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REGIONE CAMPANIAAssesorato all'Ambiente autorità di bacinonord occidentale

Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologicodell'Autorità di Bacino Nord Occidentale della Campania

Aggiornamento anno 2010

Responsabili scientificiprof. ing. Michele Di Natale (conv. 04/2007) arch. Paolo Tolentino

Coordinamento generale di progetto

Consulenza giuridicaavv. Angelo Marzocchella (Avvocatura Regionale)

prof. geol. Roberto de Riso (conv. 03/2007)

GRUPPO DI PROGETTO

geol. Stefania Coraggioing. Luigi Iodiceing. Pasquale Laezzaarch. Pietro Paolo Piconegeol. Antonella Ricciogeol. Assunta Maria Santangelo

Autorità di Bacino Nord Occidentale della Campania

responsabili: prof. ing. Corrado Gisonni, prof. ing. Alessandro Mandolini

CIRIAM - Centro Interdipartimentale di Ricerca in Ingegneria Ambientale della Seconda Università degli Studi di Napoli (conv. 02/2007)

collaboratori convenzionati dal CIRIAM:ing. Agostino Santilloing. Luca Cristianoing. Diego Di Martire ing. Anna Di Mauroarch. Valeriano Pesceing. Eleonora Quarantaing. Liberata Tufano

società convenzionate dal CIRIAM:Tecnorilievi s.r.l. per il rilievo topograficoIdrogeo s.r.l. per l'indagine geotecnica

collaboratori convenzionati dal DIGA:geol. Melania De Falcogeol. Sossio Del Prete arch. Maria De Rosa geol. Giuseppe Di Crescenzo geol. Luca Di Iorio geol. Vittorio Emanuele Iervolino geol. Biagio Palma geol. Marcello Rotella

DIGA - Dipartimento di Ingegneria Idraulica Geotecnica ed Ambientaledell'Università degli Studi di Napoli Federico II (conv. 01/2007)

prof. geol. Domenico Calcaterraprof. geol. Antonio Santo

responsabile: coordinatore:

SUPPORTO SCIENTIFICO

dott. Giuseppe CatenacciIL SEGRETARIO GENERALE

Il Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico (PAI) è stato redatto alla scala 1:5000 su Cartografia Tecnica Regionale (ed. 2004 - 2005)

Autor

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2009

c

QUADERNO DELLE OPERE TIPO

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INDICE

INTRODUZIONE pag.3 INTERVENTI NON STRUTTURALI pag.4 INTERVENTI STRUTTURALI pag.6

PARTE I

INTERVENTI DI SISTEMAZIONE IDRAULICA

A. INTERVENTI DI SISTEMAZIONE DEI VERSANTI pag.8

A.1 DESCRIZIONE DEGLI INTERVENTI pag.9

a) Inerbimento e rimboschimento pag.9

b) Gradonate pag.12

c) Cordonate pag.13

d) Terrazzamenti pag.13

e) Graticciate pag.15

f) Palizzate pag.15

g) Palificate pag.16

h) Fascinate pag.17

i) Drenaggi pag.17

l) Reti o stuoie in materiale sintetico o biodegradabile pag.18

B. INTERVENTI DI SISTEMAZIONE DEL RETICOLO IDROGRAFICO pag.20

B.1 DESCRIZIONE DEGLI INTERVENTI STRUTTURALI ATTIVI NEGLI ALVEI

MONTANI E PEDEMONTANI pag.21

INTERVENTI ATTIVI

Sistemazione a cunette pag.21

Soglie fondo pag.22

Briglie pag.24

Salti di fondo pag.34

INTERVENTI PASSIVI pag.35

Canali di trasporto e bacini di sedimentazione pag.35

B.2 DESCRIZIONE DEGLI INTERVENTI STRUTTURALI ATTIVI NEGLI ALVEI DI

PIANURA pag.37

INTERVENTI ATTIVI pag.37

Vasche di laminazione pag.37

Scolmatori e diversivi pag.38

INTERVENTI PASSIVI pag.39

Arginature pag.39

Difese spondali pag.41

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PARTE II

INTERVENTI DI STABILIZZAZIONE DEI PENDII E DI PROTEZIONE

DAGLI EVENTI FRANOSI

INTRODUZIONE 53

A ROCCE SCIOLTE 53

A.1 Interventi di stabilizzazione dei pendii 53

A.1.1. Opere di sostegno 53

A.1.2 Opere di placcaggio 54

A.1.3 Opere di regolamentazione delle pressioni neutre 54

A.1.4. Modifica della geometria del versante 54

A.2 Interventi di protezione dagli eventi franosi 55

A.2.1. Vasche di accumulo 55

A.2.2. Gallerie artificiali 55

A.2.3. Muri di protezione e canali di gronda 55

A.2.4. Opere di dissipazione 55

B ROCCE LAPIDEE 56

B.1 Interventi di stabilizzazione dei pendii 56

B.1.1. Chiodature 56

B.1.2. Muri e sottofondazioni 56

B.1.3. Reti radenti, funi di acciaio 57

B.1.4. Disgaggio 57

B.2 Interventi di protezione dalla caduta di "massi" 57

B.2.1. Gallerie artificiali 57

B.2.2. Barriere 58

B.2.3. Valli e argini 58

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INTRODUZIONE

Il presente Quaderno, che è associato alla Carta degli Interventi Strutturali previsti nel PAI,

fornisce una elencazione commentata delle tipologie di interventi strutturali e non strutturali che

possono essere impiegati per il risanamento idrogeologico ed il recupero ambientale delle aste

fluviali critiche e dei versanti in frana.

Il documento elaborato non è stato concepito come un Manuale di Progettazione nel senso

comune del termine in quanto, in linea di principio, si ritiene che:

- la progettazione di interventi per la difesa idrogeologica deve tenere necessariamente conto

delle specifiche esigenze tecniche ed ambientali del singolo caso da esaminare e non può

pertanto seguire criteri di generalizzazione;

- la notevole complessità e la multidisciplinarietà delle tematiche non può essere descritta

compiutamente da un insieme di criteri e regole tipiche di un manuale di consultazione;

- allo stato attuale molte tecniche di intervento di tipo innovativo sono ancora in fase di

sperimentazione e necessitano di ulteriori approfondimenti teorici e sperimentali.

L’utilità del Quaderno deve essere commisurata esclusivamente alla possibilità di disporre di un

quadro descrittivo di tipologie di interventi che possono essere presi in considerazione nella fase di

attuazione del Piano che deve necessariamente passare attraverso un programma strategico di

interventi da attuare.Vengono pertanto riportate le descrizioni degli interventi strutturali e non

strutturali più adatti al caso del bacino nord occidentale della Campania, precisando per gli

interventi di tipo strutturale, le categorie di opere basate sul principio della difesa attiva e di quella

passiva.

Il Quaderno, fermo restando le valutazioni di dettaglio e le scelte tecniche proprie delle fasi di

progettazione, è da considerare in definitiva un documento di indirizzo che suggerisce tra l’altro, in

accordo con le moderne tendenze del settore, il ricorso ad opere a basso impatto ambientale,

proponendo a tal fine, ogni qualvolta possibile, interventi di ingegneria naturalistica.

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INTERVENTI NON STRUTTURALI

Gli interventi di tipo non strutturale sono quelli mirati alla prevenzione e mitigazione del danno

attraverso disposizioni di carattere normativo e attività di pianificazione territoriale.

La regolamentazione d’uso del territorio comporta diversi livelli ed ambiti di applicazione:

ambiti di carattere generale (relativi alle linee di assetto idrogeologico a scala di bacino) ed ambiti

di carattere specifico (relativi alle specifiche situazioni di dissesto, alle modalità di realizzazione di

interventi interferenti con l’assetto idrogeologico ed alla regolamentazione dell’uso del suolo in

ambito di pianificazione urbanistica). Quest’ultimo aspetto appare di natura complessa in quanto

comporta una diretta influenza sulla pianificazione urbanistica a scala comunale e quindi richiede

spesso adeguamenti e varianti che incidono sul contesto insediativo e produttivo, realizzato e

programmato.

La ricerca di coerenza tra obiettivi del Piano ed esigenze di sviluppo economico-territoriale è

uno degli aspetti determinanti la reale capacità di efficacia del Piano. Va quindi affrontato con

estrema attenzione, al fine di raggiungere una forte condivisione delle scelte operate ai diversi livelli

di pianificazione, ma anche con estrema fermezza rispetto agli obiettivi di sicurezza e di integrità

fisica del bacino che il Piano deve perseguire.

Nell’individuazione delle priorità la salvaguardia delle popolazioni è ovviamente

determinante. Saranno poi privilegiati gli interventi di manutenzione o di completamento di opere e

quelli che consentono il superamento delle situazioni di dissesto mediante il ripristino o il

riequilibrio delle situazioni naturali preesistenti.

La manutenzione delle opere di difesa è sicuramente fondamentale e non solo quella delle

opere ma anche quella del territorio stesso per preservare equilibri territoriali e ambientali. Non è

vero che un’area priva di pressioni antropiche, lasciata allo stato “naturale” mantiene il suo

equilibrio solo perché non interviene l’uomo: l’abbandono della manutenzione dei territori boscati

ha portato in molto casi, al degrado delle coperture e dei suoli con inevitabile innesco di fenomeni

di instabilità dei versanti e dei suoli in genere (aumento dell’erosione superficiale, diminuzione

della permeabilità, ecc.);

Ciascun progetto di intervento non strutturale è descritto almeno con gli elaborati di seguito

elencati:

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- un testo sintetico con la giustificazione del progetto alla luce di quanto chiarito

nelle precedenti fasi di studio del Piano e la descrizione dei risultati che con esso si

intende raggiungere, sotto l’aspetto tecnico, ambientale, economico e sociale;

- una descrizione dei provvedimenti normativi e/o amministrativi proposti per la

soluzione del problema;

- bozze dei testi delle disposizioni normative delle quali è proposta l’adozione;

- una sintetica analisi costi-benefici dell’intervento previsto.

Gli interventi non strutturali sono tipicamente rappresentati dalle seguenti azioni:

- programmi di manutenzione;

- indirizzi alla pianificazione urbanistica e territoriale;

- copertura assicurativa dei beni esposti al rischio non coperti dalle misure

strutturali;

- monitoraggio, predisposizione di sistemi di allarme;

- adeguamento del servizio di polizia idraulica;

- incentivazione alla delocalizzazione di manufatti e infrastrutture realizzati in aree a

rischio.

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INTERVENTI STRUTTURALI

Gli interventi strutturali possono essere ispirati a due diversi criteri:

- interventi di difesa attiva (o, anche, preventivi) finalizzati ad impedire l’innesco di

fenomeni di dissesto;

- interventi di difesa passiva (o, anche, di protezione) indirizzati a mitigare gli

effetti derivanti dall’innesco di un dissesto.

La norma prevede che ogni progetto di intervento strutturale sia descritto almeno con gli

elaborati di seguito elencati:

- un testo sintetico con la giustificazione del progetto alla luce di quanto chiarito

nelle precedenti fasi di studio del Piano e la descrizione dei risultati che con esso si

intende raggiungere;

- una cartografia in scala adeguata, con la localizzazione delle opere e degli

interventi proposti;

- una serie di schede con l’indicazione delle caratteristiche delle opere e degli

interventi; il grado di dettaglio nella descrizione delle opere deve essere sufficiente

per una ragionata stima dei costi;

- una scheda con l’elenco delle opere e degli interventi e relativa stima dei costi,

nonché l’indicazione degli stralci realizzativi;

- ove possibile, una sintetica analisi costi-benefici dell’intervento proposto.

