Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle...

80
RASSEGNA STAMPA di lunedì 5 ottobre 2015 SOMMARIO “Preghiamo perché il Sinodo sappia ricondurre a un’immagine compiuta di uomo l’esperienza coniugale e familiare; riconosca, valorizzi e proponga quanto in essa c’è di bello, di buono e di santo; abbracci le situazioni di vulnerabilità, che la mettono alla prova: la povertà, la guerra, la malattia, il lutto, le relazioni ferite e sfilacciate da cui sgorgano disagi, risentimenti e rotture; ricordi a queste famiglie, come a tutte le famiglie, che il Vangelo rimane 'buona notizia' da cui sempre ripartire”: è l’inizio dell’intervento di Papa Francesco alla veglia di sabato sera che ha, di fatto, introdotto i lavori del Sinodo sulla famiglia. “Dal tesoro della viva tradizione - ha proseguito - i padri sappiano attingere parole di consolazione e orientamenti di speranza per famiglie chiamate in questo tempo a costruire il futuro della comunità ecclesiale e anche della città dell’uomo. Ogni famiglia, infatti, è sempre una luce, per quanto fioca, nel buio del mondo. La stessa vicenda di Gesù tra gli uomini prende forma nel grembo di una famiglia, all’interno della quale rimarrà per trent’anni. Una famiglia come tante, la sua, collocata in uno sperduto villaggio della periferia dell’Impero. Charles de Foucauld, forse come pochi altri, ha intuito la portata della spiritualità che emana da Nazaret. Questo grande esploratore abbandonò in fretta la carriera militare, affascinato dal mistero della Santa Famiglia, del rapporto quotidiano di Gesù con i genitori e i vicini, del lavoro silenzioso, della preghiera umile. Guardando alla Famiglia di Nazaret, fratel Charles avvertì la sterilità della brama di ricchezza e di potere; con l’apostolato della bontà si fece tutto a tutti; lui, attratto dalla vita eremitica, capì che non si cresce nell’amore di Dio evitando la servitù delle relazioni umane. Perché è amando gli altri che si impara ad amare Dio; è curvandosi sul prossimo che ci si eleva a Dio. Attraverso la vicinanza fraterna e solidale ai più poveri e abbandonati, egli comprese che alla fine sono proprio loro a evangelizzare noi, aiutandoci a crescere in umanità. Per comprendere oggi la famiglia, entriamo anche noi - come Charles de Foucauld - nel mistero della Famiglia di Nazaret, nella sua vita nascosta, feriale e comune, com’è quella della maggior parte delle nostre famiglie, con le loro pene e le loro semplici gioie; vita intessuta di serena pazienza nelle contrarietà, di rispetto per la condizione di ciascuno, di quell’umiltà che libera e fiorisce nel servizio; vita di fraternità, che sgorga dal sentirsi parte di un unico corpo. È luogo - la famiglia - di santità evangelica, realizzata nelle condizioni più ordinarie. Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di andare lontano. È luogo del discernimento, dove ci si educa a riconoscere il disegno di Dio sulla propria vita e ad abbracciarlo con fiducia. È luogo di gratuità, di presenza discreta, fraterna e solidale, che insegna a uscire da se stessi per accogliere l’altro, per perdonare e sentirsi perdonati. Ripartiamo da Nazaret per un Sinodo che, più che parlare di famiglia, sappia mettersi alla sua scuola, nella disponibilità a riconoscerne sempre la dignità, la consistenza e il valore, nonostante le tante fatiche e contraddizioni che possono segnarla. Nella 'Galilea delle genti' del nostro tempo ritroveremo lo spessore di una Chiesa che è madre, capace di generare alla vita e attenta a dare continuamente la vita, ad accompagnare con dedizione, tenerezza e forza morale. Perché se non sappiamo unire la compassione alla giustizia, finiamo per essere inutilmente severi e profondamente ingiusti. Una Chiesa che è famiglia sa porsi con la prossimità e l’amore di un padre, che vive la responsabilità del custode, che protegge senza sostituirsi, che corregge senza umiliare, che educa con l’esempio e la pazienza. A volte, semplicemente con il silenzio di un’attesa orante e aperta. Soprattutto, una Chiesa di figli che si riconoscono fratelli non arriva mai a considerare qualcuno soltanto come un peso, un problema, un costo, una preoccupazione o un rischio: l’altro è essenzialmente un dono, che rimane tale anche quando percorre strade diverse. È casa aperta, la Chiesa, lontana da grandezze esteriori, accogliente nello stile sobrio dei suoi membri e, proprio per questo, accessibile alla speranza di

Transcript of Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle...

Page 1: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

RASSEGNA STAMPA di lunedì 5 ottobre 2015

SOMMARIO

“Preghiamo perché il Sinodo sappia ricondurre a un’immagine compiuta di uomo l’esperienza coniugale e familiare; riconosca, valorizzi e proponga quanto in essa c’è di bello, di buono e di santo; abbracci le situazioni di vulnerabilità, che la mettono

alla prova: la povertà, la guerra, la malattia, il lutto, le relazioni ferite e sfilacciate da cui sgorgano disagi, risentimenti e rotture; ricordi a queste famiglie, come a tutte le famiglie, che il Vangelo rimane 'buona notizia' da cui sempre ripartire”: è l’inizio

dell’intervento di Papa Francesco alla veglia di sabato sera che ha, di fatto, introdotto i lavori del Sinodo sulla famiglia. “Dal tesoro della viva tradizione - ha proseguito - i

padri sappiano attingere parole di consolazione e orientamenti di speranza per famiglie chiamate in questo tempo a costruire il futuro della comunità ecclesiale e anche della città dell’uomo. Ogni famiglia, infatti, è sempre una luce, per quanto

fioca, nel buio del mondo. La stessa vicenda di Gesù tra gli uomini prende forma nel grembo di una famiglia, all’interno della quale rimarrà per trent’anni. Una famiglia come tante, la sua, collocata in uno sperduto villaggio della periferia dell’Impero.

Charles de Foucauld, forse come pochi altri, ha intuito la portata della spiritualità che emana da Nazaret. Questo grande esploratore abbandonò in fretta la carriera militare,

affascinato dal mistero della Santa Famiglia, del rapporto quotidiano di Gesù con i genitori e i vicini, del lavoro silenzioso, della preghiera umile. Guardando alla

Famiglia di Nazaret, fratel Charles avvertì la sterilità della brama di ricchezza e di potere; con l’apostolato della bontà si fece tutto a tutti; lui, attratto dalla vita

eremitica, capì che non si cresce nell’amore di Dio evitando la servitù delle relazioni umane. Perché è amando gli altri che si impara ad amare Dio; è curvandosi sul

prossimo che ci si eleva a Dio. Attraverso la vicinanza fraterna e solidale ai più poveri e abbandonati, egli comprese che alla fine sono proprio loro a evangelizzare noi,

aiutandoci a crescere in umanità. Per comprendere oggi la famiglia, entriamo anche noi - come Charles de Foucauld - nel mistero della Famiglia di Nazaret, nella sua vita nascosta, feriale e comune, com’è quella della maggior parte delle nostre famiglie,

con le loro pene e le loro semplici gioie; vita intessuta di serena pazienza nelle contrarietà, di rispetto per la condizione di ciascuno, di quell’umiltà che libera e

fiorisce nel servizio; vita di fraternità, che sgorga dal sentirsi parte di un unico corpo. È luogo - la famiglia - di santità evangelica, realizzata nelle condizioni più ordinarie. Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di

andare lontano. È luogo del discernimento, dove ci si educa a riconoscere il disegno di Dio sulla propria vita e ad abbracciarlo con fiducia. È luogo di gratuità, di presenza discreta, fraterna e solidale, che insegna a uscire da se stessi per accogliere l’altro,

per perdonare e sentirsi perdonati. Ripartiamo da Nazaret per un Sinodo che, più che parlare di famiglia, sappia mettersi alla sua scuola, nella disponibilità a riconoscerne

sempre la dignità, la consistenza e il valore, nonostante le tante fatiche e contraddizioni che possono segnarla. Nella 'Galilea delle genti' del nostro tempo ritroveremo lo spessore di una Chiesa che è madre, capace di generare alla vita e

attenta a dare continuamente la vita, ad accompagnare con dedizione, tenerezza e forza morale. Perché se non sappiamo unire la compassione alla giustizia, finiamo per essere inutilmente severi e profondamente ingiusti. Una Chiesa che è famiglia sa porsi

con la prossimità e l’amore di un padre, che vive la responsabilità del custode, che protegge senza sostituirsi, che corregge senza umiliare, che educa con l’esempio e la

pazienza. A volte, semplicemente con il silenzio di un’attesa orante e aperta. Soprattutto, una Chiesa di figli che si riconoscono fratelli non arriva mai a considerare

qualcuno soltanto come un peso, un problema, un costo, una preoccupazione o un rischio: l’altro è essenzialmente un dono, che rimane tale anche quando percorre

strade diverse. È casa aperta, la Chiesa, lontana da grandezze esteriori, accogliente nello stile sobrio dei suoi membri e, proprio per questo, accessibile alla speranza di

Page 2: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

pace che c’è dentro ogni uomo, compresi quanti - provati dalla vita - hanno il cuore ferito e sofferente. Questa Chiesa può rischiarare davvero la notte dell’uomo,

additargli con credibilità la meta e condividerne i passi, proprio perché lei per prima vive l’esperienza di essere incessantemente rigenerata nel cuore misericordioso del

Padre” (a.p.)

1 – IL PATRIARCA AVVENIRE di domenica 4 ottobre 2015 Pag 21 Venezia, festa ecumenica del Creato con il patriarca Moraglia LA NUOVA di domenica 4 ottobre 2015 Pag 21 Pellegrinaggio con il patriarca Moraglia di Nadia De Lazzari 2 – DIOCESI / PARROCCHIE LA NUOVA Pag 11 Ristorante solidale, apre l’ufficio filtro IL GAZZETTINO DI VENEZIA di domenica 4 ottobre 2015 Pag XI Ristorante a un euro, via alle iscrizioni di Fulvio Fenzo Don Armando: “Apriremo il 19 ottobre. Già 25 volontari al lavoro”. Una holding per la solidarietà. No profit, nasce “Il Prossimo” Pag XIII Il parroco: “Occhio alle banche” di Mauro De Lazzari Incontro in parrocchia a Dese sui “trucchi” negli interessi chiesti dagli istituti di credito Pag XXXI Non deve andare persa “l’eredità” che ci lasciano le suore di Sant’Alvise (intervento di Federica Ferrarin Chiaro) LA NUOVA di domenica 4 ottobre 2015 Pag 23 Il “ristorante solidale” aprirà lunedì 19 ottobre di Marta Artico Il Papa chiama, don Armando risponde Pag 26 Primo tetto fotovoltaico in un patronato di Mitia Chiarin La svolta ecologista di San Giuseppe, dopo l’enciclica del Papa. Don Bonazza: “Spendiamo meno in utenze e più in carità” IL GAZZETTINO DI VENEZIA di sabato 3 ottobre 2015 Pag XVII Giornata a Tessera tra San Francesco e l’enciclica del Papa di mau.d.l. LA NUOVA di sabato 3 ottobre 2015 Pag 29 Dedicata a Papa Francesco la Festa del Creato di m.a. Pag 37 Porto S. Margherita: Don Antonio domani lascia la parrocchia di g.can. 3 – VITA DELLA CHIESA CORRIERE DELLA SERA Pagg 5 - 6 Il Papa alla Chiesa: “Non giudichi e non si chiuda” di Luigi Accattoli, Gian Guido Vecchi e Elena Tebano L’omelia che apre l’assemblea sulla famiglia. Marco e Marialucia, sposi presenti ai lavori: “Invitati al telefono. Impariamo dai figli”. Il card. Menichelli: “In troppi incatenano la parola di Dio. Ridurre tutto alle norme è pericoloso”. Il partner del teologo cacciato: “Siamo liberi dalla vergogna” Pag 32 Gli equivoci su Francesco e la teologia che non divide di Andrea Riccardi

Page 3: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

LA REPUBBLICA Pagg 12 – 13 Sinodo, il Papa ammonisce la Chiesa: “Se chiude le porte tradisce se stessa” di Marco Ansaldo e Rosalba Castelletti L’ex allievo omosessuale: “Ma l’uscita di Charamsa ha danneggiato tutti noi” Pag 14 Nel convento di Trento dove il Vaticano manda i preti gay: “Voi li marchiate, noi li assistiamo” di Jenner Meletti e Andrea Selva Pag 29 Tra dottrina e pastorale di Agostino Giovagnoli IL GAZZETTINO Pag 8 Famiglia, il Papa ai “rigoristi”: prima la carità di Franca Giansoldati Bergoglio media tra le fazioni episcopali ma ricorda: “La Chiesa è l’ospedale da campo di chi soffre”. La “ribellione” di undici cardinali L’OSSERVATORE ROMANO di domenica 4 ottobre 2015 Pag 4 Un uomo come voi Il 4 ottobre 1965 a New York per la prima volta un Papa, Paolo VI, parlava davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite AVVENIRE di domenica 4 ottobre 2015 Pag 1 Con sguardo di padri di Stefania Falasca Pag 2 “Io, figlia di una famiglia imperfetta, chiedo alla mia Chiesa e alla mia città…” (lettera al direttore di M.P.) Pag 5 “La famiglia è luce nel buio del mondo” Il Papa alla veglia per il Sinodo: la Chiesa casa aperta a chi è ferito e sofferente. Bagnasco: “La paura non dovrà prevalere sulla gioia” Pag 7 “Castità tradita e rivendicazioni da paladino gay” di Giacomo Gambassi Parla il teologo morale Cozzoli CORRIERE DELLA SERA di domenica 4 ottobre 2015 Pag 2 Il teologo gay perderà tutti gli incarichi: “La sua scelta grave e irresponsabile” di Gian Guido Vecchi Il Vaticano: “Indebita pressione”. Francesco alla veglia tra i fedeli: la Chiesa unisca compassione e giustizia Pag 3 Sinodo alla ricerca di mediazioni di Luigi Accattoli Al via l’assemblea che deve affrontare i nodi di divorziati e coppie di fatto nel solco delle aperture del Pontefice Pag 5 “Andrò in Spagna. Ho solo due valigie. Il Sant’Uffizio cuore d’omofobia” di Elena Tebano Monsignor Charamsa con il compagno Pag 6 “Se vanno avanti sulle unioni civili le proteste non mancheranno” di Aldo Cazzullo Intervista al card. Camillo Ruini LA REPUBBLICA di domenica 4 ottobre 2015 Pagg 12 – 13 Il teologo gay: ecco l’uomo che amo. L’ira del Vaticano: attacco al Sinodo di Marco Ansaldo e Paolo Griseri Il coming out di monsignor Charamsa subito sospeso da ogni incarico. “Anch’io ero stanco di mentire, prima hanno cercato di curarmi e poi sono stato messo alla porta” Pag 15 Il card. De Paolis: “Sulla castità non si transige. Più selezione nei seminari”. Il parroco Santoro: “Così la chiesa resta indietro, è ora di abolire il

Page 4: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

celibato” di Paolo Rodari IL GAZZETTINO di domenica 4 ottobre 2015 Pag 1 Il Santo Padre e quella lobby sempre più potente di Francesco Ruffini Pag 2 Teologo: “Sono gay, ecco il mio fidanzato”. Licenziato in diretta di Franca Giansoldati Clamorosa rivelazione scuote la Chiesa alla vigilia del sinodo: “Mossa grave e irresponsabile, è un’indebita pressione”. Celibato, la regola che divide sempre Pag 3 Nel Sinodo la sfida di Bergoglio di Fra.Gia. LA NUOVA di domenica 4 ottobre 2015 Pag 4 Usa, Sinodo e le trappole per il Papa di Andrea Sarubbi AVVENIRE di sabato 3 ottobre 2015 Pag 1 Per la famiglia con il Papa di Francesco Ognibene In piazza da credenti Pag 5 “Per la famiglia una pastorale più intelligente, coraggiosa e creativa” di Stefania Falasca Il vescovo Semeraro: non è in discussione l’indissolubilità del matrimonio ma il modo per spiegarlo a questa società Pag 15 Firenze 2015, percorsi e obiettivi da realizzare Baturi e Maffeis sottosegretari, Diaco direttore dell’Ufficio scuola CORRIERE DELLA SERA di sabato 3 ottobre 2015 Pag 18 La confessione del monsignore teologo: “Sono un gay felice e ho un compagno” di Elena Tebano “So che ne pagherò le conseguenze, ma per la Chiesa è arrivato il momento di aprire gli occhi” Pag 19 L’ex alunno dal Papa a Washington con il suo convivente di Gian Guido Vecchi Lombardi: nessun appoggio all’impiegata antigay Pag 19 Tre minuti per ognuno dei 274 oratori, domani si apre il sinodo di Virginia Piccolillo Il confronto sulla famiglia e poi le proposte (non vincolanti) per il Pontefice. Tra i temi anche la comunione ai divorziati LA REPUBBLICA di sabato 3 ottobre 2015 Pag 24 L’abbraccio del Papa con la copia gay alla vigilia del Sinodo di Paolo Rodari Incontro con un amico argentino di vecchia data. Il Vaticano: “Massima trasparenza per l’assise” Pag 25 Meno nozze in chiesa e ore di religione. Bergoglio non frena l’ascesa della laicità di Michele Smargiassi IL FOGLIO di sabato 3 ottobre 2015 Pag I Bello e indissolubile di Mattia Ferraresi e Matteo Matzuzzi Il Sinodo si apre domani: non c’è solo l’ostia ai divorziati risposati. Gli americani di Communio contro la proposta del “minimo di fede” articolata anche da Scola. Voci dall’Istituto John Paul II 7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA

Page 5: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag IV San Clemente, le opere contese di Roberta Brunetti La proprietà dell’isola chiede di recuperare i dipinti dopo i furti d’arte di fine anni Novanta. “La Soprintendenza deve ancora decidere, la Curia attende un approfondimento tra le parti” IL GAZZETTINO DI VENEZIA di domenica 4 ottobre 2015 Pag I Gli improvvisati salvatori della patria di Davide Scalzotto 8 – VENETO / NORDEST IL GAZZETTINO Pag 12 Profughi, 4 su 10 possono restare di Luca Ingegneri La Commissione padovana ha esaminato un migliaio di domande sulle 2400 presentate CORRIERE DEL VENETO di domenica 4 ottobre 2015 Pag 1 Gay, imprese e cultura diffusa di Stefano Allievi L’intervista all’industriale Mech CORRIERE DEL VENETO di sabato 3 ottobre 2015 Pag 1 Una sfida comune di Massimiliano Melilli La lotta al fanatismo … ed inoltre oggi segnaliamo… CORRIERE DELLA SERA Pag 1 La Cassa? Usiamola per le scuole di Francesco Giavazzi Soldi pubblici e idee Pag 22 Lo Stato senza giovani di Federico Fubini Solo 100 mila dipendenti pubblici su 3,2 milioni hanno meno di 30 anni LA REPUBBLICA Pag 1 Cosa resta della politica se la tv diventa il nemico di Ilvo Diamanti IL GAZZETTINO Pag 1 Democrazia in crisi: i rischi e le opportunità di Francesco Grillo LA NUOVA Pag 1 Il filo spinato non fermerà i migranti di Piero Innocenti CORRIERE DELLA SERA di domenica 4 ottobre 2015 Pag 1 Difendere Israele sarà reato? di Angelo Panebianco Pag 11 L’Afghanistan verso il caos? di Franco Venturini E’ la sindrome del Vietnam LA REPUBBLICA di domenica 4 ottobre 2015 Pag 1 In Italia abbiamo un piacione e ci vuole innamorare di Eugenio Scalfari AVVENIRE di domenica 4 ottobre 2015 Pag 2 Chiamati a un “miracolo”: dare pane agli affamati di Giorgio Paolucci Il Papa e i 25 anni del Banco Alimentare Pag 3 Dove la guerra non può spingersi di Vittorio E. Parsi L’ospedale colpito dalla Nato a Kunduz IL GAZZETTINO di domenica 4 ottobre 2015 Pag 1 L’italiano, un patrimonio da sfruttare di Romano Prodi

Page 6: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

LA NUOVA di domenica 4 ottobre 2015 Pag 1 Politici che parlano come sono di Ferdinando Camon Pag 1 Forza Italia lascia orfani i moderati di Francesco Jori CORRIERE DELLA SERA di sabato 3 ottobre 2015 Pag 1 I due Matteo e la lunga sfida per Milano di Francesco Verderami AVVENIRE di sabato 3 ottobre 2015 Pag 3 Nel cervello dell’assassino di Ferdinando Camon Le parole prima della strage nel college Usa Pag 8 Una riforma storica e un’Aula che non può assomigliare a un asilo IL FOGLIO di sabato 3 ottobre 2015 Pag III Cristo è morto, l’Islam no di Marina Valensise Perché noi occidentali siamo soli e disperati davanti ai musulmani. Intervista a Pierre Manent IL GAZZETTINO di sabato 3 ottobre 2015 Pag 1 L’alleato Verdini e l’imbarazzo che cresce nei Dem di Alberto Gentili Pag 19 La strage dell’Oregon, il killer ha ucciso per uscire da una vita anonima di Lucetta Scaraffia LA NUOVA di sabato 3 ottobre 2015 Pag 1 Trasformismo vecchio vizio nazionale di Vittorio Emiliani Pag 1 Obama perde la guerra alle armi di Alberto Flores d’Arcais

Torna al sommario 1 – IL PATRIARCA AVVENIRE di domenica 4 ottobre 2015 Pag 21 Venezia, festa ecumenica del Creato con il patriarca Moraglia Torna oggi ad Altino (Venezia) la Festa del Creato. Al centro dell’attenzione, sottolineano gli organizzatori, l’enciclica Laudato si’ sulla custodia della terra, l’Expo che ci interroga su come far sì che tutti gli esseri umani abbiano il cibo e salvaguardare la Madre Terra, l’imminenza della Conferenza di Parigi sui mutamenti climatici e il desiderio di agire insieme con il Consiglio ecumenico delle Chiese di Venezia. L’appuntamento è per le 15 nella parrocchia di Sant’Eliodoro ad Altino, con il seguente programma: preghiera ecumenica; meditazione del patriarca Francesco Moraglia; coro dei giovani ortodossi Nepsis; spunti di riflessione sulla Laudato si’ e sul tema del cibo con Simone Morandini e Gaia De Vecchi; quindi la cena conviviale. Durante la Festa sarà distribuito un apposito ricettario sul digiuno nelle Chiese ortodosse, intitolato “Né carne né pesce”. LA NUOVA di domenica 4 ottobre 2015 Pag 21 Pellegrinaggio con il patriarca Moraglia di Nadia De Lazzari Venezia. Al mattino il pellegrinaggio mariano, al pomeriggio il “mandato” agli evangelizzatori, ai catechisti e agli educatori. Fitto, ieri, il calendario degli appuntamenti in diocesi. Alle 7,30 presso la chiesa parrocchiale dei Gesuati, alle Zattere, il patriarca Francesco Moraglia ha guidato il pellegrinaggio fino alla Salute. Nell’omelia il presule ha invitato i fedeli a pregare per le vocazioni: «C’è bisogno dell’umanità di tutti». Alle 15,30

Page 7: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

nella gremita basilica di San Marco il Patriarca ha conferito il “mandato” che ha anticipato l’anno giubilare della misericordia. Nell’omelia ha consegnato parole quali fede e vita, accoglienza e collaborazione: «Nessuno può chiamarsi fuori». Riflessioni: «E’ un momento di gioia importante per i catechisti, discepoli del Signore, soggetti vivi, attivi, presenti, significativi, irrinunciabili. La vocazione è tale quando si traduce in missione». Infine, una raccomandazione: «La memoria del Vangelo è pericolosa per il mondo perché cerca interpretazioni della Parola di Dio. Attenzione ai generi letterari. Il mondo ha bisogno di discernimento». Don Valter Perini, delegato patriarcale per l’evangelizzazione, ha sottolineato la ricchezza della Chiesa veneziana. In diocesi ci sono 20.000 ragazzi, 1.700 catechisti, 400 animatori dei gruppi d’ascolto, 4.000 partecipanti, 2.000 scout, 3.000 neocatecumenali, 180 insegnanti di religione. Tra questi Francesca Melloni. Insegna nelle scuole elementari Gallina e Diedo: «La formazione è importante». Adriana De Michieli, parrocchia di San Cassiano:«Sono catechista da quarant’anni. Tutto è iniziato con un incontro». Le catechiste Barbara Niero e Monica Zamuner arrivano da Asseggiano: «E’ un impegno perché abbiamo famiglia. Ne vale la pena. La nostra è stata una scelta non un obbligo». Torna al sommario 2 – DIOCESI / PARROCCHIE LA NUOVA Pag 11 Ristorante solidale, apre l’ufficio filtro Ristorante solidale, l’iniziativa di don Armando Trevisiol e del centro don Vecchi, che aprirà dal 19 ottobre, muove oggi i primi passi: apre l’ufficio filtro, attivo dalle 10 alle 12, con l’obiettivo di valutare le singole richieste di accesso al ristorante in cui si entrerà se muniti di una card. La Fondazione Carpinetum mette a disposizione anche un numero telefonico, il 334.9930825, per contattare la struttura che fornirà pasti ad un euro a persone in difficoltà. IL GAZZETTINO DI VENEZIA di domenica 4 ottobre 2015 Pag XI Ristorante a un euro, via alle iscrizioni di Fulvio Fenzo Don Armando: “Apriremo il 19 ottobre. Già 25 volontari al lavoro”. Una holding per la solidarietà. No profit, nasce “Il Prossimo” La squadra dei volontari è già pronta, ed altri se ne aggiungeranno. Come è stata fissata la data ufficiale dell’apertura del "ristorante a un euro" per persone e famiglie che vivono un periodo di disagio economico, ma che non ricorrerebbero mai e poi mai alle mense dei poveri. «È deciso - spiega don Armando Trevisiol - si parte lunedì 19 ottobre, alle 18.30, con 110 posti e cene dal lunedì al venerdì. Un euro per gli adulti, gratis per i ragazzi». Già 25 persone hanno dato la loro adesione per servire ai tavoli, «e si presume che altri si offriranno per questo servizio - spiega don Armando della Fondazione Carpinetum dei Centri Don Vecchi -. Tutto questo sarà possibile grazie alla generosità del catering "Serenissima Ristorazione" che offrirà i pasti». Da domani, intanto, partiranno le iscrizioni per usufruire del servizio che verrà aperto nel Centro Don Vecchi di Carpenedo, in viale Don Sturzo 53. «Vogliamo creare l’ambiente di un vero ristorante» aveva già anticipato don Armando Trevisiol nelle scorse settimane, dopo la polemica sorta per quello che sembrava voler essere un locale "per soli italiani", ma al quale invece potranno accedere anche famiglie straniere. Resteranno esclusi solo i senzatetto, barboni, nullatenenti, mendicanti di professione o tossicodipendenti «perchè - spiegano a Carpenedo - per queste persone ci sono già le quattro mense dei poveri aperte in città». Per questo il nuovo "Ristorante solidale Serenissima" accetterà solo persone presentate dai Servizi sociali del Comune e delle Municipalità, dai parroci, da San Vincenzo, Caritas e anche da privati cittadini che dovranno però motivare con una lettera la richiesta. «Un ufficio filtro sarà aperto da domani, dalle 10 alle 12, al Centro Don Vecchi per valutare tutte le singole situazioni - prosegue don Armando -. Con l’accoglimento delle richieste, saranno consegnate le "card" per accedere al ristorante dal 19 ottobre prossimo». Una procedura che sembra farraginosa, ma che è necessaria

Page 8: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

in quanto - con la crisi che stanno vivendo così tante famiglie - i 110 posti per le cene a un euro con primo, secondo con contorno, dessert e dolce,rischierebbero di riempirsi in un baleno, magari lasciando fuori persone e famiglie che ne hanno realmente bisogno. «Volevamo coinvolgere anche gli scout, ma poi abbiamo optato per i volontari adulti - conclude don Armando -. Ora confidiamo che parroci e Servizi sociali, deputati ad aiutare chi si trova in difficoltà, abbiano informato e coinvolto le persone per le quali è stato pensato questo servizio». Il numero telefonico della segreteria del ristorante è il 334.9930825. Si parte. Anche il Don Vecchi "razionalizza". E, come una vera e propria azienda (il cui scopo, però, è aiutare chi non ce la fa), cerca di risparmiare sui costi di gestione. Così tutte le realtà del "polo solidale" di Carpenedo sono state fatte confluire in un unico ente "no profit" per coordinare meglio le iniziative e dare un taglio a sovrapposizioni e a spese amministrative. Ne "Il Prossimo" (come il nome del periodico firmato da anni da don Armando Trevisiol) sono dunque confluite tutte le associazioni di volontariato che gravitavano attorno al Centro Don Vecchi, e cioé: "Vestire gli ignudi" per gli indumenti; la "Buona Terra" per la frutta e la verdura; "Carpenedo Solidale" per i mobili, i generi alimentari erogati dal Banco Alimentare e l’arredo per la casa; lo "Spaccio di solidarietà" per la distribuzione dei generi alimentari in scadenza dei sette supermercati Cadoro e Despar. Per dare un chiaro esempio di cosa significano queste realtà, basti pensare che la sola "Vestire gli ignudi" ha elargito 150mila euro per garantire i pasti a 60 anziani con pensioni minime e residenti nei cinque Centri Don Vecchi, 130mila euro per l’arredo del "Don Vecchi 6" e, infine, altri 20mila euro per acquistare l’attrezzatura che sarà necessaria all’apertura del nuovo ristorante solidale "Serenissima". Insomma, d’ora in poi tutto questo si chiamerà "Il Prossimo": la holding della solidarietà. Pag XIII Il parroco: “Occhio alle banche” di Mauro De Lazzari Incontro in parrocchia a Dese sui “trucchi” negli interessi chiesti dagli istituti di credito «L'usura è un lento suicidio legalizzato al quale bisogna porre fine.» Com'è nel suo stile don Enrico Torta non ha fatto grandi giri di parole per definire quel male antico che consiste nello sfruttare il bisogno di denaro. Il parroco di Dese, soprannominato "don Robin Hood" per le sue numerose battaglie a difesa dei più deboli, ha dato ieri il via all'incontro organizzato nella sala parrocchiale di Dese dalla Confedercontribuenti Veneto, ricordando quanto ha affermato Papa Francesco, ovvero «che non è cristiano e tanto meno umano che ci siano famiglie che non possano mangiare per pagare i debiti». Il convegno, condotto dal presidente di Confedercontribuenti Alfredo Belluco e dalla responsabile imprese Raffaella Zanellato, ha avuto uno scopo ben preciso: incoraggiare i clienti delle banche a non avere alcun timore reverenziale nei confronti del proprio istituto di credito, e di affidare ad esperti una "perizia econometrica" qualora ritengano che la loro situazione debitoria sia oggetto di vessazione. Una vera e propria crociata contro il sistema bancario che Confedercontribuenti porta avanti da molto tempo e che ieri, non a caso, ha fatto tappa a Dese. Abitava, infatti, nella piccola frazione di terraferma, a due passi dalla parrocchia di don Enrico, l'imprenditore Maurizio Bernardi, suicidatosi nel marzo scorso perché vinto dalla paura di non riuscire a far fronte alle difficoltà finanziarie dovute alla crisi che aveva colpito la sua attività. «I devastanti tassi da usura praticati da certe banche sono sempre mascherati sotto forma di spese o commissioni - ha affermato Belluco -, ma la cosa ancor più grave è che la Banca d'Italia, da quando è entrata in vigore la legge 108 del 1996, ha invitato il sistema delle banche a calcolare la percentuale di Tasso Effettivo e Globale con algoritmi che, molto spesso andavano a dimezzare il reale tasso di interesse applicato, snaturando la legge e permettendo di fatto un'usura di massa». Zanellato ha precisato che nel Veneto la Confedercontribuenti ha analizzato oltre 4mila conti correnti e l'85% circa di questi sono risultati viziati da calcoli illeciti e intrisi di usura. «Abbiamo avviato e vinto numerose cause - ha detto - con sentenze clamorose contro grandi e piccole banche». Pag XXXI Non deve andare persa “l’eredità” che ci lasciano le suore di Sant’Alvise (intervento di Federica Ferrarin Chiaro)

Page 9: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

Si è chiusa per sempre la porta del grande complesso di Sant’Alvise che ospitava l’Istituto delle Suore Canossiane da ormai 170 anni. Una presenza che aveva ospitato negli anni generazioni di bambini nella scuola elementare e nell’asilo: io stessa vi avevo frequentato lì la scuola primaria e vi avevo portato alla scuola dell’infanzia le mie tre figlie. Un luogo che ospitava anche varie attività della parrocchia, della comunità e in cui la carità delle suore era sempre pronta ad accogliere un vagabondo per offrirgli un caffè, un viandante per offrirgli una sedie e un po’ d’acqua. Il giardino fiorito di rose e magnolie risuonava in primavera delle grida dei bambini che giocavano e il chiostro del Quattrocento colpiva l’occhio di chi lo vedeva con la sua austera e un po’ decadente bellezza. Uno dei pochi angoli di Venezia vera, sfuggiti all’imbarbarimento. Quando anche l’ultima religiosa se ne sarà andata, l’enorme complesso ritornerà nelle mani del Demanio, e in molti si chiedono quale sarà il suo destino. Forse la città e i suoi amministratori dovrebbero fare una riflessione su cosa veramente vogliamo per Venezia e per i suoi pochi abitanti, perché la destinazione di luoghi come questo fa la differenza. La strada più logica per questo enorme sito sarà la vendita. Perché il Demanio non dovrebbe intascare una notevole somma di denaro vendendo un immobile che si è ritrovato tra le mani e rimpinguare così le sempre piangenti casse dello Stato? In questo caso - dopo qualche anno di doveroso restauro - il complesso verrebbe trasformato nell’ennesimo albergo di lusso, e dove prima i bambini giocavano a calcio, probabilmente qualche facoltoso turista americano sorseggerà un drink a bordo piscina. Dove si tenevano le Feste della Famiglia sorgerà una spa; e dove c’era il teatrino delle recite sarà una splendida ambientazione per il ristorante a dieci stelle dell’hotel. Ma vogliamo veramente questo per Venezia? Si impone qui una riflessione: la città si sta trasformando - in questo modo - in un mostro turistico senz’anima. Perché, oltre ad aver perso gli abitanti in carne e ossa, ha perso anche il senso di comunità. Le persone non si riconoscono più in obiettivi comuni, non si ritrovano più in uno stesso luogo, condividendo momenti felici, momenti tristi, conoscendosi, aiutandosi, organizzando momenti ludici, discutendo su come risolvere i problemi. Una comunità ha la forza di reagire di tanti individui insieme, noi non ce l’abbiamo più, non siamo più comunità, e non sto parlando di questo dal punto di vista religioso, ma sociale. Ogni giorno la città è percorsa da centinaia di persone che vi lavorano, che entrano ed escono, ma non vivono Venezia, non la amano, non la capiscono. Sono entità distinte, singole, che badano al proprio interesse, che sommariamente sfruttano la città, il suo nome, la sua storia, la sua immagine. Chi vive in una comunità, la protegge, la promuove, vuole che si sviluppi, lavora per questo. È per questo che luoghi così andrebbero preservati, per mantenere vivo il tessuto di Venezia, non ci vogliono solo gli abitanti, ma anche i legami tra gli abitanti per un bene comune. Bisogna ridare un’anima a Venezia. Ed è per questo che si dovrebbe pensare a un nuovo utilizzo degli spazi di Sant’Alvise: che sia una residenza universitaria o un centro per anziani; un centro culturale o un ambiente della curia per la parrocchia, ma al servizio della comunità, con una comunità. LA NUOVA di domenica 4 ottobre 2015 Pag 23 Il “ristorante solidale” aprirà lunedì 19 ottobre di Marta Artico Il Papa chiama, don Armando risponde Aprirà il 19 ottobre al Centro Don Vecchi di Carpenedo, in viale Don Sturzo, il nuovo ristorante solidale, battezzato “Serenissima”, per le famiglie italiane ed estere in difficoltà e per i “singoli” con pensioni modeste o che versano in disagio per qualsivoglia altro motivo. A dare la comunicazione ufficiale è stato ieri il vulcanico don Armando Trevisiol, che ha anche lanciato un appello ai parroci della città perché segnalino persone bisognose, persone che hanno perso il lavoro, madri e padri di famiglia che non riescono a mantenere i figli e che non hanno il coraggio di dirlo. Il “ristorante sociale”, come lo definisce don Armando, è stato aperto grazie alla generosità del catering “Serenissima Ristorazione”, di Vicenza, che offrirà la cena dal lunedì al sabato a 110 persone in difficoltà al prezzo simbolico di 1 euro per gli adulti (gratis gli under 16 accompagnati dai genitori). «Il nuovo ristorante», spiega don Armando, «accetta solo persone presentate da assistenti sociali del Comune, Municipalità, parroci, San Vincenzo, Caritas e privati cittadini che motivino per iscritto la richiesta». Un ufficio che funge da filtro sarà aperto al Don Vecchi a partire da domani, dalle 10 alle 12, con l’obiettivo di valutare le singole

Page 10: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

situazioni e qualora la richiesta risulterà valida consegnerà una card per beneficiare dell’opportunità. La Fondazione Carpinetum mette anche a disposizione un numero telefonico il 334.9930825, che diventerà il contatto della segreteria del ristorante “Serenissima”, al quale fare riferimento. Il ristorante si trova al civico 53 del Viale, sede del Don Vecchi, dove la Serenissima Ristorazione gestisce un centro cottura. «Si pensava di offrire ai giovani scout l’opportunità del servizio in sala», precisa don Trevisol, «ma hanno trovato delle difficoltà e dunque siamo ricorsi a 25 volontari adulti che hanno già dato la loro disponibilità e presumiamo che se offriranno altri. Speriamo che i parroci, deputati ad aiutare chi è in difficoltà, abbiano recepito la nostra proposta e abbiano informato i destinatari dell’opportunità, in modo che possiamo entrare in servizio sin da subito». Don Armando per la Fondazione ha inviato un’informativa alle parrocchie, ai presidenti della San Vincenzo, alle Caritas parrocchiali della città e dell’hinterland, oltre che al Comune e ai presidenti delle Municipalità, nessuno escluso, in cui si spiega la situazione, si fanno alcune precisazioni e si allega un modulo da compilare. Si legge: «Avendo constatato che a Mestre ci sono quattro mese e ritenendo che siano sufficienti a soddisfare i bisogni dei senza tetto, mendicanti di professione, tossicodipendenti o altre persone che vivano una vita fuori norma, è stato deciso di aprire questo ristorante alle famiglie con disagio economico a causa del capo famiglia disoccupato, in mobilità, sotto occupato con reddito insufficiente a mantenere dignitosamente la propria famiglia». Si spiega che non è escluso nessuno e che l’agevolazione non ha limiti di tempo. Papa Francesco chiama, i Centri Don Vecchi rispondono. L’annuncio dell’apertura di un “ristorante sociale” era stata data meno di un mese fa dal parroco di Carpenedo, don Gianni Antoniazzi, presidente della Fondazione Carpinetum, convinto che si debba pensare ai profughi come chiesto dal Patriarca e dal Papa, ma anche all’emergenza italiani che non hanno più di che mettere sotto i denti. «Qui non piovono bombe e non ci sono incursioni di estremisti», aveva scritto don Gianni, «eppure neanche la seconda guerra mondiale ha portato ad una crisi così profonda, a una tale mancanza di lavoro e ad una natalità tanto bassa. Chiamiamo le cose col proprio nome: c’è una vera guerra economica nei nostri mercati che sta stringendo la morsa sulle famiglie più fragili». E così la macchina organizzativa dei Centri Don Vecchi, con don Armando Trevisiol (nella foto) in testa, si è subito data da fare. Don Trevisiol ha anche annunciato che l’associazione “Vestire gli Ignudi” del polo solidale dei Don Vecchi, ha destinato 150 mila euro per offrire il pasto a 60 anziani con pensioni minime residenti nelle cinque strutture, 130 mila euro per l’arredo del Don Vecchi 6, e infine 20 mila euro per l’attrezzatura del nuovo ristorante Serenissima. L’ultima novità riguarda la formazione di un nuovo ente non profit denominato “Il Prossimo”, in cui sono confluiti le associazioni “Vestire gli Ignudi” per gli indumenti, “La Buona Terra” per la frutta e la verdura, “Carpenedo Solidale” per i mobili e i generi alimentari e lo “Spaccio di Solidarietà” per la distribuzione dei generi alimentari dei sette supermercati Cadoro e Despar. Pag 26 Primo tetto fotovoltaico in un patronato di Mitia Chiarin La svolta ecologista di San Giuseppe, dopo l’enciclica del Papa. Don Bonazza: “Spendiamo meno in utenze e più in carità” Li ha definiti dei «passi di conversione ecologica», nel segno della enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco. La parrocchia di San Giuseppe, nel popoloso quartiere di viale San Marco, inaugura oggi a mezzogiorno il nuovo impianto fotovoltaico installato sul tetto del patronato. Don Natalino Bonazza per l’occasione, oltre alle maestranze e ai parrocchiani, ha invitato a San Giuseppe anche l’assessore all’Ambiente De Martin, l’assessore alle politiche sociali Venturini e il presidente della Municipalità, Conte. Niente di ufficiale, una bicchierata in compagnia, tra strette di mano e tanta soddisfazione. «Si tratta di una tecnologia che fa del bene al creato e all’ambiente, perché ci porta a ridurre il nostro contributo di anidride carbonica nell’aria, ma fa anche del bene alla comunità perché se io riduco drasticamente la spesa per le utenze, come il riscaldamento o la corrente elettrica (quella che alimenta anche le campane registrate della chiesa, ndr), il risparmio che produco lo posso utilizzare per aiutare più famiglie in difficoltà», ci spiega don Natalino Bonazza. «Se io riduco o azzero le spese e riesco a tenere al caldo i bambini del

Page 11: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

catechismo ottengo un risultato evidente a tutti; se riesco ad utilizzare i risparmi per aumentare la carità verso chi ha bisogno, faccio meglio. E lancio un piccolo segnale alla comunità di viale San Marco, che potrebbe guardare al fotovoltaico anche per altri interventi, penso ai condomini privati», continua a spiegare il sacerdote veneziano, trapiantato a Mestre. La parrocchia di San Giuseppe, ammette don Natalino, è probabilmente la prima nel Comune di Venezia ad aver scelto di investire nel fotovoltaico, complice la posizione ottimale del tetto del patronato che non ha palazzi attorno che gli facciano ombra. L’impianto fotovoltaico sul tetto del patronato è composto da 36 schermi policristallini con una potenza complessiva di 9,18 Kwp che consente di non acquistare energia elettrica per la struttura della parrocchia e che verrà ripagato dell’investimento, circa sedicimila euro, nel giro di cinque anni. La scelta per ora è quella di non vendere l’energia elettrica in più prodotta dall’impianto ma di utilizzarla per migliorare la qualità del sistema di refrigerazione e riscaldamento della parrocchia. Prima della scelta di installare l’impianto fotovoltaico, il primo passo deciso dal consiglio pastorale di San Giuseppe e da don Bonazza era stato quello di puntare al risparmio energetico sostituendo tutte le lampadine utilizzate in chiesa e parrocchia con luci a led. Poi è arrivata la svolta ecologista della chiesa, con l’enciclica di Papa Francesco, che ha dato poi il via libera ad un maggiore impegno: un gruppo di adulti e ragazzi, racconta il sacerdote, della parrocchia ha letto e discusso per ben quattro volte della enciclica “Laudato sì” e il suo messaggio. E allora il patronato di viale San Marco ha deciso di diventare uno spazio dove educare alla responsabilità ambientale. Già alcune iniziative sono partite: la raccolta differenziata ai centri estivi con i bambini; la raccolta dell’olio alimentare usato che sta mobilitando molti anziani; la raccolta dei tappi di plastica. «Altre iniziative potranno partire purché contribuiscano a creare nuove abitudini e un nuovo stile di vita per tutta la comunità del villaggio San Marco», conclude il sacerdote. IL GAZZETTINO DI VENEZIA di sabato 3 ottobre 2015 Pag XVII Giornata a Tessera tra San Francesco e l’enciclica del Papa di mau.d.l. Mestre - A Tessera si festeggia San Francesco d'Assisi. Per iniziativa del parroco don Lionello Dal Molin si svolgerà oggi, alla vigilia della ricorrenza di domani, una serie di eventi collegati alla figura del Santo Patrono d'Italia. Si inizierà con la celebrazione della messa vespertina alle 18.30 tenuta dal francescano minore frate Adriano Contran, a cui farà seguito l'Agape fraterna con le vivande portate da ciascuno e condivise con tutti. I parrocchiani, soprattutto i giovani, saranno coinvolti nell'organizzazione della serata che prevede, alle 20.30 nella sala parrocchiale, la conferenza "Da San Francesco a Papa Francesco. Dall'incontro con il Sultano all'Enciclica Laudato sì". Il professore Gianfranco Trabuio, insieme a frate Adriano, illustreranno i temi salienti dell'enciclica collegandoli agli eventi di drammatica attualità come la persecuzione e il martirio dei cristiani in Medio Oriente. Sarà in vendita del fumetto artistico che narra la vicenda, disegnato da Francesco Lucianetti e scritto da Gianfranco Trabuio, il cui ricavato andrà alle iniziative della Custodia Francescana per assistere i profughi della Siria nei campi di raccolta della Giordania e del Libano. LA NUOVA di sabato 3 ottobre 2015 Pag 29 Dedicata a Papa Francesco la Festa del Creato di m.a. Quarto d’Altino. Festa del Creato domani pomeriggio ad Altino, su cibo e “Laudato si’”. Torna domani con modalità rinnovate e una dimensione ecumenica ancor più marcata, la Festa del Creato quest’anno dedicata specialmente al cibo e all’enciclica di Papa Francesco “Laudato si’”. «Al centro dell’attenzione», scrivono gli organizzatori, «l’enciclica di Papa Francesco sulla custodia della Terra, l’Expo che ci interroga su come far sì che tutti gli esseri umani abbiano il cibo e salvaguardare la Madre Terra, l’imminenza della Conferenza di Parigi sui mutamenti climatici e il desiderio di agire insieme con il Consiglio Ecumenico delle Chiese di Venezia». Tutto ciò ha spinto quindi il gruppo di Pastorale degli Stili di Vita del Patriarcato, coordinato da don Gianni Fazzini, «a fare questa proposta: rimettere in gioco la nostra fede in Gesù sedendoci tutti insieme a tavola per vivere la Parola». Domani alle 15, giorno di San Francesco d’Assisi, nella parrocchia di S. Eliodoro ad Altino preghiera ecumenica a gruppi (mentre si

