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L’età del Realismo, del Positivismo e del Decadentismo L’età del Realismo e del Positivismo, Il Naturalismo francese e il Verismo Il Realismo caratterizzò la cultura europea della seconda metà dell’800, allorché si diede importanza esclusivamente ai fatti concreti, abbandonando i problemi metafisici e sentimentali del Romanticismo Il termine realismo indica letteralmente ogni rappresentazione fedele della realtà. Assume diversi nomi: 1. Positivismo: in filosofia. 2. Naturalismo: in letteratura francese. 3. Verismo: in letteratura italiana. Le ragioni storiche della nascita del Realismo vanno ricercate nel fallimento dei moti insurrezionali del 1948, e nella nascita della Seconda Rivoluzione Industriale caratterizzata da numerose invenzioni. Tutto questo portò ad avere più fiducia, più speranza ed ottimismo verso il futuro e nei confronti della scienza. Il Realismo è anche il periodo di massima affermazione della borghesia, nasce nell’uomo la convinzione sicura di un progresso, in quanto migliorano le condizioni di vita, e aumenta l’età della vita media. Nasce inoltre la grande massa operaia, che vive e lavora in condizioni estreme (periodo di scioperi e rivolte). Dalla nuova corrente nasce una nuova filosofia, il Positivismo, così chiamata perché lo studio dell’uomo si fondava sul dato positivo, ovvero tangibile della realtà fenomenica. Con questi termini potrebbe sembrare simile all’Illuminismo, ma in realtà è molto differente: l’Illuminismo era mosso da principi di uguaglianza, libertà e fraternità, e vedeva la natura e l’uomo come soggetti statici sottoposti a leggi fisico- matematiche. Il Naturalismo è una corrente letteraria francese che si sviluppa in questi anni e che ha i suoi massimi rappresentanti nei fratelli Goncourt, in Emile Zola e in Guy de Maupassant. Gli scrittori naturalisti applicano al romanzo i principi del Positivismo: il romanzo deve essere un documento oggettivo della realtà. Il romanziere perciò deve rappresentare con rigore scientifico tutte le classi sociali, anche quelle più umili e tutti gli aspetti dell'esperienza, anche quelli più penosi e sgradevoli; la narrazione deve essere condotta in modo distaccato e descrivere il reale con la maggiore fedeltà possibile. Il Verismo è un movimento letterario nato all'incirca fra il 1875 e il 1895 ad opera di Giovanni Verga e Luigi Capuana con la collaborazione di altri scrittori.

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L’età del Realismo, del Positivismo e del Decadentismo

L’età del Realismo e del Positivismo, Il Naturalismo francese e il Verismo

Il Realismo caratterizzò la cultura europea della seconda metà dell’800, allorché si

diede importanza esclusivamente ai fatti concreti, abbandonando i problemi

metafisici e sentimentali del Romanticismo Il termine realismo indica letteralmente

ogni rappresentazione fedele della realtà.

Assume diversi nomi:

1. Positivismo: in filosofia.

2. Naturalismo: in letteratura francese.

3. Verismo: in letteratura italiana.

Le ragioni storiche della nascita del Realismo vanno ricercate nel fallimento dei moti

insurrezionali del 1948, e nella nascita della Seconda Rivoluzione Industriale

caratterizzata da numerose invenzioni. Tutto questo portò ad avere più fiducia, più

speranza ed ottimismo verso il futuro e nei confronti della scienza.

Il Realismo è anche il periodo di massima affermazione della borghesia, nasce

nell’uomo la convinzione sicura di un progresso, in quanto migliorano le condizioni

di vita, e aumenta l’età della vita media.

Nasce inoltre la grande massa operaia, che vive e lavora in condizioni estreme

(periodo di scioperi e rivolte).

Dalla nuova corrente nasce una nuova filosofia, il Positivismo, così chiamata perché

lo studio dell’uomo si fondava sul dato positivo, ovvero tangibile della realtà

fenomenica. Con questi termini potrebbe sembrare simile all’Illuminismo, ma in

realtà è molto differente: l’Illuminismo era mosso da principi di uguaglianza, libertà e

fraternità, e vedeva la natura e l’uomo come soggetti statici sottoposti a leggi fisico-

matematiche.

Il Naturalismo è una corrente letteraria francese che si sviluppa in questi anni e che

ha i suoi massimi rappresentanti nei fratelli Goncourt, in Emile Zola e in Guy de

Maupassant. Gli scrittori naturalisti applicano al romanzo i principi del Positivismo:

il romanzo deve essere un documento oggettivo della realtà. Il romanziere perciò

deve rappresentare con rigore scientifico tutte le classi sociali, anche quelle più umili

e tutti gli aspetti dell'esperienza, anche quelli più penosi e sgradevoli; la narrazione

deve essere condotta in modo distaccato e descrivere il reale con la maggiore fedeltà

possibile.

Il Verismo è un movimento letterario nato all'incirca fra il 1875 e il 1895 ad opera di

Giovanni Verga e Luigi Capuana con la collaborazione di altri scrittori.

