Beni pubblici, beni comuni e beni collettivi - Presentazione di Nadia Carestiato
RAPPORTO BENI CULTURALI - Fare Ambiente beni cultural ok.pdf · per la protezione, il recupero e la...
Transcript of RAPPORTO BENI CULTURALI - Fare Ambiente beni cultural ok.pdf · per la protezione, il recupero e la...
1
RAPPORTO BENI
CULTURALI
Anno 2016
2
3
Indice
Introduzione
A cura di Vincenzo Pepe
Capitolo primo
A cura di Francesco Della Corte e Loredana Cantone
Alcuni cenni sulla normativa
1.1 Introduzione
1.2 Opere e monumenti presenti in Campania
Capitolo secondo
A cura di Francesco Della Corte e Loredana Cantone
Aspetti Legislativi
2.1 Gli Aspetti Legislativi
2.2 Normativa in tema di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale
immateriale.
2.3Conclusioni
2.4 Proposte operative
Capitolo terzo
A cura dell’Ufficio Ricerche e studi di Fareambiente
Il sistema museale Italiano
3.1 Il sistema dei beni culturali italiano
3.2 Il sistema dei beni culturali italiano, i dati dell’ultimo biennio 2015-2016
3.3 Beni culturali italiani fuori dai 20 musei più visitati a mondo
3.4 I costi di gestione dei beni culturali italiani: il caso di un ipotetico museo
3.5 Indagine sulla percezione da parte dei fruitori dei beni culturali
Capitolo quarto
A cura di Biagio Barbato
I beni culturali e il paesaggio
4.1I caratteri distintivi dei beni culturali e del paesaggio
4.2 La dialettica tra il paesaggio e il governo del territorio: la pianificazione.
4.3 La distribuzione delle competenze nella gestione dei beni culturali.
4
4.4 L’autorizzazione paesaggistica.
Capitolo quinto
A cura di Carmen Izzo
Cales
5.2 BREVI CENNI STORICI
5.3 Cenni sulle edificazioni presenti nella parte nord e sud della crocevia
5.3.1 Il castello medioevale
5.3.2 LA CATTEDRALE ROMANICA
5.3.3 IL TEATRO
5.3.4 L’anfiteatro
5.3.5 LE TERME
5.3.6 IL TEMPIO
5.4 Proposte operative
Capitolo sesto
A cura dell’Ufficio Ricerche e studi di Fareambiente
Criminalità organizzata e di singoli cittadini a danno della cultura
6.1 Le ombre e gli insulti ai beni culturali italiani
6. 2Deturpamento ed imbrattamento di cose altrui
Istituzione del corpo “tutela patrimonio” delle guardie Ecozoofile di Fareambiente
La moneta: il Caleno
5
6
Introduzione
Che la cultura non abbia prezzo e che l’Italia sia la detentrice del patrimonio
culturale più importante al mondo è oramai acclarato.
Non solo testimonianze di popolazioni millenarie: romane, greche, bizantine, senza
dimenticare quelle relative alla preistoria, ma anche di cultura immateriale a cui
difficilmente si potrà dare un valore. Luoghi di culto, ma anche laici impreziosiscono
non solo le grandi città ma soprattutto i piccoli borghi, che con tenacia e coraggio
lottano per sopravvivere e per non far scomparire quanto hanno lasciato i propri
antenati.
Luoghi che proprio in questo ultimo anno sono stati lacerati anche da fenomeni
sismici che ne hanno ferito non solo l’anima ma anche le strutture, luoghi che
stavano già combattendo contro la desertificazione sociale. Dove i giovani non
trovando di cosa vivere immigravano verso le grandi città e verso l’estero, lasciando
incustoditi questi gioielli.
Ma, se abbiamo affermato che alla cultura, nel senso più ampio del termine, non si
può attribuire un valore ( inestimabile) vista la rilevanza che riveste in termini anche
di testimonianza, sembra un controsenso. Purtroppo non è così perché negli ultimi
decenni è passato il concetto che la cultura non genera guadagni meramente
pecuniari. Basta leggere anche le statistiche sui profili professionali più richiesti e le
principali attività lavorative da intraprendere dopo aver concluso gli studi; la laurea
in materie letteraria è quella che crea “ fabbriche di laureati deboli, poco adatti alle
esigenze del mercato del lavoro odierno”.
A questo dato si contrappone un ulteriore controsenso, i musei, i beni culturali che
sono i luoghi più tangibili per “toccare” la cultura tramandata dai nostri antenati sono
presi d’assalto e potrebbero quindi generare un mercato molto fruttuoso. Secondo i
dati del MIBACT dieci luoghi della cultura più visitati nel 2015 sono stati: il
Colosseo (6.551.046 visitatori, +6% rispetto al 2014, pari a +369.344 ingressi); gli
Scavi di Pompei (2.934.010, +12% pari a +312.207 ingressi); gli Uffizi (1.971.596,
+2% pari a +35.678 ingressi); le Gallerie dell’Accademia di Firenze (1.415.397,
+6% pari a +79.656 ingressi); Castel S.Angelo (1.047.326, +2,5% pari a +26.007
ingressi); il Circuito Museale Boboli e Argenti(863.535, +5% pari a +40685
7
ingressi); il Museo Egizio di Torino (757.961 +33% pari +190.273 ingressi); la
Venaria Reale (555.307 visitatori e una crescita del +6,5% degli introiti), la Galleria
Borghese (506.442, invariato rispetto al 2014); la Reggia di Caserta (497.158, +16%
pari a +69.019 ingressi). A seguire, Villa D'Este (439.468), la Galleria Palatina di
Firenze (423.482), il Cenacolo Vinciano (420.333), il Museo Archeologico
Nazionale di Napoli (364.297), il Museo Nazionale Romano 356.345), gli Scavi di
Ercolano (352.365), le Cappelle Medicee (321.043), gli Scavi di Ostia Antica
(320.696), il Polo Reale di Torino (307.357), Paestum (300.347), il Museo
Archeologico di Venezia (298.380) e le Gallerie dell’Accademia di Venezia
(289.323).
Dati questi che ci dovrebbero far ben sperare, che poi nel 2016 sono stati anche
superati, ma che se confrontati con quelli dei beni culturali esteri non sono nulla
I ricavi ottenuti dalla vendita dei biglietti dei beni culturali italiani sono circa di
136 milioni contro, ad esempio, un fatturato per attività museali in Uk nel 2014 di
circa 600 milioni. Se poi si considerano i servizi aggiuntivi rispetto alla biglietteria
si evidenzia l’arretratezza italiano, solo un visitatore su quattro usufruisce dell’offerta
aggiuntiva di servizi quali bookshop, ristorazione e visite guidate, i cui ricavi
complessivi ammontano a €49 milioni, di cui 20 milioni (il 40% del totale) da
bookshop. Molto limitata è invece la fruizione di altre offerte, quali audioguide,
visite guidate e ristorazione. Lo scontrino medio di tutti i servizi aggiunti è di circa 5
euro. La scarsa attenzione a tali servizi è confermata dal fatto che i relativi introiti nel
periodo 2008-2014 sono cresciuti in maniera meno che proporzionale rispetto alla
crescita nello stesso periodo degli introiti da biglietteria (+3% rispetto a +5%).
L’analisi geografica, inoltre, mostra nuovamente una forte concentrazione, con
l’86% degli introiti da biglietteria e da servizi aggiuntivi prodotto da sole 3 regioni
italiane: Lazio, Toscana e Campania.
Secondo i dati del Ministero la Campania che, a fronte di 214 siti di cui 11 Unesco,
attira solo 4,6 milioni di visitatori, il 42% proveniente dall’estero. Tra le mete più
importanti della regione c’è la Reggia di Caserta e gli scavi di Pompei, entrambi
patrimonio dell’Unesco dal 1997. La Reggia di Caserta ha registrato nel 2015 circa
500 mila visitatori e presenta un importante potenziale di crescita dei ricavi da
biglietteria (con solo il 50% di visitatori paganti) e da servizi aggiuntivi, in calo dal
8
2008. Gli Scavi di Pompei hanno raggiunto circa 3 milioni di visitatori, con una
significativa incidenza dei visitatori paganti (75% dei totali) ma con un limitato
sviluppo dei servizi aggiuntivi. La considerazione della differenza di visitatori fa
emergere come un’integrazione dei siti in termini di trasporti e tour proposti potrebbe
portare ad un notevole incremento delle visite. Inoltre, si registra come il passaggio
della Reggia di Caserta ad una direzione speciale autonoma abbia portato ad un
aumento considerevole dei visitatori paganti (+94% di media mensile) nel primo
trimestre 2016 rispetto, agli stessi mesi del 2015.
La politica attuata dal Ministero nell’ultima legislatura ha, almeno per i grandi
attrattori, mostrato l’efficienza dei direttori manager, che con una corretta e incisiva
comunicazione e gestione hanno saputo incrementare i visitatori anche del 40%, ma
ora è necessario proporre iniziative che supportino i piccoli musei e i beni culturali
disseminati sull’intero territorio nazionale, simbolo e testimonianza delle civiltà che
hanno fatto grande il popolo Italiano.
È, inoltre necessario porre in essere delle azioni che vadano a contrastare gli atti
vandalici, oltre illegali che caratterizzano il patrimonio culturale.
Vincenzo Pepe
9
Capitolo primo
Alcuni cenni sulla normativa1
1.1 Introduzione
I beni culturali, si sa, sono la memoria storica e la misura del perdurare della
tradizione di un popolo; la trasmissione nel tempo implica che il patrimonio culturale
di un popolo si tramandi di generazione in generazione arricchito con ricordi,
aneddoti, leggende , storia reale legata ai beni ed alle radici di quel popolo.
Orbene, anche in piccoli centri dell’hinterland campano vi sono monumenti ed opere
che- in quanto realizzati da mani sapienti e laboriose di artisti autoctoni e spesso
sconosciuti- sono molto cari alla memoria di tutti; è indubbio quanto sia sempre
gradito ricordare gli ingegnosi avi che hanno arricchito il territorio e quanto ciò sia
utile anche per stimolare l’interesse delle nuove generazioni verso la storia delle
opere culturali che poi- in sostanza- è la storia del proprio passato.
L’intento di questa breve relazione è appunto quello di rievocare tali benemerite
opere e ridestare la curiosità e l’interesse del popolo verso i monumenti e la storia dei
luoghi di culto abitualmente frequentati.
In questo lavoro sinergico abbiamo voluto porre all’ attenzione alcune delle opere e
monumenti della Regione Campania, ricchi di storie proprie, ed in alcuni casi già
conosciuti dai più e in altri meno .
1.2 Opere e monumenti presenti in Campania
Vorremmo cominciare questo lavori di rievocazione di alcuni edifici ed opere della
Regione Campania da uno dei monumenti, per anni completamente abbandonato, di
grande valore architettonico e storico della Campania, ovvero, nello specifico, il Real
sito di Carditello ubicato nelle verdi distese di S. Tammaro, monumento sobrio , di
1 avv. Francesco Della Corte Dottore di Ricerca in Diritto Gestione
dell’Ambiente
avv. Loredana Cantone esperta in politiche del territorio e management
ambientale
10
stile neoclassico , progettato dall’architetto Francesco Collecini , allievo e
collaboratore del Vanvitelli.
La Reggia di Carditello faceva parte di un gruppo di ventidue siti appartenenti alla
Real Casa Borbone di Napoli, comprendente , tra gli altri, la Reggia di Caserta , la
Reggia di Portici e quella di Capodimonte .
Questa tenuta era stata destinata originariamente da Carlo di Borbone alla caccia e
all’allevamento equino, solo più tardi Ferdinando IV di Borbone volle trasformarla in
una fattoria modello e , per quei tempi, avveniristica in quanto coltivava nuove
qualità di grano e soprattutto cercò di allevare razze pregiate di cavalli e di bovini .
Purtroppo nel secolo scorso, dopo che fu lasciata dalle truppe tedesche che la
utilizzarono durante la seconda guerra mondiale come proprio comando logistico ,
essa fu oggetto di spietati e reiterati vandalismi, basti immaginare che addirittura
vennero sradicati i gradini di marmo dalle monumentali scale ed addirittura
asportati gli affreschi dai muri e dopo innumerevoli passaggi di mano in mano
dall’ONC ( Opera Nazionale Combattenti ) fino al Consorzio Generale di Bonifica
del bacino inferiore del fiume Volturno, via via cadendo sempre di più in totale
degrado .
Solo nell’ultimo decennio, grazie al costante impegno delle associazioni , delle
istituzioni , e dei semplici cittadini, che applicando alla lettera il dettato del principio
di sussidiarietà, hanno focalizzato l’attenzione su questo inestimabile monumento,
portandolo alla ribalta nazionale sottoponendolo così alla giusta attenzione del
Ministero competente e finalmente lo scorso febbraio è stato firmato l’accordo tra il
Comune di S. Tammaro, la Regione Campania ed il Ministero dei beni e delle attività
culturali e del turismo (MIBACT) ed è stata così istituita una apposita fondazione
per la protezione, il recupero e la valorizzazione del Real sito di Carditello affinchè,
questo ultimo, possa ben presto risplendere e ritornare ad essere la piccola Versailles
di Terra di Lavoro ; oltre al riscatto di un bene comune , la Campania avrà così
un’opportunità in più di sviluppo e rilancio internazionale .
In questa breve analisi relativa ai monumenti di particolare interesse non possiamo
non menzionare le “ Reali Case dei Matti” fondate- con Regio Decreto- nell’anno
1813 da Gioacchino Murat e nate al fine di offrire ricovero, cura e riabilitazione ai
malati di mente; in esso confluirono la maggior parte dei folli del Regno delle Due
11
Sicilie e divenne ben presto, per gli innovativi metodi di cura , un esempio della
psichiatria europea. L’istituto, tristemente noto per essere il primo manicomio
giudiziario a sorgere in Italia, sorse nel confiscato convento dei frati Osservanti
sotto il titolo della Maddalena , al quale venne annesso quello dei Cappuccini al
Monte come prima succursale per le donne. Con Giovanni Maria Linguiti, primo
direttore dal 1813 al 1825 si provvide alla riorganizzazione degli ambienti
conventuali basate sulla netta separazione tra uomini e donne tra le tipologie di
demenza .Nel 1876 , con il nuovo direttore Gaspare Virgilio, dall’edificio unico si
passò a modifiche in relazione alla diversa tipologia scelta consistente in una
struttura mista distribuita in padiglioni , ciascuno dei quali separato ed organizzato
come un quartiere indipendente e si pianificarono cospicui lavori che proseguirono
fino agli anni settanta, del secolo scorso, rivolti soprattutto ad ovviare agli ingenti
danni bellici. All’interno della struttura, composta di cinquanta celle con altrettanti
bagni interni , furono adibiti anche un teatro, una chiesa, alcune sale studio ed il
refettorio.
Negli anni settanta , gli effetti dell’azione promossa da Franco Basaglia , poi
confluita nella nota legge del 1978, cominciarono, ancor prima dell’applicazione
legislativa, a farsi sentire tant’è che nell’edificio vennero insediate alcune sezioni
dell’USL 20 e successivamente l’Archivio storico dell’ex ospedale psichiatrico.
L’ospedale, svuotato nel 1998, chiuse definitivamente l’anno dopo, nei vari
padiglioni troveranno invece posto attività estranee al servizio psichiatrico. Ancor
oggi lo storico edificio, trasuda eleganza architettonica, dotato di un proprio ed
originale fascino non solo per la forma strutturale ma soprattutto per le storie, a volte
tristi, che racchiude.
