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I edizione: luglio 2018© 2018 Lit Edizioni SrlTutti i diritti riservati

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Raffaello Lupi

EVASIONE FISCALE

Perversione privata

o disfunzione pubblica?

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IScoordinamento tra tradizione valutativae determinazione contabile degli imponibili

1.1 La determinazione della ricchezza soggetta a imposte e l’evasione

Di evasione si può parlare in generale per tutte le entrate pubbliche, com-prese tariffe, contributi, ticket, e tasse in senso stretto, dove c’è un interessespecifico a fruire delle corrispondenti attività pubbliche, ad esempio infra-strutturali, sanitarie, urbanistiche, educative, ecc.1 Qui si fruisce del serviziosenza pagare (ad esempio il biglietto sull’autobus) e l’evasione dipende pri-ma di tutto dai sistemi di “pagamento-controllo” (costituendo una disfun-zione pubblica), più che una perversione privata dell’utente. Le imposte in-vece seguono il principio della capacità contributiva o della ricchezza2, cuiviene cioè imposto un “sacrificio”, senza alcuna controprestazione specifi-ca; sono attività sottratte al mercato e “intermediate” dallo Stato, cioè finan-ziate attraverso le imposte, da soggetti diversi da chi ne fruisce3; ciò per unvincolo di solidarietà, dato in prima battuta dall’appartenenza al gruppo, enon come “assistenza ai meno fortunati”4.

1 Secondo il cosiddetto “principio del beneficio”, applicato a tariffe per servizi e tas-se in senso stretto, connesse cioè a specifiche funzioni pubbliche.

2 Talvolta denominato “principio del sacrificio” in contrapposizione al suddetto“principio del beneficio”.

3 In genere questa gestione pubblica avviene per il carattere materialmente indivisi-bile delle spese, come quelle per la difesa, la sicurezza, l’ambiente, le infrastrutture,oppure per la rilevanza sociale della spesa, ad esempio sanitaria o per l’istruzione.Questa scelta del cosiddetto “perimetro dell’intervento pubblico” rispetto al merca-to, non è riservata ai tributaristi, ma riguarda tutta la società (sul tema cfr. Lupi, Ma-nuale giuridico di scienza delle finanze, Dike, 2012; Compendio di scienza delle finan-ze, Dike, 2017, e L’economia pubblica si chiama Diritto, in corso di redazione).

4 Quello della cosiddetta “redistribuzione” di risorse è un passaggio successivo ri-spetto a quello della condivisione delle spese comuni in base alla ricchezza.

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Le imposte sono riferite a manifestazioni economicamente rilevanti, ri-conducibili ai concetti di reddito – nelle sue componenti di ricavo e di co-sto – di consumo e di patrimonio. Qualsiasi imposta, passata, presente o ipotizzabile in futuro, è riferibile a

questi concetti, o a loro sfumature; per brevità possiamo definire questi con-cetti, nel loro complesso, come “ricchezza”, senza però limitarsi all’opulenzadi pochi5, e includendo anche eventi individualmente modesti, per non dire“miseri”: anche l’acquisto di un po’ di cibo o benzina, colpiti da tributi suiconsumi, o bassi redditi occasionali, sono espressione di ricchezza. In genere, infatti, le manifestazioni di ricavo, consumo, reddito, patri-

monio, indicano solo se stesse, non le condizioni economiche generali dicoloro cui si riferiscono. È quindi praticamente impossibile, nell’assogget-tare a imposte alcune forme di ricchezza, tener conto della condizione eco-nomica globale di chi le realizza; solo alcune particolari tipologie di reddi-to, connesse a lavori particolarmente faticosi e sotto remunerati, verosimil-mente escludono altri redditi e possono realizzare l’aspirazione a impostecommisurate alla “capacità contributiva”; di quest’entità complessiva glo-bale, di cui ognuno sarebbe titolare, mancano indizi praticamente gestibili,a riprova che non basta una formula scritta nella Costituzione6 per definireadeguatamente un concetto e soprattutto renderlo praticamente gestibile.Ogni ricchezza deriva da un’attività economica presente, passata o futura,che soddisfa direttamente o indirettamente bisogni umani; più che di tas-sazione di determinati settori economici, come industria, agricoltura, noprofit, web, edilizia, artigianato, ecc., si tratta piuttosto di riferire a tali set-tori i suddetti concetti di reddito, consumo, ecc., dal che l’“oggetto econo-mico” della funzione tributaria7. La varietà dei sistemi tributari non riguarda quindi tanto le sopraindica-

te astrazioni economiche soggette alle imposte, ma le loro modalità di de-

5 Perché le imposte non riguardano solo “i ricchi”, come ricorda la battuta di Petro-lini sulla necessità di tassare i poveri perché hanno poco, ma sono tanti: all’inverso iricchi hanno tanto ma sono pochi, e quindi la finanza pubblica non potrebbe gravaresolo su di essi.

6 L’art. 53 della Costituzione italiana del 1948 usò la formula ambigua della “capa-cità contributiva”, per assecondare alcuni membri della costituente desiderosi disancire l’esenzione del minimo vitale, desiderio tra l’altro fuori luogo in un sistemadi imposte indirette e “reali”, cioè su flussi reddituali spersonalizzati.

7 Da tale oggetto economico deriva la cosiddetta “interpretazione funzionale” dellalegislazione tributaria sostanziale, in quanto diretta a specificare correttamente sud-detti concetti economicamente rilevanti (reddito, ricavi, costi, consumi, ecc.).

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terminazione, esposte ai prossimi paragrafi. Nella storia è sempre servitauna funzione amministrativa specifica per determinare e riscuotere le im-poste; l’essenza di questa funzione è individuare alcune forme di ricchezzae tradurle in “base imponibile”. Per questo le imposte, come dice la parolastessa, devono essere “imposte”8; mentre le già indicate tariffe, tasse, con-tributi, ecc., possono essere richieste dagli uffici preposti alla diversa fun-zione sottostante (sanitaria, ambientale, urbanistica, ecc.). È quindi fonda-mentale, per la “funzione tributaria”, la conoscenza degli imponibili, cuipoi commisurare la somma da pagare. Si tratta quindi di una funzione in buona parte “conoscitiva”, esercitata,

nei gruppi sociali elementari, direttamente da organi politici, come del re-sto quella giurisdizionale, dando così un senso all’aforisma ubi societas ibiius anche senza organi giuridici specifici. Le funzioni giuridiche, all’iniziosvolte dalla politica, furono poi delegate ad appositi incaricati, e questo ac-cadde prima di tutto per la soluzione delle controversie, cioè la funzione digiustizia, cui vedremo che ha poi eccessivamente guardato lo studio del di-ritto (parr. 2.4, 3.1, 3.6)9.Anche la funzione tributaria è stata però rapidamente delegata dalla po-

litica, ed è quindi una delle prime funzioni giuridiche “non giurisdiziona-li”, cioè svolte da organi diversi dai giudici; la funzione tributaria e l’eva-sione fiscale sono quindi punti di osservazione utili per riflettere su tuttoil diritto non giurisdizionale, diverso dalla funzione di giustizia e oggi va-stissimo; alle antiche funzioni patrimoniali e militari, già oggetto di deleghegiuridiche10, si sono aggiunte in tempi più moderni l’istruzione, la sanità,l’ambiente, la cultura, la previdenza e tante altre. Dal che l’opportunità dispostare lo studio del diritto dalla giustizia, e dalle sue “regole”, alle gene-ralità delle funzioni pubbliche, compresa la giustizia, come vedremo aiparr. 2.4 e 3.1.

8 Quando ci si rende conto che nessuno impone le imposte, può scattare la tentazionedi evaderle, come quella di viaggiare senza biglietto perché non si vede mai un control-lore: in simili casi la disfunzione pubblica precede la perversione privata.

9 In tali paragrafi vedremo in quale misura l’eccessivo sbilanciamento del diritto sul-la funzione giurisdizionale abbia portato alla sopravvalutazione delle regole rispettoalle funzioni, con confusioni sociali, inefficienze e deresponsabilizzazioni di cui quel-le tributarie sono solo un esempio.

10 Mi riferisco all’insieme dei beni pubblici (fiscus) di cui infra e all’organizzazionemilitare, entrambe giuridiche in quanto oggetto di rapporti intersoggettivi complessie di deleghe gerarchiche.

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1.2 I tempi delle stime degli imponibili da parte di pubblici uffici o loro in-caricati

Nell’epoca preindustriale la spesa pubblica era minore, in buona partefinanziata dalle rendite del “patrimonio pubblico”11, come le terre; di esseil potere politico-militare12 garantiva lo sfruttamento economico a fronte dicanoni, commisurati ai rendimenti delle coltivazioni, stimabili grazie allaloro visibilità materiale13. Le imposte avevano un ruolo complementare, in caso di insufficienza

delle suddette entrate patrimoniali, ed erano riferite prima di tutto allemerci, espressione del concetto economico di consumo di cui al par. 1.1;l’imposta era determinabile grazie alla visibilità fisica delle merci14, sui pas-saggi obbligati nelle vie di comunicazione e nei mercati, tanto è vero chel’evasione richiedeva un comportamento attivo, una vera e propria orga-nizzazione parallela di trasporto e vendita, come quella dei contrabbandie-ri (per la cui repressione non a caso nacque il corpo militare della Guardiadi Finanza).La ricchezza poteva manifestarsi anche attraverso atti giuridici solenni,

redatti da pubblici ufficiali o registrati in pubblici elenchi, come il trasfe-rimento di terreni, altri diritti, l’affrancamento di schiavi, le eredità; l’inte-resse delle parti alla visibilità dell’atto, per garantirsi reciprocamente, e ver-so il resto del gruppo, ne consentiva la tassazione con imposte ancora oggiesistenti, come quelle di registro, successione, ecc. Quest’interesse extra-fiscale impediva quindi di evadere nascondendo l’atto, e le parti cercavanodi ridurre il carico tributario con l’occultamento di alcuni aspetti dell’atto,come una parte del prezzo, oppure usando strumentalmente atti soggettia imposte più miti, anticipando le attuali lecite pianificazioni ed elusionifiscali (par. 2.14). Tutto ciò anticipava l’esigenza di formalizzazione dei

11 Il cosiddetto fiscus era l’insieme dei beni pubblici, sfruttati economicamente, a par-tire dalle terre, da cui traeva il proprio sostentamento la quasi totalità della popolazione.

12 Questo spiega la particolare bellicosità dell’era agricolo-artigianale, resa dall’afo-risma: «È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende».

13 Nell’Egitto ellenistico si usavano addirittura come parametro le piene del Nilo,da cui dipendeva la prosperità agraria, misurandole con appositi “nilometri”; da essidipendeva la quantità di raccolto da versare a titolo di tributo. Sono evidenti alcuneaffinità tra tali canoni e le imposte fondiarie.

14 Oggi il consumo è invece tassato soprattutto con l’IVA, in base ai prezzi di vendita,nel quadro della “tassazione attraverso le aziende”, di cui al prossimo paragrafo.

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rapporti contrattuali, su cui si fonda l’odierna tassazione attraverso leaziende (par. 1.3).Quest’interesse alla formalizzazione dei rapporti mancava invece per le

attività economiche “non agricole”, ad esempio artigianali o commerciali,di cui non restavano altre tracce apprezzabili; la difficoltà di stima di taliredditi indusse per secoli a evitarne la tassazione come tali15. Si usavanopiuttosto le imposte su determinati gruppi sociali intermedi, territoriali,professionali o etnico-religiosi; in questi sistemi cosiddetti “a ripartizione”,le imposte erano chieste ai gruppi, che le distribuivano tra i loro membrisecondo la situazione patrimoniale, con una stima comparativa anche inbase a segni esteriori e al tenore di vita; le relative valutazioni si prestavanoperò ad abusi e favoritismi; per contrastarli si stimavano i patrimoni coi co-siddetti “catasti”, come quello fiorentino del 1427 o quello del Regno delleDue Sicilie. In questi tributi medievali denominati “testatico” (personale)o “focatico” (familiare), giunti fino all’Unità d’Italia col sistema del contin-gente, l’ente locale costituiva un “corpo intermedio”, usato per determina-re l’imponibile, come vedremo al prossimo paragrafo per le aziende. La già indicata necessità che le imposte fossero (appunto) “imposte” da

pubblici uffici, eliminava in radice il problema dell’evasione, che sarebbesfociata in una disobbedienza fiscale attiva; il problema era casomai l’esositàdelle richieste, formulate direttamente da organi politici, oppure delegate afunzionari stipendiati o privati imprenditori, come gli antichi pubblicani,appaltatori delle imposte; questo ricorso a privati era frequente, in quantonell’era preindustriale i dipendenti pubblici non militari erano ben pochi. Gli appaltatori delle imposte tendevano a chiedere relativamente di più

a pochi contribuenti, che relativamente meno a molti di loro. Aumentandole richieste sarebbe aumentata la perequazione tributaria, ma anche i con-tatti con i contribuenti, le proteste da gestire, e quindi i costi di adempi-mento, in termini di tempo e litigiosità. Si intravedono già i costi della pe-requazione tributaria, del famoso “pagare meno pagare tutti”, che ha in-somma i suoi lati negativi, anche di consenso politico16.Queste valutazioni dell’imponibile, e quindi le imposte, potevano essere

eccessive, sia rispetto alla realtà sia rispetto a quanto veniva comparativa-

15 La prima imposta su redditi non agricoli risale al periodo delle guerre napoleoni-che nel Regno Unito, introdotta in Italia a fine ottocento, col nome di “Imposta diricchezza mobile”, per evidenziarne il riferimento ad attività industriali e commer-ciali, non legate all’agricoltura.

16 La perdita di consenso politico, connessa all’imposizione tributaria, è forse mag-giore togliendo poco a tanti che molto a pochi.

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mente chiesto ad altri contribuenti. La determinazione valutativa dell’im-ponibile rendeva infatti strutturalmente “contenziosa” la funzione tributa-ria, coi riflessi di cui al par. 3.6. Servivano quindi organi incaricati di filtrarele proteste dei cittadini, componendo le iniziali controversie. Erano ri-va-lutazioni amministrative necessarie a dare in qualche modo soddisfazioneai contribuenti, in modo da salvaguardare la coesione sociale.Nonostante queste criticità i sistemi tributari preindustriali “tenevano”,

perché i privilegi fiscali verso determinate classi sociali erano giustificati dascale di valori condivise. Le imposte venivano pagate quando qualcuno leimponeva, e la mancata richiesta era una palese disfunzione pubblica, nonuna perversione privata. L’opposizione alla richiesta si collegava casomai aresistenze o rivolte politiche, quando gli equilibri sociali suddetti entravanoin crisi. Gli squilibri odierni, connessi alla diversa determinabilità della ric-chezza, socialmente non spiegata (cap. 2), si sono invece sviluppati manmano che la funzione tributaria è stata esternalizzata sulle aziende, comeindicato al prossimo paragrafo.

1.3 L’uso recente della contabilità aziendale per determinare gli imponibili

La produzione di serie, attraverso macchinari, svolta nelle aziende, haavuto notevoli riflessi sulla determinazione delle imposte; la produzione eil commercio sono infatti passati in buona parte dalla forma artigianale, oindividuale, a quella pluripersonale, svolta da gruppi sociali a vocazioneeconomica (par. 3.2), dov’è necessaria una documentazione gestionale giu-ridico-contabile; nelle organizzazioni aziendali la documentazione serve siaper relazionarsi con clienti e fornitori, sia per coordinare gli addetti; ritro-viamo qui su larga scala la formalizzazione documentale dei rapporti giu-ridici, già anticipata al par. 1.2 per la visibilità della ricchezza attraverso “at-ti solenni”17.L’azienda è infatti un gruppo sociale, privo di bisogni personali in nome

dei quali evadere le imposte; essa non ha cioè familiari da mantenere, pas-satempi costosi, spese di consumo privato, ecc.; tali necessità esistono ca-somai presso i loro titolari, e possono innescare le evasioni di cui al par.1.9. È erronea quindi la diffusa tendenza ad estendere alle organizzazionicomportamenti tipici degli esseri umani, guardando alle aziende in modo

17 Nelle organizzazioni aziendali si ripropone, su larghissima scala, la visibilità do-cumentale della ricchezza, di cui abbiamo parlato al par. 1.2 per la tassazione degliatti giuridici.

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antropomorfico (par. 2.3) come fossero artigiani o commercianti troppocresciuti.L’affidabilità tributaria di queste organizzazioni è notevole in quanto al

loro interno scattano conflitti di competenze e responsabilità. Tutti, nell’a-zienda come organizzazione pluripersonale, possono chiedere conto ad al-tri della documentazione dei compiti loro affidati, ricevendo da altri analo-ghe richieste. All’interno dell’azienda si crea quindi una trama di contrastidi interesse, un reticolo organizzativo, con una serie di rilevazioni contabilidi cui il fisco può farsi forte per la determinazione degli imponibili.Quest’interesse alla formalizzazione dei rapporti rende inconcepibile un

contabile che si assume la responsabilità di nascondere ricchezza al fiscosolo per far risparmiare imposte all’azienda18. Nell’ambiente aziendaleun’unilaterale alterazione della contabilità è infatti percepita in modo mol-to negativo, benché commessa nell’interesse del gruppo; qualora la que-stione emergesse, l’immagine reputazionale aziendale spingerebbe il grup-po a separare le sue responsabilità da questo addetto troppo zelante.Il dirigente aziendale, quindi, a differenza dell’imprenditore o dell’arti-

giano, non acquisisce i vantaggi dell’evasione, né ha convenienza a evadereper conto terzi; questo rende affidabili le aziende pluripersonali, salvo quan-to diremo al par. 1.9 per l’evasione personale del titolare “attraverso l’azien-da”. La suddetta mentalità aziendale innesca casomai la tendenza a non pa-gare più imposte di quelle legalmente dovute, con le pianificazioni alla lucedel sole, oggetto delle contestazioni interpretative di cui al par. 2.14.La tassazione attraverso le aziende consente di applicare imposte sui

consumi da esse acquisiti e sui redditi da esse erogati, a lavoratori, rispar-miatori, titolari e soci. Acquisendo consumi ed erogando redditi, le aziendesono così una specie di “filtro contabile” dell’economia, attraverso cui leimposte sui consumi e sui redditi riescono ad essere molto più efficienti ri-spetto ai tempi delle stime, descritti al par. 1.2. Le statistiche del gettito in-dicano chiaramente che in massima parte esso giunge da poche migliaia digrandi aziende, che applicano l’IVA sui consumi finali (ad esempio grandedistribuzione), le ritenute alla fonte sui dipendenti, la tassazione sostitutivadei redditi finanziari; dalla serialità amministrativa di uffici aziendali ven-gono anche le accise sui carburanti, sull’energia, le imposte sulle società emolte altre imposte indirette (persino il canone Rai in bolletta).Le aziende sono un esempio della più generale facilità di individuare gli

imponibili quando esistono, tra le parti, rapporti giuridici potenzialmente

18 Salva la necessità di “coprire” erogazioni a soggetti impossibilitati a comparire oper fini non confessabili.

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conflittuali e di lunga durata; si ricordi la visibilità giuridica degli “atti so-lenni” di cui al par. 1.2, che si ritrova per rapporti potenzialmente conflit-tuali come quelli di locazione, redatti in forma solenne19. Rende l’idea l’afo-risma secondo cui: «Tra i due (potenziali) litiganti il fisco gode».

1.4 L’autotassazione come esternalizzazione inconsapevole della determi-nazione delle imposte

La documentazione aziendale fu utilizzata d’istinto per calcolare gli im-ponibili, senza progettazione, anche perché neppure c’era consapevolezzadel contenuto della funzione tributaria, come determinazione degli impo-nibili; non furono quindi colte le differenze rispetto al passato, né gli ele-menti di continuità; non fu colta la già rilevata utilizzazione di corpi socialiintermedi nei sistemi a ripartizione del medioevo, o della documentazionecontrattuale solenne, antesignana della determinazione contabile, come vi-sto al par. 1.2.Né la pubblica opinione (par. 2.3), né i suoi responsabili politici, né gli

studiosi compresero l’esternalizzazione della funzione tributaria, sotto i lo-ro occhi, sulle strutture contabili delle organizzazioni amministrative, cioèaziende, uffici pubblici in genere e residualmente professionisti tributarispecifici. Senza le spiegazioni sociali di cui al par. 2.4, questo passaggio av-venne inseguendo gli eventi, senza consapevolezza, né salvaguardia diquanto andava conservato, né progettazione del futuro; nel 1975 si dovetteadottare all’ultimo momento l’autoliquidazione delle imposte, quando giàda anni era prevedibile, leggendo le norme in corso di elaborazione per lariforma tributaria, che il passaggio dalla ritenuta di imposta a quella di ac-conto sul lavoro dipendente avrebbe moltiplicato il numero delle dichia-razioni, in precedenza liquidate d’ufficio.Neppure furono quindi previste le debolezze del sistema sugli imponi-

bili non intercettati dagli uffici contabili aziendali; non si capì che in questocaso restava fondamentale l’intervento valutativo degli uffici tributari, dicui invece si continuò a parlare in generale20, senza valorizzarlo dove serviva

19 Par. 1.6 sulle locazioni e le controindicazioni dei cosiddetti “affitti in nero”, ma sipensi anche ai medici che hanno bisogno delle cartelle cliniche dei pazienti che han-no in cura.

20 Mi riferisco soprattutto ai lavori preparatori della riforma tributaria del 1973 e alleanalisi di Cosciani e Visentini, che trascuravano la tassazione attraverso le aziende, sen-za capire quindi che l’intervento degli uffici tributari andava concentrato, per ovvi mo-

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davvero. Sfuggì insomma la finalità perequativa, socialmente fondamenta-le, dell’intervento degli uffici tributari, sugli imponibili non determinati at-traverso le aziende.Questa mancata razionalizzazione della funzione tributaria innescò

quindi sperequazioni involontarie, e per questo socialmente destabilizzan-ti, a differenza dei vecchi privilegi indicati alla fine del par. 1.3. Non si sonocapiti i limiti della tassazione attraverso le aziende, essenzialmente sfrutta-bile solo sulla ricchezza raggiunta dalle loro procedure, che non possonoessere ricreate ai fini tributari, dove non ce n’è necessità gestionale. La co-munità scientifica dei tributaristi dell’epoca (par. 2.4) neppure si accorseche il sistema era stato spaccato (par. 2.2), e invece di ricomporlo vagheg-giava un’ impossibile determinazione contabile, in sede di accertamento fi-scale, della ricchezza sfuggita alle aziende.I governi, in parallelo, sfruttarono senza capirle le potenzialità della tas-

sazione attraverso le aziende; essa fu usata come un bancomat per la spesapubblica, senza averne individuato i punti di forza e di debolezza; anzi, pa-radossalmente, come vedremo al par. 2.14, le aziende furono usate comecapri espiatori delle tensioni sociali derivanti da questa mancata compren-sione. Di tanto in tanto, avvertendo le tensioni sociali connesse al problemadell’evasione, lo si è esorcizzato con proclami, palliativi nelle leggi finan-ziarie annuali, espedienti, condoni21.Sono gli inconvenienti di non aver capito che, dove le aziende non arri-

vano, le imposte tornano a dover essere, come dice la parola stessa “impo-ste” (cioè “richieste”) dagli uffici tributari. Benché questi ultimi non pos-sano raggiungere tutti, la prospettiva di un controllo adeguatamente diffu-so, assistito da sanzioni, sul cui ruolo par. 2.9, crea in genere all’estero untasso di adempimento sufficiente a evitare tensioni sociali.L’intervento degli uffici tributari non può però ripercorrere le modalità

contabili delle aziende, ma dovrà essere “valutativo”, riallacciandosi allatradizione del precedente paragrafo 1.2, nei modi di cui al paragrafo 3.4.In quella sede vedremo come anche il tradizionale intervento degli uffici

tivi perequativi e residuali, dove esse non arrivavano. Anche le osservazioni sull’efficien-za degli uffici tributari, nel ponderoso volume dedicato a Bruno Visentini. Passato pre-sente e futuro della Riforma tributaria del 1971, Alter Ego, 2016, pp. 87-88, trascuranoil fondamentale punto di vista della determinabilità dei concetti economici di cui al par.1.1. La relazione Bima-Silvestri alla legge di riforma del 1971 mette addirittura alla ber-lina le stime valutative cui, come vedremo al par. 3.4, è invece necessario tornare.

21 Che tuttavia sono una conseguenza della disfunzione pubblica, non la sua causa,come vorrebbe la controproducente retorica “manettara” di cui al par. 2.9.

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debba adattarsi al nuovo contesto, per “indurre all’adempimento” la ric-chezza non determinata dalle aziende. Prima vedremo gli inconvenientiprovocati da quest’incomprensione, con le lacerazioni sociali di cui al ca-pitolo successivo.

1.5 Le conseguenti sperequazioni, socialmente destabilizzanti

Invece di riferire la funzione tributaria alla determinazione degli impo-nibili, i cambiamenti provocati dalla tassazione attraverso le aziende furonoconfusamente denominati “autotassazione”; questa formula metteva tuttii contribuenti sullo stesso piano, fossero essi organizzazioni o individui, aloro volta variamente in rapporto con le organizzazioni; restava in ombrala funzione di determinazione della ricchezza imponibile e lo stesso ruolosvolto dalle organizzazioni a tal fine. Si alludeva a una fantomatica richiestadelle imposte “per legge” a tutti i contribuenti, quali che fossero, aprendola strada alle laceranti ed equivoche spiegazioni dell’evasione in termini dionestà e disonestà, su cui parr. 2.12.Si trascurava così che le imposte, non offrendo contropartite specifiche

(par. 1.1), devono “essere imposte” e serviva quantomeno la potenzialità diun adeguato intervento di un pubblico ufficio22. Mentre per le organizzazio-ni scatta l’autodisciplina di cui alla fine del par. 1.3, quest’intervento poten-ziale serve a indurre ad adempiere gli individui in carne e ossa, che acqui-siscono in proprio i vantaggi dell’evasione; essi al contrario subiscono l’im-poverimento da adempimento, coi relativi riflessi sul tenore di vita e ilpatrimonio personale (par. 1.7).Imporre le imposte solo per legge, sugli imponibili non raggiunti dalle

aziende, era velleitario sin dall’inizio, come confermano le statistiche di cui alpar. 2.1; anche se gli interessati sopravvalutano nel complesso le possibilità dicontrollo del fisco ed evadono meno di quanto potrebbero (parr. 1.7 e 1.8),l’evasione provoca tensioni sociali notevoli; esse sono molto più laceranti degliantichi privilegi fiscali di nobili e clero (par. 1.2), almeno politicamente voluti.Per gli imponibili che sfuggono alla tassazione attraverso le aziende si creanoinvece privilegi “di fatto”, casuali e destabilizzanti per la coesione sociale23, co-me vedremo in tutto il prossimo capitolo, specialmente ai parr. 2.13 e 2.14.

22 Si potrebbe dire che le imposte non sono “auto”, ma “etero” e che l’autotassazio-ne è un’illusione, come l’autoerotismo.

23 Le sperequazioni sociali sono un po’ come le indelicatezze in amore, tanto menotollerabili quanto meno volontarie.

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È quindi una disfunzione pubblica, non una perversione privata, che in-nesca l’evasione dei contribuenti non tassati attraverso le aziende; anzi ve-dremo che questi ultimi fortunatamente evadono meno di quanto potreb-bero, in quanto sovrastimano la presenza valutativa degli uffici tributari sulterritorio (par. 1.7); se tale presenza fosse anche avvertita nella cerchia direlazioni commerciali, “di vicinato”, professionali e personali, le evasionitributarie suddette si ridurrebbero entro limiti socialmente accettabili. Perarrivarci bisogna gestire, e non esorcizzare, la diversa determinabilità dellaricchezza imponibile.La determinazione contabile degli imponibili attraverso le aziende è fon-

damentale sin dove possibile, ma non potrà mai estendersi a tutta l’econo-mia; anzi, i nuovi “lavori autonomi postindustriali” (par. 1.8) confermanola necessità di rilanciare la determinazione valutativa della ricchezza attra-verso gli uffici tributari. Quest’intervento valutativo, pur avendo persocentralità rispetto al passato, ha una funzione indispensabile, da riconte-stualizzare e rilanciare nei modi di cui al par. 3.4, con l’aiuto degli studiosisociali del settore. Si tratta quindi di costruire un’“autotassazione consape-vole”, utilizzando gli uffici tributari per indurre all’adempimento, con unintervento “valutativo” adeguato alla diversa visibilità della ricchezza, co-me segue.

1.6 Imponibili non tassabili attraverso le aziende, dall’agricoltura alle pre-stazioni individuali ai privati consumatori

Per individuare le aree economiche da cui proviene il gettito è sufficien-te, dalle statistiche sul sito del ministero dell’Economia, il fatturato delle6mila grandi aziende italiane; da esse, in termini di IVA, ritenute fiscali eimposte sostitutive, giunge il 70% del gettito; all’estremo opposto è facilevedere i deludenti risultati dei circa 5 milioni di “autonomi” soggetti a stu-di di settore24.Si tratta delle attività economiche “monopersonali”, cioè piccoli com-

mercianti, artigiani e professionisti (definiti per brevità “autonomi”) neiconfronti di privati consumatori finali; qui abbiamo “aziende monoad-detto”, in cui una persona si immedesima con l’attività, di cui svolge tuttele funzioni, dall’amministratore al fattorino. Quando costoro si rivolgono

24 Basta consultare i dati disponibili per capire quanto sia modesta rispetto al PILla quota di ricavi dichiarati da questi operatori (poco più di 100 miliardi, contro unPIL di 1.700).