Nel seguito si riporta una descrizione delle tipologie di opere, attive e passive, che sono più

adatte al caso del bacino nord occidentale della Campania, con riferimento sia ai problemi di

dissesto idraulico che dei versanti in frana.

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PARTE I

INTERVENTI DI SISTEMAZIONE IDRAULICA

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A. INTERVENTI DI SISTEMAZIONE DEI VERSANTI

L’erosione superficiale dei versanti è causata dall’azione battente della pioggia ed è favorita da

quella di altri agenti, quali il ghiaccio ed il vento, i cicli di gelo-disgelo, i cicli di inumidimento-

essiccamento dello strato più superficiale del terreno, ecc. Il trasporto a valle delle particelle

distaccate può manifestarsi sia in modo diffuso (erosione laminare), sia in modo concentrato

(erosione lineare o inalveata).

I fattori che principalmente influiscono sulla suscettibilità all’erosione del suolo sono:

• le caratteristiche climatiche dell’area, in particolare, le precipitazioni (specie quelle di breve

durata ma intense) e le escursioni termiche;

• le caratteristiche pedologiche dei suoli, cioè la loro granulometria, porosità e permeabilità e il

loro grado di saturazione;

• gli aspetti topografici dei versanti quali la pendenza e la lunghezza;

• le attività antropiche, cioè principalmente i sistemi di lavorazione del terreno nell’ambito di una

sua utilizzazione agricola;

• il grado di copertura vegetale dei terreni che, da un lato, influisce sulla forza d’impatto esercitata

sul terreno dalla pioggia e dall’altro, l’apparato radicale aumenta la resistenza all’erosione del

suolo.

L’erosione prodotta dalle acque meteoriche defluenti lungo la superficie di un versante può

essere attenuata con interventi di protezione superficiale del pendio (definiti estensivi perché si

attuano sull’intera superficie di un versante soggetto ad un’erosione intensa).

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A.1. DESCRIZIONE DEGLI INTERVENTI

Gli interventi estensivi suggeriti per la sistemazione dei versanti sono quelli riportati nella

successiva tab. I. (Clerici – Valsecchi in “Geologia Tecnica”, 2001)

Detti interventi sono ispirati alle tecniche dell’ingegneria naturalistica, cui si rimanda per

ulteriori approfondimenti (v. Manuale di Ingegneria Naturalistica – AIPIN in corso di adozione da

parte della Regione Campania).

Di seguito si descrivono alcune delle tecniche riportate in tabella I.

a) Inerbimento e rimboschimento

Tali interventi determinano l’incremento del grado di copertura del suolo.

Gli effetti sul fenomeno erosivo esercitati dalla vegetazione possono essere così schematizzati:

• intercettazione parziale delle precipitazioni e, quindi, attenuazione dell’aggressività della

pioggia nei confronti del suolo;

• diminuzione del ruscellamento superficiale dovuta all’incremento, per evapo-traspirazione, della

capacità di assorbimento del terreno;

• incremento della resistenza all’erosione offerta dal suolo per effetto del fogliame e delle

ramaglie ivi depositate.

L’inerbimento può essere realizzato su una superficie piana o inclinata attraverso le seguenti diverse

tecniche:

• semina a spaglio di un miscuglio di sementi di specie erbacee selezionate ed idonee al sito,

previa preparazione del letto di semina con eventuale eliminazione dei ciottoli presenti tramite

rastrellatura e successivo riporto di terreno vegetale e distribuzione di fertilizzante organico, se

il substrato è sterile.

Tale intervento, solitamente praticato nel periodo primaverile-estivo, è economicamente

conveniente, quando non vi è un elevato pericolo di disseccamento della semente.

• idrosemina, consistente nell’aspersione di una miscela formata da acqua, miscuglio di sementi

di specie erbacee selezionate ed idonee al sito, concime organico, collanti e sostanze

miglioratrici del terreno quali argilla, sabbia, torba e cellulosa. Il tutto viene distribuito in

un'unica soluzione con speciali macchine irroratrici a forte pressione e previa preparazione del

letto di semina con eventuale eliminazione dei ciottoli presenti tramite rastrellatura. La presenza

di sostanze miglioratrici del suolo e di concimi consente di evitare il costoso e difficoltoso

riporto di terreno vegetale

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.

Tab.I – Alcune tra le tecniche di Ingegneria Naturalistica più frequentemente impiegate per

interventi su versanti.

Obiettivo dell’intervento Caratteristiche principali Tecniche

Interventi di protezione Si tratta di interventi che

interessano la superficie

topografica e spessori di terreno

limitati a pochi centimetri o

decimetri; hanno lo scopo

principale l’azione di erosione di

impatto e di dilavamento operata

dalle acque superficiali.

Inerbimento

Posa di strutture leggere

in legname

Impianto di vegetazione

arborea ed arbustiva

(rimboschimento)

A spaglio

Idrosemina

Semina bianco verde

Fascinata

Viminata

Piantagione di giovani

piante a radice nuda o in

fitocella

Interventi di consolidamento Si tratta di interventi che

prevedono modesti interventi di

movimento terra con la

piantagione e la realizzazione di

strutture medio leggere in

legname; la loro funzione è

quella di fornire un

consolidamento entro il primo

metro di spessore di terreno.

Impianto di vegetazione

arborea ed arbustiva

Realizzazione di strutture

medio leggere

Piantagione di giovani

piante a radice nuda o in

fitocella

Posa di talee di

dimensioni diverse

(astoni, talee grandi, talee

piccole)

Posa di rizomi o di loro

parti

Semina di alberi o di

arbusti

Cordonate

Gradonate

Palizzate

Interventi di stabilizzazione Si tratta di strutture realizzate in

gran parte in legname di grosso

diametro vincolato in modo da

assicurare una resistenza e

rigidezza all’insieme: hanno lo

scopo di stabilizzare le aree a

maggiore acclività sedi di

movimenti franosi.

Palificata viva

Grata viva

Semplice

Doppia

Semplice

Doppia

Opere di drenaggio superficiale e sub-

superficiale

Sono interventi che hanno lo

scopo di intercettare e

convogliare le acque superficiali

e sub-superficiali, allontanandole

dall’area verso un canale di

recapito naturale

Drenaggio Con fascine

Con tubo fessurato e

ghiaia

Con ciottoli massi

Con tecniche miste

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L’intervento, effettuato in genere durante la stagione umida, consente l’inerbimento di scarpate

molto ripide difficilmente accessibili.

• semina con coltre protettiva di paglia (o semina bianco-verde), viene realizzata utilizzando un

miscuglio di sementi di specie erbacee selezionate ed idonee al sito, distribuito a spaglio o con

idrosemina. Ciò unitamente alla distribuzione mediante l’uso di irroratrici di una miscela

composta da fieno o paglia trinciata e concime organico.

Tale sistema ha il vantaggio di poter essere applicato l’intero periodo vegetativo anche se i migliori

risultati si ottengono nella stagione umida.

• semina con coltreprotettiva di paglia e bitume (o semina nero-verde), si realizza mediante

l’utilizzo di un miscuglio di sementi di specie erbacee selezionate ed idonee al sito, distribuito

su un letto di paglia di segale a culmo lungo, disposta uniformemente con aspersione mediante

l’uso di pompe irroratrici di un’emulsione bituminosa diluita in acqua. Tale emulsione ha una

funzione protettiva in quanto stabilizza fisicamente lo strato di paglia evitando erosioni da parte

del vento e dell’acqua. Analogamente, la presenza di materiale a culmo lungo consente di

ottenere una migliore e duratura protezione del terreno in quanto previene una possibile

asportazione causabile da eventi naturali.

Il periodo più adatto per questo tipo di intervento è quello primaverile.

Il rimboschimento deve essere realizzato mediante l’apertura di buche di dimensioni prossime al

volume dell’apparato radicale, la piantagione di specie arbustive ed arboree a radice nuda o in

fitocella, la ricolmatura con terreno vegetale, la compressione del terreno adiacente alle radici e

l’irrigazione. L’uso di piantine in fitocella ha il pregio di accrescere notevolmente le probabilità di

attecchimento e di consentire il trapianto durante tutto l’arco dell’anno.

Il ricoprimento della parte superiore della buca, se eseguito con uno strato di 3÷4 cm di torba,

paglia, cellulosa sminuzzata o altra sostanza organica, consente di mantenere un certo grado di

umidità nel terreno. Il dilavamento dello strato di sostanza organica può essere evitato riportando al

di sopra dello stesso terreno proveniente dallo scavo.

In zone aride il livello della buca, una volta eseguito il riempimento, deve risultare inferiore a quello

del terreno circostante; in zone con frequenti ristagni d’acqua è auspicabile realizzare un

“monticello” con funzione drenante.

La densità di impianto è, generalmente, di 1000÷3000 per ettaro; in situazioni di elevata erosione

tale numero può essere elevato a 7000÷8000.

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La crescita di specie arbustive o arboree può anche essere realizzata mediante posa di talee di

dimensioni diverse:

- astoni, con lunghezza superiore a 1,5 m e dotati di gemma apicale;

- talee grandi, di lunghezza non inferiore a 60 cm e diametro maggiore di 3 cm;

- talee piccole, di lunghezza non inferiore a 40 cm;

- posa di rizomi o loro parti;

- posa di semi di alberi e arbusti;

b) Gradonate

L’azione di erosione e trasporto esercitata dall’acqua di ruscellamento cresce all’aumentare della

pendenza del versante quindi, su pendii particolarmente acclivi, può essere necessario associare al

rimboschimento altri interventi quali, ad esempio, gradonamenti, aventi lo scopo di ridurre la

velocità delle acque di ruscellamento attraverso la rottura della continuità del versante. Tali opere,

di fatto, determinano una suddivisione del pendio in aree di minore superficie e di minore pendenza

media. Le gradonate consistono nello scavo, secondo le curve di livello ed iniziando dal piede del

pendio, di banchine di larghezza variabile da 50 a 100 cm e con interassi di 1÷3 m. In particolare,

per evitare scavi di notevole altezza, al crescere della pendenza del versante è preferibile realizzare

banchine di minore larghezza.

E’ consigliato mantenere una contropendenza trasversale del fondo dello scavo pari almeno al 10%:

in tal modo si riduce la velocità dell’acqua di ruscellamento e se ne favorisce l’infiltrazione

diminuendo l’azione di dilavamento esercitata da tali acque.

Nei ripiani ottenuti è possibile operare la messa a dimora di un letto piantine o talee, disposte a

pettine alla base dello scavo, in numero variabile tra 10÷30 per metro.

Le talee, in genere aventi lunghezza superiore di 10÷20 cm rispetto alla profondità dello scavo e

diametro di 1÷7 cm, devono appartenere a specie arbustive o arboree ad elevata capacità vegetativa

ed essere interrate per circa 3/4 della loro lunghezza per favorirne il radicamento. Il materiale di

rinterro solitamente viene prelevato dallo scavo della banchina superiore.

Nel caso di messa a dimora di un letto di piantine, queste devono appartenere a specie in grado di

emettere radice avventizie dal fusto, avere età di 2÷3 anni, diametro di 1÷3 cm e sporgere verso

l’esterno del pendio da 1/3 a 1/4 della loro lunghezza. La densità può variare tra 5 a 20 piante per

metro.

Tale intervento offre un effetto consolidante minore e più lento rispetto all’impianto con talee.

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Al fine di conseguire una più rapida ed efficace attecchimento, può essere realizzato un letto misto

costituito sia da pintine che da talee. In tal caso densità sarà di almeno 10 talee per ogni metro

lineare di sistemazione, con piantine distanziate di circa 50 cm.