Dal 2013 è in corso un protocollo d’intesa tra il Comune di Aversa, l’ASL di Caserta
e la Seconda Università degli Studi di Napoli per uno studio finalizzato al recupero
dell’intero complesso architettonico e dell’area circostante.
Altro monumento sul quale abbiamo voluto porre la nostra attenzione è un antico
palazzo marchesale, risalente al 1200, di proprietà della famiglia Pallavicini ,
vassalli di Federico II.
Tale palazzo si trova nell’entroterra dell’ager aversanum , e nello specifico nel
Comune di Villa di Briano che fino al 1950 fu chiamato Frignano Piccolo , la cui
12
storia ci ha molto interessato; infatti , esso ancora oggi custodisce mille segreti ;
alcuni eminenti studiosi hanno affermato che all’epoca di Corradino di Svevia ( 1252
-1268) , nei tunnel del palazzo che lo collegavano ad un monastero, ove furono
nascosti i seguaci di Corradino in fuga dagli Angiò, alcuni cavalieri teutoni,
assieme al figlio di Federico II ed Isabella d’Inghilterra , custodirono la sacra
sindone , le bende di Cristo e le reliquie del Golgota , in gran parte poi ereditate da
Federico di Sicilia.
Oggi vi è l’obiettivo di far divenire il palazzo un vero e proprio centro polifunzionale
, artistico –letterario.
Un rilievo particolare deve essere attribuito , in particolare per il suo significato
storico oltre che per la mirabile bellezza, al Castello sito nell’antico borgo di
Casapozzano ( toponimo derivato da Casaputeana o Casale del pozzo, così definita
per la presenza di numerosi pozzi d’acqua) , , frazione del comune di Orta di Atella,
in provincia di Caserta, sito nell’ Ager Campanus , territorio -di grande rilievo
storico – abitato sin dal periodo romano- imperiale, come si evince dai reperti
archeologici .
Il mirabile castello, anima del borgo, esistente già durante il Medioevo , ebbe a
risplendere sotto i Capece Minutolo, signori di Casapozzano nel 1378 , anno in cui fu
effettuato un primo intervento di ampliamento. Nel 1450 il feudo passò alla famiglia
Bozzetti e successivamente a Francesco Seripando , patrizio napoletano, ed ancora ,
nel 1626 , a Giovanbattista Seripando ed- alla sua morte- alla mogli di questi , tale
Lucrezia Capece Minutolo ; con i Capece Minutolo, verso la fine del 1700, il
castello fu notevolmente abbellito con elementi architettonici quali stemmi cornici e
graziose ciminiere tipiche dell’architettura inglese ; l’attuale configurazione si deve
invece agli interventi successivi voluti principalmente da Alicia Higgins ( nobildonna
irlandese) moglie di Vincenzo Capece Minutolo .Fu proprio la marchesa Alicia
Higgins ad ottenere , nell’anno 1848, a seguito di un plebiscito popolare, il
passaggio della giurisdizione di Casapozzano da Succivo ad Orta di Atella .
Merita poi, pari menzione, per il rilievo architettonico, la monumentale Chiesa di
S. Tammaro- orgoglio del territorio campano - eretta nel territorio di Grumo
Nevano, cittadina a Nord di Napoli.
13
Quando e come sia sorta la prefata chiesa di S. Tammaro non si può dire con
certezza.
La prima notizia dell’esistenza di una chiesa a Grumo dedicata a San Tammaro si
trova nella donazione di una terra nelle vicinanza dell’Ecclesia S. Tammari nell’anno
1132, le cui sorti si sono perse nei meandri della storia.
L’attuale tempio fu costruito nel 1700 sulla medesima area antica ; di essa ci resta il
portale completo coi vecchi stipiti di marmo . Una seconda chiesa più ampia della
prima dovette essere edificata nella prima metà del secolo decimo secondo allorchè il
casale di Grumo , per l’aumentato numero della popolazione, avvertì la necessità di
avere una chiesa corrispondente ai bisogni dei fedeli . Divenuta quest’ultima cadente
fu sostituita da quella che da due secoli circa costituisce una delle più belle chiese
della Campania .
L’attuale chiesa di S. Tammaro fu aperta al culto nell’anno 1737 . Originariamente
era tutta bianca con pavimento battuto a lapillo; nell’anno 1851 il parroco don
Pietrantonio Cristiano la fece pavimentare con mattoni di Santa Maria ; nel 1877 fu
decorata la terza cappella a sinistra della nave e arricchita di marmi e oro pregiato ;
seguì un cinquantennio di abbandono e solo tra il 1920 – 22 furono fatti realizzare
dal parroco Antonio Aversano restauri e affreschi . nel 1946 il parroco Mons. Stefano
Landolfo , trasferito dalla parrocchia di Casandrino , la fece restaurare riportandola
all’ attuale solennità .
Elementi d’arte della chiesa di S. Tammaro sono : il grande affresco del grumese
Sante Cirillo , dipinto sulla porta maggiore ove è raffigurato Mosè che fa scaturire
l’acqua dalla rupe del deserto e fa dissetare il suo popolo. Sempre di Sante Cirillo è il
quadro collocato al braccio destro della crociera rappresentante la “ Deposizione
della croce “. In fondo all’abside vi è l’”Apoteosi di S. Tammaro” attribuita al De
Mura . Al braccio sinistro della croce si vede il “ Rosario “, bellissimo quadro opera
di ignoti. Nella Cappella dedicata alla Madonna delle Grazie vi è una tavola con
Madonna e Bambino attribuita a Marco Cardisco , pittore calabrese del 500 che
lavorò a Napoli e dintorni. Fanno ancora parte del patrimonio della chiesa tre statue
in legno : l’ “Immacolata” scolpita da G. Antonio Cosicci il 1711 , una” Madonna
delle Grazie” ed un” S. Giuseppe” della stessa epoca .
14
Sempre nel territorio di Grumo Nevano va menzionato , per l’alto valore nobile,
l’opera Pia denominata Monte Parolisi Cristiano nata per volontà della signora
Teresa Parolisi che, nell’anno 1875, con testamento, lasciò i suoi beni per la
costituzione di un Monte elemosiniere che si chiamò Parolisi ; nell’anno 1910 un
altro signore di Grumo, Michele Cristiano donava la totalità dei suoi beni al Monte
Parolisi con l’obbligo della fondazione di un Mendicicomio. Si costituì cosi il Monte
Parolisi Cristiano –Mendicicomio di S. Giuseppe .
Il Mendicicomio , edificio di encomiabile architettura, fu quindi eretto sulla
provinciale di S. Arpino su progetto dell’Ing. Antimo Spena , costruttore Rocco
Fusco.
Tuttavia su solo dopo molti anni e dopo la morte del dott. Spena , che il prof.
Pasquale Pezzullo riuscì a far funzionare il complesso , dando ricovero ai primi
assistiti e prestando la propria opera per molti anni. Per circa trent’anni le Suore degli
Angeli continuarono a prestare la loro caritatevole assistenza. Dopo la guerra, però i
fondi cominciarono a scarseggiare .alla fine degli anni sessanta l’istituzione venne
soppressa. Resta il bellissimo edificio in attesa di opere di restauro .
15
Capitolo secondo
Aspetti Legislativi2
2.1 Gli Aspetti Legislativi
Fino al 2014 la normativa sui beni culturali, soprattutto statali, è stata molto confusa
e farraginosa. La prima e vera norma la si fa risalare alla Legge "Bottai" nella quale
si “parlava di cose di arte, valutando il bene culturale (in modo significativo) da un
punto di vista strettamente di valore estetico e materiali. Leggendo tale norma oggi si
evidenziano numerose lacune, che secondo molti studiosi potevano essere colmate
considerando la legge n.1497 del 1939 in modo più amplio, essendo teso alla tutela
ambientale ed alle "bellezze naturali" e quindi si avvicinava maggiormente alla
definizione odierna di bene culturale.
La funzione pubblica di tutela del patrimonio culturale ed ambientale assurse alla
massima dignità legislativa con l’introduzione nella Costituzione repubblicana di un
articolo ad essa dedicato , l’art. 9 ( comma 1 e 2) afferma che “ la Repubblica
promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica . Tutela il paesaggio e il
patrimonio storico e artistico della Nazione “ . Con tale solenne dichiarazione la
Repubblica Italiana assunse tra i compiti essenziali dello Stato la promozione , lo
sviluppo e l’elevazione culturale della collettività con particolare tutela del paesaggio
e del patrimonio storico e artistico ( protetto al di là di valutazioni prettamente ed
esclusivamente patrimoniali ) .
L’articolo della Costituzione fu – in effetti- una innovazione per l’epoca; infatti
analizzando le altre costituzioni occidentali non si trova riscontro e ciò dimostra la
contemporaneità della nostra Costituzione . Tuttavia, nonostante l’impulso della
Carta Costituzionale, è stato però necessario aspettare la metà del ventunesimo
secolo per avere la prima normazione del concetto di bene culturale e per la
precisione con la Convenzione internazionale Aia 1954 per la protezione beni
culturali in caso di conflitto armato per la quale sono considerati beni culturali: i
2 A cura di: Francesco Della Corte Loredana Cantone
16
beni mobili e immobili di grande importanza per il patrimonio culturale dei popoli; i
monumenti architettonici, di arte o storia, religiosi o laici ; i complessi di costruzioni
che, nel loro insieme offrono un interesse storico o artistico; le opere d’arte; i
manoscritti; libri ed altri oggetti di interesse artistico , storico ed archeologico ,
nonché le collezioni scientifiche e le collezioni importanti di libri o archivi ; gli
edifici la cui destinazione principale è di conservare o esporre i beni culturali , quali
musei, grandi biblioteche e depositi di archivi ; i centri comprendenti un numero
considerevole di beni culturali .
Per oltre un secolo dalla nascita del Regno d'Italia, la tutela e l'amministrazione delle
cose di interesse artistico e storico e delle bellezze naturali è stata attribuita alla
competenza del Ministero della Pubblica Istruzione. Solo con il decreto del
Presidente della Repubblica del 13/12/1975 n.805, fu costituito il Ministero per i beni
culturali e ambientali, rinominato, a seguito del decreto n.368/98, Ministero per i
Beni e le Attività Culturali. Attualmente tale Ministero ha una competenza generale
sulla materia, che interessa sia i beni e le cose aventi uno squisito valore artistico o
storico o archeologico, sia le iniziative culturali più o meno legate alla materia
storica, che possano in qualche modo avere riflessi sulla materia. I momenti più
significativi per la nuova accezione dei beni culturali si devono far rinvenire alla:
Commissione Franceschini, nota come tutte le commissioni parlamentari con il nome
del suo Presidente. Essa fu istituita con la legge n. 310 del 23.4.1964, dando
attuazione all’esercizio delle funzioni previste dall ‘art 9 della Costituzione del 1948.
Un passo fondamentale nella tutela del patrimonio culturale italiano è stato fatto –
poi- col il codice dei beni culturali e del paesaggio conosciuto anche come Codice
Urbani(nome dell’allora Ministro per i beni e le attività culturali) emanato con il
Decreto Legislativo del 22 Gennaio 2004 n. 42 , contenente disposizioni in materia
di beni culturali e beni paesaggistici della Repubblica Italiana; il decreto chiarisce
che: «i beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla
fruizione della collettività» usando quindi, per la prima volta il termine “patrimonio”
in specifica correlazione con l’aggettivo “culturale. Le novità hanno interessato sia il
settore dei beni culturali (controllo sulla circolazione internazionale dei beni
appartenenti al patrimonio culturale specificando che questi non sono assimilabili a
merci; illecita esportazione dei beni culturali e azioni per ottenerne la restituzione;
17
salvaguardia del patrimonio culturale immobiliare di proprietà pubblica nell’ipotesi
di dismissione o utilizzazione a scopo di valorizzazione economica) che il paesaggio,
rafforzando la sua tutela a vari livelli 18 (definizione di paesaggio, pianificazione
paesaggistica, autorizzazione degli interventi sul paesaggio, revisione dei vincoli e
demolizioni). La modifica al Codice è stata elaborata nel DLgs n. 156/2006 recante
“Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42,
in relazione ai beni culturali” e del DLgs n. 157/2006 recante “Disposizioni
correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al
paesaggio”. Tra le novità introdotte dai decreti vi è la modifica dell’art. 12, comma
10 del Codice, che elimina il silenzio-assenso della P.A. nella procedura di verifica
dell’interesse culturale, stabilendo che “Il procedimento di verifica si conclude entro
centoventi giorni dal ricevimento della richiesta”. Modificato anche l’art. 22 del
Codice relativo al procedimento di autorizzazione per interventi edilizi su beni
tutelati: il Codice Urbani prevedeva che, decorso il termine entro il quale la
Soprintendenza deve esprimersi sulla richiesta di autorizzazione, “il richiedente può
diffidare l'amministrazione a provvedere. La richiesta di autorizzazione si intende
accolta ove l'amministrazione non provveda nei trenta giorni successivi al
ricevimento della diffida”. Il nuovo decreto elimina il silenzio assenso della
Soprintendenza, consentendo, invece, al richiedente di ricorrere al Tar.
Il nuovo sistema, d riorganizzazione prevede che il comparto museale sia
composto da 20 musei autonomi e di una rete di 17 Poli regionali che dovranno
favorire il dialogo fra le diverse realtà museali pubbliche e private del territorio per
dar vita ad un’offerta integrata al pubblico. Nella prima categoria la direzione è
stata affidata con un bando internazionale promulgato a gennaio 2015.
Il predetto decreto ha inoltre puntato verso una riforma che fosse tesa a rafforzare le
politiche di tutela e di valorizzazione del patrimonio italiano fornendo maggiore
autonomia ai musei. Così facendo è stato dato al museo ed a tutti i beni culturali una
nuova identità, consentendogli di assumere una nuova autonomia tecnico
scientifica che svolge funzioni di tutela e valorizzazione delle raccolte assicurandone
e promuovendone la pubblica fruizione .
Una più completa regolamentazione in tema di patrimonio culturale si è tuttavia
verificata con l’emanazione del Decreto Legge 31 maggio 2014, n. 83 contenete le
18
nuove misure in materia di tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e
il rilancio del turismo, in Gazzetta Ufficiale- serie generale- n.125 del 31-5-2014 ,
entrata in vigore in data 1.6. 2014 convertito in legge – con modificazioni- e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 175 del 30.7.14 .
Nella redazione del decreto si pone riparo all’emergente necessità ed urgenza di
reperire risorse per garantire la tutela del patrimonio culturale della nazione e lo
sviluppo della cultura proprio in attuazione dell’art. 9 della Costituzione nonché di
porre rimedio allo stato di degrado ed emergenza di numerosi siti culturali italiani.
In particolare, il provvedimento contiene le seguenti norme :1) Art bonus, al fine di
favorire il meccanismo culturale attraverso un credito d’imposta, 2) Grande progetto
Pompei 3) Reggia di Caserta, al fine della tutela e valorizzazione del complesso 4)
fondazioni lirico-sinfoniche ; 5) Tax Credit per il cinema , al fine di attrarre
investimenti nel settore della produzione cinematografica ; 6) Piano Mobilità
Turistica , al fine di favorire la raggiungibilità e fruibilità del patrimonio storico ed
ambientale con particolare riguardo ai centri minori ed al Sud Italia ; 7) Guide
Turistiche, al fine di individuare, previa intesa con le Regioni e le province , i
requisiti necessari per ottenere le abilitazioni specifiche ; 8) Beni culturali , con
l’introduzione di una parziale liberalizzazione del regime di autorizzazione della
riproduzione divulgazione delle immagini di beni culturali per finalità senza scopi di
lucro ; 9) Strutture turistiche, al fine di favorire la nascita di nuove strutture turistiche
10) Musei , al fine di dare avvio alla possibilità di creare soprintendenze autonome ,
senza maggiori oneri per la finanza pubblica , per i beni ed i siti culturali di
eccezionale valore .
