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Regione Campania Autorità di Bacino del Sarno L. R. 7.2.1994, n. 8 PIANO STRALCIO DI BACINO PER L’ASSETTO IDROGEOLOGICO A G G I O R N A M E N T O Descrizione elaborato R01 Luglio 2011 Gruppo di lavoro S.T.O. A.d.B. Sarno coordinamento elaborato dr. Geol. F. Baistrocchi R.U.P. dr. geol. F. Baistrocchi Commissario Straordinario ing. Pasquale Marrazzo RELAZIONE GENERALE

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Regione Campania

Autorità di Bacino del SarnoL. R. 7.2.1994, n. 8

PIANO STRALCIO DI BACINO PER L’ASSETTO IDROGEOLOGICO

A G G I O R N A M E N T O

Descrizione elaboratoR01

Luglio 2011

Gruppo di lavoro

S.T.O. A.d.B. Sarno

coordinamento elaboratodr. Geol. F. Baistrocchi

R.U.P. dr. geol. F. Baistrocchi

Commissario Straordinarioing. Pasquale Marrazzo

RELAZIONE GENERALE

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PIANO STRALCIO PER L’ASSETTO IDROGEOLOGICO

AGGIORNAMENTO 2010

RELAZIONE GENERALE

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INDICE

CAPITOLO 1 – OBIETTIVI E SINTESI DEI RISULTATI

1.0 – Premessa pag. 4

1.1 – Azioni immediate: riperimetrazione delle aree a rischio pag. 6

1.2 – Azioni a medio termine: interventi strutturali pag. 6

1.3 – Azioni a regime: uso del suolo come difesa pag. 7

CAPITOLO 2 – RISCHIO DA FRANA

2.1 – Assetto del territorio e franosità storica pag. 8

2.2 – Pericolosità geomorfologica pag. 13

2.3 – Carta degli insediamenti e delle Infrastrutture pag. 29

CAPITOLO 3 – USO DEL SUOLO E STABILITÀ DEI VERSANTI

3.1 – la copertura vegetale sui versanti pag. 33

3.2 – Azioni stabilizzanti pag. 36

3.3 – Azioni destabilizzanti pag. 38

3.4 – Azioni risultanti pag. 42

CAPITOLO 4 – RISCHIO DA INONDAZIONE

4.1 – Perimetrazione delle fasce fluviali montane nei comuni di Sarno, Siano e Bracigliano pag. 43

4.2 – Aggiornamento delle fasce fluviali e delle aree a rischio idraulico alla luce degli interventi realizzati e/o programmati per l’asta fluviale del torrente Solofrana e dell’alveo Comune Nocerino pag. 44

4.3 – Aggiornamento Norme di attuazione ed Allegati Tecnici pag. 54

CAPITOLO 5 – MISURE PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO

5.1 – Strategie generali pag. 56

5.2 – Piani di allerta rapida pag. 61

5.3 – Infrastrutture non delocalizzabili e interventi strutturali pag. 63

5.4 – Programmazione dell’uso del suolo pag. 65

5.5 – Adeguamento normativa di attuazione del PSAI pag. 77

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5.6 – Aggiornamento delle conoscenze su problematiche specifiche relative al rischio idrogeologico: il caso dei “sinkhole” pag. 80

APPENDICE – Regolamentazione dell’uso del suolo sui versanti ai fini della riduzione del rischio idrogeologico pag. 84

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CAPITOLO 1 - OBIETTIVI E SINTESI DEI RISULTATI

1.0 Premessa

I piani di bacino sono per definizione strumenti dinamici, soggetti ad aggiornamenti e revisioni che

possono essere periodici ovvero determinati da cause specifiche, come previsto dall’art. 54 delle

“Norme di attuazione”1 del Piano finora vigente.

L’aggiornamento del PSAI dell’AdB del Sarno, in vigore dall’aprile del 2002, ha trovato impulso

dagli eventi alluvionali verificatisi negli ultimi anni ed è stato attivato con l’obiettivo specifico di

individuare nuove misure per la riduzione del rischio idrogeologico.

Archiviata l’esperienza delle grandi opere strutturali realizzate dal Commissariato per l’Emergenza

Idrogeologica, ed anche al fine di ridurre i disagi per le popolazioni sottoposte a misure

emergenziali di protezione civile, si è cercato di individuare strategie di azione estendibili a tutto il

territorio dell’Autorità - se non a tutto l’ambito regionale – basate sullo sviluppo di attività antropiche

ordinarie che fossero, al tempo stesso, efficaci per la difesa dal rischio idrogeologico.

Nel presente aggiornamento la perimetrazione delle aree a rischio di frana include anche i territori

dei Comuni di Sarno, Siano e Bracigliano, per i quali è nel frattempo cessata la fase di emergenza

idrogeologica seguita all’alluvione del maggio 1998 e gestita, per la classificazione e la riduzione

del rischio, dal Commissariato di Governo istituito con OPCM n. 2787 del 21/05/98.

La necessità di modelli di prevenzione del dissesto idrogeologico fondati su strategie di

integrazione tra conoscenza e previsione dei fenomeni, azioni ingegneristiche di messa in

sicurezza, presidio del territorio con monitoraggio delle dinamiche gravitative, controllo degli usi

antropici, comporta una periodica attività di revisione del piano stralcio da conseguire mediante un

piano di mitigazione del rischio idrogeologico che sia studiato con particolare riferimento:

a) ai territori interessati da possibili colate rapide in terreni di origine piroclastica;

b) agli aspetti connessi all’uso del suolo e alla copertura vegetazionale sui versanti.

1 ARTICOLO 54. Aggiornamento e varianti del piano (parte).

1. Il piano stralcio può essere integrato e sottoposto a varianti su iniziativa dell'Autorità di bacino, ovvero anche a seguito di istanze di soggetti pubblici e privati corredate da documentazione e rappresentazione cartografica idonea, con le stesse procedure necessarie per la sua adozione ed approvazione, in relazione a:

a. studi specifici corredati da indagini ed elementi informativi a scala di maggior dettaglio prodotti da pubbliche amministrazioni;

b. nuovi eventi idrogeologici da cui venga modificato il quadro della pericolosità idrogeologica; c. nuove emergenze ambientali; d. significative modificazioni di tipo agrario-forestale sui versanti o incendi su grandi estensioni boschive; e. acquisizione di nuove conoscenze in campo scientifico e tecnologico, o storiche, provenienti da studi o dai

risultati delle attività di monitoraggio del piano; f. variazione significativa delle condizioni di rischio o di pericolo derivanti da azioni ed interventi non strutturali e

strutturali di messa in sicurezza delle aree interessate;

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In particolare il lavoro di revisione del piano si è sviluppato nelle seguenti fasi:

FASE I

Analisi dei fenomeni storici di instabilità ad alta intensità dei versanti registrati nel bacino;

Analisi fisica dei versanti, riguardo ad aspetti geomorfologici, litologici, pedologici e vegetazionali

con particolare riferimento all’azione e all’efficienza della copertura forestale, alle forme di governo

e trattamento praticate e agli elementi di degrado intervenuti nella stessa copertura forestale

(abbandono, utilizzazioni irregolari, incendi, alterazioni dei deflussi);

FASE II

Analisi delle trasformazioni recenti dei versanti (tagli boschivi, piani di assestamento forestale,

cambi di coltura, incisioni antropiche);

Analisi e approfondimenti delle relazioni intercorrenti tra fenomeni di instabilità e antropizzazione

dei versanti;

FASE III

Definizione delle strategie di prevenzione adottabili in funzione delle condizioni e delle cause

dell’instabilità, nonché delle compatibilità tra usi del suolo e stabilità dei versanti;

FASE IV

Aggiornamento delle cartografie del rischio da frana di colata rapida;

Aggiornamento dei programmi per la riduzione del rischio da frana, con particolare riferimento alle

seguenti azioni sottodistinte:

− piani di allertamento della popolazione

− interventi strutturali e opere di manutenzione;

− interventi colturali come miglioramento dell’efficienza della copertura forestale;

− uso della selvicoltura come investimento nella difesa del suolo;

− incentivazione all’uso del suolo come presidio;

− adeguamento normativo.

La riduzione del rischio si articola, dunque, in tre categorie di azioni differite nel tempo: una prima

di attuazione immediata, una seconda attuabile nel giro di qualche anno ed infine una a carattere

duraturo nel tempo.

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1.1 Azioni immediate: Riperimetrazione delle aree a rischio e piani di allertamento

La prima attività sviluppata nel piano per la riduzione del rischio è stata la riperimetrazione della

carta di pericolosità, cercando di individuare eventuali altre situazioni di rischio in un nuovo

contesto geomorfologico.

Ciò allo scopo di fornire, alle strutture competenti per l’attuazione dei piani di protezione civile, un

quadro più aggiornato delle aree da sottoporre a misure di allerta rapida della popolazione.

Attraverso l’analisi geomorfologica dei versanti carbonatici e delle aree di fondovalle2, si è

pervenuti alla riperimetrazione della carta di pericolosità da frana, ponendo massima attenzione a

quelle aree urbanizzate poste alla base di versanti carbonatici ricoperti da sedimenti sciolti ma privi

di evidente concentrazione del deflusso superficiale.

Per effetto del dettaglio metodologico con cui è stata condotta l’analisi di suscettività al dissesto, i

risultati delle riperimetrazioni evidenziano, nel complesso, una sostanziale riduzione delle superfici

a pericolosità elevata e molto elevata a vantaggio di quelle a pericolosità media e bassa.

In alcuni casi anche la realizzazione di grandi opere strutturali3 ha prodotto una riduzione di

superficie vulnerabile, ma va ricordato che la gran parte degli interventi per la mitigazione del

rischio realizzati dopo l’entrata in vigore del PSAI è consistita in opere di regimazione dei deflussi

idrici e/o opere di difesa dall’erosione superficiale. L’efficacia di tali tipologie di Interventi –.i quali

incidono poco significativamente sui fattori predisponenti il rischio – più che in una riduzione delle

superfici esposte può manifestarsi in un aumento delle soglie pluviometriche di innesco e, dunque,

in una riduzione della probabilità di evento dei fenomeni franosi.

1.2 Azioni a medio termine: Interventi strutturali

Con l’avvento della Legge 179/2002 le competenze in materia di programmazione e attuazione

degli interventi nel settore della difesa del suolo sono state centralizzate e trasferite in capo al

Ministero dell’Ambiente, che provvede ad erogare direttamente ai Comuni i finanziamenti,

indebolendo in tal modo le competenze territoriali delle Autorità di Bacino e delle Regioni.

2 per le cui specifiche metodologiche si rimanda alle relazioni dei consulenti scientifici

3 In particolare da parte del Commissario di Governo per l’E.I. ex O.M. 2787/98 e segg.

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I fondi comunitari della programmazione POR 2000-2006 ed i finanziamenti del CIPE, quindi,

hanno rappresentato dal 2002 ad oggi, di fatto, le uniche risorse “fresche” di cui ha potuto

beneficiare la Regione per proseguire nel cammino intrapreso ai fini della eliminazione/riduzione

delle numerose situazioni di rischio idrogeologico ancora presenti sul territorio regionale, avendo

come obiettivo l’attuazione della pianificazione di bacino nel suo complesso.

Tra i vari interventi inseriti, a fasi successive, in programmi finanziati con risorse CIPE, fondi

strutturali POR, residui ed economie provenienti dal bilancio statale o regionale, il presente Piano

ne individua e segnala alcuni4 ritenuti prioritari anche in base ai recenti studi eseguiti.

1.3 Azioni a regime: Uso del suolo come difesa

Attraverso il rilievo della copertura vegetale sui versanti e l’analisi delle sue interazioni con i

fenomeni di instabilità, sono state definite specifiche misure di governo del territorio – basate sullo

sviluppo di attività antropiche ordinarie - finalizzate a diminuire la suscettività all’innesco di colate

rapide.

L’analisi degli eventi di frana ha evidenziato l’importanza che, in senso positivo o negativo, le

attività d’uso del suolo e le alterazioni di origine antropica dell’assetto idrogeologico assumono per

la stabilità dei versanti.

Le misure finalizzate alla riduzione del rischio da frana, in tale ambito, tendono pertanto a

regolamentare l’utilizzo del territorio nelle aree di versante, da un lato contrastando i fattori

instabilizzanti quali, ad esempio, incendi boschivi, tagli impropri della copertura forestale, aperture

di piste e sentieri non supportati da adeguata progettazione, dall’altro promuovendo ed

incentivando lo sviluppo di attività agricole che garantiscano la manutenzione del suolo e la

regimazione dei deflussi idrici.

Con riferimento alle attività di programmazione demandate alla Regione ai fini dell’applicazione

dell’art. 67 del D. L.vo 152/2006, sono in ogni caso da considerarsi prioritari le infrastrutture ed i

manufatti ricadenti in aree classificate “a rischio molto elevato”.

Nell’ambito di successivi approfondimenti del PSAI l’Autorità di Bacino, di concerto con le

Amministrazioni Comunali, potrà aggiornare ed integrare la carta degli insediamenti antropici

individuando infrastrutture e manufatti su cui applicare eventuali misure incentivanti previste ai fini

di un loro adeguamento o rilocalizzazione5.

4 Vedi paragrafo 4.3

5 Vedi paragrafo 2.3

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CAPITOLO 2 – PERICOLOSITÀ E RISCHIO IDROGEOLOGICO

2.1 Assetto del territorio e franosità storica

Il bacino idrografico del Sarno si estende a cavallo delle tre Province di Napoli, Salerno e

Avellino e occupa una superficie complessiva di circa 715 km2, ripartita tra 60 Comuni, sulla

quale insiste una popolazione di circa 1.650.000 abitanti, con una densità media di 2.308

ab/km2. La parte centrale del bacino è la pianura denominata agro sarnese-nocerino,

attraversata dal fiume Sarno e dai suoi affluenti, delimitata a Ovest dalle falde del Vesuvio, a

Sud dai Monti Lattari e dal golfo di Napoli, a Nord dal Pizzo d’Alvano e dai primi contrafforti del

gruppo montuoso del Partenio, a Est dalle propaggini occidentali dei monti Picentini.

La pianura è attraversata dal corso del Sarno e dei suoi principali affluenti in sinistra, la

Solofrana e la Cavaiola, che si incontrano nell’Alveo Comune a Nocera Inferiore, prima di

sfociare nel Sarno a S. Marzano.

Il Sarno è alimentato dalle sorgenti che sgorgano ai piedi del complesso carbonatico del Pizzo

d’Alvano; la Solofrana e la Cavaiola, in buona parte canalizzati, sono invece ormai alimentati

quasi esclusivamente dagli scarichi civili e industriali immessi lungo i rispettivi corsi. Si tratta

comunque di brevi corsi d’acqua, che sottendono bacini di estensione modesta, come risulta

dalla tabella in figura 1.

Corso d’acqua Lunghezza (km) Superficie del bacino (km2)

Sarno 22 216,97

Solofrana 20 135,40

Cavaiola 8 86,60

TOTALE 438,97

Figura 1: Corsi d’acqua principali nel bacino del Sarno

La modesta dimensione del reticolo idrografico e l’altezza non imponente dei rilievi circostanti,

che di rado superano la quota di 1.000 m., sono inversamente correlate alla rilevanza dei

problemi idrogeologici che affliggono l’area da tempi remoti e sono documentati già a partire dal

XVIII secolo. Ad essi non sfuggono né le aree di versante, interessate da fenomeni franosi di

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diversa natura, né quelle di pianura, periodicamente assoggettate ad alluvioni. Niente di strano

perciò che l’intera area fosse interessata da opere di bonifica già a partire dall’inizio dell’800,

realizzate con lo scopo principale di intercettare le colate detritiche provenienti da monte e di

indirizzarle in aree lontane dagli insediamenti umani, dove la loro energia cinetica veniva

smorzata in grandi vasche di laminazione.

La vicinanza dell’area alla capitale del regno e l’esistenza di un sistema produttivo abbastanza

esteso hanno consentito la conservazione di numerose testimonianze sull’assetto economico-

produttivo e sociale nel XIX secolo, sulle forme di uso del territorio, sull’evoluzione dei fenomeni

fisici che lo interessarono e spesso lo devastarono, sullo sviluppo delle conoscenze, delle

tecniche e delle strategie per la prevenzione di alluvioni e frane.

L’instabilità dei versanti è un problema noto da secoli nel bacino del Sarno nella sua gravità

spesso funesta. La prima colata rapida di piroclastiti documentata dai contemporanei è quella

verificatasi sul versante nord del monte Pendolo, che provocò numerose vittime a Gragnano nel

1764. Il fenomeno si ripeté neanche un secolo dopo sullo stesso versante, con la colata del

gennaio 1841, che lasciò circa cento vittime. La pubblicistica dell’epoca si arricchisce sempre di

più, a partire dall’inizio dell’800, di studi e saggi che descrivono le rovine prodotte dalle alluvioni

e mettono in relazione i problemi dell’ordinamento idraulico del piano con quelli della

sistemazione della montagna. A partire dalle riflessioni dell’abate Teodoro Monticelli6, fino a

quelle di Carlo Afan de Rivera, celebre direttore generale dell’Amministrazione dei ponti e

strade, il primo a suddividere, ante litteram, il territorio in bacini idrografici e a elaborare, proprio

sulla base di tale suddivisione, strategie “per riordinare l’industria campestre dei monti e delle

pianure e l’economia delle acque e per rendere ubertose le campagne devastate e infette”. 7

In una relazione del 1843, dedicata proprio al bacino del Sarno, Afan de Rivera compie una

lucida diagnosi dello stato dei versanti, mettendo l’indice sulle cause dei ricorrenti dissesti e

indicando i provvedimenti necessari8, tra i quali in particolare si evidenziano:

• La fiducia in un modello di sistemazione idrogeologica fondato soprattutto sulla correttezza

dell’uso del suolo sul versante (il ricorso a selve cedue e a fasce boscose in luogo delle pendici

6 T. Monticelli: Sulla economia delle acque da ristabilirsi nel Regno di Napoli, Napoli, 1809.

7 C. Afan De Rivera: Considerazioni sui mezzi da restituire il valore proprio ai doni che la natura ha largamente conceduto al regno delle due Sicilie. Napoli, 1832-33. 8 Relazione del direttore generale di Ponti e Strade e delle Acque e Foreste e della Caccia, Carlo Afan de Rivera, al ministro segretario di Stato degli Affari Interni, sul regime delle acque del bacino del Sarno e sulle conclusioni della Commissione per le parate e le acque del Sarno istituita con sovrana determinazione del 6 agosto 1843. Archivio Centrale dello Stato, Ministero dei Lavori Pubblici.

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dissodate), in funzione di un sistema di difesa attiva basato sul “rinsaldamento de’ terreni

solcati dalle acque”.

• Il ricorso alle forme di difesa passiva (il “formar vasche nelle quali si depositino le alluvioni”)

come momento secondario e complementare di una sistemazione basata principalmente sulle

forme di difesa attiva.

E’ chiaro, d’altra parte, che dai tecnici dell’epoca non potevano essere compresi appieno i

meccanismi di formazione dei fenomeni di cui furono testimoni. Non vi era ancora la

consapevolezza, maturata molti decenni più tardi, della esasperata predisposizione ai fenomeni

di colata rapida offerta dalla particolare successione litologica dei versanti, costituiti da materiali

sciolti di origine vulcanica, diffusamente variabili per granulometria, densità e permeabilità e

poggianti su substrato calcareo senza continuità stratigrafica.

Appare invece già acquisita in modo solido la correlazione tra i fenomeni di instabilità e

l’aggressione antropica alla copertura forestale dei versanti, che nel corso dell’intero secolo e

per la prima metà del successivo dilagò in maniera incontrollata.

Ma è, d’altro canto, evidente che l’instabilità dei versanti è soprattutto un fenomeno naturale,

connesso all’evoluzione geomorfologica della superficie terrestre, che l’intervento antropico può

condizionare solo parzialmente – in senso migliorativo o peggiorativo – ma senza avere

assolutamente il potere di impedirlo.

Gli impatti più devastanti di tali fenomeni sono però dovuti alla presenza di troppi insediamenti

antropici nelle aree pedemontane, recapito naturale delle masse detritiche mobilizzate a monte.

Nel dopoguerra, in particolare, l’espansione economica ha spinto sempre più verso monte

l’espansione urbanistica – soprattutto l’edilizia residenziale – alla ricerca delle zone di territorio

più ambite per la qualità del paesaggio e per la distanza dagli affollati ed inquinati centri urbani,

senza adeguate valutazioni di compatibiltà con l’assetto idrogeologico dei versanti.

Anche la normativa tecnica edilizia ed urbanistica emanata dagli organi legislativi nazionali e

regionali non aveva, fino alla catastrofe del maggio 1998, valutato appieno la condizione di

rischio “passivo” propria di quelle infrastrutture ubicate su aree di per sé stabili ma soggette

all’impatto di materiali mobilizzati a distanza, condizione che caratterizza il rischio da frana per

colata rapida.

In verità la grande diligenza nella gestione economica dei boschi documentata nell’area del

Sarno non è bastata e evitare dissesti e disastri, che si sono ripetuti nel tempo con periodicità

sempre molto ravvicinata. Riportiamo di seguito la cronistoria di Vallario sugli eventi franosi di

colata rapida registrati nel bacino.

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Del 1764 sono alcune rovinose frane (colate rapide di piroclastici sciolte) verificatesi sul versante nord di monte Pendolo di Gragnano; questi fenomeni provocarono numerose vittime e molti danni. Del 21 aprile 1819 sono le frane complesse che hanno interessato il territorio di Massa Lubrense, località Roncato, in provincia di Napoli. Del gennaio 1841 sono i ripetuti fenomeni franosi del tipo colate veloci di piroclastici sciolte che interessarono i versanti settentrionale e occidentale di monte Pendolo, in prossimità di Gragnano; le vittime furono circa cento e i danni economici elevati all’abitato di Gragnano. Il 21 settembre 1911 … si verificarono colate veloci di fango che invasero parte degli abitati di Ottaviano, Torre del Greco e S. Giuseppe Vesuviano. Tra il 25 e il 26 marzo del 1924 si verificarono … frane sul versante napoletano della penisola sorrentina. Nel 1929 … si verificarono anche diverse frane complesse nel territorio di S. Agnello di Sorrento. Del 1935 sono i fenomeni franosi del versante settentrionale del monte Pendolo che investirono il Comune di Gragnano provocando numerose vittime, ingenti danni economici e l’interruzione della linea ferroviaria. Il 10 gennaio 1956 si verificarono colate di fango nell’abitato di S. Giuseppe Vesuviano. … Il 20 luglio si verificano frane presso Vico Equense. Il 10 marzo [1958] si verificarono frane presso Castel S. Giorgio. Il 16 febbraio 1959 nel territorio comunale di Massa Lubrense si riattivò un movimento franoso per colamento nella testata del vallone di Nerano. Il fenomeno, già noto dal gennaio del 1941, coinvolse in un enorme cumulo di frana, due milioni di metri cubi di materiale che, dopo aver minacciato l’abitato di Nerano, distrusse un ponte della strada provinciale,investì la frazione di Marina del Cantone e si riversò parzialmente a mare. … Il 28 settembre si verificarono colate di fango nell’abitato di Torre del Greco. Del 3 febbraio 1960 è la frana che investì parte dell’abitato di Forino. Due fenomeni franosi si verificarono in corrispondenza della collina di S. Pantaleone presso Nocera Inferiore l’8 dicembre 1960. Il 7 luglio [1961] si verificarono colate di fango nell’abitato di Torre del Greco. Il 28 luglio si verificarono colate di fango nel territorio di Terzigno. … Il 12 novembre si verificarono ancora colate di fango nell’abitato di Torre del Greco. Del 24 maggio [1962] sono alcune colate di materiali piroclastici che interessarono il territorio di Palma Campania. Il 27 giugno si verificarono colate di fango nell’abitato di S. Giuseppe Vesuviano. Il 16 e 17 febbraio [1963] si verificarono molte frane in penisola sorrentina: versante salernitano, versante nord-orientale e su quello meridionale di monte Pendolo presso Gragnano (una vittima ed ingenti danni economici), a Pimonte, a Pimonte-Tralia, a Termini-Nerano. … Il 19 febbraio un fenomeno alterativo interessò il Comune di Massa Lubrense. … Nello stesso mese si riattivò ancora una volta il fenomeno franoso di Termini-Nerano. Il 30 maggio si verificarono colate di fango nell’abitato di Torre del Greco. Il 13 gennaio 1965 si verificarono colate di fango nell’abitato di Torre del Greco. Il 18 gennaio un fenomeno alterativo interessò il Comune di Massa Lubrense. Il 6 aprile [1966] si verificarono colate di fango nell’abitato di Torre Annunziata. Il 6 giugno si verificarono colate di fango nell’abitato di S. Giuseppe Vesuviano. … Il 23 novembre ancora in penisola sorrentina si verificano frane allo Scrajo (tre vittime e danni alla strada comunale, all’acquedotto, alla stazione della circumvesuviana e alla strada statale sorrentina) presso Vico Equense e tra Airola e Ticciano. Il 1° ottobre [1970] si verificarono colate di fango nell’abitato di Torre del Greco. Il 2 gennaio 1971 dal versante meridionale di monte Pendolo si staccò una frana di notevoli proporzioni che travolse l’hotel La Selva di Gragnano ed altre abitazioni, provocando sei vittime. … Il 19 gennaio si verificarono colate di fango nell’abitato di Torre del Greco. Il 6 marzo [1972] una frana (colata veloce) nei terreni piroclastici di copertura si stacca dalla collina S. Pantaleone tra Angri e Nocera Inferiore e travolge un’auto e relativo conducente. Nel gennaio del 1973 si verificarono diverse frane in penisola sorrentina che interruppero la viabilità lungo il Nastro Azzurro, il Nastro Verde e il Nastro d’Oro presso Massalubrense e Schiazzano. Nella notte tra il 30 e il 31 ottobre [1995] un forte nubifragio investe la zona vesuviana con

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particolare virulenza, provocando molte colate di fango che invadono Torre del Greco, Ercolano, Ottaviano, S. Gennaro Vesuviano, con vittime ed allagamenti di abitazioni e della stazione ferroviaria di Portici. Il 22 febbraio 1986 in territorio di Palma Campania una frana nei terreni piroclastici di copertura provocò una colata veloce che distrusse due abitazioni e provocò otto vittime. Il 23 giugno si verificano frane presso Vico Equense. Nei primi giorni del 1997, in seguito a eventi meteorici prolungati si sono innescati molteplici fenomeni franosi interessanti … le coperture piroclastiche sciolte vesuviane del 79 d.C., ricoprenti i calcari della penisola sorrentina e quelli dei rilievi carbonatici più interni, con conseguenze disastrose. Si ricordano, tra le più catastrofiche: la frana di Pozzano (Castellammare di Stabia) con 4 vittime e 22 feriti che interruppe la SS 145 e la frana della collina di S. Pantaleone (una vittima e due feriti); un’ulteriore frana da monte Pendolo di Gragnano che si abbatté su un ricovero di animali. Nella stessa occasione e area si ricorda la frana di S. Egidio Monte Albino che non provocò vittime e la frana di Corbara che investì la strada del valico di Chiunzi senza provocare vittime. Nel maggio del 1998 sopraggiunge, sempre in maniera imprevedibile, l’alluvione di Sarno ed aree limitrofe che produsse circa 200 vittime e ingenti danni economici e sociali.9

E’ evidente che il recente incremento delle frane e dei disastri risultante dall’elencazione è

spiegabile in larga parte con la maggiore diffusione che si ha delle notizie negli ultimi decenni e

con la maggiore facilità di reperimento dei dati di cronaca. Siamo perciò ben lontani dal poter

pensare ad un accrescimento della propensione a franare dei versanti, magari generato da una

modificazione del rapporto antropico con le aree collinari e montane. Tuttavia un’indagine volta

a individuare le modificazioni intervenute nel corso degli ultimi due secoli nell’assetto colturale e

produttivo delle montagne del bacino del Sarno è necessaria per accertare le possibili relazioni

tra le forme d’uso del suolo e la propensione dei versanti al collasso.