Un migliore attecchimento può essere garantito, sia nel caso di utilizzo di talee che per l’utilizzo di

piantine, rivestendo i 20÷30 cm più esterni del fondo della banchina con una striscia di carta

catramata. In tal modo, infatti, si riduce l’erosione dello strato di fondo e si realizza una maggiore

ritenuta idrica.

Considerando che l’intervento è efficace se si realizzano almeno 1500 m/ha di gradoni e che tale

tipo di opera richiede una notevole manodopera (per la scarsa accessibilità alle macchine degli

ambienti in questione), la gradonata si realizza solo in pendii caratterizzati da pendenze maggiori

del 30%, cioè dove non sono consigliabili altri tipi di interventi.

c) Cordonate

Le cordonate rientrano nel novero delle strutture medio-leggere realizzate in legname ed aventi una

prevalente azione di consolidamento. L

La loro posa in opera avviene innanzitutto asportando, temporaneamente, una porzione di terreno

dal pendio lungo fasce orizzontali anche estese; sulla superficie di appoggio, così realizzata, viene

posato, longitudinalmente, legno di diametro intorno ai 10 cm, ramaglia, uno strato di terra e talee di

lunghezza opportuna. Lo scavo, avente in genere una profondità ≥ di un metro viene riempito con

terra e profilato secondo l’inclinazione del versante.

d) Terrazzamenti

Analogamente alle gradonate, è possibile ridurre la pendenza originaria del profilo del pendio

attraversi una successione di ripiani orizzontali o quasi, sostenuti da muri a secco o in calce.

Tali interventi sono denominati terrazzamenti hanno lo scopo di ridurre la velocità e la capacità

erosiva delle acque di ruscellamento.

Rispetto alle gradonate, i terrazzamenti vengono praticati su pendii meno acclivi, in genere

caratterizzati da pendenze di 15÷25%.

I terrazzamneti consistono nello scavo, secondo le curve di livello ed iniziando dal piede del pendio,

di banchine di larghezza variabile fino ad un massimo di 3÷3.5 m e con interassi tra i ripiani è di

4÷5 m.

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E’ consigliato mantenere una contropendenza trasversale del fondo dello scavo pari a circa il 5%: in

tal modo si riduce la velocità dell’acqua di ruscellamento e se ne favorisce l’infiltrazione

diminuendo l’azione di dilavamento esercitata da tali acque. Talora sono caratterizzati anche da una

lievi pendenza longitudinale.

I due elementi essenziali del terrazzamento sono il muro di sostegno ed il ripiano: il primo,

tradizionalmente realizzato in muratura a secco, è destinato a contenere il secondo, il quale è

ottenuto in parte scavando nel pendio, in parte, attraverso il riporto di terreno.

La costruzione del muro di sostegno avviene, in genere, con massi calcarei possibilmente recuperati

sul posto, al fine di contenere i costi dell’intervento. Previo scavo di fondazione, il pietrame sarà

posto in opera in modo da realizzare un paramento leggermente inclinato verso monte, avente

altezza variabile da 1 a 2 metri e coronamento di larghezza compresa tra 50 e 80 cm.

Talvolta, alla massicciata a secco del paramento è possibile associare la messa a dimora di ramaglia

e/o piantine radicate di specie arbustive, a contatto con il terreno retrostante al fine di consolidare la

struttura e di ottenere un maggiore drenaggio del terreno retrostante. Un efficace drenaggio può

spesso richiedere la utilizzazione di opportuni strati filtranti, realizzati a tergo del muro, o di tubi

drenanti.

Ai terrazzamenti sono spesso associati opere di canalizzazione delle acque superficiali realizzate

utilizzando pietrame e legname, in genere larice o castagno. Essi hanno lo scopo di raccogliere ed

evacuare in modo sicuro tali acque, evitando la formazione di solchi che, in seguito ad un loro

approfondimento, potrebbero determinare il verificarsi di smottamenti superficiali.

Tali canali drenanti, generalmente di forma trapezia, hanno una profondità massima di circa 80 cm,

una base minore e una base minore rispettivamente di circa 70 e 170 cm.

In particolare, l’intelaiatura della canaletta si realizza con pali di legname di diametro 15÷20 cm; il

fondo e le pareti sono rivestiti con pietrame di diametro pari a circa 20 cm.

Il tondame, posto in opera longitudinalmente, viene ancorato a quello infisso nel terreno, disposto

lungo il lato obliquo della canaletta, tramite chioderia e graffe metalliche. Inoltre, ogni 5÷7 metri

viene inserita nella parte sommitale dell’opera una traverso in legno per rendere più rigida la

struttura.

E’ consigliabile interporre tra l’opera e il terreno un dreno costituito da pietrame di grossa

granulometria.

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La canalizzazione, oltre a mitigare l’erosione dinamica superficiale, determinano anche una

diminuzione delle pressioni neutre e, quindi, una stabilizzazione della parte più superficiale del

pendio nei confronti di possibili fenomeni franosi.

e) Graticciate

Altro intervento realizzabili al fine di ridurre l’erosione dinamica superficiale è costituito dalle

graticciate o viminate.

L’obiettivo di questo tipo di intervento è aumentare la scabrezza del terreno e, quindi, diminuire

l’erodibilità dello stesso. In questo senso, l’opera svolge un azione attiva.

Essa però determina anche il trattenimento a tergo di grossa parte del materiale che, anche se in

misura minore, viene eroso superficialmente. L’opera svolge, quindi, anche un’azione passiva.

Le graticciate sono costituite da paletti di castagno o larice posti ad una distanza di 80÷120 cm, di

altezza 80 cm e di diametro 7÷10 cm. Essi sono infissi per 50 cm nel terreno e collegati tra loro

mediante l’intreccio di sottili rami d’albero.

La struttura viene infittita dalla messa in opera, ogni 30 cm, di paletti più corti.

I pali principali e i paletti intermedi sono collegati mediante un intreccio di rami di salice disposti

longitudinalmente e legati con filo di ferro zincato del diametro di 3 mm.

L’opera viene completata con la posa in opera di talee.

Generalmente, con le graticciate si realizzano filari trasversali al pendio aventi interasse di 1÷2

metri.

Talvolta si eseguono interventi a rete, le cui maglie sono a forma di rombo.

Le viminate sono sistemi antierosivi lineari e quindi è opportuno integrarli mediante tecniche di

copertura superficiale del terreno quali, ad esempio, gli inerbimenti.

f) Palizzate

L’erosione dinamica superficiale può essere ridotta anche attraverso altri interventi quali le

palificate.

Anch’esse svolgono un’azione attiva, cioè aumentano la scabrezza del terreno, e un’azione passiva,

in quanto determinano il trattenimento a tergo di grossa parte del materiale eroso superficialmente,

anche se in misura minore.

Le palizzate sono opere costituite da pali di larice o di castagno del diametro di 15÷20 cm e

lunghezza di 1.5 m, infissi verticalmente nel terreno per una profondità di 1 m e posti ad una

distanza di 1÷2 metri.

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La parte fuori terra viene completata ponendo in opera, orizzontalmente, dei mezzi tronchi di larice

o castagno del diametro di 20 cm e lunghezza 2 metri. Essi sono collegati ai pali verticali con filo di

ferro e chiodi e hanno il compito di irrigidire la struttura. Inoltre, a tergo dell’opera stessa

trattengono il materiale eroso proveniente da monte.

Anche in questo caso l’intervento è può essere completato con la messa a dimora di talee o di

piantine radicate.

La palificata si realizza mediante la posa in opera di tondame scortecciato di conifere o di castagno

del diametro di 10÷25 cm e della lunghezza di 1÷3 metri.

I pali devono poggiare su di una superficie piana realizzata con una contropendenza del 10÷15 %.

La palificate può essere a una o a due pareti. Quest’ultima presuppone uno scavo maggiore ed è

caratterizzata dalla possibilità di resistere a spinte più elevate ed avere altezza maggiore.

In entrambi i casi il paramento deve essere leggermente inclinato verso monte.

L’opera può essere completata con l’inserimento negli interstizi di robuste talee aventi una densità

di 5÷10 talee al metro. Possono essere poste a dimora anche piantine radicate appartenenti a specie

pioniere.

g) Palificate

Le palificate sono strutture in legname aventi una prevalente azione di stabilizzazione.

Le tipologie più comuni sono quelle semplice e doppia.

La palificata semplice è costituita da una struttura longitudinale posta trasversalmente al pendio.

Essa si realizza creando innanzitutto un piano di appoggio per la struttura, su cui viene posata una

prima serie di tronchi, ortogonali allo sviluppo longitudinale del piano di posa, con interasse di circa

2 metri ed incastrati nel terreno in posto. Su tale serie di tronchi ne viene posata una seconda serie,

costituita da tronchi longitudinali vincolati con ferro ai primi.

Tali operazioni si ripetono per un’altezza non superiore ai 2 metri e al termine vengono poste in

opera talee e la struttura viene riempita dall’alto con terra.

La palificata doppia è costituita da una struttura tridimensionale a sviluppo orizzontale appoggiata

e parzialmente vincolata al pendio. Essa ha lo scopo di stabilizzare i versanti acclivi.

La differenza con la palificata semplice è che i tronchi longitudinali sono posati anche sul lato di

monte della struttura.

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h) Fascinate

Un ulteriore intervento efficace ai fini del contenimento dell’erosione dinamica superficiale di un

versante è costituito dalle fascinate.

Si tratta di drenaggi favoriscono l’infiltrazione dell’acqua e, quindi, determinano una riduzione della

velocità e della quantità dell’acqua di ruscellamento e, di conseguenza, il contenimento della

capacità erosiva di tali acque.

Le fascinate sono dei drenaggi realizzati lungo le curve di livello del pendio attraverso lo scavo di

trincee aventi profondità e larghezza di circa 30÷50 cm e riempite di fascine, fissate al terreno con

picchetti di legno di castagno, aventi lunghezza di circa 1 metro e diametro di 5÷10 cm, distanziati

tra loro di circa 80 cm.

Dette fascine sono costituite da ramaglia di specie con elevata capacità vegetativa (salici, pioppi,

ecc.) composte in media da 5÷6 rami e legate ogni 70 cm.

Lo scavo è ricoperto con materiale di granulometria maggiore di quella del terreno in sito e, quindi,

di maggiore permeabilità.

Al fine di favorire l’infiltrazione delle acque altrimenti defluenti in superficie, tale intervento è

preferibile praticarlo in tratti del versante caratterizzato da una non elevata pendenza.

In genere si realizzano fascinate longitudinali che sono intercettate, a valle, da fascinate trasversali,

le quali sono eventualmente munite di un tubo finestrato nella parte inferiore dello scavo. Tale tubo

ha il compito di agevolare lo smaltimento sia dell’acqua drenata direttamente dalle trincee

trasversali, sia dell’acqua ivi convogliata dalle opere longitudinali.

i) Drenaggi

Si tratta di opere aventi lo scopo di regimentare le acque superficiali e sub-superficiali

allontanandole dall’area di intervento verso un canale di recapito naturale.

Tali drenaggi possono essere realizzati con diversi materiali: con fascine, in tubo fessurato e ghiaia,

con ciottoli e massi. In tutti i casi si parte dalla realizzazione di una trincea poco profonda a

permeabilità significativamente più elevata rispetto quella del terreno circostante.

Nel caso del drenaggio con fascine, realizzata la trincea, si posano e si fissano le fascine al terreno

con paletti in legname. Infine, si procede al riempimento della trincea con terra per raccordarsi con

il piano campagna e favorire il radicamento delle talee.

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Nel caso del drenaggio in tubo fessurato e ghiaia si utilizza un tubo drenante, posato sul fondo della

trincea e ricoperto da materiale lapideo ad alta permeabilità. La trincea viene, poi, ricoperta con

terra per raccordarsi al piano campagna e favorire il radicamento delle talee.