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a clienti consumatori finali mancano quindi i presupposti (par. 1.3) perla determinazione contabile degli imponibili fiscali; è quindi molto facileevitare la registrazione fiscale dei ricavi, eliminando l’imponibile “to-gliendolo da sopra”, col cosiddetto “nero”. Anche queste attività auto-nome sono invece intercettabili fiscalmente quando operano verso clien-ti-azienda; essi chiederanno fattura, pagheranno in modo tracciabile e ef-fettueranno le segnalazioni al fisco di cui al par. 3.3. Man mano che ledimensioni dell’attività aumentano è sempre più difficile appropriarsi di-rettamente dei ricavi, omettendone la registrazione fiscale; il titolare, senon smette di evadere, sottrae imponibile “da sotto”, con documenti intutto o in parte fittizi, scavalcando, a proprio beneficio, le procedureaziendali, come indicato al par. 1.9; in queste realtà sono anche verosimililavoratori pagati in tutto o in parte “in nero”, per ridurre oneri fiscali eprevidenziali.Esistono altre aree economiche inidonee alla tassazione attraverso le

aziende, accomunate dalla mancanza di organizzazione pluripersonale econtabile; una è l’agricoltura, dove le stime di cui al par. 1.2 furono for-malizzate nel Settecento dai catasti agricoli; questa tradizione continuaanche oggi, con funzioni agevolative descritte al par. 2.11. L’importanzadelle organizzazioni per la determinazione della ricchezza emerge anchesull’evasione immobiliare, diffusa nelle locazioni tra persone fisiche (co-siddetti “affitti in nero”), e più rara nelle locazioni verso aziende25 e daparte delle medesime, se titolari di una pluralità di immobili. Anche quisi conferma che la necessità di organizzare rapporti potenzialmente con-flittuali, e di lunga durata, rende più difficile l’evasione; lo si vede anchedalla frequenza dei “comodati d’uso” con rimborso delle spese, in mododa dare all’inquilino un titolo giuridico formale di permanenza nell’im-mobile26.

1.7 La prudenza dei piccoli operatori con sede stabile, fiscalmente visibili

I milioni di autonomi, indicati al paragrafo precedente, cioè artigiani,piccoli commercianti, professionisti, operanti con consumatori finali, ope-

25 Oppure verso operatori economici desiderosi di dedurre il canone pagato dai lo-ro redditi.

26 Questi problemi organizzativi sono minori per gli affitti di stanze, dove il proprie-tario mantiene formalmente il controllo dell’immobile, o per i rapporti transitori, ti-po case vacanza.

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rano spesso in un luogo fisico, in grado di attrarre i clienti e provvisto di unqualche “avviamento”27. Costoro intuiscono che questa visibilità del nego-zio o del laboratorio non esiste solo agli occhi dei clienti, ma anche agli oc-chi degli uffici tributari.La consapevolezza della propria visibilità materiale supplisce in parte al-

la suddetta mancanza di visibilità contabile-amministrativa; ciò inducequesti operatori a inquadrarsi fiscalmente, prendendo la loro partita IVA,tenendo la “contabilità fiscale” (par. 3.10), pagando un commercialista,presentando dichiarazioni variamente coerenti con l’attività, ecc. Dalle sta-tistiche delle dichiarazioni di questi operatori emerge quindi una tendenzaa non eccedere nell’evasione, mantenendo una qualche credibilità dei rica-vi dichiarati rispetto alle caratteristiche fisico economiche dell’attività, este-riormente percepibili.Non interessano qui le polemiche sulle “statistiche delle dichiarazioni”,

su cui fanno leva i media, titolando che gli imprenditori dichiarano menodei dipendenti; sono sensazionalismi basati sull’attribuzione della qualificadi “imprenditori fiscali” qualsiasi piccolo commerciante o artigiano, fossepure un fruttivendolo o un arrotino. Neppure rilevano le obiezioni delleassociazioni dei commercianti secondo cui le statistiche sono influenzateda attività esistenti solo sulla carta, partite IVA “inattive”, con redditi divisitra i membri di un unico nucleo familiare, in società di persone, o impresefamiliari. Il punto è che le dichiarazioni confermano la suddetta tendenzaa “salvare le apparenze”, dichiarando una sorta di “minimo sindacale”, inlinea con la visibilità esteriore dell’attività.Ciò deriva in buona misura da una sopravvalutazione, da parte di que-

ste categorie, della probabilità di subire controlli; a gran parte degli ope-ratori in sede fissa sfugge lo sbilanciamento dei controlli, e delle risorsedegli uffici, sui grandi contribuenti e le contestazioni interpretative (par.2.14); per questo il tasso di evasione è paradossalmente inferiore a quantopotrebbe essere valutando razionalmente la probabilità di subire una “vi-sita fiscale”. Più che perversione privata, l’evasione di costoro dipendequindi da una disfunzione pubblica28, che non riesce a far percepire la pre-senza nel fisco sul territorio; non tanto sui singoli contribuenti, ma quan-tomeno nella loro cerchia di relazioni “di vicinato”, commerciali, profes-sionali o personali.

27 Si pensi alla visibilità di una rivendita al dettaglio o di un laboratorio per la pre-stazione dei servizi, ad esempio di riparazioni auto.

28 Derivante soprattutto dalla mancata spiegazione della funzione tributaria all’in-terno della pubblica opinione (par. 2.4 e sgg.).

I. SCOORDINAMENTO TRA TRADIZIONE VALUTATIVA E DETERMINAZIONE CONTABILE

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Rispetto a tale mancanza di controllo del territorio da parte degli ufficitributari, il livello di adempimento di queste categorie è apprezzabile trat-tandosi di attività sostanzialmente di lavoro, dirette in prima battuta al so-stentamento personale e familiare. Le entrate lorde, disponibili per deci-dere in quale misura adempiere oppure evadere, sono infatti “medio-bas-se”; su di esse gravano l’imposta IRPEF e i contributi sociali, ma anchel’IVA, percepita anch’essa come “uscita tributaria”, che diminuisce le altrepossibilità di spese o risparmi personali.Ha senso parlare in proposito di “evasione di sopravvivenza”, pur inclu-

dendo nel concetto di sopravvivenza anche il superfluo tipico della nostracultura consumistica, come viaggi, shopping, autovetture, seconde case,svaghi, ecc. Gli autonomi percepiscono infatti il pagamento delle impostecome una sottrazione di risorse al loro tenore di vita, mentre chi ha reddititassati dalle aziende “a monte” neppure avverte questa decurtazione.La relativa credibilità dei redditi dichiarati dagli autonomi “in sede fis-

sa” non dipende da senso civico, ma dalla sensazione di essere esposti aicontrolli e dalla sopravvalutazione di questa possibilità29; essi probabilmen-te tendono a trasferire sugli uffici tributari la propria percezione sul fun-zionamento di altri comparti pubblici, come infrastrutture, sicurezza, sa-nità, istruzione, ambiente e altri in cui il controllo sociale si fa sentire di più,come indicato all’inizio del par. 2.14. Questi contribuenti tendono cioè atrasferire sugli uffici tributari la percezione generale di efficienza degli uf-fici pubblici considerata nell’insieme, e non segmentata per ogni settore,compreso quello tributario. Senza cogliere gli effetti sugli uffici tributaridel disorientamento generale sul fisco e l’evasione (cap. 2), questi contri-buenti ritengono la loro attività, visibile sulla pubblica piazza, molto piùesposta a controlli fiscali di quanto sia nella realtà. Questa realtà, se com-presa, darebbe un’avvilente idea generale di paralisi di tutto il compartopubblico, la cui segmentazione di efficienza (par. 2.14) sfugge al bagaglioculturale diffuso.Anche i consulenti assecondano i timori dei clienti, della cui maggiore

evasione non condividerebbero i benefici, mentre avrebbero il fastidio digestire le loro recriminazioni in caso di controllo30. Alla sopravvalutazionedei controlli contribuisce anche l’efficiente gestione informatica dei dati

29 Così anche Visco, Colpevoli evasioni, Università Bocconi Editore, 2017, p. 22.

30 Diritto amministrativo dei tributi, cit., paragrafo 3.16 sulla “tassazione attraversoi commercialisti”, che spingono i clienti (par. 3.13) ad essere in regola per evitare re-criminazioni future in caso di controllo, e anche valorizzare il proprio lavoro, chenon avrebbe senso se il cliente contasse sull’irrisorietà dei controlli.

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dichiarati31, cui sembra corrispondere altrettanta capacità di stimare i red-diti nascosti.Per questo il livello generale di adempimento degli “autonomi visibili”

in sede fissa, è proporzionalmente maggiore rispetto all’intensità dell’inter-vento valutativo degli uffici tributari nei loro confronti; tutto dipende peròdalla percezione della propria visibilità fiscale, come confermerà il para-grafo seguente.

1.8 Minori scrupoli di contribuenti “sfuggenti”, senza sede fissa

Quando il lavoro autonomo è privo di sede fissa, è fiscalmente “menovisibile”; quando ci si sposta da un luogo all’altro come i venditori ambu-lanti o i trasportatori, le informazioni per il fisco sono di meno; non a casol’idraulico, che si sposta tra le abitazioni dei clienti, viene presentato comeun caso tipico di possibilità di evadere; lo stesso vale per tutti i servizi per-sonali a domicilio dalla fisioterapia alla prostituzione indipendente, che faaudience nel pruriginoso sensazionalismo dei media (par. 2.6), ma è emble-matica di questa categoria generale di operatori32.Resta certo la possibilità di essere chiamati a rendere conto della propria

sopravvivenza, ma i contribuenti definibili come “sconosciuti fiscali” sonocosì numerosi che si tratta di una eventualità teorica, poco più che esseretravolti per caso da un pirata della strada; un indizio possono essere acqui-sti immobiliari “importanti”, da parte di soggetti senza redditi dichiarati oaltre disponibilità33.Anche questi contribuenti sopravvalutano le ipotesi di controllo, come

quelli di cui al paragrafo precedente, ma sono consapevoli della loro mino-re visibilità; se si aggiunge la redditività modesta e quindi la tendenzaall’“evasione di sopravvivenza” (par. 1.7) si comprende il basso livello deiredditi dichiarati, e la frequenza di attività svolte totalmente “in nero”.Negli anni passati si era ipotizzato che il problema degli autonomi si sa-

rebbe risolto da solo, col graduale passaggio dalle attività monopersonali,con notevole flessibilità e possibilità di evasione, a organizzazioni più strut-turate, dove evadere sarebbe stato più difficile; era cioè una prospettiva si-

31 Vedi anche qui il par. 2.14 sull’“amministrazione di servizio”.

32 Sul piano della determinazione della ricchezza, la soluzione anche qui è l’organiz-zazione pluripersonale, come ai tempi delle “case chiuse”.

33 Le ipotesi venute alla luce sono statisticamente poco significative rispetto al nu-mero milionario degli “sconosciuti fiscali”, con redditi assenti o irrisori.

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mile a quella che ha visto scomparire i negozietti al dettaglio, rimpiazzatidalla grande distribuzione. Con la maturità dell’economia, e la crisi del tra-dizionale lavoro in fabbrica, sono invece sorti nuovi lavori autonomi; vi hacontribuito anche internet, grazie al quale tanti si arrangiano in nero34,mentre il solito atteggiamento antiaziendale (par. 2.14) attacca i giganti delweb35, come “grandi evasori”. Si pensi ai subaffitti di stanze e bed & break-fast36, ai tassisti part time, foodracer che consegnano pizze e pasti a domi-cilio, ai costruttori di siti internet, ai venditori di beni usati, ai trader onlinee a tanti altri modi di ingegnarsi per sopravvivere alla deindustrializzazione.Per ogni fabbrica che fallisce o delocalizza, sorgono un multiplo di auto-nomi e cresce anche l’area del “lavoro liquido”, “a distanza”, “da remoto”,flessibile (e precario), con varie sfumature.Dai dati dell’anagrafe tributaria si profilano milioni di posizioni fiscali

misteriose, non legate a una precisa attività e senza partita IVA. Si tratta dicrescenti lavori occasionali, dichiarati nei limiti della franchigia previden-ziale di 5 mila euro annui, lavori dipendenti a tempo determinato, oppuredichiarazioni fiscali presentate solo per pochi e insignificanti redditi immo-biliari o di pensione. Tutti insufficienti però al mantenimento decoroso diuna persona, e quindi indice al tempo stesso di malessere sociale e di “ne-ro”, presente anche in molti “secondi lavori”, a integrazione di un tenoredi vita modesto (ma analogo a quello di un lavoratore tradizionale, piena-mente tassato attraverso il datore di lavoro).Questo dà in una certa misura il senso della crisi, nonché dello stress cui

sono sottoposte le reti familiari di assistenza e il consumo dei risparmi. È se-gno di una necessità di controllo del territorio ben maggiore di quella che po-teva essere delegata alle aziende, e di cui riparleremo al par. 3.4, sulla necessitàdi una “anagrafe tributaria” valutativa, simile agli antichi catasti e censimenti,sia ai fini della tassazione, sia ai fini dell’erogazione di sussidi pubblici.

1.9 Capitalismo familiare italiano e radici del mito dei “grandi evasori”

Alla tassazione attraverso le aziende non sfuggono solo le attività sotto-dimensionate di cui ai paragrafi precedenti, lontane dalle grandi imprese.

34 Spesso alla visibilità fisica del negozio (par. 1.7) si sostituisce la visibilità in retedel sito internet.

35 Che invece puntualmente registrano tutti gli incassi, ed hanno argomenti giuridicisolidi per non dichiarare i relativi redditi.

36 Magari attraverso appositi network via internet.

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Può infatti spesso sfuggire alla tassazione attraverso le aziende anche il re-lativo titolare; davanti a lui anche procedure amministrative rigide perquanto riguarda i collaboratori, i clienti o altre controparti indipendenti, sipossono arrestare, come quando Gatto Silvestro davanti a Titti su una sca-tola di pelati diceva: «Eh no, su De Rica non si può»37.Se quindi l’azienda pluripersonale in sé non ha motivo di nascondere

ricchezza al fisco, essendo un’astrazione senza bisogni umani o familiari,può tuttavia essere uno strumento per l’evasione del titolare. Quest’ultimopuò infatti scavalcare le procedure della propria azienda in quello che neiPaesi anglosassoni si definisce management overriding, ma nel capitalismofamiliare italiano viene effettuato più spesso dalla proprietà aziendale38.Questa possibilità di nascondere ricchezza al fisco dipende dal settore

in cui l’azienda opera, dalla praticabilità di rapporti diretti del titolare conclienti consumatori finali, ma facoltosi e per acquisti consistenti (ediliziaprivata o nautica). Quanto più occorre delegare gli incassi ai dipendenti,tanto più le loro possibili frodi preoccupano l’imprenditore, che a questopunto preferisce rinunciare a queste forme di evasione.Si passa quindi spesso a togliere la ricchezza “da sotto”, alterando do-

cumenti di acquisto (cosiddette “false fatture”); si pensi a società filtro efiduciari dell’imprenditore, interposti rispetto alle controparti reali, chemaggiorano i prezzi effettivi del fornitore, o fanno l’inverso coi clienti. An-che se più rilevabili dal fisco, queste evasioni sono più compatibili col con-trollo interno dell’azienda da parte del titolare. I contabili dell’azienda nontrattano con le controparti esterne, e si preoccupano solo di verificare chei beni siano arrivati nella quantità indicata in fattura39. Per evitare sospettiil titolare manipola raramente procedure standardizzate, ricorrenti, comequelle relative alle materie prime, usando acquisti atipici, non procedura-lizzati, come provvigioni, consulenze, noleggi, pubblicità, sconti, transa-zioni, ecc.40

37 Lo sketch è visibile su YouTube: https://youtu.be/DVm10apNBbA.

38 Oppure da dirigenti disinvolti che derubano gli azionisti, di solito pubblici, ma-gari col pretesto di “spese riservate”, necessarie, ma gonfiate a bella posta, come tan-te “provvigioni”.

39 L’ufficio contabilità non ha motivi né per sindacare la scelta del fornitore né lacongruità del prezzo, rispetto ad altre offerte. Basta l’avallo del titolare e l’entratadella merce, per mettere in pagamento la relativa fattura. La formalizzazione azien-dale dei rapporti giuridici (par. 1.2) non va oltre questo livello.

40 Su questi comportamenti, più in dettaglio Lupi, Diritto amministrativo dei tributi,cit. par. 3.7.

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Si tratta però di comportamenti non presumibili a una prima occhiata,come invece le anomalie dei piccoli operatori, di cui ai paragrafi preceden-ti. L’evasione dei titolari delle aziende, pur potendo essere in assoluto mag-giore, si confonde all’interno di maggiori dimensioni aziendali. Inoltre l’e-vasione ipotizzata sopra raramente comporta passaggi materiali di denaroal beneficiario, ma viene accantonata su società-schermo, anch’esse fre-quentemente estere, da dove potrà tornare anche presso le aziende41.Le statistiche sull’evasione (par. 2.1) neppure considerano quest’ipotesi,

anche perché i titolari di grandi aziende sono poche migliaia; un’altra ra-gione, che può non piacere, è la loro possibilità di soddisfare i bisogni per-sonali (sia pure cospicui) anche pagando le imposte, secondo il vecchiodetto: «I soldi fanno l’uomo onesto»; è verosimile che i poveri, a parità de-gli altri fattori, evadano di più, perché hanno da soddisfare esigenze più im-portanti della tranquillità tributaria (par. 1.7), secondo la teoria della mag-giore utilità marginale del denaro per chi ne ha di meno. Resta tuttavia ildubbio di non essere “a parità degli altri fattori” in quanto il titolare del-l’organizzazione potrebbe sfruttare il suo potere su di essa per evadere a ti-tolo personale. A ben vedere le possibilità di scavalcamento delle procedure amministra-

tive da parte del titolare sono maggiori per le organizzazioni “medio-picco-le”, ad esempio fino a cinquanta addetti; qui i margini di manovra per un in-tervento diretto della proprietà sull’amministrazione sono ancora notevoli;restano infatti molto numerosi i rapporti con clienti e fornitori gestiti diret-tamente dal titolare, e per i quali la contabilità registra solo i documenti. Neppure per il fisco è facile provare queste evasioni, basate su indizi

sfuggenti, personalizzati e controversi; la valutazione esterna delle aziendenon mostra cioè palesi anomalie da cui desumere l’evasione del titolare, sequest’ultimo non si tradisce con un tenore di vita smodato42. Gli uffici tri-butari, già restii a esporsi in rettifiche per ordine di grandezza su piccolicommercianti e artigiani, lo sono a maggior ragione su queste fattispeciecomplesse. Neppure è significativo di tali evasioni che l’azienda dichiariperdite, anomale per un flessibile “autonomo”, ma normali per un’orga-nizzazione pluripersonale; c’è infatti interesse anche a mantenere l’azienda

41 Il “nero” che torna nell’azienda come “finanziamento soci” è un classico.

42 Cui talvolta indulgono titolari di aziende medio-piccole, nuovi ricchi sensibili astatus symbol grossolani e costosi come auto di lusso, barche, ville e altri orpelli dacommedie all’Italiana stile Vanzina (consiglio i video che appaiono digitando su You-Tube “buona giornata Maurizio Mattioli”).

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in perdita per salvaguardarne l’avviamento43, ricavandone un compenso daamministratore. Frodi come quelle descritte in questo paragrafo sono staterilevate raramente, in genere per fortuiti collegamenti con altre vicendenon tributarie, come liti tra soci, reati di corruzione, ricatti di collaboratorie familiari, procedure fallimentari44. Sono situazioni intermedie tra l’azienda e il lavoro autonomo, difficili da

gestire con un bagaglio culturale (par. 2.3) che confonde in un indistintoconcetto di “impresa” l’artigiano e l’industriale. Tuttavia la possibile eva-sione dei titolari delle aziende, alimentando il mito dei “grandi evasori”, siscarica sulle aziende, come capro espiatorio (par. 2.14); ciò paradossalmen-te ostacola il circolo virtuoso di crescita del capitalismo familiare; la crescitadimensionale, aumentando la necessità di formalizzazione dei rapporti,ostacola questi comportamenti per gli imbarazzi che suscitano nei rapporticon altri soci e dirigenti. Si conferma che proprio le procedure aziendaliper evitare malversazioni e negligenze a danno della proprietà, indiretta-mente ostacolano le eventuali tendenze a nascondere ricchezza al fisco.

43 L’avviamento è invece meno importante per un negozio al dettaglio o un labora-torio artigiano, dove le situazioni di stabile perdita sono meno verosimili.

44 Per alcuni episodi si possono cercare in rete notizie sulla frode fiscale dei cosid-detti “diritti tv Mediaset”, sul cosiddetto “Tesoro degli Agnelli” (segnalo l’autobio-grafia dell’avvocato di una componente della famiglia, Emanuele Gamna, L’impor-tanza di chiamarsi Agnelli, Class Editori, 2011), la famiglia Aleotti e la farmaceuticaMenarini, i riflessi tributari della lite societaria nella Giacomini SpA di Novara. Lavicenda Fastweb e Telecom Sparkle era invece legata a frodi IVA, ordite da dirigentiall’insaputa della proprietà aziendale.

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IIEvasione e mancata spiegazione sociale

della funzione tributaria, come determinazionedella ricchezza imponibile

2.1 La stima dell’evasione: un ordine di grandezza

La sensazione empirica di notevole diffusione dell’evasione fiscale in Ita-lia è confermata da stime macroeconomiche calcolate dagli istituti di ricer-ca; vedremo tra poco che le ipotesi sono abbastanza convergenti nell’indi-viduare un tasso di evasione rispetto al PIL superiore a quello di altri Paesi.Tali studi confermano i collegamenti tra evasione e lavoro non organizzato,ipotizzati al capitolo precedente, ma non li valorizzano, probabilmente pertimore di polemiche connesse a letture colpevolistiche del fenomeno1.Tali stime estrapolano una serie di ipotesi dai dati conosciuti; ad esempio

si basano sull’eccedenza dei consumi economicamente stimati rispetto aquelli dichiarati al fisco, oppure confrontano chi dichiara di avere una “oc-cupazione”, e gli occupati “ufficiali”, dichiarati dai datori di lavoro; vienestimato un reddito medio di sussistenza di questi “occupati fantasma” eviene quantificata l’evasione di chi dichiara redditi di lavoro inferiori a mi-nimi di sussistenza. In questo modo si ipotizza una ricchezza fiscalmentenon registrata, ma teoricamente imponibile, di poco meno di 300 miliardidi euro (17% del PIL); calcolando IVA e IRPEF teoriche su questo impor-to si arriva ai circa 120 miliardi di imposte evase, di cui parlano ordinaria-mente i mezzi di informazione.Sebbene approssimativa, come tutte le stime, quella dell’evasione è for-

se inferiore alla realtà; essa prima di tutto non intercetta l’evasione di chi

1 La commissione Giovannini, alcuni studi di funzionari della Banca d’Italia e diConfindustria sono particolarmente elusivi sulla struttura sociale dell’adempimento,e quindi dell’evasione. Il motivo è presumibilmente la spiegazione colpevolistica delfenomeno (come perversione privata) che porta a evitare imbarazzanti accostamentia categorie sociali, per evitare le polemiche e le recriminazioni indicate in questo ca-pitolo, specie ai parr. 2.13 e 2.14.

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dichiara cifre superiori ai livelli di sussistenza, ma evade altrettanto o dipiù (si pensi ai cinquantamila euro evasi da chi ne dichiara altrettanti). Èuna sensazione confermata disaggregando le medie del dichiarato per ca-tegoria economica (par. 1.7); anche se la media dei dichiarati è plausibile,lo sono anche gli appiattimenti su “minimi sindacali” inferiori a quelli ef-fettivi. In queste stime manca l’evasione dei “ricchi” delle varie categorie,e lo stesso accade per la ricchezza occultata dai titolari di organizzazioniaziendali, per quella “aziendale”, ad esempio erogata come fuori busta aidipendenti o per frodare l’IVA; manca all’appello, nelle stime, pure l’eva-sione interpretativa delle aziende, da cui giunge buona parte del risultatodi servizio degli uffici tributari (par. 2.14). Questa sottostima è confermatadal senso comune e dal numero ridottissimo di contribuenti con redditidichiarati superiori a centomila euro, stridente rispetto alle abitudini di vi-ta percepite in Italia.Analisi estere, generali e riferite a Paesi specifici, riconoscono serena-

mente il nesso tra evasione e scarsità di organizzazioni pluripersonali nel-l’economia; è la premessa per affrontare serenamente la notevole percen-tuale italiana di attività senza sede fissa, prive di organizzazione pluriper-sonale (parr. 1.7 e 1.8) o dove l’organizzazione è a proprietà familiare; sitratta del cosiddetto capitalismo familiare, dove anche le grandi organizza-zioni sono proporzionalmente più piccole di quelle estere, il che rende ve-rosimili, anche lì, le evasioni descritte al par. 1.9, non rilevate dalle stimesopra indicate.Ancora più semplicistico è calcolare la perdita di gettito da evasione ap-

plicando le aliquote fiscali alle stime di cui sopra. Si trascura così il riasse-stamento che si produrrebbe applicando le imposte; esse infatti innesche-rebbero una reazione a catena, in quanto renderebbero non remunerativemolte attività “informali”, che chiuderebbero o aumenterebbero i prezzi.Sull’esito di questa ridefinizione si possono solo fare ipotesi, dipendentidalle opportunità alternative di impiego, e di offerta delle prestazioni cuisi riferisce l’evasione. Sarebbe però probabilmente un circolo virtuoso, per-ché il miglior funzionamento degli uffici tributari spingerebbe le attività“informali” ad aggregarsi in efficienti organizzazioni pluripersonali2.

2 Questo ovviamente a patto che il nostro ambiente burocratico sapesse accompagnarela crescita dimensionale delle aziende, perché altrimenti la risposta degli operatori sa-rebbe quella di rendersi ancora più sfuggenti e meno visibili agli uffici tributari.

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2.2 Mancanza di spiegazioni sociali della funzione tributaria

La “spaccatura” della funzione tributaria, tra determinazione contabilee stime valutative, proprio perché involontaria, ha provocato vari danni so-ciali, oltre quelli già accennati al par. 1.5. La determinazione contabile delleimposte, attraverso le aziende, proprio per la sua efficienza, è molto soffer-ta da chi la subisce: egli non si sente “onesto” rispetto alle perversioni pri-vate di altri (par. 2.12), ma vittima di una disfunzione pubblica; egli anzi hacome l’impressione di dover sopportare una quota eccessiva di una spesapubblica poco efficiente.Ancora più socialmente divisiva è la sensazione di molti dipendenti che

il datore di lavoro, dopo averli tassati come sostituto d’imposta, riesca adevadere le proprie imposte nei modi indicati al par. 1.93. Sono cesure so-ciali variamente strumentalizzate in politica, come vedremo in tutto il vo-lume e in particolare al par. 2.13. Sarebbe semplicistico definirle cesuretra “ricchi” e “poveri”, in quanto molti ricchi sono tassati al centesimo at-traverso le aziende, come dirigenti, amministratori, o addirittura soci dimaggioranza.Al contrario molti poveri, artigiani, piccoli commercianti e professionisti

al consumo finale, possono facilmente nascondere ricchezza al fisco. Èquindi una spaccatura traversale e complessa, riguardante fasce di popo-lazione “non ricca”, al massimo benestante. Ricordiamo che in media la“massa monetaria manovrabile” di buona parte degli autonomi, pagate lespese vive dell’attività4, è in genere non troppo superiore al costo del lavorodei dipendenti; per questo – a parti invertite – i comportamenti sarebberoanaloghi, e quindi una spiegazione “colpevolistica” dell’evasione, come in-dicato ai parr. 1.7, 2.1, 2.13, 3.7, ecc. sarebbe sbagliata (par. 2.2), social-mente lacerante (par. 2.13), amministrativamente controproducente (par.2.14) e politicamente in perdita (par. 3.7).Serve a poco rilevare che nessuno sfugge a tutte le imposte, e che l’“eva-

sore totale”, che evita qualsiasi imposta, non è il nemico pubblico, ma è unafigura di fantasia; neppure il più spregiudicato degli autonomi sfugge in-fatti alla tassazione attraverso le aziende quand’è a sua volta consumatore,

3 Il sospetto che gli organizzatori della produzione, in quanto titolari delle aziendee superiori gerarchici dei loro contabili, sfruttino la loro posizione di potere per eva-dere innesca il mito dei grandi evasori, dirottato sulle aziende nei modi indicati alpar. 2.14.

4 Da cui occorrerebbe a rigore togliere IRPEF, IVA e contributi, come indicato an-che al par. 2.8.

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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risparmiatore, utente elettrico o telefonico, automobilista, ecc. Tuttaviaquando la fonte principale della sussistenza di una persona è il reddito, ero-gato da organizzazioni amministrative, la sperequazione negativa rispettoa chi, a parità di reddito, può evadere, è notevole.Comprendere la diversa determinabilità degli imponibili è fondamenta-

le per disinnescare le tensioni e riportare unitarietà nel sistema; bisognaprendere atto che la differenza tra determinazione contabile e stime valu-tative è un dato oggettivo, gestibile, ma non esorcizzabile; la spaccatura nel-la funzione tributaria non è superabile forzando la determinazione degliimponibili in un modello unico (par. 2.7 e seguenti)5. La spaccatura si su-pera invece coordinando modalità diverse di determinazione degli impo-nibili, contabili e valutative, nei modi indicati al cap. 3.