9 A. Vallario: Il dissesto idrogeologico in Campania. CUEN, Napoli, 2001.

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2.2 Pericolosità geomorfologica

A premessa dell’indagine va citata la classificazione sommaria delle tipologie di instabilità di

versante proposta dal Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico finora vigente nel territorio

dell’Autorità di Bacino del Sarno:

1. Rimobilizzazione, per trasporto in massa, di depositi superficiali, in genere di natura

piroclastica, presenti sui versanti di rilievi montuosi delle porzioni orientali e meridionali rispetto

ai centri vulcanici Flegrei e Somma-Vesuvio. Fenomeni analoghi possono interessare anche i

fianchi stessi del Vesuvio. Questi franamenti evolvono in colate fangose rapide che si

incanalano negli avvallamenti dei versanti e raggiungono i fondovalle con elevata capacità

distruttiva.

2. Frane in roccia e crolli che interessano in prevalenza le aree di affioramento di rocce

carbonatiche (calcari, dolomie, calcareniti, ecc.) nelle zone fortemente fratturate e acclivi. Si

tratta di frane meno prevedibili delle precedenti in quanto caratterizzate da delicatissimi equilibri

che evolvono nel tempo, sia per fattori naturali (erosione costiera, alterazione, clastesi,

bioturbazioni, incendi, ecc.) che antropici. In queste aree sono possibili anche trasporti in

massa di detriti grossolani che hanno una mobilità minore rispetto alle colate di fango.

3. Frane di scivolamento lento e deformazioni gravitative di versante che interessano in genere le

aree con presenza di rocce terrigene e marnose fittamente stratificate. Benché meno

pericolose delle precedenti possono provocare danni ingenti alle infrastrutture.

L’attività antropica esercitata sui suoli di versante può difficilmente contribuire all’incremento

della propensione alle frane da crollo, poiché esse interessano di norma costoni rocciosi o

comunque tratti di versante di elevata acclività, generalmente impraticabili, salvo che dalle

capre e irraggiungibili, salvo che dagli incendi. Il reiterarsi degli incendi è certamente tra le

cause che, con le escursioni termiche e le variazioni di umidità, contribuiscono alla fratturazione

delle rocce e quindi favoriscono i distacchi e i crolli, almeno negli strati più superficiali.

L’azione antropica è generalmente poco significativa anche nei riguardi delle frane di

scivolamento lento, salvo che non si tratti di smottamenti che interessano gli strati più

superficiali del suolo. Sono invece le frane classificate come colate rapide, che interessano

esclusivamente i detriti di copertura del substrato calcareo, a essere influenzate in maniera più

evidente dall’uso del suolo.

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La stabilità di suoli sciolti poggianti su una superficie inclinata di consistenza litoide è funzione

principalmente dell’inclinazione della superficie, dello spessore dell’accumulo e delle

caratteristiche meccaniche (angolo di attrito, coesione) della massa detritica.

Lo spessore dell’accumulo è un parametro variabile nel tempo. In primo luogo per effetto dei

fenomeni vulcanici eruttivi, con le successive deposizioni di strati di materiale piroclastico che

ha coperto i rilievi che circondano il Vesuvio; l’episodio più noto è ovviamente quello del 79 d.

C., ma sono numerosi i fenomeni eruttivi in era moderna e contemporanea e l’Ottocento, con

ben 23 eruzioni, è stato tra i periodi di più intensa attività vulcanica. In secondo luogo per effetto

dell’azione erosiva delle acque e del trasporto solido, che produce un impercettibile, ma

continuo spostamento di masse terrose lungo le linee di massima pendenza dei rilievi, dai

displuvi verso gli avvallamenti.

Si delinea dunque una successione storica di fasi di colmata lenta e di svuotamento rapido, che

è quella rappresentata dalla fig. 2.

Fig. 2 – Evoluzione temporale dello spessore di sedimenti di copertura sui versanti

Le caratteristiche meccaniche del terreno di copertura sono invece variabili con la presenza

dell’acqua, che in condizioni di saturazione delle porosità del suolo riduce drasticamente

coesione e attriti interni. E infatti tutti i fenomeni gravitativi violenti si verificano in concomitanza

di precipitazioni intense o durature.

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INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO

I Monti di Sarno sono costituiti da rocce calcaree e dolomitiche, compatte e intensamente

fratturate, con spessori dell’ordine di varie centinaia di metri e di età compresa tra il Lias ed il

Cretacico sup.

Anche la dorsale dei Monti di Sarno, come gran parte dell’Appennino calcareo campano, è stata

interessata dagli effetti della tettonica compressiva miocenica e da quelli della tettonica distensiva

plio-pleistocenica.

Gli allineamenti riconducibili alla tettonica miocenica hanno direzione E-W e N-S e delimitano la

base del versante meridionale di Monte S.Angelo - Pizzo d’Alvano, a N dell’abitato di Episcopio e

la base del versante meridionale di Monte La Foresta, a N dell’abitato di Siano. I principali

allineamenti N-S sono presenti ad E dell’abitato di Sarno, alla base del versante occidentale di

Monte Torre del Gallo e di Monte Torrenone, e tra gli abitati di Siano e Bracigliano, alla base del

versante occidentale di “Il Piesco” e Poggio Caviglia.

La tettonica plio-pleistocenica con carattere prevalentemente surrettivo ha determinato

spostamenti essenzialmente verticali dell’ordine di varie centinaia di metri. Essa, oltre a riattivare

parte delle faglie mioceniche, ha imposto al territorio un reticolo di faglie con direzione NW-SE e

NE-SW, non sempre ben visibile. Tra queste si evidenzia l’allineamento NW-SE che delimita a N la

dorsale dei Monti di Sarno lungo la Valle di Lauro e la faglia con direzione NE-SW alla base del

versante tra Palma Campania e Sarno. Quest’ultima direzione è rappresentata anche da una serie

di piccole faglie trasversali che attraversano la dorsale dal versante di Sarno fino a quello di

Quindici.

L’attuale assetto strutturale risulta, pertanto, molto articolato in quanto nella dorsale carbonatica

s'individuano vari blocchi fagliati e ruotati che formano, in più settori, piccole strutture

monoclinaliche inclinate in prevalenza verso NW e NE.

Il profilo dei versanti che delimitano la dorsale presenta un tratto medio alto (300-400 m) ad

elevata pendenza e un tratto inferiore, laddove la pendenza si riduce rapidamente, formando

un’ampia fascia pedemontana di raccordo con il fondovalle o con le piane costiere.

Allo sbocco dei principali impluvi si rinvengono accumuli detritico - alluvionali che localmente

possono unirsi e formare ampie conoidi in parte stabilizzate ed in parte ancora attive; un esempio

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è dato dalle conoidi sulle quali sono impostati gli abitati di Episcopio, di Siano e di Bracigliano,

nonché di Solofra, Cava de’ Tirreni, Nocera Inferiore, Corbara, Castellammare di Stabia.

Piccoli bacini endoreici (es. Piana di Prata) sono presenti nelle zone sommitali dei rilievi, ove il

substrato calcareo conserva forme ereditate di erosione areale (Paleosuperfici morfologiche

spianate Auct.) sulle quali, durante il Quaternario, si è impostato un sistema carsico con intensa

circolazione idrica sotterranea sviluppata a varie quote.

Sulle unità carbonatiche si sovrappongono, in maniera discontinua, depositi piroclastici e depositi

colluviali derivanti in gran parte dal rimaneggiamento di depositi piroclastici. In particolare, lungo i

versanti si rinvengono depositi da caduta e subordinatamente depositi da flusso riconducibili

all’attività vulcanica dei Campi Flegrei e del Vesuvio.

Il deposito da flusso piroclastico più diffuso arealmente è l’Ignimbrite Campana; subordinatamente

si rinvengono depositi da caduta prodotti da eruzioni esplosive successive, sia flegree che

vesuviane.

Gli spessori della copertura piroclastica e detritico – piroclastica superiori al metro obliterano quasi

completamente i sottostanti terreni carbonatici.

La tipologia prevalente dei fenomeni di dissesto è da ricondurre a frane di colata rapida di fango.

Detti fenomeni sono improvvisi e alla fase di primo distacco fa seguito una evoluzione in colata

rapida che spesso si incanala, con elevate velocità, nei solchi vallivi o torrentizi. La massa in

movimento tende ad aumentare di volume per l'assunzione, lungo il suo percorso, di materiali erosi

dal letto e/o dai bordi dell’alveo.

L'accumulo dei materiali di frana assume spesso l’aspetto di un conoide e si colloca nei solchi

vallivi di maggior ordine gerarchico, ovvero al bordo dei rilievi nelle aree pedemontane, con

sovrapposizione dei depositi di frana ai materiali alluvionali.

Per le colate attuali di maggiore dimensione può in molti casi essere distinta la posizione

topografica, mediante raccordo delle zone di distacco, di flusso (canale), di recapito o di accumulo

dei materiali.

La scarsa resistenza all'erosione dei materiali sabbioso-limosi delle coltri piroclastiche rende,

viceversa, complesso il riconoscimento sui versanti degli eventi avvenuti nel passato. Da

sottolineare, a tale riguardo, che l’elevato periodo di ritorno di tali fenomeni e la generale tendenza

a rimuovere dalla memoria gli eventi del passato hanno favorito la intensa urbanizzazione delle

aree di conoide obliterandone, talora, le evidenze morfologiche.

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In assenza di tracce o di “evidenze morfologiche dirette” il riferimento morfologico della franosità

pregressa può, in genere, individuarsi nei depositi di conoidi detritico-fangose riconoscibili in

affioramento nel tratto terminale delle aste torrentizie lungo la valle principale o nel tratto terminale

dei valloni. Da osservare, infine, che in numerosi casi la possibilità di risalire a danni o eventi che

hanno interessato alcune aree è affidata unicamente alla registrazione storica dell'evento.

La zona di elezione di queste fenomenologie è l’areale delle piroclastiti su versanti acclivi

carbonatici, con eventi storici anche catastrofici, come evidenziato dall’indagine storica alla quale

si è fatto in precedenza cenno.

CLASSI DI PERICOLOSITÀ GEOMORFOLOGICA

Il vigente Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico del Sarno fornisce la “Carta della Pericolosità”

sviluppata attraverso i seguenti passi:

a) Redazione dei tematismi di base, ossia topografia, geomorfologia, geologia e assetto

strutturale, depositi di copertura sciolti, idrogeologia, uso del suolo e frane;

b) Attribuzione di pesi a ciascuna classe rappresentata nei tematismi di base;

c) Definizione delle classi di Suscettività;

d) Redazione della Carta delle aree di possibile invasione da parte di colate rapide (o di crolli).

Dalla sovrapposizione tra la Carta della suscettività a frana e dalla Carta delle aree di possibile

invasione si è ottenuta la Carta della Pericolosità ove sono stati riconosciuti quattro livelli di

pericolosità, così definiti:

P1: Pericolosità bassa o trascurabile: Aree di ambito sub-pianeggiante, collinare o montuoso in

cui si rilevano scarse o nulle evidenze di dissesto in atto o potenziali e scarsa o nulla dipendenza

dagli effetti di fenomeni di dissesto presenti nelle aree adiacenti e nelle quali non si rilevano

significativi fattori predisponenti al dissesto (acclività, spessori consistenti dei depositi sciolti delle

coperture, caratteristiche strutturali del substrato roccioso, caratteristiche e contrasti di

permeabilità, condizioni attuali di uso del suolo);

P2: Pericolosità media: Aree caratterizzate da scarse evidenze di dissesto potenziale e dalla

scarsa presenza di fattori predisponenti al dissesto (acclività, spessori consistenti dei depositi

sciolti delle coperture, caratteristiche strutturali del substrato roccioso, caratteristiche e contrasti di

permeabilità, condizioni attuali di uso del suolo) o dalla prossimità di aree interessate da dissesto;

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P3: Pericolosità elevata: Aree caratterizzate dalla presenza di dissesti quiescenti e/o inattivi, da

limitate evidenze di fenomeni di dissesto potenziale o dalla concomitanza di fattori predisponenti al

dissesto (acclività, spessori consistenti dei depositi sciolti delle coperture, caratteristiche strutturali

del substrato roccioso, caratteristiche e contrasti di permeabilità, condizioni attuali di uso del suolo)

o dalla prossimità di aree interessate da dissesti attivi o potenzialmente riattivabili;

P4: Pericolosità molto elevata: Aree caratterizzate dalla presenza di dissesti attivi, da fenomeni

di dissesto attualmente quiescenti, ma con elevata probabilità di riattivazione, a seguito della

presenza di evidenze manifeste di fenomeni di dissesto potenziali o dalla concomitanza di più

fattori con caratteristiche fortemente predisponenti al dissesto (acclività, spessori consistenti dei

depositi sciolti delle coperture, caratteristiche strutturali del substrato roccioso, caratteristiche e

contrasti di permeabilità, condizioni attuali di uso del suolo). Comprendono, inoltre, settori di

territorio prossimi ad aree interessate da dissesti attivi o potenzialmente riattivabili, aree di

possibile transito o accumulo di flussi detritico - fangosi provenienti da dissesti innescatisi a monte

e incanalati lungo direttrici delimitate dalla morfologia, oltre ad aree di possibile transito e/o

recapito di materiali provenienti da dissesti di diversa tipologia, innescatisi a monte e anche non

convogliati lungo direttrici delimitate dalla morfologia.

VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITÀ DA FRANA SU BASI GEOMORFOLOGICHE

Le colate rapide si sviluppano secondo un meccanismo complesso, al quale contribuisce in forme

diverse l’intero sistema morfologico di versante, entro cui possono essere individuate aree

interessate da fasi diverse del fenomeno gravitativo. Il modello geomorfologico messo a punto per

il versante occidentale del Pizzo d’Alvano a seguito delle frane del maggio 199810 suddivide il

versante in una fascia superiore (dei versanti superiori e intermedi) identificata come sede dei

fenomeni di distacco e quindi di innesco dei movimenti franosi, una fascia media nella quale

avviene il trascinamento e l’eventuale canalizzazione della colata, una fascia inferiore

pedemontana di deposito. Il modello geomorfologico genera a sua volta un secondo modello

valutativo, relativo alla classificazione dei fenomeni franosi per classi di importanza, e corrisponde

a un terzo, che tiene conto degli assetti colturali del versante.

Lo schema generato dal modello geomorfologico di versante individua nella fascia più alta del

versante, caratterizzata da pendenze elevate e dalla mancanza di incisioni significative (Zero

Order Basin), le principali zone di innesco dei movimenti franosi. Qui si dispiega la suscettività del

10 L. Cascini, D. Guida, G. Romanzi, N. Nocera, G. Sorbino: A preliminary model for the landslides of May 1998 in Campania Region. 2000 Balkema, Rotterdam.

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versante all’instabilità, ovvero la predisposizione a franare (probabilità dell’innesco del fenomeno

franoso). Proseguendo verso valle la frana può evolversi in colata rapida, canalizzandosi e

ingrossandosi nella zona di trascinamento e riversandosi nella zona di accumulo e di invasione. Il

distacco delle piroclastiti è in molti casi destinato a non subire alcuna evoluzione significativa,

mentre in altri casi dà l’avvio alla vera e propria colata rapida, che va a interessare le sottostanti

aree di trascinamento e di accumulo. Se alla zona di distacco e flusso sommitale può essere

associato il concetto di suscettività (qui inteso come predisposizione all’innesco del fenomeno

franoso), è all’intero sistema morfologico di versante che va associato invece il concetto di

pericolosità (probabilità della formazione di una frana evoluta in colata rapida). E infine il concetto

di rischio (probabilità che siano provocati danni alle cose e alle persone), subentra solo quando si

considera il complesso dei sistemi di versante e pedemontano, poiché è proprio in quest’ultimo

ambito che insistono gli insediamenti antropici esposti all’azione distruttiva delle frane.

Il terzo schema, corrispondente alle stesse suddivisioni dei primi due, evidenzia la dislocazione

degli effetti della copertura vegetale. L’azione dei boschi demaniali, situati in genere nella fascia

alta dei rilievi, è destinata a incidere sulle sole aree di innesco potenziale dei movimenti franosi e si

manifesta prevalentemente come regolazione degli apporti solidi; in altri termini si può dire che la

presenza di vegetazione boschiva va a incidere sulla suscettività a franare del versante.

Sulla scorta degli approfondimenti di analisi e di indagine sviluppati, è stato possibile impostare un

aggiornamento degli scenari di franosità emersi dagli studi precedentemente effettuati (Piano

Straordinario e Piano Stralcio), seguendo il percorso metodologico dagli stessi indicati per la

definizione di alcune problematiche rimaste “dubbie” in mancanza di dati pertinenti, soprattutto

geognostici, a supporto.

Il concetto di Scenario di Franosità cerca di superare il limite posto dagli usuali approcci teorici per

la valutazione del rischio da frana su vaste aree, generalmente orientato a circoscrivere la

valutazione della pericolosità all’interno della franosità avvenuta. Un notevole passo in avanti è

stato acquisito con l’introduzione dei concetti di ambito morfologico e di indicatore morfologico

di evento. Tale approccio consente di evitare generalizzazioni eccessive nell’applicazione di

metodi parametrici di analisi territoriale e identifica univocamente l’Unità Cartografica di

Riferimento nella quale i fenomeni franosi si inseriscono controllati dalla evoluzione morfologica

sviluppata sui versanti in epoca recente.

Pertanto, la interpretazione mirata di ciascun elemento citato e dei relativi indizi morfologici delle

frane avvenute in epoca precedente consente la estrapolazione della possibile zona di

alimentazione, di innesco, di transito e di invasione del materiale di frana, nel caso di eventi non

ancora avvenuti.

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Questa valutazione si basa sul presupposto che i volumi di possibile mobilizzazione non solo

devono essere realmente disponibili a monte dell’area di distacco, ma che lo stadio evolutivo del

contesto fisico di riferimento sia tale da far prevedere se non un modello di evoluzione futura,

almeno uno o più scenari di evento attesi su cui basare la modellazione.

Ne scaturisce che la reinterpretazione su base morfologica delle aree situate a monte ed a valle

delle frane può aiutare nella comprensione sulle possibilità di reinnesco e di rialimentazione del

fenomeno, definendo la localizzazione della zona di alimentazione e di innesco delle frane e la

zona di possibile recapito per gli ambiti morfologici laddove non sono stati riscontrati eventi, o

perché non ancora avvenuti o perché il loro tempo di ritorno è tanto lungo da consentire la

completa cancellazione delle evidenze morfologiche.

Le esperienze condotte durante l’emergenza Sarno del 5 e 6 maggio 1998 (U.O. 2.38, 1998;

Cascini et al., 2005), consentono di ritenere affidabile l’impostazione concettuale e attendibili i

risultati della valutazione, ulteriormente migliorati a livello qualitativo, quando all’analisi condotta

con l’interpretazione da aereofoto si aggiungono mirati e ripetuti controlli sul terreno.

Si può individuare un tratto di pendio compreso tra la zona sommitale del rilievo (ad evoluzione

morfologica completa) o crinale sommitale ed il fondovalle più prossimo a valle della frana stessa,

limitato dai crinali morfologici secondari che delimitano i bordi del tratto di propagazione dalla frana

considerata, dove esistono e si esauriscono tutti i fattori che hanno concorso alle fenomenologie

passate, che contribuiscono alla dinamica franosa degli eventi attivi ed attuali e che consentono di

individuare l’ambito in cui, per una sorta di criterio di verosimiglianza, possono ritenersi altamente

probabili ulteriori fenomeni.

Una particolare attenzione è stata dedicata ai bacini monocorsuali, in cui sono stati individuati

accumuli colluviali e/o detritico-colluviali in concavità morfologiche, che si trovano all’apice

superiore di aste torrentizie di primo ordine gerarchico al cui sbocco sono presenti zone abitate,

per le quali, a volte, si dispone di notizie storiche che registrano eventi franosi distruttivi e ripetitivi

Fraz. Passiano di Cava, Vescovado di Nocera Inf., S. Egidio M. Albino.

In conclusione, al fine di pervenire ad una zonazione del territorio non ancora interessato da frane

e ad una definizione delle più probabili tendenze evolutive dei fenomeni, si è introdotto questo

nuovo concetto degli "Scenari di Franosità" ovvero “Scenari di Suscettività da frana”, intesi come

una estensione spazio-temporale connessa all'evento frana, al più probabile intorno territoriale

significativo coinvolto nell’evento atteso ed alla sua dinamica evolutiva.

La determinazione della suscettività da frana mediante l’analisi geologica e geomorfologica è stata

realizzata dal Consorzio Inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi

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(CUGRI), sotto la responsabilità scientifica del prof. Domenico Guida per le aree in provincia di

Salerno e Avellino e del prof. Roberto de Riso per le aree in provincia di Napoli.

Di seguito si riporta una sintesi delle metodologie analitiche utilizzate da entrambi i gruppi

scientifici e dei criteri per la riperimetrazione della carta di pericolosità11:

• Determinazione della suscettività all’innesco

Per la determinazione della suscettività all’innesco nei territori in provincia di Salerno e Avellino si

è utilizzato un approccio metodologico basato sull’integrazione tra i classici metodi della

geomorfologia e geologia applicata con i modelli distribuiti di stabilità SINMAP (Pack et al. 1998) e

SHALSTAB (Montgomery & Dietrich 1998). La procedura adottata prevede la progressiva taratura

della integrazione risultante con la distribuzione e tipologia dei fenomeni franosi avvenuti e dei

morfotipi significativi loro associati. L’intero processo è supportato da un consolidato modello

geomorfologico di evoluzione dei versanti con substrato carbonatico ricoperto da coltri

piroclastiche, basato sui cicli di riempimento-svuotamento delle concavità morfologiche e sul

deflusso subsuperficiale centripeto nei bacini di ordine zero. Il risultato di questa procedura

iterativa di auto-taratura ha consentito di individuare le aree di suscettibilità distinte per tipologia

(innesco e transito/amplificazione) e per grado, legato alla percentuale di aree a diversa instabilità

ricomprese in ciascun morfotipo.

Per i territori in provincia di Napoli la suscettività all’innesco di colate rapide è stata determinata

tramite l’incrocio, per celle elementari di territorio, di carte tematiche relative ai diversi parametri

predisponenti (pendenza dei versanti, spessore delle coperture, tracce morfologiche di frane,

presenza di sorgenti in quota, presenza di sentieri e/o strade montane), opportunamente pesati in

base a dati statistici e ad esperienze dirette, infine combinati in un algoritmo che fornisce l’indice di

suscettività al dissesto.

• Determinazione della suscettività al transito ed invasione

Per i territori in provincia di Salerno e Avellino si è proceduto, in sintesi, nel modo seguente.

11 Per i dettagli metodologici si rimanda alle relazioni dei consulenti scientifici

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Partendo dai poligoni ricadenti in classe di suscettività all’innesco più elevata, vengono

progressivamente selezionati verso valle, in base alla geomorfologia e alla topografia, i poligoni ad

essi adiacenti, assegnando la suscettività più elevata al transito a quelli ricadenti in ambito di frane

ed impluvi e la suscettività più elevata ad invasione a quelli ricadenti in ambito di conoidi attivi o

quiescenti e di falde detritiche, distinguendo per i primi, anche attraverso indici geomorfologici,

quelli detritico-alluvionali da quelli alluvionali.

