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395 Introduzione Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte del mondo occidentale, in circa i due terzi dei casi attribuibili ad even- ti improvvisi e fatali. La morte cardiaca im- provvisa consegue spesso ad un evento aritmi- co, ipercinetico in circa l’80-90% dei casi (co- me la fibrillazione ventricolare) e ipocinetico nei restanti casi (come l’asistolia e il blocco atrioventricolare). A partire dalla seconda me- tà degli anni ’50, la ricerca scientifica e tecno- logica si è indirizzata verso la realizzazione di dispositivi elettrici impiantabili per stimola- zione e defibrillazione cardiaca. Il primo pace- maker impiantabile, sviluppato da Senning ed Elmquist, venne impiantato in Svezia nel 1958, mentre il primo defibrillatore automati- co impiantabile venne sviluppato da Mi- rowsky nel 1980. I numerosi trial clinici realiz- zati nel corso degli anni hanno indiscutibil- mente dimostrato l’importanza di tali disposi- tivi nel ridurre significativamente la mortalità totale e cardiovascolare in particolari sotto- gruppi di pazienti; parallelamente, si è assisti- to a tutti quei progressi tecnici che hanno re- so possibile lo sviluppo di materiali e tecniche in grado di garantire l’impianto routinario di tali dispositivi in maniera sicura ed efficace. Infatti, la considerevole evoluzione in campo di tecniche e di materiali che si è rea- lizzata negli ultimi 30 anni ha permesso di semplificare significativamente le procedure di impianto, consentendo di realizzare in ma- niera sistematica, sicura ed efficace l’impianto di un generatore sottocutaneo, collegato ad uno o più elettrocateteri endocardici 1 . Tuttavia, intrinseco alla terapia di stimola- zione/defibrillazione elettrica a permanenza, rimane il rischio iatrogeno connesso con l’im- pianto di tali dispositivi. Il possibile verificarsi di eventi avversi acuti e/o cronici praticamen- te in qualsiasi momento della “storia del di- spositivo”, rende conto di quanto importante sia non solo per lo specialista aritmologo, ma anche per il cardiologo clinico una conoscen- za adeguata delle complicanze, in grado di garantire un’ottimale stratificazione del ri- schio pre-impianto, un pronto e precoce rico- noscimento, e non ultimo un adeguato tratta- mento. Scopo di questa rassegna sarà quindi quel- lo di illustrare il rischio iatrogeno connesso al- l’impianto dei principali dispositivi cardiaci elettrici impiantabili attualmente in uso: il pa- cemaker tradizionale, il defibrillatore automa- tico (ICD), i sistemi di resincronizzazione car- diaca. La maggioranza degli aspetti sono co- muni a qualsiasi dispositivo e verranno pertan- to trattati nel complesso in relazione all’im- pianto di pacemaker; le possibili complicanze verranno integrate inoltre con considerazioni particolari e specifiche relative agli ICD ed ai si- stemi di resincronizzazione cardiaca. Pacemaker Le complicanze connesse all’uso dei dispositi- vi elettrici impiantabili sono solitamente clas- Key words: Cardiac resynchronization therapy; Iatrogenic complications; Implantable cardioverter- defibrillators; Pacemakers. © 2009 AIM Publishing Srl Ricevuto il 2 febbraio 2009; nuova stesura il 31 marzo 2009; accettato il 31 marzo 2009. Per la corrispondenza: Dr.ssa Maria Grazia Bongiorni U.O. di Malattie Cardiovascolari II Azienda Ospedaliero- Universitaria Pisana Spedali Riuniti di S. Chiara Via Roma, 67 56126 Pisa E-mail: m.g.bongiorni@ med.unipi.it Il rischio iatrogeno connesso all’impianto di pacemaker e defibrillatori Maria Grazia Bongiorni, Andrea Di Cori, Ezio Soldati, Giulio Zucchelli, Luca Segreti, Gianluca Solarino, Raffaele De Lucia, Domenico Sergi U.O. di Malattie Cardiovascolari II, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa The considerable evolution in technique and hardware, occurred over the past three decades, has greatly sim- plified the implantation procedure of pacemakers and cardioverter-defibrillators. Indeed, the introduction of relatively simple and safe methods of central venous access, and the miniaturization of the generator with subcutaneous placement have facilitated the implantation. However, inherent with cardiac pacing and defi- brillating therapy is the potential for the occurrence of an early or delayed untoward event. Although skill, ex- perience, and technique are all mitigating factors, every cardiologist should know potential complications and should be able to stratify overall risk related to a device implantation. Thus, both the implanting physician or the clinical cardiologist must be concerned not only with measures to avoid complications, but also with their early recognition and treatment. (G Ital Cardiol 2009; 10 (6): 395-406) RASSEGNA

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Introduzione

Le malattie cardiovascolari rappresentano laprima causa di morte del mondo occidentale,in circa i due terzi dei casi attribuibili ad even-ti improvvisi e fatali. La morte cardiaca im-provvisa consegue spesso ad un evento aritmi-co, ipercinetico in circa l’80-90% dei casi (co-me la fibrillazione ventricolare) e ipocineticonei restanti casi (come l’asistolia e il bloccoatrioventricolare). A partire dalla seconda me-tà degli anni ’50, la ricerca scientifica e tecno-logica si è indirizzata verso la realizzazione didispositivi elettrici impiantabili per stimola-zione e defibrillazione cardiaca. Il primo pace-maker impiantabile, sviluppato da Senning edElmquist, venne impiantato in Svezia nel1958, mentre il primo defibrillatore automati-co impiantabile venne sviluppato da Mi-rowsky nel 1980. I numerosi trial clinici realiz-zati nel corso degli anni hanno indiscutibil-mente dimostrato l’importanza di tali disposi-tivi nel ridurre significativamente la mortalitàtotale e cardiovascolare in particolari sotto-gruppi di pazienti; parallelamente, si è assisti-to a tutti quei progressi tecnici che hanno re-so possibile lo sviluppo di materiali e tecnichein grado di garantire l’impianto routinario ditali dispositivi in maniera sicura ed efficace.

Infatti, la considerevole evoluzione incampo di tecniche e di materiali che si è rea-lizzata negli ultimi 30 anni ha permesso disemplificare significativamente le proceduredi impianto, consentendo di realizzare in ma-niera sistematica, sicura ed efficace l’impianto

di un generatore sottocutaneo, collegato aduno o più elettrocateteri endocardici1.

Tuttavia, intrinseco alla terapia di stimola-zione/defibrillazione elettrica a permanenza,rimane il rischio iatrogeno connesso con l’im-pianto di tali dispositivi. Il possibile verificarsidi eventi avversi acuti e/o cronici praticamen-te in qualsiasi momento della “storia del di-spositivo”, rende conto di quanto importantesia non solo per lo specialista aritmologo, maanche per il cardiologo clinico una conoscen-za adeguata delle complicanze, in grado digarantire un’ottimale stratificazione del ri-schio pre-impianto, un pronto e precoce rico-noscimento, e non ultimo un adeguato tratta-mento.

Scopo di questa rassegna sarà quindi quel-lo di illustrare il rischio iatrogeno connesso al-l’impianto dei principali dispositivi cardiacielettrici impiantabili attualmente in uso: il pa-cemaker tradizionale, il defibrillatore automa-tico (ICD), i sistemi di resincronizzazione car-diaca. La maggioranza degli aspetti sono co-muni a qualsiasi dispositivo e verranno pertan-to trattati nel complesso in relazione all’im-pianto di pacemaker; le possibili complicanzeverranno integrate inoltre con considerazioniparticolari e specifiche relative agli ICD ed ai si-stemi di resincronizzazione cardiaca.

Pacemaker

Le complicanze connesse all’uso dei dispositi-vi elettrici impiantabili sono solitamente clas-

Key words:Cardiac resynchronizationtherapy;Iatrogenic complications;Implantable cardioverter-defibrillators; Pacemakers.

© 2009 AIM Publishing Srl

Ricevuto il 2 febbraio2009; nuova stesura il 31marzo 2009; accettato il31 marzo 2009.

