Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

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Tesi di laurea in Ingegneria Biomedica VALUTAZIONE ECONOMICA DELL’UTILIZZO DELLA RADIOFREQUENZA NEL TRATTAMENTO ANTALGICO DEL LOW BACK PAIN (LBP) DA SINDROME DELLE FACCETTE ARTICOLARI

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INDICE

INTRODUZIONE 1

CAPITOLO 1: LOW BACK PAIN

1.1 Definizione ed Epidemiologia 3

1.2 Biomeccanica della colonna vertebrale 9

1.2.1 Postura 14

1.2.2 Cinetica Lombosacrale 17

1.2.3 Flessione 18

1.2.4 Ritorno alla posizione eretta 18

1.2.5 Postura e Dolore 20

1.3 Diagnosi Clinico-Strumentale 21

1.4 Classificazione della lombalgia 26

1.5 Facet Syndrome

1.5.1 Definizione ed epidemiologia 30

1.5.2 Diagnosi 31

1.5.3 Principi di terapia 32

CAPITOLO 2: RADIOFREQUENZA

2.1 Cenni storici 35

2.2 Definizione e proprietà

2.2.1 Classificazione 36

2.2.2 Effetti sanitari e limiti di sicurezza 40

2.3 Tipologie di Radiofrequenza

2.3.1 Radiofrequenza Continua 44

2.3.2 Radiofrequenza Pulsata 46

2.3.3 Radiofrequenza Pulse Dose 48

2.4 Meccanismi d’Azione ed effetti biologici 49

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CAPITOLO 3: METODI E MATERIALI

3.1 Introduzione razionale e metodologia 58

3.1.1 Tecnologia A 62

3.1.2 Tecnologia B 64

3.2 Analisi dei Costi 74

3.2.1 Costi tecnologia A1 e A2 75

3.2.2 Costi tecnologia B 76

CAPITOLO 4: RISULTATI

4.1 Valutazione economica 77

4.2 Analisi dei costi

4.2.1 Calcolo dei costi della tecnologia A 78

4.2.2 Calcolo dei costi della tecnologia B 79

4. 3 Break Even Analysis 80

CAPITOLO 5: DISCUSSIONE E CONCLUSIONI 81

BIBLIOGRAFIA 86

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INTRODUZIONE

Il concetto di dolore è sempre stato motivo di ricerca scientifica e di

discussione filosofica perché legato a componenti emozionali e

socioculturali, tali da renderlo un’esperienza “soggettiva” nella sua

percezione ed espressione. Dall’International Association for the

Study of Pain (IASP) il dolore è definito come “una spiacevole

esperienza sensoriale ed emotiva associata ad un danno tissutale

attuale o potenziale”. Tra i dolori distinguiamo:

il dolore acuto: dolore “utile” finalizzato ad allertare il corpo

sulla presenza di stimoli pericolosi, o potenzialmente tali,

presenti nell’ambiente o nell’organismo stesso.

il dolore cronico: dolore “inutile” che diventa malattia, legato

alla presenza di una patologia nota ma in buona parte non

aggredibile; è un dolore persistente nel tempo anche dopo

l’eliminazione della causa perché instaura un circolo vizioso di

depressione, ansia ed altri disturbi emotivi, con pesante

impatto relazionale e sociale.

Figura 1 : Dolore cronico ed Impatto Sociale

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2

Tra tutti i dolori cronici, il dolore lombare è il problema più comune

e importante dal punto di vista clinico, sociale, economico, di salute

pubblica, e riguarda indiscriminatamente tutta la popolazione

mondiale. E’ una patologia con molte possibili eziologie, che si

manifesta in molti gruppi della popolazione (1).

La prevalenza annuale è stimata intorno al 30%, anche se questa

percentuale può aumentare in determinati gruppi della popolazione.

Si è visto inoltre che tale dato è in aumento in rapporto ai fattori di

rischio quali patologie a carico della colonna lombo-sacrale, fattori

psicologici (ansia, depressione, somatizzazione), occupazionali (fisici

e psicologici) e fattori sociali e demografici (obesità, fumo di

sigaretta, basso livello sociale e culturale, età, genere femminile) (2).

Data però la modesta influenza di questi fattori ambientali, alcuni

Autori hanno incominciato ad investigare sull’influenza genetica

della degenerazione discale ed hanno ipotizzato che l’incremento

della prevalenza possa essere dovuto ad un aumento delle conoscenze

da parte della popolazione riguardo al dolore lombare cronico, che

sfocia in un aumento nella richiesta di cure ed assistenza (3,4,5,6).

Come mostrato in Figura 1, il dolore lombare cronico esercita un

forte impatto economico, sociale e sulla salute, perché c’è da mettere

in conto non solo il fronte della spesa pubblica legato alle cure

croniche e alla disabilità, ma anche i costi indiretti dovuti alle perdita

di giornate lavorative e, cioè, di produttività (7).

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CAPITOLO 1 – LOW BACK PAIN

1.1 Definizione ed Epidemiologia

Il dolore lombare è un sintomo molto diffuso nella popolazione

adulta dei paesi industrializzati. Numerosi sono gli studi

epidemiologici condotti in questi anni con stime variabili per quanto

riguarda la frequenza e l’impatto di questa patologia. La difficoltà nel

determinare dati precisi è legata alle diverse fonti d’informazione,

alla definizione stessa di dolore lombare, al diverso comportamento

dei malati secondo i sistemi assicurativi ed, infine, alle diverse

terapie adottate nei vari paesi. Ciò nonostante anche ad una prima

esamina della mole dei dati epidemiologici non può non risultare

chiaro ed evidente il ruolo di primo piano nel panorama delle cause

responsabili dell’inabilità temporanea del low back pain. Giova

all’inquadramento della portata del fenomeno il riporto della

prevalenza della patologia, specie in ambito lavorativo, ed il

conseguente impatto economico che ne consegue: in Gran Bretagna,

per esempio, il 46% di un campione randomizzato della popolazione

generale ha riferito di aver sofferto, almeno una volta nella vita, di

lombalgia. Sempre in Gran Bretagna nel solo 1993 sono state

effettuate 15 milioni di visite per lombalgia, cui sono conseguiti un

milione e mezzo d’esami radiografici della colonna, un milione di

cure fisioterapiche riabilitative, 100.000 ricoveri, 30.000 giornate di

Day-Hospital e 24.000 interventi chirurgici, il tutto per un costo

stimato di 1200 miliardi di lire/anno. A ciò vanno aggiunti 81

milioni di giornate pagate per indennità per malattia a causa di

rachialgie, con la stima di un aumento a 106 milioni di giorni negli

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anni 2002-2003 e 14 milioni di visite dei medici di medicina generale

per lombalgia. E’ significativo infine che il centro per l’economia

sanitaria di York ha stimato che il costo annuale di tutte le prestazioni

del servizio sanitario inglese per la lombalgia è stato pari a circa

480.000 milioni di sterline (circa 1.200 miliardi di lire) nel 1998.

Altro paese rappresentativo è la Svezia dove è stato stimato che

quattro adulti su cinque hanno un episodio di rachialgia nel corso

della loro vita e ogni anno un terzo della popolazione è affetto da

questa patologia (8). La lombalgia è la causa più frequente d’assenza

dal posto di lavoro per malattia e di pensionamento precoce: circa il

30% delle assenze dal lavoro per malattia sono in relazione ad

episodi di rachialgia e la maggior parte si verificano fra soggetti

giovani. In questa nazione è stato stimato che il costo totale delle

rachialgie può essere valutato superiore a 3,5 miliardi di dollari. Ma

dove forse si è analizzato con più completezza il problema e le sue

ricadute sull’attività lavorativa sono gli Stati Uniti, dove la lombalgia

o low back pain che dir si voglia (LBP) rappresenta la prima causa

d’assenza dal lavoro, disabilità e perdita d’ore lavorative,

interessando il 28,6% lavoratori, per la maggior parte al di sotto dei

45 anni, quindi in piena età produttiva (9,10,11). Episodi della durata

di almeno due settimane sono stati riportati nel 14% della

popolazione degli Stati Uniti. Il costo stimato degli effetti diretti

(sanitari) ed indiretti (ore non lavorate, risarcimenti, cause legali, ecc)

oscilla dai 10 ai 60 miliardi di dollari/anno (dai 22.000 ai 135.000

miliardi di lire) ed è lievitato dal 1956 al 1976 del 27% ; secondo

altri studi è lievitato talmente tanto da far ritenere che su

quest’aspetto valga la pena o addirittura si renda necessario rimettere

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in discussione alcuni aspetti della strategia fin qui utilizzata e delle

ricadute conseguenti sullo stato sociale (12). Il National Institute of

Occupational Safety and Health (NIOSH-USA) pone tale patologia al

secondo posto nella lista dei dieci problemi di salute più rilevanti nei

posti di lavoro. Degno di nota a tal proposito è il lavoro di Volinn, il

quale è a dir poco illuminante nella conferma di aspetti in parte già

noti in parte fortemente sospettati: la lombalgia è un problema del

mondo industrializzato, mentre nei paesi a basso reddito è

sicuramente meno grave (13). L’autore confronta infatti le ricerche

epidemiologiche condotte in tutto il mondo ponendo un taglio

originale nel suddividere i dati in base alle caratteristiche di reddito

delle popolazioni studiate; ricordiamo inoltre come uno dei padri

della lettura “meccanica” della lombalgia, Alf Nachemson, si sia

oramai da anni convertito, per lo meno per il dolore cronico, alla

lettura “psicologico-sociale” di questo disturbo, al punto che, per la

sola lombalgia, viene ridotta in Svezia la compensazione in caso di

assenza dal lavoro. L’ipotesi dell’Autore è infatti che, se il mal di

schiena non viene “remunerato” quando è “invalidante” allora anche

la relativa “invalidità” si riduce: prove ne sarebbero proprio la minor

incidenza della lombalgia nei paesi a basso reddito, il progressivo

aggravarsi della “epidemia” di lombalgia in tutti i paesi con il

migliorare delle condizioni economiche e (sembra) soprattutto di

assicurazione sociale e le minori assenze dei libero-professionisti

(che se non lavorano non guadagnano). Per quanto riguarda l’Italia

si stima che soffrano di lombalgia 80 persone su 100,

indipendentemente dal lavoro/attività (sedentaria o attiva). Più colpiti

gli uomini al di sopra dei 30 anni d’età, nel 90% dei casi ci

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sono recidive; nel 60% dei casi non si è in grado di individuare un

movimento o un trauma scatenante; nel 44% casi, l’episodio acuto si

risolve in uno settimana; nel 86% dei casi l’episodio si risolve in un

mese, nel 92% si risolve in due mesi, nel 35% casi la lombalgia

recidiverà in una sciatica. Un analisi puntuale e dettagliata del

problema è stata condotta nella regione Emilia Romagna dove negli

anni 1994 - 1998, il ricovero DRG 243 (DRG : disturbi del dorso)

compare fra le prime dieci cause di ricovero. Se all’interno di questo

raggruppamento s’indagano le diagnosi principali indicate nelle

schede di dimissione ospedaliera, emerge che in più del 30% dei casi

è la patologia della colonna lombare (sciatalgia, lombalgia, patologia

del disco intervertebrale) il motivo del ricovero, mentre la patologia

della colonna cervicale figura in meno del 10% dei casi. Per quanto

riguarda i DRG chirurgici, il DRG 215 (interventi sulla colonna

senza complicazioni) è risultato essere la causa di 4.290 ricoveri nel

1997 e di 4.937 ricoveri nel 1998; il DRG 214 (interventi sulla

colonna con complicazioni) è risultato essere la causa di 256 ricoveri

nel 1997 e di 272 ricoveri nel 1998. Dai dati relativi ai ricoveri è già

possibile ipotizzare che il “problema mal di schiena” ha approcci e

soluzioni molto vari che probabilmente non sono giustificati dalla

variabilità dei singoli pazienti. Poco sappiamo di quanto accade nel

settore specialistico ambulatoriale e negli ambulatori dei medici di

medicina generale; non si dispone di raccolte d’informazioni ad hoc

e dai flussi di dati correnti non è possibile avere notizie dettagliate e

specifiche, ad esempio per quanto riguarda il consumo dei farmaci.