Page 12: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

avviano le attività di animazione per ragazzi e bambini), la meditazione del patriarca Francesco Moraglia (intorno alle 16), il coro dei giovani ortodossi Nepsis, alcuni spunti di riflessione sull’enciclica “Laudato si’” e sul cibo con Simone Morandini e Gaia De Vecchi; verso le 18 cena con quanto ognuno avrà portato da casa. Durante la Festa sarà, inoltre, distribuito un ricettario vegetariano intitolato “Né carne né pesce”. Per i partecipanti provenienti da Venezia e Mestre, domani sarà attivo un servizio di bus navetta di Atvo: partenza alle 13.25 da Venezia piazzale Roma, alle 13.40 alla stazione ferroviaria di Mestre, alle 13.43 da corso del Popolo. Ritorno da Altino alle 20.15. Pag 37 Porto S. Margherita: Don Antonio domani lascia la parrocchia di g.can. Caorle. Per 53 anni ha creato le basi su cui far poggiare delle solide comunità parrocchiali, dando vita in ognuna delle parrocchie dove ha prestato servizio a iniziative e progetti che avevano come primo obiettivo quello di far avvicinare i giovani alla Chiesa e creare luoghi di culto per accogliere quanti più fedeli possibile: don Antonio Gusso (nella foto), allo scoccare del suo ottantesimo anno di età, ha deciso che il tempo per appendere il collarino al chiodo è giunto, e durante la messa di domani saluterà ufficialmente la comunità di Porto S. Margherita. Sacerdote dal 1965, don Antonio è stato prima vicario a Gambarare di Mira e poi a Caorle. Nominato parroco, la sua prima destinazione fu Valcasoni, poi Torre di Fine e per 14 anni Burano. Nel 2000 tornò nella sua Caorle alla guida della parrocchia Croce Gloriosa di Porto S. Margherita e Brian dove negli anni è riuscito a donare alla comunità una nuova chiesa dedicata a Papa Giovanni XXIII. Torna al sommario 3 – VITA DELLA CHIESA CORRIERE DELLA SERA Pagg 5 - 6 Il Papa alla Chiesa: “Non giudichi e non si chiuda” di Luigi Accattoli, Gian Guido Vecchi e Elena Tebano L’omelia che apre l’assemblea sulla famiglia. Marco e Marialucia, sposi presenti ai lavori: “Invitati al telefono. Impariamo dai figli”. Il card. Menichelli: “In troppi incatenano la parola di Dio. Ridurre tutto alle norme è pericoloso”. Il partner del teologo cacciato: “Siamo liberi dalla vergogna” Roma. La Chiesa difende «l’unità e l’indissolubilità del vincolo coniugale» e non muta la sua predicazione «secondo le mode passeggere e le opinioni dominanti». Ma lo fa «nella carità che non punta il dito per giudicare gli altri» e cura «le coppie ferite con l’olio dell’accoglienza e della misericordia». È un Papa Bergoglio di singolare equilibrio, che cammina guardingo sullo spartiacque dell’assemblea sinodale, senza pendere né a destra né a sinistra, quello che ieri mattina ha aperto in San Pietro l’assemblea del Sinodo che da oggi e per tre settimane discuterà sul tema «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo». Al Sinodo dell’anno scorso, che era anche quello sulla famiglia e preparatorio a questo, si era manifestata una forte dialettica tra i «padri» preoccupati di salvaguardare la dottrina dell’indissolubilità e quelli che chiedevano adattamenti dell’applicazione di quella dottrina alla «prassi» pastorale; e in chiusura di quell’assemblea Francesco, con un magistrale discorso, si era posto a garante di ambedue le esigenze, invitando a non cedere alle opposte tentazioni della «rigidità» e del «buonismo». Si direbbe che ieri, per l’apertura del nuovo Sinodo, si sia rifatto a quanto aveva detto chiudendo l’altro. Ha citato due volte Papa Ratzinger per mutuarne parole di fermezza: «Senza la verità la carità scivola nel sentimentalismo». Ma ha citato anche, senza nominarlo, Papa Luciani per ricordare che il Signore guarda all’umanità «con la tenerezza e la sollecitudine di un padre e al tempo stesso di una madre». E si è rifatto esplicitamente a Papa Wojtyla per affermare che «l’errore e il male devono essere sempre condannati e combattuti; ma l’uomo che cade o che sbaglia deve essere compreso e amato: noi dobbiamo amare il nostro tempo e aiutare l’uomo del nostro tempo». Ha chiamato dunque i predecessori a testimoni della validità della sua veduta ampia della crisi della famiglia e delle possibili soluzioni. Assecondando una

Page 13: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

ricorrente tentazione degli ambienti conservatori, ha descritto a tinte forti le deviazioni delle «società più avanzate», che «hanno la percentuale più bassa di natalità e la percentuale più alta di aborto, di divorzio, di suicidi e di inquinamento ambientale e sociale» e nelle quali «l’amore duraturo, fedele, coscienzioso, stabile, fertile è sempre più deriso e guardato come se fosse roba dell’antichità». Ma da chi invita a capire le debolezze dell’uomo d’oggi ha preso questo riconoscimento che l’insegnamento cristiano sul matrimonio è arduo a seguire: «Solo alla luce della follia della gratuità dell’amore pasquale di Gesù apparirà comprensibile la follia della gratuità di un amore coniugale unico e usque ad mortem (fino alla morte)». «In questo contesto sociale e matrimoniale assai difficile, la Chiesa è chiamata a vivere la sua missione nella fedeltà, nella verità e nella carità», ha detto ancora. Per farlo dovrà «insegnare e difendere i valori fondamentali, senza dimenticare che Gesù ha detto che non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; e che egli non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». Dovrà essere «ospedale da campo» con le «porte aperte ad accogliere chiunque bussa» e dovrà «cercare e accompagnare l’umanità di oggi, perché una Chiesa con le porte chiuse tradisce sé stessa e la sua missione, e invece di essere un ponte diventa una barriera». All’Angelus dalla finestra Francesco ha avuto ancora una volta un pensiero per i migranti e ha ripetuto il suo monito all’accoglienza: «Il Signore ci aiuti a non essere società-fortezza, ma società-famiglia, capaci di accogliere, con regole adeguate, ma accogliere, accogliere sempre, con amore». Città del Vaticano. Com’è successo? «Mah, non lo sappiamo bene neanche noi. Quest’estate ci è arrivata una telefonata dalla Segreteria del Sinodo, immagini lo stupore, ci chiedevano la disponibilità a partecipare. L’abbiamo data, ovvio. Poi ci è arrivata la nomina del Papa...». Marialucia Zecchini e Marco Matassoni sono una delle diciassette coppie di sposi da tutto il mondo, due italiane, presenti da oggi al Sinodo come «uditori». Interverranno, «ma anzitutto ascolteremo». Chiaro che la scelta non sia stata casuale. Lei, laureata in biologia, ha deciso di lasciare il lavoro («precario, del resto») ed è impegnata tra l’altro come assistente spirituale in una casa di riposo per anziani; lui è ricercatore in un centro di tecnologia dell’informazione. Ma soprattutto la coppia, oltre a crescere i loro quattro figli - due maschi e due femmine -, da una decina di anni si occupa nella parrocchia a Rovereto di «accompagnare le famiglie che chiedono il battesimo». E qui si capisce che cosa intendesse Francesco quando diceva ai padri sinodali di «mettersi alla scuola» della famiglia, più che parlarne. Il Papa chiede alla Chiesa di accompagnare i «feriti», Marialucia annuisce: «In effetti, quando abbiamo cominciato prevalevano gli sposi, ai battesimi. Ora il rapporto è quasi rovesciato, sempre più vediamo arrivare coppie non sposate, nuove unioni, donne sole...». A Buenos Aires, Bergoglio sgridava quei parroci che rifiutavano il battesimo alle ragazze madri. «Sarà che viviamo in una comunità piccola, ma a me pare che l’accoglienza ci sia, senza problemi. Francesco parla della Chiesa come “casa aperta”, e la famiglia lo è naturalmente», spiega Marco: «Spesso sono i figli a insegnarci l’apertura, nelle forme più semplici: magari portando a casa per pranzo un compagno di classe». Eppure le famiglie sono poco considerate, no? «Forse sì, se si guarda alla corrente dominante», considera Marialucia. «Ma vedo tante persone guardare la famiglia in maniera diversa. Al battesimo, di fronte al mistero della vita, anche i più lontani percepiscono che c’è qualcosa che viene dall’alto». L’evangelizzazione con l’esempio? «La famiglia può essere una luce nel buio. Noi abbiamo il desiderio di inchinarci davanti “alla terra sacra dell’altro”. Di stabilire relazioni a partire dalla domanda che ci viene fatta. Perché non siamo noi a cercare: sono loro che vengono a chiedere. L’importante è che chiunque, nel momento in cui pone la domanda, trovi la porta aperta». Città del Vaticano. «Vede, la tentazione di tutti - e quindi anche di me vescovo - è quella di incatenare la parola di Dio». Il cardinale Edoardo Menichelli, 76 anni, ha guidato nell’ultimo Sinodo uno dei gruppi di discussione. Difficile trovare un porporato più affine al Papa che esorta i vescovi ad avere l’«odore delle pecore». Lui sorride, la voce calda e profonda: «L’odore delle pecore lo conosco, in effetti, e anche la loro cocciutaggine». Aveva undici anni quando morirono entrambi i genitori. «Il buon Dio ha voluto questo e la mia vita è cambiata. Ho dovuto abbandonare la scuola, frequentavo l’avviamento professionale, il mio destino era diventare fabbro o falegname. Era un tempo di povertà

Page 14: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

ben marcata e diffusa. Per sbarcare il lunario e aiutare i nonni il lavoro più semplice era fare il pastore, l’ho fatto. Poi le strade del Signore sono imprevedibili ed eccomi qui». In seminario dal ginnasio agli studi filosofici e teologici, la licenza in teologia a Roma. Nell’ultimo concistoro, dopo averlo visto all’opera durante il Sinodo, la sorpresa: Francesco crea cardinale l’arcivescovo di Ancona. Eminenza, che succederà al prossimo Sinodo? «Anzitutto credo sia necessario un chiarimento: il Sinodo non è un convenire deliberativo. È un laboratorio in comunione col Papa su temi specifici, in questo caso la famiglia. Non dobbiamo aspettarci qualcosa che poi diventa norma. Le sintesi vengono consegnate al Papa e il Santo Padre farà le sue scelte». Durante il viaggio negli Stati Uniti, Francesco ha messo in guarda i vescovi dalla «burocrazia» e l’«ufficialità» dei «circoli ristretti». «La tentazione di incatenare la parola Dio è grande perché è il percorso più facile: la si cataloga e riduce sulle nostre misure. Invece Dio è pieno di fantasia e fa in modo che la sua verità immutabile si dispieghi in ogni tempo della storia». E quindi? «E quindi, poiché viviamo in un mondo così complesso e abbiamo a che fare con situazioni difficili e problematiche, ridurre la nostra pastorale alle norme, alle nostre categorie giuridiche, è più facile ma pericoloso. Lo so perché la mia formazione da seminarista era questa. Bisogna invece che entriamo nella paternità di Dio che rende vera la verità e praticabile la misericordia. Questo per me deve essere il chiodo fisso di un pastore: e lo deve fare restando vicino alla carne delle persone». Lei parla di vicinanza alle persone concrete. Sulle situazioni «difficili», tendono a contrapporsi la «dottrina» e la misericordia... «Non sono raffinati teologi, le persone. Io sono convinto che solo nella paternità pastorale, che imita la paternità di Dio, la verità è donata e accolta e la misericordia è dispensata come vera medicina. Verità e misericordia non vanno messe in contrasto: ambedue nascono dalla persona di Gesù Cristo che è la via, la verità, la vita. E la misericordia che salva. Ogni tentativo di separarle è una disobbedienza al mistero di Cristo». Ma perché accade? «È una sorta di disturbo culturale, per il quale la verità imprigiona e la misericordia è condonismo e indulgenza. Per noi è l’opposto: ambedue sono la salvezza e ambedue richiedono un cammino di conversione». Ci sono resistenze alla «conversione pastorale» invocata dal Papa? «Le posso immaginare, anche se personalmente non le ho verificate. Certamente il nuovo interroga sempre. E ti spinge a fare passi di verità sulla tua vita, il tuo comportamento, il ministero da compiere». Come si risolverà la questione dei divorziati e risposati, ad esempio? «Credo che questi problemi si saneranno con diversi atteggiamenti pastorali: la verifica di un matrimonio già celebrato, l’accoglienza e la tenerezza dell’accompagnamento... Tutto questo, e altro, consentirà alla grazia di Dio di permeare le nostre coscienze. Le conversioni non si fanno schioccando le dita. Del resto stavolta è diverso». In che senso? «Il Sinodo dell’anno scorso era più rivolto alle “sfide” pastorali, come vengono chiamate: i problemi, le ferite. Questa volta il clima è più intenso perché al centro c’è la vocazione e la missione della famiglia. È totalmente diverso dal primo. Siamo chiamati ad approfondire la verità della famiglia, il suo essere un dono perché fondata sul sacramento del matrimonio: una chiamata, perché nella nostra visuale e anche sul versante umano sposarsi è una vocazione. Che cosa deve fare la famiglia, qual è il suo compito?». Ma c’è il rischio di un «muro contro muro» tra conservatori e progressisti? «Io penso di no, che il Sinodo non patirà questa tentazione se seguirà l’indicazione del Santo Padre: franchezza, parresía evangelica nel parlare, e umiltà nell’ascoltare. Bisogna che si incontrino le varie sensibilità. Nel dibattito ho sperimentato una grande tensione pastorale, bisogna considerare tutto questo come un cammino di conversione ecclesiale. Le sensibilità si devono incrociare senza tradire ciò che è essenziale, e questo è possibile. C’è una condizione fondamentale, tuttavia: che la Chiesa tutta, e in particolare

Page 15: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

chi ha responsabilità di pastori, si inginocchi davanti allo Spirito, si lasci intenerire ed educare dallo Spirito. Alla fine, affideremo le nostre riflessioni al Papa». Roma. La sua presenza, così «scandalosa» per il Vaticano, è invece quella che dà calma e sostegno a monsignor Krzysztof Charamsa, l’unico baricentro della sua vita dopo che quella di prima è stata spazzata via da un momento all’altro in seguito al suo coming out e alle dichiarazioni sui gay nella Chiesa. Eduard Planas, 44 anni, da quando è arrivato a Roma venerdì scorso non lo ha abbandonato un minuto. «È un cambiamento enorme, per lui e anche per me, ma non sono spaventato - dice -. Sorpreso sì, da quando ho visto l’enorme attrazione verso gli altri che esercita», aggiunge nel suo buon italiano condito da qualche parola catalana. «Quando sabato ha cominciato a parlare, ho sentito nella sala come un’aura, una tensione spirituale: le sue parole entravano nel cuore della gente». Sabato e domenica Charamsa e Planas sono stati quasi sempre da soli, dopo che la comunicazione con il mondo in cui il teologo è vissuto finora si è interrotta bruscamente. «Ma non è stato questo il momento più difficile - spiega Planas -, il passaggio più duro per Krzysztof e per me che gli ero vicino è stato liberarsi dalla oppressiva vergogna di non essere una persona eterosessuale». «Questo l’ho imparato da te - lo interrompe Charamsa con dolcezza -. E sono convinto che è un passaggio profondamente cristiano, perché riflette la nostra verità e ci permette finalmente di dedicare il cuore libero da complessi e sensi di colpa a Dio e agli altri», dice tornando per un attimo a parlare come qualcuno che è di casa tra i libri di teologia. Il loro rapporto rimane solido e si vede anche da come si alternano continuamente finendo l’uno le frasi dell’altro: «Ho visto in questi giorni le cose per cui lo amo - dice Planas -: io sono una persona normale, che ha incontrato una persona molto speciale». Poi alle proteste di Charamsa («Non è vero che non sei speciale!») sorride e aggiunge: «Allora diciamo così: siamo complementari e grazie a questo vediamo il mondo in modo più completo». Ieri i due hanno seguito papa Francesco che durante le celebrazioni per l’apertura del Sinodo ha tra l’altro ammonito la «Chiesa con le porte chiuse» che «tradisce se stessa»: «È stato un conforto: in ogni omelia il Santo Padre ci ha abituato a lasciarci una parola forte, che è comprensibile a tutti e non diretta solo a pochi eletti: va al cuore e scuote la coscienza - afferma Charamsa -. Oggi mi sento ancora più parte della Chiesa, l’ho scritto a mia madre: amo la Chiesa più di due giorni fa. Non ne sono uscito, ho solo perso il lavoro in un ufficio». Pag 32 Gli equivoci su Francesco e la teologia che non divide di Andrea Riccardi Quali scenari oggi nel governo vaticano? Vari osservatori notano confusione. Il coming out di mons. Charamsa dell’ex Sant’Offizio e la severa risposta del portavoce vaticano, l’incontro con l’ex discepolo gay del Papa nella nunziatura di Washington e infine quello - sempre lì - con l’icona antigay, Kim Folley, mostrerebbero un andamento contrastante. Caso o incerta impostazione? Voci autorevoli della Chiesa insistono sul «fraintendimento» e la strumentalizzazione, cui andrebbero soggetti gli interventi e i gesti di Francesco. Il che costituisce anche una garbata rilevazione dei limiti originari del suo pensiero, forse per asistematicità o - come dicono taluni più severi - per «teologia debole». Si riproporrebbe un quadro confuso di governo, come negli ultimi tempi di Benedetto XVI, proprio alla vigilia di un Sinodo, in cui si tratta del delicato tema della famiglia. I fatti accaduti sono in realtà particolari di vita di palazzo, più che una crisi di governo. Il caso Charamsa (il prete era stato proposto - sembra - come sottosegretario dell’ex Sant’Offizio proprio dalla congregazione, ma non voluto dal Papa) impallidisce in confronto alle crisi nei ranghi della Chiesa nei decenni scorsi. Al tempo di Paolo VI, si ripetevano gli abbandoni di sacerdoti e religiosi, finanche vescovi, sino alla rottura di Lefebvre. Persino con Wojtyla non furono tempi facili e lo scisma si consolidò. Del resto, Francesco, a differenza di Montini (che volle presto i «montiniani» ai vertici curiali) non ha fatto grandi cambi di quadri vaticani, tenendo quelli ereditati dai predecessori, non sempre sintonici con lui. Il Papa non procede con ondeggiamenti casuali. Ha una visione. Ha molta autorità tra il «popolo» e nella comunità internazionale. Lo si è notato a Cuba e negli Stati Uniti, dove è stato accolto come un leader mondiale, anche grazie alla mediazione tra i due Paesi, molto elogiato da Castro e Obama (presidente fino a ieri osteggiato dai vescovi americani). Alla tribuna del congresso americano e dell’Onu, ha

Page 16: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

parlato da riconosciuto leader spirituale, oggetto di forte attenzione pure quando le sue idee non facevano l’unanimità. Il messaggio papale non perde forza per qualche saluto in nunziatura: la vicenda ricorda i piccoli inciampi di vari viaggi papali. Il discorso del Papa non è solo rivolto all’esterno, ma radicato in una chiara visione della Chiesa. Lo si vede nel confronto con la Chiesa americana. Questa, in una società così pluralista, ha avuto un ruolo di minoranza attiva in difesa dei «valori non negoziabili», pure con battaglie culturali aspre. Il suo è stato un modello sviluppatosi negli ultimi anni di Wojtyla e in quelli di Benedetto XVI. Ma il Papa non ha fatto ai vescovi Usa un controcanto liberal, come taluni attendevano. Ha disegnato una nuova stagione: «Il linguaggio aspro e bellicoso della divisione - ha detto - non si addice alle labbra del Pastore... e, benché sembri per un momento assicurare un’apparente egemonia, solo il fascino durevole della bontà e dell’amore resta veramente convincente». Egemonia o fascino convincente dell’amore? L’alternativa alle battaglie culturali non è l’adattamento liberale, ma l’attrazione «missionaria». Così pensa Francesco che ha visto la crisi del modello di minoranza combattiva dai confini chiari. Una logica che, pastoralmente, tagliava ponti, isolava la Chiesa scarica di capacità attrattiva, sospinta in un ridotto che la rendeva «antipatica» («simpatia» è parola chiave del discorso di Paolo VI alla chiusura del Vaticano II, citato nella bolla d’indizione del Giubileo). Ieri il Papa all’Angelus, dopo l’apertura del Sinodo, ha insistito: non «società-fortezza, ma società-famiglia, capaci di accogliere, con regole adeguate, ma accogliere, accogliere sempre, con amore». Si riferisce ai rifugiati o alla famiglia? Rivolge a tutti l’invito a entrare in un processo di apertura. Non sembra turbato dei casi di palazzo o del Vaticano. Non vive isolato. Né rinuncia a un rapporto con il popolo: ne sente la simpatia e il sostegno. I vescovi sono chiamati a misurarsi con la sua visione. Chiudendo la scorsa sessione del Sinodo, tra l’altro, ha ricordato che lui è il successore di Pietro, garanzia di tranquillità per tutti. LA REPUBBLICA Pagg 12 – 13 Sinodo, il Papa ammonisce la Chiesa: “Se chiude le porte tradisce se stessa” di Marco Ansaldo e Rosalba Castelletti L’ex allievo omosessuale: “Ma l’uscita di Charamsa ha danneggiato tutti noi” Città del Vaticano. «Sarà un confronto senza esclusione di colpi, come si è già visto nell'anticipo. E alla fine, è chiaro, vincerà il Papa». Chissà se davvero andrà così, come si mormora in un Vaticano brulicante di vesti color porpora, quasi ci si trovasse prima di un Conclave, ma in tumulto per le polemiche. Tra i Padri del Sinodo, che si apre questa mattina per tre lunghe settimane dentro le Mura della Santa Sede, ci sono 74 cardinali, 175 fra arcivescovi e vescovi, 6 patriarchi, 2 parroci e 13 religiosi semplici. E in questo grande frusciar di sottane, così come in un Conclave pochi sono disposti a fermarsi e commentare l'accavallarsi di notizie, giusto alla vigilia dell'assemblea, con i continui colpi di scena mediatici sui casi di omosessualità deflagrati. Che si parli del teologo del Sant'Uffizio davanti alle telecamere con il suo uomo, o dell'antico studente di Jorge Bergoglio che va a trovarlo con il fidanzato, o ancora della funzionaria americana arrestata per non aver celebrato nozze gay e che ha incontrato il Pontefice, c'è sempre tanto imbarazzo. Anche se, proprio quello dell' omosessualità è uno dei temi forti in discussione, con la possibilità che la Chiesa accolga i gay (forse arrivi a riconoscere le loro unioni) come chiedono i riformisti dietro la tonaca bianca di Francesco. E se il Papa nella veglia dell' altra sera è apparso smorzare i toni convulsi di giornata che aveva visto montare le dichiarazioni del teologo polacco Krzysztof Charamsa, con conseguente esclusione dagli incarichi vaticani e nuova risposta piccata, nel- la messa di ieri che precede oggi la prima giornata dei lavori, Francesco ha continuato sulla stessa linea aperturista. «Una Chiesa con le porte chiuse tradisce se stessa e la sua missione, e invece di essere un ponte diventa una barriera». E ancora: «L'uomo che sbaglia deve essere sempre compreso e amato. La Chiesa deve cercarlo, accoglierlo, accompagnarlo. Non puntare il dito per giudicare». L'argomento è importante, ma non è l'unico. L'ondata mediatica ha oscurato l'altro grande punto di frizione, quello della comunione da dare ai divorziati risposati. Questione a cui si oppongono, per ragioni di rispetto della dottrina - nonostante le evoluzioni della società - gli esponenti conservatori. Come i cardinali Mueller, Pell, Sarah, gli italiani Caffarra e Scola. L'altro fronte è culturalmente e geograficamente altrettanto variegato, e conta fra i porporati vicini a Bergoglio i

Page 17: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

cardinali Maradiaga e Marx, oltre a Kasper e Vingt-Trois. Il Sinodo straordinario (dal titolo "La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo"), continuazione e conclusione del Sinodo ordinario svoltosi esattamente un anno fa, e vinto sostanzialmente ai punti dai progressisti, potrà così osservare fino al 25 ottobre colpi e tumulti anche se in maniera diversa rispetto alla prima fase. Nel 2015 i riformisti sferrarono l'attacco imponendosi nei vari circoli la prima settimana. Ma nei successivi sette giorni fu la volta della Curia a opporre resistenza, segnando un punto, e chiudendo solo con una parziale sconfitta in attesa della partita di ritorno. Questa. Ora le regole sono anche cambiate. Le tre settimane saranno dedicate ciascuna ai tre temi sui quali si prenderanno decisioni sotto forma di "proposte non vincolanti al Papa": "L'ascolto delle sfide sulla famiglia", "Il discernimento della vocazione familiare", "La missione della famiglia oggi". E il Pontefice ha scelto di dare più spazio al lavoro dei piccoli gruppi, i cosiddetti circuli minores, adesso aumentati di numero e che vedranno pubblicati i risultati delle loro discussioni. Come l'anno scorso, Bergoglio vuole una discussione aperta, per «favorire l'azione dello Spirito», ma con libertà per i Padri di raccontare poi pubblicamente quel che è avvenuto dentro. La terza settimana, che partirà dal 19 ottobre, sarà quella decisiva. Una commissione, nella quale non figura nessun membro della Curia romana, preparerà il documento di sintesi. Al termine delle tre tappe di lavoro provvederà all'elaborazione del progetto della relazione finale, che verrà poi presentata in aula. Ma rispetto ai Sinodi precedenti, le varie fasi di elaborazione del documento base resteranno riservate, considerando che i testi, nel corso della discussione, saranno suscettibili di continui sviluppi. Quanto alla relazione finale, per la quale il Papa lo scorso anno dispose la pubblicazione del testo e dei voti per ogni paragrafo, non è ancora stabilito come deciderà quest'anno. Il Papa non vuole strappi. Sa di poter contare su una solida maggioranza di Padri. Il segretario generale del Sinodo, il cardinale Lorenzo Baldisseri, e il segretario speciale, monsignor Bruno Forte, entrambi a lui vicini, porteranno le discussioni verso esiti mediati fra le parti, con nessuna decisione che intacchi le impostazioni dottrinali sulle quali i conservatori appaiono molto suscettibili. Francesco intende far planare le sue riforme, a cui tiene - perché questa è una partita per lui decisiva - in modo morbido. Ma pur sempre vittorioso. Questo è lo schema. Il campo, però, può rivelarsi accidentato. E lo scenario, come alla vigilia, ricco di colpi di scena. «ll coming out di monsignor Charamsa non è stato molto appropriato. È stata sbagliata la tempistica ed è stato sbagliato il modo in cui ha scelto di farlo». Yayo Grassi, 67 anni, gay dichiarato, argentino di origini italiane, ha conosciuto Bergoglio cinquant'anni fa, quando l'allora cardinale insegnava letteratura e psicologia nel collegio dell'Immacolata di Santa Fe. È balzato sotto i riflettori dopo che lo scorso 23 settembre Papa Francesco durante il suo viaggio negli Usa - dove Grassi vive dal 1978 - lo ha ricevuto in privato insieme al suo partner e a un gruppo di amici presso la Nunziatura di Washington. «Penso che monsignor Charamsa - prosegue Grassi da Washington dove ha un catering - non abbia fatto alcun favore né alla causa degli omosessuali né a Papa Francesco». Signor Grassi, il Vaticano ha rimosso monsignor Krzysztof Charamsa da tutti i suoi incarichi dopo che ha rivelato di essere omosessuale e di avere un compagno. Cosa pensa del suo coming out e della reazione della Santa Sede? «Ho letto solo una dichiarazione di monsignor Charamsa e non voglio dare giudizi affrettati. Molte persone sono rimaste deluse dal Papa quando Kim Davis (l'impiegata pentecostale della contea del Kentucky arrestata un mese fa perché si era rifiutata di rilasciare licenze di matrimonio alle coppie omosessuali, ndr) ha detto di avere avuto un'udienza privata con lui negli Stati Uniti e che Bergoglio le aveva detto di avere coraggio. Io continuavo a dire a tutti che conoscevamo solo una parte della storia, quella che stava raccontando lei e che poi si è rivelata essere falsa. Vorrei riservare lo stesso beneficio del dubbio a monsignor Charamsa. Certo, piuttosto che ai giornali, avrebbe dovuto parlare della sua omosessualità a un altro prete o direttamente al Papa. Magari lo ha fatto, ma se tutto è accaduto nel modo in cui è stato raccontato, non penso che abbia fatto alcun favore alla causa dei gay o a Papa Francesco. Mi sembra più che altro qualcuno che sta cercando di attirare l' attenzione dei media. La sua tempistica è stata sbagliata, il modo in cui ha parlato è stato sbagliato».

Page 18: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

Si riferisce al fatto che il teologo abbia deciso di parlare alla vigilia del Sinodo sulla famiglia appena iniziato in Vaticano? «Parlare di omosessualità in questo momento serve solo a distrarre la gente dagli altri temi importanti sollevati da Bergoglio: l'ambiente, la famiglia, la povertà, condividere quello che abbiamo con chi non ha niente». Lei è cattolico? Quali aspettative ha sul Sinodo? «Sono ateo e sono stato felice di leggere l'intervista di Eugenio Scalfari con il Papa. È stato un colloquio profondo e coraggioso in cui mi sono sentito incluso. Ma rispetto la religione. L'aver sentito dire al Papa "Chi sono io per giudicare un gay?" mi ha dato molta speranza. Non la speranza che la Chiesa cambi il suo punto di vista, ma che qualcuno come Papa Francesco cerchi di rompere la regola della Chiesa che esclude i gay dalla comunione». Incontrando il suo partner, Papa Francesco ha mai commentato la sua relazione? «Gli ho presentato il mio partner nel settembre di due anni fa a Roma. Bergoglio era stato eletto Papa da pochi mesi. Ci trovavamo in Italia e ho chiesto un incontro. Non lo vedevo da cinque anni e volevo congratularmi. Quando ho saputo del suo viaggio a Washington, gli ho scritto che mi sarebbe piaciuto rivederlo. Mi ha risposto che anche lui aveva piacere ad abbracciarmi. E ha acconsentito alla presenza del mio partner e di amici che per diverse ragioni, salute o famiglia, volevano la sua benedizione. È stato un incontro tra amici e non ne avrei mai parlato se Kim Davis non avesse travisato quello che il Papa è e ha fatto. Quando il Vaticano ha precisato che l'unico incontro privato che il Papa aveva avuto a Washington era stato quello con un suo ex studente e la stampa mi ha rintracciato, ho pensato che parlarne fosse un'occasione di rimettere il Papa nella giusta luce. Ma la mia omosessualità e la mia relazione non sono mai state un tema di conversazione. Sia a me che a Bergoglio non è mai sembrato necessario. Essere gay per me non è un "titolo". Lo sono come sono alto e ho gli occhi azzurri. E anche per lui non fa alcuna differenza. La sola volta che ho parlato con Francesco della mia omosessualità è stata in un'email nel 2010». L' Argentina aveva legalizzato i matrimoni tra persone dello stesso sesso... «Gli scrissi tre pagine. Avevo letto delle sue dichiarazioni di condanna. Mi rispose che era stato travisato. Che era un problema civico, non religioso. Ma, cosa più importante, che non era omofobico e che nel suo lavoro pastorale non c'era spazio per l'omofobia. E per me fu una cosa preziosissima». Che insegnante era Bergoglio? «Il suo modo d'insegnare era calmo, dolce ed elegante. E molto personale. Quando era in classe sembrava stesse parlando solo con te. Anche ora che è Papa lo sento parlare allo stesso modo». Pag 14 Nel convento di Trento dove il Vaticano manda i preti gay: “Voi li marchiate, noi li assistiamo” di Jenner Meletti e Andrea Selva Trento. Sono ormai maturi, i cachi e i kiwi. Nell'orto, gli ultimi pomodori. Sembra di essere fuori dal mondo, in questa casa madre dei padri Venturini. "Congregazione di Gesù sacerdote", annuncia la targa in marmo. Doveva arrivare qui, don Mario Bonfante, l'ex sacerdote cattolico che tre anni fa è stato "licenziato" perché gay. «Esiste un convento in Nord Italia - ha detto ieri a Repubblica - dove vengono mandati a riflettere i sacerdoti che manifestano tendenze sessuali non consone. Un luogo dove ti aiutano a ritrovare la retta via. Volevano curarmi. Ho rifiutato di andarci». Prima pioggia e tuoni, poi sole e arcobaleno. Il tempo giusto per raccontare questo convento dove il Male e il Bene sembrano impegnati in una lunga battaglia. «Io posso dire soltanto - dice padre Gianluigi Pastò, 72 anni, superiore generale dei Venturini - che qui aiutiamo i sacerdoti a diventare santi». Una statua di Cristo a braccia aperte, pronto ad accogliere tutti. «Cercate prima il regno di Dio e la sua Giustizia e avrete tutto il resto in sovrappiù». La citazione da Matteo è accanto al cancello, aperto a tutti. Il padre superiore non ha nessuna voglia di parlare. «Troppe cose sbagliate sono state scritte su di noi. Il convento Venturini rischia di diventare un marchio infamante. 'Quel prete è stato al Venturini? Chissà cosa avrà combinato'. Noi qui siamo abituati a lavorare nel silenzio assoluto». Poi la tradizione di accoglienza vince, almeno per qualche minuto. «Venite in refettorio, prendiamo un caffè». Un vassoio di pizze già pronto per la cena frugale della domenica,

Page 19: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

una cinquantina di posti in tavolate a ferro di cavallo. Un quadro con il fondatore della congregazione, padre Mario Venturini, che aprì questo convento nel 1928. «Le spiego perché non vogliamo parlare. Un convento per preti pedofili, preti gay si è scritto di tutto, con titoli assurdi. I sacerdoti vengono invece da noi per un periodo di formazione, di riflessione personale, di discernimento. In questo momento non abbiamo né preti gay né preti pedofili. Certo, nostro compito è accogliere tutti. Ci sono soprattutto i preti che soffrono di depressione, il male di questi tempi. Noi non vogliamo essere 'marchiati'. Questo perché oggi, con Google, rischi l'ergastolo a vita. Faccio un esempio: arriva un nuovo sacerdote in una parrocchia e c'è chi subito va in rete a cercare il suo passato. Magari risulta che è stato nostro ospite e allora tutti pensano chissà che cosa. Ci sono uomini che diventano preti già adulti e magari hanno avuto un passato di droga o altro. Hanno svolto un grande e pesante lavoro di redenzione, ma se il loro nome è stato scritto su un giornale o su un sito si trovano inchiodati al loro passato». Quasi nessuno, a Trento conosce bene il lavoro dei Venturini. Un titolo forte il 24 febbraio 1983, quando un sacerdote del convento, don Armando Bison, 71 anni, fu ucciso con un punteruolo a forma di crocefisso, conficcato in testa, da Marco Furlan e Wolfgang Abel, i "Ludwig" che volevano "moralizzare il mondo" e finirono in manicomio criminale. Chi frequenta il convento conferma che i problemi più presenti, fra chi viene accolto qui, è proprio la depressione. «È alto anche il numero di alcolisti, fra preti soprattutto anziani che hanno smarrito la strada. E poi ci sono i problemi legati al sesso». Formazione, accompagnamento, riflessione. Non parla mai di cura, il padre superiore. Ma nella presentazione del sito c'è scritto che «i larghi spazi di accoglienza - una casa grande e tanta campagna intorno - uniti a possibilità varie di terapia e di lavoro, consentono alla comunità di ospitare numerosi preti e religiosi offrendo loro un ambiente aperto e disteso ove affrontare le proprie difficoltà». Terapia, dunque. Chi arriva qui viene aiutato anche da psicologi e psichiatri. Con quale percorso e quale metodo? «Noi non parliamo - dice il superiore - di questo nostro lavoro. Che però è conosciuto dai vescovi di tante diocesi. Loro sanno cosa possiamo offrire. Io dico soltanto che qui nessuno viene perché obbligato. Entrare da noi è una libera scelta». Che però, come nel caso di don Mario Bonfante, è una libera scelta molto condizionata. Un vescovo invita un prete ad entrare nel convento comunità, questi rifiuta e si trova ridotto allo stato laicale. In un'intervista a Repubblica.it di Elena Affinito e Giorgio Ragnoli, nel luglio 2013 padre Gianluigi Pastò era stato più ricco di notizie. «La vita comunitaria allontana il prete dalla sua solitudine. Il primo passo della terapia è l'accoglienza. Noi solitamente vogliamo conoscere la persona poi vediamo se siamo in grado di aiutarla». Padre Franco Fornari è lo psicologo responsabile all'interno del centro. Sedute con cadenza giornaliera e terapia di gruppo coordinata da una psicologa laica. Se necessario, è previsto l'intervento di uno psichiatra laico per le terapie farmacologiche di supporto. I tempi non sono mai brevi. Si resta in convento per uno, due o anche quattro anni. È il vescovo a decidere dove impegnare il sacerdote dopo il lungo periodo di "redenzione". Chi è stato accusato di molestie ai minori, ad esempio, verrà inviato in un santuario o in un altro convento, senza contatti con i ragazzi e senza attività pastorale aperta. Sarebbero sei o sette, in media, gli ospiti del convento comunità. La casa di accoglienza è molto grande, perché un tempo ospitava il seminario della congregazione e tanti sono i preti tornati alla casa madre perché ormai anziani. C'è anche chi se ne va prima di avere terminato il percorso. Non sono in carcere, tutte le porte sono aperte. «Su di noi - dice il superiore generale - sono state raccontate troppe cose sbagliate. È giusto che la nostra opera sia senza pubblicità, anche per rispettare chi viene da noi in cerca di aiuto». «Non preoccuparti né del cibo né dei vestiti», è scritto, citando sempre Matteo, cap. VI, nella lapide all' ingresso. Chi entra qui ha purtroppo in testa preoccupazioni più pesanti. Superando la soglia, la lotta fra il Bene e il Male è solo all'inizio. Ma c'è la speranza di "diventare santi". Città del Vaticano. Al Sinodo arriva anche il punto di vista sui gay del cardinale Walter Kasper, in prima fila nel dibattito dello scorso Sinodo nell'ala della Chiesa più aperta al cambiamento. Nel libro fresco di stampa Testimone della misericordia. Il mio viaggio con Francesco (Garzanti), Kasper dice che «gay si nasce» e che per questo la Chiesa deve affrontare la questione con una nuova pastorale. Poi aggiunge: gli omosessuali «possono contribuire alla vita della Chiesa con i loro doni». E ancora: «Quando una famiglia scopre che un figlio è omosessuale è una scoperta spesso molto dolorosa ma si tratta del figlio

Page 20: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

o della figlia, e li si accetta per quello che sono. Così deve fare anche la Chiesa, e accettare queste persone». Pag 29 Tra dottrina e pastorale di Agostino Giovagnoli La vigilia mediaticamente agitata non avrà probabilmente effetti profondi sui lavori del Sinodo. Le previsioni convergono, infatti, nel ritenere improbabili scontri clamorosi o cambiamenti radicali. Ma non per questo sarà un passaggio irrilevante. I vescovi dovranno infatti confrontarsi con una questione di fondo che non riguarda solo la famiglia, i divorziati o l'omosessualità. Si tratta di quella che, nel linguaggio della Chiesa, si presenta come la questione del rapporto tra dottrina e pastorale. Quale rapporto ci deve essere tra l'insegnamento della Chiesa e la sua applicazione nella vita dei fedeli? Nel caso specifico: se il matrimonio è indissolubile, come comportarsi quando una famiglia si rompe? Non si tratta di una novità assoluta: il problema del rapporto tra dottrina e pastorale è già emerso con Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II. E che sia ancora attuale cinquant'anni dopo ne dimostra la rilevanza storica. Potrebbe sembrare una questione di facile soluzione. Se si identifica la dottrina con la teoria e la pastorale con la prassi, sembra evidente la superiorità della prima sulla seconda. In questa logica, su tutte le questioni l'ultima parola spetta alla Congregazione per la dottrina della fede, l'ex Sant'Uffizio. Anche il papa non può prescinderne. Ma, in un' ottica cristiana, le cose non stanno così. La dottrina, piuttosto, ha che fare con la verità e la pastorale con la carità. C'è bisogno di entrambe, ha detto Francesco nell'omelia di apertura del Sinodo. Dio, infatti, si trova in tutt'e due. Dottrina e pastorale, perciò, hanno pari dignità. È questa la ragione profonda per cui difficilmente la discussione sinodale porterà ad una vittoria netta di una posizione sull' altra. Ma già quest'equilibrio esprime una novità. La pari dignità di dottrina e di pastorale e, più al fondo, di verità e carità non è infatti accettata da tutti. Non sappiamo se sarà accolta l'ipotesi di un percorso penitenziale al termine del quale un divorziato risposato potrà - con una valutazione caso per caso - essere ammesso nuovamente alla comunione, come propone il cardinale Kasper. Ma di sicuro ne uscirà indebolita la logica per cui dal divorzio consegue meccanicamente l'esclusione dalla comunione quale sanzione inevitabile per quanti contraddicono con la loro vita l'indissolubilità del matrimonio. È la logica, infatti, che ricalca la sovrapposizione tra dottrina e teoria e fra pastorale e prassi, figlia di una torsione lungamente esercitata sulla tradizione cristiana da schemi logici occidentali. Con il Vaticano II, però, la Chiesa ha cominciato a liberarsi da tale torsione per tornare alle origini. E oggi Francesco si muove dentro questa spinta che, viceversa, disorienta quanti sono ancorati ad un certo tradizionalismo cattolico ma non alla Tradizione cristiana. Proprio perché inserito in un movimento storico profondo, il papa è meno solo di quanto possa sembrare. Le posizioni tradizionaliste hanno maggiore eco mediatico anche perché apparentemente logiche e coerenti, mentre la misericordia su cui insiste il papa evoca nella mentalità comune cedimento e debolezza. Ma, come Francesco ha spiegato molto bene ai vescovi americani, è difficile negare che il dialogo debba essere il metodo dei credenti "non per astuta strategia, ma per fedeltà" al Vangelo. Tale fedeltà ispira anche una visione della storia non imperniata sulla vittoria della forza: «Il linguaggio aspro e bellicoso della divisione non si addice alle labbra del pastore e, benché sembri per un momento assicurare un'apparente egemonia, solo il fascino durevole della bontà e dell'amore resta veramente convincente». In forme spesso semplici e umili, si sta realizzando oggi nella Chiesa cattolica una trasformazione storica, un esodo culturale, una "migrazione di civiltà". Non a caso, anche le parole di Francesco sulla famiglia si stanno proiettando verso orizzonti sempre più ampi, auspicando non "società- fortezza ma società-famiglia, capaci di accogliere sempre" non solo i figli generati nel matrimonio ma anche "bambini affamati, abbandonati, sfruttati, costretti alla guerra, rifiutati". Come la Chiesa, insomma, per ritrovare se stessa anche la famiglia deve spingersi "in uscita" e accogliere l'altro. IL GAZZETTINO Pag 8 Famiglia, il Papa ai “rigoristi”: prima la carità di Franca Giansoldati Bergoglio media tra le fazioni episcopali ma ricorda: “La Chiesa è l’ospedale da campo di chi soffre”. La “ribellione” di undici cardinali

Page 21: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

«Il sogno di Dio per la sua creatura diletta è di vederla realizzata nell'unione di amore tra uomo e donna». Una realtà ben precisa. Come l'arbitro che con il fischio d'inizio dà inizio alla partita, allo stesso modo il Papa, ieri mattina, ha dato il via al Sinodo sulla Famiglia. Naturalmente l'assemblea è tutto fuorché una competizione calcistica, ma gli schieramenti in campo sono pur sempre due. Da una parte i padri sinodali che indossano la maglia della misericordia, più disposti degli altri a chiudere un occhio, con un orientamento maggiormente inclusivo. Dall'altra i rigoristi, fautori di una visione più inflessibile, impermeabile alle casistiche della vita. In mezzo c'è Francesco, l'arbitro, al quale spetterà l'ultima parola. Intanto, però, ieri ha voluto sgombrare il campo da ogni equivoco a proposito del core business di questo momento assembleare sull'autentico «significato della coppia e della sessualità umana nel progetto di Dio». Non pensava di certo alle coppie di fatto, ai gay, ai transgender o all'outing del monsignore. Il Sinodo è sulla famiglia tradizionale, altri argomenti entreranno solo marginalmente. Il Papa ha poi lanciato messaggi ai rigoristi, ricordando loro che occorre più flessibilità. La Chiesa «insegna e difende i valori fondamentali, senza dimenticare che il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato», come dire che le regole esistono e vanno difese, ma occorre tenere conto di tante situazioni dolorose. Che risposte dare? «Vivere la missione nella carità evitando di puntare il dito per giudicare gli altri. La Chiesa fedele alla sua natura di madre deve sentirsi in dovere di cercare e curare le coppie ferite con l'olio dell'accoglienza e della misericordia; di essere ospedale da campo, con le porte aperte ad accogliere chiunque bussa chiedendo aiuto e sostegno». Perché, ha precisato Bergoglio, una Chiesa con le «porte chiuse tradisce se´ stessa e la sua missione, e invece di essere un ponte diventa una barriera». Quanto alle parole del Vangelo spesso citate dai rigoristi per motivare ogni chiusura alla comunione ai divorziati - «L'uomo non divida quello che Dio ha congiunto» - restano una «esortazione a superare ogni forma di individualismo e legalismo che nascondono un gretto egoismo e la paura di aderire all'autentico significato della coppia e della sessualità umana nel progetto di Dio». Bergoglio assicura che la dottrina non si muta secondo le mode passeggere o le opinioni dominanti. «E' la verità che protegge l'uomo e l'umanità dalle tentazioni dell'autoreferenzialità e dal trasformare l'amore fecondo in egoismo sterile, l'unione fedele in legami temporanei». In Vaticano intanto gli effetti choccanti dell'outing del monsignore polacco che ha confessato al mondo di avere un compagno non sono ancora sfumati. Con grande sorpresa i 300 padri sinodali si sono anche visti recapitare un volume curato dal Forum Italiano Cristiani LGBT. Si tratta di un libro a più voci, intitolato “Le strade dell'amore”, che raccoglie la pastorale cattolica per i gay e i consigli su come trasformare le parrocchie in luoghi di accoglienza. Uno degli uditori del Sinodo, don Saulo Scarabattoli, ritiene che l'argomento sollevato da monsignor Charamsa non si rivelerà determinante nell'economia delle discussioni previste. «Il matrimonio gay non sarà in primo piano. Alle coppie omosessuali sono riservati solo due articoli su 147. Sarà un tema decisamente secondario. Ci sarà più rumore fuori che non dentro». Di questione gay ha però parlato il cardinale Kasper in un altro libro dedicato, in un capitolo, al difficile percorso di accettazione delle famiglie quando scoprono «che un figlio è gay; spesso si tratta di una scoperta dolorosa, ma poi il figlio o la figlia li si accetta come sono. Così deve fare anche la Chiesa. Chi è gay non ha scelto di esserlo perché gay si nasce, sicché la Chiesa deve mettere in campo una pastorale per accompagnare le famiglie». Non è uno scisma ma un forte segnale del clima di ribellione dei settori più conservatori della Chiesa alla vigilia del Sinodo sulla famiglia inaugurato ieri da papa Francesco. Le prime voci "contro" si sono fatte sentire in un libro-manifesto, firmato da una decina di cardinali, a partire da prefetto della Dottrina della Fede, Gerhard Müller, passando per l'ex presidente della Cei, Camilo Ruini, per il prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, Robert Sarah, per finire all'ex presidente della Conferenza episcopale spagnola, Antonio Maria Rouco Varela, per decenni guida del cattolicesimo spagnolo, legato alla stagione di Wojtyla e Ratzinger e apertamente contrario all'apertura riformista di papa Francesco. In "Undici cardinali parlano del matrimonio e la famiglia", edito in inglese da Ignatius Press – citato ieri dal quotidiano El Pais - manifestano la radicale opposizione all'apertura alla comunione dei divorziati

