RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO...

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RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO Temi di filosofia contemporanea Alberta Rebaglia INDICE Premessa 8 Parte prima 11 L’idea di ragione e la nascita della scienza moderna 11 Capitolo 1 13 La filosofia della natura tra empirismo e razionalismo 13 1.1 Tassonomie e osservazione “attiva” 13 1.2 Il controllo sperimentale 17 1.3 Lo spazio. Intuizione e percezione empirica 23 1.4 Assiomatizzare la natura 26

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RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO

Temi di filosofia contemporanea

Alberta Rebaglia

INDICE

Premessa 8

Parte prima 11

L’idea di ragione e la nascita della scienza moderna 11

Capitolo 1 13

La filosofia della natura tra empirismo e razionalismo 13

1.1 Tassonomie e osservazione “attiva” 13

1.2 Il controllo sperimentale 17

1.3 Lo spazio. Intuizione e percezione empirica 23

1.4 Assiomatizzare la natura 26

2 ALBERTA REBAGLIA

Capitolo 2 31

Dalla ragione legislatrice alla ragione strumentale 31

2.1 “Paradigma” newtoniano e geometrie non euclidee 31

2.2 Catalogare e prevedere. Origini della scienza industriale 36

2.3 Positivismo e metodologia scientifica 40

2.4 Esperimenti mentali 45

ESERCIZI 53

Parte Seconda 56

L’idea di progresso e le origini dell’industrializzazione 56

Capitolo 3 58

Sapere empirico e produzione industriale 58

3.1 Progresso e leggi empiriche 58

3.2 Le nuove vie dell’economia industriale 64

3.3 “One best way”. Mito della modernità 66

Capitolo 4 71

La ragione oltre i confini della razionalizzazione 71

4.1 Freud. Ragione e inconscio 71

4.2 Crisi come convalescenza 74

4.3 Termodinamica e filosofia dell’eterno ritorno 78

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 3

Capitolo 5 89

Controllo e comunicazione 89

5.1 Linearità del tempo e circolarità causale retroattiva 89

5.2 Automazione e retroazione nel controllo della natura 92

ESERCIZI 99

Parte terza 103

Laboratori scientifici e tecnoscienza 103

Capitolo 6 105

Come “descrivere” i fatti 105

6.1 La percezione tra osservazione e costruzione 105

6.2 Descrizioni e raffigurazioni 109

Capitolo 7 115

Fare assegnamento sui fatti empirici 115

7.1 Convenzioni e scienza “su palafitte” 115

7.2 Problematicità degli esperimenti “cruciali” 119

7.3 L’euristica della scoperta scientifica 124

7.4 “Reti” teoriche, scoperta e innovazione 130

4 ALBERTA REBAGLIA

Capitolo 8 133

La dimensione linguistica della conoscenza scientifica 133

8.1 Intrascendibilità del linguaggio 133

8.2 Operare “in mondi differenti” 135

8.3 “Reti”, “formiche” e “scatole nere” 140

ESERCIZI 145

Parte quarta 149

La ricerca industriale tra innovazione e adattamento 149

Capitolo 9 151

I percorsi della costruzione razionale 151

9.1 Incommensurabilità e modelli della scoperta scientifica 151

9.2 Intervento tecnologico e produzione di effetti 154

Capitolo 10 160

Dalla ragione “strumentale” alla ragione “dialogica” 160

10.1 Il “medium” linguistico 160

10.2 Cognizione e retroazione ricorsiva 162

10.3 Informazione come interpretazione 165

10.4 “Adoperare“ il mondo 170

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 5

Capitolo 11 175

Contestualizzazione di fatti e artefatti 175

11.1 Costruire la realtà 175

11.2 La nuova logica del processo produttivo 179

11.3 La “tecnoscienza” come impresa complessa 186

ESERCIZI 191

NOTE 195

SCHEDE 241

BIBLIOGRAFIA 286

GLOSSARIO 298

AUTORI 298

VOCI DI GLOSSARIO 305

INDICE ANALITICO 339

6 ALBERTA REBAGLIA

SCHEDE

1. Francesco Bacone – La nuova filosofia della natura

2. Immanuel Kant – La sintesi a priori

3. Auguste Comte – Filosofia positiva

4. Ernst Mach - Assiomi ed esperienza

5. Karl Marx – Forza lavoro e plusvalore

6. Max Horkheimer – Critica della ragione strumentale

7. Sigmund Freud – Costruzione psicoanalitica e verità storiche

8. Friedrich Nietzsche – La verità e il mondo come interpretazione

9. Friedrich Nietzsche – La liberazione della conoscenza

10. Paul Watzlawick – Il circolo della retroazione

11. Richard Gregory – Percezioni come ipotesi

12. Karl Popper – Corroborazioni e confutazioni

13. Pierre Duhem – Le prove sperimentali

14. Thomas Kuhn – L’emergere delle scoperte scientifiche

15. Bruno Latour – Scienziati e ingegneri nella società

16. Ian Hacking – La natura teorica degli apparati sperimentali

17. Georg Gadamer – La costitutiva linguisticità dell’esperienza

18. James Lovelock – Evoluzione, omeostasi e selezione naturale

19. Martin Heidegger – Le cose come utilizzabili

20. Heinz von Glasersfeld – Costruttivismo e invenzione del reale

21. Edgar Morin – La strategia d’impresa

22. Andrew Feenberg – Ragione dialogica e “progresso” tecnologico

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 7

Questo mondo non è un’entità sta-tica popolata da formiche pensanti che, brulicando sulle sue crepe, gradualmente scoprono le sue ca-ratteristiche senza influenzarlo in alcun modo. E’ un’entità dinamica e multilaterale che influenza e ri-flette l’attività dei suoi esploratori. Una volta era un mondo pieno di dei; poi diventò un grigio mondo materiale e, si spera, cambierà ul-teriormente per diventare un mon-do più pacifico in cui la materia e la vita, il pensiero e i sentimenti, l’in-novazione e la tradizione collabore-ranno per il bene di tutti.

Paul Feyerabend

8 ALBERTA REBAGLIA

Premessa

Fra il 1860 e il 1870 (in Germania) le prime grandi industrie di coloranti finanziarono laboratori di ricerca propri, nei quali agli scienziati era richiesto di intraprendere indagini finalizza-te alla creazione di nuovi prodotti e di nuovi processi di produzione. Si suole individuare in questa circostanza il momento iniziale della ricerca scientifica industriale, la quale in molti aspetti differisce dalla tradizionale ricerca scientifica speculativa (che nel corso dei secoli sempre più si è venuta connotando, per l’ambito nel quale ha raggiunto il massimo sviluppo, con l’aggettivazione di accademica). La concatena-zione di idee e l’elaborazione di informazione che nella scienza teorica sono poste al servizio di una efficace investigazione della natura, mediante la quale scoprirne le dinamiche e le leggi regolative, nella scienza industriale sono volte, in effetti, a introdurre conoscenze e innovazioni tecnologiche le quali pongano chi le detiene in una condizione di vantaggio compe-titivo nei confronti di altri soggetti concorrenti, costituendo quindi una sorta di ‘proprietà intellettuale’ che verrà ricono-sciuta (e protetta) dal sistema dei brevetti. Indagine speri-mentale –svolta con intenti conoscitivi ed esplicativi– e inter-vento tecnologico –finalizzato all’interazione con il contesto economico e sociale– sembrano dunque destinati a evolvere lungo direttrici parallele, pur trovando origine nel medesimo orizzonte culturale: quella “filosofia della natura” che nell’età

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 9 moderna si è imposta nel pensiero europeo, orientando gli sforzi di analisi razionale e di produzione tecnica al comune obiettivo di esercitare un attivo “dominio” sul mondo naturale.

Negli ultimi decenni, tuttavia, è divenuto abituale il riferi-mento alla tecnoscienza come a un’entità unica, in cui scien-za e tecnologia cooperano tanto strettamente, e sono così indissolubilmente vincolate da influenze e sollecitazioni reciproche, da essere considerate una totalità indifferenziata.

Questo testo –rivolto a coloro che stanno perfezionando i propri studi nel settore della ricerca industriale, e pensato come un manuale finalizzato a integrare una formazione specificamente disciplinare di tipo tecnologico– intende segui-re e analizzare il percorso storico e di pensiero al quale si è fatto riferimento. In esso viene delineato un quadro comples-sivo delle trasformazioni concettuali che hanno progressiva-mente tracciato linee sempre nuove di intersezione tra i due ambiti, conducendo in un primo tempo a considerare le idee alla base di ogni indagine scientifica quale indispensabile presupposto per lo sviluppo di soluzioni tecnologiche di interesse industriale e, nei decenni più recenti, a individuare proprio nella ricerca primariamente tecnologica premesse concettuali assolutamente rilevanti nell’impegno di compren-dere il rapporto –invalicabile ed essenziale– che lega l’uomo al suo mondo (naturale e, insieme, artificiale).

I temi sviluppati vengono affrontati con l’obiettivo di non esaurirne l’analisi entro i limiti di una (necessariamente schematica) informazione filosofica di rassegna, bensì mirando a delineare uno specifico itinerario il quale –isolando un numero ristretto di ‘idee guida’– consenta di collocare in un quadro concettuale organico i principali mutamenti che storicamente hanno interessato il contesto tecnologico, scientifico e industriale. In particolare, il percorso di pensiero seguito coinvolge un esame storico delle modalità con cui è stata concepita la razionalità nella formazione del moderno atteggiamento scientifico, nonché delle aspettative che hanno accompagnato l’affermarsi dell’idea positiva di progresso,

10 ALBERTA REBAGLIA misura della considerazione culturale e sociale attribuita alla produzione tecnologica e all’innovazione industriale.

Il carattere prevalentemente didattico di questo volume ha consigliato l’utilizzo di strumenti specifici, idonei ad agevolare sia la comprensione, sia l’approfondimento degli argomenti trattati. A tal fine, si è approntato un glossario dei termini e dei concetti filosofici più significativi fra quelli affrontati, cercando di focalizzarne soprattutto gli sviluppi storici che hanno avuto maggiore rilevanza entro la vicenda di pensiero delineata. Ci si è avvalsi, inoltre, di una serie di schede contenenti brevi letture antologiche utili nel chiarire e amplia-re alcuni dei temi più rilevanti. Nell’indice analitico si è indicato in neretto il punto del glossario in cui vengono riportate le indicazioni biografiche salienti relative agli autori, fra quelli citati, che hanno maggior peso nel panorama filoso-fico*. A conclusione di ciascun capitolo è stata introdotta una serie di esercizi, dei quali alcuni (a risposta chiusa) volti a consentire un controllo delle competenze concettuali acquisite e il livello di apprendimento delle tesi di maggiore interesse elaborate da autori centrali per i temi esposti, altri (a risposta aperta) tendenti a sollecitare una riflessione personale a partire dal quadro concettuale tracciato nel testo.

* Nella versione ipertestuale l’ indice analitico è stato sostituito, per

gli autori più significativi, dal collegamento a una scheda multi-mediale.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 11

Parte prima

L’idea di ragione e la nascita della scienza moderna

L’esortazione baconiana –con cui si apre l’età moder-na– a comportarsi come ‘api’, e utilizzare il potere ra-zionale per elaborare il materiale proveniente dall’e-sperienza, sembra condannare l’operosità delle ‘formi-che’, intese quale simbolo di un’indagine rigorosamen-te empirica, condotta con metodo induttivo. Accumu-lare semplicemente osservazioni sul mondo fenome-nico e sulle dinamiche degli eventi naturali non risulta sufficiente a ottenere un’attendibile conoscenza scien-tifica. Le scrupolose formiche paiono simboleggiare la sag-gezza e la perizia del lavoro artigianale, dove l’assom-marsi delle esperienze rende unicamente possibile ‘sapere come’ procedere nel produrre artefatti. Ma al fine di ‘conoscere e spiegare le leggi’ che regolano l’evolvere dei fenomeni naturali sembra rendersi ne-cessario compiere la rivoluzione concettuale delineata dall’insegnamento kantiano, e dare forma –mediante la costruzione sperimentale– a quei dati empirici che poi, per via induttiva, si provvederà a raccogliere. Per tale motivo, nella prospettiva della modernità un’adeguata conoscenza scientifica risulta raggiungibi-

12 ALBERTA REBAGLIA

le solo operando quali ‘api’ che vengano affaccendan-dosi intorno a un materiale empirico da esse stesse già conformato in modo opportuno, così da consentir-ne l’acquisizione. L’esito gnoseologico di tale proficua interazione tra l’esperienza, così conseguita, e gli schemi razionali, che ne manifestano le intrinseche regolarità, si afferma come la più efficace e affidabile risorsa per progettare dispositivi rivolti sia all’indagine sulla natura, in quanto strumenti scientifici, sia al-l’orizzonte economico e sociale della produzione, in quanto apparati tecnologici. Il potere esplicativo delle reti teoriche è interamente basato sull’intrinseca chiarezza dei nodi concettuali che le compongono, e soprattutto sull’altrettanto im-mediata evidenza della loro efficacia nel cogliere i dati empirici. Nel momento in cui (a partire dall’elabora-zione di geometrie alternative a quella euclidea) que-sto secondo aspetto viene posto in questione, le reti teoriche perdono la loro forza esplicativa nei confronti del mondo fisico, e si configurano come semplici mezzi di catalogazione di informazioni accumulate per via empirica.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 13 Capitolo 1 La filosofia della natura tra empirismo e razionalismo

1.1 Tassonomie e osservazione “attiva” La scienza moderna, com’è ben noto, trova in Galileo e nei ‘filosofi della natura’ del XVII secolo i propri padri fondatori, i quali –per la prima volta nella storia dell’indagine naturale– hanno basato il potere conoscitivo della ragione su esperimen-ti, allestibili affidandosi alle tradizionali risorse della perizia artigianale e dell’esperienza tecnica guidate da una innovativa visione d’insieme a carattere formale.

Già in epoca antica, l’osservazione attenta e costante della natura e l’organizzazione sistematica dei dati empirici raccolti è stata considerata il mezzo più affidabile per conseguire informazioni sul mondo sensibile; e lo stesso Aristotele [1] ha impostato la descrizione del mondo fisico su un insieme di leggi strettamente legate alle caratteristiche più ovvie e palesi dei fenomeni naturali.

Questa costante osservazione e registrazione degli eventi che cadono sotto la diretta esperienza quotidiana ha condotto, nell’età dell’Umanesimo e del primo Rinascimento, a una diffusa presenza di classificazioni e tassonomie (espresse in erbari, bestiari, raccolte di mineralogia e, in generale, di “cose naturali”) atte a organizzare una quantità sempre maggiore di dati secondo modalità sempre più efficacemente sistemati-che[2]. Tali opere, che ordinano i fatti empirici in base a schemi razionali, paiono costituire un passo importante sulla via della scienza nel momento in cui, all’inizio del XVII secolo,

14 ALBERTA REBAGLIA Francesco Bacone (prima figura rilevante di ‘indagatore della natura’ in senso moderno) introduce una distinzione netta tra osservazione passiva –dovuta al puro assommarsi di percezio-ni casuali, e come tale inefficace nel condurre alla conoscenza di un fenomeno fisico individuando le cause che lo provocano– e osservazione attiva –controllata e guidata da presupposti teorici, razionali.

In effetti, spiega Bacone, le indagini empiriche possono sperare di conseguire il loro scopo ultimo –consentendo di conoscere le cause dell’ordine naturale– soltanto se compiute seguendo una procedura meno immediata, e più affidabile, della semplice “enumerazione” dei singoli casi, induttivamente accumulabili, in cui un certo fenomeno si presenta: predispor-re un numero finito (per quanto elevato) di osservazioni dirette, conglobandole semplicemente in una regola generale, non escluderebbe l’eventualità che qualche futura osservazio-ne possa costituire un’eccezione tale da infrangere la regola e invalidarla; e quella che Bacone denomina “induzione per enumerazione” non sarebbe perciò sufficiente a garantire la necessaria verità delle leggi ottenute generalizzando quanto empiricamente registrato. Gli empiristi a oltranza, egli scrive (cfr. Scheda 1), come formiche accumulano semplicemente il materiale che incontrano nel mondo fisico, senza poterne trarre alcuna utile elaborazione; tale compito, invece, è esple-tato con successo da coloro che, come api, traggono sì il materiale dall’esperienza, ma lo assimilano e lo metabolizzano producendo, così, un’autentica conoscenza.

Risulta quindi necessario raccogliere informazioni moltepli-ci, sia sui casi in cui il fenomeno indagato è presente, sia su quelli –similari– in cui esso è assente. Secondo un noto esem-pio formulato da Bacone, per indagare la causa del calore occorre considerare le numerose circostanze in cui si manife-sta la “forma” del calore (i raggi del sole, la calce viva cosparsa d’acqua, ogni tipo di fiamma…) e registrare, conglobandole in un differente elenco, quelle circostanze (per molti aspetti simili alle prime) in cui la “forma” del calore è assente (la luna, le stelle, i fuochi fatui…): al termine di questa raccolta sistemati-

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 15 ca, egli sostiene, occorre attribuire alla ragione il compito (attivo) di operare successive “vendemmie” a partire da quegli stessi dati, mediante le quali eliminare ipotesi classificatorie che si rivelino discordanti con alcune delle informazioni raccolte. Verranno, in tal modo, avanzate ipotesi sulla causa del fenomeno indagato, escludendo –mediante il ragionamen-to– cause che, per taluni aspetti, potrebbero apparire plausibi-li (nell’esempio proposto, “luminosità e splendore” non sono cause del calore, poiché sono luminosi anche corpi ritenuti freddi, come la luna). E Bacone conclude la sua catena di congetture ed esclusioni affermando –con felice intuizione– che « il calore in sé o la sua essenza è moto e nient’altro che moto» (Bacone, 1620, libro II, aforisma 20). [back]

In questa fase di ‘controllo sperimentale’, il compito affidato alla ragione umana consiste dunque, unicamente, nel-l’esercitare la massima attenzione critica allorché vengono valutate le informazioni provenienti da un esperimento, presupponendo che esso si limiti, in ogni caso, a registrare le modalità di accadimento dell’evento sotto esame? Questo è, sostanzialmente, quanto ritiene Francesco Bacone; ma gli esempi che egli adduce nella sua opera principale, il Novum organum, sembrano indicare una insufficienza di tale via metodologica nel delineare utilmente i contorni della speri-mentazione scientifica [3].

Nonostante l’approssimazione nel prospettare le modalità con cui la ragione può operare un’esclusione di proprietà presenti solo accidentalmente in un fenomeno, nonché l’assenza di attenzione specifica verso la matematica, l’impostazione baconiana sarà –per molti aspetti– al centro dell’eredità che la scienza seicentesca lascia al secolo dei Lumi. Secondo il “giudizioso” Bacone –come lo definirà Immanuel Kant, il grande filosofo tedesco che verso la fine del XVIII secolo getterà le basi di una interpretazione filosofica della scienza di Galilei e Newton– l’indagine scientifica deve poggiare sul controllo operato dalla ragione mediante l’esperimento: ogni ipotesi formulata in seguito a uno studio induttivo e tassonomico dev’essere controllata sperimental-

16 ALBERTA REBAGLIA mente, in modo tale che qualche esperimento possa rivelarsi cruciale nel respingere alcune interpretazioni del fenomeno e nel costringere a una riformulazione dell’ipotesi iniziale. E la ragione, così come la intende Bacone, deve mostrarsi libera da pregiudizi (eliminando quelle “anticipazioni” della mente sulla natura, che egli denomina “idola”, le quali prescindono dall’esperienza e la distorcono). Inoltre, essa deve condurre alla costruzione di un sapere pratico, o –secondo la terminolo-gia baconiana– “fruttifero”: capace di produrre dispositivi tecnici che consentano di “dominare” la natura e migliorare la qualità della vita quotidiana –come egli immagina possa accadere in un futuro utopico, secondo quanto descrive nella sua ultima opera, rimasta incompiuta, la Nuova Atlantide.

Afferma lo storico della scienza e della tecnologia A. Rupert Hall:

La deliziosa visione di un’esistenza in cui il lavoro era reso più lieve da meravigliose macchine, il pensiero poteva viaggiare veloce intorno al mondo, e la vita era rallegrata da colori e delicatezze inimmaginabili mediante nuovi procedimenti chi-mici, mentre l’uomo poteva ammirare la meravigliosa comples-sità e provvidenza dell’opera del Creatore, fu descritta in una ventina di trattati [..] La “Nuova Atlantide” (1627) di Bacone è l’opera più famosa in cui si tenta di descrivere una società in questo stato di beatitudine scientifico-tecnologica [..] Gli uomi-ni, fin dall’antichità, avevano sognato di conquistare tale pa-dronanza sugli elementi naturali che li circondavano mediante poteri magici, ma nel diciassettesimo secolo abbandonarono la magia; il potere scientifico sulla natura doveva essere dello stesso genere di quello, incompleto, che gli uomini già eserci-tavano, ed era ottenuto con l’uso della ragione, degli esperi-menti, dell’osservazione [in Singer et al., 1954-1978, vol.3 tomo 2, pp.726-727]. [bak]

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 17 1.2 Il controllo sperimentale

E’ ben vero –possiamo argomentare considerando un altro momento emblematico della fase iniziale della scienza moder-na– che ricontrollando le affermazioni aristoteliche sul movi-mento dei corpi alla luce della semplice osservazione speri-mentale Galileo ha potuto individuare la loro sostanziale discordanza con

accidenti frequentissimi e palpabilissimi [quali] due corpi che nell’acqua si moveranno l’uno cento volte più velocemente dell’altro, ma che nell’aria poi quel più veloce non supererà l’altro di un sol centesimo [..] come, per esempio, un uovo di marmo scenderà nell’acqua cento volte più presto che alcuno di gallina, che per l’aria nell’altezza di venti braccia non l’anticiperà di quattro dita (Discorsi e dimostrazioni matemati-che intorno a due nuove scienze, 1638, in Galilei, 1890-1909, vol.VIII pp.111-112).

Ma questa sola osservazione, di immediatezza empirica, pur ponendo in evidenza che il movimento non è indipendente dalla densità del mezzo non potrà mai rivelarsi un “esperimento cruciale”; in nessun caso sarà così stringente da indurre a non fare affidamento (con Aristotele e con coloro che, in epoca medioevale e all’inizio della modernità, hanno seguito l’impo-stazione della sua fisica, pienamente concor-dante con il senso comune) su quella che sembra essere la più evidente e ovvia caratteristica del mondo fisico: stato di quiete e movimento sono fra loro radicalmente differenti, e per mantenere un corpo in movimento occorre sempre esercitare su di esso una forza [4].

Nella progettazione della fase sperimentale, non può dun-que essere attribuito alla ragione il semplice compito di orientare la lettura dei risultati osservativi. Essa deve, invece, svolgere un ben più essenziale ruolo attivo. Soltanto un disagio di ordine razionale potè condurre Galileo a contraddire la concezione aristotelica del mondo, ad accomunare –con-trointuitivamente– stato di quiete e stato di moto (non accele-

18 ALBERTA REBAGLIA rato) e a formulare il suo principio di relatività, base della legge newtoniana di inerzia. Reimpostando la descrizione teorica diviene infatti possibile rimuovere una ingiustificata asimmetria concettuale presente nella fisica tradizionale e negare ogni distinzione tra osservatori inerziali, i cui sistemi di riferimento devono essere tutti fra loro equivalenti [5].

Risulta evidente che nessuna esperienza potrebbe indurci a considerare corpi in quiete e corpi in moto rettilineo uniforme come appartenenti a un’unica classe di fenomeni, se già non avessimo predisposto una definizione formale –espressa in linguaggio matematico– capace di cogliere ciò che la ragione ritiene essenziale del fenomeno, trascurando ogni altro carat-tere (che risulta, conseguentemente, superfluo e accidentale).

Galileo sostiene (in opposizione a un empirismo radicale e conformemente a un ideale platonico) che la natura possiede un’essenza matematica e –in quanto tale– è decifrabile dalla razionalità umana. Secondo una sua celeberrima affermazio-ne, l’universo è un

grandissimo libro, che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi, ma non si può intendere se prima non si impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impos-sibile a intenderne umanamente parola (Il Saggiatore, 1623, in Galilei, 1890-1909, vol.VI, p.232).

D’altronde, Galileo sottolinea come la ricerca scientifica debba basarsi sul doppio binario delle « sensate esperienze» (ovvero delle indagini sperimentali) e delle « certe dimostrazio-ni» (e quindi delle teorizzazioni matematiche). E suggerisce, anche se indirettamente, il punto del processo scientifico in cui tale interazione tra mondo empirico e mondo matematico deve avvenire: nell’esperimento (con le operazioni di misura che esso comporta).

Questa stessa impostazione, non esclusivamente induttiva, guida anche l’opera di Johannes Kepler, altra figura impre-scindibile nella costruzione della scienza moderna. Nonostan-

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 19 te l’astronomo danese Tycho Brahe abbia esortato questo suo valente collaboratore a seguire l’impostazione (baconiana) secondo cui l’armonia e le proporzioni dell’universo devono essere cercate a posteriori e non determinate a priori (cfr. Rossi, 1997, p.98), egli giunse a formulare le sue note leggi proprio interpretando i dati osservativi, minuziosamente registrati da Tycho, alla luce della convinzione –esclusiva-mente razionale– che l’ipotesi copernicana renda assai più semplice “la macchina del mondo”, rispetto al complicato sistema di epicicli ed eccentrici prefigurato dalla cosmologia tolemaica (e nel pensiero tradizionale la semplicità, che la natura ama, è garanzia di verità). Accanto alla « sensata esperienza», dunque, per ottenere un adeguato sistema di leggi teoriche sia Galileo sia Keplero sentono il bisogno di « neces-sarie dimostrazioni» . Occorre, cioè, conciliare la ricerca “a posteriori” di informazioni empiriche con la determinazione “a priori” di principi logici e matematici altamente generali e assolutamente evidenti, ritenuti assiomi indubitabili dai quali dedurre tutte le conseguenze possibili, evitando ogni incoeren-za e contraddizione logica. Per conoscere correttamente il mondo fisico è perciò necessaria una cooperazione tra i due aspetti –per essenza disomogenei– dell’esperienza empirica e della certezza razionale; cooperazione che oltrepassa, peraltro, i limiti dell’empirismo intelligentemente critico tracciati da Bacone con l’analogia delle api, e che soltanto Kant chiarirà nelle sue specifiche possibili modalità (Kant, 1781/87).

Proprio la costruzione sperimentale risulta, nella prospettiva kantiana, il luogo deputato all’interazione fra istanze raziona-liste ed empiriste: nel momento in cui progetta e costruisce una situazione sperimentale, l’indagatore scientifico non si presenta di fronte alla natura « in qualità di scolaro che stia a sentire tutto ciò che piaccia al maestro, sibbene di giudice, che costringa i testimoni a rispondere alle domande che egli loro rivolge» (cfr. Scheda 2). Lo scienziato può venire a cono-scenza di quanto la natura insegna se le modalità del-l’apprendimento non sono legate a un’osservazione passiva. L’esperimento non è un’occasione per ‘lasciar parlare la

20 ALBERTA REBAGLIA natura’, ma un modo per ‘interrogarla’. Così, per esempio, Galileo può ottenere dalla natura la risposta che egli cerca, circa le modalità di caduta dei gravi, non già, semplicemente, controllandone per via sperimentale il comportamento, bensì costruendo le proprie domande, ovvero imponendo –prelimi-narmente all’attuazione della fase sperimentale condotta con l’ausilio di un piano inclinato– l’ipotesi secondo cui un corpo acquista la stessa velocità finale sia cadendo secondo l’altezza del piano inclinato, sia percorrendone la lunghezza. La conoscenza che Galileo ottiene sul fenomeno della caduta dei gravi ha inizio solamente nella fase della sperimentazione (poiché soltanto la natura può dirci se l’accelerazione di un corpo in caduta sia o meno costante), ma –sottolinea pun-tualmente Kant– non deriva completamente dall’esperienza sensibile (giacché egli deve imporre a priori, indipendentemen-te dall’esperienza e in base a una regola razionale che organiz-za la composizione delle forze, che l’accelerazione lungo il piano inclinato sia una componente dell’accelerazione verticale di gravità e che, dunque, se la pendenza del piano è costante anche il rapporto tra le due risulta costante).

Ricordando che il grande filosofo tedesco è una delle figure centrali dell’illuminismo, possiamo peraltro sottolineare come l’idea-guida di ragione (che l’illuminismo desume dall’imposta-zione metodologica all’origine del pensiero scientifico) abbia legami strettissimi con la tecnica: istituire il “tribunale della ragione” per interrogare attivamente la natura è possibile solo compiendo esperimenti, e questi ultimi possono venire allestiti soltanto grazie alle abilità tecniche acquisite [6].

La scienza moderna nasce già intrinsecamente rivolta verso la tecnica; e dà luogo allo sviluppo di tecnologie, che consen-tono la sostituzione dell’artificiale al naturale. L’età moderna del “dominio” sulla natura é quella in cui gli strumenti diven-gono essi stessi parte integrante di un sistema di leggi scienti-fiche capaci di prevedere i fenomeni e determinarne le dinami-che.

La tecnologia, in quanto “razionalismo scientifico applicato”, compie un passo lunghissimo nell’allontanarsi dalle prime

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 21 tecniche, che pure già costituiscono una sorta di ‘lente razio-nale’ sul mondo. Anche in epoca pre-tecnologica, infatti, i dispositivi artificiali estrapolavano, in qualche modo, l’essenza astratta degli eventi naturali a cui si ispiravano (la ruota, per esempio, più che una riproduzione imitante la gamba, è una schematizzazione astratta del camminare). Nel concepire una macchina si è sempre inteso individuare quella successione di cause ed effetti che guidano l’evoluzione del processo che si ambisce surrogare, e cercato di isolare le forze naturali oppor-tune per fornire l’energia sufficiente all’espletamento dell’ope-razione. La prima, basilare astuzia esercitata dal ‘costruttore di macchine’ è dunque consistita nell’operare un’astrazione, e separare un elemento naturale dal suo contesto per servirsene in base a scopi prestabiliti. Così, colui che costruiva un mulino isolava la forza del vento dal contesto naturale e ne faceva un alleato, da associare ad altri elementi nel fabbricare la sua macchina ed espletare, con essa, in modo efficiente i processi lavorativi richiesti. E macchine « sempre più precise, macchine matematiche, le quali [..] presuppongono la sostitu-zione, nello spirito dei loro inventori, dell’universo di precisio-ne al mondo del pressappoco» caratterizzano, secondo lo storico della scienza Alexandre Koyré (Koyré, 1948, p.102), il delinearsi dell’oriz-zonte tecnologico della modernità.

In effetti, entro una riflessione impostata su basi scientifi-che, ai dispositivi artificiali è richiesto di eseguire ripetuta-mente determinate dinamiche esattamente in conformità con quanto imposto e previsto sulla base delle leggi individuate mediante l’indagine naturale. “Artificiale” e “naturale” vengo-no, perciò, a essere strettamente correlati entro l’universo della “precisione”, di cui parla Koyré, coincidente con quello che il suo maestro, il filosofo Edmund Husserl, definisce un “ben confezionato abito ideale”, ovvero entro l’orizzonte della misurazione sperimentale, familiare alla modernità a partire da Galilei e totalmente estraneo, invece, alla mentalità anti-ca [7].

La logica di pensiero che viene affermandosi prevede che la natura venga dominata tecnologicamente attraverso una

22 ALBERTA REBAGLIA rigorosa obbedienza alle sue stesse leggi: in questo senso il “dominio” sulla natura può essere individuato come “dominio della natura” (espressione che rispecchia la duplicità del controllo esercitato –genitivo oggettivo– e del metodo seguito a tal fine: l’attenersi alle leggi imposte dalla natura, che è dunque lei stessa, da questo punto di vista, a dominare –genitivo soggettivo). [back]

La “precisione” matematica “riveste il mondo-della-vita” (Husserl), ovvero “si incarna nel mondo del pressappoco” (Koyré), nel modo più diretto ed evidente mediante le macchi-ne e gli strumenti che la scienza, attraverso la tecnologia, pone a disposizione. Persino tipici prodotti artigianali come le lenti –le quali nel loro stesso etimo (che, per la forma, le avvicina alle lenticchie) denunciano la loro origine popolare e distante dai gabinetti scientifici, nei quali agli strumenti venivano attribuiti nomi latini (tanto che nel momento in cui anche la lente vi verrà introdotta sarà ribattezzata con il nome di specillum [8])– possono diventare utili strumenti di indagine scientifica, ma solo a condizione di venire considerate sotto l’angolatura prospettica della perfezione matematica, inidonea a trattare l’universo della quotidianità. Per « l’uomo che se ne serviva, gli occhiali non erano [..] uno strumento ottico. Essi erano [..] un utensile, ossia qualcosa che [..] prolunga e rinforza l’azione delle nostre membra, dei nostri organi sensi-bili; qualcosa che appartiene al mondo del senso comune» (Koyré, 1948, op.cit.,pp.100-101). Le lenti divengono stru-menti scientifici allorché è possibile determinarne la curvatura in base alle leggi dell’ottica (ponendosi nella prospettiva di Galileo, per il quale la natura è un grande libro scritto in caratteri matematici) e produrne concretamente la forma voluta mediante strumenti che (abbinando l’abilità dell’ope-ratore a un livello adeguato di prestazione del macchinario) per la ripetibilità dell’operazione e l’accuratezza dei movimenti sono genericamente classificabili quali dispositivi “di precisio-ne” (come la macchina per tagliare i vetri parabolici inventata da Cartesio, filosofo, matematico, nonché artefice dei fonda-menti della geometria analitica).

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 23

Il sapere scientifico viene dunque a intersecarsi, in modo inedito e concettualmente assai impegnativo, con l’intero orizzonte delle precedenti tecniche artigianali.

Persino in campo astronomico (dove più sembra evidente e inevitabile la passività dell’osservazione) il nuovo spirito scientifico impone un’impostazione sperimentale, la quale si rivelerà assolutamente vincente. Tanto che la legge newtonia-na della gravitazione universale darà prova di essere l’indispensabile “principio” che la ragione deve avere “in una mano” nel presentarsi alla natura (seguendo l’espressione usata da Kant nel brano antologizzato), e anche l’osservazione astronomica risulterà un “esperimento” compiuto “secondo questo principio”. Nel 1846, John Couch Adams in Inghilter-ra e, indipendentemente, Joseph Le Verrier in Francia scopro-no Nettuno osservando quella porzione di cielo che la teoria newtoniana aveva previsto essere occupata da un pianeta sconosciuto, indispensabile per spiegare le anomalie riscon-trate nell’orbita di Urano (interpretate come effetti perturbativi generati dalla forza gravitazionale esercitata da un pianeta ancora ignoto).

1.3 Lo spazio. Intuizione e percezione empirica L’impostazione kantiana non si limita a individuare nel momento sperimentale il nodo in cui, all’interno del processo scientifico, avviene l’interazione tra ragione ed esperienza; essa spiega approfonditamente le modalità con le quali tale interazione avviene, trovando una soluzione decisiva –e totalmente autonoma– al problema dell’eterogeneità fra i due termini. Stabilito (con Galileo e Bacone) che la conoscenza non è acquisizione passiva di dati, Kant attribuisce all’intel-letto (nozione specifica con cui egli individua la facoltà razio-nale in quanto attività conoscitiva) una indispensabile funzio-ne attiva, unificante e ordinatrice. E considera i dati prove-nienti dall’esperienza sensibile –elaborati concettualmente

24 ALBERTA REBAGLIA dall’intelletto– anch’essi già preventivamente organizzati dal soggetto attraverso una specifica fonte “passiva” del conosce-re: la sensibilità; questa agisce come un filtro, che consente di intuire immediatamente quanto ricevuto dal mondo esterno come “materiale sensibile”, collocandolo preliminarmente nello spazio e nel tempo.

Spazio e tempo sono concepiti da Kant come forme a priori, facenti parte della nostra costituzione soggettiva: perciò il “materiale” da essi organizzato –il solo a nostra disposizione come dato empirico, sul quale basare ogni possibile conoscen-za– appartiene già, per sua natura, al soggetto; rendendo del tutto legittima e sicura l’operazione dell’intelletto, che consen-te di acquisire conoscenze indubitabili attraverso una sintesi concettuale dei dati resi disponibili dalla sensibilità. Questa costitutiva soggettività attribuita a spazio e tempo non li priva tuttavia, nell’impostazione kantiana, di validità oggettiva: essi sono infatti ‘filtri’ passivi (che danno necessariamente forma al materiale empirico con un intervento che è identico in ogni essere umano); e, semplicemente, consentono l’esistenza stes-sa dei fenomeni fisici: “oggetti per noi”, e non inconoscibili “cose in sé”. Spazio e tempo sono quindi secondo Kant “forme a priori” in quanto precedono l’esperienza; nonché in una seconda, importante, accezione: essi rendono possibile l’esperienza. [back]

Tutto il peso dell’argomentazione kantiana su spazio e tem-po risiede in questo doppio significato, che egli attribuisce al loro carattere di forme “pure”: “pure” in quanto precedono ogni esperienza, e “pure” in quanto sono imprescindibili in ogni approccio empirico. Anche la determinazione delle forme a priori di spazio e tempo quali “intuizioni” (ovvero quali componenti necessariamente presenti nella immediata percezione del mondo sensibile), anziché quali “concetti” (ovvero quali funzioni che, attivamente, unificano i contenuti della esperienza), è evidentemente strumentale alla soluzione kantiana: qualora spazio e tempo risultassero forme attive di conoscenza, non potrebbero garantire l’oggettività dell’inda-gine empirica, poiché anche l’immediata percezione sensibile

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 25 risulterebbe costruita dal soggetto, nei suoi sforzi di conoscere il mondo.

Nella prospettiva kantiana, l’intuizione della componente spaziale è necessariamente presente ogniqualvolta formuliamo un concetto, fosse esso il più semplice elemento della più astratta delle costruzioni teoriche:

Non si può mai formare la rappresentazione che non vi sia spazio, sebbene si possa benissimo pensare che in esso non si trovi nessun oggetto. [..] non ci si può rappresentare se non uno spazio unico, e, se si parla di molti spazi distinti, si inten-de soltanto parti dello stesso spazio unico e universale. [..] tutte le parti dello spazio coesistono, all’infinito» (Kant, 1781/87, pp.69-70).

La ‘griglia spaziale’ attraverso cui necessariamente percepiamo il mondo è dunque, secondo Kant, quella sorta di ‘palcosceni-co’ –avente le caratteristiche dello spazio geometrico euclideo– che Newton ha imposto come sfondo necessario per intendere le leggi della dinamica. Se, infatti, il principio di relatività galileiano garantisce l’indistinguibilità di un sistema in quiete rispetto a uno in moto rettilineo uniforme, solamente il riferi-mento a un sistema di coordinate assolute (coincidenti, appunto, con lo spazio tridimensionale, intuito a priori) consente di distinguere fra loro i due stati, riempiendo di significato i termini “quiete” e “moto rettilineo uniforme”.

Kant, contrariamente a Newton, rifiuta di pensare che tale spazio sia un oggetto presente nel mondo, poiché una sua estraneità al soggetto non consentirebbe di delineare quella omogeneità sostanziale fra dati empirici percepiti e leggi formali formulate razionalmente, la quale è, invece, indispen-sabile ad assicurare che le elaborazioni razionali dei dati acquisiti per via empirica siano autentiche conoscenze, univer-sali e necessarie.

La nozione di spazio, così come la intende Kant, richiede che lo spazio euclideo (il quale coincide con lo spazio tridi-mensionale che il senso comune coglie in modo intuitivo) abbia validità universale e necessaria.

26 ALBERTA REBAGLIA

Proprio nel periodo in cui Kant sancisce questa centralità in ambito fisico del ruolo svolto dallo spazio geometrico, si fanno, tuttavia, strada i primi indizi di una crisi profonda che, nel corso dell’Ottocento, investirà la rigorosa costruzione assioma-tica elaborata da Euclide nel III secolo a.C.

1.4 Assiomatizzare la natura Prima di affrontare le trasformazioni concettuali dovute alla crisi della geometria euclidea, è opportuno analizzare ulte-riormente le motivazioni profonde che hanno condotto alla matematizzazione della scienza fisica. Come scrive lo storico e filosofo della scienza Gaston Bachelard,

Rendere geometrica la rappresentazione, vale a dire descrivere i fenomeni e ordinare in serie gli eventi decisivi di un’espe-rienza: ecco il compito primario in cui si afferma lo spirito scientifico. E’ in questo modo, infatti, che si giunge alla quan-tità figurata, a mezza strada fra il concreto e l’astratto, in una zona intermedia dove lo spirito pretende di conciliare la mate-matica con l’esperienza e le leggi con i fatti. [Bachelard, 1938, p.1]

L’espressione più compiuta, tangibile e ammirevole dell’impo-stazione scientifica moderna, basata su tale elaborazione razionale dell’esperienza empirica, è indubbiamente rappre-sentata dai Philosophiae naturalis principia matematica di Isaac Newton, editi dalla Royal Society nel 1687 (Newton, 1687-1713). In essi, l’impostazione metodologica che abbiamo visto delinearsi come tipica della scienza moderna si chiarisce e si radicalizza. Le leggi fondamentali del moto sono in grado di classificare la dinamica dei corpi materiali (rispettando l’originario ideale tassonomico di tipo baconiano) in modo assolutamente necessario, in quanto tale organizzazione (come spiegherà Kant) non è desunta dall’esperienza, ma è a essa imposta. E proprio questa, che Kant indicherà come una

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 27 “rivoluzione copernicana” nel modo di intendere il rapporto tra la razionalità umana e l’insieme dei fenomeni fisici, è possibile solo ammettendo che ‘prima di’ e ‘indipendentemente da’ ogni esperienza siamo già in possesso di quelle leggi formali, espresse in linguaggio matematico, che sono le leggi della natura, e ne determinano i comportamenti. Il sistema di segni e regole logico-matematiche viene messo in relazione con la natura in un modo ancor più radicale di quanto non abbiamo finora sottolineato mediante le esemplificazioni delle indagini di Keplero o di Galileo.

Lo spazio, che Euclide definisce dettagliatamente nel suo sistema di geometria, è anche lo scenario entro il quale si dipanano gli eventi naturali: utilizzando le coordinate introdot-te da un altro grande filosofo e scienziato dell’età moderna, René Descartes, è infatti possibile rappresentare geometrica-mente le equazioni che individuano le proprietà del mondo fisico. Strettamente connessa alla geometria, la fisica deve perciò risultare fondata su pochi assiomi fondamentali e avere carattere deduttivo. Così, nei Principia, Newton offrirà una descrizione sistematica del mondo fisico organizzata, ed esposta, prendendo a modello l’impianto assiomatico della geometria euclidea.

Come alla base degli Elementi di Euclide vi sono poche defi-nizioni degli enti geometrici fondamentali e dieci assiomi (cinque nozioni comuni –concernenti proprietà generali di identità e ordine– e cinque postulati –riguardanti relazioni specifiche tra gli enti geometrici fondamentali), tutti giudicati assolu-tamente veri in quanto di indubbia evidenza, alla base del sistema newtoniano si trovano altrettanto poche definizioni degli enti fisici fondamentali e tre assiomi (le cosiddette “leggi del moto”). E la fisica che Newton elabora, seguendo il model-lo di Euclide, consente di ottenere una descrizione del mondo fattuale assai più efficace di quanto non fossero i precedenti tentativi di porre in relazione schemi matematici e deduzioni razionali da un lato, e dall’altro ‘neutre’ induzioni empiriche.

Keplero, per esempio, formulò la sua nota “seconda legge” –secondo la quale la linea congiungente il Sole a un pianeta

28 ALBERTA REBAGLIA spazza aree uguali in tempi uguali– cercando di far accordare i dati osservativi ottenuti da Tycho Brahe con le premesse razionali legate all’astronomia copernicana; ma la ineliminabi-le disomogeneità intrinseca all’appello rivolto tanto a presup-posti razionali, e a calcoli matematici, quanto ad accurate osservazioni astronomiche non gli consentì di spiegare la natura della forza che rende possibile quella dinamica plane-taria se non introducendo nel sistema esplicativo ipotesi metafisiche (ovvero scientificamente indimostrabili e non sperimentalmente controllabili), quale il richiamo a un’ “anima” presente nel Sole, come negli altri corpi celesti, capace di promuovere il moto dei pianeti (secondo una nozione di “anima del mondo” ben presente nel contesto neopitagorico, neoplatonico e magico che domina il pensiero del Rinascimen-to). Newton, invece, grazie alla struttura assiomatica della sua fisica dimostra che la seconda legge di Keplero è vera se e soltanto se la forza che agisce sul pianeta è diretta verso il Sole. E questo gli è possibile organizzando, già dall’inizio, la sua dimostrazione in forma geometrica: nei Principia egli si serve, innanzi tutto, di un diagramma per dimostrare che, se nessuna forza agisce sul pianeta, aree uguali sono percorse in tempi uguali dalla congiungente Sole–pianeta (come previsto dalla legge di Keplero). In tal caso, infatti, secondo quanto prescritto dal primo assioma del sistema newtoniano –la legge di inerzia– il pianeta si muoverebbe uniformemente lungo una linea retta; il tragitto percorso in un intervallo di tempo t1 (P1P2) sarebbe, perciò, identico a quello (P2P3) percorso nel successivo intervallo t 2 = t 1 (Fig.1). I due triangoli (SP1P2 e SP2P3), formati dalla linea congiungente Sole e pianeta, avendo un’altezza comune (SP1) hanno aree uguali. Peraltro, nell’intervallo di tempo (t 1+t 2) preso in considerazione, l’osser-vazione empirica indica che il moto del pianeta non è rettilineo e uniforme; e questo –ancora una volta in base agli assiomi individuati dallo stesso Newton– significa chiaramente che su di esso agisce una forza.

Affinché valga la seconda legge di Keplero, e l’area del triangolo SP2P4 (cui dà luogo l’effettivo spostamento del pianeta) sia uguale a quella di SP1P2, è necessario –per

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 29 sia uguale a quella di SP1P2, è necessario –per ragioni rese evidenti dalla stessa costruzione geomentrica– che il punto P4 sia collocato, in qualche luogo, lungo la retta passante per P3P4, parallela a SP2. Solo così, infatti, i triangoli SP2P3 e SP2P4 risulteranno congruenti (avendo in comune la base SP2 e uguali altezze), e dunque SP1P2 avrà effettivamente la medesima area di SP2P4.

S P1

P2

P3

P4

S P1

P2

P3

P4

Fig. 1. Considerando il moto di un pianeta (P) intorno al Sole (S), se su di esso non agissero forze P proseguirebbe con velocità uniforme lungo la retta su cui si trovano i punti 2 e 3. Solo una forza diretta verso il Sole, con azione costante, può costringere P a deviare dal percorso rettilineo, facendo sì che all’istante t2 esso si trovi nel punto 4, anziché nel punto 3. L’osservazione sperimentale conferma l’effettiva ubicazione del pianeta lungo la retta P4P3. E, d’altronde, Newton può spiegare tale fatto empirico facendo appello a uno strumento puramente razionale, il “calcolo delle flussioni” (termine con cui egli denominò il calcolo infinitesimale): tutto l’effetto della forza esercitata sul pianeta nell’intero intervallo di tempo

30 ALBERTA REBAGLIA equivale a una variazione di moto empiricamente quantificabi-le, e localizzabile lungo la parallela alla linea congiungente il Sole e la posizione media del pianeta per l’intervallo considera-to (cfr. ancora Fig.1), soltanto a condizione che il Sole abbia esercitato con costanza sul pianeta una forza uniformemente attrattiva. Il ragionamento deduttivo consente, pertanto, di individuare una connessione necessaria tra la seconda legge di Keplero e l’attrazione gravitazionale esercitata dal Sole.

In tal modo, Newton può spiegare le orbite planetarie senza introdurre speculazioni metafisiche (come il principio keple-riano dell’anima mundi): egli, come ben sappiamo, fa riferi-mento alla forza onnipresente della gravità indicando che essa agisce universalmente secondo la legge della proporzionalità inversa al quadrato della distanza, e sottolineando come il suo sistema –realizzato more geometrico– gli consenta di non “fingere” alcuna ipotesi metafisica sulla natura ultima di tale forza. La metafisica risulta, dunque, non avere più cittadi-nanza nel sistema scientifico nel momento in cui si impone una piena omogeneità tra le due componenti –formale ed empirica– del conoscere; omogeneità che si ottiene conside-rando, quali dati empirici da cui partire, i fatti già razional-mente interpretati (secondo quello che si è visto essere l’appello all’esperienza osservativa compiuto da Newton in un ambito totalmente interno alla costruzione geometrica). Ovvero, come sottolineerà puntualmente Kant, « la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno » (cfr. ancora la Scheda 2) e, così facendo, « mette capo a una legge necessa-ria » (ivi).

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 31 Capitolo 2 Dalla ragione legislatrice alla ragione strumentale 2.1 “Paradigma” newtoniano e geometrie non euclidee Fra le definizioni che Newton introduce all’inizio dei Principia rimane celeberrima la distinzione tra lo spazio (e il tempo) assoluto (“per sua natura privo di relazione con alcunché di esterno”), oggetto dell’indagine scientifica, e lo spazio (e il tempo) relativo (“misura” delle quantità assolute), “apparente” e di uso quotidiano, ma anche il solo a cadere sotto i nostri sensi [1]. Scrive Newton: « Invece dei luoghi e dei moti assoluti usiamo quelli relativi, e ciò non crea inconvenienti nelle cose umane, ma nella filosofia naturale occorre astrarre dai sensi » La verità di principi come quelli di spazio e tempo assoluti, dunque, secondo Newton deve essere evidente a priori, a prescindere dalle nostre esperienze sensibili. Si tratta di verità garantite dalla ragione stessa, presente in ciascuno e rigidamente strutturata così da costruire le proprie inferenze in modo univoco. E’ partendo da tali assiomi e incalzando la natura con uno stringente interrogatorio sperimentale che il “tribunale della ragione” (secondo la nota espressione kantia-na) può giungere a scoprire le leggi universali e necessarie che ne regolano il corso.

Negli stessi anni in cui questa impostazione metodologica del sistema newtoniano si viene chiarendo e rafforzando, si assiste all’indebolimento dell’impianto euclideo e alla nascita di geometrie alternative: un processo che incrinerà profonda-

32 ALBERTA REBAGLIA mente i presupposti filosofici del “paradigma” scientifico ormai consolidato.

La rigorosa trattazione svolta da Euclide nei tredici libri degli Elementi prende avvio dall’assunzione di un ristretto numero di “definizioni” (concernenti gli enti geometrici fonda-mentali: punto, linea, superficie, angolo, cerchio, e così via), di “nozioni comuni” (assiomi assolutamente evidenti, validi per tutte le conoscenze, riguardanti le nozioni di identità –ugua-glianza– e di ordine –maggiore, minore, ecc.– ) e di “postulati” (principi di eguale, assoluta evidenza e specifici dell’argomento in esame, riguardanti proprietà e relazioni degli enti geometri-ci fondamentali). Fin dall’antichità vennero espressi dubbi sull’effettiva, immediata evidenza del quinto postulato (se due rette sono tagliate da una terza in modo che gli angoli interni, da una delle due parti, siano minori di due angoli retti, allora le due rette, se prolungate, si incontreranno da quella parte) e si tentò di derivarlo dalle restanti proposizioni primitive. In effetti, la critica mossa al quinto postulato non concerne la sua verità, bensì la sua evidenza (ovvero il suo statuto logico di proposizione indimostrabile).

Nella prima metà del Settecento, Padre Gerolamo Saccheri pubblica la sua opera sulla geometria euclidea (Euclides ab omni naevo vindicatus) nella quale –cercando di consolidare la cogenza assiomatica della costruzione– tratta il celebre quinto postulato, anziché come assioma (postulato a priori), come teorema (deduttivamente dimostrabile a partire dai restanti assiomi): provandone la dipendenza logica dal resto della costruzione assiomatica, egli ritiene, si sarebbe potuto “emen-dare” il sistema da quello che poteva apparire come un “neo”, un’imperfezione nella sua cristallina rigorosità. Ammettere “per assurdo” che il quinto postulato possa essere falso, pur continuando a considerare vero il resto della struttura assio-matica euclidea, ragiona Saccheri, deve condurre a qualche palese contraddizione, la quale evidenzi l’insostenibilità della tesi circa la sua falsità. Il tentativo, che Saccheri reputa riuscito, conduce di fatto a formulare una quantità di proposi-zioni strane ma non per questo logicamente incoerenti: si apre

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 33 la strada all’elaborazione, che avverrà nel secolo successivo, di geometrie non euclidee.

Acquista un ruolo importante nella storia che conduce alla formulazione di geometrie non euclidee anche il lavoro del britannico John Playfair, il quale, nel 1795, pur non riuscendo a dimostrare la validità del quinto postulato ne fornisce comunque una interessante riscrittura, equivalente a quella originale di Euclide ma che, più di questa, si mostrerà utile nell’indirizzare i matematici verso l’elaborazione di geometrie alternative: data una retta l e un punto P non giacente su l, esiste una e una sola retta m passante per P e parallela a l. Diviene chiaro che i tentativi di dimostrazione per assurdo dovranno prendere avvio o dall’ipotesi che esista più di una parallela alla retta data, oppure da quella, opposta, che non ne esista nessuna.

Durante la prima metà dell’Ottocento, i lavori –tra loro indi-pendenti– di Gauss, Lobacevskij e Bolyai danno origine, se-guendo rigorosamente la prima ipotesi, alla geometria iperbo-lica [2]; e nel 1854 Riemann, allievo di Gauss, espone un secondo tipo di geometria non euclidea, la geometria ellittica, imponendo la seconda ipotesi concernente il postulato delle parallele unitamente all’abbandono del secondo postulato (in base al quale una linea retta può essere prolungata indefini-tamente in entrambe le direzioni; nella geometria riemannia-na, infatti, linee e spazi risultano finiti, anche se illimitati; e la somma degli angoli interni di un triangolo è sempre maggiore di 180°).

Che le asserzioni della geometria euclidea siano verità ne-cessarie riguardanti lo spazio fisico si rivela un’illusione infondata; e questo esautora il “tribunale” (kantiano) della pura ragione, il quale getta la sua rete di principi logici e assiomi matematici sul mondo empirico presupponendo che la loro assoluta evidenza li renda inconfutabilmente veri e unici. Secondo la dimostrazione relativa di coerenza dei sistemi non euclidei, elaborata nella seconda metà dell’Ottocento da Klein [3], questi spazi dai caratteri controintuitivi possiedono tutti la stessa validità logica del familiare spazio euclideo:

34 ALBERTA REBAGLIA diviene possibile –e indispensabile– decidere quale tra le differenti geometrie elaborate sia conforme al mondo fisico, attraverso un controllo sperimentale delle previsioni desumibi-li da ciascuna opzione. Scrive il filosofo neopositivista Rudolf Carnap:

Una volta realizzato che le geometrie non-euclidee possono essere logicamente consistenti, non siamo più autorizzati a decidere quale geometria valga in natura senza fare dei con-trolli empirici. [..] Gauss fu certamente il primo a sollevare la rivoluzionaria questione dei risultati che avrebbe dato un’inda-gine empirica sulla struttura geometrica dello spazio. Nessun altro aveva mai pensato di compiere una simile ricerca, che di fatto era considerata assurda [..] Se noi “vediamo” qualcosa nella nostra immaginazione, le cose non possono essere altri-menti. Che a qualcuno venisse in mente di misurare gli ango-li di un triangolo –non per gioco o per controllare la qualità di strumenti ottici, ma per trovare il vero valore della loro som-ma– sembrava del tutto assurdo [..] Cionondimeno, come risul-tato delle continue riflessioni sulle geometrie non-euclidee, molti matematici cominciarono a convincersi che queste strane nuove geometrie ponevano un genuino problema empirico (Carnap, 1966, pp.170-172).

Con la piena formulazione delle geometrie non euclidee si incrina quel difficile equilibrio tra “sensate esperienze” e “matematiche dimostrazioni” che la nuova scienza della natura sembrava aver imposto come modello vincente e insostituibile; e il compito dell’indagine scientifica viene, sempre più esplicitamente, ricondotto entro i confini di un più rigoroso empirismo, dove misurarsi con la registrazione di dati osservativi e la loro sistematizzazione organica secondo relazioni formali. I capisaldi della geometria euclidea non sono (più) necessariamente veri, indipendentemente da una loro familiarità acquisita mediante l’esperienza. E anzi, il fatto che lo spazio fisico sia, o meno, euclideo può essere deciso compiendo esperimenti appropriati. I caratteri dello spazio tridimensionale euclideo non possono, dunque, rappresentare quella condizione formale a priori che rende possibile la

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 35 percezione e la conoscenza del mondo esterno. Viene ribaltata l’impostazione kantiana: l’esperienza diventa essa stessa il “tribunale” al quale la ragione deve essere sottoposta per acquisire conoscenza.

Ciò che si può (ancora) affermare è, da un lato, che la verità di un sistema geometrico coincide interamente con la sua coerenza logica (ed è dunque basata su principi totalmente convenzionali), e dall’altro che una geometria come quella euclidea può offrire un mezzo comodo e utile di orientamento (e, d’altronde, una geometria come quella riemanniana è, per esempio, adeguata alla descrizione di sistemi prossimi alla velocità della luce, stando alla teoria di Einstein). Troppo poco per ritenere, a buon diritto, che esista un filtro spaziale unico, universalmente condiviso in quanto autoevidente. Si deve perciò rinunciare al sogno kantiano di una ragione costituita a “tribunale” della natura, che guidi l’ “interrogatorio” scientifico intrecciando i propri principi ai dati sperimentali in una costruzione unitaria e armonica. Teorie matematiche e tecniche empiriche –che, come abbiamo visto, all’origine del pensiero scientifico moderno erano strettamente collegate fra loro– si trovano ora a essere radicalmente distinte dal punto di vista concettuale. In questo momento storico, scienza pura e scienza applicata tendono a divenire due ambiti separati, e strutturati secondo metodi opposti: gli assiomi e i principi che non si occupano di fatti sperimentalmente controllabili sono convenzioni, tutte egualmente ‘vere’ nella misura in cui evitano ogni contraddizione logica; mentre qualunque teoria che intenda descrivere il mondo fisico dovrà derivare dal più rigoroso esame empirico e non potrà contenere elementi a priori.

Quest’ultima condizione risulta particolarmente difficile da realizzare, poiché –siccome la scienza non vuole, e non può, perdere il proprio carattere di indagine fisica condotta con strumenti matematici– si riapre e si approfondisce il problema di giustificare la cooperazione tra gli aspetti puramente formali (ora considerati del tutto convenzionali) e quelli prettamente empirici; e, parimenti, perché una struttura teorica imponente

36 ALBERTA REBAGLIA e di grandissimo successo predittivo quale la fisica newtonia-na aveva fatto forte affidamento su presupposti a priori (come, appunto, l’esistenza di uno spazio assoluto di tipo euclideo).

2.2 Catalogare e prevedere. Origini della scienza industriale L’accentuazione del carattere empirico di ogni elaborazione scientifica concernente il mondo fenomenico diventa il nucleo centrale attorno a cui si viene organizzando l’indirizzo filosofi-co del positivismo, il quale –sorto nella prima metà dell’Otto-cento in Francia– è particolarmente attento ai rivolgimenti sociali legati al successo delle scienze e al sorgere delle prime industrie, e quindi massimamente interessato a chiarire caratteri portanti e legittimità del sapere scientifico.

La concezione positivistica, erede della crisi del kantismo, sottolinea l’importanza dell’osservazione come unica fonte di conoscenza, e tende a eliminare dalla scienza ogni entità che si mostri esterna alla portata empirica. Osservazione ed esperimento sono ritenuti gli unici mezzi che consentono di pervenire alla determinazione di leggi; le quali (perso il carat-tere di immediato e certo dettame della natura, il cui Libro sarebbe scritto esso stesso in linguaggio matematico –secondo la già citata espressione galileiana) sono considerate strumenti con cui isolare alcuni nessi invariabili che regolano i fenomeni osservati. L’esame dei fatti empirici conduce alla loro inclu-sione entro leggi scientifiche il cui unico obiettivo deve consi-stere nell’esatta determinazione delle relazioni tra fenomeni, escludendo ogni ricorso a entità esplicative (come flogisto, fluidi nervosi; ma anche geni o atomi che, nel XIX secolo, non erano sperimentalmente osservabili) le quali sarebbero segno di una scienza immatura, ferma allo stadio “metafisico” della sua storia. I concetti, secondo i maggiori esponenti del positi-vismo, non devono fare riferimento ad alcun genere di essenza non osservabile, ma venire formati a partire dai fatti; attraver-so operazioni attive che prevedono creatività scientifica, e

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 37 pervengono alla determinazione di leggi, le quali sono unica-mente considerate “cataloghi” di fatti, con cui individuare delle regolarità nei rapporti che legano reciprocamente fra loro i fenomeni osservabili [Fig.2].

Questa teoria empiristica della conoscenza è ritenuta condi-zione indispensabile (e sufficiente) per consentire la previsione di fatti futuri e indirizzare conseguentemente l’azione pratica; secondo l’impostazione positivistica sono questi gli obiettivi prioritari dell’impresa scientifica, quelli che la rendono essen-ziale allo sviluppo della società industriale: « scienza donde previsione, previsione donde azione» afferma significativamen-te Comte [4].

Fig.2. Il positivismo non considera più le “leggi della fisica” –cui occorre fare riferimento nel progettare nuove tecnologie– quali leggi imposte dalla natura. Poiché “esperimenti scientifici” e “principi razionali” non sono più correlabili mediante “giudizi sintetici a priori”, esse sono intese come ‘catalogazioni’ razionali di fatti empirici.

38 ALBERTA REBAGLIA

Le leggi scientifiche, così concepite, non vengono formulate sulla base di principi a priori, e non costituiscono perciò né strutture universalmente vincolanti per la conoscenza, né segni di connessioni necessarie fra i fenomeni naturali. Esse sono del tutto simili, invece, alle catalogazioni con cui, in una biblioteca, viene organizzato il ‘materiale’ librario.

Inteso dunque unicamente come uno strumento, totalmente indipendente dagli oggetti cui viene applicato, il metodo scientifico può essere trasposto anche in ambiti differenti dalla scienza fisica, purché sempre di tipo ‘osservativo’. In quegli stessi anni, Claude-Henri de Rouvroy conte di Saint-Simon –il quale, insieme a Comte, ha scritto testi di analisi della società industriale, che si sta affermando in Europa proprio in questi primi decenni dell’Ottocento [5]– lavora all’individuazione delle leggi che egli ritiene governino la storia, rendendo ragione di fenomeni fisici, biologici, ma anche economici o sociali: il progresso, che egli considera necessario ma non lineare (esito dell’alternarsi di periodi “organici” e periodi “critici”), conduce verso un’età “positiva”, un periodo di assetto stabile e di valori universalmente condivisi (primo fra tutti la comune tendenza a basare ogni discorso su fatti obiettivamente osservati) in cui la società è fondata sul lavoro industriale, la produzione è pianificata e i produttori partecipano del prodot-to proporzionalmente alle prestazioni fornite. E Comte esten-de il metodo scientifico “positivo” alla sociologia (di cui egli stesso pone le basi).

Abbandonata la pretesa kantiana di “imporre le leggi alla natura” –ottenendo conoscenze univoche, universali, necessa-rie e quindi atemporalmente valide– lo sforzo scientifico di conoscenza del mondo fisico non solo accentua il suo caratte-re pratico, ma si viene anche organizzando come un’impresa dinamica. Comte individua tre “stadi” di evoluzione dell’intel-letto umano e delle sue produzioni: teologico (o fittizio), metafisico (o astratto) e positivo (o scientifico). Ciascuno di essi si consolida mediante il superamento del precedente stadio della conoscenza; perciò, il primo stadio, nel quale fenomeni naturali che incutono paura vengono spiegati

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 39 facendo ricorso all’azione di spiriti e forze magiche, cessa allorché si entra nel secondo stadio, in cui viene cercata una spiegazione assoluta e definitiva della realtà ipotizzando la presenza di entità astratte intrinseche ai fenomeni e “causa” del loro comportamento. Il riferimento a concetti come quello di “sostanza” o di “forma” appartiene a questo secondo stadio della conoscenza. Nel terzo e ultimo stadio –quello della scienza ‘positiva’, guidata esclusivamente dall’osservazione empirica– non esistono tali entità astratte e metafisiche, né la spiegazione causale risulta (più) essere l’obiettivo auspicato (cfr. Scheda 3).

Si rafforza, in questa prospettiva, l’idea di progresso (di cui tratteremo nel prossimo capitolo), che rappresenterà un carat-tere dominante della cultura tardo-ottocentesca.

Nel suo Corso di filosofia positiva, Comte organizza la trat-tazione delle varie discipline scientifiche secondo una sistema-tizzazione gerarchica (matematica; astronomia; fisica; chimica; fisiologia; sociologia) la quale sottolinea la connessione logica e la dipendenza –sia storica, sia concettuale– della disciplina successiva dalla precedente. Egli puntualizza, inoltre, come ogni settore del sapere passi, nel corso del tempo, attraverso ciascuno dei tre stadi individuati. Affermando che la cono-scenza dipende dallo stadio di sviluppo culturale che si è raggiunto, egli da un lato segue un orientamento storicistico (tipico dell’Ottocento) e dall’altro introduce una componente sociale nella conoscenza (tema, questo, che non verrà colto e sviluppato ancora per molti decenni, ma che –come vedremo in seguito– pur prescindendo da ogni riferimento diretto a Comte, diventerà un motivo importante di riflessione nella filosofia della scienza intorno alla metà del Novecento).

Il positivismo condivide con lo storicismo tedesco, a esso contemporaneo, l’idea che la storia debba essere considerata un principio esplicativo basilare. Chiaramente, la convinzione che la storia sia un punto di partenza anche nella conoscenza degli eventi naturali non avrebbe potuto trovare seguito nella riflessione sulla scienza attuata nei due secoli precedenti, nei quali le leggi della fisica erano intese come leggi della natura

40 ALBERTA REBAGLIA (ovvero principi assoluti e immutabili, descrittivi dei suoi caratteri più “veri”) [6]. [back]

L’impianto concettuale positivistico, edificato sulla convinta perorazione degli aspetti pratici e applicativi della scienza, si consolida nella seconda metà dell’Ottocento, espandendo la propria influenza oltre i confini della Francia, in tutti quei paesi europei in cui più avanzato è il processo di industrializzazione (in primo luogo in Inghilterra, dove la sua diffusione è promossa soprattutto da John Stuart Mill, soste-nitore del positivismo teorizzato da Comte e strenuo assertore dell’origi-ne empirica di ogni conoscenza, comprese le verità logiche e matematiche, che egli vede come generalizza-zioni basate su comuni esperienze di osservazione immedia- ta [7]).

2.3 Positivismo e metodologia scientifica Con la concezione positivistica si riapre, e si approfondisce, il problema (che abbiamo visto interessare la prima fase del-l’organizzazione di un metodo scientifico, con Galileo e Bacone) di giustificare la cooperazione tra gli aspetti puramen-te formali –ora considerati del tutto convenzionali– e quelli pret-tamente empirici della conoscenza scientifica. Problema che viene affrontato in modo particolarmente incisivo, negli ultimi decenni dell’Ottocento, dal grande fisico e filosofo viennese Ernst Mach. Noto agli ingegneri soprattutto in quanto fu il primo a comprendere che un corpo il quale fenda l’aria muovendosi a una velocità superiore a quella del suono altera drasticamente le caratteristiche dello spazio che lo circonda [8], nella carriera del poliedrico Mach non c’è solo l’insegnamento di matematica presso l’università di Graz e la cattedra di Fisica Sperimentale a Praga: nel 1895, ritornato a Vienna, egli ricoprirà la cattedra, istituita appositamente per lui, di “Filosofia, con particolare riguardo alla storia e alla

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 41 teoria delle scienze induttive”. Il riferimento alle “scienze induttive” è significativo; la fisica sperimentale deve infatti avere quale obiettivo (per Mach, così come per tutto il positivismo) la registrazione di dati empirici e la loro organiz-zazione secondo principi generali. [back]

La concezione positivistica guida l’opera più celebre e in-fluente di Mach, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico [9]

(Mach, 1883), nella quale egli intende reimpostare la struttura concettuale della fisica newtoniana, eliminando l’ingombrante “metafisica” che obbliga –come scrisse lo stesso Newton a proposito dello spazio assoluto– ad “astrarre dai sensi”. Secondo Newton, infatti, l’esistenza di tale spazio, postulato a priori, è lo sfondo irrinunciabile della prima legge del moto (poiché, come già abbiamo visto, è solamente in relazione a questo riferimento assoluto che risultano distinguibili gli stati di quiete e di moto rettilineo uniforme), ed esso –pur non essendo empiricamente osservabile in modo diretto (per ammissione stessa di Newton)– è confermato nella sua esi-stenza da almeno un esperimento concretamente eseguibile (e qui Newton fa riferimento al celebre esperimento del secchio, di cui tratteremo).

Mach decostruisce e confuta entrambe le ipotesi. Poiché l’esistenza di uno spazio assoluto sembra essere

intrinsecamente connaturata al principio di inerzia, il solo modo per eliminare questo pericoloso concetto ‘metafisico’ dal sistema newtoniano richiede di percorrere una via di pensiero che ricorda i tentativi storicamente effettuati nel considerare il postulato delle parallele un teorema, derivabile dai rimanenti assiomi. Similmente a quei tentativi, occorre mostrare come il primo assioma introdotto da Newton non sia la chiave di volta del suo sistema, ma risulti piuttosto derivabile dai rimanenti.

Il moto rettilineo uniforme, sottolinea Mach, non è che il caso limite di un moto accelerato. In base alla legge galileia-na della scomposizione delle quantità vettoriali, l’accelerazione lungo un piano inclinato è semplicemente una componente dell’accelerazione verticale di gravità; scendendo lungo il

42 ALBERTA REBAGLIA piano, un corpo acquista una velocità che non dipende –in assenza di attriti– dall’inclinazione del piano stesso, ma solo dal dislivello percorso; e tale velocità può dunque essere utilizzata, in linea di principio, per risalire, decelerando, lungo un secondo piano inclinato, fino a raggiungere l’altezza da cui era iniziata la discesa (Fig.3). Quanto più diminuisce l’inclinazione di questo secondo piano tanto più aumenta il tempo di percorrenza, e decresce, perciò, la decelerazione: nella situazione ideale in cui questo secondo piano –totalmen-te privo di attriti– abbia inclinazione nulla, il tempo di percor-renza risulta infinito e la decelerazione nulla, ovvero siamo in presenza di un moto rettilineo uniforme. Il principio di inerzia, sottolinea Mach, è perciò derivabile dal secondo assioma di Newton, la legge del moto accelerato [10].

PP

O

P’

O

P’

Fig. 3. L’accelerazione acquisita da una sferetta rotolando lungo il piano inclinato PO le consente di risalire lungo il piano OP’ fino a raggiungere (nel caso ideale di totale assenza di attriti) l’altezza dalla quale aveva iniziato la sua corsa; indipendentemente dall’inclinazione che caratterizza questo secondo piano.

Per confermare la totale affidabilità di questa conclusione

occorre soffermarsi sul concetto centrale dell’assioma, la ‘quantità di moto’. Cosa debba intendersi con tale concetto è stato precisato da Newton nella seconda delle definizioni che (seguendo il modello assiomatico euclideo, come abbiamo detto) egli ha premesso alla trattazione della meccanica: «la quantità di movimento è il prodotto della quantità di materia

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 43 per la velocità», ossia, scritto nell’espressione più usuale: p = m v (dove p indica la quantità di moto, m la quantità di materia e v la velocità). Data questa definizione, il cambia-mento della quantità di moto è esprimibile come p/t (ovvero: m v/t, ossia: m a) e quindi la proporzionalità con la forza impressa, individuata dalla seconda legge, è esprimibile nella formula familiare: F = m a. Peraltro, « la quantità di materia è la misura della medesima che nasce dalla sua densità e dal suo volume presi congiuntamente», recita la prima definizione. Questo modo di intendere la quantità di materia, fa notare Mach, è tautologico (poiché nell’unica definizione di ‘densità’ presente nei Principia essa viene descritta come il rapporto tra massa e unità di volume) e statico (poiché non vi è cenno a forze agenti), e dunque mal si concilia con il contesto dinamico dal quale egli sta tentando di eliminare ogni riferimento a uno spazio assoluto. Inoltre (ed è questo il rilievo che ha maggior peso concettuale) la ‘quantità di materia’ non può che essere intesa come una “sostanza” (una di quelle ‘essenze metafisi-che’ che la scienza avrebbe dovuto programmaticamente rinunciare a conoscere, secondo gli stessi intenti enunciati da Galileo, il quale in un brano assai celebre –tratto da una delle tre lettere inviate a Mark Welser nel 1612– scrive: « O noi vogliamo speculando tentar di penetrare l’essenza vera ed intrinseca delle sostanze naturali; o noi vogliamo contentarci di venire in notizia d’alcune loro affezioni. Il tentar l’essenza l’ho per impresa non meno impossibile e per fatica non men vana nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissi-me e celesti»). Abbandonare una illecita identificazione di ‘materia’ e ‘massa’ significa, invece, considerare quest’ultima –correttamente, dal punto di vista positivistico, maturato con l’affacciarsi delle geometrie non euclidee– una somma di proprietà e di relazioni determinate sperimentalmente.

