che percepisce redditi bassi. È utile in

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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE

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generale guardare non solo al numero dei beneficiari (rispetto alla popolazione), ma anche alle lo-ro caratteristiche, per capire se e in che modo il Reis si differenzia dagli schemi più sviluppati. Il reddito minimo è uno schema residuale in Austria, in Olanda e nei paesi nordici qui considerati, la Danimarca e la Finlandia. In Austria, il numero di beneficiari di schemi assistenziali era alla fine degli anni 2000 comparativamente ridotto, corrispondendo a circa il 2% della popolazione (Fink 2009, Pratscher 2009). Particolarmente rilevanti erano i tassi di mancata richiesta della prestazio-ne, anche perché la configurazione della misura e i modi della sua erogazione erano stigmatizzanti, aspetti che hanno portato alla riforma la cui implementazione ha preso avvio nel 20103. In Finlandia nel 2011 beneficiava del Reddito minimo il 3,8% della popolazione (nostre elabora-zioni su dati CSB MIPI). I principali beneficiari della misura sono costituiti da disoccupati (l’87% del totale dei beneficiari), giovani e persone sole: nel 2007 i minori di trent’anni costituivano il 51% del totale, mentre solamente il 17% dei nuclei beneficiari erano coppie, con o senza bambini (Bahle et al., 2011). Simile è la situazione in Danimarca: alla fine degli anni 2000 riceveva forme di assistenza sociale circa il 3,8% della popolazione. Anche qui, i beneficiari sono soprattutto giovani e individui che vi-vono soli. Nel 2006, il 40% dei beneficiari aveva meno di 30 anni, il 65% meno di 40 e il 56% dei beneficiari era costituito da individui soli. I genitori soli costituivano il 26% dei beneficiari (Bahle et al., 2011). In Olanda si osserva una notevole diminuzione del numero dei beneficiari che si è ridotto dal 3,2% della popolazione nel 2005 all’1,9% nel 2011. Il declino nell’incidenza dei beneficiari è comune-mente collegato al funzionamento del mercato del lavoro e all’importanza data all’attivazione, ma anche ad una crescente attenzione nei confronti delle frodi e delle violazioni (Blommesteijn et Mal-lee, 2009). In Germania e Francia al contrario vi è stata una notevole espansione nel corso del tempo, anche a seguito dei sostanziali cambiamenti regolativi avvenuti in questi due paesi che hanno esteso il raggio di azione degli schemi di reddito minimo. In Francia i nuclei familiari beneficiari del vecchio Revenu minimum d’insertion erano passati da poco più di 400mila nel 1990 a circa 1,1 milioni nel 2007, più della metà dei quali aveva meno di quarant’anni (Bahle et al. 2011). L’introduzione del Revenu de Solidarité Active (Rsa) non ha modi-ficato questa tendenza, che ha visto nel 2009 i nuclei familiari beneficiari crescere fino a quasi 1,9 milioni, corrispondenti a 3,9 milioni di individui, il 6,2% della popolazione (Comité national d’évaluation du Rsa 2011). L’ulteriore crescita dei beneficiari è dovuta al fatto che l’Rsa integra due misure precedentemente separate (il Revenu minimum d’insertion e una misura destinata ai geni-tori soli poveri) e include attraverso l’Rsa nella sua funzione di complemento al reddito, il cosiddet-to Rsa activité, anche un numero elevato di lavoratori a basso salario. Per questi ultimi l’Rsa fun-ziona appunto come un in-work benefit. Il 25% delle famiglie beneficiarie percepisce soltanto l’Rsa activité. Tra i restanti beneficiari, che percepiscono l’Rsa socle, cioè lo schema di base rivolto a tutti, sono sovrarappresentati rispetto alla popolazione francese i giovani, i single e le famiglie monogenitoriali (Comité national d’évaluation du Rsa 2011). In Germania, l’ALG II fa la parte del leone nel sistema di sostegno al reddito contro la disoccupa-zione e nell’assistenza sociale. Nel 2011 esso copriva il 70% dei disoccupati, a fronte del 30% del 3 In generale, il problema del non-take up rate è di solito trascurato dalla letteratura e dai policymaker, ma i suoi

effetti sono di grande importanza se l’obiettivo è la riduzione della povertà. Il Reis si propone, nella sua arti-colazione organizzativa, di ridurre tale fenomeno, avvicinando alla misura le famiglie potenzialmente aventi diritto (vedi cap. 4 e 5).

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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE

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sussidio di disoccupazione assicurativo (Petzold 2012)4. I beneficiari dell’ALG II (6,5 milioni) co-stituivano nel 2011 il 7,9% della popolazione (gli altri schemi di assistenza sociale coprivano tutti assieme l’1,3% della popolazione, con il Sozialhilfe a coprire poco più dello 0,1% della popolazio-ne). La tabella 11.2 mostra le caratteristiche dei beneficiari del Reis, così come illustrate nel capitolo 3, a confronto con quelle degli schemi di reddito minimo qui analizzati. Alcuni elementi dei beneficia-ri del Reis paiono in qualche misura richiamare quelli dei beneficiari degli altri schemi di reddito minimo europei: rispetto alla popolazione nel suo complesso tra i beneficiari del Reis sono sovra-rappresentati i giovani: quasi il 45% delle famiglie beneficiarie del Reis ha un capofamiglia di età inferiore a 40 anni. Circa un terzo delle famiglie beneficiarie sono costituite da un solo individuo e quasi la metà delle famiglie beneficiarie del Reis ha un capofamiglia occupato. TABELLA 11.2 I BENEFICIARI DEL REIS E DEGLI SCHEMI DI REDDITO MINIMO IN ALCUNI PAESI EU-ROPEI

Anno Beneficiari

(% popolazione)

Principali categorie di beneficiari

Olanda 2011 1,9% -

Austria fine 2000 2% -

Danimarca fine 2000 3,8% giovani, persone sole, genitori soli

Finlandia 2011 3,8% disoccupati, giovani, persone sole

Francia 2009 6,2% (incluso Rsa activité1) giovani, persone sole, famiglie monogenitoriali

Germania 2011 7,9% -

Reis 2012 4,8%2 giovani, famiglie con capofamiglia occupato

Note: (1) Rsa activité: 25% delle famiglie beneficiarie; (2): ipotizzando un take-up rate del 75%

I costi del Reis in prospettiva comparata Come abbiamo detto, ci si può aspettare che sul Reis si scarichino bisogni non coperti da altri tas-selli del sistema italiano di welfare, in primo luogo – come visto – il sistema dei sussidi di disoccu-pazione. L’elevata percentuale, fra i beneficiari, di nuclei familiari con capofamiglia occupato non deve trarre in inganno al riguardo, giacché può significare che il reddito del capofamiglia non ba-sta da solo ad evitare la caduta in povertà della famiglia, quando gli altri membri non sono occupati; in generale, è conseguenza del fenomeno della precarietà economica nel mercato del lavoro italia-no (Berton, Richiardi e Sacchi 2012). Lo squilibrio funzionale (cioè per tipo di rischi e bisogni co-perti) del sistema di welfare italiano è ben noto, e può essere apprezzato guardando alla Tabella 11.3, che riporta l’allocazione interna della spesa per prestazioni di protezione sociale nei paesi qui analizzati, nell’Unione europea e nell’area dell’Euro. Particolarmente importanti rispetto al Reis sono gli squilibri nella copertura dei rischi legati a disoccupazione, famiglia e bambini, ed abi-tazione e altre voci legate all’esclusione sociale. Cumulativamente, per queste voci l’Italia destina 4 In Germania pressoché tutti i disoccupati sono coperti dagli schemi di disoccupazione e reddito minimo.

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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE

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meno dell’8% della propria spesa sociale, dieci punti percentuali in meno che nell’Unione europea e nell’Eurozona. TAB. 11.3 SPESA PER PRESTAZIONI SOCIALI PER FUNZIONE, 2010 (VALORI PERCENTUALI)

Vecchiaia e superstiti Sanità, malattia e disabilità Disoccupazione Famiglia e bambini Abitazione ed esclusione sociale Tpstg

UE-27 45,0 37,4 6,0 8,0 3,6 1

Euro area 45,3 36,8 6,8 8,0 3,2 1

Danimarca 37,7 37,4 7,5 12,4 5,0 1

Germania 40,2 40,4 5,8 10,9 2,7 1

Francia 44,9 35,0 6,9 8,3 5,0 1

Olanda 39,2 43,4 5,2 4,1 8,1 1

Austria 49,6 32,8 5,7 10,4 1,5 1

Finlandia 39,2 37,3 8,2 11,1 4,2 1

Italia 60,6 31,5 2,9 4,6 0,3 1

Fonte: Eurostat, ESSPROS database

D’altro canto, il Reis si concentra sulla povertà assoluta. Questo fa sì che la spesa per il Reis in ter-mini di Pil resti comparativamente molto contenuta, rispetto al costo degli schemi di reddito mi-nimo negli altri paesi europei qui presi in considerazione. Inoltre, la spesa per prestazioni mone-tarie è inoltre pari all’82% del totale; il 25% della spesa viene infatti utilizzata per far funzionare i servizi alla persona e quelli di attivazione lavorativa per i beneficiari del Reis, una quota addirit-tura superiore a quella destinata dalla Francia per le misure di inserimento all’interno delle ri-sorse del Revenu de solidarité active5. TAB. 11.4 SPESA TOTALE PER SCHEMI DI REDDITO MINIMO IN ALCUNI PAESI EUROPEI

Paese Anno Misura Spesa/Pil

Austria 2007 Sozialhilfe (pre-riforma1) 0,6%

Danimarca 2007 Konanthjaelp 0,6%

Francia 2010 Revenu de solidarité active (RSA) 0,5%

Germania 2010 ALG II 1,4%

Olanda 2007 Schema generale di reddito minimo (WWB)2 1%

Italia 2017 Reis3 0,34%

Note: (1): Schema modificato in senso più generoso a partire dal 2010; (2): Wet werk en bijstand (legge su lavo-ro e assistenza sociale). Comprende quattro schemi categoriali soggetti alla prova dei mezzi (per i lavo-ratori autonomi poveri, per i disabili anziani, per i disabili giovani, per gli artisti); (3): Spesa totale a re-gime, ipotizzando un take-up rate del 75%.

5 In Francia infatti la spesa è così suddivisa: 85% prestazione monetaria, 15% servizi (Comité national d’évaluation du Rsa 2011).

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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE

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11.4 I CRITERI DI ACCESSO Non è qui possibile dare conto di differenze e affinità nei criteri di accesso dei vari schemi di red-dito minimo internazionali e appartenenti all’esperienza italiana, nazionale e regionale, e con tutta probabilità ciò costituirebbe un esercizio privo di rilevanza pratica ai nostri fini6. Due aspetti ci sembrano però rilevanti, riguardanti la considerazione del patrimonio il primo e le condizioni di residenza il secondo. 11.4.1 Il trattamento del patrimonio Pressoché ovunque, in ambito internazionale, viene adottata una prova dei mezzi basata sul reddi-to del richiedente o della sua famiglia, associata a vincoli stringenti quanto al patrimonio mobiliare e immobiliare familiare detenuto. Sono infatti previsti dei limiti nel valore monetario del patrimo-nio liquido o mobilizzabile (attraverso alienazione, ipoteca, locazione) al di sopra dei quali l’accesso alla misura è precluso. Nel computo del patrimonio non vengono sovente presi in consi-derazione la casa di abitazione e il mobilio, ma solo entro limiti ragionevoli. A titolo di esempio, in Germania (valori 2011) vi è un’esenzione sul patrimonio pari a 150€ per ogni anno di età del ri-chiedente, con un minimo di 3.100€ e un massimo di 9.700€; tali importi vengono raddoppiati per le coppie. Vi sono ulteriori esenzioni per polizze pensionistiche integrative, la casa di abita-zione le cui dimensioni siano adeguate al numero dei familiari e un’automobile con un valore non superiore a 7.500€. Al di sopra di queste soglie, l’accesso all’ALG II è precluso. In Olanda il limite di patrimonio ammissibile (inclusa l’automobile) è pari a 5.555€ per un single, 11.110€ per una famiglia (valori 2011). Fa eccezione l’abitazione di proprietà, per la quale vi è un limite speciale pari a 46.900€. Oltre tale limite, il richiedente del reddito minimo può ottenere quest’ultimo in forma di prestito dando l’immobile in garanzia. L’unico caso nel quale non viene direttamente preso in considerazione il patrimonio è l’Rsa fran-cese, per il quale però è prevista una valutazione patrimoniale qualora venga rilevata una discre-panza tra lo stile di vita e le risorse familiari dichiarate. Per quanto riguarda l’esperienza italiana, il Reddito minimo d’inserimento prevedeva uno schema logicamente simile a quello della maggior parte dei casi europei, con l’accesso basato sul reddito e soglie separate per il patrimonio, ma la regola draconiana di una soglia patrimoniale nulla – ad es-sezione della casa di abitazione – indusse poi i comuni a introdurre eccezioni locali e non coordi-nate. D’altro canto l’affinamento dell’ISEE nel corso degli ultimi quindici anni rende quest’ultimo lo strumento più adeguato e sofisticato per valutare congiuntamente la situazione economica di un soggetto sulla scorta di reddito, patrimonio sia mobiliare che immobiliare, e caratteristiche fami-liari, ciò che viene fatto solo in modo rozzo nelle altre esperienze europee. Le esperienze regionali più significative (quella del Friuli Venezia Giulia, della Basilicata e della Provincia di Trento) hanno tutte utilizzato l’ISEE o sue modificazioni, e l’ISEE viene anche utilizzato dalla Carta acquisti spe-rimentale avviata nel 2013. Nella presente proposta (vedi cap. 3) abbiamo ritenuto che, strumento necessario per la valutazione della condizione economica grazie alla considerazione del patrimo-nio, l’ISEE operi come un primo filtro di accesso, e che l’accesso effettivo al Reis sia poi valutato utilizzando la stessa metrica della povertà assoluta, cioè attraverso il reddito disponibile. A questo, sulla scorta dell’esperienza campana e soprattutto di quella trentina, si affianca un indicatore di controllo basato sui consumi.

TABELLA 11.5: IL PATRIMONIO NELLA PROVA DEI MEZZI

6 Chi fosse interessato ai vari criteri di accesso adottati nei vari schemi può consultare le Appendici sulle espe-

rienze nazionali (Spano, Trivellato, Zanini 2013) e internazionali (Sacchi 2013).

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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE

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Che cosa mostra l’evidenza internazionale Prova dei mezzi basata su reddito; limiti patrimoniali per acces-so a misura presenti pressoché ovunque

Il messaggio per il Reis Utilizzo ISEE come filtro; utilizzo reddito disponibile per l’accesso assieme a indicatori di controllo basati sui consumi

11.4.2 Il criterio della residenza Come si è visto nel capitolo 3, il Reis è accessibile da tutti quanti risiedano legalmente sul territorio italiano da almeno un anno. Questa è una scelta equilibrata, che media tra molte istanze differenti. In generale, requisiti di stabilimento sul territorio sono presenti con vari gradi di stringenza in tutti i paesi europei. Se infatti ai cittadini nazionali sono equiparati quelli comunitari, per i cittadi-ni di paesi non appartenenti all’UE sono spesso richiesti requisiti particolari di residenza legale. Qui le scelte nazionali si intrecciano col diritto comunitario e con le sentenze della Corte europea di giustizia, rendendo la materia complessa. Tipicamente, a tutti i cittadini dell’Unione europea (in-clusi quelli dello stato membro che fornisce il reddito minimo) viene richiesto un requisito mini-mo di residenza (che non può essere differenziato tra cittadini nazionali e altri cittadini comunita-ri). Spesso, questo coincide con i tre mesi richiesti nell’UE per ottenere l’iscrizione all’anagrafe. Sino al compimento dei cinque anni di residenza, però, la richiesta di ricevere assistenza sociale da parte di un cittadino comunitario non nazionale potrebbe in via di principio dar luogo alla revoca della residenza e alla conseguente espulsione. Requisiti più stringenti possono essere previsti nel caso di cittadini di paesi terzi: sia in Austria, sia in Francia il reddito minimo viene concesso sol-tanto ai cittadini non comunitari cosiddetti soggiornanti di lungo periodo, cioè a quanti siano le-galmente residenti da almeno cinque anni. Tale scelta è stata fatta anche nel contesto della speri-mentazione della nuova carta acquisti in Italia, in aggiunta al requisito della residenza nel territorio di sperimentazione da almeno un anno, che vale per tutti i richiedenti. In Olanda i cittadini di paesi terzi possono accedere al reddito minimo salvo che il loro permesso di soggiorno lo vieti, ma sino all’ottenimento del permesso di soggiorno di lungo periodo la richiesta di assistenza sociale può far perdere il diritto alla residenza. In Danimarca addirittura il Konanthjaelp è riservato a quanti (danesi, comunitari, cittadini di paesi terzi) abbiano soggiornato legalmente in Danimarca per al-meno 7 degli ultimi 8 anni (esistono però schemi di reddito minimo di importo inferiore per chi non raggiunga tale requisito). La sperimentazione del Reddito minimo di inserimento prevedeva requisiti differenziati per cittadini italiani e comunitari e per cittadini di paesi terzi, mentre – in patente e insanabile contrasto con il diritto comunitario – la carta acquisti era riservata ai soli cit-tadini italiani. A fronte di tale complessità, riteniamo che un criterio unico, applicabile a tutti, come quello adottato per il Reis costituisca un elemento di chiarezza e di equità. TABELLA 11.6: IL CRITERIO DELLA RESIDENZA

Che cosa mostra l’evidenza internazionale Criteri di residenza minima diversificati, ma soggetti a principio di non discriminazione tra cittadini comunitari. Criteri spesso più stringenti per cittadini di paesi terzi, comunque soggetti a controllo da parte di Commissione e Corte europea di giustizia in base al criterio di proporzionalità tra strumenti utilizzati e fini desiderati

Il messaggio per il Reis Adozione di un unico criterio, semplice e applicabile a tutti

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11.5 LA GOVERNANCE DELLA MISURA L’importanza degli aspetti di governance della misura è richiamata da una rassegna dell’evidenza empirica internazionale sugli schemi di reddito minimo (Immervoll 2010): attraverso una gover-nance chiara si evitano duplicazioni, sovrapposizioni strutturali di competenze e la rotazione dei beneficiari tra programmi diversi, tutti fenomeni dei quali vi è evidenza quando non c'è un unico centro decisionale. L’esperienza internazionale mostra come in tutte le realtà più avanzate si sia verificato un sempre maggior coordinamento tra assistenza economica, servizi sociali e sanitari e servizi per il lavoro. Questa è l’aspettativa sottostante il Reis, e come visto nei capitoli 4 e 5 la divi-sione e la condivisione delle competenze, le procedure e la creazione di gruppi di coordinamento interistituzionali vanno in questa direzione. In alcuni contesti l’integrazione istituzionale è avvenuta al massimo grado, attraverso la fusione vera e propria tra centri per l’impiego e agenzie preposte all’amministrazione e all’erogazione del contributo economico, sia per le prestazioni di disoccupazione che per quelle di reddito minimo, secondo il modello dello “one-stop shop”. Questo è ad esempio quanto avvenuto in Germania con la creazione dei JobCentre ed è previsto in Austria. Più in generale, al di là dell’istituzione di agenzie uniche, e tralasciando l’aspetto dell’erogazione monetaria per concentrarsi su quello dei servizi, due sono le dimensioni rilevanti: da un lato l’integrazione, per gli abili al lavoro, dei servizi per l’impiego sia per i beneficiari dei sussidi di di-soccupazione che per quelli del reddito minimo; dall’altro l’integrazione, per i beneficiari, tra ser-vizi sociosanitari e lavorativi. La prima dimensione di integrazione consente di sfruttare economie di scala, scopo e competenza all’interno dei servizi per l’impiego ed è una tendenza che accomuna tutti i paesi europei con schemi di reddito minimo sviluppati: oltre ai citati Germania e Austria, la Francia con gli uffici per l’impiego (Pôle emploi) creati nel 2008 e, di particolare interesse per il caso italiano, anche sistemi come l’Olanda e la Danimarca, nei quali la programmazione degli interventi e l’erogazione delle prestazioni avviene a livello comunale. Anche in tali due paesi sono stati infatti creati degli uffici unici composti da personale dei Centri per l’impiego e dei comuni, che forniscono i servizi per l’impiego sia ai beneficiari degli schemi di disoccupazione, sia a quelli degli schemi di reddito mi-nimo. La previsione per il disegno del Reis di far prendere in carico i beneficiari abili al lavoro, per quanto riguarda i bisogni formativi e l’attivazione lavorativa, dai Centri per l’impiego attraverso la redazione dei Patti di servizio, di concerto con i servizi sociali dei comuni associati in forma di Ambito, va esattamente in questa direzione. Circa la seconda dimensione, è particolarmente significativa l’esperienza finlandese, dove la colla-borazione tra i centri per l’impiego statali e i servizi sociali comunali ha riguardato in particolare i disoccupati di lunga durata, spesso beneficiari sia dei servizi per l’impiego che dei servizi sociali per problemi di abuso di alcool o di sostanze e altri problemi personali. All’interno del programma Lafos (Labour Force Service Centers) è stata prevista la collaborazione tra differenti agenzie: i ser-vizi per l'impiego, i servizi sociali e sanitari, gli uffici di previdenza sociale. Il compito dei centri Lafos, via via estesi sino a raggiungere oggi circa il 40% dei comuni finlandesi, inclusi i più densa-mente popolati (Karjailainen e Saikku, 2011), è quello di coordinare la riabilitazione, l'attivazione e i servizi per l'impiego attraverso l’esperienza di un team multiprofessionale, composto da esper-ti dell’ufficio di collocamento, dei servizi sociali e sanitari, di riabilitazione e previdenza sociale. Il Reis potrà andare in questa direzione se i comuni (associati in Ambiti) responsabili della presa in carico saranno effettivamente in grado di predisporre una valutazione integrata e multidimensio-nale dei bisogni del beneficiario attraverso la costituzione di team multiprofessionali comprenden-ti personale dei servizi sociali, dei centri per l’impiego e dei servizi sanitari, come da noi racco-mandato (vedi 5.3.3), piuttosto che separare burocraticamente i momenti della presa in carico so-ciale e della redazione del patto di servizio. L’esperienza finlandese è importante anche per la crea-

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zione di strutture di coordinamento operativo tra i diversi attori istituzionali coinvolti, una previ-sione da noi adottata con la creazione del Gruppo di coordinamento (vedi 4.5). In tutti i paesi, quindi, si va verso una maggiore integrazione, sia istituzionale – attraverso la crea-zione di agenzie uniche – sia funzionale, anche sulla scorta di un migliore coordinamento interi-stituzionale. Questo avviene in particolare dove la responsabilità operativa degli schemi di reddito minimo è propria del livello comunale, come in Nord Europa: per poter gestire i programmi di at-tivazione lavorativa, occorre muovere verso una scala territoriale più grande rispetto alle singole municipalità. Per questo motivo il Reis viene gestito dai comuni associati in forma di Ambito, all’interno di regole comuni fissate a livello nazionale. Allo stesso modo, l’integrazione funzionale è perseguita con la creazione di procedure e routine organizzative a ciò strumentali, ed è agevolata dalla costituzione di gruppi di coordinamento operativo. Oltre alla valutazione integrata dei bisogni dei beneficiari del Reis, sarebbe ad esempio utile costituire, come in Finlandia, delle vere e proprie “coppie di lavoro”, nelle quali un assistente sociale e un funzionario dei Centri per l’impiego se-guono congiuntamente il beneficiario. Insomma: come “reddito minimo 2.0” il Reis dovrebbe av-vantaggiarsi dell’osservazione di quanto accaduto negli altri paesi, e in particolare in quelli dove la gestione della misura è di competenza comunale, che hanno proceduto a forme di integrazione funzionale e cooperazione interistituzionale per poter rispondere alle sfide organizzative che un intervento complesso e articolato come il Reis pone. Infine, l’esperienza internazionale, ma anche quella dell’Rmi e di alcuni schemi regionali in Italia (come quello della Basilicata), mostrano come per svolgere bene i compiti di attivazione richiesti occorra personale esperto ad essi dedicato, e non personale amministrativo. Vi è un’evidente rela-zione tra la consistenza del personale specializzato espressamente dedicato allo schema di reddito minimo e la capacità dell’amministrazione di strutturare ed offrire progetti di inserimento efficaci. La disponibilità di risorse infrastrutturali appropriate è quindi un nodo cruciale per il successo di uno schema di reddito minimo che preveda anche una componente di inserimento, ed è stato uno dei principali motivi della bassa capacità di organizzazione e gestione di tale componente nella sperimentazione dell’Rmi italiano. Quello delle risorse infrastrutturali è un punto dirimente per l’efficacia di uno schema di reddito minimo che non intenda essere un mero trasferimento mone-tario: introdurre uno schema siffatto per lasciare che gli aspetti di inserimento sociale e lavorativo vengano curati da funzionari amministrativi, senza competenze specifiche e in aggiunta al pro-prio carico di lavoro normale significa condannarlo a sicuro insuccesso. Per questo motivo, il fi-nanziamento del Reis prevede che una componente sostanziale della spesa per la misura (il 18%) sia dedicata al funzionamento dei servizi per i beneficiari, sociali e lavorativi. TABELLA 11.7: ASPETTI DI GOVERNANCE

Che cosa mostra l’evidenza internazionale Integrazione istituzionale tra CpI e sportelli di erogazione contributo economico (one-stop shop)

Integrazione servizi per l’impiego per beneficiari di sussidi di disoccupazione e reddito minimo

Integrazione funzionale tra servizi per l’impiego, servizi so-ciali, servizi sanitari (nuclei congiunti di valutazione, coppie di lavoro)

Coordinamento operativo interistituzionale

Il messaggio per il Reis Spinta verso integrazione funzionale: valutazione integrata bisogni, progettazione integrata interventi, previsione di coppie di lavoro

Previsione di struttura di coordinamento operativo interisti-tuzionale: Gruppo di coordinamento

Utilizzo personale adeguatamente formato; previsione di finanziamento dedicato pari al 25% della spesa totale

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11.6 INSERIMENTO, CONDIZIONALITÀ, SERVIZI Come abbiamo visto nel capitolo 5, il Reis agisce sul versante dell’inserimento sociale e lavorativo dei beneficiari attraverso opportuni incentivi e servizi. Viene predisposto un adeguato disegno di condizionalità e il Reis viene erogato a fronte dell’impegno dei beneficiari a tenere un certo com-portamento, variabile a seconda delle caratteristiche individuali e delle condizioni familiari. Tali re-gole di condizionalità divengono vincolanti per tutti i beneficiari, con le sanzioni previste. Alcuni spunti dall’esperienza comparata sono qui utili per porre il Reis nella giusta prospettiva e mostra-re come l’esperienza degli altri paesi è stata adattata alla situazione italiana. Al tempo stesso, il Reis fa tesoro delle esperienze ben funzionanti presenti in Italia, prima fra tutte il Reddito di garanzia della Provincia autonoma di Trento. Poiché come abbiamo detto il Reis è uno schema unico, rivolto in via di principio alla generalità della popolazione, esso non riguarda solo gli abili al lavoro. L’attivazione dei beneficiari e la condi-zionalità non devono quindi essere soltanto intese come quelle lavorative. Qui è utile concepire il Reis come un esempio di Cash Conditional Transfer (CCT), una classe di schemi di assistenza so-ciale tipicamente basati sulla prova dei mezzi diffusosi nell’ultimo decennio in tutto il mondo a partire dall’America Latina per arrivare sino alla città di New York, anche grazie al sostegno tecni-co delle organizzazioni internazionali (Banca mondiale in primo luogo). Gli esempi principali sono Bolsa Familia in Brasile e Oportunidades in Messico, a cui si può aggiungere un programma molto più mirato al sollievo dalla povertà estrema, Chile Solidario in Cile (ILO 2010). La peculiarità dei CCT è quella di prevedere un’erogazione monetaria condizionata al mantenimento, da parte dei beneficiari, di comportamenti considerati virtuosi e come tali incentivabili in un’ottica di sviluppo umano, indirizzata in particolare alla cura della povertà infantile. Tali comportamenti riguardano il sottoporre i membri minori alle vaccinazioni e a periodici controlli medici, l’assolvimento degli obblighi scolastici, la frequenza scolastica, e così via. Il Reis insiste molto sul rispetto dell’obbligo scolastico, anche perché l’esperienza della “sperimentazione” del Reddito minimo di inserimento in Italia mostra come i programmi di inserimento e reinserimento scolastico siano stati assai effi-caci. Più in generale, per tutti i beneficiari, il Reis è condizionale a comportamenti di “buona citta-dinanza”, e prevede dei servizi per l’educazione a tali comportamenti, così come delle sanzioni se questi non vengono rispettati. Insomma, il Reis non dà solo “soldi ai poveri”, ma ne promuove l’inserimento nella società (vedi 6.2.2) e, per gli abili al lavoro, l’inserimento lavorativo (vedi 6.2.4). A questo riguardo, l’evidenza comparata porta alla ribalta un aspetto di grande importanza per il disegno delle misure di attivazione: la forte incidenza tra i beneficiari degli schemi di reddito mi-nimo di stranieri con problemi specifici di integrazione nella società e nel mercato del lavoro. Ha fatto recentemente scalpore in Danimarca la pubblicazione dei dati sui beneficiari di lunga durata, che hanno ottenuto la prestazione di reddito minimo, il Kontantjhaelp, per oltre dieci anni negli ul-timi quindici. Emerge infatti che, a fronte di un’incidenza nella popolazione in età da lavoro del 3,4%, le donne immigrate da paesi non occidentali costituiscono il 25% di tali beneficiari di lunga durata7. Anche l’esperienza del Reddito di cittadinanza della Provincia di Trento mostra come sia lecito attendersi una quota di stranieri tra i beneficiari più che proporzionale rispetto alla popola-zione generale: tra i beneficiari una famiglia su due ha almeno un componente straniero, a fronte di una quota inferiore al 10% nella popolazione (Spano, Trivellato, Zanini 2013). Il problema si pone in primo luogo a causa delle basse capacità linguistiche e delle basse competenze lavorative di tale categoria di beneficiari. Occorrerà allora predisporre nell’ambito del Reis delle misure ade-guate, per evitare che quelle progettate siano inefficaci e che l’attivazione sia strutturalmente vota-ta al fallimento, con l’esito di avere tassi di partecipazione ai programmi molto bassi, oppure ele- 7 “Marginalized immigrant women on near-permanent welfare”, The Copenhagen Post, 22-28 Febbraio 2013, p. 1.

