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Università degli Studi di Napoli “Federico II” Ente Parco Nazionale del Vesuvio
Master in Gestione e Difesa del Territorio
REALIZZAZIONE DI UNA PALIFICATA VIVA A PARETE SEMPLICE
E DI DUE CORDONATE VIVE Terzigno 03-09 settembre 2007
Coordinatori: prof. Ing. Nunzio Romano Ing. Giovanni Battista Chirico Tutor aziendale: Ing. Gino Menegazzi Commissario dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio Avv. Amilcare Troiano Direttore dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio Dott. Matteo Rinaldi
Allievi del Master:
Caruso Claudia De Lucia Marialuigia
Fusco Gian Luca Rago Emiliano
Collaboratori esterni:
Bosso Luciano
Ceres Francesca Cirino Mariano
Giordano Daniele
A.A. 2006/2007
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INDICE
PREMESSA
1. ASPETTI GEOLOGICI
1.1 SITUAZIONE LITOSTRATIGRAICA LOCALE
2. ASPETTI CLIMATICI
3. ASPETTI VEGETAZIONALI
4. ASPETTI FAUNISTICI
5. PROGETTO: PALIFICATA SEMPLICE VIVA E CORDONATA VIVA
6. ANALISI DEI PREZZI
7. SICUREZZA E DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE IN CANTIERE
ALLEGATI
SCHEDA DI INTERVENTO
REPORT FOTOGRAFICO
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Premessa Nell’ambito del Master in Gestione e Difesa del Territorio tenuto dall’Università degli Studi di
Napoli “Federico II”, Dipartimento di Ingegneria e Agronomia del Territorio della facoltà di
Agraria, e coordinato dal prof. ing. Nunzio Romano, è stata svolta attività di stage, della durata di
cinque giorni, presso l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio.
Obiettivi dello stage sono stati la conoscenza di modalità operative di conservazione della natura e
lo svolgimento di esperienze di campo su ripristino di versante con tecniche di ingegneria
naturalistica.
Lo svolgimento dello stage è stato possibile grazie all’autorizzazione accordata dal direttore
dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio Dott. Matteo Rinaldi.
Tutta l’attività è stata coordinata e seguita dall’ing. Gino Menegazzi, in qualità di tutor aziendale,
mentre il supporto tecnico è stato offerto dalla Squadra Operativa della Cooperativa "Vesuvio
Natura e Lavoro - Scarl".
Gli allievi del Master che hanno svolto lo stage presso l’E.P.N.V. sono stati forniti delle seguenti
polizze assicurative:
- infortuni sul lavoro INAIL – Gestione per conto – T.U. n. 1124/65
- responsabilità civile polizza n. 49471098 Compagnia RAS s.p.a.
L’area in cui si è svolto lo stage ricade all’interno del Parco Nazionale del Vesuvio, nel territorio
Comunale di Terzigno, in località Piana Tonda (186 m s.l.m.). La zona è ubicata nel foglio n. 184
Tavoletta II Quadrante NE della cartografia IGM.
In passato la zona è stata una cava di materiale vulcanico, per cui ha una forma ad anfiteatro, con un
ampio piazzale. Essa è stata successivamente sfruttata, per vario tempo, come pista da motocross.
Oggi in tale area è allestito un cantiere per la costruzione di un percorso naturalistico accessibile
anche ai disabili, realizzato mediante una lunga pedana in legno di abete, che si ricollega ad un altro
percorso simile eseguito negli anni precedenti. Quest’ultimo è provvisto in alcuni tratti di due
canalette laterali per il convogliamento delle acque meteoriche. Tali canalette sono rivestite da
geostuoie per proteggerle dall’erosione lineare operata dalle acque stesse.
Il versante oggetto di interesse era precedentemente utilizzato come rampa di salto del vecchio
circuito di motocross. Si tratta di un versante tronco-conico costituito da terreni piroclastici, con una
pendenza media di circa 50° sul lato esposto a NNE, e una pendenza di circa 30° sul lato esposto a
NW. Dall’analisi dello stato dei fatti, si sono riscontrate le seguenti problematiche: fenomeni di
erosione superficiale e piccole frane da scorrimento sul lato NNE e fenomeni di erosione
superficiale sul lato esposto a NW. Si è pertanto deciso di procedere con due interventi, realizzando
una palificata semplice viva alta circa 1 m al fine di evitare che si creino sforzi di taglio, i quali
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possono portare alla creazione di superfici di rottura. Dall’altro lato, invece, sono state costruite due
cordonate vive.
In sintesi, le attività svolte sono state le seguenti:
- definizione delle procedure di sicurezza in cantiere;
- inquadramento del sito di intervento (geologico, pedologico, vegetazionale)
- classificazione delle emergenze naturalistiche presenti nell'area oggetto di intervento;
- prelievo dal selvatico di specie erbacee e arbustive, con riconoscimento e classificazione in
campagna;
- realizzazione delle opere finalizzate al mantenimento della funzionalità della pista per
disabili (palificata semplice viva e cordonate vive);
- analisi dei prezzi e definizione dei costi.
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1. Aspetti geologici
Il complesso vulcanico del Somma-Vesuvio è ubicato al margine meridionale del graben della
Piana Campana. Esso è un vulcano centrale composito, costituito da uno strato-vulcano più antico
(il Monte Somma), la cui attività terminò col collasso della caldera sommitale, e da un cono più
recente, il Vesuvio, accresciutosi all’interno della caldera.
Le due strutture sono divise dalla stretta Valle del Gigante, nella quale sono visibili le alternanze
laviche e piroclastiche tipiche di uno strato-vulcano, attraversate da una serie di dicchi obliqui.
Il Monte Somma raggiunge la quota di 1132 m s.l.m. con la Punta del Nasone, il punto più alto, ed è
caratterizzato da fianchi dissecati da una serie di valloni a carattere torrentizio, con pattern
tipicamente centrifugo, i quali hanno dato luogo alla base dei versanti a conoidi alluvionali..
Il cono del Vesuvio ha un diametro di 450 m ed è profondo (attualmente) 330 m. La regolarità della
superficie è interrotta dalla presenza di bocche laterali, che a luoghi hanno prodotto cupole laviche e
si nota l’assenza di profondi valloni.
L’attività vulcanica in questa zona è cominciata almeno 400.000 anni fa, ma di essa non si hanno
evidenze in superficie. Infatti l’eruzione dell’Ignimbrite Campana (38.000 y. B.P.) ha ricoperto tutti
i prodotti precedenti.
A partire da questa data, l’attività del vulcano è stata di carattere essenzialmente effusiva, che ha
portato alla formazione del Monte Somma, che raggiunse un’altezza di 2000 m e un diametro di 16
km in circa 10.000 anni. La prima eruzione a carattere esplosivo, nota come “Eruzione di Codola”
risale a 25.000 y. B.P. Segue un periodo di attività effusiva, interrotta 17.000 y. B.P. dalla
“Eruzione di Sarno”.
Quest'ultima segna l’inizio di una fase esclusivamente esplosiva, durante la quale si sono succedute
la “Eruzione di Novelle” (15.000 y. B.P. ), la “Eruzione di Ottaviano” (8.000 y. B.P.) e la
“Eruzione di Avellino” (circa 3.500 y. B.P.).
Questa è stata particolarmente violenta, in quanto ha modificato la morfologia dell’edificio
vulcanico, parzialmente collassato a ovest (calderizzazione) a causa dell’esplosione. Ad essa sono
seguite tre fasi debolmente esplosive, per una durata totale di circa 800 anni.
Famosissima è la successiva “Eruzione di Pompei” (79 A.D.), unica eruzione storica di cui se ne ha
un’accurata descrizione. Essa ha portato al collasso della porzione orientale del Somma.
La morfologia attuale del complesso vulcanico, costituita dalla caldera del Somma con all’interno il
più recente cono del Vesuvio, si è formata a partire dal 472 A.D., anno in cui si è avuta un’ulteriore
violenta eruzione esplosiva.
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Da quel momento, infatti, l’attività effusiva diventa predominante fino al 1139. Per i successivi 500
anni il vulcano non ha dato manifestazioni, il che è stato fatale per la popolazione locale che fu del
tutto colta di sorpresa dall’eruzione pliniana che si verificò nel 1631 e che fece quindi migliaia di
vittime. Da quella data l’attività vulcanica è stata essenzialmente di tipo effusivo o debolmente
esplosivo. L’ultima eruzione (con emissione di colate e fontane di lava) è avvenuta nel 1944.
L’attività attuale del Somma-Vesuvio è molto ridotta, essendo costituita da lievi scosse sismiche
(per la quasi totalità avvertibili solo dai sismografi) e da emissioni di fumarole.
1.1 SITUAZIONE LITOSTRATIGRAFICA LOCALE
Il cantiere è ubicato ad Ovest dell’abitato di Terzigno, in località Piana Tonda, ad una quota di 186
m s.l.m. Tale località è stata interessata dall'arrivo dei prodotti di numerose eruzioni pliniane, come
quella di Ottaviano, di Pompei, del 472 A.D. e delle eruzioni a carattere debolmente esplosivo del
periodo Medievale (Piroclastiti di San Pietro, PSP).
Tuttavia, tali prodotti affiorano in superficie in aree molto limitate, essendo stati dilavati, ricoperti
dalle lave più recenti e soprattutto dai prodotti piroclastici dell'eruzione del 1944 (LPV5). Questi
ultimi sono costituiti da “lapilli scoriacei di colore scuro fortemente porfirici a pirosseno, con
composizione chimica che varia da tefriti fonolitiche e tefriti. Rappresentano i prodotti distali
dell'attività di fontanamento di lava” (Cartografia geologica, Progetto CARG).
