Reggio Emilia Femminile plurale

33
REGGIO EMILIA: FEMMINILE PLURALE STORIE DI DONNE CHE FANNO E ORGANIZZANO CHE CREANO E INVENTANO REGGIO EMILIA: FEMMINILE PLURALE STATI DI LUOGO DIABASIS STATI DI LUOGO DIABASIS 18,00 Deliana Bertani, psicologa e psicoterapeuta, ha diretto il Settore di Psicologia clinica dell’Azienda USL di Reggio Emi- lia e presiede la struttura di volontariato giovanile “Gancio Originale”. Rosanna Chiessi , fondatrice delle edizioni d’arte “Pari&Dispari”, presidente dell’Associazione Shimamoto per la promozione del movimento Gutai in Europa. Liliana Cosi, étoile di fama internazionale cofondatrice con Marinel Stefanescu dell’Associazione Balletto Classico Cen- tro di Produzione, Compagnia Balletto Classico e Scuola di Balletto con sede a Reggio Emilia. Giovanna Fava, avvocata, cofondatrice e consulente legale della Casa delle Donne di Reggio Emilia. Presidente Nazio- nale del Forum Associazione Donne Giuriste. Giorgia Iasoni, vicepresidente di Ecologia Soluzione Ambiente e presidente del Gruppo Giovani Industriali di Reggio Emilia. Catia Iori, titolare di Pyramix, primo istituto reggiano di ricer- che di mercato e comunicazione, attualmente associata a PMS, gruppo leader della comunicazione finanziaria in Italia. Faiza Mahri, originaria del Marocco, laureata in giornalismo, a Reggio Emilia dal 2002, collabora a progetti di integrazio- ne presso l’Assessorato alla Coesione e Sicurezza sociale del Comune. Annamaria Marzi, responsabile del servizio della Casa Ma- donna dell’Uliveto di Albinea, il primo hospice (centro re- sidenziale di cure palliative) aperto in Emilia-Romagna nel 2000, per iniziativa sua e di Mariagrazia Solimè. Laura Nocco, creatrice di gioielli e collaboratrice di marchi internazionali di alta moda, titolare di una bottega-labora- torio e di due negozi, a Reggio Emilia e a Parma. Carla Rinaldi, presidente di Reggio Children, docente inca- ricata di Scienze della Formazione primaria presso l’Ateneo di Modena e Reggio. Paola Rondanini, direttrice del supermercato Conad “Le Vele”, vicepresidente della società “Le Querce”, membro delle com- missioni Marketing e Codice etico di Conad Centro Nord. Paola Silvi, titolare della libreria “All’Arco” e membro dell’esecutivo della Camera di Commercio e di altre asso- ciazioni di Reggio Emilia. Souad Talha, originaria del Marocco, casalinga, vive da anni a Reggio Emilia con la famiglia, attiva nell’Associazione Vo- lontari Ospedalieri (AVO), partecipa a diversi progetti del Comune finalizzati al volontariato e all’integrazione. Mara Pellegrino, nata a Reggio Emilia, laureata in Lingua e letteratura italiana all’Università di Parma, è stata in- segnante nella scuola media statale, poi preside per più di un decennio. Oltre che di problemi scolastici, si è oc- cupata di temi femminili su riviste nazionali e provinciali, come dirigente dell’UDI. Dimma Spaggiari, nata a Reggio Emilia, laureata in Lin- gua e letteratura italiana all’Università di Bologna, ha insegnato per anni nell’Istituto Tecnico Sperimentale “B. Pascal”, di cui ha scritto la storia. Interessata alle te- matiche femminili, ha sempre lavorato in associazioni di volontariato sia assistenziali che culturali. È autrice della biografia Lelio Lorenzani. Un pittore un paese (2003). Rina Spagni, nata a Reggio Emilia, laureata in Lingua e letteratura italiana all’Università di Bologna, ha insegna- to per anni nei corsi di scuola media statale per lavoratori studenti (150 ore), poi nella scuola media superiore. Si è occupata di problemi sociali e sindacali, e in particolare di educazione permanente. È autrice del racconto In lista per vivere in Emozioni e sentimenti nel lavoro educativo e sociale (2003). Delle stesse autrici: Donne nella moda. Protagoniste reggiane del fashion system (2003) e Tra storia e me- moria. La costruzione del welfare reggiano nel racconto delle donne (2004). Le fotografie Dall’alto, da sinistra: Annamaria Marzi, Laura Nocco, Faiza Mahri, Giorgia Iasoni, Catia Iori, Deliana Bertani, Giovanna Fava, Carla Rinaldi, Souad Talha, Liliana Cosi, Rosanna Chiessi, Paola Rondanini, Paola Silvi. Mara Pellegrino Dimma Spaggiari Rina Spagni Pellegrino Spaggiari Spagni cop_donneOK_cinzia.indd 1 cop_donneOK_cinzia.indd 1 4-03-2010 16:05:58 4-03-2010 16:05:58

description

Tredici donne diverse tra loro per età, carattere, formazione e ruolo professionale, ma con un comune denominatore: per tutte la realizzazione personale avviene soprattutto nel lavoro, "nel fare", per migliorare la vita della comunità. Dai racconti emerge uno spaccato di storia reggiana: alcune delle intervistate, vere testimoni del tempo, parlano attraverso i ricordi, altre hanno vissuto il periodo che dagli anni Sessanta ha visto le maggiori trasformazioni della città, altre ancora non hanno memoria storica, perché troppo giovani o troppo nuove alla nostra particolare realtà: dalle loro storie individuali emerge la realtà complessa e multiforme della città del Duemila. Queste tredici storie sono dedicate particolarmente ai giovani che si stanno interrogando sul proprio futuro professionale.

Transcript of Reggio Emilia Femminile plurale

Page 1: Reggio Emilia Femminile plurale

REGGIO EMILIA: FEMMINILE PLURALESTORIE DI DONNE CHE FANNO

E ORGANIZZANO CHE CREANO E INVENTANO

REG

GIO

EM

ILIA

: FEM

MIN

ILE

PLU

RALE

STATI DI LUOGO DIABASIS

STAT

I DI L

UO

GO D

IABA

SIS

€ 18,00

Deliana Bertani, psicologa e psicoterapeuta, ha diretto il Settore di Psicologia clinica dell’Azienda USL di Reggio Emi-lia e presiede la struttura di volontariato giovanile “Gancio Originale”.

Rosanna Chiessi, fondatrice delle edizioni d’arte “Pari&Dispari”, presidente dell’Associazione Shimamoto per la promozione del movimento Gutai in Europa.

Liliana Cosi, étoile di fama internazionale cofondatrice con Marinel Stefanescu dell’Associazione Balletto Classico Cen-tro di Produzione, Compagnia Balletto Classico e Scuola di Balletto con sede a Reggio Emilia.

Giovanna Fava, avvocata, cofondatrice e consulente legale della Casa delle Donne di Reggio Emilia. Presidente Nazio-nale del Forum Associazione Donne Giuriste.

Giorgia Iasoni, vicepresidente di Ecologia Soluzione Ambiente e presidente del Gruppo Giovani Industriali di Reggio Emilia.

Catia Iori, titolare di Pyramix, primo istituto reggiano di ricer-che di mercato e comunicazione, attualmente associata a PMS, gruppo leader della comunicazione fi nanziaria in Italia.

Faiza Mahri, originaria del Marocco, laureata in giornalismo, a Reggio Emilia dal 2002, collabora a progetti di integrazio-ne presso l’Assessorato alla Coesione e Sicurezza sociale del Comune.

Annamaria Marzi, responsabile del servizio della Casa Ma-donna dell’Uliveto di Albinea, il primo hospice (centro re-sidenziale di cure palliative) aperto in Emilia-Romagna nel 2000, per iniziativa sua e di Mariagrazia Solimè.

Laura Nocco, creatrice di gioielli e collaboratrice di marchi internazionali di alta moda, titolare di una bottega-labora-torio e di due negozi, a Reggio Emilia e a Parma.

Carla Rinaldi, presidente di Reggio Children, docente inca-ricata di Scienze della Formazione primaria presso l’Ateneo di Modena e Reggio.

Paola Rondanini, direttrice del supermercato Conad “Le Vele”, vicepresidente della società “Le Querce”, membro delle com-missioni Marketing e Codice etico di Conad Centro Nord.

Paola Silvi, titolare della libreria “All’Arco” e membro dell’esecutivo della Camera di Commercio e di altre asso-ciazioni di Reggio Emilia.

Souad Talha, originaria del Marocco, casalinga, vive da anni a Reggio Emilia con la famiglia, attiva nell’Associazione Vo-lontari Ospedalieri (AVO), partecipa a diversi progetti del Comune fi nalizzati al volontariato e all’integrazione.

Mara Pellegrino, nata a Reggio Emilia, laureata in Lingua e letteratura italiana all’Università di Parma, è stata in-segnante nella scuola media statale, poi preside per più di un decennio. Oltre che di problemi scolastici, si è oc-cupata di temi femminili su riviste nazionali e provinciali, come dirigente dell’UDI.

Dimma Spaggiari, nata a Reggio Emilia, laureata in Lin-gua e letteratura italiana all’Università di Bologna, ha insegnato per anni nell’Istituto Tecnico Sperimentale “B. Pascal”, di cui ha scritto la storia. Interessata alle te-matiche femminili, ha sempre lavorato in associazioni di volontariato sia assistenziali che culturali. È autrice della biografi a Lelio Lorenzani. Un pittore un paese (2003).

Rina Spagni, nata a Reggio Emilia, laureata in Lingua e letteratura italiana all’Università di Bologna, ha insegna-to per anni nei corsi di scuola media statale per lavoratori studenti (150 ore), poi nella scuola media superiore. Si è occupata di problemi sociali e sindacali, e in particolare di educazione permanente. È autrice del racconto In lista per vivere in Emozioni e sentimenti nel lavoro educativo e sociale (2003).

Delle stesse autrici: Donne nella moda. Protagoniste reggiane del fashion system (2003) e Tra storia e me-moria. La costruzione del welfare reggiano nel racconto delle donne (2004).

Le fotografi eDall’alto, da sinistra: Annamaria Marzi, Laura Nocco, Faiza Mahri, Giorgia Iasoni, Catia Iori, Deliana Bertani, Giovanna Fava, Carla Rinaldi, Souad Talha, Liliana Cosi, Rosanna Chiessi, Paola Rondanini, Paola Silvi.