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vati tassi di irrogazione delle sanzioni e revoca della prestazione. La predisposizione delle misure più adeguate va tarata con riferimento alle comunità etniche dei beneficiari, anche con l’aiuto di mediatori culturali. Sulla scorta dell’esperienza danese e trentina, sembra certamente necessario prevedere l’offerta di corsi di alfabetizzazione e di formazione linguistica, preliminarmente all’offerta di lavoro o di formazione (vedi 6.2.2). Se i servizi sociali e i centri per l’impiego non prenderanno seriamente questa sfida, il Reis rischia di dare luogo a una sottoclasse di beneficiari con basse chances di reinserimento. Se, per converso, questo aspetto diventerà un obiettivo spe-cifico da parte degli operatori locali, i risultati ottenibili in termini di inserimento dei beneficiari – in primo luogo sociale e nella comunità – potranno essere di grande rilievo. 11.6.1 Regole di condizionalità per gli abili al lavoro Come abbiamo visto nel capitolo 6, tutti i beneficiari del Reis abili al lavoro sono tenuti a rispettare il patto di servizio e i diritti/doveri in questo previsti. In generale, sono tenuti a cercare attivamen-te un’occupazione e ad essere immediatamente disponibili al lavoro, pertanto ad accettare offerte di lavoro congrue e a svolgere le attività di formazione e riqualificazione previste. In merito a tali aspetti, l’evidenza internazionale mostra come negli ultimi vent’anni, nel tentativo di eliminare possibili abusi e riportare più persone possibili all’impiego, si osservi una tendenza comune a imporre norme comportamentali sempre più stringenti ai beneficiari degli schemi di reddito mi-nimo. In particolare, si osservano valutazioni più severe per quanto concerne la disponibilità al lavoro, un maggiore ricorso alle sanzioni e definizioni più ampie di ciò che è considerata un’offerta idonea di lavoro. Particolarmente accentuate sono divenute le richieste di attivazione nei paesi nordici e in Germania, Olanda ed Austria, così come le sanzioni. In Germania, ad esempio, se il beneficiario rifiuta di prendere parte a un corso di formazione o ri-fiuta un lavoro accettabile, il sussidio viene diminuito del 30% per tre mesi, e ridotto del 10% an-che in caso di assenze a visite mediche o di non rintracciabilità nei giorni festivi. Una seconda vio-lazione porta una riduzione del 60%, mentre alla terza il beneficio viene interrotto per tre mesi, fatti salvi i contributi per affitto e riscaldamento (pagati direttamente al proprietario di casa). In caso di violazione dell’obbligo di notifica, il sussidio viene diminuito ogni volta del 10%. Penalità più stringenti sono previste per i minori di 25 anni: la prima violazione porta infatti immediata-mente alla revoca della misura per tre mesi, fatti salvi i contributi per affitto e riscaldamento. In Olanda la condizionalità è ancora più severa e la prestazione può essere interamente decurtata per un mese già a partire dalla prima violazione. In Austria la sanzione per il rifiuto di accettare un’occupazione o di partecipare a programmi di formazione o riqualificazione è pari al 25% per due mesi e arriva al 50% in caso di reiterazione. L’esperienza internazionale ha ispirato le sanzioni previste per il Reis in caso di mancata attiva-zione lavorativa o di mancata accettazione di offerte di lavoro proposte dai Servizi per l’impiego (o di rifiuto a prender parte a programmi di formazione e riqualificazione), consistenti nella decur-tazione del 20% dell’importo per tre mesi nel caso della prima violazione, del 50% per ulteriori tre mesi nel caso di una seconda violazione e alla revoca della prestazione monetaria per almeno sei mesi in caso di ulteriori violazioni. Sanzioni graduali sono anche previste per il mancato rispetto delle regole di buona cittadinanza e di buona genitorialità, così come per la mancata comunicazio-ne di variazioni della situazione economico-patrimoniale e/o anagrafica (salvo che – ovviamente – la nuova situazione faccia decadere dal diritto alla prestazione economica, nel qual caso viene immediatamente cessata l’erogazione di questa, senza che peraltro debba necessariamente cessa-re l’erogazione di servizi sociali). Il disegno del Reis si è avvalso dell’evidenza empirica internazionale (e nazionale) su che cosa fun-ziona in tema di obblighi, di doveri e di eventuali sanzioni. Allo stesso tempo, tali strumenti vanno calati nel contesto nazionale, per evitare che diventino velleitari, e come tali possano legittimare la

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loro totale disapplicazione da parte di chi dovrebbe curarne l’implementazione. Mai come in que-sto campo, il meglio è nemico del bene. Inoltre, sebbene nel discorso pubblico internazionale il tema dell’attivazione (soprattutto lavorativa) e della condizionalità abbia talora assunto una colori-tura quasi punitiva nei confronti del beneficiario, il Reis si distanzia radicalmente da questa impo-stazione: il beneficiario è infatti titolare di doveri ma anche contestualmente di diritti, che creano obblighi in capo ai servizi sociali e ai servizi per l’impiego (vedi capitoli 5 e 6). I patti previsti dal Reis tra amministrazione e beneficiari (5.3.3) sono naturaliter sinallagmatici: vale cioè una condi-zionalità reciproca tra beneficiario del Reis e amministrazione pubblica, entrambi impegnati a prestazioni corrispettive: il primo ad attivarsi e a rispettare i termini del percorso di inserimento; la seconda ad erogare in modo rapido ed efficace entrambe le componenti del Reis: denaro e servi-zi. Così come sono previste regole per i beneficiari e sanzioni per chi non le rispetta, dovrebbero essere previste sanzioni per le amministrazioni che non riescono ad ottemperare al patto, e in particolare alla sua componente di inserimento. TABELLA 11.9: CONDIZIONALITÀ E SANZIONI

Che cosa mostra l’evidenza internazionale Regole severe di condizionalità

Sanzioni graduali

Sanzioni differenziate tra mancato rispetto regole ammini-strative e generali da un lato, obblighi di attivazione lavora-tiva dall’altro

Approccio talvolta punitivo

Il messaggio per il Reis Regole chiare e sanzioni severe, ma graduali e differenziate

Approccio capacitante e non punitivo

Condizionalità reciproca tra beneficiario e amministrazione pubblica

11.7 CONCLUSIONI: CHE COSA ASPETTARSI DAL REIS Nell’immaginare che cosa aspettarsi dal Reis, è bene tenere a mente che uno schema di reddito minimo svolge una funzione distinta rispetto a uno schema di mantenimento del reddito in caso di disoccupazione. Gli schemi di mantenimento del reddito in caso di disoccupazione si rivolgono ai soli soggetti che hanno perso il lavoro e, per questi, mantengono entro limiti accettabili la riduzio-ne del tenore di vita precedente, incentivando anche il ritorno al lavoro, cosa ragionevole da aspet-tarsi per molti di quanti hanno perso il lavoro da poco. Il reddito minimo è rivolto a combattere la povertà e a fornire percorsi di integrazione sociale, scolastica, oltreché lavorativa e formativa. Co-me tale, non si rivolge primariamente a soggetti che hanno perso il lavoro, anche se tra i suoi be-neficiari possono esservene. I risultati delle misure di reddito minimo dovrebbero quindi in primo luogo riguardare la riduzione della povertà, attraverso l’efficacia del trasferimento monetario. Inoltre, per la parte di attivazione, ci si dovrebbe attendere effetti positivi quanto al reinserimento sociale e lavorativo dei beneficiari. È però importante fissare bene un punto, per evitare di assumere nei confronti del Reis un atteg-giamento perfezionistico, basato su aspettative irrealizzabili e non fondate sull’evidenza interna-zionale, né sul buon senso. L’efficacia ultima di un programma di garanzia minima di risorse con-siste nella riduzione della povertà, e questo è tanto più vero quanto più è drammatica la condizio-ne di povertà in cui versano i beneficiari. Valutarne il successo o il fallimento in base ai tassi di re-

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inserimento lavorativo dei beneficiari, come è stato da più parti fatto nel caso dell’Rmi italiano, si-gnifica commettere un grave errore di politica pubblica. In generale, i dati circa l’efficacia dei programmi di reddito minimo in termini di esiti, cioè di ridu-zione della povertà e di uscita dal programma dei beneficiari a seguito dell’ottenimento di occupa-zione, sono raramente disponibili. La loro scarsità e la non comparabilità delle fonti (che si riferi-scono a momenti differenti nel ciclo economico) consente solo, in quanto segue, un’analisi non si-stematica e a fini illustrativi, volta a fornire un benchmark per il Reis e per calibrare le aspettative. 11.7.1 L’evidenza comparativa Come abbiamo visto, in tutti i casi analizzati si è andati verso una maggiore enfasi sull’attivazione dei beneficiari di schemi di reddito minimo in grado di lavorare, con l’obiettivo ultimo di ottenerne il reinserimento nel mercato del lavoro “regolare”. Sebbene in questo ambito sia molto difficile va-lutare quali siano i risultati, in particolare per la necessità di considerare gli effetti sul lungo perio-do e la difficoltà nel distinguere gli effetti delle riforme dalle condizioni più generali del mercato del lavoro, alcuni dati sono disponibili e sembrano indicativi circa la capacità degli schemi di reddito minimo di costituire dei percorsi di fuoriuscita dalla povertà e di ritorno nel mercato del lavoro. La maggior parte dell’evidenza empirica riguarda la Germania, grazie alla politica seguita in tale paese di rendere i dati disponibili alla comunità scientifica, oltre al lavoro svolto dall’istituto federale che si occupa statutariamente della valutazione degli effetti dei sussidi di disoccupazione, dell’ALG II e dei programmi di attivazione connessi (l’Istituto di ricerca sull’occupazione IAB, un istituto indi-pendente all’interno dell’Agenzia federale per il lavoro). L’esperienza tedesca mostra l’importanza di predisporre un adeguato piano volto alla valutazione – e non solo al monitoraggio – degli schemi di reddito minimo, nella componente monetaria e in quella di programmi di inserimento. Alcune recenti esperienze vanno in questa direzione. In Francia, la creazione del Revenu de solidarité active è stata accompagnata dalla costituzione di un Comitato di valutazione che ha dato luogo a un Rapporto di valutazione dell’Rsa a dicembre 2011. Il Reddito di garanzia della Provincia di Trento ha previsto sin dal suo avvio la valutazione degli ef-fetti della misura attraverso una metodologia di tipo controfattuale, e ciò dovrebbe avvenire anche per la sperimentazione della nuova Carta acquisti. È essenziale che una misura di reddito minimo preveda un’articolato e dedicato impianto di valutazione di impatto. Questo viene fatto con il Reis grazie alla previsione di un budget dedicato e di una struttura apposita, secondo un impianto rigo-roso (vedi capitolo 8). Sebbene non sia comune, nell’esperienza di policy italiana, una previsione simile è di importanza fondamentale per capire che cosa funziona e che cosa va migliorato, e co-me. Gli effetti dell’ALG II tedesco Il primo aspetto degno di nota è che tra i 6,5 milioni di beneficiari dell’ALG II nel 2011, circa i tre quarti (4,6 milioni) erano considerati attivabili, ma solo il 12% di questi (circa 550mila) sono stati effettivamente attivati (Marchal e Van Mechelen 2013). Inoltre, il principale intervento di politica attiva nel contesto tedesco sono gli one-euro jobs, anche se il loro ruolo sembra essersi ridimen-sionato nel 2011 rispetto agli anni precedenti (passando da 300mila l’anno tra il 2007 e il 2010 a 188mila nel 2011), a favore invece di misure di formazione di breve periodo (circa 130mila nel 2011) (Petzold 2013, medie annue). A differenza della creazione diretta di posti di lavoro (abolita dal 2011), che non sembra avere ef-fetti occupazionali rilevanti (Caliendo et al 2008), le forme di impiego sussidiate nel settore priva-to hanno effetti positivi sostanziali: chi vi partecipa ha una percentuale di reintegro nel mercato del lavoro regolare superiore rispetto a chi non vi partecipa tra il 25 e il 42% (Jaenichen e Stephan 2007). Effetti positivi ha anche lo schema che favorisce l’auto-imprenditorialità (Caliendo et al 2013), mentre gli esiti degli one-euro jobs sono controversi: secondo Hohmeyer and Wolff (2011)

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gli one-euro jobs potrebbero essere efficaci per i disoccupati più difficilmente reinseribili nel mer-cato del lavoro poiché aiutano a reinstaurare le condizioni di base affinché sia possibile lavorare, ma potrebbe esservi un spiazzamento di posti di lavoro nel mercato del lavoro regolare. In generale, comunque, per valutare le possibilità occupazionali dei beneficiari degli schemi di reddito minimo anche nei contesti più avanzati, occorre notare che la percentuale di beneficiari di ALG II che fuoriescono dallo schema ciascun mese, pur in crescita, è di circa il 3,7%, quasi quattro volte inferiore rispetto ai beneficiari dei sussidi di disoccupazione. Evidenza da altre esperienze Come abbiamo visto, in Finlandia sono stati negli anni passati introdotti i centri integrati Lafos con l’obiettivo di ridurre la disoccupazione strutturale attraverso il miglioramento dell’occupabilità dei disoccupati di lungo periodo, e in generale dei beneficiari di reddito minimo più problematici. Sebbene i tassi di partecipazione ai servizi di attivazione siano effettivamente aumentati, raggiun-gendo circa il 35% dei beneficiari, i risultati in termini occupazionali sono relativamente contenu-ti: circa il 10% dei beneficiari riesce a trovare un lavoro, mentre il 20% stipula un contratto di la-voro sovvenzionato (Karjailainen e Saikku, 2011). In Francia, nonostante si proponesse l’obiettivo primario di favorire l’inserimento lavorativo, l’introduzione dell’Rsa – certamente non favorita dall’aver avuto luogo durante la crisi economica – non ha indotto un maggiore tasso di uscita rispetto al suo predecessore Revenu minimum d’insertion, e si mantiene stabile intorno al 30% (Isel, Donné e Mathieu, 2011). Un maggiore tasso di uscita si riscontra invece tra i beneficiari del Rsa activité (ovvero i lavoratori poveri), che vedo-no un tasso di uscita dal programma pari al 57% (ma, appunto, tali beneficiari già detengono un’occupazione, sebbene a basso salario). In Olanda, dove pur abbiamo mostrato una notevole caduta nel numero dei beneficiari nel periodo tra il 1995 e il 2011, i dati disponibili mostrano tuttavia come solamente un terzo di coloro che smettono di beneficiare del WWB abbia trovato un posto di lavoro, mentre gli altri escono perché cominciano a ricevere la pensione d’anzianità oppure cominciano una relazione con una persona che permette loro di emergere dalla povertà (Blommesteijn e Mallee, 2009). Nel 2005 circa il 50% dei beneficiari del WWB partecipava ad una delle misure di attivazione. Di questi, il 27% ha trova-to un lavoro nel corso dei due anni successivi, mentre considerando il totale dei beneficiari del WWB il 21% riusciva a trovare un lavoro nel mercato regolare. Da ultimo, il Reddito di garanzia della Provincia di Trento fornisce, grazie alla valutazione di impat-to condotta, spunti interessanti (vedi Spano, Trivellato e Zanini 2013). L’introduzione del Reddito di garanzia ha indotto cambiamenti nei pattern di consumo, aumentando il consumo di generi a-limentari solo in una parte di famiglie beneficiarie, specificatamente quelle più marginali tra le straniere, mentre gli effetti più consistenti sono stati riscontrati nell’acquisto di altri beni non du-revoli (come il vestiario) o durevoli (elettrodomestici, mobilio, etc.) o per migliorare le proprie condizioni di vita e abitative. Venendo allora alle condizioni di vita delle persone, il Reddito di ga-ranzia sembra avere un impatto positivo nel ridurre significativamente la probabilità di trovarsi in condizione di povertà, misurata mediante un indicatore dello stato di deprivazione. Quanto alla partecipazione al mercato del lavoro, è emerso un impatto differente su italiani e stranieri. È, in-fatti, sugli immigrati che il Reddito di garanzia è riuscito ad avere effetti di attivazione, sebbene con scarsi risultati in termini di occupazione, laddove per gli italiani, pur non avendo sortito effetti in termini di partecipazione al mercato del lavoro, aver beneficiato del Reddito di garanzia ha au-mentato la probabilità di avere un lavoro.

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11.7.2 Che cosa viene considerato un successo? Data la virtuale impossibilità di promuovere il reinserimento lavorativo per il complesso dei bene-ficiari, diviene interessante comprendere che cosa venga considerato un successo. Tre esempi so-no interessanti a riguardo: nel 2008, in Germania, su iniziativa dei JobCenter è stata promossa una sperimentazione rivolta specificatamente ai beneficiari sopra i 50 anni disoccupati di lungo perio-do, chiamata Perspektive 50+, che ha visto impegnati circa 73 mila beneficiari, di cui il 26% è riu-scito a trovare un impiego entro 2 anni. Giudicato un successo, dal 2010 il programma è stato e-steso a tutto il paese (Huster et al., 2009). Il programma Social Activation dell’Olanda, rivolto a persone distanti dal mercato del lavoro e concepito come un ponte tra la fruizione dei sussidi e la reintegrazione nel mondo del lavoro, è stato considerato una buona pratica dalla DG Occupazio-ne e Affari Sociali della Commissione europea, e come tale meritevole di essere segnalato sul pro-prio sito internet, pur vedendo un inserimento lavorativo stabile di circa il 16% dei beneficiari. In-fine, nel 2006 in Danimarca venne lanciata una nuova sperimentazione indirizzata specificata-mente a individui che avessero beneficiato di sussidi per un anno continuativamente, denominata “Una nuova opportunità per tutti”. In essa venivano delineati i seguenti obiettivi specifici per i per-cettori di reddito minimo: entro due anni, il 25% dei beneficiari doveva aver iniziato un lavoro; nel corso dei due anni, i beneficiari dovevano essere in grado di soddisfare autonomamente i propri bisogni materiali per almeno il 15% del tempo e dovevano, in media, essere “attivi” (o in forma-zione, tirocinio o impiego sovvenzionato) per almeno il 40% del tempo. 11.7.3 Lezioni di policy In conclusione, quindi, anche nei contesti più virtuosi come quello tedesco solo il 12% dei bene-ficiari considerati attivabili viene effettivamente attivato, ogni mese escono dal reddito minimo meno del 4% dei beneficiari e il principale strumento di politica attiva sono gli one-euro jobs. In Olanda, nonostante la fortissima spinta verso l’attivazione lavorativa degli ultimi anni, sono atti-vati la metà dei beneficiari, e solo un terzo di chi esce dal reddito minimo lo fa perché ha trovato lavoro. Programmi mirati nei contesti danese e finlandese pongono le percentuali di attivazione al 40% nel migliore dei casi. Soprattutto, tassi di inserimento lavorativo stabile nell’ordine del 20-25% dei beneficiari sono considerati la norma nei contesti più avanzati, caratterizzati da tassi di disoccupazione ben più contenuti di quello italiano e nei quali i servizi per l’impiego hanno ri-sorse e capacità (in Italia la spesa per le politiche attive è meno di un decimo di quella tedesca, e il personale dei centri per l’impiego ammonta a un ventesimo di quello contrattualizzato in Ger-mania: vedi Rosolen e Tiraboschi, 2013). Questa è l’evidenza empirica internazionale contro la quale dovranno essere confrontati, pesati, valutati i risultati dei programmi di inserimento lavo-rativo del Reis. Soprattutto, però, il Reis dovrà essere valutato per quello che è: una misura di contrasto alla povertà assoluta.

TABELLA 11.10: RISULTATI E DEFINIZIONE DI SUCCESSO NELL’ESPERIENZA INTERNAZIONALE

Che cosa mostra l’evidenza internazionale Percentuali di attivazione: 12% in Germania, 35% in Finlan-dia, 50% in Olanda

Fuoriuscite dallo schema: meno del 4% al mese in Germa-nia, 30% all’anno in Francia

Tassi di reimpiego: 10% in occupazione non sovvenzionata, 20% in occupazione sovvenzionata in Finlandia; 20-25% in Olanda

Esperienze mirate per categorie svantaggiate considerate di successo: tassi di reimpiego del 26% in Germania, del 16% in Olanda, del 25% in Danimarca

Il messaggio per il Reis Aspettative realistiche su attivazione e tassi di reimpiego

Principale metro di valutazione è il miglioramento delle

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condizioni materiali di vita

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Risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010 sul ruolo del reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa (2010/2039(INI)) Decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2000, n. 118 (articoli 1 e 2). Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria” Legge 8 novembre 2000, n. 328 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali". Legge 28 giugno 2012 , n. 92 “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”. Legge 24 dicembre 2007, n. 247 “Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonchè ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale”. Legge 15 luglio 2009, n. 94 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” (residenza anagrafica homeless).

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Patto Aperto contro la Povertà

Le esperienze italiane di misure di contrasto della povertà:

che cosa possiamo imparare?

Pierangelo Spano*, Ugo Trivellato+ e Nadir Zanini

&

* SDA Bocconi School of Management + Università di Padova e IRVAPP

& IRVAPP

Paper tecnico n. 1/2013

Indice

1. Una ricognizione mirata

2. Una prima classificazione e analisi delle misure

3. La rivisitazione delle esperienze più significative

3.1. Il reddito minimo di inserimento 3.2. Il reddito di base per la cittadinanza del Friuli-Venezia Giulia

3.3. Il reddito di cittadinanza della Provincia Autonoma di Trento 3.4. La Carta acquisti e la Carta acquisti sperimentale

4. Che cosa possiamo imparare?

Trento e Venezia, 07.03.2013

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Le esperienze italiane di misure di contrasto della povertà:

che cosa possiamo imparare?

Pierangelo Spano, Ugo Trivellato e Nadir Zanini*

1. Una ricognizione mirata

La ricostruzione delle condizioni di vita e della dinamica della povertà degli italiani dall’Unità

al 2010 è documentata in maniera esemplare per robustezza delle evidenze empiriche e per

chiarezza da Vecchi (2011), in particolare nel capitolo di Amendola et al. (2011). Un tratto che

emerge nitidamente è la natura strutturale della povertà. Restando al secondo dopoguerra, dopo la

sensibile riduzione avvenuta negli anni settanta (grazie anche all’«avvio di un percorso squilibrato

della finanza pubblica»: Amendola et al., 2011, pag. 299), per ben oltre un trentennio l’incidenza

della povertà resta sostanzialmente stabile. V’è da notare, inoltre, che le stime di Amendola et al.

(2011), basate sul reddito disponibile rilevato tramite l’indagine della Banca d’Italia, concordano

largamente con le stime della povertà assoluta prodotte dall’Istat a partire dal 2005, sulla base delle

spese registrate dall’indagine sui consumi1 (Istat, 2009). Ebbene, secondo le stime dell’Istat, nel

2011 le famiglie italiane in condizione di povertà assoluta sono circa un milione e trecentomila (in

termini relativi, il 5,2%), mentre le persone superano i 3 milioni e quattrocentomila (in termini

relativi, il 5,7%) (Istat, 2012).