La zona è stata inoltre raggiunta dalle colate di lava del 1929 (LPV7) e in alcuni punti affiorano lave
risalenti al 1723. L'area del cantiere occupa il piazzale di una cava inattiva, impostata allo sbocco di
un piccolo alveo, che aveva recapito nel Vallone del Fico. Quest'ultimo costituisce attualmente un
alveo - strada ed è stato la via preferenziale per lo scorrimento della colata del 1929 fino alla città di
Terzigno. Probabilmente l'erosione da parte delle acque incanalate e/o lo scavo del materiale
piroclastico dell'eruzione del 1944, ha portato all'affioramento delle Piroclastiti di San Pietro (PSP),
costituite da “piroclastiti da caduta, costituite principalmente da banchi di lapilli scoriacei afirici o
subafiriche di colore nero, con scarsi litici, alternati da banchi di ceneri e ceneri grossolane, anche
induriti, di spessore variabile. Alla base di alcuni eventi sono presenti livelli di ceneri
pedogenizzate. Sono riconoscibili almeno sei eruzioni principali più un'altra decina di energia
minore. Età compresa tra il 512 A.D. e il 1631 A.D.” (Cartografia geologica, Progetto CARG).
Infine, in corrispondenza del piccolo alveo summenzionato e immediatamente a ridosso dell'area di
ex-cava affiorano (Dt3) “depositi eluvio-colluviali costituiti da ghiaie sabbie e sabbie limose dovute
al rimaneggiamento dei depositi piroclastici” (Cartografia geologica, Progetto CARG).
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Stralcio della Cartografia geologica, Progetto CARG, in scala 1 : 10.000
LPV5
Legenda
Lapilli scuri da caduta del 1944
LPV7 Lava del 1929
PSP Piroclastiti di San Pietro
Dt3 Depositi eluvio-colluviali sui versanti del Somma-Vesuvio
Cava inattiva
N
Area di intervento
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2. Aspetti Climatici
Le zone che al mondo presentano un clima Mediterraneo sono essenzialmente cinque, e sono tutti
situati sui versanti occidentali e sud-occidentali. Due di queste regioni, si trovano nell’emisfero
settentrionale ( bacino del Mediterraneo e California ), le altre in quello meridionale ( Cile centrale,
Sud Africa e Australia meridionale ).
Secondo la classificazione di Walter ( basata su temperatura e precipitazione ), vengono definite
come “zone di transizione con piogge invernali”. Le caratteristiche principali di questo bioma,
situato intorno ai 30° - 40° di latitudine sia a Nord che al Sud dell’equatore , riguardano
essenzialmente l’alternanza delle stagioni. L’inverno non è particolarmente freddo, e presenta
abbondanti piogge nel periodo tra novembre-dicembre e febbraio-marzo. Infatti le precipitazioni
sono distribuite al di fuori della stagione estiva, e possono raggiungere valori di minimo
400mm/anno o di massimo 1200mm/anno. Nel periodo freddo, le temperature difficilmente
scendono sotto lo zero, e mediamente sono comprese tra +7 °C e +12 °C( anche se non mancano le
gelate ). In estate invece, sono presenti giornate serene, con temperature alte ( nel mese di luglio, si
possono toccare anche i 38 °C ) e aria asciutta. Le temperature medie, si mantengono intorno ai +22
°C e +26 °C .
La presenza di alta pressione, determina un’assenza di pioggia, che può durare periodi lunghi anche
90 giorni. Le temperature medie estive ed invernali, sono soggette ad aumenti che variano da Nord
a Sud e da Ovest ad Est. I paesaggi che presentano queste caratteristiche, presentano una flora ed
una fauna, che bene si è adattata a sopravvivere nel periodo stressante. Nel caso di un ambiente
mediterraneo, esso è rappresentato dai periodi estivi, secchi e caldi, ed è un importante scoglio da
superare per molte specie della biocenosi. Ad esempio, le piante sono capaci di vivere in condizioni
di deficiente umidità atmosferica. Alcune presentano un enorme sviluppo dell’apparato radicale
assorbente, rispetto a quello aereo traspirante ( questo per cercare di reperire e assorbire quanto più
acqua dal suolo ); altre hanno meccanismi adatti a contenere la traspirazione ( ad esempio stomi
situati in cripte stomatiche provviste di peli ), altre ancora possiedono particolari tessuti nei quali
riescono ad immagazzinare molta acqua durante il periodo delle piogge ( piante grasse, a fusto
succulento ).
Un altro elemento fondamentale del bioma Mediterraneo è sicuramente il fuoco, che rappresenta un
fattore ecologico molto importante, che tende a mantenere la dominanza degli arbusti a scapito
degli alberi e incrementa la biodiversità , determinando la coesistenza di aree di diversa età. In
questo ambito geografico, si verificano annualmente 50.000 incendi, che percorrono circa 600.000
ha di superficie ( circa il doppio rilevato negli anni ’70 ). Nei paesi Mediterranei gli incendi della
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vegetazione sono un fenomeno di prevalente origine antropica, dato che le probabilità di
autocombustione, di fulmine o di eruzioni sono quasi nulle. Le cause principali sono riconducibili a
motivazioni economiche e sociali; ciò ha determinato un incremento del numero degli incendi, che
man mano negli anni è andato sempre aumentando. Infatti solo quest’anno, in Campania, si sono
avuti circa 1479 incendi. Questo accade perché il caldo, le estati secche, gli oli volatili e la pessima
situazione fitosanitaria di molte piante ( vedi ad esempio l’Eucaliptus ) rendono la vegetazione
facilmente infiammabile. Gran parte delle piante mediterranee possono sopravvivere al fuoco e
alcune ne sono addirittura stimolate nella crescita (poiché il fuoco libera i semi dagli involucri
legnosi). Questo meccanismo di apertura degli strobili, e un classico esempio del Pinus halepensis
Miller ( Pino d’Aleppo ), che grazie al fuoco, riesce a generare una zona idonea ( cerchi neri ) per la
crescita delle plantule di pino.
Per quanto riguarda la fauna, che per il Parco è principalmente rappresentata dagli uccelli, la
possibilità di superare i periodi siccitosi, è data anche dal forte aiuto involontario di un’estrema
spinta antropica e dallo scempio edile. Infatti gli animali, che essi siano uccelli, oppure mammiferi
come la volpe o la lepre, possono facilmente trovare riparo dal caldo, o abbeverarsi, anche nelle
vicinanze di ristoranti, case o bidoni della spazzatura.
In più la buona copertura forestale, è un naturale riparo ampiamente sfruttato dagli animali e le
radici tuberose e fusti succulenti, permettono ad essi di nutrirsi accumulando anche una buona
scorta di acqua. La panoramica generale effettuata sull’ambiente Mediterraneo, è un ottimo punto di
partenza, per la descrizione locale del clima all’interno della nostra area di studio, situata alle spalle
del Golfo di Napoli e alle pendici del Vesuvio.
Per descrivere il clima della Piana Tonda di Terzigno ( NA ), abbiamo utilizzato i diagrammi
pluviometrici e le medie stagionali di temperatura. La scarsa quantità di informazione, ci ha
permesso di avere un database molto povero di dati ( solo 4 anni 1999/2002 ). Questa rappresenta
per noi una piccola serie storica che abbiamo tradotto in tabelle. Da queste tabelle, è facile notare
come il clima sia mutato e le estati sono diventate ancora più siccitose ed aride. A differenza delle
zone costiere dove nel periodo estivo sono leggermente più frequenti, gli inverni sono più rigidi e
nei mesi invernali spesso si scende sotto lo zero anche di alcuni gradi. Anche se pochi, questi dati
hanno permesso di crearci un immagine molto precisa del clima del luogo.
Un luogo sicuramente ben lontano dal clima costiero e ben adattato ad un clima più continentale, la
città si presenta molto ventilata e nonostante ciò, le alte temperature e le alte pressioni, possono
ridurre le piogge anche drasticamente ( possono arrivare anche a zero ).
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Dati Capannina Meteorologica Terzigno ( 173 m s.l.m.)
1999 Temp. Max °C Temp. Min °C Temp. Media °C Precipitazioni mm
Gennaio 17,6 -1,5 8,9 143
Febbraio 16,5 -1,9 7,1 94,8
Marzo 22,6 2,7 10,5 95,7
Aprile 27,8 2,8 13,5 168
Maggio 30,7 10,9 19,1 19,8
Giugno 33,7 11,9 22,3 21,8
Luglio 34,7 15,4 23,8 5,2
Agosto 39,7 16,7 25,3 25,4
Settembre 32,7 11,9 21,5 47,2
Ottobre 29,6 7,8 17,4 104,2
Novembre 23,6 2,1 11,9 167,6
Dicembre 18,8 -1,1 9,3 196,2
Dati Capannina Meteorologica Terzigno ( 173 m s.l.m.)
2000 Temp. Max °C Temp. Min °C Temp. Media °C Precipitazioni mm
Gennaio 15,8 -3,6 6,6 51,8
Febbraio 16,5 -0,2 8,7 69,8
Marzo 20 1,9 10,5 76,4
Aprile 25,4 3 14,1 162,2
Maggio 29,2 9,8 19,3 23,6
Giugno 32,4 9,6 22,5 14
Luglio 37,8 12,3 23,8 14,8
Agosto 37 16,1 25,7 0
Settembre 38,2 12,1 21,2 11
Ottobre 33,4 9,1 17,4 77,9
Novembre 25,5 5,1 13,6 156,7
Dicembre 19,4 0,5 10,8 116,6
Serie storica dei dati relativi all’anno 1999
Serie storica dei dati relativi all’anno 2000
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Dati Capannina Meteorologica Terzigno ( 173 m s.l.m.)