2.3 Segue: conseguente disorientamento della pubblica opinione

Le sperequazioni tributarie indicate finora sono avvertite sia negli studisociali sia dalla pubblica opinione; quest’ultima, referente ultimo dei pub-blici uffici, anche tributari (par. 2.14), si pone una serie di interrogativi da-vanti all’adempimento, all’evasione e alle rispettive cause; in relazione a tut-to questo essa cerca spiegazioni cui non arriva in modo soddisfacente at-traverso il suo bagaglio formativo di base6.Un volume di scienze sociali, benché riferito alla funzione tributaria, de-

ve aver presenti le tendenze della pubblica opinione; quest’ultima esiste co-munque, anche quando non ci si può esprimere liberamente per motivi po-litici7, ed è in un certo senso la sintesi degli atteggiamenti, degli interessi,delle credenze, delle concezioni dell’esistenza presenti in un certo ambien-

5 Si vedano i velleitari tentativi di “esportare” la determinazione contabile dovemancano le aziende (par. 2.10), ovvero di formalizzare le tradizionali stime degli uf-fici (par. 2.11).

6 Vedremo ai parr. 2.6 e sgg., le più diffuse embrionali spiegazioni dell’evasione, cheandrebbero coordinate e integrate dagli studiosi sociali, sulla cui inadeguatezza par.2.4 e sulle cui prospettive, più costruttivamente, par. 3.1.

7 La pubblica opinione non è un’esclusiva dei regimi liberali e democratici, ma èsempre esistita come base sociale del potere, un tempo composta da ristrette cerchiemilitari, religiose, mercantili, nobiliari, cui anche i dittatori dovevano rendere conto,eventualmente con l’assassinio politico. La storia è piena di dittature pervasive, dal-l’antica Roma di Caligola e Domiziano, fino all’età moderna dei Ceausescu e dei Pae-si del Nord Africa, contestate e magari rovesciate da tendenze di opinione di segnocontrario, generatesi nelle stesse classi dominanti.

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te sociale. Le antiche pubbliche opinioni erano circoscritte ed elitarie, for-mate dai pochi individui liberi dalle necessità di sussistenza, con tempo erisorse per interessarsi della res publica. Ognuno di essi contribuiva all’in-telligenza collettiva in proporzione al suo impegno, alle sue riflessioni, alsuo coinvolgimento. Gradualmente, con la produzione industriale di serie,il tempo libero è aumentato e la pubblica opinione è numericamente cre-sciuta, anche per via dell’alfabetizzazione e dei media.Le pubbliche opinioni di ogni Paese hanno radici storiche, etniche, re-

ligiose, politico-giuridiche, culturali e formative parzialmente diverse. Il re-troterra storico-culturale italiano ha una buona uniformità etnico-religiosa,mentre quello politico-giuridico è più variegato, con intrecci tra Stati so-vrani e dominazioni straniere, peraltro rapidamente assimilate8. Ne è deri-vato un rapporto non ottimale col potere politico-giuridico, visto al tempostesso con diffidenza e opportunistica strumentalità, temendo vessazioni erichiedendo favori attraverso relazioni fiduciarie.Ritroviamo insomma anche qui il titolo del testo, cioè l’intreccio dei

comportamenti privati con le funzioni pubbliche; la diffusa sfiducia in que-ste ultime ha spinto a contare sulla propria iniziativa, con la creatività im-provvisativo-spontaneistica italiana; quest’ultima è riconosciuta internazio-nalmente come un pregio, ma il suo rovescio della medaglia è una certa dif-ficoltà a “fare gruppo”. Si tratta di individualismo da non intendere comeegoismo, prevalenza dell’interesse particolare, ma come difficoltà di per-cepire tale interesse; ne scaturisce una tendenza diffusa a farsi interpreti, inmaniera confusionaria, anche se spesso nobile, dell’interesse generale; ciòporta a fare di testa propria, anche nell’interesse comune e con le miglioriintenzioni9, ma senza coordinarsi con le contemporanee iniziative altrui; inquesto modo l’entusiasmo rischia di consumarsi, venendo sostituito dalladisillusione e dal disimpegno in un guicciardiniano particulare.Ciò comporta, per quanto qui ci interessa, una forte difficoltà a familia-

rizzarsi con tutti i meccanismi delle organizzazioni pluripersonali, siano es-se le aziende e gli uffici pubblici. Al bagaglio culturale umanistico lettera-rio, influenzato dall’era agricolo-artigianale10, l’idea di organizzazioneaziendale o di pubblico ufficio non è familiare. Non aiuta la formazione

8 Diritto amministrativo dei tributi, cit., 1.6.

9 Secondo il noto aforisma secondo cui ogni italiano si ritiene allenatore della nazio-nale di calcio e quindi, visto l’intreccio di opinioni, «Governare gli italiani non è dif-ficile, è inutile».

10 Su questo profilo generale Lupi, Compendio di scienza delle finanze, Dike, 2017,par. 2.4.

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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scolastica su questi temi politico-economico-giuridico-sociali, che hannosempre suscitato un qualche imbarazzo politico, rispetto alla più tradizio-nale e tranquilla formazione umanistico-letteraria. Neppure ha aiutato laparcellizzazione e l’autoreferenzialità degli studi sociali universitari, di cuidiremo ai parr. 2.4 e 3.1.Ne è derivato un bagaglio umanistico-sociale inadeguato alla complessità

delle aziende pluripersonali e dei pubblici uffici; entrambe queste organiz-zazioni finiscono per essere concepite in termini antropomorfici, guardandocioè alle aziende secondo gli schemi comportamentali di artigiani o piccolicommercianti (par. 2.14), sopravvalutando il profitto rispetto alla creazionedi valore e “il capitale” rispetto alla capacità organizzativa11. Ancora peggioper le organizzazioni pubbliche, come polizia, magistratura, strutture sco-lastiche, uffici sanitari o tributari, più difficili da capire delle aziende, inquanto non operanti sul mercato, ma “intermediate” nel senso di cui al par.1.112; questi uffici si diluiscono in una sfocata idea di politica e burocrazia,senza che ne sia chiarito il rapporto con la pubblica opinione. Quest’ultimasi crea così aspettative esagerate verso la politica, cui danno riscontro leggi-manifesto dispersive, che destabilizzano ancora di più i pubblici uffici.Le difficoltà di capire la determinazione degli imponibili, e i problemi

dell’evasione, dipendono in buona parte dalla mancanza di un’idea diazienda o di pubblico ufficio; la nostra opinione pubblica non è certo pas-siva davanti a questi temi, ma è confusa dall’abbondanza di spunti, intui-zioni e riflessioni che non ha il tempo di coordinare, viste le innumerevolialtre priorità da cui è presa. Serve quindi il coordinamento di studiosi so-ciali stabilmente dedicati al tema (par. 2.4 e 3.1), senza i quali si autopro-ducono tendenze di opinione intrecciate e confusionarie; ciascuna di essecoglie, come vedremo, un po’ di verità, ma è riduttiva rispetto al comples-sivo tema della funzione tributaria e dell’evasione. Senza il coordinamentodegli studiosi sociali le tendenze suddette si mescolano variamente con l’e-sperienza e i contingenti stati d’animo, persino di una stessa persona; chein circostanze diverse può sostenere, del tutto in buona fede, spiegazionidissonanti. Questa variabilità si riproduce su scala più vasta nella pubblicaopinione, dove si intrecciano scoordinate tendenze, con diversa intensità,che disorientano la politica e la legislazione13.

11 Forse quest’insufficiente bagaglio culturale è una delle cause per cui il capitalismoitaliano non riesce ad andare oltre la proprietà familiare delle relative aziende, comeindicato al par. 1.9.

12 Su cui ampiamente Diritto amministrativo dei tributi, par. 1.7 e 5.3.

13 Quest’intreccio di tendenze di opinione provoca continui rimescolamenti legisla-

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L’interazione degli studiosi sociali (par. 3.1) non riguarda nello stessomodo tutta la pubblica opinione, ma solo alcune sue parti sensibili, con va-rie sfumature, a specifici argomenti – nel nostro caso la funzione tributariae l’evasione fiscale. Dovrebbe essere questa la pubblica opinione che espri-me, nella sua sintesi qualitativa e quantitativa, l’intelligenza collettiva suitemi specifici della convivenza sociale. Sono aggregazioni composite, va-riabili per materia, e sempre più importanti rispetto alla tradizionale rap-presentanza politica per circoscrizioni territoriali; queste minoranze inte-ressate ai vari temi della convivenza sociale influenzano infatti anche l’at-teggiamento della pubblica opinione; per questo con esse interagisce lapolitica, e devono interagire anche gli studiosi sociali; vedremo al par. 3.1che essi dovrebbero coordinarne e integrarne gli spunti, fornendo spiega-zioni compatibili coi loro diversi livelli di attenzione per l’argomento. Alprossimo paragrafo vedremo perché le cose sono andate diversamente, e alpar. 3.1 come dovrebbero andare.

2.4 Formalismo economico e tecnicismo giuridico come cause della man-cata spiegazione accademica

La funzione tributaria, come determinazione degli imponibili, è giuridi-ca, benché non giurisdizionale (par. 1.1). ciò ne ostacola la spiegazione14 siada parte degli economisti, sia da parte degli studiosi del diritto, abituati adanalizzare la funzione giurisdizionale; nessuna di queste categorie di stu-diosi sociali sembra aver compreso il contenuto conoscitivo della funzionetributaria rispetto alla determinazione degli imponibili, espressivi dei con-cetti economici di cui al par. 1.1.Gli economisti hanno affrontato la funzione tributaria più dal punto di

vista degli effetti generali delle imposte sull’economia, in termini di spesapubblica e rapporto con l’economia privata. Gli economisti si sono poiprogressivamente staccati dalla funzione tributaria, inseguendo formaliz-zazioni definibili come “sociomatematica”, ispirate all’imitazione delle

tivi con cui ogni forza politica “segna il territorio”, ma che sono nocivi in sé, perchéla legislazione è come il letame: più si rivolta e più puzza. In questo modo si è arrivatiall’aforisma secondo cui: «L’Italia è il Paese dalle mille leggi, temperate da una pres-soché generale inosservanza».

14 Invece di spiegazione dovrei dire “teorizzazione”, ma l’espressione “teoria” è sta-ta talmente delegittimata, per le ragioni indicate in questo paragrafo, da generare dif-fidenza. Ho quindi preferito parlare di “spiegazione”.

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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scienze fisiche15. In questo modo sono state eluse le variabili comportamen-tali troppo complesse per essere inserite nei modelli, e l’economia è andataverso astrazioni incapaci di distinguere l’artigiano dall’azienda pluriperso-nale, sulle cui esigenze amministrative invece poggia l’odierna determina-zione dei tributi (parr. 1.3, 2.14 e 3.2). Le carenze dei modelli economici dispiegazione dell’evasione16 riflettono la più generale inidoneità dell’econo-mia a cogliere le variabili comportamentali complesse interne ai gruppi, in-trise di fiducia, di delega, di bisogno di senso, di gestione dell’incertezza17.Le discipline economico-aziendali hanno compreso l’idea di azienda comegruppo sociale, ma non l’hanno saputa trasmettere all’opinione pubblicain una prospettiva culturale, rimanendo nel complesso “tecniche”, comeper molti versi il diritto, del quale diremo subito.La funzione tributaria, pur relativa alla precisazione giuridica dei con-

cetti economici di cui al par. 1.1, riguarda uffici pubblici e perciò avrebbedovuto essere spiegata prima di tutto dai giuristi come studiosi sociali18. Ciònon è avvenuto per varie cause, a partire dalle radici tecniche del diritto,talvolta in veste di supporto alla politica19, più spesso in veste di risoluzionegiurisdizionale di controversie.Questa radice tecnica, soprattutto giurisdizionale, ha indotto il diritto a

seguire in modo particolare l’ispirazione generale delle scienze sociali allescienze fisiche, già indicata sopra per l’economia. L’importanza della fun-zione giurisdizionale ha indotto il diritto a una imitazione “oggettivistica”,anziché metodologica, delle scienze fisiche, concependosi come “studio diregole”; in questo modo il positivismo giuridico, o normativismo, ha con-cepito il diritto, equiparando il cosiddetto “dato normativo” al dato natu-

15 La tendenza a legittimarsi imitando le scienze fisiche è generale e latente nellescienze sociali, come vedremo più avanti per il diritto, dando poi indicazioni generalial par. 3.1.

16 Come il cosiddetto modello di Allingham e Sandmo che trascura la differente de-terminabilità della ricchezza, il ruolo delle aziende, l’efficienza dell’intervento pub-blico e il consenso politico, limitandosi ad aliquote, sanzioni e controlli.

17 Ne riparleremo al par. 3.1, sulla necessità di superare la frammentazione dellescienze sociali.

18 Sulla vieta naturalmente che studiosi sociali di estrazione economica, dedicandocontinuativamente il proprio impegno alla funzione tributaria, come Vincenzo Viscoe Alessandro Santoro, abbiano svolto riflessioni sull’evasione migliori della mediadegli studiosi sociali giuristi.

19 Col giurista in veste di “consigliere del principe”, e di supporto nell’esercizio diquelle funzioni giuridiche anticamente demandate alla politica.

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rale delle scienze fisiche; era una legittimazione sociale collocata all’internodella tradizione tecnica del diritto, legata alla funzione giurisdizionale. Lespiegazioni sono state cercate in un insieme di leggi, sentenze e regolamen-ti, decontestualizzati e visti come fonti di arcana sapienza, anziché tentatividi gestire problemi contingenti20.Questa concezione del diritto come “sistema di regole” ha trascurato il

concetto generale di funzione pubblica, non solo giurisdizionale, come indi-cato già dal par. 1.1; l’idea che l’oggetto del diritto non fossero le funzioni,ma le regole, ha portato le stesse riflessioni sulla funzione giurisdizionale inuna situazione di stallo tra “legge” e “giudice”. L’idea che il ragionamentogiuridico dovesse partire dal “dato normativo” ha spinto a parlare “di rifles-so”, arrivando alle questioni tramite i materiali normativi che le riguardava-no; peccato che i materiali normativi, soprattutto quando aumenta il diso-rientamento sociale, abbiano prima di tutto finalità pratico-politiche di go-verno, non di spiegazione della funzione sottostante; la normativa non servea spiegare l’adempimento e l’evasione, ma a prescrivere azioni, in funzionedi obiettivi e spiegazioni preesistenti; se queste spiegazioni sono confuse, an-che le regole lo diventano, dovendo mantenere, con diplomazia, se non ipo-crisia, un rapporto con le varie tendenze di opinione esistenti nella società;se quest’ultima non si spiega un certo fenomeno, nel nostro caso tributario,i materiali normativi inevitabilmente ne ripropongono il disorientamento; es-so viene rispecchiato dall’attività di governo, che asseconda le varie tendenzedi opinione intrecciate nella società, mentre le spiegazioni possono essere for-nite dal sapere, non dal potere. È la dialettica tra diritto come tecnica e dirittocome scienza sociale delle funzioni pubbliche; in quest’ultima veste il dirittoserve quando alla pubblica opinione mancano gli strumenti per capire la fun-zione pubblica sottostante; in questo caso, senza il diritto come scienza so-ciale, si svuota di senso il diritto come tecnica professionale (par. 2.5). Nellamisura in cui la pubblica opinione comprende la funzione sottostante, com’èancora oggi in buona misura per quella giurisdizionale21, il diritto può “sal-tare” la fase scientifica e passare direttamente a quella “tecnica”.

20 L’approccio normativista si chiede “cosa volesse dire” il legislatore o il giudice, lacui preoccupazione era invece solo quella di gestire un problema in cui neppure luisi raccapezzava, ma dove la pubblica opinione (par. 2.3) si aspettava delle risposte.Su questa premessa è quindi inevitabile, davanti all’autorità e alle sue regole, quell’i-pocrisia del “tecnico” stigmatizzata da Lutero col suo Juristen böse Christen (‘giuristicattivi cristiani’).

21 Dove la pubblica opinione capisce l’idea di “contesa” e il compito del giudice dirisolverla in base a valori o riferimenti normativi.

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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L’impostazione normativistica, modellata sul giudice come “delegato”del gruppo, che deve riportarsi a “materiali normativi”, ha ostacolato l’e-same diretto della funzione tributaria, vista in modo indiretto attraverso ilfiltro, spesso deformante, della “normativa”. Questa tendenza fu rafforzatadal peso, nell’accademia tributaria, di autori provenienti dalla proceduracivile, o dall’avvocatura22; si ripeté la diffusissima tendenza a spiegare tuttoil diritto con gli schemi della funzione giurisdizionale, guardando al legi-slatore e al giudice; si cercò equivocamente di spiegare la funzione tribu-taria con concetti civilistici, come il credito (del fisco), il “debito” (del con-tribuente), il “rapporto giuridico di imposta”, la fantomatica “obbligazio-ne tributaria”, l’“indisponibilità del credito”, la natura del processo. Lamatrice amministrativa della funzione tributaria fu solo timidamente intra-vista, senza coglierne le implicazioni indicate al par. 1.1, cioè la specifica-zione, valutativa o contabile, di concetti economicamente rilevanti23.Con l’estinguersi, per consunzione, di questi temi generali, nell’accade-

mia gradualmente diminuì l’entusiasmo, la voglia di capire e di farsi capire.Svaniti i vecchi collanti, non si colse la specificazione giuridica dei concettieconomici (par. 1.1) come vero fulcro della funzione tributaria; non ci si re-se conto della diversa determinabilità della ricchezza nei modi di produ-zione, registrazione da parte di organizzazioni (aziende e uffici pubblici),valutazione degli uffici tributari, ecc. La maggior parte dei problemi con-nessi alla determinazione degli imponibili fu frettolosamente spiegata rife-rendosi alla fase, concettualmente successiva, del “gettito” o con confusio-narie divagazioni sugli effetti economico-sociali dei tributi.Il timore che un esame diretto delle funzioni pubbliche non fosse con-

siderato “scientifico” spinse a parlare per riferimenti, normativi, giurispru-denziali o dottrinali; questo preconcetto ha alimentato la letteratura che hodefinito in altre sede “scientificità esteriore”24, vagamente in tema ma sfug-gente, oscillante tra citazioni allusivamente interpolate; i riferimenti a ma-teriali normativi o dottrinali sono chiosati con divagazioni solo approssi-mativamente attinenti, magari mescolando questa casistica con le suddettegeneriche divagazioni politico-sociali25. Invece di uno studio sociale sulla

22 Per di più si cercava di distinguersi dallo studio del fenomeno tributario che, al-l’inizio del novecento, andavano svolgendo gli economisti, come indicato all’inizio diquesto paragrafo.

23 Si tratta di quello che poi chiameremo “oggetto economico” del diritto tributario.

24 Diritto amministrativo dei tributi, cit., par. 4.3 pp. 175 e sgg.

25 Nel nostro caso sugli effetti economici dei tributi, ma in tutto il diritto si passatroppo bruscamente dal tecnicismo alla divagazione politica, saltando lo studio

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determinazione degli imponibili, la tecnica si è travestita da scienza, legit-timandosi con la sua au to re fe ren zia li tà esteriormente in tema e per questoimmune da critiche, benché incomprensibile26. Si tratta di un bluff tra ilsussiegoso e lo scolastico-compilativo, a seconda del rango dell’estensore,che disorienta gli interlocutori come le supercazzole dei film di Monicellie il latinorum di Don Abbondio verso il povero Renzo Tramaglino.Di queste difficoltà della tecnica giuridica di diventare scienza sociale

delle funzioni pubbliche27 ha fatto le spese il ragionamento, sempre menopresente in una pubblicistica che disabitua al pensiero, una sorta di “cor-ruzione della gioventù” di studenti e ricercatori; non a caso l’accademia siè sempre più ritirata nei circuiti autoreferenziali delle burocrazie univer-sitarie e di ateneo, con uno spreco di risorse umane28 e di reputazione so-ciale; la crisi dei parametri di sostanza per la cooptazione accademica haspinto alla spartizione relazionale delle cattedre, per la mancanza di pietredi paragone29.È uno svuotamento di senso, dove si risponde sempre più spesso alle sol-

lecitazioni intellettuali con riferimenti di circostanza (cioè citazioni) oppu-re giri di parole vagamente seccati30.

scientifico della pubblica funzione sottostante. Dal formalismo tecnico si passa aquel dispersivo “sociologismo” contro cui si batteva il positivismo, in una unione dilati negativi. Invece di coordinare discorsi di senso compiuto, secondo la teoria dellescienze sociali di cui al par. 3.1, la tecnica e l’imitazione delle scienze fisiche si uni-vano a danno del pensiero, creando l’impostura secondo cui per essere scientifici oc-corre parlare difficile facendo ampi riferimenti ad altri che parlano difficile, restandovagamente in tema. L’imitazione delle scienze fisiche si trasforma così in una farsa,che uccide il pensiero, ma è il miglior viatico alla spartizione dei posti universitari,sottraendosi a ogni forma di controllo sociale.

26 Diritto amministrativo, cit. par. 4.3 nonché il successivo Lupi,Valutazione dei sa-peri e diritto, tra tecnica e scienza sociale delle pubbliche funzioni, «Innovazione e di-ritto», 2017, n.4.

27 Il tentativo della tecnica di presentarsi come scienza, secondo la già indicata ispira-zione alle scienze fisiche, ha danneggiato la stessa tecnica giuridica, un tempo carica diverve avvocatesca, di arringhe, oralità, immediatezza, sia pure nella sua impostazionecasistica; anch’essa si è tristemente burocratizzata, senza rispondere al bisogno di unascienza sociale delle funzioni pubbliche, come nel nostro caso quella tributaria.

28 Si consideri che la “comunità scientifica” del diritto tributario è composta da qua-si 200 docenti strutturati nelle università.

29 Sarebbe da chiedersi in quale misura si intreccino, in questo circolo vizioso, per-versioni private e disfunzioni della funzione pubblica di ricerca e di didattica.

30 Specie da parte di chi concepisce l’accademia come un biglietto di

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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La pubblicistica accademica si è distinta addirittura in peggio rispetto aldiscorso pubblico sull’adempimento e l’evasione. Quest’ultimo infatti haalmeno un filo logico, smarrito dalla suddetta scientificità esteriore31 che la-scia indifferenti, annoiati e infastiditi gli interlocutori, siano essi interessatial tema, classe dirigente, pubblica opinione, studenti, clienti e persino pro-fessionisti del settore. Anche costoro si addentrano in questa pubblicisticasempre più di malavoglia, solo per cercare riscontri su concreti temi di in-teresse lavorativo remunerato; anche a tal fine, dopo varie delusioni, si ri-volgono sempre più all’editoria professionale di cui al prossimo paragrafo,ugualmente involuta, ma meno prolissa. Invece di conquistare il dibattitosociale sul proprio settore, l’accademia ha insomma perduto anche i suoiinterlocutori tecnici, sempre più disorientati e tendenti confusamente a“fare da soli”. Come il resto della pubblica opinione, rimasta senza suppor-to, con le varie supplenze, insufficienti e scoordinate tra loro, indicate aiprossimi paragrafi.

2.5 Inadeguatezza delle spiegazioni di fonte professionale, politico-istitu-zionale e aziendale

Le spiegazioni sociali d’insieme, necessarie alla pubblica opinione sul-l’evasione fiscale, non possono venire dalla tradizione tecnico-professiona-le del diritto; essa è infatti riferita a casi particolari in quanto la professionenon è uno strumento di sapere, e i pratici sono troppo coinvolti nella casi-stica per costruire la cornice sociale in cui essa stessa deve collocarsi; è unadiversità di prospettive cui si aggiunge un conflitto di interessi, perché ilcoinvolgimento professionale condiziona l’analisi oggettiva delle varie ca-sistiche; per un’analisi imparziale, anche di un solo caso, bisognerebbecombinare le prospettive di tutti gli operatori coinvolti; questa faticosa se-lezione è frustrata dalla consapevolezza che questo sforzo comunicativo èeffimero, proprio per l’incessante divenire della casistica. La pratica, inquanto tale, non organizza né sistematizza la pratica di ieri, ma la dimen-tica, assorbita dalla pratica di oggi.L’avvocato non ha energie per interagire con la pubblica opinione, in

quanto già interagisce coi clienti, acquisendoli, gestendoli, accreditandosi

presentazione professionale e relazionale, secondo la vecchia tradizione tecnico-fo-rense del diritto, legittimata con l’inconsistente scientificità esteriore, indicata sopra.

31 Davanti alla quale gli interessati alla determinazione dei tributi, oscillano tra il:«Qui non si capisce nulla» e «Queste ovvietà le posso dire anch’io».

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con essi sul piano relazionale per valorizzare il proprio intervento, evitandolamentele o responsabilità; la professione lascia quindi poco tempo per oc-cuparsi del senso complessivo del settore in cui si opera, nel nostro casoquello tributario32.Una spiegazione d’insieme dell’evasione non può venire nemmeno dal-

la cosiddetta “editoria professionale” neppur promossa da professionisti,ma da editori “commerciali”, che hanno colto la già indicata disaffezioneper la pubblicistica accademica (par. 2.4). Vi scrivono alcuni pratici, spin-ti in parte da buona volontà e da desiderio di visibilità33. Sono però sforzivani, senza una spiegazione d’insieme della funzione tributaria e di unacomunità scientifica come polo aggregativo (par. 3.1); l’editoria profes-sionale è sfociata così in un “praticismo esteriore”34, ingenuamente legatoalla legislazione, in quanto generato dalla “tecnica giuridica”. Sopravva-lutare le regole, sia pure criticandole, ha fatto pensare che il malessere di-pendesse da loro, innescandone un continuo cambiamento, che ha com-plicato ulteriormente la pratica; l’editoria professionale ha così alimentatoil circolo vizioso delle “novità”, con decenni di “aggiornamento del nul-la”, scivolati via senza ricadute formative, né sociali né professionali. Il de-vastante preconcetto secondo cui “in diritto tributario tutto cambia”, èstato il suicidio dell’editoria professionale, che oggi non suscita alcun in-teresse culturale; persino i professionisti la consultano (di malavoglia) so-lo spinti da specifiche urgenze di lavoro, e la distorcono in vista delle tesisostenute o avversate.Al malessere scientifico segue, quindi, anche quello tecnico, col calo del-

l’entusiasmo degli operatori, che rischiano di deprimersi, non capendo ilsenso sociale del proprio lavoro35; quest’ultimo non può giustificarsi solo

32 Per questo è fatica sprecata indirizzare solo ai tecnici le spiegazioni sociali dellafunzione tributaria come avevo fatto in Lupi, Evasione fiscale paradiso e inferno,Wki, 2008.

33 Nello spazio lasciato vuoto dagli studiosi sociali cercano di inserirsi infatti anchetecnici desiderosi di darsi tono, cosa anche legittima se i contenuti meritano.

34 Corrispondente mutatis mutandis al praticismo esteriore dell’accademia di cui alpar. 2.4. In entrambi i casi l’inaridirsi dell’interesse porta gli stessi autori ad essere iprincipali clienti dell’editoria, per immagine professionale o carriere universitarie.

35 Né la scientificità esteriore né la praticità esteriore realizzano l’aforisma di Tolstojsulla necessità di «amare ciò per cui lavoriamo». Il senso della tecnica professionalepassa per la scienza sociale della funzione tributaria, seguendo l’aforisma di KurtLewin, per cui «nulla è più pratico di una buona teoria» (che generalizza i punti co-muni della pratica).

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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perché c’è qualcuno che paga, tra l’altro in modo sempre meno adeguatorispetto agli adempimenti inutili che il disorientamento sociale nel settorefa ricadere sui tecnici; essi vi si assoggettano senza spiegarsene il motivo,solo per “stare a posto”, ancorché mugugnando36. Solo attraverso la spie-gazione sociale d’insieme della funzione tributaria i tecnici potranno co-municare tra loro e valorizzare il proprio ruolo, oggi mortificato da pub-blica opinione e potere politico. La tecnica giuridica aiuta lo studioso so-ciale giurista, sia perché la fatica del lavoro è formativa, sia perchél’esperienza diretta delle pubbliche funzioni aiuta a comprenderle e siste-matizzarle; l’importante non è quindi astenersi dalla professione37, ma sod-disfare il bisogno di spiegazioni d’insieme della pubblica opinione.Queste spiegazioni non possono venire né dalla politica né dagli uffici

pubblici del settore, entrambi con compiti di governo, non formativi; ilpotere, nelle sue varie forme, rende genericamente conto alla pubblicaopinione (par. 2.14), e deve assecondarne le confuse tendenze, anche lan-ciando i propri messaggi politici. Per questo, davanti al disorientamentodella pubblica opinione sull’evasione fiscale, la politica e le amministra-zioni sono molto caute, temendo di urtare la suscettibilità delle categoriesociali coinvolte dalle fuorvianti spiegazioni “colpevolistiche” di cui aiparr. 2.12 e 2.1338.Inoltre la mancanza di spiegazioni sociali della funzione tributaria, ren-

de il suo esercizio socialmente meno controllabile; l’ufficio pubblico restapur sempre un punto di riferimento per la società39, con un oggettivo van-taggio sui privati. Tale vantaggio è utilizzato per immagine istituzionale e

36 In una sorta di “burocratizzazione della professione” corrispondente a quella deipubblici uffici.

37 La capacità dell’avvocato di comunicare coi clienti può essere sinergica con quelladi comunicare con la pubblica opinione, o gli studenti. Per questo il mero astenersidalla professione può significare anche solo mancanza della capacità comunicativaminima per svolgerla. D’altra parte bisogna evitare di ridursi ad “avvocati in catte-dra”, almeno se ci si dedica a settori del diritto in prima battuta “non forensi”, dovela professione nasce da disfunzioni di uffici pubblici dovute alla carenza di spiega-zioni di insieme della relativa funzione; qui l’acronimo “prof. avv.” ricorda spesso ilprofittatore di un disagio sociale che avrebbe dovuto combattere come studioso, in-vece di cibarsene (avvoltoio).