Mara Pellegrino Dimma Spaggiari Rina Spagni

Pelle

grin

o S

pagg

iari

Spa

gni

cop_donneOK_cinzia.indd 1cop_donneOK_cinzia.indd 1 4-03-2010 16:05:584-03-2010 16:05:58

Page 2: Reggio Emilia Femminile plurale

IMP Donne Reggio 01-18:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 13:32 Pagina 1

Page 3: Reggio Emilia Femminile plurale

Coordinamento editorialeGiuliana Manfredi

RedazioneSara Vighi

Progetto graficoBosioAssociati, Savigliano (CN)

CopertinaPietro Mussini

Emanuela Nosari

ISBN 978-88-8103-684-4

© 2010 Edizioni Diabasisvia Emilia S. Stefano 54 I-42100 Reggio Emilia Italiatelefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047

[email protected] www.diabasis.it

Il volume è realizzato con il contributo diFondazione Manodori

IMP Donne Reggio 01-18:Bozzo 01-10 OK gm 8-03-2010 10:20 Pagina 2

Page 4: Reggio Emilia Femminile plurale

Mara Pellegrino Dimma Spaggiari Rina Spagni

Reggio Emilia: femminile pluraleStorie di donne che fanno e organizzano, che creano e inventano

STATI DI LUOGO DIABASIS

IMP Donne Reggio 01-18:Bozzo 01-10 OK gm 3-03-2010 12:18 Pagina 3

Page 5: Reggio Emilia Femminile plurale

Così si innesca un movimento, dalla storia che viene fatta alla sto-ria che viene raccontata, annotata e che costituisce la memoriascritta, grande necessità dell’umanità che non vuole scomparire;riporta uomini e donne vivi alla storia, e lo storico impedisce lorodi morire.

Jacques Le Goff

IMP Donne Reggio 01-18:Bozzo 01-10 OK gm 3-03-2010 12:19 Pagina 4

Page 6: Reggio Emilia Femminile plurale

Mara Pellegrino Dimma Spaggiari Rina Spagni

Reggio Emilia: femminile plurale

7

9

15

19

35

49

65

81

92

107

119

136

148

161

173

185

Prefazione, Natalia Maramotti

Premessa delle autriciLineamenti di una nuova identità femminile

«Sul filo di suggestioni e risonanze», Elisa Bussi

Dalla casa dei matti alla Stanza di DanteIntervista a Deliana Bertani

«Come parlare d’arte a una lepre morta»Intervista a Rosanna Chiessi

La casa della danzaIntervista a Liliana Cosi

Una vita da avvocataIntervista a Giovanna Fava

Una mamma in carrieraIntervista a Giorgia Iasoni

Quando comunicare è un’impresaIntervista a Catia Iori

La parola “Italia” ha un bel suonoIntervista a Faiza Mahri

L’hospice fra gli uliviIntervista a Annamaria Marzi

L’arte rara del gioiello diversoIntervista a Laura Nocco

Ambasciatrice delle scuole dell’infanzia di Reggio Emilia Intervista a Carla Rinaldi

Due lampadari di cristallo bluIntervista a Paola Rondanini

Il piacere di un caffè in libreriaIntervista a Paola Silvi

Il velo che fa la differenzaIntervista a Souad Talha

IMP Donne Reggio 01-18:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 13:32 Pagina 5

Page 7: Reggio Emilia Femminile plurale

IMP Donne Reggio 01-18:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 13:32 Pagina 6

Page 8: Reggio Emilia Femminile plurale

Prefazione

Mi piace pensare che un buon metro per misurare il benessere di una co-munità sia la condizione della sua componente femminile, il ruolo attivo edeterminante che questa si è guadagnata. Non a caso uso questo termine: perle donne, nel campo dei diritti civili e politici, nel corso della storia nulla è re-galato, tutto è conquistato.

Se applicato su scala nazionale questo metro misurerebbe un grado di be-nessere insufficiente. In Italia le donne che lavorano fuori dalle mura dome-stiche sono una percentuale molto inferiore alla media fissata dalla UnioneEuropea; in compenso le italiane sono quelle che lavorano di più se si som-mano le ore di lavoro retribuito con quelle dedicate al lavoro domestico e dicura, da sempre non retribuito. Ciò dipende dal fatto che in Italia i ruoli ma-schio/femmina non hanno subito ancora una trasformazione adeguata all’e-volversi della presenza delle donne nel mercato del lavoro.

Anche le politiche che favoriscono la conciliazione tra vita lavorativa e vi-ta familiare, tra le quali la realizzazione dei servizi per l’infanzia, sono anco-ra un privilegio determinato dal luogo in cui si vive: nascere e vivere a ReggioEmilia fa la differenza, come dimostrano i dati del mercato del lavoro fem-minile reggiano, decisamente superiori a quello nazionale.

Questo non significa che nella nostra città siano stati risolti tutti i proble-mi che ostacolano una piena realizzazione lavorativa delle donne, problemilegati in particolare alla precarietà delle strutture familiari e alla frammenta-zione delle carriere provocata soprattutto dalla maternità. Anche in questolibro il nodo lavoro-maternità si evidenzia come un vero spartiacque, pur-troppo latitante è tuttora la risposta normativa

Nella nostra città le donne hanno vissuto in prima persona e contribuitoa determinare i grandi mutamenti che, dal dopoguerra agli anni Settanta, l’e-mancipazionismo prima e il femminismo poi hanno prodotto.

Oggi l’esistenza di alcune associazioni di genere sul territorio, ma anche il sen-tire diffuso tra le donne, che emerge persino da talune delle interviste raccoltenel libro, dimostrano che ormai è entrata a far parte del DNA delle cittadine reg-giane la consapevolezza della necessità di liberarsi da condizionamenti e stereo-tipi, e valorizzare il femminile come visione alternativa delle cose del mondo.

IMP Donne Reggio 01-18:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 13:32 Pagina 7

Page 9: Reggio Emilia Femminile plurale

Le donne intervistate in questo libro sono diverse per età, formazione cul-turale, esperienze esistenziali, ambiti di attività, ma sono tutte accomunatedall’amore per il lavoro che svolgono, sentito non solo come strumento di rea-lizzazione personale ma soprattutto come contributo a migliorare la vita del-la comunità. Spesso queste donne hanno creato qualcosa che prima non esi-steva: l’hospice, la scuola di balletto classico, la libreria innovativa, certi mo-delli di volontariato giovanile, per citare solo alcuni esempi. Oppure sonostate fra le protagoniste delle trasformazioni che hanno cambiato il volto del-la città: la chiusura del manicomio e la creazione dei servizi psichiatrici terri-toriali; la realizzazione delle scuole comunali dell’infanzia; la nascita di nuovitipi di impresa legati alla grande distribuzione, alla comunicazione e all’eco-logia; la mediazione culturale e l’attività di volontariato delle donne straniere.

A mio parere proprio la presenza delle donne straniere costituisce un im-portante elemento di novità di questo libro, che vuole fotografare la realtà reg-giana contemporanea. I loro racconti narrano di percorsi e di sfide diverse, de-lineano un primo confronto tra la consapevolezza di sé delle donne reggiane equelle delle nuove cittadine straniere, e infine si compongono con le altre sto-rie, con i paesaggi che ci sono familiari, in una narrazione corale che evidenziail contributo insostituibile e originale delle donne alla vita della nostra città.

Queste storie si rivolgono a tutti coloro che amano Reggio Emilia, ma misembrano destinate particolarmente alle nuove generazioni, perché cresca-no convinte della necessaria valorizzazione del femminile e del maschile, qua-li differenze che producano valore anche sociale.

Oggi, quando sembra che l’attimo presente debba cancellare qualsiasi pro-spettiva storica, c’è bisogno di un filo che leghi le generazioni, perché non va-da disperso quel patrimonio di memorie che costituisce la vera ricchezza diuna comunità, e nessun filo è più tenace della narrazione scritta.

Natalia MaramottiAssessore alla Cura della comunità

Comune di Reggio Emilia

8

IMP Donne Reggio 01-18:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 13:32 Pagina 8

Page 10: Reggio Emilia Femminile plurale

Premessa Lineamenti di una nuova identità femminile

Esiste una costante nella storia della società reggiana durante il Nove-cento: la presenza attiva di un grande numero di donne che con il loro im-pegno e le loro capacità hanno contribuito in modo determinante a creareuna comunità con una forte maturità civile e un elevato grado di coesionesociale e di benessere.

Già nella società contadina dei primi decenni del secolo scorso ad alcunedonne, pur emarginate politicamente e socialmente, era riconosciuto un ruo-lo importante e non meramente passivo: era la rezdora il perno e il cuore del-la famiglia patriarcale, che lei regolava con le sue doti umane e le sue capacitàorganizzative.

La seconda guerra mondiale, che contribuì in modo fondamentale a scardi-nare quel mondo, accelerò anche il processo di maturazione politica e civile del-le italiane, già iniziato nei primi anni del ventesimo secolo ma poi bloccato dal fa-scismo, che aveva relegato le donne all’interno delle mura domestiche, a generaree allevare i futuri soldati della patria mussoliniana. Questo movimento emanci-patorio fu tanto più forte in quelle regioni italiane, come appunto l’Emilia, in cuifu più diffusa e durò più a lungo la Resistenza alla guerra nazifascista.

Le donne reggiane, organizzate o no nei Gruppi di difesa della donna, viparteciparono in numero altissimo, ben superiore a quello riportato nelle sta-tistiche ufficiali, e vi svolsero un ruolo decisivo, sia come partigiane combat-tenti o staffette, sia dando vita a una resistenza, nascosta ma di fondamentaleimportanza, di supporto materiale alla lotta armata. Da quella condivisione dirischi e di ideali ricavarono la consapevolezza del loro diritto a parteciparealla costruzione del nuovo Stato: aderirono in massa alle associazioni femmi-nili, l’UDI e il CIF in primo luogo, che si fecero interpreti delle loro rivendica-zioni politiche e sociali, ed entrarono massicciamente nel mercato del lavoro.

La seconda metà del secolo scorso a nostro parere ha visto soprattuttodue ambiti di attività in cui le donne reggiane hanno svolto un ruolo fonda-mentale: come lavoratrici a domicilio, operaie e imprenditrici hanno creatonei decenni ’50-’80 un nuovo settore economico, quel tessile-abbigliamentoche è sfociato nel fenomeno della moda “made in Italy” che caratterizza tut-tora l’immagine dell’Italia nel mondo. Come militanti delle organizzazionifemminili e come amministratrici si sono mobilitate per l’occupazione fem-

IMP Donne Reggio 01-18:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 13:32 Pagina 9

Page 11: Reggio Emilia Femminile plurale

minile e hanno ottenuto la creazione di quei servizi sociali che più hannoqualificato il nostro modello di sviluppo, definito “welfare emiliano”.

Gli ultimi due decenni del secolo scorso, e soprattutto i primi anni delDuemila, hanno visto però profilarsi i sintomi di una profonda crisi sociale,sia a livello nazionale che locale, per il delinearsi di nuovi fenomeni nel pa-norama italiano e internazionale. I problemi legati a una rapida e massicciaimmigrazione, alla globalizzazione dell’economia e dell’informazione, maanche la crisi di fiducia diffusa nella società italiana, unita a una crisi pro-duttiva avvertita con sempre maggiore consapevolezza, inducono anche noireggiani a ripensare la nostra società e il sistema di valori che la sostiene.