Come per la valutazione della suscettibilità d’innesco, anche questa procedura geomorfologica è

stata opportunamente tarata con la applicazione di diverse metodologie semiquantitative (angle of

reach) lungo settori pedemontani omogenei, come successivamente esposto per la provincia di

Napoli, e con modelli fisicamente basati (FLOW2D) applicati a casi studio significativi. E’ stato

tenuto conto, inoltre, delle modellazioni fluidodinamiche già eseguite e riportate sulle tavole di

piano vigente, nonché delle aree di pericolosità idraulica montana.

Per i territori in provincia di Napoli la suscettività all’invasione è stata determinata tramite il metodo

denominato angle of reach, basato sul presupposto che l’energia di una colata durante il moto

verso valle venga dissipata principalmente per attrito e, pertanto, sia inversamente proporzionale

alla distanza percorsa.

Partendo dall’analisi statistica di un congruo numero di frane avvenute, si misurano gli angoli

formati con l’orizzontale dai segmenti che congiungono i punti di innesco con quelli di estrema

propagazione a valle, individuando gli angoli caratteristici per diversi contesti geomorfologici.

Partendo poi dalle aree di massima suscettività all’innesco di possibili frane future, si esegue il

procedimento inverso, tracciando da queste segmenti inclinati sull’orizzontale secondo gli angoli

individuati, fino ai punti di incontro con la superficie topografica a valle.

Infine, attraverso l’inviluppo di tutti i punti risultati partendo dalle diverse zone di innesco si

ottengono, per i diversi intervalli di valori dell’angle of reach, le linee che rappresentano i diversi

gradi di suscettività all’invasione. È evidente che il valore dell’angle of reach è direttamente

proporzionale al grado di suscettività all’invasione.

• Riperimetrazione della carta di pericolosità da frana

La carta di pericolosità da frana rappresenta la sintesi di tutte le elaborazioni descritte in

precedenza: è una carta di zonizzazione del territorio su cui viene applicata la disciplina d’uso

stabilita dalle norme di attuazione del PSAI.

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Partendo dal presupposto che la perimetrazione delle superfici esposte al rischio di frana

prescinde dalla probabilità di evento, si è proceduto ad una assimilazione tra grado di suscettività e

classe di pericolosità. In tal modo il grado di suscettività S1 corrisponde alla classe di pericolosità

bassa o trascurabile (P1), il grado di suscettività S2 alla classe di pericolosità media (P2), il grado

di suscettività S3 alla classe di pericolosità elevata (P3) ed il grado di suscettività S4 alla classe di

pericolosità molto elevata (P4).

In alcuni casi, infine, la cartografia ha recepito varianti già approvate a seguito di proposta delle

Amministrazioni Comunali, come effetto della realizzazione di opere strutturali per la mitigazione

del rischio. In detti casi, così come per i territori già in regime di emergenza idrogeologica, la

effettiva vigenza della riperimetrazione resta subordinata al collaudo delle opere stesse.

I risultati delle riperimetrazioni mostrano nel complesso, come riassunto nel prospetto di figura 3,

una sostanziale diminuzione delle superfici a pericolosità elevata e molto elevata a vantaggio di

quelle a pericolosità media e bassa: è il risultato, soprattutto, di un’analisi geomorfologica condotta

ad un dettaglio maggiore rispetto a quella del PSAI finora in vigore.

classe pericolo

area PSAI vigente (km2)

area PSAI revisione (km2)

differenza (km2)

differenza (%)

P1 214,12 276,18 +62,06 +29,98

P2 64,41 90,48 +26,07 +40,48

P3 101,67 54,03 -47,64 -46,86

P4 120,70 82,20 -38,50 -31,90

Figura 3 – Confronto tra superfici a diverso grado di pericolosità nel PSAI vigente e nella presente revisione (nel PSAI vigente la classe P2-3 è stata accorpata alla classe P3)

Il presente confronto non riguarda i comuni di Sarno, Siano e Bracigliano per i quali, durante la

fase di emergenza idrogeologica seguita all’alluvione del maggio 1998, erano rimaste in vigore, ai

sensi dell’art. 1 della Legge 267/1998, le perimetrazioni e le misure di salvaguardia realizzate dal

Commissario di Governo delegato ex OPCM 2787/1998.

Per i suddetti Comuni l’aggiornamento del PSAI recepisce, ove necessario e per quanto possibile

in base all’attuazione del programma di interventi del Commissario di Governo, le perimetrazioni e

le misure di salvaguardia redatte in fase di emergenza idrogeologica, determinando ex-novo la

pericolosità e il rischio per i settori di territorio complementari.

I territori colpiti dagli eventi franosi del Maggio 1998, infatti, sono stati oggetto di studi e indagini ad

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opera del Commissario di Governo, il quale ha proposto anche norme di salvaguardia in base ad

una “zonazione” dei territori comunali, tenendo conto degli effetti di complessi ed articolati progetti

di intervento.

Le operazioni di perimetrazione avevano considerato come cardini l’ubicazione delle vasche a

fango, arretrando la nuova linea rossa fino al piede delle vasche (fatte salve le fasce di rispetto) ed

affidando al metodo del reach angle o a valutazioni di tipo geomorfologico l’interpolazione dei punti

fissi rappresentati dalle vasche. Allo stesso iter metodologico si era fatto ricorso per disegnare la

linea rossa nei casi di aree ove non erano previste opere di intervento.

Le perimetrazioni e le misure di salvaguardia approvate dal Commissario di Governo erano state,

inoltre, oggetto di concertazione preventiva con gli Enti locali interessati.

Il settore “A” era stato considerato in maniera indifferenziata ad elevata pericolosità e ad alto

rischio, per la contemporanea presenza di più fattori predisponenti ad eventi di colata rapida

(acclività, spessore delle coperture, concavità morfologiche ricolme di materiale potenzialmente

instabile). Per tale motivo, nella cartografia del PSAI, il settore “A” è stato assimilato al livello di

pericolosità P4 e al livello di rischio R4.

Il settore pedemontano “B” era stato oggetto di “zonazione” mediante l’applicazione di un modello

di propagazione delle colate che ha portato alla individuazione di 4 livelli di protezione garantiti

dalle opere (da B1 a B4 con B1 livello massimo e B4 livello minimo).

La zonazione rispondeva a criteri di cautela imposti sia dalla frequente presenza, a valle delle

vasche, di zone urbanizzate, che dalle complessità della valutazione dei volumi di progetto adottati

e dei conseguenti dimensionamenti delle vasche e degli organi emissari delle stesse (oltre che

dalla presenza di punti critici nella geometria del reticolo idrografico a monte delle vasche).

Sulla base delle considerazioni espresse dal Comitato Tecnico Scientifico della Struttura

Commissariale (per i cui dettagli si rimanda all’elaborato 06 degli allegati al PSAI), nella cartografia

del PSAI le sottozone B1–B2–B3–B4 sono state assimilate, rispettivamente, ai livelli di pericolosità

P1-P2-P3-P4 e ai livelli di rischio R1-R2-R3-R4.

Ad esclusione dei suddetti territori per i quali le attività di mitigazione del rischio idrogeologico

erano state gestite in regime di emergenza fino al termine di questa – avvenuto in data 30 aprile

2008 per effetto di decreto ministeriale - nella restante parte di territorio dell’AdB Sarno gli

aggiornamenti cartografici del rischio da frana interessano complessivamente i territori di 35

Comuni, secondo le rispettive superfici riportate nell’elenco di Figura 4.

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COMUNE PROV CODICE DIFFERENZA (mq) Agerola NA P1 +756 Agerola NA P2 +87.143 Agerola NA P3 -70.591 Agerola NA P4 -16.149 Anacapri NA P1 +403 Anacapri NA P2 +4.392 Anacapri NA P3 0 Anacapri NA P4 +16.922 Angri SA P1 +120,491 Angri SA P2 +179.973 Angri SA P3 +432.282 Angri SA P4 -810.643 Boscoreale NA P1 0 Boscotrecase NA P1 0 Boscotrecase NA P3 0 Boscotrecase NA P4 0 Calvanico SA P1 +7.856.206 Calvanico SA P2 +-231.118 Calvanico SA P3 -4.348.747 Calvanico SA P4 -3.289.238 Capri NA P1 +8.489 Capri NA P2 -10.242 Capri NA P3 -1.050 Capri NA P4 +21.703 Casola di Napoli NA P1 +461.684 Casola di Napoli NA P2 +68.100 Casola di Napoli NA P3 -760.272 Casola di Napoli NA P4 +237.861 Castel S. Giorgio SA P1 +162.751 Castel S. Giorgio SA P2 +576.637 Castel S. Giorgio SA P3 -1.229.040 Castel S. Giorgio SA P4 +467.782 Castellammare di Stabia NA P1 +1.408.731 Castellammare di Stabia NA P2 +24.208 Castellammare di Stabia NA P3 -1.218.024 Castellammare di Stabia NA P4 +-210.140 Cava de' Tirreni SA P1 +96.227 Cava de' Tirreni SA P2 +5.931.317 Cava de' Tirreni SA P3 -2.700.124 Cava de' Tirreni SA P4 -3.298.577 Contrada AV P1 +2.509.837 Contrada AV P2 -317.830 Contrada AV P3 -848.224 Contrada AV P4 -583.710 Corbara SA P1 +437.580 Corbara SA P2 +1.987.108 Corbara SA P3 +459.846 Corbara SA P4 -2.895.816

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COMUNE PROV CODICE DIFFERENZA (mq) Ercolano NA P1 0 Ercolano NA P2 0 Ercolano NA P3 0 Ercolano NA P4 0 Fisciano SA P1 +11.430.147 Fisciano SA P2 -697.486 Fisciano SA P3 -10.119.283 Fisciano SA P4 -559.367 Forino AV P1 +6.645.506 Forino AV P2 +437.596 Forino AV P3 -2.764.287 Forino AV P4 -4.318.778 Gragnano NA P1 +889.729 Gragnano NA P2 +479.453 Gragnano NA P3 -1.993.641 Gragnano NA P4 +611.775 Lettere NA P1 +2.226.706 Lettere NA P2 +2.460.220 Lettere NA P3 -814.942 Lettere NA P4 -3.869.617 Massa Lubrense NA P1 +1.950.800 Massa Lubrense NA P2 -164.159 Massa Lubrense NA P3 -3.127.542 Massa Lubrense NA P4 +1.739.242 Mercato S. Severino SA P1 +5.396.880 Mercato S. Severino SA P2 +4.939.637 Mercato S. Severino SA P3 -7.953.954 Mercato S. Severino SA P4 -2.464.569 Meta NA P1 -82.293 Meta NA P2 +97.883 Meta NA P3 -238.707 Meta NA P4 +223.629 Monteforte Irpino AV P1 +1.091.491 Monteforte Irpino AV P2 +104.863 Monteforte Irpino AV P3 -175.545 Monteforte Irpino AV P4 -935.909 Montoro Inferiore AV P1 +2.823.690 Montoro Inferiore AV P2 +812.825 Montoro Inferiore AV P3 -2.486.054 Montoro Inferiore AV P4 -1.127.296 Montoro Superiore AV P1 +2.984.810 Montoro Superiore AV P2 +1.424.857 Montoro Superiore AV P3 -1.191.054 Montoro Superiore AV P4 -3.297.768 Nocera Inferiore SA P1 +512.191 Nocera Inferiore SA P2 +964.646 Nocera Inferiore SA P3 +62.424 Nocera Inferiore SA P4 -1.749.466

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COMUNE PROV CODICE DIFFERENZA (mq) Nocera Superiore SA P1 -239.421 Nocera Superiore SA P2 +1.943.663 Nocera Superiore SA P3 +388.399 Nocera Superiore SA P4 -2.092.617 Ottaviano NA P1 0 Ottaviano NA P2 0 Ottaviano NA P3 0 Ottaviano NA P4 0 Pagani SA P1 +68.963 Pagani SA P2 +431.988 Pagani SA P3 +183.680 Pagani SA P4 -627.015 Palma Campania NA P1 +861.060 Palma Campania NA P2 +1.256.651 Palma Campania NA P3 -125.508 Palma Campania NA P4 -1.376.342 Piano di Sorrento NA P1 +157.828 Piano di Sorrento NA P2 +449.863 Piano di Sorrento NA P3 -744.862 Piano di Sorrento NA P4 +124.289 Pimonte NA P1 +2.445.151 Pimonte NA P2 -741.289 Pimonte NA P3 -1.648.846 Pimonte NA P4 -65.126 Pompei NA P1 0 Portici NA P1 0 Roccapiemonte SA P1 +318.286 Roccapiemonte SA P2 -114.697 Roccapiemonte SA P3 -517.345 Roccapiemonte SA P4 +320.482 S. Egidio del Monte Albino SA P1 +178.293 S. Egidio del Monte Albino SA P2 +521.475 S. Egidio del Monte Albino SA P3 +314.124 S. Egidio del Monte Albino SA P4 -653.911 San Giorgio a Cremano NA P1 0 San Giuseppe Vesuviano NA P1 0 San Giuseppe Vesuviano NA P2 0 San Giuseppe Vesuviano NA P3 0 San Giuseppe Vesuviano NA P4 0 Sant' Agnello NA P1 -95.109 Sant' Agnello NA P2 +61.604 Sant' Agnello NA P3 -200.239 Sant' Agnello NA P4 +225.677 Sant'Antonio Abate NA P1 +52.544 Sant'Antonio Abate NA P2 -126.902 Sant'Antonio Abate NA P3 -32.587 Sant'Antonio Abate NA P4 +106.944 Santa Maria La Carità NA P1 0 Santa Maria La Carità NA P4 0

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COMUNE PROV CODICE DIFFERENZA (mq) Solofra AV P1 +2.625.681 Solofra AV P2 +4.878.831 Solofra AV P3 +1.241.917 Solofra AV P4 -8.663.312 Sorrento NA P1 +403.378 Sorrento NA P2 -414.020 Sorrento NA P3 -532.701 Sorrento NA P4 +539.110 Terzigno NA P1 0 Terzigno NA P2 0 Terzigno NA P3 0 Terzigno NA P4 0 Torre Annunziata NA P1 0 Torre del Greco NA P1 0 Torre del Greco NA P2 0 Torre del Greco NA P3 0 Torre del Greco NA P4 0 Trecase NA P1 0 Trecase NA P3 0 Trecase NA P4 0 Vico Equense NA P1 +6.352.590 Vico Equense NA P2 -1.238.681 Vico Equense NA P3 -4.878.510 Vico Equense NA P4 -229.666

Figura 4 – Confronto tra superfici delle rispettive classi di pericolosità per ciascun Comune

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2.3 Carta degli insediamenti e delle Infrastrutture

La pericolosità idrogeologica di un territorio si traduce in rischio quando gli effetti dei fenomeni

implicano un danno agli elementi esposti ai fenomeni stessi e quindi un “costo” per la collettività, in

termini di vita umane, nei casi più gravi, o quanto meno di costi finanziari. Il danno atteso è

funzione della vulnerabilità e del valore degli elementi esposti ai possibili fenomeni franosi ed

alluvionali ed è stato sinteticamente definito, ad un livello comunque “qualitativo “nelle tabelle di cui

all’Allegato H delle vigenti N.d.A., sia in funzione della pericolosità frane che di quella idraulica.

La “carta degli insediamenti e delle infrastrutture” consente quindi di evidenziare i principali

“elementi a rischio” ovvero quegli elementi fisici per i quali deve essere valutata l’esistenza di

possibili rischi e il loro livello12 in seguito al verificarsi di eventi franosi alluvionali.

L’implementazione delle conoscenze dei caratteri fisici ed antropici del territorio di competenza è

uno dei compiti istituzionali dell’A.d.B. e dal 2002, anno di entrata in vigore del PSAI, ad oggi si è

sviluppata anche attraverso l’acquisizione e rielaborazione delle cartografie disponibili in formato

numerico e attraverso l’arricchimento del relativo data-base geografico, utilizzando più fonti.

Il lavoro di aggiornamento della carta degli insediamenti comprende:

§ l’analisi del quadro degli strumenti urbanistici generali comunali e delle loro previsioni;

§ l’estrapolazione, dalle cartografie disponibili e dagli studi di approfondimento specifico svolti

dall’ Autorità di Bacino, delle destinazioni d’uso prevalenti dei singoli edifici;

§ la rielaborazione della cartografia di base regionale (volo 2004) in formato GIS e

l’implementazione con dati e strati informativi acquisiti dall’AdB in sede di approfondimenti di

studio a vari fini;

§ l’aggiornamento del quadro delle tutele e delle aree protette e di altri vincoli di natura

paesistico-ambientale;

§ l’implementazione sul GIS di tutta la rete viaria, principale e secondaria, delle principali linee

ferroviarie e dei servizi a rete (elettrodotti, acquedotti, fognature, metanodotti) estrapolati dagli

strati prioritari della cartografia regionale 2004 e dai sistemi di navigazione stradale satellitari.

L’elaborato di sintesi, in corso di aggiornamento sulla base della cartografia 2004, costituirà la

base per la individuazione delle infrastrutture e dei manufatti a rischio su cui stabilire le misure di

delocalizzazione previste all’art. 67 del D. Lgs. 152/2006.

12 La definizione di rischio alla base del PSAI fa riferimento al concetto di rischio di cui al DPCM 29.9.1998 meglio noto come Atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione del D.L. 180/98, che, al par. 2.1 richiama il concetto di rischio, espresso in termini qualitativi come il prodotto di tre fattori : RISCHIO = PERICOLOSITA’ x VALORE x VULNERABILITA’.

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L’elaborato si articola in due tavole in scala 1:5000:

a) Carta degli insediamenti e delle infrastrutture: Sistema insediativo e della mobilità

b) Carta degli insediamenti e delle infrastrutture: Sistema dei servizi a rete

La Carta del sistema insediativo e della mobilità comprende:

§ l’individuazione dei principali agglomerati urbani articolati in:

ú aree consolidate del tessuto urbano comprendenti le zone individuate come A centri antichi e storici, B – di completamento, F - attrezzature di interesse comune e generale, nelle zonizzazioni degli strumenti urbanistici vigenti;

ú aree di espansione del tessuto urbano che comprendono quelle individuate come Zone C – di espansione o dove l’edificazione esistente è inferiore ai parametri di copertura stabiliti per noma per le zone B di completamento, le zone F;

ú aree destinate ad insediamenti produttivi (zone D) ; ú zone destinate ad uso agricolo (zone E) dove esistono attività agricole e case sparse; ú aree interessate da cave e discariche; ú i perimetri dei Parchi Nazionali e Regionali, dei Piani Paesistici vigenti (PUT dell’Area

Sorrentino Amalfitana, Piano Paesistico dei Comuni Vesuviani, Piano paesistico dell’Isola di Capri) e delle aree protette ai sensi delle direttive comunitarie (SIC-ZPS);

§ le principali reti ferroviarie;

§ la rete viaria così articolata in funzione del danno potenziale (cfr. tab 4 e tab 5 Allegato H):

ú Viabilità principale : Autostrade; Strade di collegamento intercomunale a carattere prevalentemente Statale; Strade di collegamento intercomunale e locale a carattere prevalentemente provinciale;

ú Viabilità secondaria : Viabilità urbana; Altre strade (viabilità minore, interpoderale, sentieri). § l’edificato rilevabile dalla cartografia di base con alcuni aggiornamenti speditivi e con le

destinazioni d’uso prevalenti organizzate per categoria:

ú residenziale; ú attività produttive (industriali, commerciali e ricettive con impianti connessi); ú attrezzature ed pubbliche o di uso pubblico (istruzione, attrezzature sanitarie, sportive,

cimiteriali, cultura, sicurezza, uffici amministrativi, edifici a carattere monumentale, aree archeologiche , stazioni delle principali reti su ferro);

ú Impianti puntuali relativi alee principali reti di servizi ( serbatoi , cabine di trasformazione elettriche , impianti acquedottistici ).

La Carta del Sistema dei servizi a rete riporta:

§ la principale rete acquedottistica con gli impianti puntuali connessi;

§ le principali reti fognarie e il sistema dei depuratori comprensoriali esistenti ed in fase di

realizzazione;

§ i principali elettrodotti;

§ i principali gasdotti.

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Occorre evidenziare che, comunque, l’attività svolta al fine di aggiornare la carta degli insediamenti e

quindi del danno potenziale e del rischio frane sconta la necessità di dover utilizzare la cartografia

esistente, che fa riferimento a rilevamenti comunque datati. La cartografia di base regionale

disponibile, infatti, se ha l’indubbio vantaggio di essere omogenea rispetto a quella utilizzata nel 2001,

costituita da un mosaico delle cartografie numeriche (e non) ricostruito dall’AdB Sarno, è relativa ad

un volo del 2004 reso disponibile ad ottobre 2008.

Il livello di rischio cui sono esposti eventuali elementi non riportati in cartografia si valuta

automaticamente secondo le tabelle di cui all’Allegato H ed in riferimento alla definizione di “rischio

accettabile” di cui all’articolo 2 delle Norme di attuazione.

Anche la strumentazione urbanistica dei Comuni del bacino risulta ampiamente superata dalle

trasformazioni territoriali “spontanee” (è diffusa in tutto il bacino la presenza di insediamenti

abusivi), da varianti puntuali ai sensi della legislazione speciale, anche di emergenza, (L. 219/81,

D.P.R. 447/98, le stesse leggi legate all’emergenza idrogeologica) dai vincoli ed indirizzi previsti

dalla pianificazione territoriale e di settore a carattere sovracomunale compreso lo stesso P.S.A.I.

L’analisi del quadro della strumentazione urbanistica generale dei Comuni del territorio dell’AdB

Sarno rivela che, su 60 comuni, 18 sono dotati solo di Regolamenti edilizi con annesso

“Programma di Fabbricazione” entrati in vigore nel decennio 1970 – 1980 se non negli anni ‘60, gli

altri sono dotati di Piani Regolatori Generali dei quali 16 risalenti agli ‘70-’80, altri 17 al decennio

1990-2000, solo 9 approvati dopo il 2000.

Di questi nessuno può considerarsi pienamente “adeguato” al vigente Piano Stralcio, fermo

restando il valore vincolante del medesimo P.S.A.I. e la verifica di compatibilità condotta dall’ AdB

su alcuni P.R.G. dopo il 2002 13, per la maggior piani ancora in itinere secondo le procedure della

vecchia legge urbanistica regionale n. 14/82 e che in molta parte non hanno concluso ancora il loro

iter o lo hanno concluso negativamente ( è il caso ad esempio di Gragnano , Pimonte, S.Antonio

Abate tutti adeguamenti al PUT di cui alla L.R. 35/87 respinti in sede di approvazione provinciale

e/o regionale). In vari comuni è in fase di avvio la redazione dei Piani Urbanistici Comunali ( PUC)

ai sensi della più recente legislazione regionale in materia urbanistica ( L.R. n. 16/04 ).

L’aggiornamento del Piano Stralcio può quindi costituire un’occasione per dare nuovo impulso

alla pianificazione comunale che, secondo gli indirizzi della L.R. 16/04 e del P.T.R. , deve sempre

più integrare gli aspetti “ambientali” nella pianificazione urbanistica. L’obbligatorio adeguamento

della pianificazione comunale al Piano Stralcio e la necessità di dare priorità alla prevenzione del

13 Il Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico ex L. 267/98 e L.365/00 è entrato in vigore il 22 aprile 2002 (cfr. B.U.R.C. n. 21 del 22/04/02) senza soluzione di continuità con il “Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più elevato” ex art. 1, comma 1-bis del D.L. 180/98 entrato in vigore il 20 novembre 1999, i cui effetti sono cessati al 22 aprile 2002.

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rischio attraverso i piani di protezione civile comunali, compresi i sistemi di allerta ed evacuazione

per le aree “a rischio molto elevato”, può essere il luogo dove, oltre la banale eventuale rimozione

delle previsioni incompatibili dei vecchi strumenti urbanistici, si assumono le finalità generali della

pianificazione di bacino in materia di rischio idrogeologico, tutela delle risorse idriche dell’ambiente

e dei suoli, perseguendo la sostenibilità dello sviluppo secondo i criteri declinati anche dalla legge

urbanistica regionale 16/2004 e dal P.T.R. .

La Conferenza Programmatica prevista dalla procedura di approvazione per l’aggiornamento del

P.A.I, quindi, costituirà un momento costruttivo di confronto e copianificazione. In questa sede gli

Enti territoriali, in primis i Comuni, sulla base della carta degli insediamenti che verrà loro fornita,

saranno chiamati a contribuire direttamente all’aggiornamento del quadro conoscitivo di dettaglio,

soprattutto degli elementi a rischio più elevato.

Questa fase prevede l’avvio, anche formale, di un’attività sistematica per la classificazione

puntuale degli elementi esposti al rischio idrogeologico, benché in questi anni sia comunque stato

continuo il contatto e lo scambio di informazioni con i comuni del bacino. Ciò consentirà di offrire

un supporto agli stessi comuni chiamati all’attuazione del P.S.A.I., ed in particolare all’attivazione

dei Piani di Protezione Civile, sia per aggiornare progressivamente la programmazione degli

interventi di difesa del suolo di competenza dell’Autorità di Bacino, sia per individuare e stabilire le

misure di incentivazione, di competenza regionale, finalizzate all’adeguamento delle infrastrutture

e/o eventuale delocalizzazione delle attività produttive e delle abitazioni a rischio, secondo quanto

previsto al comma 6 dell’art. 67 del D.Lgs. 152/06.

Un ulteriore supporto all’attività di tutti i soggetti pubblici e privati interessati dalla pianificazione di

bacino è l’attivazione, sul sito web dell’ A.d.B. Sarno, di un servizio sperimentale di consultazione

dei principali contenuti del PAI e di strati informativi di base relativi al territorio di competenza su

piattaforma gratuita Google Earth, che consente di sovrapporre anche le cartografie della

pericolosità idrogeologica alle foto satellitari ad alta risoluzione con aggiornamento progressivo

piuttosto frequente (attualmente per il bacino del Sarno l’aggiornamento disponibile è 2006-2007).