38 Lo conferma la timidezza con cui si pongono le stime sull’evasione (par. 2.1)quando si tratta di associarla a determinate categorie economico-sociali.

39 Cordero sottolineava i rapporti tra diritto e potere dicendo che nel diritto «esisteun monopolio delle cabale, contano solo le parole uscite di bocca a gente segnata».

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comodità gestionale, scaricando le tensioni sociali dovute all’evasione sullaperversione privata di ipotetici “disonesti” (par. 2.12). Tuttavia le ammini-strazioni del settore sono più ordinate e consapevoli, in quanto meno fram-mentate, di quanto siano i professionisti; esse hanno colto alcuni importan-ti aspetti della funzione tributaria, come il suo carattere “non giurisdizio-nale” (par. 1.1 e 3.6), ma per una spiegazione d’insieme del settore servonostudiosi sociali dedicati.Finalità esplicative non spettano neppure alle aziende, principali prota-

goniste dell’autodeterminazione dei tributi (par. 1.3), ma tenute insiemedal prodotto, non dagli studi sociali giuridici o economici. Le aziende pro-ducono beni o servizi, non cultura40 e quindi paradossalmente l’idea dell’a-zienda come organizzazione pluripersonale non può nascere da loro; l’in-clusione delle aziende nel bagaglio culturale della pubblica opinione, senzagrossolane mitizzazioni o colpevolizzazioni (par. 2.4) deve invece venire da-gli studi sociali, anche giuridici, come indicato al par. 3.2. Fino a quel mo-mento neppure le loro associazioni di categoria, ad esempio Confindustria,potranno sostituire gli studiosi sociali nello spiegare il ruolo delle aziendein campo tributario.

2.6 Inadeguatezza formativa del dibattito mediatico sull’evasione

L’interesse dell’opinione pubblica verso l’adempimento e l’evasione fi-scale trova ampio riscontro giornalistico, cartaceo, televisivo, su internet esui social network. Lo stile giornalistico intercetta infatti la curva di atten-zione del pubblico, in quanto attento alla comprensibilità, senza il tonocontorto e autoreferenziale degli accademici (par. 2.4). È un aspetto dellapiù generale supplenza giornalistica alle carenze degli studiosi sociali41, chetrova riscontro nella frequenza del cosiddetto “giornalismo di opinione”accanto a quello di cronaca.

40 L’espressione “cultura aziendale” è per molti versi una contraddizione in termini, inquanto le aziende, come pure le loro associazioni, subiscono le tendenze culturali gene-rali; anch’esse esagerano l’importanza della politica, confermandosi “astrazioni” senzasentimenti né bagagli culturali da trasmettere, neppure per valorizzare il proprio stessoruolo (che infatti va valorizzato dalla pubblica opinione, come indicato al par. 3.2).

41 I mezzi di informazione hanno insomma conservato quell’accessibilità che lescienze sociali, per i motivi indicati al par. 2.4, hanno spesso perduto, col loro spe-cialismo autoreferenziale, contrario alla loro stessa qualificazione di “sociali”, comeindicato al par. 3.1.

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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La via giornalistica alle scienze sociali ha però una matrice in prima bat-tuta “informativa”, non “formativa”, secondo la vocazione delle scienze so-ciali. Occorre quindi collegarsi alle più disparate “notizie d’innesco”, va-lorizzandole rispetto ai potenziali interlocutori, siano essi lettori, spettatorio naviganti in rete. Questo spinge al sensazionalismo, alla necessità di “au-dience”, ancor più sentita dopo l’avvento di internet e la moltiplicazionedell’offerta, mentre il tempo disponibile per l’uditorio è rimasto lo stesso.Questa competizione sull’audience aumenta la preoccupazione di intrat-

tenere ascoltatori con una modesta curva di attenzione media, identificataper fascia oraria o per vago orientamento politico generale. Sono interlocu-tori accomunati dal desiderio di staccarsi un po’ dalla routine giornaliera,attratti più dalle notizie a sensazione, vagamente verosimili, e non partico-larmente dalla spiegazione. Gli ascolti sono come i voti alle elezioni, che si“contano e non si pesano”, ed è meglio un dieci per cento di share distrattache un cinque percento davvero interessato ai contenuti. Ciò si riflette suglioperatori dei media, rapidi nell’afferrare i concetti, ma altrettanto nel di-menticarli, assorbiti dalle urgenze successive, in un eterno presente.Anche l’evasione fiscale diventa così uno spettacolo, sia pure “a tema”,

superficiale e al tempo stesso ciclico, con cliché che si alternano, come fuo-chi di paglia dalla ricaduta formativa inevitabilmente modesta; il fatto dicronaca fiscale viene commentato coi soliti stereotipi, ripresi dopo qualchetempo, ripartendo da zero; interviste, dibattiti e servizi di trent’anni fasull’evasione sembrano scritti ieri, confermando che la discussione, la spie-gazione e la formazione sociale su questo tema, come su tanti altri, sono so-stanzialmente al punto di partenza. Si crea, accanto alla scientificità este-riore e alla praticità esteriore, una “mediaticità esteriore”, con filo logico,ma poverissima di sostanza; ripetere discorsi superficiali è il modo di col-legarsi al bagaglio culturale di chi non è interessato all’argomento, ma sitrova per caso davanti al televisore a una certa ora, o sfoglia un certo quo-tidiano. Ho percepito dall’esperienza42 la difficoltà di dare ricadute forma-tive, sia pure gradevoli e brillanti, ai suddetti contenitori generalisti.

42 Uno studioso sociale, proprio secondo il concetto di scienze “sociali” di cui al par.3.1, non deve sottrarsi quando i mezzi di comunicazione gli danno modo di fare for-mazione sociale, traducendo concetti nel linguaggio comune, magari ruspante, mautile e gradevole, vista la circostanza. Talvolta per essere scientifici bisogna evitare dimostrarsi scientifici, recitando una parte compita e sussiegosa, che potrebbe esseresvolta anche da un attore, per far dire all’ascoltatore: «Non c’ho capito nulla, perciòsi vede ch’è preparato”. Vedremo invece al par. 3.1 il circolo virtuoso “pubblica opi-nione-media-studiosi sociali», utili a “far capire”, a semplificare cose complesse, an-che a costo di non “mostrarsi scientifici” come dicevamo sopra.

40 EVASIONE FISCALE

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Questo carosello mediatico è poco produttivo in termini formativi, e de-lude la parte di pubblica opinione interessata a un discorso più di sostanzasull’evasione fiscale; si tratta di un’audience mossa da ragioni culturali, nonprofessionali, numerosa e stabile, che però non si trova tutta alla stessa oradavanti al televisore. Rispetto all’audience modellata sulla totalità della po-polazione, per fascia oraria, si tratta di una minoranza che però costituiscel’opinione pubblica di settore, di cui alla fine del par. 2.3. Per essa sarebbero opportuni programmi pluriuso, indipendenti dalla

cronaca, integrabili in permanenza con la già indicata offerta per fascia ora-ria. La fruizione potrebbe essere ripetuta nel tempo, svincolando questiprogrammi dalla cronaca politica, con successivi passaggi televisivi o via in-ternet43, che ottimizzerebbero i costi di realizzazione. Ne riparleremo alpar. 3.1, sulle sinergie tra scienze sociali e mezzi di comunicazione.

2.7 Spiegazioni “fatte in casa” dalla pubblica opinione

Visto che le categorie indicate ai paragrafi precedenti44 non fornisconosoddisfacenti spiegazioni dell’evasione, la pubblica opinione interessata altema, col consueto spontaneismo di cui al par. 2.3, cerca di fare da sola; nonsono riflessioni cui ci si dedica con continuità, come dovrebbero fare glistudiosi sociali del settore, in quanto anche chi è incuriosito dall’evasionefiscale45 ha attenzioni per altri punti di osservazione della convivenza socia-le, nonché impegni personali. Tuttavia c’è un diffuso interesse alla deter-minazione dei tributi, che riguardano tutti personalmente e offrono stimo-lanti spunti politico-generali46. Lo conferma la frequenza di esternazioni suitributi e sull’evasione da parte di politici, studiosi sociali di altro genere,giornalisti, vari personaggi in vista, nonché sui social e nelle conversazioniprivate; sono riflessioni per definizione provviste di filo logico, ma troppodispersive per rispondere al bisogno di spiegazioni d’insieme. Al massimo

43 Sui quali sarebbero inseribili i consueti contenuti pubblicitari delle ordinarie tra-smissioni.

44 Accademia, tecnici, mass media, ecc.

45 Coi vari livelli di interesse al tema, che nel loro insieme, estesi alla generalità deisoggetti coinvolti, costituiscono l’uditorio degli studiosi sociali di ciascun settore, co-me indicato al par. 3.1.

46 Gli spunti politici generali offerti dalla determinazione dei tributi rischiano di di-ventare controproducenti, perché portano a dispersive deviazioni ideologiche (par.2.13) o a fraintendimenti sugli effetti economici dei tributi (inizio del par. 2.4).

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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sono spunti utilizzati come innesco di brevi servizi giornalistici47, influen-zati anche dall’inserimento estemporaneo di abili comunicatori.È un confusionario intreccio di diagnosi e soluzioni “fai da te”, sensate,

ma riduttive, e talvolta strumentali. Nell’insieme esse però non degnanoovviamente di attenzione alcuna la scientificità esteriore accademica, il tec-nicismo della pubblicistica professionale, né si pongono il problema di unpolo di aggregazione del dibattito sul tema48; lamentando infatti l’insuffi-cienza degli studiosi, si dovrebbe ammetterne la necessità e si scoprirebbeche l’insufficienza dei professori rende tutti professori. Chi ha occasioni49,tempo, e un minimo di attitudini per intercettare una domanda sociale dispiegazione insoddisfatta, si inserisce negli spazi lasciati vuoti dagli studio-si; il risultato non può essere soddisfacente, ma il desiderio personale di vi-sibilità è soddisfatto.Queste spiegazioni “fai da te”, indicate ai prossimi paragrafi, non si

escludono l’un l’altra, e possono combinarsi a seconda delle occasioni, emagari delle convergenze di discorso coi diversi interlocutori. Ognuna diqueste spiegazioni, infatti, esprime un po’ di sensatezza, come tutti i discor-si di senso comune, a cena e nei talk show. Disfunzioni pubbliche e perver-sioni private si intrecciano nelle diverse ricerche di colpevoli, e nei sugge-rimenti miracolistici, tipici dello spontaneismo italico (par. 2.3), cui piacemetter bocca su tutto e farlo vedere50. Questi spunti non colgono però ilcuore della funzione tributaria come determinazione della ricchezza sog-getta a imposte, il che conferma la necessità di un piccolo numero di stu-diosi sociali dedicati, come vedremo al par. 3.1.

2.8 Spiegazione dell’evasione con le aliquote troppo elevate

Una spiegazione “assolutoria”, che spiega l’evasione con ipotetiche di-sfunzioni pubbliche è quella che la fa dipendere da aliquote d’imposta trop-po alte; la responsabilità sarebbe quindi “del sistema”, un po’ come nell’in-contro di domanda e offerta; molti contribuenti cioè evaderebbero le impo-ste perché “lo Stato chiede troppo”. Ne derivano proposte, a prima vista

47 Dispersi quindi nel circuito mediatico di cui al precedente paragrafo 2.6.

48 Di cui diremo al par. 3.1.

49 Ad esempio per rapporti con testate giornalistiche, televisive, siti internet, asso-ciazioni di categoria, pubblici uffici del settore, ecc.

50 È consigliabile in proposito lo sketch del “sarchiapone” interpretato da WalterChiari e visibile su YouTube: https://youtu.be/nywnVhPyilg.

42 EVASIONE FISCALE

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accattivanti, di “aumentare il gettito diminuendo le aliquote”, e quindi facen-do emergere maggiori imponibili; queste diminuzioni di aliquote, che si au-tofinanzierebbero con l’emersione di un maggiore imponibile, ricordano ilparadosso delle diete che promettono di dimagrire mangiando più di prima.Queste proposte, spesso avanzate in termini propagandistici, hanno an-

che un senso logico, ma trascurano la diversa determinabilità della ricchez-za ai fini degli imponibili fiscali; ricordiamo infatti già dal confronto tra au-tonomi di cui al par. 1.7 e al par. 1.8, che l’adempimento dipende soprat-tutto dalla visibilità degli imponibili, per non dire dei redditi erogati dasostituti d’imposta, che non sfuggono, loro malgrado, ad aliquote elevate;per questo le perdite di gettito connesse alle diminuzioni di aliquota su ric-chezza visibile non sarebbero affatto bilanciate da aumenti di gettito perl’emersione di ricchezza nascosta.Quest’ipotetica emersione sarebbe minima anche perché sugli imponi-

bili venuti allo scoperto scatterebbero una molteplicità di tributi; non a ca-so la propaganda antifisco denuncia un’aliquota globale di circa il 60%, pa-ri alla somma delle aliquote dei contributi sociali, dell’IVA, dell’IRAP e del-l’IRPEF. Anche per questo gli spazi per aumentare il gettito diminuendole aliquote, anche con una flat tax del 15-20%, sarebbero minimi, vista lasuddetta complessiva posta in gioco; sarebbero trascurabili i casi in cuil’abbassamento dell’IRPEF, con la flat tax, spingerebbe a “comprare” unpo’ di credibilità fiscale, a prezzi meno esosi, dichiarando imponibili piùverosimili. Il recupero sarebbe quindi macroscopicamente irrisorio rispet-to al gettito perso, abbassando le aliquote sugli imponibili comunque visi-bili, perché determinati attraverso le aziende.Sotto un certo profilo, anzi, non sono le aliquote a influenzare l’evasio-

ne, ma è il contrario in quanto l’evasione influenza le aliquote; esse sono in-fatti strutturate presupponendo la tendenza degli autonomi a dichiarare unminimo sindacale di ragionevolezza; per questo l’aliquota minima è elevata(oggi 23%) e rapidamente si arriva al 38% oltre 28mila euro, salvo dare aidipendenti detrazioni e altri abbattimenti51.Evitando il grossolano “più dichiari più evadi”, che presuppone un sot-

todimensionamento fisso del dichiarato rispetto alla realtà, le statistichemostrano una costante nell’evasione “di massa” degli autonomi; la loro di-sponibilità complessiva, prima delle imposte, è “medio bassa”, e l’utilitàdel denaro relativamente elevata, rispetto alle esigenze di vita (par. 1.7).

51 Il sospetto di evasione, cioè di un maggior reddito nascosto, è il probabile motivo,inconfessato, per cui la riduzione selettiva di aliquote denominata “80 euro” del2014, non fu estesa al lavoro autonomo.

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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Una volta dichiarata una cifra economicamente credibile rispetto alle ca-ratteristiche dell’attività, c’è riluttanza a incrementare questo zoccolo durodichiarato, privandosi di ulteriori risorse, qualunque sia l’aliquota; oltrequel “minimo sindacale” si tenderà a non dichiarare più nulla, anche afronte di diminuzioni di aliquote, perché comunque si ritiene, se non di“stare a posto”, di avere una credibilità accettabile52; un maggior imponi-bile potrebbe emergere solo nel caso raro in cui le precedenti aliquote fos-sero talmente elevate da esporsi a dichiarazioni inverosimili al ribasso purdi ridurre l’esosità del prelievo. Illudersi di manovrare gli imponibili attra-verso le aliquote inverte perciò il normale rapporto logico tra i due concet-ti; è piuttosto l’omogeneità nella determinazione degli imponibili ad essereun dato di fatto per intervenire sulle aliquote all’insegna della formula “pa-gare meno pagare tutti”; l’opzione di aliquote inferiori per i redditi più dif-ficilmente determinabili è invece poco proponibile politicamente, specierispetto all’esposizione di dipendenti e pensionati all’esosa tassazione con-tabile attraverso le aziende.

2.9 Le controproducenti terapie punitive delle “manette agli evasori”

Chi spiega in modo colpevolista l’evasione, come perversione privata,tende istintivamente a contrastarla aumentando le sanzioni; queste ultimeservono a qualsiasi sistema di autodeterminazione dei tributi, come indica-to al par. 1.5, altrimenti sarebbe troppo facile non adempiere, sperando dinon essere controllati, e in questo caso pagando solo imposta e interessi.Le sanzioni devono quindi essere proporzionali e questo al tributo ali-

menta l’illusione di usarle per combattere l’evasione, come se essa dipen-desse solo da perversioni private, senza disfunzioni pubbliche; è un riflessodella spiegazione del fenomeno con “onestà” e “disonestà” (par. 2.12) edell’idea “giacobina” di educare la società tramite punizioni; era già un’i-dea semplicistica ai tempi della rivoluzione francese, quando la politica erasprovvista di adeguati apparati pubblici, fatti allora in prevalenza di eser-citi, senza le sterminate burocrazie di oggi, con le loro articolazioni setto-riali. Dell’antico giacobinismo resta la tendenza, di presunte élite autono-minate, a educare il popolo punendolo, secondo il frequente ritornello te-levisivo per cui «in America gli evasori li mettono in galera». Questarisposta “manettara” può essere anche la ciliegina sulla torta, ma non può

52 Ricordiamo dal par. 1.7 che gli autonomi si regolano prevedendo sia la probabilitàdei controlli, sia il loro contenuto, in base alle informazioni di cui il fisco dispone.

44 EVASIONE FISCALE

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sostituire la torta, rappresentata dall’intervento valutativo degli uffici tri-butari sulla ricchezza non intercettata dalle aziende53.A parte i problemi di questo atteggiamento “giacobino” con la pubbli-

ca opinione (par. 3.7), visto il numero dei contribuenti coinvolti e il loropeso politico, usare la punizione come surrogato dei controlli ha limiti in-tuitivi; altrimenti sarebbe come se, per la difficoltà di trovare gli scippatorio i ladri di auto, li punissimo con l’ergastolo. Lo stesso accade per gli ina-sprimenti sanzionatori sul traffico automobilistico, che non hanno affattoridotto le violazioni, spesso di precetti assolutamente inutili, trasforman-dosi in strumento di gettito comunale, senza benefici sulla sicurezza stra-dale54. Ma soprattutto, se confrontiamo i tassi di adempimento coi tassi dicontrollo effettivo, vediamo che i contribuenti sono ligi, in quanto addi-rittura sovrastimano le possibilità di intervento degli uffici tributari (par.1.7 e 2.12).Usare le punizioni come surrogato dei controlli non solo è inutile, ma

anche controproducente per la funzione tributaria; i pochi che incappanonei controlli, colpiti da un eccesso punitivo raro e casuale, avvertono unsenso di ingiustizia e si chiedono: «Perché proprio io?». Essi sono quinditrasformati in vittime dell’oppressione tributaria dalle tendenze di opinio-ne “antifisco” (par. 2.13). La punizione dipende cioè sempre meno dall’in-sidiosità del comportamento, e sempre più dalla casualità di essere indivi-duati; la bassa percentuale di controlli diventa una disfunzione pubblica,che indebolisce la finalità dissuasiva della pena e dei controlli, di cui sva-nisce l’effettività.Questo casuale accanimento sanzionatorio rende impopolari i controlli,

sgradevoli anche per chi li effettua, nuocendo alla loro sistematicità (par.2.14). Questo contribuisce alla drammatizzazione dei controlli, che creanoimbarazzo politico assecondando la tendenza degli uffici a svolgerne di me-no, con convenienza amministrativa a “farsi durare” le pratiche, coltivandocontenziosi (par. 3.6) anziché aumentarne il numero, spingendo all’adem-pimento (par. 3.4).

53 L’insistenza (un po’ ossessiva) con cui Visco, Colpevoli evasioni, cit., p. 1-3, parladi pena di morte per gli evasori negli antichi imperi, trascura che essa si riferiva alleribellioni contro gli esattori, non all’autotassazione di cui al par. 1.5, che all’epocaneppure era concepibile.

54 Anche sulla sicurezza stradale, come nella funzione tributaria, l’importante non ècomportarsi bene, ma non incontrare la polizia, che non prende mai i pirati dellastrada, ma sanziona qualche malcapitato per divieto di sosta o superamento di limitidi velocità quantomeno bizzarri.

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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Invece di accompagnare l’autodeterminazione delle imposte nei modidi cui al par. 3.4, la funzione tributaria si trasfigura in una occasionale “pu-nizione degli evasori”. Tutto questo diminuisce il controllo tributario delterritorio e ostacola la polarizzazione delle sanzioni sui casi effettivi di per-versione privata. Svanisce insomma la proporzionalità delle sanzioni rispet-to all’insidiosità dei comportamenti; si confondono ad esempio violazioniinterpretative (par. 2.14) e occultamento di imponibili, sanzionati nellostesso modo anche se le prime sono alla luce del sole, e il secondo è difficileda scoprire. Non si riesce a tenere miti le sanzioni all’inizio, come indicatoal par. 3.4, e quindi aumentarle, per chi nasconde ricchezza ostacolandol’intervento degli uffici, o adottando tecniche dilatorie. Per questa grada-zione servirebbe una spiegazione sociale d’insieme della funzione tributa-ria, presupposto per l’assunzione di responsabilità valutativa da parte degliuffici, indicata al par. 3.4.A maggior ragione le considerazioni suddette valgono per le sanzioni pe-

nali, davanti a un fenomeno di massa come l’evasione al consumo finale, dicui al par. 1.6 e seguenti. Da quasi un secolo, del resto, le sanzioni penali,a parte comportamenti attivi come quello del contrabbando, sono solo unmanifesto politico; da una parte per assecondare, con fermezza istituziona-le, le tendenze d’opinione “colpevoliste”, dall’altra per bloccare gli ordina-ri reati, ad esempio in materia di falso e truffa, quando i comportamentisottostanti sono realizzati solo ai fini tributari.Di fatto, le sanzioni penali sono state utilizzate su violazioni interpreta-

tive (par. 2.14) per indurre attonite organizzazioni pluripersonali ad accet-tare contestazioni di modesta fondatezza: l’impatto reputazionale per l’I-talia è stato pessimo, lasciando allibite le multinazionali coinvolte, alle qualinei Paesi di appartenenza un intervento della magistratura penale su que-stioni di diritto, dove niente è stato nascosto agli uffici tributari, appare pa-radossale55. È il riflesso della reinterpretazione italica della già indicata fraseda talk show, «in America gli evasori li mettono in galera»; la frase è statariferita alla mitologia dei “grandi evasori”, trascurando che in America lesanzioni penali fanno da ciliegina sulla torta di un sistema amministrativoche controlla il territorio. Esse scattano soprattutto in caso di non collabo-razione o ostruzionismo del contribuente rispetto all’azione degli uffici tri-butari. Anche qui serve una spiegazione d’insieme della funzione tributa-ria, per creare la torta su cui collocare la ciliegina delle sanzioni penali, fi-nora utili solo a parcelle professionali socialmente parassitarie. Anche il

55 Si è alimentata così la tendenza, negli ambienti aziendali multinazionali, a “venirein Italia solo per le vacanze” come indicato al par. 2.14.

46 EVASIONE FISCALE

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ragionevole dosaggio nel punire la perversione privata degli evasori, quan-do c’è, dipende da una buona spiegazione della funzione pubblica di de-terminazione delle imposte.

2.10 L’illusoria generalizzazione della determinazione contabile delleimposte

Alcune tendenze d’opinione intuiscono che la funzione tributaria con-siste nella determinazione della ricchezza, molto precisa attraverso le mo-dalità contabili e documentali delle aziende; queste tendenze si illudonoperò di risolvere il problema esportando tali modalità contabili dove nonse ne sente il bisogno gestionale, cioè sul piccolo commercio, l’artigianatoe le altre attività non organizzate di cui ai parr. 1.6-1.8.Sfugge a queste tendenze il ruolo delle aziende e, in genere, delle orga-

nizzazioni pluripersonali come corpi sociali, astrazioni prive di bisogniumani, e quindi fiscalmente più affidabili, anche per le altre ragioni indi-cate al par. 1.3. Nasce l’illusione che sia la contabilità, e non l’organizzazio-ne pluripersonale, a creare affidabilità fiscale; quest’equivoco spinge perciòa “esportare la contabilità” dove mancano organizzazioni pluripersonali,incontrando gli stessi fallimenti di chi vuole “esportare la democrazia” incontesti tribali e feudali; un conto è infatti sfruttare la necessità di genuinaformalizzazione documentale, necessaria all’azienda56 e un altro le forma-lizzazioni inutili, proprio perché imposte solo ai fini fiscali. Si cade cosìnell’equivoco di far dipendere l’affidabilità fiscale non dalla ripartizione dicompiti nell’azienda come gruppo sociale (par. 1.3), ma dalla documenta-zione contabile, come se avesse poteri magici57.L’obbligo contabile degli autonomi riflette la solita scarsa dimestichezza

della pubblica opinione italiana col concetto di organizzazione (par. 2.3);è un altro caso di traslazione sugli individui di una formalizzazione docu-mentale tipica delle organizzazioni; per capirlo bastava riflettere sulla dif-ferenza tra il direttore amministrativo di una azienda e il commercialista di

56 I cui documenti possono essere anche oggetto di qualche modificazione ai fini tri-butari, ma devono restare giustificati da esigenze gestionali.

57 Quest’incapacità di cogliere la differenza tra la contabilità dell’industriale e quelladell’artigiano è tipica di tutto l’ambiente tecnico tributario, e non a caso l’assurditàdella contabilità dei soggetti non organizzati è stata colta solo in un approccio di“studio sociale” al tema, ad esempio da Tremonti-Vitaletti, La fiera delle tasse, Il Mu-lino, 1993, pp. 105 e 158.