La recessione economica che sta colpendo l’Italia come tutti gli altri Pae-si industrializzati vede la situazione dell’occupazione femminile italiana peg-giore rispetto a quella degli altri Paesi dell’Unione Europea: siamo al penul-timo posto, seguiti solo da Malta, con un tasso di occupazione del 47%, benlontano dall’obiettivo europeo auspicato del 60%. In Italia, poi, persiste an-cora una cultura arretrata nei confronti della maternità da parte delle azien-de, ma anche da parte delle stesse donne lavoratrici e dei mariti o compagni.Dati statistici aggiornati dell’ISFOL (Istituto per lo Sviluppo della Formazio-ne professionale dei Lavoratori) dicono che nel nostro Paese il tasso di ab-bandono del lavoro, momentaneo o definitivo, dopo il primo figlio è del13,5%, con picchi fino al 20% nelle regioni del Nord più industrializzate, ele donne che lasciano il lavoro spesso non lo riprendono più.

Quando le donne conservano il lavoro e dimostrano le loro capacità ma-nageriali, frutto di impegno e di qualità professionali, anche allora le soddi-sfazioni sono scarse, se nel nostro Paese solo un’impresa su dieci vede unadonna con incarichi di guida e, tra le prime cinquanta società italiane per fat-turato, solo nove hanno almeno una donna (spesso una sola) nel Consiglio diAmministrazione.

Negli ultimi anni abbiamo poi assistito a una vera campagna sferrata daimezzi di comunicazione, soprattutto stampa e televisione, per affermare co-me modello femminile dominante quello della “velina”, ovvero della donnache ha l’unica risorsa del proprio corpo, valorizza poco quello che ha dentrodi sé e troppo il lato esteriore. Questo stereotipo femminile viene proposto inmaniera martellante da quasi tutte le trasmissioni televisive commerciali co-me modello vincente su quello molto più reale delle ragazze che studiano e la-vorano, cercando di farsi strada solo per merito e per competenza. D’altraparte, quello di sedurre un maschio ricco e potente è stato il consiglio pater-no fornito alle giovani generazioni femminili dal capo del Governo in carica.

Se dal panorama nazionale passiamo ad analizzare la situazione delle don-ne della nostra città il quadro non è così negativo, ma certamente presenta,accanto a risultati consolidati, numerosi aspetti problematici.

1 0

IMP Donne Reggio 01-18:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 13:32 Pagina 10

Page 12: Reggio Emilia Femminile plurale

Grazie anche all’impegno delle associazioni femminili, e delle amministra-trici che si sono succedute dal dopoguerra a oggi, il nostro territorio ha sempredimostrato una spiccata sensibilità nei confronti delle pari opportunità, che siè concretizzata soprattutto nella creazione di una rete di asili nido e scuole ma-terne a sostegno delle lavoratrici madri che, come si è detto, ha caratterizzatoil welfare reggiano. A questo si devono aggiungere, soprattutto negli ultimi an-ni, il potenziamento dell’assistenza domiciliare agli anziani e la creazione inogni quartiere di case protette per gli anziani non autosufficienti. Tutto ciò haconsentito l’ingresso massiccio delle donne reggiane nel mondo del lavoro.

Secondo l’Osservatorio Economico Provinciale di Reggio Emilia il tassodi occupazione femminile nella nostra provincia nel 2008 è stato del 60,4%,contro una media nazionale del 47,2%, e il tasso di disoccupazione non è an-dato oltre il 3,5%. Anche in piena crisi economica, al 30 giugno 2009, in pro-vincia di Reggio si registravano 10.220 imprese femminili.

L’esperienza reggiana conferma un fenomeno diffuso nelle società euro-pee più avanzate, e cioè che dove le donne hanno ottenuto più diritti per séhanno chiesto non posizioni privilegiate ma servizi alla famiglia, soprattuttoai bambini e agli anziani, contribuendo in modo determinante alla costru-zione di una società più solidale.

L’impegno politico e la partecipazione delle reggiane alla vita pubblica èinvece drasticamente diminuito negli ultimi decenni, e questo ha provocatoun indebolimento delle conquiste sociali delle donne, isolate ciascuna nellasolitudine di rivendicazioni individuali dei propri diritti di cittadine e lavo-ratrici. Questo è avvenuto anche a causa della crisi delle organizzazioni fem-minili storiche – UDI e CIF – davanti all’impetuoso avanzare del movimentofemminista negli anni Settanta, e poi del crollo dei grandi partiti di massa –DC, PCI e PSI – avvenuto nell’ultimo decennio del secolo scorso.

Ma il peso della presenza femminile nella vita pubblica non è mai venutomeno. A Reggio abbiamo avuto e abbiamo tuttora figure femminili con ruo-li sociali importanti: sono donne l’attuale presidente della Provincia, la pre-sidente dell’Associazione Piccole e Medie Imprese, il direttore generale del-l’AUSL, la presidente di Reggio Children, la presidente del Gruppo GiovaniIndustriali dirigenti a livello medio-alto di grosse cooperative, professionisteaffermate, membri di consigli di amministrazione di aziende importanti; unadonna è stata sindaco della città per tredici anni, dal 1991 al 2004.

In questo quadro esistono tuttavia anche le ombre. In primo luogo la cri-si economica ha colpito duramente anche le donne, che sono state espulsein gran numero dal lavoro. Poi ci sono delle cause più strutturali, discrimi-nazioni legate a una mentalità dura a morire, come ha recentemente affer-mato Cristina Carbognani, la presidente dell’API: «È un dato di fatto che le

1 1

IMP Donne Reggio 01-18:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 13:32 Pagina 11

Page 13: Reggio Emilia Femminile plurale

donne, ancora oggi, facciano fatica a occupare ambiti decisionali pur aven-do grandissime potenzialità, che dipendono da valori a noi connaturati, pri-mo fra i quali il senso dell’organizzazione, oltre alla sensibilità che ci carat-terizza e grazie alla quale sappiamo relazionarci con l’interlocutore nel giu-sto modo. Questo è un vantaggio che dobbiamo saper far fruttare.»

È certo che lo sviluppo del nostro territorio non può prescindere dal con-tributo di un lavoro femminile sempre più qualificato e responsabile. Dalleinterviste che abbiamo raccolto è emersa la richiesta che la politica sgombriil campo dai principali ostacoli che impediscono una realizzazione piena esoddisfacente delle donne nel mondo del lavoro garantendo loro, a parità dimerito, pari opportunità di carriera rispetto agli uomini, e riconoscendo ilvalore sociale della maternità e del lavoro di cura familiare di cui le donnelavoratrici si fanno carico. In particolare chiedono di essere tutelate le lavo-ratrici più giovani, legate spesso a contratti di lavoro precario, per le quali lanascita di un figlio non solo si configura come il principale ostacolo a unasoddisfacente carriera lavorativa, ma spesso costituisce la principale causadi perdita del lavoro stesso.

Per completare il quadro di questa realtà complessa occorre aggiungeredue fenomeni, diffusi a livello nazionale ma che hanno assunto importanzaanche a Reggio Emilia.

Il primo riguarda la violenza sulle donne, testimoniato da denunce sem-pre più numerose e culminato nel tragico episodio dell’ottobre 2007, quan-do Clirim Fejzo uccise la moglie e il fratello di lei e ne ferì l’avvocata. Anchenella nostra città gli atti di violenza sono perpetrati soprattutto da uomini, ita-liani o stranieri, legati da vincoli di familiarità o di relazione con le vittime, esono trasversali a tutte le classi sociali, come documentano i dati diffusi dal-l’Associazione Nondasola, che di questo problema si occupa dal 1997. Ci so-no poi nuove forme di violenza, portate dalla impetuosa immigrazione degliultimi due decenni e che si traducono in forme mascherate di schiavitù: laprostituzione forzata di ragazze straniere, spesso giovanissime; la segrega-zione domestica di donne fatte venire dal loro Paese per ricongiungimentofamiliare e private della protezione della famiglia d’origine; lo sfruttamentodel lavoro nero, soprattutto di colf e badanti immigrate.

Il secondo fenomeno riguarda la presenza di un forte numero, semprecrescente, di donne straniere emigrate a Reggio da Paesi assai diversi, per ri-congiungimento familiare o in cerca di lavoro.

Secondo i dati diffusi dall’Ufficio Statistica del Comune al 31 dicembre2008, su una popolazione censita di 24.401 migranti, le donne erano circa lametà: 11.992, pari al 7,52% dell’intera popolazione del Comune capoluogo.Di queste, circa un quarto ha un diploma o una laurea, un dato molto più al-to del corrispondente maschile, ma per quasi tutte quelle che lavorano non

1 2

IMP Donne Reggio 01-18:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 13:32 Pagina 12

Page 14: Reggio Emilia Femminile plurale

c’è corrispondenza fra il titolo di studio e la mansione svolta. Qualunque siail loro livello di studi o la competenza professionale acquisita nel loro Paesed’origine, queste donne difficilmente escono dall’isolamento domestico, operché sono effettivamente casalinghe o perché trovano impiego quasi esclu-sivamente come badanti e colf. Al pari degli emigranti uomini le loro com-petenze professionali e le loro capacità intellettuali – sono tutte persone nelpieno della vita lavorativa – vengono disconosciute e sottoutilizzate, rele-gandole ai margini della comunità cittadina. Ma le donne vengono anche pri-vate di quella visibilità sociale e di quella possibilità di integrazione che de-rivano dal lavorare in fabbrica o nei cantieri assieme a lavoratori italiani.

Da questa breve analisi emergono la complessità e l’importanza dei pro-blemi che anche la nostra città si trova a dover affrontare in questi anni, sen-za però avere la coesione sociale e la forte identità politica che la caratteriz-zavano nel secolo scorso. Occorre perciò fare una nuova riflessione sui valo-ri che stanno alla base della nostra comunità, produrre quei cambiamenti dimentalità che il nostro tempo ci impone, discutere tutti insieme, a comincia-re dai più giovani, quale sarà il nuovo volto della città.

Questo libro, composto di una serie di interviste a donne reggiane, vuo-le essere il nostro contributo a tale riflessione.

Fra le donne intervistate mancano le rappresentanti del mondo politico esindacale. Non si tratta di un’esclusione per motivi di demerito, perché anziin questo settore ci sono figure che svolgono con grande competenza e de-dizione il loro lavoro, ma in ruoli in un certo senso “tradizionali”, codificatida una storia che nella nostra città ha toccato punte di assoluta eccellenza: ba-sti citare per tutte il nome di Nilde Iotti. Volendo però osservare i cambia-menti che stanno trasformando la comunità reggiana, abbiamo preferito ri-volgere la nostra attenzione alla “società civile”, cercando figure di donneche presentino caratteristiche esemplari (nel senso filologico del termineexemplum: “modello scelto tra elementi omogenei con evidenti qualità co-muni”, come dice il dizionario). Dunque non abbiamo cercato delle ecce-zionalità, per stilare una sorta di graduatoria di merito, ma alcuni profili fem-minili da proporre come esempi di realizzazione personale, con una impor-tante ricaduta in ambito sociale.

