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Regione Abruzzo Azienda Sanitaria Locale n. 2

Lanciano Vasto Chieti

RASSEGNA STAMPA Giovedì 3 aprile 2014

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Giovedì, 3 aprile 2014

IL MISTERO

Avvelenamento, donna morta a Chieti: «infezione alimentare ma non c’è certezza»

Nuova riunione in corso all’ospedale Ss Annunziata

CHIETI. Perchè è morta la donna Morena Capitanio, la donna di 44 anni arrivata una settimana fa al pronto soccorso di Chieti con i sintomi dell'avvelenamento? Cosa ha ridotto in fin di vita suo marito, arrivato il giorno prima in ospedale con gli stessi sintomi (febbre alta, diarrea e vomito) e che ora è grave all'ospedale di Roma? Nei gironi scorsi anche la suocera della donna è stata ricoverata in ospedale e dimessa poco dopo ma almeno per questo caso si può dire con certezza che si sia trattato soltanto di stress. Oggi a Chieti è in corso l'ennesima riunione per capire e cercare di dare una risposta definitiva a questa tragedia che ha distrutto una famiglia e scosso una intera città. La riunione è stata allargata a tutti gli specialisti medici dell'ospedale SS Annunziata e vi ha preso parte anche il colonnella Marcello Sciarappa, comandante dei Nas che sta facendo le indagini. Il pm Falasca ha aperto un fascicolo e vuole sapere se l'ipotesi di avvelenamento da funghi possa essere quella giusta. Durante il sopralluogo in casa dei coniugi sarebbe stata trovata una piastra elettrica di quelle utilizzate per arrostire carne e pare che sarebbe stata utilizzata per cucinare proprio una buona quantità di funghi. Dalle prime indiscrezione sui risultati delle analisi su tessuti e liquidi sarebbe emerso che la donna comunque sarebbe morta per una intossicazione alimentare che avrebbe generato una infezione interna fatale. Se questi sono i risultati, le cause però sono incerte, come detto, anche se il veleno dei funghi colpirebbe prima di tutto il fegato così come è stato riscontrato nella donna. La situazione è sembrata complicarsi dopo l'autopsia che, invece, non avrebbe riscontrato particolari anomalie focalizzandosi però su alcuni aspetti che rimangono dubbi circa le condizioni cardiache della donna. Più difficili sembrano invece le analisi sul marito che fin dall’inizio è sottoposto a flebo e per questo eventuali sostanze velenose si sarebbero diluite e dunque sarebbero difficilmente rintracciabili. La riunione è ancora in corso e si attendono le comunicazioni ufficiali da parte della Asl di Chieti. s.c. ORE 15.30. VERTICE DURATO DUE ORE Al SS. Annunziata di Chieti non sono bastate oltre due ore di vertice tra medici ed inquirenti per dare una risposta precisa sulle cause che hanno provocato la morte di una donna ed il ricovero del marito, che poi ieri a Roma è stato trapiantato al fegato. L’indiziato numero uno rimane la tossinfezione alimentare, con qualche preferenza per i funghi, visto l’effetto devastante sul fegato è tipico di questi avvelenamenti. Ma “alimentare” può significare anche altro e su questo medico legale, anatomo-patologo, laboratorista e tutta l’èquipe medica che ha seguito il caso si sono incontrati per fare il punto sulla situazione. «L’incontro – spiega Giuseppe Mariotti, direttore sanitario dell’ospedale – serviva a fare il punto tra i medici interessati al caso, per confrontare i dati finora in nostro possesso e per stabilire eventuali collegamenti tra i due eventi che paiono collegati, ma che necessitano di alcuni approfondimenti. Siamo però ancora in attesa dei dati che debbono venire dall’Istituto superiore di sanità di Roma, a cui abbiamo inviato i campioni di entrambi, e da Pavia che sta eseguendo le analisi tossicologiche sui liquidi del marito. In realtà – continua Mariotti – queste ultime analisi sono un pò difficili perché necessariamente, a causa delle terapie a cui il paziente è stato sottoposto (flebo ecc.), il sangue risulta “annacquato». D’altra parte giungono notizie abbastanza rassicuranti del trapiantato (lo «stanno stubando» aggiunge una fonte in collegamento telefonico con il Policlinico di Roma), il che significa che «le terapie hanno funzionato. Per dare una risposta definitiva su questi eventi dobbiamo però aspettare ancora». Il dott. Mariotti non lo dice, ma tra i medici che hanno seguito il caso c’è comunque soddisfazione per una vita salvata mentre si sta facendo di tutto per scoprire le cause della morte della donna.