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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un artigiano. Il primo è responsabile degli incassi, e ne rende conto, in unagenuina contrapposizione di interessi, alla proprietà aziendale; sarà que-st’ultima, se del caso, a ordinare che una parte della ricchezza sia nascostaal fisco, come indicato al par. 1.9, ma correndo i rischi ivi indicati58. Gli in-cassi dell’artigiano o del piccolo commerciante sono invece acquisiti diret-tamente da lui, che poi indica al commercialista quanti registrarne e dichia-rarne al fisco; il commercialista si limita a farsi comunicare incassi e spese,senza motivo di fare neppure sopralluoghi sull’attività; al cliente non serveinfatti un amministratore, in quanto è lui stesso, contemporaneamente,proprietario, dirigente, operaio e fattorino della propria attività. Quest’ul-tima è nota a chi la esercita anche senza ragionieri, bilanci o contabilità, fi-scalmente inaffidabili proprio perché senza giustificazione gestionale.Il ruolo di “contabili” dei professionisti esterni, in senso ampio chiama-

ti “commercialisti”, è quindi una mera superfetazione, mentre sarebberonecessarie altre forme di assistenza con la pubblica amministrazione; leinutili “contabilità fiscali” distolgono invece il professionista da più utilifunzioni di disbrigo burocratico e intermediazione con gli uffici pubblici,anche tributari, come vedremo al par. 3.3 sulla valorizzazione di questa fi-gura professionale.Questa burocratizzazione di piccoli commercianti e artigiani riflette la

confusione e la mancata progettazione giuridica della tassazione attraversole aziende (par. 1.4); è un aspetto della confusa sovrapposizione, nel nostrobagaglio culturale (par. 2.3), tra astrazioni, come il gruppo sociale “azien-da”, e persone, come l’artigiano o il commerciante; il loro insieme di beni,come attrezzature e merci, è definito “azienda”, dal codice civile, in un sen-so del tutto diverso, per comodità identificativa di una cosiddetta “univer-salità di beni”. La confusione dell’opinione pubblica si ritrova nel sistemastatistico nazionale, che considera “aziende” anche le attività di piccolocommercio e artigianato con 1-2 addetti, al pari dell’industria con migliaiadi dipendenti.Nella “geografia economica” delle attività produttive si crea così una

confusione con devastanti riflessi fiscali, nella suddetta “esportazione dellacontabilità”. Si autoproducono scontrini, ricevute fiscali, bolle d’accompa-gnamento, DDT, spesometri, dichiarazioni precompilate, fatture elettroni-che, estensioni della ritenuta d’acconto tra imprese, e tanti altri espedientidi quest’idea di battere l’evasione trapiantando la contabilità dove non ènecessaria. L’informatica ha rilanciato la concezione della contabilità come

58 Anche perché qualcun altro, nell’azienda, a cominciare dal capo contabile, ne saràal corrente.

48 EVASIONE FISCALE

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mitico grande fratello fiscale: è nata l’illusione che il computer, come il go-lem della mitologia ebraica, potesse avere miglior successo degli uomininella cosiddetta “lotta all’evasione fiscale” (senza capire che proprio questoconcetto era il problema, non la soluzione!). Si trascura che il bisogno dicontabilità è tipico dei gruppi sociali, e neppure l’informatica potrà farlonascere dove un gruppo sociale non c’è; senza questo presupposto i com-puter saranno sempre e solo “cretini veloci”, da utilizzare piuttosto a sup-porto delle stime degli uffici, come vedremo ai parr. 3.4 e seguenti.L’illusione di determinare in modo contabile gli imponibili non filtrati

da un’organizzazione, emerge anche nella “tracciabilità”, dei mezzi di pa-gamento, negli incroci informatici di vari dati, come quelli bancari. Queste“tracce” sono certo fiscalmente più affidabili dei “contanti”, ma non sonoconcepite per la specificazione tributaria dei concetti economici fiscalmen-te imponibili di cui al par. 1.159, come invece accade nella tassazione attra-verso le aziende.Queste ultime “qualificano giuridicamente” le operazioni cui hanno

partecipato, mentre le banche non possono farlo, semplicemente perchésono un “mero tramite”; esse non hanno riscontri formali del motivo eco-nomico per cui, sui conti dei clienti, transitano somme in entrata e in uscita;anche acquisire tutti i dati dei conti, cosa oggi fattibile materialmente e giu-ridicamente, richiede agli uffici tributari di riaggregare i dati per determi-nare gli imponibili. Questa necessità di reimpostare i dati, aggregati con fi-ni diversi, impedisce una determinazione ragionieristica “di massa” degliimponibili in base ai dati bancari. La graduale diminuzione delle operazioni in contanti segue un processo

spontaneo, la cui accelerazione dirigistica crea perdite di consenso sociale;inoltre esistono delle aree in cui i contanti hanno giustificazioni economi-che e la loro circolazione può ridursi alla quota che piccoli commerciantie artigiani vogliono evadere; basta una quota anche piccola dell’economia,che “gira” molto in contanti per soddisfare chi ha la possibilità di evadere;anche quando il contante scomparirà, resteranno i contatti tra individuiconsumatori finali e loro fornitori non organizzati; pur finendo sotto il con-trollo pubblico, la moneta nasce privata, e i privati potranno quindi trovarenuove modalità di pagamento, dai bitcoin alle monete parallele di vicinato,al limite nuove forme di baratto. L’erroneità del mito mediatico secondocui “abolire il contante” equivarrebbe ad “abolire l’evasione” è confermatadalla diffusione dell’evasione “di massa” anche in Paesi in cui la moneta

59 I consueti concetti di ricavo, costo, movimento patrimoniale, rimborso di creditie debiti, ecc.

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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cartacea è stata pressoché abbandonata. La massa dei lavoratori indipen-denti forse lo intuisce60, e se da un lato teme il grande fratello fiscale, con-tinua a dichiarare poco, come visto ai parr. 1.7 e 1.8, preferendo un rispar-mio immediato a un rischio di controllo futuro, diluito su milioni di altrisoggetti, anche quando le operazioni sono transitate su conti bancari.L’illusione di “esportare la contabilità” dove non esistono organizzazio-

ni amministrative affidabili si ritrova nell’idea di utilizzare il consumatorefinale per segnalare il ricavo del proprio fornitore, potendo dedurre incompenso una parte della spesa di consumo. Questa deduzione contrastacon la logica elementare della determinazione della ricchezza, in quanto sideducono i costi, necessari a produrre ricavi, non i consumi. Lasciar de-durre una quota di consumi è quindi solo un incentivo in cambio della se-gnalazione del fornitore da parte del cliente consumatore. Alcuni chiama-no questa deduzione “contrasto di interessi”, accampandone l’esistenzanegli USA, dove però riguarda solo spese di rilevanza sociale, come i nostrioneri deducibili, ad esempio le spese sanitarie. Anche da noi questo meto-do è stato utilizzato solo per spese “meritevoli” per riqualificazione abita-tiva e risparmio energetico, come quelle per ristrutturazioni edilizie; se ge-neralizzato, il contrasto di interessi, oltre ad essere illogico sul piano delladeterminazione della ricchezza (par. 1.1) darebbe luogo a una enorme per-dita di gettito.

2.11 Tendenza uguale e contraria a formalizzare le stime: catasto e studi disettore

All’esportazione della determinazione contabile, esaminata al paragrafoprecedente, corrisponde un’altra tendenza a superare il dualismo tra stimevalutative e determinazione contabile degli imponibili; il criterio è stavoltaquello di rivestire le stime valutative con un apparato meccanicistico che lefaccia assomigliare alle determinazioni contabili; si cerca quindi di forma-lizzare le variabili sottostanti alle stime in un reticolo matematico-statistico,che le renderebbe predeterminabili ex ante.Anche questo tentativo di superare la spaccatura tra determinazioni del-

l’imponibile (par. 2.2) è però superficiale. Formalizzare ex ante le stime èinfatti possibile solo dove ci sia una base omogenea, che consente una stima

60 Da una parte il senso comune è consapevole che negli importanti processi controla grande criminalità organizzata si tracciano i pagamenti più minuti, ma intuisce an-che l’impossibilità di farlo su larga scala.

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personalizzata, come nei criteri catastali dell’agricoltura (par. 1.2); essi giàindicano la tendenza delle forfettizzazioni ad attestarsi “al ribasso”; la dif-ficoltà di distinguere tra le attività floride e quelle in crisi spinge ad appli-care a tutti le stime più basse; per questo la catastizzazione di attività “nonagricole”61 manca di precedenti62.Forfettizzare in questo modo redditi artigianali, commerciali, e profes-

sionali, contrasta con la pluralità di tracce documentali lasciate, anche pertali attività, dalla moderna tassazione attraverso le aziende; per molti con-tribuenti quindi, come per l’agricoltura, si escluderebbero da imposte in-troiti effettivi, documentalmente e materialmente visibili. Ci si attesterebbecioè al ribasso, in modo asimmetrico: il vantaggio di chi sarebbe esentatosu redditi effettivi non sarebbe controbilanciabile dalla penalizzazione ditassare altri su redditi fittizi63. In un contesto dove i dipendenti e gli altricontribuenti soggetti a ritenuta pagano sulla ricchezza effettiva attraversole aziende, sarebbero improponibili “rendite fiscali” da catastizzazione,per gli autonomi, tarando le forfettizzazioni al ribasso.Forse per questo le ragionierizzazioni delle stime non furono costruite

come forfettizzazioni, ma come semplificazioni dell’intervento ammini-strativo; a questo schema corrispondevano infatti i paventati accertamentisintetici di massa, attraverso il cosiddetto “redditometro”, l’effimera “mi-nimum tax” e gli “studi di settore”. Questi ultimi sono stati lo strumentopiù approfondito, diretto a ripercorrere, formalizzandole numericamen-te, e irrigidendole in formule prestabilite, le tradizionali stime valutativedei ricavi.Queste ultime selezionavano caso per caso le caratteristiche economico-

materiali più rilevanti dell’attività economica oggetto di stima, dando a cia-scuna un peso specifico comparativo, un po’ come tutti facciamo per valu-tare un appartamento. Gli studi di settore calano invece questo processo

61 Cioè “mobiliari” nel senso di cui al par. 1.2.

62 Gli antichi catasti non agricoli servivano come una specie di “tabelle millesimali”per la divisione delle imposte richieste globalmente a una determinata collettività ter-ritoriale (par. 1.2).

63 Se infatti una parte anche minoritaria di contribuenti ci rimettesse, protesterebbetalmente da innescare recriminazioni in cui si inserirebbe anche chi ci guadagna, inmodo da guadagnarci ancora di più. Giustificare la tassazione di redditi fittizi perchéesiste una simmetrica esenzione di redditi reali è politicamente improponibile nelcontesto attuale; una giustificazione teorica fu avanzata da Einaudi come penalizza-zione per la cattiva gestione delle terre, beni naturalmente produttivi, ma erano altritempi.

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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mentale in formalizzazioni numerico-statistiche astratte; esse cercano diconsiderare simultaneamente, a priori, le variabili rilevanti per la stima deiricavi registrati, come il ricarico delle vendite rispetto agli acquisti64, le pre-stazioni effettuabili in base alle dimensioni e agli addetti, il rapporto tra ma-terie prime e prodotto finito, la remunerazione figurativa del titolare, la ri-cettività o le dimensioni dei locali, gli impianti, ecc.Gli studi di settore eliminano la valutazione umana del peso specifico

degli indizi, effettuando la loro ponderazione in astratto; ne deriva l’attri-buzione dello stesso peso a indizi in concreto irrilevanti, o all’opposto de-cisivi, assorbenti rispetto a tutti gli altri. Ad esempio il ricarico sulle materieprime è fondamentale per un fornaio, del tutto irrilevante per un garagista,secondario per un albergatore, ma gli studi seguono un unico modello, chemortifica le specificità delle varie attività economiche.Inoltre gli studi di settore sono completamente scollegati rispetto alla

determinazione contabile degli imponibili, che pure fornisce indizi spessoimportanti anche per questi contribuenti; si tratta dei cosiddetti “indizicontabili”, come la quantità di ricavi conseguiti con mezzi di pagamentotracciabili (par. 2.10) oppure da clienti che effettuano ritenute; gli studi tra-scurano così la portata indiziante dei pagamenti “in bianco” rispetto allapossibile incidenza di incassi in contanti non registrati, vista la tipologia diattività svolta65.Ulteriori difetti della rigidità del modello degli studi, non personalizzato

per categoria, sono il limite di ricavi (sotto 5,16 milioni di euro) applicabileanche ad aziende appartenenti a gruppi multinazionali rigidamente orga-nizzati, a enti pubblici, dove manca un padrone in grado di occultare i cor-rispettivi, ad autonomi “monocliente” operanti con sostituti d’imposta,che nulla possono evadere66.La media dei redditi dichiarati, dopo almeno 15 anni in cui gli studi di

settore sono “a regime”, non è diventata molto più credibile, anche se – cu-riosamente – circa il 90% degli operatori sono “congrui” rispetto ad essi.Questa alta percentuale di “coerenze” si spiega infatti anche con la possi-bilità di selezionare i dati rilevanti ai fini degli studi, ridotti quindi a unaspecie di videogioco per commercialisti, nell’assenza di un intervento valu-

64 È il sistema delle cosiddette “percentuali di ricarico”.

65 È ad esempio poco credibile un barista col 90% degli incassi dichiarati tramitemoneta elettronica, come se non ricevesse mai contanti, oppure un geometra che hasolo incassi con ritenuta alla fonte, come se non lavorasse mai con clienti privati.

66 Si pensi ad esempio ai rappresentanti di commercio, le cui provvigioni sono sog-gette a ritenuta.

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tativo degli uffici; questi ultimi non si trattengono tuttavia dal sottoporreanche gli operatori coerenti con gli studi ad accertamenti presuntivi perso-nalizzati; è un aspetto della tendenza ambientale, dovuta a un intreccio dimalintesi, confusioni e miopi convenienze, a fare “pochi accertamenti”, main compenso vessatori67.Il fastidio verso gli studi, da parte degli uomini di azienda e di diritto,

deriva anche dai formalismi statistici di cui sono imbevuti68 estranei alla cul-tura del settore. Inoltre l’aspirazione istintiva, sottostante agli studi, a for-malizzare le stime, contraddice l’opposta contemporanea tendenza a“esportare la contabilità”, di cui al paragrafo 2.10. Questo graduale “logo-ramento degli studi”, ha portato a un loro rimpiazzo con fantomatici indi-catori di affidabilità fiscale”. È una abolizione annunciata nel 2017, nelquadro della retorica del “fisco amico”(par. 3.7), ma legislativamente dif-ferita al 2019, dopo le elezioni di marzo 2018. Staremo quindi a vedere cosasarà dello strumento meno bislacco escogitato in materia, che potrebbe di-ventare un tassello preliminare delle stime personalizzate, a passaggi suc-cessivi, proposte al par. 3.4.Per ricomporre la spaccatura tra determinazioni, valutative e contabili

dell’imponibile, ne occorre però prima una razionalizzazione, non certo fa-cilitata dalle tendenze di cui ai prossimi paragrafi.

2.12 Il “razzismo sociale” della cosiddetta “onestà e disonestà fiscale”(quanto spiega la perversione privata?)

La spiegazione colpevolistica dell’evasione, già emersa al par. 2.9 sulle“manette agli evasori”, si ritrova nei frequenti riferimenti alla divisione tracontribuenti “onesti” e “disonesti”; in essa riemerge l’ancestrale tendenzaa imputare i mali sociali (nel nostro caso l’evasione, ma anche disgrazie oepidemie) a “colpe” di qualcuno69; questa tendenza si ritrova nel cosiddetto“complottismo”, diffuso in un’opinione pubblica carente di formazione

67 Viene declinata così l’equivoca formula della “lotta all’evasione”, come indicatoal termine del par. 2.13; essa non contribuisce all’adempimento, ma piuttosto spingea pensare che l’importante sia non essere controllati, anziché essere credibili.

68 Regressione lineare multipla, reti neurali, cluster, intervalli di confidenza, ma an-che “congruità”, “coerenza”, con esoteriche e sfuggenti distinzioni.

69 Si ripropongono così, antropologicamente, le ancestrali tendenze che spiegavanole siccità, le inondazioni o i terremoti con “la colpa” di qualcuno, spesso da espiareattraverso sacrifici rituali.

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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sociale (par. 2.3). L’evasione diventa così, secondo il titolo di questo libro,una perversione privata di contribuenti “disonesti”, protetti da politiciconniventi(parr. 2.-13 e 3.7); nasce così la fuorviante figura dell’“evasorecongenito”, una specie di nemico del popolo, come un untore di manzo-niana memoria; non a caso nelle cronache giornalistiche e nei processi me-diatici (par. 2.6) si sente spesso dire: «Non sono un evasore», come in an-tichi processi per stregoneria, anch’essa innestata, come l’evasione, su unnotevole disorientamento sociale.Quest’idea lombrosiana di evasore per tendenza, rilevabile dai tratti so-

matici, magari mani pelose o naso adunco, come il marchio di Satana per lestreghe, trascura ancora una volta la funzione conoscitiva tributaria comedeterminazione degli imponibili, confondendola col senso civico. Come sequest’ultimo cambiasse tra artigiani, impiegati, risparmiatori, commercian-ti, proprietari di appartamenti, esercenti un secondo lavoro70, venditori am-bulanti e così via. Prima di tutto, anche coloro che sono tassati attraversole aziende, come i dipendenti, spesso non brillano, rispetto agli autonomi,per senso civico quando si presenta loro l’occasione, ad esempio sull’assen-teismo, i fuori busta, le dichiarazioni ISEE, ecc.71

Se l’evasione dipendesse da onestà e senso civico dovrebbe distribuirsiuniformemente, nei grandi numeri, tra i titolari di diverse forme di ricchez-za, mentre si polarizza su quelle difficili da individuare e determinare; èquindi “l’occasione a fare l’evasione”, come in tutte le altre occasioni didevianza (free riding) indicate sopra. Differenziare il senso civico per atti-vità economica, trascurando la diversa rilevabilità e determinabilità, daparte del fisco, di alcuni imponibili rispetto ad altri, è quindi una spiega-zione “socialmente razzista”, legata all’utilizzo dell’evasione per propagan-da politica indicato al par. 2.13. L’idea generale autorazzista sul mancatosenso civico degli italiani, è poi smentita da quanto indicato ai parr. 1.7 e1.8, sulla sopravvalutazione dei controlli fiscali72, e sul rispettabile tasso diadempimento rispetto alla scarsità del controllo valutativo da parte degliuffici tributari.

70 O anche dipendenti non soggetti a ritenute alla fonte, ad esempio per lavoro do-mestico, dove il tasso di adempimento fiscale crolla.

71 Anche questo conferma che il senso civico di una collettività è unitario, senza fram-mentarsi tra comportamenti “tributari”, “ambientali”, “stradali”, “sanitari”, e viaenumerando.

72 Sul piano dell’“onestà-disonestà”, gli autonomi tradizionali “in sede fissa” sonoinsomma proporzionalmente più onesti di quanto sia sistematico l’intervento degliuffici tributari.

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Il senso civico è casomai un passaggio successivo, inserito dopo la valu-tazione di determinabilità dei propri imponibili, anche in reazione allapressione dei propri bisogni personali e familiari. Nel confrontare le diver-se situazioni dell’autonomo al consumo finale e dell’impiegato di banca,tassato al centesimo tramite ritenute, il senso civico e l’onestà hanno unruolo ridottissimo; a parti invertite probabilmente l’impiegato si compor-terebbe anche peggio dell’autonomo, in quanto il confronto ha senso a parideterminabilità dell’imponibile; ad esempio, un carrozziere non ha più sen-so civico di un idraulico, ma si rende conto di essere fiscalmente più visibile(sia pure in via estimativa) rispetto all’idraulico, operante di solito nel do-micilio dei clienti (par. 1.8). Possiamo al limite quindi parlare di disonestàdi un carrozziere rispetto a un altro, fiscalmente meno spregiudicato. Èperò una variabile soggettiva e secondaria rispetto alla visibilità degli im-ponibili, che spiega ben poco dell’evasione, salvo supportarne la spiegazio-ne pedagogica73, magari gestita a forza di sanzioni (par. 2.9).Alla fine questa spiegazione è un diversivo per i contribuenti più spregiu-

dicati desiderosi di “autoassolversi” («Tanto evadono tutti!»), per i redattoridi accertamenti sbrigativi (difesi perché «tanto sono tutti evasori») e per chinon vuole impegnarsi nel progettare la funzione tributaria (parr. 3.3-3.5). La rilevanza del senso civico è entrata in crisi con la riduzione dell’area

del lavoro dipendente, e la sua precarizzazione, coi riflessi tributari di cuial par. 1.8; la frequenza con cui molti ex dipendenti sono stati costretti a“inventarsi un lavoro autonomo”, la sua flessibilità e l’intercambiabilità“subordinato-autonomo” hanno fatto riflettere. Tuttavia questa spiegazio-ne ormai viveva di vita propria e ha contribuito alla mitologia dei “grandievasori”, con le divagazioni politiche di cui al prossimo paragrafo e le di-sfunzioni amministrative di cui al successivo par. 2.14.

2.13 Il groviglio delle opposte strumentalizzazioni politiche.

Le spiegazioni basate sul senso civico, l’onestà e la disonestà, assumonofacilmente una colorazione politica. In primo luogo perché l’evasione fiscaleè un meccanismo difensivo usato dai sostenitori dell’intervento pubblico(più tasse più Stato) per fronteggiarne le diffuse critiche di inefficienza.

73 Come quella del volumetto di Fichera, Le belle Tasse, Einaudi, 2011, più di “edu-cazione civica” che di formazione sociale su “Stato”, “mercato” e funzione tributa-ria. In senso inverso, anche a riprova delle tendenze di opinione più diffuse basta cer-care in rete l’espressione “un bimbo mi ha chiesto che cosa sono le tasse”.

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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Invece di effettuare un difficile, e spesso imbarazzante, esame di co-scienza sui motivi dell’inefficienza di tanti pubblici uffici, è più facile attri-buirne le disfunzioni alla mancanza di fondi, a sua volta collegabile con l’e-vasione fiscale. Quest’ultima, come perversione privata, diventa così un di-versivo rispetto alle disfunzioni generali dell’intervento pubblico. Laperversione privata rappresentata dall’evasione è un meccanismo di auto-difesa dell’area culturale politico-sindacal-burocratica rispetto alla crisidell’intervento pubblico e alle sue precise responsabilità gestionali. L’eva-sione viene cioè utilizzata per coprire la disfunzione pubblica nel funzio-namento di tanti aspetti di sanità, istruzione, infrastrutture, ambiente e altrisettori; la relativa disorganizzazione (disfunzione pubblica) può in questomodo essere trascurata, dando la colpa alla perversione privata degli “eva-sori”, e sorvolando su sprechi e ruberie.Nasce così lo slogan della “lotta all’evasione”, grazie alla quale si potreb-

be rendere di nuovo efficiente l’intervento pubblico sorvolando sulla de-responsabilizzazione e gli sprechi che lo paralizzano. Quest’atteggiamentoinserisce nettamente l’evasione tra i vizi privati, mettendo in ombra le di-sfunzioni pubbliche nella determinazione dei tributi, dovute alle carenzeesplicative di cui ai parr. 2.4 e seguenti. Usare l’espressione “lotta all’eva-sione” per definire la funzione tributaria è fuorviante visto che le funzionipubbliche non si definiscono come “lotta contro qualcosa”, ma “per qual-cosa”, ed è come se la sanità fosse definita “lotta alla malattia”, l’istruzione“lotta all’ignoranza”, l’ambiente “lotta all’inquinamento”, la viabilità “lottaal traffico” e via enumerando.Una serena determinazione degli imponibili è oggettivamente ostacolata

da questo richiamo alla “lotta all’evasione”, di cui è facile l’accostamentobarricadiero alla “lotta di classe”. La redistribuzione tributaria della ric-chezza sembra quindi una sorta di “piano B”, rispetto al fallimento dellaredistribuzione proletaria; quest’ultima ha lasciato in una qualche misuraorfano un certo mondo culturale dove la sinistra era egemone74, mentre lacultura “liberale” non era altrettanto organizzata e militante. La trasforma-zione degli operatori economici in sospetti “ladri di tasse”75, si addiceva aun “popolo di sinistra”, composto in gran parte da lavoratori dipendenti,specie pubblici, e pensionati, tutti con redditi tassati alla fonte76. La lottaall’evasione è un modo per ricompattare queste aree culturali, anche se la

74 Ancorché spesso si trattasse di una sinistra “da salotto” o come si dice “al caviale”.

75 Livadiotti, Ladri, gli evasori e i politici che li proteggono, Bompiani, 2014.

76 Come pure l’intellighenzia “impegnata”, nella cultura e nello spettacolo, anch’es-sa in gran parte di sinistra.

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massa di autonomi non è particolarmente benestante, e spesso commettel’evasione di sopravvivenza indicata al par. 1.7; le poche sospette evasionidel capitalismo a proprietà familiare (par. 1.9) fanno dimenticare che, a parivisibilità dell’imponibile, chi ne ha di più tende ad adempiere, in quantoha già soddisfatto bisogni prioritari.Quest’atteggiamento di “lotta” riapre frizioni sociali mai razionalizzate

e ostacola paradossalmente la funzione tributaria, favorendo l’evasione77.Soprattutto alimenta reazioni di segno opposto, in senso ampio “antifisco”;anch’esse trascurano la diversa determinabilità degli imponibili, calcandola mano sull’elevata pressione tributaria, sul basso livello dei servizi, sullavessatorietà degli interventi del fisco, sulla paralisi burocratica di cui dice-vamo all’inizio del paragrafo, ecc.Potrei parlare di un intreccio di “opposti isterismi”, se non fossero ten-

denze di opinione (par. 2.3) nel complesso inconsapevoli e schizofreniche,parallele, ma spesso convergenti, ad esempio nell’atteggiamento “antia-ziendale” riflesso sui controlli (parr. 2.14 e 3.2). L’attuale prevalenza cosid-detta “antistatalista” (par. 3.7), non è consolante, perché i pubblici ufficisono fondamentali per il funzionamento delle aziende e dell’economia78. Sipotrebbe dire, tornando a un frequente aforisma, che le tasse sono una cosabellissima quando la funzione tributaria è esercitata in modo efficiente eperequato. Perché ciò avvenga occorre però la consueta spiegazione d’in-sieme di tale funzione, senza la quale si autoproducono le distorsioni di cuial prossimo paragrafo.

2.14 I danni sociali della mancata spiegazione della funzione tributaria edell’evasione

La mancanza di spiegazioni d’insieme della funzione tributaria crea undisorientamento sociale che si riflette sugli uffici tributari; tutti i pubbliciuffici rendono conto, in ultima analisi, alla pubblica opinione (par. 2.3), alletendenze che in essa si intrecciano, e che sull’evasione fiscale sono confusee scoordinate. Questo disorientamento confonde i pubblici uffici, simili al

77 In quanto costringe gli uffici tributari a essere “intransigenti” (“fiscali”) verso co-loro contro cui bisogna “lottare”; viene da pensare che questa retorica sia funzionale,per tornare ai tempi della lotta di classe. a una radicalizzazione dello scontro, di cuiperò sta facendo le spese il fisco, almeno a livello di pubblica opinione.

78 Sul rapporto tra comparto politico-giuridico ed economico vedi la metafora delcontenuto e del contenitore in Lupi, Compendio di scienza delle finanze, cit., par. 2.11.

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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marinaio dell’aforisma di Seneca, cui «manca sempre il vento, se non sa do-ve vuole andare», cioè se non riceve indicazioni dai suoi referenti ultimi,cioè la società, declinata negli interessati al tema di cui al par. 2.3. Tutto eramolto più chiaro quando costoro erano consapevoli che le imposte dove-vano essere “imposte” dagli uffici tributari, con valutazioni per ordine digrandezza (par. 1.2). Oggi invece, la tassazione attraverso le aziende, e l’e-vasione dove queste non arrivano, hanno confuso la pubblica opinione, edestabilizzato anche gli uffici tributari.La loro attività è molto cambiata per ragioni fisiologiche, connesse alla

molteplicità di contatti, constatabili in qualsiasi front office di un’Agenziadelle Entrate, per l’assistenza ai privati negli adempimenti di autotassazio-ne; questa rende infatti necessaria un’amministrazione di servizio, dedicataall’assistenza dei privati, prima di tutto nel fronteggiarne le richieste, comel’attribuzione della partita IVA, del codice fiscale, la registrazione di con-tratti, gli accatastamenti, i rimborsi, la consulenza amministrativa consi-stente negli interpelli. Gli uffici devono poi dare qualche seguito alla massadi comunicazioni, dichiarazioni, riscossioni, provenienti dai contribuenti,da archiviare e liquidare in un’attività ripetitiva, seriale, anonima, dando ri-scontri e chiedendo se del caso versamenti a conguaglio. Sono compiti se-riali, ripetitivi, doverosi, tranquilli, anonimi, molto meno impegnativi e piùsereni della stima valutativa di imponibili non dichiarati, più soggettiva eimbarazzante79.Queste stime valutative della ricchezza evasa sono potenzialmente fonte

di lamentele e imbarazzo, oltreché soggettive e responsabilizzanti; i cosid-detti “controlli sostanziali”, diretti a valutare la ricchezza non registrata sidirigono a chi non li desidera affatto, mentre la suddetta assistenza ammi-nistrativa ha una domanda sociale. Ciò innesca meccanismi psicologici, ti-picamente burocratici, che privilegiano istintivamente la destinazione delpersonale alla suddetta “amministrazione di servizio”, con le sue pratiche“tranquille”, “scomponibili” e quindi organizzativamente controllabili.Si innesca così, in uffici operanti fuori mercato, una tendenza inconscia

ad attribuire risorse a controlli formali, autoamministrazione e reinterpre-tazione del dichiarato, a scapito della stima valutativa dell’evasione, moltopiù esposta a critiche nel suddetto contesto di confusione sociale.Anche l’allocazione delle risorse dedicate ai controlli è alterata dalla

mancata spiegazione sociale d’insieme della funzione tributaria, e dalle re-criminazioni di cui al precedente par. 2.13. A favore delle stime valutative

79 Con riferimento alle accuse di vessazione e ai sospetti di corruzione di cui al par.3.5 e più avanti in questo paragrafo.

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degli imponibili evasi c’è solo l’interesse indiretto della parte di pubblicaopinione sensibile alla perequazione tributaria. I destinatari di quest’inter-vento sarebbero tuttavia ben felici che esso non avvenisse affatto.Confusione e lacerazione sociale, indicate al paragrafo precedente, vi-

vono di vita propria, si autoalimentano e si sfogano paradossalmente pro-prio sulle aziende; ciò per una combinazione di convenienze politico-me-diatico-amministrative riversate su una pubblica opinione che trasla sulleaziende il comportamento di piccoli commercianti e artigiani, compresa latendenza ad evadere per bisogni personali, che le organizzazioni non han-no (par. 1.3).In un bagaglio culturale di massa sostanzialmente preindustriale, privo

del concetto di organizzazione pluripersonale, l’azienda è vista come un ar-tigiano o un commerciante molto cresciuto, di cui mantiene i comporta-menti, come fosse una specie di “omone” dedito al profitto. Sull’onda diparametri “umani”, come l’onestà e la disonestà (par. 2.12), è facile consi-derare negativamente le aziende in quanto entità “non umane”, trasforma-te in ottimo capro espiatorio su cui sfogare le note tensioni sociali, tra di-pendenti e autonomi.La rigidità aziendale, la spersonalizzazione amministrativa, i meccanismi

contabili misteriosi per i più80, diventano rapidamente “disonestà”; l’imma-gine diffusa delle aziende sfruttatrici di dipendenti, sprezzanti dell’ambien-te, della salute di lavoratori e consumatori, della rovina dei risparmiatori,ecc., induce a considerarle per definizione “fiscalmente disoneste”. Poi leaziende non votano, e sono insignificanti elettoralmente in quanto guarda-te con diffidenza anche da chi ci lavora81; neppure i titolari delle aziende,assorbiti dalla propria gestione, valorizzano nel pubblico dibattito l’idea diazienda, come vedremo al par. 3.3; anzi, forse hanno interesse a scaricaresulle aziende l’invidia sociale e i sospetti di loro evasione personale, indicatial par. 1.9. La politica e l’amministrazione fiscale, non sostenute da unaspiegazione d’insieme della funzione tributaria, devono assecondare, per imotivi indicati all’inizio del paragrafo, questa tendenza di opinione, rias-sumibile nel mito sociale dei “grandi evasori”.Assecondare questo mito negativo, declinandolo sulle aziende, ha anche

convenienze mediatico-politiche, assecondando le tendenze antiaziendali

80 La quasi totalità della pubblica opinione non capisce la quadratura al centesimodei bilanci, e quindi istintivamente la considera frutto di chissà quale losco artificio.