Mach sottolinea come sia possibile individuare una defini-zione di massa autenticamente “dinamica”, e del tutto adegua-ta, nell’ambito stesso dell’edificio newtoniano: è sufficiente spostare l’attenzione sul terzo assioma, il principio di azione e reazione [11]. Questa terza legge del moto, come egli eviden-

44 ALBERTA REBAGLIA zia, è atipica rispetto alle due precedenti, e per due ragioni entrambe rilevanti nel nuovo orizzonte metodologico –stretta-mente empirico– che viene delineandosi.

In primo luogo, in questo caso la struttura causale è insoli-tamente assente nella formulazione della legge: mentre nell’enunciazione del primo assioma l’utilizzo di espressioni come « ciascun corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, eccetto che sia costretto a mutare quello stato da forze impresse» (sottolineature nostre) rendono esplicito l’impianto causale del discorso (e il principio di inerzia, in fondo, sottolinea appunto che in assenza di causa –ovvero di una forza applicata– non vi è alcun effetto –ovvero sono assenti accelerazioni o decelerazioni), in questo terzo assioma la relazione è di tipo funzionale. E, come in seguito all’elaborazione di geometrie non euclidee non è più legittimo ritenere che lo spazio fisico debba avere le caratteristiche dello spazio euclideo, anche se questa risulta essere l’ipotesi stret-tamente conforme all’intuizione sensibile, così nulla garantisce che il mondo fisico abbia effettivamente una struttura causale, anche se –intuitivamente– formuliamo correlazioni tra i fatti tracciando nessi di causa ed effetto. In conformità con queste argomentazioni, Mach rileva come la scienza debba organiz-zare gli oggetti delle sue indagini non basandosi sulla ricerca di proprietà loro interne, bensì definendo dei rapporti pura-mente numerici in grado di correlare con precisione una classe di fatti fenomenici. Le leggi scientifiche non possono arrogarsi il potere di esprimere le cause di un dato fenomeno: non potrebbe che trattarsi di una pretesa metafisica, la quale proporrebbe una ‘spiegazione’ di fatti empirici fornita mediante ipotetiche entità non empiriche. Esse devono, piuttosto, servirsi di simboli ed espressioni matematiche al fine di riassumere sinteticamente, “economicamente”, i nessi costanti ravvisabili tra gli eventi, rendendone agevole l’utilizzo. Secon-do Mach, un principio scientifico ha un compito analogo a quello svolto, in matematica, da una funzione: indica sempli-cemente che al variare di x varia anche y, al variare di un

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 45 fenomeno ne varia qualcun altro in modo pienamente prevedi-bile [12].

In secondo luogo, la legge di azione e reazione esprime un sicuro radicamento empirico, ed è infatti l’unico “assioma” per cui Newton senta il bisogno di invocare in supporto l’evidenza sperimentale.

Da questo terzo principio Mach deduce quella che, a suo giudizio, è la definizione più corretta di massa: il rapporto fra le accelerazioni che i corpi si imprimono reciprocamente. « Diciamo corpi di massa uguale quelli che, agendo l’uno sull’altro, si comunicano accelerazioni uguali e opposte». Nell’ambito della riformulazione machiana, il moto inerziale diviene esso stesso un caso limite (empiricamente riscontrabi-le soltanto nell’ipotetico caso in cui nell’universo esistesse un’unica massa, che non potrebbe dunque interagire con nessun altro corpo); e la definizione di massa, istituendo una relazione «volta a stabilire l’interdipendenza dei fenomeni », non richiede più alcun ricorso a uno spazio assoluto. « Con ciò – Mach intende precisare– non facciamo altro che designa-re una relazione fattuale», proprio come richiesto dal pro-gramma positivistico.

Il metodo scientifico, secondo quanto viene ormai esplicita-mente teorizzato a partire da questa analisi decostruttiva compiuta da Mach, deve quindi eliminare dalla scienza ogni entità che si mostri esterna alla portata empirica e accentuare l’importanza dell’osservazione sperimentale, facendone l’unica fonte di conoscenza. [back]

2.4 Esperimenti mentali Data la reimpostazione metodologica radicalmente empiristica, tipica del positivismo, per Mach riveste particolare importanza confutare la conferma sperimentale indiretta dell’esistenza di uno spazio assoluto avanzata da Newton mediante il noto esperimento del secchio.

46 ALBERTA REBAGLIA

Nei Principia si invita ad appendere un secchio a una fune e a ruotarlo su se stesso, in modo tale da applicare a questa una torsione; quindi a riempire il secchio d’acqua e, successi-vamente, a imprimergli una rotazione in senso contrario (cfr. Scheda 4). Come si può controllare attraverso l’osservazione, allorché il secchio inizia la sua rotazione l’acqua in esso presente è ferma, e la sua superficie è piatta; in quel momento il moto relativo tra acqua e secchio è massimo. Quindi, l’acqua inizia a ruotare anch’essa, il moto relativo rispetto alle pareti del secchio diviene nullo e la sua superficie si fa conca-va. Nell’istante in cui il secchio cessa il suo moto rotatorio, l’acqua al suo interno continua ancora a ruotare e la sua superficie –a differenza di quanto accadeva nella fase iniziale– risulta ancora concava: segno, ritiene Newton, che la forza agente su di essa non è fittizia e, dunque, che il suo moto è tale rispetto allo spazio assoluto.

L’obiezione avanzata da Mach sulla scorta della sua ridefi-nizione di massa [13] sottolinea come la quantità di acqua presente nel secchio sia in moto relativo, e come essa reagisca alla totalità delle altre masse presenti nell’universo; non solo alle pareti del secchio, quindi, ma anche alla ben più cospicua massa della globalità dei corpi celesti. Se fosse possibile ruotare la massa complessiva dell’universo e mantenere ferma l’acqua presente nel secchio vedremmo una forza centrifuga agire sull’acqua e renderne concava la superficie. La simme-tria di questa fase rispetto a quella, osservabile, in cui è l’acqua a ruotare mostrerebbe che la forza agente è fittizia, dovuta all’azione reciproca tra i sistemi di riferimento e non a un presunto moto assoluto, riferibile a uno spazio altrettanto assoluto (Fig.4).

L’argomentazione condotta da Mach, in linea con l’impo-stazione positivistica, non intende sostituire la prospettiva newtoniana dello ‘spazio assoluto’ evidenziandone la ‘falsità’. Ciò su cui Mach insiste è l’inutilità di un’interpretazione dell’esperimento del secchio volta a difendere la tesi dell’esi-stenza di un riferimento spaziale assoluto:

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 47

Non esiste differenza fra relativo e assoluto, che noi riusciamo a cogliere coi sensi. D’altra parte non c’è ragione che ci co-stringa ad ammettere questa differenza, dato che l’ammissione non ci porta vantaggio né teorico né di altro ordine. Gli autori moderni che si lasciano convincere dall’argomento newtoniano del vaso d’acqua a distinguere fra moto assoluto e moto relati-vo, non si rendono conto che il sistema del mondo ci è dato una sola volta, e che la teoria tolemaica e quella copernicana sono soltanto interpretazioni, ed entrambe ugualmente valide (cfr. ancora la Scheda 4).

Descrizione newtoniana dell’esperimento

Integrazione alla descrizione

newtoniana, in preparazione della risposta machiana

Risposta machiana

Fase iniziale

Acqua ferma

Secchio

in rotazione

“Cielo delle stelle fisse”

fermo

Fase intermedia

Acqua in rotazione

=

“Cielo delle stelle fisse”

fermo

Fase finale simmetrica rispetto a quella

iniziale

Acqua in rotazione

“Cielo delle stelle fisse”

fermo

Fase finale simmetrica rispetto a quella conclusiva

newtoniana

Acqua ferma

“Cielo delle stelle fisse” in rotazione

Moto relativo: massimo

Moto relativo:nullo

Moto assoluto: nullo

Moto assoluto:massimo

Superficie dell’acqua:

Superficie dell’acqua:

Superficie dell’acqua:

Superficie dell’acqua: situazione simmetrica

rispetto alla fase conclusiva newtoniana

Fig. 4. Schematizzazione dell’obiezione di Mach all’esempio di Newton

48 ALBERTA REBAGLIA

Quest’ultimo passaggio è particolarmente indicativo della trasformazione profondissima avvenuta nell’orizzonte positivi-stico nel valutare gli obiettivi di una teoria scientifica. Torna-no alla mente, infatti, gli sforzi di mediazione e diplomazia condotti dal teologo protestante Osiander nell’introdurre il De revolutionibus orbium coelestium di Copernico [14], e le tante ‘prove’ raccolte da Galileo a favore dell’ipotesi eliocentrica: la scienza moderna era sì convinta che « il sistema del mondo ci fosse dato una sola volta», ma era altresì certa che una soltan-to fosse la teoria scientifica vera, e che ogni altra ipotesi dovesse conseguentemente essere falsa. Incrinatasi l’idea kantiana di “ragione”, e intrapresa la strada positivistica –che conduce a considerare il valore convenzionale e pratico delle leggi scientifiche– si trasforma completamente il modo di intendere il rapporto tra il mondo dei fatti e l’orizzonte delle teorie. Come l’insieme dei libri raccolti in una biblioteca è unico, così –si ritiene– “il sistema del mondo ci è dato una sola volta”; e, d’altronde, i “cataloghi” che possiamo imporre per mettere in relazione i fatti –nell’analogia, i singoli libri– sono molteplici; essi –come rileva Mach– “sono soltanto interpreta-zioni”, tutte “egualmente valide”. Disgregatosi l’ideale “del-l’evidenza assiomatica”, che aveva caratterizzato la geometria euclidea e la fisica newtoniana, si rinuncia, dunque, anche alla convinzione che aveva accompagnato i ‘filosofi della natura’ nei secoli precedenti, secondo la quale l’organizzazione classificatoria dei dati empirici ottenuta attraverso le leggi della scienza corrisponde a un sistema naturale, capace, cioè, di instaurare una relazione biunivoca tra l’orizzonte dei segni formali e il mondo degli eventi fattuali; e in grado, quindi, di rivelare le vere cause dell’ordine naturale.

In effetti, riesaminando i passaggi concettuali compiuti da Mach nel corso della sua rilettura della meccanica newtonia-na, ci si rende conto che egli non introduce alcun elemento nuovo, né scarta alcuno degli elementi presenti nella costru-zione originaria: i fatti empirici costituenti il “sistema del mondo” rimangono unici e invariati, ed egli si limita a conte-stare quei passi nei quali « Newton non mantiene il proposito

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 49 di prendere in considerazione solo il fattuale »; la critica machiana intende espungere soltanto la “metafisica” dal sistema newtoniano, lasciandone intatta la struttura formale e mantenendone perciò inalterata l’efficacia pratica. Tuttavia, utilizzare differenti “cataloghi” interpretativi nel considerare i medesimi eventi fattuali conduce a innovazioni concettuali di rilievo assoluto, che comportano cambiamenti radicali nei modi con i quali la scienza si confronta con il mondo fisico. Così, la trasformazione prodotta dalla reinterpretazione machiana è decisamente rivoluzionaria: le forze che compaio-no in un sistema di riferimento non inerziale sono (ora) ritenute fittizie, e rappresentano semplicemente il mezzo mediante il quale possiamo misurare un’accelerazione relativa alle “stelle fisse” (ovvero alla materia totale presente nell’universo). Diviene breve la strada che condurrà a formu-lare quello che Einstein ha ritenuto “il pensiero più felice” della sua vita, e considerare anche la gravità una forza fittizia, che è possibile produrre o eliminare agendo sul sistema di riferimento anziché sugli oggetti fisici, secondo quello che è il nucleo concettuale da cui ha preso avvio la teoria della relatività generale.

E’ significativo rilevare come –partendo dall’impostazione positivistica secondo cui sono esclusivamente operazioni di misura e procedure sperimentali a definire la classe dei “fatti”, che possono venire messi tra loro in relazione formando così i concetti e le leggi scientifiche– la confutazione machiana dell’argomento condotto da Newton sul piano sperimentale avvenga soltanto a livello di esperimento mentale. In varie occasioni, Mach ha sottolineato l’importanza di formulare “esperimenti mentali” [15] al fine di valutare le conseguenze di concetti desunti da fatti empirici –qualora essi debbano venire applicati oltre i confini raggiungibili con l’osservazione diretta– e di stabilire il limite entro il quale sia possibile ampliare il dominio di applicabilità delle leggi –in quanto le relazioni empiricamente constatate reggono al variare delle condizioni al contorno.

50 ALBERTA REBAGLIA

Questi presupposti concettuali dell’analisi di Mach rappresentano un’importante “cerniera” tra positivismo ottocentesco e neopositivismo novecentesco. La sua imposta-zione nel trattare della meccanica newtoniana oltrepassa, infatti, la concezione ereditata da Comte, e in un punto rilevante: mentre per il filosofo francese l’introduzione di entità teoriche –non suffragate dalla diretta osservazione empirica– non appartiene (più) allo stadio “positivo”, per Mach la “metafisica” non è affatto riferibile a una fase precedente e distinta rispetto a quella scientifica; essa risiede, piuttosto, all’interno della scienza stessa, quale presenza infida e super-flua che, in quanto tale, egli ritiene possa e debba essere eliminata. E l’evidenza posta da Mach sul fatto che più teorie scientifiche possano risultare fra loro equivalenti quanto a “verità” (che allontana definitivamente questo nuovo empirismo dall’impostazione empiristica tradizionale, di cui può essere considerato un esponente tipico Francesco Bacone [16]) apre la via alle considerazioni condotte in ambito neopositivistico, le quali –come già accade nella trattazione machiana, ma in modo ancora più esplicito– ritengono indi-spensabile coordinare con successo il valore convenzionale della conoscenza con la sua radice esclusivamente empirica e osservativa.

Il “principio di verificazione” –punto metodologico nodale dell’impostazione neopositivista, secondo cui stabilire con quali procedure e modalità una proposizione può essere verificata sperimentalmente è anche l’unico modo di attribuire a essa un significato– assegna perciò un ruolo puntuale, ma non decisivo, alla possibilità di esperimenti mentali. Essi consentono di riconoscere pieno significato anche a quegli enunciati per i quali non è possibile prospettare –se non mentalmente– alcuna verifica sperimentale, o per impedimenti di ordine pratico (« mi sarebbe impossibile verificare l’asserzio-ne: “Sotto terra, a trecento metri di profondità sotto la mia casa deve esserci dell’oro”, perché esistono varie circostanze empiriche che assolutamente mi impediscono di scoprirne la verità; e tuttavia l’asserto non era certamente insensato»,

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 51 scrive Moritz Schlick, figura eminente del neopositivismo [17]), oppure per mancanza di mezzi tecnologici idonei a supportare anche soltanto la fase progettuale di un possibile controllo sperimentale (« prendete l’asserzione: “Sull’altra faccia della Luna esistono montagne alte tremila metri”. E’ probabile che nessun essere umano sarà mai in grado di verificarla o falsifi-carla, ma quale filosofo avrebbe tanta audacia da dichiararla priva di significato?», scrive ancora Schlick).

Il ruolo dell’esperimento mentale, in questo contesto, risulta sminuito rispetto alla visione originaria di Mach. Osserva la studiosa di scienze cognitive Nancy Nersessian:

Pierre Duhem liquidò tutti gli esperimenti mentali come spurii proprio perché essi “non solo non sono realizzati ma sono nell’impossibilità di venire realizzati”. Ovvero, o possono esse-re trasformati in esperimenti concreti –e quindi è irrilevante la loro dimensione “mentale”– o devono venire abbandonati in quanto non sono affatto “esperimenti”. [..] I filosofi della scien-za, sotto l’influenza del positivismo logico, hanno trovato gran-de affinità con l’impostazione di Duhem e, fino ai giorni più recenti, questa è stata la posizione predominante. [Nersessian, 1992, p.291]

Nel formulare modellizzazioni razionali di situazioni poten-zialmente empiriche, invece, si richiede una sorta di revisione dell’idea stessa di ragione, rispetto all’impostazione tradiziona-le di tipo illuministico.

Il “ragionamento” è ritenuto usualmente consistere nell’appli-cazione di regole formali di inferenza a sistemi di proposizioni. Tuttavia, una considerazione più completa necessita di esten-dere la nozione di ragionamento fino a includere i generi di inferenze non algoritmiche utilizzate in un “cambiamento di punto di vista motivato razionalmente”. Condurre esperimenti mentali è il modo principale con cui gli scienziati mutano le loro strutture concettuali. [Nersessian, 1992, p.291]

Quanto più si incrina l’idea di una ragione capace di sintesi a priori tanto maggiormente –essendo le teorie “soltanto

52 ALBERTA REBAGLIA interpretazioni”– l’elaborazione di esperimenti mentali consen-te di organizzare, servendosi di fantasia e creatività scientifica, utili modellizzazioni; che possono, peraltro, divenire esse stes-se stimoli irrinunciabili per l’innovazione a livello teorico e tecnologico [18].

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 53

ESERCIZI

A risposta chiusa 1. Il metodo baconiano di induzione prevede:

a) un salto immediato da fatti particolari ad assiomi generali b) la formulazione di una congettura a partire dall’analisi critica

di dati empirici e il controllo delle sue conseguenze attraverso l’esame di nuovi dati osservativi

c) l’individuazione delle cause di un fenomeno in base alla sola raccolta esaustiva dei casi in cui il fenomeno si manifesta

d) la determinazione di rapporti quantitativi tra i fenomeni e la loro descrizione in termini matematici.

2. Secondo Kant, lo spazio è:

a) una sorta di “recipiente” fisico in cui si collocano i corpi b) una proprietà dei corpi c) un’idea soggettiva e astratta, che non ha riscontri nel mondo

fenomenico d) una componente a priori del processo della conoscenza, che è

anche costitutiva dei fenomeni. 3. Dal punto di vista acquisito in seguito alla formulazione di

geometrie non euclidee, è corretto affermare che gli assiomi della geometria sono:

a) liberamente creati dalla ragione, in assenza di ogni contenuto

intuitivo o empirico b) fondati sull’intuizione immediata c) costruiti in base all’osservazione empirica d) verità necessarie concernenti lo spazio fisico.

54 ALBERTA REBAGLIA 4. Il metodo “positivo” di conoscenza, secondo Comte, ha quali

propri obiettivi:

a) indagare origine e destino dell’universo b) cercare le cause dei fenomeni c) individuare le regolarità che si possono cogliere tra i fenome-

ni, esprimendole in leggi modificabili in seguito a ulteriori os-servazioni

d) scoprire le leggi, assolute, che specificano le proprietà costi-tutive della natura.

5. L’esperimento mentale proposto da Mach intende sostenere che qualora fosse possibile porre in rotazione il “cielo delle stelle fisse” (rispetto a un ipotetico riferimento assoluto) sulla superfi-cie della massa d’acqua in quiete (rispetto al medesimo riferi-mento assoluto):

a) agirebbe una forza centrifuga che si rivelerebbe fittizia, e

indicherebbe perciò il carattere superfluo del riferimento assoluto

b) agirebbe una forza centrifuga che non si rivelerebbe fittizia, e ciò indicherebbe il carattere superfluo del riferimento as-soluto

c) agirebbe una forza centrifuga che non avrebbe carattere fittizio, e indicherebbe perciò l’esistenza di un riferimento assoluto

d) non agirebbe alcuna forza.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 55 A risposta aperta 1. In cosa differiscono la concezione baconiana di controllo speri-

mentale e quella di costruzione sperimentale posta in atto da Galileo, secondo la lettura datane da Kant?

2. Secondo Kant, l’indagine scientifica perviene alla conoscenza

delle leggi che regolano il comportamento dei fenomeni naturali. Questo significa che l’essenza ultima delle cose è conoscibile?

3. Perché, secondo Kant, osservare ripetutamente un fenomeno

registrandone le modalità di accadimento non è sufficiente a ottenere un’autentica conoscenza scientifica?

4. Per quale motivo, in seguito alla trasformazione concettuale

portata dalle geometrie non euclidee, è possibile attribuire signi-ficato alla domanda:

il quinto postulato di Euclide è dimostrabile a partire dagli altri postulati da lui enunciati?

mentre non ha significato la domanda: il quinto postulato di Euclide è vero?

5. Quale ruolo svolge la formalizzazione razionale nell’idagine fisica

secondo l’impostazione kantiana, e quale ruolo secondo la con-cezione positivistica?

6. Perché la definizione relazionale di massa, data da Mach, toglie

significato al concetto newtoniano di spazio assoluto? 7. Quali motivi inducono ad affermare che il lavoro di Mach La

meccanica nel suo sviluppo storico-critico è in sintonia con gli ideali del positivismo?

56 ALBERTA REBAGLIA

Parte Seconda

L’idea di progresso e le origini dell’industrializzazione

Svanito il sogno kantiano di poter condurre una ‘sinte-si a priori’, i fatti empirici si presentano come un ma-teriale del tutto eterogeneo rispetto alle reti di leggi e di ipotesi formali con le quali si riterrebbe necessario descriverli. L’indagine scientifica risulta –ora– affidata proprio al lavoro induttivo delle nostre ‘formiche’ empiriste, le quali raccolgono informazioni sui fatti fenomenici e le organizzano in modo sistematico con l’aiuto di reti formali concepite liberamente, in assenza di qualsiasi vincolo fattuale, e accettate in base a ‘convenzioni’. E l’attenzione per una acquisizione di dati empirici fina-lizzata alle concrete esigenze economiche e sociali diviene un’icona della concezione “positiva” della co-noscenza scientifica; obiettivo delle leggi fisiche non è spiegare i meccanismi nascosti che regolano la natura, bensì individuare in base a quali regolarità si possano costruire efficaci artefatti. Le formiche, da noi indicate quale simbolo del lavoro artigianale, vengono così a rappresentare l’emblema della produzione tecnologica. Il potere predittivo della scienza trova la misura del suo successo nelle applicazioni produttive e nelle rica-

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dute tecnologiche che sono alla base della rivoluzione industriale. Un successo pervasivo, che viene concre-tizzando un’idea di progresso destinata a divenire l’effettivo paradigma culturale del XIX secolo. E tutta-via un successo che, gradualmente, mostrerà zone d’ombra e aspetti critici, i quali condurranno anche a una inattesa ridiscussione del ruolo da attribuirsi, nell’ indagine scientifica, alle nozioni stesse di espe-rienza e di ragione.

58 ALBERTA REBAGLIA Capitolo 3 Sapere empirico e produzione industriale 3.1 Progresso e leggi empiriche Posta in dubbio la concezione che vedeva nell’assoluto rigore assiomatico il cardine certo e univoco per ottenere una cono-scenza incontrovertibile dei caratteri essenziali del mondo fisico, il ruolo della razionalità scientifica perde ogni implica-zione ontologica, e viene a coincidere con quello di strumento metodologico –sempre più evidentemente imprescindibile– con cui la tecnologia consente di intervenire sulla natura.

Enfatizzando le possibilità predittive del metodo scientifico, il positivismo dà inizio a una fase metodologica nuova, che non richiede di imitare la natura bensì di sostituirla con una sorta di ‘natura artificiale’, prodotta attenendosi alle leggi imposte dalla natura stessa. “Alla natura si comanda obbe-dendole”, affermava già Francesco Bacone; e l’espressione sembra cogliere tutta l’essenza della tecnologia rispetto alla tecnica artigianale. I meccanismi inventati dalle prime tecno-logie sono prodotti in base a progetti scientifici, applicando rigorosamente le leggi che la natura prescrive, che la ragione umana può comprendere, e delle quali, pertanto, essa è in grado di servirsi. E con il consolidarsi della prospettiva tecnologica viene accrescendosi il ruolo svolto dal processo di astrazione scientifica nel progettare nuovi dispositivi. Pren-dendo quale esempio la macchina a vapore messa a punto da Thomas Newcomen (ampiamente diffusa nella primissima fase industriale), è attraverso la mediazione degli studi scientifici

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 59 sul vuoto che la forza del vapore renderà possibile sfruttare il peso dell’atmosfera, e tutte le forze naturali utilizzate verranno a cooperare in un contesto sempre più idealizzato, e dunque perfettamente prevedibile e “dominabile”: Newcomen fa della sua macchina un congegno capace di generare e trasmettere forza motrice eliminando ogni legame diretto con l’ambiente esterno [1]. Nella ‘tecnologia’ della macchina a vapore, utiliz-zare forze naturali significa infatti regolarne rigidamente i comportamenti sulla base del potere predittivo consentito dalle leggi scientifiche (il vapor acqueo diminuisce drastica-mente il proprio volume condensando allo stato liquido in modo costante e prevedibile, l’aria esercita invariabilmente una pressione equivalente a un chilogrammo per centimetro quadrato, e così via). « Scienza donde previsione, previsione donde azione», secondo la puntualizzazione, già ricordata, di Comte.

Basandosi su leggi e cognizioni scientifiche, e subordinando a esse l’abilità artigianale, i macchinari a vapore –divenuti centro nodale di ogni manifattura sorta nella prima fase del processo di industrializzazione– rappresentano perfettamente la nuova concezione dell’artificiale: i mezzi razionali offerti dalla scienza tendono a trasformare e sostituire il naturale con strutture e processi di cui è possibile determinare preventiva-mente ogni caratteristica e ogni movimento.

L’indispensabile ruolo svolto dall’indagine scientifica nel consentire gli eccezionali sviluppi tecnologici che sono alla base della rapida evoluzione in senso industriale delle società europee (e in una fase immediatamente successiva statuniten-si) è stato ampiamente valorizzato nel clima culturale positivi-stico, tipico degli anni cruciali dell’industrializzazione [2].

Tuttavia quando, nel Settecento, tecnologia e industrializza-zione stavano iniziando il loro cammino, e la prospettiva deterministica –che ne costituisce la base concettuale– era al suo apogeo (tanto che l’universo stesso veniva inteso come un meccanismo ben congegnato, opera di un Supremo Meccani-co [3]), Federico il Grande, scrivendo a Voltaire, lamentava:

60 ALBERTA REBAGLIA

Gli inglesi hanno costruito navi aventi la sezione più adatta, che era stata loro indicata da Newton; i loro ammiragli mi hanno assicurato che queste navi sono dei veleggiatori molto meno veloci di quelli costruiti secondo le regole della pratica. Io volevo far costruire una fontana nel mio giardino; Eulero ha calcolato la potenza delle ruote necessarie per pompare in un serbatoio l’acqua, che poi doveva defluire lungo canali per zampillare in Sans-souci. L’impianto pompante è stato co-struito esattamente secondo il progetto di Eulero, ma esso non è riuscito ad alzare fino al serbatoio nemmeno una goccia d’acqua![4]

Dobbiamo dunque constatare che ambito tecnologico e mondo industriale –se pure sentono indubbiamente la neces-sità di basarsi sulle leggi prescrittive e universali della scienza– riscontrano un impedimento, dal punto di vista metodologico, in un carattere che, secondo quanto abbiamo sottolineato, risulta invece connesso ineliminabilmente allo spirito stesso dell’indagine scientifica: il processo di idealizzazione ; ovvero la via controintuitiva dell’astrazione, la quale conduce a ignorare le caratteristiche dei corpi fisici che (pur risultando ben evidenti dal punto di vista osservativo) non è utile, o è solo in parte possibile, trattare con equazioni lineari.

Sebbene la tecnologia operi nel medesimo orizzonte di rigore causale e deterministico in cui muove l’indagine scientifica, essa necessita di un riferimento costante a ipotesi, formulate –ovviamente– in termini matematici ma concernenti grandezze fisiche osservabili trattate nella loro concretezza immediata [5].

Quando Sadi Carnot lamenta che malgrado « l’attività di ogni sorta spesa nella macchina a vapore e malgrado la perfezione raggiunta nella sua costruzione, la teoria è ben poco avanzata » [Carnot, 1824], egli di fatto sottolinea l’inefficacia, ai fini del metodo tecnologico, di una scienza che formuli ipotesi generali sulla natura astratta del calore ma non ragioni –in linguaggio matematico– sulla constatata impossibilità per una macchina di utilizzare tutta l’energia acquisita, che in parte viene invece ceduta sotto forma di calore [6]. Il divario tra i moderni ‘costruttori di macchine’ e i

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 61 ‘filosofi della natura’ risulta quindi massimo proprio in questa fase iniziale dello sviluppo industriale; là dove, peraltro, a entrambi viene riconosciuta la rilevanza di un impegno volto al ‘dominio’ sulla natura [7]. Infatti, i primi individuano quantità –come l’equivalente meccanico del calore, che indi-pendentemente da qualsiasi modello teorico indica un preciso rapporto tra effetti termici e meccanici– le quali rappresentano una sorta di ‘prontuario’ utile nel prevedere il comportamento di fenomeni empirici concreti in base a relazioni funzionali (che non implicano, né in alcun modo coinvolgono, ‘essenze’ o ‘cause’ esterne alla portata dell’osservazione empirica). Mentre i secondi –i fisici di scuola newtoniana– nemmeno avvertono l’utilità di un concetto come quello di energia, il quale non fornisce alcuna informazione sul sistema che non possa, in linea di massima, essere determinata risolvendo l’equazione newtoniana di moto per quel sistema.

La duplice esigenza metodologica (che diverrà caratteristica della ricerca impostata su basi d’ingegneria) di avere a dispo-sizione tanto leggi generali –che consentano di isolare “effetti” da applicare nei nuovi dispositivi– quanto leggi empiriche –con cui prevedere l’effettiva dinamica del sistema concreto con i suoi “impedimenti” materiali (che non sempre è opportu-no “diffalcare”)– si consolida negli stessi decenni in cui si viene manifestando anche la crisi della sistematizzazione assiomati-ca propria della fisica classica. E in cui si prepara la nuova prospettiva metodologica positivistica, la quale vede un avvicinamento sempre maggiore tra scienza e tecnologia –che giungerà all’individuazione di un’entità unica, la tecnoscienza, quale motore di ricerca e di sviluppo nell’ambito della terza rivoluzione industriale.

Giacché misura dell’efficacia di ogni indagine scientifica e tecnologica diviene la sua utilità pratica e il suo impatto sociale –come è ben evidente ricordando il fascino esercitato dai sempre più innovativi prodotti industriali presentati nelle affollatissime Esposizioni Internazionali del XIX secolo– nulla si manifesta più proficuo, per il benessere collettivo, della tecnologia industriale. Il positivismo (soprattutto, come si è

62 ALBERTA REBAGLIA detto, con Saint-Simon e Comte) formula una teoria della storia quale passaggio da uno stadio a uno successivo più perfezionato, sino a raggiungere lo stadio di civiltà basato su scienza e industrializzazione.

Si tratta di un trasformarsi dell’idea illuministica di progresso inteso come perfettibilità, ovvero come indefinita stratificazione di verità (univoche e atemporali) via via scoperte dalla ragione umana (« L’età dell’oro è di fronte a noi », affer-mava orgogliosamente Condorcet). La storia viene intesa quale esito del successivo cumularsi di effetti che danno luogo ad altri effetti, tanto che, come già suggeriva la celebre affer-mazione di Bernardo di Chartres (XII secolo), « siamo come nani sulle spalle dei giganti, sì che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non per l’acutezza della nostra vista o per l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sostenuti e portati in alto dalla statura dei giganti» [8]. Questa tendenza al miglioramento diviene un presupposto comune a molte dottrine economiche, politiche e filosofiche della prima metà dell’Ottocento: Saint-Simon e Comte nonché, in questo stesso periodo, Hegel (figura eminente della filosofia tedesca) indivi-duano una filosofia della storia segnata da tappe discontinue che tracciano l’avanzamento complessivo della civiltà.

In questo orizzonte sociale e concettuale si inserisce la concezione di progresso che emerge dalla teoria biologica espressa da Darwin, la quale introduce, invece, la convinzione della continuità di un processo dinamico che avviene per piccole trasformazioni [9]. Questa idea di progresso evolutivo viene elaborata ben al di là dei confini della biologia: in ambito sociale, politico, economico, e complessivamente filosofico [10]. Filtrata entro l’orizzonte delle problematiche positivistiche, essa è alla base di una dottrina etica e morale, l’utilitarismo, che intende individuare principi “scientifici” su cui poggiare il comportamento umano, ritenendo che esso sia orientato dalla ricerca della maggiore felicità per il maggior numero di perso-ne; il criterio di utilità (conforme al principio della selezione naturale) è in grado, secondo i suoi sostenitori (in primo luogo Jeremy Bentham e John Stuart Mill), di rendere obiettivi

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 63 giudizi usualmente visti come puramente soggettivi e –tramite l’attuazione di un “calcolo” in cui “bene” e “male” vengano misurati in base all’orientamento delle azioni a produrre l’utilità generale– di rendere quantitativi giudizi comunemente ritenuti soltanto qualitativi.

L’idea di progresso viene peraltro rafforzata dall’accresciuta disponibilità di beni che accompagna l’evolvere della rivoluzio-ne industriale. Nella belle epoque, il periodo di transizione tra Ottocento e Novecento, e nel momento storico immediatamen-te successivo, con il futurismo, i tratti specifici della nuova era industriale –le macchine, i grandi complessi di fabbriche, gli agglomerati urbani– vengono esaltati e considerati la via maestra verso un futuro di sicuro progresso proprio in quanto promettono l’imporsi dell’uomo attraverso la costruzione di un mondo artificiale, fatto a sua misura e capace di dominare ogni ostilità delle forze di natura. E anche le sfumature pessimistiche che possono trovare spazio in questo orizzonte concettuale sono, comunque, elaborate entro una logica di ‘dominio’ sulla natura: per esempio, Leopardi legge con disincanto il crescente ottimismo del suo « secol superbo e sciocco» per i prodigi delle tecniche, collocandolo sullo sfondo di una natura «matrigna» che egli riterrebbe del tutto opportu-no cercare di ‘dominare’, ma che si rivela sempre assai più potente dell’uomo (« Dipinte in queste rive/ Son dell’umana gente/ Le magnifiche sorti e progressive», scrive in un celebre verso, contemplando la forza distruttiva del Vesuvio [11]).

Accanto a questa impostazione, totalmente interna alla logica tradizionale di ‘dominio’ sulla natura, tra fine Ottocento e inizio Novecento si vengono tuttavia sviluppando tesi affatto critiche, che analizzeremo specificamente e delle quali ci interessa ora focalizzare lo sfondo concettuale: il motivo di insoddisfazione che viene maturando –a fronte delle inedite possibilità di applicazione a scopi pratici manifestate sia dalla razionalità scientifica, sia dalle abilità tecnologiche– è in gran parte legato alla costruzione di macchine industriali sempre più efficienti, le quali peraltro offrono l’opportunità di accre-scere enormemente le potenzialità di produzione. E, come

64 ALBERTA REBAGLIA vedremo, sarà in particolare il passaggio dall’industria a domicilio alla nascita delle prime grandi fabbriche –che darà luogo a vasti agglomerati urbani– ad aprire una significativa incrinatura all’interno della concezione ottimistica di “progresso”.

3.2 Le nuove vie dell’economia industriale L’industria a domicilio, assai diffusa nel Settecento (in partico-lare in Gran Bretagna), era ancora del tutto conforme al modo di intendere il lavoro che aveva caratterizzato la società illumi-nistica (la quale trova la propria radice culturale nella conce-zione baconiana di un “dominio” scientifico e tecnologico della natura). Hegel, entusiasta della rivoluzione francese e dei valori culturali da essa espressi, si sente erede di quella tradizione e individua proprio nel modo in cui si rapporta al lavoro questa società –borghese e mercantile– un momento emblematico di positiva trasformazione rispetto alla società antica. Nel mondo antico e medievale, della schiavitù e della servitù della gleba, in cui la produzione si configura come una fatica scarsamente alleviata da soluzioni tecniche adeguate, risulta essenziale il possesso dei prodotti, la loro disponibilità per l’uso; e il lavoro è affidato a colui che Hegel definisce il “servo”, nei cui confronti il “signore” è la figura ‘vincente’. Il passaggio all’epoca moderna, sottolinea Hegel, avviene quando il “servo” si rende conto che vero motore della storia è la sua capacità di produrre i beni, di cui –nella prospettiva hegelia-na– il “signore” sa solo far uso [12]. Prende forma la borghesia mercantile e, come teorizzarono i noti economisti britannici del XVIII secolo Adam Smith e David Ricardo, il prezzo di un prodotto non può essere fissato in base al suo valore d’uso (poiché esso è soggettivo, e non sarebbe un termine omogeneo per raffrontare beni differenti), bensì occorre fare riferimento al suo valore di scambio, ovvero alla quantità di lavoro neces-saria a produrlo.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 65

Con l’abbandono dell’industria a domicilio, verso la fine del secolo, nasce la produzione industriale [13], dove macchine sempre più grandi e complesse sono necessariamente gestite attraverso la cooperazione di più persone. Processo di industrializzazione che soltanto apparentemente può risultare in piena continuità con la trasformazione concettuale indivi-duata da Hegel.

L’acquisto di grandi macchinari industriali richiede investi-menti ingenti di capitale, e colui che detiene tali mezzi di produzione può, ovviamente, ottenere un utile dal denaro impegnato soltanto se quanto ricaverà dalla commercializza-zione dei beni prodotti sarà superiore alla somma inizialmente investita. Ciò è possibile –spiega Marx nel libro I del Capita-le– solo se il prezzo attribuito alla merce viene effettivamente assegnato in base al suo “valore di scambio” (ovvero –come sostenuto dagli economisti Smith e Ricardo– in base alla “quantità di lavoro” richiesta), valore ottenuto, però, precisa Marx, avendo operato una ridefinizione di questa quantità, in modo tale da distinguere in essa due aspetti differenti: la “forza lavoro”, ovvero quanto necessita al sostentamento del lavoratore, così salariato, e il “plusvalore”, ovvero l’utile ottenuto da colui che ha investito il capitale iniziale (Marx, 1867). Pertanto, in questo contesto colui che lavora non è più nella felice condizione tracciata da Hegel, poiché egli non possiede (più) i mezzi del proprio lavoro: in primo luogo perché essi sono troppo costosi (e dunque in possesso di chi dispone del capitale necessario) e in secondo luogo troppo complessi (e nessun individuo è in grado di operare lungo l’intera filiera della lavorazione del prodotto). [back]

Questa duplice limitazione provoca una costrizione eviden-te, esattamente contrapposta all’ideale emancipativo illumini-stico. E quanto più essa emerge con chiarezza, tanto più si configura una sfida rilevante rispetto alla precedente, ottimi-stica, concezione del ‘progresso’.

Verso fine Ottocento, iniziano a delinearsi soprattutto le difficoltà dovute al primo aspetto del problema. La condizione di salariato, sottolinea Marx, pone colui che lavora in una

66 ALBERTA REBAGLIA situazione che, qualitativamente, non differisce dal modo in cui il lavoro era impostato nell’età antica: lo schiavo non era totalmente privo di retribuzione, poiché il padrone doveva fornire quanto necessario al suo sostentamento (una situazio-ne ovviamente non identica ma nemmeno radicalmente dissi-mile rispetto a chi, nel lavorare, vende la propria “forza lavo-ro”; Marx, 1865, cfr. Scheda 5).

La storia di riconoscimento sociale e di affrancamento dalla fatica, che (seguendo il percorso descritto da Hegel) ha condot-to l’emancipazione illuministica a trovare compiutezza nel mondo della produzione industriale, manifesta dunque la presenza, al suo interno, di aspetti non voluti di dipendenza e assoggettamento [14].

Entro la logica di “dominio” su ciò che è ‘naturale’ attraver-so l’utilizzo di dispositivi ‘artificiali’ –che pure rimane l’orizzonte comune di riferimento– si affaccia pertanto un inatteso problema, non attribuito all’uso di macchinari (se non dagli aderenti a correnti sporadiche e del tutto minoritarie quali furono, in particolare, i luddisti), ma al fatto che questi mezzi di produzione non sono più strumenti in possesso di chi lavora [15].

3.3 “One best way”. Mito della modernità Nei primi decenni del XX secolo, con il passaggio dalla “prima” alla “seconda” fase industriale [16], ai segni di crisi fin qui delineati vengono ad aggiungersi anche i nodi concettuali legati al secondo aspetto che abbiamo visto essere connesso al mancato possesso dei mezzi di produzione (cfr. in cap.3 §2): l’impossibilità di conoscere a fondo e controllare l’intero processo produttivo. A tali premesse, emerse a livello cultura-le, si assommano motivi di disagio provocati dalla nuova modalità di produzione caratterizzata dall’adozione della catena di montaggio (che si impone negli Stati Uniti all’inizio del Novecento ed è esito della progressiva diffusione della

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 67 meccanizzazione nell’intero ciclo della lavorazione industriale), dove si manifestano compiutamente quelle difficoltà che seppure connesse alle speranze “emancipative” coltivate dalla cultura illuministica non erano in essa esplicitamente presen-ti; né lo erano nell’epoca del positivismo che aveva affidato tali speranze anche al settore produttivo, dove si estendeva l’appli-cazione della razionalità tecnologico-scientifica.

Poiché la nuova linea di produzione richiede una più effi-ciente organizzazione delle mansioni e delle procedure operati-ve, Fredrik Wilson Taylor –ingegnere e manager industriale– teorizza ed elabora un sistema di razionalizzazione della produzione (espresso in testi come Principles of Scientific Management, Taylor, 1911), delineando uno studio scientifico di tempi e metodi di lavorazione.

Abbandonare i metodi empirici propri del lavoro artigianale per accelerare la produzione, obiettivo che Taylor assume come prioritario, risulta perseguibile mediante una razionaliz-zazione e una standardizzazione dei metodi di lavorazione (Fig.5), le quali rendono manifesto il compiersi di un capovol-gimento concettuale che coinvolgerà l’intero orizzonte entro cui si erano dipanate la nascita della società illuministica e la genesi stessa del capitalismo. Mentre macchinari sempre più articolati e automatizzati affrancano l’uomo dal peso dei lavori più faticosi, quelle stesse attrezzature richiedono infatti un asservimento palese e gravoso ai meccanismi della produzio-ne.

Intorno alla metà del secolo, i filosofi operanti presso l’Istituto di ricerca sociale di Francoforte condurranno un’analisi approfondita della valenza negativa di questa logica produttiva, ormai impostasi da alcuni decenni. Horkheimer e Adorno, in particolare, in un testo del 1947 –Dialettica dell'il-luminismo– sottolineano l’evidente legame che ha unito la razionalità scientifica moderna (e il suo sogno di dominio sulla natura) con l'utopia [17], e ne sanciscono la crisi (Horkheimer, Adorno, 1947).

L’analisi compiuta dai due filosofi evidenzia come nel mon-do delle applicazioni tecnologiche e industriali della scienza

68 ALBERTA REBAGLIA operi quella che viene da loro definita una "controfinalità della ragione". La « graduale sostituzione della selezione naturale con l’azione razionale» (cfr. Horkheimer, 1947, un testo di quegli stessi anni, Scheda 6), ovvero la capacità umana di inventare soluzioni tecniche e tecnologiche adeguate a sfidare l’ostilità della natura, è «un fattore della civiltà» che sembra offrire all’uomo una carta assolutamente vincente per consen-tirgli una piena emancipazione da ogni paura teoretica verso ciò che è sconosciuto e da ogni bisogno materiale [18]. E tuttavia, proprio nel momento della sua compiuta attuazione nel mondo tecnologico e industriale, la ragione tecni-co-scientifica «si rovescia», contraddicendo quelle finalità di emancipazione e progresso che l'avevano mossa: « nel dominio sulla natura è incluso il dominio sull’uomo» (cfr. ivi), poiché la razionalità perde i suoi caratteri più preziosi, la mobilità, la creatività, la capacità inventiva. In quanto strumento per dominare la natura, secondo Horkheimer la ragione viene così prefiggendosi soltanto la massima efficienza dei mezzi da utilizzare a tal fine; e sbocco di questa impostazione risulta essere un mondo totalmente “amministrato” secondo regole rigide, alle quali occorre adattarsi perdendo proprio quella libertà che avrebbe dovuto rappresentare lo scopo finale da raggiungere. L’insieme complessivo delle leggi economiche e sociali si piega alla logica vincente di questa « ragione stru-mentale»; la quale nondimeno, e conseguentemente, costrui-sce una rigida griglia di norme di pensiero e di comportamento che, in ultima analisi, si rivelano una “gabbia d’acciaio” (secondo la definizione di Max Weber, sociologo le cui rifles-sioni hanno fortemente influenzato i filosofi della Scuola di Francoforte), la quale, anziché liberare, imprigiona la libertà umana. [back]

Il pericolo potenzialmente innescato dal dominio tecnologico non pare dunque provenire soltanto –né derivare principal-

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Fig. 5. Taylor prevede lo “studio scientifico” dei tempi di lavorazione (con analisi e cronometraggio di ogni singola operazione compiuta da ciascun addetto, al fine di individuare uno standard di prestazione lavorativa idoneo alla mano d’opera di cui è concretamente possibile disporre); dei metodi di lavorazione (da attuarsi redigendo “fogli-istruzione” in cui definire le modalità ottimali di intervento per ciascuno dei passaggi della lavorazione); dei macchinari e degli strumenti utilizzati (i quali devono rispondere a esigenze differenti rispetto a quelli utilizzati in ambito scientifico); del reclutamento del personale (con l’individua-zione di quelli che egli denomina “uomini di prima classe” per un dato compito). La produzione può essere accelerata, secondo Taylor, coordi-nando tale studio con una nuova forma di salario detta “cottimo diffe-renziale”: oltrepassata una soglia-limite stabilita in base al suddetto studio scientifico, ciascuno dei pezzi prodotti nella giornata lavorativa viene pagato una cifra superiore rispetto a quella pattuita per una produzione contenuta entro tale limite.

70 ALBERTA REBAGLIA mente– da un uso errato, o da una degenerazione, delle nuove tecnologie, ma può rivelarsi quale rischio intrinseco allo stesso progresso tecnologico, e svilupparsi nella quotidiana, legittima applicazione del sapere scientifico: per tale motivo esso incrina la credibilità di progetti “utopici” di miglioramento.

Analisi, questa condotta da Adorno e Horkheimer, che af-fianca quella precedente esposta da Marx e, accentuandone alcuni temi, viene a costituire un ulteriore, più specifico, indebolimento dell’idea tradizionale di progresso.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 71 Capitolo 4 La ragione oltre i confini della razionalizzazione 4.1 Freud. Ragione e inconscio Negare al progresso tecnologico una possibilità illimitata di sviluppo (conseguenza inevitabile della crisi dell’utopia razio-nalista, argomentata dai teorici della Scuola di Francoforte) contribuisce a rafforzare le perplessità nei confronti dell’idea di ragione così come essa era venuta consolidandosi in base al tradizionale ideale di “dominio” sulla natura. Nei grandi scrittori di utopie dell’età moderna (da Bacone, a Goodwin, a Condorcet) tale concezione è, infatti, profondamente correlata alla fiducia nei confronti del dominio razionale sul mondo: i ‘non luoghi’ che vengono raffigurati non rappresentano soltan-to ipotetiche regioni, splendide e prospere (come l’Eldorado immaginato dai marinai di Pizarro o il Paese della Cuccagna dei racconti occitani, luoghi mitici delle epopee diffuse all’ini-zio della modernità), ma in essi progresso e benessere conse-guono dal dispiegarsi in modo compiuto delle potenzialità insite nel ragionamento scientifico e nelle sue applicazioni tecnologiche.

Negli ultimi decenni dell’Ottocento, accanto a questi indizi di crisi della tradizionale concezione di ragione ne emergono ulteriori, che concernono ancor più strettamente la natura stessa dell’agire razionale. E sarà un altro autore della “Grande Vienna”, sostanzialmente contemporaneo di Mach, a rivoluzionare la concezione delle strutture portanti del soggetto conoscente: Sigmund Freud.

72 ALBERTA REBAGLIA

Come altri esponenti dell’epoca positivista, anche Freud intraprende la sua indagine (medica) per via rigorosamente empirica. A partire dall’analisi del metodo dell’ipnosi nella cura dell’isteria, e dei suoi limiti, egli compie la rivoluzionaria scoperta dell’inconscio [1], in seguito alla quale si troverà ad abbandonare le convinzioni del proprio maestro, Franz Brentano, secondo cui la percezione interna (dei fenomeni psichici) è immediata e autoevidente.

Mettendo a punto e utilizzando mezzi specifici (come l’ipnosi, ma soprattutto lo studio dello stato onirico, nonché l’analisi delle libere associazioni e dei lapsus) Freud intende mostrare l’esistenza di un processo inavvertito di “rimozione” di determinate rappresentazioni, i cui meccanismi egli ritiene siano governati da forze psichiche delle quali il soggetto non è consapevole. Nel concetto di inconscio, che viene in tal modo delineandosi, la teoria freudiana individua un sistema di contenuti psichici che non appartengono all’insieme dei contenuti mentali (pensieri e percezioni) di cui abbiamo coscienza, e che, d’altronde, esercitano su di essi un’influenza determinante. Freud giunge, così, a una sorta di ‘detronizza-zione’ della ragione nell’interesse della ragione stessa: egli (ripercorrendo un cammino concettuale conforme all’ideale illuministico) intende chiarire la forza recondita delle passioni, affinché l’uomo possa comprenderle e dominarle. Tuttavia, così facendo, produce un profondo trauma nel pensiero della modernità (con una dinamica del tutto analoga a quella che condusse padre Saccheri e gli altri matematici –impegnati a “emendare” la geometria euclidea da ogni, seppur piccola, imperfezione– a formulare geometrie non euclidee): la ragione risulta guidata dagli impulsi dell’inconscio, e i “lumi” della razionalità si rivelano mossi da forze profonde e oscure delle quali, per lo più, ben poco ci è dato conoscere e controllare [2].

La nuova impostazione richiede ovviamente (come era accaduto nel caso della geometria) di rinunciare alla concezione tradizionale, aproblematica, secondo la quale la mente svolge una funzione ‘neutra’ di organizzazione dei dati empirici: elemento, questo della ‘neutralità’ della facoltà razionale, sempre apparso essenziale al fine di attribuire

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 73 sempre apparso essenziale al fine di attribuire affidabilità alla conoscenza scientifica. Perciò, come già è accaduto nel valutare l’oggetto della conoscenza (che, con la crisi dell’impostazione kantiana, non può più essere ritenuto il prodotto della “sintesi a priori” compiuta dal soggetto secondo modalità universali e necessarie), anche nel prendere in considerazione il soggetto, quale artefice dell’indagine conosci-tiva, ci si troverà costretti a riconoscere l’assenza di ogni categoria assoluta in base alla quale ritenere sia strutturata la facoltà razionale.

Nei suoi ultimi lavori (in particolare Freud, 1937), Freud compirà un ulteriore passo nella direzione di pensiero che conduce alla crisi di ogni possibile, residua ‘neutralità’ e ‘assolutezza’ dell’attività mentale: se i contenuti psichici coscienti sono influenzati dall’inconscio, nemmeno quest’ul-timo può essere considerato una struttura immodificabile ed esistente di per sé, che è –solamente– difficile intravedere e conoscere (quasi una sorta di noumeno kantiano). Esso risulta, al contrario, esito di un lavoro di costruzione (condotto nel tempo e con l’aiuto dell’analista) formato da un insieme di “esperienze” psichiche le quali non rivelano qualcosa di originario, ma mettono in moto nuovi processi interpretativi della personalità del paziente (cfr. Scheda 7).

L’ipotesi freudiana, secondo cui formulare un’interpre-tazione di eventi passati condivisa dal paziente può avere una funzione psichica equivalente al ricordare fatti concretamente esperiti, sembra trovare riscontri negli studi recentemente condotti nell’ambito delle neuroscienze, dove, per esempio, il biologo Gerald Edelman ha ipotizzato che i ricordi vengano continuamente sottoposti a un processo di rielaborazione, che ne riorganizza continuamente i contorni: non esisterebbe, perciò, una precisa fotografia della “realtà” del passato (cfr. Edelman, 1989) [3]. La nostra conoscenza del mondo non avviene nei termini di una sua rappresentazione neutra; e i contenuti informativi, acquisiti e “immagazzinati” nella memo-ria, non restano estranei a successivi processi di interazione con l’ambiente, i quali gradualmente li trasformano.

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I dubbi e le inquietudini che, a partire dall’analisi di Freud, vengono proiettati sulla razionalità, e sul versante ‘soggettivo’ della conoscenza, sono (come vedremo) globalmente estensibili anche all’altra componente propria dell’idea illuministica di ragione, quella della percezione dei fatti empirici: l’eredità che la crisi della ragione “illuministica”, kantiana, lascia al Nove-cento consiste in una inquietante assenza di qualsiasi struttura assoluta, unica e atemporale; appartenga essa al soggetto conoscente o all’oggetto conosciuto. [back]

Questo ampio senso di sfiducia, che decreta il momento di più forte rottura concettuale con la categoria di ragione, costituisce un motivo-guida essenziale anche nella filosofia di un altro esponente notissimo della filosofia tedesca di fine Ottocento: Friedrich W. Nietzsche.

4.2 Crisi come convalescenza Lo stile di scrittura stesso, oscuro e a volte di difficile interpre-tazione, utilizzato da Nietzsche [4] –autore che, con Marx e Freud (e in misura forse ancor maggiore), ha contribuito a erodere i cardini concettuali del positivismo, oltrepassandone l’orizzonte filosofico– si prospetta come una rigorosa e conse-guente presa d’atto dell’inevitabile abbandono di ogni forma di pensiero condotto in base ai canoni di una ragione assoluta, che egli non riconosce più come guida legittima di riflessione: il discorso, nella prospettiva di Nietzsche, non deve procedere formulando concetti dedotti razionalmente, poiché tale percor-so sarebbe, in ultima analisi, giustificabile solo facendo ricor-so alla ragione (illuministica) e alla presunzione che dati empirici e “fatti” debbano possedere un senso univoco e ogget-tivo.

Alcuni aforismi di Nietzsche possono costituire un modo assai efficace per riassumere quanto fin qui argomentato circa la crisi dell’idea di ragione (cfr. Scheda 8, dei cui testi esami-niamo ora analiticamente i principali nodi concettuali).

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 75 «Contro il positivismo [..] non possiamo constatare nessun fatto

in sé» Si tratta degli esiti epistemologicamente più inquietanti cui

giungerà la riflessione –che negli anni in cui Nietzsche esprime le proprie tesi sta muovendo appena i primi passi (e di cui tratteremo esplicitamente in seguito)– la quale si viene svilup-pando a partire dagli studi di Mach sulla percezione (cfr. cap. 6 §1) fino alle tesi di un filosofo della scienza come Hanson, secondo cui i ‘fatti’ percettivi non sono mai “immaco-lati”, in quanto le osservazioni sono sempre “cariche di teoria” (cfr. cap. 9 §1).

«Tutto è soggettivo [..] già questa è un’interpretazione; il ‘sog-getto’ non è niente di dato»

Una tesi –questa, che nega al soggetto di essere il riferimen-to ultimo e unitario delle proprie percezioni– la quale trova tutto il suo spessore nell’idea, propugnata dall’ultimo Freud, di una costruzione della personalità individuale (operata anche attraverso l’elaborazione psicoanalitica, cfr. cap. 4 §1).

Nel passaggio intitolato “Come il mondo vero finì per diven-

tare favola”, in Crepuscolo degli idoli, Nietzsche ripercorre succintamente il cammino (da noi fin qui delineato) che da Kant arriva alle tematiche del “sospetto” verso ogni forma di essenza oggettiva e di ragione assoluta.

«Il mondo vero, inattingibile [..] ma già in quanto pensato una consolazione, un obbligo, un imperativo. (In fondo l’antico sole, ma attraverso nebbia e scetticismo; l’idea [..] königsbergica)»

Il sole antico corrisponde, secondo Nietzsche, all’idea pre-scientifica di razionalità appartenente alla tradizione del pensiero greco a partire da Socrate e Platone, per i quali la certezza di ciò che è ottenuto per via razionale smaschera la fallacia delle opinioni, e contribuisce ad acquisire conoscenze

76 ALBERTA REBAGLIA vere di quel mondo “in sé” (delle essenze ideali ed eterne) di cui il nostro mondo (dell’apparenza e del divenire) non è che una pallida copia. Kant (nato e vissuto a Königsberg) man-tiene un legame assai tenue con il mondo della “cosa in sé” (cfr.cap.1 §3), legame filtrato attraverso una nebbia di scettici-smo che ne sottolinea l’assoluta inconoscibilità per noi. E tuttavia la semplice possibilità di pensare l’esistenza di una “cosa in sé” si rivela essenziale, nella filosofia kantiana, per definire l’orizzonte dei “fenomeni”, garantendo che essi siano oggettive manifestazioni di quella verità assoluta e inattingibile in modo diretto.

«Il mondo vero [..] a che ci potrebbe vincolare qualcosa di sconosciuto? (Grigio mattino. [..] Canto del gallo del positivi-smo)»

Si tratta del “mattino” della scoperta delle geometrie non euclidee, che conducono a rinunciare al principio di verità come evidenza, e, con esso, alla possibile pretesa di “rispec-chiare”, almeno indirettamente, una realtà “in sé”. Le conse-guenze di questo “risveglio” della ragione dai suoi sogni illusori sono state da noi inquadrate attraverso l’esposizione della filosofia positivista e del pensiero di Mach.

«Il “mondo vero” [..] un’idea divenuta inutile [..] quindi un’idea confutata: eliminiamola! (Giorno chiaro; [..] Platone rosso di vergogna»

E’ la ‘spallata’ finale all’idea tradizionale di ragione. Si può parlare di “mondo vero”, ormai, solo mettendo il termine tra virgolette, per segnalare che all’espressione linguistica non corrisponde (più) un contenuto effettivo; e il percorso filosofico compiuto dal positivismo ha reso evidente come né indagando il fenomeno, né indagando la psiche sia possibile attingere quella verità assoluta, oggettiva e atemporale. Perciò, Nietzsche sottolinea come risulti inevitabile desumere che quel “mondo vero” non esiste e come tale conclusione rispetti, in ultima analisi, proprio i dettami metodologici del positivismo,

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 77 racchiusi nei principi di economia e di utilità. A essere sconfitta sarà, allora, la tradizione di pensiero che risale a Platone, il quale postulava il mondo vero e perfetto delle Idee, come archetipi dei quali il mondo fenomenico è copia imperfet-ta.

«Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente! ([..] fine del lunghissimo errore [..])»

Conseguenza ultima di questa presa d’atto radicale dell’inesistenza di un “mondo vero” –oggettivo e correlato (quantomeno in modo indiretto) a una realtà assoluta, “in sé”– dev’essere il rifiuto dell’aspetto complementare della polarità; infatti, se non esiste la “cosa in sé” non può esistere nemmeno il “fenomeno”, in quanto sua manifestazione; non è logicamen-te legittimo né metodologicamente coerente continuare a considerare il mondo dell’ “apparenza” nei termini tradizionali, come ciò che si manifesta a noi del “mondo vero”, “in sé”. [back]

L’elemento più evidente –in questa lettura nietzscheana del percorso che noi stessi abbiamo qui tracciato– è l’insolito ottimismo che in esso si scorge. Fin qui, la disillusione nei confronti dell’ideale illuministico di ragione è apparsa come il segnale allarmante di un crollo al quale occorreva fare argine, per quanto possibile. Ora Nietzsche introduce un senso nuovo di liberazione nell’eliminare ogni residuo di quella costruzione. Egli, a ben vedere, definisce il percorso di pen-siero compiuto come una “malattia”, dalla quale tuttavia ritiene si stia uscendo attraverso una lunga fase di feconda convalescenza. E poiché questo è un elemento –il primo che incontriamo– in cui è possibile ravvisare un carattere (almeno parzialmente) “positivo” e costruttivo, è opportuno appro-fondirne i risvolti.

Innanzi tutto è necessario chiarire come il rimuovere ogni residuo del modo tradizionale di intendere la ragione quale guida assoluta non significhi affidarsi semplicemente al suo contrario, ovvero all’irrazionalità. Nella fase più matura della sua filosofia, Nietzsche individua i limiti di un “nichilismo

78 ALBERTA REBAGLIA reattivo” (la semplice reazione di chi, di fronte alla delusione provocata dal dover constatare il ridursi a nulla della grande visione razionale su cui era organizzata l’intera tradizione del pensiero, se ne lamenta come di una perdita irreparabile) e traccia le linee di un “nichilismo attivo”, che cerca di esplicita-re i tratti di un’umanità nuova, capace di rinunciare alle tradizionali certezze oggettive. I modi in cui Nietzsche delinea questo nuovo percorso di riflessione –in grado di consentire un’emancipazione dell’uomo proprio da quegli ideali che egli ritiene illusoriamente emancipativi propugnati dal “tribunale” illuministico della ragione– sono molteplici e (inevitabilmente, dato il quadro teorico in cui si dipana il pensiero nietzschea-no) esposti in modo non organico. Da essi ricaveremo un aspetto di interesse particolare per la tematica da noi trattata.

Poiché il riorientamento del pensiero da un “nichilismo reat-tivo” a uno “attivo” coinvolge anche –e in modo specifico– l’atteggiamento con cui considerare la scienza, constatare che lo spirito scientifico è stato finora guidato da un principio di ragione il quale non mostra possedere quei caratteri di ade-guatezza e legittimità che erano stati a esso attribuiti non implica, per Nietzsche, disconoscere l’importanza del persegui-re l’indagine scientifica. Di fatto, nel periodo centrale della sua produzione egli intensifica la lettura di testi scientifici, e si occupa di fisica, chimica, astronomia, nonché paleontologia e antropologia culturale; e, come vedremo, la sua attenzione è attratta, in particolare, dal grande evento scientifico dell’Ot-tocento: l’elaborazione della termodinamica.

4.3 Termodinamica e filosofia dell’eterno ritorno Joseph Fourier fu tra i primi a individuare nello studio dei fenomeni termici una scienza a sé stante, non “riducibile” alla meccanica newtoniana:

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 79

Esiste una classe molto vasta di fenomeni che non sono pro-dotti da forze meccaniche, ma che derivano soltanto dalla presenza e accumulazione di calore. Questa parte della filoso-fia naturale non può essere ridotta a una branca delle teorie dinamiche: essa possiede principi suoi particolari e si basa su un metodo simile a quello delle altre scienze esatte (1822).

L’analisi del flusso di calore trattata per mezzo di quelle che furono poi chiamate le ‘serie di Fourier’ permette di evitare la questione (all’epoca controversa) se il calore sia semplicemente movimento (come proposto per esempio da Bacone) oppure una sostanza che può entrare nelle reazioni chimiche (come ipotizzato per esempio da Lavoisier). Mach apprezzò partico-larmente questa impostazione, facendo notare che nella termodinamica non si faceva uso di modelli meccanici della natura ma si stabilivano correlazioni dirette tra i fenomeni osservati. E suggerì che la termodinamica –e non la meccani-ca– dovesse essere considerata il prototipo di ogni scienza. Tuttavia, l’impostazione data da Fourier venne presto sostitui-ta da quella statistica, fondata sull’ipotesi atomica (ai cui seguaci Mach riservò i biasimi più severi, proprio in quanto essi avevano conquistato il campo della termodinamica introducendovi entità teoriche non direttamente osservabili) [5].

La termodinamica statistica si sviluppa (negli anni Settanta del XIX secolo) attraverso i lavori di Ludwig Boltzmann e Josiah Gibbs sull’equilibrio termodinamico raggiunto da un sistema chiuso quando esso è nel suo stato di massimo disordine: viene formulata una descrizione del sistema utiliz-zando lo spazio matematico detto “spazio delle fasi”, collegan-do così una quantità fisica alquanto misteriosa, l’entropia (concetto introdotto da Clausius nel 1865 come misura della capacità di cambiamento di un sistema macroscopico isolato) a un formalismo matematico (quello statistico) piuttosto recente e affidabile.

Ciascun punto dello spazio delle fasi consente di specificare lo stato dell’intero sistema in un dato istante (poiché permette di determinare posizioni e velocità di tutti gli elementi compo-nenti il sistema); e la sua traiettoria nello spazio delle fasi

80 ALBERTA REBAGLIA descrive compiutamente l’evoluzione temporale del sistema stesso. Secondo l’ipotesi ergodica, il punto rappresentativo del sistema esplora ogni regione dello spazio delle fasi, trascor-rendovi un tempo proporzionale al volume di tale regione. Ipotesi, questa, che consente di mantenere saldo il presuppo-sto classico, secondo cui nelle leggi della fisica non c’è quell’irreversibilità che, invece, caratterizza la vita quotidiana. Lo stato iniziale di un sistema a bassa entropia ha, infatti, un volume relativo piccolissimo nello spazio delle fasi; ed è, quindi, molto improbabile. L’evoluzione temporale conduce invece a una regione di volume relativamente grande, di elevata entropia, che corrisponde a uno stato molto probabile del sistema (al quale si può pervenire partendo da molteplici condizioni iniziali differenti). In linea teorica, secondo l’ipotesi ergodica e il teorema di ricorrenza formulato da Poincaré (nel 1889, secondo cui: in un lungo intervallo di tempo un sistema isolato farà ritorno al suo stato iniziale, e in un tempo illimita-to questo ritorno avverrà infinite volte), trascorso un periodo di tempo tanto grande da non essere umanamente esperibile il sistema tornerà proprio al suo improbabile stato iniziale.

Negli stessi anni in cui viene formulata questa impostazio-ne statistica della termodinamica cosiddetta ‘di equilibrio’, Nietzsche elabora uno degli elementi più significativi della propria filosofia: la teoria dell’eterno ritorno. Se molti sono i motivi che hanno guidato Nietzsche nelle sue riflessioni, e moltissime sono le possibili interpretazioni del suo pensiero, poiché, come abbiamo detto, è nostro interesse seguire le tesi nietzschane esclusivamente attraverso il ‘taglio’ richiesto da questa nostra analisi, risulterà vantaggioso leggere attraverso la chiave interpretativa fornita dall’ipotesi ergodica alcuni passaggi tratti da uno degli aforismi più significativi sul tema dell’eterno ritorno (“La visione e l’enigma”, in Così parlò Zarathustra, 1883-85, Nietzsche, 1967-1975, cfr. Scheda 9).

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 81 «“Guarda questa porta carraia! Nano!” [..] “Tu, spirito di gravi-

tà!”»

L’interlocutore di Zarathustra (figura di antico sapiente orientale, a metà tra storia e leggenda, utilizzato da Nietzsche quale simbolo della saggezza di chi oltrepassa i limiti di una conoscenza che cerca strutture assolute e realtà definitive, per vivere positivamente l’esperienza nichilista) è il “Nano”, ovvero lo “spirito di gravità”. Si tratta di un personaggio negativo il quale –seppure, come sempre nei testi di Nietzsche, dà luogo a molte letture interpretative– può rappresentare (aspetto essen-ziale per il nostro discorso) l’atteggiamento epistemologico che è alla base della fisica newtoniana (della gravitazione univer-sale) [6].

«“Tutte le cose diritte mentono”, borbottò sprezzante il nano. “Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo”»

Le leggi di Newton prevedono la reversibilità temporale, poiché l’accelerazione è la derivata seconda dello spazio rispetto al tempo; stelle e pianeti, per esempio, potrebbero percorrere le loro orbite anche in senso inverso. E dunque, in quest’ottica, la linearità e l’irreversibilità propugnate dai principi della termodinamica sono, in ultima istanza, menzo-gne. (Menzogne che Maxwell ha cercato di smascherare con la sua celebre ipotesi del “diavoletto” il quale, conoscendo velocità e direzioni di tutte le molecole, può –in linea di princi-pio– invertire l’intero divenire degli eventi. [7])

«“Tu, spirito di gravità!”, dissi io incollerito –prosegue lo Zarathustra di Nietzsche– “non prendere la cosa troppo alla leggera!”»

Seguendo il teorema di ricorrenza e l’ipotesi ergodica, la negazione della linearità e dell’irreversibilità temporale non avviene nei termini di una semplice enunciazione della possi-bilità di inversione della freccia temporale. Secondo gli argo-menti di Poincaré e di Boltzmann, infatti, non è mai dato

82 ALBERTA REBAGLIA osservare il rovesciamento di un processo irreversibile, ma vi si afferma che in tempi infinitamente lunghi anche condizioni improbabili si ripeteranno più volte. [back]

« chi [di fronte ai due sentieri del passato e del futuro] ne percor-resse uno dei due –sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?!»

Qui, l’aspetto messo in risalto da Zarathustra ricorda, ap-punto, il teorema della ricorrenza.

L’ipotesi matematica espressa dal teorema di Poincaré può,

tuttavia, spiegare la situazione fisica solo se unita alle leggi della statistica, come concretizzato da Boltzmann. E il ricorso alla legge statistica fa sì che, da un lato, si registri l’irrompere del caso in un orizzonte il quale vuole essere deterministico e, dall’altro, che questo elemento di casualità venga “domato” in quanto costretto entro un ambito di affidabilità predittiva. La ragione “assoluta”, tipica della scienza tradizionale, vede un evento come scientificamente interessante in quanto inscrivi-bile entro una data tipologia, e dunque non certamente come evento singolo e irripetibile (cfr. quanto detto a questo proposi-to in cap.2 Nota [6], parlando di Dilthey). La ragione scientifi-ca intende trattare ogni evento in base a una necessità uni-versale e atemporale, e, in tale proposito, sembra ottenere uno dei suoi maggiori successi con questa formulazione, statistica, della termodinamica. Sebbene, nel contempo, essa si veda costretta a scendere a patti con il caso: la predizione statistica viene applicata all’evento fisico nella sua concretezza e contin-genza (considerandolo quale stato iniziale –a bassa entropia e quindi altamente improbabile– di un sistema).

In effetti, la termodinamica utilizza il concetto di probabilità statistica entro un orizzonte di pensiero che non è più quello, tipicamente newtoniano, di Laplace, dove esso è inscindibil-mente connesso alla dottrina classica della necessità. L’appello da lui fatto, nel Saggio filosofico sulle probabilità (Laplace, 1814), a una Intelligenza extraumana capace di

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 83 dominare perfettamente l’essenza deterministica del mondo –esaustivamente spiegata dalle leggi newtoniane– era funzio-nale a una visione “soggettiva” della probabilità, intesa come “teoria dell’ignoranza”: una teoria che, sostanzialmente, nega l’esistenza del caso, ritenendo che esso sia semplicemente il nome con cui indichiamo la nostra ignoranza delle cause che determinano il verificarsi di un dato evento. La termodinami-ca fa riferimento, invece, alla concezione introdotta a partire dal 1827 (emblematicamente anno di morte di Laplace) con l’elaborazione della curva gaussiana, e alla successiva formu-lazione di Poisson (Poisson, 1837): le leggi statistiche espri-mono la ‘frequenza relativa’ di un evento, ossia la facilità con cui esso può verificarsi [8]. [back] Lo scopo dichiarato di queste leggi consisteva, in piena conformità con l’ideale positivistico, nell’organizzare in base a una omogeneità statistica quei fenomeni, intrinsecamente imprevedibili e contingenti, risul-tanti da una somma di piccole cause indipendenti. E i casi individuali raccolti entro questi schemi statistici non erano soltanto costituiti da eventi fisici, bensì anche da fenomeni sociali di ogni tipo (conformemente alla tendenza positivistica a utilizzare il metodo scientifico anche in ambiti di indagine differenti da quello tradizionale della fisica):

Misurazione e positivismo sono parenti stretti. [..] Scienza positiva voleva dire scienza numerica. Non vi era nulla di meglio della statistica che potesse rappresentare una scienza positiva: un’ironia della sorte, dato il profondo disprezzo che Comte nutriva per le indagini statistiche. La valanga di numeri, l’erosione del determinismo e l’invenzione della normalità rientrano nei grandi temi della rivoluzione industriale. Manifatture, estrazioni minerarie, commercio, sanità, ferrovie, guerra, impero: da qui deriva la conquista dei numeri da parte delle masse e l’esigenza profes-sionale di misurazioni precise. E sempre da qui deriva l’idea di istituire delle norme. Le ferrovie, per esempio, oltre a ri-chiedere puntualità e una produzione di massa di orologi da taschino, fissarono degli standard non solo per cose ovvie come lo scartamento dei binari, ma anche per l’altezza dei respingenti dei vagoni dei treni. (Hacking, 1990, pp.6-7)

84 ALBERTA REBAGLIA

Vennero osservate regolarità –trattabili per mezzo della leg-ge dei grandi numeri, formulata da Poisson– persino nel numero annuale delle lettere che, spedite a Parigi, finivano all’ufficio della corrispondenza inevasa (cfr. ivi). E’ evidente che quanto più a essere trattati statisticamente erano feno-meni manifestamente fortuiti, o eventi che coinvolgevano gli individui e il loro libero arbitrio (matrimoni, crimini, suicidi furono, nell’Ottocento, oggetto di attente statistiche), tanto più il caso veniva inteso come una proprietà “oggettiva”, apparte-nente al mondo fisico.