A fronte della natura strutturale del problema della povertà nel nostro paese, serve elaborare

una proposta di contrasto adeguata e prospettarne modalità di attuazione credibili, attente alle

difficoltà con le quali essa dovrà misurarsi. La prospettiva è quella di disegnare una proposta

nazionale. Coerentemente con questo obiettivo, il paper si occupa delle principali politiche

nazionali e regionali di contrasto della povertà adottate negli ultimi 15 anni, non degli interventi dei

Comuni (anche se essi hanno rilevanti competenze e responsabilità in campo sociale e un contatto

ravvicinato con il fenomeno della povertà). L’arco degli interventi considerati va dall’introduzione

in via «sperimentale» del reddito minimo di inserimento (RMI) nel biennio 1999-2000 al prossimo

decollo della Social Card sperimentale nei Comuni con più di 250 mila abitanti.

Sul tema delle politiche di contrasto alla povertà in letteratura è stata prevalente la ricognizione

per casi/esperienze (la più completa e recente è di Granaglia e Bolzoni, 2010) mentre è rimasta

meno sviluppata l’analisi comparata (tra i contributi di sintesi, vedi Spano, 2009, e Mesini, 2011).

* Il testo è frutto del lavoro condiviso degli autori. Quanto alla stesura, Ugo Trivellato ha scritto le sezz. 1 e 4,

Pierangelo Spano le sezz. 2, 3.2 e 3.4 e Nadir Zanini le sezz. 3.1 e 3.3. Ringraziamo Daniele Checchi ed Emanuele

Ciani per utili commenti e suggerimenti. 1 L’incidenza della povertà assoluta viene calcolata sulla base di una soglia di povertà corrispondente alla spesa mensile

minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è

considerato essenziale a uno standard di vita accettabile (Istat, 2009).

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La peculiarità di questo paper sta nel fatto che conduce una ricognizione mirata: si propone cioè di

indagare le esperienze per trarne insegnamenti utili al disegno di un nuovo piano di contrasto della

povertà (anticipato nelle sue linee ispiratrici in Gori et al., 2010, e che sarà presentato nella

primavera del 2013). Detto in altre parole, il filo di Arianna della ricognizione è costituito dalle

questioni che occorre affrontare, e dalle risposte che serve approntare, per porre in essere una

persuasiva misura di contrasto della povertà: nazionale; improntata all’universalismo selettivo,

bandendo quindi logiche categoriali e identificando i poveri in base alla prova dei mezzi; che

integra il reddito delle famiglie con un trasferimento monetario il quale le porta alla soglia

considerata essenziale per uno standard di vita accettabile; che affianca al trasferimento monetario

misure di sostegno sociale e di attivazione al lavoro, impegnative tanto per chi le eroga quanto per i

destinatari; continua nel tempo.

Per condurre la ricognizione, muoviamo da una griglia di policy questions che riassumono i

nodi da affrontare per porre in essere la misura di contrasto della povertà sommariamente

prospettata. Ciò ci consente di esaminare le esperienze passate in un’ottica di apprendimento in

vista della progettazione. Insomma, il nostro proposito è imparare dagli interventi salienti di

contrasto della povertà posti in essere dalla seconda metà degli anni novanta lezioni utili per

disegnare un progetto, ambizioso ma fattibile, di piano nazionale contro la povertà.

Nell’identificare le policy questions, conviene innanzitutto articolarle in due blocchi: (i) un

primo blocco, diciamolo A, attiene a caratteristiche basilari delle misure, che ne mettono quindi in

evidenza la prossimità – o meno – con la politica appena tratteggiata nei suoi aspetti fondamentali;

(ii) un secondo blocco, diciamolo B, attiene ad aspetti cruciali della gestione delle misure, aspetti

che è interessante approfondire soltanto per interventi che, dalle risposte al blocco precedente,

mostrino tratti ragionevolmente prossimi alla misura prospettata e consentano, quindi, di imparare

dalle diverse soluzioni pratiche adottate.

Quanto al blocco A, le policy questions rilevanti possono essere ricondotte a quattro:

A1. Ammissibilità alla misura: se ispirata all’universalismo selettivo oppure dettata da altri criteri,

quali, da un lato, la restrizione a categorie di famiglie/persone e, dall’altro, il vincolo del

finanziamento (tipicamente sottodimensionato rispetto alla platea dichiarata degli ammissibili,

il che porta al razionamento e alla formazione di graduatorie per renderlo operativo). In

entrambi i casi, assume rilievo il criterio seguito per determinare la soglia di povertà: soglia

prefissata per una famiglia-tipo, modificata poi con una opportuna scala di equivalenza, oppure

soglie di povertà assoluta per famiglie di diversa composizione2. A questo riguardo, segnaliamo

sin d’ora che nel seguito utilizziamo l’aggettivo equivalente per denotare la grandezza

2 In merito a questo criterio tornano utili due precisazioni. Innanzitutto, non si considerano le differenze territoriali del

costo della vita, perché assenti in tutte le esperienze svolte, anche se di notevole importanza nel nostro paese (vedi

Amendola e Vecchi, 2011, e Istat, 2009). In secondo luogo, nella presentazione delle singole misure riportiamo le

grandezze monetarie a prezzi correnti, come abitualmente avviene negli studi di caso presenti in letteratura; nei

Prospetti 3 e 4, tuttavia, per una corretta comparazione tutte le grandezze monetarie – soglie di povertà, trasferimenti,

ecc. – sono riferite all’anno ed espresse in euro a potere d’acquisto costante, anno 2011, l’ultimo per il quale si dispone

delle stime dell’Istat sulla povertà assoluta.

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monetaria riferita a una famiglia uni-personale, che cresce poi secondo una scala di equivalenza

che tiene conto della dimensione/composizione della famiglia.

A2. Entità del trasferimento monetario: che integri il reddito familiare fino a una soglia di povertà

stabilita in relazione alla composizione della famiglia, oppure, definito sulla base di altri criteri,

tipicamente in un ammontare prefissato (come abitualmente si dice, “in cifra fissa”), che

prescinde, quindi, dalla disponibilità (il reddito) e/o dai bisogni (la composizione) della

famiglia.

A3. Affiancamento al trasferimento monetario di interventi di sostegno sociale e/o di attivazione al

lavoro sostenuti da “condizionalità” (nel senso che, in una logica di obblighi reciproci, il

beneficiario non può sottrarvisi, pena la riduzione del trasferimento o l’esclusione dalla misura)

oppure mero trasferimento monetario.

A4. Continuità dell’intervento nel tempo, innanzitutto nel senso che la politica ha carattere

strutturale, è quindi duratura, o all’opposto è un intervento una tantum o comunque transitorio.

Inoltre, nell’ambito degli interventi che almeno tendenzialmente ambiscono ad essere duraturi,

erogazione del trasferimento monetario – e delle azioni di sostegno connesse – fino a che la

famiglia permane nella condizione di povertà oppure predeterminazione di un limite massimo

di permanenza nella misura.

-----------------------------------

Prospetto 1 circa qui

-----------------------------------

Una sintesi delle policy questions del blocco A è nel Prospetto 1. Evidentemente, quanto più le

esperienze esaminate hanno una caratterizzazione che coincide con la – o si avvicina alla – prima

alternativa prospettata per ciascuna delle quattro policy questions basilari, tanto più è di interesse

guardarne le modalità di attuazione. È dunque su questo sottoinsieme di esperienze che si concentra

l’approfondimento degli aspetti di gestione, riassunti nelle policy questions del blocco B, articolate

come segue.

B1. Criterio per la determinazione del reddito, tipicamente familiare.

B2. Modalità per identificare e confermare i beneficiari: se centralizzate o gestite tramite i Comuni

o tramite il terzo settore o tramite soluzioni miste, di collaborazione fra enti diversi.

B3. Tempestività dell’erogazione ai beneficiari, intesa in primo luogo come tempo che intercorre

dal bando alla prima erogazione e poi come periodicità delle successive erogazioni.

B4. Attività per individuare falsi positivi e/o falsi negativi: presenza, intensità ed efficacia di azioni

tese a identificare falsi positivi (cioè a dire, beneficiari che non sarebbero ammissibili) e falsi

negativi (cioè a dire, ammissibili che non hanno fatto domanda).

B5. Svolgimento di azioni di sostegno sociale e/o di attivazione al lavoro. Oltre alle attività correnti

di assistenza sociale e ad azioni per migliorare l’integrazione sociale delle persone, rivestono

un rilievo particolare due interventi: quelli miranti all’assolvimento dell’obbligo scolastico

(fino a 16 anni, e dal punto di vista sostanziale fino al raggiungimento almeno del titolo di terza

media); quelli di attivazione al lavoro – tramite colloqui di informazione, orientamento, offerta

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formativa specifica, iniziative per l’incontro fra domanda e offerta, ecc. –. Segnatamente per

questi due ultimi interventi è di interesse documentare se si configurano come delle

condizionalità per i beneficiari.

B6. Ruolo svolto dai diversi attori: Comune – in particolare i suoi servizi sociali –, Centri per

l’impiego, scuole, terzo settore, e lo Stato o la Regione per funzioni di regolazione e controllo.

B7. Monitoraggio e valutazione degli effetti: se, e in quale modo, siano svolte attività sistematiche

di monitoraggio dell’intervento e di valutazione dei suoi effetti – sui livelli e pattern di

consumo, sulla scolarizzazione, sulla partecipazione al lavoro, su aspetti di integrazione

sociale.

B8. Dimensione dei beneficiari, possibilmente con informazioni abbastanza articolate (numero

medio annuo dei beneficiari; tasso dei beneficiari rispetto alla popolazione; caratteristiche

distributive salienti dei beneficiari – famiglie e individui –, ecc.).

B9. Risorse destinate alla politica, in termini di stanziamento pubblico destinato alla misura e di

effettivo ammontare della spesa a consuntivo3.

-----------------------------------

Prospetto 2 circa qui

-----------------------------------

Le policy questions del blocco B sono sintetizzate nel Prospetto 2.

Utilizzando questa griglia di lettura, muoviamo ora all’individuazione delle misure che

prenderemo in considerazione e a una loro prima analisi.

2. Una prima classificazione e analisi delle misure

Come già segnalato, i Comuni sono titolari della gestione di interventi e servizi socio-

assistenziali a favore dei cittadini (art. 6 della legge 328/2000, la legge quadro per la realizzazione

del sistema integrato di interventi e servizi sociali). E, operativamente, essi sono il terminale

cruciale dell’insieme degli interventi di welfare esistenti. Ma questo insieme di interventi è per un

verso frammentato e per un altro verso molto diversificato territorialmente. Inoltre, le risorse

finanziarie che fanno direttamente in capo ai Comuni per interventi e servizi sociali, incluse le

azioni di contrasto della povertà, sono esigue. Una recente ricostruzione della spesa per la

protezione sociale allargata nel 2010 dà una stima, rispetto al PIL, pari al 4% per l’intera area

dell’assistenza sociale e allo 0,6% per l’offerta di servizi sociali locali (Aa.Vv, 2011, pag. 6; vedi

anche Spano, 2010, pp. 132-133); negli ultimi due anni, poi, tali risorse hanno conosciuto una

rilevante contrazione. D’altra parte, in tema di assistenza sociale è venuto progressivamente

crescendo il ruolo delle Regioni4.

3 La diffusa abitudine di non accompagnare i progetti con dettagliati piani finanziari, o comunque la scelta di non

renderli pubblici, e di essere altrettanto sommari nelle rendicontazioni di spesa, rende problematica un’analisi

disaggregata – per trasferimenti monetari, azioni di sostegno/attivazione, costi di gestione dell’intervento –, che pure

sarebbe di grande interesse. 4 Il ruolo originariamente conferito all’atto della nascita delle Regioni a statuto ordinario (legge 281/1970) in materia di

assistenza sociale già le poneva in una posizione privilegiata per la progettazione di azioni di contrasto ai fenomeni di

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Rivolgiamo pertanto l’attenzione ai progetti nazionali e regionali che hanno completato l’iter

legislativo e hanno trovato almeno un abbozzo di attuazione, e concentriamo l’analisi sulle seguenti

misure:

Il Reddito minimo di inserimento (RMI) (d.l. 237/1998);

Il Reddito di cittadinanza (RdC) della Regione Campania (l.r. 2/2004);

La Promozione della cittadinanza solidale (PCS) della Regione Basilicata (l.r. 3/2005);

Il Reddito di base (RdB) della Regione Friuli Venezia Giulia (l.r. 6/2006);

Il Reddito minimo di garanzia (RMG) della Regione Lazio (l.r. 4/2009);

Il Reddito di garanzia (RG) della Provincia autonoma di Trento (Delibere della Giunta

Provinciale n. 2216 del 11 settembre 2009 e n. 1524 del 25 giugno 2010);

La carta acquisti o social card (SC) (legge 133/2008) e la sperimentazione della nuova social

card (SCS) (legge 35/2012).

Guardiamo dunque a due misure nazionali (la seconda delle quali a sua volta si biforca), peraltro

lontane nel tempo – agli estremi di questi ultimi quindici anni – così come nella filosofia che le

ispira, e a cinque esperienze regionali, anch’esse parecchio diverse l’una dall’altra, che decollano

tra il 2004 e il 2009, qualche anno dopo la riforma del titolo V della Costituzione5.

Sulla scorta delle policy questions basilari, conviene partire dalla differente impostazione

assunta nel definire i beneficiari degli interventi di spesa (A1). Un primo elemento selettivo è

riconducibile alla richiesta di un requisito di residenza. Nelle misure circoscritte territorialmente –

tutte, esclusa la SC –, al fine di arginare fenomeni migratori ispirati dalla possibilità di beneficiarne

sono sempre previsti dei requisiti di residenza antecedente alla richiesta dell’intervento. Il criterio

disposto dal primo intervento nazionale, il RMI, differenzia la durata della residenza in relazione

alla cittadinanza: ai cittadini dei paesi dell’UE sono richiesti almeno 12 mesi di residenza nei

Comuni che effettuano la «sperimentazione», mentre i mesi salgono a 36 per i cittadini di paesi

extra-UE o per apolidi. Va sottolineato che il RMI sancisce un principio di grande rilievo: il criterio

per l’ammissibilità è la residenza, non la cittadinanza. A questo principio si sono conformate tutte le

misure regionali di reddito minimo considerate, sia pure con vincoli variabili: residenza da almeno

12 mesi in Friuli Venezia Giulia, da 24 in Basilicata e Lazio, da 36 nella Provincia di Trento, da 60

impoverimento e di esclusione sociale. Il dilatato quadro delle competenze regionali stabilito dalla riforma del titolo V

della Costituzione ha offerto ancora maggiori opportunità all’azione delle Regioni favorendone l’iniziativa pur nei limiti

di una mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali a livello nazionale (Spano, 2009). L’ultimo

rapporto della Commissione di indagine sulla esclusione sociale (CIES, 2012) offre una descrizione tanto rassicurante

quanto generica e, per molti versi, edulcorata dichiarando che: «complessivamente, sono 17 le Regioni italiane che

hanno in vigore almeno un provvedimento legislativo in materia di contrasto alla povertà». Il dato sulle disposizioni

legislative non è, tuttavia, risolutivo: i provvedimenti sono di diversa portata, anche molto modesta, e vi è poi notevole

variabilità nella loro attuazione. Come avremo modo di mostrare, il quadro delle politiche di contrasto alla povertà

operanti oggi in Italia è ben più esiguo, tutt’altro che rassicurante. 5 Per esigenze di sintesi, non prendiamo in considerazione due esperienze di reddito minimo tra le più consolidate e

apprezzabili: il minimo vitale operante in Valle d’Aosta dal 1994 (Scaglia, 2010) e il sistema di assistenza economica e

sociale operante nella Provincia autonoma di Bolzano dal 1973, che include anche il reddito minimo di inserimento

(Critelli, 2010). Si tratta di esperienze realizzate in contesti peculiari (Regioni a statuto speciale, con dimensioni del

bisogno relativamente contenute e dotazione di risorse relativamente elevata). Inoltre, per parecchi versi esse possono

essere accostate alla più recente esperienza del RG della Provincia autonoma di Trento, sulla quale fermiamo

l’attenzione.

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mesi in Campania. Questo orientamento viene bruscamente abbandonato dalla social card (SC), che

introduce il ben più stringente – e discriminatorio – requisito della cittadinanza. Il ritorno a un

criterio imperniato sulla residenza si ha, peraltro, con la nuova social card sperimentale (SCS), della

quale potranno beneficiare anche i cittadini comunitari e i cittadini extracomunitari titolari di un

«permesso CE per soggiornanti di lungo periodo» (la cosiddetta “carta di soggiorno”)6.

Il secondo, cruciale spartiacque fra le misure di contrasto della povertà che consideriamo è

l’aderenza o meno al criterio dell’universalismo selettivo (A1), considerato sotto due altri profili: (i)

se l’accesso alla misura sia previsto per i residenti/cittadini che, dati i parametri adottati, sono

considerati “poveri”, ovvero, se sia ristretto a categorie di soggetti poveri identificate sulla base di

criteri demografici o di altre caratteristiche personali; (ii) se la misura sia erogata a tutti coloro che,

fissati i criteri, ne risultino ammissibili, ovvero sia ristretta a quanti, sulla scorta di una graduatoria,

risultino al di sopra di una soglia di indigenza, ben più severa di quella che porta a qualificare i

“poveri”, dettata dal vincolo del finanziamento.

Quanto al primo profilo, due misure sono ristrette a specifiche categorie. L’accesso alla SC è

circoscritto a famiglie con figli fino a 3 anni e a cittadini con più di 65 anni. Alla base del RMG del

Lazio c’è un requisito connesso alla condizione occupazionale: essere una persona disoccupata o in

cerca di prima occupazione iscritta a un Centro per l’impiego (e non aver maturato i requisiti per il

trattamento pensionistico)7; il che, si noti, sposta il fuoco dalla condizione di povertà dalla famiglia

a quella della persona.

Un requisito reddituale è ovviamente sempre previsto, per discriminare i “poveri” dai “non

poveri”. È interessante notare, peraltro, come vi sia una marcata variabilità nelle definizioni del

reddito familiare e delle soglie di povertà. Si passa, infatti, dalla somma dei redditi riferiti al nucleo

familiare – composto dal richiedente, dalle persone con le quali convive e da quelle considerate a

suo carico ai fini Irpef8 – prevista dal RMI, con soglia fissata inizialmente, per il 1998, a 500.000

lire mensili per una persona e incrementata per nuclei familiari di dimensioni maggiori secondo una

scala di equivalenza, a procedure e quantificazioni decisamente differenti. La soglia di povertà del

nucleo familiare è di 5.000 euro annui per la Campania: si noti, indipendentemente dalla

dimensione della famiglia. Nel caso della Basilicata l’individuazione delle soglie per l’accesso ai

6 Quello dei requisiti di residenza resta un tema molto delicato. Vale la pena di ricordare che la Regione Friuli Venezia

Giulia si è trovata a fronteggiare una procedura di infrazione promossa dalla Commissione europea contro la normativa

regionale in materia sociale. L’azione promossa da Bruxelles aveva preso di mira la incongrua varietà, in termini di

anzianità della residenza, dei requisiti di accesso a diverse prestazioni sociali. Infatti, si era venuta a determinare (e non

solo nel Friuli, per la verità) una situazione in cui, per accedere a sussidi quali la “Carta famiglia”, il bonus bebè, gli

assegni di studio – o per accedere alle graduatorie dell’edilizia popolare – i requisiti in termini di anni di residenza

andavano da un minimo di 5 fino a un massimo di 10 anni. A fronte della procedura promossa dalla Commissione

europea, la Regione è intervenuta con la l.r. 16/2011, che ha fatto ordine fissando per l’accesso ai servizi sociali un

unico requisito di residenza di 2 anni per cittadini italiani, comunitari ed extra-comunitari titolari di “carta di soggiorno”

o dello status di rifugiati o di protezione sussidiaria. La stessa legge regionale, poi, ha esteso l’accesso agli extra-

comunitari titolari di carta di soggiorno non inferiore a un anno, innalzando però il requisito di anzianità residenziale a 5

anni, dei quali 2 in regione. Quest’ultima disposizione è stata peraltro impugnata del Governo italiano, ed è ora al vaglio

della Corte Costituzionale. 7 Soni inclusi inoltre due altri, piccoli insiemi di ammissibili: «i lavoratori precariamente occupati [...] e i lavoratori

privi di retribuzione», così come definiti all’art. 2, sub d) ed e), della stessa l.r. 4/2009. 8 I redditi da lavoro, al netto di ogni ritenuta, sono considerati per il 75%.

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benefici del PCS fa riferimento al reddito risultante dall’indicatore della situazione economica

equivalente (Isee)9; il trasferimento monetario parte da 3.961 euro per un nucleo formato da una

persona e varia poi in relazione alla composizione del nucleo familiare secondo un’opportuna scala.

Per il RdB del Friuli Venezia Giulia è stato elaborato uno specifico indicatore della capacità

economica equivalente, denominato CEE, e la soglia per l’accesso è stata posta pari a 5.000 euro.

Anche la Provincia autonoma di Trento ha adottato uno specifico indicatore della condizione

economica familiare equivalente, denominato ICEF10

, fissando una soglia di accesso pari a 6.500

euro. Radicalmente diverso è il caso del Lazio: il riferimento è al reddito personale imponibile

dell’iscritto/a ai Centri per l’impiego, che non deve essere superiore a 8.000 euro11

.

Quanto al secondo profilo dell’universalismo selettivo (A1), la distinzione basilare è se, una

volta individuata la platea dei “poveri”, il sostegno monetario vada a tutti oppure sia ristretto, sulla

scorta di una graduatoria decrescente del livello di indigenza, a quanti risultino al di sopra di una

soglia, più bassa – tipicamente parecchio più bassa – della soglia di povertà, dettata dal vincolo del

finanziamento. In effetti tutte le misure di contrasto della povertà, essendo poste in capo ad

amministrazioni pubbliche, sono sottoposte all’operare di un vincolo di bilancio. Una misura mirata

a contrastare il fenomeno della povertà dovrebbe poter garantire a tutti i soggetti ammissibili di

beneficiare dell’intervento, il che, tra l’altro, consentirebbe un’accessibilità (così come il suo venir

meno) pressoché continua nel tempo – al variare delle condizioni economiche della famiglia – e una

tempestiva erogazione “a sportello”. Operativamente ciò richiede una dotazione iniziale di risorse

congrua oppure l’esplicita possibilità di adeguamento della dotazione finanziaria necessaria,

possibilità peraltro prevista solo nel caso del RG della Provincia di Trento. Quando vi è il vincolo

del finanziamento sottodimensionato, invece, si procede forzatamente per bandi e conseguenti

graduatorie, determinando il livello di accesso, quindi i beneficiari, in relazione ai fondi disponibili.

Nella prima categoria si collocano il RMI, la SC (sia pur nella sua angustia categoriale e

nell’esiguità del sostegno monetario), il RdB del Friuli Venezia Giulia e il RG della Provincia di

Trento. Operano, invece, secondo la logica “a bando”, quindi con la formazione di graduatorie, il

RdC della Campania, il PCS della Basilicata, il RMG del Lazio e, di massima, la social card

sperimentale (SCS). La logica delle graduatorie ha posto in evidenza diversi aspetti critici, di alcuni

dei quali diremo nel seguito.

Osservando la natura e la quantificazione dell’intervento, è possibile identificare altri due

importanti spartiacque. Da un lato, essi consentono di distinguere le politiche che prevedono un

trasferimento monetario variabile, il quale integri il reddito familiare fino alla soglia di povertà

stabilita (o copra almeno parte del divario, che è comunque il termine di riferimento per definire

l’entità del trasferimento) oppure, all’opposto, un’erogazione in cifra fissa (A2). Dall’altro lato essi

differenziano le misure che prevedono la sola erogazione monetaria da quelle che la affiancano con

interventi di sostegno sociale e/o di attivazione al lavoro (A3).

9 D.Lgs. 109/1998 e successive modificazioni.

10 Sugli indicatori CEE e ICEF forniamo qualche ulteriore ragguaglio rispettivamente nelle sezz. 3.2 e 3.3.

11 Tipicamente, si guarda al reddito nell’anno precedente quello per il quale si fa domanda della misura.

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Posto che una politica di contrasto della povertà comporta sempre un trasferimento monetario,

sia la carta acquisti (SC) che il RdC della Campania e il RMG del Lazio agiscono con una

erogazione monetaria in cifra fissa – pari rispettivamente, per un anno, a 480 euro per la SC, 4.200

euro per il RdC della Campania e 7.000 euro per il RMG del Lazio12

–, trascurando il potenziale di

iniquità distributiva che questa scelta comporta tra chi è molto vicino e chi invece è molto lontano

dalla soglia di povertà, così come tra chi vive da solo o in un nucleo familiare numeroso.

Diversamente dalla SC (per la quale la scelta può forse risultare comprensibile, ammesso che se ne

condivida il palese schierarsi sul versante della beneficenza, attestato dall’esiguità del

trasferimento), sia per il RdC della Campania che per il RMG del Lazio una parte di questa rigidità

avrebbe potuto, o meglio dovuto, essere temperata dall’integrazione del trasferimento monetario

con altri interventi previsti dalla rispettive leggi istitutive. Nel primo caso la soluzione era

abbozzata, col rimando alla necessità di inserire il RdC nella programmazione dei piani di zona, per

agevolare una gestione integrata del sistema di interventi. Per parte sua, la legge laziale richiamava

esplicitamente la responsabilità degli enti locali, definendo «benefici indiretti» – peraltro tutti in

chiave di ulteriore sostegno del reddito e non di attivazione – che essi avrebbero dovuto assicurare

ai beneficiari attraverso una serie di interventi quali la circolazione gratuita sui mezzi pubblici, la

gratuità dei libri di testo scolastici, l’ingresso ad attività e servizi di carattere culturale ricreativo o

sportivo, fino a contributi al pagamento del canone di locazione e delle forniture di pubblici servizi.

Entrambe queste indicazioni non hanno, tuttavia, trovato seguito.

Sempre sul versante della quantificazione del sostegno monetario, la scelta in favore di un

trasferimento che integri il reddito familiare fino alla soglia di povertà informa sia la

sperimentazione del RMI che alcune misure regionali: il PCS della Basilicata (dove l’integrazione

porta il reddito familiare equivalente prossimo alla soglia), il RdB del Friuli Venezia Giulia e il RG

di Trento. Queste misure sono anche accomunate dal fatto che, sia pure con specificazioni in parte

diverse – e con differenze forse ancora maggiori nella realizzazione – esse prevedono interventi di

attivazione che richiedono la sottoscrizione da parte del beneficiario di un patto, vincolante a pena

di decadenza dalla misura.

A un analogo criterio di integrazione del reddito familiare si ispira anche la SCS, seppur in

maniera parziale (data la soglia di reddito molto bassa fissata per l’ammissibilità: un Isee non

superiore a 3.000 euro): l’integrazione, infatti, varia soltanto in funzione del numero dei componenti

il nucleo familiare. Quanto a interventi di sostegno sociale e di attivazione, spetta poi ai Comuni,

che erogheranno la SCS, affiancarli al trasferimento monetario.