Per la corrispondenza:

Dr.ssa Maria GraziaBongiorni

U.O. di MalattieCardiovascolari IIAzienda Ospedaliero-Universitaria PisanaSpedali Riuniti di S. ChiaraVia Roma, 6756126 PisaE-mail: [email protected]

Il rischio iatrogeno connesso all’impiantodi pacemaker e defibrillatoriMaria Grazia Bongiorni, Andrea Di Cori, Ezio Soldati, Giulio Zucchelli, Luca Segreti,Gianluca Solarino, Raffaele De Lucia, Domenico Sergi

U.O. di Malattie Cardiovascolari II, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa

The considerable evolution in technique and hardware, occurred over the past three decades, has greatly sim-plified the implantation procedure of pacemakers and cardioverter-defibrillators. Indeed, the introduction ofrelatively simple and safe methods of central venous access, and the miniaturization of the generator withsubcutaneous placement have facilitated the implantation. However, inherent with cardiac pacing and defi-brillating therapy is the potential for the occurrence of an early or delayed untoward event. Although skill, ex-perience, and technique are all mitigating factors, every cardiologist should know potential complications andshould be able to stratify overall risk related to a device implantation. Thus, both the implanting physician orthe clinical cardiologist must be concerned not only with measures to avoid complications, but also with theirearly recognition and treatment.

(G Ital Cardiol 2009; 10 (6): 395-406)

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sificate in accordo ai tempi di insorgenza come acute o cro-niche, se si verificano nel perioperatorio o nel follow-up ri-spettivamente, ed in base alla sede, in complicanze a cari-co del sistema venoso, degli elettrocateteri o del generato-re e della tasca di alloggiamento. Le complicanze acute so-no sostanzialmente collegate all’atto chirurgico; la loro in-cidenza cumulativa nei pazienti sottoposti ad impianto dipacemaker (per quanto la stima risulti difficile e manchinodati estremamente attendibili) è in genere stimata del 4-5% (rappresentata per lo più da dislocazione di elettroca-teteri, pneumo-emotorace, tamponamento cardiaco) ed èin genere maggiore in presenza di operatori inesperti e dielettrocateteri multipli (maggiore per i DDD rispetto aiVVI/VDD)2,3. Alcune complicanze acute rappresentano unfattore di rischio per la comparsa di eventi avversi nel fol-low-up, in particolare se richiedono un reintervento preco-ce. Le complicanze tardive, per lo più rappresentate da in-fezioni a carico del sistema impiantato o da malfunziona-mento dello stesso, si verificano invece più frequentemen-te dopo procedure di reintervento (sostituzione di genera-tore, upgrading di elettrocatetere) rispetto all’impianto denovo (5 vs 1%), considerando i tempi procedurali più lun-ghi e la ridotta vascolarizzazione locale per fibrosi reat-tiva4-6.

Complicanze acuteAccesso venosoLe complicanze legate all’accesso venoso conseguono ge-neralmente al tentativo di accesso diretto in vena succla-via. L’entità del rischio è strettamente legata all’esperien-za dell’operatore, all’approccio eseguito (puntura extrato-racica vs intratoracica) e all’anatomia del paziente (piùcomplesso in pazienti anziani, broncopneumopatici, conpregresse fratture clavicolari) e possono essere interessatepotenzialmente tutte le strutture presenti nelle immedia-te vicinanze della vena (polmone, arteria succlavia, nervi).

Pneumotorace. Conseguente alla involontaria punturadella cupola pleurica, è una complicanza non infrequente(1.5-2%) osservata più spesso nei pazienti scarsamente col-laboranti, enfisematosi, con pregresse fratture clavicolari ocon alterazioni dei normali rapporti anatomici costo-clavi-

colari, tali da richiedere ripetuti tentativi di accesso. In ge-nere asintomatico, riscontrato occasionalmente alla radio-grafia toracica di controllo pre-dimissione, non richiedeusualmente trattamento, andando incontro a riassorbi-mento spontaneo. Talvolta, tuttavia, può essere associatoa dolore toracico, tosse, difficoltà respiratoria e, se interes-sa più del 10% del campo polmonare, necessita di evacua-zione mediante drenaggio toracico2,3.

Emotorace. Complicanza molto meno comune (0.1%), con-segue in genere al sanguinamento della vena succlavia o aldanno dell’adiacente arteria, più spesso osservata in pa-zienti con coagulopatie congenite o acquisite (ad es. in te-rapia con farmaci anticoagulanti). La puntura involontariadell’arteria si risolve in genere con un’adeguata compres-sione loco-regionale; più complessa è la gestione di una la-cerazione, conseguente ad un’inappropriata esplorazionesottocutanea con l’ago o all’introduzione in arteria del di-latatore. In tal caso è raccomandabile l’esecuzione diun’immediata angiografia selettiva e un’eventuale ripara-zione chirurgica o endovascolare7,8. Inoltre, se il paziente èsintomatico, l’emotorace deve necessariamente essereevacuato.

Embolismo gassoso. Consegue al posizionamento dell’in-troduttore in una vena centrale, al momento della rimo-zione del dilatatore e prima che venga introdotto il cate-tere, come conseguenza della pressione negativa intrato-racica in corso di inspirazione. In genere asintomatico, vie-ne diagnosticato mediante la visualizzazione diretta dibolle nel sistema venoso e nelle sezioni cardiache destre.Raramente, può determinare compromissione emodinami-ca e richiedere ossigenoterapia, aspirazione, supporto ino-tropico. Misure preventive includono il controllo dellapressione venosa centrale (posizione di Trendelenburg),l’uso di dilatatori di dimensioni contenute o dotate di val-vole emostatiche, il controllo manuale dell’introduttore(occlusione)9.

ElettrocateteriIn fase acuta, le complicanze correlate agli elettrocateterisono generalmente conseguenti, dopo adeguato accessovenoso, alla loro manipolazione al fine del loro adeguatoposizionamento in atrio o ventricolo, oppure alla loro pre-coce dislocazione.

Aritmie. Bradi- e tachiaritmie sono in genere osservate du-rante la manipolazione ed il posizionamento dei cateteriall’interno delle camere cardiache. Cause potenziali di bra-diaritmie sono le reazioni vagali, l’eccessivo uso di aneste-tico, oppure il trauma diretto del sistema di conduzioneatrioventricolare durante manipolazione del catetere (ades. trauma della branca destra in pazienti con blocco dibranca sinistra), l’inibizione della stimolazione da interfe-renze elettriche (ad es. tra la stimolazione temporanea eun pacemaker preesistente). La stimolazione transcutanea,l’atropina o l’isoproterenolo sono spesso sufficienti a risol-vere la complicanza. Le tachiaritmie sopraventricolari eventricolari sono invece di solito la conseguenza di una sti-molazione meccanica del miocardio con guide o cateteri,raramente sono sostenute e molto spesso si risolvono conlo spostamento dello stesso. Fattori predisponenti sono la

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Chiave di Lettura

Ragionevoli certezze. I pacemaker ed i defibrillatori impian-tabili si sono dimostrati dei preziosi strumenti terapeutici peril miglioramento della qualità e della durata della vita di al-cuni sottogruppi di pazienti affetti da disturbi del ritmo car-diaco.

Questioni aperte. Per quanto l’impianto di tali dispositivi ven-ga oggi realizzato per via transvenosa, su vasta scala ed inmaniera sostanzialmente sicura ed efficace, il rischio iatroge-no correlato a potenziali complicanze non è del tutto trascu-rabile.

Le ipotesi. Un’adeguata conoscenza di tali complicanze daparte del cardiologo clinico ed interventista consentirebbe diottimizzare la stratificazione del rapporto rischio beneficiopre-impianto, a minimizzare l’incidenza di complicanze intra-e postprocedurali, a garantirne un pronto riconoscimento etrattamento nel follow-up.

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presenza di cardiopatia sottostante, la dilatazione dellecamere cardiache, l’uso contemporaneo di farmaci simpa-tomimetici, la stimolazione cardiaca asincrona. Per talemotivo è consigliabile il monitoraggio continuo dell’ECGmentre l’operatore è impegnato nel controllo della fluoro-scopia. Talvolta, nel post-impianto, l’insorgenza di tachi-aritmie può conseguire alla dislocazione precoce dell’elet-trocatetere, che deve sempre essere indagata in tali casi.