Il drenaggio con ciottoli e massi si realizza ponendo nella trincea il materiale lapideo fino al piano

campagna. L’elevata conducibilità del materiale posato assicura il drenaggio delle acque

superficiale e sub-superfciali.

l) Reti o stuoie in materiale sintetico o biodegradabile

Nel caso in cui si utilizzi materiale biodegradabile, l’intervento antierosivo si realizza mediante la

posa in opera di reti in fibra naturali quali juta, fibra di cocco o di altri vegetali, stuoie in fibra di

cocco, di paglia, di truciolare di legno o di altri vegetali.

I materiali sintetici utilizzabili sono, invece, griglie o reti in poliammide (nylon), griglie o reti in

polietilene, polipropilene, reti in struttura alveolare in polietilene o poliestere, tessuti in

polipropilene o poliestere, sistemi misti.

materiale biodegradabile

Le reti sono costituite da corde intrecciate di svariate dimensioni e caratteristiche tecniche:

• diametro delle corde pari a 4÷5 mm;

• maglia della rete di 10÷50 mm;

• resistenza a trazione di 5÷15 N/metro;

• peso pari a 200÷1500 grammi/mq.

Le stuoie sono costituite da uno strato di fibra vegetale tenuto insieme da una rete di materiale

biodegradabile o sintetico.

Nei casi di elevata pendenza e, quindi, di notevole erosione, sono consigliate le stuoie realizzate con

fibra di cocco in quanto di più lunga durata rispetto a quelle di paglia, che si decompongono più

velocemente.

L’esecuzione di tali interventi prevede la preparazione delle scarpate mediante scoronamenti ed

eliminazione di pietrame e ramaglia.

Successivamente si realizza lo scavo di un solca di 20÷30 cm di profondità lungo il lato a monte

della superficie da proteggere e nel solco stesso si semina un miscuglio di sementi di specie erbacee

selezionate, con relativa concimazione.

Infine la rete o la stuoia, fissate al terreno, nel solco, mediante picchetti di legno, saranno ricoperte

dal terreno proveniente dallo scavo.

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La rete va disposta lungo la linea di massima pendenza in maniera da non essere troppo tesa; dovrà

poi assicurarsi una leggera sovrapposizione laterale (10÷15 cm) tra i diversi rotoli impiegati.

materiale sintetico

Le griglie in nylon sono reti tridimensionali costituite da filamenti aggrovigliati e termosaldati in

grado di inglobare le particelle di terreno.

Tale materiale ha uno spessore variabile tra 10 e 25 mm, un peso compreso tra 250 e 1000 gr/mq e

una resistenza alla trazione di 1÷3 KN/m.

In genere sono disponibili anche griglie già riempite con ghiaia legata con bitume, oppure altre con

il manto vegetale già sviluppato e quindi più pesanti delle precedenti.

Le griglie in polietilene sono reti bidimensionale utilizzate per costruire terre rinforzate (resistenza

alla trazione 30÷110 KN/m) oppure per consolidare terreni in erosione.

Le griglie in polipropilene sono reti bi-tridimensionali forate in modo tale da contenere le particelle

di terreno ed essere inerbite svolgendo così una funzione antierosiva (resistenza alla trazione

15÷100 KN/m ).

Le reti a struttura alveolare, siano esse in polietilene o in poliestere, svolgono una funzione

antierosiva in quanto trattenendo il terreno sciolto all’interno delle diverse celle (di forma

romboidale o esagonale) costituiscono uno scheletro con cui incrementano la resistenza meccanica

del terreno.

Esse hanno il vantaggio di un facile trasporto perché realizzate in una struttura “a fisarmonica” di

ingombro limitato, per cui ne consegue anche una certa facilità di posa in opera.

Anche i tessuti in polipropilene o in poliestere possono essere utilizzati per costituire un’armatura

del terreno poiché sono in grado di sostenere la spinta delle terre. Inoltre, possono essere utilizzati

anche come elementi separatori del terreno, come drenaggi o per distribuire meglio i carichi.

La resistenza a trazione di detti tessuti varia a seconda del tipo di materiale, in particolare, per il

polipropilene la resistenza a trazione varia tra 20÷80 KN/m, per il poliestere assume valori tra

150÷1000 KN/m.

I sistemi misti sono il risultato di diverse combinazioni di reti, griglie, stuoie e tessuti che

consentono di realizzare dei sistemi che nel contempo sono drenanti, filtranti, antierosivi.

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B. INTERVENTI DI SISTEMAZIONE DEL RETICOLO IDROGRAFICO

Gli elementi costituenti il reticolo idrografico assumono, come è noto, caratteristiche diverse a

seconda che si considerino:

• i torrenti montani, con alveo inciso nelle formazioni da essi attraversate, in cui possono

verificarsi dissesti di carattere erosivo localizzati al piede dei versanti, che nei casi più gravi

possono generare colate rapide di fango o di detrito con effetto distruttivo;

• i tratti pedemontani, prevalentemente caratterizzati da processi di deposito, con conseguente

incremento dei rischi di esondazione per restringimento delle sezioni trasversali degli alvei

naturali ed, inoltre, con maggiore possibilità di interrimento delle reti di drenaggio artificiali;

• i tratti incassati di pianura, in cui possono verificarsi esondazioni allorquando, in una certa

sezione, le portate in arrivo dai bacini a monte risultano eccedenti rispetto alla capacità di

convogliamento idrico delle stesse sezioni.

In funzione delle suddette caratteristiche, è possibile distinguere diversi interventi di

sistemazione di un corso d’acqua, aventi lo scopo di dare all’alveo sezioni e pendenze sufficienti al

convogliamento delle acque e dei materiali trasportati in piena, evitando di arrecare danni ai terreni

latistanti ed ai manufatti esistenti lungo l’asta del fiume.

La soluzione delle problematiche di dissesto dei diversi elementi del reticolo idrografico può

essere realizzata mediante interventi di tipo strutturale.

Tali interventi si distinguono in:

interventi attivi (o, anche preventivi) finalizzati ad impedire l’innesco di fenomeni di

dissesto;

interventi passivi (o, anche di protezione) indirizzati a mitigare gli effetti derivanti

dall’innesco di un dissesto.

Di seguito, per ciascun elemento del reticolo idrografico, si riportano le tipologie di

interventi strutturali che possono essere impiegati nei diversi tratti del reticolo idrografico del

bacino Nord-Occidentale della Campania.

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B.1 DESCRIZIONE DEGLI INTERVENTI STRUTTURALI NEGLI ALVEI MONTANI E

PEDEMONTANI

INTERVENTI ATTIVI

Gli interventi strutturali in tali alvei mirano a ridurre il flusso di materiale solido verso valle

associato alle portate di piena e, quindi, a controllare i processi di interrimento dei tratti di valle.

Ridurre l’apporto di materiale solido significa, da un lato, intervenire nei tratti montani

impedendo l’erosione del fondo e il franamento delle sponde, dall’altro, ridurre il trasporto a valle

del materiale che giunge da monte.

Le capacità di accumulo ( briglie )che si realizzano per tale scopo tendono ad esaurirsi in

tempi brevi; pertanto, sistemazioni di questo tipo hanno efficacia solo se associate ad energici

interventi sistematori anche dei versanti.

In ambiente montano, cioè nei tratti dei corsi d’acqua dove più attiva è l’erosione, gli

interventi di sistemazione sono costituiti, in genere, da opere tendenti a:

• rendere resistente all’erosione il fondo e le sponde attraverso dei rivestimenti, continui

(sistemazione a cunette) o discontinui (soglie di fondo) della canalizzazione;

• diminuire la velocità dell’acqua e, quindi, la sua azione erosiva, attraverso la riduzione della

pendenza dell’alveo (briglie di consolidamento e di trattenuta) o mediante la dissipazione di

una parte dell’energia della corrente (salti di fondo);

Sistemazione a cunette

Questo tipo di intervento è da associare ai tratti di monte del reticolo idrografico

caratterizzati da una significativa erosione del fondo e delle sponde.

Esso consiste nel sostituire al letto naturale in erosione un canale rivestito artificialmente e,

quindi, capace di resistere all’azione erosiva dell’acqua.

A tale tipo di sistemazione, già di per se molto costosa, si ricorre solo in casi particolari in

quanto spesso comporta una manutenzione molto onerosa.

Generalmente, il rivestimento è costituito da selciato realizzato a secco o con giunti di

cemento, che fungono da collante e permettono di utilizzare materiale meno grosso, altrimenti

trasportato a valle dalla corrente.

La realizzazione di cunette in calcestruzzo è invece sconsigliata in quanto tale materiale è

facilmente eroso dalle correnti piuttosto veloci tipiche dei tratti montani del reticolo idrografico.

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Tale problema si accentua quando alla corrente liquida è associato un ingente trasporto di

materiali detritici, con un conseguente incremento dell’azione logorante.

Resistenze soddisfacenti si sono sperimentate utilizzando rivestimenti in mattoni vetrificati,

il cui costo elevato, tuttavia, ne sconsiglia l’uso.

Per evitare il deposito di materiale solido, soprattutto nei periodo caratterizzato da bassi

valori di portata, può convenire creare una sezione trasversale avente la parte centrale più raccolta.

Tale parte centrale non deve, però, presentarsi eccessivamente incavata, per evitare un rapido

logoramento per eccessivo concentramento d’acqua.

Le sistemazioni a cunette presentano il vantaggio di determinare una protezione continua del

fondo e delle sponde, fissando entrambi gli elementi.

Si tratta, però, di interventi che, in genere, presentano costi di costruzione molto elevati e

che, spesso, determinano la formazione di correnti con elevate velocità e con conseguente onerosa

manutenzione dei rivestimenti realizzati.

Soglie di fondo

Le soglie di fondo sono opere trasversali non sporgenti dal fondo dell’alveo.

Anche tale tipologia di intervento è da associare ai tratti montani del reticolo idrografico

caratterizzati da una significativa erosione del fondo.

Infatti, nelle sezioni in cui sono realizzate stabilizzano la quota di fondo dell’alveo e ne

evitano l’erosione.

Generalmente, esse sono posizionate a “batteria”, cioè in serie, una dietro l’altra.

Avendo altezze molto contenute, queste opere sono molto meno costose delle briglie di

consolidamento. Infatti, non sono soggette a grosse spinte esercitate dall’acqua e dal materiale

solido e, quindi, si possono realizzare sezioni trasversali più ridotte.

Al fine di evitare l’instabilizzazione delle sponde occorre dare al coronamento della soglia

una sagoma concava a V, affinché sia possibile allontanare la corrente dalle sponde e indirizzarla

nella zona centrale dell’alveo.

Interventi di tipo naturalistico

Soglie di fondo

I materiali usati nella realizzazione delle soglie di fondo sono, essenzialmente, il cemento armato e

le gabbionate.

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Le gabbionate sono generalmente preferibili a causa della scarsa accessibilità dei mezzi meccanici

in ambienti montani, dove il confezionamento in sito del calcestruzzo risulterebbe troppo costoso.

Viceversa, il trasporto delle gabbie metalliche, pieghevoli, risulta agevole, così come il riempimento

delle stesse, data la grande disponibilità, in genere, di massi rocciosi in loco.

Talvolta le soglie di fondo possono essere realizzate con massi di grossa pezzatura ( 0.5÷1 m3 )

posati su due file all’interno di uno scavo profondo non meno di mezzo diametro del masso.

I massi della fila di monte sono collegati fra loro attraverso una fune d’acciaio, di diametro d=10

mm, che scorre in apposite asole che costituiscono la parte terminale di una barra d’acciaio, di

diametro d=20 mm.