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CAPITOLO 3 - USO DEL SUOLO E STABILITÀ DEI VERSANTI

3.1 La copertura vegetale sui versanti

La vegetazione fornisce un contributo alla stabilità dei versanti nell’ambito dei fenomeni che

interessano la parte più superficiale della copertura detritica, dove i dissesti sono determinati dalla

capacità erosiva delle acque di deflusso superficiale piuttosto che dalla forza di gravità.

Tale contributo consiste principalmente in un’azione idrologica, attraverso l’intercettazione delle

acque piovane da parte del fogliame e la modificazione del rapporto tra deflusso superficiale e

deflusso sotterraneo, e secondariamente in un’azione meccanica, attraverso l’incremento alla

coesione del terreno fornito dalle radici.

A sua volta l’influenza della copertura vegetale varia in funzione di numerosi fattori, riconducibili

agli aspetti botanici (la specie, il portamento, il temperamento delle piante) e fitosociologici (densità

e composizione del popolamento), agli aspetti colturali (forme di governo e di trattamento dei

boschi, tipologia delle colture agrarie, forme di pascolamento), a quelli agronomici (tipologia delle

sistemazioni e delle lavorazioni del terreno).

E’ dunque evidente che a una radicale modificazione dell’assetto della copertura vegetale del

versante può corrispondere una variazione, anche considerevole, della suscettibilità del versante

stesso a fenomeni gravitativi violenti. Ma occorre considerare che non è la sola presenza della

copertura vegetale o forestale a garantire la stabilità dei versanti e che comunque il contributo del

manto vegetale al consolidamento di una specifica area dipende principalmente dalle forme nelle

quali lì si è evoluta la utilizzazione economica dei terreni collinari.

Apparentemente poco è cambiato sui versanti del bacino del Sarno negli ultimi due secoli: oggi

come allora essi sono prevalentemente coperti (anzi oggi più che allora) da estesi boschi, costituiti

prevalentemente da cedui di castagno che, come si è detto, vengono utilizzati con criteri

selvicolturali abbastanza simili.

Da una prima analisi dell’assetto colturale, i versanti risultano generalmente suddivisi in tre parti.

a. La parte inferiore, di raccordo tra la pianura e il rilievo, caratterizzata da elevati spessori

detritici e da pendenze ancora modeste, generalmente utilizzata a colture agricole su

terrazzamenti protetti da ciglioni in terra. Le colture prevalenti sono, a seconda dei luoghi e

delle esposizioni, la vite, l’ulivo, il nocciolo, il ciliegio, le colture orticole e i seminativi. Tra le

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colture agrarie si insinuano, talvolta fino al limitare della pianura, ampi appezzamenti di bosco

ceduo privato.

b. La parte mediana, ove gradualmente diminuiscono gli spessori colluviali e aumentano le

pendenze, occupata prevalentemente dai cedui privati di castagno.

c. La parte alta, più lontana dalle vie principali e perciò di più difficile accessibilità e più impervia,

occupata dalle formazioni forestali di proprietà pubblica, resti degli antichi demani feudali delle

università locali.

Nell’ultimo mezzo secolo si sono verificate profonde trasformazioni produttive, sociologiche e di

costume, che hanno investito in pieno l’economia agricola e forestale tradizionale e che in buona

sintesi si sono risolte in una considerevole contrazione del settore primario, il cui primo e più

evidente aspetto è costituito dal crollo del numero degli addetti. Una seconda conseguenza,

anch’essa fortemente visibile, è l’abbandono delle cosiddette colture marginali, di quelle che

insistevano appunto nelle aree collinari, di transizione tra le economie agraria e forestale.

Nella fascia più bassa dei rilievi che circondano il Sarno si allarga sempre di più l’estensione degli

ex coltivi, abbandonati ormai da tempo. E qui restano prive di manutenzione le antiche

sistemazioni agronomiche, i terrazzamenti, i fossi di scolo che garantivano l’insediamento delle

colture e il consolidamento dei fondi.

Nella fascia mediana l’utilizzazione dei boschi cedui prosegue, ma per effetto delle trasformazioni

del mercato e della riduzione della manodopera specializzata non vengono più effettuate le

lavorazioni secondarie di carattere colturale, gli sfolli e le sistemazioni del suolo che per secoli

hanno rappresentato proprio in questa zona un modello di uso diligente della risorsa suolo. In molti

casi i boschi restano addirittura abbandonati per mancanza di convenienza a utilizzarli.

Ma è nella fascia superiore che insistono le trasformazioni più intense. Dall’analisi delle utilizzazioni

dei boschi di proprietà comunale avvenute dagli anni ’50 fino a oggi risulta una evidente riduzione

della intensità dei tagli, derivante principalmente dall’allungamento del periodo intercorrente tra un

taglio e il successivo.

La comparsa di materiali alternativi meno costosi e di tecnologie innovative ha determinato, a

partire dai primi anni ’60, il lento esaurimento del mercato degli assortimento del ceduo di

castagno, legno per altro assai poco apprezzato come combustibile. Al venir meno della domanda

ha fatto seguito il progressivo calo dell’interesse nella coltivazione dei cedui comunali, che in

buona misura restano abbandonati.

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In figura 5 è riportato l’andamento delle utilizzazione dei boschi pubblici dal 1957 a oggi nella parte

di bacino appartenente alla provincia di Salerno. Sulle ordinate sono riportate le superfici

assoggettate a taglio.

Comuni della Prov. di Salerno AdB Sarno

0

100

200

300

400

500

1957

1960

1963

1966

1969

1972

1975

1978

1981

1984

1987

1990

1993

1996

1999

2002

2005

Anni

Sup

erfi

cie

fig. 5: Superfici di bosco pubblico tagliate dal 1957 al 2005

Negli anni ’50, per effetto delle utilizzazioni ripetute con periodicità molto ristretta, i rilievi erano tutti

coperti da boschi cedui la cui età variava da 0 a poco più di 12 anni. Oggi, con l’abbandono dei

tagli, l’età media dei popolamenti che occupano la parte alta dei versanti è dell’ordine dei 50 anni.

E’ presto per stabilire se una tale trasformazione può aver avuto effetti sulla stabilità dei versanti e

quindi sulla riproduzione dei fenomeni franosi, ma che trasformazioni significative vi siano state nel

corso dell’ultimo mezzo secolo è fuori discussione.

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3.2 Azioni stabilizzanti

Gli effetti che la copertura vegetale esercita sulla stabilità di un qualsiasi versante possono essere

riassunti nei seguenti fenomeni principali:

- azione idrologica: intercettazione delle acque piovane con modificazione del rapporto tra

deflusso superficiale e deflusso sotterraneo;

- contenimento del trasporto solido;

- azione meccanica delle radici.

• AZIONE IDROLOGICA

L’intercettazione dell’acqua di pioggia viene effettuata in primo luogo dalle chiome, che la

trattengono fino a una certa durata e intensità della precipitazione. La quantità di acqua intercettata

varia con la specie del popolamento forestale (leaf area index ratio, ovvero indice di espansione

dell’area fogliare), con la densità della vegetazione e naturalmente con le caratteristiche

dell’evento meteorico. Essa ritorna in parte all’atmosfera per evaporazione e in parte raggiunge il

suolo per gocciolamento; in parte ancora scivola con moto laminare lungo i rami e i tronchi,

raggiungendo direttamente la circolazione sub-superficiale e sotterranea (stemflow). In genere le

latifoglie, che sono dotate di un migliore indice fogliare, sono più efficienti delle conifere in termini

di capacità di intercettazione. Poiché la capacità delle latifoglie decidue è limitata alla sola stagione

vegetativa, è evidente che il miglior risultato è garantito dalle latifoglie sempreverdi della macchia

mediterranea e della foresta di sclerofille.

All’intercettazione meccanica delle gocce d’acqua si aggiunge il fenomeno certamente più

importante della restituzione dell’acqua all’atmosfera attraverso i sempre attivi meccanismi di

evapotraspirazione. Per effetto di tale fenomeno le radici estraggono con continuità acqua dal

suolo per immetterla nella circolazione linfatica; determinano così un deficit idrico nel terreno, che

può essere compensato con l’assorbimento di nuove quote degli apporti idrici delle piogge

successive.

Le chiome e la lettiera (e in alternativa la copertura arbustiva ed erbacea) svolgono inoltre una

importantissima azione di protezione del suolo dall’azione battente della pioggia e contribuiscono

perciò al contenimento dell’erosione superficiale. Sulla quantificazione del fenomeno esistono

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importanti studi e sperimentazioni condotti prevalentemente negli USA a partire dagli anni ’70,

recentemente ripresi in Italia14.

L’intercettazione dell’acqua piovana si traduce in una riduzione del deflusso, sia superficiale che

sotterraneo, la cui efficacia tende naturalmente ad annullarsi quando il protrarsi a lungo delle

precipitazioni ha ormai determinato la saturazione degli strati piroclastici; alla riduzione del

deflusso superficiale si accompagna la riduzione della produzione di sedimenti solidi per effetto

dell’erosione superficiale diffusa.

• CONTENIMENTO DEL TRASPORTO SOLIDO

Alle variazioni del deflusso superficiale corrispondono forti alterazioni del trasporto diffuso di

particelle solide. La presenza di una copertura boschiva densa garantisce produzioni di sedimento

molto limitate, grazie alla riduzione dell’effetto battente della pioggia, all’intercettazione dell’acqua

da parte delle chiome e all’esistenza degli strati protettivi costituiti da sottobosco e lettiera. La

presenza di un bosco denso e stratificato garantisce perciò sempre tassi di erosione superficiale

trascurabili.

Alla scomparsa della copertura forestale, dovuta a tagli, dissodamenti e soprattutto agli incendi, fa

seguito un aumento impressionante della produzione di sedimento.

• AZIONE MECCANICA DELLE RADICI

Infine l’azione meccanica delle radici, che si traduce in un miglioramento delle caratteristiche

fisiche dei suoli e quindi incide direttamente sull’equilibrio tra forze stabilizzanti e instabilizzanti

rappresentato in geotecnica nelle formule per il calcolo del coefficiente di sicurezza.

La letteratura specialistica ha indagato a fondo sulle modalità e sull’entità del contributo al

consolidamento fornito dagli apparati radicali. In buona sintesi si è dimostrato che l’azione delle

radici è assimilabile all’effetto prodotto dalla presenza di fibre in un materiale poco resistente a

taglio. Le fibre, che si immaginano disposte in direzione ortogonale alla superficie di taglio,

reagiscono allo spostamento deformandosi e mettendo in gioco la loro resistenza a trazione e la

loro resistenza allo sfilamento dal terreno.

14 Tra i tanti va consultato: D. H. Gray e R.B. Sotir: Biotechnical and sol bioengineering slope stabilazation. New York, 1992. Tra le pubblicazioni italiane: F. Gentile, G. Romano, G. Trisorio-Liuzzi: L’uso della vegetazione negli interventi di difesa del suolo in ambiente mediterraneo. Genio rurale, 1998. Si veda ancora, benché più datato: C. Colpi, S. Fattorelli: Effetti idrologici dell’attività primaria in montagna. Dendronatura, 1982.

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3.3 Azioni destabilizzanti

• INCENDI

Un’importante causa di modificazione degli equilibri di versante, di origine antropica, è costituita

dagli incendi. In massima parte essi sono il risultato dell’applicazione di un’antichissima pratica

colturale cara ai pastori dell’area mediterranea, che utilizzano la combustione dei pascoli nel

periodo estivo – favorita dall’aridità e dalle elevate temperature – per arricchire gli strati superficiali

del suolo di elementi minerali semplici e di facile assimilabilità, come fosforo, potassio, calcio e

magnesio. In realtà all’effimero miglioramento della fertilità, che favorirà all’inizio dell’autunno

successivo, con le prime piogge, la rigenerazione dell’erba, si associano preponderanti effetti

negativi, consistenti nell’impoverimento delle biocenosi e nell’incremento del dilavamento e del

trasporto solido. Le conseguenze negative sulla stabilità dei versanti saranno tanto maggiori

quanto più sono acclivi i terreni interessati. La frequente propagazione del fuoco dai pascoli agli

arbusteti e ai boschi, conseguenza di una pratica clandestina tesa a eludere e a sfidare le sempre

più dure proibizioni di legge, incrementa considerevolmente i danni, riducendo per lungo tempo la

protezione della copertura vegetale nei riguardi dell’azione erosiva delle acque piovane.

I tempi ancora troppo brevi nel corso dei quali si è iniziata la registrazione degli incendi, la difficoltà

delle metodologie di rilevamento e la estrema variabilità del fenomeno in funzione delle variazioni

climatiche annuali non consentono di riconoscere un andamento regolare nello sviluppo del

fenomeno. Tuttavia per il bacino del Sarno, come per gli altri territori montani e collinari del

Mezzogiorno mediterraneo, è plausibile l’ipotesi che il numero e l’estensione degli incendi siano

fortemente aumentati negli ultimi tre o quattro decenni, malgrado il sempre crescente impegno

pubblico nelle attività di prevenzione, di avvistamento e di spegnimento, in stretta correlazione con

l’indebolimento delle attività economiche basate sulla utilizzazione del legno e dei prodotti

secondari del bosco e quindi sulla sua conservazione.

Le principali conseguenze dirette degli incendi boschivi sono la riduzione o la perdita della

copertura vegetale e l’alterazione, più o meno profonda, delle caratteristiche fisico-chimiche del

suolo, che si manifestano con un’intensità variabile, destinata a ridursi e ad annullarsi dopo alcuni

anni. Entrambi i fenomeni concorrono ad accrescere sensibilmente la produzione di sedimento e

l’erosione superficiale diffusa.

Le elevate temperature che si raggiungono durante l’incendio modificano le caratteristiche fisiche

delle particelle di suolo superficiale, con riduzione della coesione e formazione di granuli secchi e

disgregati, facilmente dilavabili; la perdita della copertura vegetale espone a sua volta il suolo

all’azione diretta della pioggia battente.

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La proprietà del suolo più alterata dal fuoco è la capacità di infiltrazione, che si riduce

notevolmente a seguito della formazione di uno strato idrofobico dovuto alla mobilizzazione e alla

condensazione di sostanze idrorepellenti di origine organica presenti nella lettiera. La prima

conseguenza è nell’aumento di deflusso superficiale che fa seguito all’incendio; la seconda,

altrettanto vistosa, è l’aumento di produzione di sedimenti per erosione superficiale.

L’effetto combinato dei due fenomeni è l’aumento vertiginoso del trasporto solido registrato

soprattutto nel primo anno successivo all’incendio.

Le prime conseguenze rilevanti sugli equilibri idrologici sono quindi la perdita della capacità di

intercettazione delle chiome, l’annullamento dell’evapotraspirazione, l’indebolimento progressivo,

seguito a volte dal totale disseccamento, degli apparati radicali.

• INCISIONI DEL SUOLO

Un ulteriore e significativo elemento di trasformazione dei versanti è costituito dalle incisioni, che

sono quasi sempre di origine antropica. Si tratta prevalentemente di strade e di piste carrabili a

servizio dell’agricoltura e della selvicoltura, che si inerpicano sui versanti a mezza costa, il che è

d’obbligo quando è elevata l’acclività dei profili collinari. Quelle che più incidono sulla stabilità

idrogeologica dei versanti sono le piste di quota, che superano di gran lunga il sistema morfologico

pedemontano delle conoidi e raggiungono le fasce medio alte dei rilievi. Si tratta di incisioni quasi

sempre recenti, realizzate in luogo delle antiche mulattiere con lo scopo di favorire l’esbosco

comodo ed economico dei prodotti legnosi provenienti dal taglio dei boschi.

Purtroppo per diversi decenni la realizzazione delle piste di esbosco è stata affidata quasi per

intero alla discrezionalità dei privati, anche nei boschi di proprietà pubblica. In genere

l’aggiudicatario del bosco faceva richiesta al Comune proprietario e all’Autorità forestale del nulla

osta per l’apertura della pista e lo otteneva sulla base di una semplice istanza, accompagnata al

più da una assai approssimativa planimetria della costruendo pista, tracciata sulla carta catastale

in scala 1:10.000. Al resto pensavano l’imprenditore e l’escavatorista, che badavano soprattutto a

limitare i costi dell’operazione, cercando di individuare sulla pendice il tracciato più breve, anche

quando ciò comportava il raggiungimento di pendenze assai elevate lungo le quali l’acqua delle

piogge si sarebbe incanalata con grande violenza e potere erosivo. Per i tempi dell’utilizzazione,

che si limitavano di norma a uno o due anni, era sufficiente il ripetuto spandimento di inerti sul

piano carrabile per mantenere praticabile la pista; poco interessava se essa dopo qualche anno si

trasformava in un canalone impraticabile, solcato dai fossi profondi scavati dall’acqua e ostruito

dagli smottamenti delle scarpate. Sarebbe toccato al successivo aggiudicatario l’onere di rimettere

in sesto, ancora una volta per breve tempo, la strada di esbosco.

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Il risultato di queste pratiche è nella fitta rete di piste di esbosco che attraversano ripetutamente

tutti i versanti delle montagne del bacino del Sarno, con una serie di incisioni del suolo che

determinano discontinuità negli strati piroclastici e alterano profondamente il deflusso delle acque

superficiali e i meccanismi di erosione e di trasporto solido.

L’alternanza di fasi di deposito rapido (eruzioni vulcaniche), di creep lento e di svuotamenti parziali

o totali fa sì che le coperture piroclastiche si presentino su tutti i versanti del bacino come una

successione di orizzonti di cineriti talora rimaneggiate e di suoli sepolti poggianti su un orizzonte

caratteristico siltoso-argilloso che a sua volta è a contatto diretto con il substrato calcareo. In tali

condizioni la presenza di incisioni nella copertura piroclastica può contribuire in maniera assai

consistente a instabilizzare i versanti, sia quando si tratta di incisioni naturali (scarpate naturali

strutturali o di faglia), sia quando invece le incisioni sono di origine antropica (strade). In entrambi i

casi l’incisione costituisce un elemento di predisposizione alla franosità, di indebolimento

localizzato della stabilità del versante, dovuto al venir meno dell’elemento di contrasto al piede

della massa detritica. Nel secondo caso va considerato anche l’ulteriore effetto instabilizzante

dovuto alla innaturale esposizione della testata dei livelli di pomici, attraverso la quale le acque

superficiali possono più agevolmente penetrare nel corpo del deposito detritico.

In realtà l’effetto più significativo delle incisioni antropiche sta proprio nello stravolgimento

dell’idrologia del versante. Le incisioni antropiche della copertura detritica sono dovute quasi

sempre alla realizzazione di strade di servizio agricolo o forestale, che si inerpicano sui rilievi

disegnando lunghe spire su ogni versante. Il più delle volte si tratta di piste tracciate con pendenze

elevate, allo scopo di consentire il superamento di quota con il minore costo possibile. Si

producono così una serie di incisioni che attraversano il versante a quote diverse in tutta la sua

larghezza e intercettano l’intero deflusso superficiale, che viene concentrato lungo il tracciato

stradale. La pendenza elevata fa sì che le acque concentrate si carichino di un’elevata energia

cinetica e di una capacità erosiva considerevole. Il più delle volte le strade si trasformano in veri e

propri corsi d’acqua che scaricano direttamente negli impluvi i volumi concentrati.

Il fatto che molti degli inneschi della colate rapide recenti siano avvenuti in prossimità di strade di

esbosco deve perciò ritenersi tutt’altro che casuale, anche se ancora non è del tutto chiaro il

meccanismo che pone in correlazione l’alterazione dei deflussi provocata dall’incisione e l’innesco

e la propagazione del fenomeno franoso. Diverse conferme sperimentali mostrano che la presenza

delle strade sui versanti è causa da una parte di vistosi incrementi dei deflussi superficiali, dall’altra

dei più significativi incrementi nella formazione dei sedimenti e quindi nell’erosione.

L’eccesso di strade di esbosco è dunque un elemento formidabile di destabilizzazione e di

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alterazione dell’idrologia del versante. Molte delle strade realizzate sui versanti del Sarno sono

assolutamente incompatibili con la tutela e la salvaguardia dell’assetto idrogeologico. E’

necessario perciò prevedere interventi di riassetto che contemplino la sistemazione dei tracciati

che mantengono caratteristiche accettabili e la riconfigurazione del profilo originario del versante

nei casi in cui le dimensioni del tracciato, le pendenze e le alterazioni della morfologia del versante

non risultano compatibili con gli obiettivi di stabilizzazione assunti dal piano di bacino.

• UTILIZZAZIONI FORESTALI IMPROPRIE

Il taglio dei boschi che ricoprono un versante è visto di norma come un’azione che comporta il

denudamento parziale o totale della pendice su una larga area. Quindi come un’azione destinata a

produrre forti alterazioni idrologiche in termini di aumento del deflusso e della produzione di

sedimenti e a determinare un peggioramento delle caratteristiche meccaniche dei suoli trattati.

In realtà la reale consistenza degli effetti del taglio dipende strettamente dalle modalità con cui

esso è effettuato, ovvero dalle forme di governo (ceduo semplice, ceduo composto e alto fusto) e

di trattamento adottate (le varie tipologie di taglio), nonché dalla natura, dalla composizione

litologica e dalla morfologia dei suoli interessati.

Il denudamento del suolo è totale e gli effetti sono vistosi quando il taglio è generalizzato (taglio

raso) ed è condotto su ampie superfici. In questo caso certamente il terreno resta esposto, per

tutto il tempo necessario alla rinnovazione del bosco, all’azione battente dell’acqua piovana;

aumenta considerevolmente l’erosione superficiale diffusa e la produzione di sedimenti, si riduce

considerevolmente o si annulla il contributo positivo dell’intercettazione fogliare e della

evapotraspirazione al contenimento dei deflussi.

• ABBANDONO DELLE COLTURE

Per lungo tempo i terrazzamenti hanno costituito un efficace presidio per la stabilità dei versanti. Di

norma li si trova sulle pendici esposte a mezzogiorno, dove la competizione di pascoli e colture nei

confronti del bosco è stata sempre più forte, a causa dell’aridità del clima. L’intervento di

sistemazione agronomica si è sviluppato nel corso di alcuni secoli, con uno sviluppo in altezza

delle colture, che man mano si andavano estendendo a quote sempre più elevate. Dove le

pendenze si facevano più sostenute e gli affioramenti calcarei più frequenti, il terrazzamento era

sostenuto da un muro di contenimento di pietrame a secco, possibilmente fondato sul substrato

calcareo. Ciò consentiva di ridurre sensibilmente la velocità delle acque provenienti da monte e

quindi di minimizzare i fenomeni erosivi.

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3.4 Azioni risultanti

La tabella riportata in fig. 6 mostra le diverse azioni esercitate dalla copertura vegetale, alcune

delle quali sicuramente benefiche nei confronti della stabilità del versante, come il consolidamento

meccanico dei suoli espresso sotto forma di incremento della resistenza a taglio, o come la

restituzione di una quota di acqua piovana all’atmosfera attraverso l’evapotraspirazione. Per altre

azioni vale in particolare la relazione esistente tra la presenza della vegetazione e le caratteristiche

di permeabilità dei suoli. Infatti la riduzione dei deflussi superficiali è certamente benefica per il

contenimento degli idrogrammi di piena, ma d’altra parte facilita la saturazione del suolo, il che può

essere sfavorevole alla stabilità.

Effetti della vegetazione sulla stabilità dei versanti

Stabilizzanti Positivi/Negativi Destabilizzanti

Meccanici

Rinforzo radicale:

- incremento di coesione offerto dall’apparato radicale;

- aumento della resistenza al taglio degli strati di suolo per effetto della presenza dei tessuti radicali;

- ancoraggio del suolo a substrati sottostanti più stabili o alla roccia (attraverso fessure);

- ingabbiamento di orizzonti profondi e a scarsa coesione da parte dello strato superficiale permeato dalle radici;

- continuità tra chiodatura (radici fittonanti) e strati superiori (radici laterali) o inferiori;

- sostegno del terreno a monte delle ceppaie per scarico delle tensioni secondo archi appoggiati su punti saldi.

Sovraccarico determinato dal peso della biomassa (in particolare le piante nei popolamenti forestali), con aumento delle forze normali (effetto positivo) e parallele (effetto negativo) al pendio.

Vento: trasmissione dalla chioma dei momenti flettenti tramite il fusto e le radici al terreno (piante isolate, rigide e di alto fusto). Scardinamento dell’apparato radicale che s’incunea nelle fratture ove, accrescendosi, determina grandi pressioni, con fratturazione e perdita di coesione dei substrati attraversati dalle radici, o con crolli o schianti (fenomeni localizzati o effetto domino).

Idrologici

- Intercettazione ed evapotraspirazione (prevalentemente con piante in attività vegetativa), che riduce gli afflussi al suolo e abbassa l’eventuale falda sotterranea;

- incremento della coesione del suolo per emungimento radicale di acqua dal suolo e abbassamento del potenziale idrico.

- Incremento della permeabilità edafica che può essere negativo se favorisce una falda sotterranea;

- aumento dell’infiltrazione nei substrati interessati dall’azione disgregatrice delle radici;

- modificazione della deposizione e della durata della copertura nevosa e delle relative acque di fusione;

- aumento della capacità di invaso superficiale da parte della lettiera.

- Concentrazione di deflusso, ristagni, percorsi preferenziali di infiltrazione (viabilità forestale o ordinaria, ceppaie sradicate, etc.)

- riduzione della velocità di scorrimento delle acque di ruscellamento (ostacoli e maggiore scabrezza), positiva per ridurre processi erosivi, ma favorevole a maggiori infiltrazioni.