Anche la trattazione ergodica della termodinamica si propo-ne di ricondurre la forza eversiva del suo secondo principio (che introduce una radicale irreversibilità temporale) nell’oriz-zonte della fisica tradizionale; e, così facendo, essa dà uno spessore nuovo al mondo concreto degli eventi casuali (si ricordi l’esortazione dello Zarathustra nietzscheano a non prendere “troppo alla leggera” la legge dell’eterno ritorno; la quale –a differenza della semplice reversibilità temporale intrinseca alla fisica newtoniana– apre uno spazio inedito alla trattazione scientifica degli eventi fortuiti, contingenti, casua-li). Si può dunque dire che nell’ambito della termodinamica statistica la liberazione dal caso è anche liberazione del caso: la possibilità di ricondurre il singolo evento all’interno di una legge universale è anche un riconoscimento della irriducibile peculiarità di tale evento singolo [9].

Compito della scienza in questa nuova stagione del pensie-ro, non più legata alla ragione assoluta della fisica newtonia-na, è dunque duplice, secondo Nietzsche.

« quello di ‘cercar la regola’ è il primo istinto di chi conosce [..] vogliono la regola, perché essa toglie al mondo il suo aspetto pauroso»

Da un lato, la scienza è “liberazione dal caso”; nasce per rispondere al bisogno di sicurezza dell’uomo ed espleta questo suo compito formulando regole e leggi sotto le quali sussume-re i fenomeni specifici.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 85 « mentre naturalmente per il fatto che si sia trovata la regola

niente ancora è “conosciuto”!»

Dall’altro lato, la scienza è “liberazione del caso” ; considera il mondo come processo, come evoluzione storica, e il singolo evento come prodotto casuale di piccole cause indipendenti, tipizzabili in modo standardizzato, normalizzato, per poterne dare una descrizione (predittiva).

Si tratta di caratteri complementari e irrinunciabili per la

scienza posta su basi nuove: essa rende il mondo prevedibile, e dunque non più temibile, e nel contempo dissacra i principi cui essa stessa perviene indicandoli come “feticci” anziché come “fondamenti”; le leggi che prendono avvio dall’accetta-zione dell’esistenza del caso, per darne una sistematizzazione formale, consentono di affrancare le nostre aspettative dal-l’autorità di una “cosa in sé”, pur fornendo schemi attendibili per organizzare la molteplicità dei fenomeni.

La possibilità che la scienza sia oggi costituita da questi due aspetti complementari non è peraltro, sottolinea Nietzsche, una proprietà intrinseca alla scienza stessa: si tratta di una caratteristica non legata a qualche essenza metafisica e atemporale (sarebbe un modo di pensare tutto interno alla concezione illuministica di ragione); è, invece, proprio l’esito del lungo processo storico che ha portato al nascere della scienza moderna, e quindi alla crisi dei fondamenti su cui essa era imperniata.

«anche noi uomini della conoscenza di oggi, noi senza dio e antimetafisici»

Per Nietzsche non vi è soluzione di continuità, dal punto di vista concettuale, tra il Dio cristiano e la ragione scientifica, in entrambi i casi egli considera si tratti di principi assoluti che intendevano guidare verso una conoscenza certa e definitiva della realtà.

86 ALBERTA REBAGLIA «traiamo sempre il nostro fuoco dall’incendio appiccato da un

millennio di fede antica, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone per cui Dio è la verità e la verità è divina»

Platone e, prima di lui, il suo maestro Socrate costituiscono, per Nietzsche, la radice della razionalità scientifica moderna.

E’ questo il senso del famoso annuncio di Nietzsche, secon-

do cui “il vecchio Dio è morto”: non si tratta di una (semplicisti-ca) affermazione della sua non esistenza, né si tratta di una dimostrazione cogente (nella prospettiva della logica e della razionalità classiche); si tratta, piuttosto, di un invito a pren-dere atto del percorso storico che ha condotto alla consuma-zione del vecchio ideale di ragione («sembra che per l’appunto sia tramontato un qualche sole e che una qualche fiducia profon-da e antica si sia trasformata in dubbio») e, pertanto, di un invito a percorrere strade nuove e adeguate di pensiero (Fig.6).

Queste nuove strade di pensiero possono fare riferimento a

un ideale meno forte di ragione, rispetto alla razionalità deterministica tradizionale (come nel caso, appunto, delle formulazioni statistiche di cui si è detto), intersecandolo con un ideale di progresso anch’esso considerato in modo meno cogente di quanto non abbia fatto il darwinismo ottocentesco (e il suo parallelo in ambito filologico: lo storicismo, cfr. in cap. 2 §2, che rappresenta il riferimento polemico di Nietzsche). Il tentativo di individuare ‘leggi universali della storia’ renderebbe impossibile analizzare il singolo evento nella sua concretezza, sarebbe un modo di operare ancora total-mente interno all’orizzonte della ragione illuministica, kantia-na (che Nietzsche definisce “metafisica”, e della quale egli risale alla radice “socratica”).

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 87

Fig. 6. I concetti di causalità e di determinismo –intrinseci alla tradiziona-le logica di dominio della natura, nel cui ambito sono state elaborate le leggi galileiane e newtoniane della dinamica– vengono posti in discussione dall’elaborazione di una teoria “frequentista” della probabilità. E’ questo l’orizzonte scientifico che fa da sfondo all’esortazione che Zarathustra (per Nietzsche emblema dell’uomo che si spinge oltre il limite concettuale della tradizione) rivolge a se stesso: «In piedi dormiglione –si disse– Tu dormien-te nel meriggio! Forza, coraggio vecchie gambe! E’ tempo, più che tempo, avete ancora un buon pezzo di strada da fare»

Tale intersezione fra “ragione” e “progresso” intesi in modo non “feticistico” è indispensabile alla scienza, afferma Nietzsche, in quanto costituisce lo stimolo che consente una nuova forma di sapere, libero dalle rigidezze del passato, ed è,

88 ALBERTA REBAGLIA nel contempo, ciò che orienta il cammino scientifico verso le nuove sicurezze date dalla tecnica. Se la scienza risponde a un originario bisogno di sicurezza, essa vede nel trionfo della tecnica (nel suo rendere il mondo più abitabile) la sua tappa conclusiva. Pur rivelandone, egli aggiunge, anche l’intrinseca ambiguità: la tecnica non sempre conduce a esiti totalmente positivi, essa può anzi evidenziare limiti e carenze dell’ideale di progresso [10].

«noi filosofi e “spiriti liberi” ci sentiamo, alla notizia che il “vecchio Dio è morto”, come sfiorati da una nuova aurora; il nostro cuore trabocca di gratitudine, stupore, presagi, attesa –final-mente l’orizzonte ci sembra di nuovo libero, posto che non sia chiaro, finalmente le nostre navi possono riprendere il largo, verso ogni pericolo»

Seguendo Nietzsche, non è dunque possibile ottenere una visione totalmente ottimistica; l’ambiguità tra positivo e negativo sembra un carattere ineliminabile (e forse l’autentico motore) della nuova forma di conoscenza. L’orizzonte è, ora, liberato dalle antiche rigidità di pensiero, volte a ridurre ogni conoscenza a principi primi assoluti e oggettivi, ma questo non significa che esso sia rischiarato da qualche altra luce ‘inten-sa’ (che rischierebbe di trasformarsi in un nuovo assoluto). E nella penombra, si sa, è possibile intravedere particolari che una luce accecante annullerebbe, ma vi si possono anche nascondere pericoli imprevisti.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 89 Capitolo 5 Controllo e comunicazione 5.1 Linearità del tempo e circolarità causale retroattiva Lo “smascheramento” di ogni aspetto dogmatico del pensiero moderno –obiettivo delle considerazioni di Nietzsche (ed esito, anche, delle analisi di Marx e di Freud)– dischiude nella riflessione filosofica una duplice direzione di pensiero, che risulta raccogliere per intero l’eredità del positivismo (ossia, la sollecitazione a eliminare dall’orizzonte delle idee condivise la “cosa in sé” e l’orientamento a considerare l’attività “legislatri-ce” del soggetto una creazione di rassicuranti regolarità), e richiede altresì di valutarne compiutamente le conseguenze –ovvero l’abbandono dell’ideale di “dominio” sulla natura.

L’impostazione data da Nietzsche sollecita, da un lato, a meglio delineare quali siano ruolo e portata dell’indagine scientifica allorché della natura si ammette non resti più alcun aggancio con una cosa ‘in sé’ e, conseguentemente, perfino i fatti non possano più prefigurarsi come ‘apparenze’ di un mondo ‘essenziale’ e ‘oggettivo’. D’altro lato, essa richiede di pensare, senza « prendere la cosa troppo alla leggera », a una sostituzione della tradizionale logica lineare con una nuova, inquietante logica circolare [Fig.7].

I due aspetti sono fra loro profondamente connessi. Spez-zare il legame tra mondo fattuale ed essenza reale significa, anzitutto, negare che i “fatti” manifestino, semplicemente, regolarità in essi intrinsecamente presenti in quanto radicate in quella essenza assoluta e permanente che, secondo il

90 ALBERTA REBAGLIA

Fig. 7. La crisi dell’idea illuministica e positivistica di ragione, che conduce a sottolineare le difficoltà interne alla concezione di una ragione strumen-tale, richiede al soggetto una revisione del proprio modo di rapportarsi al mondo; mentre una analisi critica delle modalità di percezione dei fatti condurrà a ridimensionare anche l’oggettività dei fenomeni. Entrambe queste sollecitazioni, come ha mostrato Nietzsche, sfociano in una reimpostazione del rapporto tra ‘soggetto’ e ‘oggetto’, considerato -ora- nell’ambito di un pensiero ‘circolare’, lontano dal principio della causalità lineare. pensiero tradizionale, ne sarebbe il fondamento costitutivo. Il mondo fenomenico risulta essere, piuttosto, un insieme caotico e imprevedibile di eventi, ai quali siamo noi stessi ad attribuire regolarità attraverso i principi razionali da noi formulati; primo fra tutti la legge causale. Questa nuova consapevolezza può emergere in tutta la sua pregnanza

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 91 proprio rifiutando di racchiudere il pensiero in una concezione lineare, fatta di cause alle quali seguono effetti. Spiega Gianni Vattimo:

La temporalità lineare, quella che si articola in presente passa-to futuro, ciascuno irripetibile, implica che ogni momento ha senso solo in funzione degli altri sulla linea del tempo [..]; in essa, ogni attimo è un figlio che divora il padre (il momento che lo precede) ed è destinato a propria volta ad essere divora-to. In questa, che altrove ho chiamato la struttura “edipica” del tempo, non è possibile felicità perché nessun momento vissuto può avere davvero, in sé, una pienezza di senso (Vattimo, 1985, p.85).

L’alternativa alla concezione lineare di progresso viene indi-viduata da Nietzsche nell’idea di una durata temporale della quale egli sottolinea l’andamento a carattere circolare. Tale rappresentazione di un susseguirsi di cause e di effetti che non emergono da un’essenza profonda del reale ma sono gli schemi mentali con cui noi organizziamo i dati empirici, e che si possono concatenare dando luogo a un processo circolare, risulterà particolarmente significativa, come vedremo, nel guidare la riflessione scientifica e filosofica allorché l’idea tradizionale di ragione verrà ritenuta sempre meno affidabi-le [1].

I motivi più strettamente filosofici ed epistemologici che hanno condotto all’ “eclisse della ragione” (per ricordare il titolo dell’opera di Horkheimer; cfr. in cap.3 §3), e dunque all’oscurarsi del “lume” di una razionalità che si configura come strumento di “dominio” sulla natura –“lume” che ha guidato, globalmente, le attese culturali e sociali di una lunga epoca storica, che dal XVI secolo giunge al XIX–, hanno altresì condotto a tracciare una linea di evoluzione del pensiero la quale consente di oltrepassare tale crisi. E condizione indi-spensabile per costruire questo nuovo orizzonte di riflessione risulta essere l'elaborazione di una logica alternativa a quella tradizionale, che contrapponga argomentazioni costruttive al

92 ALBERTA REBAGLIA giudizio di tautoligicità “viziosa” da essa attribuito a ogni riflessione posta su basi di circolarità.

Martin Heidegger, nel suo basilare testo del 1927, Essere e tempo, individuerà nell’ articolazione circolare la struttura autentica e preziosa del “comprendere”, ampliando il riferi-mento alla circolarità e spostandolo dall’ambito del flusso temporale delle cause e degli effetti a quello dell’acquisizione di informazione attraverso la funzione dell’interpretare:

Se l’interpretazione deve sempre muoversi nel compreso e nutrirsi di esso, come potrà condurre a risultati scientifici senza avvolgersi in un circolo? [..] Le regole più elementari della logica ci insegnano che il circolo è circolus vitiosus. [..] Ma se si vede in questo circolo un circolo vizioso e si mira ad evitarlo o semplicemente lo si ‘sente’ come un’irrimediabile im-perfezione, si fraintende la comprensione da capo a fondo. [..] L’importante non sta nell’uscir fuori dal circolo, ma nello starvi dentro nella maniera giusta. [..] Il circolo non deve essere de-gradato a circolo vitiosus e neppure ritenuto un inconveniente ineliminabile. In esso si nasconde una possibilità positiva del conoscere più originario [Heidegger, 1927, pp.194-195].

Causalità circolare e circolarità –nel processo di comunica-zione, nel fluire di informazione e nell’elaborazione di interpre-tazioni– sono due aspetti del nuovo orizzonte di pensiero strettamente correlati; i quali si mostreranno densi di conse-guenze concettuali di rilevanza assoluta.

5.2 Automazione e retroazione nel controllo della natura Se nel tracciare le linee generali della trasformazione in senso industriale delle tecnologie abbiamo svolto le nostre conside-razioni a partire dall’introduzione delle macchine a vapore nelle fabbriche di inizio Ottocento, descrivendo la macchina di Newcomen non abbiamo ancora fatto emergere una particola-rità del suo funzionamento che –nell’ottica di un pensiero

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 93 ‘della circolarità’, come quello che si viene delineando con le riflessioni fin qui considerate– assume grande spessore concettuale. Per ogni ciclo, si è detto, è prevista l’azione della pressione atmosferica con lo scopo di abbassare il pistone e della forza gravitazionale al fine di alzarlo, mentre immissione del vapore entro il cilindro ed espulsione dell’acqua di conden-sa sono regolate attraverso l’apertura e la chiusura di valvole. Implicazioni concettuali ragguardevoli risultano sottese all’in-troduzione di un semplice meccanismo automatico che consente di sollevare l’operatore umano dal ripetitivo incarico di apertura e chiusura di tali valvole [2]: è stato sufficiente collegare direttamente il sistema di apertura e chiusura dei rubinetti al movimento del bilanciere per far sì che tutte le componenti del dispositivo potessero controllarsi a vicenda, senza rendere necessario alcun intervento umano.

Alcuni automatismi erano già stati inseriti da abili artigiani nei “teatri di automi” (tanto apprezzati alle soglie della moder-nità, verso la fine del medioevo e poi in epoca comunale e rinascimentale) utilizzando meccanismi in cui era stato introdotto il principio dello “scappamento”, che consente di accumulare una potenzialità di movimento diluibile con regolarità nel tempo. Essi erano azionati tramite la forza ceduta dallo srotolarsi di una corda alla quale era stato fissato un peso; movimento mantenuto lento e regolare grazie all’azione del “foliot ”, una barra trasversale atta a contrastare la forza di gravità rallentando la caduta del peso. Questi primi, rudimentali, meccanismi automatici davano luogo a un tentativo concreto di controllo della dinamica di un sistema artificiale [3]. E, tuttavia, restando nell’ambito di tale modo di intendere le macchine e i loro possibili automatismi, nella progettazione della macchina a vapore non sarebbe stata pensabile la messa a punto di una tecnologia che superasse in affidabilità e rendimento il dispositivo progettato da Newcomen.

In quest’ottica, infatti, il progetto di James Watt (volto a sostituire i macchinari basati sul modello di Newcomen) pare destituito di ogni possibilità di successo: egli intende introdur-

94 ALBERTA REBAGLIA re –accanto alla caldaia e al cilindro separati– una camera di condensazione a sé stante (poiché raffreddare il cilindro, così come avveniva nella macchina di Newcomen, significa dover sprecare molto vapore per riportarlo –nel ciclo successivo– alla precedente, elevata temperatura), e conseguentemente esclu-dere l’utilizzo tanto della pressione atmosferica quanto della forza gravitazionale, facendo sì che il pistone si muova da un lato all’altro di un recipiente chiuso (comunicante a un’estre- mità con la caldaia e all’altra con la camera di condensazione) nel quale, dopo aver prodotto il vuoto, viene immesso vapore a bassa pressione. In effetti, per questo progetto sembrano valere le obiezioni mosse a Watt dagli “esperti” a cui fa cenno Paul Watzlawick, i quali « gli fecero notare che il dispositivo non avrebbe mai potuto funzionare [poiché] il movimento avanti-indietro del pistone richiedeva uno spiritus rector fuori della macchina, o, più precisamente, un operatore che aprisse e chiudesse le valvole al momento opportuno. Questo era naturalmente incompatibile con l’idea di una macchina funzionante in modo autonomo» (Watzlawick, 1981, cfr. Scheda 10).

Ripercorrendo la serie di nessi causali che ha consentito l’introduzione di comandi automatici nella macchina di Newcomen, ci rendiamo conto che in quel caso era stato possibile formare una concatenazione lineare di cause ed effetti [4]. In questa prospettiva, dunque, sebbene il movimen-to sia ciclico (e paia, perciò, porre in essere una dinamica di tipo circolare), la concatenazione delle forze naturali e dei meccanismi di controllo è perfettamente inserita nel modo classico di concepire la causalità: come connessione lineare di cause che provocano effetti, i quali, a loro volta, possono legittimamente costituire la causa dalla quale scaturiscono ulteriori effetti.

Watt, nella sua radicale semplificazione del meccanismo, avendo eliminato la possibile azione sia della forza gravitazio-nale sia di quella atmosferica sembrava impedire qualunque autoregolazione del movimento del pistone [5]. Dal punto di vista concettuale, la soluzione individuata da Watt (che

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 95 renderà la macchina a vapore quel meccanismo –potente e affidabile– di trasformazione e demoltiplicazione dei movimenti che ha consentito di dare forza all’intero processo di industria-lizzazione) è “rivoluzionaria”: «egli mise il movimento del pistone al servizio della propria regolazione, facendo sì che lo stesso movimento determinasse l’apertura e la chiusura delle valvole. Il movimento del pistone divenne quindi la causa del funzionamento delle valvole; a sua volta questo effetto sulle valvole divenne la causa del movimento del pistone», spiega Watzlawick (cfr. ancora la Scheda 10). L’effetto, in questo caso, non è causa di un ulteriore e differente effetto, ma provoca –e dunque rende possibile– quella stessa causa che lo ha generato.

L’elemento innovativo, indispensabile al successo finale del dispositivo, consiste quindi nell’introdurre una inquietante prospettiva autenticamente circolare nel ragionamento causale. Una componente concettuale, questa, assolutamente insolita, poiché la logica insegna a considerare con diffidenza ogni ragionamento palesemente circolare, ritenendo che esso si avvolga nella paradossalità di voler spiegare la causa con l’effetto (con un procedimento denominato di bootstrapping, ricordando il noto personaggio letterario del barone di Mün-chausen, il quale raccontava di essersi sollevato da terra tirandosi su mediante i propri stivali). Ma collegando, tramite una camma, il pistone di una macchina alla valvola che regola l’immissione del vapore –ovvero introducendo il servomeccani-smo indispensabile affinché l’immissione del vapore causi lo spostamento del pistone all’altra estremità del cilindro, e questo effetto provochi, a sua volta, la chiusura della valvola e quindi la sospensione dell’ingresso del vapore– la logica circolare di quella che viene denominata “retroazione” diventa una possibilità metodologica concreta.

La logica della “retroazione” è (almeno parzialmente) presen-te nella rilettura fatta da Ernst Mach della fisica newtoniana in base a principi positivistici: volendo attenersi rigorosamente ai fatti empirici, secondo Mach occorre considerare ogni dinamica concreta quale esito di un doppio processo di azione

96 ALBERTA REBAGLIA e reazione. E tuttavia, fino a che questo metodo di pensiero viene applicato soltanto a ragionamenti teorici, o a realizzazio-ni meccaniche, di esso non emergono compiutamente le potenzialità. Queste diventeranno, invece, del tutto evidenti negli studi di cibernetica (sui quali ci soffermeremo a lungo nei prossimi capitoli), allorché tale metodo verrà applicato a quella assai peculiare macchina che è il computer: in questo caso, infatti, si tratta di vincolare in una catena di tipo circola-re non lavoro meccanico, bensì un insieme di informazioni (Fig.8). In tal modo, viene ad aprirsi l’orizzonte tematico della comunicazione; nel quale il principio del feedback svolge un ruolo centrale, e assai più complesso: qui le informazioni non circolano –solamente– per imporre un’evoluzione stabile a un sistema chiuso (feedback negativo), ma per fornire a un sistema aperto sollecitazioni che interagiscono in modo spesso imprevedibile con il sistema stesso, modificando in modo innovativo il suo cambiamento evolutivo (feedback positivo). [back]

Fig. 8. Questa immagine, scelta quale logo dalla American Society for Cybernetics, fornisce una raffigurazione della nozione di causalità ricor-siva e, secondo le intenzioni dei suoi autori, indica come il dominio degli esseri viventi (del bios, raffigurato dalla salamandra) sia in costante, mutua interazione –esplicantesi in una continua retroazione circolare– con l’orizzonte cognitivo (il mondo astratto dell’informazione, rappresen-tato dalla figura mitologica della chimera).

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 97

Freud, come abbiamo visto, introducendo il concetto di

‘inconscio’ ha estremizzato l’abbandono della ragione quale guida nella comprensione dei processi psichici: l’elemento inconscio produce un distacco, prima impensabile, tra rappre-sentazioni mentali e consapevolezza di esse (tale da rendere inefficace persino la più generica delle indicazioni, quella che prefigura una guida ‘razionale’ delle nostre azioni, poiché non è possibile desiderare qualcosa senza averne conoscenza). Tuttavia, come sottolineano Paul Watzlawick e i suoi colleghi del Mental Research Institute di Palo Alto, la psicologia della comunicazione –sviluppatasi nella seconda metà del XX secolo e imperniata sul concetto di informazione e sul principio cibernetico di feedback– pone le condizioni per una nuova “rottura epistemologica”. L’idea di una guida razionale di comportamenti e apprendimento viene così ripresa e rielabora-ta (cfr. Watzlawick, 1967-72, ancora nella Scheda 10), ma su un livello concettuale differente da quello tradizionale: i processi psichici gestiscono informazioni, e non energia; e i meccanismi di retroazione ricorsiva che li caratterizzano danno luogo a comportamenti non lineari, imprevedibili.

Watzlawick (nel primo brano antologizzato nella Scheda 10) si sofferma a descrivere una delle situazioni aberranti che possono prodursi in presenza di feedback positivo: introdurre nel bagaglio delle nostre informazioni una previsione alla quale siamo disposti ad attribuire massima attendibilità può interagire con altri giudizi e altre informazioni, innescando nuovi processi di retroazione e giungendo a modificare radi-calmente i nostri comportamenti futuri [6]. Si tratta della conseguenza più evidente e profonda di quanto sottolineato da Freud, nei cui ultimi lavori viene messo in risalto come il presente costruisca il proprio passato (anziché interpreta- re, semplicemente, ricordi neutri e ben stabilizzati), e da Nietzsche, che –con la dottrina dell’eterno ritorno– apre la possibilità di una continua retroazione tra presente, passato e futuro [7]. [back]

98 ALBERTA REBAGLIA

La prospettiva concettuale complessiva appare ormai, in seguito a queste considerazioni, ben al di là dell’orizzonte positivistico. I principi metodologici e i criteri di riflessione congrui ad affrontare adeguatamente una “navigazione” in questo ignoto « mare aperto» emergeranno, d’altronde, solo negli ultimi decenni del secolo appena concluso, a partire da una lunga ridiscussione –in sede epistemologica– dei cardini stessi della concezione scientifica tradizionale.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 99 ESERCIZI

A risposta chiusa

1. Il materialismo storico di Marx intende studiare:

a) i rapporti di produzione delle merci isolandoli dal contesto storico

b) le leggi economiche intese come un ‘fatto’ della natura c) le condizioni economiche della produzione riconoscendo a

esse un peso preponderante nella determinazione degli eventi storici

d) i modi di produzione concernenti la vita materiale rite-nendoli determinati dalla vita sociale, politica e culturale.

2. Secondo Freud, il processo inconscio di rimozione consiste:

a) nella repressione consapevole di contenuti psichici sgra-devoli o moralmente imbarazzanti

b) nella eliminazione definitiva di alcuni contenuti psichici dalla coscienza

c) nella rievocazione di fatti collegati a forti reazioni emotive d) nella esclusione dalla coscienza di determinate rappresen-

tazioni, che tendono costantemente a riaffiorare attraverso vie indirette.

100 ALBERTA REBAGLIA 3. Nietzsche, con la sua denuncia del “mondo vero” diventato

“favola”, intende approdare a:

a) eliminare l’illusione e svelare la realtà autentica delle cose b) rinunciare alla ricerca di una verità assoluta, in sé, per

accontentarsi del mondo fenomenico delle apparenze c) distruggere ogni credenza assoluta che oltrepassi i limiti

di un atteggiamento pragmatico rivolto all’ “utile” d) smascherare i valori tradizionali per evidenziare come

ogni credenza in specifici valori e particolari verità sia un’interpretazione storicamente determinata, risultato di un gioco (provvisoriamente stabile) di condizionamenti sociali.

4. Nel formulare l’annuncio della “morte di Dio”, Nietzsche

intende:

a) svelare il senso vero dell’origine del mondo b) affermare che la storia dell’Occidente è storia di emanci-

pazione da certezze assolute c) dichiarare l’inesistenza di Dio, e con essa l’inesistenza di

tutti i valori assoluti d) confutare una credenza erronea.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 101

A risposta aperta

1. Quali trasformazioni ha introdotto la teoria darwiniana di evoluzione per selezione naturale nella concezione (settecente-sca) di progresso?

2. Quali trasformazioni concettuali accompagnano il sorgere della

borghesia mercantile, e quali il successivo imporsi del capitali-smo industriale?

3. Indicare alcune delle motivazioni che, tra Ottocento e Novecento,

rendono problematica l’idea di progresso. 4. Che rapporto sussiste tra organizzazione scientifica del lavoro e

quella che Horkheimer definisce “ragione strumentale”? 5. Quale tema -significativo per il discorso da noi condotto- viene

introdotto da Freud nel testo Costruzioni in analisi ? 6. Perché, secondo Nietzsche, non è sufficiente sottolineare come

tutte le certezze che ritenevamo “oggettive” siano, di fatto, “sog-gettive”, e occorre specificare che “già questa è un’interpre-tazione”?

7. La trattazione statistica della termodinamica, considerando

l’irreversibilità come pratica interpretazione dei tempi lunghissi-mi di ritorno a una situazione iniziale macroscopica eccezionale, riduce la dimensione lineare del tempo a una sostanziale circola-rità dell’evoluzione temporale. Quali implicazioni filosofiche può avere questa impostazione?

102 ALBERTA REBAGLIA 8. Quali presupposti concettuali accompagnano il passaggio dalla

macchina a vapore introdotta da Newcomen a quella progettata da Watt?

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 103

Parte terza

Laboratori scientifici e tecnoscienza

Simbolo delle applicazioni tecnologiche e della ricerca industriale, le nostre ‘formiche’ dovranno richiedere all’analisi scientifica di approntare estese ‘reti teoriche’ –affidabili nel prevedere le dinamiche naturali e tessu-te per via deduttiva in assenza di ogni possibile ricorso al mondo dell’esperienza– e di consentirne la correla-zione con gli assai più tenui sentieri (le leggi empiri-che) da esse stesse tracciati, induttivamente, a partire dalla diretta esperienza. Fin dall’inizio del Novecento l’epistemologia assume quale proprio intento priorita-rio questa chiarificazione del rapporto tra il contesto (a posteriori) delle conoscenze fattuali e quello (a priori) dei sistemi formali. Tuttavia, intorno alla metà del secolo, tali indagini hanno sorprendentemente condot-to a evidenziare come sintesi empirica e analisi razio-nale non siano nettamente demarcabili. Un mondo di ‘fatti empirici’, neutri e oggettivi, risulta quindi inaccessibile anche alla conoscenza induttiva delle nostre formiche, le quali si trovano, piuttosto, a percorrere il reticolato delle ipotesi, delle congetture e delle convenzioni teoriche, traendo da esso le infor-mazioni necessarie quale materiale con cui edificare ogni progetto tecnologico e industriale. Specularmen-

104 ALBERTA REBAGLIA

te, allo spirito scientifico verrà a mancare il sostegno di una rete razionale che sia il prodotto di un puro operare deduttivo: anche quest’ultimo si rivelerà un convincimento illusorio. La rigida concatenazione de-duttiva risulta contravvenire al suo dettato nodale (l’andamento che, a partire da quanto vi è di mag-giormente generale e astratto, giunge al particolare); essa si prospetta come un insieme di congetture ela-borate in riferimento alle possibili confutazioni prove-nienti da casi specifici, e persino i principi logici appa-rentemente più astratti –come il principio di identità– possono mostrare un imprescindibile legame con le conoscenze empiriche. Gli spazi della pura indagine scientifica e i percorsi della progettazione industriale hanno confini sempre meno netti. Le nostre formiche si trovano così a se-guire le vie, spesso complesse, della tecnoscienza.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 105 Capitolo 6 Come “descrivere” i fatti 6.1 La percezione tra osservazione e costruzione Come attribuire solidità e cogenza all’indagine scientifica, allorché (data la crisi dell’impostazione metodologica kantiana, basata sulla possibilità di formulare giudizi sintetici a priori) occorre rinunciare a ogni possibile riferimento a una cosa ‘in sé’, essenziale e oggettiva? Ernst Mach (la cui posizione di rilievo all’interno del positivismo ottocentesco è stata da noi già analizzata) elabora compiutamente la fase –metodologica e ontologica– di eliminazione della ‘cosa in sé’, che Nietzsche aveva indicato come momento essenziale nel trarre le conse-guenze ultime delle tesi positiviste. Secondo quanto egli scrive, circa « due o tre anni dopo [la lettura della Critica della ragion pura] mi resi conto improvvisamente della superfluità della ‘cosa in sé’. In un sereno giorno d’estate all’aperto il mondo insieme al mio io mi apparve come una quantità di sensazioni compatta » (Mach, 1905, 5ª ed. accresciuta).

Poiché la distinzione –caratteristica della filosofia kantiana– tra “fenomeno” (conoscibile in quanto prodotto dalla sintesi spaziotemporale compiuta dal soggetto) e “noumeno” (esterno a tale sintesi e dunque, appunto, inconoscibile) consegue direttamente dall’aver attribuito a spazio e tempo un carattere di ‘filtro’ passivo e a priori, con la crisi di quest’impostazione il fenomeno non viene più caratterizzato sullo sfondo della realtà noumenica, e richiede quindi di essere ripensato. Coerente-mente con l’impostazione filosofica empiristica e positivistica,

106 ALBERTA REBAGLIA Mach ha espresso le proprie perplessità sull’efficacia e sulla correttezza della distinzione fra una realtà che sta ‘dietro’ ai fenomeni e la nostra percezione dei fenomeni stessi, sostenen-do che tale separazione è la radice di tutti i “malanni filosofi-ci”:

La ‘cosa’ è un'astrazione, il nome è un simbolo per un com-plesso di elementi, dalle cui variazioni astraiamo. Indichiamo l'intero complesso con una sola parola, con un unico simbolo, perché abbiamo bisogno di richiamare alla mente in una sola volta tutte le impressioni che lo compongono. [..] Le sensazio-ni non sono ‘simboli delle cose’. La ‘cosa’ è al contrario un simbolo mentale per un complesso relativamente stabile di sensazioni (Mach, cfr. ancora la Scheda 4).

Considerato « un complesso relativamente stabile di sensa-zioni », il fenomeno inizia a perdere i caratteri di elemento ‘neutro’, che la mente umana deve semplicemente registrare, e viene pensato come il prodotto di un’operazione mentale “attiva” (a differenza delle rassicuranti intuizioni spaziotempo-rali proposte dalla teoria kantiana, esclusivamente “ricettive”, passive), sebbene involontaria e inevitabile.

Questa consapevolezza inizia a farsi strada con i primi studi di fisiologia della sensazione, tra i quali assai significati-vi sono quelli eseguiti dallo stesso Mach. Particolarmente eloquente è il pericoloso esperimento da lui condotto appli-cando del mastice sulle proprie palpebre, al fine di impedire i movimenti oculari; esperimento con cui egli ha evidenziato come all’origine delle percezioni di movimento vi siano anche segnali che non giungono dagli occhi (e non sono dunque i segnali ‘neutri’, ‘dal basso’, che ci attenderemmo), ma perven-gono da un centro di controllo cerebrale il quale funziona anche quando i muscoli del bulbo oculare non possono obbedire ai suoi comandi; in questo caso, quei segnali di comando creano un effetto illusorio di rotazione del mondo circostante nella direzione in cui lo sguardo avrebbe dovuto dirigersi (in condizioni normali, invece, i due segnali –“dal basso”, proveniente dalla sensazione visiva, e “dall’alto”, deri-

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 107 vante dall’attività cerebrale– si combinano, stabilizzando la nostra percezione visiva e consentendoci di ruotare lo sguardo senza veder ruotare quanto è intorno a noi).

Altro esempio di studio percettivo, attraverso il quale si rafforza la convinzione che persino la visione sia un processo complesso in cui il cervello formula ipotesi in base alle quali decidere cosa si sta “vedendo”, è il cosiddetto “angolo di Mach”, che consente di valutare il modo in cui una tonalità di colore viene percepita al variare del contesto cromatico in cui è inserita: la stessa sfumatura di grigio di una parete disegnata viene vista di colore più intenso se questa è inconsapevolmen-te ritenuta in luce, e meno inteso se considerata in ombra.

Interpretiamo, dunque, continuamente le nostre esperienze sensoriali in base a presupposti teorici che –a loro volta– spesso derivano da un più vasto contesto di esperienze. Questa impostazione conduce Mach a compiere una rilettura della situazione percettiva, speculare rispetto a quella che apparirebbe più familiare, e lo induce a sostenere che non sono le sensazioni a essere “messaggeri” di quanto esiste “là fuori”, ovvero di quanto appartiene alle “cose” “neutre” e “oggettive” alle quali non potremmo altrimenti accedere, bensì che –all’opposto– sono le cose a essere “etichette” con cui noi individuiamo una somma complessa di sensazioni elementa-ri.

Le analisi compiute da Mach, e da altri fisiologi della visio-ne, hanno sollecitato nuove riflessioni filosofiche, e condotto a chiarire come con il semplice “aprire gli occhi” e guardare il mondo non vediamo “cose” oggettive, alle quali attribuire –in seguito– un significato, ma nemmeno vediamo soltanto l’affa-stellarsi di forme e di colori, quali sarebbero “percezioni elementari” che risultassero esse stesse neutre ; vediamo, piuttosto, strutture che sono già (da sempre) un’elaborazione prodotta dal nostro cervello, condizionata da attese psicologi-che e culturali. [back]

Su questa base di riflessione, tra fine Ottocento e la pri- ma metà del Novecento sono state formulate le tesi della Gestaltpsychologie (o “psicologia della forma”). La percezione

108 ALBERTA REBAGLIA –secondo gli aderenti a questa influente scuola psicologica– si rivela sovente una percezione di “configurazioni strutturate”, anziché di singole sensazioni (percepiamo, per esempio, una melodia come un tutto unitario, e non come una somma di note). Tale impostazione viene affinata sulla base di una serie di esperimenti sulla percezione del movimento condotti nei primi decenni del XX secolo (epoca in cui si afferma l’esperien-za cinematografica): il semplice succedersi di immagini stati-che di oggetti in posizioni differenti dà luogo a una sensazione di movimento continuo; e l’oggetto viene “visto” occupare anche quelle posizioni intermedie alle quali non corrisponde alcuno stimolo percettivo. Tendiamo dunque a produrre “configurazioni” percettive in base a una costruzione mentale inconsapevole, la quale ci induce a seguire (non intenzional-mente) principi generali di organizzazione (che ci fanno predi-ligere inconsciamente sagome semplici, simmetriche, spazial-mente e temporalmente continue) [1].

Nel caso di figure ambigue risulta particolarmente evidente come la configurazione (che rappresenta, in ultima analisi, il nostro dato percettivo) sia correlata solo in modo piuttosto vago e indiretto con gli elementi che la compongono, e come il suo significato sia strettamente subordinato al contesto in cui essa è immersa. « Numerose note figure ambigue chiariscono come la medesima traccia che giunge agli occhi quale stimolo visivo possa dare origine a percezioni tra loro molto differenti», scrive Gregory (cfr. Scheda 11).

Queste riflessioni risultano ampiamente condivise nell’am-bito culturale del Novecento. Nel suo influente volume del 1958, I modelli della scoperta scientifica. Ricerca sui fondamen-ti concettuali della scienza, Norwood Hanson ha tratto le conseguenze filosoficamente più ampie di questa impostazio-ne: se « le percezioni sono ipotesi» (cfr. ancora Gregory), il processo percettivo è esito di una inconscia costruzione mentale già totalmente immersa in uno specifico contesto teorico. Nemmeno la percezione può, dunque, essere “imma-colata”, né costituisce una base oggettiva su cui poter costrui-re il nostro rapporto con il mondo esterno.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 109

Vedere un oggetto x equivale a vedere che tale oggetto può comportarsi nei modi in cui sappiamo che si comportano gli oggetti x [..] Tali modi non sono imposti alle [..] impressioni visive come un’interpretazione che va di pari passo con la visione, rimanendo però una cosa distinta, ma sono “presenti nella” visione. (Così anche l’interpretazione di un brano mu-sicale è presente nella musica. E dove altro potrebbe essere? Non è qualche cosa che si sovrapponga a un suono puro, non adulterato) (Hanson, 1958; in Rebaglia, 1997, pp.158-159).

E l’epistemologo statunitense sottolinea come l’osservazione non sia mai ricezione passiva di impressioni sensoriali, ma sia sempre e immediatamente un processo concettuale. Sono dunque le “configurazioni gestaltiche” –i “modelli” (patterns ) di cui parla Hanson– i mattoni su cui è possibile costruire il percorso della scoperta scientifica e dell’invenzione tecnologi-ca; ed essi non risultano elementari, poiché sono frutto di una (insospettata) intelligenza attiva del percepire.

Di fronte a tale crescente difficoltà nel rintracciare sul ver-sante fenomenico qualche possibile sostegno ‘oggettivo’ della conoscenza, sarà il soggetto –seppur privo di una guida sicura, qual era la “ragione”, assoluta e a priori, dell’età moderna– a dover cercare in sé stesso elementi sufficienti a riorganizzare su basi attendibili un sapere intersoggettivo.

6.2 Descrizioni e raffigurazioni Ludwig Wittgenstein, filosofo viennese il cui pensiero ha avuto grande influenza sulle riflessioni condotte dagli epistemologi neopositivisti [2], nel Tractatus logico-philosophicus (1921) fa anch’egli riferimento alle figure ambigue spesso citate dagli psicologi della Gestalt (nella proposizione 5.5423, in particola-re, menziona il ben noto “cubo di Necker”: esempio di ambiva-lenza spaziale, poiché una faccia appare talvolta come quella frontale e talaltra come quella più in profondità).

110 ALBERTA REBAGLIA

Diviene pertanto evidente come la percezione non derivi esclusivamente dagli stimoli sensoriali, ma sia esito di un processo dinamico di interpretazione dei dati in base a ipotesi di origine mentale; processo e ipotesi di cui siamo inconsape-voli.

percezione delle pareti

punto di osservazione

posizione apparente

posizione effettiva A

posizione effettiva B

Fig. 9 La parete più lontana dall’osservatore O, il quale è collocato all’esterno della stanza, è di fatto obliqua, ma possiede finestre e riqua-dri che, dato un accurato studio prospettico, producono sulla retina la stessa immagine che sarebbe provocata da una stanza dalle pareti regolarmente rettangolari. Quando nella camera vengono introdotti oggetti (o persone) di uguale grandezza (A e B), il sistema percettivo dell’osservatore è indotto a ‘vedere’ figure di dimensioni estremamente differenti poste alla stessa distanza, in quanto egli ritiene siano colloca-te ai due lati della parete di una comune stanza rettangolare. Una stanza appositamente progettata dallo psicologo statu-

nitense Adelbert Ames, per esempio, mostra concretamente come la percezione sensibile di fatti empirici possa essere illusoria, erronea e inidonea a fornire informazioni su una ‘autentica’ ‘realtà’ fattuale [Fig.9] [3].

Generalizzando, si può affermare che ogni asserto osserva-tivo stia al fatto empirico che ha generato la percezione da esso testimoniata nello stesso rapporto in cui una immagine dipinta sta agli oggetti che essa raffigura.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 111

Ci si dovrà interrogare, allora, su quale sia la natura del legame esistente fra gli enunciati linguistici elementari, che esprimono situazioni empiriche ‘osservate’, e gli stati effettivi di ‘cose’ presenti nel mondo.

La “teoria raffigurativa del linguaggio”, proposta da Ludwig Wittgenstein nel suo Tractatus logico-philosophicus, rende pos-sibile elaborare una prima risposta a questo interrogativo. Un quadro, secondo una importante analogia prospettata da Wittgenstein, raffigurando una scena può rappresentare uno stato di cose effettivo, presente nel mondo, ma trae il suo significato da ciò che l’immagine è di per sé, indipendentemen-te da quella eventuale relazione con qualche fatto a esso esterno (nell’arte delle avanguardie, sviluppata in questo stesso periodo, è molto evidente il tentativo di operare una distinzione non solo tra il mondo fisico e la nostra rappresen-tazione di esso in termini realistici, ma anche tra quest’ultima e la raffigurazione che esprime l’idea che noi abbiamo del mondo). Similmente a quanto accade nell’immagine pittorica, ogni proposizione significante dice qualcosa circa il mondo, e ciascuna teoria scientifica “raffigura” possibili stati di cose nel mondo: comprenderla equivale a capire come sarebbe il mondo se essa fosse vera.

La meccanica newtoniana, secondo Wittgenstein, offre un modo di parlare del mondo, mentre non può determinare come il mondo sia strutturato. Per esprimere l’indipendenza forma-le delle teorie scientifiche rispetto al loro contenuto empirico, Wittgenstein utilizza l’immagine del reticolato –la struttura delle ipotesi e delle leggi costituenti una teoria scientifica– adagiato su una superficie –il mondo fisico–. La rete è auto-consistente ed è costruita in assenza di ogni riferimento a una realtà esterna, che pure intenderebbe catturare: reti a maglie diverse possono venire sovrapposte a una medesima regione della superficie, dando luogo a sistemi diversi di descrizione del mondo. Con questa immagine, Wittgenstein intende sottolineare la principale conseguenza delle argomentazioni che in quel periodo si stanno sviluppando, e mettere in risalto

112 ALBERTA REBAGLIA il carattere convenzionale assunto dalle costruzioni scientifi-che.

Quello così delineato, d’altronde, secondo Wittgenstein è il limite della conoscibilità e della dicibilità. In base alla sua rigorosa tesi, sono dotati di significato tutti –e unicamente– gli enunciati che esprimono ‘fatti’ ovvero ‘stati di cose’, mentre non lo sono quegli asserti concernenti la realtà delle cose, ovvero la referenzialità extralinguistica alla quale gli enunciati fanno riferimento. Quest’ultima può essere soltanto ipotizza-ta (“mostrata”, ma non “detta”). L’oggetto empirico diviene lo sfondo problematico dell’insieme degli asserti linguistici, espressione della conoscenza razionale.

Interrogarsi sul rapporto fra linguaggio e mondo, seguendo i filosofi del Novecento, conduce a formulare una prima rispo-sta che coincide, sostanzialmente, con una dichiarazione di illegittimità della domanda, la quale presuppone un legame diretto tra i due termini del confronto: « I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo», scrive Wittgenstein. E, in conclusione del Tractatus, ribadisce: « Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere» [4].

Nella filosofia neoempirista, che si sviluppa a partire da queste riflessioni, al fine di garantire la conoscibilità del mondo empirico –nonostante questo necessario abbandono del riferimento a una realtà esterna per valutare tanto la verità degli enunciati osservativi quanto la loro distinguibilità rispet-to a qualunque altra affermazione linguistica a carattere ‘metafisico’– la “significanza” delle espressioni linguistiche viene strettamente correlata al criterio metodologico della verificazione. Se hanno significato soltanto quegli enunciati dei quali è possibile suggerire un metodo per verificarne sperimentalmente la validità, sarà infatti garantita la possibili-tà di giustificare l’affidabilità della conoscenza empirica, poiché gli asserti ottenuti generalizzando gli enunciati espri-menti sensazioni empiriche immediate (definiti dai neopositivi-sti “atomici” o “protocollari”) possono sempre essere controllati in base alle previsioni che essi consentono.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 113

Dal momento che soltanto i termini osservativi, connessi a un’esperienza immediata, possiedono indubbiamente signifi-cato, resta da chiarire come possa venire attribuito un conte-nuto semantico anche ai termini teorici, i quali rappresentano parte integrante delle costruzioni scientifiche. Le teorie di relatività e meccanica quantistica, elaborate proprio in quegli anni, hanno infatti reso evidente che in una teoria scientifica la costruzione matematica può essere sviluppata in modo autonomo, senza prendere avvio dall’esperienza, e risultare ugualmente significativa per la conoscenza del mondo fisico. Nasce l’esigenza di accettare che gli enunciati appartenenti a linguaggi formalizzati, costruiti in base a regole razionali, abbiano un possibile valore gnoseologico, e di accettare nel contempo l’antitetica condizione secondo cui ogni conoscenza scientifica è esclusivamente empirica. A tal fine, occorre comprovare che anche i termini teorici sono “riducibili” ad asserti-base, ossia riconducibili ai termini osservativi dai quali derivano. I problemi connessi a questa “riduzione” degli enunciati scientifici al loro contenuto empirico sono stati affrontati, in particolare, da Rudolf Carnap, formulando dapprima la teoria degli enunciati “protocollari” (trascrizioni linguistiche elementari di osservazioni immediate), e ridiscu-tendone i termini negli anni successivi (giungendo a elaborare la tesi del “fisicalismo”, secondo cui tutti gli enunciati scienti-fici possono essere ricondotti a predicati “cosali” osservabili, ovvero ad asserti contenenti soltanto termini –come “pesante”, “rosso” o “solubile”– che si riferiscono a entità osservabili e utilizzano vocaboli comuni sia al linguaggio fisico che a quello pre-scientifico).

Questa impostazione viene condivisa anche dal movimento, contemporaneo al Circolo viennese e a questo parallelo, denominato Circolo di Berlino. Hans Reichenbach, suo massi-mo esponente, si è occupato principalmente di quella teoria probabilistica “oggettiva” (detta “frequentista” e contrapposta alla tradizionale impostazione “soggettivista”, legata al grado di certezza, che ha avuto tra i suoi esponenti principali Pierre-Simon de Laplace) di cui abbiamo esaminato le conseguenze

114 ALBERTA REBAGLIA filosofiche considerando la termodinamica statistica (cfr. in cap. 4 §3). Anche Reichenbach è interessato al “principio di verificazione” –argomento centrale delle riflessioni del Circolo di Vienna– e ne dà una lettura che ne accentua il carattere pragmatico: una proposizione ha significato soltanto se è possibile determinarne il grado di probabilità. Le previsioni fisiche non sono mai esatte poiché non è mai possibile consi-derare tutti i fattori pertinenti, e pertanto l’obiettivo del metodo induttivo deve consistere nell’individuare una sequen-za di eventi la cui frequenza converga verso un valore limite. Questa versione della clausola di verificabilità empirica consente, come sottolinea lo stesso Reichenbach, di “costruire un ponte” per collegare quanto è noto (proposizioni, verificate, concernenti eventi passati) a ciò che è ignoto (proposizioni, non ancora verificate, circa eventi futuri) [5]. Le esperienze passate forniscono attese su momenti futuri, e –attraverso le valutazioni di casi simili– rendono possibile giustificare la portata pratica delle conoscenze scientifiche, ossia i loro sviluppi tecnologici. Tale impostazione mette in evidenza come, sostanzialmente, l’approfondimento delle tematiche del positivismo ottocentesco comporti una riorganizzazione e una limitazione (ma non ancora una crisi palese) della concezione lineare di progresso quale conquista di un sapere che non possa più essere revocato in dubbio; concezione tipica di quell’atteggiamento illuministico che la riflessione affermatasi verso fine secolo (particolarmente con Nietzsche) già sollecita-va ad abbandonare. [back]

In effetti, una tappa ulteriore in questo percorso verrà com-piuta nel tentativo di approfondire la linea di pensiero causale, muovendo dal presupposto che l’indagine empirica può indirizzare il progredire delle ‘conoscenze’ scientifiche soltanto se consegue l’individuazione di specifiche anomalie e se perviene alla eliminazione di teorie non sperimentalmente confermate.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 115 Capitolo 7 Fare assegnamento sui fatti empirici 7.1 Convenzioni e scienza “su palafitte” Il matematico e fisico francese Jules-Henri Poincaré (di cui abbiamo avuto occasione di citare il teorema di ricorrenza, cfr. in cap. 4 §3), affine per sensibilità filosofica al movimento positivistico, in un testo del 1905 ( La valeur de la science, Poincaré, 1905) estende la riflessione sulla convenzionalità degli assiomi –suggerita dalla nascita delle geometrie non euclidee– anche ai principi teorici delle scienze fisiche. In particolare, egli riprende il tema secondo cui le leggi scientifi-che –paragonabili a cataloghi di una biblioteca– sono classifi-cazioni razionali con le quali racchiudere e organizzare una grande quantità di informazioni empiriche. La catalogazione, ovvero l’organizzazione teorica dei dati empirici, evidenzia Poincaré, può avvenire unicamente sotto la guida della speri-mentazione, la quale può aggiungere, di volta in volta, ‘nuovi libri’ alla collezione. Questi ultimi mettono alla prova l’adeguatezza del catalogo, la sua facilità di utilizzo [1]. Poincaré immagina vengano scoperte stelle che non risultino obbedire alla legge newtoniana di gravitazione: per conservare intatto il principio della proporzionalità inversa al quadrato della distanza occorrerebbe individuare la presenza di qualche altra forza che alteri le traiettorie attese. I controlli sperimen-tali sarebbero, allora, orientati a individuare le possibili cause “perturbanti” (che possono spiegare le anomalie orbitali), e la legge di gravitazione universale non verrebbe affatto posta in

116 ALBERTA REBAGLIA dubbio. Parrebbe dunque legittimo e importante mantenere, nell’orizzonte di pensiero che si viene in tal modo delineando, una fiducia assoluta nell’affidabilità dei risultati sperimentali quali indici dell’efficacia predittiva (nonché della pregnanza applicativa in ambito tecnologico) di una data teoria scientifi-ca. Tutto « ciò che accade regolarmente non ci sembra più problematico. Perciò quello di “cercar la regola” è il primo istinto di chi conosce, mentre naturalmente per il fatto che si sia trovata la regola niente ancora è “conosciuto”!», scriveva Nietzsche (cfr. ancora la Scheda 9). Constatazione, questa, che inquadra puntualmente la rilettura delle leggi scientifiche tracciata dai positivisti e da Mach, e compiuta in tutte le sue implicazioni dagli empiristi logici (con l’obiettivo di delimitarne la trattazione entro i confini dei fenomeni sperimentabili, lasciandone intatta l’utilità per ogni scopo pratico).

In effetti, si è riaffermato il compito di catalogazione e orga-nizzazione dei fatti su base convenzionale, e non univoca, attribuito alla legge scientifica già da Mach (« il sistema del mondo ci è dato una sola volta, e [..] la teoria tolemaica e quella copernicana sono soltanto interpretazioni , ed entrambe ugualmente valide», egli scrive, cfr. ancora la Scheda 4). Poiché in questa prospettiva, derivata dalla crisi della ragione illuministica, le differenti interpretazioni teoriche sono tutte “ugualmente valide”, occorre individuare una guida idonea a dirigere in modo univoco, intersoggettivo, la scelta su una teoria piuttosto che su un’altra. Tale criterio –che Mach ha identificato nel principio di economia [2] e Wittgenstein nel criterio di semplicità descrittiva [3]– risulta, in ultima analisi, strettamente connesso all’idea emergente del XIX secolo: quella di progresso come evoluzione.

Giacché la sensazione si prospetta quale unica fonte della conoscenza, ai fini della conservazione dell’organismo essa dovrà essere guidata da esigenze di adattamento all’ambiente. L’operazione di catalogazione convenzionale di quanto fornitoci dai sensi –coincidente con la formulazione di leggi scientifi-che– deve perciò essere compiuta in funzione della sua utilità,

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 117 e unità di misura di quest’ultima sarà la sua efficacia quale strumento per la nostra sopravvivenza.

Per questo motivo, nonostante le difficoltà insite nel prefigu-rare una corrispondenza tra formulazioni linguistiche e fatti empirici, risulta indispensabile mantenere un legame saldo fra i due elementi. Si rivela, quindi, particolarmente significativo evidenziare come la “rete” di ipotesi e congetture fra loro coerenti, che costituisce una teoria scientifica, possa “proibi-re” l’accadere di determinati eventi. Questa considerazione (su cui si è soffermato Wittgenstein, con il suo criterio di semplicità descrittiva delle ipotesi teoriche) diviene un nodo centrale nella riflessione di un esponente ben noto dell’episte-mologia del Novecento: Karl Raimund Popper.

Ogni teoria scientifica “valida” preclude l’accadere di deter-minati eventi. E tanto più numerosi sono gli eventi che essa esclude tanto maggiore, secondo Popper, è la sua scientificità: ogni teoria, per essere scientifica, deve possedere un numero non nullo di “falsificatori potenziali”, ovvero di resoconti sperimentali che essa vieta; quanto più una teoria esclude (ossia quanto più ampio è il suo “contenuto empirico”) tanto più essa dice qualcosa sul mondo (tanto maggiore è il suo grado di falsificabilità). Se, infatti, viene individuata l’esistenza di qualche accadimento empirico che la rete teorica vietava, sottolinea Popper, quest’ultima è da considerarsi falsificata.

Francesco Bacone (come abbiamo visto, cfr. in cap.1 §1) sollecitava lo scienziato a non comportarsi come una “formica” rigidamente induttivista, bensì come un’ “ape” che utilizza il ragionamento per individuare esperimenti cruciali e casi potenzialmente contraddittori con l’ipotesi formulata a partire dall’esperienza, in modo tale da potersi salvaguardare da generalizzazioni affrettate. E, con Popper, questa impostazio-ne diviene una critica radicale al criterio metodologico dell’induzione, sostituito dal metodo ipotetico-deduttivo e dal principio di falsificazione (contrapposto polemicamente al principio neopositivistico di ‘verificazione’). Le teorie scientifi-che, secondo Popper, sono “invenzioni”, “congetture audace-

118 ALBERTA REBAGLIA mente avanzate per prova”, ed esse devono venire eliminate non appena risultino in contrasto con qualche osservazione sperimentale [4].

Fare appello ai fatti empirici appare, ormai, una guida me-todologica sempre meno efficace al fine di stabilire la validità delle leggi scientifiche. E, nel tentativo di individuare una connessione fra ‘teorie’ e ‘mondo’, Popper propone la nozione di “verosimilitudine”, intesa come misura di “approssimazione alla verità” delle ipotesi scientifiche: sebbene la definizione formale da lui datane sia stata sottoposta a critiche, egli ritiene che essa possa consentire il confronto fra teorie diffe-renti in base al loro contenuto logico.

L’anomalia sperimentale, che può condurre a confutare un’ipotesi teorica, come ammette lo stesso Popper può emer-gere solo da una preliminare “conoscenza di sfondo”, e i resoconti osservativi sono tali solo in quanto accettati da una intera comunità scientifica. « L’osservazione è sempre seletti-va», egli sostiene (cfr. Scheda 12) [5]. In contrasto con i neopo-sitivisti, Popper afferma che gli asserti della base empirica devono venire fissati in modo convenzionale, attraverso un accordo intersoggettivo: occorre prendere una decisione per fermare il potenziale regresso all’infinito che renderebbe possibile fondare la legittimità dell’asserto-base soltanto mediante il ricorso ad altri enunciati, giustificati da ulteriori proposizioni, e così via. Tale decisione, presa nella consapevo-lezza che –come in un processo indiziario– si può sempre chiedere un “supplemento d’indagine”, non può tuttavia giustificare la validità dell’asserto-base « più di quanto essa non possa essere giustificata battendo il pugno sul tavolo» . L’oggettività della scienza, secondo Popper, non è dunque connessa alla validità dei suoi risultati bensì al metodo che essa adotta per conseguirli: un metodo basato sul confronto razionale, che prevede il configurarsi dell’impresa scientifica come un agire collettivo, entro il cui orizzonte diviene possibile definire –anche– la base degli enunciati empirici intersoggetti-vamente accettabili (nessun Robinson Crusoe, ritiene Popper, se completamente solo e isolato potrebbe sviluppare un’inda-

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 119 gine scientifica). Una costruzione scientifica può, quindi, venire eretta soltanto “conficcandola dall’alto nel terreno dell’esperienza” (e non edificandola a partire da esso); e tale terreno non si rivelerà “un solido strato di roccia”, bensì “una palude” nella quale immergere le “palafitte” che rappresentano i nostri sistemi scientifici.

7.2 Problematicità degli esperimenti “cruciali” Istituendo un duplice parallelo, da un lato, tra ambiente natu-rale e mondo fisico e, dall’altro, fra individui appartenenti a una data specie e teorie scientifiche, è possibile affermare –con Popper– che nella lotta selettiva per la sopravvivenza abbiamo saputo, grazie alle nostre capacità razionali, far sì che fossero le nostre teorie scientifiche a “morire per noi”: fra teorie rivali in lotta tra loro per rappresentare più adeguata-mente il mondo fisico sopravvive la più adatta. E questo principio, basato su presupposti evoluzionistici, può rappre-sentare un criterio efficace per difendere parte, almeno, dell’universalità e della necessità delle leggi scientifiche; universalità e necessità precedentemente basate sull’idea illuministica (kantiana) di ragione, e non più sufficientemente salvaguardate da una ragione positivistica, di tipo strumentale (Fig.10).

Affinché la soluzione concettuale così prospettata possa consolidare la propria validità, occorre, nondimeno, che l’ambiente dei fatti empirici agisca sulle leggi scientifiche in modo altrettanto incisivo, e diretto, del modo in cui agisce l’ambiente naturale nel selezionare gli individui di una specie. Tuttavia, proprio questo requisito non viene rispettato dall’in-dagine sperimentale e tale attesa metodologica è destinata ad andare delusa. Un ambiente empirico ‘ostile’ (ovvero nel quale siano presenti ‘anomalie’, non previste nel quadro teorico e con esso contraddittorie) non elimina un’ipotesi teorica

120 ALBERTA REBAGLIA ‘inadatta’; così come, invece, la teoria evoluzionistica suppone accada con individui inadatti in un ambiente a loro ostile.

Il fisico ed epistemologo francese Pierre Duhem, nei primi anni del Novecento, ha precisato come i “fatti” sperimentali non forniscano informazioni inequivocabili, in base alle quali sia corretto ritenere che la natura risponda in modo fermo –con un “sì” o con un “no”– alle domande postele dal “tribuna-le” dell’esperienza, in modo tale che un confronto positivo dei

Fig. 10. Trasformazioni nelle concezioni di ‘universalità’ e ‘necessità’ delle leggi scientifiche, nel passaggio dalla prospettiva illuministica a quella positivistica.

risultati dell’esperimento con le predizioni teoriche possa convalidarle; e, soprattutto, che un mancato accordo dei fatti con la struttura scientifica la quale dovrebbe servire a spiegar-li costringa a ritenere quest’ultima erronea, e a respingerla.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 121

Ciascuna struttura teorica, spiega Duhem, è composta da un numero rilevante di ipotesi fra loro organicamente connes-se, e per restituire al loro insieme un pieno accordo con gli esiti della fase sperimentale sarà sempre e comunque suffi-ciente modificare una ipotesi oppure un’altra, in base a una scelta non condizionata né condizionabile dagli stessi dati sperimentali. Il mancato accordo con l’esperienza, nell’ambito di uno di quei controlli che Duhem (1906) definisce “esperi-menti di prova” per sottolinearne la differenza concettuale rispetto alle applicazioni tecnologiche (cfr. Scheda 13), segnala un problema, sollecita la formulazione di qualche ipotesi esplicativa ad hoc, ma non indica quale delle singole congettu-re sarà opportuno modificare, e tale scelta rimarrà totalmente arbitraria [6].

Un ambiente empirico ostile a una data costruzione teorica non conduce quindi alla sua eliminazione (come avverrebbe secondo un’ipotesi di selezione di tipo darwiniano), in quanto essa può sempre “adattarsi” all’ambiente per mezzo di inter-venti ad hoc.

Un esempio storico utile a illustrare il punto nodale del discorso di Duhem può essere il risultato nullo dell’esperi-mento condotto da Michelson e Morley nel 1887 (pochi anni prima della pubblicazione, nel 1906, della maggiore opera epistemologica di Duhem, La teoria fisica: il suo oggetto e la sua struttura) utilizzando un interferometro per misurare il moto relativo della Terra rispetto all’etere (Fig. 11).

La serie dei controlli sperimentali effettuati dai due fisici statunitensi ha condotto a constatare che i tempi di percor-renza dei due bracci perpendicolari dell’interferometro, da parte dei due raggi di luce ottenuti facendo passare un fascio di luce solare attraverso uno specchio semitrasparente, erano fra loro identici, e non davano luogo ad alcun fenomeno di interferenza: un esito del tutto anomalo e inatteso, poiché la velocità effettiva della luce avrebbe dovuto risentire –come previsto dalle trasformazioni di Galileo– della composizione con la velocità (di cui, con quell’esperimento, si stava cercando il valore esatto) propria della Terra, la quale compie i suoi moti

122 ALBERTA REBAGLIA di rotazione e rivoluzione entro uno spazio fisico che, in quel momento storico, si riteneva fosse riempito di una sostanza solida, elastica, capace di trasportare le onde elettromagneti-che, ossia l’etere luminifero.

l

l

A

B

v2

21

12

c

vcl

vcl

vcl

At

⋅=−

++

=

2

21

122222

c

vcl

vc

l

vc

lB

⋅=−

+−

=

l

l

A

B

v

l

l

A

B

vv2

21

12

c

vcl

vcl

vcl

At

⋅=−

++

=

2

21

122222

c

vcl

vc

l

vc

lB

⋅=−

+−

=

tt

Fig. 11. I tempi di percorrenza tA e tB con cui la luce compie il tragitto di andata e ritorno in ciascuno dei due bracci dell’interferometro, come si nota dai semplici calcoli algebrici indicati, dovrebbero risultare differenti (stando alla concezione classica, secondo cui la velocità della luce può essere addizionata o sottratta ad altre velocità). Nel punto di osservazione dovrebbero, perciò, comparire frange di interferenza (non osservate invece in fase sperimentale).

L’interpretazione più diretta e immediata dell’esperimento

sarebbe stata una (ormai storicamente improponibile) opzione tolemaica; ovvero, se dovessimo ritenere che l’interrogativo sperimentale posto da Michelson e Morley sulla velocità di spostamento del nostro pianeta nell’etere obblighi la natura a dare una risposta netta e univoca, dovremmo sostenere che tale risposta è: la velocità è nulla, e dunque la Terra risulta ferma, immobile al centro dell’universo così come sostenuto

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 123 dall’antica cosmologia di Tolomeo. Di fatto, i grandi nomi della fisica di fine Ottocento non hanno certo intrapreso questa via, e hanno tentato, invece, di formulare spiegazioni plausibili di quell’esito imprevisto, tali che non venissero a scalfire i pilastri portanti della struttura scientifica condivisa. Nel 1892 Fitzgerald e –indipendentemente– Lorentz ipotizzaro-no che le forze le quali tengono unite le molecole (di cui proprio in quegli anni si iniziava a indagare la natura) siano forze elettromagnetiche, e interferiscano dunque (anch’esse) con l’etere: le parti costitutive di corpi in movimento nel campo stazionario rappresentato dall’etere subirebbero una contrazione parallelamente alla direzione del moto che, nel caso dell’interferometro utilizzato nell’esperimento di Michelson e Morley, provocherebbe un’alterazione nella lunghezza dei bracci dello strumento, la quale produrrebbe una compen-sazione –fortuita– dell’effetto contrastante di modificazione dei tempi di percorrenza. L’introduzione di una simile ipotesi ausiliare, nella quale si prende in considerazione la dinamica di particelle elementari elettricamente cariche, è sufficiente a ‘spiegare’ come la lunghezza di un corpo in quiete rispetto all’etere sia determinata dall’equilibrio elettrostatico esistente tra le particelle, e come questa subisca un accorcia-mento allorché il corpo si muove, in quanto il movimento delle particelle cariche di elettricità genera un campo magnetico, che altera le distanze di equilibrio tra le particelle stesse.

L’esperimento di Michelson e Morley non ha, dunque, rap-presentato un “esperimento cruciale” (come si sarebbe potuto pensare a una prima lettura) in base al quale divenga neces-sario confutare il principio di relatività galileiano e orientare il pensiero teorico verso la formulazione della teoria della relati-vità ristretta –che Einstein formulerà nel 1905, in base a considerazioni affatto differenti (cfr. oltre, in cap.7 §3). Una ipotesi introdotta ad hoc ha consentito, piuttosto, di riorganiz-zare l’intero patrimonio delle conoscenze scientifiche senza violare alcuna delle sue leggi fondamentali (in questo caso sono stati rispettati i principi della meccanica e la teoria dell’elettromagnetismo). La natura, nel rispondere al “tribuna-

124 ALBERTA REBAGLIA le” dell’indagine sperimentale, non è mai categorica. Quando un dato sperimentale non coincide con le previsioni teoriche, è illusorio ritenere che il solo rigore logico consenta di stabilire se le leggi scientifiche fino a quel momento ritenute valide siano effettivamente false, o se l’errore risieda in qualche aspetto marginale della teoria. E, d’altronde, un’analisi formale non può nemmeno stabilire se sia più opportuno introdurre ipotesi supplementari nel contesto teorico adottato (in modo tale da includere entro la regola generale anche l’evento inaspettato, quale eccezione), oppure sia preferibile mettere in crisi l’intera teoria. Neppure quella che può venire intesa come una variazione ‘ostile’ dell’ambiente empirico può quindi essere inequivocabilmente recepita come tale da un’ipotesi teorica, e una siffatta sollecitazione sperimentale non conduce necessariamente a una modificazione dello scenario razionale.

L’appello ai fatti, guida metodologica del positivismo, viene quindi ritenuto tanto meno efficace quanto più si sottolinea come esso non inneschi un meccanismo necessitante di selezione tra teorie rivali.

7.3 L’euristica della scoperta scientifica Indicazioni significative possono venire raccolte in sede sperimentale solo in base a un lavoro di equipe (come sottoli-neato da Popper), e i dati acquisiti non risultano mai tanto stringenti e univoci da obbligare ad abbandonare una specifi-ca teoria (ma sollecitano solo –in modo meno definito– qualche cambiamento entro il quadro scientifico complessivo): si tratta di un esito epistemologico rilevante; che, a ben vedere, è significativamente positivo nell’ambito delle attese metodologi-che della scienza industriale e dell’innovazione tecnologica. Ogni indagine scientifica condotta a livello applicativo necessi-ta infatti di modelli, e richiede che i principi della scienza teorica –sulle cui previsioni tali modelli sono stati progettati-

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 125 risultino invariabilmente validi. Esigenza che –se non può (più) essere soddisfatta individuando leggi fisiche vere e quindi in costante accordo con l’esperienza– può pur sempre non essere disattesa qualora –in conformità con i più approfonditi studi epistemologici del XX secolo– si assuma che ogni siste-ma di conoscenze scientifiche contiene un nucleo di principi irrinunciabili, i quali possono sempre venire salvaguardati da qualsiasi confutazione dovuta agli esiti delle sperimentazioni empiriche a condizione di introdurre modifiche opportune in una regione più esterna, e meno nevralgica, della ‘rete’ condi-visa dei concetti e delle ipotesi.

Chiarito come il confronto sperimentale non sia mai motivo indubitabile per invalidare un’ipotesi teorica, cresce l’im-portanza di individuare quali processi mentali possano –co-munque– guidare l’attività razionale nel formulare –in modo intersoggettivamente convincente e non arbitrario– le diffe-renti leggi scientifiche (tutte egualmente valide) indispensabili non solo nell’indagare il mondo empirico ma anche nel pro-spettare nuove soluzioni tecnologiche per la produzione industriale.

Popper, il quale ritiene che le teorie scientifiche non siano « sintesi di osservazioni, bensì invenzioni –congetture audaci avanzate per prova » (Popper, 1963, p.83), non formula ipotesi concrete sui processi della scoperta, che non considera di pertinenza dell’epistemologia quanto piuttosto dell’ispezione psicologica (sebbene il suo primo libro, Logik der Forschung, letteralmente “logica della ricerca”, sia stato tradotto, in inglese come in italiano, facendo riferimento alla “logica della scoperta scientifica”, Popper, 1934-1959).

Una interessante distinzione tra «contesto della scoperta» e « contesto della giustificazione» viene elaborata, invece, da Hans Reichenbach (di cui già abbiamo considerato l’imposta-zione di pensiero, cfr. in cap. 6 §2), evidenziando un aspetto precedentemente inosservato dell’indagine scientifica, che assumerà particolare rilevanza nei successivi studi di sociolo-gia della scienza. Egli puntualizza (cfr. Reichenbach, 1938, ed. 1961, pp.6-7) come il “contesto della scoperta” non coinci-

126 ALBERTA REBAGLIA da mai con “il contesto della giustificazione”, ovvero con il momento –tempo-ralmente successivo– in cui gli scienziati presentano i risultati delle loro ricerche, operando una rico-struzione che rende razionalmente stringenti le congetture speculative originarie (le ‘audaci intuizioni’), le quali possono emergere anche da un complesso di significati confuso o privo di cogenza logica.

In tale prospettiva, le pubblicazioni scientifiche presentano ragionamenti compatti e coerenti, i quali tuttavia non espri-mono gli autentici processi mentali che hanno guidato la ricerca teorica e di laboratorio, e non contribuiscono quindi a chiarire la dinamica della scoperta.

Bruno Latour (filosofo e sociologo della scienza, di cui avre-mo ancora occasione di parlare) rivisita la distinzione proposta da Reichenbach, sottolineando come la « scienza in costruzio-ne» e la « scienza confezionata» o « pronta per l’uso» siano fra loro « diverse quantomeno quanto i due volti –vivace l’uno, severo l’altro– del Giano bifronte» (cfr. Latour, 1987, p.7). Egli riempie di contenuti specifici entrambe le categorie, indivi-duando precetti metodologici anche per la “scienza in azione”, quella non ancora sedimentata nel reichenbachiano “contesto della giustificazione”. Il primo di questi precetti contraddice la più evidente regola metodologica che la scienza –ormai co-struita e sedimentata– specifica come passo iniziale di ogni sua indagine: « Vai direttamente ai fatti!» Dalla sollecitazione empirica, abbiamo visto, ha tratto origine l’intera storia della fisica moderna; e tuttavia le progressive riflessioni compiute nell’analizzare il metodo scientifico hanno condotto a com-prendere, e valutare, l’esortazione opposta: « Sbarazzati di ogni fatto inutile», quale guida metodologica efficace per il “contesto della scoperta” [7]. [back]

“Fatti inutili”, si è imparato a pensare, sono persino i cosid-detti “esperimenti cruciali”.