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Il verismo nasce sotto influenza del clima positivista, quell'assoluta fiducia nella

scienza, nel metodo sperimentale e negli strumenti infallibili della ricerca che si

sviluppa e prospera dal 1830 fino alla fine del XIX secolo. Inoltre, il verismo si ispira

in maniera evidente al naturalismo, un movimento letterario diffuso in Francia a metà

ottocento. Per gli scrittori naturalisti la letteratura deve fotografare oggettivamente la

realtà sociale e umana, rappresentandone rigorosamente le classi, comprese quelle più

umili, in ogni aspetto anche sgradevole; gli autori devono comportarsi come gli

scienziati analizzando gli aspetti concreti della vita.

I due più grandi narratori dell’Ottocento sono Manzoni e Verga, vissuto l’uno nella

età romantica , l’altro negli anni vicini all’unità d’Italia.

Senza Manzoni non ci sarebbe stato il romanzo in Italia; ma senza Verga nel nostro

paese non si sarebbe sviluppato il romanzo moderno. Manzoni ricorre ancora al

narratore onnisciente, conosce passato presente e futuro dei personaggi. Nel Verga il

punto di vista narrativo coincide rigorosamente con quello dei personaggi. E’ questa

la rivoluzione stilistica di Verga.

Verga nasce a Catania, nel 1840. Le sue opere più importanti sono: Nedda, Rosso

Malpelo ( primo racconto naturalista o verista dell’autore). Nel 1880 escono i

racconti di Vita dei campi, poco dopo I Malavoglia, Novelle rusticane e nel 1889 la

seconda edizione di Mastro-don Gesualdo. L’esclusione della soggettività

dell’autore implica l’impersonalità . Scrive il Ciclo dei Vinti. Con il termine Ciclo

dei Vinti viene indicato l'insieme dei romanzi di cui avrebbe dovuto comporsi un

impegnativo progetto letterario dello scrittore. A costituire il corpus di tale ciclo

avrebbe dovuto essere un gruppo di cinque romanzi a definizione tematica: I

Malavoglia rappresenta la lotta per la sopravvivenza; Mastro-don Gesualdo

rappresenta l'ambizione di scalare la gerarchia sociale; La duchessa di Leyra (che

lascia a metà, oggi si trova solo una piccola bozza): rappresenta l'ambizione

aristocratica; L'onorevole Scipioni: rappresenta l'ambizione politica; L'uomo di lusso:

rappresenta l'ambizione artistica. L'intera serie, secondo il progetto originario dello

scrittore, avrebbe dovuto avere come comune denominatore un tema comune e

universale, quello dell'indiscussa lotta dell'uomo per l'esistenza, per il progresso e la

lussuria. L'opera completa rimarrà incompiuta in quanto La Duchessa di Leyra

rimane solo abbozzato, mentre gli ultimi due romanzi previsti del Ciclo, L'Onorevole

Scipioni e L'uomo di lusso, non verranno neppure incominciati.

Decadentismo e simbolismo Non si tratta di due movimenti diversi, ma di due fasi successive dello stesso

movimento. In realtà, nella Parigi degli ultimi decenni dell’Ottocento, c’erano vari

gruppi indicati collettivamente come “decadenti”: uno di questi era il “Parnasse

contemporein”. I poeti del Parnasse (fra i quali ricordiamo Mallarmé), coltivano un

ideale di poesia emotivamente impassibile e formalmente impeccabile, richiamandosi

agli esempi del classicismo cinquecentesco e seicentesco e a poeti tardoromantici

quali Baudelaire e Gauthier. Nel 1876 questo movimento rifiutò di pubblicare “Il

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pomeriggio di un fauno” di Mallarmé. Questo fatto, e la conseguente pubblicazione

del poemetto a spese dell’autore, segnarono l’inizio del simbolismo.

Non c’è una differenza sostanziale a livello estetico fra decadentismo e simbolismo;

il decadentismo, partendo dalla volontà di cogliere i segni della raffinatezza e della

eleganza intellettuale nelle epoche di “decadenza”, coltiva la predilezione per le

esperienze rare, artificiali, “proibite”, evoca un Oriente misterioso e sensuale,

disprezza le idee umanitarie e socialiste, frutto del positivismo borghese, esalta tutto

ciò che è irrazionale, occulto, mistico o, all’opposto, legato al mondo infernale dei

bassifondi, manifesta la consapevolezza dell’appartenenza ad una élite al di sopra

della mischia.

Nei simbolisti il simbolo diventa la regola del fare poesia, la base del procedimento

poetico; il poeta usa come mezzo privilegiato le metafore e le similitudini; la poesia

diventa un prodotto destinato soprattutto ai poeti, il poeta-scrittore parla a un poeta-

lettore. Il Decadentismo italiano ha i suoi massimi rappresentanti più significativi in

Pascoli e d’Annunzio.

Giovanni Pascoli nacque nel 1855, la sua vita fu presto segnata da una serie di

tragedie: l’assassinio del padre, la morte della madre e di tre fratelli. Frequentò il

collegio e si formò quella cultura classica che gli consentì di coltivare per tutta la vita

la composizione di poesie latine. Iniziò presto la carriera di professore e chiamò a

vivere con sé le sorelle verso le quali nutriva un forte attaccamento. Risalgono a

questi anni le sue prime poesie che gli favorirono notorietà, ricevette così l’incarico

di professore universitario. Morì di cancro nel 1912.