Page 22: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

tornati a sposarsi, insistendo sui “valori innegoziabili” della famiglia. Fino a sostenere che il Papa sembra disposto ad autorizzare il “divorzio cattolico”. Un libro che, secondo l'editore, è sulla linea di un primo volume pubblicato un anno fa, dal titolo ‘Restare nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa', scritto da altri cinque prelati in replica al cardinale Walter Kasper - fra i più ascoltati consiglieri di papa Francesco in materia di pastorale familiare - accusato di difendere la tesi contraria alla dottrina della Chiesa. A sostegno di papa Francesco, a fronte delle “crudeli resistenze e delle pressioni crescenti dei settori più rigorosi sul Sinodo di Roma” – come annota il direttore di ‘Religion Digital', José Manuel Vidal - la maggioranza silenziosa ha cominciato a mobilitarsi. Il detonante è stata la campagna lanciata da una ventina di teologi spagnoli di riconosciuto prestigio, con una raccolta di firme a favore di un'eventuale decisione del Sinodo di consentire l'eccesso al sacramento del matrimonio ai divorziati. E in risposta alla raccolta di oltre mezzo milione di firme contrarie inviate in Vaticano alla vigilia del Sinodo. Roma - Monsignor Christof Charamsa, sospeso dal Vaticano dai suoi incarichi dopo aver ammesso di avere una relazione con un uomo, si appresterebbe a lasciare l'Italia. «Non voglio suscitare altro clamore - dice Charamsa -, spero solo che il Sinodo si confronti sulla questione dei credenti gay e delle loro famiglie. Lascerò il convento romano dove vivo, prenderò tutto quello che riesco a fare nelle due valigie che possiedo, e poi partirò per Barcellona, ho già il biglietto». L’OSSERVATORE ROMANO di domenica 4 ottobre 2015 Pag 4 Un uomo come voi Il 4 ottobre 1965 a New York per la prima volta un Papa, Paolo VI, parlava davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite Nel momento in cui prendiamo la parola davanti a questo consesso unico al mondo, sentiamo il bisogno anzitutto di esprimere la nostra profonda gratitudine al signor Thant, vostro segretario generale, per l’invito ch’egli ci ha rivolto di visitare le Nazioni Unite, in occasione del ventesimo anniversario della fondazione di questa istituzione mondiale per la pace e per la collaborazione fra i popoli di tutta la terra. Noi ringraziamo altresì il signor presidente dell’Assemblea, onorevole Amintore Fanfani, il quale, dal giorno del suo insediamento, ha avuto per noi parole tanto cortesi. Grazie anche a voi tutti, qui presenti, per la vostra buona accoglienza. A ciascuno di voi il nostro riverente e cordiale saluto. La vostra amicizia ci ha invitati e ci ammette ora a questa riunione: e come amici noi qui a voi ci presentiamo. Vi esprimiamo il nostro cordiale omaggio personale e vi offriamo quello dell’intero Concilio Ecumenico Vaticano II, riunito in Roma, e qui rappresentato dai signori cardinali che a questo scopo ci accompagnano. A loro nome, come da parte nostra, rendiamo a voi tutti onore e vi salutiamo! Questo incontro, voi tutti lo comprendete, segna un momento semplice e grande. Semplice, perché voi avete davanti un uomo come voi; egli è vostro fratello, e fra voi, rappresentanti di Stati sovrani, uno dei più piccoli, rivestito lui pure, se così vi piace considerarci, d’una minuscola, quasi simbolica sovranità temporale, quanta gli basta per essere libero di esercitare la sua missione spirituale, e per assicurare chiunque tratta con lui, che egli è indipendente da ogni sovranità di questo mondo. Egli non ha alcuna potenza temporale, né alcuna ambizione di competere con voi; non abbiamo infatti alcuna cosa da chiedere, nessuna questione da sollevare; se mai un desiderio da esprimere e un permesso da chiedere, quello di potervi servire in ciò che a noi è dato di fare, con disinteresse, con umiltà e amore. Questa è la nostra prima dichiarazione; e, come voi vedete, essa è così semplice, che sembra irrilevante per questa Assemblea, che tratta sempre cose importantissime e difficilissime. Ma noi dicevamo, e tutti lo avvertite, che questo momento è anche grande. Grande per noi, grande per voi. Per noi, anzitutto. Oh! Voi sapete chi siamo; e, qualunque sia l’opinione che voi avete sul Pontefice di Roma, voi conoscete la nostra missione; siamo portatori d’un messaggio per tutta l’umanità; e lo siamo non solo a nostro nome personale e dell’intera famiglia cattolica, ma lo siamo pure di quei fratelli cristiani, che condividono i sentimenti da noi qui espressi, e specialmente di quelli da cui abbiamo avuto esplicito incarico d’essere anche loro interpreti. Noi siamo come il messaggero che, dopo lungo cammino, arriva a recapitare

Page 23: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

la lettera che gli è stata affidata; così noi avvertiamo la fortuna di questo, sia pur breve, momento, in cui si adempie un voto, che noi portiamo nel cuore da quasi venti secoli. Sì, voi ricordate: è da molto tempo che siamo in cammino, e portiamo con noi una lunga storia; noi celebriamo qui l’epilogo d’un faticoso pellegrinaggio in cerca d’un colloquio con il mondo intero, da quando ci è stato comandato: «Andate e portate la buona novella a tutte le genti» (cfr. Marco, 16, 15). Ora siete voi, che rappresentate tutte le genti. Noi abbiamo per voi tutti un messaggio, sì, un messaggio felice, da consegnare a ciascuno di voi. Il nostro messaggio vuol essere, in primo luogo, una ratifica morale e solenne di questa altissima istituzione. Questo messaggio viene dalla nostra esperienza storica; noi, quali “esperti in umanità”, rechiamo a questa organizzazione il suffragio dei nostri ultimi predecessori, quello di tutto l’episcopato cattolico, e nostro, convinti come siamo che essa rappresenta la via obbligata della civiltà moderna e della pace mondiale. Dicendo questo, noi sentiamo di fare nostra la voce dei morti e dei vivi; dei morti, caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace del mondo; dei vivi, che a quelle hanno sopravvissuto portando nei cuori la condanna per coloro che tentassero rinnovarle; e di altri vivi ancora, che avanzano nuovi e fidenti, i giovani delle presenti generazioni, che sognano a buon diritto una migliore umanità. E facciamo nostra la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso. I popoli considerano le Nazioni Unite come il palladio della concordia e della pace; noi osiamo, col nostro, portare qua il loro tributo di onore e di speranza. Ecco perchè questo momento è grande anche per voi. Noi sappiamo che ne avete piena coscienza, Ascoltate allora la continuazione del nostro messaggio. Esso è rivolto completamente verso l’avvenire: l’edificio, che avete costruito, non deve mai più decadere, ma deve essere perfezionato e adeguato alle esigenze che la storia del mondo presenterà. Voi segnate una tappa nello sviluppo della umanità, dalla quale non si dovrà più retrocedere, ma avanzare. Al pluralismo degli Stati, che non possono più ignorarsi, voi offrite una formola di convivenza estremamente semplice e feconda. Ecco: voi dapprima vi riconoscete e distinguete gli uni dagli altri. Voi non conferite certamente l’esistenza agli Stati; ma qualificate come idonea a sedere nel consesso ordinato dei popoli ogni singola Nazione; date cioè un riconoscimento di altissimo valore etico e giuridico ad ogni singola comunità nazionale sovrana, e le garantite onorata cittadinanza internazionale. È già un grande servizio alla causa dell’umanità quello di ben definire e di onorare i soggetti nazionali della comunità mondiale, e di classificarli in una condizione di diritto, meritevole d’essere da tutti riconosciuta e rispettata, dalla quale può derivare un sistema ordinato e stabile di vita internazionale. Voi sancite il grande principio che i rapporti fra i popoli devono essere regolati dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa, non dalla forza, non dalla violenza, non dalla guerra, e nemmeno dalla paura, né dall’inganno. Così ha da essere. Lasciate che noi ci congratuliamo con voi, che avete avuto la saggezza di aprire l’accesso a questa aula ai popoli giovani, agli Stati giunti da poco alla indipendenza e alla libertà nazionale; la loro presenza è la prova dell’universalità e della magnanimità che ispirano i principii di questa istituzione. Così ha da essere; questo è il nostro elogio e il nostro augurio, e, come vedete, noi non li attribuiamo dal di fuori; ma li caviamo dal di dentro, dal genio stesso del vostro Statuto. Il vostro Statuto va oltre; e con esso procede il nostro augurio. Voi esistete ed operate per unire le Nazioni, per collegare gli Stati; diciamo questa seconda formola: per mettere insieme gli uni con gli altri. Siete una associazione. Siete un ponte fra i popoli. Siete una rete di rapporti fra gli Stati. Staremmo per dire che la vostra caratteristica riflette in qualche modo nel campo temporale ciò che la nostra Chiesa cattolica vuol essere nel campo spirituale: unica ed universale. Non v’è nulla di superiore sul piano naturale nella costruzione ideologica dell’umanità. La vostra vocazione è quella di affratellare non solo alcuni, ma tutti i popoli. Difficile impresa? Senza dubbio. Ma questa è l’impresa; questa la vostra nobilissima impresa. Chi non vede il bisogno di giungere così, progressivamente, a instaurare un’autorità mondiale, capace di agire con efficacia sul piano giuridico e politico? Anche a questo riguardo ripetiamo il nostro voto: perseverate. Diremo di più: procurate di richiamare fra voi chi da voi si fosse staccato, e studiate il modo per chiamare, con onore e con lealtà, al vostro patto di fratellanza chi ancora non lo condivide. Fate che chi ancora è rimasto fuori desideri e meriti la comune fiducia; e poi siate generosi nell’accordarla. E voi, che avete la fortuna e l’onore di sedere in questo

Page 24: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

consesso della pacifica convivenza, ascoltateci: fate che non mai la reciproca fiducia, che qui vi unisce e vi consente di operare cose buone e grandi, sia insidiata o tradita. La logica di questo voto, che si può dire costituzionale per la vostra organizzazione, ci porta a integrarlo con altre formole. Ecco: che nessuno, in quanto membro della vostra unione, sia superiore agli altri. Non l’uno sopra l’altro. È la formola della eguaglianza. Sappiamo di certo come essa debba essere integrata dalla valutazione di altri fattori, che non sia la semplice appartenenza a questa istituzione; ma anch’essa è costituzionale. Voi non siete eguali, ma qui vi fate eguali. Può essere per parecchi di voi atto di grande virtù; consentite che ve lo dica colui che vi parla, il rappresentante d’una religione, la quale opera la salvezza mediante l’umiltà del suo Fondatore divino. Non si può essere fratelli, se non si è umili. Ed è l’orgoglio per inevitabile che possa sembrare che provoca le tensioni e le lotte del prestigio, del predominio, del colonialismo, dell’egoismo; rompe cioè la fratellanza. E allora il nostro messaggio raggiunge il suo vertice; il vertice negativo. Voi attendete da noi questa parola, che non può svestirsi di gravità e di solennità: non gli uni contro gli altri, non più, non mai! A questo scopo principalmente è sorta l’Organizzazione delle Nazioni Unite; contro la guerra e per la pace! Ascoltate le chiare parole d’un grande scomparso, di John Kennedy, che quattro anni or sono proclamava: «L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità». Non occorrono molte parole per proclamare questo sommo fine di questa istituzione. Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei popoli e dell’intera umanità! Grazie a voi, gloria a voi, che da vent’anni per la pace lavorate, e che avete perfino dato illustri vittime a questa santa causa. Grazie a voi, e gloria a voi, per i conflitti che avete prevenuti e composti. I risultati dei vostri sforzi, conseguiti in questi ultimi giorni in favore della pace, benché non siano ancora definitivi, meritano che noi, osando farci interpreti del mondo intero, vi esprimiamo plauso e gratitudine. Signori, voi avete compiuto e state compiendo un’opera grande: l’educazione dell’umanità alla pace. L’Onu è la grande scuola per questa educazione. Siamo nell’aula magna di tale scuola; chi siede in questa aula diventa alunno e diventa maestro nell’arte di costruire la pace. Quando voi uscite da questa aula il mondo guarda a voi come agli architetti, ai costruttori della pace. E voi sapete che la pace non si costruisce soltanto con la politica e con l’equilibrio delle forze e degli interessi, ma con lo spirito, con le idee, con le opere della pace. Voi già lavorate in questo senso. Ma voi siete ancora in principio: arriverà mai il mondo a cambiare la mentalità particolaristica e bellicosa, che finora ha tessuto tanta parte della sua storia? È difficile prevedere; ma è facile affermare che alla nuova storia, quella pacifica, quella veramente e pienamente umana, quella che Dio ha promesso agli uomini di buona volontà, bisogna risolutamente incamminarsi; e le vie sono già segnate davanti a voi; e la prima è quella del disarmo. Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno. Le armi, quelle terribili, specialmente, che la scienza moderna vi ha date, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli. Finché l’uomo rimane l’essere debole e volubile e anche cattivo, quale spesso si dimostra, le armi della difesa saranno necessarie, purtroppo; ma voi, coraggiosi e valenti quali siete, state studiando come garantire la sicurezza della vita internazionale senza ricorso alle armi: questo è nobilissimo scopo, questo i popoli attendono da voi, questo si deve ottenere! Cresca la fiducia unanime in questa istituzione, cresca la sua autorità; e lo scopo, è sperabile, sarà raggiunto. Ve ne saranno riconoscenti le popolazioni, sollevate dalle pesanti spese degli armamenti, e liberate dall’incubo della guerra sempre imminente, il quale deforma la loro psicologia. Noi godiamo di sapere che molti di voi hanno considerato con favore il nostro invito, lanciato a tutti gli Stati per la causa della pace, a Bombay, nello scorso dicembre, di devolvere a beneficio dei Paesi in via di sviluppo una parte almeno delle economie, che si possono realizzare con la riduzione degli armamenti. Noi rinnoviamo qui tale invito, fidando nel vostro sentimento di umanità e di generosità. Dicendo queste parole ci accorgiamo di far eco ad un altro principio costitutivo di questo organismo, cioè il suo vertice positivo: non solo qui si lavora per scongiurare i conflitti fra gli Stati, ma si lavora altresì con

Page 25: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

fratellanza per renderli capaci di lavorare gli uni per gli altri. Voi non vi contentate di facilitare la coesistenza e la convivenza fra le varie Nazioni; ma fate un passo molto più avanti, al quale noi diamo la nostra lode e il nostro appoggio: voi promovete la collaborazione fraterna dei popoli. Qui si instaura un sistema di solidarietà, per cui finalità civili altissime ottengono l’appoggio concorde e ordinato di tutta la famiglia dei popoli per il bene comune, e per il bene dei singoli. Questo aspetto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite è il più bello: è il suo volto umano più autentico; è l’ideale dell’umanità pellegrina nel tempo; è la speranza migliore del mondo; è il riflesso, osiamo dire, del disegno trascendente e amoroso di Dio circa il progresso del consorzio umano sulla terra; un riflesso, dove scorgiamo il messaggio evangelico da celeste farsi terrestre. Qui, infatti, noi ascoltiamo un’eco della voce dei nostri predecessori, di quella specialmente di Papa Giovanni XXIII, il cui messaggio della Pacem in terris ha avuto anche nelle vostre sfere una risonanza tanto onorifica e significativa. Perché voi qui proclamate i diritti e i doveri fondamentali dell’uomo, la sua dignità, la sua libertà e, per prima, la libertà religiosa. Ancora, noi sentiamo interpretata la sfera superiore della sapienza umana, e aggiungiamo: la sua sacralità. Perché si tratta anzitutto della vita dell’uomo: e la vita dell’uomo è sacra: nessuno può osare di offenderla. Il rispetto alla vita, anche per ciò che riguarda il grande problema della natalità, deve avere qui la sua più alta professione e la sua più ragionevole difesa: voi dovete procurare di far abbondare quanto basti il pane per la mensa dell’umanità; non già favorire un artificiale controllo delle nascite, che sarebbe irrazionale, per diminuire il numero dei commensali al banchetto della vita. Ma non si tratta soltanto di nutrire gli affamati: bisogna inoltre assicurare a ciascun uomo una vita conforme alla sua dignità. Ed è questo che voi vi sforzate di fare. E non si adempie del resto sotto i nostri occhi e anche per opera vostra l’annuncio profetico che ben si addice a questa istituzione: «Fonderanno le spade in vomeri; le lance in falci»? (Isaia, 2, 4). Non state voi impiegando le prodigiose energie della terra e le invenzioni magnifiche della scienza, non più in strumenti di morte, ma in strumenti di vita per la nuova era dell’umanità? Noi sappiamo con quale crescente intensità ed efficacia l’Organizzazione delle Nazioni Unite, e gli organismi mondiali che ne dipendono, lavorino per fornire aiuto ai governi, che ne abbiano bisogno, al fine di accelerare il loro progresso economico e sociale. Noi sappiamo con quale ardore voi vi impegniate a vincere l’analfabetismo e a diffondere la cultura nel mondo; a dare agli uomini una adeguata e moderna assistenza sanitaria, a mettere a servizio dell’uomo le meravigliose risorse della scienza, della tecnica, dell’organizzazione: tutto questo è magnifico, e merita l’encomio e l’appoggio di tutti, anche il nostro. Vorremmo anche noi dare l’esempio, sebbene l’esiguità dei nostri mezzi ci impedisca di farne apprezzare la rilevanza pratica e quantitativa: noi vogliamo dare alle nostre istituzioni caritative un nuovo sviluppo in favore della fame e dei bisogni del mondo: è in questo modo, e non altrimenti, che si costruisce la pace. Una parola ancora, signori, un’ultima parola: questo edificio, che state costruendo, si regge non già solo su basi materiali e terrene: sarebbe un edificio costruito sulla sabbia; ma esso si regge, innanzitutto, sopra le nostre coscienze. È venuto il momento della “metanoia”, della trasformazione personale, del rinnovamento interiore. Dobbiamo abituarci a pensare in maniera nuova l’uomo; in maniera nuova la convivenza dell’umanità, in maniera nuova le vie della storia e i destini del mondo, secondo le parole di san Paolo: «Rivestire l’uomo nuovo, creato a immagine di Dio nella giustizia e santità della verità» (Efesini, 4, 24). È l’ora in cui si impone una sosta, un momento di raccoglimento, di ripensamento, quasi di preghiera: ripensare, cioè, alla nostra comune origine, alla nostra storia, al nostro destino comune. Mai come oggi, in un’epoca di tanto progresso umano, si è reso necessario l’appello alla coscienza morale dell’uomo! Il pericolo non viene né dal progresso né dalla scienza: questi, se bene usati, potranno anzi risolvere molti dei gravi problemi che assillano l’umanità. Il pericolo vero sta nell’uomo, padrone di sempre più potenti strumenti, atti alla rovina ed alle più alte conquiste! In una parola, l’edificio della moderna civiltà deve reggersi su principii spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo. E perché tali siano questi indispensabili principii di superiore sapienza, essi non possono non fondarsi sulla fede in Dio. Il Dio ignoto, di cui discorreva nell’areopago san Paolo agli Ateniesi? Ignoto a loro, che pur senza avvedersene lo cercavano e lo avevano vicino, come capita a tanti uomini del nostro secolo?... Per noi, in ogni caso, e per quanti

Page 26: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

accolgono la Rivelazione ineffabile che Cristo di Lui ci ha fatta, è il Dio vivente, il Padre di tutti gli uomini. AVVENIRE di domenica 4 ottobre 2015 Pag 1 Con sguardo di padri di Stefania Falasca «Ripartiamo da Nazaret per un Sinodo che, più che parlare di famiglia, sappia mettersi alla sua scuola». È singolare come nella veglia di preghiera per l’incipit del Sinodo che da oggi impegnerà la Chiesa, papa Francesco sembra capovolgerne la prospettiva. Chiede all’assemblea sinodale di mettersi alla scuola della famiglia. Ed è ancor più singolare perché lo fa in un tempo, il nostro, in cui proprio la famiglia è segnata da profonde ferite, è in crisi e forse non sa più essa stessa cos’è, anche se tutti vogliono appropriarsi del suo nome. Ma quella a cui guarda Francesco è quella che scaturisce dal disegno di amore di Dio per gli uomini. È quella dell’alleanza dell’uomo con Dio. Ed è proprio nell’alleanza, in questa parola biblica, che si esprime tutto l’amore di Dio come regalo per l’uomo e la donna. Perché la famiglia è il sogno stesso di Dio, «è – come il Papa ha più volte detto ritornando alla creazione – il grande dono, il gran regalo di questo 'Dio con noi' che non ha voluto abbandonarci alla solitudine di vivere senza nessuno, senza casa». E come ha ripetuto nella veglia per l’Incontro mondiale delle famiglie a Filadelfia, «essere con voi mi fa pensare a uno dei misteri più belli del cristianesimo: Dio non ha voluto venire al mondo se non mediante una famiglia». È la famiglia che nel proprio interno contiene i due princìpi base della civiltà umana: il principio di comunione e il principio di fecondità. Se quindi i legami familiari sono il luogo che riflette l’affetto creativo di Dio, nell’alleanza feconda tra l’uomo e la donna, nell’apertura alla vita, nella rete di relazioni che aprono alla crescita e alla cura per l’altro, riscoprire e riconoscere in mezzo alle ferite e alle lacerazioni il dono di questa familiarità, di questa prossimità, di questa apertura non può che essere una scuola per la Chiesa stessa. Non può non essere così, come ha ricordato ancora Francesco all’udienza del 30 settembre, anche la risposta alla sfida del nostro mondo assassinato dall’individualismo, dal narcisismo, dalla frammentazione e dalla massificazione. Nella veglia di ieri sera con le famiglie italiane in piazza San Pietro il Papa ha preso l’esempio di Charles de Foucauld: «Guardando alla Famiglia di Nazaret, fratel Charles avvertì la sterilità della brama di ricchezza e di potere; con l’apostolato della bontà si fece tutto a tutti; e capì che non si cresce nell’amore di Dio evitando la servitù delle relazioni umane. Perché è amando gli altri che si impara ad amare Dio; è curvandosi sul prossimo che ci si eleva a Dio. Attraverso la vicinanza fraterna e solidale ai più poveri e abbandonati, egli comprese che alla fine sono proprio loro a evangelizzare noi, aiutandoci a crescere in umanità». Crescere in umanità è la maturità dell’insegnamento ecclesiale che elude lo scollamento con la realtà e consente di misurarsi con successo con le nuove questioni presenti nel mondo contemporaneo. Che consente oggi di essere profezia. Nella 'Galilea delle genti' del nostro tempo si ritroverà così «lo spessore di una Chiesa che è madre, capace di generare alla vita e attenta a dare continuamente la vita, ad accompagnare con dedizione, tenerezza e forza morale. Perché se non sappiamo unire la compassione alla giustizia, finiamo per essere inutilmente severi e profondamente ingiusti». Una famiglia che è Chiesa aperta secondo il progetto di Dio è Chiesa di figli e fratelli, che vedono l’altro «essenzialmente un dono che rimane tale anche quando percorre strade diverse» e che «sa porsi con la prossimità e l’amore di un padre, che vive la responsabilità del custode, protegge senza sostituirsi, educa con l’esempio e la pazienza». Da qui le indicazioni per l’assemblea sinodale. Indicazioni che niente hanno a che vedere con la violenza delle pressioni lobbistiche esercitate dai circoli mediatici e che sono invece la reale stoffa per i padri sinodali: quella di accettare umilmente l’apprendistato cristiano delle virtù familiari del popolo di Dio, di farsi prossimi, di essere padri e madri seguendo «il rigore degli affetti di Dio», altrimenti la famiglia umana si farà «irrimediabilmente distante, per colpa nostra, dalla lieta notizia donata da Dio». E la Chiesa, come afferma la Lumen gentium, non potrebbe esistere, «non potrebbe essere quello che deve essere, ossia segno e strumento dell’unità del genere del genere umano». Pag 2 “Io, figlia di una famiglia imperfetta, chiedo alla mia Chiesa e alla mia città…” (lettera al direttore di M.P.)

Page 27: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

Caro direttore, siamo alle soglie del secondo Sinodo sulla famiglia, reduci dalle veglia in piazza san Pietro che ha confermato quanto questo Papa voglia mettere al centro di tutto la famiglia. L’anno scorso, durante il primo Sinodo, avete intervistato diverse coppie di giovani sposi e fidanzati su “che cosa ci si aspettasse dal Sinodo”. Oggi, con un anello di fidanzamento al dito che un anno fa non c’era, quella domanda mi risuona ancora nella testa. Poi mentre vado al lavoro, alla fermata del bus, mi soffermo su un cartellone pubblicitario (le invio una foto) che il Comune della mia città, Genova, ha affisso sul tutte le paline, due mani intrecciate con la scritta “Cosa ne sai?”, riferendosi alla convivenza e alla nuova possibilità data dal Comune stesso di iscriversi sul registro delle unioni civili e a un ufficio dedicato al sostegno a questo tipo di coppie. Mi chiedo: perché si parla tanto, e spendiamo soldi in pubblicità, sulle possibilità delle unioni civili e non del matrimonio? Lo dico da cittadina e da cattolica, fidanzata e con una paura immensa del matrimonio. Per fortuna ho un fidanzato che condivide con me questo momento non solo nei preparativi, ma soprattutto nel cammino di fede, abbiamo un padre spirituale e tanti amici che ci supportano e incoraggiano nel dire “sì” e nel lanciarci in questa avventura. La paura mia non è solo del futuro, cambiare città per stare con lui e lasciare il mio lavoro, certo questo incide molto, ma la mia paura viene dal mio vissuto familiare. E guardandomi intorno, parlando con amiche, noto veramente che la “paura del matrimonio” di noi – generazione degli anni 80 – è nel passato delle nostre famiglie, quanto sono state lasciate sole nel momento del bisogno, delle difficoltà, facendo ricadere il tutto all’interno della famiglia stessa. I bambini che hanno sentito e respirato quei momenti senza capire, ma trovandosi soli, oggi nel momento in cui devono dire “sì” si ritrovano a fare i conti anche con questi fantasmi, con paure mai condivise, perché negli anni 90 la maggioranza dei tuoi compagni di classe aveva famiglie unite e apparentemente idilliache, i panni sporchi si lavavano in casa e fuori non traspariva niente… Ora, invece, nelle classi la maggioranza dei bambini ha i genitori separati e vive in famiglie allargate, ma un tempo i bambini si tenevano tutto dentro e questo non si dimentica. Se litigare o avere momenti bui nel rapporto di coppia è normale, un tempo non si diceva e non ci si confidava con le altre famiglie della parrocchia, perché le parrocchie alle volte hanno il brutto vizio di erigere a modello famiglie apparentemente perfette, come fossero mostri sacri con cui gli altri nel loro piccolo fanno i conti e non hanno il coraggio di dire quello che magari succede loro. Peccato che a distanza di 20 anni diverse di quelle famiglie modello ora le vedo sfasciate, con figli a loro volta separati e che non fanno frequentare la chiesa ai loro figli. Se quei bambini sapessero che i loro nonni erano l’«esempio di famiglia»! Troppo spesso nella realtà parrocchiale le famiglie sono lasciate sole. Io e altre amiche abbiamo sopportato da sole nel nostro cuore le crisi familiari, ma ce lo confidiamo solo ora a un passo dai nostri matrimoni in cui abbiamo paura di rivivere le crisi in cui le protagoniste potremmo essere noi questa volta e la paura è di far soffrire altri bambini. Tornando al mio Comune, il cartello pubblicitario che vorrei vedere è “Cosa ne sai del matrimonio?”. Con sotto magari scritto: “Sai che ci saranno momenti difficili? Ma nessuno è perfetto, è normale non essere famiglie perfette”! Qualche anno fa sono stata in “erasmus”, la città dove avevo scelto di studiare era a mille km da casa, le prime settimane sono state durissime, mi mancavano i miei amici, la parrocchia, il mio gruppo di ragazzi dove facevo l’animatrice, tutto, ambientarsi e trovare la mia strada lontana da casa è stato difficile tutti dicevano che l’ “erasmus” era l’esperienza più bella ci si divertiva un sacco, io invece continuavo a viverlo in negativo quei primi mesi. Nel periodo natalizio quando ancora mancavano 6 mesi alla fine del progetto, nel viaggio verso casa, ho conosciuto una ragazza italiana più grande di me, aveva vissuto la mia stessa esperienza “erasmus” in quella città anni prima ed era andata a trovare degli amici, durante il viaggio le raccontai le mie iniziali emozioni negative e di spaesamento e lei mi disse: «È normale, le hanno vissute tutti, ma nessuno te le racconta. Tutti ricordano solo i momenti belli perché poi sono quelli che prendono il sopravvento e ricorderai solo quelli, avrai voglia di raccontare a tutti solo quelli». E così è stato. I mesi a seguire sono stati bellissimi pieni di novità, di amici e di emozioni, vorrei che le famiglie che si occupano degli sposi, dell’accoglienza ad altre famiglie nelle parrocchie dicano questo. Siano come quella ragazza conosciuta in viaggio. Che nessuno si senta famiglia perfetta, ma aspiri con umiltà a esserlo sull’esempio della famiglia di Nazareth. Ai padri sinodali chiedo di accompagnarci, di

Page 28: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

ricordarci che anche noi giovani cresciuti in famiglie non perfette possiamo vivere la grazia del matrimonio, anche se abbiamo vissuto male quello delle nostre famiglie di origine. So che capirà, perché la prego di non mettere il mio nome e cognome ma soltanto le iniziali. Grazie. M.P. Risponde il direttore Marco Tarquinio: Capisco, certo, perché lei mi chiede di non firmare per esteso. E accetto la sua richiesta, cara amica, che non mi impedisce di pubblicare con rilievo questa bella lettera di una «fidanzata» (una donna che ha promesso a un uomo la propria «fede»), facendo risuonare le sue efficaci domande alla Chiesa e alla politica proprio nel giorno in cui il Sinodo dei vescovi sulla famiglia si mette al lavoro, cum Petro e sub Petro. Ho poche parole da aggiungere. Due sottolineature. La prima: chi amministra la sua città, come altre e come l’Italia intera, mostra di preoccuparsi più delle forme tenui di convivenza, che di quella che l’articolo 29 della Costituzione e la nostra cultura riconoscono come naturale base della famiglia: l’unione matrimoniale tra un uomo e una donna. Incomprensibile. E non perché non sia giusto, diciamo così, farsi carico delle 'debolezze' (in questo caso di unioni che possono finire facilmente con ovvie conseguenze su chi le ha formate e sugli eventuali figli), ma perché il bene comune vorrebbe che prioritariamente si incentivasse la forma di unione che più contribuisce a rendere saldo un tessuto sociale. La seconda sottolineatura riguarda il compito della Chiesa che – papa Francesco ce lo ha ricordato ieri sera – è essa stessa famiglia, capace di generare come una madre, prossima come un padre. Ha ragione, cara e giovane amica, a chiedere alle comunità parrocchiali parole e gesti accoglienti, sguardi giusti, serena fraternità verso le famiglie 'non perfette' (infragilite, separate, divorziate, ricostruite, allargate, formalmente mai cominciate …). Fa bene a ricordarci che la realtà propone anche tante di queste situazioni che, nei figli, possono generare – e di fatto generano – la 'paura del matrimonio', cioè la paura del 'per sempre', e tanto più in un tempo in cui si sperimentano forme di radicale precarietà in molti aspetti dell’esistenza. So che nelle comunità cristiane ci sono esperienze forti nella direzione che lei auspica, e so che non sono sufficienti. Così come so che i padri sinodali hanno messo testa e cuore su tutta, proprio tutta, la realtà familiare. Lei chiede al Sinodo di «accompagnare» i più giovani e l’intero popolo cristiano su una via di speranza. Credo che i padri riuniti con Francesco la stiano già ascoltando. Tutti insieme, con la preghiera e l’ascolto, facciamo loro lo stesso dono. Pag 5 “La famiglia è luce nel buio del mondo” Il Papa alla veglia per il Sinodo: la Chiesa casa aperta a chi è ferito e sofferente. Bagnasco: “La paura non dovrà prevalere sulla gioia” Pubblichiamo l’omelia pronunciata ieri sera dal Papa durante la Veglia di preghiera

promossa dalla Cei in piazza San Pietro in preparazione alla XIV Assemblea generale

ordinaria del Sinodo dei vescovi.

Care famiglie, buonasera! A che giova accendere una piccola candela nel buio che ci circonda? Non sarebbe ben altro ciò di cui c’è bisogno per diradare l’oscurità? Ma si possono poi vincere le tenebre? In certe stagioni della vita - questa vita pur carica di risorse stupende simili interrogativi si impongono con forza. Di fronte alle esigenze dell’esistenza, la tentazione porta a tirarsi indietro, a disertare e a chiudersi, magari in nome della prudenza e del realismo, fuggendo così la responsabilità di fare fino in fondo la propria parte. Ricordate l’esperienza di Elia? Il calcolo umano suscita nel profeta la paura che lo spinge a cercare rifugio. Paura. «Elia, impaurito, si alzò e se ne andò per salvarsi [...] Camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb. Là entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: 'Che cosa fai qui, Elia?'» (1 Re 19,3.8-9). Poi, sull’Oreb, troverà risposta non nel vento impetuoso che scuote le rocce, né nel terremoto e nemmeno nel fuoco. La grazia di Dio non alza la voce; è un mormorio, che raggiunge quanti sono disposti ad ascoltarne la brezza leggera: quel filo del silenzio sonoro li esorta ad uscire, a tornare nel mondo, testimoni dell’amore di Dio per l’uomo, perché il mondo creda... Con questo respiro, proprio un anno fa, in questa stessa Piazza, abbiamo invocato lo Spirito Santo, chiedendo che - nel mettere a tema la famiglia - i padri

Page 29: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

sinodali sapessero ascoltare e confrontarsi mantenendo fisso lo sguardo su Gesù, Parola ultima del Padre e criterio di interpretazione di tutto. Questa sera non può essere un’altra la nostra preghiera. Perché, come ricordava il patriarca Atenagora, senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, la Chiesa diventa una semplice organizzazione, l’autorità si trasforma in dominio, la missione in propaganda, il culto in evocazione, l’agire dei cristiani in una morale da schiavi. Preghiamo, dunque, perché il Sinodo che domani si apre sappia ricondurre a un’immagine compiuta di uomo l’esperienza coniugale e familiare; riconosca, valorizzi e proponga quanto in essa c’è di bello, di buono e di santo; abbracci le situazioni di vulnerabilità, che la mettono alla prova: la povertà, la guerra, la malattia, il lutto, le relazioni ferite e sfilacciate da cui sgorgano disagi, risentimenti e rotture; ricordi a queste famiglie, come a tutte le famiglie, che il Vangelo rimane 'buona notizia' da cui sempre ripartire. Dal tesoro della viva tradizione i padri sappiano attingere parole di consolazione e orientamenti di speranza per famiglie chiamate in questo tempo a costruire il futuro della comunità ecclesiale e anche della città dell’uomo. Ogni famiglia, infatti, è sempre una luce, per quanto fioca, nel buio del mondo. La stessa vicenda di Gesù tra gli uomini prende forma nel grembo di una famiglia, all’interno della quale rimarrà per trent’anni. Una famiglia come tante, la sua, collocata in uno sperduto villaggio della periferia dell’Impero. Charles de Foucauld, forse come pochi altri, ha intuito la portata della spiritualità che emana da Nazaret. Questo grande esploratore abbandonò in fretta la carriera militare, affascinato dal mistero della Santa Famiglia, del rapporto quotidiano di Gesù con i genitori e i vicini, del lavoro silenzioso, della preghiera umile. Guardando alla Famiglia di Nazaret, fratel Charles avvertì la sterilità della brama di ricchezza e di potere; con l’apostolato della bontà si fece tutto a tutti; lui, attratto dalla vita eremitica, capì che non si cresce nell’amore di Dio evitando la servitù delle relazioni umane. Perché è amando gli altri che si impara ad amare Dio; è curvandosi sul prossimo che ci si eleva a Dio. Attraverso la vicinanza fraterna e solidale ai più poveri e abbandonati, egli comprese che alla fine sono proprio loro a evangelizzare noi, aiutandoci a crescere in umanità. Per comprendere oggi la famiglia, entriamo anche noi - come Charles de Foucauld - nel mistero della Famiglia di Nazaret, nella sua vita nascosta, feriale e comune, com’è quella della maggior parte delle nostre famiglie, con le loro pene e le loro semplici gioie; vita intessuta di serena pazienza nelle contrarietà, di rispetto per la condizione di ciascuno, di quell’umiltà che libera e fiorisce nel servizio; vita di fraternità, che sgorga dal sentirsi parte di un unico corpo. È luogo - la famiglia - di santità evangelica, realizzata nelle condizioni più ordinarie. Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di andare lontano. È luogo del discernimento, dove ci si educa a riconoscere il disegno di Dio sulla propria vita e ad abbracciarlo con fiducia. È luogo di gratuità, di presenza discreta, fraterna e solidale, che insegna a uscire da se stessi per accogliere l’altro, per perdonare e sentirsi perdonati. Ripartiamo da Nazaret per un Sinodo che, più che parlare di famiglia, sappia mettersi alla sua scuola, nella disponibilità a riconoscerne sempre la dignità, la consistenza e il valore, nonostante le tante fatiche e contraddizioni che possono segnarla. Nella 'Galilea delle genti' del nostro tempo ritroveremo lo spessore di una Chiesa che è madre, capace di generare alla vita e attenta a dare continuamente la vita, ad accompagnare con dedizione, tenerezza e forza morale. Perché se non sappiamo unire la compassione alla giustizia, finiamo per essere inutilmente severi e profondamente ingiusti. Una Chiesa che è famiglia sa porsi con la prossimità e l’amore di un padre, che vive la responsabilità del custode, che protegge senza sostituirsi, che corregge senza umiliare, che educa con l’esempio e la pazienza. A volte, semplicemente con il silenzio di un’attesa orante e aperta. Soprattutto, una Chiesa di figli che si riconoscono fratelli non arriva mai a considerare qualcuno soltanto come un peso, un problema, un costo, una preoccupazione o un rischio: l’altro è essenzialmente un dono, che rimane tale anche quando percorre strade diverse. È casa aperta, la Chiesa, lontana da grandezze esteriori, accogliente nello stile sobrio dei suoi membri e, proprio per questo, accessibile alla speranza di pace che c’è dentro ogni uomo, compresi quanti - provati dalla vita - hanno il cuore ferito e sofferente. Questa Chiesa può rischiarare davvero la notte dell’uomo, additargli con credibilità la meta e condividerne i passi, proprio perché lei per prima vive l’esperienza di essere incessantemente rigenerata nel cuore misericordioso del Padre. Francesco

Page 30: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

Pubblichiamo il saluto rivolto dal cardinale presidente della Cei Angelo Bagnasco, a papa

Francesco durante la Veglia di preghiera di ieri sera in piazza San Pietro.

Santità, alla vigilia del Sinodo dedicato alla 'vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo', sono lieto di porgerle il più cordiale saluto. È l’abbraccio di tutta la Chiesa che è in Italia, con le sue diocesi e le sue parrocchie, comprese quelle che – non essendo potute essere qui questa sera – sono comunque intimamente unite a noi nella preghiera. È l’abbraccio, in particolare, di questa piazza: i presenti, partiti dalle loro case per convergere e stringersi attorno al successore di Pietro, Le portano con il loro affetto la bellezza e la forza dell’essere famiglia, quasi un’eco e un prolungamento della Giornata mondiale vissuta a Filadelfia e vivissima nei nostri animi. Come pastori ci sentiamo in prima linea nella promozione di questa realtà, che è «benedizione di Dio al capolavoro della creazione» (Francesco, Discorso ai vescovi, Filadelfia, 27.09.2015), cellula fondamentale della società umana e delle stessa comunità cristiana. L’esperienza quotidiana ci vede coinvolti in una trasformazione epocale della cultura sociale, che interessa profondamente la famiglia. Intendiamo riconoscere questo tempo come la condizione nella quale il Signore ci dona di vivere, credere e annunciare il suo Vangelo. Per questo non vogliamo lasciare che il lamento, la stanchezza o la paura prevalgano sullo stupore, sulla gioia e sul coraggio; né che le analisi, legate a un contesto in cui sembra vincere la dinamica del non legarsi a niente e a nessuno, ci frenino dalla disponibilità ad accompagnare i giovani nella scelta coraggiosa del matrimonio e dei primi anni della vita matrimoniale. Come pastori ci sentiamo provocati a cercare e custodire una familiarità sempre maggiore con Dio, consapevoli che, quando tale intimità è vera, non potrà che spingerci a farci sempre più prossimi alle famiglie, così da condividerne gioie e difficoltà, e camminare con tutti verso quella pienezza che nasce dalla comunione vissuta con il Signore Gesù e con i fratelli. Santità, con le nostre comunità cristiane ci impegniamo a pregare per lei e per i padri sinodali in occasione del confronto che animerà le prossime settimane. Possa - tale confronto - nutrirsi di «ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del popolo' e di 'ascolto del popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama» (Francesco, Veglia di preghiera, 4 ottobre 2014). Possa, soprattutto, sgorgare dal lasciarsi guardare negli occhi da Cristo Gesù, fino ad assumere il suo modo di pensare, di vivere e di relazionarsi. Per una Chiesa che, a propria volta, abbraccia e serve - con questo stesso sguardo misericordioso e vero - l’umanità del nostro tempo, donandole ciò che ha di più prezioso. Ci benedica, Padre Santo. Cardinale Angelo Bagnasco presidente della

Cei

Pag 7 “Castità tradita e rivendicazioni da paladino gay” di Giacomo Gambassi Parla il teologo morale Cozzoli Ammette che «sconcerta» l’intervista con cui monsignor Krzysztof Olaf Charamsa, teologo polacco di 43 anni, fino a ieri addetto di segreteria della Congregazione per la dottrina della fede, ha annunciato di essere omosessuale e di avere un compagno. E spiega che «sorprende che un ministro ordinato della Chiesa, il quale ben ne conosce la teologia, la tradizione e il magistero, riduca a scoop mediatico un problema abbastanza complesso e degno di intelligente attenzione come quello dell’orientamento e della relazione omosessuale». Monsignor Mauro Cozzoli, ordinario di teologia morale alla Pontificia Università Lateranense di Roma, scorge nelle affermazioni del sacerdote alla vigilia dell’inizio del Sinodo dei vescovi sulla famiglia un «intento dichiaratamente provocatorio». La conversazione di monsignor Charamsa ha avuto una vasta eco. Lui sostiene: “Dico alla Chiesa chi sono. Lo faccio per me, per la mia comunità, per la Chiesa”. Come leggere le sue parole? Non difettano certo di presunzione queste dichiarazioni con cui contrappone un suo magistero al magistero della Chiesa, facendolo valere come la verità all’altezza dei tempi. Dichiara di volere con la sua storia “scuotere la coscienza della Chiesa”, farle sapere che essa “non sta raccogliendo la sfida dei tempi”. Egli sa bene di cavalcare l’onda mediatica paladina della liberalizzazione dell’amore, ridotto a sentimento e orientamento soggettivo.