Indubbiamente la lotta alla povertà può avere successo soltanto agendo su più dimensioni:

quella del sostegno economico, quella dell’inserimento lavorativo, quella dell’integrazione sociale

perseguita su diversi piani. Si tratta di uno spartiacque di fondamentale importanza, rispetto al quale

è bene essere consapevoli che il successo di una misura di contrasto della povertà non può tradursi

né nella conquista di una condizione di autonomia da parte di tutti i poveri né, tanto meno, nella

12

Nel caso del Lazio, per la verità, esiste anche un’ipotesi di erogazione variabile che riduce l’importo erogato in

proporzione alla presenza – e all’ammontare – di redditi, ipotesi che vale per beneficiari con lavori discontinui.

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9

duratura garanzia del sussidio a tutti i poveri, a prescindere dalla loro assunzione di impegni per

(ri)entrare nella vita attiva. I fattori che danno luogo a una condizione di povertà sono molti e,

sovente, persistenti. L’azione di contrasto della povertà deve dunque diventare capace di distinguere

il sottoinsieme dei poveri composto da anziani, persone con disabilità o prolungati problemi di

salute, ecc., dai beneficiari che sono in grado di realizzare, sia pure in misura e forme differenziate,

una partecipazione alla vita attiva. Per i primi l’intervento sarà di politica sociale passiva,

funzionale a garantire le risorse economiche essenziali per uno standard di vita accettabile e una

dignitosa integrazione sociale. Per i secondi, invece, è possibile, e necessario, agire con politiche di

attivazione, che tra l’altro contengano il disincentivo al lavoro derivante dall’effetto reddito

prodotto dal trasferimento monetario. In questi casi ha senso porre in essere interventi

contraddistinti da obblighi reciproci – dell’amministrazione pubblica e dei beneficiari –, con

penalità per la non ottemperanza da parte di questi ultimi.

Nel panorama delle misure di contrasto della povertà nostrane questa dimensione di efficace

attivazione non trova molti riscontri. Pesa negativamente, soprattutto, lo scarto fra leggi sul reddito

minimo enfatiche da un lato, e dall’altro lato le debolezze nella specificazione operativa

dell’intervento e l’esiguità delle risorse, finanziarie e umane, messe in campo. I casi della Campania

e del Lazio sono emblematici. Si pensi, ad esempio, all’azione contro la povertà della Campania:

collocata fra la titolazione più ambiziosa che si possa utilizzare – «reddito di cittadinanza»: un

reddito universale, non selettivo, slegato da qualsiasi obbligo –, un piano di attuazione costretto da

un forte vincolo del finanziamento e informato a criteri a dir poco non convincenti, una situazione

economica e sociale drammaticamente deteriorata, essa ha finito per assumere i caratteri di un

sussidio per pochi – i nuclei familiari beneficiari sono stati il 15% degli ammissibili –13

. Cambiato

quel che si deve cambiare, analoghe considerazioni valgono per il RMG del Lazio, che ci offre un

altro spaccato istruttivo. Sul fronte delle condizionalità la legge laziale appare tanto ambiziosa

quanto velleitaria: a fronte di un disoccupato che riceva un’offerta di lavoro, nel disciplinare il

legame tra diritto al RMG e adesione all’offerta di lavoro essa introduce la nozione di «congruità»

che deve avere l’offerta perché il suo rifiuto porti alla decadenza dalla misura14

. Nelle intenzioni del

legislatore laziale, la congruità tutela il lavoratore contrastando la perdita di reddito e di capitale

umano provocata da un collocamento a prescindere dal precedente salario e dalle competenze

(Gobetti, 2012). Preoccupazione in astratto condivisibile: ma rimarcata con una sorprendente

unilateralità, mentre è ben nota la debolezza degli obblighi tipicamente previsti nel “patto di

servizio” di un iscritto a un Centro per l’impiego e la legge è silente sulle politiche di attivazione.

13

Sul tema si può fare riferimento alla documentata analisi di Agodi e De Luca Picione (2010). Fa in parte eccezione

l’esperienza del Comune di Napoli, che ha gestito l’intervento autonomamente, ha coinvolto nel processo di gestione il

Dipartimento di Sociologia dell’Università di Napoli ed ha mobilitato il cosiddetto “privato sociale” in programmi di

accompagnamento sociale dei nuclei ammessi alla misura (vedi Gambardella, 2010). 14

Così il comma 6 dell’art. 6 della l.r. 4/2009: «Non opera la decadenza [dalle prestazioni] nella ipotesi di non

congruità della proposta di impiego, ove la stesa non tenga conto del salario precedentemente percepito dal soggetto

interessato, delle professionalità acquisite, della formazione ricevuta e del riconoscimento delle competenze formali e

informali in suo possesso, certificate dal centro per l’impiego territorialmente competente attraverso l’erogazione di un

bilancio di competenze».

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10

Insieme con l’acuirsi delle ristrettezze di bilancio, queste incoerenze hanno gravato sull’esito

del RdC campano e del RMG laziale: generando aspettative irrealistiche, un sovraccarico

amministrativo per gli enti erogatori soprattutto nelle due metropoli – per il gran numero delle

domande –, un allungamento nei tempi di erogazione, la torsione dei due interventi in mero sussidio

per pochi, tensioni sociali e la frustrazione degli esclusi; in definitiva decretandone l’insuccesso15

.

Concludiamo l’analisi delle policy questions basilari guardando alla dimensione temporale

(A4). La natura dei bisogni con i quali ci si confronta richiederebbe politiche strutturali, durature. In

questa prospettiva, le esperienze italiane che stiamo considerando mostrano, nell’insieme, forti

debolezze, riassumibili nel fatto che sinora hanno spesso trovato ostacoli insormontabili nell’andare

oltre la fase sperimentale. Oggi, infatti, l’unica misura ancora pienamente attiva dopo la

sperimentazione è il RG della Provincia di Trento. Attive sono poi il PCS della Regione Basilicata

(del quale, essendo co-finanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, servirà peraltro capire

cosa accadrà con il nuovo ciclo della programmazione comunitaria 2014-2020) e la SC, per la quale

non si conoscono tuttavia gli orientamenti in ordine al finanziamento dal 201416

.

Un elemento significativo di questa sorta di precarietà delle politiche di contrasto della povertà

si può riconoscere, sia pur con la cautela del caso, anche dalla fissazione della durata massima di

permanenza nella misura. Normalmente la durata massima è di 12 mesi, con una variante estensiva

in Basilicata dove arriva fino a 24 mesi e, all’opposto, con una limitazione a 4 mesi nella Provincia

di Trento, peraltro estendibili fino ad un massimo di 16 mesi nell’arco di due anni permanendo le

condizioni di ammissibilità (e anche oltre, previo parere dei servizi sociali, per persone non abili al

lavoro). La cautela si impone perché alla base della fissazione di queste durate vi può essere la

preoccupazione del decisore pubblico di un rischio di deriva della misura, che, difficile da gestire

sul terreno delle condizionalità, potrebbe lasciar consolidare comportamenti opportunistici.

Tuttavia, l’orientamento è rivelatore anche della carenza di un orizzonte di lungo periodo, che

porterebbe inevitabilmente a interrogarsi sul diverso taglio che una politica di contrasto della

povertà dovrebbe avere nei confronti di diversi insiemi di destinatari e delle diverse dimensioni

della condizione di povertà (strutturale piuttosto che temporanea) richiamate anche in precedenza.

Dalla ricognizione condotta usando come griglia le policy questions basilari (blocco A), emerge

con chiarezza come non tutti gli interventi proposti negli ultimi quindici anni come strumenti per la

lotta alla povertà rispondessero alle condizioni richieste almeno per aspirare ad affermarsi come

politiche adeguate all’obiettivo. Non nel loro disegno per via normativa; ancor meno nella loro

realizzazione17

. L’analisi sin qui svolta trova un utile compendio, e informazioni integrative, nel

Prospetto 3, nel quale, per consentire una corretta – e immediata – comparazione degli interventi,

gli aggregati monetari sono tutti riferiti all’anno e sono espressi in euro a prezzi costanti, anno 2011.

15

Il RdC campano, introdotto nel 2004 a titolo sperimentale per un triennio, venne teoricamente rinnovato per due

trienni, ma chiuso nel giugno 2010. Il RMG laziale, introdotto a titolo sperimentale nel 2009 per 5 anni, viene interrotto

dopo un anno. 16

Si appresta a decollare, poi, in chiave sperimentale e per un solo anno, la SCS. 17

Fatta salva l’affermazione di grandi princìpi, che tipicamente trova posto in carte costituzionali o in “dichiarazioni”

similari, una norma vale per quello che produce, molto meno – o per niente – per quel che proclama.

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11

Letto anche nel senso delle righe, cioè focalizzando l’attenzione di volta in volta su una delle

misure esaminate, esso appare illuminante.

--------------------------------------

Prospetto 3 circa qui

--------------------------------------

A valle di questa analisi, operiamo quindi una partizione delle esperienze sin qui considerate.

Nella prospettiva dell’adozione di una persuasiva misura nazionale di contrasto della povertà

improntata all’universalismo selettivo e alle altre caratteristiche delineate nella pagine di apertura,

concentriamo l’approfondimento degli aspetti operativi sugli interventi che più possono tornare utili

per apprendere positivamente dall’esperienza. Tralasciamo, quindi, gli interventi della Campania e

del Lazio, decisamente distanti dal nostro obiettivo. E tralasciamo anche il programma di

promozione della cittadinanza sociale della Regione Basilicata, che pure per molti aspetti è di

indubbio interesse, perché anch’esso opera col vincolo dello stanziamento, il che porta alla

formazione di un graduatoria di famiglie ammissibili e alla selezione di un sottoinsieme di

beneficiarie18

. In definitiva, fermiamo l’attenzione sul RMI, sul RdB del Friuli Venezia Giulia e sul

RG di Trento; ad essi aggiungiamo poi la SC, e la SCS che si avvia ad affiancarla, per la

dimensione nazionale e per il solido impianto organizzativo sul quale poggia.

3. La rivisitazione delle esperienze più significative

3.1 Il reddito minimo di inserimento (RMI)

3.1.1 Una sintetica presentazione della misura

Il Reddito Minimo di Inserimento (RMI) venne istituito in via sperimentale in 39 Comuni

italiani con la legge finanziaria per il 1999, nel quadro delle indicazioni del rapporto della

“Commissione Onofri”, istituita dal primo governo Prodi (1996-1998) all’avvio della legislatura.

Un ampliamento della sperimentazione si ebbe poi nel 2001 e il numero di Comuni coinvolti fu

esteso a 306 (legge 328/2000). Esso fu poi definitivamente abbandonato alla fine del 2004, dopo

che il governo Berlusconi (2001-2006) aveva stabilito la sua (nominalistica) evoluzione nel Reddito

di ultima istanza, senza però provvedere alla sua definizione e implementazione19

.

L’introduzione del RMI costituì uno dei punti cardine di una serie di iniziative volte a innovare

il sistema di welfare del nostro paese. Esso cercava di intaccare consolidate arretratezze del sistema

di protezione sociale italiano, combinando un’erogazione monetaria volta a fronteggiare le

situazioni di grave povertà economica a progetti di reinserimento sociale e/o lavorativo finalizzati a

18

La frazione di famiglie beneficiarie sulle ammissibili è peraltro abbastanza consistente, dell’ordine del 43% (Regione

Basilicata, 2008; Abusi e Nigro, 2010). Una ulteriore difficoltà emersa nell'esperienza del PCS è riconducibile alla

mancanza di opportunità di lavoro in Basilicata, che ha lasciato percentuali significative di beneficiari “parcheggiati”

nei percorsi formativi o inseriti nel mondo del lavoro solo grazie a forti riduzioni, temporanee, del costo del lavoro

(Abusi, 2009). 19

L’unica esperienza riferibile al reddito di ultima istanza è quella della Regione Veneto, che ha utilizzato questa

soluzione per non interrompere l’esperienza avviata dal Comune di Rovigo fin dalla prima sperimentazione del RMI

(Spano, 2009).

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12

superare la situazione di non autosufficienza economica. Inoltre, il RMI si presentava come una

misura di lotta alla povertà finanziata attraverso la fiscalità generale, che per la prima volta risultava

di stampo universalistico e, al tempo stesso, selettiva. Con questo intervento si intendeva avviare il

superamento dell’impianto settoriale degli interventi contro la povertà operanti sino ad allora in

Italia20

.

Il RMI si fondava su un’integrazione monetaria variabile a seconda delle condizioni

economiche dei beneficiari. Il trasferimento era pari alla differenza tra la situazione economica

familiare e una soglia di povertà fissata per il 1998 in 500.000 lire mensili per una persona,

incrementata in maniera predeterminata negli anni successivi per far fronte all’aumento del costo

della vita. Il valore soglia per famiglie di diverse dimensioni era stabilito sulla base di una scala di

equivalenza basata sul numero dei componenti il nucleo familiare. Il pagamento avveniva

mensilmente e ai fini fiscali l’integrazione del reddito era equiparata alle pensioni sociali.

Come anticipato, la misura prevedeva progetti di accompagnamento dei beneficiari, la cui

attuazione spettava ai Comuni, per i quali erano stabiliti impegni nell’organizzazione del servizio di

gestione del RMI e nella predisposizione e realizzazione dei programmi di integrazione sociale.

Questa componente di attivazione era parte fondamentale del disegno del RMI, inteso come

misura di contrasto di situazioni di marginalità non solo in una prospettiva monetaria, ma anche

nell’ottica dell’inserimento lavorativo e dell’inclusione sociale. In linea di principio questi

interventi dovevano essere svolti da ciascun membro della famiglia beneficiaria, pena la

sospensione o l’esclusione dal programma.

Tali interventi dovevano inoltre essere progettati in modo specifico per far fronte alle esigenze

del singolo beneficiario. Per i minori, ad esempio, potevano prevedere l’accompagnamento durante

gli anni di obbligo scolastico, in modo da evitare fenomeni di abbandono e/o percorsi formativi

professionalizzanti in grado di favorire l’indipendenza economica attraverso l’ingresso nel mercato

del lavoro. Al reinserimento lavorativo era rivolta particolare attenzione, soprattutto con riferimento

ai soggetti beneficiari in età attiva e idonei al lavoro. Per questi soggetti era obbligatoria l’iscrizione

ai Centri per l’impiego (nel seguito, CpI) e la partecipazione alle attività da essi proposte, come

corsi di formazione professionale o, se necessario, di alfabetizzazione. Pena l’esclusione dal

programma, i beneficiari dovevano accettare un’eventuale offerta di lavoro proposta dai CpI. Per

incentivare il reingresso nel mercato del lavoro anche di persone in forte condizione di marginalità

si incentivavano forme di lavoro protetto o socialmente utile (tirocini presso gli uffici comunali,

mantenimento di parchi pubblici, collaborazione nelle mense scolastiche, ecc.), anche coadiuvate da

supporto nelle incombenze di cura domestica, specialmente per madri sole. Dal punto di vista

dell’inclusione sociale i progetti prevedevano solitamente la partecipazione ad attività di

volontariato e associazionismo, nonché percorsi di riabilitazione per persone con disabilità o

soggette all’abuso di sostanze illecite (Sacchi e Bastagli, 2005).

20

Va ricordato che la misura più simile ad un reddito minimo garantito a livello nazionale era ed è tutt’ora rappresentata

dalle pensioni sociali, che sono, di fatto, l’unico paracadute contro la povertà monetaria, ma solo per la popolazione con

più di 65 anni, con insoddisfacenti capacità di targeting, dato che solo il 50% dei beneficiari di pensione sociale si trova

al di sotto della linea di povertà (Baldini, Bosi e Toso, 2000).

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13

Il RMI era rivolto ai soggetti residenti nei Comuni soggetti alla sperimentazione da almeno 12

mesi, estesi a 36 per i cittadini di stati non UE. L’ammissibilità al RMI anche di cittadini non

italiani, purché residenti (dalle durate appena dette) nei Comuni inclusi della sperimentazione,

conferma la natura universale della misura e l’intento del legislatore di contrastare la formazione di

trappole di povertà per categorie di persone particolarmente a rischio quali gli immigrati.

3.1.2 La soglia di povertà e la prova dei mezzi

La misura della condizione economica delle famiglie rappresenta un nodo cruciale nella

definizione di ogni programma di contrasto della povertà, dato che concorre a definirne il requisito

chiave per l’ammissione. A questo riguardo, va innanzitutto chiarito che, a differenza di altre

misure che verranno esaminate nel seguito, la condizione patrimoniale veniva considerata come

criterio di ammissibilità e non come una delle componenti che concorrono al calcolo della

condizione economica. Infatti, per essere ammessi al RMI, i richiedenti dovevano essere privi di

patrimonio sia mobiliare (titoli di stato, azionari, obbligazionari, di deposito, ecc.) che immobiliare,

con l’esclusione della prima casa, intesa come quella adibita a residenza principale e con valore

comunque non eccedente una certa soglia indicata dal singolo Comune.

Per quanto riguarda il calcolo della condizione economica, esso si basava sulla somma dei

redditi presentati in sede di dichiarazione fiscale. I redditi da prendere in considerazione erano

quelli riferiti al nucleo familiare, composto dal richiedente, dalle persone con le quali conviveva e

da quelle considerate a suo carico ai fini dell’Irpef. In particolare, va notato che tra i vari tipi di

reddito quelli da lavoro erano conteggiati in modo diverso, concorrendo solo per il 75% del loro

ammontare.

Tuttavia, muovendo dal margine di manovra loro lasciato, i Comuni applicarono il decreto

istitutivo del RMI in maniera diversificata, in parecchi casi disattendendone in parte le disposizioni.

Alcune amministrazioni locali utilizzarono scale di equivalenza diverse da quella prevista, altre

modificarono le soglie di povertà per adattarle al contesto socio-economico, altre ancora arrivarono

ad adottare – almeno nella prima fase della sperimentazione – i criteri di calcolo della condizione

economica secondo l’Isee (Ministro della Solidarietà Sociale, 2007). La discrezionalità lasciata ai –

o meglio, per molti versi dilatata dai – Comuni si manifestò anche nell’applicazione di ulteriori

detrazioni alla somma dei redditi qualora alcune spese (come il canone di locazione, il mutuo per la

casa di abitazione, le spese mediche) fossero ritenute particolarmente onerose per le famiglie. Di

fatto, metà delle amministrazioni comunali coinvolte nella sperimentazione applicarono detrazioni

per l’affitto, con importi variabili. Alcuni Comuni applicarono la detrazione del 25%, prevista dal

decreto attuativo per i soli redditi da lavoro, anche ai redditi da pensione.

V’è da notare, inoltre, che sempre ai Comuni era stata demandata la definizione di “criteri di

priorità”, ammettendo cioè discrezionalità nell’identificare categorie di soggetti particolarmente

bisognose nel caso lo stanziamento assegnato imponesse razionamento. Come risultato, alcuni

Comuni definirono criteri di preferenza a prescindere da un previo vaglio dell’inadeguatezza dello

stanziamento rispetto ai potenziali beneficiari (inadeguatezza che, peraltro, non si manifestò): alcuni

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14

diedero priorità all’emergenza abitativa, altri privilegiarono la povertà “rurale”, di fatto intaccando

la logica universalistica del RMI.

È evidente che lasciare ampi spazi di manovra alle amministrazioni locali in aspetti cruciali –

come la prova dei mezzi – dell’attuazione di un intervento nazionale possa essere causa di

frammentazioni territoriali incontrollate, che rischiano di «togliere elementi di certezza e quindi di

trasparenza all’istituto e alla situazione di bisogno che fronteggia» (IRS, Fondazione Zancan e Cles,

2001, pag. 20)21

.

3.1.3 I diversi attori istituzionali in gioco per la gestione del RMI

Sebbene fossero diversi gli attori istituzionali coinvolti nell’attuazione del RMI, un ruolo

centrale era ricoperto dai Comuni, singoli o associati a livello di ambito. Alle amministrazioni locali

spettava il compito di interfaccia: a loro si rivolgevano i cittadini per richiedere qualsiasi

informazione inerente il RMI e per la presentazione delle domande di ammissione al beneficio.

Dopo la verifica dei requisiti di ammissibilità, il Comune doveva garantirne il trasferimento

monetario entro 60 giorni dalla presentazione della domanda. Ai Comuni spettava inoltre il delicato

compito di attivare le opportune collaborazioni di altri enti e associazioni, in modo da definire i

progetti di reinserimento lavorativo e sociale specifici per ogni soggetto, oltre che di controllarne

l’operato.

Più in generale, ai Comuni spettava la gestione finanziaria della misura. Vista la centralità dei

Comuni nella gestione del RMI, era anche richiesto loro di riferire direttamente al Ministro per la

solidarietà sociale sui costi legati all’attuazione delle misura. Per i Comuni, infatti, il carico

finanziario era notevole, poiché dovevano far fronte con risorse proprie ai costi amministrativi e

organizzativi per la gestione dell’intervento, incluso l’aumento dei costi del personale che la

realizzazione dell’intervento poteva comportare.

Per quanto riguarda il finanziamento dei trasferimenti monetari, ai Comuni era richiesto di

partecipare con un contributo del 10%. Il 90% dell’ammontare della spesa necessaria era invece a

carico del bilancio dello Stato, al quale chiaramente spettava la definizione dei criteri e delle

procedure da attuare.

3.1.4 I numeri del RMI

Come già anticipato, la prima sperimentazione, avvenuta nel biennio 1999-2000, coinvolse 39

Comuni; a questi ne furono aggiunti 276, componenti di patti territoriali che includevano alcuni dei

39 Comuni iniziali, per la seconda sperimentazione avviata nel 2001. Per la prima fase di

sperimentazione furono stanziati 370 miliardi di lire; il 10% di questa cifra non venne tuttavia speso

(a conferma che la logica dell’universalismo selettivo poteva trovare attuazione piena) e servì a

finanziare la seconda sperimentazione. Nonostante il decreto attuativo indicasse che anche i

21

Ciò non significa disconoscere che sarebbe auspicabile ammettere soglie di povertà (e quindi integrazioni al reddito)

differenziate sul territorio nazionale, ma definite in sede di istituzione della misura, in maniera argomentata e

trasparente. Indicizzare la soglia di povertà al livello del costo della vita, per ripartizioni e/o per dimensione dei comuni,

risulterebbe particolarmente importante in un paese come l’Italia, caratterizzato da divari territoriali marcati nel reddito

pro-capite. Per un approfondimento si rimanda alla proposta in Boeri et al. (2007) e all’esercizio di simulazione

condotto da Monti e Pellizzari (2010).

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15

Comuni dovessero provvedere al finanziamento della componente monetaria del RMI, seppur nella

contenuta misura del 10%, 14 dei 39 Comuni non vi parteciparono.

Nei primi due anni beneficiarono del RMI quasi 35.000 famiglie (oltre 100.00 individui), di cui

il 90% residente in Comuni del Sud o nelle isole (a fronte di un 84% della popolazione dei 39

Comuni residente in uno dei 24 Comuni delle regioni meridionali). Dai dati sui beneficiari appare

evidente che le regioni del Sud furono quelle che fecero maggiormente ricorso alla misura: delle

famiglie residenti nei comuni del Nord solo 1,4% risultò beneficiaria, mentre al Sud questa

proporzione triplicò, arrivando al 4,5% (IRS, Fondazione Zancan e CLES, 2001). Le informazioni a

disposizione non sono tuttavia in grado di chiarire se questo divario fosse dovuto interamente a

differenze nella condizione economica delle famiglie o se vi concorresse anche una diversa

propensione a presentare domanda.

Delle 25.000 famiglie beneficiarie di RMI al 31 dicembre 2000, il 60% erano coppie con figli e

quasi il 15% famiglie monogenitoriali. Quasi la metà dei circa 86.000 individui beneficiari del RMI

risultava ancora inattivo nel mercato del lavoro e, tra gli attivi, ben il 46% disoccupato. Di questi

solo uno su dieci risultava aver effettuato ricerche attive di lavoro (IRS, Fondazione Zancan e

CLES, 2001).

3.1.5 La valutazione degli effetti del RMI

La normativa sul RMI si segnala anche per una nuova, più consapevole attenzione all’esigenza

di monitorare e valutare la «sperimentazione»22

. Il d.l. 237/1998 vi dedica l’intero art. 13, che

precisa l’obiettivo in termine di valutazione sia delle modalità di svolgimento (quel che oggi

diremmo monitoraggio) che degli effetti; stabilisce che l’incarico sia affidato ad un ente o società, a

seguito di una procedura di selezione tramite apposito bando; riserva alla valutazione fino allo 0,3%

dello stanziamento destinato al RMI per il triennio 1998-2000.

Queste indicazioni, pienamente messe in atto (bando, affidamento a una società, finanziamento

prossimo all’entità prevista), hanno consentito di disporre di una ampia documentazione e di un

buon monitoraggio della realizzazione «sperimentale» del RMI, non certo di una credibile

valutazione dei suoi effetti, che potesse fornire credibili «indicazioni […], nella prospettiva di una

generalizzazione dell’istituto all'intero territorio nazionale» (IRS, Fondazione Zancan e CLES,

2001; Ministro della Solidarietà Sociale, 2007).

I motivi che hanno reso impraticabile una valutazione degli effetti del RMI sono vari. Il

principale risiede nel fatto che l’intervento non è stato disegnato e attuato in maniera coerente con

l’obiettivo di valutarne gli effetti. I Comuni nei quali si è realizzato l’intervento sono stati

selezionati con scelta “ragionata”, e ad essi non è stato affiancato un appropriato gruppo di

controllo, formato da Comuni simili ai primi ma non coinvolti nella «sperimentazione», dal quale

poter trarre un campione di soggetti esclusi dal RMI ma simili ai beneficiari. Né sui due gruppi di

soggetti, beneficiari e (ipotetici) controlli, sono state poi rilevate adeguate informazioni pre- e post-

22

È questo il termine usato, in verità con un’evidente ambiguità. Si tratta, infatti, di un intervento-pilota posto in essere

sì con l’esplicito intento di «valutar[ne] l’efficacia» (art. 13), ma senza porre un essere un disegno sperimentale, vuoi

con randomizzazione vuoi con abbinamento di casi e controlli, essenziale per una credibile valutazione dell’efficacia.

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intervento, che consentissero di stimare credibilmente le variazioni determinatesi nelle condizioni e

negli stili di vita, rispettivamente in presenza e in assenza del RMI, e inferire quindi l’effetto del

RMI per differenza (il campione di controllo mimando quel che sarebbe accaduto ai beneficiati

qualora l’intervento non fosse stato realizzato)23

.

Per di più, i margini di discrezionalità lasciati alle – o comunque esercitati dalle –

amministrazioni comunali nella specificazione dei criteri per la determinazione della condizione

economica, quindi per la prova dei mezzi e la selezione dei soggetti beneficiari, rende problematico

lo stesso confronto fra Comuni coinvolti nella sperimentazione. Sul RMI rimane, dunque, il buon

monitoraggio, incentrato sui diversi Comuni, prodotto da IRS, Fondazione Zancan e CLES (2001).