Pascoli espose la sua poetica in un trattato intitolato “Il fanciullo”: secondo il poeta

dentro ogni uomo è presente un fanciullo che, nonostante il passare degli anni,

continua a sognare, ad avere paura del buio e a guardare la vita con innocenza e

meraviglia. Il vero poeta è colui il quale riesce ad esternare questa voce fanciullesca e

“mostrarla” agli uomini, ispirando, con la propria poesia, sentimenti e valori positivi.

Nel 1891 esce la prima edizione di Myricae (la definitiva è del 1900). Nel 1897 esce

la prima edizione dei Poemetti mentre nel 1903, la prima edizione dei Canti di

Castelvecchio; nel 1904 escono i Poemi conviviali.

Pascoli interpretò la direzione più "tranquilla" del movimento decadentista. Infatti

molte delle sue poesie prendono spunto dalla "piccole cose" della vita umile e

comune, una vita avvolta nel mistero e nella sofferenza. Per il Pascoli comunque la

vita non è un dramma, ma piuttosto una ricerca del doppio significato delle piccole

cose, un significato che lo può scoprire solo un poeta, che, con la sensibilità e lo

stupore di un fanciullino che scopre per la prima volta il mondo, riesce ad intuire. Il

linguaggio è molto veloce, espressivo, con ritmi cadenza che danno alla poesia un

tono musicale. Il linguaggio è piuttosto ridotto all'essenziale. Il lessico è un'alternanza

di parole dotte a parole comuni, denotando però una profonda conoscenza in ambito

botanico: infatti quando tratta di alberi e piante (ma anche di animali), chiama per il

proprio nome specifico il soggetto in questione. Ma soprattutto Pascoli cerca di

evidenziare il doppio significato delle cose, la loro anima, adottando un linguaggio

ricco di allusioni e analogie. Cura, inoltre, molto l'aspetto fonico, anche questo

presente su due livelli: il primo livello si riferisce a quello diretto che si percepisce

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leggendo la poesia; il secondo, più profondo, lo si sente immergendosi nella poesia e

cogliendone ogni suono come se fosse reale, riuscendo così a sentirsi in mezzo al

contesto della poesia. Quindi ogni parola assume un significato fonosimbolico. Le

tematiche assunte dal Pascoli sono quelle della natura e delle piccole cose.

Myricae, questo nome, preso dalla 4° bucolica (componimento poetico spesso in

forma di dialogo) di Virgilio è una raccolta caratterizza dalla presenza di argomenti

semplici e modesti, che spesso ricadono sul tema della famiglia e della vita campestre

infatti nelle opere del Pascoli il paesaggio assume un forte significato, evidenziando

anche l'animo dello scrittore stesso. Le due poesie certamente più importanti di

questa raccolta sono "X agosto" e "Lavandare". Tra le altre opere di Pascoli

riordiamo: Temporale, Novembre, l’Assiuolo e Il gelsomino notturno.

Gabriele D’Annunzio è considerato l’esponente più emblematico del Decadentismo

italiano e l’analisi della sua personalità riguarda, oltre che la storia della letteratura,

l’intera storia della cultura di massa, della politica, del costume e della società

italiana tra l'Ottocento ed il Novecento. Per un lungo periodo, gli stereotipi da lui

creati hanno rappresentato, infatti un modello imitato in ogni campo della vita

nazionale. In D’Annunzio, vita e letteratura si intersecano e si confondono, creando

una figura variegata e ricca di sfumature contraddittorie. E' sempre rimasta costante

in lui l'attitudine a trasformare se stesso in personaggio e a far coincidere l’arte con la

realtà. L’autore ha voluto e saputo costruire un vero e proprio modello di vita e ha

aperto la sua esistenza alle esperienze più svariate e insolite, costruendo

sapientemente un’immagine carismatica di sé, fondata sul prezioso, l’eccentrico,

l’inimitabile. In tal modo egli ha rappresentato un punto di riferimento per ampi strati

della società, rispondendo alle loro esigenze e appagando le loro inquietudini.

D’Annunzio proponeva un’ideologia fondata sulla trasgressione delle regole e su una

illimitata affermazione di sé e suggeriva un tipo di comportamento privo di freni

morali, percorso da un’accesa componente di piacere estetico, di sensualità e di

erotismo. Questo comportamento potrebbe sembrare in contraddizione con la cultura

decadente, che suggeriva un totale disprezzo ed atteggiamento di superiorità nei

confronti della massa, con la conseguente emarginazione dalla società; in realtà anche

D’Annunzio, proprio a causa del suo ruolo di guida, si poneva al di sopra di essa,

poiché la condizione di guida, implica di per sé una certa superiorità. Gabriele

D’Annunzio nasce nel 1863, esordisce con la raccolta di poesie Primo vere del 1879,

nel 1882 pubblica Canto nuovo e Terra vergine. Nel 1889 pubblica il romanzo Il

Piacere, nel 1893 pubblica il Poema paradisiaco e nel 1903 i primi tre libri delle

Laudi: Maia, Elettra e l’Alcyone. Tra le poesie più importanti ricordiamo La pioggia

nel pineto.