Ogni scelta, per definizione, comporta una selezione, pertanto è sempreparziale e può essere discutibile. Le tredici donne che compaiono nel nostrolibro sono rappresentative di un più ampio universo femminile: sono tredi-ci ma potrebbero essere centinaia.

Le intervistate, pur diverse tra loro per età, carattere, formazione e ruoloprofessionale, hanno molte caratteristiche comuni. Per tutte loro la realiz-zazione personale avviene soprattutto nel lavoro, nel fare qualcosa per mi-

1 3

IMP Donne Reggio 01-18:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 13:32 Pagina 13

Page 15: Reggio Emilia Femminile plurale

gliorare la vita della comunità. Tutte dicono di amare la loro attività, che svol-gono in assoluta autonomia rispetto alle figure maschili di eventuali mariti ecompagni, e il lavoro le spinge a superare lo stretto ambito provinciale, leproietta verso il futuro in una dimensione a volte internazionale.

Anche le due donne di origine straniera sono esemplari, se pure ancora inmodo parziale: rappresentano infatti quelle “donne d’altrove” che non stan-no più chiuse in casa all’ombra di mariti autoritari – secondo uno stereotipodominante – o per osservanza di un costume che non condividono più, ma siintegrano nella nostra società senza rinunciare alla propria identità storica eculturale.

Un’altra caratteristica comune alle tredici donne è la modestia. Si dice so-litamente che dietro ogni grande uomo c’è una grande donna, ma possiamotranquillamente dire che non è altrettanto vero il contrario, anche se spessole donne che hanno realizzato grandi cose sono generose nel riconoscere me-riti agli uomini che le hanno aiutate o affiancate. Tra le nostre intervistate,alcune si sono mosse nel solco tracciato da un parente o da un leader, ma nel-la maggior parte hanno disegnato e percorso in modo del tutto autonomo lapropria strada. Nessuna, però, si sofferma troppo sui propri meriti persona-li e, anzi, molte si interrogano su quali figure familiari possono averle ispira-te o aiutate, e su quanto devono a circostanze fortunate.

Attraverso le interviste a donne così diverse per caratteristiche individualie ruoli sociali emerge uno spaccato di storia reggiana, dal dopoguerra ai gior-ni nostri. Alcune delle intervistate, vere testimoni dei tempi, hanno attraver-sato tutto questo periodo e ne parlano attraverso i loro ricordi; altre hannovissuto il periodo che dagli anni Sessanta in poi ha visto le maggiori trasfor-mazioni della città; altre ancora non hanno memoria storica, perché troppogiovani o troppo nuove alla nostra particolare realtà: dalle loro storie indivi-duali emerge la realtà complessa e multiforme della città del Duemila.

Le narrazioni sono tutte vivaci, come lo è di solito il racconto autobiogra-fico, e questo le rende particolarmente accattivanti, di piacevole lettura ancheper i più giovani. Questo libro è dedicato soprattutto a loro, in particolare al-le studentesse e agli studenti che si stanno interrogando sul proprio futuroprofessionale. Leggendolo noteranno che le donne che si raccontano tra-smettono una comune concezione della vita come “intrapresa”, come pro-getto che per riuscire richiede competenza professionale, fatica costante e co-raggio. Il loro esempio concreto può rompere l’incantesimo negativo degli ste-reotipi del facile successo – affidato prevalentemente alla bellezza fisica e alle“relazioni che contano” – proposti quotidianamente, con molteplici forme esuggestioni, dai mezzi di comunicazione di massa, come già si è detto all’inizio.

Le autrici

1 4

IMP Donne Reggio 01-18:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 13:32 Pagina 14

Page 16: Reggio Emilia Femminile plurale

La casa della danzaIntervista a Liliana Cosi

Un filo d’acciaio che vibra: è la prima impressione. Liliana Cosi si muoveleggera e sottile, da quella grande ballerina che è stata; ma il gestire elegante,il busto eretto, i passi rapidi emanano energia e determinazione, mai fragilitào evanescenza.

Ci mostra con comprensibile orgoglio la sede dell’Associazione BallettoClassico, che guida da più di trent’anni assieme a Marinel Stefanescu. Nel-l’edificio si trovano il Centro di Produzione con i suoi atelier di scenografiae sartoria, la Compagnia Balletto Classico con le sue grandi sale prova, laScuola di Balletto con sale prova più piccole, gli uffici.

Liliana passa veloce da un ambiente all’altro, soffermandosi, in partico-lare, nella sartoria e nei locali annessi, dove su lunghi stendini stanno appesicentinaia di costumi multicolori. Li sfiora con delicatezza, quasi con affetto,e cita date, titoli, luoghi: i tanti spettacoli prodotti dalla Compagnia.

Negli spogliatoi deserti si ferma un attimo, appende un accappatoio ri-masto sul pavimento, dà un’occhiata in giro: Questi ragazzi, più sono grandipiù sono disordinati. Più che un rimprovero è un sospiro quasi materno.

Quando ci sediamo intorno al tavolo della sala riunioni ci fissa con i suoiocchi scuri e vivaci e inizia a raccontare con la precisione di chi ha a lungo ri-flettuto sulla sua vita e ha già riordinato i suoi ricordi.

L’ambiente milaneseDa piccola ho avuto due fortune. Prima di tutto un contesto familiare soli-

do e semplice: valori sani, affetti veri, grande solidarietà familiare, non troppisoldi. Lo stipendio a casa lo portava solo mio padre, però c’era tanta creativitàda parte della mamma: una casalinga non frustrata, che si realizzava nell’amo-re per i suoi cari e nel lavoro per la famiglia, col quale, penso, raddoppiava lo sti-pendio del marito. Tanto che, pur con i pochi soldi che avevamo, i miei genito-ri ci permettevano di fare due mesi di vacanza al mare. Per la nostra salute, ov-viamente, perché vivevamo a Milano, città inquinata anche allora. Poiché infamiglia eravamo in cinque l’albergo non ce lo potevamo permettere. Alloramia madre, da vera imprenditrice familiare, in primavera prendeva il treno e an-dava in Liguria a cercare una casetta da prendere in affitto per l’estate.

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 49

Page 17: Reggio Emilia Femminile plurale

D’inverno, poiché mio padre era un fanatico della montagna, scalatore esciatore, era obbligatorio passare quindici giorni in montagna. Erano vacanzemolto sobrie anche lì: aria buona, sport, vita in mezzo alla natura. Nessuno incasa aveva contatti con ambienti artistici o sensibilità particolare per l’arte.

Quando hanno visto, per caso, che avevo questa predisposizione per la dan-za – unica in famiglia, perché anche mia sorella ci ha provato ed era un disa-stro, mentre a me tutto riusciva naturale – mi hanno iscritto alla scuola di dan-za della Scala. Lo hanno fatto semplicemente perché allora era gratuita.

La Scala è stato il secondo elemento fondamentale per la mia formazioneperché, nonostante l’ambiente fosse estremamente competitivo, da un puntodi vista professionale era quanto di meglio poteva offrire l’Italia. Alla Scala laselezione è stata fortissima: all’ammissione ai corsi eravamo 350 bambine, sia-mo state ammesse in ventotto, ci siamo diplomate in cinque.

Il terzo elemento importante per la carriera di Liliana Cosi fu una circo-stanza fortunata. Dopo il diploma, ottenuto all’ottavo anno di corso, quandonon aveva ancora compiuto diciott’anni, era stata assunta nel corpo di ballodella Scala; tre anni dopo iniziarono gli scambi culturali fra il teatro milanesee il Bolšoj di Mosca. Il grande teatro russo era interessato a perfezionare i suoicantanti lirici mandandoli nella patria del belcanto, e offriva in cambio l’inse-gnamento dei suoi straordinari maestri di danza. Superando i mille ostacolicreati dalla guerra fredda, nel 1963 cinque giovani cantanti russi giunsero al-la Scala e cinque ballerine andarono al Bolšoj. Anche Luciana Savignano erafra le cinque giovanissime promesse della danza, e Liliana era la capogruppo.

Nel tempio della danzaQuel viaggio mi spalancò un orizzonte importantissimo a livello professio-

nale, e altissimo a livello artistico. Allora già cominciavo ad aprirmi al mondodell’arte, cercavo delle figure ideali da imitare, ma mi sembrava che alla Scalanon ci fossero dei modelli abbastanza alti. Avrei voluto essere come MargotFontaine, come Galina Ulanova, ma le conoscevo solo di fama. Non le avevomai viste ballare perché allora in Italia le grandi compagnie internazionali fa-cevano pochissimi spettacoli, e la televisione era appena agli inizi.

Al Bolšoj, invece, ho conosciuto i grandi ballerini da vicino, potevo andaretutte le sere in uno dei tanti teatri di Mosca a vedere balletti, avevo maestri pro-fessionalmente bravissimi: vivevo dentro la danza. Ero incantata da un mondoche fino a quel momento non ero riuscita neanche a immaginare, provavo emo-zioni impensabili. Al Cremlino c’era un teatro immenso, con un boccascena diventi metri: era il Palazzo dei Congressi, cosiddetto perché vi si svolgevano icongressi del PCUS. Seimila posti. Sempre strapieno. Era un pubblico spessomolto semplice, che però si emozionava ed entusiasmava davanti a quegli spet-tacoli di così alto livello artistico. Lì mi è apparso evidente come l’arte fosse un

5 0

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 50

Page 18: Reggio Emilia Femminile plurale

mezzo per elevare le persone, un’idea che in Italia non era così chiara, perché danoi a teatro emergevano aspetti più superficiali, più divistici. Quella intuizio-ne mi piacque moltissimo.

La famiglia, la Scala, il Bolšoj; a completare la sua formazione umana e pro-fessionale si aggiunge, a vent’anni, l’incontro con l’importante movimento cat-tolico dei Focolari.

Quella per me è stata una luce che ha illuminato e potenziato la mia vita intutti i suoi aspetti. Tutto quello che interessava a me, non solo interessava aDio, ma interessava all’umanità: io potevo influire sull’umanità vivendo que-sta comunione con Dio. Un impegno fortissimo che ha nutrito la mia caricaumana e spirituale.

Il lago dei cigniQuesta profonda spiritualità guiderà Liliana in tutta la sua attività artistica,

che proprio in quegli anni ha una improvvisa accelerazione. Nel marzo del 1965ritorna infatti a Mosca con un altro scambio e si immerge nuovamente in quel-l’ambiente, cercando di coglierne gli ideali artistici più profondi. Stavolta però èguidata anche da una motivazione diversa, come si coglie da una pagina del suodiario moscovita: Non devo ballare per Gesù, ma deve essere Gesù in me che bal-la, dunque lo devo fare perfettamente. Farà talmente tanti progressi che la dire-zione del Bolšoj decide di farla debuttare come protagonista: sarebbe stata Odi-le e Odette nel Lago dei cigni. Il sogno di tutte le ballerine si avverava per lei a so-li ventitré anni, e in una cornice grandiosa: il Palazzo dei Congressi del Cremlino.

