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27,00 le vite di carlo di borbone napoli, spagna e america le vite di carlo di borbone napoli, spagna e america una visione complessiva, a cura degli studiosi italiani e spagnoli più autorevoli, della vita di carlo di borbone, sovrano, nel corso del secolo dei lumi, di napoli, di spagna, delle americhe: un’indagine articolata, tra storia, politica, cultura, che mette in luce aspetti inediti della giovinezza di carlo e del suo dominio sulle terre del ‘nuovo mondo’. figlio di filippo V di spagna e dell’italiana elisabetta farnese, forte di una formazione di respiro europeo e delle esperienze regali plurali, carlo lascerà un segno indelebile nella politica e nella civiltà artistica e architettonica in italia e nell’impero immenso ereditato dal padre.

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le vite di carlo di borbone napoli, spagna e america

le vite di carlo di borbone napoli, spagna e america

una visione complessiva, a cura degli studiosi italiani e spagnoli più autorevoli, della vita di carlo di borbone, sovrano, nel corso del secolo dei lumi, di napoli, di spagna, delle americhe: un’indagine articolata, tra storia, politica, cultura, che mette in luce aspetti inediti della giovinezza di carlo e del suo dominio sulle terre del ‘nuovo mondo’. figlio di filippo V di spagna e dell’italiana elisabetta farnese, forte di una formazione di respiro europeo e delle esperienze regali plurali, carlo lascerà un segno indelebile nella politica e nella civiltà artistica e architettonica in italia e nell’impero immenso ereditato dal padre.

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a giuseppe galasso

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napoli, spagna e america

le vite dicarlo di borbone

a cura di rosanna cioffi, luigi mascilli migliorini, aurelio musi, anna maria rao

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coordinamento editoriale maria sapio

redazione gianluca puccio

art directorenrica d’aguanno

impaginazione franco grieco

finito di stamparenel novembre 2018per conto di prismieditrice politecnica napoli srl

stampaeffegi srl, portici

arte’m è un marchio registrato diprismi

certificazione qualitàISO 9001: 2008www.arte-m.net

stampato in italia© copyright 2018 byprismieditrice politecnica napoli srltutti i diritti riservati

Sotto l’Alto Patronato del presidente della Repubblica

comitato scientificoAntonio Álvarez Ossorio Alvariño Rosanna CioffiRenata De LorenzoLuigi Mascilli MiglioriniAurelio MusiGian Maria PiccinelliAnna Maria Rao

in copertinaJean RancCarlo III bambinoMadrid, Museo Nacional del Prado

alle pagine 22/23Scalone monumentale della Reggia di Caserta

con il contributo di

indice dei nomi a cura diGiulio Brevetti

referenze fotograficheBesançon, Bibliothèque municipaleEnna, Chiesa MadreFirenze, Archivio Fratelli AlinariGand, Biblioteca UniversitariaMadrid, Archivo Cartografico y de Estudios GeográficosMadrid, Archivo del Ministerio de Asuntos ExterioresMadrid, Archivo Fotográfico Museo Nacional del PradoMadrid, Archivo Histórico NacionalMadrid, Biblioteca Nacional de EspañaMadrid, Centro Geográfico del EjércitoMadrid, Museo de América, fotografia Joaquín Otero Ubeda ©Ministerio de Educación, Cultura y DeporteMadrid, Museo Naval / Ministerio de MarinaNapoli, Archivio di StatoNapoli, Archivio Fotografico della Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III”Trapani, Museo Regionale PepoliCopyright per le immagini: © Ministero per i Beni e le Attvità Culturali; Enti e Musei proprietari delle opere

8 Introduzione Rosanna Cioffi

10 Nuovo e Vecchio Mondo: lo spazio imperiale di Carlo Luigi Mascilli Migliorini

14 Le età di Carlo Aurelio Musi

18 Le vite di un re Anna Maria Rao

24 Le vite di Carlo di Borbone. Napoli, Spagna e America Giuseppe Galasso

33 Carlo di Borbone, Maria Amalia di Sassonia e Luigi Vanvitelli Cesare de Seta

44 Los tres grandes viajes de Carlos III Ignacio Gómez de Liaño

81 L’occhio della madre. La politica internazionale di Elisabetta Farnese Giulio Sodano

92 Carlo di Borbone in Italia prima di Napoli Giuseppe Caridi

106 La cultura europea del giovane Carlo e il suo gusto artistico Rosanna Cioffi

Sommario

1716 / 2016

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299 Carlo di Borbone per i papiri ercolanesi Mario Capasso

309 Il Real Sito di Carditello negli anni di Carlo di Borbone Elvira Chiosi, Aniello D’Iorio

320 I Venuti e Carlo di Borbone: storia di una relazione politica e culturale Paolo Giulierini

324 Carlo “rex aedificatorius” Paolo Giordano

342 Cartografia e scienza a Napoli durante il regno di Carlo di Borbone Simonetta Conti

354 L’età carolina tra Imperi e Stati Aurelio Musi

361 Raynal, Diderot e le riforme americane di Carlo III Girolamo Imbruglia

370 La influencia del proyecto de las nuevas poblaciones de Sierra Morena y Andalucía en América. Bernardo Darquea y Riobamba (Ecuador) en 1797 José Miguel Delgado Barrado

381 Redescubrimiento de América. Pervivencia y cambio en la cartografía durante el reinado de Carlos de Nápoles y España Mariano Cuesta Domingo

397 Bibliografia

415 Indice dei nomi

116 Interpretazioni cinematografiche del progetto palatino di Carlo di Borbone: la Reggia di Caserta nel cinema Gloria Camarero Gómez

127 Carlos III, su visión de la nobleza y la aristocracia española David García Hernán

139 Nobiltà e politiche nobiliari nel Regno di Napoli nel periodo di Carlo di Borbone Giuseppe Cirillo

153 Poteri e riforme nella Sicilia di Carlo di Borbone Rossella Cancila

164 Le riforme Anna Maria Rao

174 Tra economia e mercato: il riformismo di Carlo Vittoria Ferrandino, Amedeo Lepore

190 Una biblioteca per il nuovo Regno Maria Gabriella Mansi

199 La Real Biblioteca Pública bajo Carlos III: la institución, los hombres y los conflictos M. Victoria López-Cordón Cortezo

212 La pittura e le arti tra Napoli e la Spagna all’avvento di Carlo di Borbone. Prospezioni sull’evoluzione dell’architettura dipinta Riccardo Lattuada

258 Ori, argenti e coralli al tempo di Carlo Maria Concetta Di Natale

269 Musica e teatro a Napoli nell’epoca di Carlo di Borbone Francesco Cotticelli, Paologiovanni Maione

280 Il Palazzo e le residenze reali Paolo Mascilli Migliorini

289 Carlo di Borbone alla conquista di un trono. 1731-1744: da Siviglia a Velletri Gina Carla Ascione, Imma Ascione

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ORI, ARGENTI E CORALLI AL TEMPO DI CARLO  259258  MARIA CONCETTA DI NATALE