Perforazione. L’avanzamento ed il posizionamento deglielettrocateteri può in ogni sede ed in ogni momento in-durre una lesione traumatica alle strutture vascolari o car-diache, evento che rappresenta una delle complicanze piùtemibili della procedura di impianto. Per quanto la perfo-razione si verifichi e si manifesti normalmente in acuto, du-rante la manipolazione, può anche occorrere a distanza diore o giorni dall’impianto, sia per il trauma indotto dall’e-stremità dell’elettrocatetere che in seguito alla sua disloca-zione. Può essere intracardiaca (da una camera all’altra) oextracardiaca (da una camera al pericardio). La perforazio-ne della parete libera del ventricolo destro si verifica in cir-ca lo 0.2-1% dei casi. Il catetere può dislocarsi in pericardiocon conseguente reazione irritativa, versamento, emoperi-cardio e, nei casi più gravi, tamponamento cardiaco. Etàavanzata, recente infarto inferiore con interessamento delventricolo destro, cardiomiopatie con ridotti spessori pa-rietali, broncopneumopatia con dilatazione del ventricolodestro sono fattori predisponenti10,11, come pure l’uso dicateteri a fissazione attiva o rigidi (tripolari, tetrapolari,cateteri da defibrillazione). Il dolore toracico improvviso,l’avanzamento del catetere oltre l’ombra cardiaca in fluo-roscopia, l’improvviso peggioramento dei parametri disensing e pacing, un elettrogramma unipolare francamen-te positivo, il riscontro ecocardiografico di versamento pe-ricardico, rappresentano tutti preziosi elementi diagnosti-ci. In acuto si raccomanda il riposizionamento dell’elettro-catetere sotto monitoraggio emodinamico ed il controlloseriato ecocardiografico (il versamento si realizza in gene-re durante le ore successive); solitamente la lesione è auto-limitantesi ma talora può essere richiesta l’evacuazionecon pericardiocentesi.

La perforazione intracardiaca si verifica come conse-guenza del trauma a carico del setto interatriale o inter-ventricolare, o in presenza di una comunicazione preesi-

stente (difetto interatriale, forame ovale pervio, difetto in-terventricolare) e determina il passaggio del catetere nellesezioni sinistre, con conseguente posizionamento inappro-priato. Il controllo fluoroscopico in proiezioni multiple (so-prattutto in proiezione obliqua anteriore sinistra o latero-laterale), la morfologia del battito indotto all’ECG (morfo-logia tipo blocco di branca destra del complesso QRS) e l’e-cocardiogramma possono essere diagnostici. In considera-zione del rischio tromboembolico associato alla presenza diun catetere nelle sezioni sinistre12, in acuto si raccomandala sua rimozione immediata con corretto riposizionamen-to; in cronico, può essere considerata una strategia conser-vativa con anticoagulanti orali o, in caso di tromboemboliericorrenti, la rimozione percutanea o chirurgica13.

Danno valvolare. Durante posizionamento dell’elettroca-tetere si può osservare intrappolamento a livello dell’ap-parato valvolare o sottovalvolare. La trazione manuale,meglio se con stiletto, è in genere efficace nel disimpegno,in caso contrario se nella posizione di entrapment non siregistrano idonee misure elettriche di pacing e sensing vie-ne abbandonato. In centri dotati di sistemi per la rimozio-ne transvenosa può essere necessario l’uso di dilatatori de-dicati impiegati per la rimozione transvenosa degli elettro-cateteri cronici. Danni acuti alla tricuspide (perforazione,avulsione di lembi) sono riportati come casi aneddotici.

Tasca di alloggiamento e generatoreEmatoma. Complicanza comune dopo impianto di un di-spositivo, si verifica in circa il 4-5% dei casi ed è in generela conseguenza di un’emostasi inadeguata o di un sangui-namento a livello del sito di ingresso venoso. L’inesperien-za dell’operatore, la presenza di coagulopatia, l’uso di far-maci antiaggreganti combinati (ad es. doppia antiaggre-gazione in portatori di stent), l’eparinizzazione o la tera-pia anticoagulante orale con scarso controllo del tempo ditromboplastina parziale attivato/international normalizedratio, sono tutti fattori predisponenti. L’ematoma limitato,stabile, non dolente, anche se molto vistoso può essere ge-stito conservativamente con compressione locale e profi-lassi antibiotica, in quanto fattore predisponente per suc-cessive infezioni (Figura 1). Nell’1% dei casi, invece, la pre-senza di una raccolta importante, in progressione, dolen-te, richiede la revisione dell’impianto con evacuazione chi-

MG Bongiorni et al - Rischio iatrogeno e dispositivi impiantabili

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Figura 1. a: vistoso ematoma non dolente successivo alla sostituzione di defibrillatore impiantabile in portatore di protesi valvolare aortica meccani-ca; b: lo stesso paziente senza alcun intervento a distanza di 1 mese.

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rurgica14. È importante sottolineare che tale intervento,per il potenziale rischio di complicanze infettive, deve es-sere eseguito con le stesse precauzioni di controllo edasepsi usate per gli impianti.

Connessioni. Il corretto funzionamento del dispositivo sibasa ovviamente sull’adeguata realizzazione delle connes-sioni. I cateteri atriali e ventricolari devono essere corretta-mente collocati nei rispettivi alloggiamenti, e la connessio-ne garantita mediante accurato serraggio delle viti dedica-te. La presenza nell’immediato post-impianto di alterateimpedenze sugli elettrocateteri, difetti di sensing o di pa-cing intermittenti, inducono in genere il sospetto dell’ina-deguata connessione; la conferma diagnostica richiede larevisione chirurgica.

Complicanze tardiveSistema venosoTrombosi. La trombosi occlusiva o subocclusiva del sistemavenoso, ampiamente documentata mediante eco-colorDoppler ed angiografie selettive, rappresenta una compli-canza piuttosto frequente, riscontrata in circa il 10-30%degli impianti15,16. La trombosi si sviluppa in genere croni-camente, come conseguenza del trauma meccanico, indi-pendentemente dal numero di cateteri, ma con frequenzarelativamente più alta nei pazienti con infezione del siste-ma di stimolazione17; un fattore predisponente è rappre-sentato dalla perturbazione del flusso dovuta ad elettroca-teteri impiantati da entrambi i lati, con il conseguente in-crocio all’ingresso nella vena cava superiore. Pur potendointeressare qualsiasi porzione del sistema venoso superio-re, è più spesso osservata a carico della porzione succlavio-anonima, ma può interessare tutti i distretti ed evolvere fi-no allo sviluppo di una sindrome della cava superiore. Leforme acute sono piuttosto rare e necessitano di terapiaanticoagulante. Le forme croniche, accompagnandosi ingenere ad ampia collateralizzazione, sono di solito del tut-to asintomatiche e non necessitano di trattamento; posso-no tuttavia rendere problematiche le procedure di upgra-ding (aggiunta di catetere), soprattutto quando l’occlusio-ne interessa la vena cava superiore. In questi casi può esse-re utile considerare la rimozione del catetere preesistentein maniera tale da consentire il passaggio di una guida ol-tre l’occlusione, l’aggiunta di un nuovo elettrocatetere o,se necessaria, una venoplastica percutanea con o senzastent.