Un dato che può essere utilizzato come “indicatore sentinella” della

variabilità dei comportamenti diagnostici riguarda l’utilizzo della

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prestazione ambulatoriale ”radiografia della colonna lombo-sacrale”

(flusso informativo regionale dell’attività specialistica ambulatoriale

1999) che è molto diverso nei vari ambiti provinciali con analoga

struttura, per età e sesso della popolazione. In Italia, le sindromi

artrosiche sono, secondo ripetute indagini ISTAT sullo stato di salute

della popolazione, le affezioni croniche più diffuse e si situano al

secondo posto fra le cause d’invalidità civile ed inoltre le affezioni

acute dell’apparato locomotore sono al secondo posto (dopo le

affezioni delle vie respiratorie) nella prevalenza puntuale di patologie

acute accusate dagli italiani. Secondo stime provenienti dagli Istituti

di medicina del lavoro, le patologie croniche del rachide sono la

prima ragione nelle richieste di parziale non idoneità al lavoro

specifico. Tra gli infortuni sul lavoro, la lesione da sforzo, che nel

60-70% dei casi è rappresentata da una lombalgia acuta, non fa

registrare alcun trend negativo nonostante vi siano ampi fenomeni di

sottostima per via d’omesse registrazioni. Inoltre nel campo della

medicina del lavoro, il tradizionale interesse per le malattie di sicura

origine professionale è stato affiancato negli ultimi anni da quadri

morbosi, a genesi per lo più multifattoriale, che trovano nell’attività

lavorative elementi causali o concausali ; fra questi quadri assumono

particolare importanza le alterazioni cronico-degenerative del rachide

(spondiloartropatie), in particolare del tratto lombare, che trovano un

ruolo causale/concausale nelle attività lavorative che prevedono

movimentazione manuale di carichi e posture fisse prolungate (14).

Questa constatazione ha spinto alcuni paesi occidentali ad emanare

specifiche normative e standard rivolti a limitare l’impiego della

forza manuale nello svolgimento delle attività lavorative: è di rilievo

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la guida presentata dal The National Institute for Occupational Safety

and Health (NIOSH 1981) per il sollevamento dei carichi (Figura 2).

L’esperienza italiana dei servizi di medicina del lavoro sulla materia

si è sviluppata a partire dalla metà degli anni ottanta ed è stata in

grado di dimostrare l’esistenza di specifici rischi lavorativi in diversi

contesti in cui vi è largo ricorso alla forza manuale.

Figura 2 : Guida al corretto sollevamento dei carichi (NIOSH 1981)

In campo internazionale di studio guida c’è stata una vasta indagine

condotta negli anni settanta su un campione di 3316 lavoratori

israeliani, nella quale fu riscontrato il tasso grezzo di prevalenza più

alto fra i lavoratori dell’industria pesante (21,6%), seguiti dagli

infermieri (16,8%); per quanto riguarda quest’ultima categoria il low

back pain compare nel 46% dei casi tra i 30 ed i 39 anni d’età e nel

5% entro tre anni dall’inizio del lavoro. Quest’enorme quantità di

dati non resta fine a sé stessa ma è importante per indicare che il

problema del “mal di schiena” o “Low back pain” riveste notevole

importanza sul piano sociale ed economico in varie parti del mondo.

Per tale motivo individuare all’interno di questo enorme contenitore

le diverse patologie che ne fanno parte è fondamentale sia dal punto

di vista clinico che dal punto di vista socio-economico: per

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raggiungere quest’obiettivo è indispensabile seguire specifici

controlli diagnostico-terapeutici per le differenti affezioni e tener

presente le condizioni fisiopatologiche che riguardano la colonna

vertebrale ed i suoi movimenti.

1.2 Biomeccanica della colonna vertebrale

Ma come mai tante problematiche della colonna vertebrale, ed in

particolare del tratto lombosacrale, arrivano a rivestire un peso così

rilevante nella nostra salute? In effetti la specie umana paga lo scotto

della verticalizzazione rispetto ai nostri progenitori, in cui la colonna

vertebrale veniva utilizzata in quadrupedia. La messa in piedi ha

comportato uno sforzo in estensione delle articolazioni coxo-femorali

e del tratto lombosacrale per consentire al capo di porsi in equilibrio

rispetto al corpo (Figura 3).

Figura 3 : Effetti della verticalizzazione sulla colonna lombo-sacrale

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Questo ha portato al formarsi di una serie di curve a livello del

rachide assenti nella colonna vertebrale ancestrale dove si riscontrava

una sola curva, il foro occipitale si è centralizzato, il piede ha assunto

caratteristiche più adatte alla funzione che unica interfaccia con il

suolo. Va aggiunto che il bacino dell’ homo sapiens è il risultato di

un compromesso tra le esigenze della verticalizzazione e quelle della

procreazione, infatti, l’antiversione del bacino permette un rientro

dell’osso pubico, limitando i traumatismi in posizione verticale per la

testa del feto. Tale situazione ha portato a livello del tratto lombare al

formarsi di una curva lombare in lordosi con una obliquità importante

del sacro dove vanno a concentrarsi le forze provenienti dall’alto;

questo, unito all’esigenza di una buona mobilità a livello del tratto

lombare crea in corrispondenza del passaggio alla regione

lombosacrale un punto biomeccanicamente debole e poco protetto,

specie in presenza di deficit muscolari e d’anomalie posturali. La

maggior parte dei disturbi che colpiscono la colonna lombosacrale è

di natura meccanica (15,16). Per comprendere il dolore e la

compromissione funzionale di questa regione è importante definire e

comprendere l’unità funzionale spinale rappresentata in Figura 5

(17). La colonna vertebrale è costituita da una serie di segmenti

sovrapposti (Figura 4) .

L’unità funzionale è composta da due corpi vertebrali adiacenti,

disposti uno sopra l’altro, separati da un disco intervertebrale e da

tutte le articolazioni ed i legamenti in/fra essi contenuti. Essa può

essere suddivisa in un segmento anteriore, che è sostanzialmente una

struttura flessibile di supporto, che sostiene il peso ed assorbe i

traumi, costituito da due corpi vertebrali adiacenti e dal disco

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11

intervertebrale fra essi contenuto, e in un segmento posteriore,

costituito da quelle strutture che formano la parete esterna del canale

spinale e comprende quindi i peduncoli, i processi trasversi, le

faccette articolari, le lamine e i processi spinosi posteriori, sedi

d’inserzione della muscolatura estensoria (Figura 6).

Figura 4 : I segmenti della colonna vertebrale dell’uomo

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12

Figura 5 : Unità funzionale spinale

Figura 6: Schematizzazione dell’unità funzionale spinale

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Ogni unità funzionale comprende tutti i tessuti indispensabili per la

funzionalità globale che possono essere dotati di nocicettori,

provocando dolore. In presenza di una lesione di ciascun

componente, l’unità funzionale può portare compromissione

funzionale dell’intero sistema. Il dolore compare quando il tessuto

leso è innervato da terminazioni nocicettive, in particolare sono

riccamente innervati e quindi sono causa di dolore, in presenza di

stimolo irritativo e/o traumatico, il legamento longitudinale anteriore

e quello posteriore, lo strato esterno del disco intervertebrale (anulus)

e il periostio del corpo vertebrale. La radice nervosa sana di per sé

non è sensibile; ma la sua irritazione per stiramento, pressione o

trauma provoca dolore: possono essere presenti parestesia, disestesia,

analgesia o paralisi motoria, ma raramente dolore. Il tessuto irritabile

della radice nervosa all’interno del forame intervertebrale, fornito di

fibre nervose sensoriali in grado di trasmettere dolore, è il nervo

meningeo ricorrente. Il dolore cronico è stato attribuito alla fibrosi

della radice nervosa e del ganglio dorsale all’interno del forame.

Questa fibrosi è un fenomeno biologico complesso ed equiparabile

ad “infiammazione”. Altro tipo di dolore cronico, sicuramente più

frequente, è quello causato da processi artrosici a carico delle faccette

articolari che comportano irritazione del nervo mediano anteriore e

quindi dolore. I muscoli deputati a trasformare la trave flessibile

vertebrale in colonna di sostegno sono detti “muscoli stabilizzatori

vertebrali”.

A livello del tratto lombare, essi possono essere classificati in:

muscoli stabilizzatori principali:

anteriori: ileo psoas

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laterali: quadrato dei lombi

posteriori: interspinosi, intertrasversari, trasverso-spinali

muscoli stabilizzatori accessori:

muscoli del torchio addominale: diaframma, addominali

trasversi ed obliqui, muscoli perineali

muscoli equilibratori del bacino: grande gluteo e muscoli retti

dell’addome

apparato ausiliario estensore: muscoli ischiatici e sacrospinali

Tutti questi muscoli sono riccamente innervati da fibre sensoriali

nocicettive, situate all’interno delle masse muscolari, delle loro

guaine fasciali, dei setti intramuscolari, delle inserzioni tendinee

nell’osso e all’interno dei vasi sanguigni intramuscolari. Esse

provvedono tanto alla sensibilità propriocettiva quanto a quella

dolorifica. Si ritiene che l’accumulo di metaboliti come:

prostaglandine, istamina, acido lattico e molte altre che possono

essere prodotti in seguito a contrazione muscolare protratta o a traumi

meccanici del muscolo, provochi la sensazione di dolore. Anche la

fascia muscolare è ben innervata da fibre sensoriali e si ritiene che

essa giochi un ruolo nella genesi del dolore lombare. Tale dolore

spesso non è una sensazione localizzata in una sede ben precisa o

provocata da un dato movimento e non ha una distribuzione

segmentale.