Page 31: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

Come si pone la comunità ecclesiale di fronte al tema dell’omosessualità? La questione è entrata anche nell’“Instrumentum laboris” del Sinodo in cui si sollecita la formazione di «progetti pastorali diocesani». L’attenzione non è niente affatto assente nella Chiesa, specialmente nella ricerca teologica e nella mediazione pastorale, delle quali è espressione autorevole il confronto sinodale in atto. Nei cui confronti l’intervista di monsignor Charamsa dimostra una colpevole ignoranza e una voluta e asserita interferenza. E l’omosessualità nel clero? Ciò che stupisce nell’intervista non è la dichiarazione di omosessualità, ma il carattere rivendicativo della stessa, elevata a “bandiera” della causa omosessuale. In fondo non è un problema un prete omosessuale. Vi sono, conosco anzi, dei preti omosessuali che non hanno bisogno (come tanti omosessuali peraltro) di esibire la propria omosessualità, perché serenamente riconciliati con essa. Preti che vivono con libertà la propria verginità. Questo per dire appunto che il problema non è l’omosessualità. Il problema è il tradimento del proprio impegno a vivere in castità perfetta, e a farsi paladino della relazione omosessuale, esibendo un proprio compagno come “bandiera” dell’amore gay, che la Chiesa deve riconoscere. Chiamandola a sconfessare l’ordo amoris iscritto nel libro della natura e della vita e in quello della Parola di Dio, che la Chiesa annuncia da sempre. Una bella pretesa da parte di un figlio della Chiesa e per di più di un teologo, vale a dire di un cultore del logos di Dio e del suo disegno di amore. Disegno con una sua grammatica e una sua semantica, che non è ad libitum dei sentimenti e degli orientamenti soggettivi. Se lei considera le dichiarazioni alla stampa una via non corretta, quale alternativa poteva avere monsignor Charamsa? Avrebbe fatto meglio a riconoscere l’incapacità a mantenere l’impegno di castità perfetta assunto prima dell’ordinazione sacerdotale. Ammetta, in altre parole, l’indisponibilità a vivere il proprio celibato. E non pretenda dalla Chiesa un sacerdozio a misura delle proprie aspettative. Di fatto la strada della dispensa dall’esercizio del ministero e quindi dal celibato. La Chiesa latina vuole, a ragion veduta, che i suoi preti siano celibi. Succede che alcuni, nonostante l’impegno liberamente assunto, si rendono poi conto di non riuscire a mantenerlo, rinunciando al proprio ministero. È ciò che avrebbe dovuto fare anche lui, evitando tutto il clamore mediatico intenzionalmente dato al suo abbandono e incolpando se stesso e non la Chiesa di non poter continuare a svolgere il ministero di prete. Torna al sommario CORRIERE DELLA SERA di domenica 4 ottobre 2015 Pag 2 Il teologo gay perderà tutti gli incarichi: “La sua scelta grave e irresponsabile” di Gian Guido Vecchi Il Vaticano: “Indebita pressione”. Francesco alla veglia tra i fedeli: la Chiesa unisca compassione e giustizia Città del Vaticano. Oltretevere si passa da una grande irritazione a una «tranquilla amarezza», secondo l’indole. Il «coming out» del monsignore vaticano che ha detto di essere gay e avere un compagno ha fatto il giro del mondo. E certo la risposta di padre Federico Lombardi, concordata parola per parola con la Segreteria di Stato vaticana e diffusa con un bollettino ufficiale in italiano, inglese e spagnolo, fa capire quanto l’intervista al Corriere di Krzysztof Charamsa non sia stata presa bene: «Si deve osservare che - nonostante il rispetto che meritano le vicende e le situazioni personali e le riflessioni su di esse -, la scelta di operare una manifestazione così clamorosa alla vigilia del Sinodo appare molto grave e non responsabile, poiché mira a sottoporre l’assemblea sinodale a una indebita pressione mediatica». I tempi della dichiarazione pubblica (e senza neanche aspettare di confidarsi prima con il Papa, come Charamsa ha sostenuto di voler fare), l’ammissione di avere da tempo una relazione, la «manovra di disturbo» su temi che non sono in discussione: la definizione di famiglia, il celibato sacerdotale. La reazione era scontata: «Certamente monsignor Charamsa non potrà continuare a svolgere i compiti precedenti presso la Congregazione per la dottrina della

Page 32: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

fede e le università pontificie», ha fatto sapere Lombardi. «Gli altri aspetti della sua situazione sono di competenza del suo ordinario diocesano», il vescovo della sua diocesi in Polonia. La sera, alla Veglia in San Pietro, è Francesco a dire l’essenziale al Sinodo che apre oggi: la Chiesa come «casa aperta» e «accogliente» per chi ha «il cuore ferito», il «rispetto per la condizione di ciascuno», l’avvertimento che «se non sappiamo unire la compassione alla giustizia finiamo per essere inutilmente severi e profondamente ingiusti». Fermo restando «il rispetto per le situazioni personali» precisato da Lombardi, il problema va oltre l’omosessualità. A parte le considerazioni sulla Chiesa - problematiche, per un officiale dell’ex Sant’Uffizio, segretario aggiunto della Commissione teologica nonché docente alla Gregoriana e al Regina Apostolorum - c’è la «pressione indebita» sul Sinodo e la violazione del voto di castità: e non sarebbe cambiato granché, se avesse avuto una compagna. È significativo il commento del gesuita James Martin, direttore della rivista America, voce nota del cattolicesimo progressista: «Sono per l’onestà, ma un prete deve essere fedele alla promessa di celibato che ha fatto all’ordinazione. È una promessa a Dio». Se uno non se la sente, si spiega Oltretevere, «per onestà» può sempre chiedere il passaggio allo stato laicale, senza tradire il voto. «Non ci devono essere pressioni», dice il cardinale Bagnasco: «La Chiesa ribadirà la sua vicinanza a tutte le situazioni». Eppure, ad essere preoccupati sono i padri sinodali che più si sono spesi per l’«accoglienza». La polemica rischia di fare il gioco delle posizioni di maggiore chiusura. I paragrafi su gay e divorziati, al Sinodo 2014, superarono la maggioranza assoluta ma non i due terzi necessari. Fu Francesco a volere che facessero parte lo stesso del testo di lavoro al nuovo Sinodo, perché se ne discutesse ancora: «Pubblicate tutto». «La grazia di Dio non alza la voce. È un mormorio che raggiunge quanti sono disposti ad ascoltarne la brezza leggera». Le parole più significative di Francesco, considerate le polemiche della vigilia, sono quelle che ha dedicato ieri all’elogio del silenzio. «Sinodo» significa, alla lettera, procedere «insieme» lungo la stessa «strada». Dopo la messa di oggi, i padri sinodali si riuniranno da domani per parlare di famiglia e dovranno guardare all’essenziale, senza distrazioni. Sapere «ascoltare» lo Spirito, mantenere fisso «lo sguardo su Gesù». Tra migliaia di donne, uomini bambini e lumi a rischiara-re la piazza, Francesco ha citato Atenagora: «Senza lo Spirito, Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, la Chiesa diventa una semplice organizzazione, l’autorità si trasforma in dominio, la missione in propaganda…». Il Papa vuole una Chiesa «aperta» e «accogliente», pronta a chinarsi sulle «situazioni ferite» e «vulnerabili», a «unire compassione e giustizia». Una Chiesa che «corregge senza umiliare» ed «educa con l’esempio e la pazienza» nel «rispetto della condizione di ciascuno». Più che parlare di famiglia, «mettersi alla sua scuola», ha detto Francesco: «Ogni famiglia è una luce, per quanto fioca, nel buio del mondo». Pag 3 Sinodo alla ricerca di mediazioni di Luigi Accattoli Al via l’assemblea che deve affrontare i nodi di divorziati e coppie di fatto nel solco delle aperture del Pontefice Tempesta alla vigilia del Sinodo sulla famiglia che apre oggi e lavorerà per tre settimane: il documento finale verrà votato sabato 24. Un teologo polacco del Vaticano (Krzysztof Olaf Charamsa) che fa un coming out quanto mai intempestivo con un’intervista al Corriere della Sera di ieri: «Sono gay, ho un compagno, vorrei che la mia Chiesa rivedesse la condanna dell’omosessualità». E c’erano stati subito prima due «ospiti» del viaggio di Francesco negli Stati Uniti che avevano raccontato d’averlo salutato familiarmente nella Nunziatura di Washington e che sono una militante antigay (Kim Davis) e un omosessuale dichiarato (Yayo Grassi) che è andato all’appuntamento papale con il compagno (Iwan Bagus). Si tratta di lampi e tuoni mirati all’assemblea sinodale, che ieri ha avuto un preludio di pace con una veglia in piazza San Pietro presieduta dal Papa, presenti novantamila persone. Oggi ci sarà una concelebrazione di Francesco con i 270 «padri sinodali» e domani partirà il dibattito. Il Sinodo tratterà della crisi della famiglia: giovani che non si sposano, difficoltà di prepararli a questo passo in contesti non favorevoli, rapide rotture del matrimonio, passaggio a nuove unioni. Ma dibatterà anche sulle coppie di fatto, sull’omosessualità, sul posto che possono avere

Page 33: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

nella Chiesa i divorziati risposati. Su questi argomenti marginali rispetto all’insieme - ma che sono proprio i più controversi - riparte ora lo psicodramma dell’anno scorso, quando si fece il primo dei due Sinodi sulla famiglia, convocati da un Papa che non ha paura del dibattito. L’anno scorso il rumore finì riassorbito da una conclusione mediana e dal rinvio delle questioni più ardue alla nuova assemblea. Con quale prospettiva si apre dunque il Sinodo? La stessa prospettiva di quanto già visto l’anno scorso, cioè di un esito mediano largamente condiviso: così assicurano il segretario generale del Sinodo, cardinale Lorenzo Baldisseri, responsabile della macchina sinodale; e il segretario speciale, l’arcivescovo Bruno Forte, il coordinatore dei «periti» ai quali è stato affidato l’approfondimento del tema famiglia. La previsione ha tre fuochi: vivo dibattito tra i «padri», forse più acceso rispetto a quello dell’anno scorso; raddoppiata baruffa mediatica, che stavolta del resto è già partita con una settimana d’anticipo; nessun esito interpretabile come ribaltone dottrinale, o «Papa in minoranza». È verosimile che il Sinodo faccia proprie tutte le aperture segnalate dal Papa in questi due anni e mezzo: migliore accoglienza in parrocchia, nei gruppi e nelle associazioni sia per le coppie di fatto, sia per gli sposati soltanto civilmente, in vista di un loro graduale «accompagnamento» al «matrimonio sacramento»; il riconoscimento di qualche ruolo ecclesiale ai divorziati risposati, tipo testimoni e padrini nei sacramenti; l’invito alla misericordia - in confessionale - nei confronti dei risposati che vivono una conversione e compiono un «cammino penitenziale» ma non possono tornare indietro (perché, poniamo, ci sono nuovi figli con il nuovo partner); un atteggiamento non giudicante, ma nessun riconoscimento pratico, verso l’omosessuale che «cerca Dio». In conclusione si dovrebbe arrivare - dicono in Vaticano - a una reimpostazione dell’intera «pastorale familiare» in vista del metodo dell’accompagnamento che si diceva e a molti piccoli aggiustamenti del linguaggio, della disciplina e della prassi, nel segno di una maggiore flessibilità verso le situazioni irregolari. Ma nessuna decisione clamorosa che tocchi la dottrina. Ed è immaginabile che il Papa promulghi rapidamente, come già l’anno scorso, le decisioni del Sinodo. Pag 5 “Andrò in Spagna. Ho solo due valigie. Il Sant’Uffizio cuore d’omofobia” di Elena Tebano Monsignor Charamsa con il compagno Roma. Monsignor Krzysztof Charamsa è in piedi di fronte a un gruppetto di fotografi e giornalisti in un ristorante romano a due passi da Piazza del Popolo. Parla insistendo sulle parole e muovendo le braccia come chi è abituato a predicare da un pulpito. Dice parole inimmaginabili nella vicinanza di qualsiasi pulpito. «Io devo chiedere perdono ai fratelli e sorelle omosessuali, lesbiche, bisessuali, transessuali e intersessuali - afferma -: lo faccio per quanto posso come povero membro della Chiesa cattolica a nome di questa comunità di fede. Vi chiedo perdono per i ritardi epocali, per le vostre sofferenze, per la vostra esclusione. Vi chiedo perdono che vi abbiamo reso lebbrosi del nostro tempo, che chiedono misericordia per essere toccati da Gesù, da Dio. Chiedo perdono anche a nome mio, per ogni momento del mio sofferto silenzio tra le mura della congregazione per la Dottrina della fede, quando ero testimone di una esasperata paranoica omofobia», dichiara nel silenzio interrotto solo dai clic ripetuti delle macchine fotografiche. Insiste sulla «esasperazione» che lo ha convinto «a parlare di ciò che ho vissuto tra le mura del Santo Uffizio, cuore di omofobia irrazionale», e a «uscire dall’armadio», come ripete più volte in una letterale e buffa traduzione dell’espressione inglese «coming out of the closet», «dichiararsi gay». Infine il suo coming out lo dedica «alla persona che amo, al mio Eduard». Lo chiama («vieni qui») e aggiunge: «Senza di lui non avrei saputo come trasformare la mia paura nella forza dell’amore. E lo dico come sacerdote cattolico innamorato di un uomo». Eduard Planas, un bell’uomo di 44 anni, catalano, atterrato a Roma soltanto il giorno prima da Barcellona, fa un passo avanti e gli posa una mano sulla spalla. Per altri dieci minuti il Monsignore ufficiale della Congregazione della Dottrina della Fede, segretario ufficiale della Commissione teologica internazionale vaticana continua a scandire il suo «manifesto di liberazione» per i gay cattolici con un altro uomo stretto al suo fianco. Non c’è più spazio per le argomentazioni lucide e razionali con cui il giorno prima ha spiegato al Corriere le ragioni del suo coming out, il tono si scalda sempre più, le risate nervose si alternano agli slanci, la fronte gli si

Page 34: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

imperla: sembra che faccia fatica a trattenere qualcosa di troppo grande e doloroso per poter essere sostenuto a lungo. L’immagine sconcertante del sacerdote in clergyman accanto a un altro uomo fa subito il giro del mondo, ma per lui quel gesto è soltanto la conseguenza logica e necessaria di un «cammino spirituale e personale» iniziato anni prima, quando ancora seguiva e argomentava nei suoi numerosi articoli teologici la dottrina della Chiesa che condanna l’omosessualità come un «disordine intrinseco», cercando di «convincermi della sua validità». Charamsa è arrivato a piedi accompagnato da Eduard dal bed and breakfast in un quartiere di immigrati in cui avevano cercato una sistemazione (lui normalmente vive in un convento), dopo una mattinata iniziata «con il segno della croce». Non ha letto i giornali, solo qualche titolo sul telefonino, né ha guardato la televisione («non ce l’ho»). Non ha ricevuto telefonate ufficiali dalle istituzioni vaticane. Così scopre dai cronisti che il Vaticano ha annunciato la sua rimozione da tutti gli incarichi ufficiali. Non sa ancora che Ryszard Kasyna, vescovo di Pelplin (Polonia), colui che dovrà materialmente sospenderlo dal ministero sacerdotale, gli ha chiesto di «tornare sulla via del sacerdozio di Cristo» e di rinunciare alle sue affermazioni «contrastanti con le Sacre Scritture e il magistero della Chiesa cattolica». Solo quando l’assalto delle domande si fa insopportabile e sale sulla macchina che lo porta via, cede alle lacrime: «Sono una persona anch’io», mormora mentre Eduard lo stringe. Eppure sembra che si sia finalmente liberato da un peso. «Era tanto che volevo farlo, ma non mi decidevo mai a scrivere la prima mail, perché sapevo che da quel momento sarei stato fuori dalla Chiesa. Molti mi hanno chiesto del celibato, perché non ho lasciato prima visto che ho un compagno - aggiunge -. Ma come avrei potuto affrontare tutto questo da solo?». Eduard lo guarda e aggiunge: «Quando l’ho conosciuto era morto di paura». Il pomeriggio Charamsa avrebbe voluto visitare il convegno organizzato dalla rete degli omosessuali cattolici, il Global Network of Rainbow Catholics, ma quando la macchina si avvicina all’edificio che lo ospita, la ressa di giornalisti e fotografi lo convince a proseguire oltre: «Non voglio suscitare altro clamore - spiega -. Spero soltanto che il Sinodo si confronti sulla questione dei credenti gay e delle loro famiglie. Se ho deciso di parlare adesso è perché temevo che non sarebbe accaduto: la questione era sparita da qualsiasi dichiarazione ufficiale. Invece è fondamentale che la Chiesa quando parla di famiglia prenda in considerazione tutte le famiglie che esistono nella nostra realtà». Siamo alla fine. «Adesso voglio solo stare un po’ tranquillo». Dice che la sua più grande preoccupazione, ora, è riuscire a far stare le sue cose in due valige prima di lasciare le stanze nel convento romano dove vive: «Prenderò quello che riesco, il resto lo lascerò alle suore: ho già il biglietto per Barcellona. Poi lì mi cercherò un lavoro». Pag 6 “Se vanno avanti sulle unioni civili le proteste non mancheranno” di Aldo Cazzullo Intervista al card. Camillo Ruini Cardinal Ruini, quale impressione le ha fatto il «coming out» di monsignor Charamsa? «Un’impressione di pena, più ancora che di sorpresa, soprattutto per il momento che ha scelto». L’intervista al «Corriere» ha avuto un’eco molto vasta. Influirà sul Sinodo? «Non farà certo piacere ai sinodali, ma non avrà alcun influsso sostanziale» . Dice monsignor Charamsa: «La Chiesa capisca che la soluzione proposta ai gay credenti, l’astinenza dalla vita d’amore, è disumana». Lei cosa si sente di rispondergli? «Gli direi molto semplicemente: come prete ho anch’io l’obbligo di tale astinenza e in più di sessant’anni non mi sono mai sentito disumanizzato, e nemmeno privo di una vita di amore, che è qualcosa di molto più grande dell’esercizio della sessualità». È parso però che il Papa abbia aperto al dialogo, quando disse «chi sono io per giudicare un omosessuale che cerca Dio?». «Questa è forse la parola più equivocata di papa Francesco. Si tratta di un precetto evangelico - non giudicare se non vuoi essere giudicato - che dobbiamo applicare a tutti, omosessuali evidentemente compresi, e che ci chiede di avere rispetto e amore per tutti. Ma papa Francesco si è espresso più volte chiaramente e negativamente sul matrimonio tra persone dello stesso sesso».

Page 35: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

Esiste una «lobby gay» ai vertici della Chiesa? Il Papa stesso lo disse, sia pure in un incontro informale. «Si sentono molte chiacchiere in merito. Se sono vere, è una cosa triste, sulla quale bisogna fare pulizia. Personalmente però non ho elementi per parlare di lobby gay, e non vorrei calunniare persone innocenti». Dica la verità: al di là del rispetto e anche dell’obbedienza, papa Bergoglio lascia perplessi voi cardinali legati alla stagione di Wojtyla e di Ratzinger. «Non ho difficoltà a riconoscere che tra papa Francesco e i suoi predecessori più vicini ci sono differenze, anche notevoli. Io ho collaborato per vent’anni con Giovanni Paolo II, poi più brevemente con papa Benedetto: è naturale che condivida la loro sensibilità. Ma vorrei aggiungere alcune cose. Gli elementi di continuità sono molto più grandi e importanti delle differenze. E fin da quando ero uno studente liceale ho imparato a vedere nel Papa prima la missione di successore di Pietro, e solo dopo la singola persona; e ad aderire con il cuore, oltre che con le parole e le azioni, al Papa così inteso. Quando Giovanni XXIII è succeduto a Pio XII, i cambiamenti non sono stati meno grandi; ma già allora il mio atteggiamento fu questo». In Francesco rivede papa Giovanni? «Per vari aspetti, sì. Bisogna essere ciechi per non vedere l’enorme bene che papa Francesco sta facendo alla Chiesa e alla diffusione del Vangelo». Francesco è un Papa «di sinistra»? Le differenze non sono soltanto nello stile, non crede? «Certo le differenze non sono solo di stile. Ma non toccano la missione di principio e fondamento visibile dell’unità della fede e della comunione di tutta la Chiesa. Quanto all’essere di sinistra, lo stesso papa Francesco vi è tornato sopra più volte, dicendo che la sua è semplicemente fedeltà al Vangelo, non una scelta ideologica. Ultimamente ha pure aggiunto, scherzando, di essere “un po’ sinistrino”… se ricordo le parole esatte». C’è il rischio che il Papa sia strumentalizzato sul piano ideologico, come teme il cardinale Scola? «Che certe prese di posizione del Papa vengano enfatizzate e altre passate quasi sotto silenzio, è più di un rischio; è un fatto. Più che di strumentalizzazioni parlerei di schemi applicati alle personalità pubbliche; schemi ai quali i media si affezionano e difficilmente rinunciano. È successo anche a me: mi collocavano sempre nello schema». Ad esempio? «Sul matrimonio gay presi la posizione più aperta che si poteva prendere; ed è stata giudicata la più chiusa». Lei disse che si potevano riconoscere diritti individuali. «E ora lo dicono giuristi come Mirabelli. Tutti i diritti individuali si possono riconoscere e molti sono già stati riconosciuti». Ma l’Italia non ha ancora una legge sulle unioni civili. Le norme di cui si discute in Parlamento richiamano il modello tedesco, non quello francese e spagnolo: niente matrimonio, niente adozioni. Perché un cattolico non potrebbe votarle? «Proprio il modello tedesco prevede che le copie omosessuali abbiano in pratica tutti i diritti del matrimonio, eccetto il nome. E la proposta di legge su cui si discute in Parlamento apre uno spiraglio pure all’adozione. Si sa benissimo, e alcuni sostenitori della proposta lo dicono chiaramente, che una volta approvata si arriverà presto ai matrimoni tra persone dello stesso sesso e alle adozioni. Personalmente condivido il commento del cardinale Parolin, dopo il referendum in Irlanda: “Il matrimonio omosessuale è una sconfitta dell’umanità”. Perché ignora la differenza e complementarità tra uomo e donna, fondamentale dal punto di vista non solo fisico ma anche psicologico e antropologico. L’umanità attraverso i millenni ha conosciuto la poligamia e la poliandria, ma non per caso il matrimonio tra persone dello stesso sesso è una novità assoluta: una vera rottura che contrasta con l’esperienza e con la realtà. L’omosessualità c’è sempre stata; ma nessuno ha mai pensato di farne un matrimonio» . Ci sarà anche in Italia un movimento di protesta contro le unioni civili? «Le avvisaglie ci sono già state con la manifestazione del 20 giugno in piazza San Giovanni. L’organizzazione è stata minima, e il riscontro mi ha colpito molto: si è parlato di 300 mila persone. Se si andasse avanti per una certa strada, difficilmente le proteste mancheranno». Lei ha detto al «Corriere» che l’ondata libertaria rifluirà, come è rifluita l’ondata marxista. Come fa a esserne così certo?

Page 36: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

«Non ho detto che rifluirà, ma che potrebbe rifluire. La possibilità e la speranza, non la certezza, di un cambiamento di direzione è suggerita dal contrasto tra l’ondata libertaria e il bene dell’umanità, che non è una somma di soggetti chiusi in se stessi, ma una grande rete in cui ciascuno ha bisogno degli altri. Mi stupisce che i governanti, che dovrebbero avere a cuore la coesione, non si rendano conto che in questo modo avranno società sbriciolate». È possibile riammettere alla comunione i divorziati risposati? «No. I divorziati risposati non si possono riammettere alla comunione non per una loro colpa personale particolarmente grave, ma per lo stato in cui oggettivamente si trovano. Il precedente matrimonio continua infatti a esistere, perché il matrimonio sacramento è indissolubile, come ha detto papa Francesco nel volo di ritorno dall’America. Avere rapporti sessuali con altre persone sarebbe oggettivamente un adulterio». È possibile pensare a eccezioni caso per caso? «Non mi piace la parola “eccezioni”. Sembra voler dire che ad alcuni si concede di prescindere dalla norma che li riguarda. Se invece il senso è che ogni singola persona e ogni singola coppia vanno considerate in concreto per vedere se quella norma le riguarda o non le riguarda, questo è un principio generale che va tenuto presente sempre, non solo per il matrimonio ma per tutto il nostro comportamento». In astratto è possibile quindi che un divorziato risposato riceva la comunione? «Sì, se il matrimonio è dichiarato nullo». Le nuove disposizioni al riguardo non rischiano di ammorbidire il vincolo, di introdurre una sorta di divorzio cattolico? «Il rischio può esistere solo se le nuove disposizioni non vengono applicate con serietà. Bisogna migliorare anzitutto la preparazione dei giudici. Introdurre surrettiziamente una specie di divorzio cattolico sarebbe una pessima ipocrisia, molto dannosa per la Chiesa e per la sua credibilità. Ma la decisione di papa Francesco, che molti di noi - me compreso - auspicavano, non ha niente a che fare con un’ipocrisia del genere». Se la mancanza di fede di uno degli sposi può portare alla dichiarazione di nullità, non si aprono spazi molto vasti? «Certo. E per questa ragione papa Benedetto, pur essendo convinto che la fede sia necessaria per il matrimonio sacramentale come per ogni altro sacramento, è stato molto prudente nel trarre da questo principio conseguenze pratiche. Anche papa Francesco si è limitato a indicare la mancanza di fede come una delle circostanze che possono consentire il processo più breve davanti al vescovo, quando questa mancanza di fede generi la simulazione del consenso, o produca un errore decisivo quanto alla volontà di sposarsi. Scherzosamente potrei dire che chi si è spinto più avanti su questa strada sono piuttosto io, nel mio contributo al libro degli undici cardinali che esce in questi giorni...». Una famiglia di migranti in ogni parrocchia: la convince? O condivide le perplessità dell’arcivescovo di Bologna? «Il cardinale Caffarra ha messo in luce le condizioni senza le quali l’accoglienza diventa difficile, e può anche essere controproducente. Cercare di realizzarle è un servizio e non un ostacolo all’accoglienza». Caffarra sostiene che bisogna accogliere i migranti «conosciuti». «Conosciuti nel senso di identificati. Diciamo la verità: molti anche nella Chiesa non accolgono nessuno; molti accolgono così, alla garibaldina. Bisognerebbe trovare una via di mezzo». LA REPUBBLICA di domenica 4 ottobre 2015 Pagg 12 – 13 Il teologo gay: ecco l’uomo che amo. L’ira del Vaticano: attacco al Sinodo di Marco Ansaldo e Paolo Griseri Il coming out di monsignor Charamsa subito sospeso da ogni incarico. “Anch’io ero stanco di mentire, prima hanno cercato di curarmi e poi sono stato messo alla porta” Città del Vaticano - Una giornata di fuoco in Vaticano. Con uno scontro durissimo, tutto interno, sui preti gay. E il rischio di veder condizionati i temi in agenda del Sinodo sulla famiglia, che si apre domani nella Santa Sede, considerato come decisivo nel confronto che oppone Papa Francesco ai cardinali conservatori. Entrambi gli schieramenti temono ora un complotto dalla parte avversa. È da qualche giorno che le polemiche su casi di

Page 37: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

omosessualità turbano la vigilia dell’importante assemblea. Prima il breve incontro avvenuto durante la visita papale, a Washington, fra il Pontefice e la funzionaria del Kentucky, Kim Davis, arrestata per essersi rifiutata di celebrare nozze gay. Poi la visita nella nunziatura a Jorge Bergoglio da parte di un suo studente argentino, giunto con il compagno di vita. Ieri la bomba è scoppiata con il “coming out” pubblico di monsignor Krzysztof Charamsa, teologo, 43 anni, polacco, da 17 anni residente a Roma, ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede e docente in alcune università pontificie. Prima un’intervista al Corriere della sera, poi un incontro con i giornalisti in un ristorante del centro: «Voglio che la Chiesa e la mia comunità sappiano chi sono: un sacerdote omosessuale, felice e orgoglioso della propria identità. Sono pronto a pagarne le conseguenze ma è il momento che la Chiesa apra gli occhi di fronte ai gay credenti e capisca che la soluzione che propone loro, l’astinenza totale dalla vita d’amore è disumana». Imbarazzo generale in Vaticano, e poi, a mezzogiorno, una insolitamente dura dichiarazione del direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi: «La scelta di operare una manifestazione così clamorosa alla vigilia dell’apertura del Sinodo appare molto grave e non responsabile, poiché mira a sottoporre l’assemblea sinodale a una indebita pressione mediatica». E ancora: «Certamente monsignor Charamsa non potrà continuare a svolgere i compiti precedenti presso la Congregazione per la dottrina della fede e le università pontificie, mentre gli altri aspetti della sua situazione sono di competenza del suo ordinario diocesano». Cioè il vescovo polacco di Pelplin. Una bordata giunta dall’interno, e dal suo vertice, che non ha però fermato il monsignore polacco, ormai deciso nel dare battaglia. Con una scelta, quella di parlare pubblicamente, presa da tempo e con l’obiettivo di farlo proprio prima dell’inizio dei lavori sinodali. Ieri Charamsa, capelli brizzolati, occhiali leggeri, in clergyman, ha ribadito tutto in una improvvisata conferenza stampa in un ristorante della “dolce vita romana” (da lui definito come «un po’ felliniano»). Dopo aver presentato il suo compagno Eduard («l’uomo che amo»), un giovane originario della Catalogna, ha definito la sua Congregazione, cioè l’ex Sant’Uffizio, come «il cuore di un’omofobia paranoica», affermando che sono «tantissimi i sacerdoti omosessuali che non hanno la forza di uscire dall’armadio». Quindi ha proseguito nel suo attacco: «Voglio dire alla mia Chiesa che rifiuto e denuncio l’esasperata e spesso paranoica omofobia dei nostri ambienti, che non possiamo più odiare le minoranze sessuali perché così odiamo l’umanità». Il sacerdote polacco ha quindi annunciato la prossima uscita di un suo libro sull’argomento. A questo punto gli occhi di tutti si sono concentrati sulla veglia del Sinodo, organizzata a metà pomeriggio dalla Conferenza episcopale italiana. Sono stati così il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco («la Chiesa ribadirà la sua vicinanza a tutte le situazioni, il Papa vuole una riflessione a tutto campo»), e il segretario generale, monsignor Nunzio Galantino («la famiglia resta una fabbrica di speranza, vogliamo anche noi gridare, ma non contro nessuno»), ad accogliere l’arrivo di Francesco davanti a 90mila persone. Con la notizia della cacciata del reprobo da tutti i suoi incarichi, erano molti i fedeli a chiedersi quale effetto avrà il caso sui lavori del Sinodo. Tra l’altro Charamsa è un ufficiale appartenente alla Congregazione guidata dal cardinale Gerhard Ludwig Mueller, capofila dei conservatori nella Curia e ben noto per essere molto critico con le riforme chieste da Bergoglio. Tra i cambiamenti proposti dagli aperturisti i due punti principali in discussione riguardavano la comunione ai divorziati risposati e l’accoglienza verso gli omosessuali. Ora l’agenda, che sulla famiglia prevede diversi altri temi, pare sovvertita: se fino all’altro giorno l’attenzione andava ai sacramenti da dare, ora l’argomento dei gay ha avuto un’accelerazione. Con un Papa che incontra, ormai ciclicamente, questo tema fin dall’inizio del suo pontificato: dalla denuncia sull’esistenza di una «lobby gay» durante Vatileaks, alle parole dette in aereo sugli omosessuali («chi sono io per giudicare?»), fino al caso dell’ambasciatore francese Laurent Stefanini a cui è stato rifiutato il gradimento presso la Santa Sede per la sua dichiarata omosessualità nonostante le ottime doti di diplomatico. Ormai è un "ex". Racconta con distacco. O almeno ci prova. Poi però aggiunge una riflessione che non ti aspetti: "Eh sì, forse è stato lui a licenziarmi. O qualcuno del suo ufficio". Parla di Monsignor Krzystof Charamasa, il gay del Sant'Uffizio che ha fatto coming out provocando l'ira del Vaticano. Don Mario Bonfante, 44 anni, non è più un prete cattolico dall'ottobre di tre anni fa. Quando parla del "licenziamento" si riferisce

Page 38: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

alla decisione della Curia romana di aprire un processo canonico contestandogli un atteggiamento verso la sessualità non consono alla dottrina. Don Bonfante, come le hanno detto che la sua omosessualità non era gradita? "Mi ha convocato il vescovo. Ero viceparroco in Sardegna, a Guspini. Ha cominciato a fare allusioni, giri di parole. L'ho interrotto. Gli ho detto: 'Eccellenza mi volete allontare per la mia omosessualità?'. Mi ha risposto che sì, non era opportuna. Ho replicato che il suo predecessore, il vescovo che mi aveva ordinato sacerdote, era perfettamente a conoscenza del fatto che sono un omosessuale. Non è servito. Nonostante le proteste dei parrocchiani sono stato allontanato. Voleva mandarmi in terapia". Esiste una terapia per l'omosessualità? "La chiamo io terapia. Esiste un convento nel Nord Italia dove vengono mandati a riflettere i sacerdoti che manifestano tendenze sessuali non consone. Un luogo dove ti aiutano a ritrovare la retta via. Mi sono rifiutato di andarci". Monsignor Charamsa: ''Chiedo perdono agli omossesuali per i ritardi della Chiesa'' Che cosa ha fatto senza parrocchia? "Sono tornato nella mia Lombardia. Il vescovo di Milano era Dionigi Tettamanzi. Ho ottenuto un accordo tra la diocesi sarda e quella milanese, un accordo che si rinnovava ogni anno, una specie di co. co. pro. Sono stato sacerdote a Milano fino a quando, con l'arrivo di Angelo Scola, è stato deciso di interrompere il contratto. Intanto dal Vaticano hanno scelto di aprire il processo canonico per spretarmi". Negli anni di sacerdozio lei ha mai dato scandalo ostentando la sua omosessualità? "Non la nascondevo e non la sbandieravo". Come ha potuto predicare una dottrina contraria al suo comportamento personale? "Non ho mai tenuto omelie contro l'omosessualità, contro i separati, contro la comunione ai risposati. Sono tutti argomenti su cui nella Chiesa c'è discussione, non ci sono nel Vangelo indicazioni vincolanti". Quando ha deciso di uscire? "Sono tornato in Sardegna dove risiedeva il mio vescovo. Mi ha detto che nei documenti arrivati dal Vaticano c'erano riferimenti a miei comportamenti sessuali che avevano dato scandalo. Ho chiesto di sapere quali. Ho appreso così che mi accusavano di aver avuto una relazione con una giovane parrocchiana. Mi sono permesso di sorridere. Un omosessuale che ha rapporti con donne, mi è sembrato troppo. Ho deciso di uscire da quella tomba". Monsignor Charamsa: ''Denuncio la paranoica omofobia dei nostri ambienti'' Perché la chiama "tomba"? È pur sempre la Chiesa... "Perché è stata trasformata in una tomba dalle gerarchie. E non è facile uscirne. Nel 2012, a 41 anni, io ho avuto l'opportunità di ricostruirmi una vita, sono un libero professionista, guadagno il necessario. Ma sa quanti sacerdoti di 50-60 anni vivono con angoscia, nel terrore che la scoperta della loro omosessualità li rovini, li privi dello stipendio mensile, li lasci senza un mezzo di sostentamento? E allora vivono storie clandestine, si incontrano in saune di periferia. È questa la pienezza di vita che predichiamo?". Dunque meglio uscire dalla tomba? "Quest'estate ero a Londra dove mi hanno chiesto di predicare in occasione del raduno della chiesa cui ho aderito, la Metropolitan Community Church di Los Angeles, fondata nel 1968 da un ex pastore pentecostale, cacciato dalla sua chiesa perché omosessuale. Ho predicato sul passo della risurrezione di Lazzaro. Anche Lazzaro è risorto a nuova vita. E sa come è scritto nel Vangelo in inglese? 'Come out'". Dunque monsignor Charamsa è uscito dalla tomba? "Anche lui. E questo mi fa felice ". Anche se potrebbe essere stato tra coloro che hanno istruito il processo contro di lei? "A maggior ragione. Vede, spesso siamo i più accaniti censori dei comportamenti degli altri che ci ricordano le nostre contraddizioni ". Pag 15 Il card. De Paolis: “Sulla castità non si transige. Più selezione nei seminari”. Il parroco Santoro: “Così la chiesa resta indietro, è ora di abolire il celibato” di Paolo Rodari Testi non disponibili

Page 39: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

IL GAZZETTINO di domenica 4 ottobre 2015 Pag 1 Il Santo Padre e quella lobby sempre più potente di Francesco Ruffini Almeno una bugia Krzysztof Charamsa, il prelato che ha rivelato di essere gay e di avere un compagno, l’ha detta. Ha descritto la Congregazione per la dottrina della fede, organismo vaticano dove per diciassette anni ha fatto comoda e ben retribuita carriera, come un ambiente ferocemente omofobo. Ma, come espresso da Papa Francesco nella sua prima conferenza stampa volante, al ritorno dal viaggio a Rio de Janeiro per la Giornata mondiale della gioventù del 2013, il problema non sono i preti gay, sono le lobby. E qui si inserisce la vera novità dell’outing annunciato dal prete polacco. Papa Ratzinger, che da prefetto della Dottrina della Fede aveva letto numerosi dossier, aveva provato con gentile determinazione a far abbassare la testa a molti esponenti della lobby gay vaticana non ricevendo però, nemmeno in questa occasione, aiuto da parte dei suoi collaboratori. All’arrivo di Papa Francesco poi si sperava che, tralasciando per un istante il pastorale, egli prendesse in mano quella scopa che i cardinali che lo avevano eletto indicavano come necessario corredo all’azione del futuro pontefice. A oggi, la lobby gay è più viva che mai e sta esprimendo personaggi anche apicali del sistema papale. Inutile nascondersi, rilevanti personaggi vaticani nel loro modo di vivere e di agire sono “sostenuti” da una rete di complicità che sfida ogni controllo. Anzi, sono talmente sostenuti da essere capaci di condannare alla damnatio memoriae chiunque osi raccontare, anche marginalmente, ciò che fanno o dicono. E non è difficile supporre che l’ardito monsignor Krzysztof sia l’avanguardia di un “qualcosa” che nell’imminente Sinodo voglia far sentire il peso della propria presenza in un’assise che, dopo l’edizione dello scorso anno volutamente “consultiva”, Papa Francesco ha già affermato voler considerare “deliberativa”: ciò che i vescovi riuniti a Roma decideranno, nel bene e nel male, sarà dal Papa reso operativo. E il pistolotto del prelato polacco in favore della “famiglia” e del matrimonio, anche omosessuale, dei preti si rivela un escamotage dialettico solo di facciata in quanto Papa Francesco ha revocato l’interdetto che proibiva ai preti cattolici sposati, appartenenti agli altri undici riti della comunione cattolica, di risiedere nei territori dei riti romano e ambrosiano con sacerdoti celibi. Tra pochi anni, anche Roma vedrà preti romeni, ucraini o libanesi oppure etiopi ed eritrei, o indiani, vivere nelle loro parrocchie con moglie e figli. Nelle diocesi di rito orientale del Sud Italia, la Chiesa trova con difficoltà candidati all’episcopato (i vescovi devono essere celibi) perché i sacerdoti hanno scelto tutti di avere famiglia e nel mondo cattolico migliaia di preti, giunti da altre confessioni cristiane, svolgono il loro servizio ministeriale anche se coniugati. Una delle grandi intuizioni di Benedetto XVI è stata proprio quella di introdurre in modo “naturale” l’ordinazione di uomini sposati con una grande apertura a “talenti” che la storia (forse pure la Provvidenza) sta regalando ad un cattolicesimo che nella città eterna si sta trasformando in una caricatura. Non per nulla una notizia di pochi giorni fa ci svela un vescovo molto mediatizzato che, a causa di uno scherzo radiofonico, ci introduce nella dimensione plastica di cosa significhi essere “un carrierista in tonaca” a Roma. Forse anche qualche cardinale che si considera più teologo del Papa, il “teologo” per eccellenza, dovrebbe fare attenzione. Perché, questo sinodo è l’ultimo appello anche per la curia di Roma. Pag 2 Teologo: “Sono gay, ecco il mio fidanzato”. Licenziato in diretta di Franca Giansoldati Clamorosa rivelazione scuote la Chiesa alla vigilia del sinodo: “Mossa grave e irresponsabile, è un’indebita pressione”. Celibato, la regola che divide sempre E (forse) vissero felici e contenti. Sono passate da poco le 13, in una via limitrofa a piazza del Popolo, davanti al ristorante 59, famoso per aver ospitato a pranzo Federico Fellini, una Golf grigia se ne va sotto i flash di una selva di fotografi e cameraman. A bordo c'è una coppia (di promessi sposi) che sprizza gioia da ogni poro. Eduardo, spagnolo di Barcellona, e Krzysztof Charamsa, il primo monsignore del Vaticano, docente di teologia in diverse università pontificie ad avere avuto l'ardire di uscire allo scoperto annunciando urbi et orbi la sua omosessualità, ammettendo così, indirettamente, la presenza di una nutrita lobby gay al di là del Tevere. «I preti omosessuali sono tanti».

Page 40: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

Quanti? Krzysztof dribbla. «Ho un compagno stabile che amo moltissimo» sussurra indicando Eduardo che gli si avvicina con delicatezza. Il coming-out, intanto, gli è già costato il posto di lavoro, visto che nel preciso istante in cui comunicava la sua decisione, un comunicato vaticano annunciava in diretta il suo siluramento. Una mossa «molto grave e non responsabile», una «indebita pressione mediatica sul sinodo per la famiglia che inizia oggi». Morale: «l'ecclesiastico non potrà più continuare a svolgere i compiti precedenti presso la Congregazione per la dottrina della fede e le università pontificie». Fine della comunicazione. Il resto delle conseguenze, e cioè la possibile riduzione allo stato laicale, dipenderà dalle decisioni del suo vescovo in Polonia. Insomma, per ora è licenziato in tronco, poi si vedrà. Le conseguenze economiche però non sono sembrate angustiarlo più di tanto. Ha scritto un libro sulla sua storia. Uscirà presto in italiano ed è già stato tradotto in polacco. Prevedibilmente sarà un best seller mondiale, una icona per la comunità gay. Il sacerdote polacco ha lavorato per l'ex Sant'Uffizio 17 anni. «Chiedo perdono alla comunità omosessuale per il mio sofferto silenzio all'interno della Congregazione. In questi anni sono stato testimone di una esasperata omofobia, di un freddo dottrinarismo che non ha nulla a che fare con il Vangelo. I traumi che ho riportato mi hanno indotto a uscire allo scoperto, e raccontare ciò che c'è dentro il Sant'Uffizio, il cuore della omofobia irrazionale, dove non è mai stato intrapreso nessun serio studio sull'omosessualità». Charamsa voleva vuotare il sacco. Ogni tanto la voce si incrinava per l'emozione. «Mi identifico nella Chiesa ma rifiuto e denuncio il clima esasperato di paranoica omofobia dei nostri ambienti. Non possiamo più odiare le minoranze sessuali perché così facendo odiamo gran parte dell'umanità. Voglio dire alla mia Chiesa: apri gli occhi». Per il Vaticano è un colpo basso. Il cardinale Müller, prefetto del Sant'Uffizio, non ne sapeva niente e non si era mai accorto di niente. Charamsa viveva una doppia vita senza dare nell'occhio. «Non ho ancora detto nulla al Papa, ma gli ho scritto una lettera che spero di consegnargli in questi giorni». L'uscita pubblica è accompagnata da un "Manifesto di Liberazione" composto da dieci punti, riassumibili in una serie di richieste alla Chiesa. Modificare i documenti omofobi, il catechismo, l'atteggiamento generale verso le comunità gay e le leggi nazionali a favore delle unioni di fatto. «L'Italia ormai è pronta e anche gli italiani». Ai padri sinodali il monsignore lancia un messaggio: «Voglio dire che nessuna famiglia può essere esclusa dalla Chiesa. I ritardi sono disumani». Infine una panoramica sui «tanti» sacerdoti che continuano a vivere scissi, da una parte la vita sacerdotale e dall'altra quella emotiva e sentimentale con un uomo. «Questo coming-out lo dedico a loro. Spero che possano essere preti felici nella Chiesa. Purtroppo molti non trovano la forza di fare un gesto come il mio. Eppure sono ottimi sacerdoti». La sceneggiatura dell'ultima diatriba sul celibato per i sacerdoti l'ha girata Dino Risi nel 1971 con “La moglie del prete”. Valeria (Sofia Loren), ex cantante delusa dagli uomini, viene “indotta” a non uccidersi da don Mario (Marcello Mastroianni). I due s'innamorano. Lei implora la dispensa vaticana. Ma all'amante in tonaca le gerarchie promettono di farlo vescovo e a Valeria-Sofia restano l'offerta d'un appartamento in affitto e la decisione di non comunicare a don Mario il concepimento di un figlio. Anche in Francia, un film fissa la categoria dello spretato (“Le défroqué”), nel 1953. A singhiozzo la Chiesa è scossa da spinte di prelati più o meno alti verso l'apertura al celibato. Esce in Francia nel 2005 l'autobiografia dell'Abbé Pierre, 93 anni, secondo per popolarità solo a Zidane (titolo: “Mio Dio… perché?”), con la professione a favore di celibato e unioni omosessuali e la confessione d'aver «ceduto in maniera passeggera» al desiderio col risultato di rendere «le donne infelici e essere lacerato tra due scelte di vita inconciliabili». Del 2006 è la scomunica di monsignor Milingo, arcivescovo di Lusaka, fresco adepto della setta coreana del reverendo Moon che ne celebra il matrimonio con Maria. Milingo viene temporaneamente imbrigliato solo dall'acrobazia diplomatica del cardinal Bertone. Ma intanto quel dissenso sul celibato dei sacerdoti fa breccia, risponde a pulsioni che provengono dalle Chiese regionali, specie nord-europee e sudamericane, e all'ansia per la crisi delle vocazioni e i troppi abbandoni. Nel 2007, il cardinale liberal francese Roger Etchegaray, 85 anni, avverte che la questione «può essere posta», non soltanto come soluzione «al problema della crisi vocazionale». Nel 2009, Carlo Maria Martini suggerisce una «revisione delle norme di accesso al ministero». L'arcivescovo di Milano ammette