La letteratura nel primo novecento

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All'inizio del secolo esplodono a livello europeo le cosiddette avanguardie,

movimenti artistici che intendono rompere definitivamente i ponti con le forme più

tradizionali della letteratura. Tra i maggiori movimenti d'avanguardia, sia in campo

artistico che letterario abbiamo il dadaismo; la pittura del Cubismo; l'espressionismo,

che tendeva a far interagire codici linguistici e stilistici diversi tra loro; il futurismo,

la prima e più consapevole avanguardia letteraria in Italia.

Luigi Pirandello nasce ad Agrigento nel 1867. E’ stato un drammaturgo, scrittore e poeta, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Per la sua produzione, le tematiche affrontate e l'innovazione del racconto teatrale è considerato tra i maggiori drammaturghi del XX secolo. Tra i suoi lavori spiccano diverse novelle e racconti brevi in lingua italiana e siciliana. Gli elementi fondamentali della poetica pirandelliana sono: la realtà come caos: per Pirandello non esiste una realtà oggettiva, organizzata e conoscibile attraverso la scienza. La realtà è dominata dal caos, non è regolata da leggi, è soggettiva, cioè cambia a secondo di chi la guarda. Pirandello pur partendo dai modelli veristi (Verga e Capuana) poi li supera perché se non esiste una realtà oggettiva, non può esistere neppure uno scrittore che la descrive oggettivamente (come pretendevano di fare i veristi). La realtà è inconoscibile. L’Io frantumato: non solo l’uomo non può conoscere la realtà, ma non conosce veramente neppure se stesso. Freud ha svelato l’esistenza dell’inconscio (luogo degli istinti profondi, delle pulsioni inconfessabili), ha dimostrato che nell’uomo convivono più personalità. Pensiamo di sapere chi siamo (uno), ma gli altri ci vedono diversamente (centomila), per cui alla fine non abbiamo un’identità autentica (nessuno). Tutto ciò può portare alla follia come accade al protagonista di Uno, nessuno e centomila. Per Pirandello non esiste una realtà oggettiva. Ogni uomo ha una sua visione personale, soggettiva della realtà, ha una fede, un’ideologia politica, delle convinzioni. Ognuno di noi, dunque, ha la sua verità, il suo punto di vista sulla realtà, quindi, ognuno è chiuso nel proprio mondo con le proprie opinioni e non riesce a entrare in sintonia con gli altri. Ogni uomo finge di “comunicare”, ma in realtà i rapporti tra gli uomini (anche all’interno della famiglia) sono caratterizzati da ipocrisia e falsità. Tutto ciò accresce la solitudine di ciascuno. Le maschere. Gli uomini quindi per vivere nella società devono indossare delle maschere, interpretare dei ruoli. Le maschere sono delle “prigioni”, a volte soffocanti, e la vita appare come una trappola” senza via d’uscita. Tuttavia è impossibile strapparsi la maschera, significa rimanere escluso per sempre dalla vita (come accade nel Fu Mattia Pascal), oppure abbandonarsi alla follia. Il folle è libero, ma è condannato all’esclusione dalla società. La poetica dell’umorismo: Se l’io è frantumato e la realtà è inconoscibile, non è possibile nessun tipo di rappresentazione oggettiva. L’unica chiave per interpretare la realtà è l’Umorismo che non va confuso con la comicità: comicità è “avvertimento del contrario”, cioè rido dinanzi ad una situazione diversa da come dovrebbe essere umorismo è “sentimento del contrario”: cioè rifletto su quella situazione strana e grottesca e il mio riso si trasforma in un “sorriso amaro”

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pieno di malinconia, scopro il dramma che si nasconde dietro quel fatto ridicolo. Insomma l’umorismo ci fa scoprire il dramma che si nasconde dietro ogni situazione apparentemente ridicola o contraddittoria. Quindi l’umorismo nasce dalla riflessione. Le opere più importanti scritte da Pirandello sono: Il fu Mattia Pascal, I vecchi e i giovani, Così è (se vi pare), Novelle per un anno, Uno , nessuno e centomila, La differenza fra umorismo e comicità, l’esempio della vecchia

imbellettata.

Italo Svevo nasce a Trieste nel 1861 da una famiglia benestante ed ebrea. E’ passato

alla storia nell’ambito della letteratura italiana per il suo enorme contributo alla

nascita del romanzo contemporaneo del Novecento nella sua accezione più attuale di

opera in cui si parla dei conflitti dell’uomo moderno, di tutte le sue ansie e delle

contraddizioni. Il tema centrale dei romanzi di Italo Svevo è l’approfondimento

psicologico dei personaggi, lo scavare nella loro personalità in maniera quasi

morbosa andando a scrutarne tutte le pieghe e cogliendone le sfumature più confuse.