La teoria della relatività –utilizzata con successo in una vasta gamma di ambiti tecnologici, e divenuta una struttura teorica irrinunciabile della scienza contemporanea– prende avvio, come si è detto, con il lavoro di Einstein del 1905, nel

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 127 quale egli stesso indica le esigenze teoriche e razionali che ne hanno mosso l’elaborazione, e che in nulla dipendono dalla supposta crucialità dell’esperimento effettuato da Michelson e Morley: si tratta di eliminare la asimmetria, altrimenti presen-te, tra elettrodinamica e meccanica newtoniana, e di generaliz-zare l’equivalenza dei sistemi inerziali. Secondo lo scenario teorico prefigurato da Maxwell e dai sostenitori dell’etere, infatti, questo sistema inerziale in cui le onde elettromagneti-che si propagano con una velocità c pari a 300 000 km/s è distinguibile da tutti gli altri sistemi inerziali, nei quali un fascio di luce si propaga a una velocità risultante dalla somma o dalla sottrazione della velocità v del sistema stesso da quella propria della luce (c ± v ), così come previsto dal principio galileiano di relatività. E la soluzione di Einstein –imporre a priori (ovvero postulare in modo preliminare e indipendente da ogni prova sperimentale) la costanza della velocità c per la propagazione delle onde elettromagnetiche in qualsiasi siste-ma inerziale– rappresenta la scelta razionalmente più coerente e diretta per ottenere un ampliamento del dominio di applica-bilità delle leggi fondamentali della dinamica classica. [back]

Ogni programma di ricerca, organizzato in base ai principi e alle leggi elaborate a livello razionale (anziché seguendo un metodo empirico per tentativi ed errori), viene difeso con tenacia dalla comunità scientifica fino al momento in cui non viene elaborata qualche convincente struttura teorica alterna-tiva. Imre Lakatos, l’epistemologo (allievo di Popper) che a queste tematiche ha dedicato gran parte delle sue analisi, puntualizza come nella sequenza di indagini, ipotesi, conget-ture che caratterizzano un «programma di ricerca» alcune siano deliberatamente poste al di fuori di ogni possibile attacco condotto da riscontri sperimentali di « anomalie» e incongruenze: per questo «nucleo» di teorie vige la forma più radicale del precetto base della “scienza in azione”, secondo cui occorre sbarazzarsi di ogni fatto inutile. In tal caso, ci si libera proprio dei fatti che potrebbero (popperianamente) rivelarsi più utili, in quanto in conflitto con le previsioni formulate dalla teoria; e ciò poiché li si ritiene potenzialmente

128 ALBERTA REBAGLIA dannosi per la stabilità di un edificio teorico prezioso per la sua utilità (anche, e soprattutto) applicativa.

L’insegnamento che Lakatos trae dal percorso compiuto dall’epistemologia, nel suo progressivo allontanarsi dall’ideale illuministico di ragione, è incisivo: per quanto la natura possa essere di fronte a noi a “urlare il suo No”, l’ingegnosità umana può sempre “urlare più forte”. Ogni struttura teorica può venire sostituita da un altro programma di ricerca, ma questo avviene soltanto se e quando quest’ultimo si rivela più efficace nel prevedere nuovi fenomeni e nel consentirne una corrobo-razione a livello sperimentale.

Lo scienziato elenca le anomalie, ma fin quando il suo pro-gramma di ricerca mantiene il suo slancio egli può liberamente accantonarle. E’ principalmente l’euristica positiva del suo pro-gramma, e non le anomalie, a dettargli la scelta dei problemi. Solo quando la forte guida dell’euristica positiva si indebolisce egli può concedere maggior attenzione alle anomalie (Lakatos, 1970, pp.375-376).

Analizzando i processi per mezzo dei quali una struttura teorica viene sostituita da una ipotesi “rivale”, Lakatos sottoli-nea, in effetti, come ogni programma di ricerca sia incentrato su una duplice “euristica” (dal greco eurischein, scoprire, indica l’insieme di regole metodologiche che facilitano il lavoro scientifico): l’ “euristica negativa”, che individua quali vie di indagine occorre evitare, stabilito che gli assunti basilari, caratterizzanti quel programma di ricerca e costituitivi di quello che Lakatos definisce il suo “nucleo”, non devono mai essere posti in discussione; e l’ “euristica positiva”, che indica quali vie perseguire nel confutare, modificare e riorganizzare quelle ipotesi periferiche le quali rappresentano la “cintura protettiva” del nucleo. In questa prospettiva, il nucleo di un programma di ricerca –per principio inviolabile– non è in nulla condizionato, né condizionabile, per mezzo di prove sperimen-tali: stando alla terminologia positivista, esso è “metafisico”[8]. Con questa impostazione, Lakatos articola compiutamente una riflessione che trova spazio anche negli scritti più tardi di

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 129 Popper: i principi metafisici svolgono un ruolo ineliminabile nello sviluppo di teorie pienamente scientifiche.

Si compie, in tal modo, un allontanamento definitivo dall’impostazione data da Mach, e successivamente dal neopo-sitivismo, al problema della “demarcazione” tra scienza e metafisica. Allontanamento che, peraltro, coincide con un estremo indebolimento delle “pretese” della razionalità scienti-fica: il primo esponente del positivismo, Auguste Comte, riteneva che lo “stadio metafisico” fosse alternativo e antece-dente rispetto allo “stadio scientifico” della conoscenza; con Mach la “metafisica” venne ritenuta un aspetto interno al modo di concepire e organizzare una costruzione scientifica, che da essa era tuttavia possibile –e necessario– espellere; l’empirismo logico ha sperato, infine, di poter ridurre la “metafisica” a un insieme di asserti non solo ascientifici, ma anche privi di significato in quanto non empiricamente verifi-cabili.

Una prima incrinatura in questo argine difensivo, eretto dalla razionalità scientifica nel momento in cui essa ha dovuto abbandonare l’assolutezza e il rigore fondazionale che ne aveva caratterizzato lo sviluppo fino al XVIII secolo, si è avuta con le riflessioni di Popper e –ancor più– di alcuni filosofi della scienza di scuola popperiana, i quali hanno sottolineato il ruolo influente esercitato dalla “metafisica” nel costituirsi delle differenti reti teoriche. Lakatos prosegue lungo questo tragit-to, puntualizzando come il carattere costitutivo, centrale, di ogni programma di ricerca sia “metafisico”.

Alla fine di questo percorso dissolutivo della ragione illumi-nistica, Lakatos pone comunque in luce la presenza di un elemento razionale, insito nel succedersi dei programmi di ricerca: ogni teoria scientifica viene abbandonata soltanto in seguito a una scelta razionale, che privilegia una teoria rivale giudicata “migliore” in quanto ritenuta “teoricamente” ed “empiricamente” “progressiva” (stando alla terminologia lakatosiana) [9].

130 ALBERTA REBAGLIA 7.4 “Reti” teoriche, scoperta e innovazione Il contrasto tra la ricostruzione a posteriori del processo di crescita della conoscenza scientifica e di evoluzione dell’in-sieme dei dispositivi tecnologici resi disponibili (che caratteriz-za il “contesto della giustificazione”) e l’effettiva dinamica della scoperta e dell’innovazione scientifico-tecnologica (che abbia-mo qui seguito nei suoi tratti salienti) è riassumibile in un’ulteriore ambivalenza concettuale, concernente il rapporto che viene a instaurarsi con la “natura”. « Finché le controver-sie abbondano, la natura non è mai impiegata come arbitro finale, poiché nessuno sa cosa è e cosa dice. Tuttavia, una volta risolta la controversia, la natura diventa l’arbitro definiti-vo» (Latour, 1987, op.cit, p.130). La nostra analisi ha dunque condotto, dapprima, a individuare l’illegittimità dell’impo-stazione metodologica tradizionale (che pure, nella sua dogma-tica e rassicurante “ingenuità” [10], viene usualmente adottata come spiegazione a posteriori della storia dei progressi scienti-fici e tecnologici), e ha poi reso evidente come l’appello ai “fatti” empirici non abbia mai la forza di assumere un ruolo risolutivo nelle controversie tra programmi di ricerca rivali.

Le negoziazioni che avvengono tra gli appartenenti a una data comunità scientifica, al fine di imporre o sostituire una specifica ipotesi, non trovano, peraltro, un argine nemmeno allorché vengono considerati i principi assolutamente generali e astratti dell’edificio matematico –che pure il pensiero tradi-zionale avrebbe supposto venisse costruito esclusivamente con metodo deduttivo; eretto rispettando regole di pura coerenza logica, le quali avrebbero quindi dovuto essere universalmente accettate, senza comportare alcuna forma di trattativa nel consolidare o inficiare delle congetture [11].

Solo alla fine del processo di negoziazione, con sguardo retrospettivo, teoremi matematici o leggi fisiche possono essere presentati come se procedessero « inesorabilmente di definizione in definizione. Ma queste definizioni riflettono, in realtà, gli scopi di coloro che le hanno formulate» (Bloor, 1976, op.cit., p.211). Il medesimo carattere congetturale appartiene

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 131 a tutte le teorie formalizzate, siano esse matematiche o fisiche. In ogni settore della costruzione scientifica ritroviamo la sfuggente duplicità del procedere scientifico, che entro il “contesto della giustificazione” riformula e riorganizza razio-nalmente le tappe dell’indagine svolta, ma che nel “contesto della scoperta” procede attraverso modi di ragionamento congetturali, influenzati da interessi contingenti e guidati da criteri decisionali nei quali è determinante il consenso accor-dato dalla comunità scientifica di appartenenza.

Seguendo un esempio addotto dallo stesso Lakatos, si con-sideri

un’asserzione come ‘per tutti i gas P V = R T’. A rigore, essa è falsa. Potrebbe essere vera solo per gas ideali, cioè per gas che consistono di palle da biliardo completamente elastiche. Ma in prossimità dello zero assoluto anche questo cessa di valere; possiamo salvare la tesi solo aggiungendo sempre più restri-zioni alla sua formulazione. (Lakatos, 1978, p.160).

I lavori sperimentali di Boyle, Charles e Gay-Lussac sono conglobati in una relazione che assume valore di legge solo a condizione di portare a termine con successo quel processo di astrazione che abbiamo visto essere la base metodologica indispensabile all’indagare scientifico, a partire dai primi studi galileiani sul moto. Ma, risulta ora evidente, credibilità e affidabilità degli enti che l’idealizzazione formale consente di descrivere, e dai quali sono deducibili i comportamenti dei fenomeni empiricamente concreti, possono sempre venire revocate in dubbio e su di esse la comunità scientifica può in qualsiasi momento condurre trattative (come nel caso del concetto newtoniano di spazio assoluto -rinegoziato da Mach, cfr. cap. 2 §3, insieme al principio di inerzia- o dell’idea di gas perfetto -ammissibile solo insieme a una vasta gamma di ipotesi e presupposti, e sempre passibile di rinegoziazione qualora venga a mancare la coesione tra le varie congetture allestite).

Nella prospettiva così delineata, anche le dinamiche di in-venzione e innovazione tecnologica possono venire ripensate,

132 ALBERTA REBAGLIA sottolineando come si tratti dell’esito di un processo collettivo di produzione. L’invenzione appartiene alla fase del progetto (fase “a due dimensioni” –come la definisce Latour, 1987, op.cit., p.140– poiché si concretizza in opere cartacee quali la pubblicazione di lavori scientifici o il deposito di brevetti) e necessita della traduzione « in un prototipo funzionante a tre dimensioni» (ivi). In questo percorso si rivela progressivamen-te indispensabile un numero crescente di successive negozia-zioni, del tutto analoghe a quelle descritte da Lakatos per le scienze teoriche (fisiche e matematiche). Come mostra Latour prendendo ad esempio il motore ‘inventato’ da Diesel:

Il numero degli elementi legati al motore di Diesel stava cre-scendo. Eravamo partiti dalla termodinamica di Carnot [12], da un libro, da un brevetto e dai commenti lusinghieri di Kelvin. Ora sono entrati in scena la Man, la Krupp [13], alcuni prototipi, due ingegneri che aiutano Diesel, il know-how locale, le ditte interessate, un nuovo sistema di iniezione, e via dicendo. La seconda serie di elementi è più ampia, ma, cammin facendo, il motore perfetto della prima serie è stato trasformato; in parti-colare, è stata abbandonata la temperatura costante. Ora è un motore a pressione costante, e Diesel nella nuova edizione del libro deve colmare la lacuna esistente tra il primo motore, “teorico”, e quello che lentamente sta prendendo forma sotto i suoi occhi. [1987, p.140]

Il ruolo predominante svolto dall’invenzione e dalla negozia-zione in ogni aspetto dell’attività scientifica e la consapevolez-za che i “fatti” (cui si fa appello nel “contesto della giustifica-zione”) sono esito di congetture teoriche e di intensi processi di contrattazione intersoggettiva costituiscono due elementi concettuali che sostanziano, e rendono attendibile, la tesi sociologica secondo la quale l’« attività scientifica non è “sulla natura”, ma è una dura lotta per costruire la realtà» (Latour, Woolgar, 1979, p.64).

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 133 Capitolo 8 La dimensione linguistica della conoscenza scientifica 8.1 Intrascendibilità del linguaggio Il percorso compiuto dall’epistemologia del Novecento è dun-que un tragitto di progressiva messa in questione dell’idea di ragione quale strumento di rigore assoluto, capace di conqui-stare con immediata certezza i fondamenti ultimi del reale. E la razionalità permane quale guida nell’organizzare l’impresa scientifica, ma sempre più chiaramente essa si presenta come una guida “interna” al sistema teorico.

Il sociologo Otto Neurath sottolinea come la coerenza, l’assenza di contraddizioni fra le varie congetture e i presup-posti in cui si articola una struttura teorica, rappresenti il solo criterio di verità ancora proponibile, sebbene esso non permet-ta più alcun aggancio con il mondo “esterno” [1]. Gli “enunciati di base” della scienza sono sempre espressi in un linguaggio intersoggettivo, che ne rappresenta il confine invalicabile: ogni conoscenza scientifica è esito di un processo limitato, sempre parziale, di ‘sostituzione’ e di ‘assemblaggio’ di ipotesi, forte-mente influenzato dall’orizzonte teorico di sfondo. La cono-scenza non può prescindere dal contesto storico e sociale in cui viene elaborata (come chiarisce una celebre analogia di Neurath fra il lavoro scientifico e quello di marinai affaccenda-ti a riparare la propria nave senza poterla ancorare in porto; equivalendo, nella similitudine, l’attracco nel porto all’ “anco-raggio” degli enunciati scientifici in una realtà fattuale “ester-na”).

134 ALBERTA REBAGLIA

La nuova impostazione metodologica pone in evidenza una crisi nella visione lineare, cumulativa dell’evoluzione storica della scienza. Essa non costituisce mai un sistema concluso: la conoscenza non viene realizzandosi progressivamente, accrescendo il bagaglio dei saperi e organizzandoli secondo un criterio interno di completezza (seguendo il settecentesco criterio di progresso lineare, che conduce al grande sistema filosofico di Hegel, a inizio Ottocento). La conoscenza scienti-fica risulta paragonabile, piuttosto, a una enciclopedia, è una forma di sapere costantemente aperta a un numero indefinito di possibili integrazioni.

Tale sapere manifesta un carattere sempre più esplicita-mente convenzionale e palesemente contingente; esso è orien-tato, come sostiene Hempel, a ottimizzare quell’insieme di informazioni che costituiscono il sistema di credenze che, in un dato momento storico, riteniamo essere l’orizzonte scienti-fico affidabile delle nostre conoscenze.

Così, se la ricerca scientifica deve essere vista come un’impre-sa diretta verso scopi, sicuramente il suo scopo non è l’ottenimento di teorie vere [..] piuttosto la teorizzazione scien-tifica [risulta] diretta verso la costruzione di raffigurazioni del mondo ben integrate, le quali incorporino in modo ottimale i dati sperimentali disponibili al momento in uno schema con-cettuale semplice, linearmente coerente e di ampio respiro (Hempel, 1989, in Rebaglia, op.cit., p.142).

La razionalità scientifica non persegue, quindi, la conoscen-za di “fatti” extralinguistici, oggettivi e decontestualizzati, né possiede un metodo univoco, composto da un insieme atem-porale di leggi logiche assolutamente certe, bensì adotta una pluralità di metodi differenti nei diversi contesti storici e sociali [2]. Anche per questo motivo essa non procede in modo lineare e cumulativo.

Considerare la scienza una forma culturale che deve essere indagata nella sua coerenza interna e nella sua contestualità storica conduce, come conseguenza radicale, a una imposta-zione relativista, espressamente sostenuta –in epistemologia–

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 135 da Paul Feyerabend. Nessuna teoria scientifica è “migliore” di un’altra per credibilità, e nemmeno per utilità (contrariamente a quanto difeso dal positivismo); nessuna forma di conoscenza può essere privilegiata; nessuna particolare metodologia, nes-suno specifico modo di pensare è più attendibile di qualsiasi altro. Tale relativismo riprende, accentuandola, la tesi (e-spressa nella filosofia della scienza post-popperiana) secondo cui il significato degli enunciati non dipende tanto dalla relazione con i “fatti” quanto dal contesto linguistico nel quale essi vengono formulati, e vi unisce il convincimento che anche i criteri di valutazione e di scelta fra teorie rivali si rivelano non determinabili in modo univoco, a partire da una prospet-tiva ‘neutrale’ (come ritenuto, invece, da Popper e da Lakatos). Gli obiettivi che l’indagine conoscitiva intende perseguire e le modalità del confronto con sistemi teorici alternativi sono definibili, secondo Feyerabend, di volta in volta, all’interno del contesto epistemico che ne rappresenta lo sfondo di riferimento.

8.2 Operare “in mondi differenti” La riflessione condotta da Lakatos affianca alle considerazioni fin qui svolte un riferimento –che ancora dobbiamo puntualiz-zare– al carattere teorico dei “fatti”, allorché parla di “due teorie ad alto livello”, una “interpretativa per fornire i fatti” e una “esplicativa per spiegarli”. Fino a questo momento ci siamo occupati dell’aspetto “esplicativo” di teorie scientifiche rivali (quali le ipotesi di Lorentz e Fitzgerald rispetto alla rela-tività einsteiniana) nei confronti di risultati sperimentali anomali e imprevisti (quale l’esito nullo degli esperimenti di interferometria). Ma non abbiamo ancora sottolineato a sufficienza come questi stessi dati sperimentali non indichino semplicemente “fatti empirici” neutri e oggettivi, e come essi siano invece tali solo all’interno di un quadro teorico precosti-tuito.

136 ALBERTA REBAGLIA

Nel presentare la propria impostazione filosofica, Immanuel Kant ha addotto tre esempi di procedimenti sperimentali che egli considerava particolarmente significativi per il suo discor-so.

Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su di un piano incli-nato, con un peso scelto da lui stesso, e Torricelli fece soppor-tare all’aria un peso, che egli stesso sapeva di già uguale a quello di una colonna d’acqua conosciuta, e, più tardi, Stahl trasformò i metalli in calce, e questa di nuovo in metallo, to-gliendovi o aggiungendo qualche cosa, fu una rivelazione lu-minosa per tutti gli investigatori della natura. Essi comprese-ro che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno (cfr. ancora la Scheda 2).

Sulla ben nota costruzione sperimentale di Galileo ci siamo soffermati lungamente, e altrettanto famosa è la sperimenta-zione condotta da Torricelli sulla pressione atmosferica; assai più oscuro può risultare invece il riferimento all’esperienza proposta da Stahl, che pure secondo Kant ha la medesima dignità e rilevanza scientifica delle due precedenti.

Verso la fine del XVII secolo, Georg Stahl ha impostato un programma di ricerca sulle sostanze naturali che precede l’organizzazione moderna della chimica, elaborando al suo interno una teoria, detta della calcinazione, in base alla quale i metalli sono composti di calx (un residuo calcinato) e di flogisto (una sostanza aerea liberata durante il processo di combustione). Formulata la teoria –e dunque, secondo quanto riteneva Kant, posta alla natura l’opportuna domanda– egli allestì un importante esperimento, nel quale pose del “minio” (ovvero la calce di un particolare metallo, il piombo) su un crogiolo poggiato a sua volta su del mercurio, rovesciando-vi sopra una campana di vetro riempita di flogisto (Fig.12). Concentrando i raggi solari sul “minio”, attraverso uno spec-chio ustorio, egli innescò il processo di trasformazione di questa calce in piombo, aspettandosi che la natura confer-masse quanto previsto dalla teoria, ossia che per ottenere il metallo la calce si combinasse con il flogisto; e il risultato

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 137 sperimentale indicò, infatti, una vistosa crescita del livello di mercurio nella campana di vetro, segno che il flogisto si era in parte consumato combinandosi con il minio. Questa confer-ma sperimentale del ruolo svolto dal flogisto nella calcinazio-ne, e dunque dell’ipotesi cui fa riferimento Kant, sembra ‘spiegare’ semplicemente fatti empirici ‘oggettivi’, indipendenti da qualsiasi nostra interpretazione teorica.

La teoria della calcinazione risulta particolarmente affidabi-le, poiché non viene posta in crisi nemmeno da fatti empirici imprevisti; come poté constatare Joseph Priestley il quale, intorno al 1770, ripetendo l’esperimento di Stahl e osservando il formarsi di goccioline d’acqua sulle pareti interne della campana di vetro non revocò in dubbio l’attendibilità della teoria, ma introdusse una nuova ipotesi secondo cui la calce

minio

lente

flogisto

minio

lente

flogisto

Fig. 12. Esperimento di Priestley per confermare la teoria di Stahl sulla calcinazione.

di piombo contiene dell’acqua, che si libera durante la reazio-ne chimica condensandosi –in goccioline, appunto– sulle pareti del contenitore in cui avviene il processo.

138 ALBERTA REBAGLIA

D’altronde, proprio negli anni in cui Kant pubblica la Critica della ragion pura, la teoria proposta da Stahl, che assegna un ruolo basilare al flogisto, viene affiancata dalla chimica intro-dotta da Lavoisier, incentrata su una teoria della combustione basata sull’ossigeno. E questo programma di ricerca, che ben presto sarà privilegiato rispetto al programma rivale di Stahl, offre una spiegazione alternativa degli esperimenti condotti: quella che nel quadro teorico precedente veniva definita una calce, il “minio”, viene intesa come ossido di piombo, e il gas che veniva denominato flogisto è individuato nell’idrogeno; scaldando la provetta si constata, ora, il liberarsi dell’ossigeno contenuto nell’ossido che, unendosi all’idrogeno, forma mole-cole d’acqua.

Vengono dunque attuati, nel concreto agire scientifico, quei processi metodologici e quegli atteggiamenti mentali che l’epistemologia –da Mach, all’impostazione filosofica positivi-stica, alla prospettiva contemporanea– ha insegnato a indivi-duare e comprendere: qualsiasi risultato inatteso viene trat-tato per mezzo di ipotesi ad hoc, e anche nel momento in cui esistono strutture teoriche “rivali” il controllo sperimentale può mostrare che esse sono ugualmente valide, in quanto sempre adeguate a descrivere i fatti sperimentali. Diviene chiaro il significato di un ulteriore principio metodologico che, secondo Latour (cfr. in cap.7 §3), guida la scienza nella sua scoperta di fatti nuovi. Mentre le descrizioni scientifiche sedimentate (appartenenti al “contesto della giustificazione”, e volte a riorganizzare le tappe effettive della ricerca creativa secondo modalità che risultino familiari, e dunque convincen-ti) presuppongono che « Se le cose sono vere restano valide », il concreto agire scientifico segue la regola secondo la quale « Se le cose restano valide cominciano a diventare vere » (Latour, 1987, op.cit., pp.15-18).

In effetti, se la memoria presentata da Lavoisier all’Accade-mia delle Scienze di Parigi –nel novembre del 1772– non avesse avuto la fortuna che le venne invece tributata, e la nuova impostazione nel trattare i reagenti e i prodotti di reazione [3] non fosse divenuta un orizzonte di riferimento

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 139 comune per la chimica (ossia, non fosse diventata quello che lo storico e filosofo della scienza Thomas Kuhn definisce un “paradigma”), sarebbe rimasta valida la spiegazione del pro-cesso sperimentalmente osservato basata sulla combinazione di calce e flogisto. E pertanto essa sarebbe stata (ancora) considerata vera.

Questa disamina rende evidente come gli stessi fatti speri-mentali acquistano significato e consistenza soltanto nell’am-bito di un quadro teorico condiviso. Quelle stesse goccioline d’acqua che la comunità scientifica legata all’ipotesi del flogi-sto vede fuoriuscire dal minio nel processo di calcinazione, per il gruppo di scienziati che crede nella chimica dell’idrogeno e dell’ossigeno sono create dalla reazione chimica e non esistono prima che questa abbia luogo.

Le maggiori implicazioni filosofiche di questa nuova consa-pevolezza sconfiggono il senso comune (secondo cui « Se le cose sono vere restano valide»), e verranno tratte in modo pienamente esplicito con il lavoro che Thomas Kuhn pubblica nel 1962, La struttura delle rivoluzioni scientifiche : la verità delle proposizioni scientifiche e degli enti teorici appartenenti a un dato “paradigma” è determinata da ciò che la comunità scientifica elabora e produce entro quel paradigma, e non da un legame immediato fra le costruzioni teoriche e il mondo fisico (Kuhn, 1962). Il modo stesso in cui uno scienziato vede il mondo è radicalmente, ineliminabilmente subordinato alla sua appartenenza a un orizzonte paradigmatico: non esiste un insieme di “asserti-base” neutri [4] ai quali ricercatori aventi presupposti teorici differenti possano fare riferimento, ma ogni “fatto” è già denso di significato in quanto lo si osserva dall’angolazione prospettica del paradigma accettato: l’« anomalia è visibile soltanto sullo sfondo fornito dal para-digma», scrive Kuhn (cfr. Scheda 14). Non esiste un (super-fluo, ‘metafisico’) orizzonte di fatti empirici oggettivi; scienziati come Priestley e Lavoisier vedono cose tanto diverse, e tra loro incompatibili, da condurre il proprio lavoro scientifico « in mondi differenti » [5].

140 ALBERTA REBAGLIA

Confrontando, ancora, il mondo di Stahl e Priestley –in cui, durante la combustione, una sostanza libera del flogisto nell’atmosfera– con quello di Lavoisier e della chimica moder-na –in cui una sostanza, bruciando, assorbe ossigeno dal-l’atmosfera– si può giungere a considerare il flogisto e l’ossi-geno, il minio e l’ossido di piombo, così come tutte le altre entità fisiche i cui caratteri e comportamenti sono “descritti” dalle differenti teorie scientifiche prospettatesi nelle diverse epoche storiche, quali “postulati culturali” (secondo la felice espressione dell’epistemologo statunitense Willard van Orman Quine [6]). Poiché non è un –inscrutabile– riferimento “oggetti-vo”, esterno all’una o all’altra concezione teorica, a permetterci di attruibire precise qualità e determinati comportamenti agli enti fisici, questi ultimi vengono a possedere i caratteri che noi riconosciamo loro solo in base al consenso che un certo sistema teorico riscuote presso la comunità scientifica. Sistema teorico le cui leggi possono sempre venire modificate, rifiutate, sostituite (come si è visto) in base all’ascendente che determinate congetture esercitano sugli scienziati che stanno operando con quel paradigma.

8.3 “Reti”, “formiche” e “scatole nere” Non soltanto ogni postulato teorico, ma anche ogni entità fisica esiste, dunque, solamente in quanto e fin tanto che la comunità scientifica “negozia” la sua permanenza, fino a che essa decide di mantenere invariati quegli aspetti del pro-gramma di ricerca da cui tali postulati e tali entità dipendono. L’orizzonte delle “reti” teoriche (dei formalismi che –secondo l’accezione positivistica e neopositivistica– sono strutturati in base ad asserti analitici) e quello della percezione e dell’osser-vazione empirica (degli asserti sintetici) sono profondamente interdipendenti (tanto che Quine sottolinea l’impossibilità di mantenere una “demarcazione” tra analitico e sintetico). La libera produzione di reticolati costituiti da ipotesi e teoremi e

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 141 l’accumulo induttivo di dati empirici devono venire intesi, ora, come espressione di una sola metodologia, come la fusione in un’unico ambito; situazione utilmente modellizzabile facendo riferimento a una delle più significative e curiose figure topolo-giche studiate dal matematico August Ferdinand Möbius: si tratta di un nastro di lunghezza finita a cui viene applicata una torsione prima di congiungerne le estremità, così da formare un anello (Fig.13).

La dicotomia tra assiomi teorici e fatti sperimentali si dis-solve dando luogo a una dualità più apparente che essenziale, come due sembrano essere la faccia esterna e quella interna del nastro; e tuttavia percorrendo la via induttiva –come

Fig.13. La trasposizione artistica del cosiddetto “nastro” di Möbius (in una nota xilografia di Maurits Cornelis Escher del 1963) può rendere visivamente concreto l’atipico intreccio che viene a caratterizzare il rapporto tra rete di congetture teoriche e dati accumulati empiricamente. Ogni informazione fattuale è ottenibile solo a condizione di raccoglierla percorrendo le maglie della struttura formale, e quest’ultima, d’altronde, definisce i propri caratteri (come ‘esterno’ e ‘interno’) non in virtù di un significato intrinseco, ma soltanto in riferimento alle informazioni raccolte dalle nostre formiche ‘empiriste’ nel loro tragitto.

“formiche” attente (secondo i dettami del positivismo) a pog-giare la propria conoscenza sui dati empirici immediati– ci

142 ALBERTA REBAGLIA troveremo, senza alcuna soluzione di continuità, a muoverci lungo la strada del reticolato razionale, così che i due aspetti vengono a risultare essenzialmente una sola, unica superficie.

Per descrivere sia le reti teoriche sia i “fatti” sperimentali è quindi possibile servirsi di una medesima modellizzazione, e può essere utile prendere a prestito la nozione di “scatola nera” da una disciplina atipica e significativa come la cibernetica (alla quale già abbiamo fatto cenno, e di cui tratteremo più diffusamente nel prossimo capitolo). Tale concetto « è impiegato dai cibernetici quando una parte di un meccanismo, oppure un insieme di istruzioni, sono troppo complessi. In sua vece disegnano una piccola scatola di cui non devono sapere nulla, eccezion fatta per i segnali in ingres-so e in uscita » (cfr. Latour, Scheda 15).

Avvalendosi di tale categoria in senso traslato, si può rileg-gere la metodologia della conoscenza scientifica così come essa è stata delineata dagli epistemologi di impostazione post-popperiana. Ipotesi teoriche e “fatti” sperimentali trag-gono origine da un lungo e complesso dibattito tra addetti ai lavori, e divengono “leggi” indubitabili e “cose” reali nel mo-mento in cui le controversie e le negoziazioni (sempre indefini-tamente possibili) vengono interrotte. E ciò accade ogni volta che gli aderenti a un determinato programma di ricerca superano quella che Latour definisce una “prova di forza”, richiesta dalle sollecitazioni esercitate dalla presenza di anomalie sperimentali e di teorie paradigmatiche rivali, con cui è necessario misurarsi. Se la comunità scientifica si persuade a ritenere quel fatto assodato, o quella legge efficace, essi diverranno sempre più indubitabili; si opporrà una resistenza sempre maggiore a ogni ipotesi di “riapertura” della “scatola nera”, che richieda di rimetterne in questione il contenuto (che corrisponde, evidentemente, a quel “nucleo” di ipotesi –e di fatti empirici e di dispositivi tecnologici a esse correlati– il quale, come abbiamo detto, secondo Lakatos risulta inviolabile).

La dinamica di creazione e di chiusura di una “scatola nera” è affine all’idea, sviluppata da Kuhn, del consolidarsi di una

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 143 disciplina in un lungo periodo di “scienza normale”, durante il quale la comunità scientifica è intenta a risolvere “rompicapo” (ovvero problemi teorici o sperimentali le cui soluzioni sono sempre rintracciate senza violare le regole dettate dalla rete di ipotesi caratteristica di quella struttura paradigmatica) e compie il proprio lavoro utilizzando acriticamente gli elementi presenti nel “paradigma” scientifico dato. La riapertura della “scatola” è paragonabile, invece, all’irruzione della “rivoluzio-ne” che, secondo Kuhn, segue un periodo di crisi scientifica, nel quale alcuni dissensi indeboliscono i nessi che legano le congetture costitutive della struttura paradigmatica: in modo repentino e discontinuo si riorganizzano radicalmente, allora, i significati degli elementi appartenenti al vecchio paradigma, rendendone alcuni non più credibili e introducendone nuovi (è quanto accade, per esempio, nella transizione dalla fisica aristotelica alla meccanica galileiana e newtoniana, o nel pas-saggio dalla chimica del flogisto all’impostazione di Lavoisier).

Allorché sono “chiuse”, le “scatole nere” costituiscono dun-que i fatti empirici ritenuti affidabili e le leggi fisiche conside-rate irrinunciabili, mentre quando vengono “aperte” esse danno luogo a quelle trasformazioni di pensiero che rendono teorici enti precedentemente ritenuti empirici e mutano conoscenze vere in congetture erronee (come è accaduto nel caso delle teorie legate ai concetti di etere o di flogisto).

La possibilità di delineare la crescita delle conoscenze scien-tifiche ricostruendo la successione degli sforzi compiuti per mantenere chiuse, oppure per poter riaprire, quelle “scatole nere” consente, nondimeno, a Latour di sottolineare come indagine scientifica e innovazione tecnologica applichino la medesima metodologia e quindi possano, debbano venire considerate due aspetti di una medesima realtà: la tecnoscien-za (cfr. ancora la Scheda 15). Qualsiasi prodotto della scienza o della tecnologia verrà ottenuto proprio costruendo un’ipotetica “scatola”, la quale consentirà di racchiudere in un orizzonte comune, costituito da reciproche connessioni, dibattiti accademici e interessi commerciali, influenze interne all’agire scientifico e suggestioni provenienti dal contesto

144 ALBERTA REBAGLIA sociale. Il fatto o la macchina così costruiti saranno un riferimento ineliminabile, nei futuri contesti scientifici e sociali, fino al momento in cui i gruppi interessati avranno la forza di tenere chiusa quella “scatola nera”, e non rimetterne in discussione i contenuti.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 145

ESERCIZI

A risposta chiusa

1. La psicologia della Gestalt considera la percezione come:

a) la risultante di sensazioni particolari b) un’associazione di sensazioni elementari collegate da

principi di piacere o dispiacere c) un processo di ricostruzione razionale di dati sensoriali d) la formazione diretta di immagini organizzate in modo

unitario e globale. 2. Secondo Wittgenstein:

a) possiamo scoprire le vere leggi della natura solo sceglien-do le teorie più utili e generali fra le molte che si possono formulare, tra loro alternative

b) nessuna teoria scientifica può essere più vera di un’altra; può soltanto fornire descrizioni altrettanto unitarie, ma più semplici

c) esistono leggi fisiche vere, ma la cui verità rimane per noi inconoscibile

d) una teoria scientifica tratta soltanto di strutture idealizza-te, ma il suo valore di verità dipende da ciò che essa dice sul mondo.

146 ALBERTA REBAGLIA 3. Il criterio popperiano della falsificabilità asserisce che le

ipotesi teoriche sono:

a) supposizioni desumibili da ripetute osservazioni empiri-che

b) ‘asserti universali’, liberamente formulati, che possono venire contraddetti da ‘asserti singolari’ esprimenti fatti em-pirici

c) assunti scientifici che possono anche non avere contenuto empirico

d) congetture che non possono mai entrare in conflitto con l’evidenza empirica.

4. Secondo Lakatos, i programmi di ricerca sono sistemi di

teorie:

a) dei quali ogni asserto è sottoposto al verdetto sperimenta-le

b) caratterizzati da proposizioni infalsificabili per decreto metodologico

c) costituiti da una sequenza di congetture, dimostrazioni e confutazioni, che si conclude con la scoperta di leggi vere e rigorose

d) sottoponibili a falsificazione mediante controllo sperimen-tale.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 147

A risposta aperta

1. Perché, secondo Popper, l’accettazione di un asserto-base (ovvero di un asserto rigorosamente empirico, che consente il controllo di una congettura scientifica) pur essendo il portato di un’espe-rienza non è da questa giustificato, ma richiede una decisione presa in modo convenzionale?

2. Cosa intende Popper per “approssimazione alla verità” di una

teoria scientifica? 3. Perché secondo Duhem non esistono esperimenti “cruciali”, e

secondo Lakatos gli esperimenti scientifici sono “solo retrospet-tivamente cruciali”?

4. In che senso Reichenbach distingue tra “contesto della

scoperta” e “contesto della giustificazione”? 5. Vicende storiche come la dimostrazione del teorema di Eulero

o l’invenzione da parte di Diesel del suo motore possono essere lette alla luce della distinzione, tracciata da Lakatos, tra “nucleo” e “cintura protettiva” di un programma di ricerca?

6. In che termini Neurath argomenta l’impossibilità di trascen-

dere la dimensione linguistica nello sforzo di conoscenza scienti-fica?

7. Delineare il concetto di ‘crescita della conoscenza attraverso

una “proliferazione” di teorie alternative’, confrontandolo con l’idea ottocentesca di ‘progresso della scienza’.

148 ALBERTA REBAGLIA 8. Quine considera gli oggetti fisici “postulati culturali”.

Confrontare questa impostazione con quella di Latour, secondo il quale “fatti” e “artefatti” sono paragonabili a “scatole nere”.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 149

Parte quarta

La ricerca industriale tra innovazione e adattamento

Le nostre ‘formiche’ non operano dunque su elementi fattuali ‘neutri’, ma organizzano dati già razionalmen-te e linguisticamente conformati. Il sopravvenire di questo limite non comporta, peraltro, un ritorno all’analogia baconiana delle ‘api’: la conoscenza non è conseguibile in base a strutture ‘a priori’ di tipo kan-tiano, bensì mediante una selezione liberamente inter-soggettiva di sensazioni percettive e di dati empirici filtrati tramite congetture teoriche e “paradigmi” con-cettuali. In questo inusuale orizzonte, costitutivo della tecnoscienza, l’esplorazione del mondo naturale pare inaspettatamente coincidere con la costruzione di real-tà artificiali: le laboriose formiche percorrono in modo ricorsivo il reticolato che esse stesse hanno intessuto al fine di raccogliere informazioni fattuali, e che d’altronde –con una torsione tipica di un nastro di Mö-bius– diviene terreno del difficile incontro con una re-altà costitutivamente linguistica. Costruzioni sperimentali e applicazioni industriali ri-chiedono, entrambe, lo stesso approccio metodologi-co: ‘scoperte’ scientifiche e ‘innovazioni’ tecnologiche

150 ALBERTA REBAGLIA

sono egualmente esito di un attento lavoro di interpre-tazione delle informazioni desunte da un ambiente che non è mai rigidamente esterno, ma è costituito dalle rappresentazioni percettive e mentali cui esso dà luo-go. Viene in tal modo delineandosi un ambito di pen-siero alternativo a quello tradizionale della semplicità lineare e della causalità deterministica; la riflessione può iniziare a percorrere le vie nuove che viene trac-ciando una ragione caratterizzata da una dinamica circolare, e non lineare, e da un’impostazione strategi-ca capace di rispettare e valorizzare la complessità. Entro i confini indicati da questo percorso razionale trova spazio una rilettura dell’idea ottocentesca di progresso, la quale –sebbene non possieda (più) basi concettuali che giustifichino un’ottimistica fede in un indefinito accrescimento lineare di conoscenze, di capacità di controllo del naturale e di potenzialità di sviluppo incondizionato mediante la produzione dell’artificiale– si viene focalizzando sul compito impegnativo di individuare orientamenti che sappiano adeguare il tradizionale obiettivo biologico dell’adat-tamento all’ambiente con il peculiare, difficile contesto della nostra civiltà: scientifica, tecnologica e industria-le.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 151 Capitolo 9 I percorsi della costruzione razionale 9.1 Incommensurabilità e modelli della scoperta scientifica La concezione elaborata dalla filosofia della scienza nei decen-ni più recenti è strettamente connessa alla tesi sull’incommen-surabilità fra teorie scientifiche: se, al fine di valutare e con-frontare sistemi di conoscenze alternativi, non può esistere alcun punto di vista neutrale e, conseguentemente, non è legittimo avanzare criteri metodologici aventi pretese di oggettività [1], ciascuna rete di teorie potrà affrontare soltanto quei problemi che assumono significato all’interno del suo proprio orizzonte. Così, per esempio, i problemi inerenti l’astronomia tolemaica non diventano risolvibili entro il siste-ma astronomico copernicano, ma in questo ambito perdono significato. Ogni nuova teoria emerge come diretta risposta alla crisi sviluppatasi nell’orizzonte della concezione scientifica anteriore, e tuttavia non produce un ampliamento cumulativo delle conoscenze: il passaggio da una rete teorica a una diffe-rente sarà assolutamente discontinuo.

La convinzione che ogni conquista concettuale sia esito di una discontinuità radicale trova una prima, compiuta espres-sione nella filosofia della scienza di Gaston Bachelard, secon-do il quale la razionalità scientifica non procede in un con-tinuum evolutivo, ma ogni progresso intellettuale avviene attraverso fratture epistemologiche improvvise e non prevedi-bili [2]. Le implicazioni ultime di questa concezione di discon-tinuità storica si manifestano allorché essa viene unita alle

152 ALBERTA REBAGLIA considerazioni svolte a partire dal testo, ormai classico, di Norwood Hanson su I modelli della scoperta (di cui già si è detto).

« Una teoria non si forma accozzando insieme i dati fram-mentari di fenomeni osservati; essa è piuttosto ciò che rende possibile osservare i fenomeni », afferma Hanson nel testo citato, del 1958. E pochi anni dopo Kuhn esprimerà una tesi analoga, circa l’inesistenza di un superfluo (“metafisico”) orizzonte di fatti empirici oggettivi : i molti problemi che la costellazione di ipotesi e tecnologie componente un dato “paradigma” risolve solo parzialmente, o non riesce ad affron-tare, provocano una “crisi” interna all’operare scientifico, la quale dovrà essere risolta senza pretendere di trovare indica-zioni e correttivi in un (inefficace) appello all’osservazione sperimentale. Non vi è un insieme di asserti-base, di enun-ciati osservativi, a cui scienziati aventi presupposti teorici differenti possano volgersi (secondo quanto, invece, abbiamo visto essere ipotizzato dai filosofi neopositivisti e, con una diversa impostazione, da Popper). Pertanto, ogni “crisi” scien-tifica sfocerà, piuttosto, in un improvviso e irreversibile “riorientamento gestaltico”, che attribuirà significati affatto nuovi a tutte le conoscenze teoriche e operative a disposizione della comunità scientifica [3]. [back]

Con queste considerazioni, si perviene alla tappa conclusiva del percorso di superamento delle tesi positivistiche secondo cui la scienza progredisce incrementando in modo cumulativo (lineare) il proprio contenuto empirico. E, poiché viene negata proprio la possibilità di un “contenuto empirico” oggettivo, una conseguenza diretta di tale impostazione è la denuncia dell’impossibilità di tradurre enunciati appartenenti a un dato paradigma in asserti interni a un paradigma rivale. Il signifi-cato di ogni termine linguistico dipende, infatti, dal significato di innumerevoli altri, che sono a esso correlati nel linguaggio condiviso dai membri di una data comunità. E –poiché, come si è detto, non esiste alcun appiglio empirico ‘neutro’ e ‘ogget-tivo’– il significato dei termini utilizzati entro un certo orizzon-te culturale risulta “inscrutabile” dall’esterno. Secondo un

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 153 esempio introdotto da Quine nel suo noto testo Parola e oggetto (Quine, 1960), se un linguista si trovasse a dover tradurre espressioni verbali pronunciate dagli appartenenti a una comunità tribale, in una lingua a lui ignota, non potrebbe desumere il significato di un singolo enunciato dalla diretta osservazione empirica (quand’anche l’indigeno indicasse un coniglio ogniqualvolta pronuncia il termine “gavagai”, Quine esemplifica, lo studioso –estraneo a quel mondo culturale– non potrebbe sapere se egli “veda” l’animale che noi stessi vediamo, o non, piuttosto, un evento desostanzializzato che occupa un singolo “frammento temporale”, o “veda”, magari, la concreta presenza di uno spirito defunto; una traduzione –per quanto “indeterminata”– è possibile solo in rapporto a un più vasto orizzonte linguistico).

Abbandonato il riferimento a una realtà “in sé”, oggettiva, ci si trova necessariamente ad abbandonare anche il riferimento a una “apparenza” fenomenica neutra e invariabile nel tempo (come già aveva intuito Nietzsche, a fine Ottocento; cfr. in cap.4 §2). Essendo l’osservazione diretta sempre intrinseca a un determinato orizzonte linguistico, oggetti ed enti risultano semplici “postulati culturali”, secondo l’espressione di Quine. La “realtà”, sottolinea Feyerabend, è sempre relativa alle nostre costruzioni intellettuali, ed è sempre storicamente determinata [4]. Il « sostegno basato sulla evidenza empirica, l’adeguazione ai fatti, la coerenza sono, dopotutto, prodotti della ricerca stessa e non possono perciò esserne una precon-dizione», egli afferma in un saggio del 1988 [5].

L’elaborazione epistemologica condotta nel XX secolo giunge quindi, con Feyerabend, a conclusioni radicali sul piano dell’ontologia, ovvero delle ipotesi sulla costituzione ultima del reale.

Cambiare orizzonte teorico non comporta interpretare in modo differente le medesime osservazioni, che provengono dalla ‘natura’ e ci sono date “una sola volta” (come ancora riteneva Mach, fisico positivista); accettare un “paradigma” nuovo, in competizione con quello precedente, equivale, in effetti, a osservare tutta una nuova costellazione di eventi

154 ALBERTA REBAGLIA radicalmente alternativi rispetto a quelli registrati in prece-denza: a Lavoisier è possibile percepire le goccioline d’acqua come un prodotto della reazione chimica solo vedendo anche un minerale composto (l’ossido di piombo) là dove Stahl e Priestley ravvisavano una “terra elementare” (il minio, che si presenta come una polvere amorfa di colore rosso) e riorganiz-zando l’intero quadro delle proprietà, dei comportamenti, dei caratteri delle sostanze indagate. Pertanto, anche i fenomeni naturali non ci sono “dati una sola volta”, ma essi vengono prodotti nell’ambito di una sperimentazione orientata in accor-do con il quadro teorico di fondo. « Ecco un tratto specifico della fisica contemporanea: essa è sempre meno scienza di fatti e sempre più scienza di effetti » (Bachelard, 1932)[6], ovvero non scienza di “pura osservazione” e “semplice descri-zione” dei fenomeni “naturali”, bensì di fenomeni prodotti in laboratorio sotto la guida di previsioni teoriche; e dunque –già sempre– scienza di ciò che è progettato e costruito, scienza dell’artificiale.

Queste conclusioni, atipiche e controintuitive, segnano un momento assai incisivo di avvicinamento tra indagine scienti-fica (inizialmente volta a conoscere la natura) e ricerca industriale (sorta per creare l’artificiale).

9.2 Intervento tecnologico e produzione di effetti Usciti dalla logica illuministica della “cosa in sé” (kantiana), occorre abbandonare anche la pretesa di formulare enunciati scientifici “veri”, i quali esprimano proprietà appartenenti a un mondo fattuale, esterno a ogni contesto cognitivo. Come già sottolineato da Nietzsche e dall’epistemologia evoluzionista, le leggi scientifiche svolgono un ruolo indispensabile per il nostro “adattamento” all’ambiente, in quanto consentono di attribuire regolarità alla natura e di ‘economizzare’ gli sforzi gnoseologici. E poiché tali leggi sono dettate dalla ragionevo-lezza e da convenzioni intersoggettive, la regolarità che esse

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 155 esprimono risulta imposta in seguito al “taglio” interpretativo da esse stesse operato; il quale condurrà, in ultima analisi, a creare quegli stessi oggetti di cui si indagano le proprietà costanti e le invarianze.

Una delle radici concettuali di questa impostazione –dive-nuta familiare in filosofia della scienza a partire dagli anni Settanta del Novecento, specialmente con le riflessioni degli autori che qui abbiamo considerato– è da individuarsi in alcune correnti filosofiche, tra loro vicine, sviluppatesi a inizio secolo negli Stati Uniti (le quali esercitarono poi una influenza non secondaria sui molti esponenti europei del neopositivismo, emigrati in America in seguito alle leggi razziali). In particolare, John Dewey (il filosofo statunitense che considera ‘soggetto’ e ‘oggetto’ correlati, anziché contrap-posti, e nel mondo reale vede un processo incessante di interazioni tra gli organismi e l’ambiente) sottolinea come ogni ‘conoscenza’ sia uno strumento per l’azione; e come ogni teoria scientifica non sia altro che un mezzo per ottenere predizioni affidabili (non abbia quindi funzione esplicativa, e non possa essere valutata in relazione a una sua eventuale “verità” o “falsità”): essa produce una trasformazione del mondo e, dunque, è sostanzialmente una ‘tecnica’. La più vasta corrente del pragmatismo (in cui può essere collocato l’indirizzo strumentalista avviato da Dewey, insieme ad altre impostazioni affini) puntualizza come il significato di un asserto coincida (più che con una sua generica “verificabilità”, come sostenuto dal neopositivismo) con i suoi effetti pratici, ossia con le concrete esperienze e modalità operative a esso riconducibili. L’operazionismo di Bridgman, infine, specifica che (per esempio) le registrazioni di traiettorie rivelate median-te la scintillazione su uno schermo o la presenza di bolle nell’apposita apparecchiatura non debbono essere considerate prove dell’esistenza di particelle elementari inosservabili (come si tende a ritenere); egli sostiene invece che le uniche asser-zioni significative concernenti le particelle elementari sono totalmente ed esclusivamente riconducibili ad asserti relativi a quelle operazioni compiute in laboratorio [7]. [back]

156 ALBERTA REBAGLIA

In base al tragitto che abbiamo visto maggiormente caratte-rizzare il pensiero epistemologico, l’esperimento non può più, quindi, essere inteso come l’intervento “cruciale” che –prodotto deliberatamente per osservare un particolare processo fisico– rende possibile indicare quale delle ipotesi razionalmente immaginabili risulti “vera”, in quanto effettivamente aderente ai “fatti”. Già nel corso del XIX secolo, come si è detto ricor-dando quanto sottolinea Bachelard, lo studio sperimentale rende più evidente questa assenza di legame con una realtà oggettiva; la scienza contemporanea non è basata sulla ‘pura osservazione’ e sulla ‘semplice descrizione’ dei fenomeni naturali, bensì sulla ‘creazione’ di fenomeni ‘prodotti in laboratorio’ sotto la guida delle previsioni teoriche, divenendo con sempre maggiore frequenza uno studio di effetti prodotti in laboratorio anziché di eventi naturali sperimentalmente osservati.

Rilevare come la scienza non si occupi di “fatti” bensì di “effetti” significa puntualizzare che i fenomeni scientificamente indagati non sono entità naturali oggettive e incontrovertibili, così come le leggi scientifiche non sono la manifestazione di regolarità profonde esistenti in natura. « In natura –scrive il filosofo della scienza statunitense Ian Hacking– esiste soltanto la complessità, che noi siamo capaci di analizzare in un modo veramente notevole. Lo facciamo distinguendo mentalmente un numero di leggi differenti. Lo facciamo anche presentando in laboratorio dei fenomeni puri, isolati » (Hacking, 1983, cfr. Scheda 16). Ed è, questo, un ulteriore passo che segna il distacco dall’impostazione positivistica, nella quale –si è detto– le leggi scientifiche sono viste come “cataloghi” arbitrariamen-te imposti per ordinare e organizzare il materiale dell’esperienza: se classificazioni e tassonomie sembrano infatti rintracciare e porre in evidenza regolarità e somiglianze proprie degli enti catalogati, nel momento in cui si rinuncia a ipotizzare l’esistenza di entità naturali oggettive occorre sottolineare anche la totale arbitrarietà delle regolarità impo-ste dalle leggi scientifiche, le quali possono (ora) apparire “cataloghi” solo nel senso –insolito e bizzarro– con cui Borges

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 157 propone il suo “antico catalogo cinese”, dove ogni regola è imposta ‘dall’alto’, in modo assolutamente arbitrario [8]. « Ci facciamo l’idea di una quantità di leggi di natura, che si sommano in una “risultante”», scrive Hacking (cfr. ancora la Scheda 16); e questa ipotetica risultante descriverebbe il comportamento del fenomeno naturale, il quale differisce sensibilmente dall’effetto che noi possiamo produrre in labora-torio isolando una sola componente, un’unica legge di natura. Si suppone, allora, che “in natura” esistano “eventi” che siano la risultante, per esempio, dell’effetto Hall [9] –che al suo stato puro esiste soltanto in laboratorio– e di molti altri effetti –anch’essi esito dell’attività sperimentale: proprio restando fedeli al nucleo essenziale dell’impostazione di pensiero positivista, occorre convenire che questo è un atteggiamento “metafisico”, poiché postula arbitrariamente l’oggettività di quelle regolarità che invece siamo noi stessi a imporre. Come conseguenza finale, la “produzione di effetti” viene a delinearsi quale costruzione degli eventi sperimentali, e dunque come creazione di fenomeni che –anteriormente all’attività sperimen-tale– si può affermare non esistessero.

Hacking rielabora in tal modo il tema dell’incommen-surabilità fra teorie, rilevando come ciascuna rete teorica controlli e corrobori dati e fenomeni che essa stessa ha prodotto, nell’ambito di laboratori nei quali si opera attraverso apparati la cui costruzione e le cui regole di utilizzo sono possibili soltanto in quanto già appartengono a quell’orizzonte teorico, a quel “paradigma”. Abbandonato il criterio di verità come corrispondenza, l’esistenza di “enti” (sempre, necessa-riamente, interni a un orizzonte teorico) costituisce una convinzione giustificabile, secondo Hacking, unicamente a motivo del loro coinvolgimento nella esecuzione di interventi sperimentali e di produzioni tecnologiche. Egli scrive nelle pagine conclusive di Conoscere e sperimentare :

I generi migliori di prova per la realtà di un’entità postulata o inferita consistono nel potere cominciare a misurarla, o co-munque a comprenderne i poteri causali. E a sua volta la migliore prova del fatto che abbiamo questa comprensione è

158 ALBERTA REBAGLIA

data dalla nostra capacità, partendo da zero, di metterci a costruire macchine che opereranno in maniera piuttosto affi-dabile, valendoci di questo o quel nesso causale. E’ quindi l’ingegneria, e non la teorizzazione, la miglior prova del reali-smo scientifico sulle entità (cfr. ancora la Scheda 16).

Le regolarità che le leggi scientifiche impongono alla nostra stessa interpretazione di un mondo empirico amorfo e imper-scrutabile non possiedono, come è ormai ovvio, alcuna cogen-za descrittiva, e non ci danno quindi informazioni ‘neutre’ e ‘oggettive’ sul mondo naturale. Esse, d’altronde, possiedono una forza prescrittiva nei confronti della ‘realtà artificilizzata’ del laboratorio e delle applicazioni tecnologiche, la quale consente –pur restando radicalmente confinati entro uno spe-cifico orizzonte teorico e linguistico– di (ancora) distinguere asserti scientifici ed enunciati metafisici; soddisfacendo, così, la basilare esigenza neopositivista [10]. Priestley e Lavoisier, per esempio, pur accumulando dati osservativi totalmente differenti (come ‘formiche’ destinate a percorrere due distinti nastri di Möbius), sapevano prevedere, ciascuno, il comporta-mento degli enti trattati nei loro laboratori, e conosciuti in base al reticolato teorico che, per l’uno o per l’altro, costituiva il contesto di significati cui fare riferimento. Così, né Priestley né Lavoisier avrebbero avuto difficoltà a “demarcare” un asserto come « gli dei sono irascibili» da uno come « se riscal-dato, il flogisto si combina con la calce», nel caso di Priestley e dei seguaci della teoria di Stahl, oppure « gli atomi possiedono un legame di valenza », nel caso degli appartenenti al “paradigma” di Lavoisier e della chimica moderna. E tale demarcazione non può (e non deve) passare attraverso un appello a quella ipotetica “realtà” che il mondo delle nostre ”rappresentazioni” rispecchierebbe. Per tracciare un confine tra proposizioni scientifiche e asserti non scientifici si fa riferimento, piuttosto, alla capacità di previsione (e di guida nella progettazione tecnologica) che, nell’esempio, possiedono le affermazioni sul processo di calcinazione e sul legame di valenza (essendo entrambe strettamente correlate all’insieme di ipotesi e congetture teoriche –connesse fra loro in modo

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 159 olistico, così come sottolineato da Duhem e da Quine– che costituiscono quegli specifici orizzonti paradigmatici), e che in nessuno dei due contesti culturali l’enunciazione sugli dei possiede (più).

Quelle entità le cui proprietà causali emergono, in un dato orizzonte di significati, quali tratti strutturali stabili e condivisi –usufruìbili nella gestione di apparati tecnologici– sono ineli-minabilmente “postulati culturali” (Quine), “generi sociali” (Bloor).

160 ALBERTA REBAGLIA Capitolo 10 Dalla ragione “strumentale” alla ragione “dialogica” 10.1 Il “medium” linguistico Volendo mantenere una analogia tassonomica, nella nuova fase concettuale ‘post-positivistica’ dovremmo, come si è detto, sottolineare che solo una classificazione ‘a la Borges’ (una lunga tipologia nella quale i caratteri che vengono raggruppati non hanno alcuna intrinseca similarità gli uni con gli altri) potrebbe ancora rappresentare un’efficace immagine metafori-ca. Nelle organizzazioni di dati empirici prodotte nell’ambito delle teorie scientifiche, così come in quella fantastica enciclo-pedia, non vi è alcuna regolarità oggettiva da rispettare, ma qualsiasi forma di “oggettività” è un prodotto esclusivo dell’at-tività del soggetto, il quale compie la propria indagine impo-nendo le proprie griglie interpretative.

Le correnti filosofiche che, negli anni centrali del XX secolo, elaborano tali tematiche sono molteplici, e non tutte incentra-te su problemi epistemologici. Proprio Foucault, in Le parole e le cose (testo in cui –come abbiamo visto, cfr. cap. 9 nota [8]– egli cita la classificazione enciclopedica proposta da Borges) e in L’archeologia del sapere (1969), sottolinea come le cono-scenze siano sempre organizzate intorno a un ‘metodo’ e a un ‘oggetto di indagine’ differenti in ciascun differente periodo storico: tali sistemi culturali mediano la nostra esperienza del mondo e ci consentono di “dare nome alle cose”, approprian-docene [1]. Il nostro mondo è, infatti, interamente inscritto in

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 161 un sistema di entità linguistiche interrelate, dove ciascuna ha significato in quanto rimanda a una rete di altri significati.

La nuova idea di ragione, che si afferma sviluppando e –in tal modo– oltrepassando la concezione strumentale, è essen-zialmente dialogica. Il linguaggio risulta infatti il tema centra-le di quelle filosofie che, con modalità tra loro differenti, intendono prendere atto criticamente della inadeguatezza della tradizionale concezione della conoscenza come rappresenta-zione di un mondo “esterno”. Gli autori del neopositivismo si sono occupati delle regole formali che sono alla base dei linguaggi artificiali (e in alcuni casi hanno formulato riflessioni sul linguaggio comune, cfr. in particolare Wittgenstein). Lo strutturalismo ha preso avvio dalle analisi della linguistica (e principalmente dalla convinzione, espressa da Ferdinand de Saussure nel suo Cours de linguistique générale, 1916, che ogni lingua sia un sistema di segni il cui significato scaturisce dal reciproco gioco oppositivo e compositivo, anziché da una relazione dei vocaboli con quanto da essi indicato). Un’altra corrente di pensiero, l’ermeneutica, dà un rilievo particolare al linguaggio quale orizzonte originario attraverso cui, soltanto, è possibile ‘fare esperienza del mondo’.

Come precisa Gianni Vattimo:

Gli argomenti da cui parte una teoria ermeneutica della verità sono quelli noti: la constatazione della secondarietà della verità come corrispondenza, e della necessità di una apertura previa che renda possibile qualunque verificazione o falsificazione di proposizioni; il riconoscimento (esistenzialistico, e prima nietzscheano e anche per certi versi positivistico [..]) della finitezza –e cioè storicità, eventualità– della verità primaria: il soggetto non è il portatore dell’a priori kantiano, ma l’erede di un linguaggio storico-finito che rende possibile e condiziona il suo accesso a se stesso e al mondo [Vattimo, 1994, p.12].

« Chi ha linguaggio, “ha” il mondo », scrive Hans Georg Gadamer nel sottolineare come la dimensione linguistica sia irrinunciabile e prioritaria in ogni nostro sforzo di conoscenza o di trasformazione del mondo (Gadamer, 1960, cfr. Scheda

162 ALBERTA REBAGLIA 17). Secondo una chiarificante analogia gadameriana, il linguaggio, con il suo stratificarsi storico di significati, è simile all’acqua in cui il pesce nuota: come essa è il mezzo nel quale la fauna ittica trova la propria possibilità di esistenza, così ogni evento, nella sua comprensibilità, è tale, per noi, soltanto nel linguaggio.

La struttura circolare di intervento conoscitivo su un conte-sto –il quale, a sua volta, agisce sul soggetto che con esso interagisce– viene studiata dalla filosofia ermeneutica con un riferimento specifico al rapporto circolare che si instaura tra interprete e testo [2].

L’interpretazione consiste, secondo il pensiero ermeneutico, nell’incontrare un orizzonte di significati linguistici che non sono a priori in possesso di colui che interpreta, e che, nondi-meno, nel momento dell’interpretazione già lo costituiscono come interprete, conferendo ricchezza e spessore al lavoro interpretativo [3]. Il rapporto interprete - interpretato si svolge interamente nel medium linguistico: entrambi i termini dell’in-terpretazione si collocano entro questo orizzonte di senso, il quale conferisce al conoscere una modalità circolare.

10.2 Cognizione e retroazione ricorsiva Questa stessa struttura circolare è considerata quale carattere essenziale dell’intero processo cognitivo da coloro i quali rileg-gono il rapporto del soggetto con il suo ambiente, naturale e artificiale, alla luce dell’impostazione epistemologica che siamo venuti esponendo. Alla base di ogni intervento scientifico e tecnologico vi sono i tentativi di adattamento biologico e cognitivo all’ambiente e ai vincoli da esso imposti. E vi è una manifesta interazione circolare tra il nostro adattamento e il modificarsi dell’ambiente in seguito ai nostri tentativi di adattarci a esso.

Proprio l’attenzione verso l’interazione circolare tra organi-smo e ambiente, che era mancata nell’esposizione darwiniana,

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 163 risulta accentuata nelle più recenti revisioni della teoria. Poiché nel corso dell’evoluzione si assiste a una continua interrelazione tra le specie, e l’intero progresso evolutivo viene indirizzato dalla necessità di mantenere costanti i rapporti tra ogni specie e il proprio ambiente, il principio darwiniano della selezione naturale –sebbene sia comunemente inteso quale motore del cambiamento evolutivo– rappresenta, piuttosto, la forza indispensabile a mantenere immutate le condizioni di sopravvivenza delle specie e del loro ambiente. La selezione regola i cambiamenti che intercorrono nel tempo, in modo tale che il sistema complessivo mantenga una propria stabilità, un equilibrio bilanciato tra le sue componenti. Così considerata, l’evoluzione biologica costituisce una rilevante esemplificazio-ne di dinamica retta dal principio metodologico di retroazione (feedback).

Negli studi di fisiologia, verso fine Ottocento, si è iniziato a puntualizzare come meccanismi di controllo retroattivo agiscano in molte delle attività tipiche di un organismo biolo-gico (dalla termoregolazione al controllo neurologico della pressione sanguigna e del battito cardiaco) e come essi tenda-no a mantenere la stabilità complessiva del sistema, control-landone l’equilibrio di fronte a situazioni esterne perturbati-ve [4]. E, come si è detto (cfr. in cap.5 §2), verso la metà del Novecento questo principio di feedback negativo –denominato anche di retroazione omeostatica, sottolineando (con la radice etimologica, dal greco hómoios : identico) la caratteristica del processo di mantenere stabile l’equilibrio interno del sistema– diverrà un cardine metodologico della cibernetica.

La metodologia cibernetica rileva infatti come i principi darwiniani della selezione naturale, alla base dell’adattamento biologico delle specie, debbano essere riletti nei termini di un processo di adattamento dinamico tra organismo e ambiente. Gregory Bateson, figura significativa del movimento di pensie-ro legato alla cibernetica [5], afferma:

In realtà, nel corso del processo chiamato evoluzione, non si incontra una specie o un’altra, ma si ha a che fare con interre-

164 ALBERTA REBAGLIA

lazioni tra specie e, curiosamente, l’intero progresso evolutivo viene stimolato dalla necessità di mantenere costanti quei rapporti. Se l’erba cambia, cambia anche il cavallo, ed essi cambiano in modo che la relazione tra loro rimanga costante. L’evoluzione è sostanzialmente una vasta operazione di cam-biamenti interdipendenti (Bateson, 1975, p.119).

Fig. 14. Gli organismi viventi realizzano molteplici processi di trasforma-zione, mediante i quali (con obiettivi di sopravvivenza) operano nell’am-biente –sottoposto anche a un complesso di effetti ‘esterni’ rispetto all’inte-razione con i sistemi organici–. Le azioni sull’ambiente generano variabili-tà; e gli organismi, attraverso una percezione sensibile dello stato dell’am-biente, modificano dinamicamente i propri obiettivi, al fine di opporsi alle sue variazioni. Dando luogo a una serie ricorsiva di retroazioni (feedback attivo) gli organismi stessi, il loro ambiente e gli effetti esterni si trovano a costituire un unico sistema, continuamente impegnato in un processo adattivo: su queste basi, il sistema possiede la capacità di evolvere, poiché sposta progressivamente il proprio “punto di lavoro” verso un nuovo valore stazionario. (back)

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 165

Con gli scritti di James Lovelock (che, verso la fine degli anni Settanta del secolo scorso, studiando l’atmosfera terre-stre ha formulato l’ipotesi di “Gaia”[6], cfr. Scheda 18) la regolazione omeostatica viene applicata anche al sistema-Terra, ovvero all’interazione tra l’ambiente nella sua globalità e l’insieme delle specie viventi. Considerando il rapporto tra una data specie e la sua specifica nicchia ecologica nei termini di una “sistema aperto”, interagente con la totalità del mondo naturale, viene ampliato il concetto di feedback, introducendo il principio del feedback positivo (cfr. in cap. 5 §2), della retroazione “attiva”, costruttiva, che crea nuova organizzazione all’interno del sistema: un modello significativo per concretiz-zare l’idea di una causalità circolare, capace di comprendere in sé anche l’idea di progresso evolutivo (Fig.14).

10.3 Informazione come interpretazione Gli studi cibernetici pongono in evidenza come la conoscenza non possa essere intesa quale “rappresentazione” del mondo esterno, poiché l’informazione su cui ogni organismo vivente basa la propria azione deriva da un complicato sistema di retroazioni, mediante le quali è l’organismo stesso a “costrui-re” la propria esperienza.

Questo cambiamento di prospettiva conduce a una com-plessiva reinterpretazione del rapporto tra “soggetto”, che agisce sull’ambiente esterno in base a uno scopo, e “mondo”, che condiziona l’azione del soggetto. Nel concepire l’essenza del reale non è quindi possibile fare appello alla convinzione (più immediata e comune) propria del cosiddetto “realismo ingenuo”, la quale ci indurrebbe a sostenere semplicemen-te che il mondo reale è tutto quanto esiste fuori di noi, perce-pibile attraverso i nostri sensi e in grado di determinare le nostre “risposte”, ovvero le nostre azioni. [back] In base ai principi della cibernetica è difficile pensare che i dati percettivi rispecchino in modo ‘neutro’ e ‘oggettivo’ caratteri specifici del

166 ALBERTA REBAGLIA mondo esterno; essi contribuiscono, piuttosto, a tracciarne costruttivamente i contorni. Scrive il fisico e ingegnere au-striaco Heinz von Foester, figura eminente degli studi ciberne-tici: « Il mondo così com’è diventa allora il mondo su cui si può operare», (von Foester, 1985, p.115).

Esito di queste riflessioni è, dunque, una prospettiva con-cettuale in molti aspetti positivamente consonante con il percorso di pensiero che abbiamo visto caratterizzare il progressivo allontanamento dalle tesi illuministe e positiviste; prospettiva che, conseguentemente, risulta essere assai lontana dall’ambito della filosofia tradizionale, in cui l’ente –in quanto sostanza materiale– è stato inteso come assolutamente indipendente dal pensiero, dall’attività –immateriale– del soggetto. In epoca antica, ciò che è presente dinanzi a noi costituiva quanto si manifesta, ossia “viene alla luce” ed è posto di fronte allo sguardo del soggetto. « Secondo Platone, [le cose] debbono il loro apparire ad una luce », osserva Martin Heidegger (cfr. Scheda 19), un grande pensatore del Novecento che riprende, e rielabora, molte delle tematiche con cui Nietzsche propone un superamento di quella visione del mondo, da lui definita “metafisica”, che a partire dalle rifles-sioni platoniche si dipana lungo tutta l’età moderna.

Nella prospettiva filosofica delineata da Platone, in effetti, gli enti mostrano allo sguardo di chi li osserva l’immagine, un po’ sbiadita, impressa sulla materia dalla vivida “luce” del mondo delle Idee, delle essenze immutabili [7]. Nel contesto della scienza moderna, questa concezione platonica viene riletta e trasformata ma non abbandonata; poiché, seppure il compito del filosofo della natura non sia semplicemente quello di registrare ciò che risulta visibile in base alla “luce” proiettata dal mondo delle Idee, esso consiste comunque nell’accendere egli stesso, metaforicamente, la “lampada” del controllo sperimentale per poi indagare là dove essa illumina.

Per l’impostazione cibernetica, invece, nemmeno quest’ulti-ma analogia appare più adeguata: l’ente non risulta sempli-cemente “illuminato”, non sottostà passivamente al flusso di informazione (la “luce” intesa nel senso della scienza moderna)

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 167 che ne dovrebbe organizzare sistematicamente i caratteri; l’intreccio di permanenza e divenire, proprio di qualsiasi sistema fisico, come abbiamo visto può essere conservato e stabilizzato soltanto in un processo di retroazione dinamica con l’ambiente: di tipo ‘omeostatico’, tendente a rendere il sistema stabile, ottimizzando la corrispondenza tra il risultato effettivo di una data azione e l’esito auspicato, e di tipo ‘positi-vo’, volto a rendere il sistema flessibile, pronto a trasformare il proprio agire in risposta a quanto vi è di imprevedibile nel-l’ambiente esterno. Intendendo mantenere la tradizionale analogia della “luce” che consente la conoscenza, in questa nuova prospettiva essa scaturisce dall’instaurarsi della circo-larità ricorsiva (caratteristica del feedback positivo), che coinvolge in una continua interazione il soggetto –il quale progetta le proprie azioni articolando i significati linguistici che già gli appartengono– e l’ambiente –che costituisce l’insieme delle strutture stabili, le quali organizzano il flusso continuo delle informazioni.

In base a queste considerazioni si apre una possibile rilettu-ra della logica di “dominio” sulla natura, che passa attraverso una ridefinizione tanto del concetto di “dominio” –mutato in quello di “controllo” cibernetico– quanto della categoria stessa di “natura”. L’ambiente esterno non è inteso come un insieme neutro di enti ed eventi che sono “così come sono”, indipen-dentemente dall’intervento su di essi del sistema cibernetico; e questo poiché l’azione tendente a instaurare un controllo della situazione ambientale percepisce sempre gli oggetti nell’ambito di una ispezione ambientale preliminarmente connotata dagli obiettivi da perseguire, nella quale gli enti si mostrano quali “mezzi” che possono, o meno, venire utilizzati.

Le conseguenze filosofiche maggiormente pregnanti di que-sto inedito modo di intendere il rapporto tra soggetto e mondo (tutto improntato a far emergere la circolarità dell’interazione tra il soggetto, inteso quale sistema cibernetico che definisce la propria esistenza solo in riferimento al suo agire nell’am-biente, e il mondo-ambiente in cui esso agisce, il quale –per quanto gli è dato conoscere– è la manifestazione dei suoi

168 ALBERTA REBAGLIA stessi progetti) sono desumibili ripercorrendo, innanzi tutto, quanto è stato evidenziato proprio da Heidegger –il quale, come abbiamo sottolineato, prosegue la critica iniziata da Nietzsche nei confronti di illuminismo e positivismo e, come vedremo, si occupa (seppure brevemente) delle implicazioni filosofiche della cibernetica.