Tali barre sono cementata ai massi con malta anti-ritiro per evitare il degrado della malta stessa

causato dall’azione di gelo e disgelo molto intensa in ambiente montano.

I massi di valle sono collegati tra loro, allo stesso modo di quelli della fila di monte, e sono

collegati, con un’altra fune d’acciaio, a dei pali in legno oppure a dei profilati in acciaio, infissi a

monte della soglia per una profondità di almeno due metri e con interasse pari a due volte il

diametro dei massi (fig. B.1).

(Fig. B.1)

Tali pali o profilati non devono essere più alti dello sbarramento in pietrame per non trattenere corpi

galleggianti nella corrente, che potrebbero dissestare la particolare opera.

I pali in legno possono essere utilizzati in presenza di terreni sciolti di granulometria fina, con

scarsa presenza di ciottoli di modeste dimensioni.

Eventualmente, sono muniti di puntazza in acciaio per agevolarne l’infissione.

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Nel caso invece di terreni con cospicua presenza di ciottoli, dovranno essere impiegati profilati

metallici, costituiti eventualmente da spezzoni di rotaia, tagliati in punta per favorirne la

penetrazione.

Per opere di sbarramento più importanti, le file di massi possono essere più di due.

Piccole soglie possono essere altresì realizzate con fascine o con legname (fig. B.13),con protezione

in massi a valle per evitare pericolosi fenomeni di scavo.

(Fig. B.2)

Briglie

Dette opere determinano una riduzione della pendenza originaria degli alvei e, quindi, una

minore capacità di erosione delle acque, accentuata dalla dissipazione di una parte dell’ energia nel

salto creato dalla briglia stessa.

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(Fig.B.3)

La trattenuta del materiale solido nel volume di invaso a monte della briglia impedisce

fenomeni localizzati di erosione delle sponde, ricoprendole e ostacolando la tendenza al franamento

delle stesse. Si ottiene quindi un duplice effetto: di stabilizzazione dell’alveo e di consolidazione dei

versanti.

Tale processo di stabilizzazione avviene in un tempo che è inversamente proporzionale alla

portata solida in arrivo da monte.

La determinazione della distanza a cui realizzare due briglie successive di altezza nota, o la

determinazione della loro altezza quando la distanza tra esse è già fissata, può avvenire ritenendo

che le opere siano disposte in modo tale che la linea unente il piede di quella di monte con la

sommità della susseguente a valle sia inclinato secondo la pendenza di equilibrio (fig. B.3).

Come riportato in figura B.2, indicando con Hz il dislivello totale del fondo tra le due briglie

successive, con hB la loro altezza fuori terra, con α l’angolo corrispondente al profilo ie (in modo

che tgα = ie) e con dB la distanza (orizzontale) fra le due stesse briglie, è possibile ricavare:

• l’espressione dell’altezza h della briglia quando è nota la distanza dB:

hB= Hz - dB tgα = Hz - dB ie

• distanza d fra due briglie successive, nota l’altezza h delle briglie:

dB= (Hz-hB)/ tgα

Nel caso di una sistemazione di un alveo con pendenza di fondo i con N briglie di uguale

altezza hB e disposte a distanza costante tra loro, calcolata la pendenza di equilibrio ie ed indicata

con L la lunghezza del tratto di alveo da sistemare, l’altezza fuori terra di ciascuna briglia si ottiene

dalla relazione:

hB=( i – ie )L/N

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(Fig. B.4)

Si consigliano:

- altezze delle singole briglie di consolidamento comprese tra 2÷6m;

- distanze tra due briglie successive non inferiore a 60÷70 m;

- e tali che la linea unente il piede della briglia a monte con la sommità della susseguente a

valle sia inclinata secondo la pendenza di equilibrio.

Generalmente, l’ordine di successione nella costruzione di un sistema di briglie a gradonata

deve essere quello di procedere da valle verso monte in quanto, in tal modo, si evita il

pericolo dello scalzamento a valle delle opere, che potrebbe pregiudicare la stabilità delle

stesse.

Briglie impermeabili

Si tratta di opere isolate il cui obiettivo è formare invasi in cui si abbia la decantazione di quasi tutta

la portata solida in arrivo da monte che, altrimenti, tenderebbe a sedimentare più a valle, cioè nei

tratti pedemontani del reticolo idrografico caratterizzati da una minore pendenza di fondo.

In genere vengono costruite in modo da poter contenere il maggior volume di materiale

depositato con la minima spesa, quindi subito a valle di una varice, dove il torrente comincia a

restringersi.

I principali difetti di una sistemazione con briglie impermeabili sono:

• l’arresto indiscriminato di tutto il materiale solido trasportato dalla corrente;

• l’efficacia limitata ad un periodo di tempo ridotto; infatti, quando le capacità d’invaso risultano

completamente riempite, la funzione di trattenimento del materiale solido viene a cessare.

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La riduzione della portata solida nei tronchi di valle dell’alveo oltre a determinare fenomeni

erosivi in corrispondenza delle sponde e del fondo alveo, spesso comporta una diminuzione del

materiale sabbioso che raggiunge la foce del corso d’acqua con conseguenze sull’equilibrio dei

litorali.

Briglie selettive

L’inconveniente sopra esposto ha consigliato di progettare briglie selettive, che operano un

arresto “discriminante” del materiale solido trasportato trattenendo solo gli elementi più grossolani e

lasciando defluire a valle il materiale di granulometria più fine. Inoltre, in tal modo si aumenta il

tempo di riempimento della briglia e, quindi, si incrementa il periodo in cui l’opera determina effetti

positivi. Tuttavia, nella maggior parte dei casi è poco ragionevole ritenere che una briglia filtrante

possa ritenersi tale per tutta la sua vita. Infatti, le aperture tendono facilmente ad intasarsi con

tronchi e ramaglie trasportati dalle piene e il materiale trasportato dalla corrente viene trattenuto

indiscriminatamente. Del resto, evitare l’intasamento di una briglia selettiva con lavori di

manutenzione è problematico perché si tratta di lavori di difficile esecuzione e molto costosi, in

special modo per le briglie poco accessibili, a più elevata quota.

Le briglie selettive sono opere il cui corpo centrale non è pieno ma presenta delle aperture,

grigliate o meno, in grado di lasciar passare quella parte dei materiali trasportati dalla corrente che

non ha senso trattenere e di far depositare, viceversa, la restante parte. Una briglia selettiva, invece

di basarsi sul funzionamento a staccio, è basata su un funzionamento idraulico, cioè, qualunque

siano la forma e le dimensioni delle aperture, la briglia costituisce un ostacolo per la corrente, in

quanto sbarra parzialmente l’alveo del corso d’acqua.In particolare, a causa delle forti pendenze del

fondo, la corrente che scorre nei torrenti è di tipo veloce.

Una briglia selettiva deve presentare un restringimento tale che la corrente in arrivo da

monte non ha sufficiente energia per oltrepassare l’ostacolo ed è costretta a mutare, a monte

dell’ostacolo, da corrente veloce a corrente lenta mediante la formazione di un risalto idraulico,

attraversando la sezione in cui si trova l’ostacolo in condizioni di stato critico. Dopo il risalto

idraulico si determina un tratto di corrente lenta ritardata caratterizzata da velocità via via

decrescenti da monte a valle nel quale si deposita sul fondo il materiale solido di dimensioni

maggiori. Attraverso la briglia passeranno i soli grani che la corrente, in condizioni ipocritiche,

riesce a trascinare fin a ridosso delle aperture della briglia stessa.

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Le briglie selettive sopra descritte hanno comunque un periodo di funzionamento limitato;

infatti, aumentando lo spessore dei depositi che si formano a monte di essa, il fondo dell’alveo si

innalza e quindi diminuisce la profondità del tratto di corrente lenta. Inoltre, pur agendo con cautela

nel dimensionamento delle aperture, il loro intasarsi con tronchi e ramaglie trasportati dalle piene è

solo questione di tempo. Quando ciò avviene, il riempimento del volume a monte della briglia si

verifica indipendentemente dalla granulometria del materiale trasportato dalla corrente.

Alla luce di quanto detto, nonostante i lunghi tempi necessari all’interrimento di una briglia

selettiva, è bene prevedere in fase di progetto un eventuale trasformazione della briglia selettiva in

briglia impermeabile. Il solo vantaggio è che alla fine del riempimento il corpo della briglia risulta

caratterizzato da un efficiente drenaggio, con una cospicua riduzione della spinta del materiale

accumulato a tergo.

Le briglie selettive possono essere definite “a fessura”, “a pettine”, “a finestra” ed “a

reticolo” a seconda della forma delle aperture.

La briglia a fessura presenta un’apertura stretta e incisa che interessa tutto il corpo dell’opera e che

può raggiungere anche la base della stessa (fig. B.5).

(Fig. B.5)

La briglia a finestra è caratterizzata da un’ampia apertura orizzontale, generalmente di forma

rettangolare, posta al di sotto della gaveta (fig. B.6). Essa non ostacola il deflusso della corrente

fluviale fino a quando il tirante idrico in prossimità della briglia risulta minore dell’altezza sf della

luce di fondo.

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Per tiranti maggiori esercita, invece, determina un rallentamento della corrente e il deposito

di parte del suo carico solido.

(Fig. B.6)

La briglia a pettine è caratterizzata da un’ampia apertura centrale che si estende fino al fondo

dell’alveo e delimitata inferiormente da una trave su cui sono innestati dei profilati, in genere

metallici, in modo da formare un pettine (fig. B.7).

(Fig. B.7)

Nelle briglie a reticolo, l’apertura centrale è presidiata da una griglia realizzata con profilati

metallici inclinata rispetto all’orizzontale, ancorati nelle spalle o sul fondo del manufatto,

rispettivamente, nel caso barre trasversali (fig. B.8) o longitudinali.

In alcuni casi la griglia è realizzata con un insieme di travi e pilastri in cemento armato, in

modo da determinare una serie di finestre di piccole dimensioni.

=Sf

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In quest’ultimo caso si ha una briglia simile a quella a finestra ma con aperture di dimensioni

ridotte.

(Fig. B.8)

Interventi di tipo naturalistico

Di seguito vengono esaminate le diverse tipologie costruttive di tipo naturalistico delle

opere descritte nei precedenti paragrafi, evidenziandone i pregi e i difetti di ciascuna in relazione

alla propria resistenza meccanica e all’impatto ambientale da esse determinato.

Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla letteratura tecnica specialistica.

Le tipologie costruttive più diffuse per le briglie a gravità prevedono l’utilizzo dei seguenti

materiali:

• legname;

• legname e pietrame;

• pietrame e calcestruzzo;

• gabbionate.

Briglie in legname e briglie in legname e pietrame

Il legname viene spesso utilizzato per la realizzazione di briglie non filtranti di piccole

dimensioni (fig.B.9). Molto spesso vengono realizzate anche strutture miste in legname e pietrame

(fig. B.10 e B.11).

A causa del materiale che le costituisce tali briglie sono dotate di scarsa resistenza

meccanica ma basso impatto ambientale. In particolare, le briglie di legname o di legname e

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pietrame assicurano una buone funzionalità solo in tratti di torrente caratterizzati da un trasporto

solido non eccessivo e di materiale di granulometria contenuta.

In tali condizioni, la durata di queste opere può essere notevole, anche maggiore di 30÷40

anni.

Tuttavia questo tipo di opere è particolarmente adatto in zone poco accessibili, nelle quali

sono difficilmente trasportabili altri materiali per cui si preferisce far ricorso a materiali disponibili

in loco.