1.2.1 Postura

Generalmente, la postura viene definita come la disposizione delle

parti del corpo. Una buona postura è quello stato d’equilibrio

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15

muscolare e scheletrico che protegge le strutture portanti del corpo da

una lesione o una deformità progressiva nonostante la posizione

(eretta, distesa, accovacciata, china) in cui queste strutture lavorano o

sono a riposo. In queste condizioni i muscoli lavoreranno in modo

più efficace e gli organi toracici ed addominali si troveranno in

posizione ottimale. La postura è cattiva quando si ha una relazione

scorretta delle varie parti del corpo che produce un aumento di

tensione sulle strutture portanti e quando l’equilibrio del corpo sulla

sua base d’appoggio è meno efficace. Il cingolo pelvico crea, nella

postura ideale, un angolo retto con la colonna vertebrale sul piano

frontale. Una variazione di questo angolo, dovuta per esempio ad

asimmetria degli arti, comporterà una curvatura della colonna nel

tentativo di compensare lo sbilanciamento della pelvi. Sul piano

sagittale, il bacino assume una posizione neutra quando le spine

iliache anteriori superiori e la sinfisi pubica sono sullo stesso piano

verticale. Le inclinazioni pelviche anteriore o posteriore comportano

rispettivamente una iperestensione della colonna lombare con

flessione dell’articolazione dell’anca e una flessione della colonna

lombare con estensione dell’anca (Figura 7). I meccanismi

neurosensoriali che contribuiscono all’acquisizione di una postura

corretta sono visivi, vestibolari e propriocettivi. Un’alterazione, di

qualsiasi natura, di uno di questi sistemi metterà in moto dei

meccanismi d’adattamento che comporteranno delle ripercussioni

sulla postura “ideale”. Con l’espressione “controllo posturale” si

intende quell’insieme di processi dinamici che condizionano la

posizione del corpo nello spazio e quella delle sue parti mobili, le une

in rapporto alle altre, con conservazione di un caratteristico

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orientamento rispetto alla gravità. Per conservare questo

orientamento è necessaria una continua attività muscolare che

contrasta la forza di gravità. Il tono posturale è mantenuto da muscoli

scheletrici che esercitano prevalentemente un’attività tonica,

funzionalmente separati dai muscoli ad attività prevalentemente

fisica, deputati al movimento. I muscoli che si oppongono alla gravità

e mantengono la postura si dicono posturali e sono i muscoli

estensori degli arti.

Figura 7 : Angolo lombo-sacrale

Le componenti neurofisiologiche che contribuiscono al

mantenimento del tono posturale sono di varia natura : spinali e

sopraspinali. Le strutture fondamentali del controllo sopraspinale del

tono posturale sono rappresentate dalla sostanza reticolare

facilitatoria ed inibitoria e dal nucleo di Deiters.

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1.2.2 Cinetica lombosacrale

L’intera colonna vertebrale, fin qui descritta in una postura statica, è

dotata della capacità di movimento. Essa si muove come una somma

di movimenti di ciascuna unità funzionale; il movimento è iniziato

dall’effetto della forza di gravità e dall’azione cinetica della

muscolatura sulla struttura. Tutte queste azioni sono ben coordinate

e controllate dal biofeedback del sistema nervoso propriocettivo.

Tutte le azioni sono sottoposte alla forza di gravità nel tentativo di

mantenere l’equilibrio con il centro di gravità. Il movimento di

ciascuna unità funzionale si compie all’interno della porzione

anteriore, coinvolgente il disco, che sostiene il peso, e sotto la guida

dei tessuti dell’arco posteriore, comprendenti le faccette articolari.

L’ampiezza dei movimenti è limitata dai legamenti, dalle capsule

articolari e dai tessuti delle fasce muscolari. Il disco intervertebrale è

comprimibile, consentendo così la flessione, l’estensione, la flessione

laterale e la rotazione; questi ultimi due movimenti avvengono

simultaneamente e sono limitati nella loro ampiezza dall’elasticità

delle fibre collagene dell’anulus. Il nucleo del disco si deforma per

permettere questi movimenti, ma rimane contenuto negli strati più

interni delle fibre dell’anulus. Le faccette articolari scivolano una

sull’altra su un piano sagittale, permettendo la flessione e

l’estensione, ma limitando notevolmente i movimenti laterali e di

rotazione. L’estensione di ogni unità funzionale è limitata

dall’avvicinamento della faccetta articolare posteriore, mentre la

flessione è limitata dall’estensibilità dei legamenti longitudinali

posteriori, dei legamenti intervertebrali e dei foglietti della fascia del

muscolo sacrospinale.

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1.2.3 Flessione

La flessione di tutta la colonna lombosacrale determina l’inversione

della lordosi lombare fino a raggiungere una cifosi: ogni unità

funzionale si flette di circa 8-10°; la flessione complessiva delle

cinque unità del tratto lombare raggiunge un totale di 45°.

Il 75% della flessione è a carico degli interspazi L4-L5 e L5-S1, nel

tratto toracico non si verifica nessuna flessione significativa.

1.2.4 Ritorno alla posizione eretta

I tessuti spinali coinvolti nella manovra di riestensione variano a

seconda che la colonna debba solo ripristinare la posizione eretta o

sia contrastata da una maggiore resistenza (sollevamento di un

oggetto pesante). Quando la colonna deve ritornare in posizione

eretta dalla flessione, si susseguono questi eventi fisiologici:

la pelvi dovrebbe ruotare prima che la colonna lombare

riprenda la sua lordosi.

le anche e le ginocchia dovrebbero essere lievemente flesse.

ogni oggetto da sollevare dovrebbe essere vicino al corpo, in

modo da evitare una eccessiva sollecitazione delle strutture

articolari vertebrali e da far compiere il lavoro dalle masse

muscolari dei muscoli rotatori della pelvi.

la colonna deve riassumere la posizione eretta senza eccessiva

rotazione e derotazione. Il meccanismo della derotazione della

pelvi è attuato dai muscoli glutei e posteriori della coscia,

rotatori della pelvi, che devono iniziare e sostenere un lieve e

graduale accorciamento.

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Definiti quindi:

P= peso dell’oggetto sostenuto, ossia la resistenza della leva

X= distanza fra l’oggetto e la linea di gravità, ossia il braccio di

resistenza della leva.

M= forza-tensione sviluppata dalla muscolatura paravertebrale

Y= distanza fra l’applicazione di M e la linea di gravità ossia

braccio di potenza della leva.

G= linea di gravità o baricentrica ossia il fulcro della leva.

Vale la seguente relazione : PxX=MxY

Quindi come notiamo dalle figure che seguono lo schema statico

rappresentato in Figura 8 è nettamente vantaggioso rispetto a quello

presente in Figura 9, poiché la diminuzione di M comporta un più

lento affaticamento dei muscoli interessati ed un’inferiore stress sui

dischi intervertebrali.

Figura 8 Figura 9

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20

1.2.5 Postura e dolore

Le condizioni dolorose associate ad una meccanica del corpo alterata

sono così diffuse che la maggior parte delle persone adulte possiede

una conoscenza di base di tali problemi. Il dolore localizzato in

regione lombare è il sintomo più frequente, sebbene siano in crescita

casi di dolore al collo, alle spalle e al braccio. Quando si parla del

dolore associato ai difetti posturali, ci si sente spesso chiedere perché

ci siano molti casi di postura scorretta senza sintomatologia algica, e

perché difetti posturali simili di lieve entità diano origine a sintomi di

stress muscolare o meccanico. La risposta ad entrambe le domande

va cercata nella costanza del difetto e nella capacità di adattamento

da parte dell’organismo; il dolore compare nel momento in cui cessa

la capacità di adattamento: la postura può apparire assai scorretta,

eppure il soggetto gode di una buona flessibilità e la posizione può

essere cambiata rapidamente; la postura può sembrare buona, ma è

presente una rigidità o tensione muscolare che può limitare la

mobilità a tal punto da impedire il cambiamento rapido della

posizione. La scarsa mobilità, non altrettanto evidente quanto un

difetto di allineamento, ma svelabile in test per la flessibilità e la

lunghezza muscolare, può essere il fattore di maggior importanza. E’

fondamentale per la comprensione del dolore il concetto secondo il

quale gli effetti cumulativi di tensioni costanti o ripetute per un lungo

periodo di tempo possono dare origine allo stesso tipo di problemi

che si osservano quando la causa è uno stress improvviso e grave. I

casi di dolore posturale sono estremamente variabili nel tipo di

insorgenza e nella gravità dei sintomi.

Page 25: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

21

1.3 Diagnosi Clinico-Strumentale

Di fronte ad una lombalgia è opportuno prendere in esame tutte le

situazioni che possono averla scatenata e, soprattutto comprendere la

patogenesi del dolore da trattare: é indispensabile una accurata

anamnesi per risalire ad eventuali eventi traumatici da cui sia

scaturito il dolore, le condizioni in cui questo ricompare o si

riacutizza e la durata della sintomatologia. Devono essere indagati

accuratamente i caratteri del dolore (superficiale e/o profondo, acuto

o cronico, circoscritto ad una regione ben delimitata o diffuso e/o

irradiato) e le manovre, i movimenti e le condizioni che lo aggravano

o lo alleviano. Inoltre nel corso del colloquio devono essere registrati

eventuali precedenti tentativi terapeutici; ed ove questi non abbiano

avuto successo, vanno ricercate le ragioni del loro fallimento.

L’insuccesso di terapie presumibilmente corrette suggerisce

l’esistenza di un’estensione dello studio diagnostico (anche mediante

il ricorso ad indagini strumentali) o di un più approfondito controllo

degli elementi anamnestici. Anche la descrizione dei caratteri del

dolore può essere utile ai fini diagnostici. Il paziente, cioè, può

definire il dolore come sordo e profondo, acuto o urente; è ben noto

come determinate strutture, se irritate, diano selettivamente risposte

dolorose di un certo tipo. L’identificazione di tali strutture,

nell’ambito di un’unità funzionale o di un più ampio tratto di rachide,

costituisce il primo passo per giungere alla formulazione della

diagnosi patogenetica. Importante è anche la valutazione delle

caratteristiche temporali del dolore (frequenza e durata).

Un’instabilità meccanica deve essere sempre sospettata ogni

qualvolta si abbiano crisi dolorose molto ravvicinate. La durata della

Page 26: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

22

sofferenza dolorosa è strettamente correlata al tessuto interessato, con

evidenti implicazioni sull’evoluzione del quadro. E’ utile indagare

tutti i fattori aggravanti o allevianti il dolore. Il dolore alla schiena

non meccanico solitamente è continuo, mentre quello meccanico

viene aggravato dal moto. Il dolore che peggiora con la tosse è

tradizionalmente associato all’ernia del disco, sebbene sia dimostrato

che anche quello da altre cause meccaniche può esserne influenzato.