La nomina a re utriusque Siciliae del giovane Carlo (1716-1788) il 15 maggio 1734 segnò la fine della breve parentesi di governo austriaco nell’isola. Egli, dopo aver ottenuto il controllo della Sicilia con l’incoronazione avvenuta nella Catte-drale di Palermo il 3 luglio 1735 secondo il rituale fissato nel Pontificale Roma-no, rientrava a Napoli per realizzare “una stretta simbiosi con l’élite culturale napoletana la quale diventa il supporto principale per la sua politica riformista mirata a realizzare un progetto di rinnovamento dello Stato”1.L’olio su tela realizzato tra il 1716 e il 1717 da Michel-Ange Houasse (1680-1730), pittore della Corte spagnola dal 1715 al 1722, custodito alla Reggia di Caserta, lo raffigura neonato nudo in una sorta di culla en bateau con accanto le insegne del Toson d’oro, onorificenza simbolo dei sovrani di Spagna, Asburgo e Borbo-ne, e dell’Ordine di Santo Spirito2. Queste rimarranno una costante nei dipin-ti che lo rappresentano, come nel caso del ritratto madrileno a nove anni ope-ra del 1725 circa di Jean Ranc (1674-1735)3, abile ritrattista e pittore di camera del padre Filippo V (1683-1746) dal 1722 al 1735, o in quello a undici anni dello stesso pittore, oggi al Prado, in cui Carlo è a figura intera con un abito di vel-luto azzurro ricamato in oro4. Anche il primo ritratto italiano di Carlo di Borbo-ne come duca di Parma eseguito nel 1732 a Firenze, dove all’epoca risiedeva, dal pittore genovese Giovanni Maria delle Piane detto il Molinaretto (1660-1745), con lo scopo di inviarlo in Spagna ai suoi genitori, lo raffigura con un sontuo-so abito rosso ricamato in oro, sul petto il Toson d’oro e l’insegna dell’Ordine di Santo Spirito e alla sua destra, su una consolle, la corona ducale poggiata su un manto d’ermellino5.Il collare dell’Ordine del Toson d’oro, istituito nel 1430 da Filippo III di Borgo-gna detto il Buono per celebrare il proprio matrimonio con la principessa por-toghese Isabella d’Aviz, è scolpito come attributo privilegiato di Carlo anche in una piccola “scultura” in corallo della collezione Liverino di Torre del Gre-co, che verosimilmente si può riferire a maestri trapanesi della prima metà del XVIII secolo6. A questo proposito si ricorda che tra coloro che lavorarono per il sovrano vi fu lo scultore trapanese specializzato in lavori in avorio Nicolò Pe-corella (Pecorilla), che si trasferì al Palazzo Reale di Napoli per una ricompen-sa mensile di 25 ducati e dallo stesso Carlo ricevette la direzione dell’officina di San Carlo alle Mortelle e la sorveglianza degli scavi archeologici di Ercolano,

Maria Concetta Di NataleOri, argenti e coralli al tempo di Carlo

Stabia e Pompei7. Anche l’intagliatore fra’ Giuseppe da Alcamo il 10 dicembre 1735 gli consegnava una “scaffarata” in legno finemente lavorata e rivestita di velluto rosa contenente un “Bambinello” in cera circondato da perle, corallo, frutti e fiori di smalto8.I venticinque anni del suo governo di Napoli e Sicilia determinarono un pe-riodo di stabilità politica che ebbe una decisiva influenza anche sullo sviluppo delle arti figurative. Ricorda Alvar Gonzáles-Palacios, citando il pittore, archi-tetto e incisore francese Antoine-Laurent Castellan, autore delle Lettres sur l’I-talie (1819), che“Carlo di Borbone fu sovrano famoso per il suo gusto per le arti liberali e soprattutto per le arti industriali che procurano forse meno gloria ma contribuiscono molto di più alla prosperità di una nazione. Fra queste ultime vanno annoverate le manifatture d’arazzi, di piani in pietre dure – una sorta di mosaico – e di porcellana paragonabili a quelle di Sèvres: attività che accrebbe-ro gli scambi commerciali ed il benessere di un gran numero di artefici napo-letani”. Sono questi gli anni in cui si assistette a un’internazionalizzazione che prediligeva ora la cultura francese in diversi aspetti della vita di corte, non sol-tanto per la commissione di opere d’arte ma anche di abiti, gioielli, arredi e di ogni sorta di oggetto atto a soddisfare le esigenze di vita quotidiana. Nel cam-po delle arti decorative si spaziava dalle minuterie – tabacchiere, orologi, bot-toni, fibbie, fermagli – ad opere più rilevanti, alcune delle quali eseguite pro-prio da rinomati artisti francesi del tempo. Ne sono un esempio la toilette in vermeil che l’orafo e argentiere parigino Thomas Germain (1673-1748), sopran-nominato “mano divina” e padre del celebre François-Thomas Germain (1726-1794), attivo ugualmente presso la Corte di Francia, realizzava nel 1738 insie-me ad altri oggetti in oro in occasione del matrimonio del re, manufatto che sprigiona tutte le potenzialità espressive tipiche del Rococò; e la corona, opera dell’orafo avignonese Claude Imbert, della ricordata incoronazione che avven-ne nel 1735 nella cattedrale di Palermo per mano dell’arcivescovo Matteo Basi-le, in carica dal 1731 al 173610. Carlo il 30 giugno fece il suo solenne ingresso in città da Porta Felice e “processe indi senz’altra interruzione la pompa verso il Duomo, per la gran strada del Cassaro che era ornata di tappezzerie, di mac-chine ed archi trionfali”11, dove fu incoronato domenica 3 luglio, come ricor-da ancora oggi l’altorilievo commemorativo in marmo del portico meridiona-le della cattedrale. La corona “era di forma piramidale, composta di un cerchio coverto, su del quale estollevansi cinque curve alte, che sosteneano un glob-bo all’intutto sferico, rappresentante il Mondo, che in un suo punto al di sovra avea ben lavorata croce di oro”12. Pesava “19 once, di cui 13 d’oro, l d’argento e 5 di diamanti: questi ultimi erano 361, uno dei quali di 168 grana di peso. Il costo era di un milione e duecentomila pezze”13. Dovrebbe verosimilmente trattar-si del manufatto presente nel dipinto del 1736 circa attribuito ad Antonio Seba-stiani (attivo tra il 1734 e il 1745), allievo del Molinaretto a Parma, custodito nel Palazzo Reale di Caserta (tav. 25), che raffigura il sovrano a mezzobusto con al collo un prezioso collare da cui pende il Toson d’oro con acciarini in forma di B, riferimento alla casa di Borgogna, e pietre focaie da cui fuoriescono scintille14.Nell’Archivio di Stato di Napoli si conserva un’incisione su rame del disegno della corona che comprende una precisa descrizione delle pietre e dei metalli utilizzati per la sua realizzazione (tav. 26)15. In essa si legge: “Primieramente la