(Fig. B.9)

(Fig. B.10)

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(Fig. B.11)

Se l’altezza della briglia dovesse superare i 3 metri conviene realizzare più briglie di altezza minore

disposte a cascata (fig. B.12).

(Fig. B.12)

Il legname generalmente impiegato nella costruzione delle briglie è il larice e il castagno.

Si utilizzano tronchi aventi un diametro di circa 20÷40 cm, incastrati nelle sponde dell’alveo, e pali

dello stesso spessore infissi in fondo dell’alveo. Il collegamento tra i tronchi e i pali è effettuato con

chiodature e grappe di metalliche. Nel caso di briglie in legname e pietrame, invece, i tronchi e i pali

vengono collegati in modo da costituire un cassone, successivamente riempito con pietrame, ben

assestato a mano, avente un diametro di circa 20÷30 cm.

In particolare (fig. B.10), la struttura in legno può essere realizzata con elementi trasversali al corso

d’acqua, di diametro 15÷25 cm, incastrati nelle sponde dell’alveo e posti ad un interasse di circa 1

m, con ulteriori elementi in legno, ortogonali ai primi e delle stesso diametro di questi, aventi una

lunghezza di circa 120 cm e posti ad un interasse di circa 1.5 m.

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Briglie in pietrame e calcestruzzo

Le briglie non filtranti di dimensioni ridotte possono essere realizzate con pietrame a secco.

In questo caso il paramento di monte e quello di valle devono essere inclinati sull’orizzontale di un

angolo minore di quello di natural declivio del materiale impiegato (per esempio, 15÷20°).

Per sbarramenti di altezza maggiore di 1.5÷2 metri è consigliabile legare il pietrame con malta

antiritiro, in maniera da realizzare una muratura con pareti verticali larga almeno 1.5 m.

Le briglie di altezza di 2÷3 m possono essere realizzate “annegando” nel calcestruzzo pietrame di

grosse dimensioni (10÷20 cm).

In questo caso, per evitare problemi di usura, la gaveta è realizzata con solo calcestruzzo.

Briglie in gabbionate

I gabbioni sono parallelepipedi, in genere aventi una lunghezza di 0.5÷5 m e una larghezza di 0.5÷1

m, realizzati con un reticolato a maglia fina di filo di acciaio zincato o plastificato.

Lo spessore del filo di acciaio varia tra i 2÷4 cm.

La maglia del reticolato , quadrata o a forma di rombo, ha dimensioni di 15÷25 cm.

Il peso della gabbia metallica oscilla tra i 2÷25 kg, per cui non crea eccessivi problemi di trasporto.

Il riempimento viene effettuato sul posto con materiale lapideo di granulometria grossolana (di

diametro pari a 10÷20 cm).

I diversi parallelepipedi costituenti la briglia sono assemblati in modo da realizzare (fig. B.13) uno

sbarramento trasversale al corso d’acqua, molto voluminoso in quanto in grado di resistere

all’azione della corrente grazie al solo peso proprio.

(Fig. B.13)

Questo tipo di opera è di facile e veloce realizzazione, quindi è poco costosa, in quanto il trasporto

delle gabbie metalliche prefabbricate è agevole anche in ambienti particolarmente impervi.

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Inoltre, le briglie in gabbioni hanno il pregio di poter essere agevolmente rinverdite e, quindi, di

avere un ridotto impatto ambientale e una sufficiente resistenza meccanica.

La principale preoccupazione che desta un’opera realizzata con gabbioni è legata alla durabilità

della rete di contenimento, fortemente pregiudicata dagli urti esercitati dai materiali lapidei

trasportati dalla corrente.

esercitano sul possono determinare, anche dopo breve tempo dalla costruzione dell’opera,

La rottura del filo di acciaio determinerebbe la perdita dell’integrità dell’opera a causa della

fuoriuscita dei massi di riempimento.

Per i motivi suddetti, l’utilizzo dei gabbioni è limitato agli alvei in cui il trasporto solido interessa

materiale fino, come accade, ad esempio, per lo sbarramento dei corsi d’acqua di pianura.

Salti di fondo

Un altro tipo di intervento che si può operare per ridurre la capacità erosiva della corrente è

la realizzazione di una “batteria” di salti di fondo, ottenuti con lavori di scavo che assegnino al

profilo del torrente una pendenza correttiva pari a quella di equilibrio.

In questo modo si riduce la cadente della corrente e, quindi, diminuisce lo sforzo tangenziale

medio, cioè l’azione erosiva esercitata dalla corrente sul contorno dell’alveo.

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INTERVENTI PASSIVI

I principali interventi strutturali passivi consistono in:

• individuazione di aree di dispersione e la realizzazione di opere di controllo della direzione delle

colate, nei tratti intermedi del torrente;

• realizzazione di bacini di sedimentazione nei tratti più a valle, caratterizzati da minore pendenza

e, quindi, da una maggiore sedimentabilità del materiale solido.

Contrastare i fenomeni di erosione intensa ha ricadute positive non solo nei luoghi della loro

manifestazione ma anche nelle zone a valle di questa, cioè in ambiente pedemontano.

Infatti, in tali zone si limitano i possibili fenomeni di allagamento conseguenti a un innalzamento

del letto dei corsi d’acqua naturali. Analogamente, nelle stesse zone si riduce il rischio di

interrimento dei collettori fognari.

E’ comunque dannoso bloccare del tutto il trasporto solido da monte in quanto, in tali

condizioni, i letti dei corsi d’acqua si approfondiscono, con possibili gravi conseguenze quali, ad

esempio:

• l’abbassamento delle falde freatiche nelle campagne latistanti;

• lo scalzamento, con rischio di crollo, al piede di opere ed infrastrutture insistenti,

• la riduzione di apporto solido alle foci fluviali e il conseguente innesco di fenomeni erosivi

costieri.

Canali di trasporto e bacini di sedimentazione

Spesso nelle zone pedemontane, a minore pendenza, il materiale solido trasportato dalla

corrente sedimenta, determinando l’innalzamento del fondo e, quindi, fenomeni di alluvionamento

delle zone latistanti. Tali fenomeni possono essere esaltati dall’eventuale presenza di infrastrutture

antropiche quali, ad esempio, i ponti, che determinano un restringimento della sezione trasversale

dell’alveo. In queste circostanze si può rendersi necessaria, a monte di tali zone, la realizzazione di

canali e bacini di sedimentazione del materiale solido più grossolano.

I canali di trasporto conducono a uno o più bacini di sedimentazione. Tali canali sono scavati

nel letto del torrente con sezioni trasversali abbastanza larghe, per abbassare il livello delle portate

al colmo, e sono costituiti da tratti il più possibile rettilinei, a fondo fisso e pendenza costante. Essi

hanno il compito di aumentare la capacità di trasporto a valle del tratto di torrente in cui sono

realizzati. Infatti, la minore scabrezza del canale determina una minore resistenza e, quindi,

incrementa la capacità di smaltimento delle portate. Talvolta, gli stessi canali sono dotati di

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arginature di protezione progettate con un franco di sicurezza che è funzione della portata di

progetto.

Per evitare che la sedimentazione avvenga a monte del bacino, tali canali di alimentazione

devono avere una pendenza di fondo sufficientemente elevata.

I bacini di sedimentazione del materiale solido più grossolano sono caratterizzati da

pendenze molto contenute e larghezze molto maggiori di quelle del canale di alimentazione.La loro

lunghezze e profondità dipendono, invece, dalle granulometrie che si intendono far sedimentare e

dalla velocità di ingresso della corrente al bacino stesso. Per salvaguardare la loro efficienza i bacini

di sedimentazione vanno sistematicamente svuotati dei sedimenti accumulati nel loro interno.

Infine, la corrente che defluisce a valle di tali bacini sarà smaltita in un corpo idrico ricettore.

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B.2 DESCRIZIONE DEGLI INTERVENTI STRUTTURALI NEGLI ALVEI DI PIANURA

INTERVENTI ATTIVI

Nei tratti di pianura gli interventi strutturali attivi hanno la funzione di ridurre la probabilità

di esondazione invasando temporaneamente parte del volume di piena.

Tra gli interventi attivi utilizzabili si ricordano:

• le vasche di laminazione,

• gli scolmatori e i diversivi,

Vasche di laminazione

Le vasche di laminazione, ( o “casse di espansione”, fig. B.14, nel caso in cui le loro

dimensioni sono rilevanti ), sono capacità realizzate in linea o in derivazione rispetto al corso

d’acqua in modo da sottrarre acqua all’alveo durante un fenomeno di piena.

(Fig. B.14)

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Il compito di tale capacità è, quindi, quello di realizzare un accumulo temporaneo di una

parte dei volumi di piena conseguenti alle precipitazioni, restituendo una portata attenuata rispetto a

quella di piena in ingresso.

Al fine di contenerne l’impatto ambientale è opportuno schermare tali vasche con vegetazione

arborea o arbustiva.

Scolmatori e Diversivi

Tra gli interventi strutturali attivi realizzabili nei tratti di pianura dei corsi d’acqua rientrano

gli scolmatori (fig. B.15) e i diversivi.

Considerate le caratteristiche del reticolo idrografico del bacino Nord-Occidentale della

Campania, tali interventi appaiono verosimilmente realizzabili praticabili soltanto con riferimento

all’asta valliva dei Regi Lagni.

Sostanzialmente sono costituiti da una soglia munita di bacino di dissipazione a valle,

seguito da un canale che viene definito fugatore . Nel caso degli scolmatori tale canale fugatore

confluisce o in un altro corso d’acqua o in un lago o a mare, mentre, nel caso dei diversivi

confluisce nello stesso corso d’acqua dopo aver superato il tratto critico.

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(Fig.B.15)

INTERVENTI PASSIVI

Nei tratti di pianura gli interventi strutturali passivi hanno la funzione di ridurre i livelli di

piena incrementando la capacità di convogliamento del corso d’acqua.

In pratica con tali interventi si mira all’adeguamento della sezione trasversale dell’alveo rispetto alle

portate che arrivano da monte.

Gli interventi più comuni sono :

• arginature;

• difese spondali;

• ricalibratura dell’alveo associata ad interventi di manutenzione ordinaria.

Arginature

Le arginature costituiscono uno degli interventi strutturali più antichi, per far fronte alle

inondazioni dei terreni latistanti un corso d’acqua di pianura in seguito ad un evento di piena.

La finalità delle arginature è ampliare la sezione trasversale del corso d’acqua lasciando

sostanzialmente inalterata la topografia dei terreni limitrofi, per permettere il convogliamento della

corrente di piena senza che questa esondi.

Esse sono disposte in senso longitudinale rispetto all’andamento dell’alveo e su entrambi i

lati.

Nei secoli sono stati realizzati continui lavori di rialzo e ringrosso di tali opere, per motivi

legati, da un lato al ripetersi di piene e rotte disastrose, dall’altra, all’espandersi delle zone

antropizzate.

Proprio l’interazione fra queste due entità in continua crescita, argini e centri abitati, ha

continuato a creare problemi di mutua sicurezza.

In genere, lo schema di un sistema di arginature comprende: il corso d’acqua, gli argini e

l’area d’esondazione controllata.

Gli argini, aventi sezione trasversale in genere trapezia, si distinguono in argini maestri (o

principali) e golenali (o secondari).

Gli argini maestri sono opere finalizzate alla protezione di aree di grande valore economico.

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Per tale motivo, ad essi sono richiesti requisiti di alta sicurezza a difesa delle piene ad elevato

periodo di ritorno, generalmente compresi tra 100 e 200 anni.

Gli argini golenali, di altezza minore rispetto a quelli maestri, hanno il compito di trattenere

nell’alveo di magra, così delimitato, le piene ordinarie.