2001 Temp. Max °C Temp. Min °C Temp. Media °C Precipitazioni mm
Gennaio 16,2 -2,5 27,0 60,2
Febbraio 16,9 -0,3 28,0 65,2
Marzo 19 1,8 29,1 74,9
Aprile 25,2 2 30,2 150,6
Maggio 28,7 9,5 30,9 28,6
Giugno 31,6 8,7 31,2 12
Luglio 36,5 12,1 28,8 13,5
Agosto 36 15,4 25,9 12,4
Settembre 35,4 12,4 23,3 14
Ottobre 33,1 9,5 21,6 76,4
Novembre 26 5,5 20,9 152,9
Dicembre 19,7 0,9 21,8 114,8
Dati Capannina Meteorologica Terzigno ( 173 m s.l.m.)
2002 Temp. Max °C Temp. Min °C Temp. Media °C Precipitazioni mm
Gennaio 14,7 -2,8 5,95 55,3
Febbraio 16,2 -0,5 7,85 70,2
Marzo 18 1,5 9,75 71,1
Aprile 23,3 6 14,65 165
Maggio 28,5 8,1 18,3 23,9
Giugno 32 9,2 20,6 12
Luglio 37,9 12,6 25,25 11
Agosto 36 15,8 25,9 8
Settembre 34,5 12,4 23,45 10,5
Ottobre 32,3 9,5 20,9 78
Novembre 25,7 5,2 15,45 160,2
Dicembre 19,1 1,2 10,15 115,2
Serie storica dei dati relativi all’anno 2001
Serie storica dei dati relativi all’anno 1999
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Oltre alla piccola serie storica, siamo però riusciti a recuperare anche i dati , riferiti all’anno
2006/2007 ( luglio 2006 – giugno 2007 ) ed essi sono stati inseriti all’interno di un diagramma
ombrotermico di Walter e Lieth..
Dati Capannina Meteorologica Vesuvio (1100 m s.l.m.)
2006/2007 Temp. Max
°C Temp. Min
°C Temp. Media
°C Precipitazioni
mm Luglio 28,9 10,1 19,5 6,4 Agosto 32,8 9,1 20,95 1,2
Settembre 28,3 10 19,15 47,0 Ottobre 22,8 5,8 14,3 58,4
Novembre 17,5 -1,7 7,9 155,8 Dicembre 16,3 1,9 9,1 74,2 Gennaio 17,1 -0,5 8,3 62,8 Febbraio 11,6 -0,9 5,35 155,0 Marzo 16,2 -2,3 6,95 128,0 Aprile 21,6 2,9 12,25 85,6
Maggio 23,5 5,6 14,55 81,2 Giugno 31,3 7,6 19,45 37,2
Siccome queste ultime misurazioni, cioè quelle riferite all’anno 2006/2007 sono quelle più vicine al
periodo del nostro intervento, si è deciso oltre alla tabella, di raffigurare l’andamento climatico
anche con un diagramma ombrotermico. Questa particolare rappresentazione, permette di ammirare
con notevole facilità il classico andamento del clima Mediterraneo. Gli elementi fondamentali di
questo diagramma, sono principalmente le tre aree ( due nere e una centrale a puntini ) e le scale di
temperatura e precipitazione, che essendo due, danno al grafico anche il nome di “Diagramma a
doppio asse Y”. La temperatura è inserita sull’asse delle ordinate a sinistra; mentre a destra è
inserita quelle delle precipitazioni. Sull’asse delle ascisse del diagramma, compaiono i mesi
dell’anno. In questi climatogrammi, i valori delle ordinate sull’asse di destra del diagramma si
riferiscono ai mm di pioggia e sono doppi rispetto ai corrispondenti sull’asse di sinistra, che
riguardano le temperature ( T=2P ). Ciò vuol dire che se ho una temperatura massima di 50 °C
sull’asse dell’ordinata di sinistra: sull’asse delle ordinate di destra, quella relativa alle
precipitazioni, avrò un massimo di 100mm. L’ampiezza dell’intersezione tra le due curve è una
misura visuale dello stress da aridità ( area punteggiata ), corrispondendo al periodo dell’anno
caratterizzato da aridità. Le aree nere corrispondono a periodi con precipitazioni superiori ai 100mm
Tabella riassuntiva delle misurazioni principali
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Dati Capannina Meteorologica Vesuvio
0102030405060708090
Gennaio
Febbrai
oMarz
oApri
le
Maggio
Giugno
Lugli
o
Agosto
Settem
bre
Ottobre
Novem
bre
Dicembre
Tem
pera
tura
°C
0,010,020,030,040,050,060,070,080,090,0100,0110,0120,0130,0140,0150,0160,0
Prec
ipita
zion
i mm
TemperaturePrecipitazioni
(1100 m.s.l.m.) 13.15 °C 892,8 mm (T= Luglio 2006-Giugno 2007)
Diagramma ombrotermico di Walter e Lieth
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3. Aspetti Vegetazionali
La flora presente nel territorio del Parco è di tipo essenzialmente mediterraneo; da numerosi studi
riportati in letteratura risulta che il complesso vulcanico è stato colonizzato da più di 900 specie,
considerando quelle estinte e quelle la cui colonizzazione è recente. L’impoverimento del
patrimonio floristico vesuviano va certamente ricondotto all’accentuarsi della antropizzazione,
soprattutto negli ultimi decenni. Attualmente sono presenti nell’area 610 specie vegetali, alcune
delle quali sono endemiche dell’Appennino meridionale. Tra queste ultime, quella che può
considerarsi veramente rara è la Silene giraldi, presente, oltre che sul Vesuvio, anche a Capri ed a
Ischia; degna di nota è la Ginestra dell’Etna (Genista aetnensis), un endemita etneo introdotto sul
Vesuvio dopo l’eruzione del 1906, che in alcune zone, come nell’Atrio del Cavallo e nella Valle
dell’Inferno, ha formato delle boscaglie quasi impenetrabili. Particolare interesse riveste la
colonizzazione vegetale dei suoli lavici vesuviani, che parte ad opera dello Stereocaulon
vesuvianum, un lichene coralliforme tipico di quest’area, dominante incontrastato soprattutto sulle
colate laviche più recenti, dal tipico aspetto grigio e filamentoso. Ad esso si affiancano in un
momento successivo altre specie pioniere, tra cui la Valeriana rossa (Centranthus ruber), l'Elicriso
(Helichrysum litoreum), l'Artemisia (Artemisia campestris). Le associazioni pioniere preparano il
terreno per l'instaurarsi di estesi ginestreti, costituiti da Cytisus scoparius, Spartium junceum e
Genista aetnensis, che imprimono un aspetto caratteristico ai versanti del Vesuvio, soprattutto in
periodo primaverile durante le fioriture.
Sul versante meridionale del vulcano, l’originale vegetazione mediterranea del Vesuvio è stata in
buona parte sostituita dal Pino domestico (Pinus pinea); a partire degli anni ’90 è iniziata un’opera
di sfoltimento delle pinete per lasciare il posto alle essenze mediterranee della zona, e in particolare
al Leccio (Quercus ilex). Tra Lecci e Pini, il rigoglioso sottobosco include il Biancospino
(Crataegus monogyna), la Fusaggine (Euonymus europaeus) e lo Smilace (Smilax aspera). Dove
prevalgono le associazioni della macchia mediterranea si incontrano il Lentisco (Pistacia lentiscus),
il Mirto (Myrtus communis), l’Alloro (Laurus nobilis), la Fillirea (Philllirea latifolia), l’Origano
(Origanum vulgare) ed il Rosmarino (Rosmarinus officinalis). Nel mese di maggio fioriscono ben
23 specie di orchidee selvatiche.
Le pendici settentrionali del monte Somma sono coperte da ampi castagneti fino a circa 900 mt. di
quota; oltre prevalgono boschi misti di latifoglie, ricchi di sottobosco e costituiti, oltre che dal
Castagno (Castanea sativa), da Roverella (Quercus pubescens), Carpino nero (Ostrya carpinifolia),
Orniello (Fraxinus ornus), Ontano napoletano (Alnus glutinosa), e varie specie di Acero (Acer
spp.); lungo i valloni sommani sono presenti alcuni nuclei relitti di Betulla (Betula pendula), a
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testimonianza delle antiche glaciazioni. Alcuni esemplari di Betulla sono presenti anche nella Valle
del Gigante. Dove l'umidità è maggiore, alle specie arboree citate si affiancano anche i Pioppi
(Populus spp.) e diverse specie di Salice (Salix spp.). Il sottobosco è particolarmente ricco; tra le
specie maggiormente diffuse si cita il Pungitopo (Ruscus aculeatus), lo Smilace (Smilax aspera), il
Biancospino (Crataegus monogyna), il Ligustro (Ligustrum vulgaris), e numerose famiglie di felci.