A livello professionale è stato fondamentale l’insegnamento di Irina Ti-chomirnova, la maestra che mi ha preparata al debutto. Allora ero molto gio-vane, avrò avuto anche delle qualità tecniche, delle potenzialità, ma per arrivarea reggere il ruolo della prima ballerina nel Lago dei cigni al Bolšoj, dove si bal-la “in un certo modo” o non si balla affatto, ce ne correva.

La Tichomirnova ha cercato di tirarmi fuori tutto quello che avevo dentro,con un rigore inflessibile, quasi feroce. Non mi perdonava niente. Ma quellaseverità è stata la mia fortuna, perché un maestro è come uno scultore: scolpi-sce il suo allievo, e meno sbavature gli lascia più quello brilla.

Da giovane io avevo questa qualità: non solo ricordavo quello che la maestrami diceva, ma ci credevo. Credevo all’amore della maestra per me, pensavo chequello che diceva lo diceva per il mio bene, tanto che anche adesso, quando fac-cio certi esercizi, risento ancora la sua voce e i consigli che mi dava. Sono stataal Bolšoj quattro anni e ho avuto vari maestri, tutti molto bravi, ma lei mi è sta-ta accanto in modo unico. Il mio debutto è stato un esame per lei e per me. Seandava male, andava male per tutte e due. Grazie a Dio è andato bene.

In realtà andò benissimo: i seimila spettatori la applaudirono entusiasti,le autorità del Bolšoj si congratularono con lei, e la divina Maja Plisetskaja

5 1

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 51

Page 19: Reggio Emilia Femminile plurale

5 2

interruppe le prove di un suo balletto per andarla a vedere e complimen-tarsi. Dopo sessantaquattro anni una prima ballerina italiana danzava dinuovo in un teatro russo.

Un’étoile deve rispettare il suo pubblicoLiliana Cosi è diventata étoile giovanissima, a ventitré anni. Però nel pie-

no delle sue forze, alla metà degli anni Settanta, ha abbandonato la Scala percreare una sua Compagnia di balletto e poi una Scuola a livello professiona-le. Che cosa l’ha spinta a questo passo: forse l’esempio dei suoi grandi maestri,o l’assenza in Italia di una Compagnia e di una scuola autonoma dai teatri?

L’idea che nel mio futuro ci sarebbe stata una scuola penso sia nata il primogiorno che ho messo piede al Bolšoj e ho visto come si insegnava lì. Mi sono det-ta: ho incontrato questo metodo a ventun anni, ma se io cominciassi a insegnarloa ragazzi di dieci/undici anni gli effetti sarebbero diversi. Mi è sembrato logicopensare: quando sarò vecchia aprirò una scuola e insegnerò come si fa qui. Poi hoaccantonato l’idea, anche perché, quando ne parlavo con qualcuno dei miei mae-stri russi, loro mi dicevano: «Per adesso balla, prima devi ballare e ancora ballare».

Andando poi avanti con la carriera ho scoperto che anche in campo artisti-co c’era una certa ripetitività: ero diventata “étoile”, ero invitata da impresari intanti teatri di diverse parti del mondo, interpretavo i balletti del grande reper-torio. Tutto secondo copione.

Negli anni Settanta iniziarono le sperimentazioni nella danza. Lì ho avuto leprime delusioni. La Scala invitava dei coreografi, io ero la prima ballerina e quin-di spesso montavano il balletto su di me. Alcune esperienze sono state interes-santi, con George Skibin per esempio, ma altre erano di una banalità tremenda.Io non volevo prestarmi a queste sciocchezze per fare gli interessi di un teatro chesi considerava essenzialmente un ente lirico. Mi ero resa conto, infatti, che la Sca-la a volte accoglieva dei coreografi di altri teatri semplicemente per poter realizzarelo scambio vero, quello che a lei interessava: per esempio un direttore d’orchestra.

Ma io non volevo prestarmi a spettacoli banali e così, secondo i miei princi-pi, mancare di rispetto al pubblico che mi amava. Cercavo allora di sottrarmi inmodo garbato, per esempio dicevo che non stavo bene, che avevo male a un pie-de, cosa che in realtà spesso corrispondeva alla verità.

L’incontro con Marinel StefanescuPoi ci fu un fatto importante, la classica circostanza casuale che ti cambia

la vita. Nel 1975 Liliana Cosi fu contattata da un direttore di Raitre, che vo-leva organizzare un festival a Martina Franca per il settembre di quell’anno.Le affidò la preparazione di tutto quanto riguardava la danza e le diede car-ta bianca. Alla Cosi la proposta sembrò bellissima e ne parlò con un collegacon cui aveva stretto una certa amicizia in quegli anni: Marinel Stefanescu.

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 52

Page 20: Reggio Emilia Femminile plurale

5 3

Lo avevo conosciuto nel 1972. Non ho mai avuto un partner fisso e Marinelera uno dei tanti bravi ballerini con cui avevo ballato. La differenza che avevosubito notato in lui era questo suo amore non per la carriera, ma per la danza,la musica, la creatività. È una qualità rara in campo artistico, perché il virusdella carriera, dell’impresario, dei soldi, prima o poi contagia tutti. Marinelaveva già creato dei balletti nel suo Paese d’origine, la Romania, ed era alloraprimo ballerino al teatro dell’Opera di Zurigo. Mi sono rivolta a lui chieden-dogli di montare qualcosa per questo festival. Ne fu entusiasta.

Per la prima volta potei apprezzare la creatività di Stefanescu. Creò un bal-letto ispirato alla Patetica diCajkovskij. In quella musica suggestiva scoprì tremotivi, che divennero tre personaggi: la vita, l’amore, il destino. Alla fine delballetto la vita muore, ma poiché muore per amore in realtà non muore mai,perché l’amore vive in eterno. Queste erano le sue idee e a me piacevano. Per-ché una cosa bella che mi avevano spiegato i maestri russi era che tu non deviballare per raggiungere l’effetto, per strappare l’applauso, ma per arrivare alcuore del pubblico. Questa esigenza di dare un senso al gesto della danza eramolto forte in Marinel, e su questo è nata la nostra sintonia.

Poi c’è stato un secondo anno, con un secondo festival, dove abbiamo pre-sentato altri balletti di sua creazione. Anche quella volta abbiamo ballato in-sieme, creando una nostra Compagnia per poche settimane.

Addio alla ScalaIntanto la carriera per me non era facile: alla Scala i balletti erano pochi e do-

vevo dividerli con le altre prime ballerine. Per fortuna andavo spesso all’este-ro, ma non era facile avere i permessi. Il teatro milanese non aveva una vera di-rezione ballettistica; di tutti i problemi riguardo al balletto, delle idee che ave-vo, alla Scala non potevo parlare con nessuno che fosse in grado di capirmi efare qualcosa. A quell’epoca il direttore artistico era Claudio Abbado, bravissi-mo direttore d’orchestra, colto e sensibile ai problemi della musica, ma privo dicompetenze specifiche nel campo della danza.

Ero nel pieno della mia maturità artistica, mi sentivo pronta a un cambia-mento e allora mi sono detta: «Cosa sto qui a morire in un sepolcro d’oro (talemi sembrava la Scala)? Perché devo delegare la mia carriera alla direzione di unente lirico?» Ho sentito che dovevo prendere in mano il mio destino, e che or-mai avevo tutti gli elementi per poter dare al mondo qualcosa. Questo non vo-leva dire non ballare più per la Scala: per lei ho fatto ancora degli spettacoli, an-che all’estero, però volevo creare le condizioni per dire al pubblico qualcosa diveramente mio. Sapevo che Il lago dei cigni l’avrei ballato tutta la vita, e l’hoballato ancora, e così Giselle: sono dei valori immensi. Ma potere anche direqualcosa di proprio è bello, anzi è necessario.

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 53

Page 21: Reggio Emilia Femminile plurale

5 4

A questa decisione seguì un periodo di intensi contatti con Paolo Grassi,allora sovrintendente del teatro milanese, con personaggi politici, con il Mi-nistero dello Spettacolo, con amministratori locali. A tutti Liliana Cosi spie-gava il suo progetto: creare una compagnia autonoma, con una gestione euna programmazione agile, che fosse in grado di portare gli spettacoli a unpubblico vasto, diffondendo così in Italia i valori della danza classica e l’a-more per essa, ma le risposte erano evasive.

L’incontro con Stefanescu mi ha dato coraggio, perché anche lui condividevail progetto e voleva realizzarlo senza calcolare le conseguenze per la sua carriera.E poi nel ’76 si era sposato con una ballerina inglese, e doveva mettere radici.

La situazione parve sbloccarsi quando presi dei contatti a Modena con i di-rigenti dell’ATER, l’Associazione Teatri Emilia-Romagna, che volevano costi-tuire, parallelamente all’orchestra, anche una compagnia di balletto regiona-le. Dopo l’incontro con me e Stefanescu pensarono di affidarne a noi la dire-zione artistica. Non avevano ancora deciso dove fissare la sede e ci chiesero diandare a vedere tre teatri: Ferrara, Modena e Reggio Emilia. Dopo averli visi-tati non abbiamo avuto dubbi che quello di Reggio fosse il più adatto. Intantoera in ristrutturazione, per cui si potevano fare gli interventi opportuni; poi ab-biamo scoperto all’ultimo piano la sala delle scenografie, che si poteva trasfor-mare facilmente in sala prove, assieme ad altre sale laterali.

Eravamo felici: il nostro sogno si avverava. Marinel, assieme alla moglie siè trasferito a Reggio; io facevo la pendolare fra Milano e qui, abbiamo comin-ciato a lavorare per i primi sei mesi.

È stato un periodo breve, dopo il quale noi e gli amministratori locali ci sia-mo divisi, perché eravamo ideologicamente troppo diversi; però quel progetto èstato il motivo concreto per cui ho trovato il coraggio di licenziarmi dalla Scala.

Un progetto di breve durataLa collaborazione con l’ATER si interruppe dopo solo sei mesi. Come mai?