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ORI, ARGENTI E CORALLI AL TEMPO DI CARLO  261260  MARIA CONCETTA DI NATALE

Corona e composta di sei Branche arricchite tutte di Diamanti Brillanti perfet-ti con distinzione e sapere, e la Branca di mezzo, che viene avanti e Composta di 19 Diamanti, tra li quali ve ne uno a otto angoli, di peso di 168 grani, Color di Viola perfetto, gli altri sono di peso di grani 26 sminuendo sino a 12 grani; da la parte della sfera, l’altre cinque Branche sono composte di 128 Brilanti, di grani 18, ciascheduno diminuendo insino a cinque grani i tutte le cinque Bran-che. Di più all’intorno di detta Corona vi sono 12 fiori, cioè sei grandi, e sei pi-coli, li quali grandi vi è alli tre dinanzi Brillanti in ovato di peso di 44 grani l’u-no, e l’altri due sono di 42, e 41 grano, e li tre di dietro sono a otto angoli di 30 grani ciascuno, e le sei picole i suoi Brilanti pesano quindeci grani ognuno li quali dodici fiori hanno ancora quatro Brilanti, ciascuno di peso di 5 grani. Di più dodeci mezze lune intorno del Cerchio sono composte di cinque Diamanti ognuno, le quatro mezze lune dinanzi, suoi principali Diamanti Brilanti sono ovati di peso di grani ventitre ognuno, e li 4, che vi sono intorno pesano quatro grani l’uno, e l’altro otto mezze lune li suoi principali Diamanti pesano 14 gra-ni l’uno, e due grani gli altri quatro che sono intorno de principali Diamanti. Il Cerchio della Corona è composto di 84 Brilanti, quello, che è in mezzo la sua forma è a otto angoli di peso di 64 grani, e gli otto che vi sono a ogni parte so-no di peso di 32 grani l’uno, e l’altri di 24 grani in sino a dieciotto. Di più di so-pra della Corona vi è l’Mondo con sua sfera arricchita di Brilanti con una pico-la Croce di Brilante, che e sopra del Mondo. Il peso di questa superba, e magni-fica Corona, e di diecinove oncie, alli quali tutti i Diamanti insieme pesano cin-que oncie, tredici oncie d’Oro, e un oncia d’Argento, che quella oncia d’Argento mantiene 361 Diamanti; il valore detta Corona è di 1200000 Pezze”16.L’orafo e argentiere Thomas Germain aveva già servito in diverse occasioni Eli-sabetta Farnese (1692-1766)17, madre di Carlo, come quando tra il 1727 e il 1728 inviava da Parigi a Madrid diversi articoli da toeletta che dovevano fungere da modelli tipologici e stilistici, mentre argentieri della regina di Spagna furono anche i fratelli argentieri Lerreur –Yves, Jean Thomas e Tangui – che nel 1735 realizzavano il servizio completo di piatti che Carlo avrebbe utilizzato una volta giunto a Napoli18. Durante il regno di Filippo V di Borbone e di Elisabet-ta Farnese, genitori di Carlo, numerosi furono, infatti, gli argentieri francesi al servizio della famiglia reale, tra cui Jean Forget, i già citati fratelli Lerreur, Jean Henri Arnal e Claude II Ballin19. Già nel 1731 Elisabetta commissionava a Yves Lerreur piatti per il suo servizio20.È noto che Elisabetta fosse una grande estimatrice di gioielli, con i quali le pia-ceva sovente posare nei ritratti come regina di Spagna, nonostante il marito Fi-lippo V avesse emesso in varie occasioni normative per frenare spese volut-tuarie in relazione all’oro e all’argento21. All’inizio del 1732 con la morte dello zio Antonio Farnese, duca di Parma e Piacenza, Elisabetta entrava in posses-so dell’eredità avita che spettava al figlio, l’infante Carlo, quale successore dei Farnese. Fu stilato un inventario di gioielli “secondo un documento datato in Parma il 6 marzo dello stesso anno che venne inviato ad Elisabetta attraverso il suo segretario personale, il marchese Annibale Scotti […] Tra tutti si distin-guevano quello denominato “gran diamante”, ancora grezzo, il cui valore ap-prossimativo era di tre o quattromila dobloni, cifra enorme per l’epoca […] un collare del Sacro ordine costantiniano un anello, una croce, alcuni orecchini di

diamante incolore e alcuni gioielli con perle”22. I diamanti erano a quel tempo particolarmente in auge, una caratteristica consolidata della vita di corte. Es-si, grazie all’imponente sfruttamento delle miniere brasiliane, aumentarono la loro presenza sui mercati europei e vennero tagliati principalmente secon-do il sistema ideato dall’italiano Vincenzo Peruzzi alla fine del Seicento, il cosid-detto taglio a brillante triplo in grado di garantire il massimo della brillantezza alle pietre.I disegni floreali simmetrici e il tema del fiocco, come testimoniano alcuni ma-gnifici ornamenti da corpetto simulanti dei bouquet, continuarono a essere po-polari fino al quinto decennio del Settecento, quando il Rococò introdusse l’a-simmetria e il gusto per i colori23. Ne è un esempio il ritratto ufficiale di Eli-sabetta Farnese datato 1723 circa del pittore Jean Ranc custodito al Museo del Prado24, che mostra sul capo della regina un ornamento che ebbe grande for-tuna all’epoca, una aigrette in oro, pietre preziose e perle che sembrano sospe-se come gocce di pioggia sulla sua acconciatura. Tale moda fu ben presto se-guita anche da altre nobildonne della famiglia reale, come dimostra il ritrat-to del 1743 di Van Loo (1700-1765) che raffigura La famiglia di Filippo V25. L’aigret-te di diamanti che indossa nell’opera la moglie di Carlo, Maria Amalia (1724-1760), potrebbe essere verosimilmente quella che nel 1738 le aveva donato la suocera26. Ricorda a questo proposito la Muller che “while Maria Amalia ow-ned other piochas of brilliants – some shaped as rosettes, some with almond or pear-shaped pearls – she had also a floral piocha later given to the infant Maria Josefa”27.A proposito degli ornamenti da capo il ramo fiorito fu uno dei gioielli più ca-ratteristici dell’oreficeria siciliana nel periodo del pieno barocco, monile che, tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, sostituì gli ornamenti ingemmati privilegiati dalle nobildonne spagnole28. La diffusione dei rami fioriti in Sicilia, ornati non più da diamanti ma da smalti policromi e gemme, sembra in qual-che modo precedere la produzione spagnola che avrà comunque maggiore dif-fusione nel XVIII secolo, alla metà degli anni Sessanta sotto l’influenza del Ro-cocò29. Uno dei più ricchi esemplari superstiti è quello del Museo Regionale Pe-poli di Trapani, proveniente dal tesoro dell’Annunziata, che riunisce pressoché tutte le varietà di smalti presenti nei monili siciliani della fine del XVII seco-lo e mostra con evidenza l’alto livello tecnico e la notevole qualità artistica cui giunsero gli orafi siciliani in quell’epoca30 (fig. 1). Gioielli simili, da ricondur-re ugualmente all’area occidentale dell’isola, sono quello ornato da gemme e caratterizzato da analoghi smalti con prevalenza dei toni arancio di collezione privata di Venezia31 e il raffinato esemplare del Museo degli Argenti di Firen-ze, analogamente da riferire a orafo della fine del XVII secolo, dove prevalgo-no toni chiari variegati32. Si rilevano ancora simili tonalità di smalto sfumato in un fiore facente parte di un composito pendente di collezione privata paler-mitana, la cui parte superiore è un inserimento più tardo33. Diversi fiori smal-tati ornano il reliquiario a busto di Sant’Agata, opera del 1376 dell’orafo senese Giovanni Di Bartolo custodito nella cattedrale di Catania, dove si alternano a tipologie legate all’area palermitana altre più spiccatamente messinesi. A smal-tatori della città dello Stretto va ricondotto il ramo fiorito del Museo Regionale della città dove si ripete un solo tipo di fiori smaltati in diverse tonalità di rosa,