La caratterizzazione climatica, l’attività eruttiva, che a più riprese ha cancellato la vegetazione, ed il
profondo rimaneggiamento dovuto alla costante presenza dell'uomo, sono alla base della
coesistenza, in un territorio relativamente poco ampio, di così tanti ambienti, diversi fra loro ed in
varie fasi di evoluzione. Infatti sono presenti specie con foglie rigide ( sclerofille ) e morbide
(malacofille) e con margine revoluto. Gli stomi sono spesso infossati e le foglie presentano
riduzione della superficie traspirante e dimorfismo fogliare. La presenza di abscissione estiva poi
permette alle specie vegetali di sopravvivere in assenza di acqua.
Il soprassuolo forestale sito in Piana Tonda di Terzino si presenta come un bosco misto e disetaneo
( infatti all’interno vi sono individui dal semenzale all’albero maturo ), con tipica vegetazione di
macchia mediterranea. Grazie all’interazione dei valori medi di temperatura e precipitazione, si può
facilmente dedurre che ci troviamo in una zona fitoclimatica prossima al Lauretum ( classificazione
di Pavari 1916 ). La struttura del bosco, peraltro situata in una zona ecotonale, presenta una parte
aerea disposta in una struttura scalare o multiplana. Infatti le piante raggiungono altezze diverse
donando una continuità tra i diversi piani. Questo in ambiente mediterraneo favorisce la
propagazione del fuoco dalla lettiera alle chiome. Nella copertura arborea non manca la presenza di
numerosi gap di chioma, dovuti sia a cause naturali ( caduta di rami, fulmini, vento e incendi ) che
antropiche ( tagli ). Questi gap ( vuoti permanenti ) permettono allo strato arbustivo ed erbaceo di
avanzare e di far aumentare la biodiversità del bosco ( ricordando che la biodiversità di un bioma
come quello Mediterraneo, e secondo solo a quello delle foreste tropicali ). La presenza di sunflecks
invece, ( aperture limitate nel tempo ) sono l’unica fonte di luce diretta che può arrivare al suolo e
che ha molteplici funzioni, come quello di stimolare la crescita dei semi o di riscaldare parzialmente
il suolo.
Secondo la classificazione arborea sociologico-qualificativo di De Philippis ( relativa alle chiome ),
abbiamo tre diversi strati:
• Arborea: In questo strato abbiamo riscontrato la presenza di specie come il Pinus pinea L. ( Pino
domestico ) , Quercus Pubescens Wild. ( Roverella ), Quercus Ilex L. ( Leccio ), Robinia
Pseudoacacia L. ( Gaggia ), Laburnum anagyroides Medic. ( Maggiociondolo ), Fraxinus
Ornus L. (Orniello).
16
• Arbustiva: Nello strato arbustivo, abbiano identificato specie come Rubus fruticosus L. ( Rovo ),
Robinia pseudoacacia L. ( Gaggia ), Quercus ilex L. ( Leccio ) , Spartium junceum L. ( Ginestra
comune ), Cytisus scoparius L. ( Ginestra dei carbonai ), Colutea arborescens L. ( Vesicaria ) ,
Ailanthus altissima Miller ( Ailanto ) e Acer campestre L. ( Acero campestre ).
• Erbacea: Nello strato erbaceo, sono presenti numerose specie a lamina stretta come la Rumex
acetosella L. ( Romice acetosella ), Centranthus ruber L. ( Valeriana ) , Glaucium sp. , Silene
vulgaris Moench ( Erba del cucco ) , Briza maxima L. ( Sonaglini ), Calamintha nepeta L. (
Mentuccia ), Helichrysum italicum Roth ( Perpetuino ) , Euphorbia peplus L. ( Euforbia minore
) , Daucus carota L. ( Carota selvatica ) , Parietaria diffusa Mert. & Koch ( Paritaria ) , Rubus
ideaus L. ( Lampone ) , Asparagus acutifolius L. ( Asparago ), felci appartenenti alla specie
Pteridium aquilinum L. ( Felce aquilina ) più rinnovazione da seme di Quercus ilex L. ( Leccio
) e pubescens Wild ( Roverella ).
Nella costruzione della palificata viva e della cordonata viva sono state utilizzate specie vegetali
autoctone, raccolte in un raggio di 200 metri dal centro del cantiere. Sono state scelte talee di
Colutea arborescens L. ( Vesicaria ) e piante radicate di Quercus pubescens Wild. ( Roverella).
La scelta di raccogliere dal selvatico talee di Colutea è basata sulla facilità di radicazione
avventizia, dall’aspetto migliorativo legato all’azoto-fissazione di detta specie leguminosa, dalla
notevole resistenze dei rami alla trazione.
Specie: Colutea arborescens L. Nome comune: Vesicaria
FAMIGLIA: Leguminose
MORFOLOGIA: dicotiledone con portamento arbustivo e altezza variabile tra 1.5-4 m; 3-6
fiori gialli riuniti in un grappolo eretto; il legume è membranoso e rigonfio lungo 6-7 cm; foglie
composte impari pennate con 7-11 foglioline.
CRESCITA: adattabile a terreni di diversa tessitura, preferibilmente argillosi e calcarei, sciolti o
sassosi, con pH compreso tra 6 e 8.5; le radici hanno una profondità minima di 50 cm.
HABITAT : preferisce climi caldi, cresce ai margini dei boschi e pendii ed in mezzo ad altri
arbusti spontanei nei luoghi aridi.
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA: molto diffusa nel mediterraneo, manca nella pianura padana e
prealpi venete, si trova di rado in Europa Centrale.
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RIPRODUZIONE: la fioritura va da giugno a luglio, il legume contiene 9-13 semi obovati dal
diametro medio di 5 mm, facoltà germinativa 70-80%, numeri di semi per kg 55000-96000, si
propaga facilmente per talee semilegnose prevalentemente in estate, contrariamente a molte altre
specie.
NOTE: spesso confusa con Coronilla emerus ma facilmente riconoscibile per il legume rigonfio e
per la pagina inferiore della foglia leggermente pelosa.
Caratteristiche morfologiche delle talee N Specie arbustiva altezza (cm) diametro al colletto (cm) 1 Colutea arborescens 100 0,85 2 Colutea arborescens 90 0,65 3 Colutea arborescens 110 0,70 4 Colutea arborescens 100 0,75 5 Colutea arborescens 100 0,65 6 Colutea arborescens 120 1,10 7 Colutea arborescens 115 0,65 8 Colutea arborescens 110 0,55 9 Colutea arborescens 120 0,70
10 Colutea arborescens 100 0,80 11 Colutea arborescens 120 1,65 12 Colutea arborescens 100 2,50 13 Colutea arborescens 114 1,50 14 Colutea arborescens 100 2,00 15 Colutea arborescens 100 1,00 16 Colutea arborescens 115 1,30 17 Colutea arborescens 91 1,10 18 Colutea arborescens 92 1,10 19 Colutea arborescens 116 1,60 20 Colutea arborescens 80 2,50 21 Colutea arborescens 72 1,50 22 Colutea arborescens 63 1,50 23 Colutea arborescens 58 1,20 24 Colutea arborescens 85 1,05 25 Colutea arborescens 90 1,50 26 Colutea arborescens 76 1,40 27 Colutea arborescens 104 1,80 28 Colutea arborescens 78 1,30 29 Colutea arborescens 79 1,20 30 Colutea arborescens 68 1,60 31 Colutea arborescens 78 2,00 32 Colutea arborescens 89 2,20 33 Colutea arborescens 100 1,65 34 Colutea arborescens 97 1,75 35 Colutea arborescens 76 1,80 36 Colutea arborescens 80 1,55
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Per quanto riguarda la Quercus Pebescens, le piante radicate sono state impiantate a contorno delle
strutture per aumentare la stabilità dei versanti interessati.
Specie: Quercus pubescens Willd. Nom. com. Roverella
Famiglia: FAGACEAE Dumortier
Genere: QUERCUS L.
Descrizione, morfologia:
Albero di taglia media, inferiore alle altre querce del gruppo; mediamente 12-15 ma può arrivare
anche a 25 m di altezza in buone condizioni edafiche; specie abbastanza longeva, può avere
diametri del tronco notevoli, anche 2-2.5 m a petto d’uomo (1,30m da terra). Ha fusto normalmente
corto ed anche sinuoso che si diparte presto in grosse branche anch’esse sinuose, che formano una
chioma ampia e globosa negli esemplari isolati. La corteccia è formata da un ritidoma con solchi
profondi e divisi in placche rugose molto dure; si forma in giovane età e difende abbastanza bene la
pianta da incendi radenti. I rametti dell’anno sono sempre molto pubescenti, grigiastri e la
pubescenza impedisce la vista delle sottostanti lenticelle, anche i rametti del secondo anno sono
grigiastri, per la persistenza di una leggera pubescenza. Le gemme sono pluriperulate, ovato
appuntite e pubescenti, almeno ai margini delle perule, sono a disposizione spiralata e appressate al
rametto.
Foglie, fiori, semi:
foglie alterne e semplici, normalmente a profilo ovato-allungato, ma si possono trovare foglie anche
sulla stessa pianta, più allargate nella parte centrale di dimensione molto variabile da (3) 5-10 cm,
sono ottuse all’apice e da brevemente cuneate o arrotondate alla base. A volte la lamina è
leggermente asimmetrica con al massimo 8 paia di nervature secondarie e divergenti, può avere 5-6
lobi a seni più o meno profondi, quando i seni sono molto profondi, i lobi possono essere sublobati
ed anche acutamente dentati. Alla fogliazione, le foglie sono fittamente pubescenti di colore verde
grigiastro. La specie, entra presto in fruttificazione, in particolare negli esemplari isolati, è questa
una caratteristica di specie colonizzatrici che devono riprodursi presto e abbondantemente. I fiori
maschili con 6-10 stami sono presenti su amenti pendenti e pubescenti, che si formano all’inizio
della fogliazione e alla base del rametto in crescita; mentre i fiori femminili si trovano brevemente
peduncolati all’ascelle delle foglie distali con stimmi verdastri. L’antesi avviene in aprile –maggio.