Fig. 6: Ruolo della vegetazione nel controllo dei dissesti gravitativi superficiali (da Greenwood, 2004; Pollen et al., 2004; Preti, 2005; Scrinzi et al., 2005; Simon e Collison, 2002; Rinaldi, 2003, modificato)

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CAPITOLO 4 - RISCHIO DA INONDAZIONE

L’attività di aggiornamento del P.S.A.I. avviata nel corso del 2006 -2007 non ha compreso l’intera

revisione della pianificazione per la riduzione del rischio in termini di riperimetrazione delle fasce e

sottofasce fluviali [ A, B( B1-B2-B), C], conseguente soprattutto a specifici studi di approfondimento

e/o alla progressiva realizzazione interventi di mitigazione già delineati nello Studio di fattibilità

allegato allo stesso P.A.I. , identificati nel documento di programmazione dell’ AdB Sarno …. ed in

via di recepimento nell’ambito del “Grande Progetto per il completamento della riqualificazione del

fiume Sarno” nel POR Campania 2007-20013.

Gli aggiornamenti intrapresi nel corso del 2008-2009 sono limitati a due aree , interessate dalla

realizzazione di significativi interventi di mitigazione:

• la realizzazione e l’entrata in esercizio del sistema di opere di riduzione del rischio da colata

rapida a cura dell’ ex Commissariato per l’Emergenza idrogeologica nei Comuni di Sarno

Siano e Bracigliano con le conseguenti modifiche alla morfologia delle aste montane e delle

relative fasce fluviali montane così come perimetrate dal vigente P.S.A.I. ;

• l “Aggiornamento delle fasce fluviali e delle aree a rischio idraulico individuate dal

P.S.A.I. alla luce degli interventi di mitigazione realizzati e/o programmati per l’asta

fluviale del torrente Solofrana e dell’alveo Comune Nocerino”, oggetto di uno specifico

finanziamento nell’ ambito dell’ APQ Difesa suolo.

4.1 Perimetrazione delle fasce fluviali montane nei comuni di Sarno, Siano, Bracigliano

Al fine di completare l’aggiornamento delle previsioni di Piano nelle aree rientranti nelle

competenze del Commissariato per l’Emergenza Idrogeologica in Campania ex OO. P.C.M.

2994/99 e ss. mm. e ii. (i.e. Comuni di Sarno, Siano e Bracigliano), si è provveduto alla

riperimetrazione delle fasce fluviali (e più in particolare delle fasce A e B di tipo montano) in quegli

ambiti, già indicati a rischio idraulico dal vigente PSAI, i cui livelli di pericolosità si sono

sensibilmente ridotti a seguito del completamento, collaudo ed esercizio delle opere commissariali.

Operativamente, essendo le opere commissariali progettate e verificate per portate pari o superiori

a quelle con ritorno centennale, è stata imposta, cautelativamente ed in linea con le vigenti

prescrizioni normative del PSAI, una fascia di rispetto di dieci metri a partire dal limite esterno delle

stesse. A tale fascia è stato, poi, associato un livello di pericolosità idraulica corrispondente alla

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fascia fluviale di tipo A montano ed alla relativa disciplina normativa. Dette fasce sono state, infine,

raccordate con quelle preesistenti laddove risultavano assenti, incompleti o non collaudati gli

interventi commissariali.

La mappatura finale è stata ottenuta dopo un’attenta attività di raccordo con i tecnici della Struttura

Commissariale (ora ARCADIS) finalizzata al censimento di tutte le opere in corso di realizzazione,

realizzate e collaudate nonché alla verifica della funzionalità idraulica delle stesse. Tanto in

adempimento di quanto indicato dal Comitato Tecnico di questa Autorità di Bacino nella seduta del

10.12.2009.

La carta delle fasce fluviali così aggiornata è stata poi incrociata con quella degli insediamenti del

vigente PSAI (con edifici e viabilità principale aggiornati su base cartografica 2004) al fine di

conseguire l’adeguamento della corrispondente carta del rischio idraulico. Le categorie di rischio

risultanti sono state rappresentate assimilando le classi R3pot ed R4pot, rispettivamente, ad R3 ed

R4, come peraltro già accade ai fini dell’applicazione delle corrsipondenti Norme di Attuazione.

4.2 Aggiornamento delle fasce fluviali e delle aree a rischio idraulico alla luce degli interventi realizzati e/o programmati per l’asta fluviale del torrente Solofrana e dell’alveo Comune Nocerino

Le attività di aggiornamento sono state sviluppate in coerenza con il programma di studio presentato

a seguito dell’assegnazione di un finanziamento dedicato ad attività di manutenzione del P.A.I.

(codice intervento DS.ST/01).

Coerentemente con esso, sono state avviate attività di censimento degli interventi realizzati,

successivamente alla redazione del vigente PSAI, lungo le aste del torrente Solofrana e dell’Alveo

Comune Nocerino e di verifica dei relativi effetti sulle criticità idrauliche precedentemente indicate

dallo stesso P.S.A.I.. Tale ricognizione ha individuato nella vasca Pandola, recentemente ultimata

dalla Struttura Commissariale Regionale ex Ord. 2994/1999 (ora ARCADIS) in territorio di Mercato

S. Severino, l’intervento più significativo ai fini della mitigazione del rischio idraulico nell’area di

studio. Pertanto si è provveduto a simulare le variazioni indotte sulle piene del torrente Solofrana e

dell’Alveo Comune Nocerino dall’entrata in esercizio del dispositivo di laminazione in questione.

Detto approfondimento ha evidenziato come le ricadute sui fenomeni di esondazione si esauriscano

poco oltre la località S. Angelo (sempre a Mercato S. Severino), a valle della quale sono stati

verificati inalterati gli scenari di rischio già individuati dal vigente PSAI. Tutto quanto premesso, si è

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proceduto alla schematizzazione delle attività finalizzate all’aggiornamento dei livelli di pericolosità

idraulica e, conseguentemente, delle fasce fluviali e delle aree a rischio nell’area oggetto di studio,

di fatto interessata dall’influenza della vasca, confermando le previsioni del PSAI per i territori

attraversati dall’Alveo Comune Nocerino e dal torrente Solofrana, a valle della località S. Angelo.

Per quanto concerne, invece, le attività di aggiornamento dei documenti di Piano a seguito degli

interventi già programmati nell’area oggetto di studio, il livello delle progettazioni connesse agli

stessi non ha consentito di simulare, a scala di dettaglio, i relativi effetti sui livelli di pericolosità e

rischio idraulici futuri, essendo peraltro in corso di approvazione il Grande Progetto per il

“completamento della riqualificazione e recupero del fiume Sarno” (POR - FESR 2007/2013) nel

quale confluiranno tutte le iniziative finalizzate alla sistemazione idraulica del bacino.

Lo studio (vedi Allegato 08) ha infine consentito una verifica applicativa delle metodologie e dei

criteri per la perimetrazione delle sottofasce fluviali (B1, B2, B3) dalla quale è scaturita la proposta di

aggiornamento delle Norme di Attuazione del P.S.A.I. in materia di rischio e pericolosità idraulica.

Fasi di lavoro e modalità di attuazione delle attività

In relazione alle finalità ed agli obiettivi di cui sopra l’attività è stata articolata in tre fasi di lavoro. Un

primo momento, di raccolta delle informazioni (già in possesso o da reperire/acquisire), un secondo,

di elaborazione e restituzione intermedia, una terza ed ultima fase di interpretazione/rielaborazione

ed esame critico dei risultati ottenuti.

La fase di raccolta dati ha riguardato principalmente la ricostruzione delle caratteristiche

topografiche, idrologiche, geologiche, geomorfologiche, insediative e di uso del suolo inerenti l’area

di studio; caratterizzazione che ha richiesto, ove necessario, il ricorso a specifiche indagini di

campo.

La fase di elaborazione ha permesso, invece, l’implementazione delle informazioni territoriali

acquisite e la simulazione dei fenomeni fisici di interesse a mezzo di appositi codici numerici di

calcolo; i risultati ottenuti sono stati, successivamente, restituiti sotto forma di mappe tematiche

intermedie.

La fase conclusiva ha affrontato, infine, l’interpretazione dei risultati in chiave pianificatoria fornendo,

previo aggiornamento degli elaborati di Piano, nuovi indirizzi e proposte di intervento (strutturali e

non) per la mitigazione del rischio idraulico e per l’attuazione degli interventi di sistemazione

idraulica.

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Le attività sono state curate dal gruppo di lavoro interno dell’Autorità di Bacino del Sarno (ex

Decreto n. 14 del 22.02.08 e ss. mm. e ii. del Segretario Generale) con l’avvalimento di collaboratori

esterni (per gli aspetti concernenti le modellazioni numeriche e le indagini di campo) ed il

coordinamento scientifico del prof. Enzo Pranzini dell’Università di Firenze.

Prodotti ed elaborati

Nello specifico lo studio ha sviluppato i seguenti contenuti:

§ aggiornamento della base cartografica dell’ambito di studio;

§ caratterizzazione generale del sistema fisico ed antropico dell’ambito di studio;

§ indagine sulle caratteristiche morfologiche e sedimentologiche dell’asta fluviale del Torrente

Solofrana e dell’Alveo Comune Nocerino ai fini della conducibilità idraulica;

§ analisi idrologica e schematizzazione delle piene in arrivo dai torrenti Solofrana, Laura,

Calvagnola e Lavinaio (Rio Secco);

§ studio degli effetti di laminazione indotti dalla vasca Pandola sulle piene in arrivo dal sistema

Rio Laura – Torrente Solofrana;

§ studio delle ricadute della vasca Pandola sui fenomeni di esondazione nei territori dell’ambito di

studio posti a valle della stessa ed individuazione dell’ambito di approfondimento idraulico;

§ caratterizzazione topografica ed insediativa dell’ambito di approfondimento;

§ individuazione delle condizioni al contorno per la modellazione dei fenomeni di esondazione

nell’ambito di approfondimento e relativa implementazione;

§ simulazione dei fenomeni di esondazione e restituzione dei livelli di pericolosità idraulica

nell’ambito di approfondimento;

§ elaborazione dei risultati ed aggiornamento della carta delle fasce fluviali, del danno e del

rischio idraulico per l’ambito di approfondimento;

§ identificazione degli interventi (strutturali e non) da prevedere per la mitigazione del rischio

nell’ambito di approfondimento idraulico.

I contenuti ed i risultati dello studio, così come sopra sistematizzati, sono confluiti in un unico

documento articolato come da seguente elenco elaborati:

AGGIORNAMENTO PSAI

R.01 – Relazione Generale

I.G.01 – Corografia Area Studio (bacino torrente Solofrana) Scala 1 : 25.000

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I.G.02 – Inquadramento Ambiti Approfondimento Scala 1 : 25.000

I.G.03 – Carta Geolitologica Scala 1 : 25.000

I.G.04 – Carta Geomorfologica Scala 1 : 25.000

I.G.05 – Carta degli Spessori Scala 1 : 25.000

I.G.06 – Carta dell’Uso Suolo (CUAS regionale) Scala 1 : 25.000

I.G.07 – Carta Reticolo Idrografico Scala 1 : 25.000

I.G.08 – Aerofotogrammetria di riferimento e Catasto opere idrauliche Scala 1 : 5.000

R.I.01 – Carta degli Insediamenti Scala 1 : 5.000

R.I.02 – Carta delle Fasce Fluviali Scala 1 : 5.000

R.I.03 – Carta del Rischio Idraulico Scala 1 : 5.000

ALLEGATI

Elaborati Specialistici

Modellazione Idraulica

M.I.00 – Indagine sulle caratteristiche morfologiche e sedimentologiche dell’asta fluviale del Torrente Solofrana e dell’Alveo Comune Nocerino

M.I.R.01 – Relazione

M.I.R.02 – Risultati Elaborazioni

M.I.01 – Corografia Area Studio Scala 1 : 5.000

M.I.02 – Altimetria Area Studio Scala 1 : 5.000

M.I.03 – Grigliato di Calcolo (tre quadranti) Scala 1 : 2.000

M.I.04 – Massimi Tiranti Idrici (su ortofotocarta) Scala 1 : 5.000

M.I.05 – Massimi Tiranti Idrici (su aerofotogrammetria/tre quadranti) Scala 1 : 2.000

M.I.06 – Massima Velocità (su aerofotogrammetria/tre quadranti) Scala 1 : 2.000

M.I.07 – Massima Vettori Velocità (su aerofotogrammetria/tre quadranti) Scala 1 : 2.000

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Sintesi dei principali risultati

L’analisi critica dei risultati ottenuti a seguito dell’approfondimento dei fenomeni di

esondazione a valle del dispositivo di laminazione, ha permesso di formulare importanti

considerazioni sulle implicazioni, di carattere idraulico, connesse alla realizzazione e messa in

esercizio della vasca Pandola. i risultati dell’attività hanno consentito, tra l’altro, di fare ulteriore

chiarezza sull’opportunità di attuare gli interventi di sistemazione idraulica, in buona parte già

identificati, nella loro interezza e secondo soluzioni tali da conciliare le esigenze di difesa dal

rischio idraulico con quelle di salvaguardia e ripristino delle naturali dinamiche fluviali.

Con particolare riferimento all’approfondimento idraulico dei fenomeni di esondazione a valle del

dispositivo di laminazione ed in tutta l’area indagata, i risultati della modellazione idraulica mono e

bidimensionale hanno evidenziato due aspetti fondamentali:

1. L’effetto di laminazione della vasca nei confronti delle piene centennali, riduce ma non

azzera l’intensità dei fenomeni di esondazione nelle aree poste a valle; tale beneficio si manifesta

in relazione alla capacità di convogliamento del reticolo idrografico attenuandosi lungo il corso del

torrente Solofrana.

2. I volumi esondati non rientrano in alveo ma si propagano in ragione dell’andamento

topografico delle pertinenze del corso d’acqua accumulandosi nelle aree depresse e/o confinate,

anche a notevole distanza dallo stesso.

Dalle suddette considerazioni discende che i livelli di pericolosità idraulica, fatta eccezione per

quelli registrati in prossimità dei tronchi d’alveo insufficienti, risultano mediamente più contenuti

nelle aree subito a valle della vasca laddove, in conseguenza dell’effetto di laminazione, minori

sono i volumi esondati; al contrario, i tiranti idrici si presentano più elevati procedendo verso valle,

tanto a causa degli ulteriori contributi di piena in arrivo dai torrenti Calvagnola e Lavinaio, quanto

per effetto del progressivo accumulo dei volumi esondati dal torrente Solofrana nelle aree

topograficamente svantaggiate. A tal riguardo, il dato più interessante proveniente dalle

simulazioni effettuate concerne la distribuzione delle aree a maggior pericolosità idraulica le quali

si attestano, contrariamente a quanto indicato nel vigente PSAI, anche lontano dal corso d’acqua

ovvero ai margini delle aree interessate dal fenomeno di esondazione. Ciò si spiega con la

particolare configurazione morfologica della piana del torrente Solofrana il cui percorso, in buona

parte artificializzato, si snoda a quote maggiori rispetto al “fondo valle”.

Dette considerazioni trovano riscontro nella nuova mappatura delle fasce fluviali che individua, per

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l’ambito di approfondimento, perimetrazioni più estese rispetto alle previsioni del vigente PSAI (cfr.

tav. R.I.2) e classi di pericolosità idraulica distribuite secondo areali a “macchia di leopardo”.

A tal riguardo, al fine di fornire una rappresentazione più efficace del fenomeno di esondazione, si

è scelto di introdurre una distinzione formale tra i livelli di pericolosità idraulica riconducibili al

transito dei volumi esondati e quelli relativi all’accumulo degli stessi; le tradizionali fasce fluviali A,

B1, B2 e B3 sono state, pertanto, integrate dalle omologhe A*, B1*, B2* e B3*.

In figura 7 il confronto sintetico (in termini di fasce fluviali e per il solo ambito di approfondimento15)

tra le previsioni del vigente PSAI e quelle risultanti dal presente studio:

superfici in ettari (ha) fascia A

valliva

fascia B valliva

sottofascia

B1

sottofascia

B2

sottofascia

B3

totale aree inondabili

A + B

vigente PSAI 54.58 120.60 - - - 175.18

aggiornamento 64.05 138.39 12.43 33.97 91.99 202.44

incremento 9.47 17.79 27.26

Figura 7 - Confronto tra superfici a diverso grado di pericolosità nel PSAI vigente e nella presente revisione

I circa 30 ettari di nuove aree interessate da allagamento sono quasi interamente distribuiti in

destra idraulica al torrente Solofrana laddove le simulazioni hanno evidenziato l’accumulo, con

elevati tiranti idrici, di buona parte dei volumi esondati.

Le aree ricadenti in fascia fluviale di tipo B, invece, i cui livelli di pericolosità si presentavano

indifferenziati nel PSAI, risultano caratterizzate per circa il 70 % da tiranti idrici inferiori ai 30 cm

(sottofascia B3).

In queste ultime sono state inserite anche quelle superfici non interessate dal transito dei volumi

esondati (tiranti idrici nulli) ma già ricadenti nel perimetro del PSAI e, pertanto, acquisite alla

pertinenza del corso d’acqua. Costituiscono eccezione solo le aree immediatamente a valle della

vasca dove si è scelto di assegnare, cautelativamente, il massimo livello di pericolosità idraulica

15 nella sommatoria così come nella mappatura di aggiornamento delle fasce fluviali si è tenuto conto anche dei risultati di cui all’approfondimento idraulico redatto dall’Amministrazione Comunale di Mercato S. Severino nell’ambito delle opere di urbanizzazione a servizio del PIP “Sibelluccia”, approvato con delibera di C.I nella seduta del 21 dicembre 2004, opportunamente raccordato ai risultati del presente studio.

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(fascia A) ai terreni sottoposti all’opera di sfioro ed un livello intermedio (sottofascia B2) a quelli

ubicati al piede delle strutture arginali.

Tutto quanto premesso, è opportuno evidenziare come il confronto tra la nuova mappatura delle

fasce fluviali e le vigenti previsioni del PSAI vada letto anche in relazione ai differenti approcci

metodologici che le hanno determinate e, soprattutto , alla luce del diverso grado di

approfondimento conseguito nel passare da una stima qualitativa ad una più quantitativa e

fisicamente basata dei fenomeni di esondazione. Nell’ambito del Piano, infatti, le perimetrazioni

sono state individuate, una volta stimato per via idraulico-idrologica il volume complessivamente

esondato, su base morfologica, anche in considerazione delle aree storicamente allagate, con tutte

le approssimazioni conseguenti al dettaglio topografico all’epoca disponibile (cartografia di base al

5.000), quest’ultimo di gran lunga inferiore a quello preso a riferimento nella presente attività di

aggiornamento.

In tal senso, l’incremento delle aree inondabili (e, talvolta, dei relativi livelli di pericolosità) rispetto a

quanto originariamente indicato nel PSAI va confrontato con il maggior dettaglio sui massimi tiranti

idrici e con la conseguente miglior differenziazione delle classi di pericolosità idraulica nell’ambito

di approfondimento; quest’ultimo aspetto, oltre a tradursi in una rappresentazione più realistica

delle condizioni di rischio, costituisce un oggettivo avanzamento in termini pianificatori,

consentendo una più chiara lettura delle possibilità di utilizzazione del suolo in maniera compatibile

a fronte della complessità di interpretazione del vigente PSAI16.

Il confronto tra la Carta del rischio del P.S.A.I. vigente e la nuova Carta redatta per l’area di

approfondimento evidenzia che le classe di rischio prevalenti sono R1- moderato ed R2- Medio,

contenute quindi entro il livello definito come “Rischio accettabile”; in particolare passano da

Rischio idraulico Elevato a Rischio Medio o Moderato una considerevole porzione del centro

storico di Mercato S.Severino ed altri insediamenti urbani consolidati lungo il Solofrana (cfr. Tav.

RI.01-Carta degli insediamenti e Tav.RI.03-Carta del Rischio Idraulico).

16 nel vigente PSAI la fascia B valliva si presenta indifferenziata e le possibilità di intervento risultano subordinate ad approfondimenti idraulici dei fenomeni di esondazione che rimandano a prescrizioni normative differenziate in funzione dei tiranti idrici stimati (cfr. disciplina specifica delle sottofasce fluviali di cui alle Normativa di Attuazione del PSAI).

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Proposte di intervento

I possibili incrementi locali di pericolosità idraulica nell’ambito di approfondimento, rendono tuttavia

prioritaria l’esigenza di accompagnare la nuova mappatura delle fasce fluviali con un apposito

abaco di misure (strutturali e non) finalizzato alla salvaguardia di quegli elementi che dovessero

trovarsi esposti a scenari di rischio più gravosi di quelli previsti dal vigente PSAI.

Le misure immediate da attivare sono il Piano di Protezione Civile Comunale nonché modesti

interventi di mitigazione finalizzati alla riduzione della vulnerabilità intrinseca di singoli elementi

particolarmente “sensibili”, quali un edificio scolastico di recente costruzione, da definirsi a

seconda delle casistiche coinvolte.

Prioritaria si conferma, altresì, l’esigenza di adeguare gli strumenti di pianificazione urbanistica

comunale; il Comune di Mercato S. Severino, il cui territorio è interessato dalla riperimetrazione, ha

in corso la redazione del PUC comprensivo del richiesto adeguamento al P.S.A.I. e le risultanze

dello studio potranno contribuire alla sua definizione secondo gli indirizzi di governo del rischio e di

tutela ambientale dettati sia dalla pianificazione di bacino che dal Piano Territoriale Regionale.

Un’ultima considerazione va fatta in merito agli effetti indotti sulle piene dalla realizzazione e

messa in esercizio della vasca Pandola; a tal riguardo e per quanto esposto, è bene sottolineare

come gli aggravi di pericolosità idraulica rilevati nei territori posti a valle sono dovuti al diverso

grado di approfondimento con il quale sono stati studiati i fenomeni di esondazione e non già al

funzionamento della stessa che, giova ribadirlo, risulta benefica almeno fino quando al torrente

Solofrana non pervengono i contributi di piena dei torrenti Calvagnola e Lavinaio.

Dal punto di vista della sistemazione idraulica del bacino e, più in particolare, degli interventi da

realizzare per la messa in sicurezza della valle del torrente Solofrana, l’attività di approfondimento

ha fornito importanti indicazioni, che in parte confermano ed avvalorano le strategie già delineate,

sulle modalità di attuazione delle previsioni a suo tempo formulate nel Progetto di Fattibilità,

traducibili nei seguenti obiettivi di difesa idraulica:

1. eliminazione dei fenomeni di esondazione lungo il tronco del torrente Solofrana emissario

della vasca Pandola;

2. contenimento dei contributi di piena in arrivo dai torrenti Calvagnola e Lavinaio;

3. eliminazione e/o mitigazione dei fenomeni di esondazione lungo il tronco del torrente

Solofrana a valle dell’abitato di Mercato S. Severino.

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Ad eccezione del primo, agevolmente conseguibile con modesti interventi di riprofilatura ed

adeguamento delle sezioni del corso d’acqua alla portata massima rilasciata dal dispositivo di

laminazione (stimata in circa 35 mc/s), i rimanenti obiettivi richiedono un’attenta calibrazione ed

ottimizzazione delle soluzioni possibili; queste ultime da scegliere in funzione di precise e

sostenibili strategie di contenimento del rischio idraulico17. Attesa l’esigenza di ricorrere ad aree di

espansione sui due principali tributari del torrente Solofrana, infatti, il relativo dimensionamento e

conseguente effetto di laminazione dipenderà tanto dalle possibilità di adeguamento del torrente

Solofrana quanto dagli scenari di rischio residuo che si intende “conservare” nelle relative

pertinenze.

Determinante, in quest’ottica, l’attuazione degli interventi di difesa idraulica programmati a valle

dell’ambito di approfondimento e, primo tra tutti, dell’area di espansione in località Casarsano alla

cui entrata in esercizio andrebbero progressivamente condizionati gli interventi di adeguamento

idraulico delle sezioni del torrente Solofrana. Alternativamente, potrebbe risultare utile dare rapido

avvio agli interventi di laminazione delle piene sui torrenti Calvagnola e Lavinaio procedendo,

contestualmente, ad incrementare la capacità di convogliamento del torrente Solofrana in ragione

degli “alleggerimenti” prodotti; anche in questo caso gli interventi andrebbero individuati

valutandone attentamente la propedeuticità, in termini di costi e benefici, ed avendo cura di non

produrre incrementi dei livelli di rischio nei territori postipiù a valle.

Le risultanze dello studio confermano quindi la necessità di attuazione di interventi da realizzarsi in

tempi anche più contenuti di quelli previsti nella programmazione dell ‘Autorità secondo un

cronoprogramma che prevede:

§ interventi immediati

§ interventi di breve periodo

§ interventi di medio periodo

In figura 8 si riporta lo schema di proposte di intervento, alcune già previste dalla programmazione

dell’ A.d.B. Sarno e recepite nell’ambito del “Grande Progetto per il completamento della

riqualificazione del fiume Sarno-POR Campania 2007-2013”, con l’indicazione delle priorità e delle

possibili fonti di finanziamento.

17 il Progetto di Fattibilità per la sistemazione idraulica del bacino idrografico del fiume Sarno, redatto nell’ambito del PSAI, individua interventi finalizzati alla completa rimozione del rischio idraulico. Tanto le soluzioni proposte per il trattenimento dei volumi di piena a monte dei centri abitati (stimati in oltre 3 milioni di metri cubi) quanto quelle volte al potenziamento delle capacità di convogliamento dei corsi d’acqua risultano, pertanto, concepite al limite della loro fattibilità tecnica nonché con il massimo impatto economico e territoriale.