Liliana sorride. Ovviamente io vedo i fatti nella mia ottica, i dirigenti di allora avranno cer-

tamente delle valutazioni diverse. Proprio l’altro giorno ho avuto un incontrocon Giuseppe Gherpelli, che adesso è vicepresidente della Fondazione dei Tea-tri. Abbiamo parlato di quel progetto lontano e di quella riunione che ne decisela fine. Allora, trentadue anni fa, vi partecipava come assessore alla Cultura del-la Provincia di Reggio e assieme a lui c’erano molti altri amministratori locali.Dopo tutte le nostre esperienze, in Italia e all’estero, a livelli mondiali, Marinele io avevamo le idee chiarissime su come partire per costruire una compagnia diballo regionale, ma che doveva servire alla diffusione del balletto in tutta l’Ita-lia. Stavamo per esporle quando ci siamo resi conto che quegli uomini che sede-

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 54

Page 22: Reggio Emilia Femminile plurale

5 5

vano di fronte a noi avevano già i loro piani: volevano dirigere l’organizzazionee la programmazione della compagnia, non solo sotto il profilo economico, comeera loro precisa competenza, ma anche da un punto di vista artistico.

Questo è stato il motivo vero della rottura: non i soldi, non il genere. Perchéallora non c’era una netta distinzione fra il classico e il contemporaneo, e poi an-che i coreografi più classici si stavano orientando verso un ripensamento dellatradizione. Anch’io mi rendevo conto che non potevamo fare il Lago dei cigni:ci volevano troppi soldi. E noi non potevamo essere in concorrenza con un en-te lirico, ma non volevamo neanche. Il nostro balletto doveva essere una cosapiù agile, doveva essere una compagnia di giro e conquistare pubblico.

In Italia c’era una penuria tremenda di balletti; anche a Roma e Napoli nonc’erano più di sei spettacoli all’anno e noi eravamo due artisti nel pieno dellacarriera, che volevano ballare per portare la danza e la sua bellezza alla gente,perché l’artista è di per sé educatore del pubblico.

Per la scuola era troppo presto; allora non pensavamo di creare una scuola.

La grande avventuraNonostante il fallimento del progetto di collaborazione con l’ente locale

Marinel e Liliana si fermarono a Reggio Emilia: lui ormai abitava con la mo-glie in una casa del centro storico vicinissima al teatro; lei si era trasferita daMilano, prima presso un’amica ospitale, poi in un’abitazione propria. Affit-tarono una sala prove a Mantova, perché a Reggio non avevano trovato nien-te di adatto; Stefanescu fece venire dei ballerini da Bucarest; contattarono unimpresario che organizzò la loro prima tournée italiana. I giornali ne parla-rono con titoli importanti: Reggio Emilia capitale della danza. La Cosi pun-tualizza, cortese ma inflessibile: Perché c’eravamo noi che lavoravamo a Reggio.

Avevano cominciato in modo un po’ informale, ma già nel ’77, assiemead alcuni amici, Liliana, Marinel e sua moglie fondarono l’Associazione Bal-letto Classico, che aveva un suo statuto ben codificato.

Ci siamo resi conto subito che anche solo per firmare un contratto con l’im-presario non potevamo agire come singoli, dovevamo associarci. Eravamo in cer-ca di una sede; Marinel ha scoperto questo stabile, fatto per una ditta che mon-tava cucine. Era molto grande, perché prevedeva vasti spazi per la lavorazione ela mostra dei mobili. In più aveva al secondo piano quattro appartamenti. È sta-to lo stabile, con le sue caratteristiche, a suggerirci l’idea della scuola. Dopo aver-lo visto Stefanescu mi disse: «Ho trovato due possibili sedi: una con un piccolocapannone che potrebbe diventare una sala prove per la compagnia, e poi ce n’èuno più grande (che era poi questo). Se si riuscisse a prendere quello più grande,allora lì ci sarebbero anche gli spazi per fare una scuola. Qui in Italia ci sono sem-pre ballerini stranieri perché non riuscite a istruirne a sufficienza. Tu sei italia-

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 55

Page 23: Reggio Emilia Femminile plurale

na, sarebbe anche giusto che tu lasciassi qualcosa all’Italia, visto che l’Italia tiha dato una formazione, ti ha mandato all’estero». Per lui questo era un assio-ma indiscutibile. Era anche nei miei desideri, anche se pensavo che l’avrei fattopiù avanti e non in piena carriera. Ma ormai le cose si erano messe in quel mo-do, e allora abbiamo aperto la scuola, nel settembre del 1978.

L’edificio era costoso e noi eravamo senza una lira, ma d’altra parte non avrem-mo potuto prenderlo in affitto, perché era un capannone industriale vuoto eavremmo dovuto spendere troppo per fare tutti gli interventi necessari per tra-sformarlo in una scuola di danza. I primi quaranta milioni, come dico sempre, cisono arrivati attraverso un intervento della Divina Provvidenza sotto forma diun’inaspettata donazione, e poi il Credito Emiliano ci ha dato fiducia. In seguitoci ha aiutato tanta gente: mio fratello ingegnere, mio padre, che si trasferì tempo-raneamente a Reggio proprio per questo, ma anche persone che non avevamo maiconosciuto prima, per esempio l’architetto che ci ha fatto i disegni gratis, e tantireggiani, perché capivano che la nostra era un’impresa nuova, una cosa bella.

Invece i rapporti con gli Enti locali furono sempre problematici, anchese la Cosi si sforza di analizzarli senza punte polemiche, distinguendo le re-sponsabilità.

La relazione con l’Amministrazione comunale non si è mai rotta completa-mente. L’Aterballetto è nato e ha acquistato la sua fisionomia attraverso il la-voro dei vari coreografi cui veniva affidato, però noi convivevamo assieme a luie tutti gli anni facevamo vari spettacoli al Municipale. Guido Zannoni, il di-rettore del teatro, ci ha sempre lasciato spazi e occasioni. Tutte le nostre grosseproduzioni, tutta la creatività di Stefanescu si è realizzata al Valli. Il direttore cidava gratuitamente il teatro per una settimana per poter provare e montare i no-stri spettacoli, e di questo io sono molto riconoscente a lui e al Comune, che cidava anche un contributo annuo. Questo per i primi dieci anni.

Le cose sono cambiate quando Aterballetto è divenuto Centro Regionaledella Danza e poi Fondazione Regionale. Quando ne ho letto lo statuto ho pen-sato che anche noi avremmo potuto esserne partner, costituire un’alternativa eun’apertura verso il privato, anche perché un Comune deve poter sfruttare le ri-sorse del suo territorio. Invece in questo caso c’è stata una chiusura ermetica. Hol’impressione che la Fondazione vedesse in noi una concorrenza anziché unasinergia, e ne avesse paura. Invece i diversi non si fanno concorrenza, sempli-cemente arricchiscono la creatività di una città. Inoltre offrono più possibilitàdi accontentare i molteplici gusti del pubblico.

Abbiamo fatto tanti colloqui e incontri con i diversi sindaci, assessori, diri-genti che si sono alternati: è stato difficile, ed è difficile anche adesso. È un pec-cato, perché si tolgono al pubblico delle occasioni di maggior confronto culturale.

Perciò adesso facciamo raramente degli spettacoli in teatro a Reggio. Ne ab-biamo fatto uno in occasione del trentennale della compagnia, ma non è stato

5 6

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 56

Page 24: Reggio Emilia Femminile plurale

semplice, e ci siamo riusciti grazie anche a una sponsorizzazione dal CreditoEmiliano. Però ho fiducia che la situazione si modifichi, sarebbe solo un van-taggio per la città.

Gli amici di Reggio EmiliaL’incontro con la cultura del territorio reggiano, molto pragmatica e con-

creta, non deve essere stato facile neanche sul piano delle relazioni indivi-duali. I reggiani amano la disciplina e il lavoro fatto bene, ma certo negli an-ni Settanta doveva esserci una grande differenza fra la mentalità di una po-polazione ancora legata alle sue tradizioni contadine e quella cosmopolita didue artisti internazionali.

Di questa terra ho apprezzato la concretezza, perché anche noi siamo dei la-voratori: lavoriamo dal mattino alla sera. Facciamo tutto quello di cui c’è biso-gno, compreso l’aiutare a scaricare il camion, anche prima dello spettacolo, co-me ha fatto spesso Stefanescu. I reggiani vedevano in noi degli imprenditoriche stavano impiantando un’impresa, un’azienda del tutto nuova per giunta,perché noi siamo stati la prima compagnia di giro in Italia.

Nella sua autobiografia Liliana scrive che quando ha debuttato a Moscanel Lago dei cigni aveva intorno tante persone per aiutarla, e una sarta a suacompleta disposizione. Ci deve essere voluto un bel coraggio a lasciare i gran-di teatri per affrontare i rischi di una compagnia autonoma. Quando glielofacciamo notare si mette a ridere.

Sì, ce n’è voluto, ma il mio obiettivo non era la mia persona, era quello cheio potevo dare agli altri. Inoltre venivo da una famiglia molto semplice, l’at-teggiamento della diva non faceva per me.

Si ferma un attimo, quasi a misurare il cammino fatto.Organizzare i camion, portare in giro gli spettacoli, cercare i contratti… Al-

l’inizio è stata un’impresa pazzesca. Gli amici, quelli che mi hanno ospitata, quel-li che ho conosciuto dopo, partecipavano, vedevano il nostro impegno e la nostrafatica. Dopo venivano anche a vedere i nostri spettacoli, e magari li apprezzava-no, ma prima avevano misurato il nostro impegno concreto, perciò ci hanno aiu-tato. Questo edificio della scuola è sacro perché è anche frutto dell’amore di tan-tissime persone, che non hanno voluto la targhetta o il nome dello sponsor, peròhanno sentito che dovevano incoraggiarci, concretamente e finanziariamente.

Anche nel convitto ci sono dei volontari che ci aiutano: abbiamo allieve chevengono da tutta Italia, e l’inserimento in una nuova scuola, alle medie inferiorio anche nei primi anni delle superiori, è sempre traumatico, perché la scuolareggiana è abbastanza esigente. Questi amici generosi danno ripetizioni ai no-stri allievi in difficoltà.

C’è anche chi ogni tanto ci prepara la cena per il convitto, quello di viaSant’Agostino o quello, per le allieve più grandi, di via Filippo Ferrari. C’è sta-

5 7

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 57

Page 25: Reggio Emilia Femminile plurale

to un periodo che avevamo delle bambine molto piccole: ci aiutavano ad ac-compagnarle in autobus dei volontari. D’estate le portavano fuori a prendere ungelato, oppure le aiutavano a fare i compiti. Anche adesso qualcuno ospita del-le ragazze più grandi, perché hanno bisogno e magari non c’è posto nel convit-to. Se non avessimo avuto tanti amici e persone che volontariamente hannomesso a disposizione il loro tempo per noi non avremmo potuto reggere.

L’allievo al centro di tuttoL’apertura della scuola, nel ’78, ha creato un giro nazionale: solo pochi

allievi, circa un 20%, vengono da Reggio Emilia e dal suo territorio. I ragaz-zi, dai dieci ai diciotto anni, vengono da tutta Italia, si iscrivono, fanno unesame di ammissione, attitudinale e medico. Alla selezione non si presenta-no in tanti perché questa è una scuola professionale, che richiede un rigoro-so impegno quotidiano, come alla Scala e al Bolšoj. L’età ideale per iniziareè verso i dieci-undici anni. Tutti i corsi sono compatibili con la frequenza del-la scuola statale e coincidono con l’anno scolastico: da metà settembre a metàgiugno, più un corso estivo di cinque settimane. Vacanze che durano tuttal’estate segnerebbero un distacco troppo lungo.