I frutti (ghiande) maturano tardivamente nell’anno, in ottobre, germinano prontamente (semi
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recalcitranti); sono affusolate, piccole (2-3 cm), portate su breve peduncolo pubescente anche a
gruppi di 3-4; hanno cupola avvolgente la ghianda anche fino alla metà ed è formata da squame
pubescenti, grigiastre, appressate di forma triangolare, regolari e sporgenti dal bordo; sono molto
appetite dai suini.
Legno, apparato radicale:
la roverella ha un apparato radicale molto sviluppato e particolarmente robusto, con il fittone
centrale sempre attivo, che penetra in profondità anche nelle fessure delle rocce ed anche con
robuste radici laterali; questa caratteristica fa sì che la pianta possa resistere a lunghi periodi di
siccità.
Il legno eteroxilo, è simile alle altre querce del gruppo, è a porosità anulare, con alburno giallastro e
duramen più scuro e bruno, molto più pesante e duro che nelle altre querce del gruppo, non è
lavorabile come in Farnia e Rovere anche per le fibre che non sono mai dritte e ha un maggior ritiro
all'essicazione, perciò si spacca facilmente. Il legname, viene ugualmente adoperato per il suo
contenuto di tannino che lo rende durevole anche a contatto permanente con acqua, perciò adatto
per parti di costruzioni navali e attrezzi agricoli e traverse ferroviarie. Viene anche utilizzato come
ottimo combustibile e produce un ottimo carbone.
La corologia di questa specie, che è diffusa in tutte le regioni, principalmente si trova nella
sottozona calda del Castanetum e nella sottozona fredda del Lauretum in terreni a matrice calcarea.
Specie molto frugale, eliofila, termofila e xerofila, ma resiste molto bene anche alle basse
temperature; le sue formazioni si trovano, in Italia, fra i 200 e gli 800 (1200) m slm,
prevalentemente nei versanti esposti a sud.
Al centro e al sud si comporta come specie submediterranea, limitata, nella parte bassa, dalle leccete
e nella parte alta dalle cerrete e dai rovereti. Specie a crescita lenta, ma ha buona capacità
pollonifera infatti perlopiù viene governata a ceduo matricinato o composto.
In condizioni particolarmente aride e soggette ad incendi, queste formazioni possono regredire
verso facies secondarie dette "Garighe".
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Caratteristiche morfologiche piante radicate utilizzate per la palificata viva N Specie altezza (cm) lunghezza radici (cm) diametro al colletto (cm)1 Quercus pubescens 42 15 0,25 2 Quercus pubescens 37 20 0,20 3 Quercus pubescens 60 24 0,35 4 Quercus pubescens 97 50 0,30 5 Quercus pubescens 47 14 0,80
Caratteristiche morfologiche piante radicate utilizzate per la cordonata viva N Specie altezza tot. lunghezza radici diametro al colletto 1 Quercus pubescens 130 65 1,20 2 Quercus pubescens 160 75 2,10 3 Quercus pubescens 98 33 0,75 4 Quercus pubescens 116 72 0,90
Semina di colutea arboresscens.
Nell’area di intervento si proceduto all’inerbimento utilizzando semi di colutea arborescens raccolti
nella zona del cantiere da diverse piante madri. La procedura adottata è quella della semina a
spaglio che prevede la distribuzione delle germoplasma manualmente, a secco e senza ulteriori
materiali.
Peso semi
RACCOLTI (g)
Peso unitario
seme *(g)
Numero totale
semi
Numero totali
baccelli
89,33 0,015 5955 397
* stabilito dalla media di 10 campioni pesati.
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4. Aspetti Faunistici
Nonostante l’area del Parco sia completamente inserita in un contesto estremamente antropizzato,
ed abbia assunto le caratteristiche tipiche di un'isola biogeografica, ospita una comunità faunistica
molto interessante. Anche la fauna infatti è stata protagonista, come le associazioni vegetali, di
ripetute colonizzazioni a seguito delle cicliche eruzioni del Vesuvio, ma la vicinanza alla fascia
costiera, il fatto di essere l'unico complesso montuoso situato al centro della pianura nolana, le
favorevoli condizioni climatiche e la grande diversità ambientale, hanno contribuito a consentire, in
un territorio di modesta estensione, l’insediarsi di un interessante popolamento faunistico. Tra i
vertebrati sono state accertate 2 specie di anfibi, 8 specie di rettili, 138 specie di uccelli, 29 specie di
mammiferi, mentre tra gli invertebrati si contano 44 specie di lepidotteri diurni, 8 famiglie di
apoidei e formicidi, tutte rappresentate da numerose specie, e molti altri taxa, in parte ancora da
studiare e catalogare, in parte descritti in una recente pubblicazione sulla biodiversità del Parco del
Vesuvio (Picariello, Di Fusco e Fraissinet, 2000).
Gli anfibi presenti sono il Rospo smeraldino (Bufo viridis) e la Rana verde (Rana esculenta); il
primo è piuttosto diffuso nel territorio del Parco alle quote medio-basse, e per favorirne la
riproduzione l'Ente ha predisposto la costruzione di stagni artificiali temporanei, la seconda è invece
molto localizzata, laddove sono presenti pozze o vasche artificiali.
Tra i rettili sono degni di nota il Cervone (Elaphe quatorlineata) ed il Saettone (Elaphe longissima),
entrambi molto rari, mentre la specie più diffusa è il Biacco (Coluber viridiflavus), che frequenta
quasi tutti gli habitat, compresi quelli antropizzati. E’ presente anche la Vipera comune (Vipera
aspis), soprattutto negli ambienti forestali. Molte specie presenti nel passato sono ora scomparse a
causa della urbanizzazione della fascia pedemontana; oggi i mammiferi più comuni nel territorio del
Parco nazionale del Vesuvio sono gli insettivori e i roditori. Tra i primi si segnala il Riccio
(Erinaceus europaeus), presente in tutto il territorio protetto, il Mustiolo (Suncus etruscus), la
Crocidura minore (Crocidura suaveolens), la Talpa romana (Talpa romana),mentre tra i secondi
sono presenti il Ghiro (Glis glis), il Topo quercino (Eliomys quercinus), il Topo selvatico
(Apodemus sylvaticus) ed il Moscardino (Muscardinus avellanarius), soprattutto negli ambienti
boscati del versante sommano. Due le specie di lagomorfi accertate: il Coniglio selvatico
(Oryctolagus cuniculus), protagonista di una notevole espansione demografica, e la Lepre europea
(Lepus europaeus), presente soprattutto alle quote medio-alte con una discreta densità di
popolazione. I predatori sono rappresentati dalla Volpe (Vulpes vulpes), diffusa in tutti gli habitat
del territorio vesuviano, compresi quelli densamente antropizzati, la Faina (Martes foina), anch'essa
presente in tutto il territorio, prediligendo però gli ambienti forestali, e la Donnola (Mustela
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nivalis), comune soprattutto nel versante sommano. La classe degli uccelli rappresenta sicuramente
il taxon più ricco del Parco nazionale del Vesuvio; a parte le specie che nidificano e svernano sul
territorio, il complesso del Somma-Vesuvio, essendo posto lungo le rotte migratorie dell'avifauna
del Paleartico occidentale, ed essendo l’unico rilievo montuoso di una certa importanza all’interno
di una vasta area pianeggiante, riveste una fondamentale importanza ed un riferimento sicuro per
numerosi uccelli migratori. Tra questi vale la pena citare il Falco di palude (Circus aeruginosus), il
Gruccione (Merops apiaster), l'Averla capirossa (Lanius senator). Le specie nidificanti sono 62, un
numero di tutto rispetto considerata la limitata estensione del territorio, costituito tra l’altro in gran
parte di roccia lavica affiorante. Tra le nidificazioni più interessanti si citano quelle della Poiana
(Buteo buteo), del Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus), dello Sparviere (Accipiter nisus), tornato a
nidificare grazie alla politica di conservazione della natura portata avanti dall’Ente Parco nazionale
del Vesuvio sin dalla sua istituzione, del Gheppio ( Falco tinnunculus) e del Pellegrino (Falco
peregrinus).