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ornati da smeraldi e perline, montati su una struttura di rame dorato a guisa di tralcio fiorito34. Lo stesso tipo di fiore, non in composizione con altri ma da solo, di maggiore dimensioni, dagli smalti rosa sfumati illuminati da smeraldi entro aurei castoni, è conservato in una collezione privata di Palermo35. A quest’ulti-mo fiore riconducono alcuni splendidi, toccati di rosa, che ornano la corona del Bambino e della manta della Madonna della Lettera nel Duomo di Messina. A tale copertina d’immagine sacra, opera del 1668 dell’orafo fiorentino Innocen-zo Mangani, erano poi già legati, dono dei fedeli, altri rami fioriti, più picco-le composizioni floreali ornate di smalti e gemme. Tra quelli conservati nel te-soro del Duomo tre sono caratterizzati da smalti policromi e pietre preziose. Il primo, della fine del Seicento, è ornato da perle, smalti rosa, arancio, azzurri e neri, foglie smaltate di verde e poche gemme, rubini e smeraldi, ed è raffron-tabile con il simile ramo fiorito della collezione S.J. Philips di Londra; il secon-do, similmente tardo seicentesco, ha un fiocco con iscrizione in smalti bianchi e blu, stessi toni di smalto che ornano i petali dei fiori, i cui pistilli sono realiz-zati con gemme, rubini, diamanti, smeraldi, con risultati di accesa policromia; l’ultimo, più tardo, dell’inizio del XVIII secolo, si diparte da una brocchetta con al centro un rubino, un vero e proprio vaso da cui fuoriescono fiori dai petali smaltati di bianco con foglie azzurre e castoni ingemmati ancora una volta di rubini, smeraldi e diamanti36.Anche le perle ebbero larga diffusione durante la prima metà del Settecento, come testimonia tra gli altri il ritratto di Elisabetta Farnese custodito nel Pa-lazzo Reale di Caserta, copia dal pittore genovese Giovanni Maria delle Pia-ne detto il Molinaretto, che si riferisce a una data appena successiva alle noz-ze con Filippo V celebrate nel 1714, anno in cui era morta la prima moglie del re Maria Luisa Gabriella di Savoia37. Una variante dello stesso dipinto a mez-zobusto, sempre copia dal Molinaretto, che raffigura una giovane Elisabetta con indosso un manto di velluto foderato di ermellino e la corona su un tavo-lo alla sua sinistra, fa parte ugualmente delle collezioni del Palazzo Reale di Caserta38, dove si trova anche un altro ritratto della regina a tre quarti di fi-gura (tav. 27) di pittore anonimo della prima metà del XVIII secolo (post 1723-1724)39, che pare una replica seppur con qualche modifica del dipinto di Jean Ranc che si trova al Prado. La sua dignità regale in quest’ultima opera si evin-ce dalla postura limpida e fiera, dal sontuoso abito di velluto rosso ornato con dovizia di ricami e applicazioni di pietre preziose che si armonizzano con l’ai-grette creata per scintillare a ogni movimento del capo e con l’acconciatura, dal-la quale scendono due piccoli nastri increspati di colore verde mela. La sovra-na è poi coperta da un vaporoso mantello rosso rivestito internamente di pel-liccia. Sulla destra, alle sue spalle, emerge il particolare di una quinta architet-tonica immersa in una natura dai toni bruniti, mentre sulla sinistra è visibile la corona simbolo del potere monarchico.I raffinati ornamenti d’abito in oro e pietre preziose simulanti dei bouquet che decorano l’abito di Elisabetta, gioielli privilegiati dalle nobildonne europee al-la metà del XVIII secolo, trovano riscontro in alcuni disegni che si trovano nel Libro de joyas de la Virgen de Guadalupe, del 1783 circa, attribuito a Fra Cosme da Barcellona e custodito nell’Archivio del Monastero reale di Santa Maria a Guadalupe (fol. 41 e fol. 44v)40. Tali manufatti, inoltre, rivelano una vivacità