Page 41: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

che il celibato è «un grande valore e segno evangelico», come lo descrive papa Ratzinger, tuttavia «non è necessario imporlo a tutti». Pag 3 Nel Sinodo la sfida di Bergoglio di Fra.Gia. Città del Vaticano - La Chiesa ”democratica” di Papa Francesco riprende il suo cammino. Dibattito libero nei circoli minori, interventi in aula di soli tre minuti (il tempo è tiranno per via dell'alto numero dei partecipanti), briefing quotidiani, una commissione interna che farà da arbitro e garantirà a tutti che il documento finale contenga le effettive posizioni delle parti, senza alterazioni, senza tagli, senza correzioni. Infine il voto e quindi la pubblicazione dei risultati. Un confronto serrato tra due differenti visioni, i rigorosi custodi di una dottrina rigida e, in fondo, un po' asettica, e gli aperturisti maggiormente sensibili ad una Chiesa-da-campo che si inginocchia sulle ferite dei suoi figli, misericordiosa verso le donne che hanno abortito, le coppie scoppiate, le famiglie allargate, i figli di coppie gay. Ma, forse, in fondo in ballo c'è molto di più. C'è la proiezione della Chiesa nel futuro. «Care famiglie, buonasera!» ha esordito Papa Francesco affacciandosi in Piazza San Pietro ieri sera. «Ogni famiglia è sempre una luce, per quanto fioca, nel buio del mondo». In preparazione dell'Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo era stata organizzata una veglia di preghiera per invocare i buoni auspici sulla famiglia, argomento sul quale si confronteranno per un mese di fila 270 padri sinodali. In passato i Sinodi si sono caratterizzati soprattutto da rigidità e monotonia, più che essere laboratori comuni in cui fare affiorare vivacità e passione nel contraddittorio. Sembravano più momenti di certificazione di posizioni precotte, ai quali la Segreteria del Sinodo aveva provveduto a mettere il silenziatore, che non la «parresia» richiesta. Perché anche stavolta, come è avvenuto l'anno scorso, durante la prima parte del Sinodo sulla famiglia, la parola d'ordine che Bergoglio ha indicato è: libertà di dire tutto, senza timori reverenziali, nemmeno verso il Papa. Il Sinodo, ha detto, «sappia ricondurre a un'immagine compiuta di uomo l'esperienza coniugale e familiare; riconosca, valorizzi e proponga quanto in essa c'è di bello, di buono e di santo». L'Assemblea però «abbracci le situazioni di vulnerabilità che mettono alla prova la famiglia: povertà, guerra, malattia, lutto, relazioni ferite e sfilacciate da cui sgorgano disagi, risentimenti e rotture. Se non sappiamo unire la compassione alla giustizia, finiamo per essere inutilmente severi e profondamente ingiusti». E in campo molti big. Per esempio il cardinale tedesco Walther Kasper, capofila dei novatori, teologo e autore di monumentali studi sull'applicazione della misericordia. Al suo fianco potrà contare su diversi italiani (Semeraro, Forte, poi l'argentino Fernandez). Dalla parte opposta - il fronte del «no alla comunione ai divorziati» e «della dottrina non si cambia» - ci saranno Pell, Mueller, Wuerl, Sarah. Tra le novità in aula la presenza di coppie di sposi che avranno il compito di fare relazioni sulla vita matrimoniale, sui problemi con i figli e le fatiche quotidiane sotto lo stesso tetto. LA NUOVA di domenica 4 ottobre 2015 Pag 4 Usa, Sinodo e le trappole per il Papa di Andrea Sarubbi Da mesi il Papa lavorava di fino, e per tentare di tenere insieme le varie sensibilità dei vescovi aveva capovolto il discorso: anziché parlare di famiglia - ha cercato di ripeterlo anche ieri sera, in piazza San Pietro, nell’ultima omelia prima del Sinodo - cerchiamo di imparare dalla famiglia. E restare aperti a «chi ha il cuore sofferente», e «correggere senza umiliare», e testimoniare che per la Chiesa «l’altro è un dono anche quando percorre strade diverse». Macché: prima il viaggio in America (con il post-viaggio, ancora più travagliato) e poi, con scelta di tempo non casuale, il coming out del monsignore polacco, che annuncia di vivere da tempo con il proprio compagno. E sul Sinodo che inizia oggi, contro ogni desiderio di Francesco, piomba l’aria tipica dei momenti in cui i nodi vengono al pettine. Correttezza vuole che gli incontri privati con il Papa non si raccontino in giro per farsi belli: quando il Vaticano ne ha voglia li fa trapelare, magari accennando pure al contenuto, altrimenti restano appunto privati. È un modo di proteggere il Pontefice, per evitare il rischio che ogni udienza si trasformi in un potenziale endorsement, e nella maggior parte dei casi la regola viene rispettata. Ma siccome la guerra è guerra, e quella in atto sulla famiglia non fa eccezione, l’agenda di

Page 42: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

Francesco negli Stati Uniti è diventata un campo di battaglia. Hanno iniziato i conservatori, spiazzati dalla presunta morbidezza del Papa davanti al Congresso: non aveva detto una parola contro la sentenza della Corte suprema sui matrimoni gay, limitandosi a citare generiche minacce alla famiglia, e si sentivano mancare la terra sotto ai piedi. Così hanno fatto uscire la notizia dell’incontro con Kim Davis, la funzionaria del Kentucky finita in carcere per essersi rifiutata di firmare certificati di matrimonio tra persone dello stesso sesso. E giù di retroscena e virgolettati («Il Papa mi ha ringraziato per il coraggio e mi ha detto di rimanere forte»), poi smentiti dalla Sala stampa vaticana, che ha derubricato il tutto a un saluto di cortesia: per quanto favorevole all’obiezione di coscienza - lo ha ripetuto anche in aereo, nel viaggio di ritorno - Bergoglio è del resto allergico alle tirate di giacchetta, da una parte e dall’altra. Poco dopo è arrivata la risposta dell’ala liberal, che nelle parole del portavoce vaticano («L’unica udienza privata del Papa in Nunziatura è stata a un suo antico alunno con la famiglia», ha scritto in un comunicato padre Lombardi) ha visto uno spot per le proprie battaglie: quell’ex alunno argentino, Yayo Grassi, era infatti lì con il suo compagno, e siccome il Vaticano ha parlato di “famiglia” voleva dunque dire che considera come tale anche quella formata da una coppia omosessuale. Finita lì? Macché: i conservatori hanno accusato padre Lombardi di dare evidenza alle notizie a seconda delle proprie convinzioni personali, e la querelle ha tutte le caratteristiche per poter andare avanti all’infinito. La realtà, appunto, è che sul tema della sessualità e della famiglia c’è una Chiesa molto divisa, ben più di quanto non lo sia su altri argomenti. Da un lato, in giro per il mondo ci sono parroci - e talvolta anche vescovi - vicini alle comunità Lgbt, che proprio ieri si sono dati appuntamento a Roma per chiedere alle gerarchie di «lasciare l’ideologia da parte» e di «sviluppare nuovi modelli di cura pastorale». Dall’altro, trovano spazio (nonché un certo seguito) realtà conservatrici che rivendicano l’ortodossia e pubblicano in rete saggi di teologia morale sulle carezze tra fidanzati, spiegando testualmente che «i baci passionali possono essere molto facilmente peccati mortali (anche se non si tenta il piacere disonesto), soprattutto se sono sulla bocca e si prolungano per qualche tempo». Che gli strappi alla monsignor Charamsa possano aiutare il dialogo interno, in un clima del genere, appare improbabile. Ed è questo forse il rammarico più grande di Bergoglio, che dall’inizio del suo Pontificato ha cercato sempre la massima comunione. D’altra parte, però, quando la comunione non è possibile serve almeno la chiarezza, anche con il rischio di non piacere a tutti. AVVENIRE di sabato 3 ottobre 2015 Pag 1 Per la famiglia con il Papa di Francesco Ognibene In piazza da credenti Quanto ci sentiamo coinvolti dal Sinodo? È oggi il giorno per chiederselo, mentre la lunga vigilia consuma le sue ultime ore prima della Messa con la quale domani il Papa e i 270 Padri sinodali (più 18 coppie di sposi) apriranno l’assemblea ordinaria dei vescovi dedicata alla famiglia. Oggi è il momento perché ciascuno si ponga seriamente al cospetto di questo evento di Chiesa, atteso come mai era accaduto in tempi recenti per intensità e ampiezza di aspettative, interrogandosi anche solo per un momento su quello che può dire alla vita di tutti, alla vita di ognuno. Mettiamoci davanti alla famiglia: la nostra, e quella condivisa come casa dell’amore umano e della generazione di umanità sempre nuova, la famiglia che trabocca gioia e attrattiva umana, tanto quanto quella invece affaticata, lacerata, ferita, bisognosa di riconciliazione. Contempliamola come si fa con un’icona, e questa sera al tramonto troveremo a farlo insieme a noi un popolo riunito a piazza San Pietro, invitato dalla Chiesa italiana a pregare per il Sinodo accanto a Francesco. Per far sentire al Papa e ai vescovi riuniti con lui che non sono soli, per dire la speranza e la gratitudine, la fiducia e la disponibilità, e insieme l’affanno, la ricerca, il desiderio di capire. Nella preghiera è il cuore che fa spazio al mistero, si svuota della presunzione di aver già capito tutto per disporsi ad ascoltare una voce dapprima flebile e confusa tra altre, poi sempre più percepibile, nitida, interessante. Una voce che nel silenzio invita e chiama, ridice il nostro nome mostrandoci una volta ancora che è amato proprio come e dove viene pronunciato ogni giorno con un riverbero del medesimo amore. La famiglia, letta dalla parte interiore della realtà, smette di essere un’entità sociologica o il campo di battaglia dove ci si batte per spuntare una qualche

Page 43: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

rivendicazione, come risulta da certa sbrigativa narrazione mediatica, per apparire come la casa dell’umanità di ciascuno, dove si scopre il proprio posto nel mondo, già affacciata oltre il tempo. C’è il nostro destino dentro quella rete di relazioni e affetti. E la preghiera umile e accorata è il solo atto proporzionato al grande bene in gioco, il gesto più umano e sensato che si possa compiere. Chi ha deciso di non perdersi questa serata romana insieme al Papa – in gran numero, stando ai segnali giunti agli organizzatori – ha pensato che non bastasse stare a guardare 'come va a finire', come un passante, un curioso, un anonimo spettatore. La risposta diffusa e generosa all’invito della Cei a esserci di persona scopre la consapevolezza – più estesa di quanto si pensi – che del Sinodo si può essere parte attiva senza limitarsi ad attenderne le risoluzioni. Ci si può coinvolgere, ciascuno al suo posto: e se il posto dei Padri è l’aula sinodale, il nostro oggi è davanti a San Pietro e in tutte le parrocchie dove si prega per il Sinodo, anche in casa, perché il gesto del pregare in famiglia per la famiglia è forse il più dolce che si possa proporre. È affidarci gli uni gli altri alle mani del Padre, attraverso il cuore del Papa. Da oggi e per le prossime tre settimane – quanto durerà l’assemblea – nessuno può davvero sentirsi estraneo se comprende che in Vaticano non sta per giocarsi una indecifrabile partita tra fronti alternativi ma inizia la ricerca profondamente condivisa e lungamente preparata della strada da intraprendere, senza esitazioni. È la Chiesa – il «popolo santo di Dio», come ama definirlo Francesco – che si confronta apertamente sul «capolavoro della società» che è la famiglia, «l’uomo e la donna che si amano», per «mettere in evidenza il luminoso piano di Dio» su di essa, niente di meno. Tornare al disegno scritto nella nostra natura creata, per fargli strada e permettergli di camminare nel vivo del nostro tempo: un’impresa gigantesca e affascinante, che richiede molte più energie di quelle ufficialmente impegnate nei lavori. «So che nelle Chiese particolari si sta facendo tanto per rispondere alle necessità delle famiglie e sostenerle nel loro cammino di fede – ci ha appena detto il Papa dagli Stati Uniti –. Vi chiedo di pregare ferventemente per esse, come pure per le decisioni del Sinodo». Oggi è il giorno per farlo, prendendo la mano aperta da Francesco. Pag 5 “Per la famiglia una pastorale più intelligente, coraggiosa e creativa” di Stefania Falasca Il vescovo Semeraro: non è in discussione l’indissolubilità del matrimonio ma il modo per spiegarlo a questa società «Il Sinodo non è convocato per formulare dei prontuari o delle ricette. Cercheremo di approfondire la teologia della famiglia e la pastorale che dobbiamo attuare nelle condizioni attuali. Con profondità e senza cadere nella 'casistica'». Così monsignor Marcello Semeraro spiega i lavori all’apertura del Sinodo ordinario sulla famiglia. Il vescovo di Albano è tra gli incaricati dal Papa nella Commissione per l’elaborazione della relazione finale dell’assemblea sinodale. Eccellenza, cosa si prospetta in questa assemblea sinodale che inizierà domani? In questi giorni rifletteremo sulla famiglia, cellula fondamentale della società umana, luogo fondamentale dell’alleanza della Chiesa con la creazione di Dio e senza la quale la Chiesa non esisterebbe. E saremo chiamati ad allargare la prospettiva di sguardo sulla realtà del matrimonio e della famiglia nel più ampio complesso delle relazioni che li caratterizzano, non soltanto nel legame con i figli ma anche con i fratelli, gli anziani, i nonni. Relazioni che aprono alla crescita, alla cura per l’altro. Perché tornare su un tema trattato nella Familiaris consortio in modo quasi esaustivo? La Familiaris consortio è stata pensata e scritta in un contesto storico e sociale che ancora non metteva radicalmente in discussione la realtà della famiglia. Adesso non è più così. Oggi siamo in un mondo in cui tutto questo è messo in questione e noi dobbiamo essere profeti della famiglia. Ma non possiamo essere profezia solo ripetendo quello che sulla famiglia è stato detto fino ad ora. Dobbiamo senz’altro dirlo in una nuova forma, in modo tale che sia percepita nella sua bellezza. Non nova sed noviter. È qui la questione. Se un cinese per strada mi chiede nella sua lingua un’indicazione e io gli rispondo in italiano, quella persona non capirà; né lo capirà meglio se glielo ripeto alzando la voce, urlando. Penserà che sono infuriato con lui. Per il mondo contemporaneo in cui si celebra questo Sinodo è così. Noi siamo chiamati a dire che la

Page 44: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

famiglia, il Vangelo è speranza per l’uomo d’oggi, in un mondo in cui non si crede più e ci domandano: cosa intendi quando parli di famiglia? Alcuni però sostengono che il Sinodo dovrà produrre 'una proclamazione chiara e ferma' a sostegno della dottrina della Chiesa sul matrimonio… Il Papa non ha convocato un Sinodo per mettere in discussione la dottrina sull’indissolubilità del matrimonio, ma per considerare il matrimonio e la famiglia nel mutato contesto storico e sociale e per un approfondimento della dottrina affinché questa possa essere più eloquente per gli uomini e le donne di oggi. Il Sinodo straordinario ha conosciuto dibattiti e tensioni su dottrina e pastorale, verità e misericordia. Secondo lei proseguiranno anche in questo Sinodo? Non esiste un’opposizione tra 'dottrinale' e 'pastorale'. Una verità che non è pastorale non è verità. Una pastorale che non è radicata nella dottrina non è pastorale, è solo strategia. La contrapposizione è un fraintendimento che affonda le sue radici nella polemica di alcuni contro il Concilio Vaticano II, perché è il Concilio che ha assunto la pastoralità come stile. È infatti esattamente con questa prospettiva che il Concilio Vaticano II redasse la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, come evidenziato nella prima nota al Proemio. La Gaudium et spes 'è pastorale perché sulla base di principi dottrinali intende esporre l’atteggiamento della Chiesa in rapporto al mondo e agli uomini di oggi'. Quindi è pastorale perché sulla base di principi dottrinali espone atteggiamenti da assumere, scelte da fare. Quindi la dottrina e la pastorale non si giocano nella contrapposizione ma nel coinvolgersi nel mondo… Esattamente, si giocano nel 'coimplicarsi' con la realtà umana. Questo significa imitare Dio che sempre ci precede nell’amore coinvolgendosi, perché Lui si è coinvolto per primo con noi. Se dunque il Sinodo segue la Gaudium et spes il punto di riflessione sarà soprattutto sulla pastorale da adottare? Il Sinodo vorrà mettere in evidenza il luminoso piano di Dio sul matrimonio e sulla famiglia e aiutare i coniugi a viverlo nella loro esistenza, accompagnandoli in tante difficoltà, con una pastorale intelligente, coraggiosa e piena d’amore. E sicuramente la questione da riflettere è qui perché non sempre la nostra pastorale, è giusto ammetterlo, è così: intelligente, audace e amorevole. E quand’è per lei che una pastorale può essere così? È intelligente quando è la traduzione nella pratica della teologia perché la pastorale è sempre la pratica della fede. Un’azione pastorale, infatti, che non si fonda dottrinalmente tradisce la fede. Una dottrina di fede, al contrario, che non mostra di essere propter nos homines et propter nostram salutem non è cristiana perché vanifica il mistero dell’Incarnazione. Essendo solo teoria, fa diventare superflua la storia della salvezza. Una pastorale, del resto, è coraggiosa e creativa quando non si limita a ricalcare percorsi pastorali già battuti. Quando non dice 'si è sempre fatto così'. E piena d’amore vuol dire con misericordia. 'Nella misericordia abbiamo la prova di come Dio ama. Egli dà tutto se stesso, per sempre, gratuitamente, e senza nulla chiedere in cambio. E il suo aiuto consiste nel farci cogliere la sua presenza e la sua vicinanza. Giorno per giorno, toccati dalla sua compassione, possiamo anche noi diventare compassionevoli verso tutti'. Qual è allora in sintesi il compito di questo Sinodo? Anzitutto quello di radicare esplicitamente la famiglia nel progetto di amore di Dio che il sacramento significa e realizza; ossia nel segno dell’alleanza e della 'comunione di vita', come dice il Concilio. Vedere poi realmente quali sono le speranze, le ferite e le sofferenze della famiglia oggi e quindi le forme concrete di annuncio, di cura e di accompagnamento. Ci dobbiamo anche attendere, quindi, che da questo Sinodo usciranno delle ricette per curare la famiglia? Il Sinodo non è convocato per formulare dei prontuari o delle ricette. Cercheremo di approfondire la teologia della famiglia e la pastorale che è conseguente nelle condizioni attuali. Con profondità e senza cadere nella 'casistica', che farebbe inevitabilmente abbassare il livello del nostro lavoro. Parliamo di cura e accompagnamento. Questo implica le responsabilità individuali verso le persone da parte di chi si prende cura e accompagna. Il ruolo della Chiesa è di accompagnare ciascuno in una crescita, in un

Page 45: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

cammino, i credenti certo, ma pure i non credenti, se lo desiderano. La Chiesa è sacramento di salvezza per tutti. Ci sono molti percorsi e molte dimensioni da esplorare a favore della salus animarum. La questione della comunione ai divorziati risposati? Nel Sinodo si parlerà di tutte le questioni che riguardano la realtà e il vissuto quotidiano delle famiglie nel mondo attuale. Questo è un caso particolare. Schiacciare il Sinodo sulla questione di dare o meno l’Eucaristia in questi casi particolari senza una più ampia visione significa pensare che il matrimonio e la crisi della famiglia siano qualcosa che riguarda solo noi cattolici. La realtà e la bellezza della famiglia invece riguarda tutti. Il Papa ai vescovi ospiti a Filadelfia per l’incontro mondiale della famiglia ha dato delle indicazioni. Sono valide anche per i Padri sinodali? Certamente. Il Papa non ha detto cosa si deve fare. Sarebbe troppo facile e comodo. Il Papa ha chiesto soprattutto atteggiamenti e stili da assumere. Il primo atteggiamento è il prendersi cura per davvero, è la vicinanza non solo detta con parole ma pure nei fatti. Per lei personalmente cosa significa? Per me significa essere accanto a una persona con ricchezza di cuore. E prendersi cura di quella persona significa accompagnare, dedicare ad essa del tempo e anche assumerne il peso, incoraggiando affinché possa dare buoni frutti, possa trasformarsi. È questo l’essere padri e madri indicato infine dal Papa? Il Papa ci chiede infine questo. Di essere padri e madri nello stile di amore di Dio, nel seguire il 'rigore degli affetti di Dio', imitando Cristo. Solo così la Chiesa non viene meno al suo compito di essere segno e strumento dell’intima unione, cioè dell’alleanza dell’uomo con Dio di cui la famiglia è prefigurazione. Solo così la famiglia e la Chiesa possono essere oggi profezia 'segno e strumento dell’unità del genere umano'. Pag 15 Firenze 2015, percorsi e obiettivi da realizzare Baturi e Maffeis sottosegretari, Diaco direttore dell’Ufficio scuola Pubblichiamo il Comunicato finale del Consiglio episcopale permanente della Cei svoltosi

a Firenze dal 30 settembre al 2 ottobre 2015.

Il Magistero del Santo Padre - nella sua ricchezza di parola, gesti e incontri - ha costituito la trama di fondo su cui si sono appuntati i diversi argomenti affrontati nella sessione autunnale del Consiglio episcopale permanente: dai contenuti della prolusione alle modalità da offrire alle diocesi italiane circa l’accoglienza dei profughi e alla stessa prospettiva con cui si intende celebrare il Convegno ecclesiale nazionale di metà decennio (9-13 novembre 2015). Un clima di franca fraternità e di reciproca stima ha caratterizzato le giornate (30 settembre 2 ottobre 2015), volute a Firenze non solo come opportunità per accostare la sede del Convegno, ma anche quale segnale e invito alle Chiese locali a prepararsi all’evento con un supplemento di disponibilità e d’impegno. Riunito alla vigilia della XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi (4-25 ottobre 2015) e della preghiera con il Papa - promossa per il 3 ottobre dalla Cei - il Consiglio permanente ha espresso convinta vicinanza alle famiglie, a partire dalla condivisione della loro non facile opera educativa. Al riguardo, la stessa prolusione con cui il cardinale presidente, Angelo Bagnasco, ha aperto i lavori riprende e valorizza i contenuti del recente viaggio di papa Francesco a Cuba e negli Stati Uniti; in particolare, rivolge ai responsabili della cosa pubblica l’appello a compiere ogni sforzo per consentire a tutti l’accesso alle condizioni essenziali - materiali e spirituali - per formare e mantenere una famiglia. I vescovi si sono concentrati, quindi, sul percorso proposto a livello diocesano in vista dell’Assemblea generale del maggio 2016, dedicata ad approfondire 'La vita e la formazione permanente dei presbiteri'. Il rinnovo delle dodici Commissioni episcopali è stato l’occasione per un confronto sulle loro modalità operative, sul loro rapporto con gli Uffici della Cei e sulla loro funzione in ordine alla comunione dell’Episcopato italiano. Il Consiglio permanente ha, inoltre, approvato il Messaggio per la Giornata nazionale per la vita e ha provveduto ad alcune nomine, fra cui quelle dei membri del Consiglio per gli affari giuridici. Distinte comunicazioni hanno riguardato: le indicazioni della Congregazione dei vescovi sulla formulazione, a livello di Conferenze episcopali regionali, di un progetto di riordino delle diocesi; alcuni aggiornamenti giuridici su temi sociali ed etici; la preparazione al XXVI Congresso

Page 46: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

eucaristico nazionale (Genova, 15-18 settembre 2016). Sono stati, infine, raccolti pareri sulla bozza di documento della Congregazione per la dottrina della fede circa la cremazione dei defunti e sull’erezione di un esarcato apostolico per i fedeli ucraini di rito bizantino residenti in Italia. STRADE DA PERCORRERE, OBIETTIVI DA PERSEGUIRE - A poco più di un mese dall’evento, il Consiglio permanente ha fatto il punto sul Convegno ecclesiale nazionale e - più in generale - sui primi cinque anni del decennio, che la Chiesa italiana ha dedicato alla responsabilità educativa. Centrale per i vescovi rimane la questione antropologica, minacciata da una cultura del relativismo che svuota ogni proposta: l’individuo che si concepisce 'autonomo' dalla realtà, si priva di fatto dell’apertura alla trascendenza e di relazioni autentiche con il prossimo e, più in generale, con la vita sociale e con il creato; rincorrendo semplicemente se stesso, finisce per mancare l’appuntamento con ciò che qualifica il suo essere persona. Emblematico di tale cultura è lo stesso tentativo di applicare la 'teoria del gender', secondo un progetto che pretende di cancellare la differenza sessuale. Di qui la rinnovata volontà dell’Episcopato italiano a mantenersi nel solco della missione educativa, puntando nel prossimo quinquennio a intensificare alleanze collaborative con la società civile e le sue Istituzioni, a partire dalla scuola. La proposta del Convegno - riscoprire in Gesù Cristo la possibilità di un umanesimo vero e pieno - intende, quindi, concretizzarsi in strade da percorrere e obiettivi da perseguire, per un’educazione integrale che torni a dare contenuto a parole come persona e libertà, amore e famiglia, sessualità e generazione. Ne sono parte esperienze e opere di carità, espressione di una comunità che educa con il servizio. IN RISPOSTA ALL’APPELLO DEL SANTO PADRE - Il riconoscimento degli altri come condizione per realizzare se stessi porta a sentirsene responsabili, specie quando hanno il volto del debole e del bisognoso. Di qui l’attenzione che il Consiglio permanente ha dedicato all’individuazione delle forme migliori con cui promuovere una risposta effettiva ed efficace all’appello del Santo Padre circa l’accoglienza di una famiglia di immigrati in ogni parrocchia, comunità religiosa, santuario o monastero. Una prima ricognizione, compiuta nelle Conferenze episcopali regionali, documenta come la Chiesa italiana sia in prima fila in tale servizio, con oltre 22mila migranti ospitati in circa 1600 strutture di diocesi, parrocchie, comunità religiose e famiglie. Forti di questa esperienza, maturata nel rapporto con le Istituzioni civili, per ampliare la rete ecclesiale dell’accoglienza i vescovi hanno approntato una bozza di vademecum con cui accompagnare le diocesi e le parrocchie: vengono indicate forme, luoghi e destinatari, nonché aspetti amministrativi, gestionali, fiscali e assicurativi. Di tale percorso è parte anche la fase di preparazione all’accoglienza, quindi l’informazione - che consente di conoscere chi arriva e le cause dell’immigrazione forzata - e la formazione, volta a preparare chi accoglie (comunità, associazioni, famiglie e realtà del territorio). Il vademecum, integrato dalle osservazioni dei membri del Consiglio permanente, sarà inviato a breve a tutti i vescovi. PRESBITERI, DUE FUOCHI PER UNA RIFORMA - La vita spirituale dei presbiteri e il carico burocratico- amministrativo che spesso grava sulle loro spalle sono i due 'fuochi' su cui si è concentrata l’attenzione dei vescovi, che al tema intendono dedicare l’Assemblea generale del 2016. Pur nella consapevolezza di non poter giungere a un’unica soluzione che possa dare risposta alle molteplici sfide in campo - e che richiedono, essenzialmente, santità di vita e letizia nel servizio pastorale - i pastori sono decisi ad avviare processi di riforma che aiutino il sacerdote a un esercizio del ministero all’insegna di una convinta adesione al presbiterio, vissuta nella fraternità, con stile sinodale e missionario. Ne sono condizioni tanto una vita interiore custodita dalla preghiera e alimentata dalla Parola di Dio, quanto una formazione permanente dipanata secondo iniziative pianificate, qualificate e diversificate. Parte da qui anche la possibilità di favorire l’introduzione di un diverso e più sostenibile modello organizzativo e amministrativo delle parrocchie, ispirato a più livelli a una maggiore corresponsabilità progettuale dei laici. Nomine

Nel corso dei lavori, il Consiglio episcopale permanente ha provveduto alla nomina dei membri delle Commissioni episcopali, i cui presidenti erano stati eletti nel corso dell’Assemblea generale tenuta nel maggio 2015. Di ciascuna Commissione episcopale fa

Page 47: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

parte un vescovo emerito, indicato dalla Presidenza. Le Commissioni episcopali per il quinquennio 2015-2020 risultano così composte: Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi Monsignor Luciano Monari (Brescia), presidente; monsignor Mansueto Bianchi (Assistente ecclesiastico generale dell’Azione cattolica italiana); monsignor Renato Boccardo (Spoleto-Norcia); monsignor Giuseppe Cavallotto (Cuneo e Fossano); monsignor Carlo Ghidelli (emerito Lanciano-Ortona); monsignor Carlo Mazza (Fidenza); monsignor Mauro Maria Morfino (Alghero-Bosa); monsignor Luigi Negri (Ferrara-Comacchio); monsignor Orazio Francesco Piazza (Sessa Aurunca); monsignor Ignazio Sanna (Oristano). Commissione episcopale per la liturgia Monsignor Claudio Maniago (Castellaneta), presidente; monsignor Adriano Caprioli (emerito Reggio Emilia-Guastalla); monsignor Paolo Martinelli (ausiliare Milano); dom Mauro Meacci, osb (Subiaco); dom Donato Ogliari osb (Montecassino); monsignor Salvatore Pappalardo (Siracusa); monsignor Domenico Sorrentino (Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino); monsignor Vittorio Francesco Viola ( Tortona). Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute Cardinale Francesco Montenegro (Agrigento), presidente; monsignor Antonio Di Donna (Acerra); monsignor Domenico Mogavero (Mazara del Vallo); monsignor Salvatore Nunnari (emerito Cosenza-Bisignano); monsignor Vincenzo Carmine Orofino ( Tricarico); monsignor Corrado Pizziolo (Vittorio Veneto); monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli (Gorizia); monsignor Benedetto Tuzia (Orvieto-Todi). Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata Monsignor Gualtiero Sigismondi (Foligno), presidente; monsignor Arturo Aiello (Teano-Calvi); monsignor Domenico Cancian (Città di Castello); monsignor Oscar Cantoni (Crema); monsignor Mario Delpini (ausiliare Milano); monsignor Salvatore Di Cristina (emerito Monreale); monsignor Gianfranco Agostino Gardin (Treviso); monsignor Andrea Bruno Mazzocato (Udine). Commissione episcopale per il laicato Monsignor Vito Angiuli (Ugento-Santa Maria di Leuca), presidente; monsignor Fernando Filograna (Nardò-Gallipoli); monsignor Gabriele Mana (Biella); monsignor Francesco Marino (Avellino); monsignor Giuseppe Merisi (emerito Lodi); monsignor Beniamino Pizziol ( Vicenza); monsignor Fausto Tardelli (Pistoia); monsignor Giancarlo Vecerrica (Fabriano- Matelica). Commissione episcopale per la famiglia, i giovani e la vita Monsignor Pietro Maria Fragnelli (Trapani), presidente; monsignor Nicolò Anselmi (ausiliare Genova); monsignor Carlo Bresciani (San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto); monsignor Carmelo Cuttitta (ausiliare Palermo); monsignor Mario Paciello (emerito Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti); monsignor Mauro Parmeggiani (Tivoli); monsignor Pietro Santoro (Avezzano); monsignor Giuseppe Zenti ( Verona). Commissione episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese Monsignor Francesco Beschi (Bergamo), presidente; monsignor Alfonso Badini Confalonieri (Susa); monsignor Tommaso Caputo (Pompei); monsignor Giuseppe Fiorini Morosini (Reggio Calabria-Bova); monsignor Gervasio Gestori (emerito San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto); Giuseppe Pellegrini (Concordia-Pordenone); monsignor Giuseppe Satriano (Rossano-Cariati); monsignor Gianfranco Todisco (Melfi-Rapolla-Venosa). Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo Monsignor Bruno Forte (Chieti-Vasto), presidente; monsignor Rodolfo Cetoloni, ofm (Grosseto); monsignor Maurizio Malvestiti (Lodi); monsignor Santo Marcianò (ordinario militare per l’Italia); monsignor Donato Oliverio (Lungro); monsignor Ambrogio

Page 48: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

Spreafico (Frosinone-Veroli-Ferentino); monsignor Rocco Talucci (emerito Brindisi-Ostuni); monsignor Matteo Zuppi (ausiliare Roma). Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università Monsignor Mariano Crociata (Latina-Terracina- Sezze-Priverno), presidente; monsignor Alberto Maria Careggio (emerito Ventimiglia-Sanremo); monsignor Pasquale Cascio (Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia); monsignor Erio Castellucci (Modena- Nonantola); monsignor Paolo Giulietti (ausiliare Perugia-Città della Pieve); monsignor Lorenzo Leuzzi (ausiliare Roma); monsignor Lorenzo Loppa (Anagni-Alatri); monsignor Nazzareno Marconi (Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia); monsignor Alberto Tanasini (Chiavari); monsignor Pierantonio Tremolada (ausiliare Milano). Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace Monsignor Filippo Santoro (Taranto), presidente; monsignor Francesco Alfano (Sorrento- Castellammare di Stabia); monsignor Vincenzo Apicella (Velletri-Segni); monsignor Marco Arnolfo (Vercelli); monsignor Claudio Cipolla (vescovo eletto Padova); monsgnor Giampaolo Crepaldi (Trieste); monsignor Maurizio Gervasoni ( Vigevano); monsignor Giovanni Ricchiuti (Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti); monsignor Gastone Simoni (emerito Prato); monsignor Mario Toso (Faenza-Modigliana). Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali Monsignor Antonino Raspanti (Acireale), presidente; monsignor Roberto Busti (Mantova); monsignor Martino Canessa (emerito Tortona); monsignor Giovanni D’Ercole (Ascoli Piceno); monsignor Filippo Iannone (vicegerente Roma); monsignor Francesco Milito (Oppido Mamertina-Palmi); monsignor Ivo Muser (Bolzano-Bressanone); monsignor Giuseppe Petrocchi (L’Aquila); monsignor Domenico Pompili (Rieti); monsignor Antonio Staglianò (Noto). Commissione episcopale per le migrazioni Monsignor Guerino Di Tora (ausiliare Roma), presidente; monsignor Franco Maria Giuseppe Agnesi (ausiliare Milano); monsignor Franco Agostinelli (Prato); monsignor Domenico Caliandro (Brindisi-Ostuni); monsignor Massimo Camisasca (Reggio Emilia-Guastalla); monsignor Augusto Paolo Lojudice (ausiliare Roma); monsignor Alessandro Plotti (emerito Pisa); monsignor Armando Trasarti (Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola). Il Consiglio episcopale permanente ha proceduto anche alle seguenti nomine: Consiglio per gli affari giuridici Monsignor Vincenzo Pisanello (Oria), presidente; monsignor Lorenzo Ghizzoni (Ravenna- Cervia); monsignor Franco Lovignana (Aosta); monsignor Francesco Oliva (Locri-Gerace), monsignor Giovanni Tani (Urbino-Urbania- Sant’Angelo in Vado). Collegio dei revisori dei conti della Conferenza episcopale italiana Monsignor Ernesto Mandara (Sabina-Poggio Mirteto), presidente; monsignor Adriano Tessarollo (Chioggia); dottor Lelio Fornabaio. Vescovi membri della presidenza di Caritas italiana monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli (Gorizia); monsignor Vincenzo Carmine Orofino ( Tricarico). Il Consiglio permanente ha altresì provveduto alle seguenti nomine: - presidente del Centro di azione liturgica (Cal): monsignor Claudio Maniago (Castellaneta). - presidente della Federazione italiana esercizi spirituali( Fies): monsignor Giovanni Scanavino (emerito Orvieto-Todi). Sottosegretari della Conferenza episcopale italiana Monsignor Giuseppe Baturi (Catania); don Ivan Maffeis (Trento). Direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università: dottor Ernesto Diaco (finora vice responsabile del Servizio nazionale per il Progetto culturale).

Page 49: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

- responsabile del Servizio nazionale per l’edilizia di culto, ad interim, a far data dal 15 novembre 2015: don Valerio Pennasso (Alba). - assistente ecclesiastico centrale dell’Azione cattolica italiana per il settore adulti: don Emilio Centomo (Vicenza). - assistente ecclesiastico generale dell’Associazione guide e scouts cattolici italiani (Agesci): padre Davide Brasca, b. - assistente ecclesiastico generale della Branca esploratori/guide dell’Associazione guide e scouts cattolici italiani (Agesci): fra’ Adriano Appollonio, ofm. - assistente ecclesiastico generale della Branca lupetti/coccinelle dell’Associazione guide e scouts cattolici italiani (Agesci): don Andrea Della Bianca (Concordia - Pordenone). - assistente ecclesiastico generale dell’Associazione italiana guide e scouts d’Europa cattolici (Aigsec): don Paolo La Terra (Ragusa). - consigliere spirituale nazionale dell’Associazione Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS): don Guido Pietrogrande, db. - consulente ecclesiastico nazionale del Centro sportivo italiano (Csi): don Alessio Albertini (Milano). Il Consiglio permanente ha accolto la proposta - avanzata dalla Presidenza, a seguito della richiesta pervenuta dal Forum delle Associazioni familiari e dal Movimento per la vita - di indicare il dottor Vittorio Sozzi (finora Responsabile del Servizio nazionale per il Progetto culturale e coordinatore degli uffici e dei servizi pastorali della Segreteria generale) come referente degli enti predetti. Nella riunione del 30 settembre, la Presidenza della Cei ha provveduto alle seguenti nomine: - membro del Comitato per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica: don Ivan Maffeis, sottosegretario e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali. - membro del Comitato per la valutazione dei progetti di intervento a favore dei beni culturali ecclesiastici: don Luca Franceschini (Massa Carrara-Pontremoli). La Presidenza provveduto altresì alla seguente conferma: - consigliere spirituale del Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa (Gris): don Battista Cadei (Bergamo). La Presidenza ha infine concesso il benestare alla nomina di don Mario Vincoli (Aversa) come segretario nazionale della Pontificia Opera della propagazione della fede e della Pontificia Opera dell’infanzia missionaria. CORRIERE DELLA SERA di sabato 3 ottobre 2015 Pag 18 La confessione del monsignore teologo: “Sono un gay felice e ho un compagno” di Elena Tebano “So che ne pagherò le conseguenze, ma per la Chiesa è arrivato il momento di aprire gli occhi” «Voglio che la Chiesa e la mia comunità sappiano chi sono: un sacerdote omosessuale, felice e orgoglioso della propria identità. Sono pronto a pagarne le conseguenze, ma è il momento che la Chiesa apra gli occhi di fronte ai gay credenti e capisca che la soluzione che propone loro, l’astinenza totale dalla vita d’amore, è disumana». Monsignor Krzysztof Charamsa, 43 anni, polacco da 17 anni residente a Roma, lo dice con un sorriso serio e pacato. Non è un sacerdote qualunque: ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 2003, è segretario aggiunto della Commissione Teologica Internazionale vaticana e insegna teologia alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum a Roma. Mai prima d’ora un religioso con un ruolo attivo in Vaticano aveva fatto una dichiarazione del genere. Oggi monsignor Charamsa sarà a Roma alla prima assemblea internazionale dei cattolici lgbt organizzata dal Global Network of Rainbow Catholics alla vigilia del Sinodo sulla famiglia, per sostenere il dialogo sui gay cattolici. Perché ha deciso di fare coming out? «Arriva un giorno che qualcosa si rompe dentro di te, non ne puoi più. Da solo mi sarei perso nell’incubo della mia omosessualità negata, ma Dio non ci lascia mai soli. E credo che mi abbia portato a fare ora questa scelta esistenziale così forte - forte per le sue conseguenze, ma dovrebbe essere la più semplice per ogni omosessuale, la premessa per vivere coerentemente - perché siamo già in ritardo e non è possibile aspettare altri cinquant’anni. Dunque dico alla Chiesa chi sono. Lo faccio per me, per la mia comunità,

Page 50: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

per la Chiesa. È anche mio dovere nei confronti della comunità delle minoranze sessuali». Cosa pensa di ottenere? «Mi pare che nella Chiesa non conosciamo l’omosessualità perché non conosciamo gli omosessuali. Li abbiamo da tutte le parti, ma non li abbiamo mai guardati negli occhi, perché di rado essi dicono chi sono. Vorrei con la mia storia scuotere un po’ la coscienza di questa mia Chiesa. Al Santo Padre rivelerò personalmente la mia identità con una lettera. E comunicherò chi sono alle università romane dove insegno: con mio grande dolore è probabile che non potrò più lavorare nella scuola cattolica». Lo fa alla vigilia del Sinodo sulla famiglia, che inizia domani in Vaticano. «Sì, vorrei dire al Sinodo che l’amore omosessuale è un amore familiare, che ha bisogno della famiglia. Ogni persona, anche i gay, le lesbiche o i transessuali, porta nel cuore un desiderio di amore e familiarità. Ogni persona ha diritto all’amore e quell’amore deve esser protetto dalla società, dalle leggi. Ma soprattutto deve essere curato dalla Chiesa. Il Cristianesimo è la religione dell’amore: è ciò che caratterizza il Gesù che noi portiamo al mondo. Una coppia di lesbiche o di omosessuali deve poter dire alla propria Chiesa: noi ci amiamo secondo la nostra natura e questo bene del nostro amore lo offriamo agli altri, perché è un fatto pubblico, non privato, e non è una ricerca esasperata del piacere». Questa però non è la concezione della Chiesa. «No, non sono posizioni dell’attuale dottrina della Chiesa, ma sono presenti nella ricerca teologica. In quella cristiana in modo ponderoso, ma abbiamo anche ottimi teologi cattolici che su questi aspetti producono contributi importanti». Il Catechismo cattolico sulla base della lettura biblica definisce l’omosessualità come una tendenza «intrinsecamente disordinata»... «La Bibbia non parla mai di omosessualità. Parla invece degli atti che io definirei “omogenitali”. Possono essere compiuti anche da persone eterosessuali, come succede in molte prigioni. In questo senso potrebbero essere un momento di infedeltà alla propria natura e quindi un peccato. Quegli stessi atti compiuti da una persona omosessuale esprimono invece la sua natura. Il sodomita biblico non ha niente a che fare con due omosessuali che oggi in Italia si amano e vogliono sposarsi. Non trovo nella scrittura nemmeno una pagina, neanche in San Paolo, che possa riferirsi alle persone omosessuali che chiedono di essere rispettate nel loro orientamento, un concetto sconosciuto all’epoca». La dottrina cattolica esclude dal sacerdozio i gay: lei come ha potuto diventarlo? «È una regola introdotta nel 2005 quando io ero già sacerdote, e che vale solo per le nuove ordinazioni. Per me è stato un trauma. Prima non era così e credo che sia un errore da correggere». Lei ha sempre saputo di essere gay? «Sì, ma all’inizio non lo accettavo, mi sono sottomesso con pignoleria zelante all’insegnamento della Chiesa e al vissuto che mi imponeva: il principio che “l’omosessualità non esiste”. E se c’è va distrutta». Come è passato dal rifiuto alla «felicità» di essere gay? «Studiando, pregando e riflettendo su di me. Sono stati fondamentali il dialogo con Dio e il confronto con la teologia, la filosofia, la scienza. Adesso, poi, ho un compagno che mi ha aiutato a trasformare le ultime paure nella forza d’amore». Un compagno? Questo non è ancora più inconciliabile con il sacerdozio cattolico? «So che la Chiesa mi vedrà come qualcuno che non ha saputo mantenere una promessa, che si è perso e per di più non con una donna, ma con un uomo! E so anche che dovrò rinunciare al ministero, che pure è tutta la mia vita. Ma non lo faccio per poter vivere con il mio compagno. Questa è una decisione molto più ampia che nasce dalla riflessione sul pensiero della Chiesa». Cioè? «Se non fossi trasparente, se non mi accettassi, non potrei comunque essere un buon sacerdote perché non potrei fare da tramite alla felicità di Dio. Penso che su questi temi la Chiesa sia in ritardo rispetto alle conoscenze che ha raggiunto l’umanità. È già successo in passato: ma se si è in ritardo sull’astronomia le conseguenze non sono così pesanti come quando il ritardo riguarda qualcosa che tocca la parte più intima delle persone. La Chiesa deve sapere che non sta raccogliendo la sfida dei tempi».