L’esame fisico è una fase importante dello studio diagnostico, deve

essere dettagliato ed inizia nel momento stesso in cui ci si accinge

alla raccolta dell’anamnesi, esso consiste essenzialmente nel tentativo

di riprodurre mediante l’esecuzione guidata di particolari azioni e

movimenti, i sintomi lamentati dal soggetto in esame. L’anamnesi

offre una prima occasione per distinguere tra forme statiche e forme

cinetiche in base a quanto il paziente riferisce (dove, quando e come

il paziente ha dolore). Si giunge così, quasi sempre con i soli mezzi

della semiologia fisica, a porre una precisa diagnosi funzionale e

(almeno nella maggioranza dei casi) anche patogenetica. L’approccio

alla sindrome lombalgia non può essere riduttivo, ma deve tenere in

considerazione tutte le cognizioni più moderne e le evidenze

scientifiche, infatti troppe volte vengono utilizzati protocolli di

diagnosi e di trattamento basati su dati non controllati. La valutazione

globale del paziente lombalgico può richiedere un profilo biochimico

completo (un conteggio degli elementi del sangue, una

determinazione della pcr e di tutti i marcatori di infiammazione)

quando una diagnosi su base infettiva o di malignità è considerata la

possibile causa del low back pain. Le radiografie standard raramente

sono utili nella valutazione iniziale di un paziente con una

Page 27: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

23

sintomatologia algica acuta in posizione lombare. Due grossi studi

retrospettivi hanno dimostrato la bassa utilità clinica delle radiografie

standard del tratto lombare (18,19). In uno di questi studi, le

radiografie apparivano normali o dimostravano modificazioni di

equivoca importanza clinica in più del 75% dei pazienti con low back

pain. L’altro studio scoprì che le radiografie eseguite in obliquo

risultarono clinicamente utili in meno del 3% dei pazienti in quanto

le radiografie standard sono utilizzate soprattutto per escludere

fratture vertebrali, tumori, infezioni, spondilolistesi, spondilolisi o

spondiloartropatie infiammatorie. E’ importante ricordare che i

reperti radiografici non sono specifici e sono osservabili anche in

soggetti senza dolore alla schiena...E’ fondamentale cercare di

associare i disturbi lamentati con la distribuzione specifica della

radice di un nervo e non pensare che i reperti radiografici siano per

forza la causa del dolore. Nel corso della prima visita, radiografie in

anteroposteriore e in laterale possono essere prese in considerazione

nei pazienti che ricadono in una delle seguenti condizioni: storia di

un trauma significante; deficit neurologici; sintomatologia sistemica;

temperatura corporea superiore ai 38°C; inspiegabile perdita di

forza; storia medica di cancro; uso di corticosteroidi; abuso di alcool

o di droghe; sospetto di spondilite anchilosante. Nel sospetto di una

patologia discale sono indicate sia la TC sia l’RM. Un errore molto

comune consiste nell’effettuare queste indagini precocemente nel

decorso clinico di un dolore alla schiena senza reperti neurologici

(20). Infatti molti individui asintomatici mostrano dischi sporgenti o

persino erniati; è stato stimato che il 30,40 % delle TC mostra

anomalie di un disco che protrude in persone senza sintomi.

Page 28: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

24

Due grossi studi sono stati condotti nello scopo di dimostrare come

sia la RMN che la TC siano in grado di mostrare anormalità in

persone asintomatiche (21,22); spesso quindi la scoperta di “posività”

alla RNM e alla TC sono di dubbia utilità clinica. In uno studio, le

scansioni della risonanza magnetica, hanno rilevato dischi erniari in

approssimativamente il 25% di persone asintomatiche con meno di

60 anni di età. Risulta chiaro che la presenza di anormalità non

correla bene con la sintomatologia clinica. Come mostrato nella

Figura 10 la RMN non usa radiazioni ionizzanti ed offre una migliore

risoluzione dei tessuti molli (tumori paravertebrali, dischi erniati) e le

scansioni TAC ci offrono migliori immagini..dell’osso corticale

(tumore osseo, osteoartrite). Gli studi condotti con le due metodiche

devono essere prese in considerazione in quei pazienti con deficit

neurologici, specie se in peggioramento, o quando si sospetti una

causa sistemica del low back pain (es. infezioni o neoplasia) e se

l’indicazione chirurgica è contemplata.

Figura 10 : Tecniche utilizzate per la per la diagnosi del “mal di schiena”

Page 29: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

25

La scintigrafia ossea può essere utilizzata a scopo diagnostico nel low

back pain, e può risultare utile quando le radiografie del rachide

appaiono normali ma le evidenze cliniche ci rendono sospettosi nei

riguardi di una provabile osteomielite, una neoplasia ossea o una

frattura occulta. In ogni caso, questa tecnica risulta essere poco utile

nel dimostrare anomalie ossee quando sia la velocità di eritro-

sedimentazione che le radiografie sono normali.

Valutazioni elettrodiagnostiche come elettromiografia e gli studi di

conduzione nervosa sono utili nel differenziare neuropatie periferiche

da radicolopatie o miopatie. Se programmati appropriatamente,

questi studi sono notevolmente utili nel formulare la diagnosi,

nell’identificare la presenza o assenza di malattie, nel localizzare una

lesione, nel determinarne l’estensione, nel predire il corso di

un’eventuale ricovero e nel determinare se anormalità strutturali

hanno significato funzionale o meno. Il medico deve comunque

conoscere le limitazioni degli studi elettrodiagnostici, dal momento

che i test dipendono dalla cooperazione del paziente e solo un

limitato numero di muscoli e nervi possono essere investigati. Inoltre

il fattore tempo può essere importante, dal momento che i rilievi

elettromiografici possono non essere presenti dalle due alle quattro

settimane dopo l’inizio dei sintomi. In definitiva quanto esposto

indica che il low back pain determina anche ingenti costi che si

riflettono sulla società e dei quali bisognerebbe tener conto nella

valutazione globale del paziente.

Page 30: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

26

1.4 Classificazione della lombalgia

Nonostante la maggior parte dei disturbi che colpiscono la colonna

lombosacrale siano di natura meccanica, porre diagnosi di LBP può

non risultare agevole. Ciò è dovuto al concorso di svariate cause

nell’insorgenza della lombalgia. La storia clinica è pertanto uno dei

caposaldi nell’approccio al paziente con LBP. Ogni Autore che ha

affrontato la patologia lombare si è espresso nel tentativo di

classificare le sindromi secondo un proprio criterio, ritenuto più

funzionale agli obiettivi che si proponeva. Conosciamo quindi

classificazioni basate sull’anatomia (tipo di strutture coinvolte),

sull’eziologia (causa scatenante), sulla sede del dolore, sulla

disabilita del soggetto, sulla presenza di riscontro radiologico, sulla

risposta al trattamento, sulla presenza o meno di una patologia

conclamata a cui la lombalgia stessa può essere riconducibile. Un

altro modello classificativo tende ad inquadrare la lombalgia secondo

parametri di carattere temporale (acuta/cronica). A scopo

classificativo, si definisce LBP acuto quello ad insorgenza entro i tre

mesi precedenti all’osservazione, cronico o recidivante quello la cui

insorgenza è datata anteriormente a tale periodo.

Lombalgia Acuta:

Lesioni del disco intervertebrale: vanno da minime lacerazioni

dell’anulus fibrosus all’erniazione completa del disco con

compressione delle radice nervosa.

Lesioni discorsive dell’articolazione intervertebrale: sublussazioni

minime delle articolazioni apofisarie.

Frattura vertebrale: può essere dovuta ad un trauma diretto od

oppure essere la conseguenza di un’osteopatia metabolica o di una

neoplasia vertebrale.

Page 31: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

27

Lesione dei tessuti molli: sono lesioni distrattive (strappi o

lacerazioni) dei muscoli dorsali o dei legamenti vertebrali.

Lombalgia Cronica:

Lesioni traumatiche e degenerative:

a) Lesioni del disco intervertebrale.

b) Lesioni dell’articolazione intervertebrale.

c) Spondilosi lombare (artrosi del rachide lombare che interessa le

articolazioni apofisarie). Può causare instabilità vertebrale, con

scivolamento in avanti (spondilolistesi) o all’indietro

(retrospondilolistesi) di corpi vertebrali contigui.

Deformità e difetti congeniti:

a) Anomalie posturali. Cifosi lordosi o scoliosi che determinano

stiramenti di strutture ligamentose. Deformità di anche, ginocchi e

piedi. Possono ripercuotersi sul rachide provocando dissesti posturali

(per es. piedi piatti, dismetria degli arti inferiori).

b) Difetti congeniti vertebrali, per es. spondilosi con arco neurale

difettoso, spondilolistesi, stenosi del canale midollare.

c) Deformità acquisite. Cifosi (degli adolescenti, senile, oppure

dovuta a malattie vertebrali, per es. tubercolosi e scoliosi.

d) Sindrome del rachide ipermobile. Il dolore lombare è dovuto ad

ipermotilità della colonna che talvolta si integra in un quadro di

ipermotilità generalizzata.

Artrite e lesioni infettive del rachide:

a) SA, AR e varianti con interessamento delle articolazioni

sacroiliache o apofisarie.

b) Osteocondrite della colonna (di solito localizzata al tratto

dorsolombare).

c) Tubercolosi.

Page 32: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

28

d) Osteomielite da piogeni.

Neoplasie della colonna:

a) Benigne: per es. osteoma, neurofibroma, angioma.

b) Maligne: per esempio metastasi del carcinoma della mammella o

della prostata.

c) Mieloma multiplo.

Osteopatie metaboliche: osteoporosi, osteomalacia, osteite fibrosa

nell’iperparatiroidismo.

Lesioni del canale vertebrale: tumori e lesioni infiammatorie

dell’osso, delle meningi o del midollo spinale.

Lesioni dell’articolazioni sacroiliache:

a) SA e sacroileite dovuta ad altre cause.

b) Tubercolosi.

Dolore riferito da visceropatie:

a) Nefropatie. Tumori, calcoli, ascesso perirenale, pielonefrite

b) Affezioni pelviche: nelle donne, affezioni uterine e delle ovaie;

negli uomini, carcinoma della prostata o del retto

c) Malattie pancreatiche, specialmente carcinoma

d) Ulcera duodenale cronica penetrante nel pancreas

e) Aneurisma dell’aorta discendente

Lombalgie psicogene.

Quando si discorre di lombalgia è necessario aggiungere due

elementi essenziali: l’alto tasso di remissione spontanea del singolo

episodio di lombalgia e la notevole tendenza alle recidive (23).

Per quanto riguarda la remissione spontanea, almeno due terzi dei

pazienti migliorano sostanzialmente in due settimane e dal 75% al

90% di essi migliorano in quattro settimane (24,25).

Page 33: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

29

Sims-Williams, Jayson, Young, Baddeley e Collins hanno

evidenziato la remissione spontanea confrontando tra loro due gruppi

di pazienti lombalgici, trattando l’uno con fisioterapia attiva, l’altro

con un placebo: dopo un mese era migliorato soprattutto il primo

gruppo, ma dopo tre mesi non si evidenziava più alcuna differenza

(26). Alla stessa conclusione sono giunti anche Coxhead e Dixon

(27); Mckenzie, in base alle statistiche generali, afferma che le

percentuali di remissione spontanea sono del 44% in una settimana,

del 86% in un mese, del 92% in due mesi, indipendentemente dal

fatto che venga effettuato un trattamento o meno (28). In riferimento

agli studi qui citati, si può affermare che il singolo episodio di

lombalgia ha una notevole tendenza alla remissione spontanea; le

terapie manuali sono in grado solo di accelerare il processo di

guarigione, ma non hanno rivelanza per la prognosi a medio-lungo

termine. Per quanto riguarda la tendenza alle recidive, gli episodi di

dolore lombare recidivano in un’alta percentuale di casi, secondo

Dillane (1966) nel 90% dei casi; secondo Frymoyer (1991) e Rosen

(1994) una percentuale oscillante tra il 60% e l’80% dei pazienti

andrà incontro a tre o più ricadute e il 20% dei soggetti avrà dolori

più o meno continui per lunghi periodi (29). I dolori lombari

evolvono in sciatica nel 35% - 45% dei casi; secondo Weber (30),

oltre il 90% dei pazienti che manifestano una

lombosciatalgia aveva accusato precedentemente uno o più attacchi

di lombalgia. Fortunatamente solo una piccola percentuale di pazienti

evolve verso la cronicità e la disabilita, ma tale insieme costituisce il

75% - 90% dei costi per l’industria, a causa di tale affezione (Van

Wijmen, 1996).