Essi possono essere classificati in:

• argini secondari interni, situati tra il letto del fiume e l’argine principale;

• argini secondari esterni, situati nell’area inondabile alle spalle dell’argine principale.

L’esigenza degli argini interni scaturisce dalla volontà di effettuare una protezione parziale delle

aree comprese tra l’alveo e gli argini principali stessi, specialmente quando le aree golenali sono

piuttosto vaste ed adibite a colture stagionali ed anche per quelle di durate superiori.

La presenza di un piccolo argine nella golena garantisce un certo grado di protezione parziale

contro gli eventi di piena meno intensi ma più frequenti (golena difesa). Tuttavia, trattasi di zone

comunque precarie, destinate ad essere allagate durante le piene superiori a quelle ordinarie, ma che

possono però ripagare, se strappate all’alveo del fiume, della fatica e dei costi occorrenti per le

coltivazioni.

Gli argini secondari esterni completano il sistema di protezione nel caso di rottura o crolli

improvvisi dell’argine principale.

L’inconveniente fondamentale della realizzazione delle arginature è l’eventualità che si

verifichino rotte argianali.

Le rotte possono avvenire:

• per sormonto;

• per sfiancamento;

• per corrosione;

• per filtrazione.

Se il livello idrico nell’alveo supera il coronamento dell’argine si verifica la rotta per sormonto:

la tracimazione porta ad una rapida distruzione dell’opera, nella quale si crea un varco attraverso il

quale la corrente fluviale effluisce.

La rotta per sfiancamento è un cedimento della struttura che spesso è di recente costruzione e,

quindi, non ancora costipata.

La rotta per corrosione è dovuta ad un fenomeno erosivo che interessa il rilevato arginale ed, in

special modo, il piede dello stesso.

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La rotta per filtrazione si verifica quando, in seguito ad una imperfetta realizzazione del rilevato

o all’instaurarsi del fenomeno del sifonamento, si creano delle vie preferenziali di deflusso che, per

erosione, vanno via via aumentando di dimensioni, pregiudicando, attraverso la formazione dei

cosidetti fontanazzi, cioè di affioramenti idrici a valle del paramento arginale, la stabilità della

struttura.

Tuttavia, considerate le caratteristiche del reticolo idrografico del bacino Nord-Occidentale della

Campania, i tipi di arginature eseguibili nei tratti di pianura del suddetto reticolo sono costituite,

essenzialmente, da sopralzi delle sponde realizzate in muratura, calcestruzzo armato o,

preferibilmente, in gabbionate al fine di garantire un minore impatto ambientale.

Difese Spondali

La protezione delle sponde di un corso d’acqua di pianura dall’azione erosiva esercitata sulle

stesse dalla corrente idrica, può essere realizzata mediante sistemazioni di difesa spondale.

Le difese spondali vengono realizzate mediante opere longitudinali, costituite da manufatti

che si sviluppano prevalentemente nella direzione della corrente idrica e che consentono l’aumento

della capacità di resistenza delle sponde.

Le tipologie di opere da utilizzare possono essere

• muri di sponda

• rivestimenti spondali.

Muri di Sponda

Si tratta di strutture a parete verticale che possono essere realizzate, in muratura (pietrame,

calcestruzzo) gabbionate.

A seconda delle modalità di costruzione, i muri di sponda possono suddividersi in

impermeabili e permeabili.

I primi sono quelli costruiti in calcestruzzo o in muratura di pietrame e malta; i secondi sono

quelli realizzati in pietrame a secco o in gabbionate.

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Nel caso dei muri impermeabili (fig. B.16), per favorire il drenaggio del terreno retrostante,

necessario per evitare notevoli differenze di pressione tra i due paramenti del muro in

corrispondenza di repentini abbassamenti o innalzamenti del livello idrico nel corso d’acqua, si

realizzano fori di drenaggio, del diametro di circa 200 mm e, sempre per lo stesso motivo, si usa

materiale drenante per il rinterro a tergo del muro.

(Fig. B.16)

Di tale precauzione non si tiene naturalmente conto se si costruiscono strutture permeabili,

visto che in tale caso le sollecitazioni derivanti dalla differenza di pressione tra i due paramenti e le

sottopressioni sono meno rilevanti.

L’inconveniente che, invece, potrebbe aversi nel caso di muri permeabili (fig. B.17 e B.18) è

quello del sifonamento per asportazione di materiale fino presente a tergo del muro.

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(Fig. B.17)

Per scongiurare tale situazione si pone a tergo del muro uno strato di materiale granulare

(filtro), di dimensioni maggiori di quello retrostante. A volte dietro lo strato di materiale granulare,

o in sostituzione dello stesso, si possono impiegare materiali geotessili.

Per quanto concerne il dimensionamento di tale filtro si rimanda a quanto sarà proposto nel

paragrafo relativo ai rivestimenti.

Altro aspetto interessante riguarda la fondazione di tali muri. Infatti, in seguito ai fenomeni

di erosione al fondo dell’alveo, dovuti all’effetto di trascinamento della corrente, si possono avere

cedimenti del terreno di fondazione oppure lo scalzamento della base di appoggio della struttura.

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(Fig. B.18)

In tali casi è consigliabile approfondire il piano di posa della fondazione ad una profondità

tale da scongiurare gli effetti negativi del fenomeno erosivo; in situazioni estreme si può pensare di

proteggere il piede dell’opera con paratie in cls o palancolate metalliche o usare una fondazione su

pali (fig.B.18).

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Per ovviare a tale inconveniente si possono usare anche scogliere di pietrame di pezzatura

opportuna oppure materassi di gabbionate che si protendono verso il centro dell’alveo per

un’estensione pari ad almeno 1,5 ÷2 volte la profondità massima di escavazione prevista.

I muri di sponda permeabili possono essere realizzati anche con gabbionate ( figg. B.19 e

B.20 ).

(Fig. B.19)

(Fig. B.20)

Quest’ultime sono costituite da contenitori prismatici a sezione rettangolare realizzati con

una rete metallica, riempiti con materiale lapideo granulare. La rete metallica è sovente trattata con

zincatura e sono possibili rivestimenti con materiale di tipo plastico per resistere meglio agli agenti

atmosferici. Il materiale lapideo di diametro minimo tale da essere leggermente superiore alle

dimensioni della maglia e di diametro massimo inferiore a 1,5 volte la dimensione della maglia

della rete, non deve essere friabile né soggetto ad abrasione. I gabbioni possono essere realizzati con

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diverse dimensioni; generalmente hanno una lunghezza di 2 ÷ 4 metri, una larghezza di 1 metro e

una altezza di 0,50 ÷1 metro. Per quanto riguarda le fondazioni, le gabbionate possono essere

fondate direttamente in alveo o su un platea realizzata con gabbioni di piccolo spessore ( circa 0,50

metri ) detti materassi.

La particolarità di tale opera è quella di essere, rispetto ai muri in calcestruzzo o a quelli in

muratura di pietrame legato con malta, più flessibile e quindi in grado di assorbire i cedimenti di

fondazione, senza subire particolari danni.

Allo scopo di mitigare l’impatto visivo, i muri di sponda possono essere anche rivestiti. Nel

caso di muri o in calcestruzzo si può utilizzare pietrame a vista, nel caso di strutture permeabili, si

possono impiantare, invece, talee di specie vegetali, disposte negli spazi vuoti lasciati liberi tra i

massi o i gabbioni.

Rivestimenti spondali

Tali sistemazioni hanno diverse funzioni e in base a ciò possono essere di diverso tipo.

Le funzioni più importanti oltre a quella di difendere la sponda dai fenomeni erosivi della

corrente del corso d’acqua, sono anche quella di difendere la stessa dall’azione erosiva degli agenti

atmosferici e quella di migliorare, in taluni casi, le condizioni di stabilità della scarpata. L’impiego

di tali sistemazioni può essere utile anche per problemi di impermeabilizzazione.

Una delle tecniche di sistemazione spondale più semplice è quella dell’inerbimento. Essa

garantisce dall’azione erosiva della corrente semprechè questa non sia particolarmente intensa e in

particolare difende la sponda dall’azione degli agenti atmosferici. L’utilizzo di materiale vegetale

per la sistemazione a verde delle sponde si può avere anche mediante l’impianto di talee di specie

vegetali arbustive. In entrambi i casi le modalità di intervento sono state già descritte nel paragrafo

A.1

Un esempio di tale tipo di sistemazione è mostrato in fig. B.21.

Le stesse tecniche possono essere utilizzate per rivestire opere di difesa spondale in scogliera

o gabbioni; in particolare, la presenza di talee tra i vuoti del materiale lapideo consente di migliorare

la stabilità della struttura legando tra loro i vari massi.

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(Fig. B.21)

Al materiale lapideo e al materiale vegetale possono essere aggiunti anche materiali

geotessili di origine sintetica. Essi sono composti da polimeri quali poliestere, polietilene e

polipropilene. I geotessili possono avere struttura bidimensionale o struttura tridimensionale; nel

primo caso si parla di reti o griglie, nel secondo caso si parla di stuoie, materassi e geocelle (fig.

B.22).

I rivestimenti spondali possono essere utilizzati anche per costituire il sottofondo dei

rivestimenti spondali in scogliere di pietrame in modo da fungere da filtro tra la scogliera stessa e il

terreno retrostante ( figg. B.23 e B.24).

Nei casi in cui la corrente non ha una elevata velocità il geotessile può essere posto a

contatto diretto con la corrente sempreché i vuoti delle griglie o delle reti siano parzialmente

riempiti con ghiaia legata con bitume.

Sotto il nome di geotessili vanno anche considerati materiali composti da fibre naturali

biodegradabili come le reti di juta o le stuoie di paglia o fibra di cocco, si parla in tale caso di bioreti

o biostuoie. Tali prodotti vengono utilizzati insieme a reti di materiale sintetico che ha la funzione

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di supporto. In realtà, proprio perché si tratta di materiale biodegradabile la loro funzione di

protezione ( soprattutto dagli agenti atmosferici ) è del tutto temporanea in attesa che si affermi la

vegetazione spontanea (figg. B.25 e B.26).

(Fig. B.22)

(Fig. B.23)

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(Fig. B.24)

Infine ci sono da considerare le geocelle che con la loro struttura alveolare a nido d’ape

svolgono una funzione di contenimento e di rinforzo della scarpata.

Tra le tecniche di rivestimento può essere utilizzata anche quella che consente di realizzare

una scogliera in pietrame a secco, detta anche rip-rap (fig. B.27).

Si tratta di scaricare alla rinfusa, sulla

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(Fig. B.25)

(Fig. B.26)

sponda, pietrame di diversa forma e pezzatura che resiste all’azione di trascinamento esercitata dalla

corrente grazie al peso proprio. Il pietrame è costituito da materiale proveniente da cave ed ha, in

genere, forma squadrata, dimensioni comprese tra 200 e 800 mm e peso variabile tra 10 e 1000kg. A

volte, per aumentare l’efficacia, ma anche per ridurre le dimensioni dei massi, si usa collegare

questi ultimi con funi di acciaio fissate a ganci cementati nei massi stessi.

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(Fig. B.27)

In genere, una volta posta in opera, si ottiene una struttura molto flessibile in grado di

rimanere integra a seguito di cedimenti differenziali tra i massi; d’altra parte l’eventuale danno della

struttura avviene nella maggior parte dei casi con gradualità e ciò consente di ripristinarla

ricaricandola con altro pietrame.

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PARTE II

INTERVENTI DI STABILIZZAZIONE DEI PENDII

E DI PROTEZIONE DAGLI EVENTI FRANOSI

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INTRODUZIONE

Gli interventi di stabilizzazione dei pendii e di protezione dagli eventi franoso si distinguono, per

tipologie e tecniche costruttive a seconda che i materiali coinvolti siano rocce sciolte o lapidee;

pertanto di seguito si tratteranno separatamente le due problematiche.