Page 51: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

Pag 19 L’ex alunno dal Papa a Washington con il suo convivente di Gian Guido Vecchi Lombardi: nessun appoggio all’impiegata antigay Città del Vaticano. La polemica è scoppiata quando Francesco era già rientrato a Roma da Filadelfia, ultima tappa del viaggio americano. Il padre gesuita Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica , aveva già fatto sapere subito l’essenziale via Twitter: «Papa Francesco negli Usa è stato troppo scomodo. Unico modo per manipolarlo: preparare una trappola mediatica e attendere la partenza». La trappola cui si riferiva era la notizia dell’incontro di Bergoglio con Kim Davis, una funzionaria pubblica della contea di Rowan, nel Kentucky, finita in carcere per aver rifiutato di firmare le licenze matrimoniali a coppie gay. La diretta interessata - non cattolica, ma cristiana pentecostale - aveva raccontato tramite l’avvocato di avere avuto un colloquio riservato ed essere stata incoraggiata dal Papa. La vicenda ha scatenato polemiche ed è diventata un caso politico cavalcato dalla parte più conservatrice dei cristiani e dalla destra repubblicana. Ecco perché il Vaticano ieri è intervenuto con una nota firmata da padre Lombardi: «Il Papa non è entrato nei dettagli della situazione della signora Davis e il suo incontro con lei non deve essere considerato come un appoggio alla sua posizione in tutti i suoi risvolti particolari e complessi». Lombardi spiega che si è trattato di un «breve incontro» nella nunziatura di Washington. La Davis era stata invitata (dal nunzio, si presume) come «diverse decine di persone». Saluti «molto brevi e di cortesia», chiarisce: «L’unica “udienza” concessa dal Papa è stata ad un suo antico alunno con la famiglia». Nella nunziatura Francesco ha salutato in effetti un suo ex alunno al collegio dell’Immacolata Concezione di Santa Fé, Yayo Grassi, «che il Papa aveva già incontrato altre volte in passato e che aveva chiesto di presentargli sua madre e alcuni amici», ha poi precisato Lombardi. Uno di questi, ha raccontato la Cnn , si chiama Iwan ed è il compagno di Grassi, omosessuale dichiarato. «Come è noto, il Papa conserva molti rapporti personali motivati pastoralmente con un atteggiamento di gentilezza, di accoglienza e di dialogo», ha spiegato Lombardi. In un video dell’incontro il Papa sorride ad Iwan, «ci siamo già visti in piazza San Pietro». Lo stesso Grassi ha raccontato: «Tre settimane prima del viaggio, il Papa mi ha telefonato dicendo che gli sarebbe piaciuto riabbracciarmi». Il Papa saluta tutti. Del resto nel volo di ritorno, a un giornalista che gli chiedeva se sostenesse «la rivendicazione della libertà religiosa» anche nei funzionari che «per esempio» rifiutassero licenze matrimoniali a coppie omosessuali, Bergoglio ha replicato subito: «Io non posso avere in mente tutti i casi che possono esistere». Quindi, a proposito dell’obiezione di coscienza in generale, ha spiegato: «L’obiezione di coscienza è un diritto ed entra in ogni diritto umano. In ogni struttura giudiziaria deve entrare l’obiezione di coscienza, perché è un diritto umano. Altrimenti, finiamo nella selezione dei diritti: questo è un diritto di qualità, questo no...». Francesco, come si è visto anche nel caso del sindaco Marino, non ama essere strumentalizzato. Di qui la precisazione sollecitata dalla Segreteria di Stato: «Al fine di contribuire a una comprensione obiettiva di ciò che è avvenuto». Pag 19 Tre minuti per ognuno dei 274 oratori, domani si apre il sinodo di Virginia Piccolillo Il confronto sulla famiglia e poi le proposte (non vincolanti) per il Pontefice. Tra i temi anche la comunione ai divorziati Roma. Non chiacchiere sugli angeli ma proposte concrete. Lo vuole così papa Francesco il sinodo sulla Famiglia che si apre domani. Quello che si dovrebbe chiudere con la decisione storica sulla riammissione dei divorziati all’eucarestia. «Bisogna guardare alla famiglia, che subisce attacchi da tutte le parti, non come la grande malata», evidenzia Nunzio Galantino, segretario Cei che oggi, celebrerà una veglia di preghiera in favore di questo «bene prezioso». «Ma molte volte la famiglia viene trattata male, o non viene trattata proprio» lamenta alla radio inBlu. Per formulare le proposte, non vincolanti, al Papa, i 274 padri sinodali ripartiranno dall’Assemblea straordinaria dello scorso anno. E dall’approvazione, a maggioranza semplice, delle proposte su comunione ai divorziati risposati e su una maggiore accoglienza dei gay nelle comunità parrocchiali. Una

Page 52: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

richiesta sollecitata dalla base cattolica, interpellata per volere di papa Francesco, da due appositi questionari. Anche se, spiega Galantino, «nessuno mette in discussione il valore sacramentale, straordinario e fondativo della famiglia, composta da papà, mamma e figli, così come la Sacra Scrittura ce la consegna». Le tre settimane di lavori, aperte domenica dalla messa del Papa saranno dedicate ciascuna ad un tema. Interventi di 3 minuti. E sintesi alla fine della settimana. Una commissione, priva di membri della Curia, stilerà la relazione finale. Ma il Sinodo sarà teatro di uno scontro quasi epocale tra due visioni. Tradizionalisti e progressisti animeranno un confronto che papa Francesco vorrebbe «sincero, aperto e fraterno». Ma tra le posizioni più avanzate del cardinal Kasper, ostile ai «fondamentalisti del Vangelo» e quelle più conservatrici dei più vicini all’ex presidente Cei, Camillo Ruini, ci saranno scintille. Che potrebbero divampare se si affronterà il tema introdotto dal Papa con il Giubileo della Misericordia: l’aborto. Ma il cardinal Bassetti, avverte: «Non è una competizione in cui bisogna aspettarsi che qualcuno vinca una gara». LA REPUBBLICA di sabato 3 ottobre 2015 Pag 24 L’abbraccio del Papa con la copia gay alla vigilia del Sinodo di Paolo Rodari Incontro con un amico argentino di vecchia data. Il Vaticano: “Massima trasparenza per l’assise” Città del Vaticano. Mancano ventiquattro ore all'apertura del Sinodo sulla famiglia, e Papa Francesco stupisce per la semplicità e la libertà con la quale mantiene rapporti di amicizia con tutti. La notizia di ieri è che il 23 settembre scorso, durante la sua permanenza a Washington, Bergoglio non ha incontrato soltanto Kim Davis, la funzionaria di una contea del Kentucky finita in prigione per essersi rifiutata di dare licenze matrimoniali a coppie gay - «Non deve essere considerato come un appoggio alla sua posizione in tutti i suoi risvolti particolari e complessi», ha precisato il Vaticano - , ma, come ha riferito la Cnn, anche un suo amico argentino residente negli Stati Uniti, Yayo Grassi, che da diciannove anni ha una relazione omosessuale. Ha spiegato in merito ieri padre Federico Lombardi, portavoce vaticano: «Yayo Grassi è un ex alunno argentino, che il Papa aveva già incontrato altre volte in passato e che aveva chiesto di presentargli sua madre e alcuni amici in occasione della sua permanenza a Washington. Come è noto, il Papa conserva molti rapporti personali motivati pastoralmente con un atteggiamento di gentilezza, di accoglienza e di dialogo». Ha detto lo stesso Grassi alla Cnn: «Papa Francesco, quando ancora era Bergoglio, fu il mio professore al Colegio de la Inmaculada Concepción. Ho avuto il privilegio di averlo come docente di letteratura e psicologia». L'incontro è avvenuto presso l' ambasciata del Vaticano. Assieme a Grassi c'era anche il suo compagno indonesiano, Iwan Bagus, e diversi altri amici: «Tre settimane prima del viaggio (Bergoglio) mi ha telefonato dicendo che gli sarebbe piaciuto riabbracciarmi», ha raccontato ancora Grassi. Che ha poi precisato come il Pontefice avesse sempre saputo della sua omosessualità, ma che «non ha mai giudicato. Non ha mai detto nulla di negativo. Naturalmente - ha aggiunto - è il pastore della Chiesa e deve seguire gli insegnamenti della Chiesa. Ma in quanto essere umano capisce tutti i tipi di situazioni ed è aperto a tutti». In diversi video pubblicati dalla coppia sui social network si vede l'abbraccio tra Yayo e il Pontefice e poi quello con Iwan, che uscito dall'incontro aveva commentato: «A presto, Francisco! Molte grazie. Baci». A poche ore dall'apertura del Sinodo, Francesco dimostra nei fatti di volere una Chiesa che con semplicità sa accogliere tutti, nessuno escluso. È la Chiesa che fa suo fino in fondo l'insegnamento di Gesù, il quale non aveva paura di sedere a tavola con pubblicani e peccatori. Una linea che non può che far riflettere anche i vescovi riuniti da domani (questa sera c'è una veglia introduttiva) in assise sinodale. In aula sono previsti interventi di tre minuti ciascuno, mentre gran parte della discussione avverrà liberamente ndei circoli minori, divisi per area linguistica. A metà Sinodo non è prevista la relatio post disceptationem. Una Commissione, nella quale non figura nessun membro della Curia romana, provvederà all'elaborazione del progetto di una relazione finale. «Dieci persone - ha spiegato il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario del Sinodo - per tutto il tempo sovraintenderanno a lavori e alla fine daranno il loro benestare. Sette di loro rappresentano i cinque continenti». E ancora: «Il testo a conclusione dei lavori della prima settimana viene elaborato da esperti, dal relatore generale e dal segretario

Page 53: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

speciale anche alla presenza dei relatori dei singoli circoli minori. A conclusione della prima parte c'è già un testo ma non sarà quello definitivo perché ci sarà una seconda e una terza settimana e si tratterà di armonizzare le varie posizioni che emergeranno. La commissione dei dieci garantirà maggiore trasparenza». Se ci saranno emendamenti, questi «saranno aggiunti nel testo finale che sarà letto integralmente. Seguiranno le votazioni». Alla fine delle tre settimane «si arriverà a un testo frutto delle riflessioni e dei vari interventi dei padri sinodali». Il dibattito resterà segreti, per dare maggiore libertà a chi desidera intervenire. Ma padre Lombardi ha assicurato trasparenza: ci sarà una maggiore presenza di padri sinodali ai briefing giornalieri organizzati dalla sala stampa della Santa Sede e verrà distribuito un testo riassuntivo delle discussioni nei "circoli minori". Pag 25 Meno nozze in chiesa e ore di religione. Bergoglio non frena l’ascesa della laicità di Michele Smargiassi A piccoli passi l'Italia continua ad allontanarsi dalla Chiesa, anche quella di papa Francesco. Calcolato ogni anno dalla Fondazione Critica Liberale assieme alla Cgil Nuovi Diritti, l'"Indice di secolarizzazione" prende per la prima volta in considerazione i dati dell'era Bergoglio, ma l'effetto Francesco non c'è: la lancetta sale di un lieve ma inequivocabile 5,9%. Si conferma insomma quel ritmo di leggera costante ascesa della laicità nazionale che dura ormai dal 2011, cioè dagli ultimi anni del diversissimo pontificato Ratzinger. Nel ventennio precedente la tendenza degli italiani a seguire meno precetti, indicazioni e riti del cattolicesimo era stata in effetti più impetuosa. Ma anche se il ritmo da qualche tempo rallenta, almeno nel suo primo anno il nuovo pontificato non sembra aver invertito la tendenza. Calano dunque, sotto Francesco, i battesimi, anche se solo di qualche centinaio di unità su circa 400 mila (erano 490 mila l'anno nel '94); calano le cresime (di qualche migliaio), crescono invece le prime comunioni, tornando ai livelli di dieci anni fa; calano viceversa assai seccamente i matrimoni in chiesa, di circa undicimila l'anno, su 120 mila, ma anche in proporzione al totale dei matrimoni, dal 59 al 57,5%, con la linea del sorpasso fra civili e concordatari che scende dal nord al centro Italia. In leggero declino le vocazioni (quasi un migliaio di ordinazioni di sacerdoti in meno). Continua a crescere la disaffezione delle famiglie per l'ora di religione (88,5% gli studenti che "si avvalgono", in declino di circa mezzo punto all' anno), mentre tendono alla stabilità le iscrizioni alle scuole cattoliche. Stabile pure il ricorso agli anticoncezionali. Rispetto al lungo periodo (i battesimi in vent'anni sono diminuiti di 82 mila unità su 490 mila; i matrimoni religiosi di un terzo) la disaffezione dei fedeli negli ultimi tempi si misura su scarti molto ridotti. I dati a volte si fanno oscillanti: ed anche questo è forse il segno che l'Italia tende ad avvicinarsi a un certo livello di equilibrio "secolare". Singolare l'andamento dei versamenti dell'otto per mille alla Chiesa cattolica, dato da sempre in controtendenza rispetto alla secolarizzazione generale, cioè in vertiginosa crescita, dai 303 milioni di euro erogati nel '93 ai 1.119 nel 2011: da quell'anno però in calo del 9,5%: ma vale solo per l'importo, perché il numero delle singole opzioni invece cresce, «frutto di una campagna pubblicitaria martellante», sostiene il direttore di Critica Liberale Enzo Marzo. L'apparente contraddizione si spiega forse con la crisi economica, che fa calare gli imponibili. Gli italiani hanno ormai preso le misure stabili del loro rapporto con il cattolicesimo? Può essere, ma la Chiesa non sembra rassegnata. La presenza di istituzioni cattoliche nel sociale non arretra, anzi: crescono gli istituti di assistenza (6299, una sessantina in più nell' era Bergoglio), gli ospedali, le case di cura (oggi 1654), i consultori, i nidi d'infanzia. E c'è un fattore nascosto che potrebbe spiegare diversamente le cose. L'arrivo in Italia di grandi masse di immigrati. Difficile separare, nei dati che il Rapporto ha raccolto, la componente immigrata da quella stanziale. Ma in qualche caso si può, e i dati allora sono significativi. Il calo dell' interruzione volontaria di gravidanza, ad esempio, sarebbe forse più deciso se non fosse compensato dalla maggiore tendenza delle donne immigrate ad abortire (ormai un terzo del totale delle ivg). E questo ha ridato fiato ai Centri di assistenza alla vita, in aumento anche negli ultimi anni (dieci in più solo nel 2014), la cui utenza italiana, però, rimane stabile, mentre è aumentata grandemente l'affluenza di donne straniere, che oggi sono i quattro quinti delle frequentatrici dei centri, spesso unico punto di riferimento per le immigrate nel vuoto di accoglienza dello Stato. Allo stesso

Page 54: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

modo, altri dati in controtendenza potrebbero nascondere l'influenza della mutata composizione demografica nazionale: i battesimi tardivi, ad esempio (in crescita annua del 2,71% quelli oltre il settimo anno di età) possono venire da famiglie immigrate faticosamente ricongiunte; così come il rapporto sacerdoti/popolazione, rimasto più o meno stabile dopo la forte crisi dei decenni scorsi, può essere stato nutrito da preti "importati". Un'Italia sempre più multiculturale, del resto, ci dovrà abituare a questi riassestamenti continui delle abitudini, delle scelte sociali e delle opzioni religiose. IL FOGLIO di sabato 3 ottobre 2015 Pag I Bello e indissolubile di Mattia Ferraresi e Matteo Matzuzzi Il Sinodo si apre domani: non c’è solo l’ostia ai divorziati risposati. Gli americani di Communio contro la proposta del “minimo di fede” articolata anche da Scola. Voci dall’Istituto John Paul II Non è usuale che l'edizione nordamericana di Communio, la rivista internazionale fondata da Joseph Ratzinger, Hans Urs von Balthasar ed Henri de Lubac più di quarant'anni fa, prenda pubblicamente posizione - a livello di board editoriale - su una questione cruciale che divide la chiesa ai suoi livelli più alti. Lo fa ora che la contesa sinodale sulla famiglia si avvicina e i toni si fanno più aspri. Oltre alla vexata quaestio della comunione ai divorziati risposati e alle aperture più o meno manifeste sulle unioni omosessuali, c'è un altro tema, assai trascurato nel grande dibattito mediatico, che "distrugge implicitamente l'interpretazione cristologica del matrimonio". Non è esattamente un dettaglio. La faccenda infiammata è contenuta nel punto 48 della Relatio Synodi, che propone di dare rilievo al ruolo della fede dei nu bendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio. E' il minimum fidei, il "minimo di fede" richiesto agli sposi al momento delle nozze per la validità sacramentale della loro unione. Non è un disputa di alta teologia buona soltanto per le accademie: qui, sostiene Communio, ci sono "conseguenze pratiche e pastorali di vasta portata". Una versione del minimum fidei l'ha proposta un anno fa anche il cardinale Angelo Scola, poche settimane prima dell'apertura del Sinodo straordinario, in un lungo articolo apparso sulla rivista Il Regno: "Oggi - scriveva l'arcivescovo di Milano - almeno in determinati contesti, non si può dare per scontato che i coniugi con la celebrazione delle nozze intendano 'fare quello che intende fare la chiesa'". Scola aggiungeva che "una mancanza di fede potrebbe condurre a escludere i beni stessi del matrimonio" e "se è vero che non è possibile giudicare ultimamente la fede di una persona, non si può però negare la necessità di un minimum fidei senza il quale il sacramento del matrimonio non è valido". Posizione ribadita di recente in un' intervista al Corriere della Sera, in cui il porporato osserva che sebbene "la dimensione soggettiva della fede" non sia verificabile, è altrettanto vero che "la fede non è un fatto individualistico, è inserita organicamente nella comunione". "Pertanto, rispettando fino in fondo la coscienza di ogni singolo, si può valutare se egli intende o meno fare ciò che la chiesa fa quando unisce due in matrimonio", sostiene Scola. Da questa riflessione, il cardinale fa derivare l'auspicio che "a proposito dei processi di nullità si tenti qualche via che non solo ne snellisca i tempi ma renda più evidente l' intima natura pastorale di tali processi". I teologi americani concordano con il cardinale di Milano sul fatto che la mancanza di fede negli sposi può in certi casi portare all'esclusione dai beni necessari per il matrimonio. Ma la questione che intendono sollevare è se la mancanza di una fede esplicita e soggettiva in sé implichi l'invalidità dell'unione, al punto che questa mancanza possa essere usata come criterio a posteriori per la dichiarazioni di nullità. Il Foglio ha incontrato all' istituto Giovanni Paolo II di Washington due dei professori che hanno lavorato alla formulazione di una presa di posizione che contesta alla radice l'idea del minimum fidei, D.C. Schindler e Nicholas Healy. A giudizio di Schindler, professore di Metafisica e Antropologia, sarebbe più utile "riconoscere la questione dell' insufficienza della fede per rinnovare energie nella direzione dell' educazione, di una maggiore preparazione al matrimonio". In ogni caso, però, "al centro di questa discussione deve esserci la valorizzazione dell'elemento positivo, affermativo, non soltanto quello negativo, cioè trovare nuovi elementi per concedere la nullità matrimoniale", faccenda che si collega direttamente anche al motu proprio di Papa Francesco sullo snellimento dei processi di nullità. Nell' articolo apparso sull'ultimo numero dell'edizione nordamericana della rivista si legge infatti che "questa

Page 55: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

nuova proposta non solo mina le fondamenta della chiesa sul matrimonio tout court, ma anche frantuma la concezione cattolica del mondo in generale, come realtà creata in vista del dono della grazia nella redenzione". In sostanza, la soluzione si rivelerebbe ben peggiore del danno, visto che "in maniera sottile ma profonda, la proposta darebbe nuovo vigore alla stessa crisi che si intenderebbe risolvere". Spiega Schindler: "Una delle ragioni per cui abbiamo deciso di fare questa dichiarazione, che non è una cosa tipica per Communio, è precisamente perché è diventato chiaro che il tema del matrimonio e della famiglia non è soltanto una questione morale fra le altre, ma in un certo senso il significato della natura, della creazione e della cultura è incarnato, converge in questo punto. Il problema che vediamo in questa proposta, che consiste nell' introdurre un requisito aggiuntivo, cioè un esplicito atto di fede, oltre al consenso sponsale, implica necessariamente che il consenso in sé non contiene già un significato teologico intrinseco". Schindler guarda a Giovanni Paolo II quando afferma che "una delle sue intuizioni" fu "che il matrimonio è un sacramento primordiale, creato precisamente con una visione sul mistero della redenzione, in un modo molto diretto. Nel suo senso naturale, il matrimonio rappresenta il culmine del significato della natura. Già nella cultura classica il tema di eros definisce il centro del mondo naturale. Questo ha delle implicazioni metafisiche. Se insistiamo sulla fede come un'addizione, ciò implica che questa unità viene spezzata, il movimento interno verso Dio viene strappato dalle sue radici. A noi sembra che questo abbia diramazioni su tutto". Detto altrimenti: il dibattito intorno alla natura e al valore del matrimonio non è un dibattito fra gli altri, ma una sintesi, una fedele rappresentazione in scala del più vasto dibattito sul senso stesso dell'essere cristiani. Per Healy, che all' istituto insegna Filosofia e Cultura, "la sacramentalità del matrimonio tocca la relazione fra natura e grazia, e questo è sempre stato pensato dalla chiesa, ma con una particolare enfasi nel XIX secolo si è insistito sull'inseparabilità fra il sacramento e l' istituzione. Il segno sacro di mistero di salvezza di Cristo è il matrimonio stesso, e questo è il modo in cui l'economia sacramentale raggiunge tutti gli aspetti e invade le cose più umane della relazione, avere figli, il lavoro, il tempo in famiglia. Tutto questo è contenuto nel mistero sacramentale. Per questo l'unità sacramentale del matrimonio ha implicazioni enormi sulla questione dell' unità fra natura e grazia". Introdurre un nuovo requisito soggettivo, difficile da rintracciare e impossibile da quantificare, significa, dicono gli interlocutori del Foglio, fare un passo decisivo verso un' antropologia della frammentazione squisitamente moderna. Schindler chiarisce che "il rifiuto del minimum fidei non è affatto un rifiuto della rilevanza della fede nel sacramento, il problema è come pensiamo alla fede personale". Nella tradizione della chiesa la fede ha un carattere oggettivo: "E' la fede della chiesa, è la guardiana della nostra fede. Lì troviamo la perfetta espressione della fede, alla quale ciascuno partecipa singolarmente. Questa tradizione implica che l' efficacia del sacramento non dipende dalle qualità soggettive degli individui". La modernità ha disgregato questa prospettiva, affermando "una forma di individualismo atomistico". Continua Schindler: "In quanto moderni, pensiamo ai nostri atti intellettuali come il prodotto di una pura soggettività. Siamo atomi che galleggiano, connessi alla realtà fuori di noi soltanto dagli sforzi della nostra volontà. Con un' antropologia del genere non ha alcun senso dire che partecipiamo alla fede della chiesa. Perché, da un punto di vista moderno, se una cosa non proviene o non è riconducibile alla mia testa, non esiste. E' molto difficile negare che ci sia un sentore di questa antropologia dietro la proposta del minimum fidei. Ovviamente questa proposta ha preso molte forme a seconda di chi l' ha enunciata, ci sono versioni molto grossolane e altre molto più sottili. In quelle grossolane si vede chiaramente una versione modernista della fede". Arrivano a parlare di una "visione contrattualistica del matrimonio", benché agghindata con vesti religiose: "Capire esattamente il contenuto della soggettività coinvolta diventa una questione decisiva, che non si può tralasciare. Di cosa uno sposo è responsabile? Solo di quello che aveva capito? Un matrimonio subordinato alle condizioni soggettive dei contraenti è, appunto, un contratto, figlio di una forma di liberalismo di tipo lockiano". Non che la preoccupazione per una diffusa leggerezza o un ripiegamento su forme tradizionali non sia giustificata. Basta pensare ai matrimoni celebrati in chiesa per fare un piacere alla nonna che va a messa tutti i giorni, o per le fotografie all' altare per afferrare la questione nei suoi termini più concreti. E ai padri sinodali la cosa non sfugge, tanto che c'è chi, per colmare questo fossato aperto dalla secolarizzazione, propone di mettere

Page 56: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

mano al matrimonio, non solo alla pastorale. Dice Healy: "Esiste certamente l' urgenza pastorale di preparare le persone e accompagnarle nella preparazione al matrimonio, ma il matrimonio in sé è una risorsa, e il desiderio di sposarsi è il segno di qualcosa di oltre. E' un'opportunità privilegiata di risvegliare la fede del battesimo. La sfida da affrontare ora è la secolarizzazione: ci sono molti che si accostano al matrimonio con una fede radicalmente menomata, come può una persona in quelle condizioni dare e ricevere il sacramento? A questa domanda occorre certamente dare una risposta, ma ciò che mi pare incredibilmente scor retto è il terzo argomento della proposta: che si usi la fede come un modo per risolvere il dilemma dei cattolici che sono divorziati e risposati, in modo da introdurre un nuovo criterio per l'annullamento". "Un' alternativa - spiega Schindler - sarebbe riconoscere la questione dell' insufficienza della fede, ma soltanto come sprone per rinnovare le energie nella direzione dell'educazione, di una maggiore preparazione al matrimonio". E' una disputa sottile, tutta giocata sul significato implicito del sacramento, categoria con cui la mentalità moderna ha progressivamente perso confidenza. Di certo c'è però l'obiettivo polemico dei riformatori: la Familiaris Consortio. I due professori convengono che il documento di Giovanni Paolo II è sotto at tacco: "I problemi e le circostanze sono cambiati, ma il documento inquadra in profondità tutti i problemi di oggi", spiega Schindler. Allo stesso tempo, aggiunge il collega, "ora non si tratta soltanto di ripetere la Familiaris Consortio ma di approfondirla, di usarla come una guida per affrontare le sfide odierne". C'è da capire se e come la posizione giovanpaolina, che riflette la tradizione, può coesistere con un maggiore sforzo pastorale e con misericordiose forme di accompagnamento nello spirito che Francesco sta manifestando. "L'insistenza sull'oggettività sacramentale - dice Schindler - non avviene a spese della soggettività, dobbiamo tenere conto di entrambi i lati della questione. Una delle più importanti implicazioni del pensiero di Giovanni Paolo II al riguardo può essere riassunta così: se è vero che il matrimonio in sé contiene un' apertura a Cristo, allora il desiderio autentico di sposarsi, anche se gli sposi non sono mai stati in chiesa, è un' opportunità, è un segno in sé di una possibilità di apertura a Cristo. Se uno fosse cosciente di questo fatto cambierebbe radicalmente anche il modo di preparare il matrimonio. Ogni situazione ha le sue specificità, è chiaro, ma esiste un'apertura a Cristo che è connaturata al matrimonio, e quest'apertura è l'elemento soggettivo". In fondo ai vari tentativi di rendere il matrimonio un istituto più flessibile, più abbordabile per il mondo postmoderno che vive nell' orizzonte del transitorio, non dell' indissolubile, si annida anche l'idea che il matrimonio, e per estensione l'intera vita cristiana, è magari un bell' ideale, ma irrealizzabile. Schindler evoca la distinzione della categoria di "ideale" per gli antichi e il pensiero classico e i moderni: "Per i moderni l'ideale è irreale, poggia sull'idea che c'è un vuoto da colmare fra la realtà e le aspirazioni ultime dell' uomo, e un ideale come quello del matrimonio è oppressivo. Dunque, si dice, in nome della misericordia dobbiamo abbassare l'asticella dell'ideale, per renderlo abbordabile. Ma per gli antichi era diverso: l'ideale è presente intrinsecamente nella realtà, è già presente. A questo livello la questione pastorale è importante: occorre riconosce re che la realtà del matrimonio contiene già gli elementi ideali, altrimenti diventa un'immagine oppressiva che siamo tentati di ridurre, di annacquare, per poterla accostare". Domani si aprono i lavori del Sinodo, e durante il suo viaggio in America il Papa ha chiesto di pregare per le "decisioni" che verranno prese. Qualcuno ci ha visto in filigrana una notizia, visto che il Sinodo non deve necessariamente produrre riforme. La posizione presa da Communio è inequivocabile, in un momento in cui, commenta Schindler, "non c' è dubbio che la tendenza vada nella direzione del minimum fidei, questo è innegabile". Eppure, dice, "è straordinario vedere quante risorse si stanno esprimento per opporsi a questa deriva. E lo vediamo nel fatto che una parte consistente della chiesa sta reagendo. Per esempio, nel motu proprio, nell'articolo sulla nullità del matrimonio la questione della fede è citata, ma il modo in cui il concetto è espresso è esattamente nella direzione in cui Giovanni Paolo II e Joseph Rat zinger lo esprimono, cioè che la mancanza della fede può condurre a una nullità, ma solo nella misura in cui conduce a un consenso falsato, sul livello naturale. Alcuni proponenti del minimum fidei ovviamente lo vogliono leggere in un altro modo, ma la formula in sé va nella direzione opposta". Per Healy sarà "un dibattito vivace, ma sono colpito dal fatto che nei documenti del Sinodo straordinario alla questione della fede si affianca una clausola, che ribadisce che un matrimonio fra due battezzati cristiani è sempre un sacramento. Se questa specifica finale verrà mantenuta

Page 57: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

sarà difficile, a mio parere, arrivare a una proposta sul minimum fi dei. Non sarà spezzata, in questo caso, l'unità fra sacramento e istituzione". L'editoriale cita anche Ratzinger, che sul tema ha avuto un'evoluzione nel corso della sua riflessione, tanto che, ricorda Healy, "alla fine degli anni Settanta sembrava favorire la proposta del minimum fidei, anche se in modo molto accorto. Lavorando in questa direzione penso sia arrivato a vedere più dimensioni e ad affermare chiaramente che sì, la fede è condizione essenziale del matrimonio ma può minarlo soltanto a livello naturale, non a livello sacramentale. E credo che sia essenzialmente anche la posizione di Giovanni Paolo II". Aggiunge Schindler: "Molti di quelli che oggi si rifanno al primo Ratzinger per sostenere il minimum fidei non tengono conto delle sue posizioni successive, purtroppo". Torna al sommario 7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag IV San Clemente, le opere contese di Roberta Brunetti La proprietà dell’isola chiede di recuperare i dipinti dopo i furti d’arte di fine anni Novanta. “La Soprintendenza deve ancora decidere, la Curia attende un approfondimento tra le parti” Prima spogliata dai vandali, ora da una "contesa" che si trascina già da mesi senza soluzione. Strana storia quella della chiesa di San Clemente, inglobata ormai da dodici anni in quel complesso alberghiero che ha riaperto i battenti ad aprile, dopo un passaggio di proprietà e un restyling che ha aggiunto lusso al lusso nel "St. Regis San Clemente Palace". Ebbene, proprio i nuovi proprietari dell’isola-albergo, la società milanese Italease, con il gruppo turco Permak che l’ha presa in leasing, chiedono che le opere d’arte della chiesa che si sono disperse nel corso degli anni tornino alla loro sede originaria. Una richiesta avanzata alla Soprintendenza ancora un anno fa, reiterata più volte, l’ultima una ventina di giorni fa, ma ancora senza risposta. Anche perché nel frattempo parte delle opere sono state rivendicate dall’Ulss, in virtù del vecchio contratto di compravendita. Mentre la Curia ne ha inserite altre, avute in consegna, all’interno del suo museo diocesano. Insomma un caso complicato, tanto quanto è stata travagliata la storia dell’isola. Molti ricorderanno lo scandalo degli anni ’90 quando, dopo la dismissione dell’ex isola-manicomio da parte dell’Ulss, venne abolita la guardiania e scorrazzarono vandali e ladri. Italia Nostra raccolse in un libro-denuncia l’elenco di quel patrimonio depredato. E la Corte dei conti stimò in 4 miliardi di vecchie lire il danno patito per i pezzi spariti. Fu dopo quel fatto che le opere rimaste, o successivamente recuperate, non vennero più ricollocate in isola, ma sistemate in vari depositi della stessa Soprintendenza o affidati alla Curia. Passati gli anni, trasformata l’isola in albergo, già nel 2007 la Soprintendenza si era fatta vita con la precedente proprietà. Ma non c’era stata risposta. Ora è la nuova proprietà a muoversi e per l’operazione si è affidata al professor Giuseppe Cristinelli, già ordinario di restauro allo Iuav. «Purtroppo siamo in una situazione di stallo - conferma - nell’attesa di una decisione della Soprintendenza. Quello che chiediamo è di far tornare i beni nella chiesa, che è vincolata nel suo complesso, comprese le opere d’arte. La questione della proprietà si può risolvere diversamente, ad esempio indicando con delle targhe che questo e quel quadro è dell’Ulss o della Curia. Ma le opere devono tornare nella loro sede originale». La Curia, da parte sua, resta «in attesa di un approfondimento tra tutte le parti». IL GAZZETTINO DI VENEZIA di domenica 4 ottobre 2015 Pag I Gli improvvisati salvatori della patria di Davide Scalzotto A beneficio dei pasdaran del «salviamo Venezia a tutti i costi». La discussione oggi non è tanto sul «portiamo via le navi da Venezia», ma sul «come portiamo via le navi dal bacino di San Marco». Su questo sono d’accordo praticamente tutti: il sindaco Brugnaro, il Porto, le compagnie da crociera, perfino il Pd (con tutto il suo controverso dibattito interno) e i Comitati contro le grandi navi. Parimenti sono tutti d’accordo nel salvare l’attività dell’attuale porto crociere, la Marittima, con migliaia di posti di lavoro e un

Page 58: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

indotto fondamentale per la città. Questo va detto per fare chiarezza, soprattutto in chi da lontano urla «basta crociere», ma pensa ancora che le grandi navi passino in Canal Grande o in chi, ambientalista sempre da lontano, mai avrebbe alzato un dito per dire che, ad esempio, la chimica a Porto Marghera forse ha fatto più danni delle crociere in termini di inquinamento e di devastazione ambientale. Dunque, accertato che tutti vogliono portare via le navi da San Marco, di cosa si discute? Di come farlo, solo di questo: scavando un nuovo canale, come vorrebbero sindaco e Porto, o con qualche altra soluzione (ad esempio una stazione crociere alle porte del mare, con trasbordo a Venezia di migliaia di croceristi via motonavi) che eviti qualsiasi scavo che alteri la morfologia lagunare. Questo è il terreno di confronto, non altro. Poi, se c’è chi vuole ragionare in termini di "sistema portuale" e portare le crociere a Trieste come hub mediterraneo (questo salverebbe Venezia dalle navi, ma non dal turismo di massa, visto che anche da Trieste in qualche modo le torme in bermuda e maglietta arriverebbero comunque), allora, in un’ottica di sistema, ci potrebbe anche stare di fare a Venezia l’hub mediterraneo delle merci. Perché no? I veneziani sono i primi a voler salvare la propria città, anche se probabilmente non sono attrezzati per farlo. Ma hanno bisogno di menti illuminate, pratiche e obiettive, come lo furono coloro che la resero grande. Non di improvvisati salvatori della Patria. Torna al sommario 8 – VENETO / NORDEST IL GAZZETTINO Pag 12 Profughi, 4 su 10 possono restare di Luca Ingegneri La Commissione padovana ha esaminato un migliaio di domande sulle 2400 presentate Quattro profughi su dieci ottengono il permesso di restare nel nostro Paese. Vale a dire che gli altri sei sono costretti giocoforza a proseguire il loro viaggio verso il Nord Europa. È il dato che emerge dall’attività della Commissione territoriale della Prefettura di Padova, competente anche per le province di Venezia e Rovigo. Sono pochissimi gli immigrati cui viene riconosciuto lo status di rifugiato, che dà diritto al riconoscimento della Protezione internazionale. Il loro numero non supera quota sessanta ogni mille profughi. Al 20% degli immigrati viene invece concesso un permesso umanitario mentre il 14% riesce ad usufruire di un permesso sussidiario. La commissione territoriale avvia una vera e propria istruttoria. Se ne occupano quattro funzionari: uno della Prefettura, uno del Comune, uno dell’Unhcr (l’alto commissariato dell’Onu) e uno della Polizia. Ci vuole poi l’interprete, oltre al pulmino della cooperativa che preleva lo straniero dal luogo di accoglienza e lo accompagna in Prefettura prima di riportarlo indietro. Chi ottiene asilo ha diritto a un permesso di soggiorno che gli può permettere di cercare lavoro, avere la tessera sanitaria e attuare il ricongiungimento con la famiglia. Per lo status di rifugiato bisogna dimostrare che si fugge da una persecuzione per razza, etnia o religione. La protezione sussidiaria (5 anni) la ottiene invece chi rientrando in patria potrebbe essere in pericolo di morte. Quella umanitaria (2 anni) va a chi sfugge da guerre o catastrofi. La maggior parte sono state date a somali, siriani ed eritrei e a qualche nigeriano. Il problema sono i respinti, ovvero la maggioranza dei profughi. Se non fanno ricorso entro 30 giorni, vengono espulsi. Scatta l’ordine del questore che "invita" l’interessato a lasciare l’Italia entro quindici giorni. Se non lo fa diventerà un clandestino. Viceversa se fa ricorso l’esecuzione sarà sospesa ed egli potrà restare nelle strutture fino alla sentenza del tribunale competente. Con i tempi della giustizia si calcola che la permanenza fino al primo giudizio sarà almeno di un anno. Fino ad ora i ricorsi contro il parere negativo della Commissione sono stati 90. Da marzo a settembre sono state esaminate un migliaio di posizioni. Altre 1400 devono ancora prese in considerazione. Ci vorranno almeno cinque mesi per vagliare tutte le pratiche finora pervenute. Sul territorio padovano sono attualmente ospitati circa 1300 profughi. All’ex caserma Prandina di via Orsini si contano ancora 400 presenze. Una sessantina di ospiti sarà trasferita oggi all’hotel Paradiso di Noventa mentre un altro contingente è destinato all’ex base militare di Bagnoli. La Prandina dovrebbe chiudere i battenti prima dell’inverno, ma per tutta l’ultima settimana ha continuato a registrare nuovi arrivi. Non

Page 59: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

va meglio nel residence di Eraclea Mare, dove il numero dei richiedenti asilo ha superato più volte la quota massima consentita. Attualmente le presenze sarebbero circa 150 ma in condizioni di estremo disagio, tra proteste, risse e disordini. Da più parti è stata sollecitata la chiusura del centro ma le lungaggini burocratiche per il rilascio dei permessi di soggiorno e la scarsità di sistemazioni alternative per l’accoglienza diffusa stanno ritardando lo sgombero degli appartamenti in riva al mare. CORRIERE DEL VENETO di domenica 4 ottobre 2015 Pag 1 Gay, imprese e cultura diffusa di Stefano Allievi L’intervista all’industriale Mech In una interessante intervista a questo giornale l’imprenditore vicentino Gianluca Mech ha raccontato la sua reazione, durante l’assemblea di Confindustria a Vicenza, a un intervento del sindaco Brugnaro, che parlava – fuori contesto – delle cosiddette teorie gender. Mentre Brugnaro interveniva, nel suo stile volutamente brusco, su utero in affitto e matrimoni gay, Mech, omosessuale dichiarato (una rarità, nell’ambiente), si è avvicinato al palco, ha gridato la sua personale indignazione e ha poi abbandonato la sala (tra qualche insulto, va detto). Una reazione plateale a un intervento irrituale: che apre uno spaccato interessante sulla cultura diffusa su questi temi, nel Nordest. Non dimentichiamo che stiamo parlando di classi dirigenti, di elite, di persone benestanti che viaggiano, che esportano, che si confrontano ad alti livelli con un mondo aperto. E proprio per questo la cosa fa riflettere: si tratta di persone che vivono in un mondo e tra mentalità cosmopolite, con cui fanno affari; ma che su altri piani non se ne fanno contagiare. Anche nel Nordest, e nella stessa Vicenza teatro della scena descritta, come ovunque, persone omosessuali stanno ai vertici di imprese, di istituzioni pubbliche e private, sono presenti in politica, nel giornalismo, nel mondo della cultura: ma, a differenza che altrove, preferiscono spesso non dichiararsi tali, e questa naturalmente è una loro libera scelta. Quello che però dovrebbe far riflettere è il livello di ipocrisia a cui il discorso diffuso su questi temi ha accettato di abituarsi. Da un lato una sostanziale tolleranza comportamentale: ognuno faccia quello che vuole, basta che non ne parli (ciò che vale anche per chi si fa una seconda famiglia con una ventenne dove ha delocalizzato la sua impresa, per chi frequenta prostitute o club di scambi di coppie, magari anche per chi fa turismo sessuale in Thailandia o a Cuba, non parliamo di chi tradisce platealmente il o la consorte, in sostanza, per qualunque comportamento deviante rispetto al modello della famiglia tradizionale). Dall’altro un discorso pubblico che, in particolare sull’omosessualità, è ancora fortemente stigmatizzante, per cui il gay è semplicemente la «checca», il «frocio» e il «culattone», su cui è lecito fare battute grevi e riferimenti grossolani: anche in contesti dove non sarebbe richiesto. Non un discorso morale, quindi, ma un moralismo di facciata. Se l’ipocrisia, come diceva La Rochefoucauld, è l’omaggio che il vizio rende alla virtù, e questo vale ovunque, nel discorso pubblico del Nordest si è scelta spesso anche un’altra strada: la stigmatizzazione di un comportamento (e uno solo, tra tanti) identificato come vizio, in nome di una virtù dichiarata ma poco praticata – che serve come riconoscimento collettivo di appartenenza, non come riferimento ideale. In questo quadro le parole di Mech sono una rarità dirompente. Perché ha sottolineato l’inessenzialità (il non bisogno) di riferimenti a un’appartenenza comune ufficialmente eterosessuale laddove si parla d’altro: che bisogno c’è, di rimarcarlo? non è forse un’ammissione di debolezza culturale, seppur travestita da ostentazione di forza? E perché ha parlato di razzismo (di cui certo machismo etero è una forma appena più blanda, in una regione che ne conosce altri molto più espliciti, nei confronti degli stranieri), ricordando agli imprenditori che la crescita non è solo economica: che c’è anche una crescita culturale e civile, di diritti e di rispetto – e che forse sono collegate. Se altri contesti sono più avanti sul piano economico è anche perché sono ciechi alle differenze culturali, razziali, religiose, di opinione politica e di orientamento sessuale, e aperti al nuovo e all’altro da sé: che è lo spirito della modernità, dopo tutto. Su cui hanno scritto i grandi classici della sociologia e dell’economia, come Weber e Schumpeter: identificando nello straniero, nel diverso e nella minoranza – spesso – l’innovatore (e l’idealtipo dell’imprenditore, incidentalmente), proprio perché non ha interesse al mantenimento dello status quo. Il trionfo del

Page 60: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

capitalismo, la sua forza, viene anche da lì. E non è male vederlo ricordato anche in un’assise confindustriale. CORRIERE DEL VENETO di sabato 3 ottobre 2015 Pag 1 Una sfida comune di Massimiliano Melilli La lotta al fanatismo La figura del musulmano cristallizzato, incompatibile con la società secolare europea, non esiste. E’ solo frutto delle nostre comprensibili paure. Spesso è anche la diretta conseguenza di reazioni emotive davanti alle stragi di matrice fondamentalista. In una realtà comunitaria ampiamente secolarizzata, i credenti dell’islam e i laici di cultura musulmana possono adattarsi senza rinnegare la propria identità. Anche in Veneto la sfida è di enorme portata: separare l’islam dal fanatismo, distinguere l’essenza religiosa da qaedismo e talebanesimo, entrambe vettori oscurantisti e sanguinari. Una scommessa che dovrebbe coinvolgere i musulmani che da anni vivono fra noi ma anche cattolici, ortodossi, ebrei, laici. Il caso dell’imam di Schio, l’algerino Sofiane Mezzereg espulso dall’Italia per dieci anni dal ministero dell’Interno, è emblematico dell’attuale dimensione alla voce noi e l’islam. Dietro le motivazioni ufficiali del provvedimento - «a causa dell’educazione anti occidentale e dei rapporti con il mondo salafita (…) Mezzereg rappresenta una minaccia per la sicurezza dello stato» - si cela un disegno ancora più inquietante: l’indottrinamento dei bambini. Gli stessi tre maghrebini di dieci anni che in quinta elementare, durante la lezione di musica, si sono tappati le orecchie perchè è «haram», cioè è peccato ascoltarla, ammoniva l’imam. La vicenda offre più spunti di analisi. Stavolta l’istituzione scuola ha funzionato. L’insegnante ha subito segnalato l’episodio al preside che a sua volta l’ha esposto tempestivamente ai carabinieri. Davanti al caso dell’ex imam di Schio, ora sarebbe opportuno un intervento anche da parte della comunità musulmana che vive in Veneto. Positiva in questo senso la proposta di istituire un centro regionale per gli imam, per una selezione accurata delle guide spirituali, ed evitare pericolosi «fai da te». Ma c’è dell’altro sul fanatismo islamico. Rispetto all’Isis che filma e divulga barbare esecuzioni, trovare soluzioni all’altezza di un Paese lungimirante e pluralistico, significa intanto uscire dall’estremismo inconcludente di certa politica. Obiettivo: far valere, anche a costo di durissimi sforzi, sia la libertà di culto che le garanzie di sicurezza. L’islam è dentro lo spazio pubblico. Anche in Veneto. Tanti, troppi i segni e i segnali: a scuola, nei luoghi di lavoro, ovunque. Il divieto di ascoltare musica a tre bambini maghrebini che frequentano le elementari con i nostri figli, imporre tale veto in nome dell’islam, dovrebbe essere qualcosa di aberrante non solo per noi cattolici o laici ma soprattutto per ogni genitore musulmano, praticamente o meno. E’ attraverso reciprocità e sicurezza, che la parola «integrazione» può diventare pratica e non restare teoria. Torna al sommario … ed inoltre oggi segnaliamo… CORRIERE DELLA SERA Pag 1 La Cassa? Usiamola per le scuole di Francesco Giavazzi Soldi pubblici e idee I nuovi vertici della Cassa Depositi e Prestiti, nominati dal governo nel mese di luglio, si sono insediati e hanno cominciato a lavorare. Sarebbe stato auspicabile (lo scrissi il 14 giugno e poi ancora il 22 giugno) che a questo cambiamento si accompagnasse un progetto, un’idea di quali obiettivi il governo intenda dare alla Cassa, che è la maggiore istituzione finanziaria italiana. Ciò non è accaduto e per il momento sul tavolo dei nuovi amministratori si sono accumulate solo alcune «grane»: fra queste l’Ilva di Taranto e la Saipem, due aziende che per motivi molto diversi hanno dei guai che il ricco portafoglio della Cassa potrebbe aiutare a risolvere. La Cassa può essere impiegata in due modi. Il primo, quello che sembra si stia delineando, è sfruttare abilmente l’artificio contabile che ha posto la Cassa fuori dal perimetro dei conti pubblici, consentendole di aggirare le regole europee che vietano aiuti dello Stato a imprese in difficoltà. Lo fanno anche

Page 61: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

Francia e Germania ed è un uso certamente legittimo. Solo, a mio avviso, poco lungimirante. I soldi finiranno prima delle grane da risolvere. Saranno serviti per salvare un certo numero di aziende, alcune che meritavano di essere salvate, altre invece che sarebbe stato meglio chiudere perché ormai incapaci di camminare con le loro gambe. Se va bene, il saldo netto di questi interventi sarà vicino a zero. Più probabilmente, io temo, sarà negativo perché risulterà molto difficile arginare le pressioni politiche per l’utilizzo di questo ricco salvadanaio. L’alternativa è usare la Cassa per un grande progetto di cambiamento e rinnovamento dell’Italia. Interventi che, diversamente dalla soluzione di qualche grana passeggera e presto scordata, lascino qualcosa per cui i nostri figli e i nostri nipoti ci possano ringraziare. Perché ad esempio non dare alla Cassa il compito di finanziare la ristrutturazione dei nostri oltre 33.000 edifici scolastici? Il ministro Giannini ha avviato una ricognizione dello stato di salute di questi edifici. Il risultato sarà che un gran numero richiede interventi anche urgenti. Non solo strutturali: le scuole che hanno una moderna sala computer per gli alunni, o anche solo un collegamento a Internet, sono una rarità. Certo, per migliorare la scuola non bastano edifici rinnovati, e non sono neppure la cosa più importante. Un bravo insegnante apre la testa dei suoi alunni anche in una scuola disastrata; una capra svogliata rimane tale anche in un edificio scintillante. È una questione di regole, non di soldi, e i provvedimenti sulla Buona Scuola hanno finalmente cominciato a smuovere le acque. Ma anche gli spazi sono importanti. Fra cinquant’anni, quando le automobili fatte di acciaio si vedranno solo nei musei, dell’Ilva, per quanto oggi importante, nessuno si ricorderà. Ma chi ha avuto la fortuna di studiare in una di quelle belle scuole costruite nell’Ottocento (sono oltre 1.300 in Italia) ancora ringrazia la lungimiranza dei nostri bisnonni. Pag 22 Lo Stato senza giovani di Federico Fubini Solo 100 mila dipendenti pubblici su 3,2 milioni hanno meno di 30 anni Michele Torsello, 32 anni, ricorda ancora il suo primo giorno come funzionario della presidenza del Consiglio. Era il 2013. Entrò, si sistemò, si guardò intorno. E avvertì una sensazione mai provata prima: era un esemplare unico. Nessun altro collega era lontanamente definibile come giovane. «Per la prima volta - dice - dovevo muovermi in un mondo senza coetanei». Torsello non è il solo a sapere cosa si prova, fra i poco più di centomila dipendenti pubblici su 3,2 milioni che oggi hanno meno di trent’anni. Poco a poco, lo Stato italiano sta rimanendo senza giovani: ha sempre meno addetti che si trovino nella parte ascendente della vita, quando l’energia, la capacità di imparare, innovare e risolvere problemi crescono ogni mese. Lunghi anni di blocco dei concorsi e dei nuovi contratti, volti al controllo della spesa, hanno impresso alla struttura del pubblico impiego una curva abnorme. La base dei giovani si è ristretta, il vertice dei meno giovani e di coloro che si avviano a uscire dal lavoro invece ha continuato a espandersi. Lo squilibrio è arrivato a un punto tale che la struttura della burocrazia sembra alla vigilia di una sorta di rivoluzione: nel prossimo decennio circa un quarto degli attuali dipendenti dello Stato andrà in pensione. Uscirà poco meno di un milione di persone, e circa la metà dei dirigenti e degli alti funzionari attuali. Questa piramide rovesciata delle età oggi è un problema, ma in prospettiva si presenta come un’opportunità di quelle che non passano certo a ogni generazione. Di certo è una realtà che tiene al lavoro i tecnici di Palazzo Chigi, adesso che il governo è chiamato a tradurre in pratica la legge delega di riforma della Pubblica amministrazione: l’ambizione è di approfittare e (se possibile) accelerare il ricambio fra le generazioni, per rimodellare e modernizzare le burocrazie. Di recente la Danimarca e negli anni scorsi l’Irlanda o la Finlandia hanno mostrato alcuni modelli di «gestione delle età»: uscite incentivate, nuovi ingressi, nuove funzioni e un’organizzazione rivista. Quanto all’Italia, i numeri sono eloquenti anche da soli. Sulla base dei dati più aggiornati del ministero dell’Economia e delle agenzie statistiche di Francia, Germania e Gran Bretagna, il «Corriere» ha ricostruito il profilo di quella che si presenta come una profonda anomalia dell’Italia in Europa. Fra i dipendenti pubblici in questo Paese i giovani fra i 20 e i 29 anni sono appena il 3,2% del totale, mentre nel «civil service» britannico sfiorano il 9%. Nella fascia dei dipendenti fino ai 34 anni di età lo Stato italiano nel 2013 aveva appena l’8,4% del personale, la Germania il 22,9% e la Francia il 26,7%. In questi due Paesi il 5% degli statali ha meno di 25 anni, in Italia appena lo 0,8%. Se poi si escludono le