Page 34: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

30

1.5 La “Facet Syndrome”

1.5.1 Definizione ed Epidemiologia

Tra le cause riconosciute di lombalgia , vi è la cosiddetta “Facet

Syndrome”, o sindrome delle faccette articolari. La “facet syndrome”

è una sindrome algica con dolore tessutale profondo, alle volte

irradiato alle zone vicine, potenzialmente conseguente sia ad

iperlassità legamentosa, anomalie di carico da alterazioni

biomeccaniche intrinseche od estrinseche (iperlordosi lombare, sport

o carichi eccessivi, alterazioni dello spazio intersomatico, eventuale

presenza di instabilità segmentale da eventuale alterato orientamento

delle superfici articolari zigoapofisarie o da degenerazione del disco

intervertebrale), sia alla intrinseca patologia degenerativa delle

cartilagini delle articolazioni interapofisarie posteriori con associata

artrosi produttiva e formazione di becchi osteofitosici. L’instabilità

potrebbe causare oltre alla patologia degenerativa, anche una

distrazione da sovraccarico della capsula dell’articolazione della

faccetta lombosacrale od uno stiramento della branca articolare del

ramo primario dorsale della radice nervosa, con comparsa di un

dolore generato dalle strutture nocicettive dall’articolazione stessa ed

in realtà è principalmente quest’ultima la causa di dolore. Infatti il

termine di “Facet Syndrome” (FS) è stato proposto per la prima volta

circa 79 anni fa da Gormley che per primo nel 1933 ipotizzò che

i processi degenerativi e produttivi a livello delle faccette

interarticolari potessero portare all’intrappolamento della radice

corrispondente causando una localizzazione del dolore a livello

lombare (31). Il dolore da “facet syndrome” si configura quindi non

Page 35: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

31

solo come somatico, ma anche con un’importante componente

neurogena che, aggravando il quadro sintomatologico, determina

anche un peggioramento delle qualità di vita del paziente.

1.5.2 Diagnosi

Dalla letteratura si ricava quanto sia necessario nella terapia della

facet syndrome far precedere l’atto terapeutico da una corretta

diagnosi, identificando con sufficiente precisione l’origine del dolore

a livello delle articolazioni zigoapofisarie. Infatti in molti casi gli

insuccessi sono collegati ad una diagnosi non corretta con terapia

inappropriata. La diagnosi è essenzialmente clinica ed i criteri

diagnostici sono:

dolore lombare sordo e continuo

irradiazione alla cresta iliaca, natica e inguine

dolore alla compressione delle faccette

esacerbazione all’estensione e rotazione omolaterale

sollievo alla flessione

nessun segno neurologico radicolare

Spesso per avere conferme diagnostiche è necessario eseguire

specifici esami strumentali quali:

la radiografia della colonna in ortostasi per visionare le curve

della spina dorsale, i rapporti tra le vertebre, le deviazioni, i

disequilibri del bacino, la presenza di eventuale artrosi.

la tomografia assiale computerizzata (TAC) esame in cui si

utilizzano i raggi X fatti passare perpendicolarmente alla

schiena in modo da "fotografare" porzioni anche millimetriche

di ogni vertebra.

Page 36: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

32

la risonanza magnetica nucleare, più precisa, meno dannosa

ma anche più costosa della TAC, effettuata attraverso campi

sonori (ultrasuoni) e magnetici analizzati da un computer, con

cui si vedono vertebre, dischi, muscoli, vasi, legamenti

eccetera, con estrema chiarezza.

l’elettromiografia, indagine che serve per valutare attraverso

"elettrodi ad ago" inseriti nella pelle di mani o piedi, la

funzionalità e l’integrità dei nervi che escono dal midollo

spinale vertebrale.

1.5.3 Principi di Terapia

Come tutti i dolori cronici relativi all’apparato scheletrico, anche la

sindrome delle faccette articolari beneficia della ginnastica

riabilitativa e della terapia fisica, che è l’unica ad essere incisiva, a

lungo termine, sui problemi di postura. In letteratura molto

recentemente sono stati riportati dati confortanti riguardanti l’attività

fisica, in particolare Hagen ed altri evidenziano come il riposo a letto

paragonato al mantenimento dell’attività non mostra nel caso

migliore nessuna efficacia, ed al peggio può avere un effetto dannoso

sulla Facet Syndrome ed inoltre che non sono state riscontrate

importanti differenze sugli effetti determinati dal riposo a letto

comparati con l’esercizio nella lombalgia acuta, e neanche nella

comparazione tra un periodo di 7 giorni in confronto a 2-3 giorni di

riposo a letto (32). Van Tulder ed altri sottolineano come la terapia

motoria nella Facet Syndrome risulta più efficace rispetto alle usuali

cure e sovrapponibile alla fisioterapia convenzionale per quanto

riguarda la lombalgia cronica (33).

Page 37: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

33

Gli stessi Autori aggiungono inoltre che l’esercizio può aiutare i

pazienti con lombalgia cronica ad accelerare il ritorno alle attività

giornaliere. Da non trascurare a questo riguardo il ruolo rivestito dal

rilascio delle endorfine durante l’attività muscolare al fine di

giustificare anche il miglioramento sul controllo del dolore.

Da ciò emerge come una corretta e specifica attività motoria

controllata all’interno di un programma medico, a patto di essere

praticata costantemente consenta di ottenere un miglior sostegno

biomeccanico, un miglioramento della sintomatologia dolorosa, e di

essere capace quindi di prevenire i fatti degenerativi discali ed

articolari conseguenza del sovraccarico biomeccanico e del cattivo

utilizzo della struttura. Lo stretching è una procedura terapeutica che

viene comunemente impiegata nelle lombalgie per il recupero della

flessibilità e per il ripristino dell’articolarità, quando questa è limitata

dalla tensione di uno o più gruppi muscolari...

Una prova dell’efficacia dello stretching viene riportata da Deyo, che

lo ha utilizzato all’interno di un programma di istruzione in un

gruppo di sei settimane comprendente esercizi di rilassamento (34).

L’Autore ha concluso però che, per mantenere i risultati raggiunti,

questi esercizi devono essere attuati continuamente. Ampiamente

usato, anche in regime di auto somministrazione e di cattiva

somministrazione è il trattamento farmacologico, dal momento che il

primo interesse del paziente sofferente è l’attenuazione del dolore.

In funzione di un obiettivo terapeutico specifico sono ampiamente

utilizzate anche metodiche fisiche quali:

la termoterapia,

la mesoterapia.

Page 38: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

34

la laserterapia.

la TENS (stimolazione neuroelettrica transcutanea).

Nei casi resistenti alle precedenti terapie mediche si possono

utilizzare trattamenti invasivi :

l’agopuntura

l’ESI (l’iniezione epidurale di steroidi)

il blocco delle faccette articolari mediante radiofrequenza

Tutte queste procedure terapeutiche, insieme ai farmaci,

rappresentano una fonte di notevole spesa sociale soprattutto in virtù

del fatto che il paziente, pur di alleviare il proprio dolore e condurre

una vita regolare, ne fa un uso improprio.

E’ quindi opportuno dare al paziente delle risposte precise circa la

diagnosi e le prospettive terapeutiche del suo “mal di schiena” che

come abbiamo visto nei paragrafi precedenti è bel lontano dall’essere

un semplice mal di schiena ma comporta:

pessima qualità di vita

abuso di farmaci

terapie inappropriate ed effetti collaterali

spese eccessive ed ingiustificate

Page 39: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

35

CAPITOLO 2 – LA RADIOFREQUENZA

2.1 Cenni storici

L'uso diffuso di corrente RF per il trattamento del dolore spinale è

iniziato nel 1980, quando Sluijter e Metha hanno introdotto una

cannula 22G (Gauge) attraverso la quale si è inserita una sonda

(termocoppia) 21G (35). Questo ha permesso di eseguire la procedura

per via percutanea con il minimo disagio; il meccanismo di azione

della corrente a radiofrequenza è stato inizialmente attribuito al

termocoagulazione delle fibre nervose. Questo è stato messo in

discussione quando Sluijter ha eseguito la prima lesione RF pulsata

nel febbraio del 1996; egli ha suggerito che l’effetto analgesico, più

che alla temperatura, fosse dovuto al campo elettromagnetico e,

ancor più precisamente, al campo elettrico. Ciò ha indotto l’ Autore a

scegliere parametri di lesione nervosa non superiori ad una

temperatura di 42° C, rispetto al fatto che la lesione nervosa avviene

a 45° C. La prima procedura PRF lombare sul ganglio della radice

dorsale, ha avuto luogo il 1° febbraio 1996 (36-37-38). Da quel

momento, è stato segnalato il suo utilizzo con successo per il

trattamento di varie tipologie di dolore, compreso il dolore

radicolare cervicale, la nevralgia del trigemino (TN), il dolore sacro-

iliaca, la sindrome delle faccette articolari, il dolore alla spalla, il

dolore post-chirurgico, il dolore radicolare e quello miofasciale

(39). I primi generatori di lesione RF e gli elettrodi sono state

costruite da B. J. Cosman, S. Aranow, e A.O. Wyss nei primi anni

‘50. Tutti i loro dispositivi utilizzano onde continue con

Page 40: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

36

sorgenti di alimentazione RF e un range di frequenza di 0,1-1MHz

per produrre la lesione, lo stesso utilizzato anche attualmente.

Commercialmente sono a disposizione generatori di lesione RF che

forniscono segnali PRFL (Low Pulsed Radiofrequency ) con durate

di impulsi che vanno dal 10 a 30 ms e con una ripetizione che va da 1

a 8 Hz (impulsi al secondo). La frequenza RF di ogni impulso è in

genere circa 500 KHz.

2.2 Definizione e proprietà

2.2.1 Classificazione

La Radiofrequenza (RF) indica generalmente un segnale elettrico o

un’onda elettromagnetica ad alta frequenza che oscilla in un range

che va da 3 kHz a 300GHz, che corrisponde appunto alla frequenza

delle onde radio (Figura 11).

Figura 11 : Spettro delle onde elettromagnetiche.

Page 41: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

37

Le modalità di propagazione delle onde elettromagnetiche sono

espresse dalle equazioni di Maxwell, il quale nella sua fondamentale

opera “Treatise on electricity and magnetism“

(Trattato sull’elettricità e il magnetismo), pubblicato nel 1873 (40),

utilizzò le equazioni come assiomi fondamentali della teoria.