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CRONOPROGRAMMA

INTERVENTI DI MITIGAZIONE DEL RISCHIO IDRAULICO imm

edia

ti

bre

ve

per

iod

o

med

io

per

iod

o

FONTI

DI FINANZIAMENTO

Attivazione del Piano di protezione civile alla scala comunale secondo i criteri di cui al P.S.A.I. con particolare riferimento all’allerta in caso di eventi meteorici eccezionali segnalati dalla Protezione Civile ed all’inibizione dell’uso dei locali posti sotto il livello della piena di riferimento

u

Fondi comunali

Fondi Regionali

Settore Protezione Civile

Interventi puntuali di riduzione della vulnerabilità intrinseca di elementi classificati a rischio in conseguenza della nuova perimetrazione delle fasce fluviali con particolare urgenza per specifiche aree ed edifici particolarmente “sensibili” in quanto destinati ad attrezzature pubbliche o di uso pubblico ( quali gli edifici scolastici) o sede di attività produttive rilevanti e riclassificati a rischio R3-R4 Elevato e Molto Elevato, da effetture secondo gli accorgimenti tecnico-costruttivi di cui all’ Allegato G delle Norme di attuazione del P.S.A.I. (es. confinamento idraulico delle aree mediante sopraelevazione o realizzazione di barriere fisiche per la corrente di inondazione, sovralzo delle sogli di accesso e delle aperture sottostanti il livello della piena di riferimento , installazione di stazioni di pompaggio etcc..) e senza che ciò comporti potenziale aggravio di rischio per le aree contermini

u

Fondi comunali

Fondi Regionali

Settore Protezione Civile

Inte

rven

ti n

on

str

utt

ura

li

Adeguamento Strumenti urbanistici comunali u -

Programmazione di esondazioni controllate nelle aree dove è già prevista la realizzazione di vasche di laminazione delle piene sui

rami del Calvagnola e del Lavinaio a monte dell’area oggetto della riperimetrazione nelle more della realizzazione delle stesse,

anche con eventuale installazione di un dispositivo di controllo delle portate in corrispondenza del sottopasso autostradale in

comune di Fisciano/ Mercato S.Severino

u

Fondi comunali

Fondi Regionali

Settore Protezione Civile

Inte

rven

ti s

tru

ttu

rali

– o

bie

ttiv

i di

dif

esa

idra

ulic

a 1-

2-3

Ottimizzazione del funzionamento della vasca Pandola mediante dispositivi volti al controllo dell’esondazione “interna” alla vasca u -

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Installazione stazione di monitoraggio delle portate in uscita dalla vasca Pandola per l’attivazione delle misure di protezione civile a

scala comunale u

Fondi comunali

Fondi Regionali

Settore Protezione Civile

Integrazione della stazione di monitoraggio della vasca Pandola nel sistema di monitoraggio della Protezione civile regionale. u

Fondi comunali

Fondi Regionali

Settore Protezione Civile

Realizzazione e messa a regime dell’ area di laminazione lungo il Calvagnola (Fisciano) u

POR 2007-13

Grande progetto Sarno

Realizzazione e messa a regime dell’ area di laminazione lungo il Lavinaio (Mercato S.S / Fisciano) u

POR 2007-13

Grande progetto Sarno

Realizzazione area laminazione piene in località Casarsano (Nocera Inferiore) a valle dell’ambito di approfondimento u

POR 2007-13

Grande progetto Sarno

Adeguamento sezioni d’alveo Torrente Solofrana a valle della vasca Pandola all’atto dell’entrata in funzione delle aree di

laminazione a valle in località Casarsano u

POR 2007-13

Grande progetto Sarno

Figura 8 – Schema delle proposte di intervento per la riduzione del rischio idraulico

4.3. Aggiornamento Norme di Attuazione ed Allegati Tecnici

L’analisi delle caratteristiche del sistema antropico e l’applicazione delle metodologie previste dal

P.S.A.I per la delimitazione delle sottofasce fluviali hanno costituito un’occasione di ulteriore

verifica degli aggiornamenti e delle modifiche già apportate alle Norme di Attuazione vigenti nel

corso del 2008 , sia in termini di disciplina prescrittiva sugli usi del suolo compatibili, sia in termini

di modalità tecniche con le quali condurre gli studi di compatibilità idraulica.

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Le finalità delle modifiche apportate, con riferimento particolare alle strategie per la riduzione del

rischio idraulico del bacino del Sarno, erano infatti rivolte a rispondere all’esigenza, scaturita

dall’esperienza di questi anni di gestione del Piano, di maggiore controllo sulle proposte di

trasformazione ed edificazione nell’ambito delle pertinenze fluviali, soggette a una notevole

pressione insediativa spesso in corrispondenza delle aree maggiormente critiche sotto il profilo

idraulico.

In conseguenza delle risultanze dello studio idraulico e delle verifiche metodologiche condotte,

oltre a quanto già modificato nel corpo delle Norme di Attuazione del Piano si è proposta

l’introduzione di nuove definizioni per le aree inondabili non pienamente rispondenti ai criteri di

delimitazione delle fasce e sottofasce A, B1, B2, B3 e le conseguenti integrazioni alle tabelle

sintetiche per la determinazione del Rischio Idraulico nonché alle Norme di Attuazione ed agli

Allegati Tecnici per le parti inerenti la pericolosità ed il rischio idraulico (Allegati B,C,E,H).

Per l’illustrazione in dettaglio dello studio e delle sue risultanze si rimanda agli elaborati illustrativi

che compongono lo studio in precedenza elencati ed in particolare all’ elaborato denominato :

R.01 – Relazione Generale (Aggiornamento delle fasce fluviali e delle aree a rischio idraulico

individuate dal P.S.A.I. alla luce degli interventi di mitigazione realizzati e/o programmati per l’asta

fluviale del torrente Solofrana e dell’alveo Comune Nocerino).

Gli elaborati di sintesi , ovvero la “Carta delle fasce fluviali ( Tav.RI02) ” e la Carta del Rischio

idraulico ( TAV. RI03)” aggiornate ai fini della Conferenza programmatica, sono riportati anche nel

sistema di restituzione grafica secondo il quadro di riferimento IGM 1:5000 in uso per il vigente

P.S.A.I. . Per tutti gli altri elaborati ed Allegati specialistici si fa riferimento all’elenco in precedenza

riportato.

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CAPITOLO 5 - MISURE PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO

5.1 Strategie generali

Le colate rapide nel bacino del Sarno sono un fenomeno antico e conosciuto, ma destinato ogni

volta a essere annullato nella memoria delle popolazioni, così come le stesse nicchie di frana

vengono, dopo pochi anni, obnubilate dal rimodellamento morfologico dovuto all’erosione

superficiale e dall’insediamento della nuova vegetazione. La memoria dei disastri provocati dalle

frane è molto più breve di quella delle eruzioni, forse perché nel primo caso non resta neanche la

presenza incombente e inamovibile del vulcano ad ammonire. E se la paura del vulcano non ha

impedito che la crescita irruente degli ultimi decenni ne riempisse le falde di innumerevoli

insediamenti abitati, a maggior ragione il ricordo delle frane non ha impedito che gli insediamenti

umani si estendessero fino alle aree assoggettate al massimo rischio, fino al piede delle conoidi

più esposte all’impeto delle frane.

Anche nell’ipotesi che la propensione a franare dei versanti non abbia subito alcuna variazione in

conseguenza delle forti modifiche dell’uso del suolo di cui si è detto in precedenza, è evidente il

maggior risalto, la maggiore gravità che il problema assume oggi a causa dell’esposizione

immensamente aumentata di fabbricati civili e produttivi, di strade e reti tecnologiche, e quindi

l’importanza della definizione di strategie organiche di mitigazione del rischio.

L’approccio assunto dall’Autorità di Bacino è stato in primo luogo quello di riconoscere le

condizioni di maggior rischio, sulle quali dovranno essere concentrate le azioni prioritarie di messa

in sicurezza e di riduzione e prevenzione del rischio.

Per questo motivo la nuova Carta del Rischio da Frana evidenzia gli elementi rilevanti ai fini della

mitigazione: edifici, infrastrutture di trasporto, reti di servizi essenziali.

Qui bisognerà intervenire per controllare l’evoluzione dei fattori responsabili dell’instabilità dei

versanti che siano modificabili dall’azione antropica e per monitorare l’evoluzione dei fattori non

modificabili. Le azioni possibili nell’ambito della pianificazione di bacino sono sempre riconducibili

alla prevenzione: prevenire o ritardare i fenomeni gravitativi violenti e, quando ciò non è possibile,

prevenirne gli effetti.

Per i fattori non modificabili (l’intensità e la durata delle piogge, le variazioni di umidità nel suolo) è

necessario ricercare i valori di soglia al di sopra dei quali la probabilità dell’evento franoso aumenta

in maniera considerevole. La finalità è la messa a punto di sistemi di allerta che possano

consentire per tempo la messa in sicurezza o l’allontanamento delle persone esposte al rischio.

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L’attivazione dei sistemi di allarme e delle strategie di pronto intervento è azione di competenza

della Protezione Civile.

In quanto ai fattori modificabili dall’azione antropica, la pianificazione deve tendere a individuare gli

interventi pubblici e le forme di disciplina delle attività private idonei a ottenere le modificazioni utili

alla prevenzione dei fenomeni e a scongiurare quelle dannose.

Alcune modificazioni possono essere provocate direttamente. Ad esempio la pendenza di un

impluvio può essere ridotta attraverso un’azione di gradonamento con briglie. In questo caso

l’intervento possibile è generalmente di tipo ingegneristico.

In altri casi l’azione è indiretta. Lo spessore dei detriti negli impluvi è ad esempio regolato dagli

apporti solidi, la cui riduzione è favorita dall’efficienza idrogeologica della copertura vegetale o

dall’esistenza di sistemazioni agronomiche ben mantenute. E viceversa il trasporto solido può

accrescersi per effetto dei dissodamenti (frequenti ancora nella prima metà del secolo scorso) o

degli incendi (frequenti oggi).

Ne discende che un corretto approccio pianificatorio orientato verso l’obiettivo della mitigazione del

rischio deve comprendere tanto gli interventi ingegneristici e idraulici di messa in sicurezza, quanto

gli interventi estensivi di sistemazione idraulico forestale, le azioni manutentive, la continua attività

di monitoraggio e di presidio, la disciplina delle azioni antropiche indotte dalle attività economiche

esercitate sui versanti.

I provvedimenti di messa in sicurezza adottati dopo gli episodi più gravi (in particolare quelli di

Sarno e dei comuni limitrofi del 5 maggio 1998) tengono conto specificamente del comportamento

“idraulico” del fenomeno. Sono consistiti infatti prevalentemente nella realizzazione lungo l’impluvio

di capienti vie d’acqua canalizzate, alle quali è stato affidato il compito di contenere il deflusso dei

materiali sciolti liquefatti e di convogliarlo in grandi vasche di laminazione del moto. Si è trattato

dunque di risolvere fondamentalmente il problema idraulico classico di un fluido in movimento

entro una sezione nota, con pendenze e viscosità note: la determinazione della portata massima in

funzione dei parametri idrologici e quindi il calcolo della sezione idraulica in funzione di detta

portata.

Ma l’approccio ingegneristico idraulico comporta sempre un rapporto molto elevato tra costi e

benefici. Se pure il criterio di canalizzare tutti gli impluvi di un bacino fosse sempre adottabile a

livello progettuale, dovrebbe essere prioritariamente applicato a protezione di quelle infrastrutture

essenziali (ferrovie, strade di grande comunicazione) o di grande pregio storico-ambientale,

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assolutamente non delocalizzabili e per le quali anche l’interdizione temporanea rappresenta un

danno superiore al costo economico ed ambientale dell’intervento.

In un approccio coordinato, costruito in funzione dei fattori e dei parametri che influenzano

positivamente o negativamente la stabilità, si integrano le attività previsionali finalizzate

all’allertamento delle persone e dei beni a rischio, le azioni ingegneristiche e le attività di governo e

di indirizzo delle forme d’uso del suolo, secondo lo schema di fig. 9.

Azioni pianificabili Fattori Effetti Parametri Unità

misura Influenze

allertamento ingegneria uso del suolo Intensità I [mm] riduz. C e F Precipitaz. - saturaz. suolo

- erosione sup. Durata T [h] riduz. C e F

soglie critiche

Pendenza P = tg a az. instabilizz. Spessore piroclastiti

S [cm] az. instabilizz.

C [kg/cm2]

Suolo - gravitazione

Caratter. meccaniche F

az. stabilizz.

monitoraggio deformazioni lente

- incanalam. - modific. P - rimozione S - ancoraggi S

Densità copertura

Dc [mq/Ha] contenim. S Vegetaz. - controllo deflussi

- ancoraggio suolo

Sviluppo radici

Sr [cm2/m2] aum. C e F

Infittimenti e imboschimenti

governo della copertura vegetale

Incendi - erosione sup. % superficie bruciata

B aum. S ricostituzione della copertura

Prevenzione incendi

Incisioni - erosione superf.

- creaz. fronti liberi

% superficie St aum. S - ripr. deflussi - contenimenti

inibizione nuovi tagli

Influenze positive: Influenze negative:

Fig. 9: le strategie per il controllo dei fenomeni di instabilità

Il complesso delle attività efficaci per il controllo dei fattori naturali e antropici predisponenti

all’instabilità va dunque ben al di là della individuazione delle aree di massimo rischio e della

definizione degli interventi di messa in sicurezza. Il compito principale della pianificazione su scala

di bacino è allora quello di delineare una strategia complessa e organica di interventi e di attività

integrate che solo nel loro insieme possono contribuire alla mitigazione del rischio. Infatti, data la

sostanziale instabilità del sistema geomorfologico antropizzato, la mitigazione del rischio non potrà

essere garantita a lungo da interventi singolari e sporadici, senza che essi siano accompagnati da

un complesso di azioni diffuse e continue, riassumibili nelle seguenti voci:

a) MANUTENZIONE

E’ fondamentale che le opere di difesa realizzate siano sottoposte a una manutenzione continua. Il

bacino del Sarno è pieno di opere di difesa realizzate negli ultimi due secoli, il cui comune destino

sembra essere stato l’oblio. Si tratta non solo delle opere di sistemazione e di bonifica realizzate in

età borbonica e post-unitaria, ma spesso anche di interventi molto più recenti, realizzati nell’ultimo

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dopoguerra e poi abbandonati o dimenticati, dei quali sarebbe necessario ricostruire quanto meno

un inventario.

Quante vasche di laminazione realizzate dai Borboni ai piedi dei Lattari o del Pizzo d’Alvano sono

state destinate a funzioni diverse, o invase dall’urbanizzazione. E quante sistemazioni degli alvei e

degli impluvi, abbandonate subito dopo la loro realizzazione, sono state poi devastate dalle piene e

dagli scoscendimenti. Si tratta di centinaia di briglie e di traverse sventrate o ribaltate dalla furia

delle acque, di opere di difesa spondale aggirate, di sistemazioni idrauliche vanificate.

Ma ancora più importante è che si consideri oggetto di manutenzione non solo il singolo intervento

di sistemazione, ma il territorio montano nel complesso e che quindi sia considerata con priorità,

tra gli interventi programmati nell’ambito della pianificazione di bacino, la manutenzione diffusa

delle piccole opere di sistemazione idraulica dei versanti, dei muri di contenimento a secco e dei

ciglioni, dei fossi, delle cunette, degli argini, di tutto quanto insomma contribuisce con la sua

conservazione in efficienza, alla difesa dell’equilibrio idrogeologico.

b) PRESIDIO

Affinché la manutenzione possa essere condotta con la necessaria continuità ed efficacia è inoltre

necessaria, data l’imprevedibilità dei fenomeni atmosferici che generano l’instabilità e provocano i

dissesti, un’osservazione assidua dello stato di efficienza di tutte le opere di sistemazione, che è

possibile solo quando il territorio è presidiato da una presenza umana fortemente interessata alla

sua conservazione. Il presidio non può essere generico, ma mirato al controllo delle situazioni e

delle aree a rischio maggiore e sostenuto da una accurata progettazione. Deve contare su una

consistente disponibilità di risorse umane e su un’efficace organizzazione della capacità di

intervento, di registrazione e di comunicazione delle notizie. In primo luogo deve contare sul

coordinamento delle forze umane, per la verità cospicue, già impegnate dalle istituzioni pubbliche

per le finalità proprie della difesa del suolo (lavoratori idraulico-forestali di Comunità montane e

Province, operai e sorveglianti del Consorzio di bonifica).

c) MONITORAGGIO

Il monitoraggio dei parametri fisici è ancora attività troppo episodica per poter essere considerata

sistematica. E’ perciò necessario uno sforzo notevole perché le esperienze ora disponibili siano

integrate in un sistema coordinato di conoscenze. Sono ancora molti i dati essenziali per la

previsione e la prevenzione dei dissesti la cui conoscenza è ancora a livelli di approssimazione

inaccettabili. La conoscenza degli spessori detritici sui versanti è ancora molto grossolana, le

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relazioni tra piovosità, saturazione degli spessori piroclastici e innesco dei fenomeni franosi sono

ancora oscure, è ancora dibattuta l’influenza dei deflussi superficiali e di quelli sotterranei,

pochissimo si sa delle deformazioni lente che possono precedere l’innesco delle colate rapide.

Si tratta di raccogliere e sistematizzare dati acquisiti mediante l’impiego di strumenti e di sensori

distribuiti sul territorio secondo griglie predefinite, di raccogliere ed elaborare informazioni

satellitari, di implementare sistemi di rilevamento e di archiviazione dei dati, di costruire diagrammi

di tendenza dei parametri e dei fattori fisici significativi. Si tratta di un complesso di attività

essenziali per consentire la più corretta interpretazione dei fenomeni, ma anche per costruire

modelli di previsione sempre più approssimati. Esse richiedono certamente investimenti specifici di

notevole consistenza in apparecchiature scientifiche e in risorse umane, che in un’area come il

bacino del Sarno, nella quale il prezzo recentemente pagato in termini di vite umane è stato

altissimo, devono essere sostenuti con la priorità cha spetta a un bacino pilota di rilievo nazionale.

d) SISTEMAZIONI AGRONOMICHE

Qui interessano naturalmente le sistemazioni agronomiche di versante, che nel bacino si riducono

alla sola pratica del terrazzamento, accompagnata dalla realizzazione di una rete di scoline e di

fossi confluenti negli impluvi e nei canali. Il terrazzamento disegna un profilo modificato della

pendice secondo una successione di gradoni a pendenza assai ridotta. Oltre a consentire

lavorabilità del terreno e comodità della raccolta dei frutti, il gradone riduce fortemente la velocità di

deflusso dell’acqua di pioggia e limita di conseguenza l’erosione diffusa. Il punto debole della

sistemazione agronomica sta sempre in corrispondenza del salto tra un terrazzo e il successivo,

esposto a deflussi violenti e soggetto a smottamenti. Il salto veniva consolidato da un ciglione

inerbito e, quando ciò non era sufficiente, da un muro di contenimento a secco, che restituiva a

valle con moto lento, attraverso gli interstizi tra i conci di pietra, le acque che a monte si infiltravano

nel suolo. L’assetto agronomico era estremamente funzionale anche come sistemazione idraulica,

poiché determinava ritardo dei tempi di corrivazione e riduzione dell’erosione superficiale. Ma a

condizione di una manutenzione continua di ciglioni, muri di sostegno e rete scolante che oggi è

quasi ovunque abbandonata.

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5.2 Piani di allerta rapida

Sulla base di analisi geomorfologica condotta con le metodologie accennate nel Capitolo 2 si è

pervenuti alla revisione delle cartografie di pericolosità e rischio da frana, allo scopo di fornire, alle

strutture competenti per l’attuazione dei piani di protezione civile, un quadro più aggiornato delle

aree da sottoporre a misure di allerta rapida della popolazione.

I dati del PSAI combinati col censimento ISTAT 2001 per il territorio dell’AdB Sarno indicano

complessivamente che:

• la superficie di territorio a pericolosità per frana molto elevata – e dunque a rischio potenziale

molto elevato - è di circa 82 km2 l’11,5% della superficie totale);

• il numero di edifici per civile abitazione ricadente in queste aree è di 6.800 (il 3% del totale);

• la popolazione residente in queste aree è stimata in circa 42.000 abitanti (il 3% del totale).

Va inoltre considerato che, nel territorio dell’AdB Sarno, il fenomeno di dissesto naturale con

maggiore impatto sull’assetto idrogeologico, e sul conseguente rischio per popolazione e

infrastrutture, è quasi ovunque rappresentato dalle colate rapide detritico-fangose.

L’esperienza, anche recente, insegna che è tuttora molto difficile controllare questi tipi di dissesto e

mitigarne il rischio con interventi strutturali: l’imprevedibilità delle condizioni di innesco a monte, le

quantità di materiale coinvolto e l’estensione delle aree di invasione a valle non garantiscono la

messa in sicurezza del territorio su superfici così vaste, se non a costi improponibili per la

collettività in termini di impegno finanziario e di impatto ambientale.

Le misure non strutturali di disciplina d’uso del territorio – dalla gestione della copertura forestale

sui versanti fino alla delocalizzazione degli insediamenti a rischio più elevato – rientrano tra gli

obiettivi a medio e lungo termine proposti dal PSAI dell’AdB Sarno.

Ma nell’immediato, lo strumento più efficace per la prevenzione dagli effetti del rischio per colate

rapide è senz’altro rappresentato dalle misure di allertamento della popolazione comprese nei

piani di protezione civile.

Ricordiamo che il sistema di protezione civile per il rischio idrogeologico in Campania è

attualmente regolato dal DPGR n. 299 del 30/06/2005, che prevede l’attivazione di procedure di

allertamento – di effetto progressivamente crescente - al superamento di determinate soglie

pluviometriche per intervalli temporali prestabiliti e per diverse macro-aree regionali, dette “Zone di

Allerta”, registrate dalla rete idro-meteo-pluviometrica regionale.

Il territorio dell’AdB Sarno rientra nella Zona di Allerta 3 e può contare attualmente su un sistema di

trasferimento dati in tempo reale dalle stazioni pluviometriche (38 attualmente già operative) alla

Sala Operativa della Protezione Civile regionale.

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Le parti di territorio sottoposte alle misure di allertamento in funzione di soglie pluviometriche sono

rappresentate, di norma, dalle aree classificate “a rischio molto elevato” nei Piani Stralcio per

l’Assetto Idrogeologico redatti dalle Autorità di bacino.

Per alcuni Comuni – tra i quali Sarno, Siano, Bracigliano, Montoro Inferiore, Montoro Superiore e

Nocera Inferiore – i Centri Operativi si avvalevano, fino ad alcuni mesi fa, anche del supporto dei

Presidi territoriali istituiti durante le fasi di emergenza idrogeologica a gestione commissariale

seguita agli eventi del 5-6 maggio 1998.

L’attività dei Presidi territoriali durante le fasi di emergenza idrogeologica consiste essenzialmente

nel monitoraggio in tempo reale del territorio, controllando l’evoluzione dinamica delle aree più

critiche al fine di prospettare gli scenari di dissesto ritenuti più probabili e di individuare in modo

puntuale – e volta per volta - le aree su cui attivare le procedure di allertamento,

L’organizzazione degli interventi è coordinata da centri operativi ubicati presso le sedi comunali

(C.O.C.), diretti dai Sindaci, e prevede la costituzione di centri operativi intercomunali (C.O.M.)

coordinati dai Prefetti ed ubicati presso strutture di presidio territoriale – tipo quella del

Commissariato di Governo - la cui realizzazione è in corso da parte della Regione.

Nel sistema regionale i Comuni del territorio dell’AdB Sarno sono complessivamente raggruppati in

8 C.O.M. (4 in provincia di Napoli, 3 in provincia di Salerno e 1 in provincia di Avellino).

Purtroppo, nonostante il sistema regionale di protezione civile sia molto articolato e preciso nei

dispositivi di legge, sono ancora pochi i Comuni dotati di piani di allertamento per l’emergenza

idrogeologica strutturati secondo un modello organizzativo conforme ai dispositivi.

A tal riguardo, il Settore Regionale Protezione Civile sta attualmente operando per l’adozione del

nuovo sistema di allertamento per il rischio idrogeologico, da estendere a tutti i Comuni della

Campania e basato sulle procedure di monitoraggio e presidio territoriale già sperimentate per

alcuni territori regionali durante le fasi di emergenza idrogeologica di recente formalmente

concluse.

Il nuovo sistema di allertamento dovrà prevedere, tra l’altro, la rideterminazione delle soglie

pluviometriche indicate nel DPGR 299/05 ed una loro definizione per ambiti territoriali più ristretti.

Tenendo conto dell’effetto delle opere di regimazione idraulica realizzate sui versanti nel corso

degli ultimi anni, le soglie pluviometriche di innesco potranno essere incrementate producendo, in

tal modo, una riduzione del rischio attraverso una riduzione della probabilità di evento.

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5.3 Infrastrutture non delocalizzabili e interventi strutturali

Con l’avvento della Legge 179/2002 le competenze in materia di programmazione e attuazione

degli interventi nel settore della difesa del suolo sono state centralizzate e trasferite in capo al

Ministero dell’Ambiente, che provvede ad erogare direttamente ai Comuni i finanziamenti,

indebolendo in tal modo le competenze territoriali delle Autorità di Bacino e delle Regioni.

I fondi comunitari della programmazione POR 2000-2006 ed i finanziamenti del CIPE, quindi,

hanno rappresentato dal 2002 ad oggi, di fatto, le uniche risorse “fresche” di cui ha potuto

beneficiare la Regione per proseguire nel cammino intrapreso ai fini della eliminazione/riduzione

delle numerose situazioni di rischio idrogeologico ancora presenti sul territorio regionale, avendo

come obiettivo l’attuazione della pianificazione di bacino nel suo complesso.

Sebbene le strategie del presente piano per la riduzione del rischio puntano fondamentalmente

sulle misure di allerta rapida e sull’uso del suolo – rispettivamente per le emergenze e per la

gestione a regime - è evidente che alcune infrastrutture essenziali per importanza strategica

(ferrovie, strade di grande comunicazione, reti di servizi) o per valore storico (nuclei urbani antichi),

non possono essere delocalizzate né esposte al rischio di un danno funzionale.