Dopo una breve disamina della normaniva vigente , è d’uopo una considerazione in
merito a fattispecie di condotte che – ad oggi- possiamo ritenere non adeguatamente
sanzionate atteso il carattere rilevante dell’attività posta in essere.
Ebbene, come già si è avuto modo di enunciare innanzi, l’obbligo di tutela dei beni
culturali trova riconoscimento costituzionale nell’art. 9 ed in funzione di tale rilievo
costituzionale lo Stato Italiano è intervenuto legiferando in materia con l’adozione
del codice dei beni culturali e del paesaggio che - nello specifico si occupa della
valorizzazione , conservazione , tutela e fruizione dei beni culturali - nonché con
norme di diritto penale e provvedimenti specifici sopra meglio evidenziati; tuttavia
19
ancora in maniera troppo frequente si verificano incresciosi episodi di deturpazione e
danneggiamenteo di beni culturali , si ritiene, non adeguatamente puniti atteso
l’attentato evidente di tali condotte al patrimonio culturale di una intera nazione.
In effetti, senza risalire troppo addietro nel tempo, si portano alla memoria e si
rammetano alcune vicende che hanno visto vandali accanirsi contro opere di pregio
quali : nel Marzo 2013 un turista inglese staccava di netto il dito indice della
meravigliosa scultuta dio Pio Fedi raffuigurante il ratto di Polissena nella Loggia dei
Lanzi in prossimità degli Uffizi in Firenze; nel Febbraio 2015 un gruppo di
hooligans olandesi del Feyenoord vandalizzava la meravigliosa Barcaccia del
Bernini, fontana simbolo di Roma, realizzata tra il 1626 e 1629 al centro di Piazza di
Spagna in Roma, opera- per giunta – da poco oggetto di restauro; nel Dicembre
2015, in Lessolo ( TO) ignoti aggredivano e profanavano, a colpi di mattone , il
monumento ottocentesco del “ Re delle Acque “ - opera di pregio attribuita
all’artista Giuseppe Argenti- giungendo a staccarne un braccio alla statua
raffigurante il” Dio delle Acque”.
Gli episodi evidenziati rapparesentano veri e propri atti di oltraggio non solo a
gloriose opere d’arte ma al cuore degli italiani che a tali opere sono legati da vincoli
affettivi , patriottistici , culturali .
Si tratta di atti di bieco vandalismo che hanno arrecato danni enormi e soprattutto
di carattere permanente atteso che , si sa, quando opere d’arte come quelle
menzionate subiscono danni comunque – pur ricorrendo ad interventi di ripristino -
mai torneranno come prima.
Gli episodi evidenziati rappresentano veri e propri atti di oltraggio non solo a
gloriose opere d’arte ma al cuore degli italiani che a tali opere sono legati da vincoli
affettivi , partitistici , culturali .
A questo punto, al fine di tentare di impedire il ripetersi di tali fatti incresciosi e
dannosi per la collettività, una utile proposta normativa che vorremmo avanzare e
portare avanti potrebbe essere quella di rendere più severe le pene previste per tali
atti di barbarie così come avviene per gli ecoreati , ricorrendo ad un aumento della
pena edittale con la previsione di almeno quindici anni di reclusione per il reo ed il
raddoppio dei termini di prescrizione del reato .
20
L’importanza degli interessi coinvolti ( beni culturali ) induce a pensare che una
normativa sul punto più drastica possa costituire un valido strumento per prevenire
atti di vandalismo assurdi ed incontrollati posti in essere senza alcuna logica se non
quella deturpativa di opere d’arte care non solo alla nazione ma che , più in generale,
appartengono di diritto al godimento estetico di tutta l’umanità.
2.2 Normativa in tema di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale
immateriale.
Per una giusta completezza dell’elaborato è d’uopo , a questo punto, una breve
disamina anche della normativa ( ed con essa delle recenti proposta di modifica alla
legge ) relativa al patrimonio culturale immateriale ovvero ai capolavori immateriali
quali ad esempio consuetudini sociali , eventi rituali e festivi, artigianato tradizionale
, cognizioni e prassi relativa alla natura ed all’universo, tradizioni ed espressioni
come il linguaggio, etc…i quali, pur non avendo una codificazione scritta, risultano
tramandati oralmente nel corso delle generazioni e che, in quanto espressione della
cultura immateriale, meritano- al fine di evitarne la scomparsa - tutela alla stessa
stregua dei beni materiali .
Annoveriamo, a questo punto, alcuni dei siti italiani che sono ritenuti -dalla
Commissione per il Patrimonio Mondiale- beni del Patrimonio Immateriale italiano
in ragione del loro valore universale: il canto a Tenore, l’opera dei Pupi e la Dieta
Mediterranea.
Ebbene, con riguardo a tali beni, la legge di riferimento è la n.77 del 20
Febbario2006 – modificata dal D.L .91/2013 ( Legge 112/2013) -concernente la
tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale immateriale- la quale qualifica i
siti italiani inseriti nella lista del patrimonio mondiale ( materiale) come “ punte di
eccellenza “ del patrimonio culturale , paesaggistico e naturale italiano e della sua
rappresentazione a livello internazionale .In particolare , per assicurare la
conservazione dei siti e la loro valorizzazione sono state appositamente previsti
piani di gestione e misure di sostegno quali lo studio delle problematiche relative ai
siti italiani UNESCO, predisposizione di siti di assistenza culturale e di ospitalità per
21
il pubblico, realizzazione di aree di sosta e sistemi di mobilità, diffusione della
conoscenza dei siti anche in ambito scolastico con sostegno ai viaggi di istruzione ed
alle attività culturali organizzate dalle scuole, valorizzazione del patrimonio
enologico caratterizzante il sito nel più ampio contesto di valorizzazione del
patrimonio tradizionale enogastronomico ; gli oneri economici previsti per l’anno
2015 ( pari ad euro 1,3 mln) risultano allocati sui capitoli dello stato di previsione del
Mibact.
Orbene , alla luce del rilievo nazionale dei beni immateriali al pari di quelli materiali,
è proprio di pochi mesi or sono , ovvero, in data recente 29 Settembre 2015 , la
proposta di modifiche alla Legge 77/2006 concernenti la tutela e la valorizzazione
del patrimonio culturale immateriale .
Difatti : con il nuovo comma 1 , lett. a), che novella l’art. 1 della legge 77/2006 ,
risulta esteso anche agli elementi italiani ricompresi nella Lista Unesco del
patrimonio immateriale mondiale quel valore simbolico già riconosciuto dalla L.
77/2016 ai siti italiani inseriti nella Lista Unesco del patrimonio materiale ; la lettera
b) dello stesso comma – che modifica la lettera d) del comma 1 dell’art. 4 della
Legge 77/2016 estende ai medesimi elementi immateriali le misure di sostegno
economico già rivolte al patrimonio materiale
L’intento , quindi, è quello di sostituire nella Legge 77/2006 ovunque ricorrano, il
riferimento ai “siti” con quello di “ siti ed elementi “ ( termine che ricomprenderebbe
in maniera più appropriata anche i beni immateriali) ed il riferimento alla “ lista del
patrimonio mondiale “ con quello “ alle liste del patrimonio mondiale “ .
A tal proposito, in data 24.5.2016 , il disegno di legge- approvato in data 4.5.2016
dalla VII Commissione permanente della camera dei deputati ( Cultura , scienza ed
istruzione )- veniva esaminato dalla 7^ Commissione permanente del Senato della
Repubblica ( Istruzione pubblica , beni culturali ) , Atto Senato n. 2371, ( fascicolo
Iter DDL S. 2371 ) chiamata ad esprimere una relazione sul disegno di legge ; ad
oggi il seguito dell’esame in sede consultiva e referente risulta rinviato e quindi in
attesa di esito.
22
2.3Conclusioni
Il fine di questa breve digressione è quello di risvegliare l’interesse verso questi
monumenti- testimonianza della cultura, della storia, degli usi, dei costumi e delle
tradizioni culturali e sociali degli italiani affinchè si avvii un percorso volto -da un
lato- alla migliore conservazione di tali beni- dall’altro- alla rievocazione delle
tradizioni culturali dei territori e monumenti di una terra ricchissima ed ancora da
scoprire .
Sarà cura della nostra associazione porre in essere un’analisi didascalica e culturale
dei beni , dei monumenti artistici e delle tradizioni dell’intero stivale in chiave non
statica ma con un approccio dinamico che badi soprattutto alla valorizzazione ed
anche alla incentivazione e creazione di nuove economie promuovendo
l’imprenditorialità turistica e favorendo, quindi, la crescita di un settore strategico
per l’economia del Paese.
2.4 Proposte operative
Lo scopo primario di Fareambiente è la valorizzazione del fiorente ed inestimabile
patrimonio culturale italiano , ricchezza e bene comune dell’intera nazione .
Per fare ciò ci siamo posti diversi obiettivi, quali la ricerca e lo studio di opere e
luoghi- anche non conosciuti a tutti – al precipuo fine di evidenziare come in Italia ci
siano tanti siti di incommensurabile bellezza che necessitano adeguata tutela,
valorizzazione e promozione e che solo attraverso un giusto riguardo all’intrinseco
valore, anche storico, possono ottenere l’attenzione ed il riconoscimento che
meritano anche per la crescita civile, sociale ed economica del nostro Paese .
Sarebbe opportuna una disamina ed un’attenzione non solo dei siti archeologici già
notissimi ma anche di quelli che , a seguito di interventi mirati di riqualificazione ,
possono risorgere a nuova bellezza.
L’anno 2015 si è rivelato un anno d’oro per il risveglio dell’interesse dei cittadini
italiani verso i musei ed arte museale ; riportiamo i più che confortanti dati registrati
dall’Istat in merito al numero di visitatori dei musei ed agli aumentati incassi
calcolati in relazione al precedente anno 2014 .
23
In linea nazionale, la crescita numerica è stata del + 6% ovvero circa 2,5 milioni di
persone in più rispetto all’anno precedente ed un aumento dell’incasso
corrispondente del + 14% ovvero circa venti milioni di euro in più !!. Stando alle
statistiche regionali ai primi posti delle regioni più visitate nell’anno 2015 ci sono, in
successione : il Lazio, la Campania , la Toscana, il Piemonte, la Lombardia ed il
Friuli Venezia Giulia. Nella classifica dei luoghi più visitati nel 2015 , sempre in
successione : il Colosseo, gli Scavi di Pompei, le Gallerie dell’Accademia di Firenze,
Castel S. Angelo, il Circuito Museale Boboli e argenti, il Museo Egizio di Torino, la
Venaria Reale, la Galleria Borghese, la Reggia di Caserta .
L’elevato numero di visitatori testimonia il desiderio degli italiani di rivivere la
propria storia attraverso l’arte ed una rigenerata sete di conoscenza.
Alla luce di questi dati , dunque, si può ben sperare in una incentivazione
dell’interesse verso l’intero patrimonio culturale degli italiani ( non solo con
riguardo ai musei) che da sempre arricchisce e rende consapevoli gli italiani della
grandezza della loro storia e delle magnifiche capacità artistiche ed intellettuali del
popolo italiano.
Sarebbe d’uopo promuovere ed incentivare, collaborando con i privati e le istituzioni,
la conoscenza delle opere mediante forme di pubblicità, campagne di
sensibilizzazioni, attività volte al miglioramento del materiale informativo e –
soprattutto- ad una migliore fruizione dei siti della cultura con una adeguata gestione
dei servizi accessori e connessi privilegiando, in particolar modo, una corretta
educazione al rispetto dell’ambiente e dei beni culturali .
La mancata fruizione dei siti culturali rappresenta un impoverimento non solo
culturale ma anche economico per l’intero Paese . L’apertura dei siti potrebbe creare
, in effetti, nuove ed interessanti opportunità di lavoro, soprattutto per i giovani;
tuttavia, in mancanza di una gestione imprenditoriale, per la necessità di fondi, in
attesa di un grande progetto di riqualificazione, la soluzione adeguata potrebbe
essere quella di affidare la concessione e gestione dei siti a soggetti non lucrativi che
potrebbero garantire almeno l’apertura al pubblico dei luoghi culturali.
Inoltre, al fine di migliorare la diffusione della conoscenza dei luoghi sarebbe
opportuna l’applicazione di innovative tecnologie informatiche finalizzate a
comunicare e rendere fruibile a tutti il patrimonio culturale italiano con la creazione
24
di un servizio affidabile in tema di beni archeologici, artistici e storici, architettonici
e paesaggistici.
Con particolare riguardo, invece, alla tutela del paesaggio risulta ad oggi opportuna
una disciplina legislativa per il contenimento del consumo incontrollato del suolo e
dell’edificazione selvaggia affinchè sia definitivamente tutelato il nostro paesaggio
agrario .
Sono , purtroppo noti, i livelli di degrado di alcuni piccoli centri ove la
cementificazione ha raggiuto livelli allarmanti, in alcuni casi – ma qui si apre un
discorso ben più grave- i territori risultano trasformati in discariche a cielo aperto o
in aree abbandonate e non sicure .
Tutto ciò costituisce una grave perdita di aree preziose per la nostra agricoltura e la
conseguente compromissione di tutto il paesaggio agrario .
Occorre, quindi, proporre riforme legislative in materia urbanistica per favorire la
tutela del patrimonio agricolo e paesaggistico e per pervenire la copiosa occupazione
di suolo libero , se del caso, anche ricorrendo a forme di incentivazione e/o
disincentivazione fiscale.
25
Capitolo terzo
Il sistema museale Italiano 3
3.1 Il sistema dei beni culturali italiano
Cosa è un bene culturale quale è a sua definizione? Dare una risposta a questa
domanda è complesso, la normativa in materia è molta e frammentaria, è a partire poi
dai primi anni ’70, i sociologi francesi (tra i quali Huet, Miège, Lacroix, ed in
particolare Girard)4, seguiti a ruota da quelli americani (Hirsch e Peterson),
iniziarono ad usare il termine “industrie culturali”, al fine di sottolineare come le
attività culturali si manifestassero per mezzo di un processo economico fortemente
radicato nella società, contraddistinto da alcuni aspetti tecnologici, da propri metodi
di organizzazione del lavoro, ecc., che in campo sociale influenzava pesantemente i
comportamenti di consumo unitamente agli stili di vita, e in quello economico
dimostrava di possedere una certa rilevanza ai fini produttivistici. È infatti da quel
periodo in poi che ci si rese conto della valenza economica della “cultura” e dei sui
retaggi e prodotti tramandati negli anni.
Molto importante, così come anticipato dagli autori precedenti, sono stati La Legge
Galasso, il Codice Urbani fino ad arrivare all’ultimo decreto del 2014 in cui si
definiva il nuovo “sistema museale italiano” costituito da 20 musei autonomi e di
una rete di 17 Poli regionali che avrebbe favorito il dialogo continuo fra le diverse
realtà museali pubbliche e private del territorio per dar vita ad un’offerta integrata al
pubblico. Nei musei dotati di autonomia speciale la direzione è stata affidata con un
bando internazionale nel 2015. I nuovi direttori sono stati individuati tra i massimi
esperti in materia di gestione museale e saranno soggetti a procedure molto rigide di
selezione da parte di una commissione composta da esperti di chiara fama ed elevato
livello scientifico.