Già nel 1927, in Essere e tempo, volume che ha esercitato una duratura influenza sulla filosofia successiva, Heidegger –giunto a constatare la crisi dell’idea tradizionale di “dominio” su una “natura” intesa come somma di enti “semplicemente presenti” di fronte a noi– sottolineava l’importanza di un pensiero circolare: la nostra comprensione del mondo emerge dal confronto tra il “progetto” –che apre delle possibilità per il nostro essere nel mondo (e che siamo in grado di formulare solo in quanto abbiamo già un’idea preliminare di cosa il mondo sia)– e la sua attuazione (attraverso quella che Heidegger definisce la “visione ambientale preveggente”, la quale ci mette in contatto con gli oggetti rendendo esplicita la loro “utilizzabilità”, così che questo loro carattere è ciò che noi veniamo a percepire e che confrontiamo con il nostro progetto iniziale). Ne è un esempio pratico: non percepiamo il martello che sta di fronte a noi come una struttura di ferro e di legno, a meno che non partiamo già, preliminarmente, da un “proget-to” genericamente ‘scientifico’ di analisi delle sue componenti materiali; in altri casi, sottolinea Heidegger, lo percepiremo immediatamente come uno strumento sufficientemente pesan-te per conficcare nel muro un chiodo, o per compiere qualsiasi altra azione sia alla base del nostro progetto (cfr. ancora la Scheda 19).

Queste considerazioni, sviluppate da Heidegger in Essere e tempo, preludono alle valutazioni sulla tecnologia, e in partico-lare sulla cibernetica, svolte nella seconda fase del suo pensie-ro. Essendo strettamente legata al sapere scientifico, la tecnologia tende a progettare congegni seguendo una metodo-logia che richiede di sostituire la “visione ambientale preveg-gente” (tipica dell’agire pratico e del modo quotidiano di rapportarsi agli oggetti) con quella procedura idealizzata e

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 169 astratta che (si è puntualizzato nei capitoli iniziali) per ottene-re una rigorosa oggettività isola il suo oggetto di indagine. Tale operazione, evidenzia Heidegger, spezza il sistema di rimandi che legano ogni ente ed evento al resto del mondo naturale; e il carattere strumentale di qualsiasi creazione appartenente (prima) alla tecnica artigianale e (poi) alla tecnologia industriale fa dell’agire tecnologico il momento culminante dell’intero percorso scientifico dell’Occidente, volto a dominare la natura.

In questa prospettiva l’elaborazione della cibernetica rap-presenta, per Heidegger, una rivoluzione soprattutto concet-tuale. La rete delle relazioni che consentono il passaggio di informazioni e il controllo di processi e dinamiche all’interno di un sistema fisico –rappresentando un circuito, in cui avviene un continuo processo di feedback– introduce uno schema di pensiero che non è compatibile con la struttura verticale suggerita dalla logica tradizionale di ‘dominio’ del soggetto sulla natura.

Il nuovo orizzonte che si apre alla riflessione può essere meglio compreso, secondo Heidegger, riesaminando l’analogia sulla “luce” e valutando il modo in cui la cibernetica trasforma l’idea di “luce” proiettata dall’indagine sperimentale. In alcuni dei suoi ultimi scritti, e in particolare nel testo di una confe-renza da lui tenuta sulla cibernetica (cfr. ancora la Scheda 19), Heidegger suggerisce il concetto di “radura” per delinea-re la dinamica cognitiva che coinvolge soggetto e oggetto. Quando è intesa come “radura”, la “luce” non si può ritenere venga ‘accesa’ dal soggetto (come, schematizzando, propone la scienza sperimentale galileiano-newtoniana), né emani dagli oggetti stessi (come, altrettanto schematicamente, suggerisce il platonismo). « La presenza di ciò che è presente non ha [..] alcun rapporto con la luce nel senso del chiarore. La presenza è invece assegnata al diradarsi. [.. ] La radura c’è anche di notte. Ciò significa: in questo punto il bosco può essere attraversato » (cfr. ancora la Scheda 19). Queste affermazioni evidenziano, principalmente, che i caratteri da noi attribuiti al mondo esterno non appartengono, propriamente, né al “sog-

170 ALBERTA REBAGLIA getto” né all’ “oggetto”, ma emergono là dove è possibile l’instaurarsi di un flusso continuo, e retroattivamente ricorsi-vo, di informazione: «in questo punto il bosco può essere attraversato», ovvero vi si può rimuovere quanto ostacola la conoscenza.

In questi termini, il soggetto non ‘domina’ la situazione ma ‘governa’ il manifestarsi dell’evento, rendendolo possibile: non vi è (più) l’ idea di una fondazione ultima del conoscere basata sull’individuazione di caratteri sostanziali –veri e oggettivi– delle cose, tipica della prospettiva tradizionale. Inoltre, la radura è ‘luminosità’, più che vera e propria luce; essa è dunque una mezza luce che ricorda il meriggio di cui parla Nietzsche (cfr. ancora la Scheda 9), e possiede lo stesso significato di abbandono di concetti assoluti come guida sicura per il pensiero.

La luce fioca, il chiarore diffuso che illumina appena –costitutivo della radura– non può rappresentare una guida per il viandante, e tuttavia ciò che garantisce la possibilità di incedere è l’esistenza stessa della radura: il fatto che l’intrico dei rami, in quel punto, non sia troppo fitto. Uscendo dalla metafora, secondo Heidegger la riflessione legata alla cibernetica indica come la struttura circolare del conoscere “alleggerisca” le pretese ontologiche, rispetto all’impostazione gnoseologica tradizionale: i termini linguistici, con i quali cerchiamo di articolare i nostri pensieri, non sono più neces-sariamente vincolati a un intrico di “referenti” che li ancorano a “sostanze” oggettive, perenni e del tutto indipendenti dal soggetto che cerca di conoscerle.

10.4 “Adoperare“ il mondo In base a quanto si è detto, la situazione del “comprendere” (descritta da Heidegger), concernente il soggetto umano, risulta analoga a quella del “computare” (ovvero, consideran-done l’etimo, del “mettere insieme”, del “correlare”) che è tipica

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 171 dei sistemi cibernetici. In entrambi i casi emerge come il processo conoscitivo manifesti una intrinseca circolarità (Fig.15), e come venga a delinearsi una profonda distanza rispetto all’impostazione del “realismo ingenuo” (cfr. in cap. 10 §3). Questo parallelo è del tutto evidente allorché si conside-ra l’interazione tra un sistema e il suo ambiente ponendosi in una prospettiva ‘interna’ al sistema stesso, senza introdurre nel ragionamento la figura di un eventuale osservatore ‘ester-no’ sia al sistema che sta agendo, sia all’ambiente su cui esso influisce (prospettiva, questa, nella quale siamo sempre, implicitamente, collocati in rapporto alla nostra specifica esistenza; e prospettiva a cui fa dunque riferimento la filosofia esistenzialista di Heidegger). Come puntualizza von Foester, non si opera mai su un mondo “là fuori”, ma sempre sugli stati interni del sistema:

E’ chiaro [..] che [il sistema] appare operare su di un mondo a esso esterno soltanto agli occhi di un osservatore esterno che guarda questo [sistema]. Al contrario [esso] non ha alcuna possibilità di ‘uscire da se stesso’ : tutto ciò che può ‘conosce-re’ sono i cambiamenti delle sue sensazioni che esso in parte può controllare attraverso la propria attività motoria (von Foerster, 1985, op.cit., p.115).

E inoltre: « L’ambiente come noi lo percepiamo è una nostra invenzione » (von Foester, 1973, p.38, in corsivo nel testo). Ogni sistema biologico, nell’agire sul “mondo esterno”, in ultima analisi agisce su se stesso, autoorganizzandosi: di fatto, esso controlla il proprio comportamento complesso grazie all’emergere di una certa stabilità strutturale. E’ quanto von Foerster esprime, traslando il concetto cibernetico di omeostasi (ovvero di “retroazione negativa”) nel suo « postu-lato di omeostasi cognitiva» secondo cui « il sistema nervoso è organizzato (e organizza se stesso) in modo da elaborare una realtà stabile» (1973, p.53). Il processo dinamico che viene instaurandosi è una continua rielaborazione, ricorsiva, di simboli e procedure, attraverso cui emergono progressivamen-te quelle strutture stabili che usualmente denominiamo

172 ALBERTA REBAGLIA “oggetti” e “significati” : i primi non sono, dunque, entità “in sé” ; e i secondi non rispecchiano una realtà che esista “là fuori”. L’« organismo non ha alcuna possibilità di “uscire da se stesso” : tutto ciò che può “conoscere" sono i cambiamenti delle sue sensazioni » (1985, p.115).

Fig.15. Confronto tra il modo in cui la cibernetica (secondo quanto espresso da von Foester) e l’esistenzialismo (nella riflessione di Heidegger) intendono il rapporto tra un sistema fisico e il suo ambiente.

Il costruttivismo è l’impostazione di pensiero in cui viene elaborata –tematicamente e in base a molteplici angolazioni prospettiche– questa convinzione, secondo la quale la realtà è costruita, inventata dal soggetto, e non da lui semplicemente scoperta e passivamente registrata. Come precisa Ernst von Glasersfeld (von Glasersfeld, 1985, cfr. Scheda 20) –psicologo e filosofo che ha rivestito un ruolo importante nel delineare le basi epistemologiche della cibernetica– tale corrente di pensie-

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 173 ro trae le proprie radici storiche non solo dagli studi di ciber-netica degli anni Quaranta del secolo scorso, ma anche dalla psicologia di Piaget e nell’operazionismo (fondato da Percy Bridgman, cfr. in cap. 9 §2, e proseguito dalla Scuola italiana di Silvio Ceccato [8]). [back]

Poiché ciò che possiamo apprendere dal mondo esterno consiste in un insieme di informazioni continuamente elabora-te in base a un processo circolare di retroazione, soltanto gli stimoli percettivi costituiscono gli input ai quali qualsiasi sistema, considerato in termini cibernetici, può reagire; giacché essi rappresentano la sola informazione in suo pos-sesso. E, inoltre, la percezione non “rispecchia” strutture obiettive e indipendenti dal sistema nervoso (come già abbia-mo sottolineato ricordando le origini della psicologia struttura-lista negli studi sulle forme gestaltiche ). Queste tesi sono state, in parte, elaborate dallo psicologo svizzero Jean Piaget nella prima metà del Novecento (sviluppando temi mutuati dalla psicologia della Gestalt, che sarebbero divenuti caratteri-stici della corrente filosofica dello strutturalismo) [9]; e il movimento del “cognitivismo”[10], che trae origine anche dalla sua eredità intellettuale, considera la percezione il prodotto di una costruzione mentale di informazioni presenti nella stimo-lazione ambientale. Le sensazioni percettive non individuano uno “stato di cose” neutro, che circoscriva un ambiente da rappresentare, quanto piuttosto costituiscono il segnale di un processo in atto, il quale coinvolge la struttura che sta dina-micamente evolvendo e ne sollecita le capacità adattive : esse pongono in atto una “costruzione” del reale, ottenuta attraver-so l’elaborazione di “materiale” esclusivamente “interno”.

Dall’operazionismo, inoltre, il costruttivismo desume la necessità di individuare le specifiche operazioni sottese alla creazione dei contenuti di pensiero, ossia dei significati delle espressioni linguistiche: anziché formulare la tradizionale richiesta filosofica di chiarire come la mente umana possa ottenere una conoscenza “vera” degli oggetti empirci, l’operazionismo (come lo strumentalismo e il pragmatismo, ai quali è, per molti aspetti, affine) induce a domandare cosa la

174 ALBERTA REBAGLIA mente debba fare per ottenere dei “fatti” sui quali poter fare affidamento (« invece di creare una categoria che possa venir definita come una specifica sequenza di sensazioni si crea una categoria che può esser definita soltanto come una specifica sequenza di operazioni», asserisce von Glasersfeld, cfr. ancora la Scheda 20).

In base a questo cambiamento epistemologico, von Glasersfeld elabora il principio che egli denomina di “viabilità” (dal termine inglese viable : adoperabile, percorribile), che rap-presenta una trasformazione dell’idea darwiniana della sele-zione naturale; trasformazione che modifica anche, notevol-mente, la concezione di “progresso” a essa sottesa. Si tratta, per von Glasersfeld, di enunciare un principio di “selezione negativa”: occorre eliminare ciò che non serve o non funziona; quanto rimane è da considerarsi “adatto” alla nostra sopravvi-venza e alle nostre esigenze cognitive (rinunciando, in tal modo, all’ipotetico –metafisico– nesso conoscitivo con una “realtà” indipendente dall’organismo; il quale, invece, costrui-sce le proprie concezioni intellettuali quali “utensili” per il proprio adattamento vitale). « Il fiume si forma ovunque il pae-saggio consenta all’acqua di scorrere», spiega von Glasersfeld con una chiarificante analogia (cfr. ancora la Scheda). [back]

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 175 Capitolo 11

Contestualizzazione di fatti e artefatti 11.1 Costruire la realtà Per ogni sistema vivente, come si è detto, l’adattamento biolo-gico fa affidamento sulle capacità cognitive dell’organismo, e ciò è vero a maggior ragione per l’uomo –il quale sopravvive, anzitutto, servendosi tanto delle teorie che egli formula sugli enti naturali quanto degli oggetti artificiali che produce in base a esse. Scrive Karl Raimund Popper:

La teoria dell’evoluzione spiega l’adattamento come il risultato di una storia di molti piccoli miglioramenti, proprio come –po-niamo– la struttura delle nostre biciclette o delle automobili o delle macchine per scrivere o degli orologi può venire spiegata come il risultato di molti (comparativamente) piccoli migliora-menti. E possiamo spingere anche un po’ più in là l’analogia con i miglioramenti delle nostre macchine. Per migliorare le nostre macchine, noi procediamo per tentativi sperimentali e per eliminazione degli errori. [..] Nel caso degli organismi, le varianti, chiamate mutazioni, [corrispondono] ai nostri tentati-vi sperimentali di migliorare le nostre macchine. Al nostro rifiuto o eliminazione dei tentativi negativi (o erronei) nel caso delle nostre macchine, corrisponde in natura l’azione delle condizioni ambientali che riducono la frequenza delle mutazio-ni sfavorevoli uccidendone i portatori (Popper, 1983 a, pp.11-12).

176 ALBERTA REBAGLIA

E secondo l’epistemologo austriaco (come già abbiamo os-servato) la critica razionale svolge un ruolo analogo a quello giocato dalla selezione naturale:

Tutti gli organismi sono dei solutori di problemi, anche quegli organismi che sono le piante, non solo gli animali. [..] quel che è decisivo è che noi possiamo lasciar morire le nostre teorie al posto nostro, poiché le possiamo criticare, e che quindi la selezione naturale, che altrimenti ci avrebbe soppressi, sop-prima al posto nostro semplicemente le teorie (Popper, 1983 b, p.121). [back]

Tuttavia, la nostra capacità di formulare teorie e progettare dispositivi –risulta ora chiaro– non opera facendo corrisponde-re sensazioni percettive interne e caratteri ambientali esterni (secondo quella che è l’ipotesi tradizionalmente accreditata). E perciò, sottolinea Watzlawick,

Il costruttivismo non crea né “spiega” una qualche realtà “esterna”, ma mostra che non esistono un interno e un ester-no, che non esiste un mondo di oggetti che stanno di fronte a un soggetto. Esso mostra piuttosto che la divisione soggetto-oggetto, sulla cui ipotesi si fondano miriadi di “realtà”, non esiste; che l’apparente divisione del mondo in coppie di opposti non esiste e che i paradossi aprono la strada all’autonomia (1981, op.cit., pp.9 e 277).

Ricordando ancora l’immagine proposta da Ernst von Glasersfeld, che fa riferimento a una rotta priva di collisioni ma altrettanto priva di informazioni su una (ipotetica) “realtà esterna” (cfr. in cap.10 §4), dobbiamo sottolineare come ogni sistema complesso delinei vie “agibili” per la sua sopravviven-za costruendo una realtà stabile, che non “entri in collisione” con i vincoli percettivi che rappresentano i dati di partenza del suo sviluppo evolutivo.

Peraltro, abbiamo visto, non esistono esperimenti effettiva-mente “cruciali”: ogni falla che, eventualmente, venga ad aprirsi nel “vascello” della scienza può sempre essere riparata, sia essa stata provocata dall’impatto con una “roccia” (un fatto

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 177 empirico, un’anomalia sperimentale), oppure dovuta a un cedimento interno (qualche necessità di “rinegoziare” gli assiomi, come nel caso della dimostrazione del teorema di Eulero, cfr. cap.7 nota [11]). Lo “scafo” (la teoria scientifica) può sempre, d’altronde, essere abbandonato volontariamente dalla comunità scientifica, e ciò accade effettivamente nel momento in cui sia stata costruita una più confortevole “scialuppa” teorica per ospitare l’equipaggio. Qualsiasi conoscenza è “creata”, “inventata” e “costruita” dall’osserva-tore: le leggi scientifiche non descrivono le proprietà di feno-meni “oggettivamente” esistenti e semplicemente “osservati” in modo neutrale; esse non sono “rinvenute” da acuti indagatori della natura, poiché non corrispondono a una realtà esterna ma emergono dal processo conoscitivo di adattamento alle informazioni che provengono da un’indagine sperimentale sempre “carica di teoria”, sempre interna a un dato “paradigma”[1].

Sviluppato seguendo i principi della cibernetica, questo nodo metodologico può risultare utile nell’affinare la compren-sione della dinamica che nella “tecnoscienza” correla gli “attori” a essa ritenuti interni (gli individui e le strutture scientifiche e industriali che progettano, producono, diffondo-no e controllano un determinato prodotto, come pure i gruppi di enti –fisici o artificiali– e di forze –naturali o astratte– che rendono possibile perseguire gli obiettivi prefissati) con il “contesto” a essa giudicato esterno (l’insieme degli interessi economici e sociali, nonché le consuetudini, le procedure, le istituzioni su cui il prodotto dovrà esercitare il proprio impat-to) [2]. Dinamica dalla quale scaturisce la possibilità di una utilizzazione “mirata” dell’invenzione scientifica e di uno sviluppo “programmato” dell’innovazione tecnologica. Il rap-porto tra invenzione scientifica e innovazione tecnologica non è, infatti, adeguatamente circoscrivibile entro una dinamica lineare di causa-effetto:

i processi di innovazione non sono né lineari né causali e sono meglio modellizzabili come processi interattivi, in cui vi è

178 ALBERTA REBAGLIA

un’ampia dinamica di coevoluzione tra sistemi scientifici, tec-nologici e sociali, dove le cause e gli effetti sono spesso difficili da distinguere [Smits, 2002, p.866] [3].

Creatività e capacità innovativa, alla base di ogni strategia di ricerca tecnologico-scientifica, trovano il loro motivo propul-sore originario nella necessità di gestire informazioni e cono-scenza, offrendo risposte adattive agli stimoli provenienti dall’ambiente sociale, culturale, economico nel quale l’impre-sa tecnologica si sviluppa. Catalogare attivamente le informa-zioni derivanti dal contesto esterno all’impresa tecnologico-scientifico-industriale equivale a rispondere alle esigenze di mercato con un processo di innovazione che nella ricerca industriale viene identificato come market pull. Mentre l’attenzione all’incremento delle conoscenze e la pianificazione della loro applicazione tecnologica in termini di prodotti o servizi può influire sugli orientamenti del mercato, o dare origine a esigenze del tutto nuove e impreviste, mediante un processo di innovazione definito technology push. Le risposte adattive dell’impresa sono condizionate da un’azione di autocontrollo basata sul continuo confronto con il contesto (Fig.16). Per l’impresa tecnologico–scientifico–industriale, conoscere il proprio ambiente e adattarsi a esso significa rispondere attivamente ai vincoli da esso stesso imposti, modificandolo in base a un processo ricorsivo.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 179

Fig. 16. Modello dei principali meccanismi che generano l’innovazione tecnologica elaborato dall’Istituto di Tecnologie Industriali e Automazione ITIA-CNR

11.2 La nuova logica del processo produttivo Nella seconda metà del XX secolo, la cibernetica –scienza atipicamente interdisciplinare [4] – introduce l’elemento centra-le della propria costruzione formale, ovvero il principio di retroazione (la cui formulazione è evidentemente consonante con il clima culturale nel quale il pensiero acquisisce esplicite modalità circolari di riflessione), come struttura metodologica

180 ALBERTA REBAGLIA portante nei programmi di indagine di molteplici settori dell’impresa scientifica e tecnologica.

Anche nel settore industriale si sono rapidamente estese tecniche di automazione basate sulla retroazione, trasforman-do con particolare efficacia le dinamiche che caratterizzano il mondo della produzione e, soprattutto, la struttura di organiz-zazione e di gestione del sistema produttivo. Nell’industria manifatturiera si assiste, in effetti, a una sempre maggiore integrazione di meccanica, elettronica e informatica, e negli ultimi decenni, calcolatori rapidi (con grande capacità di memoria) e poco costosi stanno guidando i processi di produ-zione, rendendo possibile raccogliere informazioni, trattarle e trasmetterle in tempi rapidi. Le nuove industrie, altamente robotizzate, richiedono ovviamente un’organizzazione interna totalmente diversa rispetto alla precedente (dettata dai metodi del taylorismo), poiché differenti divengono i criteri che deter-minano le condizioni di ‘efficienza’ della produzione. In quella che viene intesa come una ‘terza fase’ della rivoluzione indu-striale occorre, infatti, tenere nella giusta considerazione –oltre alle problematiche legate alle risorse– le esigenze di interscambio di informazione e di conoscenza connesse all’introduzione dei principi della cibernetica.

Nel gestire la crescita di una così complessa organizzazione, le tradizionali, consuete regole metodologiche (che abbiamo visto guidare la scienza moderna attraverso principi di induzione e deduzione, costantemente orientati da un’ideale di riduzione alla massima semplicità) divengono difficilmente usufruibili, e peraltro non sufficientemente affidabili. Mentre si rivela sempre maggiormente necessario prospettare principi metodologici nuovi; puntualizzare nuove strategie di pensiero.

Elaborare una riflessione che sappia affrontare la comples-sità del reale significa cogliere, e spiegare, l’ordine presente in un sistema –ovvero gli aspetti di regolarità e di organizza-zione che lo caratterizzano– vedendone la profonda connessio-ne con la presenza in esso di aleatorietà, la quale non rappre-senta il semplice irrompere di un caso “cieco” (negazione di ogni possibilità di categorizzazione razionale e di previsione),

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 181 ma può costituire l’incerta fluttuazione che consente l’emerge-re di novità positive. Da questa consapevolezza di fondo prende avvio la riflessione di Edgar Morin –titolare di una cattedra itinerante dell’Unesco per il “pensiero complesso”.

La prima nozione che Morin vede profilarsi in questo nuovo orizzonte viene da lui stesso così riassunta:

non c’è oggetto se non in relazione ad un soggetto (che osserva, isola, definisce, pensa), e non c’è soggetto se non in relazione a un ambiente circostante oggettivo (che gli consente di ricono-scersi, definirsi, pensarsi, ecc., ma anche di esistere ) (Morin, 1990a, p.39).

E questo, egli sostiene, vale per i singoli esseri viventi come per le organizzazioni sociali e per le imprese tecnologico–scientifico–industriali.

Un secondo concetto significativo, che Morin individua co-me conseguenza di quello appena enunciato, consiste nella possibilità di affermare come sia «nelle interazioni e a causa di esse che vengono a costituirsi le determinazioni organizzative proprie alle strutture di questo o quel sistema [..]: come dire che esse non esistono al di fuori di quelle organizzazioni » (Morin, 1990b, p.67).

Per potersi inoltrare agevolmente in questo orizzonte di complessità, Morin enuncia sette principi metodologici: il “principio sistemico” –secondo cui non è possibile conoscere il tutto se non mediante la conoscenza delle parti, e non è possibile conoscere le parti se non come aspetti del tutto (nodo centrale delle teorie dell’interpretazione e della filosofia ermeneutica); il “principio ologrammatico” –il quale induce a considerare come non solo le parti siano aspetti del tutto, ma come in ciascuna di esse sia già inscritta la totalità nella sua interezza; l’ “anello retroattivo” –che espone l’essenza del feedback cibernetico, secondo cui l’effetto agisce, a sua volta, sulla causa; l’ “anello ricorsivo” –che esplicita come in tal modo l’effetto divenga causa, così come il produttore è anche il consumatore di ciò che egli produce; il “principio di auto-eco-organizzazione” –che chiarisce come l’organizzazione struttu-

182 ALBERTA REBAGLIA rale in primo luogo degli organismi viventi, e quindi per estensione di tutti i sistemi complessi, sia inseparabilmente legata alla loro dipendenza dall’ambiente in cui si trovano collocati; il “principio dialogico” –il quale conferisce un carat-tere positivo e costruttivo alla diallele: il ragionamento che in logica corrisponde a « una definizione tautologica, una defini-zione che contiene la parola definita, la definizione di un termine attraverso un altro che è esso stesso definito per mezzo del primo; definizione circolare », come scrive Peirce compilando la voce per il dizionario Century [5], ma non negativa, e che consente di trattare razionalmente l’associazione di nozioni contraddittorie (passo concettuale essenziale per poter concepire un fenomeno complesso); e, infine, il “principio di reintroduzione del soggetto conoscente in ogni conoscenza prodotta” –poiché essa è sempre una costruzione del soggetto, e non la scoperta, neutra e oggettiva, di una realtà indipendente.

Percorrere la via della complessità, mediante questa nuova impostazione metodologica, rende possibile anche una più chiara comprensione dei meccanismi dinamici che regolano l’impresa tecnologico–scientifico–industriale. Si desume, infat-ti, come essa rappresenti effettivamente un sistema di parti interrelate, il quale si auto–organizza entro un ambiente esterno a sua volta organizzato e complesso: il “mercato”.

Il metodo della complessità può dunque rivelarsi utile nell’approfondire, nel comprendere in modo più articolato, quanto fin qui abbiamo chiarito a proposito dei meccanismi concettuali che influiscono direttamente sulle modalità dell’in-novazione tecnologica e della realizzazione di progetti di ricerca industriale.

Un limite insito nel taylorismo, che ne decreta l’inappli-cabilità nell’ambito di un’impresa industriale organizzata nei termini di un sistema complesso, è rappresentato dal suo appello a una razionalità scientifica di tipo tradizionale, che conduce a programmare ogni intervento in ciascun segmento della produzione, strutturando in modo rigido i compiti asse-gnati a ogni addetto. Sottolinea Morin: « una strategia, per

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 183 essere condotta da un’organizzazione, richiede [..] che l’orga-nizzazione non sia concepita per obbedire a una programma-zione, ma possa operare con degli elementi capaci di contri-buire all’elaborazione e allo sviluppo della strategia » (ivi). Il nuovo sistema produttivo non può dunque essere organizzato in funzioni rigidamente articolate e di cui (tendenzialmente) una sola persona possiede una visione globale, ma deve venire impostato su un decentramento delle responsabilità, che coinvolga tutte le risorse umane dell’azienda. Si tratta quindi di operare mediante una “gestione a vista”, la quale possa inquadrare i problemi che si presentano nel processo di produzione e procedere per priorità, individuando i (pochi) fattori effettivamente importanti.

All’impresa è dunque richiesto di essere flessibile , in modo tale che le funzioni –non rigide– dei nuovi sistemi di produzio-ne (nei quali è effettivamente presente una sempre maggiore integrazione di meccanica, elettronica e informatica) possano venire facilmente riconfigurate e adattate a obiettivi via via modificati, e la loro affidabilità e precisione –unita a un’auto-mazione impostata sul principio di retroazione– permetta di correggere eventuali difetti presenti in una certa fase di lavorazione, senza rendere necessario interrompere la produ-zione. Le dinamiche complesse che interessano l’orga-nizzazione industriale ne sollecitano, altresì, un assetto integrato, nel quale le diverse unità produttive siano fra loro correlate non in modo lineare ma in una struttura a rete .

Data la richiesta agilità nella produzione, la presenza di troppe scorte a magazzino potrebbe essere d’impaccio a quello che costituisce l’autentico obiettivo che la nuova impresa industriale persegue, ovvero adattarsi il più rapidamente pos-sibile all’evoluzione delle esigenze di mercato. Per tale motivo, negli ultimi decenni le strutture manifatturiere si vengono organizzando in base a un sistema di produzione “Just in Time” o “Stokless Production”, secondo una terminologia alternativa con cui è stato designato il sistema (‘senza scorte’, se considerato dal punto di vista del produttore; e atto ad arrivare sul mercato ‘appena in tempo’ per soddisfare la

184 ALBERTA REBAGLIA domanda, se considerato dal punto di vista –speculare– del consumatore, come sottointeso dalla prima denominazione)[ 6].

La nuova modalità di produzione industriale costituisce una testimonianza significativa, che rende evidente sia l’ineludibile eredità lasciata dal positivismo al pensiero contemporaneo, sia la trasformazione profonda e irreversibile da essa subita. Se, infatti, è presupposto comune e indiscusso che il metodo scientifico debba venire applicato ai problemi di innovazione tecnologica e di organizzazione manageriale con l’obiettivo di prevedere le dinamiche future di impresa e mercato (con un’impostazione di pensiero che, si è visto, Comte ha reso familiare), considerando l’impresa industriale un sistema complesso viene abbandonata una gestione condotta facendo riferimento a leggi atemporali e invarianti (come ancora era lo schema tayloristico dell’accelerazione della produzione), e si riprende, ampliandolo, un motivo di dissenso con gli ideali di illuminismo e positivismo già introdotto da Marx allorché negava che « le leggi generali della vita economica sono uniche e sempre le stesse; ed è del tutto indifferente se si applicano al presente o al passato. [..] Per lui tali leggi astratte non esisto-no [..] Per lui ogni periodo storico ha le sue leggi proprie » (recensione de Il Capitale nel “Messaggero europeo” di Pietro-burgo, maggio 1872, citata da Marx nel poscritto alla seconda edizione del libro I de Il Capitale, 1875).

Innovare incrementalmente la produzione tanto nella tipolo-gia dei beni offerti quanto nelle tecniche di lavorazione –in un processo di innovazione di tipo continuo, che affianchi (piutto-sto infrequenti) invenzioni improvvise e radicali– richiede la massima efficacia nel gestire informazione e conoscenza. Il processo decisionale riguardante oggetti e modalità di produ-zione necessita, perciò, di un bagaglio di cognizioni duttile, ampio, interrelato, capace di valutare differentemente effetti di breve termine e di lungo periodo, rivolto alla fase della proget-tazione tecnologica (in cui sono indispensabili studi multidi-sciplinari) nonché a quella della gestione del mercato (dove la flessibilità richiede di reperire velocemente le informazioni e le nozioni necessarie a progettare nuove strategie) [Fig.17].

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 185

La disponibilità di conoscenze, richiesta dalle nuove modali-tà della produzione industriale, rende necessario che l’indu-stria sia in costante interazione (innescando, dunque, molte-plici processi di retroazione) non soltanto con il mercato ma, parimenti, con quelle istituzioni nelle quali si conducono progetti di ricerca avanzata. Queste interazioni non sono certo adeguatamente modellizzabili in base a un andamento lineare di causa-effetto; e la natura reticolare della connes-sione è tanto più evidente se si considera la struttura che pone in relazione le diverse unità produttive componenti quella che, già dalle prime fasi storiche della rivoluzione industriale, si è configurata come filiera di una determinata

Fig.17. Nella nuova concezione della struttura d’impresa, pensata in base ai canoni della complessità e della retroazione ricorsiva, l’informazione fluisce continuamente all’interno dell’intero sistema, così da “governare” i processi in atto (tendendo a migliorarne la qualità e a prospettare trafor-mazioni innovative)

186 ALBERTA REBAGLIA Produzione [7]. Nel momento in cui l’elemento più rilevante che transita e viene elaborato all’interno della ‘filiera’ risulta essere il più immateriale dei prodotti, la conoscenza, la situa-zione pone in evidenza tutta la propria complessità, rendendo manifesta l’organizzazione circolare che la sorregge: la rapida sostituzione di un insieme di tecnologie con un complesso più idoneo –entro un punto qualsiasi della rete di imprese tra loro interrelate e correlate a istituti di ricerca e al mercato– è fortemente dipendente dai modi in cui viene organizzata la produzione in tutti gli altri ‘nodi’ del reticolato. In tale conte-sto, l’innovazione tecnologica non coincide soltanto con un trasferimento di conoscenze analogo al precedente passaggio di materiale di lavorazione lungo la filiera della produzione, bensì (come specifica Morin, cfr. Scheda 21) essa richiede, al fine di mantenere tutta la flessibilità necessaria, che la cono-scenza si accresca attraverso continui processi di retroazione.

11.3 La “tecnoscienza” come impresa complessa Nell’epoca contemporanea, il superamento della “Ragione” illuministica conduce dunque a una più duttile e arti-colata “ragione” argomentativa, che confida nel dialogo e si basa in modo costruttivo su controversie e negoziazioni. Proprio la (momentanea) risoluzione di una questione dibattu-ta nell’ambito dell’agire scientifico–tecnologico costituisce, infatti, secondo quanto si è visto, la causa di quella che viene considerata una “rappresentazione stabile della natura”. L’illusione che esista, semplicemente, un insieme di fatti che sono “là fuori”, nel mondo, e la cui presenza possa essere rilevata attraverso tecniche sperimentali che rendano possibile la “scoperta” scientifica, viene sostituita dalla nuova consape-volezza secondo cui i “fatti” sono sempre esito di un processo di costruzione; in tale prospettiva, difendere un programma di ricerca da eventuali “anomalie” riscontrate in sede di speri-mentazione comporta –per la comunità scientifica che in esso

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 187 si riconosce– il consolidarsi di una immagine durevole della natura.

Se rinsaldare convinzioni scientifiche, facendone autentici “paradigmi”, accresce la fiducia nei confronti di determinati apparati tecnologici, fare assegnamento su di essi conduce (oltre a indirizzare la produzione) a una complessiva stabilità del contesto di riferimento, ovvero della società nel suo insie-me. Questa stabilità, trasformando a sua volta l’articolata concentrazione di ricadute tecnologiche in un insieme consoli-dato di beni e prodotti di consumo che divengono affatto usuali, farà sì che tali tecnologie siano una presenza di riferi-mento, che non verrà facilmente rimessa in questione: nel-l’interazione tra il sistema complesso della produzione industriale e l’articolato contesto in cui esso opera si instaura un processo di retroazione ricorsiva, il quale conduce a una stabilità d’insieme che coinvolge anche la stessa produzione.

Prospettiva, questa, che riafferma e accentua quanto il per-corso fin qui tracciato ha posto in evidenza. Lo sforzo di ricerca che anima la “tecnoscienza” (il complesso sistema in cui sono assenti confini netti tra attività teoriche, sperimentali e applicative) è sempre –esplicitamente nella progettazione industriale o implicitamente là dove l’obiettivo originario consisterebbe nel rappresentare e nello spiegare fatti naturali– orientato alla costruzione collettiva di strutture artificiali.

Riorganizzata secondo questi schemi di pensiero la valuta-zione delle pratiche di laboratorio e delle attività di ricerca, anche l’idea ottocentesca di “progresso”, che ha accompagnato le grandi ‘scoperte’ scientifiche e l’avvio del periodo industria-le, subirà revisioni profonde. La circolarità, ora richiesta, risulta intrinseca a ogni sviluppo temporale, sempre –ricorsi-vamente– volto a interpretare, e in tal modo trasformare, informazioni e conoscenza. Evoluzione e divenire non risul-tano più affidabilmente descritti in base a leggi deterministi-che, quali regole dettate da una natura oggettiva ed esterna; e occorre valutarne le dinamiche in riferimento ai processi retroattivi, indispensabili affinché un sistema possa acquisire ed elaborare informazione. Di conseguenza, la struttura

188 ALBERTA REBAGLIA circolare è da considerarsi una caratteristica propria dell’inno-vazione e della crescita delle attività di ricerca e sviluppo, finalizzate all’ampliamento delle conoscenze interne a una data tradizione storica, linguistica, sociale di riferimento. Essa innesca un processo ricorsivo che influisce sul contesto globale e –modificandolo con i suoi esiti– dà origine a un differente orizzonte, il quale offrirà nuovi impulsi a quell’atti-vità di indagine che denominiamo “conoscenza”.

Come ha rilevato il filosofo della tecnologia statunitense Andrew Feenberg [8], la dimensione tecnologica può essere intesa quale esito del gioco continuo tra “attori” umani, dispositivi tecnici, sistemi teorici e variabili socialmente determinate e contestualizzanti:

L’ ”essenza” della tecnica nella sua concretezza, quale la incon-triamo in tutta la sua complessità, non è semplicemente orien-tata all’efficienza. I numerosi ruoli che essa gioca nella nostra vita non possono essere colti così facilmente. Questo è il mes-saggio dominante della sociologia costruttivista della tecnica, che afferma la specificità sociale e storica dei sistemi tecnici e considera la progettazione e l’uso della tecnologia dipendenti dalla cultura e dalle strategie di una varietà di attori tecnici. (Feenberg, 1999, pp.X-XI)

Nelle società contemporanee la tecnologia diviene l’ambiente della vita quotidiana [9], e –afferma ancora Feenberg– il mon-do tecnologico che abiteremo nel nostro futuro sarà esito di un’attività collettiva, pubblica, di discussione.

Rielaborando tematiche esposte intorno alla metà del XX secolo dal filosofo della tecnologia francese Gilbert Simondon, Feenberg mette quindi a fuoco un inedito criterio “costruttivi-sta” di “progresso” (cfr. Scheda 22), utilizzando quello che lo stesso Simondon aveva denominato principio di “concretizza-zione”[10]. Negata validità al tradizionale criterio di ‘verità’ inteso come ‘corrispondenza al reale’ e considerato quale unità di misura del progresso scientifico, potrebbe risultare oppor-tuno valutare la crescita dell’impresa tecnologica e scientifica in base a un semplice criterio pragmatico come quello

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 189 dell’efficacia pratica e dell’aumentata resa produttiva indotta dalle attività tecnologico–scientifiche. In tal caso, però, non si terrebbe nella necessaria considerazione quello che risulta essere, invece, l’insegnamento principale desumibile dall’itine-rario di pensiero che ha condotto all’elaborazione delle stesse tesi del costruttivismo; si trascurerebbe la continua, positiva retroazione tra impresa tecnologico–scientifico–industriale e contesto storico–sociale. Il principio di “concretizzazione” proposto da Simondon, e ripreso e sostenuto da Feenberg, valuta, di fatto, proprio quest’ultimo aspetto, misurando il grado di integrazione dei complessi sistemi “costruiti” dall’attività tecnologico–scientifico–industriale: tale criterio specifica quanto un determinato prodotto, esito dell’attività tecnoscientifica, abbia interagito con il suo contesto sociale, assorbendone le esigenze e imponendo a esso punti di vista innovativi (cfr. ancora la Scheda 22).

Nella prospettiva che viene in tal modo a delinearsi, la “tecnoscienza” non è considerabile quale semplice collezione di dispositivi tecnologici, di mezzi razionali di indagine, non-ché di beni e servizi soltanto ‘immessi’ sul mercato. Essa è un’impresa essenzialmente sociale, che non concerne unicamente la soddisfazione di necessità “naturali” di adattamento all’ambiente, ma riguarda, anzitutto, la determi-nazione e l’adempimento di esigenze “culturali” di adattamen-to all’ambiente artificiale che ci appartiene. E in questo orizzonte, considerata la complessa gamma di retroazioni che le trasformazioni tecnologico–scientifico–industriali pongono in atto entro un sistema che risulta essere “a risorse finite”, una delle aspettative di maggior peso che, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, stanno coinvolgendo le società tecnologicamente avanzate attiene alla sostenibilità delle innovazioni [11].

La consapevolezza circa l’importanza del ruolo svolto dall’integrazione tra funzionalità di un sistema tecnologico e contesto in cui esso si afferma rende evidente come tale caratteristica debba venire rispettata valutando la sostenibili-tà di quel dato sistema, mediante una considerazione che

190 ALBERTA REBAGLIA oltrepassi il semplice calcolo della disponibilità nel tempo delle risorse richieste, per coinvolgere, in una analisi integrata o molteplicemente interrelata [12], i temi della sua sostenibilità ecologica (che ne garantisca la compatibilità con i processi biologici) e della sua sostenibilità sociale (che ne consideri le basi etiche di equità e solidarietà).

Un modo ‘complesso’ di pensare. Esito della lunga via per-corsa nel tentativo di perseguire l’ideale illuministico di progresso come ‘emancipazione’, anzitutto utilizzando la ragione quale strumento per ‘chiarificare’ le leggi che regolano le dinamiche fisiche. Una via di trasformazioni profonde, di inquietudini e di audaci rivoluzioni intellettuali, che hanno ampiamente reinterpretato quell’ideale emancipativo, conse-gnandolo alla capacità di ‘governare’ una continua interazione tra naturale e artificiale, e affidandolo oggi alla nostra respon-sabilità.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 191

ESERCIZI

A risposta chiusa

1. Le tesi di Kuhn sulle “rivoluzioni” nella scienza conducono ad affermare che:

a) il modo stesso in cui uno scienziato vede il mondo è pla-

smato dalla sua appartenenza a un “paradigma” b) esistono asserti-base empirici, che scienziati con presup-

posti teorici differenti interpretano diversamente c) nei momenti di “crisi” l’attività scientifica si organizza

quale “soluzione di rompicapo” d) gli scienziati che adottano un nuovo “paradigma” sono in

grado di interpretare i dati precedentemente acquisiti attra-verso un riorientamento gestaltico che li ricolloca nel vecchio modo di pensare.

2. Gadamer afferma che il linguaggio è un mezzo in quanto esso costituisce:

a) lo strumento attraverso il quale possiamo individuare gli

enti b) il solo strumento attraverso il quale possiamo esprimere

anche la linguisticità della nostra esperienza del mondo c) la dimensione in cui siamo immersi, come l’aria è il mezzo

per la propagazione del suono d) ciò che consente di perseguire lo scopo del comunicare.

192 ALBERTA REBAGLIA

3. Secondo Heidegger, le cose sono anzitutto strumenti. Ciò significa che esse sono:

a) esistenti di per sé, e quindi utilizzate in base a specifiche

finalità b) utilizzabili in quanto rimandano ad altro da sé e sono

sempre inserite in un progetto c) singoli mezzi da adoperare considerandone ciascuno iso-

latamente d) prive di connessioni con l’orizzonte dei segni linguistici e

dei significati. 4. La conoscenza, secondo il “costruttivismo”:

a) è acquisita passivamente attraverso le percezioni sensibili b) deriva dalla scoperta di caratteri oggettivi della realtà c) proviene dalle informazioni ricevute dall’ambiente esterno d) è esito di un processo di adattamento all’ambiente.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 193

A risposta aperta

1. « Non c’è via d’uscita: o diciamo che i quark e gli dei sono egualmente reali, ma legati a circostanze differenti, oppure smet-tiamo completamente di parlare di cose reali. » Commentare brevemente questa affermazione di Feyerabend.

2. Cosa significa, e quali implicazioni concettuali ha, la convinzione

di Hacking secondo cui l’effetto individuato da Hall non è stato da lui scoperto, bensì creato?

3. In che modo, secondo Lovelock, biosfera e atmosfera -vivente e

non vivente- formano un tutto indissociabile e autocontrollato? 4. Con quali motivazioni il “costruttivismo” si allontana

dall’epistemologia tradizionale, la quale intende “rappresentare la realtà”?

5. Che cos’è il principio di “viabilità” elaborato da von Glasersfeld?

Quali differenze e quali eventuali affinità vi si possono riscontra-re rispetto ai principi di “economia” e di “falsificazione”?

6. Qual è la differenza, nella distinzione tracciata da Morin, tra

‘programmazione’ e ‘strategia’? 7. Perché il principio di “concretizzazione” può essere inteso come

criterio “costruttivista” di valutazione del “progresso” nella tec-noscienza?

194 ALBERTA REBAGLIA 8. Tracciare, sinteticamente, le tappe centrali delle trasformazioni

concettuali che hanno interessato i concetti di “ragione” e di “progresso” dall’Illuminismo a oggi.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 195 NOTE CAP. 1 [1] Nel IV secolo a.C. Aristotele ha elaborato una complessa costruzione filosofica la cui influenza sarà ancora profondis-sima nell’epoca rinascimentale, dove prende avvio il moderno pensiero scientifico. In particolare, ritenendo che soltanto individuando la causa del prodursi di un dato fenomeno se ne può conoscere effettivamente la natura, egli sottopose a un rigoroso esame tale concetto, distinguendone quattro tipologie (causa materiale, formale, efficiente, finale) e differenziando la ricerca delle “cause prime” (affidata alla teologia) da quella delle “cause seconde” (nella quale svolgono un ruolo centrale le scienze naturali). Medioevo e Rinascimento erediteranno, da questa impostazione, l’idea di far ricorso anche a cause finali nello studio dei fenomeni fisici; concezione che verrà respinta a partire dalla reimpostazione dell’indagine scientifica data da Galileo. ↑ [2] « Nelle Herbarum vere icones, splendidamente illustrate da Hans Weiditz, l’allievo di Dürer, e scritte da Otto Brunfels (1439-1534), uno dei padri della botanica tedesca, troviamo elencate 258 specie di piante. Le Icones di Brunfels sono del 1530. Meno di cent’anni più tardi, nel 1623, il natu-ralista svizzero Gaspar Bahuin, nel Pinax teatri botanici, elenca circa 6000 specie. John Ray [nel 1682] parlava di 18000 spe-cie» (Rossi, 1997, op.cit., pp.281-282). Questa crescente ricchezza di dati viene classificata in modo via via più efficace allorché si struttura un sistema gerarchico di gruppi, costi-tuenti sottoinsiemi di insiemi sempre più ampi. Assumendo quale esempio la Poa bulbosa, così denominata dal celebre botanico svedese Linneo (Carl von Linné, 1707-1778), si può constatare che il « nome di quella pianticella contiene –se

196 ALBERTA REBAGLIA conosciamo la struttura del sistema– una quantità davvero notevole di informazioni. Il sistema linneano è funzionale: la cosiddetta nomenclatura binomia comprende due parole: il nome del genere e un epiteto specifico che distingue la specie fra tutte le altre dello stesso genere, esattamente –afferma Linneo– come avviene per il cognome e il nome degli esseri umani. [..] Alla fine del Seicento un grande botanico france-se, Joseph Pitton de Tournefort (1656-1708), impiegava settanta parole e una figura per designare il geranio. Per designare la Poa bulbosa di Linneo impiegava quindici parole [..] In quelle settanta e in queste quindici parole c’è meno informazione di quanta non ce ne sia nelle due parole impie-gate da Linneo» (ivi, pp.273-275). ↑ [3] L’esempio che Bacone propone quale fruttuosa “vendem-mia” sperimentale –l’eliminazione di “luminosità” e “splendore” dall’elencazione delle cause del “calore” poiché l’osservazione ci conferma che anche la luna è luminosa e splendente, e tuttavia è fredda– risulta un’argomentazione che certo potreb-be difficilmente essere definita ‘scientifica’. ↑ [4] Secondo Aristotele, quattro elementi compongono tutti i corpi presenti sulla Terra, ossia nel mondo “sublunare”: acqua, aria, terra e fuoco. A ciascuno di essi appartiene un “luogo naturale” individuato dal loro rispettivo peso: l’elemento più pesante, la terra, si trova al centro del mondo e attorno a esso ci sono le sfere dell’acqua, dell’aria e, all’estremo dell’universo sublunare, quella del fuoco. E quando una sostanza è allontanata dal suo “luogo naturale” essa tende a ritornarvi: la pietra affonda nell’acqua, mentre una bolla d’aria sale alla superficie, e la fiamma del fuoco si spinge sempre verso l’alto. Considerando l’esempio galileiano, si può dunque ipotizzare che la prospettiva aristotelica avrebbe individuato una differenza nel moto dell’uovo di gallina –contenente un quantitativo di ‘aria’– rispetto a quello dell’uovo di marmo –in

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 197 cui questa è assente, ed è coinvolto soltanto l’elemento della “terra”: la differenza nel comportamento dinamico sarebbe risultata giustificata e conforme a quanto ‘previsto’ dalla dottrina aristotelica dei “luoghi naturali”. ↑ [5] « Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate di aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d’acqua, e dentrovi de’ pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vada versando dell’acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indiffe-rentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi, gettando all’amico alcuna cosa, non più gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno eguali; e saltando voi, come si dice, a piè giunti, eguali spazi passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succeder così, fate muover la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma » [Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, 1632, in Galilei, 1890-1909, vol.VII, pp.211-212]. Secondo la fisica aristotelica, invece, l’osservatore sottocoperta, sulla nave in lento e costante movimento, pur non riconoscendo “una minima mutazione” nelle dinamiche osservate e vedendo un oggetto in quiete relativamente alla stiva, avrebbe dovuto considerare mentalmente che su di esso agiscono forze non operanti su un analogo oggetto posto, in quiete, sulla riva. ↑

198 ALBERTA REBAGLIA [6] Questa considerazione consolida il legame che unisce la concezione galileiana –base del nuovo spirito scientifico– all’elaborazione filosofica compiuta da Kant –centrale per il pensiero illuministico. La « concezione della matematica accolta da Galileo [..] si presenta il più delle volte come una concezione di tipo archimedeo, ingegneresco, che vede nella matematica non tanto una realtà superiore all’esperienza, quanto un ausilio preziosissimo per operare sull’esperienza. [..] confermare il proprio distacco dalla tecnica significava rinunciare a servirsi di tutti i nuovi strumenti che questa veniva rapidamente (se pur disordinatamente) costruendo per l’osservazione dei fenomeni; significava cioè rinserrarsi nel vecchio patrimonio di esperienze trasmesso dalla scienza tradizionale, respingere a priori ogni seria possibilità di ampliarlo, condannarsi dogmaticamente alla più arida sterili-tà. Di qui il sorgere di una consapevolezza, sempre più chiara e più diffusa, che la via da battere era l’altra: quella dell’alleanza con la tecnica e della conseguente radicale trasformazione della problematica scientifica. Galileo segnò il punto di approdo di questo movimento innovatore, e si fece assertore di una scienza coraggiosamente aperta a tutti i suggerimenti, a tutte le conquiste, a tutto il nuovo materiale osservativo proveniente dai tecnici. [..] Una volta riconosciuto esplicitamente che gli strumenti, le macchine, le osservazioni dei tecnici e degli operai meritano di diventare oggetto di seria riflessione scientifica, è giocoforza riconoscere che la scienza deve impostare in modo totalmente nuovo le proprie indagini. Queste dovranno, sì, continuare ad essere guidate dalla ragione, ma da una ragione che si adegua ai fatti, non da una ragione che pretende di imporsi alla natura per stabilire a priori come debbano svolgersi i processi naturali. La rivolu-zione metodologica di Galileo [..] si inserisce per l’appunto in questa nuova concezione di razionalità », scrive il filosofo della scienza Ludovico Geymonat (Geymonat, 1957, pp.271-274). Ed è quest’ultima che viene celebrata dal “tribunale” kantiano: “interrogare” la natura non significa, ovviamente, dettare a essa le risposte. ↑

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 199 [7] Come sottolinea Koyré, « è attraverso lo strumento di misura che l’idea dell’esattezza prende possesso di questo mondo e che il mondo della precisione arriva a sostituirsi al mondo del “pressappoco” » [1948, op.cit., p.91]. ↑ [8] Come scrive lo storico della scienza Vasco Ronchi, le « lenti non apparvero essere altro che dispositivi capaci di alterare la vista anziché potenziarla anche esaminandole alla luce delle teorie ritenute valide; esse venivano conseguente-mente ritenute strumenti fallaci. La condanna delle lenti appare così giusta e logica che nessun matematico né filosofo se ne occupa più. Sarebbero scomparse dalla faccia della terra se gli artigiani, che non si occupavano affatto di conosce-re la verità, non avessero continuato a fabbricarle e a diffon-derle. Ma, siccome erano illetterati, non si trova pressoché alcuna traccia di insegnamenti sulla loro costruzione fino al XIII secolo. Il nome stesso di lente ne rileva l’origine artigiana-le: è il nome di un legume, e nessun filosofo o accademico avrebbe dato un nome simile a una sua scoperta. E infatti, allorché molto più tardi gli scienziati inizieranno a occuparsi di lenti, le battezzeranno specillum (piccolo specchio), nome che si confà all’atmosfera accademica ». (Ronchi, 1965, p.112]. ↑ CAP. 2 [1] « Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, fluisce unifor-memente e con un altro nome è chiamato durata; il tempo relativo, apparente e volgare è la sensibile ed estrinseca misura (esatta o inesatta che sia) della durata, ottenuta mediante il moto e usata comunemente in luogo del tempo vero, di tal sorta sono l’ora, il giorno, il mese, l’anno. Lo spazio assoluto, per sua natura privo di relazione con alcun-

200 ALBERTA REBAGLIA ché di esterno, perdura sempre simile ed immobile. Lo spazio relativo è la misura dello spazio assoluto o una qualsiasi dimensione mobile che i nostri sensi definiscono in relazione alla sua posizione rispetto ai corpi e che comunemente viene assunto in luogo dello spazio immobile: tale la dimensione di uno spazio sotterraneo, aereo o celeste, definita in funzione della sua posizione rispetto alla terra» (Newton, 1687-1713, Definitiones). ↑ [2] Nella quale, fra l’altro, la somma degli angoli interni di un triangolo è sempre minore di 180°. ↑ [3] Felix Klein, nel “programma di Erlangen”, del 1872, utilizza la strategia metodologica di caratterizzare la struttura geometrica come invariante all’interno della teoria dei gruppi per unificare il trattamento delle differenti geometrie scoperte in quei decenni. ↑ [4] Scrive Comte: « Senza dubbio, quando si considera l’intero insieme dei lavori di ogni genere della specie umana, si deve concepire lo studio della natura come destinato a fornire l’autentica base razionale dell’azione dell’uomo sulla natura, poiché la conoscenza delle leggi dei fenomeni, il cui risultato costante è quello di farceli prevedere, può, essa sola, eviden-temente, condurci, nella vita attiva, a modificarli a nostro vantaggio, gli uni con gli altri » (Comte, 1830-42, lezione I, in 1968-71, vol.I, p.52). ↑ [5] Il lavoro filosofico di Saint-Simon, svolto spesso in collaborazione con suoi seguaci, nel decennio che va dal 1815 al 1825 viene delineato e diffuso con grande efficacia mediante numerose pubblicazioni in fascicoli: L’industria, 1816-18, L’Organizzatore, 1819-20, Il sistema industriale 1820-22,

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 201 Catechismo degli industriali, 1823-24, Il Produttore, giornale dell’industria, delle scienze e delle belle arti, 1825 [cfr. Saint-Simon, 1966]. ↑ [6] Per una maggiore completezza del discorso, dobbiamo aggiungere che lo storicismo tedesco –in particolare con l’impostazione data a esso da Wilhelm Dilthey– si è allontana-to dall’atteggiamento positivistico sottoli-neando come per comprendere testi e azioni umane non sia sufficiente identifi-care in essi delle regolarità generali (ossia identificare quelle che il positivismo considera “leggi scientifiche”), poiché in questo ambito soggetto e oggetto del conoscere non sono radicalmente distinti (come accade, invece, nelle scienze naturali), né sia possibile ricondurre i casi particolari a leggi generali (così come richiede la spiegazione scientifica), giac-ché gli eventi storici sono unici e irripetibili. ↑ [7] Gli assiomi della geometria, scrive Mill nel suo System of Logic, sono « verità sperimentali, generalizzazioni dall’os-servazione. La proposizione: “Due rette che si siano incontra-te una volta non si incontrano nuovamente ma continuano a divergere” è un’induzione dall’evidenza dei nostri sensi » (Mill, 1843, p.227). ↑ [8] Viene definito numero di Mach quel numero puro che esprime il rapporto fra la velocità con la quale un solido e un fluido si incontrano e la velocità del suono in quello stesso fluido. ↑ [9] Edita per la prima volta nel 1883, ebbe numerose edizioni successive, fino a una settima edizione, del 1912, che fu l’ultima a essere curata da Mach stesso; e quindi ancora fino a una nona edizione, del 1933, curata dal figlio Ludwig. ↑

202 ALBERTA REBAGLIA [10] « Il cambiamento della quantità di moto è proporzionale alla forza motrice impressa, ed avviene lungo la linea retta secondo la quale la forza è stata impressa » (Newton, 1687-1713, op.cit.). ↑ [11] Secondo cui « ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, ossia le azioni di due corpi sono sempre uguali tra loro e dirette verso parti opposte » (Newton, 1687-1713, op.cit.). ↑ [12] Queste considerazioni di Mach rendono particolarmente denso di contenuti quel « passaggio inevitabile dall’assoluto al relativo » che, secondo Comte, costituisce lo “stadio positivo” della scienza (cfr. Scheda 3). ↑ [13] Obiezione che riprende puntualmente la critica già mossa a Newton dal suo contemporaneo, il filosofo empirista George Berkeley, il quale non riconosceva legittimità a spazio e tempo assoluti ritenendo (nella stessa linea di pensiero che sarà, poi, di Mach e del positivismo) che i fenomeni e le relazioni fra essi siano le sole cose esistenti e gli unici oggetti della conoscenza. « Se ogni luogo è relativo, anche ogni moto è relativo; e non si può comprendere se non in relazione al nostro o a qualche altro corpo. [..] Perciò, se supponiamo che tutto si annulli eccetto un globo, è impossibile immaginare un qualsiasi movimento di tale globo. Consideriamo ora che i globi siano due, e che oltre ad essi non esista alcun’altra cosa materiale: il moto circolare in questi due globi intorno al loro centro comune non può essere immaginato. Ma ammettiamo che venga improvvisamente creato il cielo delle stelle fisse: saremo allora in condizione di immaginare il moto dei globi per mezzo della loro posizione relativa alle varie parti del cielo.» [Berkeley, 1721, vol.4, p.26]. Il criterio con il quale Berkeley conduce la propria critica è sorprendentemente simile a quello

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 203 di cui Mach, dopo oltre un secolo e mezzo, si servirà con il medesimo intento (cfr. ancora Scheda 4). ↑ [14] Nonostante Copernico concepisse il suo sistema astrono-mico eliocentrico come assolutamente veritiero e fedelmente rispecchiante la realtà fisica, il teologo luterano Andreas Osiander, che curò la prima edizione del De revolutionibus orbium coelestium (l’opera in cui Copernico espone i capisaldi della propria teoria e che venne pubblicata nel 1543 mentre egli era in punto di morte), volle presentare la teoria come semplice ipotesi matematica, onde evitare attriti con l’autorità ecclesiastica. ↑ [15] Cfr. in particolare il suo Conoscenza ed errore (1905), “Sugli esperimenti mentali”, pp.180-196. Mach, probabilmente il primo a formulare l’espressione Gedankenexperiment, sottolinea come questa atipica forma di collaborazione tra ragione ed esperienza sia esito di una « conoscenza istintiva basata sull’esperienza » e dunque totalmente affidabile: « Non ha importanza se l’esperimento sia stato realmente compiuto, quando il risultato non è dubbio » [1883, op.cit., p.62]. ↑ [16] Anche Bacone ritiene, in effetti, che l’osservazione dei fatti empirici debba essere condotta esercitando una preventiva eliminazione di quelle fonti di errore che egli individua negli inganni dovuti alle limitazioni dei nostri sensi e alle nostre comuni inclinazioni (per esempio, credere più facilmente vero ciò che desideriamo sia vero), nelle personali idiosincrasie di ciascuno, nelle false opinioni che si insinuano nella cultura comune e negli scenari filosofici che si impongono a motivo della loro autorevolezza (pensiamo alla filosofia aristotelica per gli studiosi dell’epoca di Bacone e di Galileo). Tutte queste fonti di errore sono assimilabili a quanto Mach e il positivismo indicano come “metafisica”. Ma, secondo Bacone, eliminare

204 ALBERTA REBAGLIA queste “finzioni” e “superstizioni” metafisiche, che rendono la mente umana uno « specchio incantato, pieno di imposture», sarà come eliminare dallo specchio le aberrazioni deformanti. La ragione diverrà uno «specchio chiaro ed eguale» con il quale rispecchiare adeguatamente la natura: le leggi scientifiche che si otterranno saranno vere, e saranno le uniche leggi alle quali la natura obbedisce. ↑ [17] Cfr. Rebaglia, 1997, op.cit., e il testo 1 di Schlick, ivi antologizzato, p.81. ↑ [18] Un caso esemplare di questo ordine di considerazioni può essere rappresentato proprio dall’esperimento mentale che ha dato luogo al “principio di Mach” e all’impostazione einsteinia-na della relatività generale. Esso ha contribuito a inquadrare anche i moti di rotazione entro una prospettiva concettuale nella quale non sia più richiesto, necessariamente, il riferi-mento a uno spazio assoluto. « In realtà [..] il trascinamento dei riferimenti inerziali consente un effettivo superamento di questo assolutismo: fin dal 1923 Eddington, nel suo testo sulla relatività generale, aveva esposto questa intuizione, ma fu soltanto verso la metà degli anni Sessanta che i fisici teorici poterono dimostrare che l’effetto di trascinamento fornisce un’eccellente conferma di come la rotazione sia un concetto indubbiamente relativo» (Will, 1986, pag.200). Rilevanza e difficoltà di allestire un effettivo controllo hanno reso tale problema un argomento centrale nelle analisi concernenti le prove sperimentali della cosmologia relativistica. Negli anni Sessanta del secolo scorso, Schiff, Fairbank e Cannon, tre fisici della Standford University di Palo Alto, progettarono un esperimento che permette di porre in evidenza, mediante giroscopi di risoluzione elevatissima, posti in orbita geostazio-naria, l’effetto relativistico di trascinamento dello spaziotempo esercitato dal moto di rotazione della Terra (cfr. “The GP-B

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 205 Mission: The Orbiting Gyroscope Experiment Around the Earth”, in Ruffini, Sigismondi, eds. 2003). ↑ CAP. 3 [1] Egli collega il pistone a un bilanciere, e quest’ultimo può venire connesso a un sistema biella-manovella per trasmettere il movimento e trasformarlo –da verticale– in rotatorio. La forza gravitazionale, che agisce sul bilanciere, consente di sollevare il pistone; quindi il cilindro viene saturato di vapor acqueo, poi condensato. La pressione atmosferica, grazie al vuoto creato dalla condensazione, fa ridiscendere il pistone, completando il movimento. ↑ [2] « Alla scienza l’industria deve i suoi più bei trionfi [..] Sapere è potere [..] Sapere, vuol dire dominare il vapore, guidare l’elettricità, possedere i tesori della fisica e il potere della chimica, la meccanica, le ricchezze della storia naturale » (Maurice Block, in Revue des deux mondes, 15 marzo 1879). ↑ [3] Già a partire dal Seicento, per i filosofi naturali l’« immagine della macchina del mondo implicava [..] l’idea di un suo Artefice e Costruttore, la metafora dell’orologio rinviava al divino Orologiaio. Lo studio accurato e paziente della grande macchina del mondo era la lettura del Libro della Natura, da affiancare a quella del Libro della Scrittura. Entrambe le indagini tornavano a gloria di Dio » (Rossi, 1997, op.cit., p.204). ↑ [4] Citato in Sexl, 1982, p.38. ↑

206 ALBERTA REBAGLIA [5] La metodologia della tecnologia è, in effetti, peculiarmente basata tanto su un costante ricorso a ipotesi empiriche quanto su un altrettanto essenziale intervento di semplifica-zione. Come scrive il filosofo della tecnologia Carl Mitcham: « Sebbene la legge scientifica “l’acqua congela a zero gradi Celsius” possa essere interpretata come teoreticamente basata sulla regola ingegneristica “se la temperatura dell’acqua viene abbassata a zero gradi Celsius, allora essa congela” le struttu-re delle due asserzioni sono assai differenti. La prima è dichiarativa, la seconda ipotetica. Inoltre, in molti casi le regole ingegneristiche non sono direttamente basate su teorie scientifiche o sono basate su di esse solo attraverso ulteriori semplificazioni. Per esempio, [..] i calcoli delle traiettorie di proiettili nelle vicinanze della superficie terrestre ignorano sistematicamente le influenze gravitazionali del Sole e della luna. Certo solo facendo molti modelli semplificati sul mondo gli ingegneri sono in grado di costruire di tutto » (Mitcham, 1994). Per una trattazione del condizionale controfattuale e del ruolo da esso svolto nel delineare i caratteri delle leggi scientifiche generali e delle leggi empiriche cfr. Rebaglia, 1996, cap.1. ↑ [6] « La produzione del moto in una macchina a vapore è sempre accompagnata da una circostanza che dovrebbe essere particolarmente osservata. Questa circostanza è il passaggio di calorico da un corpo in cui la temperatura è più elevata a un altro in cui lo è di meno. [..] La capacità di produrre moto da parte del calore è indipendente dagli agenti impiegati per svilupparlo; essa è determinata dalla temperatura dei corpi fra i quali avviene, come risultato finale, il trasferimento di calorico » (Carnot, memoria cit., sottolineatura nostra). ↑ [7] Nell’età del positivismo, il “dominio” tecnologico della natura perde quell’aspetto di controllo ottenuto attenendosi alle leggi imposte dalla natura stessa (espresso dal genitivo

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 207 soggettivo, cfr. in cap.1, §2) e diviene esclusivamente dominio sulla natura. ↑ [8] Francesco Bacone rielabora ed enuncia compiutamente questa tesi nel Novum Organum: « Per antichità dovrebbe intendersi la vecchiezza del mondo che va attribuita ai nostri tempi e non a quella giovinezza nel mondo che fu presso gli antichi. E come da un uomo anziano possiamo aspettarci una conoscenza molto maggiore delle cose umane e un più maturo giudizio che da un giovane, per via dell’esperienza e del gran numero di cose da lui vedute, udite e pensate, così dall’età nostra (se avesse coscienza delle sue forze e volesse sperimentare e comprendere) sarebbe giusto aspettarsi assai più gran cose che dai tempi antichi essendo la nostra per il mondo l’età maggiore, arricchita da innumerevoli esperimenti e osservazioni » (1620, I, 84). ↑ [9] Il principio della selezione naturale venne sviluppato da Darwin (cfr. Darwin, 1859) in un ambiente culturale in cui la teoria dell’evoluzione era già divenuta tema ampiamente dibattuto in seguito all’ipotesi avanzata da Lamarck, secondo cui, allorché variazioni ambientali costanti e durature provo-cano cambiamenti nelle abitudini di una popolazione animale, queste possono condurre ad alterazioni organiche trasmissibili alla discendenza. « Possono sussistere ben pochi dubbi sul fatto che le teorie dell’evoluzione emersero verso la fine del Settecento e all’inizio dell’Ottocento nei paesi in cui il capitali-smo era più avanzato, ossia nell’Europa occidentale e partico-larmente in Gran Bretagna. [..] la nozione di un’evoluzione biologica graduale e continua si presentò in quelle società in quell’epoca precisa in risposta a un massiccio accumulo di nuova informazione su piante, animali e fossili. Quest’informazione si era accresciuta come prodotto seconda-rio di sviluppi come l’esplorazione su scala mondiale alla ricerca di mercati [..] I nuovi dati riportati in luce in modo

208 ALBERTA REBAGLIA casuale da uomini dediti ad attività pratiche apparivano spesso in disaccordo con le concezioni biologiche affermate e, almeno secondo alcuni studiosi, implicavano l’esigenza di un’impostazione interpretativa radicalmente nuova» (Mulkay, 1979, pp.145-146). ↑ [10] Herbert Spencer colloca nell’ambito di una prospettiva evoluzionista (inizialmente elaborata in modo autonomo rispetto agli studi condotti da Darwin) tanto le dinamiche sociali quanto quelle psichiche e spirituali. Ovunque, secondo Spencer, si constata il progressivo formarsi di sistemi e ordinamenti in base a una legge evolutiva universale e neces-saria; « la formula dell’evoluzione: vi è progresso verso una dimensione, una coerenza, una multiformità e una definitezza maggiore», egli spiega (Spencer, Principi di sociologia, 1876-96). ↑ [11] « La ginestra, o il fiore del deserto », in Leopardi, 1845, p.178. ↑ [12] Il «signore», secondo Hegel, è colui che si rapporta alle cose attraverso la mediazione del lavoro altrui; egli «ha intro-dotto il servo tra la cosa e se stesso» . Nel fare i conti con la cosa, d’altronde, il lavoro servile acquista dignità e “trasfigura” il ruolo di colui che lo compie: se è ben vero che il “servo” non gode il prodotto del proprio lavoro e non fa che trasformare le materie prime in “cose”, attribuendo caratteri permanenti agli oggetti creati, questa stessa opera di trasformazione fa sì che colui che lavora incontri ostacoli nel mondo degli elementi naturali e impari a superarli; nel lavoro la coscienza servile acquista consapevolezza di sé e si emancipa dall’influenza esercitata dalla signoria, vista nella sua passiva improduttività (cfr. Hegel, 1807, pp.159-164). ↑

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 209 [13] I fattori all’origine del processo di industrializzazione sono molteplici. Motivi economici, sociali, oltre che precipuamente tecnici, hanno avviato verso la metà del Settecento –in Inghil-terra e a partire dal settore tessile– il processo di industrializ-zazione, consolidatosi nel secolo successivo. Schematicamen-te, possiamo ricordare che: 1. l’impero coloniale inglese, grazie al fiorente commercio (di

esportazione soprattutto nelle ricche colonie nordamerica-ne, e di importazione nel continente europeo di prodotti provenienti dall’Africa, dalle Americhe e dalle Indie) crea un surplus di capitale pronto a essere reinvestito;

2. l’aumento demografico, che caratterizza l’Inghilterra del XVIII secolo e le cui cause sono poco definibili, accresce la domanda di prodotti;

3. i latifondisti inglesi ampliano le loro proprietà a scapito dei piccoli proprietari contadini, con il risultato di uno sposta-mento di masse rurali verso le città.