ElettrocatetereDislocazione. La complicanza più frequente è sicuramenterappresentata dalla dislocazione post-dimissione, riscon-trata nel 2-3% dei casi. I primi mesi dopo l’impianto rap-presentano una fase di consolidamento della reazione fi-brotica lungo il decorso del catetere all’interno del sistemavenoso fino alla punta posizionata all’interno del cuore. Ilfenomeno si manifesta in genere con deterioramento deiparametri di sensing, variazione della soglia fino alla per-dita della stimolazione (con possibile asistolia), variazionedell’impedenza di stimolazione o con l’insorgenza di ecto-pie. Può presentarsi in forma macroscopica, ed essere per-tanto visibile alla radiografia del torace, o essere la conse-guenza di uno spostamento impercettibile (microdisloca-zione). Fattori predisponenti sono rappresentati dalla po-

sizione instabile dell’elettrocatetere con inadeguata fissa-zione della punta (sia delle alette che della vite), dalla le-gatura non adeguata dei cateteri o mancata fissazione al-la fascia deltoideo-pettorale, dalla mobilizzazione precocedel paziente. Situazione del tutto particolare è la cosiddet-ta sindrome di Twiddler, in cui il pacemaker ruotando nu-merose volte (per un’eccessiva dimensione della tasca, perl’estrema lassità dei tessuti, o per manipolazione ad operadel paziente stesso, determina la retrazione del catete-re)18. In genere la si osserva in pazienti obesi o psichiatricied un esempio della situazione degli elettrocateteri alla re-visione chirurgica è rappresentato dalla Figura 2.

Alterazione della soglia di stimolazione/sensing. Nel perio-do post-impianto, la presenza di un corpo estraneo all’in-terno del sistema venoso e nella parete miocardica deter-mina lo sviluppo di una risposta infiammatoria, come rea-zione verso il corpo estraneo, e successivamente di fibrosireattiva all’interfaccia punta-endocardio e lungo il decor-so dell’elettrocatetere. La reazione infiammatoria in corri-spondenza dell’elettrodo distale può determinare incre-mento della soglia di stimolazione fino al blocco completoin uscita e conseguente perdita della stimolazione. Tale fe-nomeno occorre usualmente nei primi mesi dopo l’impian-to, con variazioni limitate dei parametri e decorso quindiasintomatico, ed usualmente regressione totale al terzomese post-impianto. È pertanto opportuno programmarealla dimissione una energia di stimolazione con un elevatofattore di sicurezza rispetto alla soglia di stimolazione rile-vata, riservando la stimolazione a bassa energia ad una fa-se successiva; l’uso di cateteri a rilascio di cortisone o l’usodi cortisone per os può talvolta, nelle prime settimane, ga-rantire un miglioramento dei parametri. La modificazionedelle soglie può ovviamente interessare non solo le funzio-ni di pacing, ma anche quelle di sensing. In particolare èopportuno sottolineare che i difetti di sensing continuanoad essere ancora oggi osservati con relativa frequenza neipazienti portatori di sistemi bicamerali. Nel caso di sistemimonocatetere VDD, nei pazienti affetti da blocchi atrio-ventricolari ma con funzione sinusale conservata, i vantag-

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Figura 2. Sindrome di Twiddler: alla revisione chirurgica gli elettrocate-teri atriale e ventricolare risultano retratti e attorcigliati all’interno del-la tasca.

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gi correlati all’impianto di tali dispositivi rispetto ad un si-stema bicamerale standard DDD (cioè impianto di singolocatetere, ridotti tempi di impianto, ecc.) possono essere ta-lora controbilanciati dalla presenza di un “sensing atriale”imperfetto legato alla presenza del dipolo prossimale flot-tante in atrio destro.

Frattura e/o perdita di isolamento. Questo evento è gene-ralmente conseguente al danneggiamento dell’elettroca-tetere che può essere dovuto sia ad un evento traumaticoche al deterioramento del materiale. Il danneggiamentodell’elettrocatetere post-traumatico può presentarsi sia neldecorso extravascolare che intravascolare e può essere cau-sato sia da agenti esterni che da traumi subiti nella manipo-lazione all’impianto. Può inoltre verificarsi per stress mec-canico o compressione nello spazio compreso tra clavicola eprima costa, come nel caso del crush succlavio, a causa delristretto spazio tra clavicola e prima costa ed un approcciointratoracico alla succlavia con puntura troppo mediale (Fi-gura 3). Il malfunzionamento da deterioramento deriva in-vece dalle caratteristiche costruttive e dal materiale utiliz-zato in alcuni cateteri (ad es. particolari tipi di isolante inpoliuretano, o il J retention wire nei cateteri Accufix ed En-cor) ed in genere si verifica con il passare del tempo.

Il danno può interessare l’isolante interno o esterno, edin genere è responsabile della riduzione dell’impedenzadovuta all’elevata dispersione di corrente; se la perdita ri-guarda l’isolante esterno può associarsi a mancata catturao stimolazione muscolare pettorale, se viene perduto l’iso-lamento interno il cortocircuito tra i due conduttori puòimpedire la stimolazione. La frattura del conduttore si ma-nifesta invece con massivo e brusco incremento dell’impe-denza di stimolazione e l’assenza di stimoli all’ECG, e puòessere diagnosticato talvolta alla radiografia del torace. Idifetti di sensing e pacing possono spesso presentarsi inmaniera intermittente e richiedere, in corso di controllo,manovre provocative (cioè adduzione, abduzione) per es-sere adeguatamente diagnosticati. Raramente il dannopuò essere risolto con la programmazione del dispositivo,normalmente l’elettrodo deve essere abbandonato o sosti-tuito.

GeneratoreMalfunzionamento. Sin dalla loro introduzione, gli appa-recchi elettromedicali impiantabili sono andati incontro apotenziali fenomeni di malfunzionamento, sia a caricodelle componenti hardware sia a carico di quelle software.Parallelamente al progressivo sviluppo tecnologico, com-plicanze quali il run away (accelerazione incontrollata), loshut down (completo spegnimento) o la riprogrammazio-ne di sicurezza in modalità fall back (per interferenze elet-tromagnetiche esterne) mantengono un valore per lo piùstorico, benché occasionalmente riscontrate. Un eventoche tuttavia è ancora possibile osservare con una certa fre-quenza è rappresentato dalle cosiddette tachicardie me-diate da pacemaker, cioè eventi aritmici che vengono ge-nerati o accentuati dalla programmazione non adeguatadei dispositivi bicamerali. Rientrano in tale gruppo tuttequelle tachiaritmie dovute ad un’accelerazione della fre-quenza di stimolazione ventricolare in seguito al riconosci-mento di aritmie sopraventricolari (trascinamento ventri-colare di attività atriale ad alta frequenza), nonché le ta-chicardie ELT (endless loop tachycardia), cioè le tachicardieinnescate e sostenute dalla presenza di retroconduzioneatriale post-stimolazione ventricolare. L’adeguata ripro-grammazione dei dispositivi (accorciamento dell’intervalloatrioventricolare, allungamento del periodo refrattarioatriale post-ventricolare, modificazione del sensing atrialeprogrammato, ecc.) e l’attivazione di algoritmi dedicati(ad es. auto mode switching), garantiscono generalmenteun adeguato controllo di tali eventi.

Interferenze. Per interferenze si indicano tutti quei segnaliendogeni, cioè provenienti dal paziente, o esogeni, prove-nienti dall’ambiente, in grado di interferire con il correttofunzionamento del dispositivo. Le interferenze esogenepossono essere fondamentalmente di due tipi (trasmessecon contatto diretto o trasmesse senza contatto) e possonoriconoscere sorgenti diverse quali le correnti galvaniche (ades. elettrobisturi), magnetiche (ad es. antifurti, litotripsia),elettromagnetiche (ad es. diatermia, radar, forni a microon-de), magnetostatiche [ad es. risonanza magnetica nucleare(RMN)]. Le risposte dei dispositivi sono estremamente varia-bili ed imprevedibili, potendo includere il resetting (cioè ri-programmazione su parametri nominali), la scarica preco-ce, inibizione della stimolazione, danno permanente dellefunzioni di pacing/sensing, ecc. Non a caso, ad oggi esisto-no modalità di imaging controindicate (ad es. RMN) e inter-venti terapeutici non raccomandati (ad es. stimolazioneelettrica transcutanea) in pazienti portatori di dispositivi,proprio in considerazione della potenziale esposizione afonti energetiche esterne. Inoltre, è opportuno rammenta-re i rischi connessi con l’esposizione radioterapica e all’uti-lizzo di radiazioni ionizzanti (potenziale danno diretto e in-diretto da scattering, interferenze elettromagnetiche): siraccomanda in questi casi l’utilizzo di raggi collimati a di-stanze >3 cm dal sistema generatore-elettrocatetere, l’usodi dosi controllate (dose frazionata <2 Gy per seduta e do-se assorbita totale <60 Gy), nonché il controllo sistematicodel dispositivo19,20. Recentemente sono disponibili per l’im-pianto pacemaker ed elettrocateteri RMN-compatibili.

