Ragnatele - Aracnea’ figli l’agonia del crudo\\che al tempo di bontà incita ‘l crudo. Vera...

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Ragnatele 27

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Ragnatele27

Vera Rossi

Vera Rossiil tempo delle mie poesie

Prefazione diSergio De Nicola

Copyright © MMXVARACNE editrice int.le S.r.l.

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via Quarto Negroni, 15

00040 Ariccia (RM)(06) 93781065

isbn 978–88–548–8712–1

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,

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I edizione: ottobre 2015

A mia madre

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Prefazione

Vera Rossi è nata il 5 Giugno nel 1922 a Salerno. Poetessa e scrittrice, profonde in una poesia di stile classico tutta la sua sen-sibilità di donna, attingendo dalle sue espe-rienze di vita segnata spesso da momenti dolorosi: la scomparsa della figura paterna Luigi Rossi (1889–1927) quando era bam-bina; l’infanzia trascorsa in un collegio fem-minile lontano dall’amata madre; le condi-zioni difficili e i giorni drammatici vissuti a Napoli durante il periodo della Seconda Guerra quando gli eventi tragici costringe-vano bambini, persone anziane e le donne in particolare a sopportare pesanti sacrifici. Ricordando il padre ha scritto: sin da primiera etade giammai io ti nomai poi che colui ch’atterra,di coltrice copria i lumi e il tuo sentire.

Questa raccolta di poesie scritte da Vera Rossi in diversi momenti della sua vita, ne ripercorre i pensieri e vuole ricordare un’a-nima profondamente gentile, capace di in-

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namorarsi dei fiori del suo giardino: o voi, co-rolle care,mute compagne siete del mio vagar lontano; di abbandonarsi all’estasi di una passeggiata nei campi dove era intorno un silenzio sereno,solo infranto dal garrulo grido delle rondini in volo pla-nanti sulle gronde dei tetti spioventi, o all’ombra di un albero nell’ora che precede il dì che muo-re d’un albero all’ombra mi trovai a sospirar ed a membrar del fu e di quello che addivenir potri , e di commuoversi alla martirio dello statista Aldo Moro: al suol doglia feral lasciasti e speme \\ ed il perdono al soglio dell’Amore\\ di Patria a’ figli l’agonia del crudo\\che al tempo di bontà incita ‘l crudo.

Vera Rossi era dotata di una voce lirica di rara intensità che ha coltivato con passione durante i molti anni di studio. Il “suo can-to” era da lei un considerato un dono della generosità di Dio, il dono fosti puro e generoso di somma creatura e tale l’accolsi,poi che ingenerò in me amore e oblio. Nel canto e nella poesia trovò ispirazione e la forza propulsiva di quell’“anelito sublime” che spinge l’anima lontano dagli orrori verso l’amore che del divin è il seme, dell’uman è il fiume.

Fu la ricerca dell’amore la sua scelta di vita, non la carriera artistica, che le avrebbe dischiuso le porte del Teatro San Carlo di Napoli come cantante lirica, negli anni del

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dopoguerra. E agli affetti familiari dedicò con pienezza sé stessa.

Nei suoi versi traspare costante e forte la ricerca di Dio: Dio, io ti cercai nell’iride del puro, nel sofferto sentire dell’io al duolo, nel lievitare del tempo, del mistero. È Dio che placa l’ansia di amore e di speranza che alberga nel cuo-re di una fanciulla che cerca risposte ai suoi desideriri ed alle sue ansie: là sol trovar tu puoi risposta al tuo desir, poi ch’il divin volere sol può fu-gare il nulla dell’etere mortale. Dio spinge l’inge-gno dell’uomo verso nuovi traguardi d’ama-bile virtù sospinto l’uomo, nell’etere frecciò per l’alto ingegno, sul suol lunare fermò il gran congegno, il crocefisso che arde come un fuoco confor-tando i dolori dell’uomo, qual sacra face ar-dente che luce flette, tutt’intorno lumando, dolcezza e securtade effondi nel pensiero all’uom dolente.

Nelle poesie di Vera la natura riflette l’impronta del Creatore quando la tempe-sta scuote gli steli sofferenti: miran, fidenti, in alto gli steli sofferenti, la nobile dolcezza dell’Esse-re supremo infonde in lor vigore,amore e leggiadria, quando una foglia morta si adagia lieve e stan-ca presso a quel fonte antico che fauna fu primiera e il vento diventa la manifestazione del soffio divino della natura in moto sei l’essenza, emblema sei di divin potenza, quella potenza che ti diè Colui quando fugasti del figluoul i rei. La natura dona

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un tranquillo oblìo al vegliardo che ascolta forse il canto di nereggianti flutti, quando, nocchie-re impavido sul suo velier n’andava, si manifesta attraverso forme cambianti e misteriose ad una ragazza che guarda le forme vaghe ed arcane \\ di tra le foglie che il vento rimove sin che baleno l’incanto strugge e conduce l’anima alla sco-perta di verità e sensazioni In radenti sospiri,sì come suole di remote sembianze la memoria, a verità silenti adduci l’anima.

La morte della madre Carmela Lorito (1895–1978) segna un momento doloroso nella vita di Vera. Con la scomparsa della figura materna viene meno colei che rap-presentava il baluardo della sua vita ed il conforto dei tanti momenti di solitudine.

La ricorda nel pallore della morte bianco quel volto senza sguardo alla volta del cielo proteso at-tento. Bianco quel fiore che le posi accanto che le parlò d’amore altre il confine e ne avverte la presenza costantemente: son qui, mamma, son teco! Sul tuo grembo che m’accolse poggio il mio capo stanco.

Vera Rossi ci lascia nel 2011. La ri-cordiamo nella sua ultima poesia Fascino dell’immagine quando il sussurro del vento ed il cigolio di una porta le fanno intravedere una dimensione misteriosa appena un po’ più in là del modo reale in attesa della sua anima gentile.

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Sussurra il vento, cigola la porta…Nell’angoscia dell’ora l’anima ascoltain sussulto d’attesa, il suo respiroche dell’attimo coglie il mistero.

Sussurra il vento, cigola la porta…Dall’ombra fonda, immagini caduchefragili efelidi d’un volto lunarein rapido costrutto avanzan lievi.

Sussurra il vento, cigola la porta…L’io mio si porge al mondo che è suorespira il suo sogno, vive!Di lontan l’alba indugia amica in attesa,sì come la morte.

Sergio De Nicola