coloristica e un gusto per la sovraornamentazione che permettono di raffron-tarli con alcuni pendenti con panierino in oro, smalti policromi, perle e gemme realizzati da orafi trapanesi della seconda metà del Settecento, quali quelli che si trovano in due collezioni private della città falcata e quello parte del tesoro della Madonna di Trapani ancora custodito dai Carmelitani, riferiti alla bottega del maestro Isidoro Mauro41.Tra i gioielli di ascendenza francese più diffusi a corte, simboli di appartenen-za alla elite depositaria del gusto e dello stile erano, dunque, la parure, chiamata a Napoli “concerto” o “indirizzo”42, solitamente in diamanti e pietre preziose, soprattutto rubini e smeraldi, accompagnati da perle e talora anche da smalti; gli spilloni a una pietra, generalmente il diamante a taglio brillante, e l’aigrette con le pietre montate en tremblant su una sottile struttura metallica, ornamen-ti privilegiati per il capo; le girandoles, ovvero gli orecchini a tre pendenti mo-bili fissati a un nodo con le pietre, soprattutto rubini montati “a notte”, oppure gli orecchini a goccia, generalmente di diamanti; i corpetti attillati; i bracciali a più fili di perle o pietre preziose. Un ritratto che pare incarnare alla perfezio-ne quanto appena descritto è quello di Elisabetta Farnese come regina di Spagna che si trova al Prado realizzato da Louis-Michel van Loo nel 1739 circa43. Colpi-sce la presenza del cosiddetto “ritratto gioiellato”, una miniatura a smalto mon-tata in oro e circondata soprattutto da diamanti indossata in questo caso dalla sovrana come fermaglio di un bracciale a più fili di perle. Anche i due succita-ti dipinti di Elisabetta Farnese considerati copia dal Molinaretto, l’uno a mezzo busto e l’altro a figura intera, recano vicino la scollatura dell’abito un medaglio-ne gioiello con l’effigie del suo consorte. Tale moda si sarebbe diffusa soprattut-to dalla fine degli anni Cinquanta, come dimostra per due volte il ritratto caser-tano attribuito all’atelier di Anton Raphael Mengs (1728-1779) di Maria Giusep-pa, figlia di Carlo e Maria Amalia44, gioiello noto a Napoli come “manizza” o “manina”45. L’infanta indossa un bracciale con al centro la miniatura della ma-dre, mentre ne tiene in mano un altro di identica fattura con la miniatura del pa-dre. Ha, inoltre, una parure tipica dell’epoca composta da un’aigrette con brillan-ti a gocce montati a giorno (en tremblant); un collare fatto da elementi snodabili e smontabili con pendente centrale ugualmente a goccia, su un supporto di tri-ne; orecchini en girandole formati da tre pendenti mobili sostenuti da un motivo a fiocco centrale con le pietre montate a notte. Da sottolineare è poi la presen-za dell’orologio attaccato a una châtelaine, che si intravede appena sotto la piega dell’abito. Presenta un gioiello affine anche il ritratto di Eleonora Colonna Venti-miglia, moglie di Federico Spadafora Moncada, principe di Venetico e Maletto, marchese di San Martino e di Roccella, custodito in una collezione privata pa-lermitana, a testimoniare la diffusione di tale particolare varietà di monili e di ornamenti d’abito nel corso del XVIII secolo anche in Sicilia46.Questo repertorio trova dunque stretti raffronti con i gioielli siciliani dell’epo-ca che parimenti si ispirano alla moda francese che domina l’Europa nel XVIII secolo, quali i monili e le parures con rubini; i rami fioriti in smalti policromi e gemme; i pendenti e gli orecchini che ripropongono il fiocco “Sevigné” e quelli en girandole; gli ornamenti di abito e i corpetti in oro, perle, smalti e gemme, tut-ti manufatti che palesano la loro sicilianità per la decisa impronta coloristica oltre che per il marchio delle maestranze degli orafi delle diverse maestranze

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dell’isola47. Solo dal 1758 venne effettivamente in uso il marchio sui gioielli, già più volte ingiunto ma sino a quella data mai apposto48. Il “bando del bollo dell’oro” venne emanato dal viceré don Giovanni Fogliani Sforza d’Aragona, appartenente a una famiglia aristocratica di Piacenza legata tradizionalmente ai Farnese e che seguì Elisabetta quando nel 1714 si recò in Spagna per sposare il vedovo Filippo V. I marchi dell’oro dovevano essere gli stessi di quelli dell’ar-gento: l’emblema della città sede del consolato, le iniziali del nome e del cogno-me del console seguite dalla lettera C (Console) e dalle due ultime cifre dell’an-no, e le iniziali dell’orafo con l’eventuale simbolo distintivo49. I disegni di Gil-les Légaré, gioielliere di Corte del “Re Sole” Luigi XIV, pubblicati nel 1663 (Li-vres des Ouvrages d’Orfevrerie) divengono fonte d’ispirazione che si diffonde ad ampio raggio e per lungo tempo50.La spilla dalla forma di fiocco terminante con pendagli deve il suo nome a Ma-dame de Sevigné, come pure gli orecchini dalla stessa tipologia con più penden-ti51. Ripropone il fiocco Sevigné il pendente con rubini e al centro un giaciglio, cui è legato un cammeo ove è raffigurata Cleopatra, facente parte del tesoro della Madonna della Visitazione di Enna52 (fig. 2). Reca nella parte superiore un fiocco di rubini e cammeo pendente anche il più complesso monile con brocchetta con fiori del tesoro di Santa Lucia di Siracusa53. Un raffinato pendente, caratterizza-to da rubini e diamanti dalla tipologia affine con il fiocco coronato che qui, però, mostra al centro il velo della Veronica con il volto di Cristo, si trova della Diocesi di Caltagirone54. Analoghi elementi tipologici contornano le lenti degli ostensori realizzati dall’argentiere palermitano Salvatore Mercurio, la cui attività è docu-mentata dal 1762 al 177855. È il caso del manufatto proveniente dalla Chiesa Ma-dre di Enna e oggi esposto al Museo Alessi della stessa città, che non a caso ri-propone l’intreccio di nastri di rubini del pendente con cammeo già menzionato, parte del tesoro della Madonna della Visitazione56. L’orafo e argentiere Francesco Burgarello (1752-1782)57 è ricordato da Agostino Gallo come un maestro che “ri-ceveva da Parigi i disegni per le mode degli intrecci di collane e gioie”58, ulterio-re riprova di come anche in Sicilia ormai nel XVIII secolo le indicazioni di moda venissero dalla Francia59.Significativi per la diffusione del gusto e della moda francese furono i doni che le case regnanti si scambiavano in occasione di eventi importanti. Nel caso del-la Corte napoletana si ricordano le oreficerie che la regina Maria Amalia, mo-glie di Carlo, figlia di Augusto III di Polonia e di Maria Giuseppa d’Austria, ri-ceveva da Luigi XV, padrino di uno dei suoi figli, e dalla sorella Maria Giusep-pina di Sassonia, delfina di Francia in virtù delle nozze con Luigi Ferdinando, figlio del sovrano francese; “i doni del monarca francese furono particolarmen-te ricchi: racchiusi in una scatola di lacca foderata di velluto blu vi erano una scodella di antica lacca, guarnita e foderata d’oro come la sua sottocoppa, quat-tro flaconi di cristallo di rocca, un bicchiere e un imbuto di cristallo di rocca tutti guarniti d’oro; in un’altra scatola di lacca erano riposti un sigillo, un oro-logio, un astuccio con un dado, un coltello, delle forbici, un portamatite, due ta-bacchiere, tutti oggetti in oro e smalto blu (una delle tabacchiere con diaman-ti). La delfina donò invece un grosso flacone d’oro con la sua tazza del peso di 1200 libbre”60. I Borbone di Spagna, con le loro politiche matrimoniali influen-zate dal partito “francese” prevalente a corte61, furono artefici di primo piano