Advisory e recalls. Con il termine advisory si indica in generela segnalazione da parte della ditta produttrice di un mal-

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Figura 3. Crush succlavio: alla radiografia del torace l’elettrocatetereappare deteriorato a livello del passaggio tra la clavicola e la primacosta.

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funzionamento non previsto del dispositivo, evidenziata do-po il rilascio del prodotto e durante l’uso clinico sistematico;con il termine recall si indica invece la convocazione del pa-ziente con l’intento di sottoporlo ad un trattamento corret-tivo volto a prevenire o correggere l’eventuale malfunzio-namento. In una recente analisi, Maisel et al.21 avrebberostimato un’incidenza di richiami di circa 35 dispositivi su1000 impianti; nel 2005 la Food and Drug Administration hastimato che gli advisories avrebbero interessato circa 200 000dispositivi negli Stati Uniti, con circa il 5% di complicanzeconseguente alle procedure chirurgiche di sostituzione elet-tiva del dispositivo22. La gestione corretta di un advisory/recall presuppone un’adeguata valutazione del rapporto ri-schio-beneficio relativo alla stima dell’incidenza del presun-to malfunzionamento e alla stima dell’incidenza di compli-canze legata alla sostituzione del dispositivo, il tutto in ac-cordo al profilo di rischio clinico del paziente23.

Effetto del pacing ventricolare destro. L’impiego su vastascala di dispositivi per stimolazione cardiaca deve far riflet-tere sull’appropriatezza di una stimolazione ventricolarein pazienti senza indicazione al pacing convenzionale. Inuna percentuale di pazienti intorno al 20% la stimolazio-ne apicale del ventricolo destro sembra responsabile dellosviluppo di una compromissione della funzione di pompacon decorso ingravescente ed esito in scompenso cardiacoconclamato. L’evidenza fornita da alcuni studi relativa-mente al maggior numero di ospedalizzazioni, al deterio-ramento della funzione ventricolare sinistra e all’incre-mento di incidenza di episodi aritmici ventricolari24,25, sug-gerisce di optare per una stimolazione ventricolare “senti-nella” in quei pazienti che: 1) richiedono una stimolazioneatriale ed hanno una conduzione atrioventricolare conser-vata, 2) hanno bradiaritmie rare ed intermittenti, 3)richiedono un ICD ma senza indicazione al pacing antibra-dicardico, soprattutto se già portatori di compromissionedella funzione ventricolare sinistra.

Migrazione. Per migrazione si intende il movimento del di-spositivo attraverso i tessuti circostanti. Generalmente lamigrazione avviene in direzione infero-laterale per le ta-sche prepettorali e lateralmente verso il cavo ascellare perle tasche subpettorali, e si osserva più frequentemente neisoggetti con esuberante tessuto adiposo sottocutaneo, co-me le donne e gli obesi, e con dispositivi di notevoli dimen-sioni (ad es. defibrillatori). Il meccanismo fisiopatologiconon è ben noto; è possibile che il peso del dispositivo de-termini delle forze stressanti a carico della capsula e deitessuti circostanti, tali da instaurare una condizione di in-fiammazione di basso grado, con cicli di lisi e neoformazio-ne di tessuto fibrotico e conseguente migrazione dell’ap-parecchio. Per gli impianti subpettorali (soprattutto conapproccio ascellare), è possibile osservare una migrazionelaterale del dispositivo come conseguenza dello scivola-mento tra il muscolo grande e piccolo pettorale; può esse-re utile il fissaggio dell’apparecchio allo strato muscolaresovrastante ed il rinforzo del margine laterale dei due mu-scoli con punti di sutura. In generale, la migrazione del di-spositivo non richiede interventi, a meno che non si accom-pagni ad ulteriori complicanze quali il dolore loco-regiona-le (migrazione in cavo ascellare o in sede deltoideo-petto-rale) o erosione cutanea26.

Dolore. Generalmente, il normale decorso postoperatoriosi caratterizza per la persistenza di una leggera dolentia edolorabilità a livello della ferita chirurgica, che si risolvenel giro di pochi giorni o, negli individui che richiedonopiù tempo per un’adeguata stabilizzazione del dispositivoda parte dei tessuti circostanti, ad esempio soggetti conun’attività fisica intensa, nel giro di alcune settimane. Unavolta risolta la fase acuta, con il processo di guarigione incorso, il paziente dovrebbe “vivere” la propria protesi co-me un ”orologio”, avvertendone cioè la presenza soltantoquando concentrato su di esso. Il dolore “cronico” non è fi-siologico e dovrebbe sempre essere considerato e valutatocon attenzione. Le cause possono essere molteplici: intrap-polamento di un nervo periferico, danno muscolo-schele-trico (durante l’impianto o per migrazione del dispositivo),infiammazione locale. La diagnosi viene effettuata su baseclinica, attraverso l’interrogazione del paziente e l’esameobiettivo. Se il dolore persiste cronicamente oltre la fase diguarigione ed è refrattario alla terapia antinfiammatoriaed analgesica, deve essere preso in considerazione il con-fezionamento di una nuova tasca di alloggiamento26.

Erosione. È definita come esteriorizzazione del dispositivoin conseguenza della progressiva perdita dell’integrità cu-tanea. Tale processo, più frequente in passato con l’utiliz-zo di voluminosi apparecchi, si caratterizza per un progres-sivo assottigliamento della cute sovrastante (pre-erosio-ne), con arrossamento, infiammazione, adesione della cap-sula e successiva contaminazione batterica ed esteriorizza-zione (Figura 4). Diversi fattori possono essere implicati:traumi, sfregamenti locali continuativi o un dimagrimentoimportante possono essere fattori concorrenti; il parzialeriassorbimento di un’effusione della tasca o di un emato-ma al momento dell’impianto, un’esuberante reazione fi-brosa loco-regionale, possono determinare un’ipoperfu-sione loco-regionale dei tessuti da compressione dei vasisottocutanei con infiammazione associata. Un’altra causafrequente è rappresentata dall’erronea tecnica chirurgicadi confezionamento della tasca di alloggiamento dei di-spositivi. La posizione ideale per il confezionamento dellatasca è in sede intrafasciale (cioè al di sotto del tessuto adi-poso sottocutaneo e al di sopra del muscolo grande petto-

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Figura 4. Erosione cutanea con fistolizzazione del generatore.

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rale) per gli impianti prepettorali, e medialmente tra il mu-scolo grande e piccolo pettorale per gli impianti subpetto-rali: in questo modo, l’apparecchio può talvolta migrare al-l’interno dello strato fasciale di pertinenza, ma non fuoriu-scirne. Quando invece la tasca viene realizzata erronea-mente all’interno del tessuto adiposo sottocutaneo o al disotto del muscolo piccolo pettorale, la migrazione può de-terminare assottigliamento cutaneo, dolore e arrossamen-to, fino all’erosione. È necessaria una diagnosi pronta etempestiva: se infatti si interviene precocemente, cioè pri-ma di una franca esteriorizzazione con contaminazione, èpossibile conservare l’asetticità e confezionare una nuovatasca ipsilateralmente; in caso contrario, ad erosione avve-nuta, la tasca deve essere trattata al pari di un’infezionelocale27.