Con il decreto musei si è avviata una riforma che puntava ( riuscendoci) a rafforzare
le politiche di tutela e di valorizzazione del nostro patrimonio dando maggiore
autonomia ai musei, finora grandemente limitati nelle loro potenzialità. Con tale
decreto è finalmente riconosciuto il museo, fino ad oggi semplice ufficio della
3 A Cura dell’Ufficio studi e ricerche di Fareambiente 4 http://www.beniculturali.it/
26
Soprintendenza, come istituto dotato di autonomia tecnico scientifica che svolge
funzioni di tutela e valorizzazione delle raccolte assicurandone e promuovendone la
pubblica fruizione. Sono stati inoltre definiti i musei e i luoghi della cultura che, in
sede di prima applicazione, hanno consentito ai poli museali regionali di diventare
subito operativi. Unica pecca di questa riforma è quella riguardante i piccoli musei,
solo di fatto, che sono rimasti tante piccole cenerentole, in attesa del principe azzurro
che le possa salvare.
Musei a rischio di chiusura per carenza di fondi, non solo pubblici ma anche privati.
3.2 Il sistema dei beni culturali italiano, i dati dell’ultimo biennio 2015-2016
Il sistema dei beni culturali italiano è molto complesso ed articolato. Non solo in
termini di tematismo ma anche di struttura organizzativa.
Secondo l’Istat5 sono 4.588 i musei e gli istituti similari, pubblici e privati, aperti al
pubblico nel 2011, di cui 3.847 i musei, gallerie o collezioni, 240 le aree o parchi
archeologici e 501 i monumenti e complessi monumentali.
In Italia, quasi un comune su tre ospita almeno una struttura a carattere museale: un
patrimonio diffuso quantificabile in 1,5 musei o istituti similari ogni 100 kmq e circa
uno ogni 13 mila abitanti. Le regioni con il maggior numero di istituti sono la
Toscana (550), l'Emilia-Romagna (440) e il Piemonte (397). Nel Sud e nelle Isole è
concentrato il 52,1% delle aree archeologiche, mentre al Nord sono localizzati il 48%
dei musei e il 43,1% dei monumenti.
Le tipologie prevalenti delle collezioni dei musei sono etnografia e antropologia
(16,9%); n seguono quelle di archeologia (15,5%), arte (11,9%), storia (11,4%), arte
sacra (10,2%) e arte moderna e contemporanea (9,9%).
5 http://www.istat.it/it/archivio/105061
27
28
Da come si vince dalla tabella, e da successivi grafici si evince che negli anni, tranne
che per un calo nel 2009, le visite presso i beni culturali, hanno avuto negli anni un
incremento sia in termini di presenze che di fatturato. Con un picco per gli introiti
lordi nel 2015-2016.
0
5000000
10000000
15000000
20000000
25000000
30000000
35000000
40000000
45000000
50000000
1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015
musei
A Pagamento Gratuiti Totale
degli Istituti a Pagamento Paganti degli Istituti a Pagamento Non Paganti degli Istituti a Pagamento Totale
degli Istituti Gratuiti Totale INTROITI LORDI * (Euro)
Il 2011 si mostra essere l’anno della ripresa più elevata per i monumenti e le aree
archeologiche, seguito a ruota dal 2015
29
Restano invece abbastanza omogenei i dati dei circuiti museali, che si mostrano una
crescita sin dal 1999, ma senza mai impennarsi in modo determinante, da
sottolineare che in questa categoria si ritrovano i principali musei e beni culturali.
30
Nel dettaglio si evidenzia come nel 2016 vi siano stati (nel primo quadrimestre),
incrementi di +2,5 milioni (+6%) nei beni culturali italiani rispetto a un
quadrimestre già in crescita nel 2015, registrando un aumento di un milione di
visitatori e del +16% di incasso nei musei statali, secondo inoltre del Ministero i
principali fruitori sono stati gli italiani. In totale sono stati circa 43 milioni le
persone che hanno visitato i luoghi della cultura statali generando incassi per circa
155milioni euro con una crescita dei visitatori e degli incassi del +6% i visitatori
(pari a circa +2,5milioni); +14% gli incassi (pari a circa +20milioni€); +4% gli
ingressi gratuiti (pari a circa +900mila).
Le regioni con maggiori risultati positivi risultano essere il Lazio (19.750.157
ingressi e 62.838.837€ di introiti), la Campania (7.052.624 visitatori e 35.415022 €
di introiti), la Toscana (6.738.862 visitatori e 29.890.419 € di introiti), il Piemonte
(1.903.255 visitatori e 10.829.653 € di introiti), la Lombardia (1.552.121 visitatori e
5.656.677 € di introiti) e il Friuli Venezia Giulia (1.194.545 visitatori e 1.151.233 €
di introiti) confermano i dati assoluti più alti. I tassi di crescita più elevati sono
invece stati registrati in Piemonte (+10% i visitatori e +61% gli introiti), Basilicata
(+13% i visitatori e +37% gli introiti), Puglia (+5% i visitatori e +44% gli introiti),
Toscana (+3% i visitatori e +19% gli introiti), Campania (+7% i visitatori e +13% gli
introiti) e Emilia Romagna (+9% i visitatori e +11% gli introiti).
31
Nel 2015 I dieci luoghi della cultura più visitati sono stati: il Colosseo (6.551.046
visitatori, +6% rispetto al 2014, pari a +369.344 ingressi); gli Scavi di Pompei
(2.934.010, +12% pari a +312.207 ingressi); gli Uffizi (1.971.596, +2% pari a
+35.678 ingressi); le Gallerie dell’Accademia di Firenze (1.415.397, +6% pari a
+79.656 ingressi); Castel S.Angelo (1.047.326, +2,5% pari a +26.007 ingressi); il
Circuito Museale Boboli e Argenti(863.535, +5% pari a +40685 ingressi); il Museo
32
Egizio di Torino (757.961 +33% pari +190.273 ingressi); la Venaria Reale (555.307
visitatori e una crescita del +6,5% degli introiti), la Galleria Borghese (506.442,
invariato rispetto al 2014); la Reggia di Caserta (497.158, +16% pari a +69.019
ingressi). A seguire, Villa D'Este (439.468), la Galleria Palatina di Firenze (423.482),
il Cenacolo Vinciano (420.333), il Museo Archeologico Nazionale di Napoli
(364.297), il Museo Nazionale Romano 356.345), gli Scavi di Ercolano (352.365), le
Cappelle Medicee (321.043), gli Scavi di Ostia Antica (320.696), il Polo Reale di
Torino (307.357), Paestum (300.347), il Museo Archeologico di Venezia (298.380) e
le Gallerie dell’Accademia di Venezia (289.323) .
Tra i luoghi della cultura gratuiti primeggia il Pantheon che è stato visitato da un
milione di persone in più rispetto allo scorso anno , a seguire il Parco di
Capodimonte e il Parco del Castello di Miramare di Trieste. 6
Un interessante dato è quello relativo alle domeniche gratuite ( che hanno consentito
anche a chi non può permetterselo di visitare in forma gratuiti i beni culturali statali,
i dati evidenziano come siano state 5 milioni le persone che complessivamente hanno
partecipato all'iniziativa. I dati mostrano che dalla prima edizione del luglio del 2014
le presenze sono sostanzialmente raddoppiate ed ormai si attestano sui 250/300mila
visitatori per ogni edizione, con picchi significativi, come quello della prima
domenica del maggio 2015 che ha il record di presenze con 435mila visitatori.
6 www.mibact.it
33
3.3 Beni culturali italiani fuori dai 20 musei più visitati a mondo
I dati quindi mostrano grandi progressi, che ci mettono ( non proprio) in
competizione con gli altri musei internazionali.
Se il Colosseo è il bene culturale più visitato in Italia con 6.551.046 visitatori, il
Louvre risponde ( essendo il museo più visitato al mondo ) con 8 milioni 600 mila
visitatori.7 La classifica dei 100 musei più visitati al mondo nel 2015 vede presenti
otto musei italiani, anche se nessuno dei nostri istituti compare fra i primi dieci, dove
si distinguono invece, da sempre, (e quest’anno anche in ascesa) i Musei Vaticani.
1) LOUVRE, Parigi, 8.600.000
2) BRITISH MUSEUM, Londra, 6.820.686
3) METROPOLITAN MUSEUM OF ART, New York, 6.533.106
4) MUSEI VATICANI, Città del Vaticano, 6.002.251
5) NATIONAL GALLERY, Londra, 5.908.254
6) NATIONAL PALACE MUSEUM, Taipei, 5.291.797
7) TATE MODERN, Londra, 4.712.581
8) NATIONAL GALLERY OF ART, Washington, 4.104.331
9) MUSEO ERMITAGE, San Pietroburgo, 3.668.031
10) MUSEO D’ORSAY, Parigi, 3.440.000
7 Giornale dell’Arte con The Art Newspaper 2015
Basilicata, visitatori con + 13% di presenze e + 37% di incassi
Campania, visitatori con 7.052.624 presenze (+7%) e incassi per 35.415.022 euro
(+13%)
Nel Lazio, visitatori con 19.750.157 presenze (+ 8%) e incassi per 62.838.837 euro
(+8%)
Toscana ,presenze in aumento del 3% e incassi per quasi 30 milioni di euro
Veneto, visitatori con 976.913presenze (+ 7%) e incassi per 2.497.568euro
Liguria, nel 2015 gli ingressi registrati sono 123.627 con introiti per 180.670 euro
(+29%).
34
Il primo degli italiani è comunque la Galleria degli Uffizi e Corridoio Vasariano,
quest’anno al 25 esimo posto (era al 26 un anno fa) con 1 milione 971.596 visitatori.
Seguono, al numero 37 la Galleria dell’Accademia di Firenze, al 43 Palazzo Ducale
di Venezia, al 56 il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo di Roma, al 68 Palazzo
Pitti (Argenti, Porcellane, Boboli, Museo del Costume, Museo Bardini) quindi
Palazzo Vecchio e Torre di Arnolfo al numero 73, il Triennale Design Museum di
Milano (al 76) e il Museo delle Antichità egizie di Torino (al numero 83).
Se a questi dati noi associassimo i dati relativi agli introiti la situazione sarebbe
ancora più disastrosa, essendo i costi dei beni culturali esteri più elevati.
3.4 I costi di gestione dei beni culturali italiani: il caso di un ipotetico museo
Sempre più oggi ci si è resi conto che per far funzionare un museo o u qualunque
altro bene culturale è necessario dotarlo di un manager lo che gestisca come una
impresa, cercando di ridurre i costi e incrementando i ricavi.
Un piccolo museo italiano, ad esempio sulla base degli importi desumibili dai
contratti collettivi nazionali ha come costo principale quello del personale, se si
considera una retribuzione media di 19.000 euro all'anno (più tredicesima e oneri a
carico dello Stato) e ipotizzando 6 custodi si arriva a quasi 200.000 euro l'anno. La
cifra dovrebbe comprendere anche eventuali indennità di turnazione, straordinari,
festivi, premi per frequenza di corsi, FUA (lo Stato paga un minimo a tutti i suoi
dipendenti per il solo fatto che sono presenti, oltre allo stipendio), missioni etc. che
sono difficilmente quantificabili. a questi è necessario poi aggiungere quelli relativi
alle assicurazioni, ai costi di eventuali contratti di vigilanza esterna (ad esempio per
orari notturni e festivi non coperti dal personale interno), all'impianto di allarme
(contratti di manutenzione ordinaria, assistenza 24 ore su 24, etc.), alla pulizia
(normalmente i musei italiani si affidano a imprese esterne).
Facendo un piccolo conto per un museo piccolo (4-5 sale al massimo) si può
arrivare a spendere circa 500.000 euro l'anno.
A questi è necessario aggiungere i costi di manutenzione che in genere sono stimati
intorno al 10% dell’investimento relativo all’allestimento.
35
Se invece consideriamo un museo che sia dotato di consiglio di amministrazione,
collegio sindacale, comitato scientifico si evidenzia come i costi lievitino
per la gestione, ipotetica, di un museo di 20 personoe
n. 20 persone complessive: di cui 2 dirigenti, 8 funzionari e 10 tecnici-
impiegati con rapporto di lavoro dipendente
n. 10 persone con contratti di collaborazione temporanea secondo la
legislazione di volta in volta vigente, tra le quali il direttore generale;
n. 20 persone con contratti di collaborazione temporanea secondo la
legislazione di volta in volta vigente, addette alla funzione di animatore.
Si può arrivare ad un importo complessivo pari a 1.300.000,00 euro annui.8
Per la gestione di tale struttura sono più elevati anche i costi di gestione operativa che
possono arrivare e superare anche i 300.000,00 euro
Senza poi dimenticare i costi per il marketing e promozione (intorno ai 200.000, 00
euro) e la manutenzione.
Se per ogni biglietto in media si paga 15 euro quanti visitatori paganti dovranno
fruire della struttura per coprire costi?
Necessario quindi lavorare molto sui servizi accessori, e sulla integrazione fra
strutture per poter ottenere una sostenibilità economia adeguata. Da ricordare poi
quelle strutture che sono “abbandonate a loro stesse” con più custodi che visitatori.!
3.5 Indagine sulla percezione da parte dei fruitori dei beni culturali
All’analisi sui flussi di visitatori l’ufficio Ricerche e Studi di Fareambiente ha
realizzato una indagine sulla percezione e sulla soddisfazione da parte dei fruitori
sulla gestione, sui servizi etc.
La ricerca ha visto coinvolto circa 800 individui, che hanno risposto al questionario
diffuso online. Si è utilizzato il web, in quanto il mezzo più veloce per monitorare gli
“umori dei consumatori”.
Il 20% degli intervistati è stato straniero, del restante 70% il 20 è risultato essere
giovane.
Il questionario, semi strutturato, è stato suddiviso in 3 parti. Anagrafica, gestione, e
servizi aggiuntivi.
8 http://www.imss.fi.it/
36
Per il 64% del campione le opere d’arte, ed i beni culturali visitati, da un punto di
vista oggettivo sono risultati “magnifici” di per sé, rispettando quindi le aspettative
che li avevano spinti ad organizzare il viaggio. Se però a questo dati si interseca
quello relativo alla gestione, alla pulizia, il valore percentuale scende al 37%. Il
campione soprattutto estero a sottolineato ( 34% ) la carenza nella pulizia non solo
dei servizi, ma anche delle sale, e/o dei luoghi pubblici.
Dalla ricerca è scaturita, infatti, una insoddisfazione sul tipo di servizio offerto. Il
67% trova carente i prodotti e i servizi proposti, il 34/% li trova soddisfacenti.
Altra problematica rilevata è stata quello dei costi. Il 43% ritiene i biglietti
abbastanza onerosi, risultano essere soddisfatti solo quelli relativi ai grandi circuiti.
In merito alle domeniche a fruizione libera, il 78% del campione ha sottolineato la
scarsa professionalizzazione e organizzazione.
37
Capitolo quarto
I beni culturali e il paesaggio9
4.1I caratteri distintivi dei beni culturali e del paesaggio
La legislazione vincolistica è stata per lungo tempo regolata dalla L. 1497/1939 che
disciplinava la tutela delle bellezze naturali, strutturandola attraverso la previsione di
vincoli delimitanti la fruibilità e la trasformazione dei beni e dei siti naturali
considerati dal legislatore meritevoli di una protezione più incisiva rispetto alla
normale disciplina prevista in materia di trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio. La normativa prevedeva una competenza capillare del Ministero per i Beni
e le Attività Culturali nel governo del territorio, con il ricorso ad una procedura
concertata tra l’ente territoriale e il Ministero, espletata attraverso la Soprintendenza
locale, per l’approvazione dei piani regolatori territoriali, con lo scopo di garantire la
protezione delle bellezze naturali e ambientali. Con l’avvento della costituzione la
tutela del paesaggio e del patrimonio artistico nazionale è stata assurta a principio di
rango costituzionale, con specifiche limitazioni. Nel dettaglio, la materia urbanistica
è stata delegata alla Regione, mentre allo Stato è stata devoluta la competenza in
materia di tutela del paesaggio. Successivamente, le funzioni inerenti alla redazione e
alla approvazione dei piani territoriali paesistici sono state trasferite alle Regioni,
fatta eccezione per la tutela delle bellezze naturali. Nel 1977 si è provveduto a
delegare alle Regioni tutte le funzioni amministrative in materia urbanistica, intesa in
senso ampio come uso del territorio comprensivo di tutti gli aspetti conoscitivi,
normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione
del suolo, nonché la protezione dell’ambiente. Con la legge Galasso del 1985 è stata
introdotta nell’ordinamento una tutela del paesaggio improntata a integralità e
globalità, vale a dire implicante una riconsiderazione assidua dell’intero territorio
nazionale alla luce e in attuazione del valore estetico culturale (Corte Cost. n.