81 Sulla frustrazione dovuta all’inserimento in un contesto aziendale con un bagaglioculturale umanistico letterario Lupi, Compendio di scienza delle finanze, cit, par. 4.5.

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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e sensazionalistiche della pubblica opinione82. Non a caso la concentrazio-ne dei controlli sulle aziende è stata bipartisan, lanciata nel 2000 da un go-verno di centrosinistra, ma ripresa da governi di centrodestra, tecnici, e diogni sfumatura.Si autoproducono così le “contestazioni interpretative”, gradite anche

agli uffici, in quanto riportabili alla normativa, senza le assunzioni di re-sponsabilità connesse alle stime valutative della ricchezza non registrata; lequestioni di diritto hanno infatti una “copertura legislativa” molto maggio-re, e ripropongono la tendenza dei pubblici uffici “non giurisdizionali”(parr. 1.1 e 3.6) a imitare il giudice dedicandosi all’interpretazione. Talicontestazioni sono anche gradite a quegli imprenditori che hanno nell’ar-madio gli scheletri di cui al par. 1.9 nonché ai consulenti, tra cui la parte in-tellettualmente più vivace degli esponenti dell’accademia, da cui dovrebbeinvece venire la spiegazione d’insieme della funzione tributaria.Benché non sia neppure quantificata nelle stime macroeconomiche

dell’evasione (par. 2.1), l’evasione interpretativa costituisce perciò la partepiù significativa delle statistiche dei controlli83. In questo modo la funzionetributaria viene distolta dalla stima della ricchezza non registrata, tendendoalla reinterpretazione dei regimi giuridici applicati.Si invertono così le priorità degli interventi degli uffici, che finiscono per

concentrarsi dove servono di meno, con la conseguenza che paradossalmen-te i controlli fiscali si sprecano, nel vero senso della parola. I controlli valuta-tivi sulla ricchezza non registrata scendono così al minimo necessario a sal-vare le apparenze, e sono improntati a formalismi e scaramantica severità,nel solco della “lotta all’evasione”; gli autonomi sono così considerati dei“nemici” e per questo l’azione amministrativa nei loro confronti non è quasiavvertita, perde sistematicità, diventa “cattiva” perché diffidente e “rara”;essa diventa cioè “fiscale” in senso negativo, cioè intrisa di sospetto e scara-mantico rigore sui pochi contribuenti controllati; le loro lamentele, come in-dicato al par. 2.9, diffondono un messaggio controproducente per il fisco, fa-cendo pensare che l’importante non sia dichiarare importi credibili, ma nonsubire controlli, destinati comunque a contestare qualcosa, per scaramanziae “risultato statistico”. Ciò oggettivamente diminuisce il tasso di adempi-mento rispetto agli interventi più sereni e sistematici di cui al par. 3.4.

82 Dall’antica mentalità “antipadronale”, per molti aspetti condivisibile, di cui alpar. 2.14, alla mentalità antiaziendale, socialmente distruttiva, il confine è infatti mol-to sfumato.

83 Tolta la rendicontazione, come risultato di servizio, del semplice incasso di impo-ste dichiarate e non versate, per cui spesso basta spedire una raccomandata.

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Torniamo alle contestazioni interpretative, che riguardano i regimi giu-ridici, i tempi e i modi della tassazione, l’abuso del diritto, i rapporti neigruppi multinazionali, i prezzi di trasferimento, ecc.; basta forzare le cor-relazioni concettuali della tassazione attraverso le aziende, combinando inmalam partem forma giuridica e sostanza economica, per confezionare ac-certamenti milionari; adottando a corrente alternata criteri sostanzialisticio formalistici l’operato dell’azienda è sconfessabile in base alla forma, se leiha seguito la sostanza, e viceversa. Una volta erano rilievi resi necessari dapianificazioni fiscali elusive, ormai cessate da tempo; anche oggi, benchél’elusione sia sconfitta, e l’evasione dilaghi, si costruiscono contestazioni in-terpretative, enfatizzando gli aspetti che aumentano l’imposta e minimiz-zando, quelli che la diminuirebbero.Sono contestazioni che mescolano divagazioni civilistiche e aziendalisti-

che, senza un preciso filo conduttore, ma vagamente in tema, come lascientificità esteriore accademica di cui al par. 2.4; vedremo al par. 3.6 cheesse sono difficilissime da confutare, anche dove manca qualsiasi conve-nienza tributaria o risparmio di imposta (il cosiddetto “danno erariale”); sipensi all’annosa vicenda del disconoscimento di deduzione dei compensiagli amministratori, regolarmente dichiarati dai percipienti. Questa diffi-coltà di confutazione dipende dalla ritrosia del giudice a sconfessare i pub-blici uffici in questioni complesse e fumose, in cui non si trova a suo agio.Ciò trasforma questi rilievi in uno strumento di potere, di prestigio istitu-zionale, che la stessa pubblica opinione, nella confusione generale sull’eva-sione, senza saperlo spinge a usare. Si autoproduce così un circolo vizioso,che in qualche modo asseconda le convenienze di tutti, dagli imprenditoricon la coscienza sporca per vere frodi fiscali, a consulenti desiderosi di la-voro, sia pure parassitario e socialmente inutile, a uffici restii ad esporsi instime e cui conviene fare risultato di servizio con questioni di diritto. Que-ste ultime sono presentate come “lotta all’evasione”, come se “il sommer-so”, i 120 miliardi di imposte evase, derivassero dall’abuso del diritto edall’elusione dei “grandi gruppi”, che invece neppure compaiono nelle sti-me dell’evasione di cui al par. 2.1.Gli effetti sull’interesse generale sono però devastanti sotto ulteriori

profili, in quanto al suddetto sviamento dei controlli dagli imponibili oc-cultati84 si aggiunge anche uno spreco di risorse delle aziende; ciò sia per il

84 Evasione fiscale, paradiso e inferno, Ipsoa, 2008, nella cui prefazione temevo si po-tesse fare strada un assetto in cui l’importante non era comportarsi correttamente,ma non essere presi, e che «l’unica soluzione fosse nascondere e l’unica certezza cor-rompere».

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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personale interno sia per i paludati professionisti, socialmente parassitari,su cui le aziende esternalizzano le grane di quest’inconcludente rappresen-tazione sociale, concentrandosi per il resto sul business85; vedremo infattial par. 3.2 la strutturale incapacità delle aziende di vedere al di là del pro-prio settore, valorizzando il proprio stesso ruolo generale di “corpi sociali”,anche nella funzione tributaria.L’impatto di quanto sopra sulle aziende, e quindi sull’economia, è in-

fatti negativo, sia per gli investitori esteri sia per il cosiddetto capitalismofamiliare. Quest’ultimo è indotto dalle contestazioni interpretative in ten-tazioni evasive, basate sui residui margini per scavalcare le procedure delleproprie aziende; l’occultamento vero e proprio degli imponibili diventa,anziché il problema, la soluzione per chi può organizzativamente permet-tersela, in quanto non richiede consulenze ed è al riparo da contestazioniinterpretative; la tendenza degli uffici a cercare queste ultime è anzi unaprotezione per chi riesce a nascondere ricchezza secondo i vari marchin-gegni di cui al par. 1.9. Questo rafforza la tendenza del capitalismo fami-liare a mantenere le aziende abbastanza piccole per consentirne il tradi-zionale controllo padronal-fiduciario, senza condividere il potere con altrisoci, che limiterebbero i margini di manovra per scavalcare le procedureaziendali a fini evasivi.Gli investitori esteri, le poche aziende italiane a proprietà composita,

non familiare, e i manager, avvertono queste tendenze d’opinione ostili al-l’idea di azienda; c’è sopportazione, finché conviene mantenere l’aziendain Italia, ma questo malessere pesa sulle decisioni riguardanti la collocazio-ne di nuovi insediamenti produttivi, o la chiusura di siti già esistenti.Se in questi ambienti l’Italia viene presa in considerazione più per le va-

canze che per gli investimenti, non dipende dalle aliquote (par. 2.8), ma daquesta sospettosa e burocratica diffidenza antiaziendale; è una specie di ne-mesi della creatività italica, trasfigurata in pretesti burocratici con cui ipubblici uffici si sentono in dovere di creare ostacoli, per assecondare ladiffidenza della pubblica opinione verso le aziende; è un problema cultu-

85 Le poche macchine da soldi professionali su cui le aziende esternalizzano le (inutili)contestazioni interpretative indicate nel testo confermano quanto diremo al par. 3.2 suilimiti dell’azienda come gruppo sociale tenuto insieme dalla produzione e vendita dimerci e servizi, per il resto programmaticamente acefalo, cioè dipendente dall’idea diazienda diffusa nell’ambiente socioculturale, su cui quindi bisogna lavorare. I funzionaridelle aziende sono però sempre meno disposti a far spennare l’azienda da queste mac-chine da soldi professionali, tra le quali la concorrenza è sempre maggiore.

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rale86, che vanifica le estemporanee normette di favore, tra l’altro costoseper il gettito, e schizofrenicamente elargite in nome della “crescita”, del “fi-sco per lo sviluppo”; senza capire che la vera agevolazione fiscale non costanulla, salvo che la fatica di usare il cervello, consistendo nel riconoscimentodi ruolo dell’idea di “azienda”, indicato al par. 3.2.

86 Affrontato come tale al par. 3.2, dove vedremo che all’economia contribuiscemolto più un riconoscimento di ruolo delle aziende che il contentino di dispersiveagevolazioni, tra l’altro costose

II. EVASIONE E MANCATA SPIEGAZIONE SOCIALE DELLA FUNZIONE TRIBUTARIA

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IIISuperare le disfunzioni pubblicheper ridurre le perversioni private

3.1 Il compito esplicativo dei giuristi come studiosi sociali delle pubblichefunzioni

Per tornare, propositivamente, alla spiegazione d’insieme della funzionetributaria1 serve capire come i giuristi devono contribuirvi e come si inqua-dri il diritto tra gli studi sociali. Nella sua tradizionale veste tecnica (par.2.4) il diritto si rivolge solo ad addetti ai lavori, cioè magistrati, avvocati,giudici, clienti; come scienza sociale, dedicata ad alcuni temi estranei al ba-gaglio culturale comune, il diritto invece si rivolge a una ben più vasta e va-ria platea di “interessati”2.L’attenzione di questi interlocutori varia in relazione al loro interesse, al

loro retroterra culturale, alle loro priorità e scale di valori; può trattarsi digiornalisti, di politici, di funzionari pubblici, di studiosi sociali di altri set-tori, di esponenti (ad esempio sindacali o religiosi) della società civile, distudenti3 o di altri soggetti variamente inseriti nel dibattito e nella pubblicaopinione (par. 2.3). Tutti sono però accomunati dall’avere nella vita anchequalcos’altro di cui occuparsi, rispetto al tema stabilmente analizzato dallostudioso sociale; ciò vale anche per l’autorità politica, cui invece il giurista“tecnico” era abituato a chiedere continuamente aiuto4 e che oggi è invecesolo parte dell’intelligenza collettiva come definita al par. 2.3.

1 La funzione tributaria riguarda, come indicato al par. 1.1, la determinazione degliimponibili cioè della ricchezza potenzialmente soggetta a imposte.

2 Questo compito dei giuristi come studiosi sociali sfugge alla tradizione del dirittocome tecnica come indicato al par. 2.4.

3 Gli studenti sono una particolare categoria di uditorio, che deve crearsi un propriobagaglio culturale “di settore”, selezionando tra quanto propone il docente.

4 Secondo il cliché normativista (par. 2.4) che imputava i problemi alla cattiva for-mulazione della legge, chiedendone una riformulazione.

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Tutti costoro esprimono, sull’evasione fiscale, come su tutti i temi del di-battito pubblico, opinioni e valutazioni; esse hanno qualche senso, da unaparte, ma per altri versi sono inevitabilmente superficiali o fuorvianti (parr.2.5-2.14). Spetta a chi si occupa con continuità di questi temi, cioè agli stu-diosi sociali del settore5, coordinare e integrare il dibattito.Gli spunti, le prospettive e i livelli di interlocuzione che lo studioso so-

ciale deve coordinare sono oggi molti più che ai tempi delle antiche filo-sofie6, per la complessità delle pubbliche opinioni e delle tendenze che sipolarizzano sui più vari argomenti (par. 2.3). Diversamente da quanto ac-cade per le scienze fisiche7, queste riflessioni non sono monopolio di ri-strette comunità di specialisti; lo studioso sociale dovrebbe coordinarne laparte costruttiva con quella di altre riflessioni, proprie e altrui; rispetto allasua opera gli interessati riescono a svolgere un controllo di verosimiglian-za, visto che si tratta di materie tutto sommato “accessibili” rispetto allescienze fisiche8.Questi interlocutori cambiano a seconda dell’interesse, dell’attenzione,

del coinvolgimento, del bagaglio culturale, del posizionamento sociale, del-l’occasione d’incontro con l’uditorio9. Del resto, il concetto stesso di “stu-dio sociale” presuppone un’interlocuzione esterna10, nella cui gestione stala complessità di questi saperi, a un primo livello accessibili11. Aumentandoil numero dei ragionamenti, e degli interlocutori, è sempre più difficile se-lezionare di volta in volta i concetti da richiamare, da presupporre o da tra-

5 L’evasione fiscale riguarda una funzione pubblica, e quindi coordinare il dibattitospetta in primo luogo a studiosi sociali giuristi, senza escludere altre prospettive (adesempio economiche) nell’unità metodologica delle scienze sociali, di cui infra.

6 Per molti versi le scienze sociali metodologicamente si ricollegano alle antiche filo-sofie, assorbite dalle scienze fisiche (par. 2.4) nel loro obiettivo generale; la somi-glianza sta nell’utilizzare il bagaglio culturale dell’interlocutore, sviluppandolo e in-tegrandolo, come nella maieutica socratica.

7 E sotto altri aspetti per le tecniche, come è ancora per molti versi il diritto.

8 In un certo senso le scienze sociali sono “più democratiche” di quelle fisiche, siaperché i loro temi sono variamente accessibili anche da chi non vi si dedica a tempopieno, i cui spunti isolati possono offrire nuovi spunti agli studiosi sociali.

9 Sul concetto di “uditorio”, nel sapere umanistico sociale, restano importanti le operedi Perelman e la sua rivalutazione della retorica per collegarsi agli interlocutori.

10 In materia “umanistico-sociale”, comunità scientifiche chiuse, come quelle dellescienze fisiche, somiglierebbero a un clero senza fedeli.

11 Il sapere umanistico-sociale, proprio in quanto tale, è molto più accessibile dal-l’uomo di quanto siano i misteri della natura, affrontati dalle scienze fisiche.

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scurare12; i ragionamenti vengono messi a fuoco gradualmente, per appros-simazioni successive, e quando il discorso si allarga a varie prospettive (co-me in questo testo sull’evasione), servono richiami e rinvii per evitare ripe-tizioni o lacune; bisogna tenere il filo del discorso senza essere ripetitivi oermetici, e poi chiuderlo, rinviando potenziali nuovi ragionamenti13. Ècomplesso anche evitare fraintendimenti, vista la pluralità di interlocutorie i suddetti loro diversi atteggiamenti14.Procedere in questo modo, tenendo il filo del discorso, mantenendo l’at-

tenzione o accrescendola, nei modi consentiti dallo strumento di interazio-ne15 non è “divulgazione”, concetto adatto per le scienze della materia e letecniche16, ma “scienza sociale”; basta vedere la difficoltà di passare da con-cetti più particolari a concetti più generali, nel nostro caso inquadrando l’e-vasione nella funzione tributaria, questa nel diritto come studio di funzionipubbliche, e questo nella cornice delle scienze sociali.Un’ulteriore difficoltà delle scienze sociali rispetto alle antiche filosofie

è agganciarsi ai dati sociali, sulla frequenza e le caratteristiche dei fenomenitrattati; è un profilo quantitativo particolarmente rilevante per l’economia,invece di tante formalizzazioni astratte, ma importante anche nel diritto co-me scienza sociale diretta agli interessati al tema17. Lo studioso, pur cono-scendo i dati meglio del semplice interessato al tema, non deve farli parlaretendenziosamente18, fino a costruirseli con campionature statistiche “di co-modo”, nella consueta imitazione delle scienze fisiche (par. 2.4). I dati nonsono infatti autosufficienti, e passano necessariamente attraverso l’inter-pretazione umana, quand’anche fulminea.

12 Alle difficoltà degli studi sociali si addice la metafora del giocoliere, che lanciain aria e riprende oggetti, utilizzata nel par. 4.7 del mio Diritto amministrativo deitributi.

13 La fatica di dare forma ai propri pensieri genera infatti altri pensieri, cui bisogne-rebbe dare forma, praticamente senza fine.

14 Dove certe volte l’eccessivo timore di essere fraintesi impedisce persino di esserecompresi.

15 Libro, rivista, tv, conferenza, blog, giornale, lezione, video su internet, ecc.

16 Il concetto di divulgazione si addice alle scienze fisiche e alle tecniche dove l’acces-sibilità e il controllo sociale sono limitati, ma è fuori luogo nell’area umanistico sociale,dove ognuno partecipa all’intelligenza collettiva nei termini indicati al par. 2.3.

17 Questo profilo dei dati sociali ha invece meno importanza nel diritto come tecnica ocome “scienza sociale per tecnici”, nell’impostazione più tradizionale, tuttora rilevante.

18 Cioè aggregando ed esponendo i dati in funzione di tesi precostituite.

III. SUPERARE LE DISFUNZIONI PUBBLICHE PER RIDURRE LE PERVERSIONI PRIVATE

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L’indicazione dei dati sociali può essere anche discorsiva, senza dia-grammi, tabelle o grafici, come abbiamo fatto in questo testo per l’evasionefiscale19. Anche sui dati sociali, invece, le formalizzazioni matematiche(econometria) ripropongono la tendenza del sapere umanistico-sociale alegittimarsi in modo variamente “sovrumano”20, come se ragionare fosse“filosofia spicciola” e la comprensibilità escludesse la scientificità. Ancheper questo le scienze sociali, compreso il diritto (par. 2.4), hanno imitatoquelle fisiche, chiudendosi in una torre d’avorio autoreferenziale; nell’illu-sione di essere “sovrumane” hanno perduto la loro umanità; non nel sensodi essere diventate “disumane”, portatrici di una cattiva umanità, ma diaver perso il contatto coi loro possibili interlocutori. Ispirandosi alla spe-cializzazione, tipica delle scienze fisiche, si sono segmentate in gruppi, se-parati tra loro e dal dibattito21. Anche ai parr. 2.5 e 2.14, abbiamo visto chesi crea così uno spazio vuoto, non colmabile da altri, con riflessi negativiper la formazione, la coesione e il controllo sociale. Il dibattito, senza polidi aggregazione, diventa banale, gira su se stesso, oppure l’interesse dimi-nuisce, la formazione sociale si sfilaccia, il controllo sociale sui pubblici uf-fici si allenta, e la loro efficienza peggiora.Per rompere questo circolo vizioso bisogna comprendere che dove il ba-

gaglio culturale diffuso non basta, ad esempio sull’evasione, il diritto, comestudio sociale delle funzioni pubbliche, deve precedere il diritto come tec-nica; in alcuni settori, per millenni, il bisogno di spiegazione scientifica erasoddisfatto in modo implicito dal bagaglio culturale diffuso22; l’avvocatopoteva quindi occuparsi della professione, come servizio a pagamento, e il

19 Anche perché – stavolta fortunatamente rispetto al passato – i principali dati suadempimento tributario, gettito, ecc., sono reperibili in rete, senza le faticose ricer-che archivistiche di un tempo.

20 Nelle trascendenze, nelle ideologie, nell’autorità costituita del potere legislativo,nell’impalcatura sociomatematica, nell’econometria, negli “esperimenti sociali” a ba-se demoscopica o in qualche altro ubi consistam.

21 Come indicato sopra, la specializzazione, e al limite l’autoreferenzialità, vanno be-ne per chi “scopre qualcosa” all’interno della materia, riesce a manipolarla e si legit-tima con “la scoperta”; quest’ultima “oggettività”, manca invece nelle scienze sociali,che nell’autoreferenzialità si svuotano di senso, come farebbero storici che parlanosolo con storici, psicologi con psicologi, poeti con poeti e via enumerando.

22 In buona parte, il diritto come tecnica è riferito alla funzione giurisdizionale, chepuò spesso innestarsi direttamente sul bagaglio culturale delle classi colte, com’è ac-caduto per millenni.

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magistrato, o funzionario, del prestigio reputazionale del proprio ufficio23,con interlocuzioni più ristrette, per “addetti ai lavori”, per certi aspetti si-mili alle circoscritte comunità delle scienze fisiche. Quando però mancanella società la spiegazione d’insieme di una funzione pubblica, anche latecnica giuridica sottostante si svuota di senso (par. 2.5).Quanto sopra legittima una concezione funzionalistica del diritto come

scienza sociale delle pubbliche funzioni24, estranee agli schemi “di mercato”degli economisti (par. 2.4). Le funzioni sono lo sfondo delle “regole”, chevanno contestualizzate, senza scambiarle per l’oggetto del diritto, prenden-do la funzione giurisdizionale, che è una parte, a modello del tutto; questaconcezione del “diritto come regole” non solo ha confuso il rapporto tra le-gislatore e giudici25, ma ha impedito di valorizzare le funzioni non giurisdi-zionali (par. 1.1). Quando non si tratta di “giudicare”, ma di agire, cioè di-fendere, curare, educare, assistere, riparare, conservare, ecc., bisogna gestiredifficoltà materiali davanti alle quali le regole possono ben poco, rischiandoanzi di deresponsabilizzare rispetto alle funzioni; queste ultime costituisco-no invece un filo conduttore di tutto il diritto come scienza sociale26.In questa cornice il diritto può fondere la sua tradizione tecnica e i suoi

nuovi compiti scientifici; questi ultimi, cornice della tecnica27, interessanoanche la pubblica opinione e la politica, influenzando indirettamente le at-

23 Espressa dall’attenzione al “prestigio istituzionale” accennata al par. 2.5 per lamagistratura e la burocrazia, compresa quella accademica (par. 2.4).

24 Comprese le funzioni giudiziarie, oggi in una situazione di stallo tra legislazione emeccanismi mentali del giudice. Per capire la funzione di giustizia occorre infatti in-quadrarla in un’idea generale di diritto che la travalichi e ne sia il contenitore (bisognacioè allargare il concetto di diritto rispetto alla funzione di giustizia, per capire e farfunzionare quest’ultima). A maggior ragione utilizzare un’idea di diritto modellata sul-la funzione giurisdizionale (ius dicere) intralcia, burocratizzandole, le funzioni non giu-risdizionali (ius facere), come vedremo al par. 3.6.

25 Portando il diritto a ripiegarsi su formalismi tecnici oppure a lanciarsi verso sup-plenze politiche.

26 Cioè la funzione giurisdizionale, basata su leggi e sentenze (entrambe ius dicere)e le altre, in cui bisogna raggiungere obiettivi diversi dalla soluzione di controversie.L’eccessiva enfasi sulla funzione giurisdizionale si ritrova nella definizione degli stu-di giuridici come “giurisprudenza” o “legge”, anziché “diritto” espressione moltopiù generale.

27 Quest’interazione tra scienza sociale e tradizione tecnica risalta meno in altre di-scipline, dove l’aspetto tecnico manca o è inferiore, come economia, politologia, so-ciologia, antropologia, ecc.

III. SUPERARE LE DISFUNZIONI PUBBLICHE PER RIDURRE LE PERVERSIONI PRIVATE

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tività economiche28. Concentrarsi sulle pubbliche funzioni salvaguarda an-che l’esigenza di ordine e rigore, cara al positivismo giuridico; nel modosuddetto viene soddisfatta la condivisibile preoccupazione positivistica cheil diritto non scada in generiche divagazioni politico-sociali; al tempo stes-so, guardando alle funzioni, anziché ai “materiali normativi” (par. 2.4) si haun respiro più ampio; si possono cioè superare le contingenze normativedi spazio e di tempo, aprendo prospettive storiche, comparate e interna-zionalistiche, come le altre scienze sociali. Inquadrare le regole, i valori e iprincipi, nella cornice delle funzioni, consente di contemperarli, dando lo-ro il peso che meritano nella successiva casistica tecnica29.Come studioso sociale il giurista si pone quindi prima di tutto sul piano

del “conoscere”, riferito alle funzioni pubbliche, prima che alle norme; que-ste ultime, più effimere in quanto condizionate dall’autorità, subentrano gra-dualmente in un successivo momento più “tecnico”. Così affrancato dallecontingenze, concentrato sulle pubbliche funzioni, il diritto come studio so-ciale alimenta l’intelligenza collettiva (par. 2.3); quest’ultima è fondamentaleper la coesione dopo la crisi delle trascendenze, delle ideologie, dei naziona-lismi, del consumismo, con la globalizzazione e le tensioni geopolitiche30. Lacrisi di legittimazione delle scienze economiche (par. 2.4) ne ha mostrato l’i-nadeguatezza a spiegare da sole la convivenza, e il diritto come studio socialedelle funzioni pubbliche darebbe un notevole contributo alla formazione so-ciale diffusa (par. 2.3); in questo modo, oltre a mantenere la propria prospet-tiva specifica, suscitando anche interesse culturale31, il diritto contribuirebbe

28 Abbiamo visto al par. 2.14 come l’economia reale, l’attività direttamente produt-tiva, sia danneggiata dal cattivo funzionamento delle funzioni pubbliche, nel nostrocaso quella tributaria.

29 La cornice scientifica controlla e guida le valutazioni cui ogni funzione pubblicaè chiamata e di cui mi sono occupato in Società diritto e tributi, 2005, scaricabile dalmio sito personale, www.raffaellolupi.com. La teoria indicata nel testo si collega peralcuni versi all’istituzionalismo giuridico di Santi Romano, che valorizzava l’intera-zione nella società di molteplici gruppi sociali (la cosiddetta “teoria della pluralitàdegli ordinamenti giuridici”). La mia prospettiva è piuttosto quella della pluralità dicompiti (tecnicamente “funzioni”), anche interne a un medesimo gruppo sociale(cioè un medesimo ordinamento giuridico nel senso di Santi Romano), dove comun-que ci si deve occupare non solo della giustizia, ma anche di sicurezza, infrastrutture,ambiente, sanità, istruzione, cultura, determinazione dei tributi, e altre attività pub-bliche, ma “non giurisdizionali”.

30 Solo dalle scienze sociali può infatti venire la coesione necessaria ad esprimerescienze fisiche che cerchino risposte agli interrogativi ultimi dell’uomo.

31 Superando anche il freddo tecnicismo espositivo connesso alla concezione del di-

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a una metodologia comune di tutte le scienze sociali; queste ultime sono in-fatti andate in ordine sparso32, e ciò nuoce sia alle singole discipline sia allasocietà, come visto per l’evasione fiscale.Su questa premessa metodologica generale potrebbero ritrovarsi gli stu-

diosi sociali della funzione tributaria; essa riguarda, come indicato al par.1.1, la determinazione della ricchezza ai fini delle imposte, non gli effettieconomici dei tributi; questa chiara missione esterna, sarebbe diretta a uninsieme di interessati alla determinazione dei tributi, non certo liquidabilecome una massa di “profani”: si tratta invece di coloro che formano l’“in-telligenza collettiva” di un gruppo sociale (par. 2.3), cioè pubblica opinionequalificata, politici, dirigenti pubblici, studiosi sociali di altri settori, magi-strati, professionisti, giornalisti e opinion makers; sono tutti soggetti suffi-cientemente autorevoli per tendere a fare da soli, senza il supporto deglistudiosi sociali del settore33, come è accaduto, creando gli inconvenienti dicui ai paragrafi 2.5 e seguenti. Anche qui la scientificità si misura dalla capacità di interazione con l’u-

ditorio34, cui riferire la spiegazione dei fenomeni e l’arricchimento della suaformazione sociale generale. Questa prospettiva funzionalistica, del dirittocome scienza sociale, non rinnega, anzi, rilancia, il diritto tributario cometecnica professionale; la consapevolezza di una missione “esterna” rilancia

ritto come esposizione di regole, in quanto un’esposizione fluida mantiene o accrescel’interesse degli interlocutori al tema (Diritto amministrativo, cit., par. 4.7, p. 217).

32 Questo vale non solo per diritto ed economia, ma anche per sociologia, politologia,antropologia, psicologia sociale, neuroscienze, storia per molti versi. Il sapere umani-stico sociale, anche per l’imitazione delle scienze fisiche, è infatti oggi frammentato intanti microcomparti autoreferenziali, incapaci di suscitare interesse nel dibattito pub-blico, tendenti a spartirsi quel po’ di visibilità e di risorse che la posizione accademicapuò dare. Le vicende dell’accademia del diritto tributario (2.4) sono un caso partico-lare di una parcellizzazione generale delle scienze sociali, che svuota di senso il con-cetto stesso di scienza; il pensiero non muore solo all’interno delle accademie, ma an-che nella società, in un gioco che non è “a somma zero”, ma è distruttivo per la con-sapevolezza e il controllo sociale della pubblica opinione (par. 2.3).

33 Se le comunità scientifiche degli studi sociali diventano autoreferenziali, come vi-sto in materia tributaria (par. 2.4), senza sapersi inserire nel discorso pubblico, nel-l’equivoco timore (ispirato alle scienze fisiche) di essere ritenute “divulgative”, l’opi-nione pubblica le sostituisce e procede per proprio conto, senza alcun supporto.