Infezione. Come tutte le protesi, anche i dispositivi impian-tabili per il controllo delle bradi- e tachiaritmie sono sog-getti a tale complicanza. L’incidenza varia notevolmentetra le varie casistiche, oscillando tra lo 0% ed il 19%; stimeattendibili sembrano indicare una incidenza reale tra l’1%ed il 2%. Dal punto di vista etiologico gli agenti patogeninormalmente coninvolti sono rappresentati da Gram posi-tivi (Staphylococcus epidermidis più spesso, Staphylococcusaureus più di rado), più raramente da Gram negativi, tal-volta da miceti. Il meccanismo fisiopatologico della conta-minazione può essere di due tipi. Nella stragrande mag-gioranza dei casi è di tipo contaminativo, al momento del-l’intervento, probabilmente in associazione con altri fatto-ri predisponenti. Infatti, sebbene l’assoluta sterilità debbaessere una prerogativa di ogni procedura chirurgica, tantopiù se in presenza di impianto di protesi, è ragionevolepensare che un minimo livello di contaminazione possapresentarsi durante ogni procedura. Se l’organismo pato-geno non è molto virulento (ad es. S. epidermidis) e se i tes-suti loco-regionali sono integri (ad es. primo impianto), èprobabile che l’organismo (in aggiunta a terapia di anti-biotico-profilassi) sia in grado di controllare ed eradicare ilpatogeno; in presenza invece di una forte carica batterica,di agenti virulenti (ad es. S. aureus, Gram negativi) o di unascarsa vascolarizzazione locale (ad es. sostituzioni di gene-ratori, reinterventi), è possibile che il sistema immunitarionon riesca a controllare il processo infettivo, con successi-vo sviluppo di infezione. Più raramente, l’infezione può av-venire per via metastatica, come conseguenza di patologieo interventi in grado di provocare una forte carica batte-riemica con infezione secondaria della protesi.

L’infezione può localizzarsi in sede extravascolare, in-travascolare o ad entrambi i livelli e presentare un vastissi-mo spettro di manifestazioni cliniche che vanno dall’infe-zione occulta totalmente asintomatica fino alla sepsi. In se-de extravascolare, l’infezione della tasca può presentarsicome un’erosione secca (cioè in assenza di segni di celluli-te) da contaminazione secondaria (cioè post-erosione), co-me un’infezione cronica occulta (minima raccolta essudati-va), come un’infezione acuta essudativa (con segni di flo-gosi attiva e cellulite), come un ascesso fistolizzato e non.Dal punto di vista clinico-evolutivo, l’andamento è in gene-re cronico e la prognosi quoad vitam non risulta significa-tivamente modificata; la necessità di trattamento quindiriguarda soprattutto la scarsa qualità di vita. In presenzainvece di segni di sepsi da estensione del processo in sede

intravascolare, si caratterizza il quadro di una vera e pro-pria endocardite su protesi, con una mortalità che può rag-giungere il 60% dei casi. In tal caso il trattamento deve es-sere radicale e quanto mai tempestivo23,28-30.

In ogni caso il problema cruciale riguarda la possibilecontaminazione degli elettrocateteri, sia per le loro carat-teristiche sia perché, mentre il generatore è facilmente so-stituibile, essi rappresentano la parte fissa del sistema. Lapresenza di un lume cavo e la porosità dell’isolante si pre-stano alla colonizzazione batterica e sono al tempo stessouna concausa dell’inefficacia della terapia antibiotica e/oconservativa; gli elettrocateteri possono inoltre veicolarel’infezione dalla tasca sottocutanea al torrente ematico edal cuore, favorendo lo sviluppo di endocardite, endoplasti-te e sepsi. Non essendo possibile la sterilizzazione deglielettrocateteri contaminati, l’infezione è recidivante nelbreve o medio termine.

L’infezione degli elettrocateteri rappresenta una con-dizione differente dall’infezione locale in sede di tasca, perquanto riguarda il quadro clinico e le implicazioni progno-stiche. Il processo infettivo infatti, interessando il sistemaintravascolare, determina generalmente uno stato di sep-si. L’infezione in genere avviene per via metastatica, a par-tenza da un focolaio infettivo primario (tasca infetta, infe-zioni genito-urinarie ricorrenti, patologie gastrointestinaliricorrenti, procedure diagnostico-terapeutiche ad elevatacarica batteriemica). Non è infrequente che la formazionedi vegetazioni possa presentarsi come una complicanza diun’infezione locale di tasca trascurata o in cui è stata pro-tratta la terapia antibiotica con sviluppo di specie resisten-ti. La contaminazione per contiguità permette la forma-zione di vegetazioni di dimensioni variabili lungo tutto ildecorso dell’elettrocatetere, dal sito di ingresso (vena suc-clavia, anonima, cava superiore) fino in ventricolo destro,con frequenti aderenze intracardiache (parete atriale, se-no coronarico, valvola tricuspide). Il quadro clinico si carat-terizza spesso per i segni ed i sintomi tipici dell’infezionesistemica, con accessi ricorrenti di febbre (>39°C), brividiscuotenti, sudorazione e fasi di defervescenza28. Gli esamiematochimici dimostrano in genere anemia ipocromica-microcitica, leucocitosi, incremento degli indici di flogosi edelle proteine di fase acuta. Multiple emocolture dovreb-bero essere inviate durante gli accessi febbrili per l’identi-ficazione dell’agente patogeno. È raccomandata inoltrel’esecuzione di un esame ecocardiografico (transtoracico,transesofageo o intravascolare) per l’identificazione e lacaratterizzazione dimensionale delle vegetazioni. La dia-gnosi di endocardite viene posta mediante l’applicazionedei criteri di Duke modificati. La diagnosi differenziale in-clude tutte le condizioni patologiche caratterizzate da fo-colai settici in grado di determinare batteriemie, inclusi gliascessi in sede di tasca fistolizzati con il compartimento in-travascolare. L’identificazione del focolaio settico è di fon-damentale importanza per ottenere la rimozione dellacausa e la guarigione: nei casi più complessi, in presenza diun quadro clinico-sintomatologico sospetto ma in assenzadi riscontro ecografico di vegetazioni (infezione sistemicaocculta) la scintigrafia con leucociti radiomarcati e l’eco-grafia cardiaca intravascolare (dotata della migliore sensi-bilità allo scopo) possono rivelarsi strumenti preziosi29,31

(Figura 5). L’andamento evolutivo è variabile, con progno-si infausta nella stragrande maggioranza dei casi (fino al

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66%) con e senza terapia antibiotica. Pertanto, in accordocon le attuali linee guida, in caso di sepsi la rimozione de-gli elettrocateteri è obbligatoria in tutti i pazienti, anchein quelli anziani o comunque ad alto rischio procedurale(classe Ia)27. La terapia antibiotica sistemica è indispensabi-le in tutti i pazienti, possibilmente mirata sulla base dell’e-same emocolturale, prima, durante e dopo la procedura.Nella nostra esperienza l’associazione di terapia antibioti-ca ed anticoagulante per os per almeno 6-8 settimane pri-ma della procedura si è rivelata efficace nell’ottenere lastabilizzazione clinica ed emodinamica e nel ridurre signi-ficativamente le dimensioni delle vegetazioni. La procedu-ra di rimozione dovrebbe essere eseguita con tecnica per-cutanea (alta percentuale di successo, bassa percentuale dicomplicanze)32,33 come primo approccio in presenza di ve-getazioni di dimensioni contenute (<2 cm), o, in caso di ve-getazioni di grandi dimensioni o di inefficacia della tecni-ca percutanea, chirurgicamente. Nella Figura 6 vengonomostrate voluminose vegetazioni sui cateteri rimossi chi-

rurgicamente. Per quanto riguarda il timing per il reim-pianto, ad oggi non esistono chiare linee guida in proposi-to. Dati recentemente pubblicati suggerirebbero un ap-proccio basato sulla valutazione post-espianto delle emo-colture e dell’eventuale presenza di vegetazioni residue,con tempi di reimpianto che vanno da pochi giorni fino al-le 2 settimane successive34. Nella nostra esperienza, il reim-pianto di un nuovo dispositivo viene routinariamente ese-guito in sede controlaterale dopo almeno 48h di completaapiressia. La coltura del materiale espiantato può permet-tere una corretta diagnosi eziologica e consentire una te-rapia mirata.