L’Ente Parco nazionale del Vesuvio nasce con la duplice finalità di preservare e garantire la
naturale evoluzione del patrimonio di biodiversità presente, ed al tempo stesso garantire la fusione
delle due finalità, salvaguardia e sviluppo, passa attraverso la conoscenza e la risoluzione delle
criticità connesse ad entrambe, ed alla mitigazione delle reciproche interferenze tra le comunità
faunistiche e quelle antropiche. La necessità di conciliare le esigenze dei due protagonisti di questo
progetto è dettata anche dalla presenza, in questo territorio, di due aree pSIC ai sensi della Direttiva
92/43/CEE e di un’area ZPS ai sensi della Direttiva 79/409/CEE, che praticamente interessano
l’intera estensione dell’area protetta. Senza voler entrare nel merito di tutte le Direttive ed i
Regolamenti europei che a vario titolo riguardano la protezione della fauna selvatica, ma
limitandoci alle due sole Direttive citate, la cui attuazione consentirà la realizzazione della rete
“NATURA 2000”, (fine ultimo dell’istituzione delle aree protette in Europa), si rilevano all’interno
del Parco numerose specie prioritarie ai sensi delle Direttive Habitat e Uccelli. Sono molte le
problematiche relative agli impatti di alcune specie, soprattutto mammiferi ed uccelli, sulle attività
agricole; per tali specie è necessario individuare le giuste modalità di gestione, che siano
compatibili sia con le finalità di conservazione che con le esigenze delle popolazioni locali. Per esse
andranno approfonditi gli aspetti relativi alla biologia riproduttiva ed agli adattamenti alla presenza
dell’uomo, oltre alle possibili patologie di cui possono essere vettori; soprattutto alcune specie di
uccelli, come ad esempio il Colombo di città, possono essere infatti potenziali veicoli di agenti
patogeni. Necessità fondamentale dunque, per un ottimale raggiungimento delle finalità istitutive
del Parco nazionale del Vesuvio, è l’individuazione ed il monitoraggio delle cosiddette pest species,
o specie problematiche, la cui presenza in contesti antropizzati può determinare interferenza o
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danno alle attività antropiche, o può costituire rischio sanitario per l’uomo o per altre specie, o può
interagire negativamente con le comunità faunistiche presenti, oppure la cui gestione appare
problematica a fini conservazionistici. La scelta delle tecniche di gestione delle specie
problematiche dipenderà dai risultati raggiunti durante le fasi di monitoraggio e di ricerca ottenuti
attraverso l’attuazione di questo progetto e di quello, strettamente integrato, del Monitoraggio della
Biodiversità, oltre che dalle singole specie; incremento dei predatori, tentativi di riequilibrio
ambientale, riduzione delle risorse alimentari, utilizzo di dissuasori, sterilizzazione sono solo alcune
delle tecniche gestionali che saranno individuate nel corso della realizzazione di entrambi i progetti.
Qualunque siano le strategie scelte, resta chiaro che lo scopo finale è una gestione corretta delle
popolazioni faunistiche, e non certo l’eliminazione di specie, effetto non desiderato per ragioni
etiche, ecologiche e legislative. Particolare attenzione andrà posta sul fenomeno del randagismo,
che negli ultimi anni sta assumendo notevole importanza, soprattutto in alcuni comuni del Parco.
Negli ultimi decenni il randagismo e la presenza di cani vaganti ha assunto le caratteristiche di un
rilevante problema sia dal punto di vista ecologico che sanitario. Si tratta di un problema di difficile
soluzione, perché il randagismo canino assume caratteristiche diverse e complesse a seconda del
contesto sociale. Le diverse tipologie di cani vaganti sono infatti estremamente dinamiche, e la loro
consistenza e distribuzione varia in funzione del flusso di soggetti che da padronali non controllati
diventano randagi. Anche l’ambiente è un fattore condizionante il fenomeno del randagismo; la
presenza di discariche abusive, o la presenza di scarti alimentari provenienti dalla ristorazione
collettiva, sono tutti elementi che favoriscono l’incremento e l’organizzazione in branchi dei
randagi. Le problematiche prodotte sono diverse, e vanno dalla possibilità di attacchi all’uomo, ai
rischi sanitari, ai danni economici che i cani possono provocare, all’interferenza con le zoocenosi
presenti. In un Parco nazionale, che ha come principale finalità istitutiva la salvaguardia e
l’incremento della biodiversità, il controllo di questo fenomeno risulta una necessità per ulteriori
due fattori: la lotta alle zoonosi e a malattie trasmissibili ad animali selvatici e/o domestici, e la
prevenzione di eventuali danni e alterazioni alle comunità faunistiche presenti; i cani vaganti sono
infatti spesso responsabili indiretti dell’aumento di popolazioni di animali , a loro volta serbatoi o
vettori di svariate malattie. Il semplice rovesciamento dei contenitori di immondizie e di rottura dei
sacchetti di rifiuti sono azioni che aumentano la disponibilità di risorse trofiche per ratti, topi e
mosche. I dati raccolti evidenziano la presenza di cani randagi in aree particolari:
• Ercolano, nella zona 1 del Parco, nelle vicinanze della Valle del Gigante e nel piazzale di quota
1000.
• Boscotrecase all’interno della Riserva Forestale “Tirone- Alto Vesuvio”.
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• S. Anastasia presso le sorgenti dell'Olivella.
• Pollena Trocchia, a monte dell’area denominata “Il Carcavone”.
• Terzino, nei pressi dell’area di Piana tonda.
Per quanto concerne i randagi presenti nell’area del piazzale di quota 1000 (Comune di Ercolano),
si tratta prevalentemente di soggetti che stazionano in quella località, attratti dalla disponibilità
alimentare dovuta alla presenza massiccia di turisti, spostandosi talora nella vicina Valle del
Gigante. Gli altri soggetti si possono definire vaganti nel territorio del Parco, visto che vivono
costantemente lungo le strade di accesso al Parco, nelle immediate periferie dei comuni.
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5. Progetto: Palificata Semplice Viva e Cordonata Viva
A. Palificata semplice viva
La palificata viva agisce da opera di sostegno di versanti franosi o in erosione superficiale. Consiste
in un manufatto in legname costituito da una struttura a celle, formate da pali in legno disposti
perpendicolarmente, con posa di talee. L’effetto stabilizzante della struttura in legno, una volta
degradata, sarà sostituita dallo sviluppo dell’apparato radicale. Possono essere a parete semplice, a
parete doppia e spondali. L’altezza di una palificata semplice è in genere modesta (1 – 1.5 m); per
altezze maggiori si usano palificate a parete doppia.
Tenuto conto delle modeste dimensioni della scarpata, è stato ritenuto idoneo procedere con la
realizzazione di una palificata semplice viva.
I materiali utilizzati sono stati i seguenti:
- pali in legno di castagno scortecciato (∅ = 14 cm, L = 4 m per i pali longitudinali, L = 1 m
per i pali trasversali)
- barre di ancoraggio in acciaio ad aderenza migliorata di varie lunghezze (∅ = 16 mm)
- talee di Colutea arborescens L.
- piante radicate di Quercus pubescens Wild
- semi di Colutea arborescens L.
Schema di palificata viva a parete singola
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L’opera è stata costruita seguendo diverse fasi:
1) è stato eseguito un piccolo scavo, di profondità pari al diametro di mezzo palo, alla base
della scarpata e parallelamente ad essa, all’interno del quale sono stati posti due pali in legno
di castagno scortecciato. Per unire i due pali, è stato eseguito alle loro estremità un intaglio
(scarpetta) in modo da sovrapporli per circa 25 cm di lunghezza. Sono stati poi quindi forati
col trapano elettrico e giuntati con barre di acciaio. I pali sono stati assicurati al terreno con
barre di lunghezza pari a 1 m (4 per ogni palo).
2) Perpendicolarmente ai primi, sono stati infissi nel terreno vari pali più corti (picchetti). La
distanza tra i picchetti è di circa 1 m.
3) Sui suddetti picchetti sono stati poggiati altri due pali, uniti tra di loro come descritto nel
punto 1). Sono stati quindi infissi nel terreno altri picchetti, sfasandone la posizione rispetto
alla serie sottostante. Per stabilire la posizione più giusta per i picchetti, è stato usato il
seguente accorgimento: ne sono stati piantati due agli estremi, vi è stato poggiato e fissato il
palo e quindi sono stati posti gli altri picchetti in posizione intermedia, in modo da ottenere
il miglio incastro possibile. Questa struttura (pali longitudinali più picchetti) è stata ripetuta
tre volte nella verticale. A chiudere la struttura è stato posto un unico palo. Gli strati di pali
longitudinali sono stati posti via via in posizione più arretrata rispetto alla sottostante, in
modo da conferire al fronte una pendenza di circa 30°, per garantire la migliore crescita
delle piante.
4) Lo spazio tra il versante e la struttura è stato riempito da terreno prelevato in una zona
adiacente.
5) Nei primi due interstizi tra i pali, sono state messe in posto le talee di Colutea arborescens
L., fino ad una profondità di circa 70 - 80 cm in posizione orizzontale. Esse sono lunghe
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circa 1 m e sporgono di circa 25 cm dal fronte della palificata. Nella parte alta sono state
poste delle fascine di Colutea arborescens L. ricoperte successivamente da terreno. Ai lati
della struttura sono state trapiantate piante radicate di Quercus pubescens W. Prelevate da
zone limitrofe.
6) È stata eseguita la semina a spaglio di Colutea arborescens L. su tutta la scarpata.
7) La superficie oggetto dell’intervento è stata infine irrigata.
B. Cordonata viva
L’opera ha il fine di limitare l’erosione dovuta al ruscellamento superficiale, mediante la rottura
della pendenza. Si compone di tre pali di castagno scortecciato, posizionati in modo ortogonale alla
linea di massima pendenza, chiodati a picchetti in castagno bitumato a freddo. A monte dei pali si è
provveduto a trapiantare piante radicate di Quercus pubescens W.
La successione delle lavorazioni è di seguito sintetizzata:
1) Analisi dell’area con identificazione della superficie oggetto del lavoro: versante
tronco-conico con larghezza alla base di circa 4 m e larghezza in superficie di circa 4 m, altezza del
versante di circa 5 m.
2) Definizione della pendenza del versante e valutazione del numero di 2 cordonate.
3) Lo scavo viene realizzato in direzione ortogonale alla linea di massima pendenza del
versante per una profondità di circa 25-30 cm ed una lunghezza di circa 2,3 m (in funzione della
dimensione massima della paleria impiegata e del migliore adattamento all’orografia del versante).