Nel campo tessile si registra la prima trasformazione della produzione in senso industriale, proprio a motivo della forte domanda di una popolazione in crescita, nonché dell’abbondanza di materia prima adeguata alle esigenze (in quanto il cotone viene importato facilmente dalle Indie) e di materia prima non ancora commercializzata in precedenza in Occidente (il che permette di liberare le spinte innovative nella produzione da retaggi di una preesistente organizzazione di lavoro). Il momento critico nel passaggio dall’industria a domicilio a quella capitalistica, dei grandi impianti attorno ai quali si crea il fenomeno dell’urbanizzazione, può essere individuato nell’abbandono delle precedenti macchine per la filatura a favore del nuovo tipo di filatoio introdotto nel 1768 da Richard Arkwright; per azionare questo nuovo dispositivo, che incrementa la produttività della filatura, non è più suffi-ciente l’energia manuale, ma viene utilizzata dapprima la forza motrice animale e poi l’energia idraulica. I nuovi meccanismi –che troveranno la propria collocazione nelle fabbriche– saranno, per lo più, azionati dall’energia del vapore. ↑

210 ALBERTA REBAGLIA [14] Ancora all’indomani della prima guerra mondiale Oswald Spengler affermerà: « Il contadino, l’artigiano, perfino il com-merciante appaiono d’un tratto insi-gnificanti di fronte a tre figure cui lo sviluppo della macchina ha dato for-ma: l’imprenditore, l’ingegnere e l’operaio industriale. In questa civiltà, e in nessun’altra al di fuori di essa, da un piccolo ramo dell’artigianato, cioè dall’economia dei manufatti, si è sviluppato il possente albero che oscura ogni altra profes-sione: il mondo economico dell’industria meccanica. E questo mondo costringe sia l’imprenditore che l’operaio industriale a obbedirgli. Entrambi sono gli schiavi, non i signori della macchina che ora comincia a manifestare il suo occulto potere demonico » (Spengler, 1918/21, p.1393). ↑ [15] « Poiché [..] le macchine, considerate in sé, abbreviano il tempo di lavoro mentre, adoprate capitalisticamente, prolun-gano la giornata lavorativa, poiché le macchine in sé alleviano il lavoro e adoprate capitalisticamente ne aumentano l’intensità, poiché in sé sono una vittoria dell’uomo sulla forza della natura e adoprate capitalisticamente soggiogano l’uomo mediante la forza della natura, poiché in sé aumentano la ricchezza del produttore e usate capitalisticamente lo paupe-rizzano, ecc., l’economista borghese dichiara semplicemente che la considerazione delle macchine in sé dimostra con la massima precisione che tutte quelle tangibili contraddizioni sono una pura e semplice parvenza della ordinaria realtà, ma che in sé [..] non ci sono affatto. Così risparmia di doversi ulteriormente stillare il cervello, e per giunta addossa al suo avversario la sciocchezza di combattere non l’uso capitalistico delle macchine, ma le macchine stesse » (Marx, 1867, op.cit., sez. IV, cap.13, §5). ↑ [16] Oltre alla prima, grande ‘rivoluzione industriale’ (di cui ci siamo sin qui occupati), come scrive Cohen: « all’avanzare del XX secolo, qualche autore cominciò a concepire altre rivolu-

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 211 zioni industriali [..] L’Encyclopaedia of the Social Sciences (1932) richiamò l’attenzione su due opere in cui gli “sforzi verso la razionalizzazione e i mutamenti risultanti dall’avvento dell’energia elettrica e di nuovi processi chimici” dopo la Prima Guerra Mondiale furono descritti “come la Nuova Rivoluzione industriale” (Walter Meakin) e come “la Seconda Rivoluzione industriale” (H. Stanley Jevons)» (Cohen, 1985, p.260). ↑ [17] Famosa utopia scientifica è stata quella esposta da Francesco Bacone nella Nuova Atlantide (di cui già si è detto, cfr. cap.1 §1), dove il sogno di un mondo nuovo in cui la tecnologia ponga a disposizione dell'uomo tutte le possibili macchine, sconfiggendo così povertà e malattie, manifesta il nesso –presente in tutte le grandi utopie del pensiero moder-no– che lega la visione di una natura razionalmente controlla-ta alla costruzione della società civile. ↑ [18] Da Marx (che dedica a Darwin il I libro del Capitale) ai pensatori della Scuola di Francoforte, il processo di selezione naturale ha rappresentato una chiave di lettura privilegiata per riflettere sull’evoluzione di tecniche e tecnologie, spesso considerate quali organi esterni –e quasi un prolun-gamento– del corpo umano, esito dell’adattamento biologico spiegato dalla teoria dell’evoluzione come somma di molti piccoli miglioramenti. Tali valutazioni sono sfociate nell’impostazione epistemologica evoluzionista proposta da Popper (cfr.in cap.11 §1) e nelle tesi –per taluni aspetti a essa contrapposte– di Peter Brian Medawar, secondo il quale gli stimoli provenien-ti dall’ambiente non influiscono sull’organismo in modo “elettivo” (così come avviene a livello delle mutazioni, descritte dalla legge darwiniana della selezione naturale), ovvero –ricordando un suo esempio– come in un juke-box, nel quale l’atto di premere un tasto (l’equivalente dello stimolo) impone la scelta tra l’una o l’altra melodia, ciascuna di esse già presente come informazione all’interno dell’apparecchio (come

212 ALBERTA REBAGLIA l’informazione è inscritta nel patrimonio genetico); ma essi, afferma Medawar, vengono elaborati linguisti-camente, e linguisticamente vengono trasmessi alle gene-razioni future. Questo consente di non porre alcun limite alla prolife-razione delle concezioni teoriche e delle soluzioni tecniche e tecnologi-che, mentre un’evoluzione di tipo darwiniano è caratterizzata da vincoli intrinseci. « Siamo cresciuti abituati all’idea che la maggioranza dei processi ordinari o naturali di crescita (crescita di un organismo, di popolazioni o di città ecc.) è non solo limitata, ma autolimitata, cioè è rallentata e alla fine condotta a una fine, come conseguenza dell’atto della crescita stessa. Per una ragione o l’altra, ma sempre per qualche ragione, gli organismi non possono crescere indefinitamente, esattamente come al di là di un certo livello di ampiezza o di densità una popolazione perde la capacità di una crescita ulteriore» [Medawar, 1972, p.123]. ↑ CAP. 4 [1] Il riaffiorare alla memoria di esperienze significative del passato, dimenticate dal soggetto, è la peculiare caratteristica del “sonno” ipnotico che viene utilizzata in medicina tra fine XIX e inizio XX secolo, in particolare da Breuer i cui studi sull’isteria rappresentano un elemento essenziale nello svilup-po iniziale della psicoanalisi freudiana. I limiti terapeutici dell’ipnosi, sottolineati da Freud, sono dovuti alla sua caratte-ristica di celare –anziché evidenziare– le resistenze psichi- che. ↑ [2] Secondo quanto scrive lo storico della scienza Bernhard Cohen, citando Freud: « L’esempio più famoso dell’as-sociazione da parte di Freud degli effetti delle teorie di Coper-nico e di Darwin con l’ostilità alla psicoanalisi si ha nella parte III delle lezioni di Introduzione alla psicoanalisi (1916-1917), in

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 213 cui Freud si occupa della “teoria generale delle nevrosi”. Qui Freud discute come “l’umanità ha dovuto sopportare due grandi mortificazioni che la scienza ha recato al suo ingenuo amore di sé”. Da Copernico gli uomini hanno imparato “che la nostra terra non è il centro dell’universo, bensì una minuscola particella di un sistema cosmico che, quanto a grandezza, è difficilmente immaginabile” (Freud, in Opere, vol.VIII, p.446). La ricerca di Darwin “annientò la pretesa posizione di privile-gio dell’uomo nella creazione, gli dimostrò la sua provenienza dal regno animale e l’inestirpabilità della sua natura animale”. Ma “la terza e più scottante mortificazione” alla “megalomania dell’uomo” viene, secondo Freud, dall’ ”odierna indagine psicologica, la quale ha l’intenzione di dimostrare all’Io che non solo egli non è padrone in casa propria, ma deve fare assegnamento su scarse notizie riguardo a quello che avviene inconsciamente nella sua psiche” » (Freud, Una difficoltà della psicoanalisi, in Opere, vol.VIII, pp.657-658)» (Cohen, 1985, op.cit., p.340). ↑ [3] Impostazione in accordo con il pensiero più recente, che (come chiariremo nei prossimi paragrafi) tende a pensare la complessità del mondo utilizzando il principio metodologico, circolare, della retroazione. Secondo Edelman, infatti, non solo nuove informazioni possono intervenire e modificare le rappresentazioni cognitive già acquisite, ma le rappresenta-zioni sensoriali sono continuamente confrontate con schemi preesistenti, i quali vengono riaggiornati in seguito a un processo di feedback del tutto analogo a quello che vedremo essere alla base degli studi di cibernetica. ↑ [4] In particolare nelle sue opere più mature, dove egli si esprime spesso per aforismi. ↑

214 ALBERTA REBAGLIA [5] Mentre Wilhelm Ostwald e la corrente degli “energetisti”, vicina alle tesi di Mach, tentavano di organizzare fisica e chimica sulla base delle leggi fenomenologiche della termodi-namica, la teoria cinetica dei gas e gli studi a essa connessi fornivano sostegno all’ipotesi atomica formulata, a inizio secolo, da John Dalton (cfr. il suo A New System of Chemical Philosophy, 1808-1810). Riprendendo la dottrina aristotelica dei minima naturalis (simili a molecole, piuttosto che ad atomi nel senso odierno del termine), Dalton riteneva che le particel-le ultime di corpi omogenei fossero indivisibili e dotate di un peso caratteristico che egli si occupò di individuare sperimen-talmente, pubblicando nel 1803 una accurata lista di pesi atomici relativi. ↑ [6] Prima che Zarathustra inizi il discorso qui riportato, il Nano gli si rivolge e sussurra « beffardamente sillabando le parole », con una saggezza che trova le sue radici nel determi-nismo della fisica della gravitazione: « tu, pietra filosofale! Hai scagliato te stesso in alto, ma qualsiasi pietra scagliata deve – cadere! » ↑ [7] « Se immaginiamo un essere le cui facoltà mentali sono così acute che egli può seguire ogni molecola nel suo moto, questo essere, i cui attributi sono ancora essenzialmente finiti quanto i nostri, potrebbe essere capace di fare ciò che per noi ora è impossibile. Infatti abbiamo visto che le molecole, in un recipiente pieno d’aria a temperatura uniforme, si muovono a velocità niente affatto uniforme, anche se la velocità media di un gran numero di esse, scelte in modo arbitrario, è quasi esattamente uniforme. Ora supponiamo che questo recipiente sia diviso in due parti A e B da un setto in cui vi è un piccolo foro, e che un essere, che può vedere le singole molecole, apra e chiuda il foro, così da permettere solo alle più lente di passare da B ad A. In questo modo, egli, senza spendere energia, farà aumentare la temperatura in B e la farà decre-

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 215 scere in A, in contraddizione con la seconda legge della termodinamica » [Maxwell, 1872, p.208]. L’ipotetico “diavolet-to” descritto da Maxwell, creando una situazione ordinata a partire da una di disordine, apparentemente senza consumo energetico ma esercitando soltanto la propria attività cogniti-va, sembra violare il secondo principio della termodinamica, e dunque la linearità irreversibile del tempo. Leon Brillouin (nel lavoro Brillouin, 1962, scritto elaborando le tesi esposte da Leo Szilard in Szilard, 1929 dimostra che proprio l’esercizio di quell’attività conoscitiva provoca necessariamente un consu-mo energetico, sufficiente a compensare esattamente la diminuzione di entropia altrimenti registrabile nel sistema. ↑ [8] Teoria “soggettiva” e teoria “frequentista” costituiscono due aspetti differenti di un’impostazione metodologica statisti-ca di tipo “classico”. Implicazioni concettuali assai più vaste avrà, nei primi decenni del Novecento, l’elaborazione della meccanica quantistica. Questa utilizzerà, infatti, lo stesso metodo statistico individuato da Boltzmann applicandolo però, anziché a grandi insiemi di atomi o di molecole, alla descrizio-ne del comportamento di un singolo atomo. La natura, sottolinea Pascual Jordan, « niente prestabilisce per quanto riguarda i singoli processi atomici; caso per caso, decide in modo imprevedibile e le sue decisioni sono sempre connesse con elementari discontinuità quantistiche. Queste, appunto, sono i salti quantici, che è impossibile prevedere singolarmen-te» (Jordan, 1936, p.105). Per una più estesa trattazione delle conseguenze filosofiche della formulazione probabilistica entro l’orizzonte dell’indeterminazione quantistica cfr. Reba-glia, 1992. ↑ [9] Questo orizzonte di riflessioni può essere incluso in quel “pensiero abissale” con cui Nietzsche indica la sua dottrina dell’eterno ritorno. Per un arricchimento del quadro concet-tuale, è utile fare riferimento a quanto commenta Gianni

216 ALBERTA REBAGLIA Vattimo: « liberazione del caso e liberazione dal caso appaiono due caratteri ugualmente essenziali del modo di essere dell’oltreuomo, anche se la casualità non ha, ovviamente, lo stesso senso nelle due espressioni. La liberazione del caso è la rottura dell’unità rigidamente funzionale, ignominiosa (come il lavoro di fabbrica) del mondo della ratio. Questa razionalità implica, come suo carattere costitutivo, l’as-servimento dell’individuo a scopi che gli sfuggono, in generale il suo inserimento in una razionalità che lo trascende. [..] In quanto implica questa trascendenza del senso, la ratio degra-da però anche ogni suo strumento a pura inessenzialità, e in questo modo lo fissa in una casualità che è quella da cui Zarathustra lo vuole liberare. Le due liberazioni, dunque, non si contraddicono ma anzi sono strettamente legate l’una all’altra, secondo uno schema che ripete quello generale che abbiamo visto strutturare tutta la nozione di eterno ritorno: la liberazione del simbolico come recupero del dionisiaco implica come sua condizione la effettiva liberazione dalle catene storico–concrete che legano l’uomo e che sono penetrate fino a sfigurare la sua intimità più profonda. La liberazione della casualità corrisponde appunto a questo primo momento, ed è condizione di un secondo processo, quello che libera l’uomo e l’esistenza tutta dalla casualità intesa come inessenzialità dell’esistente concreto, scisso dal suo significato che lo tra-scende come senso totale del sistema della ratio » [Vattimo, 1974, pp.290-291]. ↑ [10] Scrive Nietzsche: « Peraltro la scienza, spronata dalla sua robusta illusione, corre senza sosta fino ai suoi limiti, dove l’ottimismo insito nell’essenza della logica naufraga. Infatti la circonferenza che chiude il cerchio della scienza ha infiniti punti, e mentre non si può ancora prevedere come sarà mai possibile misurare interamente il cerchio, l’uomo nobile e dotato giunge a toccare inevitabilmente, ancor prima di giungere a metà della sua esistenza, tali punti di confine della

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 217 circonferenza, dove guarda fissamente l’inesplicabile », (Nietzsche, 1872, p.103). ↑ CAP. 5 [1] Il ripensamento sul principio di causalità e l’attenzione nei confronti di una logica di pensiero circolare trovano origine nello stesso periodo storico, il XVIII secolo, ma in ambiti differenti: nella teologia di Schleiermacher viene introdotta l’idea di una attività interpretativa circolare (cfr. nota 10. n[2]) insieme a un ridimen-sionamento del carattere lineare della temporalità (« essere eterni in un momento del tempo: questa è l’immortalità della religione», Discorsi sulla religione, 1799), mentre il filosofo empirista David Hume esprime la propria critica alla necessità del nesso causale rilevando come esso non possa venire ‘fondato’ né a priori né a posteriori e affer-mando che « Tutte le inferenze dell’esperienza (..) sono effetti di abitudine, non di ragionamento » (Ricerca sull’intelletto umano, 1748, V). ↑ [2] L’invenzione non ha un’attribuzione storica certa. Come scrive Bruno Latour, « la leggenda narra » che il « meccanico, che ha legato il pistone alla valvola per mezzo di una camma» e «lo ha trasformato nel guardiano di se stesso » –creando « un automatismo, uno dei primi di una lunga serie »– « fosse un ragazzo pigro e stanco » (1987, op.cit., p.176). ↑ [3] Lo « scappamento è una regolazione retroattiva che controlla la velocità di un orologio meccanico » e, d’altronde, « è importante sottolineare che lo sviluppo dello scappamento attraverso generazioni di orologiai è stato in larga parte un processo empirico per tentativi ed errori. [..] Tale processo ebbe notevole successo nonostante fosse basato solo su una

218 ALBERTA REBAGLIA comprensione intuitiva dei principi di fisica e di ingegneria meccanica » [Headrick, 2002, p.41]. ↑ [4] L’azione della forza gravitazionale causa l’innalzamento del pistone; questo provoca l’apertura della valvola di iniezio-ne; la quale causa l’immissione del vapore nel cilindro; l’espansione del vapore causa l’azionamento di una “valvola anticipatrice”, la quale ottimizza il rendimento bloccando automaticamente l’accesso del vapore nel cilindro prima che sia stata raggiunta la massima espansione; la sospensione nell’erogazione del vapore causa l’apertura del rubinetto che, con il getto di acqua fredda, causa la condensazione del vapore; il vuoto parziale, così ottenuto, permettendo alla pressione atmosferica di esercitare la propria forza, causa l’abbassamento del pistone; quindi la forza gravitazionale, agendo sul bilanciere, ne provocherà ancora l’innalzamento, permettendo di ricominciare il ciclo. ↑ [5] Il pistone, trovandosi da un lato del cilindro, può essere sospinto dal lato opposto solo se il vapore che si trova da quel lato può essere eliminato per condensazione, e può venire introdotto vapore tra la parete del cilindro e il pistone, in modo da sospingerlo; tutti questi movimenti sono possibili solo se le valvole di comunicazione tra la caldaia, il cilindro e il recipiente di condensazione vengono aperte e chiuse all’istante giusto. ↑ [6] Secondo un esempio dello stesso Watzlawick: « quando nel marzo 1979 i giornali californiani cominciarono a pubbli-care servizi sensazionali su un’imminente e drastica riduzione nell’erogazione di benzina, gli automobilisti californiani diedero l’assalto alle pompe per riempire i loro serbatoi e tenerli possibilmente sempre pieni. Fare il pieno di 12 milioni di serbatoi (che fino a quel momento erano mediamente solo a

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 219 un quarto del livello) esaurì le enormi riserve disponibili, provocando praticamente da un giorno all’altro la scarsità predetta; mentre l’ansia di tenere i serbatoi quanto più pieni possibile (invece di riempirli soltanto quando erano quasi vuoti) creò code interminabili di macchine e lunghissimi tempi di attesa ai distributori, aumentando il panico. Quando tornò la calma si venne a sapere che l’erogazione di benzina nello Stato della California era stata ridotta solo di poco. In questo caso il pensiero causale tradizionale non funziona. La scarsità non si sarebbe mai verificata se i mass media non l’avessero predetta. In altre parole, un avvenimento non ancora verifica-tosi (quindi futuro) ha prodotto effetti nel presente (l’assalto alle pompe di benzina) che a loro volta hanno fatto sì che l’avvenimento divenisse realtà. In questa circostanza è quindi stato il futuro –e non il passato– a determinare il presente » (1981, op.cit., pp.87-88). ↑ [7] «… mentre il nano si è accontentato di una generica professione di fede nella circolarità e insensatezza di tutto, Zarathustra va più a fondo, e tocca l’argomento decisivo, almeno sul piano teorico, per il passaggio dal nichilismo negativo al nichilismo positivo. Non solo tutto ciò che diviene deve aver già percorso almeno una volta la via del passato, dato che essa dura un’intera eternità e deve già aver visto realizzarsi, per questo, tutte le possibilità; ma, soprattutto, anche la porta stessa, che rappresenta l’attimo presente, deve già esser stata. E se le vie del passato e del futuro sono davvero curve, l’attimo presente non trae dietro di sé tutte le cose avvenire? Dunque anche se stesso? Passato e futuro si saldano in un circolo, la cui vertiginosità estrema consiste nel fatto che anche l’attimo, che potrebbe parere un momento privilegiato in tale circolarità, vi è invece radicalmente com-preso: esso è già eternamente stato e, in questo suo esser già stato, porta già con sé tutte le cose avvenire, compreso il proprio accadere ‘futuro’» (Vattimo, 1985, op.cit., pp.199-200). ↑

220 ALBERTA REBAGLIA CAP. 6 [1] Scrive Richard Gregory, neurofisiologo che si è occupato di visione artificiale e ha lavorato a lungo per chiarire i rappor-ti che legano cervello e percezione: « Gli psicologi della Gestalt descrivevano le percezioni visive come non riducibili a una somma di stimoli, ma come organizzate secondo varie leggi. Queste venivano derivate soprattutto da resoconti soggettivi sul modo in cui una certa disposizione di punti era vista come una forma: i punti che appartengono a un unico insieme compongono linee, o altro; mentre i rimanenti sono a sé stanti. Tutto ciò può sembrare vago e scarsamente ‘scientifi-co’; tuttavia, le leggi dell’organizzazione gestaltica si sono rivelate importanti per spiegare la percezione delle immagini e dei suoni, e sono state riprese dalla comunità scientifica che si occupa di intelligenza artificiale (IA), specialmente con l’obiettivo di programmare il calcolatore a riconoscere forme e oggetti. Tra queste leggi vi sono: 1) la chiusura –la tendenza a vedere i punti disposti su una traccia approssimativamente circolare come appartenenti a un’unica configurazione, che forma un oggetto; 2) il destino comune –secondo cui elementi che si muovono insieme, come le foglie di un albero, vengono visti come un unico oggetto; 3) la contiguità di particolari ravvicinati; e la preferenza per le curve raccordate senza spigoli » (Gregory, 1998, p.6). ↑ [2] Si tratta del gruppo di studiosi costituito dai partecipanti a una serie di riunioni tenute il giovedì sera in un caffè viennese, ovvero dei rappresentanti del celebre “Circolo di Vienna”; circolo che, dai suoi stessi fondatori, era stato battezzato “Circolo Ernst Mach”, per sottolineare una conti-nuità di pensiero con l’influente esponente del positivismo scientifico (testimoniata, peraltro, anche dagli eventi biografici di Moritz Schlick, il fisico e filosofo che ha dato avvio alle riunioni del Circolo, il quale nel 1922 fu chiamato a occupare

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 221 quella cattedra di filosofia delle scienze induttive che –come abbiamo detto, cfr. cap.2 §3– fu istituita proprio per Ernst Mach). ↑ [3] Come dichiara lo stesso Ames: «ciò che una persona vede quando guarda un oggetto non può essere determinato semplicemente attraverso una conoscenza della natura fisica di quell’oggetto, poiché un numero illimitato di differenti oggetti fisici può dar luogo alla stessa percezione» . E il filosofo della tecnologia Albert Borgman commenta: « Non esiste nessuna ambiguità per lo sperimentatore Ames. Egli sa come l’oggetto apparirà all’osservatore e se la sua interpreta-zione sarà corretta. L’incertezza dell’osservatore, a sua volta, potrà essere risolta ampliando il contesto ed entrando nella stanza o ispezionandone le quattro pareti dall’esterno. Risol-vere l’ambigui-tà ampliando il contesto è stata la risposta allo scetticismo fin da quando gli antichi greci fecero dello scettici-smo un’arte. Costruttivisti e scettici possono, ovviamente, superare l’ostacolo e argomentare che il contesto in cui l’osservatore vede è esso stesso ambiguo [..] Ogni contesto che sia invocato per chiarire un’ambiguità può, a sua volta, essere considerato ambiguo. [..] Si può, comunque, considerare l’interazione di una persona con il suo ambiente come una questione legata all’informazione cognitiva » [Borgmann, 1999, pp.12-13]. Per quanto concerne, più specificamente, le argomentazioni del costruttivismo cfr. in cap.10 §4. ↑ [4] Per una analisi commentata dei più salienti brani del Tractatus in cui Wittgenstein espone queste tesi, cfr. in Rebaglia, 1997, op.cit. La teoria raffigurativa del linguaggio, pp.65-67; “Dire” e “mostrare”, pp.67-69; Leggi fisiche e verità, pp.69-72. ↑

222 ALBERTA REBAGLIA [5] Per un’analisi della filosofia neopositivista che faccia riferimento all’idea-guida di verità (ovviamente, in stretta relazione con i concetti di ragione e progresso qui analizzati) cfr. Rebaglia (1997), e in particolare cfr. ivi Schlick, Il criterio metodologico di verificazione, pp.80-81; Carnap, La concezio-ne scientifica del mondo, pp.87-89, Protocolli e convenzioni, pp.89-90; Reichenbach, Induzione e probabilità, pp.97-99, Verità sintetiche e verità a priori, pp.99-101. ↑ CAP. 7 [1] Poincaré sottolinea il ruolo guida svolto dai fatti nel consentire di valutare semplicità ed economia delle teorie scientifiche: « Tutto ciò che lo scienziato crea in un fatto, è il linguaggio nel quale l’enuncia »; « I fatti son fatti, e se accade che essi siano conformi a una predizione, non è in virtù della nostra libera attività » (cfr. 1905, op.cit., pp.209-210). ↑ [2] « Tutta la scienza ha lo scopo di sostituire, ossia di economizzare esperienze mediante la riproduzione e l'anticipa-zione di fatti nel pensiero. [..] riproduciamo [..] i fatti [..] in vista di uno scopo nato direttamente o indirettamente da un interesse pratico », scrive Mach (cfr. Scheda 4). E ancora: « La mia idea fondamentale [è] che la scienza sia essenzialmente un’economia di pensiero. [..] Tutta la scienza ha lo scopo di sostituire, ossia di economizzare esperienze mediante la riproduzione e l’anticipazione di fatti nel pensiero » (1883, op.cit., pp.28 e 470). ↑ [3] « Nulla enuncia intorno al mondo la possibilità di descri-verlo mediante la meccanica newtoniana; ma enuncia invece qualcosa la possibilità di descriverlo mediante essa proprio

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 223 così come appunto lo si può descrivere », afferma Wittgenstein (in Rebaglia, 1997, op.cit., p.71). ↑ [4] In una insolita similitudine, Albert Einstein sostiene che la relazione tra costruzione teorica e mondo dell’esperienza « è analoga non tanto a quella del brodo rispetto al bue quanto, semmai, a quella dello scontrino del guardaroba rispetto al cappotto» (Fisica e realtà, 1936, in Einstein, 1988, p.532). L’espressiva analogia sottolinea il carattere convenzionale che, nell’epistemologia contemporanea, viene a sostituire il tradi-zionale rapporto di diretta e immediata dipendenza delle ipotesi teoriche nei confronti dell’esperienza e dell’osservazione (rapporto che ricorda ad Einstein il nesso che lega “brodo” e “bue”). ↑ [5] Ulteriori letture tratte da scritti di Popper sono incluse in Rebaglia, 1997, op.cit.: cfr. La falsificabilità come criterio di demarcazione, pp.112-113; Convenzionalità delle asserzioni-base, pp.113-115; “Verità” e “corroborazione” nella “Logica della scoperta scientifica”, pp.115-116; La teoria oggettivistica della verità, ivi, pp.117-119; Ancora sulla verità come corri-spondenza, pp.119-120. ↑ [6] Una radicalizzazione delle analisi di Duhem è stata compiuta, mediante una rielaborazione del convenzionalismo di Poincaré, da Edouard Le Roy, il quale rivendica una natura puramente linguistica dei fatti scientifici, che non solamente non sono controllabili prendendo in considerazione ipotesi isolate, ma vengono ritenuti costruzioni convenzionali interne all’apparato concettuale –complesso e organico– che caratte-rizza i sistemi teorici nella loro globalità (cfr. Le Roy, 1899-1900). ↑

224 ALBERTA REBAGLIA [7] Di ulteriori regole metodologiche individuate da Latour per la scienza “in azione” tratteremo nei prossimi capitoli. ↑ [8] Qualsiasi ipotesi teorica, secondo l’argomentazione di Lakatos, può essere ritenuta non falsificabile per decreto –anche qualora vengano rilevate evidenze empiriche con essa contrastanti– in base a un accordo intersoggettivo e alla conseguente determinazione di ‘ipotesi ausiliari’ che formino, intorno alla teoria, un’adeguata “cintura protettiva”. ↑ [9] Di Lakatos, cfr. in Rebaglia, 1997, op.cit.: I tre programmi razionalisti per definire la verità scientifica, pp.173-175, Falsificazione e teorie scientifiche rivali, pp.176-179, Esperi-menti solo retrospettivamente cruciali, pp.179-180. ↑ [10] Di falsificazionismo “dogmatico” o “ingenuo” parla Imre Lakatos per individuare la concezione –non ancora sufficien-temente critica verso l’impostazione tradizionale– che mantie-ne la fiducia in una « base empirica infallibile» (cfr. Lakatos, 1970, op.cit.). ↑ [11] Cfr. il saggio Lakatos (1976), pubblicato dapprima nel “British Journal for the Philosophy of Science”, vol.14, 1963-1964, pp.1-25, 120-39, 221-45, 269-342, e quindi ripubblica-to, con numerose integrazioni, presso la Cambridge University Press nel 1976. Il titolo scelto da Lakatos, Dimostrazioni e confutazioni. La logica della scoperta matematica, fa da con-trappunto al testo di Popper del 1963, Congetture e confuta-zioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica. Qui Lakatos sottolinea come anche le dimostrazioni matematiche possano venire confutate. Quale caso esemplare, egli segue la trava-gliata storia della dimostrazione del teorema formulato da Eulero nel 1752, che stabilisce la validità per tutti i poliedri

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 225 della relazione che lega vertici V, spigoli S e facce F, secondo l’equazione: V-S+F=2. Le successive ridefinizioni storicamen-te elaborate « sono prodotte dalla collisione tra la dimostrazio-ne e i controesempi, sono il memorandum o il registro del processo di negoziazione », come scrive il sociologo della conoscenza David Bloor (Bloor, 1976, p.211). ↑ [12] L’invenzione di Diesel consiste nell’introdurre nuovi sistemi di iniezione e di ignizione del carburante in modo che, all’accensione, non aumenti la temperatura nel motore e questo si comporti come il motore perfetto che obbedisce al ciclo termodinamico di Carnot. ↑ [13] Industrie tedesche specializzate nella costruzione di macchinari. ↑ CAP. 8 [1] Neurath sostiene l’intrascendibilità, l’invalicabilità, del linguaggio: «Le asserzioni sono sempre confrontate con altre asserzioni, certamente non con qualche ‘realtà’, né con ‘cose’ [..] non può esservi altro concetto di verità per la scienza» (Neurath, 1981, voll.II, pp.418 e sgg.). Cfr. anche il brano di Neurath antologizzato in Rebaglia, 1997, op.cit.: La coerenza delle enciclopedie e l’indebolimento delle teorie scientifiche, pp.124-126. ↑ [2] Uno sviluppo logicamente conseguente delle progressive disillusioni epistemologiche che hanno caratterizzato il XX secolo pone, dunque, in discussione persino la distinzione (cardine del pensiero occidentale) tra l’orizzonte dell’opinabile (doxa) che caratterizza i generi letterari o i discorsi edificanti,

226 ALBERTA REBAGLIA dove si sottolinea l’attività razionale creativa, e quello della conoscenza (episteme), di specifica pertinenza dell’indagine scientifica. Come dichiara Paul Feyerabend (forse il più noto fra gli epistemologi che hanno tentato di percorrere questa strada fino alle sue conseguenze ultime), la razionalità scienti-fica è stata privilegiata quale forma di ragionamento attraverso un’operazione di dequalificazione di ogni forma alternativa di pensiero, operazione che si rivela priva di fondamenti vinco-lanti. Di Feyerabend, in Rebaglia, 1997, op.cit., cfr. i brani: La scienza come proliferazione di teorie incompatibili, pp.184-187; Anarchismo metodologico, pp.187-188. ↑ [3] L’impostazione di Lavoisier è incentrata su una pesatura di reagenti e prodotti di una reazione e sull’applicazione del principio di conservazione della massa. Secondo lo scienziato francese, le prove sperimentali possono indicare il numero degli elementi chimici partendo dal postulato che « niente si crea e niente si distrugge in natura e nelle operazioni chimi-che», e quindi il peso dei reagenti dev’essere uguale a quello dei prodotti ottenuti. Nella teoria della calcinazione, invece, alla liberazione di flogisto (con produzione della calce) è associato un aumento di peso, e all’assorbimento del flogisto (con produzione del metallo) corrisponde una diminuzione ponderale. ↑ [4] La convinzione che le proposizioni atomiche, le quali descrivono immediatamente lo stato di cose osservato, possa-no costituire la “base empirica” a cui gli enunciati scientifici devono essere ricondotti rappresenta un nodo concettuale caratteristico del positivismo logico, elaborato in particolare da Carnap e da Neurath nelle loro concezioni alternative sui “protocolli”. Cfr. Carnap, 1932/33; Neurath, 1933. ↑

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 227 [5] « Lo storico della scienza può essere tentato di esclamare che quando mutano i paradigmi, il mondo stesso cambia con essi. [..] Dopo un mutamento di paradigma, gli scienziati non possono non vedere in maniera diversa il mondo in cui sono impegnate le loro ricerche. Nei limiti in cui i loro rapporti con quel mondo hanno luogo attraverso ciò che essi vedono e fanno, possiamo dire che, dopo una rivoluzione, gli scienziati reagiscono a un mondo differente » [Kuhn, 1962, in Rebaglia, 1997, op.cit., p.167]. ↑ [6] Scrive Quine nel suo influente saggio Due dogmi dell’empirismo, del 1951, « Come empirista io continuo a considerare lo schema concettuale della scienza come un mezzo, in ultima analisi, per predire l’esperienza futura alla luce dell’esperienza passata. Gli oggetti fisici vengono concet-tualmente introdotti nella situazione come comodi intermedia-ri –non definendoli in termini di esperienza, ma come semplici postulati non riducibili, paragonabili, da un punto di vista epistemologico, agli dèi di Omero. [..] Sia l’uno che l’altro tipo di entità entrano nella nostra concezione soltanto come postulati culturali » [in Rebaglia, 1997, op.cit., p.150]. ↑ CAP. 9 [1] Questa acquisita consapevolezza sembra portare a conclusione la lunga storia delle critiche scettiche che hanno accompagnato l’impegno sia del razionalismo sia dell’empirismo a perseguire una conoscenza scientificamente certa. In epoca antica, Sesto Empirico sosteneva che: « Per risolvere la disputa concernente il criterio, dovremo disporre di un criterio condiviso che ci consenta di risolverla: e per poter disporre di un criterio condiviso, bisogna prima risolvere il problema del criterio. Senonché, se l’argomentazione assume un andamento circolare, la scoperta del criterio diventa

228 ALBERTA REBAGLIA impossibile. Da un lato, infatti, non è ammissibile che l’adozione di un criterio sia oggetto di una scelta preliminare [come fanno i filosofi dogmatici], dall’altro, se tali filosofi pretendono di giudicare un criterio sulla base di un criterio, li costringeremo a un regresso all’infinito» [Istituzioni pirroniane, libro II, cap.IV]. Quest’argomentare scettico, che sembrava aver perso incisività nel momento del sorgere e del consolidar-si della scienza moderna, riacquista ora peso; e i percorsi che la ragione traccia per opporvisi seguono le vie dell’incommensurabilità, del relativismo e anche, come vedre-mo, di un pensiero dialogico, ricorsivo, complesso, consape-volmente circolare e costruttivo. ↑ [2] Gaston Bachelard, fisico e chimico, oltre che noto episte-mologo, ha sostenuto –negli anni in cui si svolgevano i dibatti-ti interni al Circolo neopositivista di Vienna, e Popper formu-lava il proprio criterio di “falsificabilità”– tesi in linea con quelle che sarebbero state le riflessioni centrali nell’epistemologia a partire dalla metà del secolo scorso: “realtà” e “verità” delle teorie scientifiche non sono basate sul “rispecchiamento” di quanto è esterno all’orizzonte dei principi e delle leggi formali della scienza, e compito dell’epistemologia diviene cercare una via metodologica non coincidente con nessuna delle tradizionali, contrapposte, impostazioni dell’empirismo e del razionalismo. ↑ [3] Scrive l’epistemologa Mary Hesse: « solo pochi anni fa l’interrogativo classico sarebbe stato: ‘esiste un linguaggio teorico indipendente?’, poiché si riteneva che nella scienza il linguaggio teorico fosse parassitario rispetto al linguaggio osservativo e che dovesse probabilmente venire eliminato dal discorso scientifico attraverso la sua decodificazione e forma-lizzazione, o attraverso la sua esplicita definizione all’interno del –oppure la riduzione al- linguaggio osservativo. Oggi, però, numerose concezioni radicali e seguite richiedono a coloro che

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 229 credono nell’esistenza di un linguaggio osservativo l’onere di mostrare che tale concetto ha significato in assenza di una teoria » (Hesse, 1980, p.63). ↑ [4] Secondo la radicale posizione espressa da Feyerabend, ogni nuovo “paradigma” si occupa “di mondi (concettuali) diversi” rispetto al “paradigma” precedente, tanto da indurci a non ipotizzare più l’esistenza di un mondo oggettivo che non risenta delle nostre attività cognitive. « Non tutti vivono nello stesso mondo. Gli eventi che circondano una guardia fore-stale differiscono dagli eventi che circondano un cittadino che si è smarrito nella foresta. Si tratta di eventi diversi, non di diversi modi di apparire degli stessi eventi. Le differenze diventano evidenti quando ci spostiamo in una cultura non familiare o in un periodo storico distante nel tempo. Gli dei greci erano una presenza vivente: “c’erano”. Oggi non sono da nessuna parte », scrive nel saggio del 1987 [p.107] dal quale è tratto anche l’esergo del presente volume [Feyerabend, 1987, p.124]. ↑ [5] Per ulteriori letture antologiche e analisi critiche sul tema dell’incom-mensurabilità fra concezioni teoriche cfr. Rebaglia, 1997, op.cit., in cui sono presenti anche i brani di Feyerabend qui citati. ↑ [6] « Ecco dove si pongono le nuove radici dell’oggettività: sono in ciò che non si vede, non si tocca, in quello spazio che la ragione stessa istituisce come un al di là dell’esperienza », scrive Bachelard (in Rebaglia, 1997, Il “realismo trapiantato”, p.108. Per la citazione sopra riportata, cfr. ivi, nota 3, p.109). ↑

230 ALBERTA REBAGLIA [7] Scrive Bridgman: « Adottare il punto di vista operativo implica molto più che una semplice restrizione del senso in cui noi intendiamo il termine “concetto”: implica un cambia-mento decisivo in tutto il nostro modo di pensare, in quanto non ci permetteremo più di usare, come strumenti, concetti dei quali non possiamo renderci adeguatamente conto in termini di operazioni. Sotto alcuni aspetti il pensare diventa più semplice, in quanto certe antiche generalizzazioni e idealizzazioni diventano inutilizzabili [..] Sotto altri aspetti, invece, il pensare diventa molto più difficile, dato che le implicazioni operative di un concetto sono spesso assai nascoste » [Bridgman, 1927, p.57]. ↑ [8] Nella prefazione a Le parole e le cose, il filosofo francese Michel Foucault ricorda una storia raccontata dal poeta e scrittore argentino Jorge Louis Borges il quale menziona « una certa enciclopedia cinese» in cui « gli animali si dividono in: a) appartenenti all’Imperatore, b) imbalsamati, c) addomesticati, d) maialini di latte, e) sirene, f) favolosi, g) cani in libertà, h) inclusi nella presente classificazione, i) che si agitano folle-mente, j) innumerevoli, k) disegnati con un pennello finissimo di peli di cammello, i) et caetera, m) che fanno l’amore, n) che da lontano sembrano mosche» (Foucault, 1966, p.5). Il senso di disorientamento che il raggruppamento tassonomico provoca è dovuto proprio a quanto in esso vi è di inatteso: il suo essere totalmente svincolato da ogni supposto “rispec-chiamento” di un ordine intrinseco alla natura. ↑ [9] In base all’effetto Hall, « facendo passare una corrente attraverso una lamina d’oro, in un campo magnetico, si produce un potenziale perpendicolarmente al campo ed alla corrente » (come spiega Hacking, cfr. Scheda 16). ↑

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 231 [10] Rimane ancora presente lo spirito dell’indagine condotta dalle “formiche” empiriste; indagine affidata dai neopositivisti alla raccolta induttiva di dati immediati, nella consapevolezza che senza il principio di induzione la scienza « non avrebbe più il diritto di distinguere le sue teorie dalle creazioni fanta-stiche e arbitrarie della mente del poeta » (Reichenbach, in “Erkenntnis” I, 1930, p.186). E tale esigenza non contrasta, nel nuovo quadro concettuale, con l’impostazione deduttivista del falsificazionismo (che è riferimento obbligato delle più recenti riflessioni epistemologiche e originariamente si con-trappone, invece, alla concezione reichenbachiana: cfr., per esempio, Popper, 1934-1959, op.cit., p.6, dove l’espressione di Reichenbach è citata nell’ambito dell’elaborazione critica di una teoria che « si oppone radicalmente a tutti i tentativi di operare con le idee della logica induttiva », ivi, p.9). ↑ CAP. 10 [1] “Parlare”, secondo Foucault, non equivale a comunicare “conoscenze neutre”; nel discorso non si depositano conoscen-ze, bensì si forma il sapere. « Parlare significa fare qualcosa, qualcosa di diverso che esprimere quello che si pensa, tradur-re quello che si sa, qualcosa di diverso che far funzionare le strutture di una lingua » (Foucault, 1969, p.272); ovvero, parlare significa aprire uno “spazio” nel quale costituire fatti, oggetti, stili di ragionamento, concetti, teorie scientifiche. ↑ [2] Questo aspetto di reciproca interazione tra un soggetto e un oggetto privi di tratti assoluti è divenuto significativo nelle riflessioni che la filosofia ermeneutica è venuta elaborando negli ultimi secoli. In epoca antica si riteneva, infatti, che l’arte interpretativa, attraverso vaticini oracolari, consentisse di entrare in possesso di un senso nascosto; e anche l’esegesi medievale dei testi sacri intendeva avvicinarsi quanto più

232 ALBERTA REBAGLIA possibile al loro senso originario, trascendente. E’ a partire dal XVIII secolo, con il pensiero di Schleiermacher, che il lavoro interpretativo non è più inteso come il tendenziale riappropriarsi di una ricchezza originaria, per divenire uno sforzo di comprensione delle ragioni culturali e storiche che sono alla base del testo. Ogni momento interpretativo, sostie-ne Schleiermacher , arricchisce il testo originale e conduce a comprendere il discorso “anzitutto altrettanto bene” e poi “meglio” di quanto non lo capisse l’autore stesso. ↑ ↑ [3] Scrive il filosofo francese Paul Ricoeur: « Significativi sono i discorsi, ciò che è stato detto, e non gli ordinamenti sintattici scoperti da un osservatore esterno. Non possiamo [..] evitare di entrare nel circolo ermeneutico, come lo definisco; un circolo che mi rende uno dei segmenti del contenuto reale che trova la sua interpretazione al di là della mia mediazione » (Ricoeur, 1963). ↑ [4] Una figura rappresentativa in questo campo è, indubbiamente, Claude Benard. Scrive lo psicologo statunitense Gary Cziko: « Un biologo dell’Ottocento il cui lavoro sfidò il modello unidirezionale di causa-effetto fu Claude Benard (1813-1878). [..] Benard fece molte scoperte importanti sui processi interni degli organismi viventi. Ma il suo contributo più importante fu di tipo concettuale: il riconoscimento che questi processi servono a mantenere un ambiente interno relativamente costante nonostante le forze perturbative, e che tale regolazione o controllo del milieu intérieur è una condizione essenziale per tutti i sistemi viventi. In altri termini, una condizione necessaria per la vita è il perseguimento di un grado di indipendenza o di autonomia dall’ambiente esterno in modo che l’usuale relazione di causa-effetto presente nei sistemi inanimati qui non sia valida. Un bicchiere di acqua tiepida posto in frigorifero si troverà presto alla temperatura di questo nuovo ambiente. La bassa temperatura è la causa e il raffreddamento dell’acqua l’effetto.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 233 damento dell’acqua l’effetto. Ma se si immette un uccello in un ambiente più freddo questo non avrà pressoché nessun effetto sulla sua temperatura corporea » [Cziko, 2000, p.5]. ↑ [5] Bateson si è interessato ai problemi della comunicazione umana, rimanendo distante dal gruppo di ricercatori di Palo Alto (di cui è esponente Watzlawick), ai quali imputava di aver sviluppato alcune sue idee in una direzione pragmatica non fedele al senso originario delle sue ricerche. ↑ [6] Il termine (che nell’immaginario mitologico dell’antichità indica l’elemento primordiale, la Terra in quanto Madre generatrice) intende sottolineare l’interconnessione di tutti gli ecosistemi in un complesso sistema energetico globale, analiz-zabile mediante modelli matematici. Questa tendenza a una sintesi unificante ha dato luogo, in quegli stessi anni, allo sviluppo della sociobiologia, che estende l’applicazione delle tesi di Darwin e trova in Edward O. Wilson il padre fondatore (cfr. Wilson, Sociobiologia: la nuova sintesi, 1975): geni e ambiente, in base alle leggi della selezione naturale, sono i fattori determinanti di ogni esito comportamentale, ed è possibile prospettare un modello esplicativo di questa “coevo-luzione gene-cultura”. Tale “convergenza esplicativa” (consi-lence ) tra fattori biologici e culturali, secondo Wilson, prose-gue ed esplicita il progetto, avanzato nell’illuminismo da Condorcet e nel Novecento dal neopositivismo, di progressiva unificazione delle conoscenze. ↑ [7] Platone narra come un “artefice divino” (demiurgo) “fabbricò l’universo” avendo quale proprio modello il mondo eterno e increato delle Idee. «Il mondo così nato è stato fatto secondo modello, che si può apprendere con la ragione e con l’intelletto, e che è sempre nello stesso modo» [Timeo, 29]. ↑

234 ALBERTA REBAGLIA [8] Tra i fondatori della Scuola Operativa Italiana, Silvio Ceccato propone un’analisi dell'attività mentale che modellizza i rapporti fra questa attività e il linguaggio e puntualizza le sue tesi in riferimento (e, parzialmente, in contrasto) con le impostazioni di Bridgman, in ambito filosofico, e di Wiener, in ambito cibernetico. ↑ [9] Scrive Piaget: « In prima approssimazione, una struttura è un insieme di trasformazioni, che comporta delle leggi proprio in quanto sistema (in contrapposizione a delle proprietà degli elementi) e che si preserva o si arricchisce attraverso il gioco stesso delle sue trasformazioni, senza che queste escano oltrepassino i suoi confini o facciano ricorso ad elementi esterni. Brevemente, una struttura comprende perciò i tre caratteri di totalità, trasformazione e autoregolazione. In seconda approssimazione, [..] la scoperta della struttura deve poter dare luogo a una formalizzazione. Soltanto, bisogna aver bene presente che si tratta del lavoro di un teorico, mentre la struttura è indipendente da esso, e tale formalizza-zione si può tradurre immediatamente in equazioni logico-matematiche o può passare attraverso la fase intermedia di una modellizzazione cibernetica » (Piaget, 1968, pp.5 e segg.). ↑ [10] Disciplina che nasce, negli anni Settanta del secolo scorso, dall’intersezione di più campi di studio –psicologia, neuroscienze, linguistica e la stessa cibernetica– e considera la mente (i processi cerebrali che coinvolgono memoria, percezione, linguaggio) come un flusso di informazioni model-lizzabile in analogia con un elaboratore elettronico. ↑

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 235 CAP. 11 [1] Come scrive il sociologo della scienza John Ziman, «… i costruttivisti argomentano che ciò che gli scienziati chiamano “fatti” –persino “oggetti”– sono tutti essenzialmente “costrutti”. Essi non possono mai essere pienamente confermati senza il dispiegarsi dell’azione umana e dunque sono, spesso, entità ipotetiche la cui esistenza viene dedotta da esili catene di ragionamento frutto di esperimenti attentamente studiati, e che incorporano pesantemente modelli teorici. [..] Fino agli anni Settanta, il pensiero metascientifico era dominato dalla Leggenda, che dipinge ogni azione della scienza come “scoper-ta”. L’ampio movimento intellettuale, genericamente indicato col termine “costruttivismo” (o il contiguo “relativismo”), giunse come una sfida salutare a questa visione parziale. Alla fine si comprese che in molti aspetti la scienza doveva essere vista come un’istituzione sociale, organizzata in modo da fornire un prodotto sociale» (Ziman, 2000, pp.301-303). ↑ [2] Come puntualizza lo studioso di managment Peter Drucker, « I presupposti di base sulla realtà sono i paradigmi di una scienza sociale, qual è il management. A essi studiosi, scrittori, insegnanti e addetti ai lavori fanno capo di solito inconsapevolmente. E tuttavia tali presupposti determinano largamente quanto la disciplina [..] assume come realtà. I presupposti di base della disciplina per quanto concerne la realtà determinano ciò su cui essa si focalizza. Essi determi-nano ciò che la disciplina considera i “fatti”, nonché ciò che la disciplina stessa considera i suoi temi d’indagine» [Drucker, 2001, p.3]. E cibernetica, costruttivismo, filosofia della tecnoscienza individuano quale loro principale assunto sulla realtà proprio il declino del tradizionale presupposto al quale Drucker ancora fa riferimento, ovvero il paradigma secondo cui sono profondamente differenti e nettamente distinguibili la « scienza naturale», che « si occupa del comportamento di oggetti», e « una disciplina sociale come il management», che

236 ALBERTA REBAGLIA « si occupa del comportamento di persone e istituzioni umane» [ivi, p.4]. ↑ [3] Può essere utile ricordare l’esemplificazione che Ruud Smits propone quale controesempio rispetto alla usale tesi secondo cui le innovazioni tecnologiche sono ‘effetto’ delle invenzioni scientifiche: « La macchina a vapore è un buon esempio di invenzione tecnologica che poté venire ulteriormen-te sviluppata solo grazie all’emergere di innovazioni sociali ed economiche, come il capitalismo e l’imprenditoria. Fu il sorgere dell’industria, che rese indispensabile una fonte di energia centralizzata, a provocare il perfezionamento del motore a vapore – che fino ad allora era stato una macchina a basso rendimento utilizzata per pompare l’acqua fuori dalle miniere» [2002, op.cit., p.866]. ↑ [4] Nata, come testimonia von Foester, da « una serie di conferenze [..] che mostrarono in modo spettacolare il salto avvenuto dalla suddivisione in discipline all’interdisciplinarità e le difficoltà connesse con la discontinuità esistente tra di esse. Argomento [..] di queste conferenze era la “Causalità circolare” e i partecipanti erano matematici, fisici, ingegneri elettrotecnici, fisiologi, neurologi, psicologi sperimentali, psichiatri, antropologi culturali, filosofi e zoologi » [intervento al seminario “Transdisciplinarità nelle scienze”, von Foester, 1987, p.127]. ↑ [5] Di diallele, termine introdotto da William Hamilton nella seconda metà dell’Ottocento, parla Charles Sanders Peirce in quegli stessi anni –attribuendo a esso un’accezione positiva– a proposito del legame che unisce verità e metodo scientifico: « Peirce non riteneva che ci fosse da un lato la verità e dall’altro un metodo per raggiungerla. La verità è il risultato dell’induzione. La sua teoria dell’inferenza probabile è un

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 237 metodo per produrre stime stabili delle frequenze relative. D’altra parte, il mondo reale è un insieme di frequenze relative stabilizzate le cui proprietà formali sono precisamente quelle dei metodi di stima di Peirce. Il metodo e la realtà non com-baciano per caso o per un’armonia prestabilita. Si definiscono l’un l’altro » [Hacking, 1990, op.cit., p.319]. ↑ [6] Negli anni Ottanta l’impostazione concettuale del Just in Time, introdotta da W. Edwards Deming nel riorganizzare l’industria giapponese del dopoguerra, diviene la base impren-ditoriale su cui impiantare la fabbrica integralmente automa-tizzata, nella quale l’intero sistema è organizzato intorno al controllo centralizzato non solo delle macchine e dei processi interni di lavorazione, ma anche degli input e degli output tra fabbrica e magazzino, nonché tra impresa e mercato. « Il consumatore è la parte più importante della linea di produzio-ne. [..] Ma di che cosa ha bisogno il consumatore? Come possiamo essergli utili? Di che cosa pensa di avere bisogno? Può permetterselo? [..] L’uso principale delle ricerche sul consumatore dovrebbe essere quello di valersi delle sue reazioni per la progettazione del prodotto in modo che il management possa anticipare le richieste e le necessità di cambiamento e stabilire così i livelli economici di produzione. Le ricerche sul consumatore indagano sulle reazioni e richie-ste e cercano di trovare le spiegazioni di quanto è stato scoper-to. La ricerca sul consumatore è un processo di comunicazio-ne tra il fabbricante e gli utenti del suo prodotto [..] Una volta il processo di fabbricazione era concepito in tre fasi, come si vede nella figura (a). Il successo dipendeva dall’abilità di indovinare quale tipo di prodotto si sarebbe venduto e in quale quantità si dovesse produrre. Nella vecchia maniera, le tre fasi della figura (a) sono indipendenti. Nella nuova maniera, il management, di solito con l’aiuto di una ricerca sul consu-matore, introduce una quarta fase (si veda la figura (b)): 1. Progettazione del prodotto; 2. Fabbricazione; test sulla linea di produzione e nel laboratorio; 3. Immissione del prodotto nel

238 ALBERTA REBAGLIA mercato; 4. Test del prodotto in servizio: si scopre che cosa ne pensa l’utente, e perché il mancato utente non lo ha acquista-to » (Deming, 1982, pp.145-146). ↑

Figura (a) - La vecchia maniera

p r o g e t ta z io n e fa b b r ic a z io n e c o m m e r c ia l iz z a z io n e

1 2 3

Figura (b) - La nuova maniera. Introduce un’altra fase: il test del prodotto

1

2

4

3 [7] Nelle industrie del XVIII e del XIX secolo (e anche negli stabilimenti di impostazione tayloristica dei primi decenni del Novecento) ogni innovazione introdotta in una delle fasi produttive risultava del tutto indipendente dalle decisioni assunte da altre fabbriche che si occupavano di fasi differenti di lavorazione (per esempio, nella produzione tessile dell’Inghilterra del XVIII secolo, l’aumento di produzione di filo ritorto in seguito all’introduzione del frame non ebbe ricadute dirette, a livello di innovazione tecnologica, sulle trasformazio-ni apportate nella raccolta del cotone in seguito all’introdu-zione della sgranatrice di Whitney). ↑ [8] Allievo –verso la fine degli anni Settanta– di Herbert Marcuse, il quale ha formulato ipotesi di superamento della razionalità illuministica, della quale puntualizzava risvolti repressivi e alienanti (come Adorno e Horkheimer, filosofi sulle cui tesi ci siamo soffermati). ↑

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 239 [9] Norbert Wiener, in uno scritto degli anni Cinquanta (pubblicato per la prima volta nel 1993) dedicato al tema dell’invenzione, già argomentava con chiarezza come « Stiamo vivendo in un’età che differisce da quelle precedenti per il fatto che l’invenzione di nuovi macchinari e, in generale, di nuovi mezzi di controllo dell’ambiente non è più un fenomeno sporadico, ma è divenuto un processo comunemente accettato a cui si ricorre non più soltanto per accrescere la qualità della vita, ma per la disperata necessità di rendere possibile in futuro una qualunque forma di vita, e tanto più una vita civilizzata. [..] Perciò noi viviamo soltanto grazie all’invenzione: non solo a motivo di quelle invenzioni che già sono state compiute, ma nella speranza di nuove invenzioni, non ancora esistenti, per il futuro » [Wiener, 1993, pp.1-3]. ↑ [10] Cfr. Simondon (1969). La crescente ‘concretizzazione’ degli oggetti tecnici storicamente prodotti consiste, secondo Simondon, nel « realizzare una convergenza di funzioni entro un’unità strutturale » (ivi, p.22). La ‘differenziazione’, isolando elementi strutturali che potrebbero contrapporsi ad altri, e la ‘sottodeterminazione’, facendo sì che uno stesso elemento ricopra più funzioni differenti, rendono possibile una sempre maggiore concretizzazione degli oggetti tecnologici, dei quali accrescono la coerenza interna. In tal modo, sottolinea Simondon, possiamo classificare gli oggetti tecnici nella loro evoluzione storica, identificando nei più recenti dispositivi tecnologici sistemi che esistono soltanto in rapporto con l’ambiente a essi esterno (una turbina, per esempio, è un sistema sinergico di relazioni tra condotti forzati in cui circola l’acqua marina, turbina propriamente detta e generatore contenuto in un compressore d’olio sotto pressione: è essa stessa a creare l’ambiente necessario al suo funzionamento). Il più ‘concreto’ oggetto tecnologico è, dunque, esso stesso causa delle sue condizioni di funzionamento; gli elementi che lo compongono sono organizzati « in funzione della causalità circolare che esisterà allorché l’oggetto verrà approntato » (ivi,

240 ALBERTA REBAGLIA p.57): anche il principio di concretizzazione di Simondon sfocia nell’impostazione circolare di pensiero individuata, come abbiamo visto, a partire dai modelli della cibernetica. ↑ [11] Il rapporto della Commissione Mondiale delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (1987) rappresenta il primo, importante momento di discussione sullo “sviluppo sostenibi-le”, di cui si tenta di formulare una definizione precisa affer-mando che esso consiste nello « sviluppo che viene incontro alle esigenze del presente senza compromettere le possibilità delle future generazioni di trovare una soluzione alle loro esigenze » . Negli stessi anni, l’economista statunitense Jeremy Rifkin ha contribuito all’affermazione del concetto di “sviluppo sostenibile” unendo, nel volume Entropy , i temi della teoria economica con quelli dello studio ambientale (Rifkin, 1981). ↑ [12] In altri moduli afferenti il Master in Ricerca Industriale, ITIA-CNR, è specificamente puntualizzato il modello competiti-vo e sostenibile che occorre accompagni una innovativa ricerca di soluzioni tecnologiche adeguate, finalizzate alla produzione manifatturiera: ogni prodotto deve fornire le prestazioni attese, per il periodo di tempo voluto, rispettando sempre –nelle differenti fasi del suo ciclo di vita– i vincoli imposti dai differenti ambienti cui esso appartiene (cfr. Jovane, 2001, in particolare p.15; e Jovane, Koren, Boër, 2003, in particolare §3). ↑

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SCHEDE

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Scheda 1. FRANCESCO BACONE LA NUOVA FILOSOFIA DELLA NATURA Coloro che trattarono le scienze furono o empirici o dogmatici. Gli empirici, come le formiche, accumulano e consumano. I razionalisti, come i ragni, ricavano da se medesimi la loro tela. La via di mezzo è quella delle api, che ricavano la materia prima dai fiori dei giardini e dei campi, e la trasformano e la digeriscono in virtù di una loro propria capacità. Non dissimile è il lavoro della vera filosofia, che non si deve servire soltanto o principalmente delle forze della mente; la materia prima, che essa ricava dalla storia naturale e dagli esperi-menti meccanici, non deve esser conservata intatta nella memoria ma trasformata e lavorata dall’intelletto. Così la nostra speranza è riposta nell’unione sempre più stretta e più santa delle due facoltà, quella sperimentale e quella razionale, unione che non si è finora realizzata. Duplice è la colpa del senso: o ci abbandona o ci inganna. In primo luogo esiste un’infinità di cose che sfuggono al senso anche se esso è ben disposto e non è ostacolato in alcun modo. Ciò avviene o per la sottigliezza dell’intero corpo, o per la piccolezza delle sue parti, o per la distanza, o per la grande lentezza o velocità del moto, o per la familiarità dell’oggetto, o per altre cause. Anche quando il senso afferra l’oggetto, la sua comprensione non è sempre sicura, perché la testimonianza e l’informazione del senso avvengono sempre in base a un’analogia con l’uomo, non in base a un’analogia con l’universo. Per questo è un grande errore asserire che il senso è la misura delle cose. Per rimediare a questa situazione abbiamo radunato da ogni parte e costruito con molta e tenace fatica degli aiuti per il senso, che fossero in grado di rimediare agli inganni con delle sostituzioni, alle variazioni con delle rettificazioni. Per realizzare questo, ci serviamo non tanto di strumenti, quanto di esperimenti. Infatti la sottigliezza degli esperimenti è di gran lunga maggiore di quella dei sensi anche se questi siano aiutati da squisiti strumenti (parliamo, s’intende, di quegli esperimenti che sono stati escogitati con abilità e con arte proprio per risolvere il problema in questione). Alla percezione immediata e propria del senso non attribuiamo dunque grande valore e giungiamo ad affermare che il senso dovrà giudicare solo dell’esperimento e l’esperimento delle cose reali.

(da Bacone, 1620, seconda parte dell’Instauratio Magna, libro I, aforisma 95 e “Argomenti delle singole parti”, p.535)

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Scheda 2. IMMANUEL KANT LA SINTESI A PRIORI Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su di un piano inclinato, con un peso scelto da lui stesso, e Torricelli fece sopportare all’aria un peso, che egli stesso sapeva di già uguale a quello di una colonna d’acqua conosciuta, e, più tardi, Stahl trasformò i metalli in calce, e questa di nuovo in metallo, togliendovi o aggiungendo qualche cosa, fu una rivelazione luminosa per tutti gli investigatori della natura. Essi compresero che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno, e che, con principi de’ suoi giudizi secondo leggi immutabili, deve essa entrare innanzi e costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per dir così, colle redini; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria, che pure la ragione cerca e di cui ha bisogno. E’ necessa-rio dunque che la ragione si presenti alla natura avendo in una mano i princìpi, secondo i quali soltanto è possibile che fenomeni concordanti abbian valore di legge, e nell’altra l’esperimento, che essa ha imma-ginato secondo questi princìpi: per venire, bensì, istruita da lei, ma non in qualità di scolaro che stia a sentire tutto ciò che piaccia al maestro, sibbene di giudice, che costringa i testimoni a rispondere alle domande che egli loro rivolge. La nostra conoscenza scaturisce da due fonti principali dello spirito, la prima delle quali è la facoltà di ricevere le rappresentazioni (la recet-tività delle impressioni), la seconda quella di conoscere un oggetto mediante queste rappresentazioni (spontaneità dei concetti). Per la prima, un oggetto ci è dato; per la seconda esso è pensato in rappor-to con quella rappresentazione (come semplice determinazione dello spirito). Intuizione e concetti costituiscono, dunque, gli elementi di ogni nostra conoscenza; per modo che, né concetti, senza che a loro corrisponda in qualche modo una intuizione, né intuizione, senza concetti, possono darci una conoscenza.

(da Kant, 1781/87, pp.18-19, 93)

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244 ALBERTA REBAGLIA

Scheda 3. AUGUSTE COMTE FILOSOFIA POSITIVA Nello stadio teologico, lo spirito umano mira essenzialmente, median-te la ricerca, allo scoprimento della natura intima degli esseri, delle cause prime e finali dei fenomeni che lo colpiscono; in una parola, tende alle conoscenze assolute. Si rappresenta i fenomeni come prodotti dell’azione diretta e costante di agenti sovrannaturali, più o meno numerosi, il cui intervento arbitrario spiega le apparenti ano-malie dell’universo. Nello stadio metafisico, che sostanzialmente è soltanto una modifica del primo, gli agenti sovrannaturali sono sostituiti da forze astratte, vere entità (astrazioni personificate) inerenti ai diversi esseri nel mondo, e concepite come capaci di produrre tutti i fenomeni che cadono sotto la nostra osservazione, e la cui spiegazione consiste allora soltanto nell’assegnare a ciascun fenomeno l’entità corrispon-dente. Infine, nello stadio positivo, lo spirito umano, riconosciuta l’impossibilità di toccare nozioni assolute, rinuncia a indagare sull’origine e sul destino dell’universo, e tenta unicamente di scoprire, mediante l’uso ben combinato della ragione e dell’esperienza, le loro leggi effettive, ossia le loro relazioni invariabili di successione e di somiglianza. La spiegazione dei fatti, ridotta allora in termini reali, non è altro che il legame stabilito fra i diversi fenomeni particolari e qualche fatto generale, il cui numero tende via via a diminuire in seguito al progresso costante delle scienze. Il carattere fondamentale della filosofia positiva è di considerare tutti i fenomeni come assoggettati a leggi naturali invariabili, la cui precisa scoperta e la riduzione al minor numero possibile costituiscono il fine di tutti i nostri sforzi, mentre riteniamo assolutamente inaccessibile e priva di senso per noi la ricerca di quelle che vengono chiamate le cause, sia prime sia finali. Se, invece di considerare [..] lo spirito generale della filosofia positiva relativamente al modo fondamentale di procedere, lo si considera ora quanto al carattere essenziale dei concetti scientifici, si può facilmente riconoscere che, conformemente alla nostra prima indicazione comparativa, questa filosofia si distingue allora prici-palmente dalla filosofia teologico-metafisica per una tendenza costan-te e irresistibile a rendere necessariamente relative tutte le nozioni che, all’inizio, erano, al contrario, necessariamente assolute. Questo passaggio inevitabile dall’assoluto al relativo costituisce, infatti, uno dei più importanti risultati filosofici di ognuna delle rivolu-zioni intellettuali che hanno successivamente condotto i diversi ordini

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delle nostre speculazioni dallo stato puramente teologico o metafisico allo stato veramente scientifico. [..] Dal punto di vista puramente scientifico, e mettendo da parte ogni idea di applicazione, si può anche considerare, mi sembra, un simile contrasto generale tra il relativo e l’assoluto come la più decisiva manifestazione del contrasto fondamentale che separa così profondamente la filosofia moderna dall’antica. Ogni studio della natura intima degli esseri, delle loro cause prime e finali, ecc., deve, evidentemente, essere sempre assoluto, mentre ogni ricerca delle sole leggi dei fenomeni è assolu-tamente relativa, poiché presuppone immediatamente un progresso continuo della speculazione subordinata al perfezionamento graduale dell’osservazione, senza che l’esatta realtà possa essere mai, in alcun modo, perfettamente rivelata.

(da Comte, 1830-1847, tr. it. 1957, pp.6-7 e tr. it. 1967, vol.I, pp.16, 204-205)

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Scheda 4. ERNST MACH ASSIOMI ED ESPERIENZA Diciamo corpi di massa uguale quelli che, agendo l’uno sull’altro, si comunicano accelerazioni uguali e opposte. Con ciò non facciamo altro che designare una relazione fattuale. [..] Se scegliamo il corpo A come unità di misura, attribuiremo la massa m a quel corpo che imprime ad A un’accelerazione pari a m volte l’accelerazione che esso riceve da A. [..] La mia definizione di massa è il risultato di una ricerca volta a stabili-re l’interdipendenza dei fenomeni e a far scomparire ogni oscurità metafisica, e non è meno valida di qualsiasi altra definizione finora in uso. [..] Newton espone sullo spazio e sul moto idee analoghe a quelle sul tempo. Riportiamo alcuni passi. [..] “Si sospenda, per esempio, un secchio a un filo assai lungo, e gli si imprima un moto circolare continuo finché il filo divenga rigido a causa della torsione. Lo si riempia d’acqua e lo si lasci in quiete assieme all’acqua. Con una forza subitanea gli si imprima poi un moto circolare nel senso contrario. La corda disvolgendosi perseve-rerà a lungo in questo moto; all’inizio la superficie dell’acqua sarà piana, com’era prima che il recipiente cominciasse a muoversi; ma in seguito questo, comunicando gradualmente la forza all’acqua, fa sì che essa cominci sensibilmente a girare. L’acqua si allontana un po’ per volta dal centro e sale lungo le pareti del recipiente, assumendo una forma concava. [..]” “In principio, quando il moto relativo dell’acqua nel secchio era massimo, quel moto non provocava alcuno sforzo di allontanamento dall’asse. L’acqua non tendeva alla periferia sollevandosi lungo le pareti, ma rimaneva piana, e perciò non aveva ancora cominciato il suo vero moto circolare. Poi, quando diminuì il moto relativo dell’acqua, la sua ascesa verso i bordi indicava lo sforzo di allontana-mento dall’asse, e questo sforzo indicava che il suo vero moto circola-re cresceva continuamente fino al punto massimo in cui l’acqua raggiungeva lo stato di quiete relativa nel secchio. [..]” “E’ molto difficile conoscere i veri moti dei singoli corpi e distinguerli dai moti apparenti, poiché le parti dello spazio immobile, in cui i corpi si muovono di moto vero, non cadono sotto i sensi.” [..] Se in un sistema di corpi distribuiti nello spazio si trovano masse che si muovono con velocità diverse e in condizione di poter entrare in rapporto reciproco, allora si verificano delle forze. Quanto grandi siano queste forze, può essere stabilito se si conoscono le velocità, alle quali ogni massa può essere portata. Anche le masse in quiete

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sono forze, se non tutte le masse sono in quiete. Si pensi, per esempio, al vaso rotante di Newton allorché l'acqua contenutavi non ruota ancora. [..] Tutte le masse, tutte le velocità, quindi tutte le forze sono relative. Non esiste differenza fra relativo e assoluto, che noi riusciamo a cogliere coi sensi. D'altra parte non c'è ragione che ci costringa ad ammettere questa differenza, dato che l'ammissione non ci porta vantaggio né teorico né di altro ordine. Gli autori moder-ni che si lasciano convincere dall'argomento newtoniano del vaso d'acqua a distinguere fra moto assoluto e moto relativo, non si rendono conto che il sistema del mondo ci è dato una sola volta, e che la teoria tolemaica e quella copernicana sono soltanto interpreta-zioni, ed entrambe ugualmente valide. Si cerchi di tener fermo il vaso newtoniano, di far ruotare il cielo delle stelle e di verificare l'assenza delle forze centrifughe. E’ appena necessario far notare che nei passi sopra citati, ancora una volta Newton non mantiene il proposito di prendere in considerazione solo il fattuale. [..] Tutta la scienza ha lo scopo di sostituire, ossia di economizzare esperienze mediante la riproduzione e l'anticipazione di fatti nel pensiero. [..] Non riproduciamo mai i fatti nella loro completezza, ma solo in quei loro aspetti che sono importanti per noi, in vista di uno scopo nato direttamente o indirettamente da un interesse pratico. [..] La “cosa” è un'astrazione, il nome è un simbolo per un complesso di elementi, dalle cui variazioni astraiamo. Indichiamo l'intero com-plesso con una sola parola, con un unico simbolo, perché abbiamo bisogno di richiamare alla mente in una sola volta tutte le impressioni che lo compongono. [..] Le sensazioni non sono “simboli delle cose”. La “cosa” è al contrario un simbolo mentale per un complesso relativamente stabile di sensazioni.

(da Mach, 1883, pp.236-237, 244-246, 470-471)

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Scheda 5. KARL MARX FORZA LAVORO E PLUSVALORE Poiché [..] il lavoratore riceve il salario soltanto dopo aver finito il suo lavoro, e poiché egli sa che ciò ch’egli dà realmente al capitalista è il suo lavoro, perciò il valore o prezzo della sua forza-lavoro gli appare necessariamente come il prezzo o valore del suo lavoro stesso. Se il prezzo della sua forza-lavoro è di tre scellini, nei quali sono incorpo-rate sei ore di lavoro, e se egli lavora dodici ore, egli considera necessariamente questi tre scellini come il valore o il prezzo di dodici ore di lavoro, quantunque queste dodici ore di lavoro rappresentino un valore di sei scellini. Di qui una duplice conseguenza. Primo: il valore o prezzo della forza-lavoro prende l’apparenza este-riore del prezzo o valore del lavoro stesso [..] Secondo: benché solo una parte del lavoro giornaliero dell’operaio sia pagata, mentre l’altra parte rimane non pagata, benché proprio questa parte non pagata, o sopralavoro, rappresenti il fondo dal quale sorge il plusvalore o il profitto, ciò nonostante sembra che tutto il lavoro sia lavoro pagato. Questa falsa apparenza distingue il lavoro salariato dalle altre forme storiche del lavoro. Sulla base del sistema del salario anche il lavoro non pagato sembra essere lavoro pagato. Con lo schiavo, al contra-rio, anche quella parte di lavoro che è pagata appare come lavoro non pagato. Naturalmente lo schiavo, per poter lavorare, deve vivere, e una parte della sua giornata di lavoro serve a compensare il valore del suo proprio sostentamento. Ma poiché fra lui e il suo padrone non viene conchiuso nessun patto e fra le due parti non ha luogo nessuna compra e vendita, tutto il suo lavoro sembra lavoro dato per niente.