In base alle nuove perimetrazioni, nel territorio dell’AdB Sarno risultano complessivamente esposte

ad un rischio di livello R4 o R3 le infrastrutture riportate nella tabella di Figura 10, per le quali non è

presumibile una delocalizzazione:

TIPO INFRASTRUTTURA R4 R3 Ferrovie (km) 6,7 6,0 Autostrade (km) 5,1 4,9 Strade Statali (km) 11,8 2,8 Acquedotti (km) 52,1 23,5 Centri Storici (ha) 103,6 61,7

Figura 10 – Infrastrutture essenziali a rischio

Per tali infrastrutture bisognerebbe dunque prevedere la messa in sicurezza – o quanto meno una

mitigazione del rischio – mediante la progettazione, la realizzazione e la manutenzione di opere

strutturali di difesa attiva e passiva.

In alcuni casi, infatti, laddove le condizioni fisiche ed antropiche del territorio consentono di

intervenire sui fattori strutturali del rischio con un impatto ambientale contenuto e con un rapporto

favorevole tra costi e benefici, la realizzazione di opere strutturali consente di limitare l’adozione di

misure di delocalizzazione o di interdizione temporanea per le infrastrutture e la popolazione

esposte.

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Inoltre, i più recenti eventi calamitosi a livello nazionale (Sicilia) e regionale (Ischia) hanno indotto

l’opinione pubblica a richiedere con sempre maggiore insistenza agli organi politici e governativi la

messa in sicurezza del territorio. Richiesta che è stata trasferita alle Autorità di Bacino affinché i

Piani stralcio definiscano programmi di interventi per la riduzione del rischio idrogeologico

mediante la realizzazione di opere strutturali cantierabili.

Il presente aggiornamento del PSAI comprende dunque un programma di interventi per la

riduzione del rischio, il cui elenco con le relative schede informative forma oggetto dell’Allegato 10.

Tra questi interventi rientrano alcuni che già facevano parte del programma allegato al PSAI finora

vigente, ed altri individuati successivamente sulla base dello stato conoscitivo aggiornato del

territorio.

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5.4 Programmazione dell’uso del suolo

Ma allora per difendere al meglio la stabilità dei versanti non bisogna far altro che affidarsi

all’evoluzione naturale della copertura vegetazionale e lasciare che la natura faccia il suo corso?

In realtà su un orizzonte temporale sufficientemente ampio la stabilità dei versanti non esiste.

Esiste invece un lungo e interminabile processo di rimodellamento continuo, dovuto alle

deposizioni vulcaniche e all’erosione, alle azioni telluriche, ai fenomeni erosivi di massa, lenti o

improvvisi.

E non c’è dubbio che in tale orizzonte sia del tutto illusoria l’idea della stabilizzazione. Su scala

temporale più ridotta è invece possibile intervenire sulla dinamica naturale, controllando le erosioni

lente e ritardando o prevenendo i fenomeni improvvisi.

Il versante è un sistema fisico assoggettato a un campo di forze permanenti e immerso perciò in

ogni istante in una condizione di equilibrio dinamico. E’ un sistema instabile per definizione. In tale

sistema fisico la stabilità può essere mantenuta solo a prezzo di un continuo apporto energetico,

sufficiente a equilibrare il campo di forze responsabile dell’instabilità.

E in condizioni naturali non vi sarebbe alcuna necessità di dissipare energia (ovvero risorse

economiche, materiali e umane) per creare un’artificiale stabilità in un sistema che comunque

ritrova in ogni momento un suo nuovo equilibrio.

In tali condizioni è evidente che l’unica forma ragionevole di difesa dell’equilibrio dinamico starebbe

nel lasciar fare alla natura; quindi nell’abbandonare del tutto i versanti e i boschi che li ricoprono.

La storia ha disegnato purtroppo un percorso del tutto diverso: per millenni l’uomo ha spogliato i

versanti per le proprie finalità produttive e si è perciò trasformato in un micidiale acceleratore del

dinamismo geomorfologico. Per di più ha realizzato molti dei suoi insediamenti in aree

direttamente esposte alle conseguenze più devastanti dell’instabilità.

Gli insediamenti umani nel bacino del Sarno hanno subito una crescita inarrestabile nell’ultimo

mezzo secolo. L’urbanizzazione è dilagata in larga parte del territorio pianeggiante, dal litorale

vesuviano fino alla foce del fiume e ancora su tutto l’agro nocerino, fino a generare un’unica

grande città collegata a Napoli senza alcuna soluzione di continuità. La maggior parte dei centri

urbani sorge al piede della corona di monti che circonda il bacino. Lo sviluppo urbanistico

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incontrollato e l’abusivismo edilizio selvaggio hanno fatto sì che in moltissimi casi gli insediamenti

civili e produttivi si estendessero anche al piede delle conoidi e nelle aree sovrastate da impluvi a

forte suscettività di frana. Tutto ciò ha enormemente aggravato lo stato di rischio derivante

dall’instabilità dei versanti.

In tali condizioni il mantenimento della stabilità significa risparmio di vite umane e salvaguardia

dell’economia locale. Ciò rende indispensabile il ricorso ad azioni complesse e continue di

manutenzione del territorio e di controllo dell’uso del suolo finalizzate alla mitigazione del rischio,

che richiedono una molteplicità di interventi coordinati, di iniziativa sia pubblica che privata.

La manutenzione del territorio deve puntare principalmente alla conservazione dell’efficienza delle

opere di difesa attiva dei versanti, intese come il complesso degli interventi ingegneristici e delle

forme di uso del suolo che agiscono sul controllo delle cause di innesco dei fenomeni franosi e

sulla riduzione dei volumi e della velocità di spostamento delle coperture piroclastiche mobilizzabili.

Lo stesso assetto vegetazionale deve essere interessato da un’attività manutentoria continua ed

efficace, intesa come complesso delle trasformazioni diffuse e delle azioni gestionali e di controllo

necessarie affinché la copertura vegetale del versante si evolva verso le forme più stabili e dotate

di maggiore efficienza protettiva.

Nella maggior parte dei casi si tratta di favorire un processo naturale di durata plurisecolare, di

assecondarlo, di renderlo più veloce e di rimuovere gli ostacoli che lo contrastano, giacché i tempi

dell’evoluzione naturale sono assolutamente incompatibili con le esigenze immediate di restituire

sicurezza alle comunità e agli insediamenti esposti al rischio.

L’affermazione naturale delle specie della foresta sempreverde sugli arbusti della gariga o della

bassa macchia richiede tempi secolari, che accompagnano la progressiva trasformazione chimica

dei terreni dovuta all’azione preparatoria delle specie pioniere; ma può essere favorita e anticipata

fortemente con l’impianto artificiale delle specie prevalenti nello stadio evolutivo finale della

successione.

La diffusione delle specie del bosco misto di latifoglie decidue all’interno delle formazioni

monospecifiche dei cedui di castagno è anche essa un fenomeno naturale che si verifica con

l’abbandono delle forme selvicolturali intensive; e può essere favorito da interventi colturali orientati

verso la selezione delle specie più utili alla stabilizzazione dei versanti.

E ancora le forme di utilizzazione boschiva che più espongono il suolo agli effetti dell’erosione

(taglio raso) possono essere sostituite da forme che consentono la rinnovazione, ovvero il

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ringiovanimento della biocenosi, senza scoprire in maniera eccessiva o pericolosa il suolo. E’ il

caso dei tagli saltuari nelle formazioni di alto fusto o della ceduazione a sterzo, per altro nota e

praticata da secoli nei boschi appenninici, in particolare in quelli di faggio.

E’ evidente che non si tratta mai di interventi una tantum, ma di vera e propria attività manutentiva,

ovvero di carattere continuativo, che può essere programmata e svolta solo se si riesce a far sì

che gli interventi pubblici finalizzati alla difesa del suolo e quelli privati sostenuti da ragioni

economiche siano sempre orientati verso una direzione comune, che è quella, appunto, ove

diventano convergenti le ragioni economiche del proprietario e dell’imprenditore e le esigenze di

salvaguardia della sicurezza collettiva.

PROGRAMMAZIONE E PIANIFICAZIONE DELLE AZIONI “DIFENSIVE” NELL’USO DEL SUOLO

Il piano di bacino fornisce il quadro complessivo delle azioni volte alla mitigazione delle condizioni

di rischio, attraverso la definizione di tutte le iniziative possibili per ridurre l’esposizione delle

persone e delle cose agli effetti devastanti dei fenomeni di instabilità dei versanti.

In definitiva la serie delle situazioni possibili va ridotta alle seguenti categorie:

a) condizioni di pericolosità non mitigabili in presenza di insediamenti umani

Le azioni possibili consistono in:

- allontanamento degli insediamenti preesistenti;

- divieto di nuovi insediamenti;

- allontanamento temporaneo delle persone in caso di allarme;

b) condizioni di pericolosità non mitigabili in assenza di insediamenti umani

- divieto di nuovi insediamenti;

c) condizioni di pericolosità mitigabili in presenza di insediamenti umani

In questi casi le azioni possibili consistono in:

- spostamento degli insediamenti preesistenti;

- divieto di nuovi insediamenti;

- allontanamento temporaneo delle persone;

- interventi e attività di mitigazione del rischio (prioritari).

d) condizioni di pericolosità mitigabili in assenza di insediamenti umani

- divieto di nuovi insediamenti;

- interventi e attività di mitigazione del rischio (non prioritari).

Naturalmente la priorità degli interventi e delle azioni e la compatibilità degli insediamenti umani

sono sempre proporzionali al livello di rischio rilevato in ciascun ambito.

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E’ fondamentale considerare che gli interventi e le attività di mitigazione del rischio (comprese le

forme d’uso corrette e perciò funzionali alla stabilità idrogeologica) vanno attuati per iniziativa sia

pubblica che privata. Nel primo caso essi vanno inquadrati in un’ottica di programmazione, che

dovrà essere necessariamente recepita e condivisa dagli Enti e dalle Istituzioni pubbliche titolari di

funzioni operative in materia di difesa del suolo (Regione, Comuni, Province, Comunità montane,

Consorzi di Bonifica, Genio Civile). Nel secondo vanno invece considerati in un’ottica di

pianificazione più ampia, comprensiva delle forme di incentivazione economica nei confronti delle

attività che contribuiscono alla stabilità e alla sicurezza dei versanti e di dissuasione nei confronti di

quelle che invece accrescono le condizioni di pericolosità e di rischio.

L’azione pubblica: il piano di bacino come programmazione degli interventi

Le tipologie degli interventi di mitigazione del rischio attuabili nei diversi ambiti possono essere

facilmente identificate in funzione delle caratteristiche geomorfologiche di ciascuno di essi,

secondo le seguenti categorie principali:

A. Interventi intensivi di messa in sicurezza

- di difesa passiva (finalizzati al contenimento degli effetti disastrosi delle colate)

o canali di convogliamento delle colate rapide

o vasche di intercettazione e di sedimentazione

o manutenzione e periodico svuotamento dei canali e delle vasche

- di difesa attiva (finalizzati alla riduzione della mobilità delle masse piroclastiche, al

frazionamento delle masse mobilitate, alla riduzione della velocità degli spostamenti, al

consolidamento del versante, al controllo dei fenomeni di deposito dei detriti)

o batterie di briglie

o opere di contenimento e di ancoraggio

o ripristino delle alterazioni del profilo di versante

o opere di regimazione delle acque superficiali

o manutenzione delle opere

B. Interventi estensivi

- sistemazioni agronomiche

- piccole opere di contenimento

- imboschimenti

- interventi colturali

- piccola manutenzione diffusa

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Di norma gli interventi di carattere intensivo, che richiedono forti concentrazioni di risorse

economiche per unità di lunghezza o superficie investita e notevoli dotazioni di mezzi d’impresa,

possono essere realizzati mediante appalti. Quelli estensivi possono invece essere realizzati

anche nelle forme del lavoro in economia e dell’amministrazione diretta. Ciò è molto importante in

Campania, ove si è in presenza di un vero e proprio esercito di dipendenti pubblici (operai idraulici

e idraulico forestali) in carico alle Province, alle Comunità Montane e ai Consorzi di Bonifica

proprio per l’esecuzione di interventi di forestazione, sistemazione idraulico forestale e difesa del

suolo in genere.

Nel bacino del Sarno la disponibilità di operatori del settore è tutt’altro che trascurabile, come

risulta dalla tabella in fig. n. 11.

Comunità montana operai idraulici e idraulico forestali

Operai nel bacino del Sarno

Provincia di Salerno 79 17 Provincia di Napoli 56 15 Comunità montana Valle dell’Irno

85

85

Comunità montana Penisola sorrentina

37

37

Comunità montana Serinese Solofrana

73

73

Consorzio di Bonifica Sarno e Torrenti Vesuviani

115

115

TOTALE 455 337

Fig. 11: Addetti ai lavori idraulici, idraulico-forestali e forestali nel bacino del Sarno

Si tratta di lavoratori generalmente impiegati per l’esecuzione di interventi guidati da una

programmazione gracile, che non intrattiene alcun rapporto con gli obiettivi e i contenuti della

pianificazione di bacino. Il rapporto semmai è solo di tipo burocratico, generato dalla mera

necessità di conseguire un visto o un parere dell’Autorità di Bacino sui programmi annuali di

intervento. Ciò non consente nessun confronto reale sui contenuti delle progettazioni, ma incentiva

piuttosto gli enti delegati a risolvere il problema dell’autorizzazione con l’espediente di dichiarare

inesistenti gli impatti degli interventi previsti sull’assetto idrogeologico, anche a costo di ridurre

l’intera programmazione a un’attività di manutenzione indefinita, ripetitiva e non di rado inutile.

Ma si tratta pur sempre di una risorsa umana considerevole, che può certamente essere

impegnata per attività di presidio, di controllo delle forme d’uso, di prevenzione, di piccola

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manutenzione diffusa sui versanti, insomma per tutte le azioni estensive di gestione del territorio

collinare e montano attraverso le quali si attua il piano di bacino.

Naturalmente in un’ottica di cooperazione istituzionale che va ben al di là del semplice e sterile

rapporto tra Ente controllato ed Ente controllante, e richiede un attivo interscambio tra i rispettivi

uffici tecnici, oltre a percorsi opportuni di addestramento e formazione degli stessi operatori.

L’azione privata: il piano di bacino come strumento normativo e di vincolo

L’uso del suolo come si manifesta in una determinata epoca è il risultato di una serie di attività, di

pratiche esercitate talvolta in continuità, talaltra in maniera occasionale, da una moltitudine di

soggetti mossi da interessi e attrazioni diversi. Si può trattare della frequentazione periodica o

sporadica della montagna da parte di persone interessate alla raccolta dei prodotti del sottobosco

(funghi, asparagi) o attratte dalla passione venatoria o dal semplice piacere della passeggiata

naturalistica, o di attività di più rilevante valenza economica e produttiva (pascolo, taglio dei boschi,

raccolta di castagne, coltivazioni agrarie, prelievo di materiali da cava). Nel complesso la pressione

antropica sulla montagna e sui versanti è assai più ridotta rispetto al passato, per il generalizzato

abbandono delle attività primarie verificatosi nell’epoca dello sviluppo industriale del dopoguerra e

in quella post-industriale. Ma molto più che nel passato l’azione antropica di oggi, per quanto meno

intensa, può determinare profondi sconvolgimenti degli equilibri ecosistemici, grazie alla potenza

dei mezzi e delle attrezzature con i quali è possibile intervenire anche nei luoghi più distanti e poco

accessibili per facilitare il prelievo delle materie prime.

Sono molteplici le azioni suscettibili di produrre dissesto o di incrementarne le probabilità:

dall’apertura delle strade di esbosco e di servizio alle alterazioni del profilo di versante

all’abbattimento della vegetazione forestale, agli incendi, allo stesso abbandono (qui si tratta di una

non azione) delle opere minute di sistemazione che contribuivano alla regimazione dei deflussi

superficiali e al contenimento del suolo.

L’uso del suolo può essere difesa della sua stabilità, ma può essere anche devastazione, o

irresponsabile sfida al rischio idrogeologico, quando non è regolato dalla conoscenza della

predisposizione dei suoli all’instabilità e dalla capacità di valutare e prevedere le condizioni di

rischio. Il collegamento tra la conoscenza, che appartiene all’istituzione responsabile della

pianificazione nel bacino, e l’operatività, che può appartenere a soggetti del tutto privi di

conoscenza, è costituito in primo luogo dalla normativa d’uso e dal vincolo, che rispettivamente

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individuano il complesso delle azioni e delle trasformazioni non consentite o soggette a

regolamentazione e l’insieme dei luoghi ove le azioni stesse devono essere rispettivamente

impedite o disciplinate nel modo più opportuno.

La normativa d’uso è parte integrante della pianificazione, ma interferisce inevitabilmente con

norme settoriali che investono competenze diverse dall’Autorità di Bacino.

L’uso dei boschi soggiace, per esempio, a norme diverse, dettate dai piani di assestamento

forestali e dalla legge regionale 7/5/96 n. 11 in materia di economia, bonifica montana e difesa del

suolo.

Che per altro, a dispetto del titolo, non fa riferimento alcuno alla legge quadro nazionale sulla

difesa del suolo e non considera la pianificazione di bacino come suo riferimento principale, ma si

limita a trasporre sul livello locale, e in funzione della complessa articolazione di competenze

amministrative propria della regione Campania, le antiche norme di applicazione del vincolo

idrogeologico, ora riproposte come mera sovrapposizione burocratica alle procedure di controllo

sviluppate dalle Autorità di Bacino.

E ignora la stessa legge 31.1.94 n. 97: “nuove disposizioni per le zone montane”, promulgata dal

Parlamento appena due anni prima, che invece ha avuto il merito di saldare in maniera chiara gli

aspetti dello sviluppo economico, della tutela ambientale e della difesa del suolo, come emerge

dall’art. 7:

1. I piani pluriennali di sviluppo socio-economico di cui all'articolo 29, comma 3, della legge 8

giugno 1990, n. 142, hanno come finalità principale il consolidamento e lo sviluppo delle attività

economiche ed il miglioramento dei servizi; essi inoltre individuano le priorità di realizzazione degli

interventi di salvaguardia e valorizzazione dell'ambiente mediante il riassetto idrogeologico, la

sistemazione idraulico-forestale, l'uso delle risorse idriche, la conservazione del patrimonio

monumentale, dell'edilizia rurale, dei centri storici e del paesaggio rurale e montano, da porre al

servizio dell'uomo a fini di sviluppo civile e sociale.

2. Le previsioni di interventi per la salvaguardia e valorizzazione dell'ambiente, mediante il

riassetto idrogeologico, la sistemazione idraulico-forestale e l'uso delle risorse idriche, sono

coordinate con i piani di bacino previsti dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, e successive

modificazioni, e sono rese coerenti con gli atti di indirizzo e di coordinamento emanati ai sensi

della predetta legge.

E’ evidente allora che la formulazione di un efficace quadro normativo di attuazione del piano di

bacino non può non intersecare un parallelo processo di aggiornamento della legislazione

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regionale e che quindi il completamento dell’assetto normativo del piano di bacino deve

necessariamente assorbire gli elementi di raccordo e di indirizzo dell’attesa innovazione legislativa.

Le peculiarità del bacino del Sarno, la permanenza di elevatissime condizioni di rischio e la

particolare natura delle coperture vulcaniche sui versanti impongono l’esigenza tutta particolare di

una specificazione ulteriore delle norme di uso del suolo18 previste dalla legislazione regionale, che

proprio in questo ambito si rivelano del tutto inadeguate alla prevenzione dei fenomeni di

instabilità.

L’azione privata: il piano di bacino come strumento di incentivazioni e di cooperazione pubblico/privata

Il trattamento selvicolturale dei boschi è operazione non solo opportuna per il rilancio della

economia forestale, ma necessaria per la conservazione stessa del patrimonio forestale.

Il fenomeno degli incendi boschivi che è dilagato negli ultimi decenni è dovuto principalmente al

fatto che nella società di oggi il bosco non è più presidiato da quanti in passato erano portatori di

interessi economici legati alla sua conservazione.

Le popolazioni di montagna utilizzavano e vivevano il bosco che dava nutrimento e riscaldamento;

e il bosco era presidiato da chi raccoglieva la legna secca o la fascina o i prodotti del sottobosco.

Le uniche presenze ormai da lungo tempo rimaste sui versanti delle nostre montagne sono quelle

dei pochi pastori che, com’è noto, appartengono ad una categoria piuttosto incline ad utilizzare il

fuoco come pratica colturale. La mancanza di presidio e di manutenzione rende vani – com’è

provato dalle statistiche – gli sforzi per prevenire e combattere gli incendi boschivi, il cui

andamento, che è influenzato solo dalle condizioni climatiche annuali, trascina al rialzo la spesa

pubblica sostenuta per spegnimenti e azioni complementari.

Rilanciare l’economia forestale significa dunque fondamentalmente garantire su larga scala la

manutenzione e il presidio dei boschi.

Una selvicoltura orientata, com’è giusto che sia, verso la riqualificazione e la manutenzione del

bosco assume dunque non solo il valore proprio di un’attività produttiva, ma anche quello di

servizio di prevenzione del degrado di un patrimonio il cui valore reale va molto al di là di ciò che è

monetizzabile.

18 Vedi Allegato I alle Norme di attuazione PSAI

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Tanto più ciò accade nell’area dei boschi mediterranei del piano basale (lauretum, castanetum)

che sono quelli più esposti al rischio di incendio, sia per l’aridità del clima (specie nei versanti

esposti a sud) che per la particolare incidenza delle specie del sottobosco, che costituiscono

ottima esca alla propagazione del fuoco.

La componente di servizio è inoltre esaltata dal fatto che il bosco curato e trattato diventa meglio

fruibile per gli aspetti ricreativi ed escursionistici, per lo sviluppo di un turismo qualificato della

natura.

Di qui la considerazione che la selvicoltura possiede non solo la valenza economico-produttiva

propria di una qualunque impresa privata – produrre assortimenti per i mercati che richiedono la

materia prima legno – ma anche la non secondaria valenza di servizio pubblico.

Il produrre legna attraverso il taglio dei boschi è dunque una attività imprenditoriale, di norma

riservata all’iniziativa privata, che impatta doppiamente nella sfera dell’interesse pubblico per le

seguenti ragioni:

1. l’intervento selvicolturale è azione modificatrice dello stato iniziale di un sistema biologico che

non è solo bene patrimoniale di proprietà privata o di soggetti pubblici, ma è soprattutto

biocenosi, ecosistema e in quanto tale bene collettivo che, come il paesaggio, deve essere

tutelato per il vantaggio dell’intera comunità umana; perciò il taglio di un bosco è comunque

attività da assoggettare, come del resto è stato fino ad oggi, all’azione pubblica di

regolamentazione e controllo tesa a salvaguardare l’integrità del valore collettivo del bosco,

ovvero della sua capacità di protezione idrogeologica, della sua valenza paesaggistica ed

ecosistemica;

2. l’utilizzazione dei boschi, se finalizzata com’è proprio di una sana selvicoltura, alla

manutenzione e alla conservazione del patrimonio forestale e all’esaltazione della sua funzione

protettiva, può divenire essa stessa operazione di messa in sicurezza dei versanti e di

protezione dei valori paesaggistici ed ecosistemici propri della biocenosi forestale, valori non

monetizzabili e sempre pubblici, cioè di tutti, indipendentemente dal fatto che la proprietà del

terreno e del soprassuolo sia privata o di enti pubblici.

Occorre ancora rilevare che mentre il primo dei due aspetti dell’interferenza tra le sfere

dell’interesse produttivo e dell’azione pubblica, relativo all’azione tutoria sulle modificazioni dello

stato della copertura arborea, è ben definito dalle normative di settore ormai dall’inizio del

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ventesimo secolo (Legge Serpieri19 n.3267 del 1923), il secondo invece è ancora argomento del

tutto ignorato dalla trattatistica e non contemplato da strumento normativo alcuno.

Tutto ciò assume particolare rilievo nelle azioni di trattamento dei boschi cedui e di quelli degradati

tipici di molti versanti appenninici, che sono interessati solo da interventi di ceduazione, spesso

eseguiti con una periodicità ben più ampia del turno minimo prescritto per ciascuna specie. Il

maggior tempo di accrescimento determina una maggiore concentrazione di massa legnosa per

unità di superficie e determina nel bilanciamento tra costi e benefici, specie nei boschi più distanti

dalle vie carrabili, quel saldo positivo che è il presupposto della convenienza economica del

trattamento.

Non è un caso che in tutto l’Appennino meridionale sia ormai dimenticata da decenni la pratica

dell’intervento colturale (il taglio di sfollo) nei boschi cedui come quella del diradamento nelle

perticaie; non è un caso che quasi mai siano effettuati, ancorché prescritti dalla legge, i tagli di

succisione nei boschi di latifoglie percorsi da incendi, in quelli pubblici meno ancora che in quelli

privati. Si tratta sempre infatti di operazioni a “macchiatico” negativo, nelle quali l’insieme di costi di

abbattimento, esbosco e trasporto supera il prezzo di mercato degli assortimenti legnosi prelevati.

Le trasformazioni del mercato del legno e il generale abbandono dell’economia montana hanno

fatto sì che nel corso dei decenni si perdesse definitivamente la ragione economica di una

presenza antropica continua nel bosco, quindi di quel presidio che può costituire il migliore antidoto

contro il degrado del patrimonio forestale e quindi contro gli stessi fenomeni di instabilizzazione dei

versanti.