Attorno ad essi, poi, l’autore crea città e ambienti che fanno da cornice e parlando di

realtà tristi e opache. Italo Svevo ha scritto non solo romanzi ma anche racconti,

opere teatrali e saggi. L’opera per cui è senz’altro più conosciuto è “La coscienza di

Zeno” e una delle sue celebri frasi è «La vita non è né brutta né bella, ma è

originale!». Il linguaggio dell’autore è amaro, ironico, scruta nella coscienza e tira

fuori le debolezze e le miserie umane. Cosa restituisce al lettore? Tristezza, tanta, e

un’amorevole rassegnazione rispetto alla condizione umana e al dramma esistenziale

dell’uomo moderno. Sono molti i temi e le immagini evocati da Italo Svevo, l’inetto:

colui che meglio rappresenta l’uomo moderno, l’antieroe che vive la sua grigia vita

ordinaria aspirando a qualcosa di più ma non avendo la volontà necessaria per

raggiungerlo. Egli cade preda dei propri limiti, della propria inadeguatezza e della

paura. Questi antieroi sono l’opposto dell’eroe di D’Annunzio. La malattia: temi

ricorrenti sono la malattia in contrasto con la salute, la medicina e il rapporto tra

medico e paziente. La stessa “Coscienza di Zeno” si struttura come un diario di Zeno

scritto per il suo medico. La psicoanalisi: grazie all’approfondito studio di Freud, i

personaggi di Svevo si auto-analizzare e fanno lo stesso col proprio modo di

rapportarsi al mondo esterno, col senso di inadeguatezza e coi propri traumi. Proprio

nel periodo tardo della vita si concentrano tutte le contraddizioni che fanno parte

dell’esistenza di ognuno di noi. La vecchiaia: contrapposta alla giovinezza, la

vecchiaia è difficile da vivere in rapporto alla gioventù, con i ricordi e col presente.

L’ironia: non manca mai nei testi di Italo Svevo, anche quando gli argomenti

affrontati sono seri. L’ironia è rivolta prima di tutto verso l’autore e i suoi discorsi,

poi ai personaggi e alle loro storie. Le opere che in merito vanno ricordate sono: Una

vita, Senilità, La coscienza di Zeno.

La poesia nelle età delle avanguardie

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Nei primi anni del Novecento, opposta a quella dei crepuscolari fu la voce dei

futuristi. Mentre i primi si ripiegavano su se stessi e con linguaggio prosastico e

dimesso, invocavano un ritorno ai buoni sentimenti del passato, i secondi reagivano

alla caduta di ideali della loro epoca proponendo una fiducia fermissima nel futuro.

Fondatore del movimento futurista è Filippo Tommaso Marinetti che a Parigi nel

1909 pubblica il primo Manifesto Futurista. In esso si proclama la fede nel futuro e

nella civiltà delle macchine, si affermano gli ideali della forza, del movimento, della

vitalità, del dinamismo e dello slancio e si spronano i letterati a comporre opere

nuove, ispirate all'ottimismo e ad una gioia di vivere aggressiva e prepotente. Si

auspica inoltre la nascita di una letteratura rivoluzionaria, liberata da tutte le regole,

anche quelle della grammatica dell'ortografia e della punteggiatura. I futuristi

sperimentano nuove forme di scrittura per dar vita ad una poesia tutta movimento e

libertà, negano la sintassi tradizionale, modificano le parole, le dispongono sulla

pagina in modo da suggerire l'immagine che descrivono. La loro necessità di liberarsi

del passato e il loro desiderio di incendiare musei e biblioteche che lo proteggono,

vengono proclamate con enfasi e violenza: dall'esaltazione del movimento si passa

all'esaltazione euforica della guerra, vista come espressione ammirabile di uomini

forti e virili. I futuristi sostengono la necessità dell'intervento nella prima guerra

mondiale e in seguito aderiscono all'impresa di Fiume e ai primi sviluppi del

Fascismo. Fra i poeti che partecipano all'esperienza futurista, oltre che a Marinetti, si

ricordano Aldo Palazzeschi.

La poesia dei Crepuscolari nel 1910 appare sul quotidiano La Stampa una

recensione del critico Giuseppe Antonio Borgese alle liriche di Marino Moretti, e

altri autori , dal titolo "Poesia crepuscolare", e così venne usato per la prima volta il

termine "crepuscolare" per indicare una categoria letteraria. La metafora del

crepuscolo voleva indicare una situazione di spegnimento, dove predominavano i toni

tenui e smorzati, di quei poeti che non avevano emozioni particolari da cantare, se

non la vaga malinconia, come scrive appunto il Borgese, "di non aver nulla da dire e

da fare". Il termine "crepuscolare" cominciò così ad essere usato dalla critica per

delineare quel gruppo di poeti che, pur non costituendo una vera scuola, si trovavano

concordi nelle scelte tematiche e linguistiche e che, soprattutto, rifiutavano qualsiasi

forma di poesia eroica o sublime. I crepuscolari tendono a ridurre la poesia a prosa e

cercano un verso che, pur mantenendo il ritmo poetico, rompa con la metrica

tradizionale e rimanga nell'ambito della prosa. Questo desiderio di un linguaggio

prosastico e privo di ogni forma aulica e classicistica conduce alla piena affermazione

del verso libero.

Ermetismo

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Non si può conoscere davvero la poesia del Novecento senza sapere cos'è

l'Ermetismo, una corrente che ha influito profondamente sulla letteratura italiana.

Nato tra gli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento, nel vivace ambiente culturale

fiorentino, l’Ermetismo può essere considerato, almeno all’inizio, una corrente

letteraria piuttosto che una scuola, un atteggiamento di alcuni autori nei confronti

della poesia, delle sue possibilità espressive, dei suoi temi e dei suoi stili.