34 Si tratta dell’uditorio che l’autore si è scelto, e quindi chi dovesse valutare, ai finidi una “peer review” la scientificità di uno scritto dovrebbe chiedersi chi ne è il de-stinatario ideale (interessato al tema, operatore tecnico o quale misto dei due), porsinei suoi panni e valutare quanto, e cosa, capirebbe.

III. SUPERARE LE DISFUNZIONI PUBBLICHE PER RIDURRE LE PERVERSIONI PRIVATE

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la coesione interna degli studiosi sociali tributaristi, con una comprensionee valorizzazione del proprio ruolo.Dirigendo la funzione tributaria alla determinazione della ricchezza ri-

levante ai fini delle imposte35, è anche possibile chiarirne i rapporti con l’e-conomia. In quest’oggetto economico della funzione tributaria si ritrova laconsueta dialettica della politica, e degli uffici pubblici, con l’economia. Daqui si sviluppano i rapporti della funzione tributaria con altri saperi, comel’economia generale, l’economia d’azienda, la politologia e la sociologia,nella già indicata unitarietà metodologica del sapere umanistico sociale.Dirigere lo studio sociale tributario verso varie tipologie di interessati al

tema consente sinergie coi mezzi di comunicazione di massa, secondo le ri-cadute formative dell’informazione, descritte al par. 2.6; i media potrebbe-ro infatti proporsi in chiave gradevole, non scolastica né legata “all’attua-lità”, e quindi riutilizzabile, diretta alle opinioni pubbliche di settore (par.2.3), selezionate “per interesse” e non “per fascia oraria”36; quest’offertamediatica a tema, riutilizzabile nel tempo, si affiancherebbe alla suddettacomunicazione “monouso”, per fascia oraria, innescata da casi di cronacao notizie. Gli studiosi sociali potrebbero così alimentare l’offerta dei mediaverso ulteriori livelli di interessati, con trasmissioni gradevoli e accattivanti,analoghe a quelle oggi esistenti per la Storia, la natura o l’arte; esse però au-menterebbero la formazione sociale, le possibilità di controllo e quindi l’ef-ficienza del comparto “politico-giuridico” della società37.Gli studiosi sociali della funzione tributaria contribuirebbero, tramite le

loro spiegazioni, al suo buon funzionamento tecnico, secondo il circolo vir-tuoso indicato all’inizio del par. 2.14. Il diritto come scienza sociale contri-buirebbe così alla tradizione del diritto come tecnica; svanirebbero infattile lacerazioni sociali, nonché le drammatizzazioni che complicano l’opera-tività professionale; quest’ultima supererebbe così la crisi di cui al par. 2.5,grazie alla spiegazione sociale d’insieme del settore. I pubblici uffici rice-verebbero dalla società indicazioni più serene, il che abbrevierebbe i tempi

35 Abbiamo infatti visto al par. 1.1 che le imposte si riferiscono a concetti espressividi ricchezza (consumo, reddito, ricavi, costi, ecc.), cui si riferisce l’oggetto economi-co della funzione tributaria.

36 Quest’audience include anche operatori del settore, interessati a comprendernela cornice anche al di là di esigenze tecniche lavorative. È uno dei tanti legami tra tec-nica e scienza indicati in questo paragrafo.

37 Questa “formazione permanente” dovrebbe essere determinante per il plurali-smo, ai fini del controllo sociale delle funzioni pubbliche, descritto all’inizio del par.2.14 per quella tributaria.

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di gestione delle pratiche, facilitando il colloquio coi contribuenti. Gli uf-fici tributari potrebbero tranquillamente concentrarsi sulla valutazionedella ricchezza non determinata attraverso le aziende, senza colpevolizza-zioni (par. 2.12), ridimensionando il diversivo delle contestazioni interpre-tative e allineando l’adempimento tributario (la cosiddetta tax compliance),già oggi notevole (par. 1.7), al livello degli altri Paesi occidentali (par. 3.4). Si rasserenerebbe anche il rapporto tra diritto e politica; accanto al giu-

rista tecnico, che interpreta (o confeziona) regole provenienti dalla politica,ci sarebbe un giurista studioso sociale, che spiega le funzioni pubbliche atutti gli interessati, compresi i politici; anch’essi sono anzi oggetto di studio,nello svolgimento del loro ruolo, perché la prospettiva conoscitiva deglistudiosi sociali, sull’adempimento e l’evasione, analizza anche il potere le-gislativo (par. 3.7). Si supererebbero così gli equivoci del diritto come tec-nica, dove il “sapere” sopravvaluta il potere38, che proprio per questo lo tra-scura39. Il giurista come studioso sociale non è un “consigliere del principe”o, come oggi si dice, un “tecnico d’area”. Mentre quest’ultimo al massimosupportava, in un ruolo spesso notarile, la politica, il giurista studioso so-ciale interagisce con tutti gli schieramenti politici, valutandone proposte ecomportamenti senza pregiudiziali di schieramento40.Su questa premessa, pubblica opinione e politica delegherebbero volen-

tieri gli aspetti tecnico-professionali del settore tributario a un sapere anchescientifico, cioè capace di spiegare loro la funzione tributaria; questo saperesarebbe finalmente il polo di aggregazione delle riflessioni nel settore, non-ché dell’elaborazione e contestualizzazione dei “materiali normativi”, com-presi gli spunti dell’attività professionale, oggi dispersi (par. 2.5). Si massi-mizzerebbero i vantaggi per tutti i soggetti coinvolti, dalle aziende agli stu-diosi, agli uffici tributari, agli operatori del settore e alla società in generale41.

38 Dal che la frequente ispirazione dei docenti a “entrare in politica”, diventando“tecnici d’area”, ministri, deputati o consiglieri del principe.

39 Se come oggetto del sapere giuridico individuiamo un prodotto del potere, come leregole, il giurista sarebbe costretto alla passività, all’ipocrisia (Juristen böse Christen diLutero) o a un misto tra questi due difetti. Considerare le funzioni pubbliche come og-getto del diritto, rende invece il suo sapere molto più indipendente dal potere.

40 Per lo studioso sociale, come tale, non ci sono avversari politici, in quanto agiscesul diverso piano della riflessione e del sapere. I suoi nemici, se proprio vogliamo tro-varli, sono il caos e la disgregazione sociale.

41 È una soluzione win win dipendente in buona parte dalla capacità della comunitàscientifica di superare la situazione descritta al par. 2.4, in modo autonomo o inqua-drata in più ampie cornici di studio delle funzioni “non giurisdizionali”.

III. SUPERARE LE DISFUNZIONI PUBBLICHE PER RIDURRE LE PERVERSIONI PRIVATE

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3.2 Necessità di riconoscere il ruolo tributario dell’azienda come grupposociale

La determinazione dei tributi attraverso la documentazione aziendale èstata, in tutto il mondo occidentale, un’opportunità offerta dalla produzioneindustriale di serie; questa “esternalità positiva”42 non è stata però valorizzata,e le aziende, come gruppo sociale, sono ancora un oggetto misterioso per lapubblica opinione, specie italiana; le carenze formative indicate al par. 2.3hanno infatti drammatizzato il rapporto tra pubblica opinione e aziende, ver-so le quali si alternano atteggiamenti ostili (par. 2.14) e ingenue aspettative.Questi equivoci derivano dalla concezione antropomorfica delle azien-

de, trascurando che si tratta di gruppi sociali aggregati dalla produzione,non dalla fede, né dalla cultura. È questa la ragione di un deficit comuni-cativo delle aziende, capaci di esprimersi, conformemente alla loro voca-zione, solo per quanto attiene al loro prodotto43, cui fanno propaganda in-tensissima; al massimo le singole aziende sanno analizzare il loro settore dimercato, ad esempio alimentare, assicurativo, infrastrutturale, meccanico,ecc., ma non certo se stesse come tipo generale di gruppo sociale. È un ri-flesso della missione produttiva, non educativa, delle aziende, con l’oriz-zonte culturale limitato dal business; da questo infatti vengono le risorseper tenere assieme l’azienda come gruppo (par. 1.3), nonostante gli auspicisulla sua “responsabilità sociale”.L’attenzione di ogni azienda al proprio prodotto le impedisce di cogliere

quanto la accomuna alle altre aziende, cioè l’organizzazione pluripersona-le. Né le aziende, né le loro associazioni di categoria, sono luoghi di rifles-sione complessiva sulla società, neppure per elaborare e valorizzare un’ideagenerale di azienda. Ciò sussiste a maggior ragione nel capitalismo familia-re italiano, dove ogni imprenditore tende a immedesimarsi con l’azienda,vedendola come una sorta di proiezione di se stesso; ciò rende abituali, traun’azienda e l’altra, frecciatine e colpi bassi, nocivi all’idea generale diazienda e simili alle beccate reciproche dei capponi di Renzo; nei Paesiesteri più evoluti, invece, una maggiore frammentazione proprietaria e unabuona dimestichezza con l’idea di organizzazione (par. 2.3) hanno accre-ditato una concezione dell’azienda come gruppo, diversa dal titolare.

42 Come gli economisti chiamano i benefici indiretti di un’attività economica al restodella società (il contrario sono le esternalità negative, come ad esempio l’inquinamento).

43 Basta pensare alle campagne di marketing e alla pubblicità.

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Anche quando una singola azienda sensibilizza la politica, muovendo leproprie pedine, anche associative, è sempre per la ricerca di interventi nor-mativi o interpretativi ad personam, che spesso risolvono problemi per unoe li aprono per altri; l’atteggiamento delle aziende verso le contestazioni tri-butarie “interpretative” (par. 2.14) conferma che, appena fuori dall’area delbusiness, esse cadono nell’ingenuità, e forse nell’indifferenza per altre lorocaratteristiche comuni; serve a poco alla generalità delle aziende che una diesse invochi la politica senza rendersi conto che essa non affronterà mai untema grande e mediaticamente scomodo, come l’evasione fiscale, senza unavisione di ampio respiro. Quest’atteggiamento delle aziende contribuisce alladifficoltà di far penetrare nella pubblica opinione il concetto stesso di azien-da come gruppo sociale, prima ancora di quello di “tassazione attraverso leaziende” (par. 1.3).Non si tratta di una critica alle aziende, ma della conferma che i corpi sociali

sono privi di bisogni e sentimenti umani, di bagagli culturali generali da tra-smettere, salvo quello che le tiene insieme, socialmente di breve respiro inquanto riferito alla specificità del singolo business. Le aziende devono quindiessere introdotte, e valorizzate, nel dibattito pubblico generale, estraneo alproprio settore, da altri, come un “oggetto del dibattito”, anziché un “sogget-to”; devono essere terzi, in genere studiosi sociali, a promuovere il dibattitopubblico sulle aziende come gruppi sociali; sono gli studiosi a dover valoriz-zare le aziende come punto di forza, non di debolezza, del tessuto sociale, per-ché esprimono capacità di lavorare insieme, di coordinarsi, di organizzarsi;anche nei Paesi marxisti, del resto, l’azienda assorbiva gran parte della socia-lità, come ci ricordano i Kolchoz e lo stacanovismo. Una consapevolezza cul-turale sulle aziende come astrazioni aiuterebbe la pubblica opinione italianaa fare gruppo, superando l’esuberanza spontaneistica di cui al par. 2.3. Que-st’ultima all’inizio genera iniziative aziendali, che poi però vanno sapute man-tenere e far crescere; per farlo serve l’idea condivisa di azienda come grupposociale, anche oltre il compiacimento dei titolari per il loro ruolo di comando. Benché contribuiscano alla coesione sociale, le aziende non possono va-

lorizzare da sole questo contributo, proprio in quanto gruppi sociali a con-tenuto economico, non centri studi. Senza chiedere alle aziende quello chenon possono dare, sono gli studiosi sociali, a doverle spiegare in una pro-spettiva meno angusta di quella utilizzata dagli stessi imprenditori, presidal prodotto, o anche dagli aziendalisti. La consapevolezza sul ruolo socia-le delle aziende non fa del resto solo il bene delle aziende, ma giova a tuttala società, anche sulla determinazione dei tributi. Inversamente, dagli at-teggiamenti antiaziendali si passa rapidamente alla disgregazione delleaziende e allo sfarinamento sociale.

III. SUPERARE LE DISFUNZIONI PUBBLICHE PER RIDURRE LE PERVERSIONI PRIVATE

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Gli studiosi sociali della funzione tributaria, oltre a comprendere e va-lorizzare quanto sopra, dovrebbero rimarcare l’esternalità sociale positivaconsistente nella determinazione contabile delle imposte attraverso leaziende; la loro rigidità organizzativa (par. 1.3), pur facendole apparire mi-steriose e disumane, è il punto forte della loro affidabilità nel determinaregli imponibili fiscali; sotto questo profilo gli studiosi sociali tributaristi do-vrebbero spiegare che, se un’azienda chiude i battenti o delocalizza, i lavo-ratori che hanno perso il posto diventeranno in buona misura autonomi alconsumo finale, invisibili o poco visibili al fisco (par. 1.8). Tributariamente,alle aziende serve molto più un riconoscimento di ruolo stabile nel tempoche un insieme dispersivo, stratificato e costoso, di contentini come il pa-tent box, l’ACE, il welfare aziendale, il superammortamento, tanto per ci-tare gli ultimi. Il discorso potrà non piacere agli esponenti delle aziende,ma non è quello che li fa contenti nell’immediato a essere davvero utile aloro e al Paese.Questo riconoscimento di ruolo comporterà, in modo quasi automatico,

un più sereno atteggiamento degli uffici tributari; non vedendo più leaziende come capro espiatorio cui associare l’idea dei “grandi evasori”, lecontestazioni interpretative (par. 2.14), si risolveranno da sole, in un auspi-cabile rasserenamento del dibattito, e magari si andrà a cercare la ricchezzanascosta al fisco dal titolare (par. 1.9). Anche se l’evasione non può essererisolta solo con un uso più razionale delle aziende nella segnalazione dellaricchezza, vedremo al prossimo paragrafo che esso aiuterebbe molto.

3.3 Razionalizzazione del ruolo di aziende, professionisti e strutture di as-sistenza

Una volta raggiunta una spiegazione d’insieme della funzione tributaria,e sdrammatizzata l’evasione nel pubblico dibattito, saranno utilizzabili inmodo più razionale le aziende, i professionisti e le strutture di assistenza,come CAF e patronati; i margini di miglioramento, in efficacia ed efficien-za, per la specificazione mirata dei concetti espressivi di ricchezza cui com-misurare le imposte44 sono infatti notevoli. Le procedure aziendali possonoinfatti ancora dare molto al controllo fiscale, non tanto sulle aziende, ov-viamente45, ma sulle persone fisiche a vario titolo in contatto con esse46. La

44 Si tratta del reddito, nelle sue componenti (ricavi-costi), del consumo, del patri-monio, ecc.

45 Ricordiamo che le aziende non hanno una sfera privata da alimentare con ricchez-

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migliore comprensione della funzione tributaria apre cioè la via per sem-plificazioni a costo zero, sia in termini di efficienza sia di cautela contro leevasioni.Dato l’elevato tasso di adempimento delle organizzazioni (par. 1.3), que-

sti miglioramenti possono essere introdotti rapidamente, sol che si abbiaun po’ di progettualità legislativa; la legge è infatti molto efficace quandosi innesta, in modo pragmatico, sui processi contabili seriali di organizza-zioni amministrative47, preoccupate di essere adempienti per i motivi di cuial par. 1.3.I possibili interventi ricalcano, sugli acquisti, la logica, già abbastanza di

successo, delle ritenute alla fonte e della neutralità dell’IVA; la specificazio-ne fiscale dei concetti di costo e di ricavo dovrebbe ripercorrere i rapporticommerciali fornitori-clienti garantendo il fisco e tassando il consumo e iredditi senza salti di imposta né duplicazioni48. Occorre cioè simmetria trale componenti reddituali delle parti, mentre nell’IVA occorre evitare che ilcliente detragga somme non computate da debito dal fornitore.Oltre alle attuali informazioni su clienti e fornitori (cosiddetto spesome-

tro), il cliente o fornitore “strutturato” potrebbe anche imporre alla con-troparte “autonoma” una piccola ritenuta, o una parte dell’IVA, versata di-rettamente allo Stato49. Nella logica della “cauzione fiscale” si può ipotiz-zare che il fornitore imponga al cliente di versare, attraverso il veicolobancario di incasso, una somma aggiuntiva destinata al fisco, immediata-mente scomputabile da qualsiasi debito tributario o contributivo del clien-te50. Ciò ostacolerebbe l’interposizione dei “fornitori fantasma” di cui al

za sottratta alle imposte, e quindi non hanno alcun interesse, come organizzazioni, anascondere materia imponibile.

46 Mi riferisco ovviamente a clienti, fornitori, dipendenti, risparmiatori e persino soci.

47 Al contrario, vedremo al paragrafo successivo che, per mettere in grado gli ufficitributari di stimare la ricchezza non raggiunta dalle aziende, non basta la legislazio-ne, ma serve una cultura condivisa sulla stima dell’imponibile e il coordinamento deivari indizi in merito. È quindi operazione più complessa e duratura nel tempo.

48 Il consumo viene oggi colpito dall’IVA e il reddito dall’IRPEF, ma nel contestodella tassazione attraverso le aziende si tratta anche proceduralmente di due faccedella stessa medaglia.

49Magari attraverso un canale bancario che ne assicuri il versamento allo Stato, con unavariazione sul tema dello “split payment” (cfr. anche Visco, Colpevoli evasioni, cit.).

50 Il debito tributario, per ritenute alla fonte, o contributivo, è già indice di soliditàe serietà del cliente.

III. SUPERARE LE DISFUNZIONI PUBBLICHE PER RIDURRE LE PERVERSIONI PRIVATE

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par. 1.951. Anche l’emissione di fatture che danno diritto a detrazioni/de-duzioni significative dovrebbe essere riservata a soggetti “strutturati”, o og-getto di altre cautele52.È impraticabile invece l’individuazione, da parte delle aziende fornitrici,

dei loro effettivi clienti, siano essi consumatori, commercianti al dettaglioo artigiani; nonostante la tracciabilità dei mezzi di pagamento l’identifica-zione dell’acquirente effettivo, controllando le indicazioni da lui fornite perla fatturazione, è possibile solo in casi molto limitati; ci si deve rassegnareall’impossibilità di “tracciare” i numerosi operatori al dettaglio che effet-tuano acquisti, ad esempio nella ristorazione, nella manutenzione edilizia,nei trasporti, nei servizi alla persona e via enumerando. Con tutta la buonavolontà, per le prestazioni al dettaglio fornite da piccoli commercianti o ar-tigiani, il monitoraggio valutativo degli uffici tributari, indicato al prossimoparagrafo, resterà sempre fondamentale.Il cosiddetto “controllo del rischio fiscale” delle grandi aziende rischia

di arenarsi sull’inutile diversivo delle contestazioni interpretative53; per dar-gli un senso occorrerebbe riferirlo invece alla cosiddetta “evasione del ti-tolare” di cui al par. 1.9; anche questo fenomeno andrebbe contrastato conla formalizzazione dei rapporti, e cioè il filtro della direzione amministra-tiva, che potrebbe comunicare agli organi di controllo dell’azienda (colle-gio sindacale, internal audit, comitati etici o di controllo rischi) indizi dipossibile scavalcamento delle procedure gestionali, anche se provenientidal titolare; non è però facile suscitare un contrasto di interessi “solo fisca-le”, quando esso nella sostanza manca.La spiegazione sociale d’insieme della funzione tributaria consente an-

che di ottimizzare il ruolo dei professionisti; esistono anche per essi ottimimargini per alleggerire l’inutile ruolo di “direttore amministrativo” diun’organizzazione pluripersonale inesistente, a favore della consulenza edella raccolta di elementi che agevolino la stima valutativa degli uffici; adesempio cooperando alla costruzione dell’archivio permanente delle atti-vità economiche, di cui diremo al prossimo paragrafo.

51 Nel caso di “fornitori fantasma” resterebbe in mano allo Stato almeno l’importo del-la ritenuta o la quota dell’IVA, e l’interposizione sarebbe quindi meno conveniente.

52 Ad esempio il passaggio preventivo della fattura attraverso reti informatiche dell’A-genzia delle Entrate.

53 Questa gestione del rischio fiscale su evasioni interpretative o elusioni, è infattigià immanente nelle procedure gestionali delle aziende come organizzazioni.

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3.4 La modernizzazione delle stime diffuse di credibilità economica, dovenon arrivano le determinazioni contabili

Gli opportuni accorgimenti di cui al paragrafo precedente non bastanotuttavia a invertire la tendenza che, per colpa della confusione, ha portatoa distribuire le risorse degli uffici tributari in modo inverso rispetto a comesarebbe stato necessario; abbiamo visto infatti al par. 2.14 che tali risorsesono impiegate in prevalenza sull’assistenza all’adempimento e le contesta-zioni interpretative, anziché destinate a riequilibrare serenamente il prelie-vo sugli imponibili non intercettati dalle aziende. Si tratta sia degli autono-mi al consumo finale54 sia dei titolari di piccole organizzazioni (par. 1.9).Qui devono tornare di attualità le tradizionali stime per ordine di grandez-za, adeguate al contesto di autotassazione, come indicato al par. 1.4. In unafiscalità di massa queste stime non possono certo riguardare tutti i contri-buenti, ma possono essere molto più sistematiche, e quindi socialmentepercepite, di quanto avviene oggi.L’intervento valutativo degli uffici dovrebbe però concettualmente mo-

dernizzarsi nell’obiettivo, passando dall’acquisizione diretta del gettito aindurre all’adempimento chi non è già raggiunto dalle aziende. Si tratta diun monitoraggio sistematico per ordine di grandezza, che non necessaria-mente comporta accertamento, anzi in prima battuta non lo prevede; mi ri-ferisco a una prima fase di credibilità esteriore, svolta a distanza (come sidice oggi “in remoto”) o con brevi sopralluoghi fisici di credibilità.Questo monitoraggio valutativo potrebbe avvenire attraverso materiale

audiovisivo digitalizzabile, rappresentativo dell’attività economica, predi-sposto con l’aiuto dei consulenti55; si tratterebbe di un uso descrittivo-va-lutativo, e non solo ragionieristico, delle banche dati informatiche56; questoschedario permanente consentirebbe di collocare il “tutoraggio fiscale”dov’è davvero necessario, cioè sulle attività “autonome” di cui al par. 1.657.Su questo fascicolo informatico personale permanente si potrebbero inne-

54 Che magari evadono poco individualmente, ma sono milioni (par. 2.1).

55 O delle strutture di assistenza di cui al paragrafo che precede.

56 Come dicevo al par. 2.10 l’informatica può aiutare una sistematica attività valuta-tiva degli uffici, purché non la si disperda nell’inconcludente “esportazione dellacontabilità” ivi descritta.

57 Il tutoraggio fiscale è invece oggi invece paradossalmente diretto (par. 2.14) versole organizzazioni aziendali che fanno funzionare il sistema e da cui proviene il gettito(è un farsesco “tutoraggio dei tutori” al seguito del mito mediatico della “grandeevasione”).

III. SUPERARE LE DISFUNZIONI PUBBLICHE PER RIDURRE LE PERVERSIONI PRIVATE

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stare poi valutazioni presuntive della credibilità del dichiarato58; lo scheda-rio informatico sarebbe una specie di versione moderna degli antichi cata-sti, descritti al par. 1.4; in questa banca dati sarebbe logico acquisire anchele informazioni di ciascun titolare di codice fiscale senza redditi, sulla fontedel proprio sostentamento, ad esempio congiunti, patrimonio familiare,redditi a tassazione sostitutiva, attività saltuarie e simili59.Si potrebbero così snellire le dichiarazioni annuali, disponendo di infor-

mazioni molto più dettagliate, controllabili in futuro da altri funzionari, uf-fici ispettivi e controinteressati. L’accessibilità a questo materiale consen-tirebbe di ripercorrere il lavoro di monitoraggio da parte degli uffici, pre-venendo disparità di trattamento e possibili corruzioni60. Su questa basepotrebbero facilmente inserirsi brevi sopralluoghi fisici, o accessi brevi, dicontrollo del territorio; lo scopo sarebbe di incrociare i dati dell’archiviopermanente con la realtà, compresi i redditi dichiarati.Una prima fase di questo monitoraggio delle dichiarazioni potrebbe av-

venire, come detto, senza accertamenti di imposta; ogni tanto semplice-mente passerebbe un funzionario a rendersi conto della verosimiglianzadella sostanza economica esteriore dell’attività realtà rispetto alla sua sud-detta descrizione permanente. Potrebbe essere un passaggio breve e gene-ralizzato, che consentirebbe di “farsi vedere” dalla maggior parte dei con-tribuenti a rischio, il cui dichiarato già così diventerebbe con ogni proba-bilità più credibile61.È normale, in queste valutazioni, che ci siano sospetti di evasione non suf-

ficienti per giustificare i tempi e le energie amministrative di rideterminazio-ne delle relative imposte, in quanto occorre tener conto delle complessive

58 Si tratterebbe di quella specie di rivisitazione personalizzata degli studi di settoreindicata al termine del par. 2.11.

59 Cfr. il par. 1.8 sui milioni di sconosciuti fiscali, titolari solo di codice fiscale, masenza apprezzabili redditi.

60 Queste caratteristiche aziendali, e i ricavi ad esse associati dagli uffici, in sede dicontenzioso amministrativo, potrebbero anche essere resi accessibili, mentre i reddi-ti dipendono poi da fattori personali (come la prestazione di attività lavorativa nel-l’azienda, l’uso di familiari o dipendenti, la proprietà dei locali, che sono più specificie possono restare riservati).

61 Trattandosi di un monitoraggio basato sul confronto tra dati attuali e ultime di-chiarazioni esso sarebbe incentrato in primo luogo sul presente, e diretto in primabattuta all’adeguamento futuro del dichiarato rispetto alle caratteristiche dell’atti-vità; non ha senso infatti in prima battuta perdere tempo valutando situazioni remo-te, di 4 o 5 anni prima, in cui la ricchezza è già stata spesa.

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priorità dell’attività degli uffici, e dell’esistenza di contribuenti ancora menoverosimili. A costoro andrebbero invece riservati gli accertamenti veri e pro-pri, incrociando la bassa credibilità del dichiarato con l’indifferenza per gliinviti degli uffici tributari. Qui si giustificherebbero controlli “all’indietro”,cioè anche alle annualità più remote, con punizioni, non più casuali, ma chedarebbero serietà al sistema agli occhi della massa dei contribuenti. La re-pressione sarebbe, come rilevato al par. 2.9, l’ultimo passaggio di una funzio-ne tributaria in genere basata su monitoraggio e prevenzione, per contri-buenti molto più numerosi di quelli che oggi si imbattono negli uffici tribu-tari; un percepibile intervento valutativo degli uffici tributari integrerebbecosì l’azione delle aziende, su scala molto maggiore rispetto ad oggi.Gli interventi del fisco sarebbero percepiti in modo diretto, nel proprio

quartiere, nella propria cerchia di amicizie, nel proprio circuito relazionaled’impresa o professionale; senza gli atteggiamenti vessatori connessi all’i-dea di “lotta all’evasione” (par. 2.13), ma valutando serenamente la credi-bilità del dichiarato.Aumenterebbe così la sistematicità del controllo tributario del territorio,

effettiva e percepita; ciò già potrebbe portare a un tasso di adempimentoserenamente accettato dalla pubblica opinione, rasserenando le odiernetensioni di cui al par. 2.13.La pubblica opinione e la politica inizierebbero a percepire che anche

l’attività concreta degli uffici tributari dà un impulso effettivo all’adempi-mento, anche senza passare attraverso i mezzi di comunicazione. La fun-zione pubblica di determinazione degli imponibili sarebbe rilanciata sere-namente, consentendo di definire come perversioni private i residui casi dievasione e di reprimerli. Chi adempie in modo credibile non si sentirebbestupido, e chi non lo fa si sentirebbe più isolato e più esposto.

3.5 Riflessi sull’organizzazione degli uffici tributari e sul controllo socialedei loro risultati

Il monitoraggio valutativo della ricchezza non intercettata dalle aziende,descritto al paragrafo precedente, è gestibile anche con le attuali risorse dipersonale; quest’ultimo è infatti numericamente più significativo di quantosia in altri Paesi europei, tra Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza,esattorie e uffici tributari degli enti locali. Si tratterebbe solo di allocare queste risorse con più efficienza, avendo

finalmente una spiegazione d’insieme della funzione tributaria (parr. 2.4 esgg.) e quindi potendone contrastare le disfunzioni.