Come per le altre complicanze chirurgiche tardive, an-che in questo caso la prevenzione rappresenta un momen-to clinico fondamentale. Le condizioni di impianto dovreb-bero richiedere l’uso della massima sterilità, non inferiorea quella di un intervento cardiochirugico. Inoltre la profi-lassi antibiotica, sebbene l’utilità non sia chiaramente di-mostrata in letteratura, dovrebbe essere seriamente consi-derata al momento del primo impianto, reintervento e du-rante procedure diagnostico-interventistiche ad elevatopotenziale batteriemico, non diversamente da quanto pre-visto per i portatori di protesi valvolari23. In aggiunta unapolitica di riduzione del tempo chirurgico, delle dimensio-ni dell’hardware impiantato (che a questo contribuisce) ela procrastinazione di eventuali interventi di revisione so-no fondamentali nel ridurre l’incidenza di complicanze in-fettive35.

Defibrillatori impiantabili

Negli ultimi 15 anni il miglioramento tecnologico ha per-messo di ottenere una crescente sofisticazione degli ICD,parallelamente ad una progressiva riduzione delle dimen-sioni. La possibilità di impiantare dispositivi in sede prepet-torale ha consentito quindi di osservare tipo e frequenzadi complicanze simili a quelle osservate per i pacemaker25.Nello studio SCD-HeFT l’incidenza di eventi avversi correla-ti all’impianto di ICD monocamerali è stata del 5%36; dopol’impianto, il rischio annuale di ospedalizzazione per pro-blemi correlati al dispositivo è stato dello 0.5% per infezio-ni, dell’8% per problemi legati al catetere (dislocazioni,fratture, migrazioni), dell’1.9% per malfunzionamento delgeneratore37.

Le considerazioni speciali riguardo alle potenziali com-plicanze correlate con l’uso degli ICD, in confronto con ipacemaker già trattati, riguardano le particolari caratteri-stiche degli elettrocateteri per defibrillazione, che, essen-do meno manovrabili e più rigidi, possono determinare untempo di impianto maggiore e sono più frequentementecoinvolti in complicanze come la perforazione; la loro affi-dabilità sembra essere inferiore a quella degli elettrocate-teri per stimolazione, con un tasso di failure nel follow-upsuperiore.

Verifica del funzionamentoPer 25 anni il metodo universalmente accettato per valuta-re le corrette funzioni del dispositivo in termini di sensing,detezione e trattamento dell’aritmia, è stato rappresenta-to dall’induzione della fibrillazione ventricolare post-im-pianto. Il razionale era rappresentato dal fatto che i dispo-

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Figura 5. Ecocardiogramma intracardiaco: vegetazione adesa all’elettro-catetere da defibrillazione ventricolare, aggettante in ventricolo destro.

Figura 6. Si osservano grossolane vegetazioni su cateteri rimossi chirur-gicamente.

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sitivi disponibili erano meno affidabili, le massime energieerogabili inferiori a quelle attuali e gli shock meno effica-ci. L’esecuzione di un test di induzione post-impianto nonè tuttavia scevro da rischi, essendo questi legati all’arrestodi circolo da fibrillazione ventricolare indotto e a quello le-gato al successivo shock, con una mortalità stimata dello0.1-0.2%. Dati più recenti hanno invece sottolineato lagrande affidabilità dei dispositivi di ultima generazione,con una probabilità che il paziente superi il test con mar-gine >10 J sulla soglia di defibrillazione superiore al 95%,con una probabilità superiore al 99% che superi il test conla massima energia erogabile e con un bassa incidenza direvisioni (<5%). Attualmente, in considerazione del profi-lo di rischio, il test sembrerebbe appropriato in circa il 20-40% dei pazienti impiantati (considerati ad alto rischio didefibrillazione inefficace), non adeguatamente stratifica-bile in circa il 50% e inappropriato in circa il 5% dei pa-zienti, considerati ad altissimo rischio di dissociazione elet-tromeccanica post-shock38. Recentemente, l’estensionedell’indicazione all’impianto in prevenzione primaria, lamaggiore affidabilità tecnologica dei dispositivi e le com-plicanze fatali talvolta osservate (morte, dissociazioneelettromeccanica), lasciano aperto il problema dell’appro-priatezza di una induzione sistematica post-impianto intutti i pazienti. Rimaniamo quindi in attesa di adeguati “si-stemi di score” per la stratificazione del rischio ICD testingpost-impianto e di adeguate raccomandazioni basate sul-l’evidenza.

Erogazione degli shockLe principali funzioni di un defibrillatore sono quattro:sensing adeguato, capacità di detezione di un’aritmia (al-l’interno delle zone programmate), erogazione di terapia,pacing antibradicardico. Quando i criteri di detezione diun’aritmia sono soddisfatti, due tipi di terapie possono es-sere erogate dal dispositivo: il pacing antitachicardico (cioèbursts di stimoli ventricolari ad una frequenza maggiore diquella dell’aritmia) e lo shock. Se la prima rappresenta unaterapia painless potenzialmente utile in alcune forme diaritmie ben tollerate emodinamicamente, lo shock rappre-senta un evento doloroso soprattutto nei casi in cui l’arit-mia non si accompagna a perdita di coscienza. Sempre piùspesso ormai, il cardiologo si trova di fronte a pazienti por-tatori di ICD, i quali riferiscono di aver avvertito un inter-vento del dispositivo. L’interrogazione del device può rive-lare la natura di tali interventi: appropriati (interventi suaritmie ventricolari correttamente riconosciute in zona ditachicardia/fibrillazione ventricolare), inappropriati (shocknon corretti su aritmie sopraventricolari o su interferenza

esterne) (Figura 7) o phantom shock (shock riferito dal pa-ziente ma non documentabile all’interrogazione del di-spositivo, evento non infrequente in pazienti con prece-denti shock documentati). Gli interventi inappropriati deldispositivo hanno generalmente un basso livello di perico-losità, anche se alcuni casi fatali sono stati descritti in let-teratura39; d’altro canto però, essendo erogati spesso inpieno benessere, hanno un pesante impatto sulla qualitàdella vita, in particolare se ripetuti. Nello studio AVID40, cir-ca il 20% dei pazienti è andato incontro ad almeno unoshock inappropriato per tachicardie sopraventricolari o fi-brillazione atriale. Nello studio MADIT II41, tali eventi si so-no verificati nell’11.5% dei pazienti (circa il 30% degli in-terventi totali) e, come dimostrato dallo studio MIRACLEICD42, gli shock erano più frequenti nei pazienti impianta-ti in prevenzione primaria (30 vs 14%) inficiando parzial-mente il beneficio della terapia. Tali eventi sono risultatiassociati ad un aumento delle risposte ansioso-depressiveed un peggioramento dello status mentale. Per tale moti-vo sono stati sviluppati algoritmi di discriminazione dellearitmie sopraventricolari più sofisticati ed efficaci; attual-mente inoltre si tende ad utilizzare una strategia di pro-grammazione del dispositivo che massimizzi gli interventipain-free (stimolazione antitachicardica, bursts) rispettoagli interventi painful con shock. Non sono invece disponi-bili correttivi per gli eventi determinati da malfunziona-mento dell’elettrocatetere che prescindano dalla revisionedell’impianto con il suo abbandono o la sua rimozione conreimpianto. Rimane il fatto che, indipendentemente dal-l’appropriatezza o inappropriatezza “aritmica” dell’inter-vento, lo shock mantiene un elevato impatto clinico, so-prattutto se ripetuto o incessante. La possibilità di disatti-vare gli interventi in caso di shock ripetuti dovrebbe esse-re patrimonio comune della maggioranza dei cardiologiche espletano il ruolo di Guardia nei Reparti, in modo dagarantire, assieme all’ospedalizzazione del paziente inambiente specialistico, l’interruzione dell’evento avverso.Recenti raccomandazioni sottolineano l’importanza, in ca-so di interventi ripetuti o subentranti, di una valutazioneimmediata del paziente per escludere cause sottostanti(ischemia, alterazioni idroelettrolitiche, ecc.), impostareun’adeguata terapia antiaritmica (il defibrillatore trattama non previene le aritmie), eventuale disattivazione tem-poranea del dispositivo. È necessario inoltre ricordare cheè sufficiente l’applicazione esterna di un magnete per di-sattivare temporaneamente le funzioni antiaritmiche deldispositivo, preservando le funzioni antibradicardiche, eche tali funzioni sono in genere recuperate (anche se nonin tutti i modelli) all’allontanamento del magnete stesso39.