La verifica economica del precedente assunto è immediata. Il costo di un intervento di ripulitura di

ceppaie da polloni aduggiati e secchi e dai rami ingombranti, comprensiva delle operazioni di

taglio, sramatura, depezzamento dei tronchetti e accatastamento della legna viene stimato tra i

3.000 e i 4.000. €/Ha; ad esso, nel caso che il prelievo medio di massa legnosa (materiale minuto

per l’industria del truciolato e legna da ardere) si attesti sui 400 q.li/Ha, corrisponde un ricavo

massimo di circa 1.500 – 2.000 €. Il saldo è dunque negativo; ne consegue che le operazioni

colturali nei boschi cedui (suggestivamente ribattezzate da Federlegno-Arredo “restauro del bosco”

in una pubblicazione di alcuni anni fa) vengono sistematicamente omesse nella proprietà privata e

in quella pubblica. Ne consegue poi l’impraticabilità di un’azione generalizzata di prevenzione e di

19 Con questa legge veniva previsto l’apposizione di un vincolo a fini idrogeologici ai terreni che potevano subire denudazioni, perdere stabilità o turbare il regime delle acque, ed ancora, erano previste a carico dello Stato, opere di sistemazione dei bacini montani. I proprietari dei terreni compresi nei perimetri dei bacini montani, qualora effettuavano opere di rimboschimento e conservazione del bosco, erano esentati dall’imposta fondiaria erariale e della sovraimposta provinciale e comunale per un periodo che andava dai 15 a 40 anni, a seconda che si trattasse di boschi cedui oppure di alto fusto.

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manutenzione nei boschi pubblici basata sulla riattivazione delle pratiche colturali. Un comune che

volesse effettuare interventi sistematici e continui di manutenzione del proprio patrimonio forestale

si troverebbe nell’impossibilità di appaltare l’esecuzione dei tagli perché questi sarebbero tutti

economicamente non convenienti.

La conoscenza delle condizioni del mercato dei prodotti legnosi sembra dunque escludere

definitivamente la possibilità di interventi colturali nei boschi cedui e nei boschi poveri in genere,

sia al privato che al pubblico. Il privato continuerà ad utilizzare le proprietà forestali con interventi di

prelievo intensivo fortemente intervallati; il pubblico continuerà ad accollarsi il costo insostenibile

dell’intervento a posteriori contro gli incendi boschivi e il dissesto idrogeologico, essendo del tutto

incapace di porre mano ad una sistematica ed efficace attività di prevenzione.

A meno che – questo è il punto – non si pensi a forme originali di cooperazione tra pubblico e

privato, giustificate, come è sempre nel caso di gestione di servizi pubblici, dalla necessità di

coniugare produttività imprenditoriale e garanzia del corretto adempimento di funzioni di rilevanza

pubblica.

L’orientamento più avanzato nella gestione dei servizi pubblici vede la progressiva scomparsa

delle Amministrazioni pubbliche come soggetti imprenditori: nella gestione dei servizi idrici, dei

trasporti la figura dell’impresa pubblica (Azienda municipalizzata, Azienda consortile, Aziende

speciali) tende ad essere sostituita dal privato che agisce in regime di concorrenza o da aziende

miste, a capitale pubblico e privato; l’ingerenza del pubblico a tutela dell’interesse sociale essendo

garantita, nel primo caso, dall’esercizio, dall’esterno, di funzioni di controllo nella gestione

attraverso specifiche Autorities, nel secondo caso dalla partecipazione alla stessa gestione.

È evidente la totale perdita di significato (ormai attestata da decenni di bilancio in rosso) di una

gestione pubblica delle foreste pubbliche attraverso le Aziende delle foreste demaniali statali o

regionali.

Non c’è più motivo per cui la gestione del patrimonio forestale non possa essere condotta

attraverso opportune forme di cooperazione tra pubblico e privato, in modo da esaltarne gli aspetti

imprenditoriali e di controllarne efficacemente le ricadute sulla salvaguardia dell’assetto

idrogeologico.

Nel caso dei boschi cedui o dei boschi poveri la cooperazione può esprimersi attraverso

l’affidamento a nuovi soggetti imprenditoriali, organizzati prevalentemente secondo il modello

cooperativistico, dell’attuazione di piani di coltura dei boschi.

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Considerando che l’intervento colturale ha contestualmente una valenza produttiva (l’estrazione

di materiale legnoso vendibile) e una valenza di servizio ambientale (la sicurezza dei versanti, la

prevenzione del degrado e la riqualificazione delle aree forestali) si può desumere l’opportunità di

un meccanismo di remunerazione che per il primo aspetto si basa sulla vendita del materiale

legnoso; per il secondo sulla spesa pubblica. Ciò significa che il saldo negativo di un intervento

colturale tipo può essere compensato da un’integrazione di reddito con risorse pubbliche,

riconosciuta all’imprenditore a fronte del servizio ambientale prestato.

Il meccanismo di integrazione di reddito crea un indubbio vantaggio, per l’operatore privato, che

così si trova nella condizione di operare con un “business plan” in attivo. È la stessa condizione

che rende possibile l’affermarsi di una nuova imprenditorialità intorno ad un grande programma di

manutenzione e conservazione del patrimonio forestale: la ragione di convenienza economica

individuata nella saldatura tra l’interesse pubblico nella gestione “preventiva” del patrimonio

forestale e le aspettative economiche connesse con la richiesta di materia prima da parte del

mercato.

È ben noto che la formazione di nuova imprenditorialità, in particolare di quella giovanile, rientra tra

gli obiettivi principali della politica sociale nel Mezzogiorno.

L’attuazione di una politica di interventi di manutenzione e prevenzione nei boschi pubblici e poi in

quelli privati può accompagnarsi alla costituzione di cooperative giovanili locali di servizi che nei

comuni montani potranno fruire del sistema di sostegno previsto dalla Legge n. 97 del 31/01/1994.

Un analogo vantaggio è rinvenibile per il Pubblico. La gestione secondo piani di coltura è non solo

manutenzione e prevenzione; è anche presidio del territorio con un forte interesse economico

destinato ad essere naturale antagonista di chi attenta alla conservazione del bosco: attitudine che

non sarà difficile incentivare con opportuni dispositivi di premialità nelle situazioni ove sia risultata

più efficace la prevenzione degli incendi.

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5.5 Adeguamento normativa di attuazione del PSAI

Nell’ambito dell’aggiornamento del PSAI si è proceduto anche ad un adeguamento delle Norme di

Attuazione, sulla scorta dell’esperienze e delle problematiche emerse nel corso della gestione del

Piano (dal 2002 ad oggi) e degli approfondimenti condotti sulle aree di versante interessate da

pericolosità frana da colate rapide, con particolare riferimento all’uso del suolo come difesa.

Le finalità principali del lavoro di adeguamentp normativo sono volte a:

• Aggiornare i riferimenti normativi di settore e generali, secondo il quadro normativo vigente che

ha subito trasformazioni, anche rilevanti e non del tutto definite, a partire dal 2002, anno di

entrata in vigore del Piano Stralcio

• Chiarire e semplificare ove possibile l’azione amministrativa in ordine alle attività di controllo

dell’Autorità di Bacino sulla compatibilità con il P.S.A.I di piani e interventi puntuali;

• Ribadire la necessità di adeguare al P.S.A.I. gli strumenti urbanistici, in particolare quelli

comunali, sia in termini di compatibilità delle previsioni con le caratteristiche di pericolosità

idrogeologica del territorio, sia in termini di piena integrazione degli obiettivi della difesa del

suolo nella pianificazione urbanistica, anche in coerenza con quanto previsto dal PTR

approvato dal Consiglio Regionale a settembre 2008;

• Confermare e rafforzare la strategia di base del vigente P.S.A.I. che indica nella “carta della

pericolosità idrogeologica” (frane ed alluvioni) il riferimento per la mappa di trasformabilità del

territorio, mentre la “carta del rischio esistente” è finalizzata all’individuazione delle azioni e

delle opere per la mitigazione del rischio;

• Confermare e rafforzare, in conseguenza, la strategia che individua come prioritari gli interventi

strutturali e non strutturali di mitigazione del rischio già esistente, ivi compresi approfondimenti

di studio e “riperimetrazioni”, e non già quelli finalizzati ad urbanizzare nuove aree con livelli di

pericolosità da frana elevata o molto elevata o le fasce fluviali, anche in attuazione degli

obiettivi e degli indirizzi del PTR alle “Linee Guida per il Paesaggio”;

• Rimarcare la priorità, tra gli interventi di mitigazione possibili, e non più differibili per tutte le

aree a rischio molto elevato, dei piani di protezione civile supportati da attività di presidio

territoriale, comprese l’allerta rapida e l’evacuazione;

• Ribadire che, in termini di costo-benefici e di complessiva sostenibilità degli interventi, non è

diffusamente applicabile per la difesa dalle colate rapide il “modello Sarno” ovvero la massiccia

previsione di interventi strutturali sui versanti;

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• Integrare nella normativa gli indirizzi sulla corretta gestione delle aree boschive e delle

coltivazioni sui versanti scaturite dagli approfondimenti di studio, facendo riferimento alla

specifica cartografia di zonizzazione scaturita dal metodo accennato in appendice, sviluppando

l’approccio dell’uso del suolo come difesa, in piena coerenza con le strategie e gli indirizzi del

PTR che promuovono la “multifunzionalità” delle “foreste “ e delle “aree rurali” con particolare

riguardo agli equilibri idrologici ed idrogeologici;

• Rispondere all’esigenza, scaturita dall’esperienza di questi anni di gestione del Piano, di

maggiore controllo sulle proposte di trasformazione ed edificazione nell’ambito delle “Fasce

fluviali“, soggette a una notevole pressione insediativa spesso in corrispondenza delle aree

maggiormente critiche sotto il profilo idraulico. A tal proposito si è ritenuto opportuno

sospendere la possibilità di perimetrare puntualmente le sottofasce B1, B2, B3, ai fini

dell’applicazione della relativa normativa in caso di nuova edificazione, e di ricondurre la

competenza alla perimetrazione delle sottofasce all’Autorità di Bacino. In ogni caso ( cfr.

modifiche Allegato E) la perimetrazione medesima dovrà sempre interessare unità fisiografiche

significative così come individuate dall’ Autorità.

Tale approccio trova riscontro anche nel PTR che detta specifici indirizzi per gli strumenti

urbanistici di livello provinciale (PTCP) e comunale (PUC) che dovranno, nel recepire la

pianificazione di bacino, definire specifiche misure volte alla salvaguardia dell’integrità fisica dei

corpi idrici superficiali ed al loro recupero ambientale con particolare riferimento20 alla necessità

di tutelare le condizioni di continuità e apertura degli spazi rurali ed agricoli allo scopo di

preservarne la funzione di corridoio ecologico, di stepping stones, di fasce tampone a

protezione delle risorse idriche, di aree di mitigazione del rischio idraulico non consentendo in

queste aree l’edificabilità e favorendo il riuso dell’esistente.

Per quanto concerne l’impianto delle Norme ed alcuni dispositivi specifici si è ritenuto di non

modificarli, in quanto oggetto di concertazione nel tavolo di coordinamento tra le AdB regionali ed

interregionale in sede di redazione dei rispettivi P.A.I. e successivamente di concertazione con

Comuni e Province in sede delle singole conferenze programmatiche.

All’atto della redazione dei Piani si era concordato di configurare un documento relativo alle Norme

di Attuazione il più possibile omogeneo fra le varie Autorità, rimandando agli Allegati Tecnici delle

Norme gli aspetti e le definizioni specifici per i singoli bacini che non potevano essere omologati

per il livello di dettaglio e le diverse metodologie di indagine utilizzate per i rispettivi studi.

20 cfr. punto 6.3.2.7. dalle Linee Guida per il paesaggio del PTR: Indirizzi per i corpi idrici e relative fasce di pertinenza

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L’esigenza di omogeneizzare le normative è evidente soprattutto dove i territori comunali e

provinciali sono interessati da più Autorità di Bacino. In sede di redazione dei P.T.C. provinciali

sono stati attivati tavoli tecnici per fornire una chiave di lettura il più possibile comune ai diversi

Piani Stralcio; nei diversi incontri finora effettuati presso le province di Napoli, di Salerno ed

Avellino, è comunque emerso che difficilmente si potrà pervenire ad una omologazione delle

diverse normative che, come sopra cennato derivano da:

• differenze nelle estensioni territoriali delle varie Autorità e nella scala degli studi (es. l’AdB

Nazionale Liri Volturno Garigliano ha lavorato con scale non inferiori al 25.000) ;

• esiti di ricorsi al TAR nella fase di adozione e approvazione dei Piani;

• differenze significative delle caratteristiche territoriali dei singoli bacini;

• approcci diversi sulla regolamentazione delle aree “pericolose “ o Suscettive di franare” non

insediate e quindi non a “rischio”.

La revisione delle Norme dell’AdB Sarno, atteso che anche altre AdB sono in procinto di procedere

ad aggiornamenti del P.A.I. , può essere comunque l’occasione per un nuovo confronto nell’ottica

di uniformare ove possibile alcune strategie generali e/o offrire a comuni e province indicazioni ed

interpretazioni comuni su aspetti oggetto di discussioni ed incertezze interpretative.

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5.6 Aggiornamento delle conoscenze su problematiche specifiche

relative al rischio idrogeologico: il caso dei “sinkhole”

Nell’ambito della pianificazione di assetto idrogeologico del territorio dell’AdB Sarno è doveroso

segnalare, al fine di approfondirne la conoscenza, il rischio connesso ai cosiddetti “sinkhole”:

fenomeni rappresentati da sprofondamenti improvvisi della superficie topografica, con apertura di

voragini di forma circolare profonde decine di metri, che possono verificarsi anche in aree

pianeggianti, senza evidenze morfologiche in superficie.

La letteratura sull’argomento indica che tali fenomeni sono dovuti ad una serie di cause, dove un

ruolo importante assumono i processi di risalita, sifonamento ed erosione dal basso.

I meccanismi di erosione dal basso sono assimilati agli effetti meccanici del moto dell’acqua nel

terreno, che si realizza quando l’acqua abbondante e con pressione elevata riesce a trovare

percorsi dove defluire con velocità sostenuta. Il passaggio dell’acqua provoca l’erosione di

materiale e la formazione di canalicoli e condotti tubolari lungo le linee di flusso. Questo fenomeno

viene indicato nella letteratura anglosassone con il termine piping, con la conseguente definizione

di piping sinkhole per gli sprofondamenti connessi ad una genesi di questo tipo.

I processi di piping avvengono solitamente in materiali che presentano una classe granulometrica

corrispondente alle sabbie, mentre le argille coesive in genere non sono soggette a piping. Tuttavia,

in presenza di una coltre costituita da alternanze di terreni a differente granulometria, non si può

escludere che il fenomeno avvenga solo in alcuni intervalli del pacco di sedimenti sciolti.

Per effetto del piping si determina la genesi e la propagazione di una cavità all’interno del materiale

di copertura. A partire dal tetto del substrato, il fenomeno procede verso l’alto fino a quando il

terreno di copertura, non sopportando più gli sforzi di taglio, collassa dando luogo ad una voragine

in superficie..

Il meccanismo di formazione è dunque, nella maggior parte dei casi, legato all’azione erosiva delle

acque, in pressione e in risalita. La risalita di acque profonde è controllata da discontinuità presenti

nel substrato roccioso, che vanno a rappresentare delle vere e proprie vie di fuga per le acque in

pressione dell’acquifero profondo oltre che per i gas in esse contenuti.

La caratteristica morfologica che contraddistingue i piping sinkhole è data dalla planimetria sub-

circolare e dalle pareti perfettamente verticali, con diametro e profondità che raggiungono le decine

di metri.

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Le principali cause predisponenti ed innescanti dei sinkhole (non necessariamente tutte

concomitanti) possono essere riassunte come segue.

Cause predisponenti

1. Presenza di un substrato carbonatico sottoposto a fenomeni carsici, con morfologia accidentata sia a piccola che a grande scala e con presenza di macroforme (doline, uvala, crepacci e grotte) e cavità prossime all’interfaccia con i terreni di copertura;

2. Presenza di terreni coesivi impermeabili o semi-permeabili al tetto del substrato carbonatico (tufi, argille, limi consolidati);

3. Presenza di sedimenti sciolti di copertura, a granulometria prevalentemente sabbiosa e con scadenti caratteristiche fisico-meccaniche;

4. Presenza di un reticolo di fratture o faglie (caratteristico di importanti allineamenti tettonici) che favorisce la circolazione idrica sotterranea e l’erosione meccanica;

5. Presenza di potenti falde idriche in pressione;

6. Scarsa presenza di un manto vegetale che possa esercitare un effetto limitante nei confronti della mobilizzazione dei terreni.

Cause innescanti

1. Intensità elevata delle precipitazioni piovose e alternanza di periodi secchi e piovosi, che determinano il verificarsi di brusche oscillazioni piezometriche;

2. Scosse sismiche, che possono determinare fenomeni di liquefazione nelle sabbie;

3. Forti emungimenti idrici in falda che determinano, in prossimità dei pozzi, coni di depressione tali da far aumentare notevolmente la velocità del deflusso sotterraneo e quindi l’asportazione delle particelle di sedimento e la subsidenza delle coperture alluvionali.

Nel territorio dell’AdB Sarno le aree più esposte al rischio per fenomeni di sinkhole sono la piana di

Forino, dove anche recentemente (giugno 2005) si sono verificati eventi che hanno interessato

zone parzialmente urbanizzate - fortunatamente senza causare vittime umane - e la Penisola

Sorrentina, in particolare la struttura di Monte Faito attraversata da importanti infrastrutture stradali

e ferroviarie con lunghi percorsi in galleria, alcuni già in esercizio, altri in fase di esecuzione ed altri

ancora oggetto di possibili interventi futuri.

L’eventualità del verificarsi di un sinkhole rappresenta dunque un problema da non sottovalutare

nella gestione del rischio per la popolazione e per le infrastrutture presenti sul territorio, a causa

della difficile localizzazione e previsione del fenomeno, di cui spesso non sono visibili in superficie

evidenze morfologiche dei fattori predisponenti,

A seguito dell’evento di Forino del giugno 2005 è stato eseguito, con la consulenza del

Dipartimento di Ingegneria Geotecnica dell’Università Federico II di Napoli, uno studio con indagini

in sito che hanno permesso di ricostruire la stratigrafia di sottosuolo (primi 50 metri di profondità),

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caratterizzata dalla presenza di un riempimento alluvionale di natura limosa-sabbiosa, poggiante

su di un substrato poco permeabile (Ignimbrite Campana e flysch miocenici). È stata quindi

esclusa la presenza di calcari e di vuoti carsici per almeno i primi 50 m di profondità.

Nella conca di Forino sono stati censiti 8 sinkhole, alcuni recenti, altri più antichi e ormai

completamente riempiti da materiale di riporto. Le perforazioni effettuate in asse ad alcuni di essi e

l’osservazione diretta superficiale hanno evidenziato che i vuoti si sono formati a partire da circa 25

m di profondità e che hanno interessato i terreni sabbioso-limosi alluvionali.

I sinkhole risultano allineati lungo la direzione di drenaggio preferenziale della falda presente nel

corpo alluvionale e sono concentrati alla base del versante settentrionale di M. Romola che

costituisce, quindi, il settore della piana più suscettibile a questi fenomeni.

Il modello interpretativo risultato dallo studio dimostra che i vuoti si sono generati per fenomeni di

erosione causati da una circolazione idrica sotterranea, attiva in concomitanza di periodi molto

piovosi e caratterizzata, probabilmente, da moti turbolenti. Tale circolazione si instaura al contatto

tra i sedimenti alluvionali sabbioso-limosi ed i sottostanti strati poco permeabili (Ignimbrite

Campana e flysch miocenici). È molto probabile che la circolazione idrica sotterranea sia

alimentata anche da falde sospese ed in rete carsica presenti nei massicci carbonatici che

circondano la piana.

Per quanto riguarda l’erosione dei notevoli volumi asportati (alcune migliaia di m3) è ipotizzabile

che essi siano smaltiti da inghiottitoi sepolti, presenti lungo il margine orientale della conca

endoreica.

I risultati di questo studio rappresentano un primo importante contributo per successive ricerche

mirate all’identificazione di altri vuoti sotterranei che potrebbero essere molto prossimi alla

superficie topografica e creare, quindi, situazioni di alto rischio.

Il substrato carsificato, inoltre, potrebbe spiegare la scomparsa dei notevoli volumi di terreni

asportati. Infatti, lungo il bordo sud orientale della conca e laddove i calcari vengono a contatto

diretto con l’acquifero piroclastico alluvionale, si potrebbe avere lo smaltimento di parte delle acque

dell’acquifero alluvionale e del trasporto solido verso la falda profonda attraverso inghiottitoi

sepolti.

Per quanto detto precedentemente non si esclude che nel sottosuolo della piana di Forino siano

presenti altri vuoti, non ancora noti perché profondi o perché non hanno ancora raggiunto la

superficie topografica.

In prima approssimazione, sulla scorta del censimento dei sinkhole effettuato e dell’assetto

stratigrafico ed idrogeologico della piana di Forino, la fascia di territorio da ritenere più suscettibile

all’innesco di nuovi sprofondamenti si allinea in corrispondenza della zona di drenaggio

preferenziale della falda dell’acquifero piroclastico alluvionale.

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Tuttavia una zonazione più precisa su un territorio così vasto non potrà che essere realizzata a

valle di ulteriori indagini e soprattutto attraverso la definizione dello schema idrogeologico locale ed

il monitoraggio della falda nell’acquifero alluvionale.

È da sottolineare, infine, che il modello emerso dallo studio eseguito a Forino rappresenta solo uno

dei possibili meccanismi di innesco di sinkhole in aree alluvionali; in altri contesti ed in condizioni

stratigrafiche ed idrogeologiche diverse non si escludono effetti della carsificazione in rocce solubili

e, soprattutto, fenomeni di improvvisa liquefazione di corpi limoso-sabbiosi saturi il cui studio non

può prescindere da un approccio anche di tipo geotecnico.

Al fine di predisporre una mappatura delle situazioni di rischio prodotte da tali fenomeni nel territorio

dell’AdB Sarno si ritiene necessario eseguire un’analisi del sottosuolo – prioritariamente nella conca

di Forino e sul versante di Monte Faito tra Castellammare di Stabia e Vico Equense – attraverso

una campagna di indagini articolata nelle seguenti attività:

a) sondaggi a carotaggio continuo (caratterizzazione stratigrafica del sottosuolo e individuazione di cavità sotterranee);

b) prospezioni geoelettriche (supporto indiretto alla individuazione di cavità sotterranee);

c) analisi geotecniche dei terreni (caratterizzazione meccanica dei sedimenti di copertura);

d) immissione in falda di traccianti (studio dell’idrodinamica sotterranea);

e) monitoraggio costante dei livelli piezometrici (evoluzione temporale dell’idrologia sotterranea).

Tale attività di studio potrà essere realizzata direttamente dall’Autorità di Bacino come integrazione

del PSAI in merito alla problematica specifica. In previsione di una pianificazione organica da

svilupparsi a livello di bacino, la valutazione del rischio indotto da fenomeni di sinkhole potrà

costituire oggetto di integrazioni progettuali da richiedere per interventi locali di urbanizzazione ed

infrastrutturazione.

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APPENDICE

Regolamentazione dell’uso del suolo sui versanti come difesa dal

rischio idrogeologico.

E’ evidente, in base a tutte le considerazioni svolte, che il controllo e la regolamentazione dell’uso

del suolo rappresentano per il PSAI delll’AdB Sarno una delle strategie principali di prevenzione

dei fenomeni di instabilità e di dissesto e quindi di mitigazione dei rischi da essi derivanti.

Nell’ambito degli studi realizzati ai fini del presente piano l’Autorità di Bacino propone un metodo

per la zonizzazione dei versanti basato sulla sovrapposizione tra suscettività geomorfologica e

vegetazione. Il metodo, descritto in dettaglio nelle relazioni tecniche specifiche21, si sviluppa

essenzialmente nelle seguenti fasi:

1. individuazione delle aree di versante che, per caratteristiche geomorfologiche e di incombenza

sugli insediamenti antropici, richiedono una più energica regolamentazione degli usi;

2. quantificazione, sia pure in maniera approssimata, del contributo che ciascuna forma di

copertura vegetale e ciascuna forma d’uso del suolo recano alla stabilità del versante;

3. individuazione delle forme d’uso che concorrono alla stabilizzazione dei versanti e di quelle che

invece predispongono all’innesco dei fenomeni franosi;

4. determinazione di norme, regole e vincoli necessari affinché le pratiche di uso del suolo siano

ovunque compatibili con le esigenze di stabilità dell’assetto idrogeologico.

In definitiva si tratta di pervenire a una vera e propria zonizzazione delle aree di versante, costruita

in funzione delle loro caratteristiche geomorfologiche e vegetazionali, tale da consentire sul

territorio un’efficace articolazione delle norme d’uso finalizzate al mantenimento della stabilità.

Il risultato finale è una carta di zonizzazione nella quale sono individuate le aree di bosco

assoggettate alla speciale disciplina imposta dall’esistenza di condizioni di criticità idrogeologica

(A1), le aree di bosco assoggettate alla disciplina ordinaria (A2), le aree a copertura arbustiva (B) e

le aree a prateria e a coltura agraria (C).

Alla carta di zonizzazione è associata una scheda (cfr. Allegato I) nella quale, per ciascuna zona

omogenea sono indicate, oltre alle caratteristiche fisiche essenziali e agli obiettivi strategici assunti

dalla pianificazione di bacino, le misure necessarie per il controllo delle forme di uso del suolo, per

la limitazione o l’inibizione di quelle che possono favorire il dissesto e per la incentivazione di quelle

che contribuiscono alla stabilità dei versanti.

21 In particolare la Relazione Tecnica di riferimento per gli aspetti connessi all’uso del suolo ed alla copertura vegetazionale sui versanti