Un primo connotato di questo movimento è quello di essere una forma di reazione al

dominio culturale fascista e agli anni del Ventennio: estranei e disgustati dalla

propaganda del regime, alcuni intellettuali, gravitanti intorno alla rivista «Solaria»,

scelsero una forma d’arte non compromessa, che ignorasse il regime stesso,

ignorando la Storia.

Il termine “Ermetismo” deriva da un saggio del 1936, dal titolo “Poesia ermetica”,

dove l’autore, il critico, letterario Francesco Flora, lo utilizzò, con chiaro riferimento

alla figura mitica di Ermete Trismegisto, per indicare una poesia oscura e complessa,

che, con chiara ripresa dei canoni del decadentismo francese, e in particolare di

Mallarmé, privilegiava l’analogia e altre figure retoriche di difficile interpretazione,

era connotata da una forte componente simbolica ed esprimeva una condizione

storica ed esistenziale segnata dall’angoscia e dalle difficoltà di cui l’atmosfera

soffocante del regime era la causa principale. Gli ermetici puntano sull’essenzialità

della parola, posta in stretta simbiosi con il gioco analogico; tendono a realizzare

un’espressione raggrumata che dia luogo a folgorazioni liriche, capaci di esprimere

l’inesprimibile, portando alla luce, attraverso frammenti, indizi, corrispondenze, la

sostanza segreta del reale.

Proprio per questo è privilegiata l’analogia; assieme all’analogia l’altra figura che

maggiormente contribuisce a spiegare il procedimento stilistico dell’Ermetismo è la

sinestesia, con cui sensazioni di diversa origine sensoriale e immagini tra loro lontane

sono fuse e collegate.

Il rifiuto di esperienze contemporanee o appena precedenti è evidente anche nei

contenuti refrattari a fiducie ottimistiche e a mitologie consolatorie.

Il rifiuto dei modelli espressivi tradizionali va, comunque, sempre inteso come una

scelta etica prima che stilistica: non ci sono più certezze da affermare, da gridare con

un canto spiegato, resta solo una sensazione di deserto e di naufragio.

In modo simile, privilegiare il valore noumenico della parola, la sua perfezione

geometrica, una rigorosa autocoscienza del poeta, scegliere di riprendere il

frammentismo vociano e richiamarsi alla pura letteratura, non sono solo tratti comuni

dell’esperienza creativa ma una soluzione etica al problema che gli Ermetici si

trovano di fronte: isolandosi nella difficile distillazione della parola ci si salva dalla

contaminazione con la retorica fascista . È però nella produzione poetica che l’Ermetismo trova la sua espressione naturale:

nei temi della solitudine esistenziale, della ricerca del valore della parola essenziale e

dei rapporti analogici, presenti nella poesia nuova di Giuseppe Ungaretti e, con

soluzioni diverse, di Eugenio Montale e di Salvatore Quasimodo.

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Giuseppe Ungaretti nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto. Vive a Parigi poi a

Milano. Nel 1915 combatte sul Carso come soldato semplice. Nel 1916 esce Il porto

sepolto e nel 1919 Allegria di naufragi che raccoglie anche le poesie del Porto

sepolto. Nel 1931 il titolo verrà cambiato in Allegria. Nel 1947 pubblica una raccolta

di poesie intitolata Il dolore dedicata al figlioletto morto. Nel 1933 pubblica

Sentimento del tempo. Per quanto riguarda Allegria che racchiude dei testi poetici,

scritti tra il 1914 e il 1919, esprime soprattutto i sentimenti nati dall'esperienza della

Prima guerra mondiale, come dolore ma anche come scoperta dei valori più autentici

di fratellanza ed umanità. Il titolo porta all'idea di un'esultanza che si presenta nei

momenti più terribili del conflitto contro la morte ma che incitano il poeta a

continuare il viaggio con maggiore ottimismo. La poesia del Sentimento del tempo

vuole un ritorno all’ordine, allontanamento del vissuto e ricerca di una poesia pura,

stilizzata, meno originale, più classica, ricca di preziosismi e sublime. Fanno parte di

Allegria la poesia I Fiumi, San Martino del Carso, Natale, In memoria, Veglia,

Mattina, Soldati. Mentre di Sentimento del tempo fanno parte La madre e Caino.

Salvatore Quasimodo nasce a Modica nel 1901, legato prima (sino a Ed è subito

sera, 1942) al clima della letteratura ermetica degli anni Trenta e poi a quello

dell’impegno neorealistico fra il 1943 e il 1956. Nel 1932 esce Oboe sommerso. Nel

1949 La vita non è un sogno, nel 1956 Il falso e vero verde. Quasimodo resta fedele a

una concezione della poesia come momento di sintesi delle contraddizioni personali

e storiche , come punto di vista superiore e privilegiato. A partire dalla raccolta

Giorno dopo giorno del 1947, si nota il passaggio a una poesia ideologica e politica,

ma resta costate lo sforzo di usare un linguaggio classico e letterario. Quasimodo

intende la poesia come denuncia sociale, come distacco e come innocenza. La poesia

si colloca in una dimensione assoluta e la parola si sottrae alla storia e alla società.