Eccole riassunte di seguito:

Se i campi si propagano nel vuoto la prima e la quarta equazione

assumono la forma :

Dalle equazioni di Maxwell si evince dunque che in un'onda

elettromagnetica: i campi sono ortogonali fra loro e alla direzione di

propagazione; le loro ampiezze sono proporzionali e la costante di

tale proporzionalità è la velocità di propagazione, che dipende dalle

caratteristiche del mezzo in cui l’onda si propaga. La velocità di

propagazione di un'onda elettromagnetica è indipendente dalla

velocità della sorgente, dalla direzione di propagazione e dalla

velocità dell'osservatore. La velocità dipende soltanto dal mezzo in

cui si propaga l’onda, nel vuoto è pari alla velocità della luce, che è

Page 42: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

38

l'esempio più noto di onda elettromagnetica. La velocità della luce

nel vuoto ha valore numerico: c = 299 792,458 km/s. Nei mezzi

materiali e nelle guide d’onda la propagazione della radiazione

elettromagnetica diviene un fenomeno più complesso. Innanzitutto la

sua velocità è diversa rispetto a quella nel vuoto secondo un fattore

che dipende dalle proprietà del mezzo o della guida d'onda. L’effetto

biologico delle onde elettromagnetiche dipende essenzialmente dalla

loro intensità e dalla loro frequenza. Quindi lo spettro

elettromagnetico può essere suddiviso in due tipologie principali: le

radiazioni ionizzanti (per esempio i raggi X e gamma) e quelle non

ionizzanti, come le onde radio e le microonde. La linea di

demarcazione tra i due tipi di radiazione si colloca all’interno delle

frequenze dell’ultravioletto, sicché le radiazioni infrarosse e parte

dell’ultravioletto rientrano nelle radiazioni non ionizzanti, mentre la

componente superiore della radiazione ultravioletta fa già parte di

quelle ionizzanti. Fra i due tipi di radiazione c’è una differenza

fondamentale. Le radiazioni si differenziano fra loro per la diversa

capacità che hanno di interagire con gli atomi e le molecole che

compongono la materia.

Le radiazioni ionizzanti (IR – Ionizating Radiation): sulla base delle

loro caratteristiche di ionizzare (staccare dalla loro struttura singoli

elettroni), possono rompere dei legami chimici di molecole del nostro

corpo o creare in esso sostanze particolarmente reattive, che a loro

volta possono causare danni rilevanti al sistema biologico.

E’ infatti risaputo che anche piccole dosi di raggi ultravioletti o

radiazioni ionizzanti (radioattività) possono determinare patologie

molto gravi, come i tumori della pelle o la leucemia.

Page 43: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

39

Le radiazioni non ionizzanti (NIR – Non Ionizating Radiation)

invece, anche in presenza d’intensità di campo assai elevate, non

sono in grado di ionizzare (staccare dalla loro struttura singoli

elettroni) le molecole di cui è costituito il nostro corpo. Il principale

effetto che riescono a produrre sulle molecole è quello di farle

oscillare producendo attrito e di conseguenza calore (come accade

ad esempio in un forno a microonde): quindi il riscaldamento è

proprio l’effetto principale da esse prodotte. Nell’ambito delle

radiazioni non ionizzanti l’effetto biologico dipende molto dalla loro

frequenza, sicché anche per questo tipo di onde si è soliti adottare

un’ulteriore differenziazione in:

- Frequenza estremamente bassa (ELF): i campi (elettrici e

magnetici) a frequenza estremamente bassa, si formano in

corrispondenza di apparecchiature o cavi elettrici in ambienti

domestici o lavorativi, oppure a ridosso delle linee ad alta tensione o

dei trasformatori. Per le ELF il campo elettrico ed il campo

magnetico possono essere considerati separatamente. Il fattore

determinante è però il campo magnetico, che a differenza del campo

elettrico é piú difficile da schermare. L’effetto biologico principale

dei campi a bassa frequenza è di produrre all’interno del nostro

organismo (per la cosiddetta induzione) delle correnti elettriche che

si possono sovrapporre a quelle naturali, dando vita, soprattutto in

presenza di elevate intensità di campo, a sovreccitazioni nervose e

muscolari (azione irritativa sul sistema nervoso centrale). Si discute

anche di una possibile correlazione tra i campi a bassa frequenza ed

alcuni casi di leucemia infantile insorti in bambini residenti in

prossimità di linee ad alta tensione.

Page 44: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

40

- Radiofrequenze e microonde: i campi a radiofrequenza e

microonde (RF), vengono utilizzati soprattutto nelle

telecomunicazioni, per esempio nei trasmettitori, nella telefonia

mobile o anche a livello domestico nei forni a microonde. Per l’alta

frequenza il campo elettrico e magnetico sono un fenomeno unico,

interdipendente, denominato campo elettromagnetico. Esso è

relativamente facile da schermare (per esempio coi muri degli edifici,

i tetti di lamiera o le tappezzerie a conduzione elettrica). Alle alte

frequenze, soprattutto in presenza di elevate intensità di campo,

predominano gli effetti cosiddetti termici, ossia il riscaldamento dei

tessuti corporei dovuto all’assorbimento delle radiazioni. Dato che

l’effetto biologico delle radiazioni non ionizzanti dipende molto dalla

loro frequenza anche i limiti di legge variano in funzione della

frequenza della radiazione .

2.2.2 Effetti sanitari e limiti di sicurezza

Riguardo agli effetti sanitari dei campi elettromagnetici in generale si

distingue tra effetti termici e atermici.

- Gli effetti termici (effetti acuti)

Gli effetti riconosciuti dei campi ad alta frequenza sono connessi

all’assorbimento di energia ed al conseguente aumento della

temperatura nel tessuto irradiato. Effetti termici sono normalmente

causati da esposizioni brevi ma intense. Per misurare l’energia

radiante assorbita dal corpo umano nell’unità di tempo si utilizza il

cosiddetto SAR (Specific Absorption Rate) o anche “tasso

d’assorbimento specifico” (TAS) espresso in watt per chilogrammo

di massa corporea (W/kg). Il valore di base del SAR ha una

Page 45: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

41

corrispondenza diretta con gli effetti biologici dell’esposizione

elettromagnetica. Alcune ricerche condotte su cavie animali hanno

dimostrato che l’esposizione può causare effetti di vario genere (per

esempio disturbi metabolici, nervosi e comportamentali) a partire da

un aumento della temperatura in tutto il corpo di circa 1°C, che

corrisponderebbe ad un valore di SAR mediato su tutto il corpo di

circa 2W/kg (41). Oltre i 4W/kg si cominciano a registrare dei danni

veri e propri, sicché questo valore è abitualmente considerato la

soglia di rilevanza per la salute umana nell’assorbimento energetico.

Quando poi l’assorbimento supera i 10W/kg i danni all’organismo

diventano irreversibili. In alcuni studi è stato ipotizzato un effetto

negativo delle radiofrequenze del cellulare sul cervello

(riscaldamento), in particolare per i bambini (International Expert

Group on Mobile Phones – IEGMP – Stewart report) (44,45,46).

Tuttavia svariate ricerche su questo problema non hanno potuto

avvalorare l’ipotesi di un possibile rischio per la salute (42).

Utilizzando un cellulare, l’assorbimento energetico nel capo è

inferiore a 2W/kg. Occorre però ricordare che l’attività fisica, la

presenza di temperature esterne elevate, l’alta umidità dell’aria e lo

scarso ricambio d’aria possono aumentare ulteriormente gli effetti

termici dovuti alle alte frequenze. Inoltre, la soglia di tolleranza

termica solitamente riscontrabile nelle persone sane può essere

notevolmente ridotta negli anziani, nei malati (soprattutto se in stato

febbrile) o in chi assume alcuni tipi di farmaci. Una particolare

attenzione va rivolta ai bambini. In presenza di tassi d’assorbimento

elevati sono particolarmente a rischio gli organi poco vascolarizzati,

quelli cioè con una scarsa circolazione sanguigna e quindi un

Page 46: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

42

decongestionamento termico piú lento, come gli occhi o testicoli.

- Gli effetti atermici (effetti a lungo termine)

Oltre agli effetti termici prima descritti, le radiazioni

elettromagnetiche determinano nell’uomo degli effetti biologici

associati a valori di SAR molto piú bassi (0,01W/kg), e che non si

spiegano con il solo riscaldamento dei tessuti. Ecco perché si suole

definirli “effetti atermici”. Si tratta normalmente di esposizioni di

lunga durata però di bassa intensità. La ricerca scientifica non ha

ancora fatto piena luce sulle conseguenze reali che tali effetti atermici

possono avere per la salute umana. In alcuni casi si dispone soltanto

di dati sperimentali (ottenuti cioè con prove in vitro o su cavie

animali). In altri, i risultati ottenuti appaiono contraddittori.

Dai vari studi eseguiti emergono i seguenti effetti (43,47) :

alterazioni dell’attività enzimatica della ornitina

decarbossilasi (un enzima associato all’insorgenza di tumori)

aumento del calcio intracellulare nelle cellule (con effetti

citotossici)

alterazioni delle proteine della membrana cellulare e modifica

del trasporto di ioni attraverso la membrana stessa (un

fenomeno essenziale per le cellule cerebrali).

Tutti questi effetti possono tradursi in alterazioni piú o meno

manifeste della funzione cellulare, con conseguenze sulla salute

umana ancora tutte da approfondire e verificare. Attualmente,

analogamente ad altri agenti i cui effetti biologici sono

in parte ancora ignoti, le ricerche stanno cercando di chiarire alcuni

aspetti considerati particolarmente critici, quali: l’eventuale

rapporto tra i campi ad alta frequenza o quelli a bassissima

Page 47: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

43

frequenza e alcuni tipi di tumori, i disturbi della funzione

riproduttiva, alcune malformazioni congenite, l’epilessia, le cefalee

ed altri disturbi neurofisiologici (come amnesie o depressioni),

disturbi del sistema immunitario, degenerazione del tessuto

oculare,aumento del rischio di insorgenza di effetti negativi in alcuni

soggetti come i bambini, le gestanti o gli anziani.

Fino ad oggi non si possono ancora valutare gli effetti sulla salute

prodotti dagli effetti atermici delle radiazioni ad alta frequenza o a

bassissima frequenza, né si possono stabilire dei limiti di legge

“assolutamente sicuri”. Per il momento, comunque, sono da ritenere

validi i parametri di sicurezza stabiliti dalla Commissione

Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti

(ICNIRP), che ha per compito quello di documentare e valutare in

maniera scientifica i rischi sanitari connessi all’utilizzo delle

radiazioni non ionizzanti. A livello internazionale si raccomanda un

monitoraggio scientifico costante e qualificato dei possibili rischi per

la salute prodotti dalla telefonia mobile, accompagnato da una

valutazione continua e sistematica dei risultati (IEGMP 2000). Anche

per questo, è sempre consigliabile adottare tutte le misure

cautelative possibili. Nella valutazione dei limiti L’ICNIRP, ha

affrontato anche il problema delle linee guida per la

limitazione dell’esposizione alle radiofrequenze e alle microonde.

In base ai risultati certi che la ricerca a livello mondiale riesce a

produrre, la Commissione consiglia alcune raccomandazioni riguardo

ai limiti d’esposizione, suddividendoli in limiti di base e

livelli di riferimento. I limiti di base per l’esposizione ai campi

elettromagnetici sono individuati in base a dei valori di soglia certi,

Page 48: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

44

perciò essi sono principalmente riferiti agli effetti termici (effetti

acuti). Per soglia si intende una grandezza minima, sotto la quale

l’effetto biologico in oggetto non è ancora rilevabile. Il limite di base

per l’esposizione “total body” è pari a 0,08W/kg. Perciò partendo,

come riportato in precedenza, da 4W/kg come soglia minima per i

danni alla salute umana, si è stabilito un valore di sicurezza 50 volte

inferiore alla soglia. Per l’esposizione professionale (2000 ore

lavorative all’anno) la soglia stabilita è invece di 0,4W/kg.