[K. Marx, 1865, cap.9]

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RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 249

Scheda 6. MAX HORKHEIMER CRITICA DELLA RAGIONE STRUMENTALE La trasformazione totale di ogni e qualsiasi campo dell’essere in un insieme di strumenti porta alla liquidazione del soggetto che li do-vrebbe usare. Questo dà alla moderna società industriale un aspetto nihilistico; la soggettivazione, che esalta il soggetto, lo condanna a morte. L’essere umano, nel processo della sua emancipazione, condivide il destino di tutto il resto del suo mondo. Nel dominio sulla natura è incluso il dominio sull’uomo. Ogni soggetto non solo deve cooperare con gli altri per soggiogare la natura esterna, umana e non umana, ma per far questo deve soggiogare la natura dentro di sé. [..] Se dunque nella società industriale l’uomo rinuncia a se stesso, questa rinuncia non ha uno scopo che trascenda la società industriale stessa; essa porta alla razionalità per quanto riguarda i mezzi, ma alla più assoluta irrazionalità per quanto riguarda la vita umana. [..] Un fattore della civiltà potrebbe essere definito come la graduale sostituzione della selezione naturale con l’azione razionale. La sopravvivenza - o, diciamo pure, il successo - dipende dalla capacità dell’individuo di adattarsi alle pressioni che la società esercita su di lui. [..] Questa, senza dubbio, non è una caratteristica solo dei tempi nostri, bensì è stata presente in tutta la storia dell’umanità. E’ vero però che le risorse intellettuali e psicologiche dell’individuo sono cambiate di pari passo con il variare dei mezzi di produzione materia-le. [..] Grado a grado l’uomo è diventato meno dipendente da norme assolu-te di condotta, da ideali vincolanti per tutti; è anzi considerato così completamente libero da non aver bisogno d’altra legge oltre la sua. Ma paradossalmente, di pari passo con l’indipendenza è accresciuta la passività. Mentre l’uomo è diventato abilissimo nei suoi calcoli finché è in gioco la scelta dei mezzi, la sua scelta dei fini -un tempo in rapporto con la fede in una verità oggettiva- è diventata priva d’intelligenza: purificato d’ogni residuo di mitologia, ivi compresa la mitologia della ragione oggettiva, l’individuo reagisce meccanicamen-te obbedendo a schemi generali di adattamento. Le forze economi-che e sociali assumono il carattere di cieche forze naturali che l’uomo, se vuol sopravvivere, deve dominare adattandosi ad esse. Come risultato finale del processo abbiamo da una parte l’io, l’astratto ego svuotato di ogni sostanza tranne che di questo tentativo di trasforma-re tutto quanto sta nel cielo e sulla terra in uno strumento della sua sopravvivenza, e dall’altro una natura anch’essa svuotata, degradata a pura materia, che dev’essere dominata senz’altro fine fuorché

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quello appunto di dominarla. [..]Può sembrare che l’uomo del nostro tempo abbia molta più libertà di scelta di quanta ne avessero i suoi predecessori, e in un certo senso è vero; questa libertà è cresciuta immensamente di pari passo con il crescere della capacità produttiva. In termini di quantità, un ope-raio dei nostri giorni ha a disposizione una scelta di beni di consumo assai più vasta di quella di cui poteva godere un aristocratico dell’ancien régime. L’importanza di questo fenomeno storico non va sottovalutata; ma prima di interpretare l’aumento delle possibili-tà di scelta come un aumento di libertà imitando gli entusiasti della produzione a catena, dobbiamo tener conto della pressione inseparabile da questo aumento e dal muta-mento di qualità concomitante con questo nuovo tipo di scelta. La pressione consiste nella coerci-zione che le moderne condizioni di vita sociale esercitano su chiun-que; il cambiamento può essere illustrato dalla differenza fra un artigiano del vecchio tipo che sceglieva lo strumento più adatto per un lavoro delicato e l’operaio del nostro tempo che deve decidere rapidamente quale fra molte leve tirare o quale interruttore girare. Il guidare un cavallo e il guidare un’automobile moderna comportano gradi di libertà assai diversi. A parte il fatto che l’automobile è accessibile a una percentuale di popolazione assai più alta di quella che poteva permettersi una carrozza, l’automobile è più veloce ed efficiente, richiede cure minori ed è forse più maneggevole. Tutto questo comporta un accrescimento di libertà cui però si accom-pagna un mutamento nel carattere della libertà. E’ infatti come se innumerevoli leggi, regole, istruzioni a cui dobbiamo obbedire guidas-sero l’automobile al nostro posto: ci sono limiti di velocità, cartelli che ci comandano di guidare piano, di fermare, di non uscire da certe corsie, e persino cartelli che ci mostrano la forma della curva che tra poco dovremo affrontare. Dobbiamo tenere gli occhi fissi sulla strada ed essere pronti a reagire in ogni momento con il movimento giusto. Alla spontaneità si è sostituito un atteggiamento mentale dal quale siamo costretti a scartare ogni emozione o idea capace di diminuire la nostra prontezza a rispondere alle esigenze impersonali che ci premono da ogni parte.

[M. Horkheimer, Eclisse della ragione. Critica della ragione strumen-

tale, 1947, pp.84-88]

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Scheda7. SIGMUND FREUD COSTRUZIONE PSICOANALITICA E VERITÀ STORICHE A questo punto [..] veniamo ammoniti a non dimenticare che il lavoro analitico è costituito da due elementi completamente diversi, che esso si svolge su due scenari separati, che coinvolge due persone, a ciascuna delle quali è assegnato un differente compito. [..] Tutti sappiamo che l’analizzato dev’essere portato a ricordare qualcosa che egli stesso ha vissuto e rimosso; ebbene, le condizioni dinamiche di questo processo sono talmente interessanti che in compenso l’altra parte del lavoro, la prestazione dell’analista, è stata spinta in secondo piano. L’analista nulla ha vissuto e nulla ha rimosso di ciò che è oggetto del nostro interesse; il suo compito non può essere quello di ricordare alcunché. E allora, qual è il suo compito? L’analista deve scoprire, o per essere più esatti costruire il materiale dimenticato a partire dalle tracce che di esso sono rimaste. [..] Il suo lavoro di costruzione o, se si preferisce, di ricostruzione, rivela un’ampia concordanza con quello dell’archeologo che dissotterra una città distrutta e sepolta o un antico edificio. [..] proprio come l’archeologo ricostruisce i muri dell’edificio dai ruderi che si sono conservati, determina il numero e la posizione delle colonne dalle cavità del terreno, e ristabilisce le decorazioni e i dipinti murali di un tempo dai resti trovati tra le rovine, così procede l’analista quando trae le sue conclusioni dai frammenti di ricordi, dalle associazioni e dalle attive manifestazioni dell’analizzato. A entrambi resta il diritto di ricostruire mediante integrazioni e ricomposizioni del materiale che si è preservato. [..] L’analista porta a termine un brano della costruzione, lo comunica all’analizzato affinché produca su di lui i suoi effetti, indi costruisce un altro brano a partire dal nuovo materiale che affluisce e procede poi con questo allo stesso modo; così, in tale alternanza, va avanti fino alla fine. Se nelle esposizioni della tecnica analitica si sente parlare così poco delle “costruzioni”, ciò dipende dal fatto che in loro vece si parla delle “interpretazioni” e dei loro effetti. Ma io penso che “costruzione” sia la definizione di gran lunga più appropriata. L’ ”interpretazione” si riferisce a ciò che si intraprende con un singolo elemento del materiale: un’idea improvvisa, un atto mancato e così via. Una “costruzione” si dà invece quando si presenta all’analizzato un brano della sua storia passata e dimenticata. [..] La via che parte dalla costruzione dell’analista dovrebbe terminare nel ricordo dell’analizzato; non sempre essa giunge tanto innanzi. Ci capita abbastanza frequentemente di non riuscire a suscitare nel

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paziente il ricordo del rimosso. In sua vece, se l’analisi è stata svolta correttamente, otteniamo in lui un sicuro convincimento circa l’esattezza della costruzione; ebbene, tale convincimento, sotto il profilo terapeutico, svolge la stessa funzione di un ricordo recuperato. [..] Le formazioni deliranti del malato mi sembrano l’equivalente delle costruzioni che noi erigiamo durante i trattamenti analitici, tentativi di chiarificazione e di guarigione che invero, date le condizioni della psicosi, non possono portare ad altro che a sostituire la parte di realtà che attualmente si rinnega con un’altra parte di realtà che in un passato lontanissimo è stata parimenti rinnegata. Compito di ogni singola indagine diventa quello di svelare le intime relazioni fra il materiale del rinnegamento presente e quello della rimozione avvenu-ta in passato. Come la nostra costruzione solo in tanto è efficace in quanto restituisce un brano dell’esistenza andato perduto, così anche il delirio deve la propria forza di convinzione alla parte di verità storica che ha inserito al posto della realtà ripudiata.

(S. Freud, 1937, vol.11 pp.542-545, 549, 552)

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RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 253

Scheda 8. FRIEDRICH NIETZSCHE LA VERITÀ E IL MONDO COME INTERPRETA-

ZIONE

Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: “ci sono soltanto fatti” – direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni. Noi non possiamo constatare nessun fatto “in sé”; è forse un’assurdità volere qualcosa del genere. “Tutto è soggettivo”, dite voi; ma già questa è un’interpretazione, il “soggetto” non è niente di dato, è solo qualcosa di aggiunto con l’immaginazione, qualcosa di appiccicato dopo.

(F.W. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, 7 [60], vol.VIII t.I p.299)

Come il “mondo vero” finì per diventare favola Storia di un errore

1. Il mondo vero, attingibile dal saggio, dal pio, dal virtuoso, -egli

vive in esso, lui stesso è quel mondo. (La forma più antica dell’idea, relativamente intelligente, sempli-ce, persuasiva. Trascrizione della tesi “Io, Platone, sono la veri-tà”).

2. Il mondo vero, per il momento inattingibile, ma promesso al saggio, al pio, al virtuoso (“al peccatore che fa penitenza”).

(Progresso dell’idea: essa diventa più sottile, più capziosa, più i-nafferrabile – [..] si cristianizza…).

3. Il mondo vero, inattingibile, indimostrabile, impromettibile, ma già in quanto pensato una consolazione, un obbligo, un impera-tivo.

(In fondo l’antico sole, ma attraverso nebbia e scetticismo; l’idea sublimata, pallida, nordica, königsbergica).

4. Il mondo vero – inattingibile. Comunque non raggiunto. E in quanto non raggiunto, anche sconosciuto. Di conseguenza neppure consolante, salvifico, vincolante: a che ci potrebbe vin-colare qualcosa di sconosciuto?…

(Grigio mattino. Primo sbadiglio della ragione. Canto del gallo del positivismo).

5. Il “mondo vero” – un’idea, che non serve più a niente, nemme-

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no più vincolante – un’idea divenuta inutile e superflua, quindi un’idea confutata: eliminiamola!

(Giorno chiaro; prima colazione; ritorno del bon sens e della se-renità; Platone rosso di vergogna; baccano indiavolato di tutti gli spiriti liberi).

6. Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero: quale mondo ci è rima-sto? Forse quello apparente?… Ma no! Col mondo vero ab-biamo eliminato anche quello apparente!

(Mezzogiorno; momento dell’ombra più corta; fine del lunghissi-mo errore; apogeo dell’umanità: INCIPIT ZARATHUSTRA).

(F.W. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, 1889, vol.VI t.3, pp.75-76)

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Scheda 9. FRIEDRICH NIETZSCHE LA LIBERAZIONE DELLA CONOSCENZA … tutto ciò che accade regolarmente non ci sembra più problematico. Perciò quello di “cercar la regola” è il primo istinto di chi conosce, mentre naturalmente per il fatto che si sia trovata la regola niente ancora è “conosciuto”! – Di qui la superstizione dei fisici: dove posso-no perseverare, cioè dove la regolarità dei fenomeni consente di applicare formule abbreviative, credono che si sia conosciuto. Sentono “sicurezza”, ma dietro questa sicurezza intellettuale sta l’acquietamento della paura: vogliono la regola, perché essa toglie al mondo il suo aspetto pauroso

(F.W. Nietzsche, Frammenti postumi 1882-1884, 5 [10], vol.VII t.I p.177)

Che cosa comporta per la nostra serenità. Il più grande evento recente – il fatto che Dio è morto, che la fede nel Dio cristiano è divenuta inattendibile - inizia a gettare le sue prime ombre sull’Europa. Almeno per quei pochi i cui occhi, e la differenza che essi albergano, sono abbastanza forti e raffinati per questo spettaco-lo, sembra che per l’appunto sia tramontato un qualche sole e che una qualche fiducia profonda e antica si sia trasformata in dubbio: a loro il nostro vecchio mondo giunge ogni giorno più vespertino, più sfiduciato, più estraneo, “più vecchio”. [..] In effetti, noi filosofi e “spiriti liberi” ci sentiamo, alla notizia che il “vecchio Dio è morto”, come sfiorati da una nuova aurora; il nostro cuore trabocca di grati-tudine, stupore, presagi, attesa –finalmente l’orizzonte ci sembra di nuovo libero, posto che non sia chiaro, finalmente le nostre navi possono riprendere il largo, verso ogni pericolo, agli uomini della conoscenza è di nuovo concesso ogni ardimento, il nostro mare, il mare aperto è di nuovo là, e forse non c’è mai stato un mare così “aperto”. [..] si sarà capito dove voglio spingermi, cioè ad affermare che anche la nostra fede nella scienza si basa sempre su una fede metafisica; che anche noi uomini della conoscenza di oggi, noi senza dio e anti-metafisici, traiamo sempre il nostro fuoco dall’incendio appiccato da un millennio di fede antica, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone per cui Dio è la verità e la verità è divina… Ma come, se questo diventa sempre più incredibile, se niente più si rivela divino

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tranne l’errore, la cecità, la menzogna, - se Dio stesso si rivela come la nostra menzogna più lunga?

(F. W. Nietzsche, La gaia scienza, 1882, tr. it. Torino 1979, 12, 107, 343, 344)

La visione e l’enigma. [..] (A un certo punto, si trovano di fronte a una porta carraia.) “Guarda questa porta carraia! Nano! Conti-nuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi sino alla fine. Questa lunga via fino alla porta e all’indietro: dura un’eternità. E quella lunga via fuori della porta e in avanti – è un’altra eternità. Si contraddicono a vicenda, questi due sentieri; sbattono la testa l’un contro l’altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della porta: ‘attimo’. Ma, chi ne percorresse uno dei due – sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eter-no?!”. “Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo”. “Tu, spirito di gravità!, dissi io incollerito, non prendere la cosa troppo alla leggera!”. [..] In piedi, dormiglione - si disse - Tu dormiente nel meriggio! Forza, coraggio vecchie gambe! E’ tempo, più che tempo, avete ancora un buon pezzo di strada da fare.

(F.W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, 1884, in Opere, vol.VI t.I, pp.189, 336)

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Scheda 10. PAUL WATZLAWICK IL CIRCOLO DELLA RETROAZIONE Associata strettamente alla nostra esperienza del tempo è [..] l’idea di un movimento lineare, unidirezionale -dalla causa all’effetto e dal passato al presente. Tuttavia, anche la più banale esperienza quotidiana può contraddire facilmente quello che per il comune buonsenso è un “fatto” incontrovertibile. Si prenda in considerazione il fenomeno del circolo vizioso, in cui la sequenza degli eventi non è rettilinea ma in cui l’effetto può retroagire sulla propria causa. [..] Una volta creato, tale circolo è oltre l’inizio e la fine, oltre la causa e l’effetto. Tutto questo è ancora molto astratto. Diamo un’occhiata ad alcuni esempi più concreti. Durante la metà del diciottesimo secolo, quando James Watt iniziò a lavorare al progetto di un motore a vapore, “gli esperti” gli fecero notare che il dispositivo non avrebbe mai potuto funzionare. Sicu-ramente, forzando del vapore entro l’estremità di un cilindro, il pistone poteva essere spinto verso l’altra estremità -per esempio da destra a sinistra. In questo modo, però, il movimento apparente-mente aveva termine, perché per spingere indietro il pistone verso la parte destra del cilindro era necessario chiudere la valvola del vapore destra e introdurre vapore dal lato sinistro. In altre parole, il movi-mento avanti-indietro del pistone richiedeva uno spiritus rector fuori della macchina, o, più precisamente, un operatore che aprisse e chiudesse le valvole al momento opportuno. Questo era naturalmen-te incompatibile con l’idea di una macchina funzionante in modo autonomo. Watt propose una soluzione che al giorno d’oggi sembra ovvia, ma che allora non lo era: egli mise il movimento del pistone al servizio della propria regolazione, facendo sì che lo stesso movimento determinasse l’apertura e la chiusura delle valvole. Il movimento del pistone divenne quindi la causa del funzionamento delle valvole; a sua volta questo effetto sulle valvole divenne la causa del movimento del pistone. Fra i contemporanei di Watt, il cui pensiero era lineare nei termini di una “strada a senso unico” da causa a effetto, la causa-lità circolare di questo dispositivo di ritorno (la sua autoregolazione) sembrava “paradossale”. Naturalmente, il motore a vapore è ancora un insieme di componen-ti puramente fisiche, concrete. La natura dell’autoriflessività o autoreferenza è però molto più complessa quando riguarda la sfera umana e quando le dinamiche - almeno in parte (se non tutte) - non sono più semplicemente una questione di fisica, ma si estendono alle

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scienze sociali e comportamentali. Qui entrano in gioco i fattori emotivi e psicologici della nostra esperienza del mondo. La loro natura è di gran lunga più difficile da afferrare di quanto non lo sia un congegno meccanico. Convinzioni, tradizioni, speranze, pregiudizi e soprattutto certi presupposti adamantini possiedono la singolare capacità di generare - in modo autoreferente - le proprie prove e giustificazioni pratiche. Queste cosiddette profezie che si autode-terminano mettono in discussione il nostro pensiero tradizionale basato sulla sequenza se-allora trasformando l’effetto nella causa. [..] Le profezie che si autodeterminano alterano il quadro apparentemen-te stabile, oggettivo della nostra realtà e quindi sono più di un sem-plice gioco di parole da associare a stati non ordinari della mente.

(da Introduzione a: Le profezie che si autodeterminano, in 1981)

La teoria psicanalitica è fondata su un modello concettuale in armonia con l’epistemologia vigente nel momento in cui essa è stata formula-ta. Essa postula che il comportamento sia essenzialmente il risultato della supposta interazione tra forze intrapsichiche di cui si ritiene seguano rigidamente le leggi fisiche della conservazione e della trasformazione dell’energia. Norbert Wiener, parlando di quest’epoca, afferma che «i materialisti sembravano aver fissato la loro grammatica, ed essa era dominata dal concetto di energia”. [..] Nel suo insieme, la ricerca psicanalitica ha trascurato lo studio con-cernente l’interdipendenza tra l’individuo e il suo ambiente, ed è a questo preciso livello che il concetto di scambio di informazione, ovvero di comunicazione, diviene indispensabile. Esiste una diffe-renza di capitale importanza tra il modello psicodinamico (o psicanali-tico) e tutte le altre forme di concettualizzazione dell’interazione tra un organismo e il suo ambiente. La seguente analogia farà, forse, comprendere meglio questa differenza. Se, camminando, urtiamo un sasso con il piede l’energia si trasmette dal piede alla pietra; questa si sposterà e finirà per fermarsi in una posizione completa-mente determinata da fattori come la quantità di energia energia trasmessa, la forma e il peso del sasso e la natura della superficie su

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cui rotola. Ma se diamo una pedata a un cane, questo può aggredire e mordere. In questo caso, la relazione tra il calcio e il morso è di ordine assai differente. E’ evidente che il cane attinge l’energia necessaria alla reazione nel suo stesso metabolismo, e non nel calcio. Ciò che lì viene trasmesso, non è dunque più dell’energia, ma dell’informazione. In altri termini, il calcio è un segmento di compor-tamento che comunica qualcosa al cane, il quale reagisce a questa comunicazione con un altro segmento di comportamento che ha valore di comunicazione. E’ in ciò che risiede la differenza essenziale tra la psicodinamica freudiana e la teoria della comunicazione in quanto principi esplicativi del comportamento umano. Essi appar-tengono, come si può vedere, a ordini differenti di complessità. La prima non può essere estesa fino a diventare teoria della comunica-zione, e quest’ultima non può essere derivata dalla psicodinamica. Fra di esse vi è una “rottura epistemologica”. Questo spostamento concettuale dall’energia all’informazione, che ha consentito lo sviluppo quasi vertiginoso della filosofia delle scienze dalla fine della Seconda Guerra mondiale, ha avuto una particolare ripercussione sulla nostra conoscenza dell’uomo. Comprendere che l’informazione su un effetto, se è adeguatamente rinviata verso chi provoca quell’effetto, gli assicurerà stabilità e adattamento alla modificazione del suo ambiente ha aperto la strada alla costruzione di macchine più complesse (come le macchine per il controllo degli errori e i macchinari finalizzati), e ha condotto a vedere nella ciberne-tica una nuova epistemologia. Ma questo ha anche gettato una luce totalmente nuova sul funzionamento dei sistemi ad azione reciproca, sistemi assai complessi che si incontrano in biologia, in psicologia, sociologia, economia e in molti altri domini. Se, almeno per il mo-mento è difficile valutare, anche provvisoriamente, la portata della cibernetica, i principi sui quali essa si basa sono, al contrario, di una semplicità straordinaria.

(da Watzlawick, Beavin, Jackson, 1967-72, pp.23-seg)

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Scheda 11. RICHARD L. GREGORY PERCEZIONI COME IPOTESI

Il fatto che la visione sia un processo indiretto e complesso risulta evidente studiandone gli aspetti fisiologici. [..] Numerose note figure ambigue chiariscono come la medesima traccia che giunge agli occhi quale stimolo visivo possa dare origine a percezioni tra loro molto differenti. [..] Il problema essenziale che il cervello deve risolvere consiste nel fatto che qualsiasi immagine retinica potrebbe essere prodotta da una infinità di possibili dimensioni, forme e distanze riferibili a una molte-plicità di oggetti, e tuttavia normalmente “vediamo” associando stabilmente le varie immagini a un solo oggetto. Pertanto, è anche più rilevante la consueta assenza di fenomeni di ambiguità percettiva rispetto a qualche occasionale insuccesso del cervello nel decidere che cosa sta vedendo. Nella nostra impostazione è essenziale assumere che le percezioni sono ipotesi, come suggerito sia dal fatto che le immagini retiniche sono aperte a un’infinità di interpretazioni, sia dall’osservazione dei fenomeni di ambiguità. In questa concezione le percezioni sono assimilate alle ipotesi predittive nella scienza. Le ipotesi della percezione, come quelle della scienza, sono rischiose proprio in quanto sono predittive e superano l’evidenza sensibile, da un lato per raggiungere proprietà nascoste e dall’altro per spingersi verso scenari futuri. E per la percezione, così come per la scienza, entrambi i tipi di previsione sono di vitale importanza, poiché da un lato le immagini provenienti dagli occhi risultano pressoché inutili per le scelte com-portamentali, fino al momento in cui esse non vengono interpretate in termini di proprietà significative degli oggetti; e dall’altro la sopravvi-venza dipende dal fatto che il comportamento risulti subito appropria-to a quello che sarà l’immediato futuro, senza alcun ritardo, nono-stante le reazioni di occhio e cervello non siano istantanee. Il nostro comportamento presente è condizionato da una continua anticipazio-ne di quanto è probabile stia per accadere, piuttosto che da una reazione immediata a stimoli esterni. [..] La scienza e la percezione si basano su conoscenza e regole, nonché su analogie. [..] Il vedere gli oggetti coinvolge sia un appello a regole generali sia una conoscenza degli oggetti stessi derivante da esperienze precedenti; regole e conoscenze desunte, in larga misura, da una attività di esplorazione percettiva tattile. [..] Vi è qualcosa di assolutamente peculiare nella visione umana. Osservando gli altri animali possiamo imparare molto, ma solamente gli uomini sanno disegnare o dipingere, così come solamente gli uomini possiedono un

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linguaggio strutturato; e, di fatto, sia le raffigurazioni grafiche sia il linguaggio dipendono dalla capacità di utilizzare in modo creativo le ambiguità percettive. I nostri antichi progenitori erano capaci di rappresentare e “vedere” mammut e bisonti in schizzi di poche linee tracciati sulla parete di una caverna. Ed è stata la possibilità di presentare realtà alternative, e di giocare in modo fantasioso con le ambiguità della percezione, che ha liberato l’umanità dalla tirannia dei riflessi condizionati e delle stimolazioni dirette, cui i nostri antenati in larga misura soggiaceva-no. In tal modo l’uomo si è progressivamente allontanato dalla pura naturalità, pervenendo all’arte evocativa e all’investigazione scientifi-ca, e rendendo così possibile la civiltà.

(da Gregory, 1998, pp.14-20)

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Scheda 12. KARL RAIMUND POPPER CORROBORAZIONI E CONFUTA-

ZIONI

La convinzione che la scienza proceda dall’osservazione alla teoria è ancora così ampiamente e fermamente sostenuta che la mia negazio-ne di questo fatto è accolta spesso con incredulità. Si è persino sospettato che fossi insincero, che negassi ciò di cui nessuna persona sensata può dubitare. Tuttavia la credenza che possiamo partire da delle pure osservazioni, senza niente di simile a una teoria, è davvero assurda [..]. Venticinque anni or sono, cercai di far capire questo punto a un gruppo di studenti di fisica, a Vienna, incominciando una lezione con le seguenti istruzioni: “prendete carta e matita; osservate attenta-mente e registrate quel che avete osservato!”. Essi chiesero, natu-ralmente, che cosa volevo che osservassero. E’ chiaro che il precet-to: “osservate!”, è assurdo. E non è neppure idiomatico, se l’oggetto del verbo transitivo non può considerarsi sottointeso. L’osservazione è sempre selettiva. Essa ha bisogno di un oggetto determinato, di uno scopo preciso, di un punto di vista, di un problema. E la descri-zione che ne segue presuppone un linguaggio descrittivo, con termini che designano proprietà; presuppone la similarità e la classificazione, che a loro volta presuppongono interessi, punti di vista e problemi. “Un animale affamato”, scrive Katz [D. Katz, Mensch und Tier, cit., nota di Popper], “divide l’ambiente in cose commestibili e cose non commestibili. Un animale in fuga scorge vie per scappare e luoghi per nascondersi… In generale, gli oggetti cambiano… a seconda dei bisogni dell’animale”. Possiamo aggiungere che gli oggetti possono essere classificati, e diventare simili o dissimili, soltanto in questo modo – venendo posti in relazione ai bisogni e agli interessi. Questa regola non vale solo per gli animali, ma anche per gli scienziati. Per l’animale il punto di vista è determinato dai bisogni, dalla necessità del momento e dalle aspettazioni; nel caso dello scienziato, invece, sono determinanti i suoi interessi teorici, il particolare problema affrontato, le congetture, le anticipazioni e le teorie che egli accetta come presupposti: il suo quadro di riferimento o “orizzonte di aspet-tazioni”. [..] La nostra tendenza a cercare delle regolarità, e a imporre leggi alla natura, conduce al fenomeno psicologico del pensiero dogmatico o, più in generale, del comportamento dogmatico: ci aspettiamo ovun-que delle regolarità e cerchiamo di trovarle anche quando non ve ne è alcuna; siamo portati a considerare gli eventi che non si prestano a questi tentativi come una specie di “rumore di fondo”; e insistiamo

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nelle nostre aspettazioni anche quando risultano inadeguate e do-vremmo riconoscere la sconfitta. Questo dogmatismo è in qualche misura necessario. E’ richiesto da una situazione che possiamo affrontare soltanto imponendo le nostre congetture al mondo. [..] Dal punto di vista qui sviluppato, tutte le leggi, tutte le teorie, restano essenzialmente provvisorie, congetturali, o ipotetiche [..] Il metodo di prova ed errore, naturalmente, non equivale diretta-mente all’atteggiamento scientifico e critico, cioè al metodo per congetture e confutazioni. Il metodo per prove ed errori non viene applicato soltanto da Einstein, ma anche, in maniera più dogmatica, dall’ameba. La differenza non sta tanto nelle prove, quanto in un atteggiamento critico e costruttivo di fronte agli errori. Lo scienzia-to, infatti, cerca consapevolmente, e con cura, di scoprire tali errori, al fine di confutare le proprie teorie con argomenti rigorosi e con il ricorso ai più severi controlli sperimentali che la teoria e la sua ingegnosità gli consentono di escogitare. L’atteggiamento critico può considerarsi il consapevole tentativo di far sì che siano le nostre teorie e congetture a subire, al posto nostro, le conseguenze della lotta per la sopravvivenza del più adatto. Esso ci dà la possibilità di sopravvivere all’eliminazione di un’ipotesi inade-guata, allorché un atteggiamento più dogmatico eliminerebbe quest’ultima eliminando noi stessi.

(da Popper, 1963; qui citata l’ed. Paravia, Torino 1988, pp.80-82, 86, 91-92)

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Scheda 13. PIERRE DUHEM LE PROVE SPERIMENTALI

Il fisico che compia un esperimento o ne renda conto, riconoscerà implicitamente l’esattezza di un insieme di teorie. Ammettiamo il principio e verifichiamo quali conseguenze se ne possono dedurre, quando si tenti di valutare il ruolo e la portata logica di un esperimen-to di fisica. Per evitare ogni confusione, distingueremo due tipi di esperimenti: gli esperimenti d’applicazione, su cui diremo subito qualcosa, e gli esperimenti di prova di cui ci occuperemo in particola-re. Siete di fronte a un problema di fisica da risolvere concretamente: per produrre tale o tal altro effetto, volete fare uso delle conoscenze acquisite dai fisici; volete, per esempio, accendere una lampada elettrica a incandescenza. Le teorie ammesse vi indicano il modo di risolvere il problema, ma per poterne fare uso dovete procurarvi certe informazioni. Dovete, poniamo, determinare la forza elettromotrice della batteria di accumulatori disponibile, allora misurate questa forza elettromotrice: ecco un’esperienza di applicazione che non ha l’obiettivo di riconoscere se le teorie ammesse sono o meno esatte, ma semplicemente di trar partito dalle teorie; per effettuarla farete uso di strumenti che legittimino le stesse teorie: in questo non vi è nulla che urti la logica. Gli esperimenti di applicazione non sono gli unici che effettui il fisico; soltanto attraverso essi tuttavia la scienza può aiutare la pratica, anche se non è certo per loro tramite ch’essa si crea e si sviluppa. Accanto agli esperimenti di applicazione vi sono gli esperimenti di prova. Un fisico contesta una certa legge, mette in dubbio tale punto della teoria; come giustificherà i suoi dubbi? Come dimostrerà l’inesat-tezza della legge? Dalla proposizione incriminata trarrà la previsione di un fatto dell’esperienza, realizzerà le condizioni nelle quali il fatto deve prodursi; se il fatto annunciato non si produce, la proposizione che l’aveva predetto sarà irrimediabilmente condannata. In realtà non è così. La fisica non è una macchina che si lascia smontare, non si può verificare ogni pezzo isolatamente e attendere, per ripararlo, che la solidità ne sia stata minuziosamente controllata. La scienza fisica è un sistema che bisogna prendere nella sua interez-za, è un organismo di cui non si può far funzionare una parte senza che quelle più lontane entrino in gioco le une di più, le altre di meno, ma tutte in qualche misura. Se si rivela qualche intoppo, qualche disfunzione nel suo funzionamento, è attraverso l’effetto prodotto sul sistema nel suo insieme che il fisico dovrà indovinare l’organo che ha bisogno di essere rettificato o modificato, senza che gli sia possibile

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isolare l’organo ed esaminarlo a parte. L’orologiaio al quale si dà un orologio che non cammina, separa tutti gli ingranaggi e li esamina uno a uno finché non trova quello alterato o rotto. Il medico a cui si presenta un malato non può sezionarlo per fare la sua diagnosi; egli dovrà indovinare il punto e la causa del male dalla sola ispezione dei disordini che affliggono l’intero corpo. E’ a questo, non a quello che somiglia il fisico incaricato di rettificare una teoria zoppa.

(da Duhem, 1906, pp.207-208, 211-212)

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Scheda 14. THOMAS S. KUHN L’EMERGERE DELLE SCOPERTE SCIENTIFICHE

La ricerca scientifica mette in luce ripetutamente fenomeni nuovi e insospettati, e continuamente teorie radicalmente nuove sono state escogitate dagli scienziati. [..] Dobbiamo ora chiederci come possano verificarsi cambiamenti di tal genere, e a questo scopo prenderemo in considerazione dapprima le scoperte, o novità di fatto, e quindi le invenzioni, o novità teoriche. Questa distinzione tra scoperte ed invenzioni, o tra fatti e teorie, si dimostrerà subito estremamente artificiosa. La sua artificiosità è una chiave importante per capire parecchie tesi fondamentali di questo saggio. Esaminando [..] alcune scoperte specifiche, troveremo ben presto che esse non sono eventi isolati, ma episodi relativamente estesi nel tempo e dotati di una struttura che si ripresenta regolar-mente. La scoperta comincia con la presa di coscienza di una ano-malia, ossia col riconoscimento che la natura ha in un certo modo violato le aspettative suscitate dal paradigma che regola la scienza normale; continua poi con una esplorazione, più o meno estesa, dell’area dell’anomalia, e termina solo quando la teoria paradigmatica è stata riadattata, in modo che ciò che appariva anomalo diventi ciò che ci si aspetta. [..] Chi fu il primo a scoprire l’ossigeno, Priestley o Lavoisier? E chiun-que dei due sia stato, quando fu scoperto l’ossigeno? [..] il tentativo di dare una risposta ci serve a illuminare la natura della scoperta, dal momento che quella risposta non esiste. La scoperta non è un processo su cui si possa porre una domanda di questo tipo. Il fatto che una simile domanda sia stata posta -la priorità della scoperta dell’ossigeno è stata ripetutamente contestata dal 1780 in poi- , è sintomo di una distorsione dell’immagine della scienza, che presta alla scoperta un ruolo così fondamentale. Si consideri ancora una volta il nostro esempio. La pretesa di Priestley alla scoperta dell’ossigeno è basata sulla sua priorità nell’avere isolato un gas che più tardi fu riconosciuto come una specie distinta di gas. Ma il campione di Priestley non era puro, e, se tenere in mano ossigeno impuro equivale a scoprirlo, questo era stato fatto da chiunque avesse imbottigliato l’aria dell’atmosfera. [..] La pretesa di Lavoisier può sembrare più fondata, ma essa solleva il medesimo genere di problemi. Se rifiutiamo la palma a Priestley, non possiamo darla a Lavoisier per la sua ricerca del 1775 che lo portò ad identificare il gas come “l’aria stessa”. Forse dobbiamo aspettare la ricerca del 1776 o del 1777, che portò Lavoisier non semplicemente a vedere il gas, ma a capire che cosa tale gas era. Tuttavia anche questo ricono-

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scimento potrebbe essere messo in dubbio, giacché nel 1777 e per tutta la sua vita Lavoisier insistette a sostenere che l’ossigeno era un “principio di acidità” atomico e che gas di ossigeno veniva forma-to soltanto quando quel “principio” si univa al calorico, la materia del calore. [..]Senza l’apparecchiatura specifica, costruita principalmente per assolvere le funzioni previste dal paradigma, i risultati che alla fine producono la novità non potrebbero mai manifestarsi. Ed anche quando l’apparecchiatura esiste, la novità di solito emerge soltanto per colui che, conoscendo con precisione cosa dovrebbe aspettarsi, è in grado di rendersi conto che qualcosa non funziona. L’anomalia è visibile soltanto sullo sfondo fornito dal paradigma.

(da Kuhn, 1962, pp.75-76, 77-78, 89)

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Scheda 15. BRUNO LATOUR SCIENZIATI E INGEGNERI NELLA SOCIETA’

Da dove iniziare uno studio sulla scienza e la tecnologia? La scelta di una via di accesso dipende innanzitutto da una buona scelta dei tempi. A Parigi, nel 1985, John Whittaker ha ottenuto delle “belle immagini” del DNA su una “buona macchina”. [..] Il concetto di scatola nera è impiegato dai cibernetici quando una parte di un meccanismo, oppure un insieme di istruzioni, sono troppo complessi. In sua vece disegnano una piccola scatola di cui non devono sapere nulla, eccezion fatta per i segnali in ingresso e in uscita. Dalla prospettiva di John Whittaker, la doppia elica e il computer sono due scatole nere. Voglio dire che, a prescindere dalle controversie che hanno segnato la loro storia, dalla complessità dei loro meccanismi e dalle dimensioni delle reti accademiche e commer-ciali che le tengono in vita, solo l’ingresso e l’uscita contano. [..] Nello studio di John, le due scatole non devono, e non possono, essere riaperte. [..] Quando molti elementi sono congegnati per agire come un tutt’uno, allora ci troviamo in presenza di quella che [..] mi sento autorizzato a chiamare scatola nera. Adesso cominciamo a intravedere perché, fin dall’esordio del libro, non abbiamo eretto una barriera tra un “fatto” scientifico e un ogget-to “tecnico”, o artefatto. Invero questa divisione, benché tradiziona-le e di comodo, sorvola su una questione: come modificare le alleanze per resistere nelle controversie? Il problema del costruttore-di-“fatti” è lo stesso del costruttore-di-“oggetti”. Devono cioè capire come convincere gli alleati, come controllarne il comportamento, come raccogliere sufficienti risorse in un luogo, come diffondere l’oggetto o la tesi nel tempo e nello spazio. In entrambi i casi, è nelle mani altrui il potere di trasformare la tesi o l’oggetto in un tutto durevole. Infatti [..] ogni volta che un fatto non è più terreno di contesa va ad alimentare quanto prima nuovi laboratori. Ma l’unico sistema perché nuovi fatti indiscutibili si comportino in tale modo, perché un intero campo della scienza venga cooptato da altri campi, è che [..] diventi un ulteriore elemento dell’attrezzatura di un laboratorio; insomma, una nuova scatola nera. Tecnica e scienza sono a tal punto lo stesso fenomeno che avevo ragione a indicare i loro prodotti – anche se con un po’ di approssimazione – con lo stesso termine: scatola nera. Eppure, nonostante tale impossibilità nel distinguere la scienza dalla tecnica, possiamo ancora individuare due momenti nel processo di arruolamento degli alleati e di controllo del loro comportamento. Questi due momenti ci aiuteranno a rimanere più aderenti al senso

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comune e a conservare alcune distinzioni tra “scienza” e “tecnolo-gia”. Il primo di questi è quello in cui vengono reclutati nuovi alleati inattesi – e lo vediamo con più frequenza nei laboratori, nella lettera-tura tecnica e scientifica e nelle discussioni animate. Il secondo momento si verifica quando le risorse assemblate vengono fatte agire come un tutto indissolubile – e questo è visibile più spesso nei motori, nelle macchine e nei pezzi di macchinari. Si tratta della sola distin-zione che si può tracciare tra “scienza” e “tecnica”, se vogliamo seguire scienziati e ingegneri mentre intessono le loro raffinate e versatili alleanze. [..]Di tutte le parti della tecnoscienza, i disegni degli ingegneri e l’organizzazione e la gestione delle tracce generate simultaneamen-te dagli ingegneri, dai disegnatori tecnici, dai fisici, dagli economisti, dai contabili, dagli agenti di commercio e dai diri-genti sono i più rivelatori. Sono quelli in cui le distinzioni tra scienza, tecnologia, economia e società diventano assurde. I centri di calcolo delle maggiori industrie di costruzione delle macchine concentrano sullo stesso tavolo forme di carte dalle origini più disparate, ricombi-nan-dole in modo che alcune strisce di carta mettano insieme la forma della parte da costruire (disegnata in uno spazio geometrico codifi-cato); la tolleranza e la calibrazione necessaria per la sua costruzione (tutte le catene metrologiche interne ed esterne alle forme); le equazioni fisiche della resistenza dei materiali; i nomi degli operai incaricati delle varie parti; il tempo medio necessario per effettuare le operazioni (risultato di decenni di taylorizzazione); le decine di codici che consentono l’inventario; i calcoli economici e così via. Chi volesse sostituire la storia comune di questi centri di calcolo con storie, nettamente separate, della tecnologia, della scienza e della gestione farebbe scempio dell’argomento.

(da Latour, 1987, pp.4-5, 7, 177-178, 342-343)

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Scheda 16. IAN HACKING LA NATURA TORICA DEGLI APPARATI SPERIMENTALI Si dice che la scienza abbia due scopi: la teoria e l'esperimento. Le teorie cercano di dire come il mondo è. Gli esperimenti e la tecnolo-gia che ne consegue cambiano il mondo. Noi rappresentiamo ed interveniamo. Rappresentiamo al fine di intervenire, e interveniamo alla luce delle rappresentazioni. Il dibattito odierno sul realismo scientifico, in grande parte, è formulato nei termini delle teorie, della rappresentazione, della verità. Le discussioni sono illuminanti ma non decisive. [..] Ho il sospetto che al livello di rappresentazione non ci possa essere alcun argomento decisivo a favore o contro il realismo. Ma quando dalla rappresentazione noi ci volgiamo all'inter-vento, allo spruzzare positroni su sfere di niobio, la presa dell'an-ti-realismo vien meno. Nessuno che sia sano di mente pensa che gli elettroni siano “real-mente” delle semplici sferette che ruotano, ed attorno alle quali, avendo una mano abbastanza piccola, si possano avvolgere le dita e trovare la direzione della rotazione lungo il pollice. Esiste invece tutta una famiglia di proprietà causali, nei cui termini gli sperimenta-tori abili descrivono e dispiegano gli elettroni al fine di indagare qualcos'altro, per esempio le correnti neutre deboli e i bosoni neutri. [..] Ogni controllo di una rappresentazione non è altro che un'altra rappresentazione. [..] Cercare di portare argomenti a favore del realismo scientifico al livello di teoria, controllo, spiegazione, successo predittivo, convergenza delle teorie e così via, significa essere rin-chiusi entro un mondo di rappresentazioni. Nessuna meraviglia allora che l'anti-realismo scientifico sia così permanente nella razza umana. [..] I generi migliori di prova per la realtà di un'entità postulata o inferita consistono nel potere cominciare a misurarla, o comunque a com-prenderne i poteri causali. E a sua volta, la migliore prova del fatto che abbiamo questa comprensione è data dalla nostra capacità, partendo da zero, di metterci a costruire macchine che opereranno in maniera piuttosto affidabile, valendoci di questo, o quel nesso causa-le. E' quindi l'ingegneria, e non la teorizzazione, la miglior prova del realismo scientifico sulle entità. Il mio attacco contro l'anti-realismo scientifico è analogo all'assalto di Marx contro l'idealismo del suo tempo. In entrambi i casi si dice che la cosa fondamentale non è di comprendere il mondo, ma di cambiarlo. [..]

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Quando i fisici mettevano le mani e applicavano le loro menti a qualche fenomeno veramente istruttivo, finivano per chiamarlo un effetto. [..] Gli 'effetti' cominciarono veramente ad accumularsi nella fisica intorno al 1885. Lo si potrebbe interpretare come il sintomo di un nuovo stadio nella fisica stessa. Che cos'è un effetto, e perché si finì per chiamare qualcosa un 'effetto'? [..] I fenomeni e gli effetti fan parte del medesimo ordine di affari: delle ragguardevoli regolarità discernibili. Le parole 'fenomeni' ed 'effet-ti' possono servire da sinonimi, eppure sono rivolte in direzioni differen-ti. I fenomeni ci rimandano, nel ricettacolo semiconsapevole del linguaggio, a quegli eventi che possono essere registrati da un abile osservatore, che, senza intervenire nel mondo, scruti le stelle. Gli effetti ci ricordano quei grandi esperimenti dai quali traiamo spesso il nome per gli effetti: gli uomini e le donne, i Compton e le Curie, che sono intervenuti nel corso della natura per creare una regolarità che, per lo meno sulle prime, può essere vista come regolare (o anomala) soltanto a fronte di un'ulteriore teoria di sfondo. [..] Hall non creò il suo effetto! Egli scoprì che facendo passare una corrente attraverso una lamina d'oro, in un campo magnetico, si produce un potenziale perpendicolarmente al campo ed alla corrente. [..] noi tendiamo a pensare che i fenomeni rivelati nel laboratorio facciano parte dell'opera divina, che attende di essere scoperta. [..] Congetturiamo varie leggi di natura. I fenomeni sono regolarità, conseguenze di queste leggi. [..] Al contrario io sostengo che l'effetto Hall non esiste al di fuori di certi tipi di apparati. Il suo equivalente moderno è passato alla tecnolo-gia, prodotta secondo procedimenti affidabili e consueti. L'effetto, per lo meno in uno stato puro, può essere incorporato solo da tali dispositivi. Tutto ciò ha un'aria paradossale. Forse che una corrente che passa attraverso un conduttore, ad angolo retto rispetto ad un campo magnetico, non produce ovunque in natura un potenziale? Sì e no. [..] da nessuna parte fuori dal laboratorio c'è una pura e semplice disposizione di tal fatta. Esistono in natura degli eventi che sono il risultato dell'effetto Hall e di molti altri effetti. [..] Non dovremmo accettare l'immagine di Dio che con la sua mano sinistra immette l'effetto Hall e con la destra altri effetti, determinandone poi il risulta-to. In natura esiste soltanto la complessità, che noi siamo capaci di analizzare in un modo veramente notevole. Lo facciamo distin-

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guendo mentalmente un numero di leggi differenti. Lo facciamo anche presentando in laboratorio dei fenomeni puri, isolati. [..] ..io suggerisco che l'effetto Hall non esistette fino a che costui non scoprì, con grande ingegnosità, il modo di isolarlo, purificarlo e crearlo nel laboratorio.

(Hacking, 1983, pp. 37, 265-268, 322-325)

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Scheda 17. HANS GEORG GADAMER LA COSTITUTIVA LINGUISTICITÀ

DELL’ESPERIENZA … il sole non ha cessato di tramontare per noi anche quando l’ipotesi copernicana è diventata comune oggetto del nostro sapere. Non è affatto contradditorio attenersi da un lato all’apparenza visiva e d’altra parte riconoscerla falsa al livello dell’intelletto. E non è proprio il linguaggio quello che agisce nella costituzione e nella coordinazione di questi diversi strati di rapporti vitali? Il nostro parlare di un “calare” del sole non è certo arbitrario, ma esprime una apparenza effettiva. E’ l’apparenza che si offre a chi sta fermo. E’ il sole che con i suoi raggi viene a noi e poi se ne va. In questo senso, il calare del sole è qualcosa di reale per la nostra intuizione. Ora, noi possiamo liberarci, sottrarci, col pensiero a questa evidenza intuitiva mediante la costruzione di un altro modello, e in quanto abbiamo tale potere possiamo enunciare la prospettiva intellettuale della teoria copernicana. Ma non possiamo pretendere di eliminare o respingere con gli “occhi” di questa intelligenza scientifica l’apparenza immediata naturale. Ciò è privo di senso non solo perché l’apparenza visiva è per noi una realtà autentica, ma proprio perché la verità che la scienza ci dice è essa stessa relativa a un certo modo di rapportarsi al mondo, e non può pretendere di essere l’intera e unica verità. E’ invece il linguaggio quello che dischiude l’intero ambito dei nostri rapporti col mondo, e in questa totalità del linguaggio l’apparenza visiva conserva la sua legittimità altrettanto quanto la scienza. … nel linguaggio si presenta il mondo stesso. L’esperienza linguistica del mondo è “assoluta”. Essa oltrepassa la relatività di ogni posizio-ne d’essere, giacché abbraccia ogni in sé, quali che siano i rapporti (relatività) in cui esso si mostra. La linguisticità della nostra espe-rienza del mondo precede tutto ciò che è riconosciuto ed enunciato come essente. Il rapporto fondamentale tra linguaggio e mondo non significa perciò che il mondo divenga oggetto del linguaggio. Ciò che è oggetto di conoscenza e di discorso è invece già sempre compreso nell’orizzonte del linguaggio, che coincide col mondo. [..] Il mondo, che appare nel linguaggio e nel linguaggio si costituisce, non è in sé e relativo nello stesso senso in cui lo è l’oggetto delle scienze. Non è in sé in quanto non ha in generale il carattere dell’oggettività e non può, come totalità onniabbracciante, esser dato come oggetto di esperienza. Ma in quanto è il mondo, non può neanche essere relativo a una lingua determinata. [..] Aver linguag-gio significa un modo di essere radicalmente diverso dalla dipendenza dall’ambiente che caratterizza gli animali. Imparando una lingua

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straniera, l’uomo non muta il proprio rapporto col mondo, com’è invece il caso di un animale acquatico che diventi animale terrestre; l’uomo invece, mantenendo il suo proprio modo di rapportarsi al mondo, lo amplia e lo arricchisce attraverso il nuovo mondo linguisti-co che si appropria. Chi ha linguaggio, “ha” il mondo.

(H.G. Gadamer, 1960, pp.513-518)

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Scheda 18. JAMES E. LOVELOCK EVOLUZIONE, OMEOSTASI E SELEZIONE

NATURALE L’ipotesi di Gaia postula una Terra in cui il clima e la composizione chimica sono costantemente stabilizzati in una forma favorevole alla vita, grazie all’incessante interazione fra i viventi e il loro ambiente. [..] Cercherò ora di mostrare come [..] la regolazione geofisiologica non richieda una previsione, né un progetto. In realtà essa è una sem-plice conseguenza della selezione naturale darwiniana. Si produce perché l’evoluzione delle specie non è indipendente dall’evoluzione dell’ambiente. I due processi evolutivi sono in realtà saldamente accoppiati. La vita e il suo ambiente evolvono insieme come un unico sistema. Non soltanto le specie che lasciano il maggior nume-ro di discendenti tendono a ereditare l’ambiente, ma tende a essere mantenuto anche l’ambiente che favorisce il maggior numero di discendenti. Qual è allora il meccanismo di questa regolazione geofisiologica? Accettiamo per il momento il fatto che gli organismi viventi possano influenzare profondamente il loro ambiente. Anche il contrario va evidentemente da sé: gli organismi sono cioè influenzati dall’ambiente. Per prendere come esempio la composizione dell’atmosfera, le piante e gli animali dipendono ovviamente dall’ossigeno, dall’anidride carbonica e dall’azoto dell’aria, e tuttavia producono anche tutti questi gas. In altre parole la vita e il suo ambiente sono due parti strettamente accoppiate di un sistema in cui fra queste due componenti si produce un anello di retroazione (cfr. figura). Le perturbazioni di una delle componenti influenzeranno l’altra, e questa a sua volta retroagirà sul cambiamento originario. Il feedback può essere negativo (tale da opporsi al cambiamento) oppure positivo (tale da aumentarlo); in generale non si dà però il caso in cui esso non esista. [..] Quali sono le proprietà attribuite all’intero sistema da questo stretto accoppiamento fra la vita e il suo ambiente? Quest’accoppiamento è in grado di spiegare l’omeostasi che si osserva? [..] L’ipotesi di Gaia [..] prevede che l’ambiente è stato e sarà stabile e costante nonostante le perturbazioni, siano queste improvvise o risultino invece da qualche cambiamento persistente e progressivo. …la potenza dei processi di feedback biologici è davvero molto gran-de. [..] Molte volte, nel passato, il punto di lavoro dell’omeostasi è saltato da uno stato stabile a un altro. Questi cambiamenti non sono stati tali da mettere in pericolo la vita, ma hanno accompagnato

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rilevanti cambiamenti sia delle specie sia dell’ambiente. E un tale cambiamento sarebbe quasi certamente assai sgradevole per molte delle nostre specie. L’attuale aumento di CO2 che deriva dal consu-mo di combustibile fossile nonché dalla distruzione delle foreste tropicali è un processo che si oppone alla tendenza naturale di gaia, che altrimenti spingerebbe la terra verso una nuova glaciazione. Sarà interessante vedere se ciò che oggi noi stiamo facendo alla terra prolungherà l’attuale regime di stato stabile o se al contrario affrette-rà uno di quei salti, verso un nuovo ambiente terrestre caratterizzato da un nuovo insieme di specie.

(James E. Lovelock, Gaia: una proprietà coesiva della vita, in Boc-chi, Ceruti, a cura di, 1985, pp.207-226)

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Scheda 19. MARTIN HEIDEGGER LE COSE COME UTILIZZABILI

I greci usavano un termine appropriato per designare le ‘cose’: pragmata, ciò con cui si ha a che fare nel commercio prendente cura. Ma essi lasciarono ontologicamente all’oscuro proprio il carattere ‘pragmatico’ specifico dei pragmata, determinandone, ‘innanzi tutto’, il significato come ‘semplici cose’. Noi chiamiamo l’ente che viene incontro nel prendersi cura: il mezzo (per). Nel commercio si incon-trano mezzi per scrivere, per cucire, di trasporto, per misurare. Il modo di essere del mezzo richiede una definizione rigorosa. [..] A rigor di termini, un mezzo isolato non ‘c’è’. L’essere del mezzo appartiene sempre alla totalità dei mezzi, all’interno della quale un mezzo può essere ciò che è. Un mezzo è essenzialmente ‘qualcosa per…’ Le diverse maniere del ‘per’, come l’utilizzabilità, l’idoneità, l’impiegabilità, la manipolabilità, costituiscono una totalità di mezzi. Nella struttura del ‘per’ è implicito un rimando di qualcosa a qualcosa. [..] Il mezzo, per la sua stessa natura, è sempre tale a partire dalla sua appartenenza ad altri mezzi: scrittoio, penna, inchiostro, carta, cartella, tavola, lampada, mobili, finestre, porte, camera. Queste ‘cose’ non si manifestano innanzi tutto isolatamente, per riempire successivamente una stanza come una somma di reali. Ciò che si incontra per primo, anche se non tematicamente conosciuto, è la camera, e questa, di nuovo, non come ‘ciò che è racchiuso fra quattro pareti’ in senso spaziale e geometrico, ma come mezzo di abitazione. E’ a partire da essa che si rivela l’ ‘arredamento’ e in questo, a sua volta, il ‘singolo’ mezzo. Prima del singolo mezzo è già scoperta una totalità di mezzi. Il commercio più appropriato al mezzo, commercio in cui unicamente il mezzo può manifestarsi nel suo essere (ad esempio, il martello nel martellare), non conosce tematicamente questo ente come cosa presentantesi, allo stesso modo che l’usare non ne sa nulla della struttura del mezzo in quanto tale. Il martellare non si risolve nella semplice conoscenza del carattere di mezzo del martello, ma si è invece già appropriato di questo mezzo come più adeguatamente non sarebbe possibile. [..] Quanto meno il martello è oggetto di contem-plazione, quanto più adeguatamente viene adoperato, e tanto più originario si fa il rapporto ad esso e maggiore il disvelamento in cui esso ci viene incontro in ciò che è, cioè come mezzo. E’ il martellare a scoprire la specifica ‘usabilità’ del martello. [..] Lo sguardo che si limita a osservare le cose nel loro ‘aspetto’ apparente, anche se acutissimo, non può scoprire l’utilizzabile. L’ossevazione puramen-te ‘teorica’ delle cose è estranea alla comprensione dell’utilizzabilità.

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[..]Nel mondo-ambiente sono [..] accessibili anche enti che non hanno bisogno di manipolazione, enti già da sempre disponibili. Martello, tenaglie, ago, rimandano in se stessi a ciò di cui sono fatti, cioè all’acciaio, al ferro, al bronzo, alle pietre, al legno. Nell’uso del mezzo usato è con-scoperta, attraverso l’uso, la ‘natura’: la ‘natura’ alla luce del prodotto naturale.[..] La foresta è legname, la montagna è cava di pietra, la corrente è forza d’acqua, il vento è vento ‘in poppa’. Di pari passo con la scoperta del ‘mondo ambiente’ si ha anche la scoperta della ‘natura’. E’ però possibile prescindere da questa utilizzabilità e scoprire e determinare la natura come sempli-ce-presenza. Ma a questo genere di scoperta la natura resta incom-prensibile come ciò che ‘vive e tende’, ciò che ci assale, ciò che ci emoziona nel paesaggio. Le piante del botanico non sono i fiori di campo, le ‘sorgenti’ di un fiume, stabilite geograficamente, non sono la ‘polla nel terreno’.

Una cosa oggi è già chiara: per mezzo delle rappresentazioni che guidano la cibernetica -informazione, controllo, richiamo- vengono modificati in un modo,

oserei dire, inquietante quei concetti chiave -come principio e conse-guenza, causa ed effetto- che hanno dominato finora nelle scienze. La cibernetica, pertanto, non si può più definire una scienza fonda-mentale. L’unità delle sfere tematiche del sapere non è più l’unità del fondamento. Si tratta invece di un’unità rigorosamente tecnica. [..] per la società industriale, solamente la cibernetica sembra conce-dere all’uomo la possibilità di abitare in quel mondo tecnico che s’impone in modo sempre più deciso. E anche la natura delle scienze della natura viene affrontata come un’entità impiegabile. La presenza della natura entro l’ambito tematico della fisica nucleare rimane impensabile fintanto che essa è rappresentata ancora come oggettività invece che come impiegabilità. Ora, il fatto che la presenza di ciò che è presente si tramuti da ogget-tività in impiegabilità è però anche il presupposto perché nasca in generale qualcosa come il modo cibernetico di rappresentazione e la cibernetica possa avanzare la pretesa di assurgere al ruolo di scienza universale. Dal momento che la cibernetica, senza saperlo e senza poterlo pensare, rimane soggetta a una tale trasformazione della presenza di ciò che è presente, noi abbiamo potuto addurla solo come segno

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caratteristico della fine della filosofia. Questa fine consiste nel fatto che con l’impiegabilità di ciò che è presente è raggiunta l’ultima possibilità nella trasformazione della presenza. [..] La fine della filosofia è ambigua. Da un lato, essa significa il compimento di un pensiero, quello filosofico, a cui ciò che è presen-te si mostra nel suo carattere di impiegabilità. Dall’altro, proprio questa modalità della presenza racchiude in sé il rinvio alla potenza del porre provocante, la cui determinazione richiede un altro pensiero, un pensiero per il quale divenga degna d’essere interrogata la presenza in quanto tale. Essa infatti porta con sé ancora qualcosa di impensato che, nella sua peculiarità, si sottrae al pensiero filoso-fico. [..] Secondo Platone, [le cose] debbono il loro apparire ad una luce. Questo rapporto delle idee alla luce è considerato una metafora. Resta tuttavia da chieder-si: che cosa vi è mai, in quel che è proprio del venire alla presenza, la cui determinazione richiede e autorizza un rimando alla luce? [..] La presenza di ciò che è presente non ha in quanto tale alcun rapporto con la luce (Licht) nel senso del chiarore. La presenza è invece assegnata al diradarsi (Lichte) nel senso della Lichtung (radura).Ciò che questa parola dà da pensare si può chiarire con un esempio, posto che lo si mediti adeguatamente. Una radura nel bosco è ciò che è non a causa del chiarore e della luce che vi può splendere di giorno. La radura c’è anche di notte. Ciò significa: in questo punto il bosco può essere attraversato. Das Lichte nel senso del chiarore e das Lichte (il diradarsi) della radura sono diversi non solo per quanto riguarda la cosa stessa, ma anche per quel che concerne la parola. Lichten vuol dire liberare, affrancare, lasciar libero. Lichten dipende da leicht (lieve). Allevia-re, alleggerire una cosa significa eliminare gli ostacoli, condurla in un ambito senza più resistenze, nello spazio libero. Levare l’ancora vuol dire: liberarla dal fondo marino che la serra tutt’attorno ed elevarla nello spazio libero dell’acqua e dell’aria. [..] Meditare sul fatto che e sul modo in cui la Lichtung è garanzia della presenza fa parte della domanda concernente la determinazione della ‘cosa’ del pensiero, un pensiero che, volendo corrispondere a questa ‘cosa’ ed agli stati che le sono propri, si vede costretto a trasformarsi.

(da M. Heidegger, 1927, pp.94-97)

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Scheda 20. ERNST VON GLASERSFELD COSTRUTTIVISMO E INVENZIONE DEL

REALE Per isolare nel proprio campo di esperienza le esperienze di tipo “pera”, si deve aver prodotto una differenza affidabile che consenta di riconoscerle. “Riconoscere” un elemento di esperienza in quanto equivalente a un elemento sperimentato in precedenza esige un paragone di qualche sorta. Ma per servirsi del plurale “pere” in maniera appropriata si deve invece badare a qualcosa che è comple-tamente diverso dalle sensazioni e dalle differenze fra sensazioni. “Riconoscere” una pluralità di pere significa prendere in considerazio-ne il fatto che in un determinato contesto si esegue ripetutamente il medesimo paragone, e che questo dà più di una volta l’equivalenza come risultato. Ciò significa che l’attenzione deve essere focalizzata non soltanto sulle sensazioni o sui raggruppamenti di sensazioni, ma anche su ciò che si sta facendo, sul proprio operare. In realtà, invece di creare una categoria che possa venir definita come una specifica sequenza di sensazioni si crea una categoria che può esser definita soltanto come una specifica sequenza di operazioni. In questo contesto “fare” o “operare” non si riferiscono ovviamente al movimento delle mani e dei piedi, oppure a un’attività fisica di qual-che tipo, ma a quelle attività che sono eseguite da un agente che possiamo chiamare mente in mancanza di una parola migliore. Ci occupiamo di operazioni mentali. [..] Vi è il livello della segmentazione che crea blocchi di esperienza, dove costruiamo “cose” ricorrenti focalizzandoci sulle somiglianze e trascu-rando le differenze. Vi è il livello della messa in connessione che crea sequenze e rapporti che permettono al soggetto di esperienza di pensare in termini di “schemi” più o meno affidabili. E vi è il livello della riflessione, in cui l’astrazione, che non proviene dalle cose ma dallo stesso operato del soggetto, crea strutture concettuali comples-se che in seguito sono chiamate teorie, sistemi, e conoscenza del mondo.

Dal punto di vista costruttivista i processi di segmentazione, di connessione e di astrazione sono prodotti da noi, per i nostri fini e con i nostri mezzi. E valutiamo questi processi anzitutto a seconda che facciano o non facciano quello che noi ci attendiamo debbano fare. Solo se funzionano, se conseguono ciò che noi ci attendiamo, siamo propensi a utilizzare altre considerazioni, relative all’economia, alla velocità o [..] alla semplicità. In altre parole la teoria costruttivi-sta della conoscenza è strumentalista, senza vergogna. [..]

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 281

…il costruttivismo sostiene che la maniera in cui le strutture cognitive da noi chiamate “conoscenza” si rapportano al “mondo reale” debba essere considerata secondo un rapporto di adeguatezza e non di rappresentazione. Ciò significa che la relazione non deve essere intesa come analoga al modo in cui un’immagine si può rapportare a ciò che si ritiene essa rappresenti, ma piuttosto analoga al modo in cui un fiume si rapporta al paesaggio attraverso il quale ha trovato il suo corso. Il fiume si forma ovunque il paesaggio consenta all’acqua di scorrere. Vi è un’interazione continua e sottile fra la “logica” interna dell’acqua (ad esempio il fatto che essa deve formare una superficie orizzontale e non può scorrere dal basso verso l’alto) e la topologia del territorio. Sia l’una che l’altra impongono vincoli al corso del fiume, e lo fanno in maniera inseparabile. In nessun caso si potrebbe dire, per esempio, che il fiume gira a destra “perché” c’è una collina senza presupporre implicitamente la logica dell’acqua che impedisce al fiume di scorrere dal basso verso l’alto. Il fiume così non “rappresenta” il paesaggio ma “si adatta” in esso, nel senso che trova il suo corso fra i vincoli che si impongono, non a partire dal paesaggio o dalla logica dell’acqua bensì, sempre e necessariamente, dall’interazione di entrambi gli aspetti. Un’interazione analoga e irriducibile ha luogo fra il “paesaggio” della realtà ontologica e il “corso” della nostra costruzione cognitiva che genera ciò che chiamiamo “conoscenza”. In nessun caso potremmo dire che una determinata struttura concettuale deve riflettere la “realtà” poiché ci aiuta ad avere la meglio su un qualche vincolo dell’esperienza. Sarebbe una vanità davvero ingenua se credessimo, poiché abbiamo trovato un particolare cammino, che questo debba essere l’unico cammino possibile e quindi “reale”. E non meno ingenui saremmo se dimenticassimo che gli obiettivi che cerchiamo di raggiungere, le idee e le teorie che costruiamo con il fine di raggiungerli, e i vincoli e gli ostacoli che incontriamo nel corso del nostro tentativo sono tutti quanti prodotti della nostra maniera di concettualizzare l’esperienza. Da questo punto di vista allora ogni complessità che ci troviamo ad affrontare è di nostra stessa produzione, poiché può derivare soltanto dalla relazione fra gli obiettivi che abbiamo scelto e i mezzi e i modi che costruiamo per raggiungere questi obiettivi. (E. von Glasersfeld, Il complesso di semplicità, in 1985, pp.108-110)

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Scheda 21. EDGAR MORIN LA STRATEGIA D’IMPRESA

Un’organizzazione quale l’impresa si colloca in un mercato. Produce oggetti o servizi, cose che le diventano esterne ed entrano nell’universo del consumo. Limitarsi a una immagine dell’impresa come entità etero-produttrice sarebbe insufficiente. Perché produ-cendo cose e servizi, l’impresa, contemporaneamente, si auto-produce. Questo significa che produce tutti gli elementi necessari alla propria sopravvivenza e alla propria organizzazione. Organiz-zando la produzione di oggetti e di servizi, l’impresa si auto-organizza, si auto-alimenta, se necessario si auto-ripara, e se le cose vanno bene si auto-sviluppa sviluppando la sua produzione. [..] La complessità compare nel seguente enunciato: si producono cose e contemporaneamente ci si auto-produce; il produttore stesso è il proprio prodotto. Questo enunciato pone un problema di causalità. Un primo aspetto è costituito dalla causalità lineare. Se con una certa materia prima, applicando un certo processo di trasformazione, si produce un certo oggetto di consumo, ci si inserisce in una linea di causalità lineare: una certa causa produce certi effetti. Secondo aspetto: causalità circolare retroattiva. Un’impresa ha bisogno di normatività. Deve realizzare la sua produzione in funzio-ne dei bisogni esterni, della sua forza-lavoro e delle sue capacità di energia interne. Ora come sappiamo -da circa quarant’anni, grazie alla cibernetica- l’effetto (incremento o diminuizione delle vendite) può retroagire per stimolare o far calare la produzione di oggetti e di servizi nell’impresa. Terzo aspetto: causalità ricorsiva. Nel processo ricorsivo, gli effetti e i prodotti sono necessari al processo che li genera. Il prodotto è produttore di ciò che lo produce. [..] In un’ottica semplificante diremmo: la parte è nel tutto. In un’ottica complessa diciamo: non solo la parte è nel tutto; il tutto è all’interno della parte che è all’interno del tutto! Questa complessità è altra cosa rispetto alla confusione del tutto è in tutto e viceversa. [..] Ci troviamo di fronte a sistemi estremamente complessi in cui la parte è nel tutto e il tutto è nella parte. Questo vale per l’impresa, che ha le sue regole di funzionamento e all’interno della quale agiscono le leggi della società intera. Un’impresa si auto-eco-organizza sul mercato, mercato che è un fenomeno contemporaneamente ordinato, organizzato e aleatorio.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 283

Aleatorio perché non c’è certezza assoluta sulle opportunità e le possibilità di vendere i prodotti e i servizi, anche se ci sono delle possibilità, delle probabilità, delle plausibilità. Il mercato è una miscela di ordine e di disordine. [..]Le organizzazioni hanno bisogno d’ordine e bisogno di disordine. In un universo in cui i sistemi subiscono l’incremento del disordine e tendono a disintegrarsi, la loro organizzazione permette di respinge-re, captare e utilizzare il disordi-ne. [..]Ordine, disordine, programma, strategia!La nozione di strate-gia si contrappone a quella di programma.Un programma è una sequenza di azioni predeterminate che deve funzionare in circostanze che ne consentano la realizzazione. Se le circostanze esterne non sono favorevoli, il programma si ferma o fallisce. [..] la strategia, invece, elabora uno o più scenari. Fin dal principio si prepara, se c’è qualcosa di nuovo o di imprevisto, a incorporarlo per modificare o arricchire la propria azione.Il programma ovviamente consente un notevole risparmio: non si è costretti a riflettere, tutto avviene per automatismo. Una strategia, invece, si determina tenendo conto di una situazione aleatoria, di elementi avversi, addirittura di avversari, ed è portata a modificarsi in funzione delle informazioni fornite lungo il percorso, può avere una grandissima elasticità. Ma una strategia, per essere condotta da un’organizzazione, richiede allora che l’organizzazione non sia concepita per obbedire a una programma-zione, ma possa operare con degli elementi capaci di contribuire all’elaborazione e allo sviluppo della strategia. [..] Nell’impresa, il vizio della concezione tayloristica del lavoro fu quello di considerare l’uomo unicamente come una macchina fisica. In un secondo tempo ci si rese conto che esiste anche un uomo biologico; l’uomo biologico venne adattato al suo lavoro e le condizioni di lavoro a quell’uomo. Poi, quando ci si è resi conto che esiste anche un uomo psicologico, frustrato dalla parcellizzazione dei compiti, si è pensato di integrarli con compiti complementari. L’evoluzione del lavoro illustra il pas-saggio dall’unidimensionalità alla multidimensionalità.[..] la volontà di imporre all’interno di un’impresa un ordine implacabile è inefficien-te. Tutte le istruzioni che, in caso di guasto, di incidenti, di eventi imprevisti, esigeranno il blocco immediato del settore o della macchi-na sono anti-efficienti. Bisogna lasciare una parte di iniziativa a ogni livello e a ogni individuo.

(da Morin, 1990, pp.86-92)

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Scheda 22. ANDREW FEENBERG RAGIONE DIALOGICA E “PROGRESSO” TECNO-

LOGICO Il determinismo e l’essenzialismo sono dei tentativi di articolare la nostra esperienza reale dello sviluppo storico a partire dall’idea di un processo irreversibile, un progresso basato sull’avanzamento scienti-fico e tecnico. Queste teorie riescono a catturare la direzione del processo storico sia per approvarne sia per condannarne il telos. La loro nozione semplicistica, tuttavia, di una razionalità purificata astratta dalla vita sociale, non riesce a cogliere la complessità del fenomeno tecnico. Il problema, a questo punto, è quello di ricostrui-re un concetto di progresso senza rinviare a un processo di purifica-zione per spiegarlo. Sfortunatamente, la filosofia della tecnica offre in tale frangente un misero aiuto. Ho trovato, tuttavia, un possibile punto di partenza nel lavoro di Gilbert Simondon. Sebbene il suo approccio sia deterministico, esso riconosce alla tecnologia un tipo di storia che è possibile recuperare per un concetto costruttivista di progresso. [..] Simondon definisce con il termine “concretizzazione” la legge fonda-mentale dello sviluppo, concetto con cui egli vuole indicare approssimativamente ciò che i tecnologi stessi chiamano “eleganza”. In contrasto con una progettazione tecnica limitata a una sola funzione, una progettazione elegante va incontro contemporaneamente a molteplici obiettivi. Il concetto di concretizzazione di Simondon descrive precisamente questa multi-funzionalità (Simondon, G., Du mode d’existence des objects techniques, Aubier, Parigi 1958, cap.I). Simondon caratterizza le tecnologie come più o meno astratte o concrete secondo il loro grado di integrazione strutturale. Poiché i dispositivi si sviluppano nel corso del progresso tecnico, essi sono continuamente modificati per moltiplicare le funzioni a cui assolvono i loro componenti. Le innovazioni concretizzanti li adattano a una varietà di esigenze che possono all’inizio apparire sconnesse o anche incompatibili. Ciò che inizia come una raccolta di pezzi collegati da relazioni esterne finisce per diventare un sistema fortemente integra-to. [..] Secondo Simondon, la tecnologia evolve attraverso tali eleganti condensazioni, mirate a raggiungere delle compatibilità funzionali. La concretizzazione è la scoperta delle sinergie tra le funzioni assolte dalle tecnologie e tra le tecnologie e i loro ambienti. [..] Il processo di concretizzazione ha un carattere progressivo: le proget-tazioni tecniche possono essere classificate in una sequenza che va dalla maggiore astrazione alla maggiore concretezza. La concretiz-

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 285

zazione implica dunque un tipo di progresso cognitivo normalmente associato alla tecnologia e in questa misura fonda il progresso nella razionalità. Ma a differenza di un semplice criterio di sviluppo, come l’aumento della produzione, la concretizzazione comporta l’adattamento riflessivo delle tecnologie al loro ambiente sociale e naturale.