151/86). In quest’ottica, la tutela del paesaggio nell’accezione estetico-culturale ha
9 A cura del dott. Barbato Biagio
38
assunto un valore sovraordinato rispetto ad ogni altro interesse pubblico e privato
inerente all’assetto ed all’utilizzo del territorio, sia sotto il profilo urbanistico, sia
sotto quello economico. La normativa ha previsto la creazione di un sistema
concorrente di poteri e di competenze tra lo Stato e gli enti territoriali, nell’ambito
dei quali l’intervento dello Stato, al di là della iniziale individuazione delle bellezze
naturali, si configura come potere di rimuovere situazioni di pericolo per l’ambiente,
anche potenziali, derivanti dal mancato o dall’errato esercizio delle funzioni delegate
alle regioni in materia di tutela delle bellezze naturali. Nel 1999 per la prima volta è
stata realizzata l’unificazione di tutti i provvedimenti esistenti concernenti la
disciplina dei beni culturali ed ambientali, attraverso un riordino e una
semplificazione dei procedimenti inerenti alle varie fasi di gestione e di tutela dei
vincoli, per realizzare un coordinamento formale e sostanziale dei vari organi
coinvolti. Analogamente, è stato dato risalto al fondamentale principio di leale
collaborazione tra poteri centrali e poteri locali nello svolgimento delle rispettive
funzioni, e, sul piano internazionale, alla cooperazione fra stati. Infine, nel 2004 è
stato elaborato il codice dei beni culturali e del paesaggio c.d. Codice Urbani,
modificato dal decreto correttivo del 2006.
La nozione giuridica di bene ambientale è direttamente speculare alla disciplina
positiva della tutela paesaggistica ed ambientale, vista l’impossibilità per l’interprete
di rinvenire nell’ordinamento un concetto ontologicamente univoco. Il d.lgs. 42 del
2004 fornisce una definizione giuridica sia del concetto di paesaggio sia del concetto
di beni paesaggistici. Il paesaggio è definito come una parte omogenea di territorio i
cui caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche
interrelazioni. I beni paesaggistici, invece, sono gli immobili e le aree costituenti
espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio,
e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge. In particolare, rientrano
nella categoria: le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o
di singolarità geologica; le ville; i giardini e i parchi, peculiari per la loro non
comune bellezza che non rientrino nel concetto di beni culturali; i complessi di cose
immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e
tradizionale, comprese le zone di interesse archeologico; le bellezze panoramiche
considerate come quadri e quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico,
39
dai quali si può godere lo spettacolo di quelle bellezze. Inoltre sono beni
paesaggistici: le aree dichiarate per legge di interesse paesaggistico, come i territori
costieri compresi in una fascia della profondità' di 300 metri dalla linea di battigia, i
terreni elevati sul mare, i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della
profondità di 300 metri dalla linea di battigia, i territori elevati sui laghi, i fiumi, i
torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni
di legge sulle acque ed impianti elettrici e le relative sponde o piedi degli argini per
una fascia di 150 metri ciascuna, le montagne della catena alpina per la parte
eccedente 1.600 metri sul livello del mare e 1.200 metri sul livello del mare per la
catena appenninica e per le isole. Sono inclusi tra i beni paesaggistici i ghiacciai e i
circhi glaciali, i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di
protezione esterna dei parchi, i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché
percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, le
aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici, le zone umide
incluse nell'elenco previsto dal d.P.R.13 marzo 1976, n. 448, i vulcani, le zone di
interesse archeologico. A queste ultime si aggiungono gli immobili e le aree tipizzati,
individuati e sottoposti a tutela dei piani paesaggistici.
La nozione di paesaggio, mentre originariamente identificava profilo estetico del
territorio, attualmente, invece, si è trasformata in un concetto complesso e polisenso,
carico di molteplici significati, qualificazioni e funzioni. Questo processo di
trasformazione semantica è stato determinato dal concorso di diversificati fattori, sia
culturali che di diritto positivo. Sotto il profilo culturale, il paesaggio è oggetto di
studio della geografia dell’urbanistica, della semiologia, dunque di diverse e
concorrenti rappresentazioni disciplinari, che si riflettono sulle concezioni stesse di
conoscenza, tutela, gestione, valorizzazione del paesaggio, recupero del paesaggio
degradato e di creazione di nuovo paesaggio. Queste diverse prospettive di analisi e
di qualificazione sono coese nel riconoscere il paesaggio come un oggetto in
continua trasformazione, implicante a livello giuridico, la risoluzione di molteplici e
spesso confliggenti dinamiche. Sotto il profilo del diritto positivo, si registra un
incremento delle intersezioni che si accentuano da un lato con il governo del
territorio e dall’altro con i beni culturali. In effetti, il paesaggio in termini di diritto
positivo è qualificato come centro di una sorta di quadrivio nel quale si intersecano il
40
governo del territorio, i beni culturali, i parchi e le aree naturali protette e l’ambiente
nel suo complesso. Ad esempio, le prime due intersezioni ineriscono ad un dato
oggettivo, in quanto il paesaggio da un lato, essendo la forma del territorio, si
intreccia con il governo dello stesso, dall’altro, essendo anche espressione della
civiltà e dell’identità dei luoghi, si interseca con la sfera culturale in senso lato. Il
codice Urbani all’art. 2 comma 1 ha inserito la nozione di paesaggio nei beni
culturali, assimilazione che ha creato una serie di problemi di non poco conto, poiché
i due campi si sostanziano in modo diverso. Basti pensare alla conoscenza, che
riguardo ai beni culturali è essenzialmente riconoscimento e inventariazione, mentre
nei beni paesaggistici è sostanzialmente localizzazione sul territorio e tipizzazione.
La tutela è invece per i beni culturali essenzialmente salvaguardia del bene in sé,
talvolta attraverso il restauro, mentre per il paesaggio è la determinazione degli usi e
delle trasformazioni compatibili ed avviene mediante uno strumento quale la
pianificazione spaziale d’area vasta, che non trova riscontro sul versante dei beni
culturali. I vincoli hanno funzioni e strutture giuridiche differenziate sui due versanti,
mentre, riguardo alla valorizzazione, si prefigura una accentuata diversità tra la
definizione di valorizzazione riferita ai beni culturali e quella riferita al paesaggio.
Per questa ragione, in sede di decreto integrativo si è avuta una sorta di “scissione”,
che ha accentuato la non sovrapponibilità tra le due sfere, lasciando comunque tra di
esse punti di contatto sia sotto il profilo teorico che sotto il profilo del diritto
positivo. In particolare, la valorizzazione riferita ai beni culturali comprende anche
la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposte a tutela compromessi o
degradati e la realizzazione di nuovi valori paesaggistici, mentre la valorizzazione
del paesaggio avviene in sede di gestione attiva che ha come obiettivi il
ristabilimento di una qualità quanto meno accettabile, se non ottimale, del paesaggio
e la creazione di nuove forme di paesaggio.
La separazione tra la disciplina del paesaggio e la disciplina urbanistica ha avuto
inizio dai vincoli paesistici. Nelle aree vincolate a legittimare trasformazioni non era
e non è sufficiente, salvo eccezioni, la conformità urbanistica ma è necessario un
previo “nulla osta”.
I vincoli attualmente sono di tipo provvedimentale singolare, ex lege, e di fonte
pianificatoria. I fattori che hanno concorso ad accrescere il peso dei vincoli sulla
41
gestione urbanistica sono rispettivamente dovuti alla giurisprudenza del Consiglio di
Stato, alla legge 431/85 e al piano paesistico. Riguardo ai vincoli provvedimentali
singolari, il Consiglio di Stato ha riconosciuto il nesso di presupposizione tra nulla
osta e licenza, con la conseguenza che in caso di annullamento dell’autorizzazione
paesistica decada conseguentemente anche la licenza, la concessione edilizia o il
permesso. Nel caso di specie, il codice all’art. 146 sancisce che non possa essere
rilasciata l’autorizzazione paesistica in sanatoria successivamente alla realizzazione
anche parziale degli interventi. L’emanazione della legge 431/85 ha prodotto un
enorme incremento delle aree vincolate, inserendo nuovi vincoli, ex lege, su vari tipi
di situazioni territoriali quali ad esempio le fasce costiere. I vincoli di fonte
pianificatoria, invece, sono stabiliti dal codice, il quale ha disposto che, in sede di
adozione del piano paesistico, possano essere individuate e dichiarate di interesse
pubblico ulteriori categorie di immobili.
Infine le modifiche al Codice hanno introdotto la dichiarazione di notevole interesse
pubblico, mutando definitivamente la struttura giuridica dei provvedimenti singolari
di “vincolo”. In origine questa dichiarazione si risolveva nell’individuazione
dell’area vincolata, ma, a partire dal codice del 2004, essa deve contenere una
specifica disciplina di tutela e valorizzazione delle aree e degli immobili cui si
riferisce. La puntualizzazione di detto provvedimento è stata introdotta dal decreto
correttivo n. 157 del 2006, che sancisce precise disposizioni sugli usi e le
trasformazioni della porzione di paesaggio in esso delimitata. In definitiva, il
provvedimento di vincolo non è più meramente procedurale e strumentale alla
valutazione discrezionale, ma deve contenere una disciplina di merito, ordinata alla
tutela e valorizzazione di specifici beni. Di conseguenza, i vincoli procedimentali
hanno uno specifico contenuto precettivo che riduce, in sede di autorizzazione
paesistica, la discrezionalità dell’Amministrazione procedente.
La disciplina di merito contenuta nel vincolo condiziona il settore urbanistico,
mentre il rafforzamento della disciplina del paesaggio nei confronti di quella
urbanistica è compensato dal fattorie istituzionale e da quello legislativo. Il primo
verte sulla scelta delle Regioni di subdelegare ai Comuni le funzioni relative al
rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche. Questa procedura ha sensibilmente fatto
prevalere gli interessi edilizi privati sugli interessi pubblici di tutela del paesaggio,
42
anche se un graduale diffondersi dei vincoli a contenuto precettivo ridurranno gli
spazi di manovra di questi ultimi. A livello legislativo, invece, sono state introdotte
alcune eccezioni al principio di obbligatorietà della previa autorizzazione
paesaggistica per incentivare l’elaborazione congiunta del piano da parte dello Stato
e delle Regioni. Infatti, la normativa sancisce che se il piano paesistico sia stato
approvato sulla base di un accordo preliminare tra Stato e Regione, la realizzazione
di opere o interventi possa avvenire previo mero accertamento della conformità al
piano, senza necessità di autorizzazione nel caso di interventi volti al recupero e
riqualificazione di aree gravemente degradate o compromesse.
4.2 La dialettica tra il paesaggio e il governo del territorio: la pianificazione.
La nuova disciplina sui piani paesaggistici ha sollevato alcuni problemi inerenti il
rapporto che intercorre tra i vincoli e il piano e l’ammissibilità costituzionale dei
vincoli paesaggistici c.d. del terzo tipo, rispetto a quelli posti ex novo dal piano.
Riguardo al primo caso, il decreto correttivo sancisce che il piano debba essere
integrato dei nuovi vincoli a contenuto precettivo, pertanto la discrezionalità dei
pianificatori sarà molto limitata, e contestualmente il piano dovrà assicurare un
tessuto coerente di prescrizioni all’intero territorio regionale. Il piano deve infatti
esaminare l’intero territorio nazionale, incluse le aree non vincolate. D’altra parte le
aree vincolate hanno regimi diversi a seconda che i vincoli stessi siano di fonte
provvedimentale, a contenuto precettivo, o relativi alle varie situazioni territoriali
elencate all’art. 142 del codice. Il problema dell’ammissibilità dei vincoli del terzo
tipo deriva dalla facoltà conferita al piano di assoggettare aree non vincolate, ma di
elevato pregio, ad una particolare disciplina rigorosa o limitativa di trasformazioni,
imponendo un doppio controllo, la conformità al piano, in sede dell’ordinario
procedimento al rilascio del titolo edilizio e nel procedimento di autorizzazione
paesaggistica. E’ indispensabile valutare la legittimità costituzionale e
l’indennizzabilità dei vincoli di fonte pianificatoria. Il dubbio costituzionale trova
fondamento in quanto il codice non esplicita i criteri e i valori in base ai quali i
vincoli possono essere posti dal piano, pur trattandosi di vincoli di fonte
43
provvedimentale caratterizzati da un’istruttoria più ampia ed approfondita, fondata
sull’analisi dell’intero contesto territoriale paesistico.
I piani paesistici, territoriali e quelli dei parchi e delle aree naturali protette hanno per
oggetto una dimensione spaziale comune, che incide su ampie aree di territorio.
Queste forme di pianificazione, pur avendo funzioni distinte, ineriscono alle stesse
porzioni di spazi territoriali. La dialettica tra il paesaggio e governo del territorio si
costruisce proprio nel rapporto tra la pianificazione paesaggistica e quella territoriale.
I criteri ordinatori delle discipline indicate sono previste all’interno del codice che ha
dettato una serie di principi e di regole, vincolanti per entrambi i tipi di piani,
riguardanti le finalità, l’elaborazione e la struttura, nonché i contenuti precettivi in
ordine alla tutela e alla valorizzazione. Il decreto correttivo invece ha ulteriormente
messo a punto la disciplina delle due figure pianificatorie, riservando un regime di
favore, nella gestione del paesaggio, ai casi in cui il contenuto del piano
paesaggistico sia stato concordato tra Stato e Regione. Il decreto ha puntualizzato la
struttura e le funzioni che i piani paesaggistici debbono avere, confermando la
sovraordinazione rispetto ai piani e programmi di vari tipi, a scala regionale e sub
regionale, ivi compresi i piani dei parchi e delle aree protette, ribadendo la centralità
dei piani nel sistema normativo di tutela, valorizzazione e promozione del paesaggio,
e sancendo l’ontologica alterità ed irriducibilità della pianificazione paesaggistica
rispetto alla pianificazione territoriale. La struttura del piano deve essere ordinata al
fine primario, che, di volta in volta, può integrarsi con gli interessi complementari
come ad esempio quelli dell’agricoltura - protezione o necessariamente con altri
interessi superprimari come quello ambientale, o di produzione di energia
rinnovabile. Questa situazione determina l’illegittimità delle leggi regionali che
hanno configurato il piano territoriale paesistico alla stregua di un piano meramente
territoriale. A tal proposito una sentenza della corte costituzionale n. 182/2006 ha
dichiarato illegittime alcune disposizioni della legge regionale della Toscana sul
governo del territorio che ha previsto la modifica del regime giuridico dei beni
paesaggistici senza che lo Stato abbia partecipato all’elaborazione del piano,
violando il principio secondo cui solo se il piano paesaggistico è stato elaborato
d’intesa, il vincolo paesaggistico che grava sui beni possa essere tramutato in una
disciplina d’uso del bene stesso. Nella pronuncia la Corte ha affermato che la tutela
44
dei beni culturali è riservata allo Stato, mentre la valorizzazione è di competenza
legislativa concorrente, e di conseguenza spetta allo Stato il potere di fissare principi
di tutela uniformi sull’intero territorio, precisando che il principio dei livelli minimi
di tutela valga anche in materia di paesaggio. Pertanto, le leggi regionali possono
assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale, nel rispetto delle
regole uniformi dettate dallo Stato. La Corte ha ribadito inoltre il carattere limitativo
della disciplina dettagliata, imposta dallo Stato, con specifica considerazione degli
interessi paesaggistici, cui le Regioni devono conformarsi. La sentenza aggiunge che,
all’art. 143 il codice detti in modo preciso la parte prescrittiva del piano, prevedendo
una modulazione del regime autorizzatorio a livello rafforzato, riguardante le aree di
pregio, a livello attenuato, concernente le aree di minor pregio, in cui la compatibilità
paesistica può essere valutata nell’ambito del procedimento autorizzatorio edilizio, e
infine, a livello escluso, per le operazioni di recupero e di riqualificazione. E’ stata
inoltre prevista una diversa modulazione del regime autorizzatorio nella misura in cui
il piano sia stato oggetto di elaborazione congiunta tra il Ministero e la Regione.