L’ipotizzata pubblicazione del rapporto, peraltro, coincise con l’insediamento del nuovo esecutivo,

che decise di non darvi diffusione rendendolo in sostanza indisponibile. I contenuti del rapporto

furono in buona parte ripresi, e resi noti, soltanto nella relazione del Ministro per la solidarietà

sociale al Parlamento nel giugno del 2007.

Informazioni a livello individuale, ossia riferite ai singoli beneficiari del RMI, in alcuni

Comuni coinvolti nella sperimentazione sono comunque state raccolte e rese disponibili dalla

Fondazione Rodolfo Debenedetti.24

Anche alla luce di queste evidenze, il RMI si presenta come un

occasione in larga parte perduta anche dal punto di vista conoscitivo, nella prospettiva di porre in

essere una persuasiva misura di lotta alla povertà su scala nazionale.

3.1.6 I controlli sul RMI: i falsi positivi

La discrezionalità lasciata dal decreto istitutivo ai Comuni in fase di attuazione del RMI ha

anche comportato sostanziali differenze per quanto riguarda la tempistica, le modalità e i contenuti

relativi alle attività di verifica e controllo delle informazioni presentate insieme alla domanda di

partecipazione al beneficio. Anche su questo fronte, dunque, si dispone di una sorta di molteplici

studi di caso, riferiti ai singoli Comuni, più che di un monitoraggio sistematico e integrato di uno

studio-pilota nazionale.

Di interesse è il caso di Foggia, dove i controlli sono stati particolarmente rigorosi, in

conseguenza di una serie di sentenze del TAR che hanno riammesso al beneficio famiglie

inizialmente escluse dal RMI perché, come previsto dal decreto istitutivo, proprietarie della casa di

abitazione. L’amministrazione ha infatti coordinato il lavoro di diversi enti (Guardia di finanza,

Ufficio tecnico erariale, ecc.) al fine di individuare eventuali falsi positivi. Come risultato, è

aumentato il numero di rinunce alla partecipazione al programma che sono passate dal 4% nel 2000

al 10% nel 2002 (ultimo anno per il quali i dati sono stati resi disponibili), plausibilmente proprio

per l’aspettativa di possibili controlli. L’entità delle rinunce è stata particolarmente marcata tra le

23

Per una introduzione alla rilevanza della valutazione degli interventi pubblici, del cosiddetto “paradigma

controfattuale” ormai consolidato negli studi degli effetti delle politiche pubbliche e di alcune buone pratiche si rimanda

a Trivellato (2010) e Martini e Trivellato (2011). 24

I dati sono disponibili all’url http://www.frdb.org/topic/data-sources/doc_pk/10124 e liberamente scaricabili previa

registrazione. Un’accurata analisi sui beneficiari dei comuni di Rovigo e Foggia è in Boeri et al. (2007, pp.173-181).

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domande presentate da famiglie che dichiaravano la presenza di un componente con una qualche

forma di invalidità.

Va inoltre segnalato che uno dei controlli messi in atto dal Comune di Foggia che

maggiormente si è rivelato efficace è stato quello di richiedere ai beneficiari che si dichiaravano

disoccupati di partecipare ai progetti di integrazione sociale e attivazione al lavoro che si tenevano

in orario di lavoro. Il problema del lavoro irregolare è infatti una questione critica, difficilmente

rilevabile, specie se la prova dei mezzi si basa sulle dichiarazioni dei redditi ai fini Irpef (o se, oggi,

si usasse l’Isee). Organizzare progetti di reinserimento durante l’orario di lavoro e renderne la

partecipazione obbligatoria ai beneficiari disoccupati si è, invece, mostrata una strada efficace, e

poco costosa, per contrastare comportamenti opportunistici.

3.2 Il reddito di base per la cittadinanza del Friuli Venezia Giulia (RdB)

3.2.1 Una sintetica presentazione della misura

La l.r. 6/2006 della Regione Friuli Venezia Giulia, intitolata «Sistema integrato di interventi e

servizi per la promozione e la tutela dei diritti di cittadinanza sociale», aveva introdotto con l’art. 59

il Reddito di base e progetti di inclusione per la cittadinanza sociale (RdB). Con l’art. 9 della

successiva l.r. 9/2008 l’art. 59 della legge sul sistema integrato di interventi e servizi è stato

abrogato, e contestualmente è stato introdotto il “Fondo per il contrasto ai fenomeni di povertà e

disagio sociale”. È stata così decisa la chiusura anticipata della sperimentazione del RdB, prevista

per 5 anni e, nei fatti, durata meno di 9 mesi, dal 7 settembre 2007 fino al 31 maggio 2008. Potrebbe

fermarsi qui la ricostruzione di questa esperienza. Ma vale la pena non disperdere il patrimonio

conoscitivo accumulato nella progettazione e nelle prime evidenze raccolte nel pur breve periodo di

attuazione del RbB.

In estrema sintesi, si può dire che il RdB era stato pensato e costruito con una chiara ispirazione

all’universalismo selettivo, con una dichiarata volontà di superare interventi di tipo categoriale e un

forte baricentro sui principi di:

temporaneità, per offrire opportunità di cambiamento senza indurre i meccanismi di dipendenza

tipici delle prestazioni assistenziali;

tempestività, per dare risposta in tempi stretti all’insorgere di situazioni di bisogno;

co-responsabilità, attraverso la partecipazione vincolante del beneficiario a percorsi di inclusione

sociale;

personalizzazione degli interventi volti, laddove possibile, all’inserimento lavorativo,

all’inclusione sociale o, comunque, al miglioramento delle condizioni di esistenza della persona.

Il RdB prevedeva un’erogazione monetaria mensile di importo variabile, in quanto calcolato

come differenza tra il valore del reddito minimo equivalente e la capacità economica del nucleo

misurata con l’indicatore CEE25

. Il soggetto preposto all’erogazione erano i Comuni capofila, così

25

L’indicatore della capacità economica equivalente (CEE) era stato elaborato specificamente per il RdB (art. 6 del

D.P.Reg. 278/2007). In sintesi, esso è calcolato mediante applicazione delle modalità previste per l’Isee, aggiungendo

alle entrate computate ai fini dell’Irpef anche altri redditi esenti come l’indennità di accompagnamento (l’elenco

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definiti alla luce del loro ruolo di coordinamento per ambiti territoriali più vasti. Nel regolamento

attuativo si era previsto che entro 30 giorni dalla presentazione della richiesta il servizio sociale

comunale stipulasse con il richiedente un «patto preliminare» per iniziare a erogare il RdB in via

provvisoria. Entro 3 mesi dalla stipula del patto preliminare, pertanto al più tardi dopo 4 mesi dalla

presentazione della domanda, doveva avvenire la stipula del patto definitivo con la conseguente

conferma dell’erogazione definitiva del RdB.

Il RdB era stato progettato come una misura di contrasto della povertà e dell’esclusione sociale

basata su un intervento monetario di integrazione al reddito, “cumulabile”, in quanto poteva essere

associato ad altri interventi e prestazioni, e in ogni caso “a tempo”, in quanto limitato a dodici mesi

rinnovabili al massimo per altri dodici. L’obiettivo della misura era l’inserimento sociale, in

particolare attraverso progetti di inclusione sociale; per tale motivo era stato previsto il

coinvolgimento operativo anche dei Centri per l’impiego. Infatti, per le persone che erano in età

lavorativa e in stato di disoccupazione il RdB veniva garantito a condizione che detti soggetti si

impegnassero attivamente nella ricerca di un’occupazione.

3.2.2 La soglia di povertà e la prova dei mezzi

I beneficiari del RdB erano i nuclei familiari come definiti ai fini dell’Isee26

. La richiesta

poteva essere presentata da uno dei componenti del nucleo familiare residente in Regione da almeno

12 mesi27

a patto che il nucleo avesse un indicatore CEE inferiore a 5.000 euro annui. Per accedere

al RdB, inoltre, non era sufficiente il possesso dei requisiti di residenza e di reddito; si doveva

verificare anche una condizione di vita che rientrasse tra quelle previste nella finalità della misura,

ovvero: acquisire autonomia economica, cercare di raggiungere l’inserimento sociale e possedere

capacità di perseguire il proprio progetto di vita. Infatti, era stato previsto che il beneficiario si

impegnasse in un progetto di intervento sin nella fase iniziale di attuazione della misura. Il progetto

prevedeva, per coloro che erano in stato di disoccupazione o occupati in lavori precari, l’attivazione

di un percorso volto all’inserimento lavorativo tramite l’intervento dei CpI. A riprova della bontà

del meccanismo attivato con il RdB possono essere utilizzati i dati raccolti nei pochi mesi della

sperimentazione (Aa.Vv., 2008): ben il 45,07% dei beneficiari è stato inviato ai CpI. Di questi,

1.392 hanno firmato la dichiarazione di disponibilità alla ricerca attiva di lavoro e hanno, pertanto,

completo dei redditi da includere nel calcolo dell’indicatore CEE appare nell’allegato A del D.P.Reg. 278/2007). La

certificazione del reddito CEE, fatta tramite la rete dei CAF, prevede particolari deroghe per casi specifici:

- le donne, anche unitamente ai loro figli minori, che vengono a trovarsi nella necessità di dover abbandonare il proprio

ambiente familiare possono, ai fini della dichiarazione CEE, essere considerate nucleo a sé stante;

- i nuclei familiari in cui sono presenti persone ultrasessantacinquenni, con reddito non superiore al doppio del

trattamento pensionistico minimo, ai fini del calcolo CEE vengono esonerati dal computo dei redditi della persona (o

delle persone) ultrasessantacinquenne;

- le donne in stato di gravidanza e per i primi sei mesi di vita del bambino possono ricevere un quota suppletiva del

beneficio compresa tra il 10 e il 50% del suo valore.

Le ragioni dell’inclusione dell’indennità di accompagnamento nella prova dei mezzi e dell’esonero per gli

ultrasessantacinquenni restano di non facile comprensione. 26

A tal fine erano riconosciute come nucleo anche le donne che dovessero abbandonare il nucleo familiare a causa di

violenze. 27

Erano considerate residenti anche le persone senza fissa dimora domiciliate in uno dei Comuni da almeno 12 mesi.

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avviato la procedura finalizzata al processo di inclusione sociale. Quasi tutti questi, 1.238, hanno

poi stipulato anche il patto di servizio. La tipologia degli impegni previsti dal patto riguardava:

l’azione di accompagnamento e di consulenza (494 casi);

la ricerca attiva dell’occupazione (316);

l’inserimento in percorsi di formazione professionale e di riqualificazione professionale (221);

l’inserimento in work experience (197).

3.2.3 I diversi attori istituzionali in gioco per la richiesta di RdB

Il RdB prevedeva che i Comuni esercitassero una funzione a più livelli, concentrata sui

seguenti snodi:

a) curare le verifiche di ammissibilità e valutarne l’eventuale proroga; elaborare i patti

(preliminare e definitivo) e i progetti personalizzati; applicare, qualora necessario, i

provvedimenti di sospensione, di diminuzione dell’importo della misura nonché l’eventuale

revoca della stessa;

b) curare la rete dei servizi e delle risorse del territorio: in particolare sviluppare rapporti sinergici

con i CpI ai fini del raccordo dell’intervento e del monitoraggio dello stesso; costruire relazioni

collaborative con i Centri di Assistenza Fiscale (CAF) addetti all’elaborazione dei CEE;

svolgere il ruolo di “attivatore” delle risorse della comunità affinché la misura non venisse

utilizzata quale mero intervento economico;

c) svolgere un ruolo “di regia” e gestire la parte amministrativa-contabile (determinazione

dell’importo del RdB, impegno di spesa, liquidazione, ecc).

Tuttavia, l’impianto del RdB chiamava in causa anche altri attori. Innanzitutto, oltre ai CpI e ai

CAF, anche i Patronati. Per questi ultimi il coinvolgimento è rimasto a livello potenziale, dal

momento che si sarebbero dovuti attivare nel caso di sospensione o revoca della misura accogliendo

il beneficiario. Oltre a questi soggetti la composita rete prevista dal RdB comprendeva anche altre

istituzioni come le Aziende per i Servizi Sanitari, con particolare riferimento ai Dipartimenti di

Salute Mentale e a quelli per le Dipendenze, i Servizi della Giustizia Minorile e

dell’Amministrazione Penitenziaria; senza dimenticare gli attori del privato sociale, risorse

importanti nell’attuazione dei progetti personalizzati.

3.2.4 I numeri del RdB

Nei pochi mesi di attività del RdB le domande complessivamente accolte sono state 4.264 per

una spesa complessiva di 25,2 milioni di euro. Il dato relativo alla situazione economica delle

famiglie beneficiarie si è caratterizzato per l’alta incidenza dei nuclei con indicatore CEE pari a

zero. Tale valore si è riscontrato, infatti, per il 41,7% delle famiglie beneficiarie, il che offre un

interessante spunto di riflessione in merito alla capacità dell’indicatore di cogliere l’effettiva

dimensione delle risorse disponibili – quindi del bisogno –, soprattutto, in considerazione del ruolo

giocato dall’indennità di accompagnamento (esclusa dal calcolo) e dall’eventuale presenza di

redditi sommersi. L’elevata incidenza di indicatori CEE pari a zero o comunque bassi spiega perché

il valore medio CEE delle famiglie beneficiarie si attesta sui 2.940 euro annui. Questo dato,

combinato con una frazione abbastanza elevata di coppie con figli minori o comunque di famiglie

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numerose, dà conto del fatto che l’integrazione economica media annua per famiglia ammonta a

6.260,05 euro annui, cioè a 522 euro mensili28

.

Della misura hanno usufruito principalmente nuclei di cittadinanza italiana (80,7%) con una

prevalenza dei nuclei uni-personali (42,2% del totale). Tra le principali caratteristiche dei

richiedenti si segnalano la composizione per genere, con una prevalenza delle donne sugli uomini

(54,3%), e una concentrazione nella fascia di età compresa tra i 36 ed i 45 anni. Anche per questo il

RdB, nella sua pur breve esperienza, sembra aver assunto i connotati di una misura orientata ai

bisogni delle persone in età lavorativa, per il 55,8% disoccupati o in cerca di prima occupazione e

per il 18,7% lavoratori con redditi al di sotto della soglia di reddito (Dessi, 2009).

Più in generale, anche solo per un’analisi di targeting della misura, ossia della sua capacità di

intercettare i soggetti effettivamente in condizione di bisogno, sarebbe stato necessario un

monitoraggio su un orizzonte temporale più lungo. Nella prima fase della sperimentazione, le

persone che maggiormente sono state informate sulla misura erano già in contatto con i servizi

sociali comunali, se non già a loro carico (Aa.Vv, 2008).

Tornando sul fronte delle risorse, i dati raccolti, pur su un orizzonte temporale inferiore

all’anno, sono interessanti in quanto evidenziano in embrione alcuni aspetti di fragilità

dell’impianto del RdB. Tenuto conto dell’andamento mensile delle domande presentate al 30

maggio 2008 e del corrispondente reddito annuo, si sono tentate delle simulazioni per quantificare il

fabbisogno a regime della politica attivata, riferito a 12 mesi. I fattori che possono rendere fragili

queste stime sono molteplici: essi includono, tra l’altro la peculiarità dei primi mesi di decollo del

RdB e l’impossibilità di tenere conto di eventuali sue interruzioni o decadenze. Tuttavia, tenuto

conto che le risorse stanziate per il RdB erano di 47,7 milioni di euro per un triennio, suddivise in

9,5 milioni nel 2007, 27,2 nel 2008, e 11 nel 2009, fa riflettere che le erogazioni dei primi 5 mesi

del 2008 avessero assorbito oltre 24 milioni di euro. Infatti, la proiezione su base annua di quei 5

mesi rapportata agli stanziamenti di bilancio per gli anni 2007 e 2008 avrebbe determinato un

disavanzo superiore ai 15 milioni di euro, evidenza che getta seri dubbi sulla sostenibilità

finanziaria del RdB nel medio-lungo periodo (Aa.Vv., 2008).

3.2.5 La valutazione degli effetti del RdB

Per quanto riguardava le procedure di valutazione, la normativa regionale del RdB prevedeva la

realizzazione di un sistema di monitoraggio realizzato con modalità sia quantitative sia qualitative.

In ogni caso, tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nella sperimentazione, erano tenuti a fornire alla

Regione i dati richiesti «nei termini e secondo le modalità previste». Nello specifico, l’art. 11,

comma 3, del Regolamento (D.P.Reg. 278/2007) dava indicazioni in merito agli aspetti da

monitorare privilegiando: le caratteristiche dei nuclei familiari beneficiari; la verifica sul

superamento della condizione di iniziale difficoltà; lo stato di attuazione degli accordi stipulati; il

ruolo degli operatori e dei servizi coinvolti nell’attuazione della misura.

28

Le famiglie che hanno goduto di un trasferimento monetario superiore ai 522 euro mensili costituivano il 38,8% del

totale delle famiglie beneficiarie.

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Sotto l’aspetto quantitativo il monitoraggio si articolava in rilevazioni sistematiche, a cadenza

differenziata in relazione alla tipologia dei dati, che potevano essere attinti attraverso diversi

strumenti come: portale internet, numero verde, cartella sociale informatizzata. Sotto l’aspetto

qualitativo, il monitoraggio utilizzava più strumenti al fine di cogliere la percezione dei diversi

soggetti coinvolti rispetto alla misura e alla sua efficacia. A tal fine erano state previste: schede di

monitoraggio, interviste a operatori, a beneficiari, focus group con operatori.

Purtroppo, questo impianto di rilevazione, coerente con il ruolo fondamentale del monitoraggio

quale strumento per individuare carenze – e potenziali miglioramenti – della misura, è rimasto sulla

carta, a fronte della prematura conclusione della sperimentazione. Sono rimaste agli atti solo le

prime indicazioni, raccolte in Aa.Vv. (2008).

3.3 Il Reddito di Garanzia nella Provincia autonoma di Trento

3.3.1 Una sintetica presentazione della misura

Per sopperire a una vistosa mancanza del sistema di welfare italiano e sull’onda della crisi

congiunturale che stava per abbattersi sul nostro paese, con la Delibera della Giunta Provinciale n.

2216 dell’11 settembre 2009 la Provincia autonoma di Trento ha introdotto una misura di sostegno

al reddito di ultima istanza nota come Reddito di Garanzia (RG). Questo intervento si prefigura

come uno strumento strutturale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, a differenza della

grande maggioranza degli interventi messi in atto dalle amministrazioni locali (tra le quali, come

ricordato in apertura, sono soprattutto i Comuni che forniscono misure, spesso una tantum, di

sostegno al reddito delle famiglie in condizioni di bisogno).

Il RG, introdotto al fine di ridurre i rischi di ingresso e di permanenza nella condizione di

povertà, ha l’obiettivo di innalzare il reddito delle famiglie portandolo ad una soglia prestabilita,

così da garantire a tutti condizioni di vita dignitose. La misura consiste innanzitutto in un sussidio

monetario di entità variabile: l’intervento monetario si configura cioè come un top-up scheme,

consiste cioè in un trasferimento monetario pari alla differenza tra la soglia di povertà prefissata e il

reddito familiare disponibile, con un minimo posto pari a 50 euro mensili (nel senso che se la

differenza risulta inferiore, il trasferimento non viene erogato). L’importo può anche venire

integrato da un contributo per le spese per l’affitto, qualora la famiglia ne sostenga uno senza

beneficiare di altre forme di aiuto per questo motivo.

Per evitare che il trasferimento monetario disincentivi gli sforzi di uscita dalla condizione di

povertà, in particolare se dovuta a mancanza di occupazione, il RG prevede, inoltre, per i membri

del nucleo familiare idonei al lavoro misure di attivazione. La principale si concretizza nella

sottoscrizione presso i CpI di una dichiarazione di disponibilità immediata all’accettazione di un

lavoro, pena l’esclusione dal programma per un periodo considerevole di tempo. Inoltre, è previsto

una sorta di “scivolo all’uscita” dal RG per i beneficiari che trovano un nuovo impiego. Qualora il

cambiamento della loro condizione reddituale sia tale da porli al di sopra della soglia di

ammissibilità dei 6.500 euro annui, essi, su domanda, allo scadere del primo anno di attività

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lavorativa ininterrotta riceveranno un trasferimento pari a due mensilità di quello goduto in

precedenza.

Il RG si caratterizza per essere un programma universale e selettivo al tempo stesso, rivolto a

tutte le famiglie che superano la prova dei mezzi. In questo senso il RG può essere visto come una

misura in grado di sostituire o incorporare molti schemi ad oggi esistenti, integrandoli in modo da

ridurre sprechi ed evitare, al contempo, che la compresenza di tanti strumenti diversi crei “trappole

di povertà”. Va inoltre sottolineato che il RG non è condizionato all’eventuale esaurimento dei

fondi pubblici stanziati, ma prevede la possibilità di adeguamento della dotazione finanziaria

necessaria, in modo da garantire la copertura per tutte le famiglie ammissibili.

3.3.2 La soglia di povertà e la prova dei mezzi

Per misure di reddito minimo come il RG, la fissazione della soglia di povertà è un aspetto

cruciale, la cui scelta spetta in ultima istanza al decisore politico. Nel determinarla esso si trova di

fronte ad un trade-off non facilmente risolvibile. Tale soglia, infatti, dovrebbe essere

sufficientemente elevata da garantire condizioni di vita dignitose, il che potrebbe indurre a spostarla

verso l’alto. Ciò, tuttavia, comporta un aumento non solo della platea dei possibili beneficiari, ma

anche degli importi spettanti a ciascuna famiglia, quindi, può far lievitare notevolmente la spesa

pubblica necessaria per sostenere l’intervento.

Nel caso in esame tale soglia è stata fissata a 6.500 euro di reddito equivalente annuo. Tale

valore è stato stabilito anche sulla scorta di analisi della distribuzione dei redditi delle famiglie

trentine. Per il 2009, anno di introduzione della misura, la soglia di povertà definita come il 50%

della mediana dei redditi disponibili resi equivalenti si attestava intorno a circa euro 8.500 (OPES,

2011, pag. 48). Lo scostamento tra i due valori è prevalentemente legato al fatto che, mentre

quest’ultima si basa su redditi fiscali, la soglia di povertà per il RG si basa su un indicatore dello

stato economico-patrimoniale noto come Indicatore della Condizione Economica Familiare

(ICEF)29

.

In particolare, nel caso del RG, allo scopo di contrastare episodi di povertà anche solo

temporanei, la scelta è stata quella di considerare la cosiddetta variante attualizzata dell’ICEF. In

questo modo si tiene conto di possibili cambiamenti significativi della condizione economica

29

L’ICEF è stato adottato dall’amministrazione provinciale di Trento per il calcolo delle condizioni di benessere

economico delle famiglie che richiedono una varietà di agevolazioni tariffarie e trasferimenti pubblici (riduzione delle

tariffe per il trasporto pubblico, graduatorie per gli asili nido, borse di studio per studenti, ecc.). Esso, di fatto,

sostituisce l'Isee utilizzato a livello nazionale. Come l’Isee, anche l’ICEF tiene conto di patrimoni mobiliari e

immobiliari, oltre che dei redditi percepiti nell’anno fiscale precedente, siano essi derivanti da lavoro dipendente o

autonomo, da pensioni, da CIG(S), da indennità di disoccupazione e/o di mobilità. Entrambi gli strumenti prevedono,

poi, la stessa scala di equivalenza, basata sul numero dei componenti familiari, per il calcolo dei redditi equivalenti. La

principale differenza tra Isee e ICEF sta in questo: nel caso di situazioni che, a parità di reddito e patrimonio,

determinano un’oggettiva riduzione della condizione economica (come, ad esempio, la presenza di disabili o nuclei

mono-genitoriali), il primo applica ulteriori coefficienti alla scala di equivalenza, mentre il secondo applica delle

franchigie che abbassano l’ammontare complessivo del reddito, prima ancora dell’applicazione della scala di

equivalenza. In questo modo, sono le famiglie più povere a godere maggiormente delle detrazioni, dato che, in termini

relativi, queste pesano maggiormente sui redditi più bassi. A livello di algoritmo di calcolo, infine, l’indicatore ICEF

permette una maggiore flessibilità di quanto non consenta l’Isee. Nonostante i dati di input dell’algoritmo siano gli

stessi, il peso dato alle diverse componenti di reddito e patrimonio, così come le detrazioni applicabili, possono infatti

variare a seconda dell’intervento per il quale l’indicatore viene calcolato.

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rispetto al reddito dell’anno precedente, come ad esempio l’involontaria riduzione dell’attività

lavorativa. In questi casi, ad entrare nel computo dell’ICEF, insieme agli altri input, non è il reddito

fiscale dell’anno precedente, bensì la stima dell’ammontare annuo calcolato come proiezione della

media di quanto percepito negli ultimi due mesi precedenti la presentazione della domanda.

È importante sottolineare che, per quanto riguarda la prova dei mezzi, la normativa che regola

il RG ha subito un’importante modifica a meno di un anno dalla sua introduzione. Preoccupata dal

possibile comportamento opportunistico di un inaspettato numero di richiedenti del RG con un

reddito ICEF pari a zero, l’amministrazione provinciale ha integrato la prova dei mezzi con un

cosiddetto “controllo sui consumi”. Per ogni famiglia richiedente, insieme all’indicatore ICEF si

calcola un livello minimo di consumi, sulla base di indicatori dell’Istat che tengono conto del

numero di componenti, delle disponibilità che comportano non trascurabili spese di gestione (come

la dimensione dell’alloggio) e del possesso di beni durevoli che comportano spese correnti ingenti

(come l’automobile). Conseguentemente, viene imputato alla famiglia un reddito minimo, sotto il

quale essa non sarebbe in grado di sostenere quel pattern di consumi. Il massimo tra i due valori,

quello ICEF e quello scaturito dal controllo sui consumi, viene considerato come effettiva

condizione economico-patrimoniale della famiglia, che viene confrontata con la soglia per il RG.

3.3.3 I diversi attori istituzionali in gioco per la richiesta di RG

Al fine di poter beneficiare del RG, una famiglia deve presentare apposita domanda. È

importante mettere in luce che tale domanda può essere presentata in qualsiasi momento dell’anno,

a differenza di misure di sostegno al reddito attuate in altre regioni. Per presentare la domanda il

cittadino può recarsi presso i CAF operanti in provincia. Essi sono in grado di provvedere non solo

alla compilazione dell’apposita richiesta di RG, ma anche alla predisposizione della dichiarazione

ICEF attestante il superamento della prova dei mezzi, sulla base delle informazioni reddituali e

patrimoniali fornite dal richiedente. La domanda di RG viene inoltre corredata, per i membri del

nucleo idonei al lavoro, della sottoscrizione del cosiddetto “patto di servizio” con l’Agenzia del

Lavoro, nel quale viene certificata l’immediata disponibilità all’accettazione di un’offerta di lavoro.

Spetta poi all’Agenzia del Lavoro mettere in atto idonee politiche attive, allo scopo di favorire

l’accesso/rientro al lavoro dei beneficiari del RG.