nel processo di diffusione del gusto e dello sfarzo d’oltralpe nell’area mediter-ranea, basti pensare che lo stesso Luigi Ferdinando di Francia in prime nozze aveva sposato Maria Teresa, sorella di Carlo.Durante il suo soggiorno in Italia Maria Amalia acquistò un anello con bril-lante rosa62. Tra i suoi maestri preferiti vi fu Michele Lofrano (doc. 1739-1761), orafo di Corte di Carlo di Borbone prima e di Ferdinando IV durante il tempo della reggenza poi, appartenente ad un’antica famiglia di argentieri napoleta-ni di cui si hanno notizie sin dal XVI secolo, che continuò i suoi affari con i re-ali anche dopo che essi partirono per la Spagna63. Fu anche l’autore di una cro-ce di San Gennaro, simbolo dell’Insigne e Reale ordine cavalleresco fondato da Carlo nel 1738 in occasione del suo matrimonio64. Alcuni dei gioielli in pos-sesso della sovrana alla sua morte, avvenuta nel 1760, furono ereditati dal gio-vane figlio Ferdinando IV, tra i quali “la débota grande de diamantes brillan-tes con dos pendientes, y dos brazaletes, éstos con un retrado cada uno”, “una scatola d’oro smaltata guarnita di brillanti, e un anello con un diamante a for-ma di pera contornato di brillanti paglierini”65. Nel ritratto di Giuseppe Boni-to (1707-1789) del 1744 oggi al Prado66 la regina è raffigurata con un vestito gri-gio e argento dall’ampia scollatura rotonda di gusto francese, impreziosito sul petto da uno dei manufatti di gioielleria più originali dell’epoca, una pettori-na composta da luminosi diamanti detta anche devant le corsage, grande orna-mento da corpetto che usualmente copriva l’intera parte anteriore del vestito. Immancabili poi l’aigrette sul capo e gli orecchini a goccia che ripropongono il fiocco “Sevigné”, entrambi di diamanti, e i bracciali a più fili di perle intorno ai polsi, oltre che il ventaglio, accessorio indispensabile nell’abbigliamento del XVIII secolo. Alle sue spalle compare la corona realizzata dall’orafo avignone-se Imbert con la quale il consorte Carlo era stato incoronato a Palermo. Simil-mente il ritratto della regina Carlotta di Meclemburgo-Strelitz (Londra, Royal Collection Trust), eseguito dall’artista scozzese Allan Ramsay (1713-1784) ne-gli anni 1761-1762, riproduce un collare a strozzo e una pettorina a rilievo che riempie l’intero pannello anteriore del corpetto, entrambi in diamanti67.Tali pettorine sono tipologicamente raffrontabili all’ornamento di abito in oro, perle, smalti e gemme realizzato da orafo siciliano della fine del XVII secolo custodito al Museo degli Argenti di Firenze68. Rientra nella stessa tipologia un monile a mo’ di corpetto caratterizzato da perle e smeraldi facente parte del tesoro di Santa Venera di Acireale69, rara opera di orafo siciliano della fine del Seicento.Anche il ritratto di Maria Amalia custodito al Museo Regionale di Messina, dubitativamente considerato opera di Giuseppe Crestadoro (1725/’30-1808) o replica autografa del Bonito, riassume gli aspetti più tipici del gusto Rococò che si afferma nella moda e nell’oreficeria del tempo70. In quello a figura inte-ra custodito al Prado di Madrid, opera del 1738 del pittore francese Louis de Silvestre (1675/76-1760), che all’epoca era primo pittore del padre, il re Augusto II di Polonia, Maria Amalia ha in mano un “ritratto gioiellato” in oro, smalti e diamanti.Carlo e la sua sposa furono munifici di doni nei confronti di rinomati luoghi di culto e importanti simulacri, usanza che trova un diretto confronto con i coevi doni che i nobili siciliani riservarono ai principali simulacri di Sicilia. Nel 1741

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il re “inviò in dono alla basilica di San Nicola a Bari, un gran baldacchino d’ar-gento con la sua sfera d’oro, tutta giojellata, e la fu Regina Maria Amalia le man-dò due suoi ricchi pendenti di bellissimi smeraldi. […] San Gennaro ebbe altri presenti da parte dei reali […]”71, tra i quali alcuni gioielli offerti al veneratissimo busto reliquiario in argento dorato, smalti e pietre preziose realizzato tra il 1304 e il 1305 per il re di Napoli Carlo II d’Angiò dagli orafi francesi Etienne, Godefroy, Milet d’Auxerre e Guillame de Verdelay, attivi nel suo atelier di corte72. L’opera più celebre del Tesoro, la collana gemmata che impreziosisce il busto, opera del 1679 del maestro orafo Michele Dato, è stata arricchita nel corso dei secoli (fino al 1933) assemblando diversi gioielli donati da re, regine e semplici devoti73. Pro-prio Carlo di Borbone fu il primo sovrano a donare una piccola croce composta da diamanti e rubini, sormontata da una ciappa a tre elementi in smeraldi e dia-manti; la regina Maria Amalia, sposata a Dresda il 9 maggio 1738, nel luglio del-lo stesso anno donò una croce con bottone di sessantatré diamanti stimata 2400 ducati74. Nel 1745 i due regnanti sostennero parte delle spese per la commissio-ne a Filippo Del Giudice, il più importante argentiere napoletano della seconda metà del XVIII secolo, dei nuovi candelabri in argento fuso, sbalzato e cesellato alti oltre tre metri per la Cappella, voluti dalla Deputazione del Tesoro75.Anche diversi noti personaggi dell’epoca beneficiarono di doni elargiti dal so-vrano in segno di gratitudine: “il 21 giugno 1739, ad esempio, Carlo diede l’in-carico al Marchese di Salas di acquistare un anello con diamanti dal valore di 1500 ducati quale dono a D. Cesare Vignola, residente di Venezia, che lasciava