In sintesi, nel rapporto tra piani paesaggistici e piani territoriali si possono formulare
alcune notazioni, derivanti in primo luogo dal modello di pianificazione scelto dalla
Regione.
Qualora la regione scelga il modello del piano territoriale paesaggistico, questo, da
un lato, realizza l’integrazione tra la disciplina del paesaggio e quella del territorio,
dall’altro deve avere, ex artt. 135 e 143 del codice, struttura e funzioni in parte
diverse ed ulteriori rispetto a quelle di un piano territoriale ordinario. Questo
comporta che il piano abbia oltre a contenuti propriamente pianificatori, anche
contenuti programmatici, di indicazione di priorità, misure incentivanti e risorse per
gli interventi attivi. In secondo luogo sia il codice del 2004 che quello correttivo
hanno sancito la predominanza del piano paesaggistico regionale rispetto ai piani e
programmi di tutti i generi, aventi incidenza sul territorio ivi compresi quelli degli
enti gestori delle aree naturali protette. Infine il codice del 2004, il codice correttivo
del 2006 e la sentenza della Corte 182/2006 hanno fatto del piano il centro di gravità
di tutti gli istituti che compongono la disciplina del paesaggio, includendo i vincoli,
l’autorizzazione paesaggistica e la forma di sovraordinazione di questo strumento
agli altri piani. Nell’ambito dei vincoli paesistici, il piano ha una quadruplice
45
funzione. Esso localizza gli stessi vincoli sul territorio regionale, ove occorra li
impone ex novo o conferisce loro un contenuto precettivo, inserendo le disposizioni
nel tessuto pianificatorio. Dalla scelta del piano dipendono l’obbligatorietà
dell’autorizzazione paesaggistica e il parere vincolate espresso dal Sopraintendente
nell’ambito del procedimento autorizzatorio. Infine ai piani dei parchi spetta una
certa riserva di competenza, in quanto la sua subordinazione al piano paesistico
riguarda unicamente i profili di tutela del paesaggio e non comprende la tutela della
flora della fauna e delle componenti ambientali e gli interventi attivi di salvaguardia
degli stessi.
4.3 La distribuzione delle competenze nella gestione dei beni culturali.
La competenza, nel sistema di tutela delle bellezze ambientali e di gestione del
territorio, è strutturata a vari livelli, articolati sia in linea verticale sia a livello
orizzontale attraverso la creazione di strutture operative dipendenti dallo Stato,
Regioni ed Enti Locali. Si tratta di una distribuzione di funzioni derivante da una
legislazione sottoposta ai giudici di merito e di legittimità e al vaglio della Corte
Costituzionale. I principi costituzionali di assetto tra Stato ed enti locali delineano un
sistema di poteri e funzioni concorrenti, poiché nel nostro ordinamento il paesaggio
costituisce un valore etico - culturale. La natura concorrente dei poteri attribuiti alle
varie istituzioni, comporta una gestione del territorio coordinata e unitaria, sia nel
momento della pianificazione del territorio, sia nel momento della gestione
successiva del vincolo paesaggistico. Infatti l’ordinamento pur prevedendo in materia
una distribuzione di poteri esclusivi per ogni istituzione, ha formulato un sistema di
controlli di tipo gerarchico, attribuendo agli enti sovraordinati poteri sostitutivi nei
confronti degli enti sottordinati. Nel rispetto del principio di leale collaborazione, le
amministrazioni pubbliche devono adottare metodi di cooperazione per la definizione
degli indirizzi e dei criteri cui improntare le attività di tutela, di pianificazione, di
recupero, di riqualificazione e di valorizzazione del paesaggio e per la gestione degli
interventi concreti sul territorio.
Riguardo ai siti italiani UNESCO, è prevista l’approvazione di piani di gestione volti
alla loro conservazione e valorizzazione. Tali piani devono essere predisposti ed
attuati con le forme e le modalità previste dal Codice dei Beni Culturali e del
46
Paesaggio, e definiscono le priorità di intervento e le relative modalità attuative,
nonché le azioni esperibili per reperire le risorse pubbliche e private necessarie, e le
opportune forme di collegamento con programmi o strumenti normativi che
perseguano finalità complementari, tra i quali quelli disciplinanti i sistemi turistici
locali e i piani relativi alle aree protette.
Riguardo alla suddivisione delle competenze nella protezione delle bellezze naturali
in applicazione del principio di collaborazione, il codice urbani attribuisce al
Ministero dei Beni culturali il potere di individuare le linee portanti dell’assetto del
territorio nazionale in materia di tutela del paesaggio dettando le coordinate di
indirizzo della pianificazione regionale. Al Ministero è inoltre demandato il potere di
provvedere sulla richiesta di dichiarazione di notevole interesse pubblico,
sostituendosi alla Regione, qualora la Commissione regionale competente non abbia
formulato la propria proposta, ovvero qualora la Regione non emani il
provvedimento finale. Nel procedimento di dichiarazione istaurato in via sostitutiva,
è in ogni caso necessario interpellare l’ente comunale interessato territorialmente,
tenuto alla pubblicazione nell’albo pretorio e alla comunicazione della proposta alla
città metropolitana ed alla provincia interessate, mentre tutti gli altri adempimenti atti
garantire quelle forme di pubblicità e di partecipazione endoprocedimentale sono
portati a termine dall’organo ministeriale periferico che esercita il potere sostitutivo.
Il Ministero e la Regione hanno il potere di inibire i lavori, o sospenderli
temporaneamente, quando possono arrecare pregiudizio a beni immobili, che pur non
essendo oggetto della procedura di notifica e quindi non inseriti negli appositi
elenchi provinciali delle bellezze naturali e paesaggistiche, presentino caratteristiche
estetiche e naturali tali da poter essere qualificabili alla stregua di bellezze naturali. Il
Ministero, entro 60 giorni dalla ricezione della documentazione, ha la facoltà di
annullare l’autorizzazione rilasciata dalla amministrazione competente, in via
transitoria, fino alla approvazione dei piani paesaggistici e all’adeguamento degli
strumenti urbanistici generali di competenza degli enti locali. Tale prerogativa è
esercitata dalla soprintendenza, ove rinvenga la difformità dell’autorizzazione
rispetto alle prescrizioni dettate dalla legge a tutela del paesaggio. Infine il Ministero
gode di potere sostitutivo, in caso di inerzia della Regione, nella approvazione del
47
piano paesaggistico sentito il MATTM. Le competenze della regione tendono a
perseguire lo scopo della tutela dei valori paesaggistici attraverso la legge.
L’Ente locale è tenuto ad istituire apposite commissioni regionali, alle quali è
affidato il compito di formulazione delle proposte di dichiarazione di notevole
interesse pubblico delle aree e degli immobili meritevoli di tutela specifica. Il
procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico può essere instaurato
d’ufficio dalla Commissione, su iniziativa del direttore regionale ovvero su iniziativa
della Regione o degli atri enti pubblici territoriali interessati. La proposta deve essere
pubblicata per novanta giorni all’albo pretorio del Comune interessato, per garantire
la libera consultazione del pubblico e successivamente diffusa su due quotidiani
nazionali e sui siti della Regione. I soggetti pubblici territoriali interessati, nonché le
associazioni riconosciute che rappresentino interessi diffusi, possono presentare
osservazioni alla Regione entro trenta giorni dalla pubblicazione. La Regione è
tenuta a notificare l’avvio del procedimento per la dichiarazione al soggetto che
risulti proprietario, possessore o detentore del bene oggetto della procedura, nonché
all’ente territoriale ove il bene è ubicato, specificando i dati catastali, la proposta
della Commissione regionale e gli obblighi derivanti dal procedimento finale. Entro
trenta giorni, il detentore del bene o il soggetto che vanti un diritto reale sul bene può
presentare le proprie osservazioni alla Regione. Il provvedimento finale deve essere
emanato dalla Regione entro il termine ultimo di sessanta giorni dallo spirare dei
termini sopra indicati.
I poteri amministrativi in materia di paesaggio a livello costituzionale sono previsti
sia dall’art. 9 che sancisce “la Repubblica tutela il paesaggio” sia dall’art. 117 che
riserva allo Stato la competenza legislativa in materia di tutela e di individuazione
dei principi in materia di valorizzazione. La giurisprudenza Costituzionale invece
dalla sentenza n. 151/86 alla sentenza n.182/2006 si è pronunciata in favore della
possibilità da parte dello Stato di poter interloquire, attraverso forme di
concertazioni, anche nelle funzioni di pianificazione attribuite alle Regioni e di poter
esercitare funzioni sostitutive in caso di inerzia regionale. In definitiva, a partire
dall’art. 4 del codice, le funzioni di tutela del patrimonio culturale, al fine di
garantirne l’esercizio unitario, sono attribuite al Ministero che può anche devolverle
alle Regioni. Le funzioni amministrative di tutela dei beni paesaggistici sono
48
esercitate dallo Stato e dalle Regioni, mentre il Ministero esercita la potestà di
indirizzo e vigilanza e il potere sostitutivo in caso di inerzia. A tal proposito, l’art.
135 afferma che le Regioni, anche in collaborazione con lo Stato, approvano i piani
paesaggistici. L’art. 141 disciplina il potere sostitutivo ministeriale in caso di
mancata proposta di vincolo o di mancata dichiarazione di interesse pubblico e infine
l’art. 143 prevede il doppio regime di gestione del paesaggio, a seconda che il piano
paesaggistico sia stato approvato previo accordo con lo Stato o solitariamente dalla
Regione. Nel primo caso si configura un regime agevolativo con la possibilità
dell’esonero dall’obbligo di autorizzazione paesaggistica e con la possibilità per la
Regione di delegare ai Comuni il rilascio dei nullaosta. Nel secondo caso si prevede
un regime aggravato con l’autorizzazione obbligatoria e il parere vincolate del
sovraintendente.
4.4 L’autorizzazione paesaggistica.
L’apposizione del vincolo paesaggistico non comporta il divieto assoluto di
trasformazione e modificazione dei luoghi oggetto di vincolo stesso, ma soltanto
l’assoggettamento di siffatte iniziative alla previa autorizzazione della pubblica
amministrazione. La competenza al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica è
attribuita alla Regione, attraverso l’Assessorato competente, ovvero all’ente locale
territorialmente eventualmente delegato.
La regione, a sua volta, può demandare la competenza in materia di rilascio della
autorizzazione paesaggistica alla Provincia o a forme associative e di cooperazione
degli enti locali in ambiti sovra comunali. Tale delega di funzioni può essere
concessa anche al Comune, ma solo in caso di approvazione del piano paesaggistico
ed a condizione che esso abbia provveduto all’adeguamento dei propri strumenti
urbanistici, fermo restando il potere di intervento in via sostitutiva in caso di inerzia
o di mancato rispetto dei termini procedurali per l’emanazione dell’atto. Il Comune,
in quest’ambito, può valutare in modo autonomo anche gli interessi ambientali, nel
momento in cui esercita la funzione pianificatoria, attraverso la predisposizione e
l’adozione del suo strumento urbanistico generale. Nel caso di delega al Comune per
49
il rilascio della autorizzazione paesaggistica il parere della Soprintendenza è sempre
vincolante. L’ente territoriale competente, entro quaranta giorni dalla presentazione
della richiesta di autorizzazione, deve trasmettere alla Soprintendenza la proposta di
rilascio o diniego della autorizzazione, comunicando l’avvio del procedimento ai
soggetti interessati. Il termine resta sospeso sia nel caso in cui l’amministrazione
abbia richiesto l’integrazione della documentazione, sia nel caso in cui
l’amministrazione ritenga di dover procedere ad accertamenti d’ufficio, in ogni caso
per un periodo non superiore ai trenta giorni. La soprintendenza entro sessanta giorni
dal ricevimento della proposta di autorizzazione deve rilasciare il parere di
competenza, mentre l’amministrazione procedente può concludere il procedimento
con il rilascio o meno dell’autorizzazione paesaggistica, entro venti giorni dalla
ricezione del parere, ovvero allo spirare del termine di sessanta giorni per la
formulazione del parere. Il parere è sempre obbligatorio ma è vincolante fino alla
approvazione del piano paesaggistico ed all’avvenuto adeguamento degli strumenti
urbanistici comunali. Il legislatore ha espressamente stabilito che l’atto autorizzativo
sia autonomo e presupposto rispetto agli altri titoli abilitativi all’intervento edilizio e
lo stesso non possa essere rilasciato in sanatoria successivamente alla realizzazione
dell’opera. I lavori non possono in alcun caso iniziare prime del suo rilascio. Qualora
vi sia inerzia dell’amministrazione territoriale, decorso il termine finale di venti
giorni dalla data di ricezione del parere del soprintendente, i soggetti interessati
possono richiedere direttamente alla Regione il rilascio dell’autorizzazione, anche
tramite un commissario ad acta. La regione provvede entro il termine di sessanta
giorni dalla presentazione, sospendibile per una sola volta per compiere accertamenti
o per richiedere ulteriore documentazione. La richiesta deve essere presentata alla
competente sovrintendenza nel caso in cui, in caso di inerzia, la regione non abbia
delegato gli enti territoriali al rilascio di autorizzazione in via sostitutiva e
surrogatoria. Una volta rilasciata l’autorizzazione paesaggistica acquista efficacia,
trascorsi trenta giorni dalla data di emanazione e deve essere trasmessa sia alla
soprintendenza che ha emesso il parere, sia alla Regione, agli Enti Locali e, ove
esistente, all’ente parco, nel cui territorio è localizzato l’immobile o l’area sottoposti
a vincolo che siano oggetto dell’intervento. Le autorizzazioni paesaggistiche
rilasciate devono essere inserite in un elenco liberamente consultabile, aggiornato
50
ogni quindici giorni dal Comune, che contiene l’indicazione della data del rilascio,
un’annotazione sintetica della natura dell’intervento e informazioni sulla difformità o
meno del parere della Soprintendenza ove detto parere non sia vincolante. Per le
opere da realizzarsi a cura dell’amministrazione statale, il legislatore ha previsto l’
indizione di una conferenza di servizi tra gli enti e gli organi interessati
all’intervento, secondo le modalità della l. 241/90.