III. SUPERARE LE DISFUNZIONI PUBBLICHE PER RIDURRE LE PERVERSIONI PRIVATE

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Le risorse di tempi e di personale andrebbero distribuite, come indicatoal paragrafo precedente, non per massimizzare il gettito dei controlli, mail tasso di adempimento. L’obiettivo di indurre all’autodeterminazione deitributi è infatti primario rispetto all’imposta recuperata, oggi decisamentesopravvalutata come parametro di valutazione dell’efficienza degli uffici(cosiddetto “obiettivo monetario”); ricordiamo che il gettito dei controlli,oltre che trascurabile rispetto a quello complessivo62 deriva da imposte di-chiarate, ma non versate, o da contestazioni interpretative (par. 2.14) e soloper poco più di un miliardo da “contribuenti di piccole dimensioni” dovesi concentrano gli imponibili non registrati (par. 1.6 e sgg.).Invece del suddetto obiettivo monetario sarebbe più utile un indice in-

diretto, riferito all’impatto dell’azione di controllo, descritta al paragrafoprecedente, sul tasso di adempimento della circoscrizione dell’ufficio. Inquella prospettiva rilevano di più “i contribuenti visitati”, le valutazioni dicredibilità compiute, i motivi per cui su alcuni contribuenti si è desistito daulteriori approfondimenti e su altri si è andati avanti. Si tratta insomma, co-me per tutti i pubblici uffici, di gestire il potere in modo trasparente, assu-mendosi la responsabilità della funzione, come le aziende si assumonoquella del prodotto. A tal fine è quindi decisivo che gli uffici si riabituino a scegliere, contem-

perando vari profili, come gli imponibili spontaneamente dichiarati, le di-verse informazioni disponibili, materiali e contabili, la frequenza delle at-tività economiche esaminate, la loro percezione da parte del resto dellapubblica opinione, l’impatto sull’adempimento complessivo. Il lavoro va-lutativo, presso gli uffici, avrebbe una notevole componente di autonomiaper la fascia, ormai maggioritaria, dei funzionari laureati; per essi occorro-no progressioni di carriera che riconoscano una professionalità connatura-ta al lavoro svolto a prescindere dal miraggio del concorso per dirigenti63. Per riposizionare l’oggetto dei controlli sulla ricchezza non registrata oc-

corre recuperare distinzioni di base della formazione giuridica, dirigendosiall’evasione come “questione di fatto” sull’emersione della ricchezza, men-tre il suo inquadramento giuridico è un passaggio successivo, molto menorilevante, poco più di un diversivo per gestire una situazione di confusio-ne64. Il problema sociale d’insieme della determinazione dei tributi riguar-

62 15 miliardi, compresi interessi e sanzioni, contro oltre 450 di imposte.

63 Ispirato alla singolare scelta di un “doppio livello” di concorso pubblico, nozio-nistico e mortificante per l’esperienza lavorativa conseguita, spesso pluridecennale.

64 Anche attraverso il mito dei “grandi evasori” le cui ragioni sono indicate al par.2.14, confermate dalle stime sull’evasione di cui al par. 2.1.

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da soprattutto l’omessa o alterata rappresentazione della realtà ai fini tri-butari. Capire la componente “conoscitiva” della funzione tributaria (il suo“oggetto economico”) aiuta a superare la spiegazione colpevolistica dell’e-vasione, recuperando un’interazione permanente tra uffici e contribuenti,nel “rapporto di fiducia” di cui parlava Vanoni. Se si pensa che, nella pubblica amministrazione italiana, l’assunzione di

responsabilità è vista come una specie di minaccia, è chiaro il lavoro cultu-rale da svolgere. Al di là di tanti formalismi, questo cambiamento culturalesi riassume nella semplice espressione: «Male non fare, paura non avere».È facile, dopotutto, una volta acquisita la consapevolezza della funzione, ela necessità di una valutazione per ordine di grandezza, lasciarsi alle spallela cultura del sospetto, indotta dai timori di corruzione.Il vero danno di quest’ultima è la paralisi della funzione dove la cor-

ruzione non c’è, ma si recitano liturgie formalistiche per esorcizzarla. Inproposito si dovrebbe dire chiaro e forte che la corruzione è una patolo-gia da combattere a posteriori, non una paranoia da esorcizzare a prioriin modo scaramantico, come fa la legge del 2012, seguita dalle delibereANAC. La corruzione non è infatti un fenomeno sempre uguale a se stes-so, e le sue patologie si inseriscono sulla funzione svolta, come pure glistrumenti di prevenzione, riportabili in prima battuta al diritto di accessoe al controllo sociale, prima di tutto degli altri interessati all’attività, nelnostro caso i contribuenti. Nella moltiplicazione degli interventi valuta-tivi da parte degli uffici tributari, indicati al par. 3.4, ci sono già gli anti-doti contro la corruzione e le premesse per un controllo sociale reciprocotra un contribuente e l’altro, in relazione al comportamento degli ufficitributari. Da questi ultimi non si può pretendere una millimetrica paritàdi trattamento, perché l’esito di tante pratiche dipende da circostanzecontingenti, come i carichi di lavoro, la disponibilità di personale o le sen-sazioni valutative di singoli funzionari65.Bisogna solo mettere al riparo chi esercita serenamente la funzione tri-

butaria dalle speciose obiezioni di chi afferma che la si poteva fare in mododiverso per alludere fumosamente a possibili favoreggiamenti o negligenze.Questo vale anche per la paralizzante responsabilità da danno erariale, dicui ci sono stati esempi del tutto trascurabili, mentre chi fa il suo lavoro,senza secondi fini, deve essere lasciato tranquillo.

65 Agli uffici pubblici può chiedersi imparzialità, ma non la totale identità di tratta-mento, che dipende dal contesto dell’esercizio della funzione, basti pensare alla va-riabile pressione sociale sugli uffici, all’accumularsi dell’afflusso e delle urgenze inrelazione alle risorse disponibili.

III. SUPERARE LE DISFUNZIONI PUBBLICHE PER RIDURRE LE PERVERSIONI PRIVATE

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Quanto più gli interventi aumentano di numero e si sdrammatizzano,tanto più emergono soggetti coinvolti e controinteressati; essi possono in-nescare indagini dirette a stabilire se, dietro apparenti favoritismi o vessa-zioni, ci sono patologie. Rispetto alle quali la sistematicità degli interventi,e la tracciabilità delle motivazioni, sono il miglior antidoto. A questo scopoè fondamentale la pubblicità delle definizioni amministrative dei tributi;abbiamo già rilevato che gli esercenti di attività similari, per natura o ter-ritorio, devono avere accesso alle determinazioni dei ricavi di attività ana-loghe. Non per far valere formalistiche parità di trattamento, vista la diver-sità di situazioni da valutare, ma per avere almeno parametri orientativi sul-l’omogeneità dell’azione amministrativa. È un controllo sociale, basato suiportatori di interessi analoghi, generalizzato e trasparente: molto più diquello, eccezionale, che avviene attraverso le denunce anonime dei cosid-detti whistleblowers, ispirabili anche da strumentali ritorsioni.

3.6 Centralità degli uffici tributari nella determinazione degli imponibili(processare meno processare meglio)

L’appiattimento del diritto sulla funzione giurisdizionale (parr. 2.4 e 3.1)ha danneggiato fortemente lo studio della funzione tributaria, che giurisdi-zionale non è, come diciamo dal par. 1.1. La tradizionale determinazionevalutativa dei tributi aveva una forte interazione con gli uffici, avvenendoin passaggi successivi, con reclami e riesami; l’accertamento fiscale era untempo persino chiamato provocatio ad opponendum, perché la reazione delcontribuente era un parametro per valutare la congruità della stima; il dis-senso del contribuente innescava così, e innesca tuttora, nella maggior par-te dei Paesi industrializzati, un riesame di “contenzioso amministrativo”,non giurisdizionale, diretto alla rideterminazione dell’imponibile.Sull’onda dell’entusiasmo contabilistico per la determinazione degli im-

ponibili attraverso le aziende (par. 1.3), il suddetto contenzioso ammini-strativo fu smantellato nel 1973; nell’illusione che la determinazione valu-tativa degli imponibili dovesse scomparire, le precedenti commissioni am-ministrative furono trasformate in organi giurisdizionali. Fu però in buonaparte un cambiamento di facciata, in quanto esse restarono competenti,per la vischiosità delle tradizioni, alla determinazione dell’imposta, in unaspecie di “imposizione giudiziale”. Quest’ultima contraddice il carattere“non giurisdizionale” della funzione tributaria (par. 1.1), trasferendo suigiudici rideterminazioni dell’imposta, anche complesse, che essi non sonoin grado di svolgere, e comunque non dovrebbero svolgere, in quanto du-

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plicano l’attività amministrativa; il giudice dovrebbe invece analizzare lacorrettezza dell’azione dell’ufficio, come in tutto il resto del diritto ammi-nistrativo, con eventuale rinvio della questione all’ufficio tributario, per unnuovo esame, casomai con indicazioni di principio66.In questo modo una funzione “non giurisdizionale”, come quella tribu-

taria è stata cannibalizzata dall’impostazione processualistica che sta para-lizzando il diritto italiano in generale67. Anche sulla funzione tributaria, lagiurisdizionalizzazione ha aperto la strada alla deresponsabilizzazione, euna massa enorme di pratiche è stata scaricata sul giudice, come organo dienorme potere, sulla singola pratica, e poche responsabilità; gli uffici han-no accentuato la propria naturale tendenza ad essere “fiscali”, cioè sospet-tosi e diffidenti, deresponsabilizzandosi con quantificazioni molto onerosedi ricchezza evasa, indirizzate a pochi contribuenti68; alle rimostranze degliinteressati è istintivo, per gli uffici, rispondere di rivolgersi al giudice; que-st’ultimo è stato così di fatto impropriamente investito, quasi inconsape-volmente, di una funzione tributaria sostanziale; il giudice può essere mol-to più sbrigativo e assai meno responsabile, per la natura della funzione, diquanto siano gli uffici; si è autoprodotta quindi una diffusa tendenza versoil trasferimento al giudice della funzione tributaria, deresponsabilizzandogli uffici e spingendoli ad “accertare molto”, facendo poi decidere la pra-tica al giudice; quest’ultimo, finché si trattava di stime alla portata del ba-gaglio culturale comune, dominava la questione, trovando soluzioni equi-tative mediane; davanti a questioni più complesse, di fatto e di diritto, chelo disorientano, tende invece ad avallare gli accertamenti degli uffici69.Questo scarico delle pratiche sul giudice ha comunque portato in pochi

anni alla moltiplicazione dei processi, saliti a 500mila, in gran parte inutilie sulle cui disfunzioni non è qui opportuno dilungarsi. La tendenza dei giu-dici, nel dubbio tra ufficio e possibile evasore, a privilegiare il primo, age-vola paradossalmente la massa di operatori in grado di evadere, secondo loschema già mostrato ai paragrafi 2.9 e 2.13 sulla “lotta all’evasione”. I giu-

66 Salvi i casi in cui tale esame fosse necessario, in quanto l’atto impugnato è affettoda vizi insanabili, oppure basato su presupposti giuridici erronei che ne escludonopregiudizialmente una corretta riformulazione.

67 Per maggiori riflessioni vedasi un mio apposito video: La cannibalizzazione pro-cessuale della funzione tributaria, https://youtu.be/ZoliQyp-zEc.

68 Si è innescato così, anche per il cliché della “lotta all’evasione”, il circolo viziosodi cui ai parr. 2.9 e 2.13, che ha portato alla perdita del controllo tributario sulla ric-chezza non intercettata dalle aziende.

69 Secondo il mio aforisma: «Giudice frastornato, ricorso rigettato».

III. SUPERARE LE DISFUNZIONI PUBBLICHE PER RIDURRE LE PERVERSIONI PRIVATE

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dici sono meno prevenuti verso i contribuenti nelle contestazioni da liqui-dazione (controlli formali) o le valutazioni più semplici dove non servemolto tempo, ed è sufficiente il bagaglio culturale comune. L’esito dei ri-corsi importa poco, né giova al fisco che un sistema processuale sbrigativotenda a dargli ragione su tutte le questioni complesse. Non serve infatti allacausa del fisco che gli uffici vincano sempre, se i loro interventi sono po-chi70. È una situazione di cui fanno le spese solo pochi malcapitati contri-buenti, nonché la perequazione fiscale e la serenità sociale (parr. 2.9-2.14);questo risultato, oggettivamente punitivo per i pochi che ci capitano, nuoceparadossalmente al tasso di adempimento dei contribuenti, come indicatoa suo tempo71.In diritto tributario quest’esasperata giurisdizionalizzazione ha dere-

sponsabilizzato la funzione impositiva, spostandola esageratamente sullecontestazioni interpretative (par. 2.14), e indebolendo la sistematicità deicontrolli valutativi sulla ricchezza non registrata. Il processo tributario haavuto cioè troppa importanza, senza capire che nelle funzioni non giurisdi-zionali il processo è un male in sé, in quanto sintomo di una disfunzioneamministrativa; il problema del processo tributario è insomma proprio ilprocesso tributario, inteso come diversivo giurisdizionale per una funzionenon giurisdizionale. Non che il processo vada abolito, ma deve tornare adessere un’ipotesi di chiusura, per poche questioni di diritto o di metodo.Così come l’intervento del fisco è virtuale, dovrebbe esserlo anche il con-tenzioso, da riferire a una percentuale minima degli accertamenti; c’è unlavoro culturale per lo studioso sociale giurista, che deve battersi perché lenormali determinazioni dell’imposta in sede amministrativa non siano piùdefinite “strumenti deflativi del contenzioso”, quasi fossero l’eccezione,mentre dovrebbero essere la regola. È un’inversione avvocatesca di piani,dove il processo diventa la via normale per esercitare la funzione tributaria;fino al punto che, come indicato al par. 2.5, tutto si complica oggi nella tec-nica tributaria, con grande incertezza, che non sta nelle leggi, ma negli at-teggiamenti, disorientando gli operatori del settore, privati e pubblici.Il processo deve invece reinserirsi, come ipotesi di chiusura, sull’aggior-

namento della tradizionale valutazione degli imponibili per ordine di gran-dezza. Si tratta di un’operazione culturale, prima che legislativa (parr. 3.1

70 E per di più “punitivi”,nella logica distorta della “lotta all’evasione” indicata alpar. 2.9.

71 È il circolo vizioso di cui al par. 2.14, dove l’idea di “lotta all’evasione” riempiedi formalismo autoprotettivo i controlli, rendendoli più gravosi per chi li subisce, mameno numerosi, oltre che spingerli sulle contestazioni interpretative.

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e 3.4), in cui ricominciare a guardare alla funzione tributaria come attivitàamministrativa con oggetto economico, che specifica i concetti espressividi ricchezza indicati al par. 1.1 (ricavi, costi, consumi, ecc.).Come tutte le stime, anche quella valutativa degli imponibili ha una na-

tura strutturalmente contenziosa, nel senso di “dialettica” tra diversi profilidi stima; contenzioso non vuol necessariamente lite davanti al giudice, maanche dialettica amministrativa, effettuabile in una pluralità di sedi, secondoi passaggi successivi di cui al precedente par. 3.4. Qualora il contribuentedissenta rispetto alle stime, inizialmente sommarie, degli uffici chiederà rie-sami amministrativi, meglio se non interamente di competenza dello stessoufficio che ha emesso l’atto impugnato; gli uffici legali dell’Agenzia delle En-trate dovrebbero diventare “uffici contenzioso”, gestendo soprattutto ade-sioni e riesami. La tutela giurisdizionale andrebbe limitata al cattivo eserci-zio di queste ri-valutazioni amministrative, senza una sostituzione del giu-dice all’ufficio nella determinazione dell’imponibile72; la funzione tributariaè infatti amministrativa, non giurisdizionale, e deve recuperare sistematicitànella sede propria, prima che nel processo. Quest’ultimo va riportato aglischemi generali di quello amministrativo, tornando giuridicamente alla tu-tela “non sostitutiva” e, numericamente, a poche migliaia di casi l’anno.

3.7 Conclusioni: evasione, comunicazione politica e coesione sociale

Ad ogni possibile riforma della funzione tributaria, comprese quellesuggerite ai paragrafi precedenti, la politica guarda in termini di consensosociale, prima che di intrinseca correttezza. È l’atteggiamento legittimodel politico, che guarda alle prossime elezioni, se vuole poter essere ancheuno statista che fa l’interesse delle prossime generazioni73. Anche in mate-ria tributaria, l’acquisto e la perdita di consenso non sono però misurabiliin modo formale74. Sono quindi fondamentali per il consenso aspetti emo-

72 Sul tema Lupi, Diritto amministrativo dei tributi, cit., par. 6.10.

73 Non c’è insomma alcuna contraddizione tra politico e statista nella nota battutaattribuita a De Gasperi. La sintesi è che il politico vince le elezioni se spiega in modoconvincente cosa vuole fare per le prossime generazioni. Per chi si chiedesse cosahanno fatto per noi le prossime generazioni, risponderei che la loro presenza futuradà senso alla nostra vita presente, ma è una questione di valori.

74 Come pretenderebbero di fare alcuni teoremi della “sociomatematica” (tipo quel-li di Arrow-Wicksell) sulla previsione formale dei comportamenti di un ipotetico“elettore razionale”.

III. SUPERARE LE DISFUNZIONI PUBBLICHE PER RIDURRE LE PERVERSIONI PRIVATE

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zionali, di fiducia e credibilità, influenzati da sensazioni di massa, i cuitempi di riflessione sono ridotti e i bagagli culturali limitati, anche sull’e-vasione fiscale75.I messaggi della politica sul tema cercheranno quindi di dare una qual-

che attenzione alle varie tendenze di opinione descritte nel capitolo secon-do, tenendo anche conto degli interlocutori cui la forza politica si rivolgenella pubblica opinione; quest’ultima non avverte tanto gli interessi mate-riali di una categoria, quanto il suo posizionamento reputazionale, rispettoalle altre, nell’atteggiamento delle varie forze politiche; è positiva del restola prevalenza, nell’espressione del consenso, di impressioni emozionali sulpossibile buongoverno, rispetto a gretti calcoli di convenienza individualedegli elettori, tra l’altro difficili da svolgere.Su questa premessa, le spiegazioni dell’evasione fiscale attraverso la col-

pevolizzazione di categorie produttive non sono solo sbagliate dal puntodi vista del sapere, ma anche da quello del consenso. La colpevolizzazionedi una categoria, sia pure meno numerosa, fa perdere presso di lei moltopiù consenso di quello che fa acquistare presso categorie e tendenze di opi-nione in assoluto maggioritarie. È quanto accade nella spiegazione dell’e-vasione come perversione privata di alcune categorie economico sociali76,che fa perdere molto più consenso di quanto faccia acquisire, anche se talicategorie sociali sono una minoranza nell’opinione pubblica generale (par.2.3); quest’ultima reagisce in modo variegato, e comunque non esprime unconsenso adeguato a controbilanciare quello perduto nelle categorie col-pevolizzate, con cui anzi molti, disinteressatamente e giustamente, solida-rizzano, come già visto al par. 2.1377.La perdita di consenso, nelle categorie colpevolizzate, non deriva tanto

da loro motivi economici, cioè dalla prospettiva di dover pagare più impo-ste, ma da motivi reputazionali. La spiegazione dell’evasione come perver-sione privata di alcune categorie sociali non solo è sbagliata scientificamen-

75 Si pensi alle lacune storico formative della pubblica opinione sul concetto diaziende come organizzazioni pluripersonali (par. 2.3).

76 Si tratta degli autonomi di cui al par. 1.6 e che sul punto sono oggetto del “razzi-smo sociale” che spiega l’evasione come disonestà, assenza di “senso civico”, ecc.(par. 2.12).

77 Del resto la Storia insegna che le “spiegazioni contro” sono utilizzabili solo quan-do rivolte a una fascia sociale minima, soprattutto nelle “società aperte” e non a casoè stato creato il mito sociale dei “grandi evasori” (par. 2.14). Gli autonomi sono trop-po numerosi e integrati per diventare una specie di kulaki fiscali. Anche perché nonlo meritano affatto, come indicato al par. 1.7.

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te78, ma è dannosa politicamente, soprattutto quando individua il problemadell’evasione in termini tecnicamente esatti79.Alla colpevolizzazione si accompagnano le spiegazioni politiche, come

quella del “partito degli evasori”, con cui sono bollati coloro che rifiutanodi spiegare il problema con la perversione privata delle suddette categorieeconomiche. Essi vengono tacciati come “partito degli evasori”, un po’ co-me gli scettici sull’esistenza delle streghe erano accusati dagli inquisitori diessere amici delle streghe. I nostri moderni inquisitori antievasione, soprav-valutando la politica, pensano che l’evasione sia stata una sua concessionealle note categorie del lavoro indipendente al consumo finale80. La spacca-tura spontanea del sistema di determinazione tributaristica della ricchezzaviene confusa con un consapevole scambio di voti contro licenza di evade-re. Che invece gli interessati potevano prendersi benissimo da soli, facen-dolo tra l’altro meno di quanto avrebbero oggettivamente potuto, come in-dicato al par. 1.7.Colpevolizzare milioni di commercianti, artigiani, professionisti e fami-

glie, come una specie di nuovi nemici del popolo, è quindi sia scorretto eingeneroso, sia perdente, in termini di consenso. L’idea di “lotta all’evasio-

78 Come spiegato al par. 2.10 dedicato al “senso civico”.

79 Dirigendosi cioè alla ricchezza non determinata fiscalmente attraverso le organiz-zazioni. Per questo la spiegazione colpevolizzatrice di qualche categoria economicaviene dirottata in modo politicamente meno imbarazzante sul capro espiatorio delleaziende come “grandi evasori”, diventando suicida solo sul piano economico e so-ciale, ma non politico, secondo quanto spiegato al par. 2.14.

80 Il riferimento è a Visco (Colpevoli evasioni, cit.) che si è reso conto del problema,sopravvalutando però la possibilità della politica di risolverlo senza che la pubblicaopinione lo comprendesse; una sopravvalutazione della politica emerge nelle sue ac-cuse di connivenza con l’evasione, indirizzate alle forze politiche “tiepide” verso lasua spiegazione colpevolistica; giustamente l’autore sottolinea che durante i suoi in-carichi alle finanze il gettito aumentò, ma non per interventi sulla determinazionedella ricchezza, quanto per una “faccia feroce” verso il lavoro indipendente, che pro-vocò un bilancio negativo di consensi in sede elettorale (casse piene, urne vuote).L’assenza di “spiegazione sociale” rasserenante del fenomeno, nonostante la raziona-lizzazione di molti meccanismi tecnici, è confermata dall’emanazione, con lui mini-stro del tesoro, delle prime norme che indirizzavano i controlli sulle grandi aziende,avviando il circolo vizioso di cui al par. 2.14. Si aggiunse così alla perdita di consensopolitico anche l’errore scientifico, dettato dall’esigenza di assecondare un certo po-pulismo antiaziendale “di sinistra”. Alla fine si conferma l’importanza che lo studio-so sociale faccia il suo mestiere “verso la pubblica opinione”, anziché scendere diret-tamente in politica, con tutte le distorsioni e le dispersioni che ciò comporta.

III. SUPERARE LE DISFUNZIONI PUBBLICHE PER RIDURRE LE PERVERSIONI PRIVATE

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ne”, come surrogato della lotta di classe (par. 2.13), non trascina certo inpiazza i dipendenti contro gli autonomi; questi ultimi sono troppi per es-sere un bersaglio, ed è quindi improprio parlare di “guerra tra poveri”, siaper quanto riguarda la guerra sia per quanto riguarda i poveri, trattandosida entrambe le parti di “non ricchi”.La colpevolizzazione è anche controproducente sul piano della corretta

determinazione degli imponibili fiscali, che viene drammatizzata, secondo icircoli viziosi di cui ai parr. 2.9-2.13. Per le categorie del lavoro autonomo,messe sotto accusa, tanto varrà chiudersi, reagendo a semplici razionalizza-zioni della funzione tributaria come fossero punitivi attacchi politici; la ten-sione si scarica sul fantomatico diversivo dei “grandi evasori”, con la disper-sione dei controlli sulle contestazioni interpretative e l’involontario oggetti-vo aiuto all’evasione, in termini di spreco di energie degli uffici (par. 2.14). Anche sulla funzione tributaria e l’evasione, la via maestra della politica

per acquistare consenso è quella esistente su tutte le altre funzioni pubbli-che di una società aperta. Essa si basa non tanto sulle promesse, quanto sul-la trasmissione di aver capito la funzione pubblica sottostante, interagendodiversamente coi vari segmenti di opinione pubblica sensibili al tema81. Atal fine non servono i suddetti laceranti colpevolismi sulla funzione tribu-taria, perché il consenso non si suscita “contro qualcuno”, con attacchid’immagine, ma “per qualcosa”; accantonando l’idea divisiva di “lotta al-l’evasione”, la determinazione credibile degli imponibili degli autonomideve evitarne una delegittimazione reputazionale (par. 2.13); la cornicedev’essere invece una spiegazione serena e matura della funzione tributa-ria, facendo anche formazione sociale su di essa. Lo stesso vale per i prov-vedimenti tributari “di favore”, in quanto comprare il consenso politico èpiù faticoso che suscitarlo attraverso valori in cui l’opinione pubblica si ri-conosce, spiegando di aver capito le funzioni da esercitare82. Il politico ca-pace di spiegare tende infatti a essere considerato anche in grado di fare,e gli si darà consenso. Su questo sfondo, sostenere o criticare in astratto leimposte83, o incolpare qualcuno del loro mancato pagamento, con pagelle

81 È una fatica comunicativa simile a quella che dovrebbero sobbarcarsi gli studiosisociali (par. 3.1), ma con finalità e contenuti diversi.

82 Nonostante i già menzionati teoremi sulla formalizzazione del consenso politico,esso è verosimilmente una sintesi emotiva di tanti ragionamenti, per certi versi simileall’amore, che non si compra con provvedimenti di favore, ma si intercetta all’inter-no della pubblica opinione.

83 Come la già menzionata dichiarazione di un ministro dell’economia secondo cui:«Le tasse sono una cosa bellissima», o la più frequente opposta: «Meno tasse per tutti».

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dei buoni e dei cattivi (onesti e disonesti), sono tutte seconde scelte. Chefanno perdere i voti dei fantomatici “cattivi” senza guadagnarne tra i fan-tomatici “buoni”.Politicamente miope è anche l’opposta retorica del fisco amico, che tra-

scura anch’essa l’essenzialità della determinazione degli imponibili (par.1.1) nella funzione tributaria; il “fisco amico” può essere un fisco non for-malistico, attento alla sostanza di una determinazione equilibrata della ric-chezza, in punto di fatto e di diritto. Quest’ultima è ostacolata proprio dalletendenze colpevoliste sull’evasione, come perversione privata.Se il contribuente cerca di sabotare una funzione tributaria efficiente,

può anche conoscere “il lato oscuro dell’accertamento”84. Quanto megliosarà esercitata la funzione tributaria, grazie alla sua spiegazione socialed’insieme, tanto più l’evasione potrà considerarsi una perversione privata.Per ora, però, senza una spiegazione da parte dei giuristi come studiosi so-ciali, la disfunzione supera di molto la perversione.

84 Secondo una battuta da Star Wars, non gradita alla politica in quanto “minaccio-sa”, usata da un direttore dell’Agenzia delle Entrate.

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Indice

I. Scoordinamento tra tradizione valutativa e determinazione contabile degli imponibili 51.1 La determinazione della ricchezza soggetta a imposte e l’evasione 51.2 I tempi delle stime degli imponibili da parte di pubblici uffici o loro incaricati 81.3 L’uso recente della contabilità aziendale per determinare gli imponibili 101.4 L’autotassazione come esternalizzazione inconsapevole della determinazione delle imposte 121.5 Le conseguenti sperequazioni, socialmente destabilizzanti 141.6 Imponibili non tassabili attraverso le aziende, dall’agricoltura alle prestazioni individuali ai privati consumatori 151.7 La prudenza dei piccoli operatori con sede stabile, fiscalmente visibili 161.8 Minori scrupoli di contribuenti “sfuggenti”, senza sede fissa 191.9 Capitalismo familiare italiano e radici del mito dei “grandi evasori” 20

II. Evasione e mancata spiegazione sociale della funzione tributaria, come determinazione della ricchezza imponibile 252.1 La stima dell’evasione: un ordine di grandezza 252.2 Mancanza di spiegazioni sociali della funzione tributaria 272.3 Segue: conseguente disorientamento della pubblica opinione 28

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2.4 Formalismo economico e tecnicismo giuridico come cause della mancata spiegazione accademica 312.5 Inadeguatezza delle spiegazioni di fonte professionale, politico-istituzionale e aziendale 362.6 Inadeguatezza formativa del dibattito mediatico sull’evasione 392.7 Spiegazioni “fatte in casa” dalla pubblica opinione 412.8 Spiegazione dell’evasione con le aliquote troppo elevate 422.9 Le controproducenti terapie punitive delle “manette agli evasori” 442.10 L’illusoria generalizzazione della determinazione contabile delle imposte 472.11 Tendenza uguale e contraria a formalizzare le stime: catasto e studi di settore 502.12 Il “razzismo sociale” della cosiddetta “onestà e disonestà fiscale” (quanto spiega la perversione privata?) 532.13 Il groviglio delle opposte strumentalizzazioni politiche. 552.14 I danni sociali della mancata spiegazione della funzione tributaria e dell’evasione 57

III. Superare le disfunzioni pubbliche per ridurre le perversioni private 653.1 Il compito esplicativo dei giuristi come studiosi sociali delle pubbliche funzioni 653.2 Necessità di riconoscere il ruolo tributario dell’azienda come gruppo sociale 743.3 Razionalizzazione del ruolo di aziende, professionisti e strutture di assistenza 763.4 La modernizzazione delle stime diffuse di credibilità economica, dove non arrivano le determinazioni contabili 793.5 Riflessi sull’organizzazione degli uffici tributari e sul controllo sociale dei loro risultati 813.6 Centralità degli uffici tributari nella determinazione degli imponibili (processare meno processare meglio) 843.7 Conclusioni: evasione, comunicazione politica e coesione sociale 87

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