Le domande raccolte dai CAF vengono quindi inviate in modo telematico all’Agenzia

Provinciale per l’Assistenza e la Previdenza Integrativa della Provincia di Trento, incaricata della

gestione del RG. Previa verifica dei requisiti di ammissibilità e il conseguente calcolo

dell’ammontare spettante, l’erogazione automatica del beneficio avviene dal giorno 21 del mese

successivo a quello di presentazione della domanda, e poi con cadenza mensile.

L’erogazione in via automatica avviene quando nei nuclei familiari non vengano ravvisate

problematiche sociali ulteriori rispetto al bisogno di natura meramente economica. Quando queste

problematiche si manifestino, invece, le domande di RG vengono poste al vaglio dei servizi sociali

per la predisposizione di un progetto di integrazione sociale, modulato in base alle specifiche

esigenze dei diversi nuclei familiari. Nei primi due anni dalla sua introduzione sono state presentate

oltre 21.000 richieste di RG, di cui solo l’8% gestite dai servizi sociali.

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Si tenga presente che, una volta verificata l’ammissibilità al RG, l’integrazione economica

viene concessa per quattro mesi consecutivi, trascorsi i quali, nel caso in cui lo stato di necessità

permanga, occorre presentare apposita richiesta di rinnovo del beneficio. Il rinnovo è previsto, di

norma, per tre volte, nell’arco di due anni. In questo modo, una famiglia può beneficiare del RG per

un massimo di sedici mesi nell’arco di ventiquattro; lo scopo della restrizione è evitare che gli sforzi

dei singoli e delle famiglie per uscire dalla condizione di povertà si riducano a motivo proprio

dell’integrazione economica di cui godono. Estensioni del periodo massimo di permanenza nel

programma vengono comunque concesse: ad esempio, quando le condizioni economico-

patrimoniali permangano inferiori alla soglia di povertà, sebbene tutti i componenti idonei al lavoro

risultino occupati o in cerca di occupazione.

3.3.4 I numeri del RG

I dati raccolti grazie alla procedura informatica per la gestione amministrativa della misura

mostrano che nei primi due anni dalla sua introduzione hanno beneficiato del RG almeno una volta

circa 7.000 famiglie. Nello stesso arco di tempo sono stati spesi complessivamente circa 35 milioni

di euro. I dati riferiti ai primi mesi del 2012 hanno confermato che la spesa dedicata si attesta

intorno ai 17 milioni annui, pari a circa lo 0,1% del PIL provinciale.

Nel solo 2010 i nuclei beneficiari sono risultati oltre 5.300, pari al 2,4% della popolazione

residente nella provincia di Trento. È invece impossibile conoscere il numero di famiglie che

sarebbero idonee alla misura ma che non hanno fatto domanda, ossia il numero di cosiddetti falsi

negativi. La procedura descritta prima, infatti, chiarisce come solo per i richiedenti sia possibile

conoscere la condizione economico-patrimoniale utile ai fini del RG.

Può comunque essere utile qualche considerazione di larga massima. La percentuale di famiglie

che in Trentino si trova sotto la soglia di povertà – definita come il 50% della mediana dei redditi

disponibili resi equivalenti – è stimata intorno al 10% circa (OPES, 2011). Se si guarda alle

evidenze circa lo stato di deprivazione materiale dei beneficiari rispetto alla popolazione è, inoltre,

facile osservare che chi accede al RG si trova, con probabilità significativamente maggiore, in

peggiori condizioni (Zanini et al., 2011, tab. 7). Ciò suggerisce, dunque, una buona capacità di

targeting della misura, seppure queste evidenze non siano conclusive.

A tale riguardo è bene notare che da informazioni raccolte mediante un’apposita indagine per il

monitoraggio dei beneficiari della misura, è emerso che essi sono venuti a conoscenza del RG,

prima ancora che grazie ai media, attraverso reti amicali e parentali (soprattutto per gli stranieri) e

mediante il terzo settore. È, del resto, plausibile pensare che siano gli stessi operatori degli sportelli

CAF a segnalare l’esistenza del RG e quindi la possibilità di presentare domanda ai potenziali

beneficiari.

Dall’analisi delle caratteristiche rilevate mediante la richiesta di RG confrontate con i dati sulla

popolazione trentina, risulta chiaro che l’incidenza della cittadinanza non italiana tra i beneficiari è

particolarmente forte: tra di essi una famiglia su due ha almeno un componente straniero, mentre le

famiglie italiane nella popolazione risultano superiori al 90%. Un'altra evidenza interessante è la

sottorappresentazione tra i beneficiari di famiglie con un solo componente – 22% rispetto al 29%

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della popolazione – e la sovra-rappresentazione di famiglie numerose, con almeno 5 membri – 20%

contro il 5% della popolazione –. Ciò è in parte dovuto a effetti di composizione legati alla

cittadinanza (mediamente le famiglie degli stranieri, in particolare degli extracomunitari, sono più

numerose), ma probabilmente dipende anche dal fatto che la prova dei mezzi si basa su coefficienti

di equivalenza che premiano famiglie numerose.

3.3.5 La valutazione degli effetti del RG

A differenza delle altre esperienze italiane menzionate in precedenza, il RG si configura come

uno strumento strutturale, tendenzialmente permanente. Anche per questo motivo il decisore

politico si è attivato fin dalla fase di disegno dell’intervento in modo che venisse condotta una

rigorosa valutazione dei suoi effetti.30

Questo ha consentito di realizzare tempestivamente indagini

per la raccolta di dati, che forniscono informazioni adeguate per il vaglio degli effetti della misura e,

in prospettiva, per prendere decisioni in merito a possibili modifiche da apportare all’intervento al

fine di renderlo meglio rispondente agli obiettivi per i quali è stato adottato.

In particolare, la prima indagine è stata condotta su un campione di famiglie estratte

casualmente dall’elenco delle famiglie beneficiarie del RG ed è stata mirata alla raccolta di

informazioni circa i comportamenti di consumo immediatamente prima dell’introduzione della

misura. Ciò ha consentito di condurre un esercizio di valutazione ex-ante. Si sono utilizzati solidi

modelli economici per prevedere quale sarebbe stata la reazione in termini di consumo di varie

categorie di beni delle famiglie beneficiarie della misura. I risultati ottenuti hanno indicato che, pur

trattandosi di famiglie in condizione di povertà, solo una parte di esse, specificatamente quelle più

marginali tra le straniere, avrebbe aumentato il consumo di generi alimentari grazie al trasferimento

economico fornito dal RG (Daminato e Zanini, 2012). Ciò suggerisce che, da un lato, la

popolazione target della misura, pur trovandosi in condizioni economiche precarie, non ha difficoltà

a nutrirsi adeguatamente almeno sotto il profilo quantitativo, dall’altro, che il trasferimento

monetario erogato con il RG verrebbe speso in altri beni non durevoli (come il vestiario), in beni

durevoli (elettrodomestici, mobilio, etc.) o per migliorare le proprie condizioni di vita e abitative.

Tali risultati sono poi stati confermati dalla valutazione ex-post condotta grazie alla

disponibilità di dati, oltre che su un campione di famiglie beneficiarie, su un adeguato gruppo di

controllo composto da famiglie simili alle prime. I dati sono stati raccolti in due momenti:

immediatamente prima l’introduzione del RG e due anni dopo. In questo modo è stato possibile

valutare gli effetti del RG effettuando un doppio confronto – fra trattati e controlli, prima e dopo

aver l’introduzione del RG –, così da eliminare congiuntamente sia effetti dovuti alla composizione

dei due gruppi che eventuali effetti congiunturali. I risultati ottenuti hanno mostrato che oltre a

cambiamenti nei pattern di consumo (nel senso suggerito dallo studio di valutazione ex-ante), anche

le condizioni di vita delle persone sono cambiate in conseguenza del RG. La misura sembra, infatti,

avere un impatto positivo nel ridurre significativamente la probabilità di trovarsi nella condizione di

povertà, misurata mediante un apposito indicatore dello stato di deprivazione (costruito attraverso

30

Vedi in particolare l’art. 7 della citata Delibera 2216/2009, che ha introdotto il RG.

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una serie di item basati su ciò che la famiglia dichiara di potersi permettere: invitare amici o parenti

a cena, cenare fuori casa, far fronte ad una spesa imprevista, ecc.). La valutazione ex-post ha inoltre

messo in luce il diverso comportamento in termini di partecipazione al mercato del lavoro da parte

di italiani e stranieri. È, infatti, sugli immigrati che il RG è riuscito ad avere effetti di attivazione,

sebbene con scarsi risultati in termini di occupazione. Viceversa, per gli italiani, pur non avendo

sortito effetti in termini di partecipazione al mercato del lavoro, aver beneficiato del RG ha ridotto

la probabilità di essere senza lavoro.

3.3.6 I controlli sul RG: falsi positivi e attivazione al lavoro

Dato che la prova dei mezzi adottata per il RG si basa su un indicatore calcolato ad hoc e

quindi non disponibile per la totalità delle famiglie, è impossibile fornire una stima del cosiddetto

take-up rate, ossia della frazione di famiglie potenzialmente beneficiarie che hanno effettivamente

presentato domanda e ottenuto l’ammissione al programma di sostegno al reddito. In altre parole,

non è possibile fornire indicazione del numero di falsi negativi.

Per quanto detto in precedenza circa i requisiti di ammissibilità al RG, casi di falso positivo

(ossia situazioni in cui famiglie hanno beneficiato della misura pur non avendone i requisiti

necessari) si possono determinare per vari motivi, che portano a imprecisioni in senso favorevole

all’ammissibilità in quattro dimensioni: indicatore della condizione economico-patrimoniale,

composizione familiare, residenza nella provincia di Trento, attivazione nel mercato del lavoro. Per

quanto riguarda l’ICEF, adottato per l’ammissibilità a diverse misure di sostegno economico, la

Provincia ha un apposito meccanismo di controllo che inizia fin dalla presentazione della

dichiarazione ai CAF, i quali effettuano un prima riscontro sui documenti presentati. Tuttavia, i

CAF non hanno modo di verificare la composizione familiare né tantomeno la residenza nella

provincia di Trento. Ed è proprio il controllo di queste dimensioni che, nei primi due anni di

attuazione della misura, ha portato a oltre 350 segnalazioni di mendace dichiarazione. Per un altro

verso, grazie alla collaborazione tra l’Agenzia Provinciale per l’Assistenza e la Previdenza

Integrativa e l’Agenzia del Lavoro, un controllo casuale su un campione di 869 beneficiari che

avevano dichiarato di non essere occupati per almeno tre domande consecutive presentate (quindi

per l’arco di almeno un anno) ha evidenziato che 153 non risultavano più iscritti ai CpI: essi sono

stati pertanto esclusi dal RG. Dei rimanenti 716, la metà circa è risultata “attivata”, ovvero nei 12

mesi precedenti aveva lavorato per almeno 20 giorni o aveva ricevuto servizi, in gran parte corsi di

formazione linguistica (specialmente per extracomunitari, con la necessità di essere alfabetizzati

nella lingua italiana per poter trovare lavoro). L’altra metà è stata invece convocata ai CpI per la

verifica della situazione e la sottoscrizione del patto di servizio.

3.4. La carta acquisti o social card (SC) e la nuova social card sperimentale (SCS)

3.4.1 Una sintetica presentazione della misura

La carta acquisti o social card (SC) è stata definita nell’ambito della legge 133/2008 ed ha

come modello di riferimento, per esplicita ammissione dei suoi proponenti, quello dei food stamps

statunitensi. Si tratta di un intervento rivolto a persone, che prende però la famiglia come soggetto

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di riferimento, dal momento che la possibilità di ottenere la prestazione è condizionata alle

complessive risorse familiari. La SC offre un’erogazione monetaria di 40 euro mensili. Nella sua

definizione originaria, la SC non consente ricariche con mezzi propri da parte del titolare, non è

abilitata al prelievo di contante, il suo utilizzo è circoscritto a una rete di negozi con precisi codici

merceologici, ai quali sono stati introdotte, nel tempo, alcune integrazioni per includere l’acquisto

di prodotti farmaceutici e il pagamento di bollette della luce e del gas.

Sulla base di questi tratti distintivi della misura – già diffusamente approfonditi in Gori et al.

(2010)31

– si preferisce concentrare l’attenzione su alcune sue peculiarità emerse in questi anni. Il

primo aspetto riguarda la dimensione dell’intervento, ovvero l’importo messo a disposizione dei

beneficiari. Partendo da questo aspetto si può riflettere sulle conseguenze della scelta di

caratterizzare la SC con una erogazione in cifra fissa e uguale in tutta Italia, prescindendo, quindi,

dalle diversità delle risorse economiche dei beneficiari e del modularsi del costo della vita sul

territorio. Si tratta di un elemento di forte caratterizzazione della SC, accettabile solo in una logica

di beneficienza minima, i cui limiti, tuttavia, potrebbero essere facilmente superati attraverso

l’integrazione nell’infrastruttura della SC di una serie di interventi monetari oggi previsti dal nostro

ordinamento. Una dimostrazione concreta della fattibilità di questa opzione è data dalle esperienze

legate all’erogazione di due una tantum ai beneficiari di SC: la prima, di 25 euro, è stata riservata ai

beneficiari nati nel corso del 2009 a titolo di sostegno delle spese per il latte artificiale e i pannolini;

la seconda, pari a 20 euro bimestrali, è stata destinata ai titolari di SC utilizzatori di gas naturale o

Gpl a uso riscaldamento.

Il secondo aspetto si riferisce alla natura di mezzo di pagamento della SC. Essendo stata

concepita come una tessera agganciata ai circuiti Automated Teller Machine, la SC offre delle

opportunità, finora sottovalutate, in termini di tracciabilità degli utilizzi da parte dei titolari.

Superare l’incoerenza palese insita nell’aver presentato la SC come uno strumento anonimo, nel

tentativo di mitigarne gli effetti di stigma sociale, pur concependola come uno strumento di

pagamento elettronico, con tanto di nome stampato e Pin identificativo del titolare, consentirebbe di

iscrivere questa misura come un elemento concreto di attuazione di progetti più volte annunciati

sulla tracciabilità dei pagamenti e sulla limitazione nell’uso del contante.

Infine, non può essere dimenticata la capacità della SC di caratterizzarsi come un intervento

con caratteristiche di sussidiarietà orizzontale e verticale. Un aspetto di cui si è persa traccia nel

dibattito è l’iniziale previsione di sconti sistematici del 5% sui prezzi di vendita ordinari riservata,

in maniera aggiuntiva a ogni altra promozione, ai titolari di SC. L’aver previsto che i negozi

convenzionati che sostengono il “Programma carta acquisti” potessero mettere in gioco risorse

proprie, anche se attraverso un meccanismo indiretto di sconti, consentiva una concreta sussidiarietà

orizzontale, alla quale non si è tuttavia riusciti a dare continuità. L’impatto di una rete di oltre

10.000 negozi convenzionati, tanti ne contava la stima iniziale del Governo, poteva essere una

31

In particolare rinviamo alle pp. 101-107, 133-136 e 158-170.

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dimensione rilevante nel sistema di risposta al bisogno attivato dalla SC32

. Oltre a questa prima

opzione, non è stata adeguatamente utilizzata la possibilità offerta agli Enti locali di far convergere

le proprie iniziative di sostegno economico sul Fondo carta acquisti, possibilità che apriva una

prospettiva concreta anche sul fronte della sussidiarietà verticale33

.

3.4.2 La soglia di povertà e la prova dei mezzi

Ritornando alle caratteristiche della SC è importante ricordare la sua natura di misura

categoriale ad accesso selettivo. Infatti, la possibilità di accedervi è subordinata, in primo luogo, al

requisito anagrafico: (genitori con) bambini di meno di 3 anni e persone con più di 65 anni. A

questo si aggiungono il requisito della cittadinanza, con vincolo di residenza, e un terzo vincolo

reddituale, definito in termini di Isee, inizialmente posto pari a 6.000 euro annui e rivalutato

annualmente34

. A tutto ciò è aggiunta una prova dei mezzi che, pur con lievi modifiche, opera su

entrambe le popolazioni obiettivo, al fine di verificare presenza ed entità di una serie di parametri

quali:

utenze elettriche domestiche e non domestiche;

utenze gas, che diventano al più due per i genitori di bambini con meno di 3 anni;

autoveicoli di proprietà, che diventano al più due per i genitori di bambini con meno di 3 anni;

quote superiori o uguali al 25% di più di un immobile a uso abitativo;

quote superiori o uguali al 10% di più di un immobile non a uso abitativo o di categoria catastale

C7;

patrimonio mobiliare superiore a 15.000 euro.

3.4.3 I diversi attori istituzionali in gioco

L'architettura organizzativa della SC, come definita dal decreto interdipartimentale del

16.09.2008, è costituita:

dal Ministero dell'economia e delle finanze, in qualità di Amministrazione responsabile, che,

d'intesa con il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, disegna il quadro di

regole e ne monitora l'attuazione;

32

Il rammarico per aver trascurato questa dimensione aumenta in relazione alla tendenza ormai consolidata delle fidelity

card della grande distribuzione, che, come rilevato dall’Osservatorio Carte Fedeltà dell’Università di Parma e

dall’Università Bocconi, stanno rispondendo alle esigenze delle famiglie nella crisi mediante la sostituzione dei vecchi

premi a catalogo con buoni sconto sulla spesa. 33

L’enfasi posta dal Governo sulla possibilità di dare maggiore consistenza alla SC attraverso convenzioni stipulate da

singoli enti (Regioni, Province o Comuni) non ha prodotto i risultati attesi, rimanendo circoscritta a pochi casi. Merita

di essere menzionato quello della Regione Friuli Venezia Giulia, che integra con 60 euro mensili le somme accreditate

dallo Stato, pari a 40 euro mensili, sulle SC dei beneficiari residenti in regione (art. 10, commi 78-80 della l.r. 17/2008).

Il valore complessivo per i beneficiari residenti in Friuli Venezia Giulia è pertanto di 100 euro al mese. Per

l’ottenimento delle integrazioni regionali non è necessario alcun adempimento da parte dei titolari di SC, in quanto le

integrazioni vengono corrisposte automaticamente a coloro che ne hanno diritto contestualmente alle “ricariche” statali.

Le modalità tecniche di attuazione dell’intervento sono contenute in un protocollo d’intesa tra la Regione Friuli Venezia

Giulia e il Ministero dell’Economia e delle finanze, che regola, tra l’altro, le modalità di trasferimento dei fondi dalla

Regione allo Stato. 34

Per il 2012 il requisito reddituale per avere diritto alla SC è un Isee non superiore a 6.499,82 euro. È rimasto

invariato, invece, il limite del patrimonio mobiliare rilevato nella dichiarazione Isee, che continua a rimanere fissato in

misura non superiore a 15mila euro.

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dall'INPS che, in qualità di soggetto attuatore, dà attuazione alle regole;

dal Gestore Poste Italiane S.p.A., che è incaricato del servizio di gestione delle SC.

In particolare, l’Amministrazione responsabile, d’intesa con il Ministero del lavoro, della salute

e delle politiche sociali, definisce le platee degli ammissibili, il sistema di accesso al beneficio e

vigila sull'attuazione del programma. Il “soggetto attuatore”, nella fase di richiesta della SC da parte

del cittadino, verifica la rispondenza dei requisiti in possesso del richiedente con quelli stabiliti

dalla normativa, e in caso di esito positivo dà disposizione di concessione del beneficio. Nella fase

successiva, verifica il mantenimento dei requisiti da parte dei beneficiari e, in caso negativo, dà

disposizione di revoca del beneficio. Il “gestore del servizio” riceve le richieste e ne verifica la

conformità, emette le SC, esegue i periodici accrediti bimestrali e/o l'eventuale disattivazione delle

carte, sulla base delle disposizioni del “soggetto attuatore”; inoltre, fornisce informazioni al

pubblico. Al di là della possibilità di una convenzione con l’infrastruttura SC, non sono previste

forme di coinvolgimento nella gestione della misura da parte di Regioni, Province e Comuni.

3.4.4 I numeri della SC

Rispetto alla platea degli ammissibili all’intervento, definita dalle caratteristiche dello stesso e

dai criteri di accesso, il Governo aveva inizialmente quantificato una platea di potenziali beneficiari

di circa 1.300.000 persone. Di queste ben 1.000.000 con almeno 65 anni e 300.000 famiglie con

bambini fino a 3 anni.

Secondo dati aggiornati a fine 2010, gli ultimi disponibili da fonti ufficiali35

, tra dicembre 2008

e dicembre 2010, i possessori di SC erano in tutto 734 mila, dei quali 386 mila anziani e 348 mila

genitori di bambini con meno di 3 anni. Questi dati hanno alimentato valutazioni critiche sulla

ragionevolezza dell’obiettivo previsto o sulla possibilità di raggiungerlo. Un esito come quello

rilevato richiede, tuttavia, qualche riflessione sulle motivazioni dello scostamento, che potrebbe

derivare da un classico fenomeno di basso take-up per mancata richiesta, oppure, affondare le sue

radici in qualche errore di stima. Sulla scorta delle pur scarse informazioni disponibili, viene

abbastanza naturale escludere la (o comunque non dare forte peso alla) prima ipotesi, tanto più che

l’avvio dell’intervento è stato accompagnato da una importante campagna di comunicazione con

lettere personali inviate a casa delle famiglie per invitarle a richiedere la SC. Per questo

propenderemmo per concentrare l’attenzione sulla coerenza delle stime alla luce dei criteri di

accesso alla misura. A partire dalle soglie Isee, senza trascurare i requisiti aggiuntivi previsti dalla

prova dei mezzi, si potrebbero condurre analisi utili per spiegare gli indici di copertura e, forse, per

tarare meglio un intervento continuativo, sia pur categoriale ed esiguo, di contrasto alla povertà.

Tali analisi potrebbero dar conto non solo dello scostamento dei dati totali, ma cercare anche di

offrire argomentazioni per la spiegazione della forte disomogeneità registrate nei trend delle due

categorie di beneficiari. Non si può trascurare, infatti, che a dicembre 2010 le famiglie con bambini

35

Nonostante il decreto interministeriale prevedesse che tra i costi amministrativi vi fosse una quota per il finanzia-

mento del sistema informativo della carta acquisti (Sica), ad oggi il reporting sulla SC latita. Anzi, per quanto risulta

dalle cronache parlamentari, non sono state nemmeno presentate le rendicontazioni annuali al Parlamento previste per

legge.

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30

fino a 3 anni avevano già superato il target previsto, mentre il gruppo degli ultra-65enni aveva

raggiunto solo il 38% dell’obiettivo.

Ma tutto ciò dipende, palesemente, dalla disponibilità di un’informazione completa, e

convenientemente disaggregata (almeno per i due gruppi di beneficiari, per regione e, rispetto al

tempo, per trimestri) sulle SC emesse, sui valori delle ricariche e dei loro utilizzi. E rispetto agli

scarni dati messi a disposizione del pubblico in un rapporto del Ministero dell’economia e delle

finanze (2009), al di là dei toni rassicuranti usati per dire che «le preoccupazioni iniziali relative ad

un utilizzo non graduale delle carte non si sono materializzate, il comportamento d’uso sembra

ormai stabilizzato, l’acquisto medio è stabilizzato nell’intorno di 25 euro a transazione», le esigenze

conoscitive rimangono pressoché totalmente insoddisfatte36

.

Né a questo deficit informativo ha posto rimedio la pubblicazione del Bilancio sociale

dell’INPS (novembre 2012), che ha fornito dati aggiornati sui beneficiari della SC al 2011 con

disaggregazione per regione, ma non per popolazioni obiettivo né per anno. Essi consentono

comunque di aggiornare la platea dei beneficiari a 535.412, con un importo erogato pari a poco più

di 207 milioni di euro. In carenza di rendicontazioni adeguate, non è certo facile argomentare in

merito al futuro della SC, alla luce del progressivo esaurirsi della dotazione iniziale e in assenza di

nuovi finanziamenti dal 2014.

3.4.5. La sperimentazione della nuova Social Card

Il decreto “Semplifica Italia” (convertito nella legge 35/2012) ha introdotto alcune novità in

riferimento alla sperimentazione della social card, SCS (prevista dall’art. 2, comma 47, del

D.L.225/2010, ma rimasta per lungo tempo inattuata). La sperimentazione ha una durata di un anno

e riguarda i 12 Comuni con più di 250 mila abitanti: Milano, Torino, Venezia, Verona, Genova,

Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Catania e Palermo, per un totale di oltre 9 milioni di abitanti,

pari al 15% della popolazione italiana. La gestione della carta acquisti sperimentale (SCS) è affidata

ai Comuni ed è disciplinata da un decreto interministeriale del quale è prossima l’emanazione37

.

Le risorse disponibili per i 12 mesi della sperimentazione ammontano a 50 milioni di euro, che

sono stati ripartiti in proporzione alla stima delle persone in povertà assoluta residenti nei Comuni38

.

Nel corso del 2013, dunque, oltre alla SC – che continuerà a essere distribuita nel modo

usuale39

–, debutterà la SCS. L’ammissibilità alla SCS non è vincolata alla cittadinanza, bensì alla

36

Il testo solleva, anzi, qualche ulteriore curiosità. Per una misura che consiste in un contributo di 40 euro mensili, una

spesa media di 25 euro per transazione comporta che la SC sia mediamente utilizzata meno di 2 volte al mese. 37

Il Decreto interministeriale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero

dell’economia e delle finanze è stato adottato il 10 gennaio 2016. Alla data in cui questo rapporto viene chiuso esso è

ancora in corso di registrazione presso i competenti organi di controllo. 38

Le persone in povertà assoluta sono state stimate applicando alla popolazione residente nel Comune l’incidenza della

povertà assoluta calcolata dall’Istat per la ripartizione territoriale corrispondente. I dati disponibili sulle incidenze

medie nell’ultimo triennio sono i seguenti: Nord 3,8%; Centro 3,8% e Sud 8,3%. Questo criterio ha portato alla

suddivisione del decreto interministeriale, che assegna poco meno di 12 milioni di euro a Roma, quasi 9 a Napoli, 6 a

Palermo, 5,5 a Milano, 3,8 a Torino, quasi 3 a Bari, 2,7 a Catania, 2,5 a Genova, circa 1,6 rispettivamente a Bologna e a

Firenze, 1,1 a Verona e a Venezia. 39

Fatta salva la clausola che, nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti uno o più beneficiari della SC, prevede

l’attribuzione dei benefici economici connessi alla sperimentazione (SCS) solo previa rinuncia dei benefici connessi al

programma SC, rinuncia da dichiarare espressamente nel modulo di richiesta della SCS.

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31

residenza, da almeno un anno, in uno dei 12 Comuni coinvolti nella sperimentazione40

. Per

l’ammissibilità alla SCS sono richiesti requisiti riferiti alla condizione economica, alle

caratteristiche familiari e alla condizione lavorativa. Tutti comprensibili, data la limitatezza dello

stanziamento, ma che inevitabilmente comportano una torsione della SCS nella direzione di una

misura categoriale, lontana dall’iniziale propensione verso l’universalismo selettivo.