Il provvedimento di autorizzazione ai fini paesaggistici deve essere sempre espresso,
formale e motivato, non essendo prevista l’applicabilità dell’istituto del “silenzio
assenso”. Trascorsi cinque anni senza che sia stato realizzato l’intervento,
l’autorizzazione cessa di avere efficacia. Pertanto, il richiedente deve munirsi di un
ulteriore provvedimento amministrativo. L’autorizzazione paesaggistica si applica
anche a tutte le attività minerarie, alle attività di ricerca ed estrazione, ma non alle
autorizzazioni riguardanti la coltivazione di cave di torbiere. Inoltre, non è richiesto
preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per le aree espressamente
individuate nel piano paesistico, previa verifica di conformità alle previsioni del
piano e dello strumento urbanistico nelle ipotesi di interventi di manutenzione
ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e restauro conservativo, per
interventi che si inseriscono nella attività agro silvo pastorale, per gli interventi di
taglio colturale, di forestazione, di riforestazione nonché opere di bonifica,
antincendio e di conservazione di boschi e foreste per le quali è prevista
autorizzazione ai sensi della normativa specifica. La funzione e la finalità
dell’autorizzazione ai fini paesaggistici sono completamente diverse da quelle
attribuite all’autorizzazione urbanistico edilizia, sebbene entrambe siano rilasciate
dalla stessa autorità territoriale in virtù del regime della subdelega. L’autorizzazione
ambientale mira a tutelare l’integrità del paesaggio, mentre la concessione edilizia
tende a garantire uno sviluppo ordinato del territorio. Pertanto l’interessato dovrà
munirsi sia del nulla osta paesaggistico sia della concessione edilizia, prima
dell’inizio dei lavori, in quanto i due provvedimenti non sono né sostituibili nè
surrogabili tra loro.
51
Capitolo quinto
Cales10
5.1 Brevi Cenni Sulle Origini Dell’antica Cales
L’antica città di Cales, oggi Calvi Risorta in provincia di Caserta, è, sine dubbio, sito
archeologico di notevole importanza in Terra di Lavoro. Cales, infatti, è più antica di
Roma. In origine, nell’antichissimo villaggio, si fusero civiltà, culture e tradizioni
italiche di natura diversa da quella aurunca ed etrusca, a quella romana e sannitica.
Di seguito fu città maestosa tanto che Strabone, tra gli altri, la definì “urbs egregia”
nonché patria di artisti, poeti e personaggi storici. Da fonti attendibili conosciamo
che la popolazione calena era di circa 65 mila abitanti con oltre 20 mila famiglie e
che la città coniava “il Caleno” già nel III
sec. a.C.. Il suo periodo di massimo
splendore si ebbe tra il II sec. a.C. ed iI I
sec. d.C..
Nell’81 a.C., infatti, divenne Municipio romano arrivando ad avere una superficie
di oltre 60 ettari racchiusa da mura e difesa da un fossato profondo oltre i 20 metri.
Il suo territorio si estendeva dall’attuale Calvi Risorta fino a Pignataro Maggiore,
Sparanise e Giano Vetusto.
mLe fonti, ancora, ci riportano che era percorsa, trasversalmente, dalla via Latina
che, al Km 187, la divideva in due parti: la parte a nord, costituita da una piccola
altura, ove si ergeva l’Arx e la parte
10 A cura Carmen Izzo.
Immagine: Cassiano de Silva, Francesco (attivo tra la
fine del XVII e il principio del XVIIIsecolo)
Vienna, Österreichische Nationalbibliothek,On Alb 161
a.
52
a sud, ove si estendeva “l’Urbs”, l’agglomerato
urbano con il Foro, il Teatro, le Terme, l’Anfiteatro
ed il Tempio.
Divenne nel III secolo a.C. capitale della Campania Romana; dopo il 267 a.C. fu
sede di Questura e fu chiamata a vigilare sui porti della Campania e della Magna
Grecia. La città, mai completamente abbandonata, nel IV sec. diventò sede
vescovile.
Nel Medioevo l’arce della città antica fu racchiusa da nuove mura all’interno delle
quali, sui resti di un tempio, fu fondata la Cattedrale romanica di “San Casto”(sec.
XI); poi, su un precedente impianto di epoca longobarda, sorse il Castello Aragonese
(sec. X) nei cui pressi, successivamente, venne costruita la Dogana Borbonica ed il
seminario vescovile settecentesco. Fu feudo delle famiglie Del Balzo, Monforte e
Marzano.
5.2 BREVI CENNI STORICI
Zona di cuscinetto tra il Lazio e il Sannio, Cales, come le altre città della Campania
era contesa per la sua posizione strategica dai Sanniti e dai Romani.
Nel 420 a.C. i Romani sconfitti i Sanniti che la occupavano , la ridussero a colonia
romana con diritto di conservare cittadinanza ed amministrazione propria e facoltà
di battere moneta (il Caleno).
Fu proprio da colonia romana che Cales attraversò un periodo di grande prosperità.
Già nota per la confezione dei “fictilia”( vasi decorati con la tecnica della ceramica
calena, ceramica interamente ricoperta di vernice nera piomba, decorata
plasticamente da motivi ornamentali e figurati, impressi a stampo, di ispirazione e
di influenza ellenistica) e degli arnesi agricoli (aratri , torchi , zappe) vide in tal
periodo grandemente
esaltate le sue possibilità
agricole ed artigianali
divenendo da semplice
centro di consumo anche
piccolo centro di industria.
La moneta: il Caleno
53
Orazio, Strabone, Plinio, Giovenale e Frontino la decantarono per l’eccellente qualità
del suo vino e delle sue acque. La prosperità di Cales non durò a lungo perché, poco
più di un secolo dopo, la fiorente colonia romana cadde di nuovo sotto il dominio
prima dei Sanniti , nel 298 a. C., e poi di Annibale , nel 211.
Quando la guerra punica continuò dall'Italia nella Spagna, Cales dovette subire anche
rappresaglie delle milizie romane perché i Caleni non avevano fornito a Roma i
richiesti aiuti militari e
finanziari.
E’ per Cales l’inizio di
un periodo di
decadenza. I suoi
abitanti esposti per
secoli a continui
saccheggi ed
incursioni, decimati da
epidemie e terribili calamità naturali, oppressi dai barbari prima e dai saraceni poi,
alla fine dell'ottavo secolo d. C., abbandonarono la loro patria, ormai distrutta, per
cercare scampo altrove. Sorsero così i primi nuclei di quelli che sarebbero stati in
seguito i futuri centri abitati di Calvi Risorta, Sparanise e Francolise, ad ovest
dell'antica Cales.
5.3 Cenni sulle edificazioni presenti nella parte nord e sud della crocevia
5.3.1 Il castello medioevale
Situato alle porte settentrionali della pianura campana, il castello di Calvi aveva una
funzione di controllo sulla vecchia Via Latina, un'arteria stradale che ancora nel
basso medio evo assicurava la maggior parte dei collegamenti tra Roma e la
Campania. Il castello si presenta come una tipica fortificazione di epoca aragonese
con pianta quadrata e quattro torri cilindriche a base scarpata, innestate agli angoli.
Probabilmente, fu costruito proprio sul posto di un preesistente castello longobardo
di cui parlava Erchemperto, incorporandone le residue strutture.
Le torri non risultano piene nella loro parte inferiore ma vuote e con varie feritoie
dietro le quali trovavano posto i balestrieri e gli archibugieri. Il paramento murario
54
delle torri si presenta realizzato con blocchi di piperino scuro, lisci e regolari,
disposti con cura per linee orizzontali. Al castello si accede attraverso una porta
arcuata situata alla base della sua cortina occidentale. Questa immette in due
successivi cortili ai lati dei quali vi sono diversi locali, destinati evidentemente agli
alloggiamenti dei soldati. Attualmente il castello è interessato da lavori di restauro.
55
5.3.2 LA CATTEDRALE ROMANICA
La Cattedrale di Calvi costruita quasi sicuramente alla fine del IX secolo è, come la
maggior parte delle basiliche e cattedrali, orientata ad est dove sorge il sole simbolo
del Cristo Risorto.
La Cattedrale si presenta con una facciata dall'aspetto essenziale, con un semplice
paramento murario in tufo, ma abbellita da un bel portale con archivolto scolpito in
bassorilievo, raffigurante sequenze di animali e decorazioni vegetali, e terminante
alla base con figure umane.
Sul lato sinistro della facciata si può notare un altro ingresso, più piccolo, sormontato
anch'esso da un arco; al di sopra dell'ingresso si trovava un sarcofago di epoca
longobarda, asportato per motivi di sicurezza ma da riportare al più presto in loco,
nel cui clipeo centrale era raffigurato un busto femminile, forse quello di Gualferada,
moglie del conte di Calvi Pandolfo. La parte superiore della facciata è stata,
purtroppo, stravolta da interventi
settecenteschi che portarono alla
realizzazione dei tre finestroni
attualmente visibili. L'interno
dell'edificio è ripartito in tre navate
scandite, forse, in passato da due
file di colonne di epoca classica.
Attualmente l'aspetto architettonico
interno è di chiara derivazione
settecentesca. In compenso, l'esterno conserva ancora, soprattutto nel settore
absidale, le originarie caratteristiche romaniche.
56
5.3.3 IL TEATRO
Il Teatro, ubicato a sud della crocevia, nella zona mediana della città antica in
prossimità delle mura tra due porte urbiche e il foro, rappresenta l’edificio pubblico
più imponente di Cales.
Occupava uno spazio quadrangolare tra un asse viario a Sud e la terrazza di un’area
sacra a Nord. Una scala di tufo collegava il teatro al tempio, realizzando tra loro il
forte legame tipico del mondo greco.
Un primo edificio fu costruito già alla fine del II secolo a.C., probabilmente su un
terrapieno in parte contenuto da un muro e venne ampliato poi alla metà del I sec.
a.C.
La cavea poggiava su setti radiali con volte a botte conoidali in opera quasi
reticolata. L’innalzamento progressivo del setto verso l’esterno senza soluzione di
continuità ha fatto ipotizzare l’esistenza nel prospetto di un unico ordine gigante di
arcate su pilastri in opera quadrata, sottoposta al muro dell’attico. L’edificio scenico
conserva solo i resti degli ambienti di servizio realizzati in opera quasi reticolata,
reticolata, laterizia o mista.
57
Nel corso del I sec. d. C. la struttura subisce sostanziali modifiche e rifacimenti
determinati dall’innalzamento del livello della strada e di conseguenza del piano
pavimentale dell’orchestra all’interno della quale era stata creata una vasca-ninfeo
poi obliterata. Furono contestualmente creati nuovi sistemi di accesso alla media e
summa cavea (apertura di nuovi varchi, creazioni di due vomitoria) e su quest’ultima
probabilmente venne impiantato un piccolo tempio. L’abbandono dell’area in età
tardo-antica comportò un notevole saccheggio dell’apparato decorativo,
a giudicare dalla quantità di frammenti di marmi policromi rinvenuti (africano,
pavonazzetto, serpentino verde, rosso antico, cipollino, portasanta, ecc.) e dalle
modanature architettoniche in marmo e in tufo.
58
5.3.4 L’anfiteatro
L’anfiteatro di Cales, situato presso la porta nord–orientale della cinta fortificata, è
costruito in parte con la tecnica dello scavo del terreno tufaceo e in parte a terrapieno
artificiale.
Presenta analogie con l’anfiteatro di Pompei ed è databile tra il primo ed il secondo
venticinquennio del I sec. a.C. La cavea era originariamente costituita da gradinate
per il pubblico che partecipava ai giochi gladiatori (venationes) e da portali
monumentali di accesso all’arena ornati da semicolonne in laterizio, affiancati da
porte minori in opera reticolata.
Attualmente il monumento si presenta come una vasta e profonda conca ellittica.
L’arena e le cave mostrano che il luogo per lo spettacolo è stato ottenuto scavando
una vasta conca , in modo da poggiare le gradinate in declivio artificiale Le
gradinate, oltre ad essere affondate nel terreno, emergevano su un terrapieno,
ravvisabile osservando il dislivello esistente tra le fondamenta delle opere in
muratura pertinenti ad una fase successiva di ampiamento della cavea ed il piano di
campagna attuale.
Figura: Pianta dell'Anfiteatro Caleno
59
5.3.5 LE TERME
Le Terme settentrionali erano situate in prossimità del Foro, lungo il lato destro del
Cardo Maximus, scendendo dall’Arce.
La costruzione del II secolo d. C., è da considerarsi, dopo le terme di Mercurio e
Baia, e, accanto al nucleo delle terme Taurine presso Centumcellae, il più grandioso
complesso termale di età repubblicana finora conosciuto.
L’edificio viene realizzato in opera quasi reticolata di tufo e calcare con ammorsature
in tufelli o in laterizio.
Gli scavi realizzati hanno portato alla luce tutti gli ambienti funzionali. Di particolare
pregio risultano le decorazioni pittoriche parietali, gli stucchi i pavimenti a
mosaico, nonché gli arredi scultorei rinvenuti.
5.3.6 IL TEMPIO
Il Tempio si erge su un rialzo artificiale del terreno accumulato per rendere più
maestosa e visibile da ogni direzione la posizione del luogo di culto. La pianta del
podio ha una forma rettangolare.
Si tratta di un tempio “periptero esastilo”, ossia di un tempio che ha intorno alla cella
una fila di sei colonne.
Fu portato parzialmente alla luce con un primo intervento di scavi nell’anno 1938.
Nel corso dei lavori furono recuperati numerosi ex voto costituiti, per la maggior
parte, da vasetti e statuette miniaturistici.
Successivamente, nel 1960 un nuovo scavo ha portato alla identificazione di una
grande fossa, solo parzialmente esplorata, contenente un grande numero di oggetti
votivi, costituiti da statuette fittili e da ceramiche miniaturistiche.
60
Le statuette rappresentano sostanzialmente due “tipi”, uno a figura maschile con
caratteri stilistici di tipo italico, l’altro di tipo femminile di stile ionizzante; sono
databili, entrambi, alla prima metà del V sec A.C.
In prossimità della fossa votiva sono stati rinvenuti anche alcuni frammenti di
terrecotte architettoniche.
Non è possibile identificare la divinità venerata in quanto i resti archeologici non lo
consentono ma è possibile dedurre che, data la collocazione presso il Foro, doveva
essere un importante luogo di culto per gli abitanti dell’Antica Cales.
5.4 Proposte operative
Ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (art. 111), la valorizzazione dei
beni culturali si consegue mediante la “costituzione ed organizzazione stabile di
risorse, strutture o reti, ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o
risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all'esercizio delle funzioni ed al
perseguimento delle finalità” come indicate nell’art. 6 dello stesso Codice. A tali
attività possono concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati.
Partendo da questo assunto si po’ constatare come il vero strumento per la
valorizzazione dei beni culturali è la compartecipazione e la corresponsabilità fr ai
soggetti.
L’offerta integrata delle risorse può, inoltre, generare impatti economici diretti, con
l’esternalizzazione di attività e servizi legati alla sua gestione, come pure impatti
indiretti. Questi ultimi derivano non solo dalle più note ricadute sull’industria
turistica, ma anche dal fatto che il sistema che si sviluppa intorno al patrimonio
accresce l’aspetto di competitività di un territorio, rendendolo capace di attrarre più
di altri risorse umane e finanziarie, incrementando i flussi turistici, come pure
l’insediamento di attività produttive non necessariamente appartenenti al settore
culturale.
Ciascun museo, infatti, riflette la creatività locale, si collega alle istituzioni o alle
personalità che hanno commissionato le opere, ai luoghi per i quali sono state create,
ripercorre temperie culturali, scuole, tradizioni, paesaggi che raccontano la storia e la
vita dei luoghi.
61
Il museo italiano interpreta di fatto il territorio e continua nel territorio, nei suoi
monumenti, chiese, palazzi, accademie.