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Il punto centrale del vertice era la discussione dei risultati dell’autopsia eseguita dal medico legale Pietro Falco che ora sta vagliando le varie ipotesi che sono sul tappeto e che ha confrontato i suoi dati con il dottor Raffaele Sebastianelli, Dipartimento prevenzione, il prof. Antonio Marchetti, laboratorio analisi, con Flavia Petrini, primario del reparto di Anestesia che ha ospitato la riunione che si è protratta dalle 11 fin dopo le 13,15, con Francesco Ricci, infettivologo, con il cardiologo Macello Caputo e con Maria De Felice, primario del Pronto soccorso. C’erano naturalmente anche Mariotti e la dottoressa Alessandra Argentieri, della direzione sanitaria di presidio. Nel vertice sono stati analizzati tutti gli elementi in possesso dell’èquipe medica e dei Carabinieri per escludere anche eventuali altre patologie che potrebbero aver causato la morte della donna sotto stress. Ma siamo nel campo delle ipotesi, perché – ad esempio – anche in un incidente stradale l’autopsia può individuare una calcolosi che potrebbe essere presente nel morto, però senza nessuna connessione con le cause vere del decesso. Di più il medico legale non vuole dire «perché io procedo per esclusione e ricostruendo in un puzzle tutti i dati disponibili. Quando il puzzle è completo e leggibile, quella è la soluzione». Tace anche il cardiologo: «ci hanno chiesto l’impegno alla riservatezza ed io lo rispetto», ma il problema non è conoscere eventuali patologie della donna morta (la presenza di un cardiologo fa pensare infatti ad ipotesi sul cuore), ma solo arrivare a dare una risposta ad una morte improvvisa che ha destato molto allarme, per fortuna rientrato a livello di pericolo per la sanità pubblica. Così è importante conoscere l’esito dei risultati delle indagini del Nas, per il momento secretate («noi abbiamo solo ascoltato il linguaggio tecnico dei medici» ha dichiarato uscendo il comandante Sciarappa), ma che hanno interessato tutto l’ambiente domestico alla ricerca di tracce significative di un eventuale alimento o sostanze da analizzare. Dunque funghi, ma non solo: prima gli alimenti, poi eventuali altre sostanze, quelle che provocano danni irreparabili agli organi e quindi la morte. No il botulino, perché – spiegano – in questo caso si muore soffocati. Si le tossine e tutte quelle sostanze che danno esiti così imponenti e drammatici. Sebastiano Calella Letture 2860 02/04/2014 - 13:18

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Giovedì, 3 aprile 2014

LO SAPEVATE?

«No certificato medico? No palestra e piscina» Non c’è obbligo per l’attività amatoriale ma l’assicurazione lo vuole

CHIETI. Braccio di ferro tra i dirigenti dello Stadio del nuoto di Chieti ed alcuni utenti amatoriali: la segreteria chiede la presentazione di un certificato medico di idoneità alla frequenza della Piscina, i medici si rifiutano di rilasciarlo, perché una legge del 2013 ha soppresso questo obbligo «per non gravare cittadini e Servizio sanitario nazionale di ulteriori onerosi accertamenti e certificazioni». Ma se l’obbligo non c’è, perché mi continuano a chiedere questo certificato? La domanda è di un cittadino che frequenta la piscina comunale di Chieti solo per un’attività amatoriale, ma vale per tutte le attività fisiche di questo tipo. Non è bastato far avere alla segreteria della piscina una dichiarazione del suo medico che ha spiegato come in questo caso «nessun certificato di idoneità è dovuto e, qualora rilasciato, oltre che improprio e contro legge, non è di nessuna utilità se non quella di gratuita assunzione di responsabilità da parte del certificante». In sostanza, il tutto si gioca all’interno delle eventuali responsabilità assicurative in caso di incidente o di malore, per cui chi gestisce l’impianto si vuole “coprire” in qualche modo e i medici che certificando l’idoneità (magari aggiungendo anche un elettrocardiogramma) non sono sicuri di essere così al riparo da eventuali incidenti o malori, come ne possono capitare durante qualsiasi attività fisica. «Perché è vero che la normativa è cambiata – spiega il dott. Walter Palumbo, dell’Intersindacale sanitaria – ma alla fine il medico è sempre comunque responsabile della valutazione fisica del suo paziente e gli può essere imputato di non aver ben valutato lo stato di salute di chi frequenta una piscina o una palestra. Comunque mi risulta che le piscine si sono attrezzate anche con uno staff medico specialistico». Lo conferma Gianfranco Puddu, presidente dell’associazione che gestisce le piscine comunali a Chieti: «la normativa è cambiata dal 2013 e non c’è più l’obbligo di certificato per l’attività amatoriale. Noi ad inizio stagione rilasciamo gratuitamente ai nostri iscritti un certificato del nostro staff medico che valuta l’idoneità caso per caso – spiega Puddu – capisco comunque le perplessità di qualche utente al quale chiediamo successivamente questa certificazione. Il fatto è che anche l’attività amatoriale è soggetta a rischi, perché noi non la possiamo controllare come durante l’attività sportiva che è seguita costantemente e quindi ci serve una copertura assicurativa. Che non ci può essere senza certificato medico. Tra l’altro la piscina di Chieti scalo ha stipulato un accordo con il Comune per far svolgere gratis l’attività agli ultra sessantacinquenni. Cioè da parte nostra non c’è nessuna preclusione alla frequenza di questi appassionati. E’ solo un problema di sicurezza». Come dire che il braccio di ferro resta senza vincitori e vinti, con il cittadino sballottato di qua e di là e con la burocrazia che fa rientrare dalla finestra quello che – per semplificare – era stato fatto uscire dalla porta.

Sebastiano Calella 02/04/2014 - 10:32

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PESCARA

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MONTESILVANO

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