Venendo ai requisiti per l’accesso alla SCS, è innanzitutto necessario sussista una situazione di

grave disagio economico, identificata in (i) una soglia dell’Isee pari al massimo a 3.000 euro, (ii) un

patrimonio mobiliare – sempre come definito ai fini dell’Isee – inferiore a 8.000 euro, coerente

quindi con un risparmio di natura precauzionale, e (iii) un eventuale patrimonio immobiliare,

ammissibile soltanto per la prima casa, inferiore a un valore, ai fini dell’ICI, di 30.000 euro. Inoltre,

nel caso in cui componenti del nucleo familiare godano, «al momento della presentazione della

richiesta e per tutto il corso della sperimentazione, di altri trattamenti economici anche fiscalmente

esenti, di natura previdenziale, indennitaria e assistenziale, a qualunque titolo concessi dallo Stato o

da altre pubbliche amministrazioni», il loro valore complessivo per il nucleo familiare deve essere

inferiore a 600 euro mensili (art.4, comma 3, sub a). Sono previsti, infine, limiti anche al possesso

di auto o motoveicoli, con l’obiettivo di ammettere al beneficio solo chi ha beni durevoli dal

limitato valore di mercato.

Sul fronte dei requisiti riconducibili alle caratteristiche del nucleo familiare, il vincolo è dato

dalla presenza nel nucleo di almeno un componente di età minore di 18 anni. Oltre a questo vincolo,

il decreto indica poi dei criteri di precedenza nell’accesso alla SCS per nuclei in una delle seguenti

condizioni:

disagio abitativo, accertato dai competenti servizi del Comune;

un solo genitore con figli minorenni;

con tre o più figli minorenni oppure con due figli e in attesa del terzo;

con uno o più figli minorenni con disabilità.

Infine, per ottenere la SCS i richiedenti devono soddisfare anche un requisito collegato alla

condizione lavorativa. Il decreto prevede che per accedere alla SCS vi sia assenza di lavoro per tutti

i componenti in età attiva del nucleo al momento della richiesta del beneficio e inoltre per almeno

un componente vi sia stata, nei 36 mesi precedenti la richiesta, la cessazione di un rapporto di

lavoro dipendente (oppure, nel caso di lavoratori autonomi, la cessazione dell’attività oppure, nel

caso di lavoratori precedentemente impiegati con tipologie contrattuali flessibili, un’occupazione

nelle medesime forme per almeno 180 giorni). Alternativamente, al momento della richiesta del

beneficio il valore complessivo per il nucleo familiare dei redditi da lavoro, dipendente o

“flessibile”, percepiti nei sei mesi precedenti non deve superare 4.000 euro41

.

40

Ad essa sono dunque ammissibili anche i cittadini comunitari e i cittadini extracomunitari cosiddetti “lungo

soggiornanti”, naturalmente residenti nei 12 grandi Comuni. 41

Eventuali, ulteriori requisiti possono poi essere definiti dal Comune d’intesa con il Ministero del lavoro e delle

politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze.

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Per la SCS si prevede il rilascio di una sola carta per famiglia. Il beneficio è concesso

bimestralmente in ragione della numerosità del nucleo familiare, calcolata escludendo le persone a

carico ai fini Irpef diverse dal coniuge e dai figli (prescindendo, quindi, dal reddito familiare,

equivalente determinato tramite l’Isee). L’ammontare mensile del trasferimento monetario è di 231

euro per un nucleo composto da 2 membri, di 281 euro per un nucleo di 3 persone, di 331 euro per

un nucleo di 4, infine di 404 euro per i nuclei di 5 o più componenti.

Ai Comuni, oltre a individuare eventuali ulteriori criteri di selezione dei beneficiari e a poter

integrare con fondi propri la misura, compete:

la pubblicazione dei bandi per le domande e il completamento della selezione entro 120 giorni

dalla entrata in vigore del decreto;

la predisposizione di un progetto personalizzato per una quota parte dei nuclei familiari, progetto

che dovrà essere finalizzato all'inclusione sociale, al reinserimento lavorativo, al superamento

della condizione di povertà;

l’attivazione dei servizi di accompagnamento (servizio sociale professionale, educativo,

domiciliare, ecc.);

garanzia dell’operatività di una rete con le altre agenzie pubbliche coinvolte (CpI, scuole,

Aziende sanitarie locali).

Sul ruolo svolto dai Comuni si gioca grossa parte degli esiti della SCS. Saranno i fatti a fornirci

le risposte. Si possono, peraltro, segnalare sin d’ora alcuni profili di criticità e alcune perplessità.

(i) La logica “a bando” non è vincolante in quanto, fermi restando i requisiti previsti per accedere

alla SCS, i Comuni potranno anche limitare la richiesta del beneficio all’ambito dei nuclei

familiari già assistiti dai servizi del Comune, individuati sulla base di precedenti avvisi pubblici

o regolamenti relativi a politiche comunali aventi finalità analoghe a quelle della

sperimentazione. A tal fine, anche attraverso l’utilizzo dei dati contenuti nel data base “Sistema

di Gestione delle Agevolazioni sulle Tariffe Energetiche”, i Comuni potranno adottare

strumenti di comunicazione mirata e personalizzata in favore dei residenti ai quali rivolgere la

sperimentazione. Ciò introduce un potenziale, forte elemento di discrezionalità nella selezione

dei nuclei familiari, che può portare a una popolazione di beneficiari differente da quella

delineata dai requisiti di ammissibilità, variabile da un Comune all’altro secondo pattern

potenzialmente anche molto diversi.

(ii) Il progetto personalizzato non coinvolgerà tutti i beneficiari della SCS, per il proposito del

decreto – in via di principio condivisibile – di condurre un social experiment sugli effetti dei

«progetti personalizzati di presa in carico». Nell’ambito dei nuclei beneficiari, infatti, i Comuni

dovranno individuare, mediante una procedura di selezione casuale, due gruppi: per un primo

gruppo, pari ad almeno metà e a non oltre due terzi del totale dei nuclei, predisporranno un

progetto personalizzato, volto al superamento della condizione di povertà, al reinserimento

lavorativo e all'inclusione sociale; un secondo gruppo, costituito dai nuclei beneficiari esclusi

casualmente dal progetto personalizzato e integrato dai nuclei richiedenti esclusi dalla SCS,

costituirà il gruppo di controllo, che avrà accesso all’ordinaria rete di interventi e servizi

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sociali. L’intendimento di realizzare un social experiment, cruciale per gli ambiziosi obiettivi di

valutazione degli effetti della SCS elencati all’art. 9 del decreto interministeriale (tema che

toccheremo tra poco), si presenta peraltro problematico per due ordini di ragioni: la difficoltà,

ben nota dalla letteratura, di attuare social experiments, tanto più acuta quanto più la loro

realizzazione venga affidata a una molteplicità di attori locali, nel nostro caso i Comuni; la

deroga ai criteri di ammissibilità concessa ai Comuni, di cui abbiamo detto nel punto

immediatamente precedente, deroga che può indurre a violare il disegno di randomizzazione e

comunque a non preservarne l’integrità.

(iii) Per i nuclei beneficiari della SCS che sottoscriveranno il progetto personalizzato, esso sarà

vincolante sia per accedere alla SCS che per continuare a godere del beneficio. Le informazioni

sul progetto e sulla sua attuazione dovranno essere inviate telematicamente mediante modelli

predisposti dall’Inps, d’intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e sentito il

Garante per la protezione dei dati personali, secondo le modalità dettagliatamente specificate

nel decreto interministeriale. Secondo una rigida logica di condizionalità, il decreto prevede che

l’invio delle molteplici informazioni richieste, riferite a ciascuna SCS (e solo in parte, invece,

ai nuclei familiari di controllo), costituisce condizione necessaria per i successivi accrediti

bimestrali. Anche alla luce di quanto messo in evidenza nei due punti precedenti, è ragionevole

dubitare che tale disegno sia fattibile in maniera adeguata: gli onerosi adempimenti in tema di

acquisizione delle informazioni possono, forzatamente, scadere a riti burocratici (o, all’opposto,

una diffusa sospensione degli accrediti bimestrali può ingenerare tensioni sociali, tenuto conto

in particolare delle condizioni di grave disagio economico dei beneficiari).

(iv) Quanto appena detto circa i rapporti fra Inps e Comuni rende palese come, nonostante il ruolo

riconosciuto ai Comuni e le responsabilità poste in capo a loro, la gestione delle erogazioni

monetarie venga affidata all’infrastruttura che gestisce la SC. Infatti, è l’Inps (il soggetto

attuatore) che procede alla verifica della compatibilità delle informazioni acquisite con i

requisiti previsti per l’accesso alla/mantenimento della SCS, utilizzando a tal fine anche tute le

informazioni «pertinenti e non eccedenti» disponibili nei propri archivi. Ed è sempre l’Inps che

deve comunicare alle Poste italiane la somma da accreditare su ciascuna SCS. Il ricorso

all’infrastruttura che gestisce la SC è per vari aspetti persuasivo. Ma, a nostro modo di vedere,

non sono convenientemente affrontati i notevoli problemi di raccordo fra l’infrastruttura

centrale ed i Comuni che si pongono col passaggio dall’erogazione di una misura meramente

passiva – la SC – alla gestione di una misura che incorpora piano individuali di attivazione

affidati ai Comuni – la SCS –.

(v) Nelle intenzioni del decreto interministeriale, che vi dedica il dettagliato art. 9, la

sperimentazione deve fornire gli elementi conoscitivi utili per la successiva proroga della SCS

e «per la possibile generalizzazione della misura […] come strumento di contrasto alla povertà

assoluta». A tal fine servirà valutarne credibilmente gli effetti. Per la SCS la valutazione è posta

in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero

dell’economia e delle finanze. A loro compete definire il disegno di ricerca per la valutazione,

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da condurre secondo l’approccio controfattuale, e gli strumenti di rilevazione. Ai Comuni

spetta un ruolo di collaborazione, essenzialmente tramite la somministrazione dei questionari.

La valutazione è tesa principalmente ad accertare l’efficacia della integrazione del sussidio

economico con servizi a sostegno dell’inclusione attiva nel favorire il superamento della

condizione di bisogno. Alle perplessità che già abbiamo avuto modo di esplicitare, se ne

aggiunge un’altra: manca ogni indicazione sulle risorse, umane e finanziarie, destinate a questo

compito42

.

4. Che cosa possiamo imparare?

Non è agevole tratte nitide lezioni da un quadro di esperienze parecchio variegate, spesso brevi

e contraddistinte da una sorta di provvisorietà; un quadro per di più marcato da alcune cesure. È

proprio da queste ultime che conviene partire per prime riflessioni di sintesi. Le cesure sono dovute

essenzialmente al ciclo politico e al riassetto istituzionale introdotto nel 2001 dalla riforma del titolo

V della Costituzione.

Al ciclo politico sono palesemente dovute la chiusura dell’esperienza del RMI, innovativa e

promettente – pur con i limiti evidenziati – e del RdB del Friuli Venezia Giulia43

. In entrambi i casi,

ciò avviene col subentro di un’amministrazione di centro-destra a una di centro-sinistra. Della

solerte abrogazione del RdB nel 2008, a meno di un anno dal suo avvio, abbiamo già brevemente

detto nella sez. 3.2. Quanto al RMI, il suo superamento a vantaggio di un nuovo istituto, il reddito

di ultima istanza, era stato annunciato ufficialmente nel Libro bianco sul welfare, presentato nel

febbraio 200344

, e la formale istituzione del nuovo istituto avviene con la legge finanziaria per il

2004 (legge 350/2003, art. 3, comma 101). Ma le caratteristiche del reddito di ultima istanza restano

indefinite, perché le modalità di attuazione sono rimandate a decreti ministeriali, e per il suo

finanziamento la legge si limita ad affermare che «lo Stato concorre al finanziamento delle regioni

che istituiscono il reddito di ultima istanza» nei limiti delle risorse preordinate nell'ambito del

Fondo nazionale per le politiche sociali. Si sono incaricati i fatti, poi, a mostrare che il reddito di

ultima istanza era una chimera, che rispondeva alla volontà di segnare una discontinuità con

42

È di buon auspicio la previsione con la quale si chiude l’art. 9 del decreto: «I dati anonimi sono altresì messi a

disposizione di università e enti di ricerca su richiesta motivata, per finalità di ricerca e valutazione». Ma temiamo che

solo di un (non ben fondato) augurio si tratti, date le norme irragionevolmente restrittive che il Codice in materia di dati

personali detta in tema di utilizzo dei microdati per la ricerca scientifica. 43

Non ci pare, invece, riconducibile soltanto, o prevalentemente, al ciclo politico l’interruzione, in sostanza la chiusura,

dell’esperienza del RdC della Campania. Essa coincide sì con la decisione della nuova giunta di centro-destra, ma

appare piuttosto «suggellare quella che si presentava, da tempo, come una morte annunciata e, semplicemente, rinviata

per ragioni di opportunità» (Agodi e DeLuca Picione, 2010, pag. 40). 44

Queste le motivazioni: «Il Reddito minimo di inserimento ha consentito di verificare l’impraticabilità di individuare

attraverso la legge dello Stato soggetti aventi diritto ad entrare in questa rete di sicurezza sociale. Per questo motivo si è

stabilito di individuare un nuovo sistema – il reddito di ultima istanza – da realizzare e co-finanziare in modo coordinato

con il sistema regionale e locale, attraverso programmi che distinguano in modo finalizzato le carenze reddituali

derivanti esclusivamente da mancanza di opportunità lavorativa (da affrontare attraverso politiche attive del lavoro che

evitino l’instaurarsi di percorsi di cronicità e dipendenza assistenziale) e carenze tipiche delle fragilità e marginalità

sociali che necessitino di misure di integrazione sociali e reddituali» (Ministero del lavoro e delle politiche sociali,

2003, pag. 37).

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l’azione avviata nella precedente legislatura col RMI. E, a ben vedere, in questo caso come in

quello del RdB del Friuli Venezia Giulia non si tratta soltanto di chiusure di specifiche esperienze,

ma di cambiamenti di rotta, che in sostanza mirano ad accantonare la prospettiva stessa di

un’organica politica di contrasto della povertà in favore di molteplici interventi che poggiano sul

tradizionale impianto categoriale del welfare italiano, su ben maggiori margini di discrezionalità, su

un sovraccarico di “delega” all’iniziativa degli enti locali, per di più accompagnato da trasferimenti

di risorse magri quando non decurtati.

Per un altro verso, la riforma del titolo V della Costituzione, con l’ulteriore spostamento delle

competenze in materia di assistenza sociale dallo Stato alle Regioni, fornisce una legittimazione, o

meglio un alibi, al ritrarsi dello Stato dall’impegno di investire risorse nella creazione di una rete di

sicurezza sociale di base, in particolare di definire un’azione nazionale di lotta alla povertà. E

stimola, all’opposto, l’iniziativa delle Regioni. Un’iniziativa tanto vivace quanto segnata da

inadeguatezze, che abbiamo documentato segnalando in particolare le incongruenze del RdC

campano e del RMG laziale.

A questa seconda cesura si accompagna, infatti, l’orientamento in favore di misure che

utilizzano impropriamente il termine «sperimentazione» per designarne piuttosto la sostanziale

provvisorietà. Una provvisorietà dovuta innanzitutto ai vincoli di bilancio e all’incertezza del

quadro delle risorse disponibili a medio termine. Ma acuita, e non poco, dalla scelta di non

confrontarsi con i problemi che ciò poneva per il disegno di interventi di contrasto della povertà

duraturi, in grado di apprendere da una ben ponderata sperimentazione. E di imboccare, invece,

l’illusoria strada dei pronunciamenti enfatici (i titoli delle leggi sono rivelatori), affiancati da

normative in buona parte contraddittorie con tali pronunciamenti (l’evidenza più vistosa è bassa la

percentuale di beneficiari rispetto agli ammissibili) e da realizzazioni mediocri (a riprova vi sono il

contrarsi di parecchi interventi al solo trasferimento monetario – talvolta in cifra fissa, quindi

neppure correlato ai bisogni delle famiglie “povere” – e la fragilità, quando non la mancanza, di

decorose attività di monitoraggio e valutazione).

Insomma, di fronte a una questione, quella della povertà, che ha natura strutturale, in molti casi

è prevalsa quella stessa «veduta corta» che Padoa Schioppa (2009) rimproverò parlando della crisi

finanziaria scoppiata nell’agosto 2007. Certo, in questo quindicennio non sono mancate esperienze

in tutto o in parte positive, dalle quali possiamo imparare: ad esse guarderemo tra poco. Ma la

«veduta corta» e la provvisorietà di vari interventi, combinate con le discontinuità indotte dal ciclo

politico, hanno pesato parecchio. Così, non si sono venuti consolidando strumenti in grado di dare

attuazione a un coerente impegno sul versante della lotta alla povertà. E ancor oggi è dubbio se ci

sia, nelle classi dirigenti così come nell’opinione pubblica, adeguata consapevolezza dei termini del

problema. Di queste carenze sono una spia tanto l’eccessiva enfasi posta in alcuni interventi

sull’obiettivo del recupero al lavoro e all’autonoma economica45

, come se esso fosse proponibile

per tutti i poveri, quanto il sostanziale disimpegno di altri interventi da azioni di attivazione e il loro

ritrarsi nella dimensione dell’erogazione di un sussidio per pochi.

45

Nella normativa; quel che poi accade nei fatti è altra cosa.

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Anche dagli errori si impara. A questo è servito lo sguardo sulle otto misure prese in

considerazione, descritte e analizzate nei loro tratti essenziali nella sez. 2. In questa prospettiva è

istruttivo guardare alla Figura 1, che in termini schematici, ma illuminanti, riassume le

caratteristiche salienti delle componente passiva delle varie misure, per quanto attiene al criterio per

la prova dei mezzi, al trasferimento monetario e al take-up rate. Due notazioni tornano utili per la

sua lettura. Innanzitutto, come già anticipato, la rappresentazione che essa dà delle diverse misure è

forzatamente semplificata e va quindi interpretata con le cautele del caso. Restando alle avvertenze

di maggior rilievo, va considerato che per la prova dei mezzi si fa sì riferimento a redditi espressi in

Euro a prezzi 2011, quindi a potere d’acquisto costante, ma il reddito, anche quando sia equivalente,

è calcolato secondo criteri diversi (imponibile Irpef oppure Isee oppure CEE oppure ICEF), ed è

quindi solo approssimativamente comparabile; inoltre, va tenuto presente che il take-up rate è

stimato rispetto ai richiedenti ammissibili, trascurando quindi i falsi negativi, sulla consistenza dei

quali nulla si sa. In secondo luogo, torna utile una semplice chiave di lettura per i diversi pattern del

trasferimento monetario. Una retta discendente con un angolo di 45° descrive la situazione, per noi

“ideale”, in cui il trasferimento colma l’intero divario fra soglia di povertà e reddito equivalente

iniziale, sicché sommando il reddito in ascissa col trasferimento in ordinata si giunge a un reddito

equivalente finale che è uguale per tutti i “poveri”, parallelo all’asse delle ascisse e al livello della

soglia di povertà. All’opposto, una retta parallela all’asse delle ascisse ci dice che il trasferimento

monetario non varia al variare del reddito iniziale (talvolta non equivalente, che non tiene conto

cioè della composizione della famiglia), quindi non ha alcun effetto redistributivo – o può

addirittura avere effetti redistributivi perversi – all’interno dei “poveri”.

-----------------------------------

Figura 1 circa qui

-----------------------------------

Fatte queste precisazioni, le Figura 1 è largamente auto-esplicativa. In tema di trasferimenti

monetari in favore dei “poveri”, essa visualizza in maniera efficace la polarizzazione fra interventi

ispirati a un criterio redistributivo – dare di più ai più poveri – (RMI, PCS, RdB e RG) e interventi

in cifra fissa, che non hanno affatto questa preoccupazione (SC, RdC, RMG) oppure l’hanno in

misura limitata (SCS, che ha una soglia di povertà molto bassa e, entro questa, differenzia il

trasferimento in funzione soltanto del numero di componenti il nucleo familiare). Merita di essere

sottolineata ancora una volta la miopia46

di due misure, RdC e RMG, che, come evidenziato dalla

variabile in ascissa, si riferiscono rispettivamente al reddito familiare, senza tenere conto della

composizione della famiglia, e al reddito personale, senza tener conto né della composizione né del

reddito della famiglia. Palesemente, esse possono produrre effetti redistributivi perversi entro i

“poveri”, perché erogano la stessa somma a famiglie con numero di componenti diverso e con

reddito diverso (nel caso del Lazio, addirittura anche di molto superiore a quello personale del

beneficiario). La Figura 1 segnala poi un’interessante concordanza: le misure ispirate a un criterio

redistributivo hanno take-up rate mediamente più alti, e di molto, rispetto agli interventi in cifra

46

Facciamo fatica, infatti, a pensare a un disegno, a una scelta consapevole in tal senso.

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fissa, vuoi con la consistenza della mera beneficienza (la SC) vuoi tanto magniloquenti nei propositi

normativi quanto mediocri, al limite del contraddittorio, nelle realizzazioni (il RdC e il RMG).

Restringiamo ora l’attenzione alle esperienze sotto qualche profilo positive, RMI e SC/SCS a

livello nazionale e le esperienze regionali del RG e del RdB, sulle quali nella sez. 3 abbiamo svolto

una ricognizione delle soluzioni adottate rispetto a rilevanti questioni operative che si pongono nella

realizzazione di politiche di contrasto della povertà. Il Prospetto 4 ne offre un quadro sinottico.

-----------------------------------

Prospetto 4 circa qui

-----------------------------------

Guardando a queste evidenze, e alle pertinenti evidenze del Prospetto 3 per quanto attiene alla

caratterizzazione delle quattro misure considerate rispetto alle policy questions basilari,

riassumiamo le indicazioni salienti che ne traiamo in sette punti.

(a) La scelta in favore dell’universalismo selettivo è presente in tre misure: il RMI, il RG trentino e

il RdB friulano. Essa vi è declinata in modo sostanzialmente concorde, e convincente: la

popolazione ammissibile è costituita dai residenti; si fa riferimento al reddito familiare e a

soglie di povertà equivalenti (per tener conto della diversa composizione della famiglia); il

trasferimento monetario è pari alla differenza fra soglia di povertà e reddito familiare. Anche la

SCS (che è invece un intervento-pilota circoscritto territorialmente e quanto a caratteristiche dei

destinatari) per l’ammissibilità fa riferimento ai residenti.

Differenti sono, invece, i criteri adottati per la stima del reddito familiare equivalente e per la

fissazione della soglia di povertà. Nella prospettiva di una misura nazionale, questa diversità di

criteri mette in evidenza due snodi.

L’uno attiene al modo di comporre l’utilizzo di un indicatore del tipo Isee con informazioni

sulla povertà assoluta, prodotte correntemente dall’Istat. Il problema si pone su due piani:

per un verso è emersa la debolezza dell’Isee quale indicatore della situazione economica

familiare, in parte intrinseca al modo con il quale è definito (ad esempio, con l’esclusione di

misure categoriali di sostegno del reddito, quale, ad esempio, la pensione sociale) e in parte

perché si presta facilmente a comportamenti elusivi o tout court all’evasione (in proposito

vedi il successivo punto (b)); per un altro verso, se per la determinazione della/e soglia/e di

povertà si fa perno sulle stime della povertà assoluta – come appare ragionevole – serve

muovere verso una marcata ridefinizione dell’Isee, in modo da disporre di un indicatore dei

redditi (e del capitale immobiliare e mobiliare) coerente con gli indicatori dei consumi,

largamente utilizzati dall’Istat per le stime della povertà assoluta.

L’altro snodo attiene a una auspicabile differenziazione territoriale delle soglie di povertà,

in modo da tener conto dei divari nel costo della vita, basandosi sulla disaggregazione delle

stime della povertà assoluta per macroaree e per città metropolitane-comuni medi-comuni

piccoli.

Un ulteriore, importante punto critico attiene, infine, alla natura, strutturale o provvisoria, della

misura. Solo il RG ha caratteristiche che lo avvicinano di molto a una misura strutturale.

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L’alternativa – è bene chiarirlo – non è fra “tutto e subito” e la provvisorietà. Vi può ben essere

un percorso per giungere progressivamente a una misura nazionale con integrazione piena del

reddito fino alle soglie di povertà, sia per vincoli di bilancio sia per affinare le capacità di

gestione. Ma la scelta fra imboccare tale percorso e procedere con la «veduta corta» e in modo

frammentario si impone.

(b) Le evidenze migliori quanto alla gestione della misura, in particolare della sua componente

monetaria (ricevimento delle domande e determinazione degli ammissibili, quantificazione del

trasferimento monetario, tempestività dell’erogazione, attività per contrastare falsi positivi e

falsi negativi, ecc.), vengono dalle esperienze del RG e del RdB – e, sullo sfondo, da quelle

della Valle d’Aosta e della provincia di Bolzano –. Si noti, tutte regioni/province di dimensioni

modeste e a statuto speciale.

Per un altro verso, l’evidenza empirica che viene dalle misure nazionali, RMI e SC, è

polarizzata. Il monitoraggio della sperimentazione del RMI segnala la mediocre capacità dei

singoli Comuni di verifica delle condizioni economiche delle famiglie, vuoi perché l’unico

parametro utilizzato è l’insieme dei redditi correnti, vuoi per la forte presenza, soprattutto in

alcune aree del paese, del lavoro sommerso, vuoi per carenza di capacità amministrative

consolidate e territorialmente omogenee (problema acuto soprattutto nei piccoli comuni).

All’opposto, la SC ha un’infrastruttura di gestione centralizzata (con terminali periferici, la rete

degli uffici postali, ben distribuiti), che poggia sull’Isee; il tutto appare oggi abbastanza ben

consolidato, anche se, come appena segnalato, l’Isee resta un indicatore della situazione

economica decisamente inadeguato.

Infine, merita di essere messo in luce che in nessun caso abbiamo trovato evidenze di attività

mirate a trovare falsi negativi. Perché? Contano certo le preoccupazioni per i vincoli finanziari

– perché mai andare a cercare poveri che, pur essendo ammissibili, non richiedono la misura? –

e le modalità tipiche di organizzazione di questi interventi, su domanda. E può ben essere che il

rischio di falsi negativi sia inversamente proporzionale al trasferimento monetario atteso,

quindi per questa parte un fenomeno trascurabile. Ma il fatto, soprattutto se confrontato con

l’attenzione posta al tema in altri paesi (per una meta-analisi della letteratura, che rivela tra

l’altro rischi molto alti di falsi negativi, vedi Bargain et al., 2012), segnala un diffuso ritardo,

forse sul terreno culturale e della civicness prima ancora che su quello operativo.

Da questi riscontri traiamo due indicazioni.