A. ROCCE SCIOLTE

Nel territorio dell’Autorità di Bacino Nord-occidentale della Campania il rischio da frana di rocce

sciolte è connesso a movimenti di tipo “colata rapida di fango” le quali si sviluppano all’interno

delle coltri piroclastiche che ammantano versanti caratterizzati da un’ossatura lapidea.

Tali fenomeni sono di neoformazione e si sviluppano senza apprezzabili segni premonitori.

A.1. Interventi di stabilizzazione dei pendii

Gli interventi di stabilizzazione dei pendii hanno lo scopo di conferire al versante un coefficiente di

sicurezza tale da garantirne la stabilità, sono pertanto da annoverarsi tra gli interventi attivi.

Si deve sottolineare che gli interventi in questione si presentano, in genere, di difficile realizzazione

sia per le indubbie difficoltà di accesso (i versanti in questione presentano pendenze superiori i 30°)

sia per la difficoltà di individuare le aree su cui intervenire, sia per la possibilità di inserire opere

che possano essere esse stesse cause di innesco (v. ad es. le piste di accesso).

A.1.1. Opere di sostegno

Nel versante si possono prevede delle opere di sostegno quali:

• muri,

• gabbionate,

• paratie di pali.

Queste opere presentano in genere difficoltà notevoli di realizzazione oltre che per quanto ricordato

poco sopra, anche per la difficoltà di dotare le opere di adeguate fondazioni, infatti a causa della

ridotta stabilità delle coltri superficiali è necessario fondare i muri o le gabbionate su micropali

inseriti nella formazione lapidea; le stesse paratie devono essere spinte fino ad essere inserite nella

formazione lapidea; frequente è necessario prevedere la tirantatura dei muri o delle paratie.

La loro applicazione è limitata al sostegno di aree, di ridotta estensione e in cui i corpi instabili

presentano spessori contenuti.

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A.1.2. Opere di placcaggio

Le coltri piroclastiche in equilibrio precario possono essere stabilizzate attraverso reti metalliche

radenti fissate alla sottostante formazione lapidea tramite chiodi di opportuna lunghezza e sezione

di armatura; le reti posso essere rinforzate da funi di acciaio anch’esse vincolate ai chiodi.

L’intervento può essere completato con la piantumazione di essenze caratterizzate da importanti

apparati radicali oltre che da reti tridimensionali antierosione.

L’impiego di questa tecnica di stabilizzazione trova limitazione nell’elevato costo di realizzazione e

nella necessità di procedere, preliminarmente alla stesa delle reti, al taglio di tutta la vegetazione

presente sulla pendice senza però asportarne gli apparati radicali.

A.1.3. Opere di regolamentazione delle pressioni neutre

Sono rappresentate da trincee drenanti disposte lungo le linee di massima pendenza con disposizioni

a “pettine” o a “spina di pesce”.

La loro profondità non supera i 5 m così come la larghezza è dell’ordine del metro.

I materiali di riempimento sono rappresentati da ghiaia, protetta con geotessile; la parte sommitale è

normalmente riempita con terreni a bassa permeabilità (limo più meno argilloso) per impedire

l’immissione delle acque ruscellanti nel sottosuolo.

Nel caso in questione la loro applicazione appare limitata a casi isolati, infatti le coltri piroclastiche

instabili sono di norma poste ben al di sopra del pelo libero della falda idrica.

A.1.4. Modifica della geometria del versante

Questo tipo di intervento consiste essenzialmente nel ridurre la pendenza media del versante

attraverso scavi eseguiti nella parte sommitale e rinterri al piede.

Nel caso di versanti costituiti da coltri piroclastiche si è normalmente in una condizione

riconducibile allo schema di “pendio indefinito” nel quale non appare possibile eseguire questo tipo

di intervento, infatti il problema verrebbe spostato nelle zone a monte ed in quelle a valle dell’area

trattata.

Si deve ancora ricordare che questo tipo di intervento può comportare la messa in comunicazione di

livelli molto permeabili con la superficie topografica con il possibile inserimento nel sottosuolo di

grandi quantità di acqua. Tale circostanza può essere motivo di innesco di movimenti franosi.

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A.2. Interventi di protezione dagli eventi franosi

Gli interventi di protezione dagli eventi franosi hanno lo scopo di proteggere persone e beni

dall’evento, sono pertanto da annoverarsi tra gli interventi passivi.

La progettazione di questi interventi richiede la valutazione di parametri spesso di difficile stima

quali: il volume, la velocità e la distanza di espansione del corpo franoso. Riveste, inoltre, una

notevole complessità lo studio dell’interazione tra le opere e la massa fluida in movimento tanto che

si deve ricorrere spesso a prove su modelli.

Le tipologie di intervento, di seguito brevemente elencate, possono essere utilizzate singolarmente o

integrate fra di loro.

A.2.1. Vasche di accumulo

Si tratta di vasche, poste ai piedi dei versanti ed in corrispondenza delle incisioni vallive, in cui si

fanno confluire le colate di fango.

Il dimensionamento delle vasche richiede una attenta stima dei volumi instabili.

A.2.2. Gallerie artificiali

Si utilizzano per la protezione di vie di comunicazione, possono essere eventualmente dotate di

vasche per il contenimento del corpo di frana.

A.2.3. Muri di protezione e canali di gronda

Per la protezione di frane di versante si possono realizzare dei muri di protezione, eventualmente

integrati da canali di gronda. La stima dell’altezza del muro e delle sollecitazioni su di esso agenti

necessita della valutazione della velocità del corpo franoso e della sua massa.

A.2.4. Opere di dissipazione

Il potere distruttivo delle colate rapide è dovuto alla grande energia cinetica posseduta dalla massa

in movimento. L’inserimento lungo il percorso di opere aventi la funzione di dissipare parti rilevati

di energia riducono in modo significativo il potere distruttivo della colata.

Tali opere possono essere costituite da reti metalliche del tipo di quelle utilizzate per la protezione

dalla caduta di massi, di ostacoli disposti su due o più file.

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B. ROCCE LAPIDEE

Nel territorio dell’Autorità di Bacino Nord-occidentale della Campania sono presenti falesie e

costoni rocciosi in rocce lapidee carbonatiche, piroclastiche ed effusive. Da tali pareti si possono

distaccare elementi, in alcuni casi anche di grandi dimensioni che acquistano elevata energia

cinetica durante la caduta.

Anche in questo caso si tratta di fenomeni caratterizzati da un elevato potere distruttivo, in rapporto

alle volumetrie relativamente modeste, proprio perché sono in gioco grandi energie potenziali che si

trasformano in energia cinetica. Sono ancora fenomeni ad evoluzione rapidissima e ciò conferisce

una elevata pericolosità.

Tali fenomeni sono di neoformazione e si sviluppano senza apprezzabili segni premonitori.

B.1. Interventi di stabilizzazione dei pendii

Gli interventi di stabilizzazione hanno lo scopo di conferire alle masse in equilibrio precario,

presenti sul versante, un coefficiente di sicurezza tale da garantirne la stabilità, sono pertanto da

annoverarsi tra gli interventi attivi.

Si deve sottolineare che gli interventi in questione si presentano necessitano di accurati studi per la

definizione dei volumi instabili ed, inoltre, per la loro realizzazione richiedono l’uso di personale

esperto di tecniche alpinistiche.

B.1.1 Chiodature

La massa instabile, soprattutto se costituita da elementi di dimensioni superiori al metro cubo

possono essere assicurate alla sottostante formazione rocciosa integra con tiranti e chiodi.

La lunghezza dei chiodi deve essere tale da superare la porzione di roccia allentata. I chiodi possono

essere realizzati o con barre di acciaio da calcestruzzo (tipicamente si usano barre fino a ∅ 26) e in

alcuni casi, quando sono richieste elevati sforzi di trazione acciai speciali ad. Le barre sono giuntate

attraverso manicotti filettati e nella parte esterna sono completate da piastre in acciaio.

In qualche caso si possono utilizzare tiranti in cavi di acciaio ad alto limite di snervamento pretesi.

B.1.2. Muri e sottofondazioni

Sempre nel caso di elementi lapidei di grandi dimensioni è qualche volta possibile garantirne la

stabilità attraverso la costruzione di muri, barbacani e sottofondazioni. Questo tipo di opere sono

possibili dolo se le condizioni geometriche della falesia lo consentono. Possono presentare un

notevole impatto visivo.

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B.1.3. Reti radenti, funi di acciaio

I massi possono essere imbracati, se di grandi dimensioni, con funi metalliche o con reti

eventualmente rinforzate da funi di acciaio se di dimensioni ridotte.

I cavi e/o le reti metalliche sono vincolate alla roccia integra con chiodi armati con barre metalliche

o con funi di acciaio.

Se le reti sono posizionate con cura e cioè vengono stese in aderenza alla parete rocciosa si hanno

impatti visivi ridotti.

Spesso le alte falesie rocciose sono zone di nidificazione di uccelli, ad esempio rapaci, corvi ecc. è

quindi importante prevedere, in corrispondenza delle zone di nidificazione varchi nelle reti stesse.

B.1.4. Disgaggio

Il disgaggio delle masse pericolanti è un intervento che si pone al confine tra gli interventi attivi e

quelli passivi; infatti consiste nel far cadere a valle le porzioni di parete e masi isolati in condizioni

controllate.

Il distacco dovrebbe avvenire con l’uso di leve, martinetti, espansivi ricorrendo agli esplosivi solo

in caso di assoluta necessità, infatti l’onda d’urto di provocata dall’esplosione tende a danneggiare

la roccia in posto con conseguente aumento della velocità di degrado della roccia stessa.

Si tratta comunque di interventi non risolutori i quali devono quindi essere seguiti da interventi di

stabilizzazione o quantomeno da periodiche ispezioni in parete.

B.2. Interventi di protezione dalla caduta di massi

Gli interventi di protezione dalla caduta di massi hanno lo scopo di proteggere persone e beni

dall’evento, sono pertanto da annoverarsi tra gli interventi passivi.

La progettazione di questi interventi richiede la valutazione del volume, della velocità e della

distanza di invasione.

B.2.1. Gallerie artificiali

Si utilizzano per la protezione di vie di comunicazione, possono essere eventualmente dotate di

vasche per il contenimento.

B.2.2. Barriere

Si tratta di reti metalliche realizzate a volte con cavi dotate di elevata resistenza e deformabilità. Il

loro dimesionamento e posizionamento richiede una accurata analisi sia delle traiettorie seguite

dalla caduta dei massi sia sulla distribuzione delle loro velocità di impatto sia ancora sulla

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distribuzione delle masse in gioco; infatti il dimensionamento dipende dall’energia di impatto e

dall’altezza delle traiettorie.

Un progetto ben articolato prevede in genere interventi sia di tipo passivo sia di tipo attivo in parete

per impedire la caduta di elementi molto grandi o comunque caratterizzati da elevata energia

potenziale.

L’uso delle barriere è possibile solo se esiste una significativa distanza tra parete e bene da

proteggere.

B.2.3. Valli ed argini

Le barriere possono essere sostituite da valli ed argini aventi la vunzione di intrappolare gli

elementi lapidei. Il loro dimesionamento e posizionamento richiede una accurata analisi sia delle

traiettorie seguite dalla caduta dei massi sia sulla distribuzione delle loro velocità di impatto sia

ancora sulla distribuzione delle masse in gioco. Sono in genere in grado di assorbire energie

superiori a quelle delle reti metalliche.