Tra le poesie che fanno parte della raccolta Ed è subito sera ricordiamo: Ride la

ragazza, nera sugli aranci, Davanti al simulacro d’ Ilaria del Carretto; mentre della

raccolta Giorno dopo giorno ricordiamo: Milano agosto 1943.

Eugenio Montale è fra i poeti più importanti del secolo, fra i più importanti della

letteratura europea del Novecento. Nasce nel 1896 a Genova. Nel 1916 scrive la sua

prima poesia, Meriggiare pallido e assorto. Nel 1918 è in guerra. Nel 1912 scrive

Ossi di seppia. Nel 1933 conosce Irma Brandeis (Clizia), a cui dedicherà Le

occasioni. Va a vivere con Drusilla Tanzi a cui dedica il secondo libro de Le

Occasioni. Nel 1943 esce Finisterre poi incluso in La bufera e altro. Nel 1971 esce

Satura. Nel 1973 Diario. Montale pur avvicinandosi, non si è identificato né

nell’Ermetismo, né nel Neorealismo, né nella Neoavanguardia, anzi ha preso

posizioni contro tutte queste tendenze. Concilia modernità e classicismo, questa è la

sua più grande originalità. Al centro della sua riflessione continua ad esserci la

ricerca del destino dell’uomo moderno nella società di massa dapprima cercando una

via di scampo, una via di salvezza, poi denunciando questa ricerca ironicamente.

Negli Ossi di seppia abbiamo la Liguria e il paesaggio marino.

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Le occasioni sono il periodo fiorentino. Bufera e altro coincidono con il lavoro

giornalistico a Milano. Le poesie di Satura invece coincidono con la nomina a

senatore a vita. Nel 1975 Montale riceve il Premio Nobel per la letteratura. In Ossi di

seppia troviamo: Spesso il male di vivere ho incontrato, Non chiederci la parola,

Incontro, Corno inglese; nelle Occasioni: La casa dei doganieri e Nuove stanze. In

Satura: Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale. In Bufera e altro: A

mia madre e da <<Silvae>>: La primavera hitleriana e L’anguilla.

Salvatore Quasimodo

Salvatore Quasimodo nasce a Modica, in provincia di Ragusa il 20 agosto 1901 e

trascorre gli anni dell'infanzia in piccoli paesi della Sicilia seguendo il padre Gaetano,

capostazione delle Ferrovie dello Stato. Dopo il tremendo terremoto del 1908 si

trasferisce a Messina dove il padre è chiamato per riorganizzare la locale stazione:

inizialmente sono i vagoni ferroviari la loro dimora, come accaduto per molti altri

superstiti.

Questa esperienza di dolore tragica e precoce lascerà un profondo segno nell'animo

del poeta.

Nella città dello Stretto Salvatore Quasimodo compie gli studi fino al conseguimento

del diploma nel 1919 presso l'Istituto Tecnico "A. M. Jaci", sezione fisico-

matematica. A quell' epoca risale un evento di fondamentale importanza per la sua

formazione umana e artistica: l'inizio del sodalizio con Salvatore Pugliatti e Giorgio

La Pira, che durerà poi tutta la vita.

Negli anni messinesi Quasimodo comincia a scrivere versi che pubblica su riviste

simboliste locali.

Conseguito il diploma, appena diciottenne, Quasimodo lascia la Sicilia con cui

manterrà un legame edipico, e si stabilisce a Roma.

In questo periodo continua a scrivere versi e studia il latino e il greco presso

monsignor Rampolla del Tindaro, nello stato del Vaticano.

Nel 1926 viene assunto al Ministero dei Lavori Pubblici e assegnato al Genio Civile

di Reggio Calabria. L'attività di geometra, per lui faticosa e del tutto estranea ai suoi

interessi letterari, sembra però allontanarlo sempre più dalla poesia e, forse per la

prima volta, deve considerare naufragate per sempre le proprie ambizioni poetiche.

Tuttavia il riavvicinamento alla Sicilia, i contatti ripresi con gli amici messinesi della

prima giovinezza e soprattutto il rinvigorirsi dell'amicizia con Salvatore Pugliatti,

insigne giurista e fine intenditore di poesia, volgono a riaccendere la volontà sopita e

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a far sì che Quasimodo riprenda i versi del decennio romano, per rivederli e

aggiungerne di nuovi.

Nasce così nel contesto messinese il primo nucleo di "Acque e terre". Nel 1929 si

reca a Firenze dove il cognato Elio Vittorini lo introduce nell'ambiente di "Solaria",

facendogli conoscere i suoi amici letterati: da Alessandro Bonsanti ad Arturo Loira, a

Gianna Manzini ed Eugenio Montale, che intuiscono presto le doti del giovane

siciliano. Proprio per le edizioni di "Solaria" (che aveva pubblicato alcune liriche di

Quasimodo) esce nel 1930 "Acque e terre", il primo libro della storia poetica di

Quasimodo, accolto con entusiasmo dai critici, che salutano la nascita di un nuovo

poeta.

Nel 1932 Quasimodo vince il premio dell'Antico Fattore, patrocinato dalla rivista e

nello stesso anno, per le edizioni di "circoli", esce "Oboe sommerso". Nel 1934 si

trasferisce a Milano, città che segnerà una svolta particolarmente significativa nella

sua vita, non solo artistica. Accolto nel gruppo di "corrente" si ritrova al centro di una

sorta di società letteraria, di cui fanno parte poeti, musicisti, pittori, scultori.