A questo stretto legame non corrisponde però di norma, o solo in pochi casi, un
altrettanto stretto rapporto tra luoghi della cultura e il contesto territoriale di
riferimento.
In particolare per quanto riguarda la valorizzazione integrata territoriale, mentre da
tempo sono stati realizzati sistemi museali locali, solo in anni più recenti alcune
istituzioni dipendenti dal Ministero hanno aderito a progetti comuni con altre
istituzioni; queste istituzioni sono comunque molto differenziate sul territorio
nazionale, a seconda della capacità e dell’impulso dato dagli enti territoriali.
In ultima analisi sono le strategie del museopiazza e del museo-stazione itineraria,
che trattiamo insieme poiché entrambe legate al principio della capillarità. La prima è
perfettamente spiegabile usando le parole di Dragoni: "la strategia del museo-
piazza[…] consiste nell'attrezzare ambienti e servizi di sosta, di incontro e di attività
socio-culturali liberamente accessibili anche per chi non fruisca della visita alle
esposizioni permanenti, avendo anche cura di dotarli di apparati informativi che
promuovano la frequentazione consapevole del territorio". La strategia del museo in
quanto cardine di un itinerario, invece, presuppone che esso funga da punto di
partenza per tracciati turistici innovativi e notevolmente più ricchi, in termini di
capillarità e significati, rispetto ai percorsi dei granturisti. Tale ottica consentirebbe
di operare in vista di una più adeguata distribuzione spaziale e temporale dei flussi
turistici, nel perseguimento della sostenibilità economica, sociale e culturale del
museo Italia
Il museo-piazza è, quindi, il luogo in cui iniziare la visita del luogo, dove i clienti
possono trovare strutture dedite alla loro accoglienza, dove, mediante plastici di
grande formato, possibilmente collocati a pavimento, viene loro offerta una prima
rappresentazione della città o del territorio in questione. Questa strategia è, dunque,
finalizzata a concepire il museo come una vera e propria vetrina dell'intero tessuto
culturale locale e, da questo punto di vista, sarebbe interessante realizzare anche
un'esposizione dei prodotti locali.
62
IL DIRETTORE DI UN MUSEO DI UNA GALLERIA DI UN SITO
ARCHEOLOGICO ETC DEVE DIVENTARE UN IMPRENDITORE E DEVE
MONETIZZARE QUANO HA IN GESTIONE.
63
Capitolo sesto
Criminalità organizzata e di singoli cittadini a danno della cultura11
6.1 Le ombre e gli insulti ai beni culturali italiani
È certo che la realtà criminale sia cambiata notevolmente nel corso del tempo; da
una semplice dimensione individuale essa si è evoluta sino a divenire
progressivamente più complessa ed articolata, abbracciando campi che mai nessuno
avrebbe immaginato. Questa complessità ed
articolazione ha portato alla
disseminazione di network criminali che
connettono, primariamente, il crimine
organizzato e il crimine comune, e, in
secondo luogo, il crimine organizzato con le
istituzioni e i consulenti professionali
dell’economia legale12. Le organizzazioni
criminali hanno dato vita, negli anni, in
questo campo, ad un centro di potere abile
nel minare la morale pubblica tramite la
corruzione e nell’infiltrazione all’interno
dell’economia legale. All’interno della sfera
strutturale di ogni organizzazione criminale
sono individuabili alcune caratteristiche di
fondo: deve trattarsi di una organizzazione
flessibilmente tempo o in definitivamente, al
fine di arricchire sé stessi e l’organizzazione,
mediante l’uso della corruzione e della violenza e la commissione di delitti13.
11 A cura dell’Ufficio studi e Ricerche di Faremabiente 12 Klaus von Lampe in “The Use of Models in the Study of Organized Crime” 13 Joseph Albini in “Donald Cressey’s contributions to the Study of Organized Crime: An evaluation -
e - Michael Lyman & Gary Potter in “Organized Crime”, Prentice Hall Publishing, 2010
64
Se si fa una analisi storiografica si evince come la criminalità organizzata sia sempre
esistita ma mai in modo coì palese, basta ricordare come anche nella fumettistica
siano stati usati casi quali Arsenio Lupen, Diabolik, giusto per citarne alcuni. Oggi
essa è caratterizzata da un’elevata specializzazione e ha bisogno di figure con
competenze ed esperienza in campi diversi, dai “tombaroli” o ladri, agli intermediari,
trasportatori e autisti, funzionari doganali, mercanti d’arte, esperti, restauratori,
dipendenti di case d’asta, ecc., che spesso lavorano in “network” tanto che si para di
ragnatela.
È necessario capire che i reati contro il patrimonio culturale non sono più, come in
passato, commessi tipicamente da piccoli delinquenti, contadini o modesti abitanti di
città che il destino ha fatto trovare prossimi a siti meravigliosi, o da piccoli mercanti
che hanno raccolto i risultati delle razzie o dei furti commessi dai primi, ma da
organizzazioni transnazionali di criminali che possono contare su una potente
struttura commerciale, mezzi logistici importanti e, talvolta, sulla complicità e il
sostegno delle istituzioni politiche e amministrative dello Stato.
Nel bilancio 2014/2013 dell'attività operativa dei Carabinieri Tutela Patrimonio
Culturale ha registrato una diminuzione dei furti per il 9,9% (da 676 a 609), un
aumento della scoperta di scavi clandestini (+20%; 59 scavi clandestini scoperti, 127
i denunciati). Il dato sulla falsificazione di opere d'arte è imponente, tanto che ne
sono state scoperte il 51,7 per cento in più: sono falsi sequestrati per un valore
corrispettivo di 427 milioni di euro se questi fossero stati inseriti nel mercato
nazionale e internazionale come veri.
La Regione dove si derubano di più opere d’arte risulta essere l’Emilia Romagna,
seguirà dal Lazio e Toscana, A seguire, Campania, Lombardia, Marche, Piemonte,
Puglia, Sicilia, Veneto.
I luoghi dove si subiscono maggiori furti sono le chiese, poi le collezioni private e, a
seguire, gli enti pubblici e privati.
Nel 2014 i Carabinieri Tpc hanno:
• riscontrato 183.857 oggetti con controlli fra commercianti, case d'asta, gallerie e
musei;
• individuato 592 beni trafugati (55 rimpatriati da Lussemburgo, Regno Unito, Usa,
Francia, Austria, grazie a 28 commissioni rogatorie internazionali);
65
• denunciato 1.301 persone (+3,3% rispetto al 2013);
• individuati e sequestrati 1.116 beni culturali (639 volumi e documenti d'archivio –
312 di tipo archeologico) messi in vendita su siti web;
• sequestrati beni culturali per 80 milioni di euro (esclusi i reperti archeologici
restituiti da musei/gallerie e collezionisti dall'estero o non quantificabili in valore
commerciale);
• recuperati 38.488 beni culturali (sempre esclusi quelli archeologici);
• attività investigative che hanno consentito il recupero di 17.981 reperti archeologici
e l'individuazione di organizzazioni criminali con ramificazioni all'estero;
• sequestrati 79.214 beni di natura paleontologica, spesso importati da altre nazioni
(reato di contrabbando);
• recuperati 4,406 beni culturali rubati all'estero e portati in Italia, restituiti a
Messico, Ecuador, Iraq, Grecia, Bulgaria, Romania, Argentina e Perù.
6.2 Atti Vandalici
Le opere d’arte e i Beni culturali in genere, oltre ad essere oggetto di criminalità
organizzata sono anche appetibili per chi, in modo un po’ distorto decide di voler
distruggerlo per gioco, per incuria, vandalizzandole o infine per poterne portare un
ricordo a casa.
La cronaca è piena di casi di turisti ( ultimo in ordine di tempo è stato il caso della
Barcaccia a Roma ad opera di alcuni tifosi a fine partita) che per divertimento o per
mancanza di senso civico decidono di arrecare danno ad una opera pubblica di
elevato valore storico culturale
Ultimo in ordine di tempo la rottura della zanna dell’elefante di Minerva, senza
dimenticare la devastazione degli holligans / ultras del Feyenoord alla Barcaccia a
Piazza di Spagna, o il prelievo di mura a Pompei ad opera di turisti francesi o
statunitensi.
Alla fine del rapporto viene fatta una riflessione sulle potenziali sanzioni o penali su
tali atti oltre alla istituzionalizzazione di una sezione speciale dedicata al patrimonio
delle guardie di Fareambiente
66
6.3 Deturpamento ed imbrattamento di cose altrui
Il reato di imbrattamento di cose altrui costituisce una forma secondaria rispetto al
delitto di danneggiamento, in quanto si differenzia perchè il danno suo costitutivo
è di facile e completa eliminazione.
Nel codice penale, è presente una norma a tutela del patrimonio e precisamente la
contravvenzione prevista dall’art. 733 c.p. in forza del quale: “Chiunque distrugge,
deteriora o comunque danneggia un monumento o un’altra cosa propria di cui gli
sia noto il rilevante pregio, è punito, se dal fatto deriva un nocumento al patrimonio
archeologico, storico o artistico nazionale, con l’arresto fino a 1 anno o con
l’ammenda non inferiore a 2.065,00 euro. Può essere ordinata la confisca della cosa
deteriorata o comunque danneggiata”.
È quindi necessario differenziare fra un reato di imbrattamento per un bene pubblico
e quello di un bene patrimonio culturale. Nel primo caso trattasi di una
contravvenzione e cioè, tenuto conto che i reati, nell’ordinamento italiano, si
distinguono in delitti (reati per le ipotesi normalmente più gravi) e contravvenzioni
(per quelle invece meno gravi), di un’ipotesi di reato non particolarmente grave e lo
dimostra la pena inflitta che non è eccessiva.
Nella normativa possiamo trovare il reato, così come stabilito dalla Cassazione
penale sez. II 12 febbraio 2015 n. 7082 , di deturpamento e imbrattamento di cose
altrui che è punibile soltanto a titolo di dolo. La suddetta fattispecie in esame può ben
essere sorretta dal dolo generico o da quello eventuale, che deve intendersi come
consapevole adesione all'evento punito dalla norma incriminatrice (esclusa, nella
specie, la responsabilità in capo al proprietario di un animale che aveva orinato su un
edificio di rilevante interesse storico, atteso che era emerso pacificamente che
l'imputato aveva con sé una bottiglietta ed aveva usato il liquido ivi contenuto per
pulire il muro).
67
Nel caso di bene culturale a livello nazionale si fa riferimento all’art 733 cp, che
tutela l’interesse collettivo a poter usufruire e godere della testimonianza passata
dalle propria civiltà, delle espressioni culturali delle epoche passate e delle
testimonianze storiche largamente diffuse sul territorio nazionale. È importante
quindi ricordare che, ai fini della configurazione del reato, non può quindi mancare (
per poter ricorrere alle sanzioni da applicare per il reato ) ad una motivazione sulla
rilevanza nazionale del bene, non solo per il valore comunicativo spirituale di ogni
opera culturale, ma anche per i requisiti peculiari attinenti alla tipologia, alla
localizzazione, alla rarità e ad altri analoghi criteri.
L’applicazione del reato ex art. 733 cod. pen. si perfeziona se e quando ricorrono
due condizioni:
la notorietà della rilevanza archeologica, artistica o storica del bene deve
essere evidente ed oggettiva
la consapevolezza di essere essere a conoscenza del rilevante pregio, per il
patrimonio culturale, del opera scultorea o architettonica come di altro tipo di
bene.
Non è indispensabile, quindi, che l’importanza culturale dell’oggetto del reato sia
formalmente dichiarata; quando ricorrono le due condizioni sopra dichiarate, è
68
irrilevante il fatto che il monumento o la cosa non sia sottoposto a vincolo
dall’autorità competente.
Per l’applicazione della norma è essenziale per la configurazione del reato de quo
sia stata verificata l’effettiva lesione al patrimonio archeologico, artistico o storico
nazionale atteso che tale nocumento costituisce una condizione obiettiva di punibilità
La cosa che lascia di certo basiti è : Chiunque distrugge, deteriora o comunque
danneggia un monumento o un’altra cosa propria di cui gli sia noto il rilevante
pregio, è punito, se dal fatto deriva un nocumento al patrimonio archeologico,
storico o artistico nazionale, con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda non
inferiore a euro 2.065. Può essere ordinata la confisca della cosa deteriorata o
comunque danneggiata.
A livello internazionale vi sono
- Convenzioni internazionali si affiancano alla Convenzione UNESCO del 1972
- la Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico (Londra
1969);
69
- la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio architettonico d’Europa (Granata
1985, ratificata con legge 15 febbraio 1989 n. 93);
- la Convenzione europea del paesaggio (Firenze 2000, ratificata con legge 9 gennaio
2006 n.14);
- la Convenzione per la protezione del patrimonio culturale sommerso (Parigi
2001);
- la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (Parigi
2003, ratificata con legge 27 settembre 2007 n. 167);
- la Convenzione sulle protezione e promozione delle diversità delle espressioni
culturali (Parigi 2005, ratificata con legge 19 febbraio 2007 n. 19).
Il Moviemento Faremabiente ha, negli anni istituto il corpo delle guardie eco zoofile
La guardia giurata ecozoofila è Pubblico Ufficiale poiché svolge funzioni di
esclusivo interesse pubblico (ambiente, tutela della fauna selvatica e degli animali,
ecc.). Le GUARDIE ECOZOOFILE sono guardie giurate nominate dal Prefetto e/o
dalla Provincia e svolgono un servizio operativo disgiunto da quello
dell’Associazione Dette guardie si contraddistinguono per l’univoca capacità di
relazionarsi solo alle norme di diritto e dispiegano una autonoma attività di vigilanza
e verbalizzazione (possedendo esclusiva caratterialità pubblicistica) e sono poste alle
dipendenze funzionali dell’Autorità Giudiziaria. Le guardie giurate ECOZOOFILE
sono polizia amministrativa (DLGS 112/1998 – DPCM 12/09/2000 – art. 13, comma
4, legge 689/81) e hanno in tale contesto i poteri di cui all’art. 13 della legge 689/81,
ovvero possono “…assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi
diversi dalla privata dimora, a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni
altra operazione tecnica. Possono altresì procedere al sequestro cautelare …”.
Il Corpo Nazionale delle Guardie EcoZoofile di FareAmbiente si prefigge
l’obbiettivo di concorrere alla realizzazione dei compiti statutari prefissati dal
Movimento Ecologista Europeo FareAmbiente mediante le seguenti attività:
70
a) prevenzione, controllo del territorio e vigilanza dinamica sul rispetto delle
Leggi, regolamenti locali, nazionali ed internazionali in difesa dell’ambiente e del
patrimonio naturale in genere nonché degli animali e della fauna selvatica;
b) rilevazione di tutte le alterazioni dell’ecosistema, e in particolare:
l’abbandono, il trattamento ed il relativo trasporto di rifiuti urbani,
ingombranti, tossici, pericolosi e non pericolosi nel rispetto delle disposizioni
di cui al D.Lgs. 152/06 e ss.mm.ii;
le discariche abusive, il depauperamento delle aree verdi, l’uso indiscriminato
di pesticidi;
gli scarichi inquinanti, abusivi o illeciti, civili ed industriali;
le violazione alla tutela dei parchi e dei giardini comunali o demaniali;
l’accensione di fuochi secondo quanto disciplinato dalla Legge 353/2000;
Per la tutela del Patrimonio culturale il movimento ha predisposto l’ Istituzione del
corpo “tutela patrimonio” delle guardie Ecozoofile di Fareambiente, con il
compito di tutela e salvaguardia dei beni culturali italiani.
71
Il Rapporto è stato sponsorizzato da
Triade srl