Si procede alla realizzazioni di scavo con trivella a motore e in seguito alla battitura dei picchetti
verticali Fissaggio di 3 pali ai picchetti mediante chiodi da 150 mm (vedi fasi per la realizzazione
della cordonata viva)
4) Messa a dimora delle piante. Utilizzate piante radicate di Quercus Pubescens
(Roverella ) in numero di due per cordonata, una pianta radicata Pinus pinae (Pino
domestico) e due piante di Spartium junceum (Ginestra del Vesuvio), prelevate nelle
zone limitrofe al cantiere.
5) Semina. Si è provveduto alla semina a spaglio di Colutea arborescens (Vesicaria) con
germoplasma raccolta dal selvatico in area limitrofa al cantiere. Si è provveduto quindi alla
pacciamatura con trucioli.
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6. Analisi dei Prezzi L’aspetto sottoposto ad analisi è la semina di Colutea Arborescens effettuata sia sulla cordonata che
sulla palificata viva. Come già evidenziato, il germoplasma è stato reperito in loco, da diverse
piante madri presenti nelle zone limitrofe al cantiere. A seguire si riportano due analisi di prezzo per
l’inerbimento di un mq di superficie: A) con semi raccolti dal selvatico e B) con acquisto di
miscuglio di semi certificati:
A)
TIPO DESCRIZIONE U.M. QUANTITA' PREZZO IMPORTOUNITARIO
MANO D'OPERA
mq 1 0,93€ 0,93€
Operaio livello E- ex comune h 0,1 17,64€ 1,76€ Totale mano d'opera 2,69€
MATERIALI- -€ -€
Totale materiali -€
TOTALE EURO 3,49€
Inerbimento: semina a spaglio.Realizzazione di un inerbimento suuna superficie piana o inclinatamediante la semina a spaglio di unmiscuglio di sementi di specieerbacee selezionate ed idonee alsito in ragione di 40 g/mq, esclusala preparazione del p
Raccolta dal selvatico di bacelli di Colutea Arborescens e successiva separazione dei semi per un totale di g 40
A
10%(A+B+D)
B
3%(A)
0,31€
costi rilevati da prezziario Assoverde 2007 operatori del verde
E UTILE IMPRESA
0,08€
D SPESE GENERALI 15%(A+B)0,40€
C SPESE SICUREZZA
Semina.Raccolta di specie arbustive (Colutea arborescens ) prelevate sia nell'area del cantiere sia in zone
limitrofe, e successiva semina a spaglio, considerata una quantità di 40 g di semi raccolti distribuiti su mq 1 di terreno.
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B)
TIPO DESCRIZIONE U.M. QUANTITA' PREZZO IMPORTOUNITARIO
MANO D'OPERA
mq 1 0,93€ 0,93€ Totale mano d'opera 0,93€
MATERIALIMiscuglio si sementi certificate per laformazione di un tappeto erboso ornamentale rustico con specie persistenti e di rapido sviluppoadatto a diverse situazioni pedo climatiche kg 0,04 5,80€ 0,23€
Totale materiali 0,23€
TOTALE EURO 1,50€
0,03€ C
Semina a spaglio con sementi acquistate, in ragione di g 40 per mq inerbito
Inerbimento: semina a spaglio.Realizzazione di un inerbimento suuna superficie piana o inclinatamediante la semina a spaglio di unmiscuglio di sementi di specieerbacee selezionate ed idonee alsito in ragione di 40 g/mq, esclusala preparazione del p
B
costi rilevati da prezziario Assoverde 2007 operatori del verde
0,17€
E UTILE IMPRESA 10%(A+B+D)0,13€
D SPESE GENERALI 15%(A+B)
3%(A)SPESE SICUREZZA
Semina.
Manodopera e materiali utilizzati
A
Confrontando le due tabelle si evince come la metodologia scelta abbia comportato un aggravio di
costo, comportando una spesa più che doppia rispetto all’acquisto dei semi. C’è da notare che la
raccolta dal selvatico preserva la biodeversità della zona di intervento evitando l’inquinamento di
semi alloctoni, e il maggior uso di manodopera comporta vantaggi per la situazione occupazionale
dell’area parco, rendendo lo stesso fonte di reddito e di benessere per le popolazioni locali.
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7. La sicurezza nei luoghi di lavoro e i dispositivi di protezione individuale : norme generali • Art. 32 della Costituzione : diritto alla salute • Art. 2087 del Codice civile: “L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. NORME SPECIALI • Art. 379 e ss. D. P.R. n. 457/1955 (norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) - È obbligo dei datori di lavoro fornire ai lavoratori “idonei indumenti di protezione”, resistenti ed appropriati ai rischi inerenti alle operazioni eseguite. - E’ obbligo del datore di lavoro controllarne la costante idoneità. • D.P.R. 303/56 (Norme generali per l'igiene e la sicurezza del lavoro) • D. L.gs 277/91(Attuazione delle direttive n. 80/1107/CEE , n. 82/605/CEE, 83/477/CEE, n. 86/188/CEE e n. 88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici, chimici, e biologici durante il lavoro, a norma dell’art. 7 della legge 30 luglio 1990, n.212 • D. L.gs 475/92 (Dispositivi di protezione individuale) • D.lgs. n. 626/94 (Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42/CE, 98/24/CE, 99/38/CE e 99/92/CE, 2001/45/CE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro) Art. 40 (uso dei dispositivi di protezione individuale) “ Si intende per dispositivo di protezione individuale (dpi) qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi specifici suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo. Non sono dispositivi di protezione individuale:a) gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore…” Art. 43 (Obblighi del datore di lavoro) - Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori i dpi conformi ai requisiti previsti dalla legge. - Il datore di lavoro: ) mantiene in efficienza i DPI e ne assicura le condizioni di igiene , mediante la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie” Art. 44 (obblighi dei lavoratori) I lavoratori: - utilizzano i dpi messi loro a disposizione conformemente all’informazione e alla formazione ricevute - hanno cura dei dpi messi loro a disposizione - non vi apportano modifiche di propria iniziativa - al termine dell’utilizzo seguono le procedure aziendali in materia di riconsegna dei dpi - segnalano immediatamente qualsiasi difetto o inconveniente da essi rilevato nei dpi • D.P.R. 459/96 Detto DPR ha recepito in Italia la “Direttiva macchine” (89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE, 93/68/CEE) e stabilisce i requisiti essenziali cui devono rispondere i macchinari per poter circolare sul mercato europeo, in relazione alla sicurezza intrinseca degli stessi ed alla tutela da rischi specifici associati al loro uso. Il
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paragrafo 1.5.9 della Direttiva Macchine così recita: “ La macchina deve essere progettata e costruita in modo tale che i rischi dovuti alle vibrazioni trasmesse dalla macchina siano ridotti al livello minimo, tenuto conto del progresso tecnico e della disponibilità dei mezzi atti a ridurre le vibrazioni, in particolare alla fonte”. •DIRETTIVA 2002/44/CE Questa direttiva obbliga il datore di lavoro a valutare il rischio da vibrazioni presente nell’ambito delle lavorazioni svolte con macchine ed attrezzature nella sua azienda. Nella direttiva è indicato un periodo transitorio di 5 anni a partire dal 6 luglio 2005 nel quale si potranno utilizzare attrezzature di lavoro (messe a disposizione dei lavoratori prima del 6 luglio 2007) le cui caratteristiche tecnico-costruttive non permettano di rispettare i valori limite previsti nella direttiva stessa. Nei luoghi di lavoro è obbligatorio dunque prevedere dei dispositivi di protezione individuali che garantiscano la sicurezza e la salute del lavoratore soggetto a rischi di diversa natura. Per dispositivo di protezione individuale (DPI) si intende qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi presenti nell'attività lavorativa, suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonchè ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo. I DPI devono essere prescritti solo quando non sia possibile attuare misure di prevenzione dei rischi (riduzione dei rischi alla fonte, sostituzione di agenti pericolosi con altri meno pericolosi, utilizzo limitato degli stessi), adottare mezzi di protezione collettiva, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro. Il lavoratore è obbligato a utilizzare correttamente tali dispositivi, ad averne cura e a non apportarvi modifiche, segnalando difetti o inconvenienti specifici. Per alcuni DPI è fatto obbligo di sottoporsi a programmi di formazione e di addestramento. L'art. 42 del D.Lgs. n. 626/94 indica le caratteristiche che devono avere i DPI per poter essere utilizzati:
• devono essere adeguati ai rischi da prevenire e alla loro entità senza comportare di per sé un rischio aggiuntivo
• devono essere rispondenti alle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore • devono essere adattabili all'utilizzatore secondo le sue necessità • devono essere in possesso dei requisiti essenziali intrinseci di sicurezza, cioé essere
conformi alle norme di cui al D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 475 (marcatura CE)
I DPI sono classificati in base alle parti del corpo che devono proteggere (allegato IV del D.Lgs. n. 626/94):
• dispositivi di protezione della testa • dispositivi di protezione dell'udito • dispositivi di protezione degli occhi e del viso • dispositivi di protezione delle vie respiratorie • dispositivi di protezione delle mani e delle braccia • dispositivi di protezione dei piedi e delle gambe • dispositivi di protezione della pelle • dispositivi di protezione del tronco e dell'addome • dispositivi di protezione dell'intero corpo • indumenti di protezione