Page 62: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

Forze armate e di polizia, dove l’età media è molto più bassa (servono persone nel pieno delle forze), i dipendenti pubblici giovani sono ormai una rarità. In Italia i ragazzi e il più grande datore di lavoro del Paese, lo Stato, vivono ormai in universi separati. L’altro lato della medaglia è fra i funzionari che hanno 50 anni o più. In Italia nel 2013 erano quasi 1,6 milioni, appena meno della metà dell’intero apparato statale. In Francia invece i cinquantenni e oltre sono meno di un terzo, e molto meno della metà in Germania e Gran Bretagna. Nel frattempo l’invecchiamento dei dipendenti statali prosegue: l’età media nella funzione pubblica era di 43 anni nel 2001 e sfiora i 50 oggi. Alla presidenza del Consiglio, una delle amministrazioni più «anziane», ha già superato i 52 anni e così anche nei ministeri. Michele Torsello, il funzionario 32enne di Palazzo Chigi, ha notato anche qualcos’altro nel suo lavoro: impara in fretta a fare al computer cose che a tanti altri suoi colleghi anziani sembrano impossibili. «E c’è un’impressionante differenza fra e me e loro nel modo di percepire la comunicazione, per esempio con l’uso dei social network», dice. Per l’efficienza e la capacità di risoluzione dei problemi, l’età conta. Benjamin Jones della Kellogg School of Management ha controllato a quanti anni i 547 vincitori del Nobel e altri 286 «grandi innovatori» del ‘900 hanno fatto la scoperta per la quale sono stati insigniti o sono diventati celebri: a circa 35 anni in media nella prima metà del secolo, poco meno di 39 più di recente. Nella vita, il momento migliore per applicare la propria creatività è molto sotto l’età media degli statali in Italia. Questo non significa che moltissimi fra loro non svolgano le proprie funzioni in modo eccellente fino all’ultimo giorno di lavoro: un amministratore o un giudice hanno più bisogno di esperienza che d’inventiva. A Palazzo Chigi però la tentazione di ringiovanire la Pubblica amministrazione attuando la legge delega di riforma esiste. L’ondata di pensionamenti in arrivo può diventare il momento per redistribuire le forze della burocrazia in base alle nuove esigenze del Paese. Non sarà una passeggiata: non è facile spiegare agli esodati del settore privato che i loro coetanei del pubblico hanno diritto a incentivi, scivoli, uscite dolci. Né aiutano ad accelerare il ricambio i paletti fissati a 66 o 67 anni dal riassetto delle pensioni di Elsa Fornero. E se questo diventerà un argomento in più dietro la voglia di disfare quella riforma, lo si vedrà tra poco LA REPUBBLICA Pag 1 Cosa resta della politica se la tv diventa il nemico di Ilvo Diamanti La polemica tra leader politici e giornalisti tv è una costante in Italia, da almeno un paio di decenni. Ma il discorso cambia quando le tensioni si accendono fra esponenti di centro-sinistra e programmi di Rai 3. La rete "amica". Storicamente. Così, i dissensi espressi dal premier contro il Tg3 e, anzitutto, contro Ballarò, il talk "politico" del martedì, hanno suscitato sorpresa e molte critiche. Intimidazioni all'autonomia e alla libertà dell'informazione. Tanto che si è parlato di "editto bulgaro". Echeggiando le dichiarazioni di Silvio Berlusconi - al tempo capo del governo - pronunciate a Sofia, nel 2002, contro Michele Santoro, Enzo Biagi e Daniele Luttazzi. Puntualmente allontanati dalla Rai. Tuttavia, è difficile assimilare Renzi a Berlusconi. Nonostante le analogie. Perché Renzi non è affetto né afflitto dal conflitto di interessi. Non è proprietario dell'azienda concorrente della Rai. Non può trarre vantaggi economici e di affari dalle sorti delle reti radiotelevisive pubbliche. Peraltro, mi riesce difficile anche vedere i vantaggi politici di questa iniziativa. Perché non solo il Tg3, ma, soprattutto, Ballarò ora appaiono più forti. Ballarò, in particolare. Subisce, da oltre un anno, la crisi che investe tutti i talk politici. "Affaticati" dalla moltiplicazione di programmi analoghi, a ogni ora del giorno, in ogni rete. Penalizzati dal deteriorarsi del "contenuto e dei protagonisti della politica italiana": i partiti e i politici. Ballarò, per questo, ha continuato a perdere ascolti. Non solo per la concorrenza, su La7, del clone guidato dal suo storico conduttore, Giovanni Floris. Ma, come si è detto, per l'esaurirsi di un format. L'intervento di Renzi e di alcuni parlamentari a lui vicini, come Michele Anzaldi, rischia però di produrre un esito opposto alle intenzioni. Perché adesso sarà difficile "metter mano" su Ballarò e sui programmi di informazione di Rai 3 senza evocare editti bulgari. Senza riesumare i fantasmi della censura. L'ombra del Cavaliere. Risulta difficile, per questo, sovrapporre l'immagine di Renzi a quella di Berlusconi. Per la stessa ragione, è difficile scacciare questo accostamento. Non per ragioni polemiche. Matteo Renzi: non è il "Cavaliere mascherato". Ma è indubbio che sia, anzi è, un leader post-berlusconiano. Come,

Page 63: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

peraltro, lo sono tutti i leader e tutti i partiti "dopo" Berlusconi. Perché, lo sappiamo, "dopo" Berlusconi la politica è cambiata. Meglio: era già cambiata da tempo. Ma la sua discesa in campo ha impresso un'accelerazione evidente a questa trasformazione. I partiti si sono personalizzati. E, allo stesso tempo, hanno progressivamente abbandonato la società e il territorio. Sostituiti dai media. E, in particolare, dalla televisione. In misura crescente, ma ancora più limitata, dalla rete. Rammentiamo, a questo proposito, i dati dell'ultimo sondaggio di Demos-Coop, dedicato al rapporto fra "Gli italiani e l'informazione" (novembre 2014). L'indagine, infatti, rileva come oltre l'80% degli italiani, per informarsi, utilizzi quotidianamente la televisione. Mentre quasi il 50% ricorre a Internet (10 punti in più rispetto al 2012). Molto minore è, invece, l'accesso ad altri media. Radio (39%) e quotidiani (24%), in particolare. Se, però, ci concentriamo sul pubblico dei talk, la specificità di Ballarò risulta molto chiara. Un anno fa, almeno, (e non c'è motivo di credere che l'orientamento, da allora, sia mutato) la trasmissione condotta da Giannini riscuoteva il gradimento del 55% della base del Pd. Era, inoltre, apprezzata da circa il 60% tra gli elettori di sinistra. In altri termini: per quanto in declino di ascolti, Ballarò costituisce (o almeno costituiva) un riferimento attendibile e credibile per la maggioranza degli elettori del Pd. E soprattutto per le componenti di sinistra. Così si spiega la "sensibilità reattiva" di Renzi e del suo Pd, il PdR, nei confronti dei programmi di informazione e dei talk politici della Terza rete. Al Premier, infatti, come ha ben sottolineato ieri Eugenio Scalfari, "piace piacere". A tutti. Ma, soprattutto, alla base elettorale del suo partito. Per la stessa ragione, è attento ai luoghi dove si forma l'opinione ostile alla sua politica. Soprattutto nel suo partito. Perché l'opposizione più insidiosa al PdR, in questa fase, proviene dalle fila del Pd senza la R. Così Renzi - e gli esponenti che gli sono più vicini - criticano le reti e i talk televisivi perché lì si è trasferita la politica. Inseguendo, si dice, il "modello americano" del partito "elettorale". Ma negli Usa si vota spesso, per selezionare i candidati ed eleggere diverse cariche. E i partiti - non ideologici, né burocratici - in campagna elettorale riescono a coinvolgere molti volontari, che fanno "porta a porta". Mentre in Italia i leader vanno in Tv, a "Porta a porta", per farsi intervistare da Bruno Vespa. Negli Usa, inoltre, i partiti elaborano mappe aggiornate delle principali città, con gli orientamenti elettorali precisati quartiere per quartiere, strada per strada. Un "controllo politico" sulla società e sul territorio che, in Italia, avveniva solo al tempo dei partiti di massa. Ma oggi, in Italia, non c'è più religione politica. Il che è meglio. Ma c'è anche poca politica. Dopo Berlusconi, nell'epoca del post-berlusconismo, sono scesi in campo i "post-partiti" (evocati dal titolo di un recente saggio di Paolo Mancini, per il Mulino), guidati da leader post-politici. Abili e visibili in Tv. E sulla Rete. Come Matteo Renzi. Leader del Post-Pd. Oltre Berlusconi, per tecnologia e stile di comunicazione. Così, chi crede ancora nella politica come luogo di partecipazione sociale e di organizzazione del territorio, oltre che di decisione pubblica, oggi rischia di scoprirsi fuori luogo e fuori tempo. A-topico e A-cronico. Ma è un rischio che, forse, vale la pena di affrontare. IL GAZZETTINO Pag 1 Democrazia in crisi: i rischi e le opportunità di Francesco Grillo «Cosa potrà mai arrestare la marea montante del populismo che minaccia la salute già precaria del vecchio Continente?». Sembra questa la domanda che - come un fantasma - agita i sonni della classe dirigente di buona parte dei Paesi europei. Classi dirigenti che stentano a trovare risposte. Così come a proporre soluzioni convincenti a una qualsiasi delle crisi che stanno divorando tutte le nostre sicurezze. Sicurezze che ci fanno, peraltro, usare strumenti vecchi per problemi nuovi e affogare ancora di più nell’impotenza. La crisi dell’euro dalla quale non siamo ancora usciti, riforme che non sono mai sufficienti e la sensazione di dipendere - quasi esclusivamente - dalle terapie intensive dei banchieri centrali. Tecnologie che promettono miracoli ma che, al momento, trasformano buona parte della crescita economica in incrementi di produttività e rischiano di cancellare milioni di posti di lavoro nei servizi. Migrazioni che mettono a nudo quanto all'Europa manchi leadership anche solo nella gestione del nostro vicinato, e quanto siamo psicologicamente vulnerabili. Diseguaglianze crescenti e, ancor più rilevante, una classe media che sta - dalla Grecia agli Stati Uniti, dalla Spagna al Regno Unito - semplicemente scomparendo. Un’informazione che è esplosa

Page 64: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

diffondendosi ovunque e ponendo alla democrazia rappresentativa e ai media una sfida che potrebbe essere mortale. Una disoccupazione che si è concentrata quasi esclusivamente sui giovani, generando una distruzione di capitale umano che peserà per decenni. E, come risultato finale, un “centro” della politica - quello dove si vincevano una volta le elezioni - che appare sempre più piccolo, mentre quella che era la minoranza fisiologica degli esclusi, è, ormai, diventata - tra astensioni e populismi - maggioranza. Rumorosa, peraltro. Lo “shock del nuovo”, era questo il titolo della conferenza annuale organizzata da British Council e Ambasciata britannica alla certosa di Pontignano vicino Siena, e che quest’anno era dedicata proprio al rapporto conflittuale tra establishment e chi fa promesse (spesso non mantenute) di sovvertire il sistema. Gli Stati Uniti e il Regno Unito sono, di nuovo, tra le economie più forti del mondo. Hanno recuperato già da qualche tempo, a differenza dei Paesi dell’area Euro, i livelli di Pil che facevano registrare prima della crisi del 2007 e, viste le incertezze della Cina, del Brasile e della Russia, stanno facendo da locomotiva per gli altri. E, tuttavia, in entrambi i Paesi gli istituti nazionali di statistica dicono che il reddito di una famiglia media è ancora inferiore a quello di dieci anni fa. La crescita sta arricchendo chi era già ricco e creando lavori precari per chi era al margine: è la classe media, l’architrave su cui si poggia un qualsiasi sistema politico stabile, che sta soffrendo. Ma sarebbe stupido - ha ricordato qualcuno dei delegati alla conferenza di Siena capovolgendo ciò che diceva Clinton - immaginare che sia fatto di sola economia, il problema del distacco tra classe dirigenti e “popolo”, e più in generale di frammentazione della società in tante enclavi. Il problema è - direbbe uno studioso della conoscenza - soprattutto cognitivo. Ci è sfuggito di mano il mondo e manca qualcuno che proponga una teoria di dove stiamo andando. I partiti politici non sono più in grado di esprimere una visione perché non “studiano” più e non parlano con le persone. Jeremy Corbyn (appena diventato leader del partito laburista) vince in un Paese ultra-avanzato come il Regno Unito e Varoufakis affascina, perché entrambi riempiono il vuoto proponendo una teoria che ha il difetto di essere stata concepita per un mondo che è scomparso duecento anni fa e di essere fallita, ma il pregio di esprimere un’ambizione. Certo a salvarci non saranno né i sindacati, che a Londra hanno eletto il nuovo leader di uno stremato Labour Party, perché anche essi sono diventati centri di potere preoccupati esclusivamente della propria sopravvivenza. Né le nazionalizzazioni di imprese e banche centrali che rischiano di sostituire solo alla corruzione delle imprese quella ben più perniciosa dello Stato. E neppure tassare di più chi rischia, come vorrebbe Bernie Sanders che sta contendendo a Hillary Clinton la possibilità di sfidare i Repubblicani - anch’essi in rotta verso l’estremismo, per non uccidere la voglia d’impresa che anche il Papa - che ha fatto della lotta alla disuguaglianza la sua bandiera - indica come via più sostenibile all'inclusione. Dalla crisi che è crisi di democrazia nasce, in effetti, un’opportunità. L’opportunità - nel Regno Unito così come in Italia e in Europa - per un radicalismo progressista che, dopo i tentativi della stagione di Obama e di Blair, non trova ancora scuole, luoghi e leader sufficientemente forti e innovativi. Se riusciremo a includere - concetto economico, ma non solo -, a mobilitare in un progetto di cambiamento, avremo trovato la formula che può aprire un ciclo politico capace di durare per i prossimi vent’anni. LA NUOVA Pag 1 Il filo spinato non fermerà i migranti di Piero Innocenti Testo non disponibile

CORRIERE DELLA SERA di domenica 4 ottobre 2015 Pag 1 Difendere Israele sarà reato? di Angelo Panebianco Quando verrà superata quell’invisibile barriera al di là della quale difendere Israele diventerà un reato? Quando arriverà il momento, qui in Europa, in cui affermare che Israele è un’isola di civiltà circondata da regimi liberticidi (in tutte le possibili varianti: dal più soft paternalismo autoritario al più feroce totalitarismo religioso) basterà per farsi trascinare in un tribunale sotto l’accusa di incitamento all’odio razziale? La leggenda nera su Israele (Israele Stato criminale, nazista, eccetera) si diffonde, praticamente inarrestabile, in Europa. Il Parlamento europeo ha appena votato, a larga maggioranza,

Page 65: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

a favore della identificazione delle merci provenienti dai territori palestinesi sotto controllo israeliano contribuendo così a rafforzare la spinta già in atto in molti Paesi al boicottaggio dei prodotti israeliani. Da molto tempo ormai, assistiamo a sempre più frequenti gesti di inimicizia nei confronti delle università israeliane da parte di ricercatori europei. La diffusione e il radicamento della leggenda nera su Israele va di pari passo con la forte crescita, da diversi anni a questa parte, degli episodi di antisemitismo. Le due cose sono collegate. Nelle manifestazioni del 2014 in Francia e in Germania contro l’intervento militare israeliano a Gaza c’era chi gridava «morte agli ebrei» senza che gli altri si sentissero in dovere di allontanarlo dal corteo. E non andrebbe dimenticato che l’attentato del gennaio scorso contro il settimanale satirico Charlie Hebdo è stato accompagnato da un altro sanguinoso attentato contro un negozio di alimentari gestito e frequentato da ebrei. Diffusione della leggenda nera e ripresa dell’antisemitismo sono spiegabili. Prendiamo il caso della Gran Bretagna dove (insieme ai Paesi scandinavi) la campagna anti israeliana ha fin qui conseguito i maggiori successi. Come conferma anche il fatto che alla guida del Partito laburista sia stato appena eletto un tale, Jeremy Corbyn, che definisce «amici» Hamas e Hezbollah, chiarendo così anche il suo pensiero a proposito di quella che i suddetti amici chiamano «l’entità sionista». I generosi finanziamenti dei governi arabi alle istituzioni educative britanniche hanno certamente moltissimo a che fare con la mobilitazione degli intellettuali di quel Paese contro Israele. La pressione combinata della comunità islamica britannica e dei finanziatori mediorientali spiega bene perché la società britannica sia oggi all’avanguardia nella campagna anti israeliana e perché, contestualmente, l’ostilità per gli ebrei sia in forte crescita. Gli intellettuali influenzano i media, i media influenzano la pubblica opinione, la quale, a sua volta, influenza la politica. Proprio se si guarda al ruolo degli intellettuali si capisce anche perché laddove (come in Italia) le istituzioni educative restano al riparo dai finanziamenti politicamente orientati provenienti dal mondo arabo, non c’è nessuna garanzia che fenomeni come quelli che si verificano in Gran Bretagna possano essere arginati ancora per molto. Prendiamo la vicenda dell’invito - che, si spera, venga ora definitivamente ritirato - del Salone del libro di Torino all’Arabia Saudita. Paolo Mieli ( sul Corriere del 30 settembre) ha ricordato quale regime sia in realtà quello saudita. E benissimo hanno fatto il sindaco Fassino e il presidente della Regione Chiamparino, facendo leva sulla condanna a morte di un dissidente, a pronunciarsi contro la presenza saudita a Torino. Resta il fatto che l’invito c’era stato. Resta che, prima del pronunciamento di Fassino e Chiamparino, soltanto i radicali avevano fatto una meritoria campagna contro quella presenza. Resta che le manifestazioni di dissenso da parte di intellettuali erano state pochissime. Come mai? Come è stato possibile invitare in quello che dovrebbe essere uno dei templi della libertà di pensiero, nel silenzio e nella connivenza di tanti, un campione dell’integralismo religioso, la principale centrale di diffusione nel mondo della versione più oscurantista dell’Islam (quella wahabita)? Una cosa è dire che con i sauditi è ancora indispensabile trattare sia per ragioni economiche (petrolio) che geopolitiche (equilibri mediorientali). Una cosa assai diversa è proporli come i plausibili partner di incontri e dibattiti culturali. È evidente che non lo sono. Così come non lo sono - detto così, per inciso, allo scopo di prevenire altri futuri inviti - i nemici dei sauditi, gli iraniani. Nonostante ciò che si è detto e sentito in Occidente dopo l’accordo sul nucleare, gli iraniani non sono diversi: sembra accertato che i «riformisti» che fanno capo al presidente Hassan Rouhani siano altrettanto zelanti dei conservatori quando si tratta di sopprimere dissidenti e minoranze in nome della religione. La verità è che l’invito ai sauditi aveva un senso. Era una scommessa sul disinteresse di tanti intellettuali italiani per le condizioni che permettono l’esercizio della libertà. C’è una connessione con la leggenda nera su Israele. È probabile, infatti, che molti di coloro che non hanno avuto nulla da eccepire sui sauditi a Torino siano anche, contemporaneamente, severi critici di Israele. È la solita storia, la stessa dei tempi del fascismo o della Guerra fredda. Una parte cospicua degli intellettuali non sa rinunciare al vizio antico di preferire le società illiberali. Pag 11 L’Afghanistan verso il caos? di Franco Venturini E’ la sindrome del Vietnam

Page 66: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

L a sindrome vietnamita si sta impadronendo dell’Afghanistan in guerra e autorizza previsioni non liete per le forze occidentali che vi combattono da quattordici anni. Prima che l’America perdesse definitivamente Saigon nell’aprile del 1975, l’esito del conflitto vietnamita era di fatto già stato deciso da fattori solo in parte militari: negli Usa era esploso un movimento anti-guerra, tra il Pentagono e la Casa Bianca i disaccordi erano frequenti, e soprattutto il passaggio di maggiori responsabilità operative ai sudvietnamiti stava dando cattivi risultati. Guardiamo all’Afghanistan di oggi. Il bombardamento da parte dell’aviazione americana dell’ospedale di Kunduz, secondo Medici senza Frontiere proseguito per 30 minuti dopo le segnalazioni inviate ai comandi Usa e afghani, non mancherà di fare scandalo tra chi nell’opinione statunitense è stanco già da tempo dell’avventura afghana (benché a giustificarla, nel 2001, sia stato l’attacco alle Torri Gemelle). Nulla di paragonabile alle mobilitazioni anti-guerra per il Vietnam, ma in tempi pre-elettorali l’episodio può innescare uno stato d’animo volto al disimpegno. Casa Bianca e Pentagono? Siamo alle solite. Oggi in Afghanistan ci sono 9.800 militari Usa con compiti di assistenza alle forze afghane e di addestramento. Ma poi c’è l’aviazione americana, quella che ha colpito l’ospedale dopo aver aiutato a riprendere Kunduz dai talebani. E in casi «eccezionali» anche le truppe speciali di terra intervengono e sparano, come hanno fatto appunto a Kunduz. Ebbene, Obama ha annunciato da tempo che alla fine del 2016 (quando sarà già stato eletto il suo successore) a Kabul resteranno soltanto mille soldati Usa per proteggere l’ambasciata. I comandi militari non sono d’accordo. Chiedono di mantenere i livelli attuali per tutto l’anno prossimo, e forse anche oltre. Obama non ha ancora deciso, creando confusione e contrasti anche tra gli alleati. Ieri si è appreso che il governo tedesco vuole prolungare di «almeno un anno» la missione dei suoi 850 militari, «per non mettere a rischio gli obbiettivi già raggiunti». Altri tacciono. L’Italia, che doveva disimpegnarsi nell’agosto scorso, è rimasta su richiesta Usa e mantiene oggi 870 militari in Afghanistan. Intende ritirarli entro il 31 gennaio 2016, lasciando un centinaio di uomini a Kabul. Ma se tutti i contingenti alleati restassero ai loro attuali livelli, è possibile che l’Italia faccia altrettanto. Il terzo punto «vietnamita» è di cruciale importanza. Le forze afghane addestrate dagli occidentali sono in grado di far fronte alla scontata offensiva talebana? La risposta è un fragoroso no. Gli afghani non hanno aviazione. E le loro truppe di terra, salvo meritorie eccezioni, cedono spesso davanti alla spinta talebana. A Kunduz il 28 settembre erano in settemila, davanti ad alcune centinaia di guerriglieri. Come costruire un piano credibile partendo da una simile premessa? Tanto più grave è l’episodio ora rientrato di Kunduz per le sue implicazioni strategiche. Perché a fianco dei talebani combattono gruppi jihadisti provenienti dalla vicina Asia Centrale (uzbeki, tagiki, kirghizi, turkmeni) e combattono anche formazioni di Uiguri islamici provenienti dal Nordovest della Cina. Il pericolo di una internazionalizzazione del conflitto cresce così a dismisura, mentre le antiche controversie con il Pakistan non sono state tutte appianate e allunga i suoi tentacoli una criminalità organizzata arricchita dalle coltivazioni di papavero. La catastrofe sopra descritta non deve far dimenticare che in Afghanistan la presenza occidentale ha fatto anche cose buone, ha allargato ove possibile i confini delle libertà individuali, ha creato scuole e incoraggiato l’istruzione per le bambine che ne erano spesso escluse, ha tentato (non sempre con successo) di migliorare la condizione delle donne nella società e all’interno del matrimonio. In Vietnam di tutto ciò si era visto molto poco. E anche per questo sarebbe triste dover assistere, tra non molto, a un epilogo tipo Saigon che le belle parole non basteranno a mascherare. LA REPUBBLICA di domenica 4 ottobre 2015 Pag 1 In Italia abbiamo un piacione e ci vuole innamorare di Eugenio Scalfari Per me è molto noioso dovermi occupare ancora di Renzi ma chi esercita la professione di giornalista ha l'obbligo di capire e raccontare quel che fanno i protagonisti delle vicende politiche. Renzi è tra questi e se c'è un uomo politico che desidera comparire ogni giorno sui media d'ogni colore, questo è lui e non certo Romano Prodi da lui accusato di commettere abitualmente questo peccato. Nel merito Renzi attribuisce a Prodi una posizione che giudica totalmente sbagliata a proposito della guerra in Siria. Il tema è tra i principali e più drammatici di questo agitato periodo: guerre tribali, delitti orribili del Califfato, stragi effettuate da Assad e prima di lui da suo padre, incertezze

Page 67: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

dell'America e dell'Europa, spregiudicatezza estrema della Russia di Putin e dell'Iran e un intrico in tutto il Medio Oriente, descritto da Bernardo Valli ieri su questo giornale. Sul tema Siria, nell'intervista rilasciata al nostro Claudio Tito, Renzi ha detto: «Dubito delle ricette scodellate in modo semplicistico: non sarà semplicemente aiutando Assad che debelleremo l'Is. Occorre un progetto pluriennale, una coalizione che non si limiti ad annunciare qualche raid aereo». Le ricette semplicistiche sarebbero quelle di Prodi, ma le sue, di Renzi, quali sarebbero? Non esclude affatto l'intervento delle truppe di Assad, ammette che i raid aerei non basteranno a debellare l'Is e auspica una coalizione delle grandi potenze. Un progetto pluriennale. Ma nel frattempo che cosa si fa? Prodi a sua volta ha detto che «quella in Siria è un fatto determinante e il suo andamento dipende soprattutto dal rapporto tra Usa e Russia. Ma nessuna delle due potenze invierà truppe sul terreno. Aerei sì, truppe no. Quindi il malandato esercito di Assad va rafforzato perché quelle soltanto sono le truppe disponibili sul terreno. Putin appoggia Assad, Obama no, ma dovrà rassegnarsi perché con i soli bombardamenti aerei l'Is non sarà battuto». Dunque, su questo problema Renzi e Prodi dicono cose molto analoghe. La sola differenza è che Renzi auspica una coalizione internazionale che di fatto già esiste, sia pure con tutte le contraddizioni che caratterizzano la storia dell'intero Medio Oriente. La differenza è che Prodi è soltanto un osservatore informato di prima mano, Renzi dovrebbe essere un attore ma non lo è perché su questo terreno il premier italiano non viene consultato né dall'America né dalla Russia né dall'Europa. A lui piacerebbe e anche a noi, ma le cose stanno esattamente così. Il tema che desidero trattare oggi è quello dei rapporti tra la politica e l'informazione. La questione tra Renzi e Prodi ne è stata una necessaria premessa, ma il tema è molto più complesso e non si pone soltanto nel nostro paese ma dovunque. La politica cerca il consenso, l'informazione racconta i modi con i quali il consenso è ricercato e molte altre cose che con la politica hanno poco o nulla a che fare. Ma c'è di più: per ottenere il consenso la politica cerca di conquistare l'informazione e cioè i giornalisti e i loro editori. L'informazione a sua volta ambisce di influenzare la politica indicandole interessi da tutelare e valori ai quali ispirarsi. Entrambe si sentono depositarie di interessi generali dietro i quali tuttavia si celano spesso interessi particolari dei singoli politici e dei singoli addetti all'informazione. Aggiungo un altro aspetto tutt'altro che secondario del problema che stiamo esaminando: spesso, in Italia soprattutto, gli editori proprietari di giornali e televisioni ricavano i loro profitti da altre attività economiche prevalenti rispetto a quelle dell'editoria. Il cosiddetto editore puro è una figura prevalente nei paesi occidentali, ma piuttosto rara in Italia, non oggi ma da sempre. Questa situazione caratterizza il rapporto tra politica e informazione, aggravandolo ancora di più se la politica possiede direttamente strumenti informativi di massa. Per esser chiari ricorderò quanto accadde durante i vent'anni di regime fascista. Il "Popolo d'Italia" fondato da Mussolini, fin dai tempi dell'intervento nella guerra del 1915, era un giornale di partito; ma quando il Duce conquistò il governo instaurò il regime le sue mire furono d'impadronirsi dei grandi giornali d'opinione e della radio. Fondò l'Eiar, servizio pubblico monopolista, e affidò i grandi giornali a gruppi economici e famiglie che barattarono quel beneficio con una completa subordinazione politica al regime. Alla "Stampa" di Torino fu estromesso Frassati al quale subentrò la famiglia Agnelli; al "Corriere della Sera" fu estromesso Albertini e prese il suo posto la famiglia Crespi; al "Messaggero" di Roma la famiglia Perrone, proprietaria dell'Ansaldo e azionista della "Banca di sconto", si asservì a Mussolini e così accadde anche al "Mattino" di Napoli, alla "Gazzetta del Mezzogiorno" di Bari e al "Giornale di Palermo", al "Popolo di Roma", al "Resto del Carlino" di Bologna, alla "Nazione" di Firenze. Insomma l'intera stampa italiana, nazionale e regionale, fu in mano a famiglie succubi del regime e spesso titolari anche di altre attività economiche più redditizie dei giornali. Quindi editori "impuri" e politicizzati. Situazioni analoghe si verificarono nella Germania nazista, nella Spagna franchista, nel Portogallo salazariano. Dove esiste la dittatura o una democrazia fragile e anomala, il rapporto tra politica e informazione è assai poco confortante per la libertà. L'Italia per fortuna non è un regime, non lo fu ai tempi della Democrazia cristiana né a quelli di Berlusconi e neppure dopo Berlusconi. Renzi è al potere da appena due anni e non mi pare che abbia in mente una dittatura. Vuole comandare da solo, questo sì; vuole un Parlamento "dominato", questo anche, ma non più di tanto. Del resto siamo anche membri dell'Unione europea, che è ancora una confederazione e quindi sono gli Stati nazionali a decidere le mosse

Page 68: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

dell'Unione. Nessuno di loro ama l'eventuale prospettiva degli Stati Uniti d'Europa. Ma comunque l'Unione c'è e chi ha la leadership in Italia deve tenerne conto. Ciò non toglie che Renzi vuole comandare da solo e non lo nasconde. Non con editti ma con la capacità di farsi amare. A Roma uno come lui lo chiamano "piacione". È un piacione, è questo che vuole e ci riesce abbastanza. Quando non ci riesce si arrabbia e molti, che non lo amano affatto, fanno finta di esserne innamorati; altri che sono invece incantati dalla sua piacioneria, fanno finta di non esserlo, di sentirsi neutrali, liberi di decidere pro o contro. Così facendo dicono no nelle questioni marginali ma lo appoggiano in quelle fondamentali. Insomma c'è grande confusione in questo paese, col risultato che molti e specialmente i giovani si allontano dalla politica, sono indifferenti, leggono poco i giornali, guardano sempre meno la televisione e i "talk show" in particolare, dove il tema pressoché unico è ormai diventato Renzi magari anche per criticarlo ma l'argomento che predomina è sempre lui. E la gente - i giovani soprattutto - cambia canale o spegne e passa a Internet dove la scelta degli argomenti e degli interlocutori è infinita. Renzi - l'ho già detto - non vuole un regime. Vuole piacere. Vuole comandare da solo. Vuole ridurre il Senato ad un'agenzia territoriale con 74 eletti secondo le leggi regionali, 21 sindaci di grandi città e 5 nominati dal presidente della Repubblica. Vuole una Camera di "nominati" che si presentano in più circoscrizioni contemporaneamente. Vuole insomma che l'Esecutivo sia nettamente più forte del Legislativo, mentre in una democrazia forte dovrebbe avvenire il contrario. Vuole il cambiamento ma non dice quale. Vuole la sinistra purché sia moderna, alla moda di Tony Blair che ereditò e mantenne viva nella sua essenza la politica della Thatcher, non più di destra ma di centro. Questo è Renzi. Quanto all'informazione, in Italia è ancora libera ma difficilmente riesce a vincere l'indifferenza, forse perché anche noi stiamo diventando indifferenti e un'informazione indifferente non esiste più. Il rischio è di diventare una democrazia che interessa un 30-40 per cento del paese. Un'ampia maggioranza non se ne interessa più, vive per proprio conto e bada alla sua situazione economica. Il resto è chiacchiera, divertimento, tristezza e musica rock. Un tempo era l'età del jazz. Adesso anche il jazz è andato in soffitta. AVVENIRE di domenica 4 ottobre 2015 Pag 2 Chiamati a un “miracolo”: dare pane agli affamati di Giorgio Paolucci Il Papa e i 25 anni del Banco Alimentare Un terzo della produzione mondiale di cibo viene sprecato: 1,3 miliardi di tonnellate, quattro volte la quantità necessaria a nutrire 795 milioni di persone che soffrono la fame. A fare i conti con la mancanza di cibo non sono soltanto coloro che vivono nei Paesi poveri, ma anche tanti che abitano le nazioni sviluppate, dove secondo la Fao il 5% della popolazione si misura con la denutrizione. Sono cifre che fanno gridare allo scandalo, come quelle che raccontano gli sprechi prodotti in Italia lungo la filiera agroalimentare, a partire dai campi e fino alla tavola dei consumatori: 5,1 milioni di tonnellate di cibo, per un valore stimato di 12,6 miliardi di euro all’anno. Un’ingiustizia, anzi, «mi permetto di più, un peccato», ha scandito il Papa ricevendo ieri in udienza i protagonisti della rete di carità che ruota attorno al Banco Alimentare: volontari, persone assistite, imprenditori che donano le eccedenze. Francesco ha denunciato il male e insieme ha sottolineato il bene che ne può nascere quando qualcuno riconosce un bisogno e si mette in azione. Come ha fatto Gesù, che di fronte alle folle venute ad ascoltarlo e che avevano fame non ha ignorato 'il problema' che aveva di fronte e non se l’è cavata esibendosi in un discorso sulla povertà, ma ha compiuto un gesto che ha lasciato stupiti tutti, moltiplicando i pani e i pesci che i discepoli avevano a disposizione. E noi, oggi, alle prese con milioni di affamati, cosa possiamo fare? Non ci è concesso di ripetere miracoli come quello raccontato nel Vangelo, ma se accettiamo di abbattere i muri dell’indifferenza e dell’assuefazione possiamo lasciarci interrogare dalla sofferenza – che spesso è non lontana da noi – e metterci in azione, a partire dall’irriducibile desiderio di bene e di costruttività che abita nel cuore di ogni uomo. Così ha fatto 26 anni fa Danilo Fossati, imprenditore e fondatore del Banco Alimentare, che ha messo a disposizione la sua competenza per trasformare lo scandalo dello spreco in una possibilità di recupero del cibo 'avanzato' e di ripartenza umana per chi fa i conti con la fame, incoraggiato in questo dall’amicizia feconda con don Luigi Giussani che aveva colto

Page 69: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

e valorizzato l’impeto di carità da cui quell’uomo era animato. Oggi in Italia un milione e mezzo di persone mangiano ogni giorno grazie agli aiuti che arrivano da questa grande 'catena del bene' in grado di recuperare 75mila tonnellate di cibo distribuite da 8mila enti caritativi. Numeri ragguardevoli, anche se possono risultare una goccia nell’oceano di bisogno. Ma i poveri non sono riducibili a numeri, ha ammonito anche ieri Francesco: sono la carne di Cristo, uomini e donne a cui stringere la mano, da guardare negli occhi, da incontrare in tutto il loro bisogno che non è mai soltanto domanda di cibo ma porta con sé la domanda di qualcosa capace di reggere tutta la fatica del vivere. Perciò l’aiuto offerto a un povero è l’occasione per educarsi alla carità, cioè per riscoprire che in fondo siamo tutti bisognosi, come testimoniano le migliaia di volontari che riconoscono un 'guadagno' per sé nel gesto che compiono a favore degli altri. Mancano poche settimane all’inizio del Giubileo della misericordia, la grande occasione che il Papa consegna al mondo per riconoscere che ciascuno può essere raggiunto da un abbraccio più largo di ogni misura umana. Un abbraccio che può rivelarsi nella risposta alla più elementare delle esigenze, come ci ricorda quella che – non a caso – la Chiesa indica come la prima opera di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati. Pag 3 Dove la guerra non può spingersi di Vittorio E. Parsi L’ospedale colpito dalla Nato a Kunduz Bombe sul luogo in cui la sofferenza perde bandiere e divise, per diventare comune umanità. Un raid che ha colpito lo sforzo di una benemerita organizzazione umanitaria, generosamente in prima linea per curare le ferite di guerra. Quello che segna i peggiori episodi bellici si è ripetuto ieri in Afghanistan. La Nato ammette che l’ospedale di Msf di Kunduz potrebbe essere stato colpito dai suoi aerei. L’organizzazione umanitaria sostiene che i bombardamenti siano continuati oltre mezz’ora dopo che il quartier generale alleato di Kabul era stato avvisato. Il ministero della Difesa afghano afferma che nelle corsie si nascondessero 10/15 terroristi, che in tal modo sono stati eliminati. Basterebbe intrecciare queste tre dichiarazioni per capire, purtroppo, quale ginepraio sia ancora l’Afghanistan a quattordici anni dall’inizio della guerra. Da una settimana Kunduz, importante capoluogo provinciale, è caduta nelle mani degli insorgenti e le truppe lealiste, con l’appoggio aereo della Nato sono impegnate nel tentativo di riconquistarla. Ed è da quando la missione di Isaf si è conclusa, con il ritiro delle truppe combattenti occidentali dal tormentato Paese, che la situazione è precipitata. Nonostante il sostegno aereo alleato e il supporto addestrativo che continua massicciamente, le autorità di Kabul non riescono a mantenere il controllo delle posizioni conquistate quando al loro fianco combattevano quasi 150.000 soldati della Nato. È la dimostrazione che le guerre non possono essere vinte solo dal cielo e che la ritirata repentina delle truppe occidentali sta producendo una situazione insostenibile sul piano tattico. L’incremento della guerra aerea, condotta con velivoli ad ala fissa, elicotteri e droni comporta inevitabilmente l’aumento di errori, di rischi e di decisioni che possono portare al coinvolgimento di vittime civili. Esattamente il contrario di ogni operazione che si voglia qualificare come tentativo di pacificazione. Ma la questione non è solamente tattica, come neppure può esaurirsi nella condanna o nella ricerca di impervie giustificazioni da parte dei comandi militari. La strage di Kunduz mette in evidenza il fallimento di una 'ricostruzione' che nasconda sotto l’uso delle armi gli odii e le incomprensioni che ancora segnano un Paese. La fase politica delle operazioni di stabilizzazione e dello State building (la ricostruzione dello Stato) hanno certo bisogno di un’entità capace di fare rispettare le proprie leggi, nello specifico contro gli insorgenti taleban. Ma ci si deve chiedere perché sembrino vanificarsi 13 anni di sforzi fin qui compiuti. Probabilmente, anche tragici episodi come quello dell’ospedale di Kunduz concorrono a minare le possibilità di una rinascita afghana. In tutti i teatri, dall’Afghanistan alla Siria, dalla Libia alla Somalia le alternative che ci vengono proposte sono quelle del non-intervento o dell’intervento prolungato, massiccio e a tempo tanto più indeterminato quanto più il disastro del Paese in cui si interviene affonda le sue radici nel passato. Siria, Bosnia, Libia, Afghanistan sono i nomi che potremmo citare. E nessuno rappresenta un successo o un caso esemplare. Quanto siano state fallaci le strategie utilizzate finora lo testimoniano le cifre della guerra civile siriana: 200.000 morti e 4 milioni di sfollati in meno di quattro anni. Ecco perché, dopo lo sgomento e la condanna per l’eccidio di Kunduz, possiamo anche

Page 70: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

trarre un ammonimento strategico: non solo per l’Afghanistan, ma anche per la Siria e per la Libia, possibili teatri di nuove operazioni militari. L’intervento internazionale in Siria è ormai una realtà, dopo la decisione russa di combattere il califfato e sostenere Assad. Ma guai a illudersi che esso potrà essere limitato o che la rinascita potrà avvenire facilmente o attraverso scorciatoie 'assistite' di una ricostruzione politica che solo il popolo siriano potrà compiere. Ecco la tragica lezione di Kunduz: non si vince solo con le armi e, se anche le armi si devono usare, vanno usate con una diversa consapevolezza dei danni non solo materiali che possono provocare. Torna al sommario IL GAZZETTINO di domenica 4 ottobre 2015 Pag 1 L’italiano, un patrimonio da sfruttare di Romano Prodi A volte arrivano sotto gli occhi notizie apparentemente trascurabili ma che ci spingono a riflettere. Questo mi è capitato di recente nel leggere alcune tabelle sui dati riguardanti le lingue più parlate e le lingue più studiate nel mondo. Trascurando gli aspetti più scontati (che la lingua più parlata è il cinese-mandarino e che la lingua più studiata è l'inglese) mi hanno colpito le classifiche che riguardano l'italiano. Le complicate statistiche (che contengono diverse definizioni delle lingue stesse) sono comunque concordi nel classificare l'italiano tra il quattordicesimo e il ventesimo idioma adottato come prima lingua ma lo pongono sorprendentemente in una posizione molto più avanzata (intorno al sesto-settimo posto) nella classifica delle lingue straniere studiate. Una constatazione per me consolante ma anche sorprendente, data l'esiguità dei mezzi che l'Italia impiega nell'insegnamento della nostra lingua nei paesi stranieri, la perenne crisi finanziaria delle poche scuole italiane all'estero e le scarse risorse a disposizione della Dante Alighieri rispetto alle analoghe istituzioni degli altri paesi. A questi dati non certo esaltanti aggiungo che, secondo la mia esperienza personale, la pratica della lingua italiana è più spesso diffusa tra gli anziani mentre diventa trascurabile tra i giovani. Questo sia nei paesi ad emigrazione più antica sia dove, come in Eritrea, Albania o Tunisia, si sono affievoliti i rapporti diretti o è crollata la penetrazione del nostro sistema televisivo, che è uno dei principali vettori di ogni lingua. I veri esperti in materia si sono affrettati a spiegarmi che la forza dell'insegnamento dell'italiano nel mondo, nonostante le vistose mancanze rilevate in precedenza, deriva dal fatto che la nostra lingua è di importanza fondamentale per chi si interessa di musica, di arte o di cucina, e che l'italiano è ancora, anche se in modo non esclusivo e calante, la lingua di riferimento del mondo cattolico, non solo di una parte notevole delle gerarchie ma anche di molte tra le strutture, le organizzazioni e i movimenti che fanno riferimento alla Chiesa di Roma. Riflettendo su questi dati sono tornato indietro di qualche anno quando, in uno dei lunghi intervalli dei vertici di Bruxelles, rimproveravo con amichevole ironia al presidente francese Chirac il fatto che, in uno dei grandi incontri annuali della francofonia, il presidente della riunione stessa (nell'occasione di nazionalità vietnamita) avesse avuto bisogno di un interprete per intendersi con gli interlocutori francesi. Con insolita pazienza il presidente Chirac mi spiegò che la francofonia si serviva della lingua francese, e se necessario degli interpreti, non solo per rinforzare la conoscenza della lingua ma per mantenere e accrescere i rapporti culturali, politici ed economici fra paesi che l'uso generale o parziale di una lingua comune aveva in passato avvicinato. E, dopo avermi sottolineato l'utilità di tali legami per il presente e per il futuro mi consigliò di iniziare la costruzione di una "italofonia," mettendo insieme coloro che, in conseguenza della storia, della prossimità geografica, di vicende politiche e di flussi migratori, ancora condividevano il possesso o il desiderio della lingua italiana. Quasi per gioco ci mettemmo ad elencare questi possibili paesi, un elenco che si allungava a dismisura, forse ancora più del prevedibile, comprendendo la Svizzera, la Slovenia, la Croazia, la Tunisia, l'Albania, l'Eritrea, la Libia, l'Etiopia, il Brasile, l'Argentina, il Venezuela e non ricordo bene quali altri paesi coi quali un rapporto regolare ed istituzionale con la lingua italiana avrebbe fortemente contribuito a rinsaldare ed estendere le reciproche relazioni. Anche se le vicende della vita mi hanno impedito di dare concretezza a questo progetto, ho riflettuto varie volte sulla sua utilità: la casuale lettura dei dati sul diffuso "desiderio" di apprendimento dell'italiano mi spingono a ritenere utile ripensare anche oggi alla

Page 71: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

fattibilità di questo progetto. Una riflessione che non nasce certo da un rigurgito di provincialismo, di cui già siamo abbondantemente forniti, ma dall'utilità di rafforzare legami che già esistono e che si andrebbero progressivamente perdendo senza un richiamo regolare e collettivo. Con questo non si vuole certo diminuire l'importanza dello studio dell'inglese e delle altre lingue straniere da parte dei nostri concittadini: l'intenzione è solo quella di custodire e fare fruttificare un nostro patrimonio insieme a coloro che desiderano condividerlo. Il mondo globale, per essere vivibile, ha bisogno anche di questi rapporti speciali che ci ricordano il passato ma che ci aiutano nello stesso tempo ad affrontare il futuro. LA NUOVA di domenica 4 ottobre 2015 Pag 1 Politici che parlano come sono di Ferdinando Camon Domani si riunisce il Consiglio di presidenza del Senato per giudicare un’oscenità compiuta in piena seduta. Lucio Barani, verdiniano, per insultare una senatrice grillina, ha mimato un gesto osceno, stando in piedi, visibile a tutti. Quando si nomina questo gesto, si ricorre a una parola latina, affinché il pubblico per nove decimi non capisca. Ma ormai la parola è inflazionata, tutti la capiscono. È “fellatio”. Cosa voleva dire il senatore Barani, capogruppo dei verdiniani, a una senatrice che stava per esprimere un voto contrario al suo? Voleva dire: «Ti faccio questo»? O: «Fammi questo»? L’insulto sessuale è un insulto personale (io maschio, tu donna, ti faccio quel che voglio), ma anche di genere (voi donne sapete solo fare questo, e dunque fammelo). Siamo al Senato, si sta votando un cambiamento della Costituzione, la posta è altissima, dovrebbero confrontarsi proposte, idee, competenze: le migliori che la nazione possa esprimere, perché quelli sono i senatori, il vertice della classe politica. Dovrebbero combattere tra loro col cervello, l’intelligenza, la cultura, il progetto di futuro che hanno in testa. Invece combattono (non è la prima volta) con allusioni sessuali, triviali, sporcaccione. Li chiamiamo “onorevoli”, ma sono disonorevoli. I tg non sanno come mostrarceli. Il gesto del senatore che mima una fellatio nessun tg ce lo fa vedere. Nessun giornale lo nomina in prima pagina. Perfino il presidente del Senato, Grasso, che pure osserva tutto, non capisce, e resta interdetto. Si chiede: «Ma ha fatto quel gesto?». Il senatore Scilipoti corre e gli spiega: «Sì, ha fatto proprio quel gesto». Il gesto osceno è complesso, implica un uso della bocca e del sesso. E il senatore che l’ha mimato ha disegnato con la mano destra tutta la complessità, dalla bocca al proprio sesso. Se un professore fa un atto del genere a scuola, perde il posto, e io dico: ben gli sta. Il preside convoca il consiglio dei docenti, il professore incriminato non avrà neanche il coraggio di presentarsi, tutti i colleghi gli voteranno contro, non c’è amicizia che tenga. Il Senato ha altrettanta dignità? Il presidente Grasso ha convocato il Consiglio di presidenza per lunedì prossimo, domani, discuteranno e voteranno. Ma cosa rischia il senatore sotto accusa? Al minimo un richiamo, al massimo un’interdizione di dieci giorni. Non è niente. Anzi, è qualcosa di positivo. È una medaglia. Sarà ricordato per questo. Potrà vantarsene. Al Senato passa Stefano Esposito del Pd, e sentenzia: «È inaccettabile che accadano queste cose nelle Aule parlamentari». Ma lui due giorni fa ha bestemmiato nell’Aula Giulio Cesare del Campidoglio. E nel passato del senatore Barani, cosa c’è? È stato sindaco della cittadina di Aulla, in Lunigiana, e come tale istituì un assessorato al malocchio. Socialista da sempre, offrì la cittadinanza onoraria a Craxi, latitante in Tunisia. Il prefetto lo sospese dalla carica, perché non si può offrire onori a un latitante. Commette continuamente “indegnità”. Il problema è che gli elettori invece di bocciarlo lo premiano. Siamo sicuri che, se si votasse adesso, questo senatore non raccoglierebbe una barca di voti? Nel gennaio dell’anno scorso il deputato grillino De Rosa si rivolse alle deputate del Pd insultandole sessualmente: «Voi siete qui perché siete brave a fare i pompini». E come vanno i grillini nei sondaggi? Crescono. Calderoli è stato “graziato” dopo aver insultato una collega (di colore) definendola «un orango». E come va la Lega? Cresce. La senatrice grillina Paola Taverna urlava in Senato: «A Barani, sei uno zozzone, un porco maiale zozzo!». Cosa voleva fare, con tre insulti? Ammazzarlo? Ma nessun insulto distrugge un politico, né «porco» né «maiale» né «zozzo». «Che parlino male di me, purché ne parlino». I nostri politici sono uomini mediocri, e parlano come sono. Se il popolo li vota, perché dovrebbero cambiare?