Uno dei principi pedagogici che ci differenzia rispetto alla Scala nasce dallamia convinzione che tutto deve girare attorno al ragazzo, non alla danza. Il ra-gazzo deve crescere imparando il balletto al massimo livello, ma non a detri-mento della sua personalità e della sua cultura. Perciò gli orari dei nostri corsisono fissati in modo che l’allievo possa frequentare anche tutte le lezioni dellascuola statale. L’anno scorso abbiamo avuto otto ragazzi che hanno superatol’esame di maturità, quest’anno ne abbiamo cinque. Teniamo dei rapporti mol-to stretti con le scuole; c’è stato un periodo in cui avevamo delle difficoltà conalcuni ragazzi, e ci facevamo mandare un pagellino mensile, con il quale con-trollavamo, oltre al loro rendimento scolastico, anche la frequenza, perché i no-stri allievi non hanno nessun motivo di fare assenze a scuola per frequentare icorsi di ballo. Noi diciamo loro che non si balla con le gambe ma con la testa, chela cultura è indispensabile per la creatività e per la formazione di un artista.

Questo è un discorso che convince le famiglie e anche gli insegnanti. A Reg-gio i primi anni i presidi e gli insegnanti erano diffidenti, ci rimproveravano distressare gli allievi impegnandoli due-tre ore tutti i pomeriggi: non avrebberopiù potuto studiare. Ma quando hanno visto i risultati si sono resi conto cheerano ragazzi motivati, che stavano più attenti degli altri studenti, perché il bal-letto classico ti abitua alla concentrazione su te stesso, e quindi anche a presta-re attenzione alla lezione. Capisci più alla svelta, fai i compiti più in fretta, quin-di adesso se li contendono nelle classi.

Quest’anno nella scuola ci sono settanta allievi; i maschi sono solo sei…proprio pochi.

5 8

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 58

Page 26: Reggio Emilia Femminile plurale

All’ultimo esame di ammissione, che abbiamo fatto pochi giorni fa, si so-no presentati tre maschietti: due italiani e un albanese. Speriamo che decida-no di frequentare. Il problema dei ragazzi è che a scuola vengono derisi daicompagni: se fai calcio va bene, se fai il balletto classico pensano che diventiuna ragazzina. Ma pensare che la danza classica si fa con la grazia è uno stupi-do pregiudizio molto diffuso in Italia; in Francia o in Germania non è così. Ladanza classica è eleganza, coordinamento, ma ci vuole una potenza incredibi-le per coordinare il corpo. Sotto questo profilo è una disciplina molto più ma-schile, e infatti i ragazzi fanno dei progressi più veloci che le ragazze, perché ap-punto sono più forti.

Al di là di questi errori di mentalità le giovani generazioni, così poco au-todisciplinate ed eterodisciplinate, ancora sono attirate dalla danza, che ècosì rigorosa, che richiede fatica e sacrificio?

Una scuola professionale come la nostra non prevede folle di allievi, perchéla società non ha bisogno di moltissime figure in questo ruolo. Da un punto divista educativo, però, frequentare i corsi per due o tre anni farebbe molto benea tutti, perché la danza è una scuola di vita. Una scuola tanto esigente, con unobiettivo così preciso come quello di insegnare a dare tutto, non per vincere unpremio ma per esprimere il meglio di sé, piace ai giovani, anche perché capi-scono che vediamo in loro delle qualità e che cerchiamo di svilupparle.

Io non ho preclusioni verso i giovani d’oggi, non penso che siano sfaticati oirresponsabili; dipende da noi adulti, da cosa gli mostriamo, da come li affasci-niamo. Non è vero, infatti, che i ragazzi di oggi non amano l’impegno, è chenon vedono l’obiettivo finale dei loro sforzi. Se tu glielo mostri, e gli mostri ipassaggi intermedi da compiere, loro li superano anche se sono faticosi. Da noigli allievi vedono concretamente i risultati delle loro fatiche perché possonoentrare in sala prove quando Stefanescu monta degli spettacoli per la compa-gnia. Così i ragazzi vedono cosa riusciranno a fare alla fine dei corsi, anche senon sono per ora in grado di arrivarci. Poi vanno a vedere gli spettacoli e netraggono delle emozioni forti, perché associano il successo dello spettacolo al la-voro dei ballerini che hanno visto faticare tutti i giorni. Perciò vengono a le-zione anche se hanno una linea di febbre, perché si accorgono che se non fre-quentano una settimana regrediscono di un mese, se si fermano peggiorano, ela meta si allontana sempre di più.

Nel balletto non vale la fortuna: se sei bravo bene, altrimenti non c’è nien-te da fare. Nella musica puoi dire che il tuo strumento è accordato male. Nelballetto lo strumento sei tu, e per arrivare a fare del proprio corpo uno stru-mento efficace, che non stecca, devi fare leva sulla psiche, la forza di volontà, lamotivazione, tante cose. Quindi insegnando a un allievo tu incidi su tutta lasua persona, lo formi come uomo o come donna. È una soddisfazione incom-parabile, che non avrei mai immaginato.

5 9

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 59

Page 27: Reggio Emilia Femminile plurale

6 0

Ballare con l’animaEvidentemente a Liliana Cosi piace molto insegnare, si vede dall’entu-

siasmo con cui parla. Viene istintivo chiedersi se l’essere ballerina e donna ab-bia un peso nel suo insegnamento.

Ha un attimo di esitazione, come se non si fosse mai posta la domanda. Spero di sì. Potrei dire che una caratteristica femminile è proprio questo

amore per la persona intera dell’allievo. Riesci a far sbocciare i giovani a tuttotondo, perché riesci a scoprire tutti i talenti di tuo figlio, perché ogni allievo è co-me un figlio. Allora le inventi tutte perché è l’amore che ti spinge; non è solo l’a-bilità professionale, il salto, la tecnica, che tu persegui, anche se certo è lì che bi-sogna arrivare, ma l’amore ti fa apprezzare tante altre qualità che vedi in un ra-gazzo, e te ne prendi cura. Dico sempre ai miei allievi: quando sali su unpalcoscenico troverai sempre uno che salta un po’ più di te, che ruota un po’ me-glio di te, che è un po’ più alto di te, ma di te ce n’è uno solo. Quindi, per esem-pio, quando balli il tuo sorriso deve essere vero, non tirato: questo è difficile. Diarabesque ce ne sono migliaia, ma a me interessa come lo fai tu.

Sotto questo profilo anche Stefanescu è d’accordo con me, perché l’artistanon è un ginnasta e tipica dell’artista è la sua unicità, la sua interpretazione.Certo che prima devi dare al tuo allievo i mezzi adeguati: le tecniche, le cono-scenze, la muscolatura.

La Tichomirnova, la maestra russa che mi ha preparato per Il lago dei ci-gni, era severissima e non lasciava niente al caso; si sarebbe potuto dire che ave-va annullato la mia personalità e che io ero diventata come lei: sembravo spon-tanea ma ero un computer. A venti giorni dallo spettacolo, però, quando ha ca-pito che possedevo perfettamente tutta la parte tecnica, mi ha detto: «Adessodimentica tutto quello che ti ho insegnato e balla con la tua anima italiana».

Se i suoi allievi sono un po’ suoi figli c’è anche un aspetto generativo, ma-terno, nel suo lavoro.

Assolutamente sì. Mi ricordo una volta che stavo insegnando a una ragazzauna figura eminentemente tecnica: il piquet in primo arabesque, dove bisognaruotare su una nota musicale e finire il movimento su una punta, la gamba in-dietro e il braccio in avanti. È un movimento bellissimo, che dà un senso di infi-nito mentre lo fai, ma richiede una grande concentrazione su te stessa. Questaragazza non riusciva molto bene: arrivava a pezzi, con il braccio e non con la gam-ba, dopo la musica, prima della musica, però si sforzava di riuscire a raggiungerequesto coordinamento di tutta la persona: polso, braccia, gambe, testa. Mentre leinsegnavo a un certo punto ho capito che non guidavo la punta, la gamba, il pol-paccio, ma un motore dentro, un centro della persona, e questa ragazza pian pia-no non pensava più alla testa, al polso, alla gamba, al ginocchio, ma prendeva ilmovimento da questo centro interiore. È stata una sensazione che ho avvertitochiaramente, e anche la ragazza ha colto questa relazione profonda. È importan-

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 60

Page 28: Reggio Emilia Femminile plurale

6 1

te fare capire che c’è un centro dentro di noi, perché il bravo maestro deve mette-re l’allievo sulle sue gambe; guai a creare un rapporto di eterna dipendenza.

La diffusione sul territorioQuanti allievi sono andati per il mondo sulle loro gambe?Molti, anche se non ne abbiamo diplomato tantissimi, ma abbiamo un pri-

mo ballerino a Glasgow, un’altra a Dresda, poi in Svizzera, in Spagna, alla Sca-la. Alcuni hanno aperto delle scuole e insegnano. Altri hanno smesso e si sonosposati, però ci sono molto grati per la formazione umana che gli abbiamo da-to. Perché la vita non ti offre tutto su un piatto d’argento, te la devi guadagna-re la vita. E qui loro imparano che ogni piccolo progresso ha un costo.

La scuola Cosi-Stefanescu ha quindi dato il via a molte altre scuole, di ca-rattere amatoriale, tenute da ex allievi, che spesso inviano alla scuola madrei ragazzi migliori perché si presentino alla selezione.

Anche a Reggio Emilia, in trent’anni, il terreno è stato dissodato.Abbiamo diversi ex allievi che hanno aperto scuole, da Castelnuovo Monti

alla città, ma anche fino a Parma. Speriamo che lo facciano con lo stesso spirito concui l’abbiamo fatto noi: non sfruttare il ragazzo, ma farlo crescere bene, anche senon hanno le strutture adatte per dargli una preparazione professionale. Il livel-lo amatoriale, però, è importante proprio perché è educativo, e comunque questescuole diffondono una sensibilità e una cultura, per cui moltissimi giovani vannopoi a teatro ad assistere agli spettacoli di balletto. Se l’amore per la danza adessoè così diffuso è anche per merito nostro. Si pensi anche a quanti spettacoli abbia-mo fatto per le scuole di Reggio. Ogni volta sono migliaia di ragazzi che vengonoa teatro. Mi ricordo l’anno che abbiamo danzato per loro Il risveglio dell’umanità,che mi sembrava un balletto un po’ impegnativo per i ragazzi delle scuole. Alla fi-ne dello spettacolo si è chiuso il sipario: silenzio. Poi una ragazza dal fondo ha gri-dato: «Grazie. Ci avete fatto sognare!» Mi sono detta: «Basterebbe questo.»