la corte […]; il 20 novembre 1758 l’Abbé Expilly, che aveva inviato al Re la sua opera sulla topografia universale, rilegata in marocchino rosso, scrive al Ta-nucci ringraziando S.M. per l’invio di un anello”76. Anche il pittore Francesco Solimena fu similmente gratificato “per certi sue fatiche nella chiesa dei Gero-limini […]: ‘Per essere finita la suddetta opera del Sig. Solimena si è mandato ad esso in regalo una guantiera d’argento pesata libbre due pagata […] con po-lizza […] a dì 31 marzo 1727 […] dentro essa guantiera si posero libre 20 di cioc-colata ottima con vaniglia e fatta a posta’”77. Nel 1758 l’architetto Luigi Vanvi-telli disegnava per la regina Maria Amalia un ostensorio ornato di diamanti e di pietre preziose78. Numerosi argenti sacri che si trovavano nel Palazzo Rea-le, a Portici e nella Cappella di Caserta nel 1806 furono spediti a Palermo79. Nel 1759 Carlo fu poi costretto a lasciare il Regno delle due Sicilie per il trono di Spagna, in seguito alla morte di Ferdinando VI di Borbone senza eredi diretti. Gran parte dell’argenteria profana del tempo non è giunta fino ai giorni nostri a causa di furti, perché fusa per riutilizzare la preziosa materia prima, come nel caso dei trionfi da tavola del valore di 1430 ducati che Carlo aveva ricevuto in dono dai deputati della Portolania e che donò in seguito al Reale Ospizio80, o perché riadattata e trasformata per seguire i cambiamenti del gusto e della mo-da. Similmente anche le oreficerie dei Borbone sono andate quasi del tutto per-dute, ma l’analisi dei ritratti dell’epoca contestualmente alla loro comparazio-ne con i manufatti siciliani e spagnoli consente di ricostruire quelle che furono le mode e le tipologie di gioielli più in voga al tempo di Carlo e della sua corte.

Gold, silver and coral during the age of Charles of Bourbon The essay examines the production of decorative arts, in particular precious jewellery, in Sicily and Naples during the reign of Charles of Bourbon (Charles VII of Spain, Charles V of Sicily, later Charles III of Spain), analysing court por-traiture and the close links between the jewellery of the period and fashion. The starting point is the analysis of the crown used for Charles’ coronation in Palermo on 3 July 1735, the work of Claude Imbert, a goldsmith from Avignon. This was a period when the internationalisation of taste and style tended, un-surprisingly, to favour French culture. Based on official portraits of various members of the royal family, above all Elizabeth, Charles’ mother, his father Philip V and the Queen consort Maria Amalia of Saxony, as well as several no-blewomen such as Infanta Maria Teresa and Infanta Maria Antonia, the essay highlights jewellery of French origin which was particularly popular at court, the symbol of membership of an elite who were arbiters of taste and style. This repertoire of artefacts has close parallels with the jewellery of Sicily during the same era. Similarly inspired by French fashion which was dominant through-out Europe in the 18th century, the pieces display their Sicilian character due to the distinctive use of colour. The essay also takes into account Charles’ gifts to famous cult sites and important religious statues such as those offered by the king and his wife Maria Amalia to the highly revered reliquary bust of St Januarius (San Gennaro) at the royal chapel dedicated to the saint in Naples. This tradition had a direct parallel with the gifts made during the same era by the Sicilian nobility for the main religious statues and icons in Sicily.

1. Orafo sicilianoRamo fiorito in oro e argento con smalti, gemme e perleante 1698Trapani, Museo Regionale Pepoli

2. Orafo palermitanoPendente in oro e argento con rubini e cammeo raffigurante CleopatraEnna, Chiesa Madre

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MUSICA E TEATRO A NAPOLI NELL’EPOCA DI CARLO DI BORBONE  269268  MARIA CONCETTA DI NATALE

1 Giuffrida 2008, p. 17.2 Per l’opera cfr. F. Furia in Gioiel-li regali 2005, p. 133, n. 3.3 Cfr. Aterido 2004, p. 451.4 Cfr. La Monarquía Hispánica 2013, p. 311 n. 84.5 Cfr. de Martini-Morillas Alca-zar in Casa di Re 2004, p. 279, I.10.6 Cfr. Romano 2012, p. 381. Fa parte della stessa collezione an-che un trionfo in corallo, rame dorato e argento, non completa-mente omogeneo, che verosimil-mente raffigura il sovrano nella sculturina apicale.7 Bruno 2014.8 Sinagra 2014.9 González-Palacios in Civiltà del Settecento 1980, II, pp. 76-77.10 Ibidem.11 Cfr. Cerimoniale 2017, pp. 190-199, in particolare p. 194. Cfr. an-che ivi, pp. 418-422.12 Carlo di Borbone 2002, p. 59 no-ta 54. Cfr. anche Istituzioni e socie-tà 1978, dove è pubblicata un’inci-sione raffigurante la corona trat-ta da Archivio di Stato di Napoli [ASN], Esteri, 4512, c. 124.13 Ibidem.14 Cfr. de Martini in Gioielli regali 2005, p. 134, n. 6.15 Cfr. Damiano in Gioielli regali 2005, pp. 88; 146, n. 100.16 Ivi, p. 88.17 Per la figura di Elisabetta Far-nese cfr. Mafrici 1999; Pérez Sam-per 2003. Cfr. anche Elisabetta Far-nese 2009.18 Cfr. Cruz Valdovinos 2003, p. 136.19 Cfr. ivi, pp. 136-137. Per l’argo-mento cfr. Aranda Huete 1999.20 Morillas Alcázar in Gioielli re-gali 2005, p. 9.21 Per l’argomento cfr. Lozano Bartolozzi 1989, p. 386.22 Morillas Alcázar in Gioielli re-gali 2005, p. 10.23 Per l’argomento cfr. Anderson Black 1973, p. 210 e Phillips 2000, pp. 54-61.24 Cfr. Aterido 2004, p. 449.25 Cfr. ivi p. 421.26 Cfr. Muller 1972, p. 157.27 Ibidem.28 Per approfondimenti cfr. Di Natale 2000, pp. 187-222.29 Cfr. Muller 1972, pp. 157-169.30 Di Natale 2000, pp. 187-190.31 Ivi p. 190.32 Ibidem.33 Ibidem.34 Ivi, p. 192.35 Ibidem.