Page 72: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

Pag 1 Forza Italia lascia orfani i moderati di Francesco Jori E poi non ne rimase più nessuno. Certo, sarebbe eccessivo sostituire nelle litanie di Forza Italia l’aulico “Meno male che Silvio c’è” con il macabro refrain dei “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie. Ma è un fatto che a una ventina d’anni dalla sua discesa in campo, l’ex poderoso partito pensato per accogliere e raccogliere i moderati italiani dopo le esequie della Dc, si sta squagliando come una pastiglia di Alka Seltzer in un bicchier d’acqua: tante bollicine in superficie, un’indistinta poltiglia sul fondo. Succede in termini di eletti: dall’inizio dell’attuale legislatura, in meno di tre anni il gruppo parlamentare del Cavaliere ha perso 83 unità su 195 (35 deputati e 48 senatori), come dire oltre il 40 per cento degli effettivi. Ancor peggio in termini di elettori: dai 13 milioni e mezzo di voti raccolti nelle politiche 2008, il Pdl è franato ai poco più di 7 del 2013. E l’ultimo sondaggio disponibile (2 ottobre) vede Forza Italia scendere malinconicamente a una percentuale a una sola cifra (9,7%): un mesto ammainabandiera. Vero è che lo squagliamento delle attuali Camere è fenomeno diffuso: Sel, per dire, ha perso 14 parlamentari su 37; e gli stessi grillini rampanti hanno le loro falle, se hanno dovuto registrare 36 defezioni su 163. Nel complesso, a poco più di metà legislatura i cambi di casacca sono arrivati a 308 (144 a Montecitorio, 164 a Palazzo Madama), superando il pur rilevante record del quinquennio precedente, quando a fine corsa se ne erano contati 261. Ma le cronache di questi stessi giorni segnalano l’inarrestabile sgretolamento forzista in due direzioni prevalenti: da un lato Fitto, dall’altro Verdini. Più gli esodi verso sponde minori, che in qualche caso diventano addirittura seriali: esemplare il caso di Luigi Compagna, eletto nel 2013 nel Pdl, e che negli ultimi nove mesi ha cambiato casacca politica ben cinque volte. Un veterano del turismo del seggio, peraltro: in precedenza aveva viaggiato tra Pri, Pli, Psi, Patto Segni, Udr, Udc. Dalla sala comandi del partito, Berlusconi in testa, si denuncia una campagna acquisti, e c’è chi si rivolge perfino al Capo dello Stato. Strana accusa, per un leader che solo pochi mesi fa è stato condannato in primo grado a 3 anni per acquisto di senatori; e che la prassi dell’ingaggio l’ha inaugurata fin dal ’94 (Tremonti dal Patto Segni e Grillo dal Ppi, diventati rispettivamente ministro delle finanze e sottosegretario alla presidenza del Consiglio), proseguendola con i vari De Gregorio, Scilipoti, Calearo, Razzi e via elencando. Fragili appigli, in ogni caso. Forza Italia è vistosamente in crisi a livello nazionale, dove rimane aggrappata a un’icona ottantenne che fa da tappo a un fisiologico ricambio. E lo è altrettanto in periferia: per rimanere a Nordest, basta registrare la dichiarazione fresca di stampa di Sandra Savino, coordinatrice del Friuli-Venezia Giulia, sulla prossima corsa al Comune di Trieste, che delega a Berlusconi l’ultima parola: alla faccia del nuovo corso annunciato con il recupero dell’autonomia dei territori. O la situazione veneta, dove su sette capoluoghi non c’è un solo sindaco forzista. Ma in questo modo l’ampio serbatoio moderato su cui poggiava l’idea del ’94 rimane orfano più che mai: depurato dall’esodo comunque marginale verso l’ex federalista Salvini riciclatosi in nazional-populista, quel tanto che resta si trova in vistosa difficoltà nel dover scegliere tra il pur rampante PdR (Partito di Renzi) e il fatiscente PdC (Partito del Cavaliere). Così alla fine non gli resta che rifugiarsi nell’ampio bacino del PdA (Partito dell’Astensione). Che non conta ai fini statistici, pur essendo la maggior forza del Paese. Ma che pesa, e come, nella vita reale. Contrapponendo al suono delle pretenziose trombe di Arcore quello di più modeste ma inquietanti campane. A morto. CORRIERE DELLA SERA di sabato 3 ottobre 2015 Pag 1 I due Matteo e la lunga sfida per Milano di Francesco Verderami Eccola la sfida comunale che contiene tutte le sfide nazionali. È a Milano che si sperimenteranno le alleanze, è a Milano che si disputerà l’anticipo del derby per Palazzo Chigi. Altro che Amministrative: fra un anno Milano sarà la capitale politica d’Italia. Il test elettorale della Madonnina rappresenterà il vero banco di prova per leader, partiti, schieramenti. Per ora è il caos, nel centrosinistra come nel centrodestra, dove ogni giorno fioriscono talmente tante candidature da far capire che ancora nessuno ne ha trovata una. E sono soprattutto i due Matteo (Renzi e Salvini) ad aver tutto da perdere. Ne sono consapevoli, e infatti evitano di uscire allo scoperto. Entrambi si trovano in una condizione nuova. Entrambi devono affrontare un paradosso. Il primo, Renzi, che nella

Page 73: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

sua carriera finora ha sempre giocato da sfidante, ora deve difendere una sindacatura uscente. E proprio lui, che ha costruito i suoi successi sulle primarie, vorrebbe sbarazzarsene per riconquistare palazzo Marino. Il secondo, Salvini, vede invece proprio in quello strumento l’appiglio a cui aggrapparsi per evitare di finire la sua corsa verso Roma anzitempo. Ma non è facile infrangere quel tabù nella città di Berlusconi. Insomma, i due sono nei guai e sono pochi quelli disposti a dar loro una mano. Di certo Pisapia non ha intenzione di risolvere i problemi a Renzi. Anzi, non passa giorno senza che metta il dito nella piaga: «A Milano faremo le più belle primarie del mondo». E il leader democratico deve prendersi un calmante. Di rifare il sindaco non ha più intenzione: «Ho 68 anni. E se dovessi rivincere, alla fine del mandato ne avrei 73. Ascoltami, Matteo, non me la sento». E l’altro: «Allora troviamo insieme un candidato». Niente da fare, Pisapia non prende impegni per non mettersi contro il suo mondo «arancione», che il nome di Sala - attuale patron dell’Expo - proprio non lo digerisce. Sebbene Alfano si sia detto pubblicamente pronto a sostenere l’ex manager che al comune lavorò con la Moratti, Renzi non può permettersi di forzare su Sala, perché a Milano rischierebbe di provocare la stessa spaccatura a sinistra che in Liguria portò alla vittoria Toti e il centrodestra. E in attesa di trovare «un terzo uomo» prende tempo. Come dall’altra parte fa Salvini. Il segretario della Lega, vedendo la trappola, temendo cioè di doversi candidare, ha provato a sostenere la candidatura di Del Debbio. Ma l’intellettuale prestato alla tv ha ripetuto a più riprese che non vuol lasciare il mestiere e Mediaset. «È un peccato», ha commentato con una battuta Berlusconi: «Sarebbe un bravissimo sindaco, e toglierebbe un aggravio dai bilanci della mia azienda». Il leader di Forza Italia politicamente sarà malmesso, continua a snocciolare nomi di improbabili candidati come dicesse un rosario, però ha un conto aperto con il giovane capo del Carroccio. I due dovrebbero vedersi ad Arcore domani sera, ma sono settimane che l’appuntamento viene rinviato. Eppoi, in assenza di decisioni, Berlusconi non saprebbe di cosa parlare con Salvini: preferisce che sia Maroni a rosolarlo a fuoco lento. Il governatore vorrebbe riproporre a Milano il «modello Lombardia», un’alleanza di centrodestra vecchio stampo con dentro Ncd, che è pure in giunta al Pirellone. E siccome il segretario leghista continua a dire «con Alfano mai», ieri Maroni - che punta a candidare il centrista Lupi a sindaco - gli ha assestato un calcione negli stinchi: «È indispensabile al comune un’alleanza omogenea a quella in Regione, altrimenti ciascuno si assumerà le proprie responsabilità». Salvini è avvisato: se entrasse in crisi la giunta lombarda sarebbe colpa sua. Nel caos tutto sembrerebbe lineare, compreso il catalogo di alleati e avversari dei due Matteo. Invece non è così. Renzi non può fare a meno del sostegno di Pisapia, per quanto sia di ostacolo al suo disegno, e intanto deve fare i conti con i renziani che vorrebbero candidarsi alle primarie. Salvini, che quando attacca Alfano si fa portavoce del pensiero di Berlusconi, deve temere le trame dello stesso Berlusconi all’interno della Lega. La confusione nei due campi è tale che si sono persino sovrapposti nell’offerta di candidature: a Sala, infatti, si è rivolto anche il centrodestra. Sembra Roma ma è Milano, che fra un anno diventerà la capitale politica d’Italia. Altro che Amministrative: sarà l’anticipo del derby per Palazzo Chigi. Rischiano tutti, ma Renzi e Salvini più di tutti. Perciò i due Matteo prendono tempo, e (forse) il segretario della Lega non avrà da obiettare se il premier convocherà le elezioni per il 5 giugno del 2016. Anzi, meglio il 12... AVVENIRE di sabato 3 ottobre 2015 Pag 3 Nel cervello dell’assassino di Ferdinando Camon Le parole prima della strage nel college Usa Le parole pronunciate dall’assassino, prima e durante la strage, sono le tracce che dobbiamo seguire per raggiungerlo, entrargli nel cervello, capire chi è, cosa fa, perché. Ha parlato tanto, prima chattando con sconosciuti ai quali chiedeva lumi sull’impresa che stava per compiere, poi a tu per tu con le vittime, prima di sparargli. Ogni parola è importante. Il giorno prima di caricarsi addosso le armi e mettersi in marcia per far strage in un college dell’Oregon, ha chattato a caso, con chi capitava. Ha spiegato confusamente cosa voleva fare, e ha chiesto consigli. «Non ti conviene un fucile, meglio una pistola», gli hanno consigliato. Consiglio importante, che la dice lunga sul consigliere. Sì, in effetti, è meglio una pistola, perché in uno spazio stretto (una stanza,

Page 74: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

un’aula), un fucile è ingombrante, e si vede. Una pistola la tiri fuori all’ultimo momento, cogli tutti di sorpresa. Pare quasi che chi ha dato quel consiglio (militarmente saggio), avesse la risposta pronta. Cioè: che avesse pensato anche lui, per farla, per stornarla, per farci un film, o chissà per quali ragioni, un’impresa del genere. Allora la domanda è: ma un’impresa del genere, uno la fa e dieci la pensano? «Vai in una scuola femminile – consiglia un altro –, ci sono meno possibilità che un maschio beta ti disarmi». Tu sei un maschio alfa, il capobranco. Vai tra le ragazze, farai una strage facile. E più remunerativa. Nel linguaggio militare, si dice 'remunerativo' l’atto in cui il risultato vale più dei mezzi che sprechi. Le ragazze sono preziose, nelle famiglie. Una vittima-ragazza impietosisce più di una vittima-ragazzo. E dunque cerca donne, e fai la strage tra loro: metterai in ginocchio intere famiglie. «Domani farò un atto glorioso», preannuncia l’assassino. «Gloria» noi lo usiamo come termine positivo, ma la guerra (l’invasione, la carneficina) lo usa anche per imprese negative: Attila in patria è considerato un eroe glorioso, ci sono statue per lui, e molti bambini si chiamano Attila. Nelle imprese militari (e questa, della strage in una scuola, è sentita da chi la fa e da chi la consiglia come un’impresa militare: la scuola, con i suoi insegnamenti di morale e di civiltà, è un territorio nemico), una spedizione armata che uccide nemici è tanto più gloriosa quanto più numerosi sono i nemici uccisi. A dimostrare che questa 'gloria' è buona, sta il concetto che segue: «Domani il mondo sarà migliore». Questo parlare prima di uccidere, ricorda il filmarsi dei kamikaze jihadisti prima della strage. È un modo per vivere due volte la strage: domani quando la farai, e oggi quando la annunci. Detto altrimenti: è un modo per fare due volte la strage. Ma è anche un modo per farla insieme con altri: altri ne hanno notizia e la accettano, non sei solo, ci sono tanti che la spartiscono con te, tu spari ma loro sparano con te. A fare quel che fai tu ci sono stati altri anche in passato: questo pluriassassino cita come esempio un altro pluriassassino, che l’anno scorso ha ucciso sei persone. La nuova strage, che si compie adesso, sarà la sua vendetta. Queste stragi sono una liberazione per chi le fa, una catarsi, e in questa liberazione c’è sempre un 'tempo del godimento', quello in cui lo sparatore si sente tranquillo, onnipotente, può uccidere o graziare, scegliere a caso, ogni vita è sua. Questo è il tempo in cui l’assassino è immobile, con l’arma in pugno, e le sue vittime sono davanti a lui, intrappolate, terrorizzate, in piedi o inginocchiate o (qui) stese a terra. In questo tempo, fulmineo e infinito, l’uccisore vuol giocare una partita a tre: lui, l’uomo, Dio. «Sei cristiano?» chiede a chi ha davanti. «Sì», un colpo in fronte. «No», un colpo al ginocchio. Lui non spara all’uomo soltanto, ma anche al Dio in cui l’uomo crede. Raskòlnikov, al momento di uccidere la vecchietta, solleva la mannaia e sente salirgli alla bocca una bestemmia. Per offendere l’umanità, deve offendere Dio che le sta davanti. Pag 8 Una riforma storica e un’Aula che non può assomigliare a un asilo Da alcuni giorni l’Aula del Senato sembra essere diventato uno dei posti peggiori in cui portare un bambino. Gesti dell’ombrello, parolacce, minacce, insulti a piede libero, addirittura boccacce (sì, quelle che si fanno all’asilo, con tutto il rispetto per i fanciulli e le impagabili maestre che li educano). È una deriva e un malcostume cui si assiste da anni, certo. Però questa volta i fattacci e le volgarità stonano un po’ di più. Perché i senatori sono impegnati nell’esame di un disegno di legge che cambia profondamente la Costituzione, superando il cosiddetto 'bicameralismo perfetto'. Insomma, volenti o nolenti, i parlamentari stanno maneggiando una grande eredità, la Carta scritta dall’Assemblea costituente eletta nel 1946. Se proprio non si riesce ad aver rispetto per le persone - e per le donne in particolare, sulle quali ci si accanisce nelle offese con il peggiore spirito da taverna -, quantomeno si potrebbe provare ad averlo per la storia della nostra Repubblica. Il presidente Grasso, con l’aiuto dei capigruppo, faccia quanto in suo potere per riprendere in mano la situazione. E non per salvare la forma o nemmeno in nome di un vago perbenismo, ma per salvare quel poco che resta del valore pedagogico ed educativo delle istituzioni. IL FOGLIO di sabato 3 ottobre 2015 Pag III Cristo è morto, l’Islam no di Marina Valensise Perché noi occidentali siamo soli e disperati davanti ai musulmani. Intervista a Pierre Manent

Page 75: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

Parte da lontano Pierre Manent, una delle ultime teste pensanti d' Europa, autore di un saggio, "Situation de la France", che esce oggi da Desclée de Brouwer (190 pp., 15,90 euro) e offre una disamina senza pregiudizi del rapporto con l'islam e della necessità di trattarlo con coraggio. Al centro delle polemiche, il libro gli è già valsa da parte dei laici indignati l' accusa di abbandonare la Francia e l'Europa al jihad e di proporre ricette irrealistiche. Liberale, cattolico per scelta, essendo nato in una famiglia di comunisti, filosofo della politica, autore di saggi importanti sul liberalismo, su Machiavelli e Montesquieu e Adam Smith, Manent denuncia il lassismo e la stanchezza morale dell' Europa di fronte alla minaccia dello Stato islamico. Parla senza giri di parole di guerra aperta sul fronte esterno e sul fronte interno. Ne scrive in modo limpido, argomentando con pacata energia, e invoca la prudenza aristotelica, la phronesis, che da esperto studioso di Aristotele e Leo Strauss reputa una delle qualità più indispensabili a noi moderni, dilaniati come siamo tra la pressione inattesa di un mondo che crede nell'ordine della legge divina e le nostre pusille aspirazioni a salvaguardare il solo interesse materiale, estendendo oltre ogni limite i diritti dell'individuo sovrano. E' questo infatti il nodo del libro. Punto di partenza di Manent è l'incompatibilità insanabile tra due schemi di pensiero che generano due opposti stili di vita. "La mia idea è semplice", spiega l'autore al Foglio. "Una comunità come l'islam prende forma in virtù di alcuni costumi che intendono obbedire alla legge di Dio, dunque non può dissolversi nei suoi elementi costitutivi in una serie di individui titolari di diritti inalienabili, come vorrebbe l' ideologia democratica. Per trent'anni abbiamo vissuto sul presupposto errato che i musulmani entrano a far parte della società francese e diventano ipso facto titolari di diritti, fra i quali la libertà di credere nella religione di Maometto. Ma in realtà i musulmani non sono passibili di diventare individui atomizzati. L'islam ha una sua consistenza collettiva, indissolubile nella società dei diritti dell' uomo. E, d'altra parte, nemmeno l'Europa è una pianura dei diritti dell'uomo, dove alcuni agenti garantiscono il rispetto dei diritti individuali. Al contrario, noi europei siamo una forma di vita umana, con le sue componenti specifiche. Il problema dunque non è solo di assicurare i diritti di tutti, ma di inserire pacificamente la forma di vita musulmana, certamente circoscritta, con alcune riserve, escludendo certi aspetti e vietandone altri, in uno spazio sociale pieno, dal volto umano e morale". Eppure, quando parla di incompatibilità tra i musulmani e l'Europa, e quando insiste nel dire che l'islam politico e il mondo musulmano ci pongono di fronte a una dimensione radicale della religione, fornendo la confutazione stessa della secolarizzazione e della morte di Dio alla quale ci avevano abituato l'ateismo illuministico imperante, Manent sembra mettere in questione l'idea del cristianesimo come religione della fine della religione. "A lungo abbiamo vissuto su una certezza delle società democratiche contemporanee, secondo la quale la religione come fatto sociale e dimensione collettiva, la religione come comunità, fosse destinata a scomparire. Era l'idea dell'ateismo progressista, che è stata profondamente interiorizzata anche dal mondo cristiano. I cattolici del Concilio Vaticano II hanno accettato di fondersi in questa sorta di nuova chiesa postcristiana che sarebbe l'umanità cosciente di sé. E il cristianesimo si è dissolto in una religione dell' umanità. Adesso, però, questa bella narrazione viene a essere profondamente rimessa in discussione, prima di tutto dalla ricostituzione di una piena esistenza degli ebrei. In Francia si parla solo di islam. Invece bisogna insistere sull' importanza della composizione del popolo ebraico, che si è ridato un'esistenza politica completa, e si è costituito come comunità politicamente indipendente dalle nazione europee. In questo senso, il giudaismo si è rivelato insolubile nella società democratica moderna, e dotato invece di una sua consistenza spirituale che chiede di perseverare nell' essere". E il mondo islamico? "Con altro stile e in altre dimensioni, attraverso uno sviluppo caotico e a volte inquietante, anche il mondo islamico ha dimostrato di non essere passibile di dissoluzione nell'umanità unificata. Anzi, per l'islam l'umanità unificata è la comunità dei credenti, che non ha affatto bisogno della nostra umanità senza religione. Perché gli islamici hanno l'umma. La comunità dei credenti, che si è impegnata in un movimento di riaffermazione di sé, all' interno di sé con l' islamismo politico e nel rapporto con ciò che finora era fuori dal mondo musulmano, e cioè con l'occidente, pone l'occidente su una posizione difensiva estremamente precaria". Lei parla di posizione difensiva. I fautori del politicamente corretto l'accuseranno di islamofobia. "Insisto. Dobbiamo sottolineare un aspetto che i

Page 76: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

lai ci non avvertono. La posizione dell'occidente è difensiva perché noi non sappiamo come rapportarci a un mondo che ha altre norme, diverse dalle nostre. Non basta la laicità per contrastare l'islam. E diversamente da quanto sostengono i politici radicali, la laicità nemmeno serve a integrare i musulmani". In effetti, lei chiarisce nel suo libro che la laicità non consentirebbe la dissoluzione della componente musulmana nella società dei diritti dell'uomo, perché storicamente è nata come sintesi delle forze repubblicane e radicali, sulla base di valori forti e soprattutto comuni, come la nazione, lo stato, l'amministrazione dello stato, della lingua e della scuola, che oggi invece sono diventati termini che fanno ridere. "La laicità, o meglio, la separazione tra lo stato e la chiesa, presupponeva una preliminare unità, oggi scomparsa. Cattolici e repubblicani erano sicuri di dividersi la Francia, oggetto del loro contendere. Si affrontavano sulle norme da dare alla vita francese. Non è questo il caso del rapporto col mondo dell' islam che viene da fuori e resta straniero. Oggi il problema è far entrare i nostri amici musulmani nella vita francese: nulla ha a che fare con quello della Terza repubblica, che doveva arginare la presenza un po' troppo pesante della chiesa sul governo, sul governo dell' educazione e sulla vita sociale in generale. Allora si trattava di circoscrivere il potere sociale e educativo della chiesa, sulla base di una realtà condivisa e sacra per tutti, e cioè la nazione, la Francia". Oggi la nazione ha vita grama sia come idea sia come pratica. "Oggi da un lato i musulmani di Francia restano in larga parte estranei alla vita della nazione, dall'altro la nazione ha deliberatamente abbandonato il sentimento di essere una comunità sacra che si ha il dovere di preservare per far vivere nell'avvenire. E' chiaro che se i francesi si prefiggono l' obiettivo di diventare europei, il progetto di riunire i musulmani in una associazione francese finisce per diventare contraddittorio. Sicché assistiamo a una corsa verso la dissoluzione: vogliamo integrare i musulmani in una Francia che vuole integrarsi in un insieme europeo, il quale a sua volta vuole integrarsi in un mondo senza frontiere...". Dunque, sul piano teorico, integrare i musulmani in Francia sembra un problema irrisolvibile, ma sul piano pratico lei propone una serie di misure concrete. "I grandi riferimenti della vita politica moderna, i diritti umani, la tradizione illuministica non ci aiutano a risolvere il problema con cui ci stiamo misurando. Dobbiamo dunque inventarci una nuova prudenza apolitica, che lasci da parte i grandi princìpi, guardando alla realtà delle associazioni umane. Dobbiamo capire, e insisto su questo aspetto, che l' islam costituisce un' associazione umana non passibile di dissolversi nell'umanità dei diritti dell'uomo. Dobbiamo trovare un'altra strada e un altro modo per inserire la comunità dei musulmani nella comunità francese, dando un senso concreto alla cosa, per evitare di ricadere in proposte astratte e inefficaci". La Francia però resta la patria dell'universalismo filosofico moderno, come si fa a rinunciare alle idee astratte? "La Francia significa diritti dell'uomo, eguaglianza, libertà; ma significa anche una nazione di marca cristiana, dove gli ebrei hanno un ruolo importante. I musulmani dunque non si integrano in una spazio vuoto dall'umanità astratta. Bisogna tenere conto della realtà e pretendere che il governo ne tenga conto, perché prima di essere l'amministratore dei diritti dell' uomo, è il responsabile di un paese che ha una forma di vita, una società, una sociabilità nelle quali il cristianesimo e il cattolicesimo hanno esercitato un ruolo preponderante". Diritto naturale e storia, dunque, ritorno a Leo Strauss? Eppure, a complicare le cose, lei mostra la preterintenzionalità di questo ruolo del cristianesimo, che procede per secoli nell' ignoranza di sé, quando ricorda nel suo libro come fu proprio separando radicalmente i princìpi politici dai princìpi del cristianesimo che gli europei misero in pratica e convalidarono la separazione radicale che era al principio dello stesso cristianesimo, con le misteriose parole di Cristo nel Vangelo di Matteo, "date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio". "L'idea aristotelica e tomistica, secondo la quale noi siamo animali sociali e politici, è un invito a riconoscere le principali articolazioni collettive del mondo in cui viviamo, perché il ragionamento politico è innanzitutto pratico e impone di capire che cosa stiamo facendo. Ora, l'articolazione collettiva del mondo in cui viviamo non consente di guardare ai musulmani come a un gruppo di individui, ma come a un gruppo di credenti. Il contenuto intimo della loro fede non è politicamente rilevante, mentre lo sono i loro costumi. E' l'islam dei costumi che dobbiamo integrare. I musulmani che vivono secondo certe usanze devono entrare nella comunità francese, vanno attratti, a condizione di un compromesso: noi dobbiamo essere meno cavillosi verso i loro costumi, accettandone alcuni, e loro in cambio dovranno rinunciare alla dipendenza nei confronti della umma e

Page 77: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

dell'insieme del mondo arabo musulmano. Cosa ben più difficile, me ne rendo conto, per i governi francesi che da anni hanno lasciato nel dimenticatoio la formazione degli imam, subappaltandola al Marocco". In concreto dunque cosa propone sul velo, sulle piscine separate, sulle mense scolastiche? "Penso che sia inutile insistere sul divieto del velo nelle scuole o difendere a spada tratta, sino a farne un punto d’onore, la carne di maiale nelle scuole. Per il velo c'è una legge e va applicata. Ma se il velo lascia il volto scoperto non ci sono ragioni solide per vietarlo. Mentre il velo integrale, il burka, o il niqab vanno banditi. Ci sono vari modi per venire a patti su certi aspetti della vita quotidiana, e andrebbero incoraggiati, senza per questo mettere a repentaglio i princìpi della vita europea. Che alcuni genitori vogliano orari separati per i loro figli adolescenti in piscina, non mi sembra una pretesa esorbitante. In fondo, chi di noi ha una certa età ha conosciuto le scuole solo femminili e solo maschili, e ha frequentato corsi di nuoto in classi separate, senza che questo rappresentasse un regime contrario ai diritti elementari della persona umana. Ripeto sarebbe un compromesso auspicabile, un gesto di amicizia". Non avrebbe l' effetto di incrementare il fai da te del multiculturalismo? "Si tratterebbe di una semplice facilitazione che andrebbe affiancata da un'esigenza nuova. Misuro bene la difficoltà della mia proposta che consiste in un' affermazione di indipendenza, intellettuale, organizzativa, finanziaria, nei confronti di un mondo arabo-musulmano percorso da movimenti estremamente inquietanti. Ma se noi ci mostriamo desiderosi di vivere in amicizia, chiedendo ai musulmani di entrare nell' amicizia fisica, possiamo anche pretendere che loro, certo senza tagliare i ponti, assumano piena indipendenza nei confronti del mondo arabo-musulmano. E' questa la vera posta in gioco che i francesi s'ostinano a non vedere, quando continuano a assumere posizioni demagogiche sulle mense scolastiche, sulle piscine separate, anziché compiere un vero sforzo per obbligare i musulmani di Francia a prendere in mano la responsabilità dell' islam in Francia". Insomma prudenza e mano tesa per integrare meglio i musulmani in Francia separandoli dalla umma, e neutralizzando la tentazione di affiliarsi al califfato. "Per affrontare questo rischio, i musulmani devono essere più integrati. La Francia deve essere una scelta per loro. Se vogliamo neutralizzare l'eventuale attrazione del radicalismo islamico o del salafismo, i musulmani devono entrare nella vita della nazione, scegliere la Francia per decidere di vivere in Francia, in modo che il loro futuro sia la Francia e non la umma. La mia non è una proposta facile, lo so. E a chi mi accusa di essere irrealista, obietto solo che se non riusciamo a inserire i musulmani francesi nella vita europea, rimaniamo in uno stato di frammentazione distruttivo per tutti". Allora la profezia di Michel Houellebecq, quella cioè di una sottomissione, di un' islamizzazione morbida e irresistibile è realistica? "Houellebecq ha scritto un libro giusto e molto significativo. Ci offre una buona diagnosi della tentazione di una classe politica e in generale di una società estremamente stanca, la quale, dopo aver rinunciato a tanti aspetti della sua indipendenza nazionale, è pronta forse a cedere all' islam se ciò gli assicura un' apparente tranquillità, presentandosi in un momento di crisi con risorse finanziarie illimitate come i paesi del Golfo, che ottengono per questo un'influenza crescente". IL GAZZETTINO di sabato 3 ottobre 2015 Pag 1 L’alleato Verdini e l’imbarazzo che cresce nei Dem di Alberto Gentili “Devo dire che Grasso, alla fine, è stato corretto. Si è comportato da galantuomo”. Impegnato a scrivere insieme a Pier Carlo Padoan la legge di stabilità, Matteo Renzi ha un po’ trascurato la pratica-Senato. Ma non sono sfuggite al premier le decisioni del presidente del Senato che, dopo aver tenuto il governo sulla corda, da giovedì ha lavorato a testa bassa per evitare agguati. Di numeri, invece, Renzi ha smesso del tutto di occuparsi. Anche perché, con Luca Lotti e Maria Elena Boschi incaricati di presidiare h24 l'aula del Senato, la maggioranza si è via via allargata. «Se continua così, Renzi fa il record mondiale di voti», diceva sornione Pier Ferdinando Casini a metà pomeriggio, «ci sono senatori forzisti che sono andati da Berlusconi a dire di voler votare la riforma. Silvio ha risposto: fate ciò che vi pare, basta che non mi lasciate pure voi». Ma, paradossalmente, nelle ultime ore il problema è diventata proprio l'abbondanza. Meglio: la qualità e il tipo di alleati, verdiniani in testa. Soprattutto dopo che il capogruppo di Ala, Lucio Barani, si è spinto fino al punto di mimare in aula un rapporto orale per zittire

Page 78: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

la senatrice pentastellata Barbara Lezzi. Bagarre, insulti. Seduta sospesa. Ma anche prima del gestaccio, che ha costretto il presidente dei senatori Pd Luigi Zanda a invocare «sanzioni immediate e rigorose», era palpabile l'imbarazzo dei democrat ad ogni intervento pro-riforma dello stesso Barani e di Ciro Falanga. Insomma, i voti di Denis Verdini sono utili. E continuano a svolgere un forte effetto-calamita. Ma molti rappresentanti di Ala risultano indigesti e «impresentabili» a giudizio del Pd renziano, non solo della minoranza bersaniana. E Renzi non ha intenzione di condividere con Verdini la paternità della riforma. Così, dopo che Anna Finocchiaro in aula aveva detto che il suo emendamento (quello frutto della mediazione con i ribelli dem) era stato firmato anche dal portavoce di Ala, Vincenzo D'Anna, è esploso il panico. Tempo un'ora, ed è scattata una smentita ufficiale del gruppo del Pd: «Contrariamente da quanto detto per errore da Anna Finocchiaro e a quanto riportato dalle agenzie di stampa, l'emendamento all'articolo 2 non porta la firma del senatore D'Anna, ma della senatrice del Pd Erica D'Adda». Poi, la stessa Finocchiaro si è corretta: «E' stato un lapsus, ho pronunciato il nome D'Anna piuttosto che D'Adda». Verdini però non si scompone. E neppure si offende. In aula continua il suo ”confessionale” con i senatori definiti «inquieti». Parla con Antonio Gentile e Guido Viceconte, senatori del Ncd. Bisbiglia all'orecchio dei fittiani Antonio Milo e Marco Pagnoncelli. E questo mentre in aula continuano a girare biglietti (falsi) da un dollaro chiamati...”verdini” e dai banchi dei Cinquestelle e forzisti piovono accuse di compravendita. Angelino Alfano, che teme di vedersi scippato il gruppo, decide di andare a parlare con Verdini in persona in cima all'emiciclo senatoriale. I due parlano fitto fitto. Poi una stretta di mano e via. Raccontano che Verdini sia tornato a proporre un listone centrista con cui affiancare il Pd alle elezioni. Di sicuro c'è che in serata Fitto fa sapere: «Il mio gruppo è compatto, Milo e Pagnoncelli restano». Ghigno dell'imperterrito Barani: «Da noi ne arriveranno altri dieci». Pag 19 La strage dell’Oregon, il killer ha ucciso per uscire da una vita anonima di Lucetta Scaraffia Negli Stati Uniti i folli che sparano senza senso, così, tanto per fare una strage - ma, dobbiamo aggiungere, forse anche per essere ammazzati - hanno sempre scelto come obiettivo una scuola: ben 45 casi nel solo 2015, addirittura 145 da quando il primo folle ha sparato fino a oggi, quando è stata coinvolta una scuola elementare a Newtown. Viene spontanea una domanda: perché una scuola e non un ospedale, uno stadio, una stazione all’ora di punta? Certo, la scelta delle scuole per compiervi delle stragi è nata senza dubbio dal desiderio di imitare casi di cronaca eclatanti, spesso annunciati in rete e poi rimbalzati da veri e propri siti e da deliranti blog da parte degli stessi protagonisti sopravvissuti. Il primo di loro ha fatto scuola e ha suggestionato gli altri. Dobbiamo infatti ricordarci che le notizie di cronaca nera possono diventare, nella nebbia di menti malate, come dei suggerimenti per compiere altre stragi. In una società come la nostra, in cui sembra contare solo chi è famoso, un crimine spettacolare può essere la via per diventare famosi subito, senza fare gavetta, senza impegnarsi in percorsi professionali. E la scelta di una scuola come obiettivo aiuta questa perversa pubblicità: non c’è nulla di più drammatico, di più toccante, che vedere improvvisamente troncate vite giovani, sane, piene di voglia di vivere. E questi assassini che finiranno ammazzati vogliono la pubblicità, anche a costo di morire, la inseguono da tempo sui loro social, dove minacciano la strage prima di realizzarla, per vedere – così è avvenuto tante volte – se qualcuno si accorge finalmente di loro. Anche il protagonista dell’ultima strage l’aveva minacciata, addirittura descritta in tutti i particolari, ma non aveva trovato chi gli desse retta. Sembrava che nessuno ci credesse, che nessuno lo volesse prendere in considerazione, facendolo così uscire da un insopportabile anonimato. È dunque evidente che il suo inferno era la vita anonima, una condizione così dolorosa da suggerirgli un mezzo estremo e definitivo per uscirne. La scuola è il luogo dove si prepara il futuro, ma è anche il luogo in cui comincia quella selezione meritocratica che, soprattutto in un paese come gli Stati Uniti, può aprire la strada a una affermazione professionale, a un “successo” che può renderti visibile, diverso dalla massa anonima. L’assassino odia la vita che non gli ha dato quanto voleva, e odia quindi il futuro, quel futuro che non vuole vivere. Sa bene che fare una strage è un modo per suicidarsi, portandosi dietro, però,

Page 79: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

dei giovani che avrebbero potuto vivere le loro vite, che forse avrebbero potuto affermarsi. Così ruba il loro futuro, lo trascina nella sua rovina. E intanto si guadagna visibilità, esce dall’anonimato proprio per l’orrore che ha compiuto. Speriamo che i ragazzi americani, figli di un paese dove è così facile avere un’arma, non debbano vivere con la paura di recarsi a scuola. Come se la scuola fosse diventata un luogo pericoloso proprio perché lì sono loro, con il futuro in tasca. LA NUOVA di sabato 3 ottobre 2015 Pag 1 Trasformismo vecchio vizio nazionale di Vittorio Emiliani Un premio a chi riconosce l’autore di questi fondamentali concetti politici: «I partiti di sinistra non si devono fossilizzare, né cristallizzare... E se qualcuno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il nostro programma, come posso io respingerlo?». Potrebbe benissimo essere lo stesso Matteo Renzi, o Maria Elena Boschi, oppure Debora Serracchiani in uno dei tanti talk show televisivi. L’hanno detto e lo ripetono incessantemente: «Noi vogliamo le riforme e andremo avanti, coi voti di chi ci sta». E i voti ormai certi sono quelli dei “verdiniani”, seguaci di quel Denis Verdini - non proprio un giglio a leggere i 4-5 rinvii a giudizio - fino a ieri colonna portante del partito di Berlusconi ed oggi sostenitore, con un sempre più folto gruppo di fuoriusciti da Forza Italia, del premier e delle sue riforme costituzionali ed elettorali. Voti che arrivano tutti dal centrodestra. Invece no, sono concetti esposti nel lontano 1882 da Agostino Depretis in quello che passa alla storia come il “discorso di Stradella”, patria di Depretis, manifesto di ciò che si è poi chiamato “trasformismo”. Ma le analogie non si fermano qui. De pretis fu uno dei primi a dichiarare superate e arcaiche le distinzioni fra destra e sinistra. Addirittura nel discorso parlamentare di sei anni avanti, nel 1876, avvertiva di «tenere il governo per la fiducia del Re e in nome dell’intera Nazione» e in tal senso sollecitava ad aderire al progetto tutti i componenti dell’amministrazione e, poco più tardi, tutti i componenti dei partiti. Con ciò scompaginando le file della destra storica (vedi caso) e confondendo destra e sinistra. Anche questa del “partito della Nazione” mi pare di averla risentita di recente: non è forse una delle ragioni di fondo per le quali con l’Italicum si vuole il premio (altissimo) di maggioranza attribuito non alla coalizione (come nel 1953 con la legge-truffa) bensì al partito che superi il 40 per cento o che, se non lo supera, si aggiudichi il ballottaggio? Di fronte a quel discorso sulla Nazione l’esponente della sinistra di opposizione, Giuseppe Zanardelli, presentatore del primo disegno di legge sul divorzio, nel 1886 si rivolgeva a Depretis così: «Cercando di confondere i partiti politici, avete spento con essi quelle passioni politiche le quali costituiscono la vita, la bellezza, la dignità di ogni libero reggimento (...) Avrei stimato assai preferibile dichiaraste schiettamente che credevate necessario mutare politica, anziché pretendere che l’abbiamo mutata noi di sinistra separandoci da voi, la destra". Agostino Depretis si era preso in quel torno di tempo pure gli strali acuminati e roventi del Vate, cioè di Giosue Carducci il quale, definitolo «l’irto spettral vinattier di Stradella», accusava la politica trasformista di mancare «del tutto di idealità», di spacciare «per idee, piccole passioni, piccoli urti, barbagli di piccoli vantaggi: dove si baratta per genio l’abilità, e per abilità qualche cosa di peggio...». Certo il trasformismo l’aveva teorizzato e praticato in lungo e in largo, trovando poi tanti imitatori pure in Italia, Agostino Depretis, ma la sua invenzione risaliva probabilmente all’Assemblea nazionale francese uscita dalla rivoluzione del 1789 con un gruppone di centro, le Marais, la Palude, che finiva per aggregare forze da sinistra e da destra. Quella Palude nella quale Renzi teme tanto di cadere, ma dei cui consensi ha bisogno come il pane, al modo in cui Silvio Berlusconi ebbe bisogno dei “Responsabili” accorsi a sostenerlo nei 45 giorni (tanti) concessi dal Quirinale per il voto di sfiducia contro Silvio scongiurato da Scilipoti e C. Allora, direte, la storia si ripete ogni volta che i partiti, strumenti della organizzazione democratica delle idee e dei programmi diventano liquidi e confondono le loro acque? Purtroppo sì. E da noi non c’era bisogno di aspettare Zygmunt Bauman e la sua “società liquida”. Pag 1 Obama perde la guerra alle armi di Alberto Flores d’Arcais

Page 80: Rassegna stampa 5 ottobre 2015 - webdiocesi.chiesacattolica.it · Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di ...

L’ennesimo massacro e l’ennesimo messaggio di Barack Obama. È un presidente esasperato e frustrato quello che – in un messaggio alla nazione – commenta a caldo la sparatoria nel college di una cittadina dell’Oregon, la strage di tredici ragazzi innocenti. Nei suoi due mandati (e manca ancora più di un anno per finire il secondo) ci sono già stati quindici mass shooting (sparatorie con almeno quattro persone coinvolte senza alcuna colpa) e il presidente per quindici volte ha chiesto (senza successo) un maggiore controllo sulle vendite di armi da fuoco. «I pensieri e le preghiere non bastano più, siamo il solo paese avanzato nel mondo che registra queste stragi ogni pochi mesi. Le attuali leggi non bastano». Parole dure, ma il tono è quello di un uomo disilluso, quasi fosse convinto che anche questa volta nulla cambierà. Altre stragi, come quella in Texas dove rimase viva per miracolo la deputata democratica Gabrielle Giffords, hanno fatto nascere nuovi movimenti e organizzazioni “anti-armi”, ma i rapporti di forze non sono cambiati, in America la maggioranza della popolazione non vuole limiti a quello che è un diritto sancito dalla Costituzione, pistole, fucili e mitra di ogni genere continuano a essere venduti (con qualche rara eccezione in pochi Stati) anche nelle grandi catene di supermercati. Ormai è diventato quasi un rituale, la notizia di una sparatoria – in qualsiasi angolo dell’America, cittadina o rurale – che irrompe nei media ufficiali e nei social network, le estenuanti dirette tv, il conto dei morti e dei feriti che cresce di ora in ora, il killer ucciso. E poi l’annoso dibattito sul controllo delle armi, con le rituali dichiarazioni dei politici che – a seconda dei propri convincimenti e degli elettori a cui devono dare conto – fanno a gara a mantenere ferme le proprie opinioni. I numeri dei mass shooting sono implacabili: per ogni cittadino statunitense morto per attacchi terroristici nel mondo ne vengono uccisi più di mille negli Usa con armi da fuoco (dati che si riferiscono al decennio 2004-2013, fonte Center for Disease Control and Prevention); dalla rielezione alla Casa Bianca di Barack Obama (novembre 2012) – avvenuta poco dopo la morte di venti bambini e sei adulti nella sparatoria alla scuola elementare Sandy Hook di Newtown, in Connecticut – ci sono state 994 “sparatorie di massa” negli Stati Uniti, ultima quella di giovedì all’Umpqua Community College di Roseburg; solo nel 2015 gli “incidenti con armi da fuoco” (per usare i termini burocratici delle locali polizie) sono stati 294. Numeri che arrivano da un sito (shootingtracker.com), di cui sono partner Cnn, Washington Post, MsNbc ed Economist e che da alcuni anni “traccia” ogni singola sparatoria. Possono cambiare realmente le cose? Se anche il presidente degli Stati Uniti ne dubita («ormai è una routine, discorsi, servizi giornalistici, le cose che diciamo nei giorni successivi, siamo diventati insensibili») è quasi impossibile che accada e lo stesso Obama sembra costretto ad accettare l’idea – «anche se è senza senso» – che non sia possibile cambiare una Costituzione che vieta «anche una modesta regolamentazione» delle armi. Del resto basti pensare alle reazioni che ci sono state nella cittadina dell’Oregon dove è avvenuta la strage. Con uno sceriffo che in ogni intervista ribadisce il suo «drastico no» a qualsiasi legge sulle armi (e che si è rifiutato di fornire il nome del killer perché «non voglio fare pubblicità») e con la grande maggioranza degli abitanti (molti sono cacciatori) che pensano che la strage sia avvenuta perché gli studenti erano «disarmati». Chris Harper Mercer, il 26enne autore della strage, era di origine britannica e ha lasciato quello che è stato definito «un complesso intreccio di identità online», con le sue passioni per il nazismo, l’Ira irlandese e l’ossessione per le armi. Leggi per “prevenire” le stragi da armi da fuoco sono state approvate – ha ricordato Obama – «sia in Australia che in Gran Bretagna». Nel West americano Chris non ha avuto invece alcun problema. Torna al sommario