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7.1 GLI ATTREZZI E I MACCHINARI E UTILIZZATI NEL CANTIERE DIDATTICO DI TERZIGNO RISCHI CHE COMPORTANO E FATTORI DI RISCHIO I tipi di attrezzature e macchinari presenti in cantiere comportano rischi riguardanti sia la salute che la sicurezza del lavoratore. I fattori di rischio del primo tipo sono quelli provocati in cantiere per lo più da agenti fisici come il rumore ( di tipo continuo e impulsivo) e le vibrazioni che col tempo possono provocare malattie professionali. I fattori di rischio del secondo tipo riguardano attrezzature, macchinari, elettricità, procedure di lavoro che potrebbero provocare infortuni lavorativi. Per questo motivo nel cantiere vengono predisposte misure di sicurezza e gli operai vendono dotati di dispositivi di protezione individuale per ridurre quanto più possibile i rischi. - ACCETTA, PICCONI E PALA
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- GENERATORE DI CORRENTE ELETTRICA A BENZINA
- MARTELLI
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- MOTOSEGA - MOTOTRIVELLA
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- MOTOCARRIOLA CINGOLATA TRAPANO ELETTRICO
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I DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE UTILIZZATI NEL CANTIERE DIDATTICO DI TERZIGNO CALZATURE DI SICUREZZA In cantiere tutti sono dotati di scarpe antinfortunistiche che vengono consegnate individualmente al lavoratore. Possono assolvere a varie funzioni. Nel nostro caso servono a prevenire e a ridurre il rischio di cadute, urti, impatti, punture, tagli e abrasioni. CASCO O ELMETTO DI SICUREZZA L’elmetto deve essere consegnato individualmente al lavoratore ed usato ogni qualvolta che si eseguono lavorazioni con pericolo di caduta di materiali ed attrezzature dall’alto in cantiere. Occorre utilizzarlo per ridurre il rischio di urti, colpi, impatti. Il casco, oltre ad assorbire urti e azioni di tipo meccanico, affinché possa essere indossato quotidianamente, deve essere leggero, ben areato, regolabile, non irritante e dotato di regginuca per la stabilità in talune lavorazioni (montaggio ponteggi); deve essere costituito da una calotta a conchiglia, da una bardatura e da una fascia antisudore anteriore. La bardatura deve permettere la regolazione in larghezza. Il suo uso deve essere permettere l’installazione di visiere o cuffie di protezione
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CINTURE DI SICUREZZA, FUNI DI TRATTENUTA, SISTEMI DI ASSORBIMENTO FRENATO DI ENERGIA Si devono utilizzare le cinture di sicurezza con bretelle e fasce gluteali, univocamente ad una idonea fune di trattenuta che limiti la caduta a non più di 1,5 m., e terminare in un gancio di sicurezza del tipo a moschettone. L’uso della fune deve avvenire in concomitanza a dispositivi ad assorbimento di energia (dissipatori) perché anche cadute da altezze modeste possono provocare forze d’arresto elevate. Periodicamente bisogna verificare l’integrità dei componenti e segnalare tempestivamente al responsabile di cantiere eventuali anomalie riscontrate durante l’uso GUANTI I guanti devono proteggere le mani contro uno o più rischi o da prodotti e sostanze nocive per la pelle. In cantiere si utilizzano quelli per uso generale di lavori pesanti (tela rinforzata), come il maneggio del legname, costruzioni delle palificate, etc. che sono resistenti a tagli, abrasioni, strappi, perforazioni, al grasso e all’olio. A seconda della lavorazione o dei materiali si dovrà far ricorso ad un tipo di guanto appropriato. Ad esempio per l’utilizzo in cantiere di motoseghe, mototrivelle, trapani elettrici, devono essere utilizzati guanti antivibrazioni che sono resistenti anche allo assorbimento delle vibrazioni: hanno infatti un’imbottitura adeguata e chiusura di velcro. I guanti sono costantemente tenuti a disposizione e consegnati al lavoratore individualmente sul cantiere.
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CUFFIE In cantiere esistono più tipi di rumori: impulsivo, continuo e discontinuo causati da oggetti come come motosega, mototrivella, trapano elettrico, vengono utilizzate le cuffie. Considerato che il livello di rumore è considerato dannoso oltre gli 85 dB(A) (media giornaliera),si è scelto di utilizzare come DPI le cuffie antirumore.All’operaio viene consegnato individualemente la cuffia e la utilizzerà ogni volta che eseguirà lavorazioni che comportano il rischio rumore INDUMENTI PROTETTIVI In cantiere viene utilizzata, quando si lavora con la motosega e con tutti gli attrezzi che possono provocare tagli e ferite, una tuta speciale UNI-EN 381-5, imbottita di materiale antitaglio.
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VISIERA L’uso della visiera, realizzata in materiale plastico (policarbonato), è obbligatorio ogni qualvolta si eseguano lavorazioni che possono produrre lesioni agli occhi per la proiezione di schegge o corpi estranei. Nel caso del cantiere dove abbiamo lavorato le lesioni potevano essere di tipo meccanico causato da schegge, trucioli, urti accidentali
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SCHEDA Monitoraggio interventi con tecniche d’Ingegneria Naturalistica
Scheda n° 1 data 06/09/2007 compilatore Mariano Cirino località Sentiero n°13 ‘La pineta di Terzigno’ Posizione gps Non rilevata provincia Napoli comune Terzigno Foto a monte Vedi allegato rep 01 Foto a valle Rep 02 Titolo progetto Intervento di consolidamento del
versante sottostante la sede del sentiero Periodo realizzazione lavori 03/09/2007-07/09/2007 altitudine 186 sul s.l.m esposizione Sud-Est Inclinazione versante 45° Precipitazione(annua) Min 700mm med 850mm max1000mmTemperatura medie 25° Tipologia opera Palificata e cordonata Dimensioni della palificata Lunghezza media 8,4 m
Altezza media 2,6m Localizzazione area a rischio frana lento o veloce
Area non a rischio.
Aspetti vegetazionali Pineta Aspetti geologici,geomorfologici ed idrogeologici
Vedi relazione
Specie vegetali impiegate Quercus pubescens , Colutea arborescens
Verifica se l’intervento è coerente con l’ambiente circostante
A cura del verificatore
Idrosemina prevista e realizzata X Obiettivo intervento Stabilizzazione del versante Superficie totale interessata 50 mq
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Tipologia dissesto Erosione – scalzamento del piede del versante
Periodo di messa a dimora Settembre 2007 Percentuale di attecchimento Costo dell’intervento n.d. – corso cantiere Progettazione e direzione lavori Ing.Gino Menegazzi Soggetto realizzatore Ente Parco Nazionale del Vesuvio
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REPORT FOTOGRAFICO
COSTRUZIONE PALIFICATA SEMPLICE VIVA
COSTRUZIONE CORDONATA VIVA
RACCOLTA, MISURAZIONE E MESSA IN OPERA DEL MATERIALE VERDE
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COSTRUZIONE PALIFICATA SEMPLICE VIVA
Fig.1 Versante prima dei lavori
Fig.2 Raccolta e taglio della paleria
Fig.3 Taglio paleria di castagno
Fig.4 Realizzazione della base d’appoggio
Fig.5 Inserimento perni
Fig.6 Inserimento elementi trasversali
Fig.6 Inserimento perni e preparazione fori Fig.7 Inserimento perni
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Fig.8 Inserimento del 2 elemento longitudinale
Fig.9 Completamento del 2 elemento longitud.
Fig.10 Inserimento elementi trasversali
Fig.11 Completamento del 3 elemento longitud
Fig.12 Completamento del 4 elemento longitud
Fig.13 Completamento del 4 elemento longitud
Fig.14 Completamento della palificata semplice
Fig.15 Completamento della palificata semplice
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COSTRUZIONE CORDONATA VIVA
Fig.1 Raccolta del materiale da lavoro
Fig.2 Realizzazione dei fori
Fig.3 Realizzazione dei fori
Fig.4 Realizzazione trincea
Fig.5 Inserimento pali di sostegno verticali
Fig.6 Inserimento pali orizzontali
Fig.7 Giunzione dei due componenti Fig.8 Taglio degli elementi troppo sporgenti
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Fig.9 Cordonata terminata
Fig.10 Cordonate con materiale verde
Fig.11 Cordonate terminate con materiale verde
Fig.10 Cordonate terminate con materiale verde
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RACCOLTA, MISURAZIONE E MESSA IN OPERA DEL MATERIALE VERDE
Fig.1 Raccolta di piante radicate di roverella
Fig.2 Raccolta di piante radicate di roverella
Fig.3 Misurazione piante
Fig.4 Controllo fitosanitario
Fig.5 Raccolta talee di Colutea arborescens
Fig.6 Misurazione talee di Colutea arborescens
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Fig.9 Misurazione piante
Fig.10 Raccolta dei semi
Fig.11 Inserimento talee di Colutea arborescens
Fig.12 Inserimento piante radicate di roverella
Fig.13 Raccolta talee di Colutea arborescens
Fig.14 Inserimento piante radicate di roverella
Fig.7 Raccolta dei semi di Colutea Fig.8 Raccolta dei semi di Colutea
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Fig.17 Semina a spaglio sulla cordonata
Fig.18 Semina a spaglio sulla palificata
Fig.19 Palificata viva
Fig.20 Cordonata viva
Fig.15 Copertura con il terreno Fig.16 Copertura con il terreno
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Gli allievi del Master:
Architetto Claudia Caruso Dott. Geologo Marialuigia De Lucia Dott. Geologo Gian Luca Fusco Dott. Agronomo Emiliano Rago