Oppure mi ricordo un altro spettacolo che finiva con un balletto sulla se-conda rapsodia di Listz, e i ragazzi che uscivano allegri, canticchiando quellabella musica così piena di vita. Sì, abbiamo seminato tanto.

La collaborazione con le scuole reggiane avviene attraverso l’Associazio-ne culturale “5T”, un’agenzia collegata con il teatro Valli che si occupa di or-ganizzare gli spettacoli per gli studenti. Tutti gli anni la compagnia Cosi-Ste-fanescu fa tre spettacoli per le scuole al teatro Ariosto. Quest’anno è inizia-ta anche una collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune perun’attività motoria per le scuole elementari finalizzata alla danza. Inoltrequalche scuola chiede degli interventi specifici.

La collaborazione con le scuole è fondamentale, perché in televisione la dan-za classica, come la musica classica, non esiste, e ciò che non esiste in televisio-ne non trova spazio nella società.

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 61

Page 29: Reggio Emilia Femminile plurale

6 2

Mi sembra però che la scuola recentemente abbia aperto un po’ gli occhi sul-l’educazione alle arti, che è così importante e formativa, sviluppa la creativitàdel ragazzo, gli dà maggiore sicurezza di sé.

Danza classica, danza contemporaneaNella scuola Cosi-Stefanescu viene privilegiata la danza classica, ma c’è un

rapporto anche con la danza contemporanea? La domanda deve toccare unaqualche corda profonda perché Liliana risponde d’impeto.

La nostra si chiama Associazione Balletto Classico, perché la danza classi-ca è la nostra professione e da lì viene la nostra formazione.

Il balletto classico è la base di tutto quello che va sotto il nome di danzaper qualsiasi ballerino, e tutte le compagnie di danza contemporanea, soprat-tutto se sono compagnie importanti, preparano e allenano il loro corpo di bal-lo con le lezioni di balletto classico, perché è l’allenamento più completo. Fac-ciamo un parallelo con la musica: come la musica colta contemporanea nonpuò ignorare la grande musica del Settecento e dell’Ottocento così accade perla danza. Nella storia c’è un momento in cui il genio umano ha toccato la per-fezione sia nella musica sinfonica che nel balletto classico, e da quello non sipuò prescindere.

La danza classica vuole mandare un messaggio di armonia, ma l’armonia lasi può raggiungere anche con la danza contemporanea, anche perché spesso ilconfine fra danza classica e contemporanea è molto labile. Già trent’anni fa,quando Stefanescu ha montato il balletto sulla Patetica di Ciajkovskij, nell’ul-tima parte io entravo a piedi scalzi. Era un momento drammatico e i miei gesti,che pure derivavano dal balletto classico, si spezzavano, diventavano più espres-sivi, meno legati ai codici tradizionali. Dunque c’è massima libertà, ma non sipuò prescindere dalla base classica.

Nella scuola di balletto classico, poi, si insegnano altre materie: la danzadi carattere, le danze popolari, la varietà infinita dei ritmi europei che nelSeicento furono alle origini di questa arte.

È una grande cultura e perciò non possiamo preparare un ballerino comeun manichino che alza una gamba, a destra o a sinistra a caso, come quelli chevediamo in televisione. Quella non è arte, ma un semplice sfruttamento delledoti del corpo.

Nella danza contemporanea bisogna poi fare delle distinzioni, perché il risul-tato dipende dal coreografo: se vuole solo spogliare in palcoscenico un bel ragaz-zo o una bella ragazza per fare uno scoop per i giornalisti, o se vuole esprimere laparte migliore di se stesso. Noi non balliamo solo su musica classica, anche se cre-diamo nella musica classica; abbiamo ballato su musica di Adrian Enescu, uncontemporaneo, o su musica antichissima, dipende da cosa ispira il coreografo.

Fa una pausa brevissima.

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 62

Page 30: Reggio Emilia Femminile plurale

Ormai vado poco in giro, ma a volte vedi la gente che esce dal teatro per-plessa e dice: «Mah, non ho capito». Vuol dire che l’artista non si è fatto capi-re, perché l’arte è un linguaggio e l’artista deve usarlo per comunicare con chia-rezza al pubblico delle emozioni, scegliendo quelle che valgono. L’arte è questaincredibile capacità dell’uomo di comunicare la sua sensibilità alta, i suoi so-gni, i suoi ideali, attraverso le cose che fa. Per esempio, Stefanescu, che purenon è una persona senza difetti, riesce a mettere nelle sue coreografie, qualsia-si argomento affronti, la tensione verso la bellezza e l’armonia. Mi ricordo unodei primi balletti che ha montato, nel ’78, su un a solo suonato da un flauto diPan, una musica antichissima. C’era una madre che ricordava il figlio perduto:una donna interiormente ricca che soffriva un dolore grandissimo e ricordavamomenti lieti o tristi della vita di questo figlio. Per me questa è vera danza con-temporanea. Perché l’arte non è stranezza, l’arte è vita, e nella vita ci sono deisentimenti veri. Perché non portare in palcoscenico dei sentimenti veri?

Fare mille coseAbbiamo parlato a lungo del passato, ma una combattente indomita co-

me lei ha certamente dei progetti per il futuro. Vorrei consolidare i rapporti con il territorio. Sinceramente mi piacerebbe

avere maggiore feeling con gli amministratori della città, e spero di cuore chequesto avvenga.

Riguardo alla compagnia, invece, vorrei avere la possibilità di arricchirla connuovi elementi, per esempio con allievi che terminano la scuola, in modo da al-largare il corpo di ballo, che per adesso è composto da tredici elementi, metàprovenienti dalla scuola, metà presi da fuori. Abbiamo poi tanti progetti di la-voro, anche all’estero, e soprattutto vorremmo realizzare dei nuovi spettacoli.

Con coreografie sue?Non mi sono mai sentita spinta a creare delle coreografie. Quando mi chiedono,

a volte anche sull’autobus che spesso prendo per venire qui a scuola: «Cos’è che falei?» Rispondo: «Ma sa che non lo so». Cos’è che fa una mamma in una famiglia?Fa mille cose, è il cuore, è l’anima, tiene in piedi tutto, crea le condizioni perché tut-to possa esistere. Dal punto di vista finanziario bisogna trovare le risorse, e per tan-tissimi anni, quando ancora ballavo, il mio obiettivo non era ballare bene: era tro-vare gli stipendi a fine mese. Altro che artista. E questo è il ruolo della madre: darda mangiare ai suoi figli. Per cui appena cambia il ministro bisogna prendere deicontatti, perché abbiamo anche delle sovvenzioni ministeriali; e poi c’è l’assessore,questo e quell’altro funzionario, e così via. Poi devi trovare scritture, e in Italia nonè facile. Abbiamo chi se ne occupa, ovviamente, ma io non delego, seguo tutto.

Da due anni non insegno più, perché ho capito che insegnavo solo ai quindi-ci ragazzi della mia classe, non ai settanta allievi della scuola, cosa impossibile.Alla fine dell’anno i genitori mi dicevano: «Speriamo che l’anno prossimo mia

6 3

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 63

Page 31: Reggio Emilia Femminile plurale

figlia sia con lei.» Allora mi dicevo che non era giusto: questa è la mia scuola, edevo amare tutti i ragazzi in modo uguale, non posso preferirne quindici su set-tanta. Tutti devono avermi, e perciò non devo essere di nessuno. Così ogni gior-no, quando sono a Reggio, vado nelle classi e osservo tutti i nostri allievi. Que-sta supervisione è importantissima, anche perché mi permette di aiutare moltopiù da vicino gli insegnanti, e per me seguire gli insegnanti è fondamentale. So-no nostri ex allievi, quindi conoscono il mio metodo, però formare un insegnanteè una cosa complessa, occorre un’opera costante di affiancamento e guida.

Il potere della bellezzaAlla conclusione dell’intervista Liliana Cosi conferma la prima impres-

sione, quella di essere una figura singolare e forse unica nel panorama arti-stico italiano. Nel nostro Paese non esistono scuole di danza come quella dalei fondata assieme a Stefanescu, anche perché, come lei afferma con deci-sione: È stata guidata da due artisti di primo piano, che non hanno guardatoalla loro carriera e hanno considerato la danza come un servizio per far cresce-re gli altri: ballerini della compagnia, allievi, pubblico.

Ma lei, un’étoile amata dal pubblico, che poteva ballare nei più importan-ti teatri del mondo, si è realizzata completamente in questa sua avventura, oha dovuto rinunciare ad aspetti importanti della sua vita artistica e personale?

Si guarda intorno e sorride serena, con i suoi luminosi occhi scuri.Ho realizzato molto di più di quello che avrei potuto sognare. Essere riusci-

ti a creare con le nostre mani tutto questo non ha prezzo. Se poi guardo ai nu-meri della compagnia: tanti spettacoli, tante creazioni nuove grazie al talento diStefanescu… Adesso che non ballo più e guardo i nostri spettacoli dalla plateavedo la gente arrivare a teatro seria, trafelata, stanca dopo una giornata di la-voro. Poi lo spettacolo inizia, la tensione si scioglie, e alla fine dello spettacolola gente dice grazie, applaude, è felice. Se fossi rimasta alla Scala avrei conti-nuato a girare il mondo con la mia valigia, avrei avuto molti più soldi di ades-so, ma poi… avrebbero sfruttato il mio nome, non sarei stata libera di espri-mermi. L’artista è uno che dà, e io qui ho avuto il mezzo per poter dare un sac-co di cose: al pubblico e ai giovani che amano la danza.

Mi ha scritto una signora una volta: dopo aver visto il suo balletto ho avutopiù pazienza con mio marito e i miei figli. Mi sono chiesta: «Cosa c’entra? Mi-ca ho fatto una predica, ho fatto un balletto». Poi ho capito: vedere l’armonia ela bellezza fa venir voglia di mettere più armonia nella propria vita.

Io cito sempre un proverbio cinese che dice: «Quando c’è buio non gridareal buio, accendi un fiammifero». Se ognuno accende un fiammifero e illuminale cose positive della vita, la situazione migliorerà. È come un mandato, unavocazione. Tutti abbiamo una vocazione, e le donne forse sono più inclini a es-serle fedeli fino in fondo, senza rimpianti.

6 4

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 64

Page 32: Reggio Emilia Femminile plurale

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 190

Page 33: Reggio Emilia Femminile plurale

Omaggioalle protagoniste

di una Reggio Emiliafemminile inventiva operosa

questo libroche ne racconta le storie

e le impreseviene stampato

nel carattere Simoncini Garamondsu carta Arcoprint

delle cartiere Fedrigonidalla tipografia Sagi

di Reggio Emiliaper conto di Diabasis

nel marzo dell’annoduemila

dieci

IMP Donne Reggio 19-192:Bozzo 01-10 OK gm 26-02-2010 12:20 Pagina 191