2.3 Tipologie di RF

2.3.1 Radiofrequenza continua (CRF)

La radiofrequenza continua (CRF), crea una lesione termica del

nervo target attraverso l’applicazione nel nervo stesso di una corrente

alternata tramite un elettrodo (termocoppia) posizionato per via

percutanea. L’applicazione di questa corrente determina il

raggiungimento a livello tissutale di una temperatura di circa 60-65°

C che provoca coagulazione dei tessuti (48,49) e quindi dei nervi,

nel raggio di due volte la profondità dell’elettrodo a partire dalla

superficie di quest’ultimo. Se portiamo l’elettrodo ad una

temperatura di 90° C esso crea lesione: infatti ,come si può notare

dalla Figura 12, già superati i 44° C siamo nella zona di lesione

permanente, determinando l’interruzione della fibra e il tempo

necessario per creare lesione è di 60 sec.

Page 49: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

45

Figura 12 : Regioni di reversibilità e/o permanenza della lesione dovute all’innalzamento

della temperatura, valutato rispetto alla distanza dall’elettrodo.

La lesione si sviluppa in modo parallelo alla punta della cannula;

infatti in una procedura di RF continua si entra di punta e si lede di

piatto (Figura 13).

Figura 13 : Posizione dell’elettrodo da assumere in CRF.

Si tratta, quindi, di una tecnica neurolesiva, che dovrebbe essere

effettuata in diversi punti lungo il decorso del nervo target al fine di

aumentarne l’efficacia. Ciò rende, però, la tecnica relativamente

ardua e di lunga esecuzione e non esente da complicanze dovute alla

lesione termica di nervi sensitivi e motori circostanti a quello

target, con conseguente sintomatologia deficitaria transitoria (50,51).

Gli interventi che si possono effettuare in lesione sono:

Page 50: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

46

denervazione delle Faccette articolari Lombari-Cervicali-

Toraciche

denervazione trigeminale

cordotomia

grande occipitale

simpaticectomia

2.3.2 Radiofrequenza pulsata (PRF)

La radiofrequenza pulsata (PRF) non è una tecnica neurolesiva (52),

in quanto non si basa sull’innalzamento della temperatura, ma sul

campo elettrico applicato determinando così una neuro modulazione;

cioè l’abolizione del dolore in modo temporaneo. Tale neuro

modulazione è derivante da una forte ripolarizzazione della

membrana cellulare tale da creare uno “stupor” temporaneo del

segnale dolore. Tale temporaneità può durare anche dei mesi per poi

tornare ad un livello di dolore normalmente minore dello stato

iniziale. La RF Pulsata a differenza della RF continua è un processo

reversibile e quindi anche ripetibile. Tale procedura è realizzata

applicando impulsi sequenziali della durata di 20 ms e con ampiezza

da 45 a 60 V (Figura 14): si deve raggiungere una temperatura

massima di 42° C e non oltre. E’ di fondamentale importanza sapere

che in tale procedura se la temperatura si innalza oltre i 42°C

l’impulso successivo avrà una ampiezza minore di 45 V e non è

possibile conoscere l’ampiezza degli impulsi inviati successivamente.

Ciò rappresenta il principale limite di questa

metodica, in quanto se l’ampiezza dell’impulso inviato non è

sufficiente non si avrà la neuro modulazione richiesta per il

trattamento del dolore .

Page 51: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

47

Figura 14 : Impulsi sequenziali applicati in PRF.

In tale procedura la cannula è posizionata in modo perpendicolare per

ottenere il massimo effetto del campo elettrico applicato; infatti in

pulsata si entra di punta e si lede di punta. Inoltre in tale procedura,

così come nella CRF, prima di effettuare la scarica di impulsi

vengono fatte due stimolazioni:

1)Stimolazione sensoriale, eseguita a frequenza di 50-100 Hz con un

valore di tensione compreso tra 0 e 3 V, con la quale si ricerca la

fibra interessata. Più è basso il valore che si misura più si è in

prossimità della fibra interessata; questo valore ideale è compreso tra

0,1 e 0,5 V.

2) Stimolazione motoria, eseguita per assicurarsi di essere lontani da

una fibra motoria. Questo secondo tipo di stimolazione è

fondamentale per l’esecuzione di una CRF, perché bisogna essere

certi di non ledere o comunque danneggiare in maniera permanente

una fibra motoria. Un modo per accorgersi della vicinanza o meno

ad una fibra motoria è la presenza di clonia , soprattutto quando si

effettuano interventi sulla colonna vertebrale (clonia degli arti

inferiori). Il riscontro di vicinanze ad una fibra motoria può essere

Page 52: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

48

meno importante nella PRF in quanto, come già detto, non essendo

una procedura lesiva è reversibile e quindi non crea alcun danno

permanente (53,54,55).

2.3.3 Radiofrequenza “pulse dose”

La Radiofrequenza Pulse-dose rappresenta l’evoluzione tecnologica

della Radiofrequenza Pulsata. Pulse-Dose è infatti un sistema

brevettato Neurotherm/TSS Medical che permette di fornire impulsi

ossia “Dosi” con valori definiti e certi sia di corrente che di tensione.

Infatti nella Pulse Dose vengono mantenuti impulsi

costanti nel tempo a 45 Volt ed una temperatura non superiore a

42°C a differenza del protocollo originale della Radiofrequenza

Pulsata in cui l’ampiezza dell’impulso è di 45 volt e la temperatura

massima di 42° C ma, se la T supera i 42°C ,gli’impulsi successivi

avranno un potenziale inferiore a 45 Volt. La temperatura viene

mantenuta costante grazie all’infusione, in prossimità del tessuto

sottoposto alla procedura, di soluzione fisiologica: ciò permette

oltretutto di abbreviare i tempi della procedura e talvolta di evitare

l’utilizzo della sala operatoria. Nella Radiofrequenza Pulse Dose gli

impulsi vengono definiti a priori dall’utilizzatore sia come Volt

applicabili all’elettrodo che come temperatura applicata e come

numero di dosi che vanno da un minimo di 120 a un massimo di

2400. In questo modo vengono fornite delle dosi costanti sia in

valore di tensione che di temperatura e il risultato finale è

rappresentato da un incremento del 70% di efficacia applicativa.

Proprio la possibilità di impostare il numero di “dosi” da fornire

Page 53: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

49

rappresenta il vantaggio di questa metodica che può essere così

standardizzata per ogni nervo periferico da trattare.

Le sue applicazioni ideali sono su fibre nervose periferiche quali :

grande occipitale

sovrascapolare

pudendo

tunnel carpale

popliteo per vasculopatie

2.4 Meccanismi d’azione e effetti biologici

Il calcolo del vettore del campo elettrico E attorno ad un elettrodo di

radiofrequenza posto in un mezzo conduttore, dielettrico, come un

tessuto è governato dalle equazioni di Maxwell. Il campo elettrico E

dà luogo a forze che, smuovendo gli ioni mobili, generano una

densità di corrente elettrica all’interno dei tessuti data da:

j = σ E

dove σ rappresenta la conducibilità elettrica del tessuto. A basse RF

di 500 KHz la densità di potenza media dipende dall’impedenza

ohmica del tessuto ed è espressa da:

dove E è l’ampiezza del campo elettrico che varia al variare della

frequenza RF. La distribuzione di temperatura T nel tessuto è

calcolabile utilizzando l’equazione del bio-calore, data da:

Page 54: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

50

Cosman per misurare gli effetti elettrici e termici prodotti

dall’applicazione di RF ha condotto degli studi utilizzando

determinati tessuti biologici (56). Per simulare l’ambiente del tessuto

nervoso umano sono stati utilizzati il fegato fresco di bue e il bianco

d’uovo. Il primo ha valori di σ (conducibilità elettrica tissutale) ed ε

(permettività elettrica tissutale) molto simili a quelli della matrice

cellulare dei tessuti molli e del tessuto nervoso, mentre il bianco

d’uovo è più simile per il suo contenuto di elettroliti al

liquor cefalo rachidiano e ai fluidi intracellulari. Nel fegato, come

dimostrato dalla Figura 16, con un’ampiezza di 45 Volt i vettori

prodotti hanno una direzione essenzialmente radiale e

perpendicolare all’asse dell’elettrodo vicino alla linea centrale della

punta e la loro intensità E diminuisce in funzione della distanza

dall’asse dell’elettrodo. Il campo elettrico tende ad essere intenso alle

estremità e laddove inizia il restringimento della punta. Questo

succede perché sulla superficie di metallo durante ogni impulso di RF

si accumulano cariche repulsive. Invece i vettori del campo elettrico

assumono gradualmente una direzione parallela all’asse dell’elettrodo

quando ci si allontana dalla punta e dalla sua curvatura ,

determinando una diminuzione di intensità dello stesso campo

elettrico fino al totale isolamento (Figura 15).

Il pattern dei vettori E in un mezzo omogeneo non si modificherà per

radiofrequenze CRFL e PRFL tuttavia le intensità dei campi elettrici

sono in conclusione direttamente proporzionali al voltaggio della RF.

Page 55: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

51

(a) (b)

Figura 15 : Schematizzazione delle linee di campo elettrico prodotte dalla RF (a); geometria

dell’elettrodo (b).

Per ciò che riguarda gli effetti termici, nella Figura 16 viene mostrato

il campo termico nel fegato calcolato con l’equazione del bio-calore.

In essa comparando la CRFL e la PRFL vengono mostrate le diverse

intensità di campo elettrico E e di innalzamento della temperatura

prodotte a 10,30 e 60sec con le due differenti procedure (57). Nelle

sezioni superiore della Figura 16, per CRFL a 13 V, si nota che

l’effetto termico prodotto si estende a circa 1 mm dalla punta

dell’elettrodo e dalla zona di isolamento mentre lateralmente si

estende circa 2 mm dall’asse dell’elettrodo: quindi l’estensione della

lesione prodotta a 50°C è ampia 4 mm e lunga 7 mm.

Page 56: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

52

Figura 16 : Correlazione tra l’intensità del campo elettrico e la temperatura prodotta

durante CRFL e PRFL nel fegato di bue in 10, 30 e 60 ms.

L’estensione di una lesione prodotta a 45°C dovrebbe aumentare di

circa 1 mm. Per tensioni più elevate la zona in cui si propaga la

temperatura, supponendo di stare a 50°C, diventa sferica purché la

temperatura dell’elettrodo non superi i 100°C. E’ ovvio che la

dimensione della lesione prodotta a 50°C è funzione del tempo di

applicazione della RF. Nelle sezioni inferiori della Figura 16

vengono mostrati gli effetti termici prodotti dalla PRLF: per un

Voltaggio di 60 V con durata di 20 ms e una frequenza uguale a 1

Hz, c’è solo un aumento medio di temperatura di 5°C prodotto vicino

all’elettrodo dopo un tempo pari a 60 sec , mentre il campo elettrico

prodotto sulla punta è di E = 72,700 V/m e quello a metà della

superficie (a circa 2,2 mm) è di E = 9,500 V/m. Si tratta di valori 3,8

volte superiori a quelli prodotti con la CRFL, ciò spiega quanto

attualmente nella pratica clinica la PRLF è preferita alla CRFL. Nella

Figura 17 viene confermato in maniera grafica quanto

espresso dalla figura precedente .

Page 57: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

53

Figura 17 : Diagramma dell’intensità di campo elettrico e dell’innalzamento della

temperatura , in funzione della distanza dall’elettrodo, durante RF.