36 Ivi, p. 194.37 Per l’opera cfr. de Martini 2013, pp. 112-111. Cfr. pure de Marti-ni-Morillas Alcazar in Casa di Re 2004, p. 278, I. 5.38 Cfr. de Martini 2013, pp. 112-113.39 Cfr. de Martini-Morillas Alca-zar in Casa di Re 2004, pp. 278-279, I.7b. Cfr. pure F. Furia in Gioielli regali 2005, p. 133, n. 2.40 Cfr. Muller 1972, pp. 163-164.41 Di Natale 2000, p. 222.42 Catello in Gioielli regali 2005, p. 23.43 Cfr. El arte 2002, pp. 427, 493.44 Per l’opera cfr. Morgillo in Gio-ielli regali, 2005, p. 135, n. 12c.45 Morgillo in Gioielli Regali 2005, p. 135, n. 12d. 46 Di Natale 2000, p. 242.47 Per l’argomento cfr. ivi, pp. 223-260. Cfr. anche Eadem 2005 e 2007.48 Barraja 1989, pp. 48-50. Cfr. an-che Idem 1996.49 Ibidem.50 Anderson Black 1973, p. 193.51 Ibidem.52 Di Natale 1996, p. 69. Cfr. pure Eadem 2000, p. 232.53 Ivi, pp. 194, 218, 232.54 Ibidem.55 Di Natale 1996, p. 69. Cfr. pure Eadem 2000, p. 232.56 Eadem, 1996, pp. 69-70. Cfr. pu-re Eadem 2000, p. 232.57 Eadem 1996, p. 69. Cfr. pure Ea-dem 2000, p. 232.58 A. Gallo, Notizie dei pittori e mo-saicisti, parte II (Biblioteca Cen-trale della Regione Siciliana, ms. XVH19, f. 1220). Cfr. Di Natale 2000, pp. 232 e 238.59 Per l’argomento cfr. ivi, pp. 223-260. Per l’oreficeria del XIX secolo cfr. Eadem 1997a, pp. 269-278 e 1997b, pp. 83-90.60 Grasso-Gulisano 2008, p. 79, nota 47.61 Per l’argomento cfr. Schipa 1904, p. 8.62 González-Palacios in Civiltà del Settecento 1980, II, p. 83. Per Mi-chele Lofrano cfr. Catello-Catel-lo 1996, p. 95.63 González-Palacios in Civiltà del Settecento 1980, II, p. 83.64 Catello in Gioielli regali 2005, p. 19.65 González-Palacios in Civiltà del Settecento 1980, II, p. 83.66 Cfr. Carlos III 2009, pp. 56-57.67 Cfr. Phillips 2000, p. 61.68 Di Natale 2000, p. 214.

69 Ivi, p. 211. Cfr. pure Di Nata-le in Di Natale-Vitella 2017, p. 39. 70 Cfr. Musolino in Lusso e Devo-zione 1984, pp. 71-72. Cfr. pure Ea-dem in I Borbone 1998, pp. 128-129.71 Gonzàles Palacios in Civiltà del Settecento 1980, II, p. 82.72 Per il busto reliquiario di San Gennaro cfr. Leone de Castris 2013.73 Per l’opera cfr. Recanatesi in Il Tesoro 2013 e ivi, pp. 185 e 224, n. 50 con bibliografia precedente.74 Ibidem.75 Cfr. Recanatesi in Il Tesoro 2013 e ivi, pp. 188 e 226. Per Filippo Del Giudice cfr. Catello-Catello 1996, pp. 67-68.76 Ibidem.77 González-Palacios in Civiltà del Settecento 1980, II, p. 82.78 Ivi, p. 83.79 Ivi, p. 82.80 Ivi, p. 83.

1. “Le roy y vint; il causa pendant une moitié de l’opéra et dormit pendant l’au-tre. Cet homme assurément n’aime pas la musique”1. Le sibilline parole del président Charles de Brosses, riportate nelle sue Lettres familiéres sur l’Italie, valse-ro all’illuminato monarca Carlo un’ignominia senza eguali destinata a perpe-tuarsi sino a raggiungere connotati leggendari, in una storia costellata da vir-tuosi sovrani dediti alla nobile arte ed esemplari nell’inoppugnabile comporta-mento nelle pubbliche sale di spettacolo. Eppure in ogni edificio teatrale si con-sumava una liturgia tutt’altro che sacra, all’insegna di una sociabilità fatta di visite, giochi, schermaglie, affari, gastronomia, amori, politica, dove il gusto per la conversazione sembra essere un ingrediente indispensabile: il “disincantato” atteggiamento del figlio di Elisabetta Farnese – che sapeva come formare una prole regale e per questo lo affidò, tra l’altro, alle premurose cure di Giacomo Facco per la musica e a quelle di Michel Gaudrau per la danza2 – rientrava in un costume quanto mai imperante.Sulle intemperanze dell’alta aristocrazia nelle “stanze” del diletto si annovera-no ben altri episodi, assai più rimarchevoli del vivace parlottio – l’opera Parte-nope di Sarro eseguita il 4 novembre 1739, intervallata da tre balli (“Di Giardi-nieri, che spargono fiori intorno all’Altare del Sole”; “Favola di Circe, che can-giò in bestie i Compagni di Ulisse, e poi a prieghi […] li ridusse al primiero lo-ro stato”; e “Bacco, e Cerere sopra un Carro […] qual […] si trasforma in un Tino, e tre botti, e da queste, e da quello vengono fuora Vendemiatori”)3, sarebbe sta-ta ripresa per oltre dieci rappresentazioni quasi tutte alla presenza delle mae-stà in veste ufficiale o privata4 – o del cedimento tra le braccia di Morfeo del gio-vane Borbone – giungeva a teatro dopo un estenuante cerimoniale festivo ca-ratterizzato da baciamano pubblico, parata dell’esercito, funzioni religiose5 –, se di lì a qualche decennio, ed esattamente nel 1764, e per fortuna de Brosses non era in circolazione, il duca di York, alle prese con il suo grand tour per la peniso-la, appena giunse a Venezia, ed apprese che la famosa Anna de Amicis recita-va in uno dei teatri della Serenissima, gridò: “Presto, presto, […] mascheriamo-ci, ed andiamo a vederla; essa è nostra Conoscente, ed Amica; e lasciando tut-ti sul fatto, si ritirò nelle Camere, ove si vestì d’un abito nero di seta, detto =Do-minò= salì col Signor Duca di Modena in Carrozza, e portossi alla Corte Ducale […]. Dalla Corte fu condotto sopra la gran Loggia Ducale, ammirò il numeroso

Francesco Cotticelli, Paologiovanni MaioneMusica e teatro a Napoli nell’epoca di Carlo di Borbone

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LE VITE DI CARLO DI BORBONE. NAPOLI, SPAGNA E AMERICA  241240  LE VITE DI CARLO DI BORBONE. NAPOLI, SPAGNA E AMERICA

tav. 26. Claude Imbert Disegno della Corona fatta dal Gioielliere Claudio Imbert con la quale è seguita la incoronazione in Palermo Capitale del Regno di Sicilia il giorno 3 Luglio 1735 Napoli, Archivio di Stato

tav. 25. Antonio Sebastiani Carlo di Borbone, re di Napoli 1736 circa Caserta, Palazzo Reale

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LE VITE DI CARLO DI BORBONE. NAPOLI, SPAGNA E AMERICA  243242  LE VITE DI CARLO DI BORBONE. NAPOLI, SPAGNA E AMERICA

tav. 28. Claude ArnulphyThomas Mathews, ammiraglio della Royal Navy britannicaLondon, National Maritime Museum, Greenwich Hospital Collection

tav. 27. Ignoto (da Jean Ranc)Elisabetta Farnesepost 1724 Caserta, Palazzo Reale.