(Andrew Feenberg, 1999, pp.258-260)

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298 ALBERTA REBAGLIA

GLOSSARIO

Autori

Adorno, Theodor Wiesengrund (1903 - 1969)

glossario: Progresso

Aristotele (384-322 a.C.)

nel glossario: A priori , Assioma , Causalità , Deduzione ,

Dimostrazione , Ermeneutica , Metafisica

Bachelard, Gaston (1884 – 1962)

nel glossario: Strutturalismo

Bacone, Francesco (1561 - 1626)

nel glossario: Induzione , Positivismo , Progresso

Berkeley, George (1685 - 1753)

nel glossario: Empirismo , Relativismo

Bernardo di Chartres (XII sec.)

nel glossario: Progresso

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 299

Bridgman, Percy ( 1882 - 1961)

nel glossario: Operazionismo

Cartesio [Descartes, René] (1596 - 1650)

nel glossario: Empirismo , Progresso , Ragione

Comte, Auguste ( 1798 - 1857)

nel glossario: Positivismo

Condorcet, Jean Caritat (1743 – 1794)

nel glossario: Progresso

Darwin, Charles Robert (1809 - 1882)

nel glossario: Adattamento, Epistemologia, Progresso

Dewey , John (1859 - 1952)

nel glossario: Strumentalismo

Dilthey , Wilhelm (1833 – 1911)

nel glossario: Ermeneutica

Duhem , Pierre (1861 - 1916)

nel glossario: Convenzionalismo , Olismo

300 ALBERTA REBAGLIA Euclide ( 300 a.C )

nel glossario: Dimostrazione

Feyerabend, Paul (1924 - 1994)

nel glossario: Relativismo

Foester, Heinz von (1911 - 2002)

nel glossario: Costruttivismo

Foucault, Michel ( 1926 - 1984 )

nel glossario: Strutturalismo

Freud, Sigmund (1856 - 1939)

nel glossario: Ragione

Gadamer, Hans Georg (1900 - 2002)

nel glossario: Ermeneutica

Glasersfeld, Ernst von

nel glossario: Costruttivismo

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 301 Hanson, Norwood Russell (1924 - 1967)

nel glossario: Relativismo

Hegel, Wilhelm Friedrich (1770 - 1831)

nel glossario: Metafisica , Ragione

Heidegger, Martin (1889 - 1976)

nel glossario: Ermeneutica , Metafisica , Nichilismo

Horkheimer, Max (1895 - 1973)

nel glossario: Progresso

Hume, David (1711-1776 )

nel glossario: Causalità , Empirismo , Relativismo

Husserl, Edumnd ( 1859-1938 )

nel glossario: Intuizione

Kant, Immanuel (1724 - 1804)

nel glossario: A priori , Causalità , Illuminismo , Intuizione ,

Metafisica , Ragione

302 ALBERTA REBAGLIA Kuhn, Thomas ( 1922-1996 )

nel glossario: Relativismo

Lakatos, Imre ( 1922-1974 )

nel glossario: Anomalia

Lamarck, Jean-Baptiste de Monet de (1744 - 1829)

nel glossario: Adattamento

Le Roy, Edouard ( 1870 - 1954 )

nel glossario: Convenzionalismo

Marx, Karl (1818 - 1883 )

nel glossario: Metafisica

Medawar, Peter Brian ( 1915)

nel glossario: Adattamento

Mill, John Stuart ( 1806 - 1873 )

nel glossario: Induzione , Utilitarismo

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 303 Nietzsche, Friedrich Wilhelm ( 1884 - 1900 )

nel glossario: Nichilismo , Progresso , Relativismo

Peirce, Charles Sanders (1839 - 1914 )

nel glossario: Pragmatismo

Platone ( 427 - 347 a.C.)

nel glossario: Ermeneutica

Poincaré, Jules-Henri (1854 - 1912 )

nel glossario: Convenzionalismo

Popper, Karl Raimund (1902 - 1994 )

nel glossario: Adattamento , Asserto-base , Base empirica ,

Demarcazione , Epistemologia , Falsificabilità

Quine, Willard van Orman (1908 - 2000 )

nel glossario: Olismo , Relativismo

Reichenbach, Hans (1891 - 1953 )

nel glossario: Verificazione

304 ALBERTA REBAGLIA Saint-Simon, Claude-Henry de Rouvroy conte di (1760 - 1825 )

nel glossario: Positivismo

Saussure, Ferdinand de (1857 – 1913)

nel glossario : Strutturalismo

Schleiermacher, Friedrich Daniel Ernst ( 1768 - 1834 )

nel glossario: Ermeneutica

Sesto Empirico ( 180 - 220 )

nel glossario: Empirismo

Spencer, Herbert (1820 – 1903)

nel glossario: Positivismo, Progresso

Spengler, Oswald ( 1880 - 1936 )

nel glossario: Relativismo

Wittgenstein, Ludwig (1889 - 1951 )

nel glossario: Verificazione

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 305

VOCI DI GLOSSARIO

A priori

Quanto è logicamente anteriore a qualsiasi esperienza (e dunque esclusivamente razionale); opposto a ciò che è a posteriori, ovvero ciò che viene acquisito mediante l’esperienza (cfr. Empirismo). La distinzione trae origine dalla filosofia di Aristotele, dove l’a priori è individuato come “ciò che è anteriore e più noto per natura” (la causa, l’universale), mentre l’a posteriori indica “ciò che è anteriore e più noto per noi” (l’effetto, il partico-lare: più vicini alla sensazione).

Nel pensiero medievale, il metodo di dimostrazione a priori procede dalle cause agli effetti, ed è contrapposto al metodo di dimostrazione a posteriori, che procede dagli effetti alle cause. Secondo Kant, l’a posteriori viene inteso come ciò che, derivando dall’esperienza, non è universale né necessario; l’a priori, al contrario, è l’elemento formale della conoscenza che –essendo indipendente dall’esperienza– possiede validità universale e necessaria.

Adattamento

Teoria biologica sviluppata nell’Ottocento secondo due imposta-zioni discordanti. In contrapposizione alle tesi del naturalista francese Jean-Baptiste de Monet de Lamarck, che pose l’accento sugli organismi e sull’azione da essi esplicata per adattarsi all’ambiente, il biologo e naturalista inglese Charles Robert Darwin (1809-1882) sottolineò l’azione dell’ambiente sugli organismi e il suo potere di selezionare quelli più idonei alla

306 ALBERTA REBAGLIA sopravvivenza in esso. È un esempio solitamente citato: quando vaste distese dell’Africa divennero aride, e risultò difficile per le giraffe trovare foglie di cui cibarsi se non su alberi sempre più alti, secondo Lamarck queste, di generazione in generazione, subirono un progressivo allungamento del collo; secondo Darwin, invece, riuscirono a sopravvivere soltanto gli animali dal collo lungo, e gli altri andarono incontro all’estinzione.

Le teorie scientifiche sono state considerate (soprattutto da Popper) simili alle specie che Darwin vede soggette alla selezione naturale: quando le loro previsioni sono falsificate dagli esperi-menti esse soccombono. I prodotti della tecnologia, invece, sono stati ritenuti –in particolare dall’immunologo Peter Brian Medawar (nato nel 1915 e insignito del Premio Nobel per la medicina nel 1960) il quale dal punto di vista epistemologico è stato fortemen-te influenzato dal pensiero popperiano– simili a organismi biologi-ci che evolvano secondo le modalità individuate da Lamarck: l’insufficiente adattamento istintivo dell’uomo all’ambiente sollecita la produzione di artefatti, e il trasferimento dell’informa-zione da una generazione a quella successiva, al fine di produrre e innovare tali artefatti, viene attuato in base alle sollecitazioni dell’ambiente, anziché seguendo una via di tipo “genetico”.

La sociobiologia, che trova in Edward O. Wilson (1975) una delle sue prime espressioni, sottolinea come il circuito coevolutivo di sistemi sociali, tecnologici e simbolici sia all’origine del sempre maggiore adattamento della specie umana all’ambiente “artificia-lizzato” che essa stessa contribuisce a produrre.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 307 Anomalia

Ciò che non si adatta a uno schema classificatorio; un fenomeno che non può essere spiegato mediante una teoria accettata entro un dato ambito disciplinare. Essendo l’esito sorprendente di un’attività sperimentale, l’anomalia può risolversi in una ‘scoperta empirica’ che suggerisce revisioni entro i modelli teorici costituiti.

D’altronde, ogni programma di ricerca scientifico, secondo l’epistemologo ungherese Imre Lakatos (1922-1974), si sviluppa in un “oceano” di anomalie, le quali possono essere ignorate oppure spiegate attraverso ingegnose ridescrizioni, ma non comportano mai necessariamente l’abbandono di quel particolare programma. Il tipo di soluzione adottato entro un determinato quadro teorico per risolvere un’anomalia sperimentale di partico-lare rilievo risulterà un criterio adeguato di scelta tra programmi rivali, in grado di guidare il ‘progresso’ della scienza nell’epoca contemporanea (in cui ‘verità oggettiva’ e ‘certezza apodittica’ non costituiscono più obiettivi potenzialmente perseguibili, e quindi capaci di indirizzare la conoscenza).

Asserto-base

E’ costituito da ogni asserzione rigorosamente empirica che, fornendo il risultato di un esperimento o esprimendo l’esito di un’osservazione, consenta il controllo di una teoria scientifica (cfr. Base empirica). Tale asserto comunica eventi pubblici (di solito il comportamento di oggetti fisici macroscopici, per esempio: “nella regione spazio-temporale k c’è un amperometro che legge l”), soggetti a una interpretazione intersoggettiva. E la sua accetta-zione quale asserto “vero” non può essere giustificata dal con-fronto con un’esperienza che non risulti filtrata dalle sue stesse

308 ALBERTA REBAGLIA enunciazioni linguistiche elementari, da cui la ricerca scientifica prende necessariamente avvio; l’attribuzione di un valore di verità all’asserto-base deriva, perciò, da una decisione presa in modo convenzionale, come sottolinea l’epistemologo austriaco Karl Raimund Popper (1902-1994).

Epistemologia post-popperiana e sociologia della conoscenza puntualizzano come tale asserto possa essere “di base” soltanto in modo relativo, poiché esso contiene sempre termini “carichi di teoria”: si tratta di una congettura controllabile, sulla quale è possibile in ogni momento aprire una discussione che possa condurre a una sua confutazione.

Assioma

Proposizione di chiara evidenza. Secondo il filosofo greco Aristotele (384-322a.C.), «i principi comuni, chiamati assiomi, sono le verità prime da cui parte la dimostrazione».

Nel momento in cui –a partire dall’elaborazione delle geometrie non-euclidee– entra in crisi il concetto di “verità evidente”, logica e matematica faranno riferimento a postulati i quali, a differenza degli assiomi, sono posti convenzionalmente come proposizioni di partenza, e dei quali si valuta la quantità di conseguenze logiche che essi rendono possibile trarre (anziché una loro eventuale evidenza).

In epoca contemporanea, assioma e postulato sono spesso utilizzati quali sinonimi, e indicano le proposizioni primitive che vengono poste alla base di un sistema formalizzato. La validità di un assioma non è data dal significato intuitivo dei termini che lo compongono, ma dalla coerenza e dalla completezza del sistema di cui esso è una premessa.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 309 Base empirica

Gli asserti-base dell’indagine scientifica non possono essere accettati facendo appello a fatti empirici neutri; peraltro, se tentiamo di giustificare tali asserzioni facendo riferimento ad altre asserzioni ci troveremo coinvolti in un regresso all’infinito. Il filosofo kantiano Jakob Friedrich Fries (a cui fa riferimento Popper) ne desume che le asserzioni possono essere giustificate solamente dall’esperienza percettiva (ovvero, riducendone il contenuto conoscitivo a meccanismi psicologici soggettivi), il che esclude l’esistenza di una base empirica universalmente ricono-sciuta, in quanto avente validità intersoggettiva. Popper ritiene possibile uscire da questa impostazione, contraria allo spirito di oggettività della scienza, accettando che la base empirica sia definita dalla comunità scientifica in termini convenzionali.

Causalità

Formulato nell’antichità da Aristotele, il principio di causalità afferma il carattere necessario dell’ordinamento delle leggi fisiche. Per la scienza moderna, queste ultime si sviluppano in una successione necessaria di cause e di effetti. Nel XVIII secolo, il filosofo scozzese David Hume (1711-1776) puntualizza come la necessità dell’ordine causale non sia rilevabile mediante l’esperienza, e costituisca dunque una mera ipotesi (motivabile con l’abitudine psicologica umana a formulare determinate associazioni mentali); Kant rafforza il carattere necessario della legge causale affermando che essa è una categoria a priori dell’intelletto.

Scienziati e filosofi positivisti, nell’Ottocento, reinterpretano il principio di causalità mantenendone il significato di relazione

310 ALBERTA REBAGLIA funzionale tra grandezze fisiche espresse matematicamente, e negando, invece, che esso stabilisca una connessione necessaria tra i fatti dell’esperienza. I pensatori positivisti considerano, infatti, tutte le leggi fisiche (compresa quella causale) schemi provvisori e convenzionali, utili per organizzare il materiale empirico, le misurazioni quantitative e le previsioni sperimentali.

L’epistemologia contemporanea, nel sottolineare come le teorie fisiche non ottemperino (più) alla pretesa di “spiegare” i fenomeni in modo veritiero e definitivo, evidenzia l’impossibilità del ricorso a presunte relazioni causali oggettive. Individuare un nesso causale tra eventi fisici equivale a indicare un itinerario su una mappa teorica di riferimento: tale atto acquista significato all’interno del contesto in cui esso viene compiuto e interpretato, in connessione con altre informazioni relative alle entità fattuali e teoriche coinvolte.

Complessità

Concetto che è venuto affermandosi intorno alla metà del XX secolo. Consente di individuare un modello conoscitivo in grado di descrivere, con un adeguato apparato concettuale scientifico, i sistemi aperti, i fenomeni dissipativi, le dinamiche flessibili: eventi che l’approccio metodologico tradizionale trascurava, in quanto aspetti qualitativi del mondo fisico, non trattabili scientificamente. Secondo il “riduzionismo” –l’atteggiamento speculare rispetto alla nuova nozione di complessità, assai diffuso nell’Ottocento– i fenomeni biologici, e più in generale tutti i fenomeni non predici-bili e difficilmente rappresentabili mediante modelli meccanici, possono venire compresi solamente in quanto riconducibili entro i termini delle leggi della fisica (ossia, soltanto per quei caratteri derivabili logicamente dalle leggi e dalle asserzioni fondamentali

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 311 della fisica classica). Gli aderenti al “paradigma” della complessi-tà sottolineano come il collegamento, compiuto dalla fisica classica, tra ‘ordine’ e ‘equilibrio termodinamico’ e ‘disordine’ e ‘non equilibrio’ sia ampiamente da ridiscutere: «abbiamo [..] indicato come il non-equilibrio crei delle strutture la cui coerenza supera ampiamente quella delle strutture di equilibrio descritte dalla scienza classica», afferma Ilya Prigogine, premio Nobel per la chimica nel 1977 proprio per i suoi studi sulla termodinamica del non equilibrio.

I fenomeni di organizzazione emergono da dinamiche caotiche. E la dinamica caotica (ricorda Grégoire Nicolis, collaboratore di Prigogine presso l’Università di Bruxelles) «è il modello naturale dei dispositivi che generano informazione e, più in generale, dei sistemi con prevedibilità limitata, il cui divenire resta essenzial-mente aperto» . Lo studio della complessità assume, quindi, un ruolo particolarmente rilevante nell’ambito dei processi biologici e cognitivi, nonché di tutti quei sistemi di cui abbiamo una perce-zione globale, e che non sono indagabili scomponendoli in parti elementari (cfr. anche Olismo).

Convenzionalismo

Tesi secondo cui la verità di proposizioni matematiche o fisiche dipende da un accordo intersoggettivo, esplicito o tacito. Qualsia-si credenza scientifica può venire controllata, secondo tale impostazione, solo considerandone la coerenza con l’insieme complessivo delle altre credenze scientifiche accettate.

Il convenzionalismo è venuto articolandosi tra fine Ottocento e inizio Novecento con la formulazione di geometrie non euclidee e l’elaborazione della fisica relativistica. Come sostiene il matema-

312 ALBERTA REBAGLIA tico e filosofo francese Henri Poincaré (1854-1912), «gli assiomi geometrici non sono né giudizi sintetici a priori, né fatti sperimen-tali; sono convenzioni [..] Una geometria non può essere più vera di un’altra; può soltanto essere più comoda» . Questa impostazione è stata radicalizzata, ancora in Francia, da Pierre Duhem (1861-1916), fisico, storico della scienza ed epistemologo, il quale evidenzia il carattere contingente e simbolico delle leggi scientifiche (non falsificabili attraverso esperimenti cruciali), e da Edouard Le Roy (1870-1954), filosofo che attribuisce alla scienza –la quale fissa in leggi gli avvenimenti naturali– una utilità pratica ma non un valore conoscitivo.

Una comunità scientifica, secondo il convenzionalismo, accorda la propria preferenza a una spiegazione, anziché a ipotesi rivali, in base a considerazioni di convenienza e semplicità.

Costruttivismo

Movimento costituitosi, nella seconda metà del secolo scorso, elaborando gli esiti cui hanno condotto analisi svolte in psicologia della percezione, sociologia della conoscenza, cibernetica, teoria dei sistemi, epistemologia. Ernst von Glasersfeld, professore emerito di psicologia presso l’università della Georgia e fautore di un cosiddetto “costruttivismo radicale”, descrive quest’ultimo come una teoria della conoscenza le cui radici si trovano nella filosofia, nella psicologia e nella cibernetica.

La tesi centrale di questa corrente di pensiero consiste nel considerare le conoscenze non come acquisite passivamente, e corrispondenti a “scoperte” di elementi o regolarità appartenenti a un mondo fisico “esterno”; esse sono reputate, al contrario, “costruite”, poiché la percezione di strutture organizzate emerge

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 313 dall’interazione –complessa e ricorsiva– tra il sistema biologico e il suo ambiente.

L’attività cognitiva risulta avere una funzione ‘adattiva’: essa, secondo questa corrente di pensiero, consente di organizzare sensazioni e informazioni provenienti dall’ambiente esterno, e non rispecchia affatto una realtà oggettiva e neutra, come tradizio-nalmente ritenuto.

Tale prospettiva è evidentemente incompatibile con l’imposta-zione ontologica tradizionale, secondo cui esiste una realtà indipendente dall’osservatore, che egli può indagare senza influenzarne i caratteri ed elaborando teorie che cercano di riflettere questi ultimi in modo fedele. Secondo uno dei maggiori esponenti del costruttivismo, l’ingegnere e filosofo viennese Heinz von Foester (1911-2002), per descrivere l’evoluzione dei sistemi biologici nei termini del loro ‘adattamento’ all’ambiente è indi-spensabile considerare le informazioni che l’organismo codifica ed elabora, poiché esse costituiscono il nucleo del processo cognitivo che gli consente di rapportarsi proficuamente all’ambiente; ma, egli sottolinea, sarebbe epistemologicamente ingiustificato oltrepassare questo ambito per ipotizzare che quelle informazioni percettive ‘rappresentino’ cose reali, ‘in sé’.

Deduzione

Processo che, partendo da un numero limitato di proposizioni accolte come premesse, formula proposizioni le quali conseguono con rigorosa necessità. In una deduzione “apodittica” (le cui conclusioni dimostrative sono assolutamente certe) le premesse contengono ogni informazione necessaria a dimostrare le proposi-zioni conclusive. La successione finita di asserti linguistici che

314 ALBERTA REBAGLIA compongono la dimostrazione costituisce un processo, intersog-gettivamente controllabile, basato sull’uso di ‘regole di deduzione’ (di cui un esempio noto è la regola del modus tollens, storicamen-te elaborata nella logica di Aristotele, secondo la quale se si è dimostrata la proposizione ‘A’, e si è dimostrata la proposizione ‘se A allora B’, risulta dimostrata la proposizione ‘B’).

Demarcazione

Linea di confine che viene a distinguere le asserzioni delle scienze empiriche (fattualmente smentibili) da quelle elaborate in ambiti non scientifici (fattualmente inconfutabili). Le proposizioni che appartengono a questo secondo contesto, caratteristico della “pseudoscienza” ovvero della speculazione metafisica, secondo il positivismo logico sono prive di significato, proprio in quanto non empiricamente verificabili. Nella filosofia di Popper, invece, il confine tra scienza e metafisica non coincide con quello tra significato e non senso: la maggior parte delle teorie scientifiche, avendo forma universale, sono empiricamente inverificabili; in questa prospettiva è, piuttosto, la falsificabilità empirica (cfr. Falsificabilità, principio di) a consentire di tracciare il confine che delimita il dominio della scienza. L’epistemologia post-popperiana ha progressivamente corroso ogni possibile linea di separazione tra scienze empiriche, teorie logico-matematiche e ipotesi metafi-siche.

Dimostrazione

Intende provare la verità di una proposizione per deduzione, ovvero mostrando che essa è la conseguenza necessaria di altre

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 315 proposizioni ammesse come vere. Negli Analitici secondi, Aristotele la definisce come la forma di sillogismo che deduce una conclusione da principi primi, veri, evidenti e indimostrabili; ed essa risulta la base metodologica di tutte le scienze deduttive, di cui caso esemplare manifesto è la geometria di Euclide.

L’epistemologia, soprattutto a partire dal secolo scorso, ha rilevato come il procedimento deduttivo non costituisca una regola metodologica adeguata all’indagine scientifica. E la logica del Novecento ha chiarito come la dimostrabilità di una proposi-zione a partire da un numero finito di premesse non sempre possa essere esplicitata in un numero finito di passaggi logici.

Empirismo

Indirizzo di pensiero secondo cui è conoscibile tutto, e solamente, ciò che proviene dall’esperienza (empeiría); quest’ultima è base di ogni evidenza e la ragione stessa è ritenuta un suo prodotto o, comunque, ha valore solo in quanto essa –rielaborando i dati sensoriali– forma idee e concetti utili a orientare l’attività nello stesso mondo empirico. Fra i primi a elaborare questi presuppo-sti, nella filosofia antica, fu il medico e filosofo scettico Sesto–detto, appunto, Empirico (180-220)– il quale pose lo studio eziologico alla base di qualsiasi più articolata conoscenza. In età moderna, il filosofo inglese John Locke ha sostenuto la tesi secondo cui l’esperienza sensoriale ha una priorità logica e cronologica nella genesi del conoscere, negando la concezione –di derivazione platonica, e sostenuta in quel periodo da filosofi razionalisti tra cui, in primo luogo, Cartesio (nome umanistico italianizzato del francese René Descartes, 1596-1650)– secondo la quale la mente possiede idee innate, non desunte dall’esperienza. Il vescovo e filosofo irlandese George Berkeley

316 ALBERTA REBAGLIA (1685-1753) ha sottolineato come le idee astratte non siano concetti generali entro cui trovano la loro collocazione le idee concrete, bensì abbiano solamente una funzione di rappresentan-za di singole percezioni, le sole a essere effettivamente reali. Hume, infine, ha portato l’empirismo alle sue conseguenze estreme, affermando che anche i principi ritenuti universali e necessari non sono ‘a priori ’, bensì vengono formulati in base alla sperimentazione: lo stesso principio di causalità non è oggettivo, ma scaturisce per associazione da un’abitudine percettiva sogget-tiva.

L’empirismo, nella sua forma più radicale, nega dunque l’esistenza di oggetti indipendenti dalla percezione e la presenza in natura di connessioni necessarie.

Epistemologia

Il termine greco episteme (scienza) indica un sapere che –a differenza dell’opinione (doxa)– risulta certo, incontrovertibilmen-te valido. Il discorso (logos) sulla scienza intende occuparsi dei fondamenti, della natura, dei limiti e della validità del ‘sapere’, così come viene sviluppato dalle discipline ‘pure’ (logica, matema-tica) e da quelle ‘empiriche’ (anzitutto fisica, chimica, biologia, ma anche psicologia, sociologia, scienze umane).

Tradizionalmente, la conoscenza –oggetto delle indagini episte-mologiche– viene distinta dalla semplice credenza a motivo della sua verità, che può essere giustificata su basi metodologiche certe. La storia recente dell’epistemologia ha posto in dubbio la possibilità di tale giustificazione, e ha ridiscusso radicalmente il significato di una distinzione tra affermazioni ‘vere’ in quanto

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 317 autenticamente conoscitive e affermazioni ‘erronee’, oppure ‘false’ o ‘prive di senso’ (cfr. Demarcazione).

Epistemologia evoluzionistica: indirizzo epistemologico che esamina la crescita della conoscenza in analogia con l’evoluzione biologica, e con la descrizione datane da Darwin mediante la legge della selezione naturale. I processi di adattamento che concernono tanto gli individui (ontogenetici) quanto le specie (filogenetici) –nell’uomo e in tutti gli animali– sono processi che, secondo questa prospettiva, producono conoscenza. Il metodo per tentativi ed errori si ritiene dia luogo a una sorta di elimina-zione selettiva delle teorie scientifiche.

Epistemologia post-popperiana: corrente della filosofia della scienza che rielabora criticamente le tesi avanzate da Popper, sottolineando la necessità di un’interazione costruttiva tra episte-mologia e storia della scienza e, soprattutto, negando ogni netta “demarcazione” tra scienza e metafisica, contesto della scoperta e contesto della giustificazione, linguaggio teorico e linguaggio osservativo, metodo scientifico e ragionamenti estranei alle discipline scientifiche.

Ermeneutica

Il filosofo ateniese Platone (427-347a.C.) utilizza il termine hermeneuein –facendolo derivare etimologicamente da Hermes, il messaggero degli dei– a proposito dei poeti, visti quali interpreti degli dei, e dell’arte interpretativa come spiegazione degli oracoli. Aristotele dedica il libro Perì hermenéias allo studio dei segni linguistici. Nel medioevo l’ermeneutica assume l’accezione di ‘chiarificazione di un senso nascosto’ e si impone come esegesi della Sacra Scrittura.

318 ALBERTA REBAGLIA Nell’età moderna, Riforma protestante e Controriforma cattolica cercheranno di limitare l’interpretazione figurale dei testi sacri invitando alla chiarezza e alla semplicità interpretativa. Nel Seicento essa si impone quale lettura razionalistica dei passi scritturali, soprattutto con Spinoza; e nella seconda metà del Settecento, con il filosofo e teologo protestante Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher (1768-1834), il dominio dell’ermeneutica si amplia, volgendosi alla comprensione di ogni testo dal quale il lettore sia separato da distanza storica, linguistica o culturale. Viene a porsi il problema della ricostruzione del senso originario dello scritto, e secondo Schleiermacher attraverso l’interpretazione risulta possibile comprendere il testo meglio del suo stesso autore. Nell’Ottocento, il filosofo e storico tedesco Wilhelm Dilthey (1833-1911) ritiene che ogni prodotto storico debba essere considerato come un testo scritto: l’interpretazione diviene la forma di conoscenza propria dell’intero ambito degli studi umanistici (le cosiddette “scienze dello spirito”, secondo la terminologia che egli introduce).

Nel Novecento l’ermeneutica assume i contorni di una disciplina filosofica autonoma. Secondo il filosofo tedesco Martin Heidegger (1889-1976), il comprendere è la caratteristica essenziale e costitutiva dell’uomo, per il quale ‘essere nel mondo’ significa, sostanzialmente, ‘interpretare’. Hans Georg Gadamer (1900-2002), suo allievo, propone quella che egli definisce una “ontolo-gia ermeneutica”: l’interpretazione diviene la dimensione costitu-tiva dell’esistenza, poiché ognuno appartiene –in modo essenziale e imprescindibile– a una tradizione, a un condizionamento storico che non ha senso tentare di annullare. Secondo Gadamer, occorre basare il concetto di verità (e la possibilità di una integra-zione tra i mondi differenti dell’interprete e dell’interpretato) sul ‘pre-giudizio’, sempre presente in ogni interpretazione, anziché su una ipotetica ‘neutralità’ oggettiva.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 319 Falsificabilità, principio di

Si tratta del criterio secondo cui è indispensabile che la forma logica di un sistema teorico sia tale da consentire a questo di venire confutato dall’esperienza. La falsificabilità separa due tipi di asserzioni entrambe significanti: quelle falsificabili e quelle non falsificabili. E traccia una demarcazione tra scienza e metafisica, che peraltro non conduce a considerare quest’ultima priva di senso (come accade, invece, nella concezione filosofica del neopositivismo).

Il principio di falsificabilità determina il carattere scientifico di una teoria empirica in quanto individua una serie di divieti al manife-starsi di fenomeni e dinamiche, potenzialmente osservabili; e rende possibile alla comunità scientifica cercare di riprodurre sperimentalmente tali condizioni empiriche, così da tentare di falsificare la teoria.

Come conseguenza di questo principio metodologico, sottolineata dallo stesso Popper, un’ipotesi teorica può solamente venire accettata ‘in via provvisoria’, anche qualora essa superi con successo una lunga serie di prove sperimentali.

Illuminismo

Vasto e complesso movimento culturale –e specificamente filosofico– diffusosi in Europa nel Settecento, di cui è centrale l’appello a ‘tutto chiarire’ con i lumi della ragione, liberandosi da pregiudizi e superstizioni. Persuaso dell’efficacia e del rigore del metodo assiomatico della fisica newtoniana, l’illuminismo pro-muove l’esercizio critico della ragione, orientato a prescrivere –positivamente– leggi, valori e criteri in base ai quali indirizzare la vita individuale e sociale, ottenendo un concreto progresso della

320 ALBERTA REBAGLIA civiltà. Diritto naturale e tolleranza religiosa sono fra i portati più significativi della concezione illuministica, storicamente connessa all’affermarsi della borghesia.

L’opera maggiormente rappresentativa del movimento è, senza dubbio, l’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, il cui obiettivo fu la diffusione della cultura a tutti i livelli sociali, contro ogni forma di oscurantismo. Questo ideale pedagogico è sorretto dalla convinzione che la ragione è comune per natura a tutti gli uomini. Così che anche un ‘selvag-gio’ –secondo un ragionamento comune a molti scrittori illumini-sti– essendo allo stato di natura è spontaneamente ‘buono’ e potenzialmente ricco di doti razionali che una corretta opera di educazione potrà esplicitare.

«’Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti del tuo intelletto!’ è questo il motto dell’illuminismo», ha scritto il grande filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804) in Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?, un breve saggio del 1784 considerato un ‘manifesto’ di questo indirizzo di pensiero. Il “pubblico uso della ragione” –concepita come facoltà finita e, proprio in quanto tale, di assoluta affidabilità nell’indagare l’insieme dei fatti fisici, nonché di regolare l’agire umano in ogni ambito pratico– è tratto specifico dell’illuminismo, e motivo di contrasto con la concezione precedente, strettamente vincolata ai canoni della tradizione.

Induzione

Forma di ragionamento che consente di passare dai casi particola-ri, osservati empiricamente, alle leggi generali che li descrivono. La validità dell’induzione è legata a una concatenazione –in linea di principio illimitatamente estesa– di generalizzazioni esplicative;

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 321 e a essa, pertanto, può venire riconosciuto un uso pratico e strumentale, ma non un valore rigorosamente conclusivo: una induzione incompleta (basata su un numero limitato di casi particolari) è sempre soggetta a smentite, e d’altronde una induzione completa (che eliminerebbe questa debolezza logica) è impraticabile poiché richiede un procedimento di verifica infinito. Presupponendo l’uniformità della natura, la generalizzazione operata su un numero limitato di casi si traduce nondimeno nella possibilità di elaborare previsioni scientifiche dotate di un grado più o meno elevato di probabilità.

Il procedimento di induzione per enumerazione, descritto da Francesco Bacone (nome umanistico italianizzato del filosofo e uomo di stato inglese Francis Bacon, 1561-1626), si basa sul presupposto che aumentando il numero delle “istanze” favorevoli si accresce anche il sostegno a favore di una data generalizzazio-ne. Tali considerazioni, sviluppate nell’Ottocento da John Stuart Mill, sono state ulteriormente elaborate nei primi decenni del Novecento: assumendo un numero finito di generalizzazioni possibili, la probabilità di una di esse è accresciuta dalla progres-siva eliminazione delle ipotesi rivali (inizialmente coerenti con alcuni dati, ma rivelatesi infine insoddisfacenti in base all’evidenza empirica accumulata).

Intuizione

Forma (privilegiata e problematica) di conoscenza, la quale consente di cogliere –in modo immediato e totale– i principi primi di una catena causale di dimostrazioni. Si è fatto appello a essa in riferimento agli eventi della natura (intuizione empirica, ovvero percezione diretta di un oggetto, senza la mediazione di categorie razionali), oppure quale mezzo per afferrare rapidamente la

322 ALBERTA REBAGLIA relazione fra idee (intuizione razionale, ovvero presenza immedia-ta alla mente di verità evidenti). Le intuizioni si ritiene costitui-scano un’attività immaginativa anticipatrice, che rappresenta una componente dinamica della ricerca conoscitiva: esse sono consi-derate un carattere tipico dei processi di ‘scoperta’.

Kant ha definito le sensazioni “intuizioni empiriche”, e qualificato le componenti formali, in esse presenti, dello spazio e del tempo “intuizioni pure”. Egli ha negato, peraltro, la possibilità di un’intui-zione intellettuale, che ritiene oltrepassi i limiti umani (e sia propria dell’intelletto divino, capace di rapportarsi agli oggetti così come essi sono “in sé”, senza la mediazione dei sensi). L’idealismo romantico ha fatto, invece, del carattere di immediata creatività dell’intuizione intellettuale un nodo centrale della propria impostazione di pensiero.

Nel Novecento, la fenomenologia –movimento filosofico di cui Edmund Husserl (1859-1938) è il fondatore, e principale espo-nente– intende l’intuizione intellettuale quale metodo per “mette-re fra parentesi” il mondo naturale dei dati empirici e porre in atto una cosiddetta “riduzione eidetica”, la quale consenta di cogliere la “forma” (eidos) –ovvero i tratti essenziali– delle “cose” (siano esse oggetti dell’esperienza esterna o interna, oppure valori o istituzioni).

Metafisica

Una prima accezione, risalente ad Aristotele, la intende come scienza di quella realtà assoluta che si ritiene trascenda l’esperienza e, nel medesimo tempo, le sia di fondamento. Sarà Kant a negare qualsiasi approccio gnoseologico a tale realtà “in sé” e a proporsi l’obiettivo di “riportare la metafisica nei limiti

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 323 della pura ragione”, facendone una scienza dei principi a priori del conoscere e dell’agire.

Come scienza “dell’essere in quanto essere” (secondo la nota definizione aristotelica), la metafisica tende alla comprensione razionale delle strutture fondamentali dell’essere, e in tal senso essa coincide, sostanzialmente, con l’ontologia (etimologicamen-te, il discorso sull’essere). Hegel individua nello Spirito assoluto un simile principio immanente al divenire storico, capace di spiegarne lo svolgersi in una prospettiva di determinismo necessi-tante. Con il “rovesciamento” delle tesi hegeliane da parte di Karl Marx (1818-1883), e la convinzione che sia possibile cogliere i fondamenti di ogni manifestazione del reale indagando le leggi economiche alla base della vita materiale (con la consapevolezza che i criteri adottati sono validi solamente in ciascuna specifica epoca storica), inizia un processo corrosivo anche nei confronti di tale accezione di metafisica. Positivismo ottocentesco e neoposi-tivismo dei primi decenni del Novecento hanno contestato ogni validità alla metafisica, sottolineando come la ragione non possa pervenire a conoscenze assolute, ma debba limitarsi a individuare relazioni fra differenti fatti. A questa posizione si collega il pragmatismo, per il quale la ragione –avendo un carattere puramente strumentale– deve prospettare soluzioni possibili a problemi concreti, senza pretendere di prescrivere criteri oggettivi né in ambito gnoseologico né nell’agire morale. L’epistemologia post-popperiana si è spesso caratterizzata per una convita rivalutazione del ruolo della metafisica (intesa come insieme di concezioni di fondo e presupposti esplicitamente o tacitamente accettati) nell’orientare la ricerca scientifica.

La polemica antimetafisica si esprime, in Heidegger, quale critica dell’esito cui è giunta la storia del pensiero occidentale che, preso avvio dalla riduzione dell’essere a oggetto che sta di fronte a chi lo osserva, ne ha poi fatto uno strumento manipolabile; la società

324 ALBERTA REBAGLIA tecnologica, che Heidegger vede costituita su tale base concettua-le, non riuscirebbe a cogliere, perciò, i caratteri “autentici” dell’essere, nascosti e non oggettivabili, che è invece possibile cercare indagando gli schemi logico-linguistici mediante i quali il mondo stesso diviene accessibile.

Nichilismo

Usato, genericamente, per indicare (in base al suo etimo: nihil, nulla) un atteggiamento di rifiuto verso un sistema di valori o una struttura sociale ampiamente condivisi. In quanto orientamento ideologico e politico, profondamente influenzato dal positivismo, il nichilismo si è diffuso in Russia nella seconda metà del XIX secolo con l’intendimento di ripudiare il bagaglio delle idee tradizionali (religiose, morali, estetiche e così via) per instaurare –sulla base di criteri scientifici– una società nuova, in grado di assicurare il benessere delle masse. Con il filologo e filosofo tedesco Friedrich Wilhelm Nietzsche (1884-1900) il termine acquista particolare pregnanza filosofica: esso –dichiarando l’assenza di ogni verità definitiva e di ogni fondamento essenziale– è inteso, in senso positivo, come smascheramento di valori assoluti ed emancipa-zione da ogni fede metafisica, e come conseguente annuncio dell’avvento di un “oltreuomo” liberato da quelle “catene”. Heidegger, riflettendo sulle tesi elaborate da Nietzsche, ravvisa nel nichilismo l’esito finale di un destino di “oblio del senso dell’essere” che a suo parere ha caratterizzato la storia dell’occidente, dalle origini greche all’imporsi di scienza e tecnolo-gia.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 325 Olismo

Il termine (in greco hólos significa “tutto intero”) indica la conce-zione che vede nei sistemi (naturali o artificiali, concreti o astrat-ti) totalità organizzate, in cui il tutto non corrisponde alla mera somma delle parti. Si tratta di un principio il quale, in opposizio-ne a quello di riduzionismo, rifiuta ogni traduzione di termini e concetti complessi in termini e concetti più semplici, ritenendo che tale operazione conduca a un’astrazione che non coincide con il conseguimento di una conoscenza fondamentale (cfr. anche Complessità).

Dal punto di vista più specificamente epistemologico, la prospetti-va olistica evidenzia come osservazioni empiriche e prove speri-mentali non possano fornire informazioni specifiche concernenti una particolare ipotesi teorica. Tesi sviluppata in particolare da Duhem, e ulteriormente elaborata da Quine.

Operazionismo

Corrente di pensiero basata sui lavori del fisico statunitense Percy Williams Bridgman (1882-1961), secondo il quale il significato di un concetto coincide con l’insieme di operazioni mediante le quali esso trova applicazione pratica. Definendo i concetti nei termini di operazioni empiricamente eseguibili, l’operazionismo da un lato ritiene possibile eliminare dalla scienza termini generali ed astratti, d’altro lato fa sì che ogni tipo differente di operazione compiuta dia luogo a una proprietà fisica distinta.

I temi dell’operazionismo vengono ulteriormente elaborati soste-nendo che i principi metodologici alla base della sperimentazione scientifica costituiscono un “a priori produttivo o definizionale”, come afferma Hugo Dingler; essi sono esito di una libera scelta

326 ALBERTA REBAGLIA convenzionale che consente di ridurre interpretazioni e modelli esplicativi a un gruppo ben definito di operazioni.

Questo criterio metodologico è anche stato applicato oltrepassan-do l’ambito delle scienze fisiche, soprattutto in psicologia e in sociologia, dove i concetti vengono definiti nei termini di processi ‘operativi’ che si basano sulla pubblicità delle attività mentali (escludendone il carattere privato) e sulla ripetibilità delle opera-zioni stesse (garantendo l’intersoggettività dell’indagine).

La Scuola Operativa Italiana, fondata da Silvio Ceccato (1914-1997) insieme a Giuseppe Vaccarino e Vittorio Somenzi, ha contribuito a delineare modelli descrittivi dell’attività mentale in termini operativi, che hanno condotto a un’analisi metodologica dei sistemi di meccanizzazione dei processi di pensiero e di linguaggio prodotti dagli studi di intelligenza artificiale.

Percezione

Rappresentazione immediata di un oggetto, sia esso fisico o mentale. La percezione può essere esterna, se l’oggetto è fuori del soggetto, o interna, se concerne i suoi stati psichici. Filosofi e psicologi del XVIII secolo erano soliti distinguere tra sensazioni (specifici stimoli ricevuti dall’organismo, dati elementari prove-nienti dall’esterno) e percezioni (esito di un processo conoscitivo complesso, che unifica una molteplicità di sensazioni e fornisce la rappresentazione di un preciso oggetto). La “psicologia della forma” (Gestaltpsychologie) ha soppresso questa distinzione, affermando che la percezione non è un composto di sensazioni elementari bensì la sensazione di una totalità, ovvero l’apprendimento immediato delle “strutture”, delle “forme”, che modellano il mondo così come lo percepiamo. Gli attuali studi sui

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 327 giudizi percettivi sottolineano il ruolo svolto da informazioni memorizzate e presupposti cognitivi nel ‘riconoscimento’ di oggetti attraverso la percezione.

Positivismo

Vasto movimento di pensiero sviluppatosi in Francia e diffusosi –nella seconda metà dell’Ottocento– in numerosi Paesi europei, influenzando, oltre alla filosofia, scienza, storiografia, letteratura, discipline giuridiche e molti altri settori. Il positivismo trova le proprie radici concettuali nella visione baconiana e (poi) illumini-stica del dominio sulla natura ad opera della scienza e della tecnica.

Il termine –introdotto dal filosofo e storico francese Claude-Henri de Rouvroy conte di Saint Simon (1760-1825), il quale affida alla moderna scienza sperimentale il compito di una spiegazione unitaria dell’universo, rintracciando in essa le leggi che governano la storia e la società– fu poi adottato dal filosofo (inizialmente suo discepolo) Auguste Comte (1798-1857) per indicare lo stadio scientifico del sapere, a cui corrisponde la civiltà industriale, quale forma compiuta dell’organizzazione sociale. Stabilito che il metodo della scienza è descrittivo, e non cerca di individuare cause ed essenze nascoste, esso viene esteso, potenzialmente, a tutti i campi di indagine al fine di perseguire un autentico pro-gresso dell’umanità. Secondo Comte, in tutti gli ambiti scientifici –anche in quelli più tipicamente legati all’osservazione, come l’astronomia o la chimica– si tende a una sempre più evidente matematizzazione, in base alla quale “svelare le leggi numeriche” indispensabili per ogni applicazione pratica del sapere acquisito. In questa prospettiva, risulta necessario ottenere una trattazione ‘positiva’, metodologicamente rigorosa, anche della prassi politica

328 ALBERTA REBAGLIA ed economica, eliminando discussioni oziose e verbosità (cfr. anche Utilitarismo); e obiettivo che lo stesso Comte intende perseguire è fondare anche una ‘scienza empirica dei fenomeni sociali’, la sociologia, sottraendoli a una inadeguata trattazione metafisica.

Il positivismo evoluzionistico, elaborato negli stessi anni da Herbert Spencer ripensando in termini positivistici i temi del darwinismo, fornisce una interpretazione unitaria della realtà come processo evolutivo ed estende a qualunque livello del reale (sia naturale, storico o sociale) il concetto di progresso, mostran-do la genesi dei fatti più complessi (ed eterogenei) a partire da quelli più semplici (e omogenei).

Pragmatismo

Sorto negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo, e diffusosi successi-vamente anche in Europa, fa riferimento al termine greco pragma (azione) e considera la conoscenza quale esito pratico delle conseguenze empiricamente osservabili di opinioni e credenze. Secondo il filosofo statunitense Charles Sanders Peirce (1839-1914), considerato il fondatore di questa corrente filosofica, compito del pensiero è individuare una regola d’azione, un comportamento; quindi, «un concetto, ossia il significato di una parola o altra espressione, consiste esclusivamente nelle sue conseguenze concepibili sulla condotta della vita» . Nella conce-zione di Peirce, secondo il quale il comportamento razionale è legato a induzione e probabilità, la verità corrisponde alla fre-quenza relativa che si osserverebbe in una successione di eventi possibile: essa è l’opinione su cui tutti sarebbero d’accordo, ammesso che sia possibile accordarsi su qualcosa. Riprendendo –e modificando– questa impostazione (secondo un irrazionalismo e

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 329 un volontarismo rifiutati da Peirce, che conierà il termine “prag-maticismo” per rinominare le proprie tesi) William James sostiene che, poiché non esiste alcun criterio obiettivo di verità, è da ritenersi ‘vero’ ciò che dà luogo a conseguenze pratiche soddisfa-centi le esigenze vitali più profonde degli individui e contribuisce ad arricchire le loro potenzialità creative.

Progresso

Accumularsi, continuo e unilineare, di acquisizioni le quali concor-rono al miglioramento –supposto illimitato– delle condizioni materiali e morali del genere umano. Sconosciuto nella Grecia classica (dove la concezione generale della storia era quella della decadenza a partire da una perfezione primitiva –età dell’oro– oppure quella di un ciclo di eventi che si ripete indefinitamente), il concetto di progresso è rintracciabile in alcuni filosofi del medioe-vo (in particolare in Bernardo di Chartres) e agli inizi dell’età moderna in filosofi come Bacone e Cartesio. La nozione si afferma in seguito alla discussione aperta dal testo di Fontenelle Digressione sugli antichi e i moderni, del 1688, dove si sostiene la superiorità dei moderni, che –usufruendo delle scoperte degli antichi– costruiscono le premesse per i progressi futuri. Osserva-zioni sul continuo progresso della ragione universale (1737), dell’abate di Saint-Pierre, estende l’idea di progresso dal campo delle conoscenze a quello della vita sociale nel suo complesso. L’illuminismo rafforza l’accezione di un miglioramento dell’umani-tà mediante il concorso delle arti e delle scienze, quindi come continuo perfezionamento affidato alla ragione e coincidente con la liberazione da pregiudizi e superstizioni. In questo contesto Jean-Antoine-Nicolas Caritat, marchese di Condorcet (1743-1794), nella sua ultima e più celebre opera Abbozzo di un quadro

330 ALBERTA REBAGLIA storico dei progressi dello spirito umano, 1792, sottolinea come diffusione del sapere e pubblica discussione accelerino tale processo di emancipazione.

Con l’evoluzionismo di Darwin l’idea acquisisce una base scientifi-ca, e viene intesa come una legge necessaria, caratterizzante l’evoluzione del genere umano, ritenuta illimitata e priva di deviazioni (cfr. le tesi di Spencer alla voce Positivismo). Romanti-cismo e positivismo esaltano il progresso come direttrice necessa-ria su cui si colloca l’intera serie degli eventi naturali e storici. Nello stesso periodo, tuttavia, vengono formulate anche le prime critiche a tale concezione. Il principio di un ordine universale finalizzato al meglio viene negato da Arthur Schopenhauer, il cui pensiero demistificante ha profondamente influenzato Nietzsche, il quale critica radicalmente lo storicismo ottocentesco e, in una seconda fase del suo pensiero, propone un concetto di tempo circolare. Nella cultura del Novecento, fenomeni sociali legati soprattutto alla rapida industrializzazione nonché agli eventi bellici, indeboliscono ulteriormente l’idea tradizionale di progresso –tema sviluppato, in particolare, dai filosofi francofortesi Theodor Wiesengrund Adorno (1903-1969) e Max Horkheimer (1895-1973).

Ragione

Complesso delle facoltà mentali che guidano la condotta umana nel mondo. Nella filosofia antica, il procedimento razionale è ritenuto la via maestra per oltrepassare l’immediatezza dell’opinione ottenendo conoscenze vere dei fatti, e per dirigere correttamente la propria condotta nel valutare situazioni pratiche.

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 331 Per l’età moderna e per l’illuminismo essa è la forza che libera dai pregiudizi, dalle opinioni radicate ma false, dalle apparenze. Cartesio, in apertura del suo Discorso sul metodo (1637), scrive: «Il buon senso è la cosa del mondo meglio ripartita [..] la potenza di ben giudicare e distinguere il vero dal falso, che è propriamente ciò che si chiama il buon senso o la ragione, è naturalmente eguale in tutti gli uomini: è così che la diversità delle nostre opinioni non proviene da ciò che gli uni sono più ragionevoli degli altri [..] Perché non basta la buona intelligenza: quel che più conta è di applicarla bene» . Nell’età moderna, il metodo razionale diviene il criterio necessario e infallibile per conoscere il mondo, e fornisce le regole e i principi con cui attuare procedimenti specifici di ragionamento. Kant, esprimendo lo spirito culturale dell’illuminismo, ritiene che compito prioritario della filosofia sia condurre la ragione dinnanzi al tribunale da essa stessa istituito, al fine di determinarne i limiti e garantire la legittimità delle sue pretese gnoseologiche. Con Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), grande filosofo di formazione kantiana e profondamente vicino alle tematiche del romanticismo, la ragione oltrepassa il suo tradizionale compito di delineare modelli del mondo fisico per essere identificata essa stessa con la realtà: procedendo in modo dialettico (esprimendo una tesi, mostrandone la negatività e l’insufficienza in una antitesi, e giungendo a una sintesi in cui i due elementi contradditori trovino collocazione in una superiore unità) la ragione coglie la totalità organica del reale, l’Assoluto.

A fine Ottocento, il medico austriaco Sigmund Freud (1856-1939), mostrando che le motivazioni razionali dell’agire costituiscono un’inconsapevole copertura di pulsioni inconsce le quali influisco-no sul comportamento, pone il pensiero filosofico di fronte a un necessario ripensamento dell’idea tradizionale di ragione. Il pensiero del Novecento ha spesso individuato nella ragione uno

332 ALBERTA REBAGLIA strumento metodologico di argomentazione, con cui articolare significati che possono non risiedere totalmente nella loro formu-lazione esplicita, richiedendo una attività di interpretazione. In questa prospettiva, l’argomentare razionale consente di valutare credenze e organizzare inferenze su base mai assoluta, bensì soggettiva, probabilistica, ermeneutica.

Relativismo

In senso generale, il termine designa quelle concezioni che negano l’esistenza di verità assolute nell’ambito della conoscenza (o principi immutabili in ambito morale). Esso è presente in alcune correnti filosofiche dell’antichità, come la sofistica (famoso è il frammento di Protagora secondo cui «di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che sono, in quanto sono, di quelle che non sono, in quanto non sono», e non vi è dunque alcunché di ogget-tivo) e lo scetticismo (che, con varie argomentazioni, sottolinea come all’uomo non sia dato cogliere il vero).

All’inizio dell’età moderna il relativismo viene sollecitato da un lato dagli studi umanistici che conducono alla riscoperta dell’enorme varietà di opinioni dei pensatori antichi, e dall’altro dalla scoperta del Nuovo Mondo, differente dal nostro per valori culturali: si fa strada l’idea che i meriti di ciascuna opinione siano relativi alla cultura l’ha espressa. Oltre un secolo più tardi, gli empiristi britannici George Berkeley e David Hume introducono nuovi elementi di relativismo legati alla convinzione –comune a tutte le filosofie moderne– che il pensiero tratta soltanto “idee”, e non la “realtà” delle cose: ne consegue l’incapacità umana a trascendere le proprie inclinazioni personali e abitudini sociali, mentre permanenza dei corpi, spazio, tempo sono esito di percezioni recepite dalla mente. Nell’Ottocento la tesi del relativi-

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 333 smo gnoseologico accentua l’impossibilità di conoscere qualsiasi cosa oltrepassi le ‘apparenze’; e queste ultime solo attraverso le facoltà soggettive, che modificano inevitabilmente i fenomeni. Tale impostazione ha influito sul positivismo, contribuendo alla sua concezione della conoscenza scientifica come ‘relativa’, e non volta a perseguire verità assolute. Per certi aspetti, il relativismo è presente anche nel pensiero di Nietzsche (che vede il reale come gioco di interpretazioni). A inizio Novecento, un evidente relativismo culturale è riscontrabile nella tesi del filosofo tedesco Oswald Spengler (1880-1936) sulla nascita delle civiltà, e condu-ce alla convinzione secondo cui tutti i valori (culturali, morali, religiosi), che hanno significato solo nell’ambito della civiltà che li elabora, decadono con essa. Nella seconda metà del secolo, il relativismo epistemico viene elaborato in modo tematico dalla filosofia della scienza post-popperiana e si basa, principalmente, sulla tesi dell’incommensurabilità fra paradigmi teorici –desunta, in particolare, dai lavori degli epistemologi Thomas Kuhn (1922-1996), statunitense, e Paul K. Feyerabend (1924-1994), austria-co– e sull’argomentazione della loro dipendenza dal contesto concettuale e linguistico in cui vengono elaborati, posta in rilievo principalmente dagli epistemologi statunitensi Norwood Russell Hanson (1924-1967) e Willard Van Orman Quine (1908-2000).

Strumentalismo

Dal punto di vista gnoseologico, questa impostazione di pensiero sottolinea come il processo conoscitivo sia, di per sé, un agire: si tratta di uno ‘strumento’, utile per controllare situazioni concrete e per risolvere problemi pratici. Il pensiero è strettamente connesso al contesto e alla situazione specifica in cui si trova a operare.

334 ALBERTA REBAGLIA Nella prospettiva filosofica dello statunitense John Dewey (1859-1952), che introduce questa espressione per caratterizzare il proprio orientamento pragmatista, si annulla ogni distinzione tra indagini teoretiche e attività pratiche; ogni conoscenza è, in ultima analisi, una “tecnica”, una “operazione manuale”. In contrapposizione con il neopositivismo, lo strumentalismo dewe-yano ritiene che l’applicazione del metodo sperimentale in ambito etico possa favorire un progresso sociale analogo a quello dovuto al controllo sulla natura.

Struttura

Totalità i cui elementi si condizionano a vicenda, e assumono i propri caratteri costitutivi –risultando altresì percepibili– solo nel loro reciproco rapportarsi, o differenziarsi. L’orientamento di pensiero che sviluppa tematiche connesse al concetto di struttura nega, per ogni ambito fenomenico, l’esistenza di elementi primi, determinabili e conoscibili isolatamente; le parti vengono modifi-cate dalla loro appartenenza all’insieme complessivo (cfr. anche Olismo e Complessità). L’individuazione di una struttura non è il risultato di un’astrazione mentale, all’opposto, essa è ritenuta la condizione di ogni riconoscimento di significato.

La teoria generale dei sistemi, a cui ha dato avvio lo scritto programmatico Lineamenti di teoria generale dei sistemi, 1950, di Ludwig von Bertalanffy, ha evidenzato la propria utilità nell’ambito della progettazione di modelli cibernetici, e fornito un’ulteriore elaborazione del concetto di struttura: in quanto si tratta di un sistema globale, l’organizzazione, il controllo e l’interazione dinamica fra le sue componenti non sono analizzabili in base al principio della causalità lineare. Sottolineando ora l’interdipendenza ora la finalità interna, quali caratteristiche

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 335 essenziali di una struttura, il concetto viene utilizzato, a partire dalla seconda metà del XX secolo, in molteplici ambiti disciplinari (dalla linguistica, all’antropologia culturale, alla filosofia, alla sociologia, all’economia, alla biologia, per non citare che alcuni settori).

Strutturalismo

Movimento filosofico –sviluppatosi principalmente in Francia verso la metà del secolo scorso– che trova i propri antecedenti nella linguistica strutturale di Ferdinand de Saussure (1857-1913), nella psicologia della forma (Gestaltpsychologie) e nell’episte-mologia di Gaston Bachelard (1884-1962). L’impostazione metodologica da esso sostenuta, in particolare quale strumento d’indagine nell’ambito delle scienze umane, prevede una analisi dei ‘fatti’ considerati non quali elementi di una totalità ciascuno a sé stante, bensì come parti in costante rapporto reciproco.

Nell’ambito dell’antropologia culturale, in polemica con l’empirismo, lo strutturalismo afferma che la comprensione di un fenomeno sociale non può derivare da una semplice osservazione della sua storia; occorre individuarne le strutture atemporali che ne sono costitutive. Una “struttura” (come quella parentale, secondo un significativo esempio di Claude Levi-Strauss) non è una categoria astratta mediante la quale registrare rapporti costanti tra individui, bensì una modalità per rendere evidente come sia sentito da ciascuno il proprio ruolo rispetto agli altri membri della società, ed è dunque in base a essa che si sviluppa-no i comportamenti individuali.

La struttura, secondo lo storico e filosofo francese Michel Foucault (1926-1984), principale esponente dello strutturalismo filosofico,

336 ALBERTA REBAGLIA è un’entità oggettiva, immanente all’osservabile; essa è lo «strato più profondo», la cui scoperta rivela «l’archeologia del pensiero»: definisce le condizioni di possibilità dell’elaborazione di idee, nonché dell’immaginazione e dei comportamenti umani.

Utilitarismo

Indirizzo di pensiero etico, politico ed economico che trova le proprie origini nella filosofia greca (in particolare nell’epicureismo) e diviene un movimento culturale compiuto, in Gran Bretagna, verso la fine del XVIII secolo. Gli elementi più specifici di questa impostazione filosofica vengono elaborati in seguito all’influenza del positivismo (cfr. Positivismo), e alla conseguente aspirazione a fare (anche) dell’etica una scienza esatta. Il filosofo ed econo-mista inglese John Stuart Mill (1806-1873), suo principale espo-nente, definisce questa prospettiva «la dottrina che pone a fondamento della morale l’utilità o il principio della maggior felicità (che poi si riduce alla felicità del maggior numero), e sostiene che le azioni sono buone nella misura in cui tendono ad aumentare la felicità, cattive invece in quanto tendono a produrre il contrario. Per felicità si intende il piacere e l’assenza di dolore; mentre all’opposto il dolore sta nell’assenza di piacere» . Questa tesi afferma implicitamente la prevedibilità del comportamento umano, base su cui poggia la possibilità di articolare una ‘scienza dell’uomo’ affine alle scienze naturali.

Verificazione

Procedura osservativa o sperimentale che consente di accertare la conformità, o la difformità, di un enunciato fattuale rispetto allo

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 337 ‘stato di cose’ di cui esso tratta. Il principio di verificazione viene assunto dai filosofi neopositivisti non solo quale criterio di demar-cazione (cfr. Demarcazione) tra asserti scientifici e pseudoscienti-fici (o metafisici), ma anche quale criterio di significato delle proposizioni: secondo una tesi avanzata dall’ingegnere e filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein (1889-1951), il quale vede negli enunciati analitici pure tautologie, ogni proposizione significante dice qualcosa del mondo; perciò, il significato di un asserto è dato dall’individuazione di un metodo mediante il quale procedere alla sua verificazione (ovvero al confronto fra esso e i fatti cui fa riferimento).

Hans Reichenbach (1891-1953), in disaccordo con le tesi del Circolo di Vienna, ritiene che un criterio di verificabilità rigidamen-te deduttivo non consenta di stabilire il significato degli asserti empirici, né la loro conformità con l’esperienza. Un asserto ha significato se in linea di principio è possibile trovare delle evidenze empiriche in grado di suffragarlo, e la sua attendibilità dal punto di vista cognitivo è connessa al peso statistico delle prove in suo favore.

338 ALBERTA REBAGLIA

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 339

INDICE ANALITICO

A

Adams, John Couch: 23 Adattamento: 116, 189; e

selezione nella scienza e nella tecnologia: 154, 175, 177; come processo evoluti-vo: 162, 163; e “viabilità”: 174

Adorno, Theodor Wiesengrund 67, 70, 11. n[8]

Ames, Adelbert: 110, 6. n[3] Anomalia: 118, 139, 176 A priori: 19, 20, 24, 25 31,

32, 34, 35, 38, 41, 51, 73, 105, 109, 127, 162

Aristotele: 13, 17, 1. n[1], 1. n[4]

Arkwright, Richard: 3. n[13] Asserto-base: 118, 139 Assioma: 19, 27, 28, 31, 32, 33, 35, 41, 42, 43, 44, 45, 115, 141, 177

B

Bachelard, Gaston: 26, 151, 156, 9. n[2] , 9.2 n[6]

Bacone, Francesco: 14, 15, 16, 19, 23, 40, 50, 58, 71, 79, 117, 1. n[3], 2. n[16], 3. n[8], 3. n[17]

Bahuin, Gaspar: 1. n[2] Base empirica: 118, 7. n[10],

8. n[4]

Bateson, Gregory: 163, 10. n[5]

Benard, Claude: 10. n[4] Bentham, Jeremy: 62 Berkeley, George: 2. n[13] Bernardo di Charters: 62 Berlino, circolo di:

cfr. neopositivismo Block, Maurice: 3. n[2] Bloor, David: 130, 158,

7. n[11] Boltzmann, Ludwig: 79, 81-82,

4. n[8] Bolyai, János : 33 Borges, Louis: 156, 160, 9. n[8] Borgman, Albert : 6. n[3] Boyle, Robert: 131 Brahe, Tycho: 19, 28 Brentano, Franz: 72 Breuer, Joseph: 4. n[1] Bridgman, Percy: 155, 173,

9. n[7], 10. n[8] Brillouin, Leon: 4. n[7]

C Carnap, Rudolf: 34, 113,

6. n[5], 8. n[4] Carnot, Sadi: 60, 3. n[6],

7. n[12] Cartesio: 23, 27 Caso: 82, 83, 84, 85

340 ALBERTA REBAGLIA Casualità: cfr. caso Causa: cfr. causalità Causalità: 14, 15, 39, 44, 60,

90, 114, 159, 1. n[1]; e retroazione: 92, 94, 95, 165

Ceccato, Silvio: 173, 10. n[8] Charles, Jacques Alexandre:

131 Cibernetica: 96, 142, 163,

165, 166, 168, 169, 170, 172, 177, 179, 180, 4. n[3]

Clausius, Rudolf: 79 Cohen, I. Bernhard: 3. n[16],

4. n[2] Complessità: 181, 182 Comte, Auguste: 37, 38, 39,

40, 50, 59, 62, 129, 184, 2. n[4], 2. n[12]

Condorcet, Jean Caritat de: 62, 71, 10. n[6]

Convenzionalismo: 115, 116, 118, 7. n[6]

Copernico, Nicolò: 48, 2. n[14] Cosa in sé: 76, 77, 85, 89,

105, 154 Costruttivismo: 172, 173,

189, 6. n[3], 11. n[1] , 11. n[2]

Cziko, Gary : 10. n[4]

D Dalton, John: 4. n[5] Darwin, Charles Robert: 62,

3. n[9], 3. n[10], 3. n[18], 10. n[6]

Deduzione: 180 Demarcazione: 129, 141, 158 Deming, Edwards W.: 11. n[6] Descartres, René: cfr. Cartesio Dewey, John: 155 Diesel, Rudolf: 132, 7. n[12] Dilthey, Wilhelm: 82, 2. n[6] Dimostrazione: 28, 33, 86,

177, 7.n [11] Drucker, Peter: 11. n[2] Duhem, Pierre: 120, 121 159,

7. n[6]

E Edelman, Gerald: 73, 4. n[3] Einstein, Albert: 35, 49, 123,

126, 127, 7. n [4] Empirismo: 19, 34, 50,

8. n[6]; radicale: 18; neoempirismo o empirismo logico: cfr. neopositivismo

Epistemologia: 125, 128, 133, 134, 138, 154

Ermeneutica: 161, 162, 181 Esperienza: 14, 16, 19, 20, 23,

24, 26, 30, 34, 117, 119, 120, 156, 1. n[6],

e linguaggio: 113, 160 Esperimento: 15, 18, 20, 36,

120; cruciale: 17, 123, 156; di Michelson e Morley: 121-123, 127; di Priestley: 136-138; mentale: 49, 51; newtoniano del secchio: 41, 45-47; sulle percezioni: 106

Euclide: 26, 27, 32, 33

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 341 Euclidea, geometria: cfr.

Geometria Eulero: 177, 7. n[11]

F Falsificabilità, principio di:

117, 7. n[5], 7. n[8] 7. n[9], 7. n[10],

Feedback: cfr. retroazione Feenberg, Andrew: 188, 189 Feyerabend, Paul: 135, 153, 8. n[2], 9. n[4], 9. n[5] Fitzgerald, George Francis:

123, 135 Foester, Heinz von: 166, 171,

11. n[4] Foucault, Michel: 160, 9. n[8],

10. n[1] Fourier, Joseph: 78 Freud, Sigmund: 71, 72, 73,

74, 75, 89, 97, 4. n[1], 4. n[2]

G

Gadamer, Hans Georg: 161 Galilei, Galileo: 13, 15, 17, 18,

19, 20, 21, 22, 23, 27, 40, 43, 48, 121, 136, 1. n[1] 2. n[16]

Gauss, Carl Friedrich: 33 Gay-Lussac, Joseph-Louis:

131 Geometria: 23, 26;

euclidea: 25, 27, 32, 48; non euclidea:

31, 33, 34,

43, 44, 72, 76, 115

Gestalt: cfr.Gestaltpsychologie Gestaltpsychologie: 107,

109, 152, 173 Geymonat, Ludovico: 1. n[6] Gibbs, Josiah: 79 Glasersfeld, Ernst von: 172,

174, 176 Goodwin, John: 71 Gregory, Richard: 108, 6. n[1]

H Hacking, Ian: 156, 9. n[9],

11. n[5]] Hall, A. Rupert: 16 Hamilton, William: 11. n[5] Hanson, Norwood Russell:

75, 108, 152 Headrick, M.V.: 5. n[3] Hegel, Wilhelm: 62, 64, 65,

66, 134, 3. n[12] Heidegger, Martin: 92, 166,

168, 169, 170, 171 Hempel, Carl Gustav: 134 Hesse, Mary: 9. n[3] Horkheimer, Max: 67, 68, 70,

91, 11. n[8] Hume, David: 5. n[1] Husserl, Edmund: 21, 22

I Illuminismo: 20, 168, 184 Inconscio: 72, 73, 97 Industria: 64, 169, e positivi-

smo: 37, 38; e scienza: 124, 154, 177, 189; prima

342 ALBERTA REBAGLIA

rivoluzione industriale: 40, 58, 59, 60, 65; seconda rivoluzione industriale: 66; terza rivoluzione industria-le: 61, 178, 180, 183, 184, 187

Induzione: 14, 41, 114, 141, 180, 9. n[10], 11. n[5]]

Intuizione: 25, 44

J Jevons, H. Stanley : 3. n[16] Jordan, Pascual : 4. n[8] Jovane, Francesco: 11. n[12]

K Kant, Immanuel: 15, 19, 20,

23, 24, 25, 26, 27, 30, 75, 76, 136, 137, 138, 1. n[6]

Kepler, Johannes (Keplero): 18, 19, 27, 28, 29, 30

Klein, Felix: 33, 2. n[3] Koyré, Alexandre: 21, 22,

1. n[7] Kuhn, Thomas: 139, 143, 152

L Lakatos, Imre: 127, 128, 129,

131, 132, 135, 142, 7. n[8], 7. n[9], 7. n[10], 7. n[11]

Lamarck, Jean-Baptiste de Monet de: 3. n[9]

Laplace, Pierre-Simon de: 82, 113

Latour, Bruno: 126, 130, 132, 138, 142, 143, 5. n[2], 7. n[7]

Lavoisier, Antoine-Laurent: 79, 138, 139, 143, 154, 158, 8. n[3]

Legge scientifica : 13, 20, 21, 27, 30, 44, 58, 131, 134; e convenzioni : 48, 111, 116, 118, 124, 130, 140, 143, 156, 158; e esperien-za : 36, 38, 59, 60, 61, 125; e evoluzione : 154, 177, 187; e statistica : 80, 82, 84, 85; e storia : 39, 68, 86, 184

Leopardi, Giacomo: 63, 3. n[11]

Le Roy, Edouard: 7. n[6] Le Verrier, Joseph: 23 Linné, Carl von (Linneo):

1. n[2] Lobačevskij, Nikolaj Ivanovič:

33 Lovelock, J.E.: 165 Lorentz, Hendrick Antoon:

123, 135

M Mach, Ernst: 40, 41, 42, 43,

44, 45, 46, 48, 49, 50, 51, 71, 75, 76, 79, 95, 105, 106, 107, 116, 129, 131, 138, 153, 2. n[9], 2. n[12], 2. n[13], 2. n[15], 2. n[16], 4. n[5], 6. n[2], 7. n[2]

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 343 Marcuse, Herbert: 11. n[8] Marx, Karl: 65, 70, 74, 89,

184, 3. n[15], 3. n[18] Maxwell, James Clark:

4. n[7] Meakin, Walter: 3. n[16] Medawar, Peter Brian: 3. n[18] Metafisica: 30, 41, 44, 49, 50,

85, 86, 129, 166 Michelson, Albert Abraham:

121, 122, 123, 127 Mill, John Stuart: 39, 62, 2. n[7] Möbius, August Fredinand:

141, 158 Morin, Edgar : 181, 182, 186 Morley, Edward Williams: 121,

122, 123, 127 Mitcham, Carl: 3. n[5] Mulkay, M.J.: 3. n[9]

N

Necker, L.A.: 109 Neopositivismo: 50, 129, 155,

161, 9. n[2] Nersessian, Nancy: 51 Neurath, Otto: 133, 8. n[1],

8. n[4] Newcomen, Thomas: 58, 92,

93 Newton, Isaac : 15, 25, 26, 27,

28, 29, 30, 31, 41, 42, 45, 46, 49, 81, 2. n[1], 2. n[10], 2. n[11]

Nichilismo: 77

Nietzsche, Friedrich Wilhelm: 74, 75, 76, 77, 78, 80, 81, 84, 85, 86, 87, 88, 89, 91, 97, 105, 114, 116, 153, 154, 166, 168, 170, 4. n[9], 4. n[10]

O

Olismo: 159 Operazionismo: 173 Osiander, Andreas: 48,

2. n[14] Ostwald, Wilhelm: 4. n[5]

P Paradigma: 32, 139, 143, 152,

153, 157, 158, 177 Peirce, Charles Sanders: 182,

11. n[5] Percezione: 24, 35, 72, 74,

75, 106, 108, 110, 140, 173 Piaget, Jean: 173, 10. n[9] Platone: 75, 77, 86, 166,

10. n[7] Playfair, John: 33 Poincaré, Jules-Henri: 80, 81,

115, 7. n[1], 7. n[6] Poisson, Simon Denis: 83-84 Popper, Karl Raimund: 117,

118, 119, 124, 125, 127, 129, 135, 152, 175, 3. n[18], 7. n[5], 7. n[11], 9. n[2], 9. n[10]

Positivismo: 36, 39, 40, 41, 45, 50, 58, 61, 67, 74, 76,

344 ALBERTA REBAGLIA

89, 105, 114, 124, 129, 135, 142, 168, 184, 3. n[7]

Pragmatismo: 155, 173 Priestley, Joseph: 137, 139,

154, 158 Probabilità: 82, 113 Progresso: 38, 39, 62, 63, 64,

65, 68, 70, 71, 86, 87, 88, 91, 114, 116, 134, 163, 165, 174, 187, 188, 190, 6. n[5]

Psicologia della forma: cfr. Gestaltpsychologie

Q

Quine, Willard van Orman: 140, 159, 8. n[6]

R

Ragione: 13, 15, 16, 17, 18, 20, 23, 31, 33 35, 48, 51, 58, 62, 68, 71, 72, 74, 75, 76, 77, 78, 82, 84, 85, 86, 87, 91, 97, 109, 116 119, 128, 129, 133, 161, 186, 190, 6. n[5]

Rebaglia, Alberta: 109, 134, 2. n[17], 3. n[5], 6. n[4], 7. n[3], 7. n[5], 7. n[9], 8. n[1], 8. n[2], 8. n[5], 8. n[6], 9. n[5]

Reichenbach, Hans: 113, 114, 125, 126, 6. n[5], 9. n[10]

Relativismo: 135, 11. n[1] Relatività: 18, 25, 49, 113,

123, 126, 127

Retroazione: 95, 96, 163, 165, 167, 169, 171, 173, 179, 181, 183, 185, 187, 4. n[3]

Ricardo, David: 64 Ricoeur, Paul: 10. n[3] Riemann, Bernhard: 33 Rifkin, Jeremy: 11. n[11] Ronchi, Vasco: 1. n[8] Rossi Paolo: 19, 3. n[3]

S

Saccheri, Giovanni Girolamo: 32, 72

Saint-Simon, Claude-Henry : 38, 62, 2. n[5]

Saussure, Ferdinand de: 161 Schleiermacher, Friedrich

Daniel Ernst: 5. n[1], 10. n[2]

Schlick, Moritz: 51, 6. n[2], 6. n[5]

Sesto Empirico: 9. n[1] Sexl, Roman U.: 3. n[4] Singer, Charles: 16 Simondon, Gilbert: 187-188,

11. n[10] Smith, Adam: 64 Smits, Ruud: 178, 11. n[3] Socrate: 75, 86 Spencer, Herbert: 3. n[10] Spengler, Oswald: 3. n[14] Stahl, Georg: 136, 137, 138,

140, 154, 158 Storicismo: 39, 86

RAGIONE SCIENTIFICA E PROGRESSO TECNOLOGICO 345 Strumentalismo: 155, 173 Struttura: 28, 32, 44, 49, 73,

74, 106, 111, 121, 127, 133, 143, 162, 170, 180, 183, 187; cfr. anche Gestaltpsychologie

Strutturalismo: 161, 173 Szilard, Leo: 4. n[7]

T Taylor, Fredrik Wilson: 67 Tecnica: 20, 58, 88, 155, 169 Tecnologia: 16, 21, 22, 58, 59,

60, 93, 143, 168, 188, 3. n[17],

Torricelli, Evangelista: 136

U Utilitarismo: 62 Utopia: 67

V Vattimo, Gianni: 91, 161,

4. n[9], 5. n[7] Verificazione, principio di:

50, 112, 114, 117 Verità: 14, 19, 31, 32, 33, 35,

40, 50, 62, 76, 112, 118, 133, 139, 155, 157, 188, 6. n[5]

Vienna, circolo di: cfr. neopositivismo

Voltaire, François-Marie Arouet: 59

W Watt, James: 93 Watzlawick, Paul: 94, 95, 97,

176, 5. n[6], 10. n[5] Weber, Max: 68 Whitney, Elias: 11. n[7] Wiener, Norbert : 10. n[8],

11. n[9] Will, Clifford: 2. n[18] Wilson, Edward O.: 10. n[6] Wittgenstein, Ludwig : 109,

111, 112, 116, 117, 161, 6. n[4], 7. n[3]

Z

Ziman, John: 11. n[1]