Nel 1936 pubblica con G. Scheiwiller "Erato e Apòllion" con cui si conclude la fase

ermetica della sua poesia. Nel 1938 lascia il suo lavoro presso il Genio Civile e inizia

l'attività editoriale come segretario di Cesare Zavattini, il quale più tardi lo farà

entrare nella redazione del settimanale "Il Tempo". Nel 1938 esce la prima

importante raccolta antologica "Poesie", con un saggio introduttivo di Oreste Macrì,

che rimane tra i contributi fondamentali della critica quasimodiana. Il poeta intanto

collabora alla principale rivista dell'ermetismo, la fiorentina "letteratura".

Nel biennio 1939-40 Quasimodo mette a punto la traduzione dei Lirici greci che esce

nel 1942 che, per il suo valore di originale opera creativa, sarà poi ripubblicata e

riveduta più volte. Sempre nel 1942 esce "Ed è subito sera".

Nel 1941 gli viene concessa, per chiara fama, la cattedra di Letteratura Italiana presso

il Conservatorio di musica "Giuseppe Verdi" di Milano. Quasimodo insegnerà fino

all'anno della sua morte.

Nel 1947 esce la sua prima raccolta del dopoguerra, "Giorno dopo giorno", libro che

segna una svolta nella poesia di Quasimodo. La poesia di Quasimodo supera quasi

sempre lo scoglio della retorica e si pone su un piano più alto rispetto all'omologa

poesia europea di quegli anni. Il poeta, sensibile al tempo storico che vive, accoglie

temi sociali ed etici e di conseguenza varia il proprio stile. La poesia simbolo di

questa svolta, che inoltre apre la raccolta. è "Alle fronde dei salici".

La sua ultima opera, "Dare e avere" è del 1966: si tratta di una raccolta che è un

bilancio della propria vita, quasi un testamento spirituale (il poeta sarebbe morto

appena due anni dopo). Nel 1967 è l'Università di Oxford a conferirgli la laurea

honoris causa.

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Colpito da ictus ad Amalfi, dove si trovava per presiedere un premio di poesia,

Quasimodo muore il 14 giugno 1968, sull'auto che lo sta accompagnando a Napoli. Il 10 dicembre 1959, a Stoccolma, Salvatore Quasimodo riceve il premio Nobel per la Letteratura. Al Nobel seguirono moltissimi scritti e articoli sulla sua opera, con un ulteriore incremento delle traduzioni. Nel 1960 l'Università di Messina gli conferisce la laurea honoris causa oltre alla cittadinanza onoraria dallo stesso comune.

Primo Levi

Primo Levi fu senza ombra di dubbio uno degli scrittori italiani più importanti del secolo scorso: considerato una pietra miliare della letteratura italiana, è soprattutto una figura fondamentale per capire il dramma e le conseguenze dell'Olocausto, o Shoah. Primo Levi nasce a Torino nel 1919 da una famiglia ebrea di intellettuali piemontesi. Laureato in chimica e chimico di professione, diventa scrittore dopo la traumatica esperienza della deportazione nel campo di lavoro di Monowitz, che faceva parte dello stesso complesso del più noto Auschwitz. È questo l’evento centrale della vita di Levi, che fa scattare la molla della scrittura, sentita come una necessità di confessione, di analisi, oltre che un dovere morale e civile. Il ricordo ed il trauma mai superato della deportazione e dell'esperienza di Auschwitz è anche probabilmente alla base del suo suicidio, avvenuto nel 1987.Fino al '38 Primo Levi è un normale studente con la passione della chimica; le leggi razziali gli fanno aprire gli occhi sulla natura del fascismo e lo spingono verso l’azione politica. Alla fine del '42 entra nel Partito d’Azione clandestino e dopo l’armistizio dell’8 settembre del '43 si unisce a un gruppo partigiano della Valle d’Aosta. Ma catturato dalla milizia fascista il 13 dicembre dello stesso anno, viene internato nel campo di concentramento di Fossoli e nel febbraio del '44 deportato ad Auschwitz. A testimonianza di questa tragica

esperienza, Primo Levi scrive nel '46 e pubblica nel '47 “Se questo è un uomo “ il

libro che 10 anni più tardi sarà riconosciuto come il capolavoro della letteratura

concentrazionaria.

Dal momento in cui le truppe russe entrano nel Lager di Auschwitz, abbandonato dai

tedeschi in ritirata, prende avvio il secondo libro di Levi, La Tregua pubblicato nel

'63 e considerato da alcuni la sua opera più alta. La tregua narra il tormentato viaggio

di ritorno in patria dell’autore con un gruppo di compagni attraverso un’Europa

ancora sconvolta dalla guerra. Così come l’esperienza del Lager è associabile

all’inferno, l’odissea del viaggio di ritorno, nel quale avviene una lenta resurrezione

alla vita, rimanda al purgatorio, in una sorta di percorso dantesco; ma l'analogia con

Dante si ferma qui: Levi, infatti non potrà mai raggiungere la completa liberazione.

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