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Figura 7. Shock inappropriato su oversensing ventricolare da frattura di elettrocatetere.

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L’ablazione transcatetere può infine essere considerata co-me ultima strategia di profilassi antiaritmica, in pazientiportatori di ICD, con shock ripetuti e recidivanti, refrattarialla terapia farmacologica.

Popolazioni pediatricheUn capitolo a parte meriterebbe la trattazione del rischioiatrogeno connesso con pacemaker e ICD nei pazienti inetà pediatrica. L’assoluta peculiarità di tale sottogruppo dipazienti era infatti già nota in epoca di pacing antibradi-cardico, con le implicazioni relative alle modalità di im-pianto, alla futura crescita del paziente e al rischio di com-plicanze associato con il numero teorico di reinterventiprevisti per pazienti con lunga aspettativa di vita. Se la tec-nica chirurgica di impianto non differisce significativamen-te da quella degli adulti, è fondamentale minimizzare lesedi di accesso venoso (per preservarle in caso di futuri up-grading), valutare adeguatamente il tipo (endocardici/epi-cardici), il numero (monocamerali/bicamerali), il sistema difissazione (attiva/passiva) e la lunghezza dei cateteri da im-piantare in relazione alla futura crescita fisica. Per quantoriguarda l’ICD, tali dispositivi vengono in genere impianta-ti in pazienti affetti da cardiopatie congenite (70%), inprevenzione spesso secondaria (50%); circa il 20% dei pa-zienti è colpito da almeno uno shock, in un quarto dei ca-si inappropriato. La trattazione di tale argomento, per laquale si rimanda a bibliografia specializzata43, esula dalloscopo della presente rassegna. È tuttavia fondamentale ri-cordare che, sebbene tale sottogruppo rappresenti una mi-nima percentuale dei pazienti portatori di ICD, rimane in-dispensabile una corretta valutazione e gestione dell’im-pianto nel paziente giovane, il quale, alla luce della lungaaspettativa di vita, è quello che più di ogni altro rischia difarsi carico del rischio iatrogeno a breve e lungo termine(ad es. sostituzione generatore, aggiunta elettrocateteri,shock inappropriati, ecc.) connesso all’impianto di una pro-tesi permanente.

Sistemi di resincronizzazione cardiaca

La terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT) rappresen-ta ad oggi una consolidata opzione per i pazienti affetti dascompenso cardiaco con compromissione della funzione si-stolica ventricolare sinistra, altamente sintomatici nono-

stante terapia medica massimale. La sostanziale differenzarispetto ad un impianto convenzionale è rappresentatadall’impianto per via percutanea di un catetere per la sti-molazione ventricolare sinistra via seno coronarico, contutte le potenziali complicanze correlate; per il resto, l’in-cidenza di eventi avversi di tipo iatrogeno non differisceda quella connessa con l’impianto di pacemaker e ICD, perquanto l’uso di più cateteri e la complessità del posiziona-mento aumentino il rischio di complicanze vascolari ed in-fettive, probabilmente secondarie ai più lunghi tempi diimpianto44. Il MIRACLE Study Program42 ha dimostrato lasicurezza e l’efficacia connessa con l’impianto di tali dispo-sitivi, che sono eseguiti con successo in più del 90% dei ca-si e mostrano una mortalità periprocedurale dello 0.4%.

La principale complicanza intraprocedurale caratteri-stica della CRT è rappresentata dalla lesione del seno coro-narico, sia per dissezione (5%) che per perforazione (2%)della parete venosa, per lo più causata dal catetere guida,dal catetere per elettrofisiologia o dallo Swan-Ganz perl’esecuzione della venografia42. La bassa pressione all’in-terno del sistema venoso e il grasso perivenoso del solcoatrioventricolare consentono in genere il decorso silente ditale complicanza e il completamento dell’impianto; rarissi-mamente è necessario ricorrere alla pericardiocentesi e ra-ramente la procedura deve essere interrotta e completatain un secondo tempo (Figura 8).

Le principali complicanze tardive sono rappresentatedalla dislocazione degli elettrocateteri e dalla stimolazio-ne extracardiaca. L’incidenza di dislocazione per il catetereatriale e ventricolare destro non è diversa da quella deinormali pacemaker/ICD, variando dall’1.5% al 3.3%; la ma-cro/microdislocazione del catetere sinistro oscilla invecetra il 6% e il 10%. Tale evento è conseguenza del disegnodegli elettrocateteri, che sono sostanzialmente privi dimeccanismi di fissazione; peraltro l’uso di sistemi di fissag-gio potrebbe risultare particolarmente pericolosa nel casodi necessità di rimozione del catetere. La stimolazione ex-tracardiaca (nervo frenico, diaframma), sebbene in genereesclusa al momento dell’impianto, può conseguire alla ma-crodislocazione dell’elettrocatetere e richiedere il control-lo e la riprogrammazione del dispositivo (con riconfigura-zione del pacing ventricolare sinistro) e, talvolta, revisionecon riposizionamento. Rara complicanza, ma presente, è lacomparsa di effetto proaritmico indotto dalla stimolazionebiventricolare45. Proprio come conseguenza di tali eventi

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Figura 8. Piccola dissezione del seno coronarico che non ha compromesso il completamento della procedura di impianto.

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indesiderati, come confermato anche dallo studio COMPA-NION46, l’incidenza cumulativa di complicanze acute(13.8%) e tardive (10%) si presenta in misura significativa-mente maggiore rispetto al pacing convenzionale ed agliICD, con un rischio di reintervento di circa il 9% (7.7% perdislocazioni e stimolazione extracardiaca, 1% per infezio-ni)42,46. Riguardo all’associazione della CRT con l’ICD, non sisono inoltre osservate variazioni in termini di complicanzerispetto all’associazione della CRT con il pacemaker né unrischio aggiuntivo di tipo proaritmico rispetto ai defibrilla-tori mono-bicamerali. La percentuale di complicanze hamostrato tuttavia di ridursi sensibilmente con il progressi-vo miglioramento dei materiali, dell’esperienza dell’ope-ratore ed il completamento di un’adeguata curva di ap-prendimento.

Conclusioni

Lo sviluppo tecnologico ha permesso, al giorno d’oggi, diimpiantare per via transvenosa in maniera sistematica, si-cura ed efficace dispositivi cardiaci con funzioni di stimola-zione, defibrillazione e resincronizzazione delle camerecardiache. Complicanze acute e croniche si continuano adosservare, ed il rischio connesso con l’impianto di una pro-tesi “permanente” rimane, per quanto basso, sempre pre-sente durante l’intero arco della vita del paziente. L’ade-guata conoscenza dei potenziali eventi avversi rimane adoggi l’arma più preziosa per il cardiologo clinico ed inter-ventista, per garantire non solo un’adeguata stratificazio-ne preoperatoria del rischio, ma anche il miglioramentodella sicurezza intraoperatoria ed una individuazione pre-coce ed un appropriato trattamento di possibili complican-ze acute e croniche.

Riassunto

La considerevole evoluzione che si è realizzata nel campo della car-diostimolazione negli ultimi 30 anni ha permesso di semplificare si-gnificativamente le procedure di impianto, consentendo di realiz-zare in maniera sistematica, sicura ed efficace l’impianto transve-noso di pacemaker e defibrillatori. Tuttavia, il rischio iatrogeno dipotenziali complicanze a breve e lungo termine continua ad esse-re non trascurabile, soprattutto in considerazione del crescentenumero di protesi impiantate. Il possibile verificarsi di eventi av-versi acuti e/o cronici praticamente in qualsiasi momento della“storia del dispositivo”, rendono conto di quanto importante sia,non solo per lo specialista aritmologo ma anche per il cardiologoclinico, una conoscenza adeguata delle potenziali complicanze, inmaniera tale da garantire un’adeguata valutazione del rapportorischio-beneficio prima dell’impianto, un pronto e precoce ricono-scimento e, infine, un’adeguata gestione e trattamento.

Parole chiave: Complicanze iatrogene; Defibrillatori impiantabili;Pacemaker; Terapia di resincronizzazione cardiaca.

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