È opportuno mantenere il riferimento a una struttura centrale, quale quella della SC, e ad

un Isee decisamente rivisto, raccordabile con l’uso di stime della povertà assoluta per la

definizione delle soglie di povertà (al punto da configurarsi in larga misura come un nuovo

indicatore), per la prova dei mezzi e per i trasferimenti monetari. Ma con almeno due

ulteriori innovazioni significative, quindi di non banale attuazione:

(i) dal Friuli Venezia Giulia alla Campania, abbiamo riscontrato che vi è un’elevata frazione

di famiglie con l’Isee (o un indicatore analogo) pari a zero o molto basso. Palesemente,

l’Isee è un indicatore inadeguato, che espone a notevoli rischi di falsi positivi. Ed è

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plausibile attendersi che anche un nuovo Isee, comunque migliorato, coglierà in modo

imperfetto la situazione economica di molte famiglie; le ragioni dell’elusione/evasione di

componenti del reddito stanno nella struttura dell’economia italiana e nel peso del lavoro

sommerso. A un indicatore della situazione economica profondamente rivisto dovrebbe,

dunque, essere affiancato un “controllo dei consumi”, del tipo in atto per il RG trentino, che

dovrebbe portare al calcolo di un reddito minimo presunto;

(ii) si dovrebbe prevedere, poi, un trattamento di favore dei redditi da lavoro, segnatamente

per nuclei familiari che abbiano già goduto della misura e debbano, quindi, essere incentivati

ad uscirne per approdare all’autosufficienza economica.

All’attività di questa struttura centrale serve affiancare l’azione dei Comuni e del terzo

settore. L’azione dei Comuni, con la collaborazione della Guardia di finanza, può risultare

molto utile per il “controllo dei consumi” e per la conseguente individuazione dei falsi

positivi. D’altra parte, i soggetti del terzo settore impegnati in attività di contrasto della

povertà sono correntemente a contatto con le persone e i gruppi marginali: hanno quindi

peculiari opportunità e capacità di far emergere falsi negativi.

(c) L’affiancamento al trasferimento monetario di misure di integrazione e sostegno sociale, da un

lato, e di attivazione, dall’altro, è presente tanto nel RMI, quanto nel RG e nel RdB, quanto

infine nella SCS. Qui la questione non sta tanto nell’enunciazione, quanto in una persuasiva

messa in atto di questi orientamenti. Ed ha perlomeno due facce.

In primo luogo, serve operare una distinzione sufficientemente chiara, anche se reversibile,

fra poveri per i quali è ragionevole porsi l’obiettivo di ricondurli a una vita attiva e (almeno

in parte) all’autonomia economica e poveri per i quali, per ragioni di età e/o di salute, non

vi è tale prospettiva. Certo, il soggetto destinatario dell’intervento è la famiglia e l’azione di

integrazione sociale si rivolge a tutti i suoi componenti. Ma l’individuazione delle persone in

età attiva e idonee al lavoro è essenziale, perché saranno esse le destinatarie di azioni di

attivazione, cruciali per evitare la “trappola della povertà”47

.

Occorre poi definire azioni appropriate di attivazione, con obblighi reciproci, e soprattutto

essere in grado di metterle in atto. Anche alla luce delle esperienze esaminate, è questo uno

dei punti più delicati, e difficili, perché chiama in causa le capacità operative di molteplici

servizi, in particolare dei Centri per l’impiego, e il loro coordinamento: fronti sui quali le

carenze oggi sono forti.

(d) Quest’ultima considerazione ci porta al ruolo dei diversi attori. Il problema che si pone riguarda

la definizione di un convincente assetto istituzionale-organizzativo. La ricognizione condotta

non fornisce risposte. Suggerisce però alcune riflessioni e solleva almeno due domande.

Da quanto siamo venuti argomentando, troviamo confermata la ragionevolezza del nostro

orientamento per una misura nazionale di contrasto della povertà: con un forte ruolo dello Stato

47

Ciò è vitale sia per efficacia, e in definitiva la sostenibilità, della misura sia per l’accettabilità stessa di uno strumento

redistributivo, che verrebbe profondamente minata dalla percezione che ampie fasce di popolazione, concentrate in

alcune zone del paese, “vivono di assistenza”.

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40

sia sul piano delle risorse finanziarie, sia su quello della definizione degli standard, sia infine su

quello di una infrastruttura centrale di gestione48

. D’altra parte, la definizione dei progetti di

integrazione sociale e lo svolgimento delle azioni di sostegno e di attivazione competono

necessariamente ad attori locali. Di qui le due domande.

Come combinare l’azione a livello centrale con il ruolo degli enti locali, dei Centri per

l’Impiego, delle scuole e di altri servizi pubblici, e con l’indispensabile apporto del terzo

settore, in particolare (ma non soltanto: vedi l’indicazione conclusiva del punto (b)) per le

azioni di sostegno e di attivazione?

Quale scala – o, se si opta per ragionevoli differenziazioni territoriali, quali scale – è

conveniente individuare, a livello locale, per il coordinamento delle pertinenti attività?

L’interrogativo è spinoso, anche perché ci si trova in una sorta di “terra di nessuno” nella

definizione degli assetti territoriali, e delle competenze, delle Province, così come nelle

ipotesi di accorpamento (o di forme di coordinamento) dei Comuni. Di massima, pare

meritevole vagliare in via prioritaria l’ipotesi di forme associative di Comuni

(preferibilmente, con un Comune capofila) per “ambiti” di tipo comprensoriale – ai quali

spesso si avvicinano i territori di competenza dei Centri per l’impiego, della rete delle

scuole, delle Aziende Sanitarie Locali –. Ma in alcuni casi può essere preferibile, invece,

fare perno su Province o Regioni con dimensioni della popolazione tutto sommato modeste,

come paiono suggerire le esperienze rispettivamente di Bolzano e Trento e della Valle

d’Aosta? E quali altre ipotesi vanno esplorate, avendo come criterio-guida quello di un

assetto istituzionale-organizzativo ben funzionante?

(e) L’affermazione che l’intervento sarà oggetto di “monitoraggio e valutazione” è una sorta di

articolo obbligato nelle normative che istituiscono interventi contro la povertà. Articolo, però,

che è anche pressoché sistematicamente disatteso49

. L’eccezione iniziale è stata rappresentata

dal RMI, ma per le ragioni richiamate nella sez. 3.1 l’esito non è andato al di là di un decoroso

monitoraggio. Degli interventi successivi, l’unica eccezione, peraltro di rilievo, si dà per il RG

trentino, per il quale si può a ragione parlare di “valutazione prospettica”, in quanto essa è

decollata e si è sviluppata insieme con la politica, sin dall’avvio della riflessione sulla sua

introduzione, ed è integrata nel processo di realizzazione della politica. Un segnale

parzialmente promettente viene poi dalla SCS, che per la valutazione degli effetti dei progetti

personalizzati di presa di carico richiede a ciascuno dei 12 Comuni coinvolti di ricorrere a un

esperimento randomizzato; sfortunatamente, però, questa prescrizione è inserita in un contesto

di indicazioni e di possibili deroghe che rende problematica una sua credibile realizzazione.

48

A confortare questo orientamento vi sono inoltre la disomogeneità di interventi che storicamente caratterizza il

welfare locale in Italia e gli squilibri tra aree ricche e aree povere del paese. 49

Ispirandosi alle buone pratiche di paesi evoluti sul terreno del monitoraggio e della valutazione, la legge della

Regione Lazio che istituisce il RMG, all’art. 8, detta addirittura una “clausola valutativa”: «La Giunta regionale, con

cadenza annuale, presenta una relazione al Consiglio regionale sull’attuazione della presente legge nella quale sono

evidenziati in particolare: a) il numero dei beneficiari, lo stato degli impegni finanziari e le eventuali criticità; b) i

risultati degli interventi effettuati, anche dal punto di vista dell’analisi costi-benefici». La disposizione è rimasta peraltro

un esercizio retorico.

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41

Nell’insieme, la ricognizione svolta ha evidenziato, inoltre, un forte deficit informativo in tema

di documentazione convenientemente articolata sui beneficiari e ancor più sulle risorse

destinate all’intervento (le policy questions B8 e B9).

Si impongono dunque decisi miglioramenti. Essi sono essenziali sia per una buona gestione

dell’intervento sia per l’esigenza delle amministrazioni di “rispondere”, di rendere conto: alle

assemblee elettive e ancor più all’opinione pubblica e alle organizzazioni attive di cittadini. Un

dibattito pubblico informato, perché alimentato da solide evidenze empiriche, può avere un

ruolo cruciale perché maturi una consapevolezza condivisa sul tema della povertà e vi sia una

genuina attenzione a interventi efficaci per contrastarla. In quest’ottica, i miglioramenti si

impongono in varie direzioni.

L’adozione di un appropriato sistema di monitoraggio e di valutazione, con la riserva di

una (modesta) quota del finanziamento per questo scopo, appare indispensabile in

particolare nell’ipotesi che il piano nazionale di contrasto della povertà si snodi in più fasi.

Altrettanto indispensabile è che le informazioni raccolte e le analisi svolte sull’azione di

contrasto della povertà siano diffuse correntemente e in maniera tempestiva, di massima a

cadenze preordinate.

In particolare, è importante che l’accesso alle basi di dati prodotte per il monitoraggio e la

valutazione sia assicurato a qualunque soggetto qualificato, istituto di ricerca o singolo

studioso, lo richieda. Come ogni attività di ricerca, la valutazione degli effetti di una politica

poggia sull’accumulazione di conoscenze, alimentata dal confronto fra molteplici studiosi50

.

(f) Conviene, poi, tornare sul tema delle risorse finanziarie. Serve una stima credibile dei costi che

una politica nazionale di contrasto della povertà del tipo ipotizzato comporta. Data la difficile

situazione economica del paese – segnatamente della finanza pubblica –, è verosimile che la

sua realizzazione debba avvenire per tappe, poggiando su un meditato e impegnativo piano a

medio termine e inizialmente concentrando l’intervento sui più poveri. Peraltro, oltre (e più)

che un vincolo, la gradualità può essere un’opportunità, perché consente di apprendere

dall’esperienza e di affinare le modalità con le quali operare sui molteplici, difficili fronti di

attuazione dell’intervento.

(g) L’introduzione di una politica nazionale di contrasto della povertà con le caratteristiche

prospettate impone una rivisitazione dell’intero sistema di welfare. In termini di larga massima,

ciò potrebbe utilmente avvenire lungo due linee di intervento:

da un lato il progressivo assorbimento entro la misura proposta di molteplici misure

categoriali di sostegno del reddito, quali l’assegno sociale, le integrazioni al minimo e

simili;

50

Abbiamo già segnalato, ma riteniamo utile ribadire, che ciò richiede una revisione delle disposizioni

irragionevolmente restrittive del Codice in materia di protezione dei dati personali. Altrettanto indispensabile è che

soggetti pubblici produttori/detentori di grandi basi di microdati, l’Inps in primo luogo, abbandonino logiche

proprietarie e adottino soluzioni tecnologiche – del tipo remote data access – che consentono di conciliare protezione

della privacy e agevole accesso ai microdati per la ricerca.

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42

dall’altro l’affiancamento alla misura proposta di misure con altre finalità: vuoi di

contrasto di specifiche condizioni di disagio, quali la disabilità, la non autosufficienza e

simili; vuoi di politiche mirate ad altri obiettivi, quali il sostegno per i figli, la conciliazione

lavoro-famiglia e simili51

.

51

È appena ovvio, ma doveroso, ricordare poi che un’evoluzione del nostro welfare secondo questi indirizzi richiede di

collocarsi in un contesto di crescita sostenibile ed equa. Valgono anche per una misura nazionale di contrasto della

povertà le condizioni che Andersen e Svarer (2007) hanno identificato come costitutive del cosiddetto “modello di

welfare danese”, un’elevata occupazione e salari decenti: «It is important to note that an extended tax financed welfare

state presupposes that a large fraction of the population is in employment. For the model to be financially viable, the

employment rate must be high. To put it differently, the welfare model is employment focused. […] The Danish welfare

model is based on ambitious egalitarian objectives, and a strengthening of the incentive structure by general reductions

in various benefits included in the social safety net is not a possible policy avenue. Working poor is not a policy

option».

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43

Prospetto 1: Policy questions sulle caratteristiche basilari di una misura di contrasto della povertà

A1. Ammissibilità alla misura Universalismo selettivo (con criterio per fissare la soglia di

povertà) vs. restrizione a categorie o vincolo del finanziamento

A2. Entità del trasferimento

monetario

Trasferimento monetario variabile (in relazione alla soglia di

povertà) vs. fisso

A3. Affiancamento di altri

interventi

Presenza vs. assenza di interventi di sostegno sociale e di

attivazione al lavoro con condizionalità

A4. Continuità della misura Continuità nel tempo vs. intervento “una tantum” o comunque

transitorio

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44

Prospetto 2: Policy questions sugli aspetti di gestione di una misura di contrasto della povertà

B1. Criterio per la

determinazione del reddito

Tipicamente familiare, con indicatori della situazione familiare

(e scale di equivalenza)

B2. Modalità per identificare e

confermare i beneficiari:

Centralizzate o gestite tramite i Comuni o tramite il terzo settore

o tramite soluzioni “miste”

B3. Tempestività dell’erogazio-

ne ai beneficiari

Come tempo che intercorre dal bando alla prima erogazione e

poi come periodicità delle successive erogazioni

B4. Attività per individuare falsi

positivi e/o falsi negativi

Presenza, intensità ed efficacia delle azioni tese a identificare

falsi positivi e falsi negativi

B5. Svolgimento di azioni di

sostegno sociale e/o di

attivazione al lavoro

Assistenza sociale e azioni per migliorare l’integrazione sociale,

interventi miranti all’assolvimento dell’obbligo scolastico,

azioni di attivazione al lavoro che si configurano come

condizionalità per i beneficiari

B6. Ruolo svolto dagli attori Comune – in particolare i suoi servizi sociali –, Centri per

l’impiego, scuole, terzo settore, e Stato o Regione per funzioni

di regolazione e controllo

B7. Monitoraggio e valutazione

degli effetti

Se e come siano svolte attività sistematiche di monitoraggio

dell’intervento e di valutazione dei suoi effetti

B8. Dimensione dei beneficiari Numero medio annuo dei beneficiari; tasso dei beneficiari

rispetto alla popolazione; caratteristiche distributive salienti

B9. Risorse destinate alla

politica

Stanziamento pubblico destinato alla misura e ammontare della

spesa a consuntivo

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45

Prospetto 3: Sinossi delle caratteristiche basilari delle misure nazionali e regionali di contrasto della povertà (importi annui in € a prezzi 2011)

Misure Periodo Caratteristiche basilari

Universalismo selettivo (con soglia

di povertà) vs. restrizione a

categorie o vincolo del

finanziamento

Trasferimento monetario

variabile (in relazione alla soglia

di povertà) vs. fisso

Presenza di interventi di

sostegno sociale e di

attivazione al lavoro con

condizionalità

Continuità nel tempo vs.

intervento “una tantum” o

comunque transitorio

Nazionali

Reddito minimo di

inserimento (RMI)

Dal 1999

al 2003

Universalismo selettivo:

- residenza di 12 mesi per cittadini

di stati dell’UE, di 36 mesi per

quelli non dell’UE o apolidi

- reddito familiare imponibile a fini

Irpef inferiore a € 4.059

equivalenti (rivalutati annualmente)

- patrimoni mobiliari o immobiliari

come possibile criterio di

esclusione

Trasferimento monetario

variabile che porta il reddito

familiare equivalente alla soglia

di povertà

Interventi di integrazione

sociale e attivazione nel

mercato del lavoro

personalizzati con

condizionalità (accettazione

del programma di integrazione

e della eventuale offerta di

lavoro), applicati in modo

discrezionale dai diversi

Comuni

«Sperimentazione» in 39

Comuni nel 1999-2000,

poi estesa ad altri 267

Comuni (componenti di

patti territoriali che

includevano alcuni dei 39

Comuni) e conclusa

definitivamente nel 2004

Carta acquisti o social

card (SC)

Dal 2009

al 2012

Limitata ai cittadini italiani.

Categoriale in base al requisito

anagrafico, con ammissibilità

ristretta a (i) famiglie con figli fino

a 3 anni e (ii) persone con più di 65

anni

Reddito Isee inferiore a € 6.162

(rivalutati annualmente)

Trasferimento monetario fisso di

€ 480 annui, accreditati

bimestralmente, con vincoli

all’utilizzazione (non rivalutati)

Non previsti Misura strutturale con

vincolo sulla durata del

finanziamento, dipendente

dagli stanziamenti del

bilancio statale e da

donazioni e liberalità

Nuova social card

sperimentale (SCS)

Dal 2013 Selezione “a bando”:

- residenza di 1 anni per cittadini di

stati della UE e per extra-comunita

ri “lungo soggiornanti”

- reddito: Isee inferiore a € 3.000

- requisiti familiari: almeno un

componente con meno di 18 anni

- requisiti lavorativi: senza lavoro

tutti i componenti in età lavorativa

Trasferimento monetario

variabile in ragione della

numerosità del nucleo familiare

“ristretto”: annualmente, € 2.772

per un nucleo di 2 persone, €

3.372 per un nucleo di 3, € 3.972

per un nucleo di 4, € 4.848 per i

nuclei di 5 o più componenti.

Attivazione prevista a carico

dei Comuni, con progetto

personalizzato sottoscritto dal

beneficiario e vincolante a

pena di decadenza dal

beneficio

Sperimentazione

circoscritta ai 12 Comuni

con popolazione superiore

a 250.000 abitanti

per attuazione di progetti

personalizzati, social

experiment con trattati pari

a metà 2/3 dei nuclei

beneficiari

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46

Regionali

Campania:

Reddito di cittadinanza

(RdC)

Dal 2004

al 2010

Residenza nella regione da 60

mesi

Reddito familiare inferiore a €

5.725

Trasferimento monetario fisso di

€ 4.809 annui, pagati

mensilmente

Previsto l’impegno a seguire i

percorsi di inserimento, di

fatto (con eccezione del

comune di Napoli) mai attuato

Sperimentazione triennale

(2004-2006) prorogata due

volte, ma interrotta nel

2010

Basilicata:

Programma di

promozione della

cittadinanza sociale

(PCS)

Dal 2007

a oggi

Selezione “a bando”:

- residenza da 24 mesi

- reddito Isee inferiore a € 3.961

Trasferimento monetario

variabile che porta il reddito

familiare equivalente prossimo

alla soglia di povertà, con un tetto

massimo (es. € 3.906 per famiglie

con un solo componente)

Prevista la firma del

beneficiario su un patto

vincolante a pena di

decadenza dal beneficio

Sperimentazione biennale, rinnovata per un

altro biennio.

Attualmente, in attesa di

conferme dalla

programmazione del FESR

Friuli-Venezia Giulia:

Reddito di base per la

cittadinanza (RdB)

Dal 2007

al 2008

Universalismo selettivo con forti

caratteri di temporaneità per

sostenere progetti di autonomia

personalizzati.

Richiesti:

- residenza da almeno 12 mesi in

regione

- reddito CEE inferiore a € 5.425

equivalenti

Trasferimento monetario

variabile che porta il reddito

familiare equivalente alla soglia

di povertà, per un massimo di 24

mesi

Prevista la firma del

beneficiario su un patto

vincolante a pena di

decadenza dal beneficio

Sperimentazione

interrotta dopo meno do

un anno dei 5 previsti

Lazio:

Reddito minimo di

garanzia (RMG)

Dal 2009

al 2010

Categoriale “a bando”: ristretto a

persone disoccupate o in cerca di

prima occupazione iscritte a un CpI

(più lavoratori precariamente occu

pati e lavoratori senza retribuzione)

Richiesti, inoltre:

- residenza da 24 mesi

- reddito personale imponibile

inferiore a € 8.344

Trasferimento monetario fisso di

€ 7.301 annuii (eccezion fatta per

i lavoratori discontinui, per i quali

vale la differenza tra reddito e

soglia)

Attivazione prevista, ma non

realizzata, di prestazioni

indirette da parte di Comuni e

Province.

Rinvio agli obblighi

conseguenti all’iscrizione a

un CpI, ma esclusione della

decadenza se l’offerta di

lavoro rifiutata non è

«congrua».

Sperimentazione,

interrotta dopo 1 anno di 3

previsti

Provincia Autonoma di

Trento:

Reddito di garanzia

(RG)

Dal 2009

a oggi

Universalismo selettivo:

- residenza da 36 mesi nella

provincia di Trento

- reddito ICEF inferiore a € 6.780

equivalenti (non rivalutati)

Trasferimento monetario

variabile che porta il reddito

familiare equivalente alla soglia

di povertà

Patto di servizio con l’Agen-

zia del Lavoro, pena la

decadenza dal programma

Progetto di integrazione

sociale per soggetti con

problematiche particolari

Misura strutturale,

soggetta a modificazioni e

adeguamenti e rifinanziata

annualmente

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47

Prospetto 4: Sinossi delle principali modalità di realizzazione di selezionate misure di contrasto della povertà, di interesse nella prospettiva

dell’adozione di un intervento strutturale ispirato all’universalismo selettivo

Misure

Modalità salienti

Criteri per la

determinazio

ne del reddito

Modalità

per

presentare

la domanda

Tempestività

erogazione

Attività contro

falsi positivi

Azioni di so

stegno sociale

e/o attivazione

al lavoro

Ruolo dei

diversi attori

Monitoraggio

e valutazione

degli effetti

Beneficiari:

qualche

numero

Spesa

pubblica per

la misura

Reddito minimo

di inserimento

(RMI)

Reddito fami

liare imponibi

le ai fini Irpef,

reso equivalen

te con un’op

portuna scala

A bando

comunale

Entro 60 gg.

dalla presenta

zione della do

manda e verifica

dei requisiti

Previste, a

discrezione dei

Comuni

Es. di Foggia

Previste, con

responsabilità dei Comuni

Ruolo

centrale dei

Comuni

Previsti.

Realizzato

solo il monito

raggio, valu

taz.

mpraticabile

Nel primo

biennio:

35.000

famiglie in 39

Comuni

Oltre 220 mi

lioni di euro

spesi per la pri

ma sperimen

taz. biennale

Carta acquisti o

social card (SC)

Reddito Isee A sportello

presso le

Poste Spa

Immediata, a

fronte della

verifica dei

requisiti

Non previste Non previste Struttura per

la gestione:

MEF, INPS

e Poste

Prevista rela

zione annuale

al Parlamento,

mai presentata

535.412

persone rispet

to al target di

1.300.000

207 milioni di

euro fino al

2011

Nuova social

card

sperimentale

(SCS)

Reddito Isee A bando

comunale

Entro 120gg.

dall’entrata in

vigore del

regolamento

comunale

Previste Responsabilità

dei Comuni

Prevista ero

gazione da

parte di Co

muni, CpI,

sanità, istruz

terzo settore

Previsti, con

valutazione

degli effetti

tramite

esperimento

randomizzato

Si prevede una

copertura del

25% del

bacino teorico

degli

ammissibili

50 milioni di

euro per 12

mesi

Friuli-Venezia

Giulia: Reddito

di base per la

cittadinanza

(RdB)

Reddito CEE:

Indicatore

della condizio

ne economia e

patrimoniale

A sportello Entro 1 mese il

patto

provvisorio ed

entro 4 mesi il

patto definitivo

Previste, ma

non realizzate

Responsabilità

dei Comuni

Previsto un

ruolo attivo

per Comuni,

CpI, CAF,

ASL

Prevista, sia

intermedia che

finale, ma non

realizzata

4.264

domande

accolte in 6

mesi tra 2007

e 2008

25,2 milioni di

euro in 6 mesi

tra 2007 e

2008

Provincia

Autonoma di

Trento: Reddito

di garanzia (RG)

Reddito

ICEF: Indica

tore della con

dizione econ.

familiare

+ controllo

sui consumi

A sportello,

presso i CAF

convenziona

ti

Prima erogazio

ne il 21 del

mese successivo

a quello della

presentazione

della domanda,

poi mensile

Condotte a livel

lo provinciale,

soprattutto su

residenza e par

tecipazione a

azioni di attiva

zione al lavoro

Responsabilità

dell’Agenzia

del Lavoro e

dei Servizi

Sociali provinciali

Ruolo centra

le della am

ministrazio

ne provincia

le e attivo di

CAF e dei

CpI

Posta in atto

fin dalla

delibera

attuativa e

tutt’ora in

corso

Circa 7.000

famiglie

beneficiarie,

quasi la metà

straniere

Mediamente

17 milioni di

euro circa

all’anno (0,1%

del PIL

provinciale)

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48

Figura 1: Requisiti di reddito per l’ammissibilità, trasferimento monetario e take-up rate delle misure di contrasto della povertà considerate: una

semplificata rappresentazione grafica (per reddito e trasferimento monetario importi annui in € a prezzi 2011) a

RMI (39 Comuni, estesi a 315)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

0

500

10001500

2000

25003000

3500

40004500

5000

5500

6000

6500

7000

7500

Ta

ke-u

p r

ate

Tras

ferim

neto

ann

uo

Reddito imponibile equivalente

Non ammissibili

Richiedenti ammissibili

SC (Italia)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

0500

10001500200025003000350040004500500055006000650070007500

Take-u

p r

ate

Tras

ferim

ento

ann

uo

Reddito Isee equivalente

Non ammissibiliAmmissibili

SCS (12 Comuni con più di 250mila abitanti)

Due

Tre

Quattro

Cinque o piú

0500

10001500

200025003000350040004500500055006000

650070007500

Traf

erim

ento

ann

uo

Reddito Isee equivalente

Non ammissibili

Richiedenti ammissibili

(e dimensione del nucleo familiare)

RdC (Campania)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

0500

10001500

200025003000350040004500500055006000

650070007500

Take-u

p r

ate

Tras

ferim

ento

ann

uo

Reddito Isee familiare

Non ammissibiliRichiedenti ammissibili

a Il take-up rate della SC si basa sull’iniziale stima del Governo di 1.300.000 potenziali beneficiari. Le rette per la SCS si riferiscono a nuclei familiari con diverso numero di

componenti; inoltre per la SCS, in fase di decollo, non si dispone ancora del take-up rate. La stima del take-up rate per il RMG si riferisce alla provincia di Roma.

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49

Segue Figura 1

PCS (Basilicata)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

0500

10001500

200025003000350040004500500055006000

650070007500

Take-u

p r

ate

Tras

ferim

ento

ann

uo

Reddito Isee equivalente

Non ammissibiliRichiedenti ammissibili

RdB (Friuli Venezia Giulia)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

0500

10001500200025003000350040004500500055006000650070007500

Ta

ke-u

p r

ate

Tras

ferim

ento

ann

uo

Reddito CEE equivalente

Non ammissibiliRichiedenti ammissibili

RMG (Lazio)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

0

500

100015002000

2500

30003500

4000

450050005500

6000

65007000

7500

Take-u

p r

ate

Tras

ferim

ento

ann

uo

Reddito imponibile personale

Richiedenti ammissibili

RG (Provincia di Trento)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

0

500

10001500

2000

25003000

3500

40004500

5000

5500

6000

6500

7000

7500

Ta

ke-u

p r

ate

Tras

ferim

ento

ann

uo

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