Si nota infatti che lungo il primo percorso (lungo l’asse della punta)

l’ E-campo e il T-campo diminuiscono rapidamente nei loro valori in

funzione dell’aumento della distanza dall’elettrodo, invece lungo

il secondo percorso (perpendicolare all’ asse dell’elettrodo) i valori di

picco di E-campo e di T-campo, sicuramente più bassi di quelli

presenti in punta, diminuiscono molto più lentamente con

l’aumentare della distanza dall’elettrodo. Nell’analisi degli effetti

termici ed elettrici prodotti dalla CRFL, sui tessuti biologici, come

detto in precedenza, è generalmente confermato che l’applicazione

per 20 sec o più di un range di temperatura tra 45- 50°C su di un

tessuto biologico ne distruggerà le cellule e le strutture molecolari.

Nel caso della CRFL la Figura 16 ha mostrato le dimensioni e la

forma della lesione prodotta con una temperatura alla punta

dell’elettrodo di 65-70°C. Ciò che ancora non è del tutto chiarito è

la qualità e l’intensità di distruzione del materiale biologico in

funzione della temperatura e del tempo di esposizione.

Page 58: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

54

Dieckmann ha osservato necrosi coagulativa e demielinizzazione

progressiva dal centro della lesione alla periferia, sia per diminuzione

della temperatura sia per aumento della distanza dalla punta

dell’elettrodo, fino ad un margine esterno corrispondente alla

temperatura di 45-50°C (58). Brodkey ha dimostrato che “lesioni

reversibili da calore“ sono provocate con valori tra 42,5° e 44°C,

range in cui si osserva un temporaneo arresto dell’attività neuronale

nel tessuto cerebrale (59). Comunque gli effetti precedenti di

applicazione di temperatura a 42°C e 45-50°C con la CRFL non sono

ancora ben noti .Infatti la “lesione reversibile da calore “di Brodkey è

veramente una conseguenza della temperatura? e, se così fosse, quali

sono le reali modificazioni strutturali dei neuroni, anche in funzione

della temperatura e del tempo di esposizione? o forse la cosiddetta

lesione da calore è causata da effetti “non” termici del campo

elettrico che si produce?

E’ noto nella Figura 16 che il campo elettrico prodotto a 50°C per 13

V è E=2,500 V/m . Il numero di neuroni esposti a simili campi

elettrici nella zona tra 50-45°C e 42°C è proporzionale alla

estensione dell’ involucro, a “conchiglia”, compreso tra le

temperature 45-50°C e la temperatura 42°C: l’estensione di questa

zona è proporzionale allo spessore della superficie corrispondente

alla temperatura di 50°C. La suddetta “conchiglia” è comparabile

significativamente con la stessa dimensione della “lesione da calore“

cosicché l’effetto complessivo, che comprende anche

“l’effetto della lesione reversibile da calore“ sui neuroni all’interno

di quella zona potrebbe essere significativo. In conclusione, benché

gli effetti del calore generati dalla CRFL siano indiscutibili e

Page 59: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

55

rappresentino la componente più importante nella distruzione

tissutale e cellulare prodotta, non è chiaro il coinvolgimento di

ulteriori E campi elettrici, resta quindi prematuro asserire che la

CRFL produca effetti dipendenti solo dall’aumento della

temperatura. Per ciò che riguarda gli effetti termici ed elettrici sui

tessuti biologici prodotti dalla PRFL, si sa che nonostante la PRFL e

la CRFL seguano le stesse leggi fisiche, esse differiscono nello

spazio, nel tempo e nella forza dei campi risultati, secondo Cosman

la PRFL si caratterizza per la produzione di campi elettrici più forti

rispetto alla CRFL e per avere degli “spikes” di temperatura non al di

sopra di 45-50°C, quindi le zone sottoposte ad alte temperature sono

sicuramente inferiori a quelle prodotte nella CRFL. Anche se è

ipotizzabile che la PRFL produca dei T-spikes al di sopra di 45-50°C,

l’effetto sui neuroni di questi ultimi è sconosciuto, sicuramente non si

può affermare che essi distruggeranno le strutture cellulari come

nella lesione da calore prodotta da CRFL. Comunque l’esistenza di

questi picchi di calore indica che gli effetti della temperatura devono

essere considerati un potenziale e significativo agente neuro litico

della PRFL che quindi non può essere descritta come una lesione

“non termica“. Gli alti campi elettrici prodotti nella PRFL possono

plausibilmente avere effetti significativi sui neuroni per i potenziali

di transmembrana Um che essi inducono. Infatti l’applicazione di

campi elettrici come dimostrato nella Figura 18. dove la cellula

nervosa è considerata una sfera di raggio r posta in un campo

elettrico prodotto da RF,

determina differenti potenziali di transmembrana dipendenti dalla

frequenza dei campi stessi; per frequenze basse (1-10 kHz), la

Page 60: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

56

membrana cellulare comportandosi come un isolante non permetterà

il passaggio delle linee di campo e ciò portando ad un accumulo di

cariche sulla superficie della cellula darà luogo ad un potenziale

transmembrana massimo; per frequenza alte (circa un 1 MHz), le

linee elettriche possono parzialmente penetrare nella cellula e il

potenziale si riduce; aumentando la frequenza fino a 100 MHz

l’impedenza della membrana è piccolissima e le linee elettriche

penetrano facilmente la cellula riducendo ulteriormente il potenziale.

Figura 18 : Comportamento delle linee di campo elettrico nei confronti della membrana

cellulare neuronale per frequenze di 10 kHz, 1 MHz e 100 MHz.

La grandezza di Um è:

dove ϕ è l’angolo mostrato nella figura , τ è una costante di tempo ed

f è la frequenza della RF. Ancora non si conosce il meccanismo

con cui la PRF generi il suo effetto sulla trasmissione nervosa. Alcuni

studi neurofisiologici hanno dimostrato che la PRF modifica i segnali

Page 61: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

57

sinaptici e causa elettroporazione. Secondo un’ altra teoria il campo

elettrico prodotto dalla PRF altera la trasmissione del dolore

attraverso il coinvolgimento di c-Fos, il cosiddetto “early gene”.

Questa teoria è suffragata da uno studio di Zundert, che hanno

dimostrato un incremento dell’espressione di c-Fos nelle lamine I e II

del corno dorsale dei ratti provocata da PRF a 42°C per

120 secondi, anche se questo dato altro non rivela che un aumento

dell’attività metabolica cellulare senza nessuna specificità riguardo

alla trasmissione nervosa dell’informazione dolore. E’ importante

notare, infatti, che l’ “up-regulation” di c-Fos osservata con la PRF è

associata ad altri processi cellulari e potrebbe non essere il reale

meccanismo con il quale la PRF produce i suoi effetti terapeutici.

Infatti, in aggiunta a c-Fos, con la PRF è incrementata anche

l’espessione del fattore 3 attivatore della trascrizione (ATF3) (60).

Comunque, così come nel caso di c-Fos, il ruolo di ATF3 rimane

poco chiaro. Dunque mentre per la neurolesione termica con CRF c’è

una forte base biologica, con una forte evidenza nei risultati rispetto

al sollievo dal dolore, alla restituzione della funzione e alla

risoluzione del distress psicologico, lo stesso non si può dire della

PRF, della quale non si conosce ancora il meccanismo d’azione, né ci

sono ancora studi prospettici ben disegnati che ne comprovino

l’efficacia statistica (61,62) .

Page 62: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

58

CAPITOLO 3 : METODI E MATERIALI

3.1 Introduzione razionale e metodologia

Il Low Back Pain riconosce un notevole impatto economico; non

esiste una sola opzione terapeutica e, se da un lato la terapia

farmacologica va distinta in terapia dell’attacco acuto e terapia

profilattica, dall’altro per quest’ultima nessun protocollo ha mostrato

una netta superiorità rispetto agli altri (63,64,65). Quest’aspetto è

particolarmente interessante se si considera che le stesse Linee Guida

emanate dalle società scientifiche sono in continua evoluzione per ciò

che riguarda sia la terapia acuta che quella profilattica e che, laddove

è indicato e possibile, è previsto il ricorso anche a metodiche invasive

in sostituzione dei farmaci. Per giudicare l’impatto di una patologia e

del suo trattamento si dovrebbe tener conto di numerosi aspetti, per

cui Van Zundert nel 2005 ha proposto il ricorso ad uno specifico

Medical Technology Assessment (MTA), in grado di determinare sia

la totale rilevanza (“peso”) della patologia in studio (per il paziente e

per la società) sia il costo complessivo dei trattamenti adoperati,

valutandone anche la loro efficacia (66). Nel descrivere questa

metodica l’Autore riprende lo schema presentato precedentemente da

Tugwell che, come mostrato in Figura 19, considera il costo della

malattia in termini sociali e di qualità di vita del paziente nonché in

termini di costi relativi al raggiungimento di una corretta diagnosi

(esami di laboratori e/o radiologici) ma anche l’efficacia dei

trattamenti in termini di effetto terapeutico, secondo Linee Guida già

stilate (67).

Page 63: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

59

Figura 19: Principi di valutazione delle tecnologie mediche (da Van Zundert 2005).

Si deve inoltre tener conto che nella valutazione dei costi di una

patologia cronica vanno compresi:

i costi diretti, specificamente ascrivibili alla sua diagnosi e/o

terapia (esami strumentali e di laboratorio, prezzi dei farmaci e

delle procedure invasive).

i costi indiretti, che riguardano la sfera psicologica e sociale

del paziente (qualità di vita, attività lavorative e ricreative),

nonché le ripercussioni causate alla società (diminuzione

dell’attività lavorativa).

E’ chiaro che i primi sono facilmente quantificabili, mentre i secondi

possono essere indagati solo attraverso la somministrazione di

particolari questionari che assumono valore statisticamente

Page 64: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

60

significativo solo su grosse popolazioni di pazienti, in condizione di

omogeneità. In questo studio, effettuato da Febbraio a giugno 2011

presso il Centro di Terapia del Dolore della Facoltà di Medicina della

“Federico II”, sono stati considerati i trattamenti farmacologici

(Tecnologia A) per la terapia cronica del low back pain da Facet

Syndrome espressi anche dalle Linee Guida dell’ Institute for

Clinical Systems in Improvement (ICSI) (Figura 20) del 2010 relative

ai tipi di cura del low back pain (68).

Essi sono stati confrontati con i costi della RF Pulse Dose

(Tecnologia B) utilizzata nei pazienti per i quali il trattamento

farmacologico risultava o poco efficace, in termini di riduzione del

dolore, o gravato da importanti effetti collaterali o causa esso stesso

di sintomi indesiderati con peggioramento della qualità della vita.

Tale confronto è stato effettuato mediante la break even analysis che,

in ambito economico, permette di identificare il punto in cui i ricavi

ottenuti eguagliano i costi totali sostenuti.

In particolare si è considerata soltanto la spesa sostenuta dal Sistema

Sanitario della Regione Campania :

- i costi sostenuti sono rappresentati dal costo fisso della Tecnologia

B (DRG + costi farmaci in protocollo di riduzione posologica per

trattamento RF)

- i ricavi sono espressi dai costi evitati dall’utilizzo della Tecnologia

A (terapia farmacologica utilizzata di routine per il trattamento

cronico del low back pain più eventuali costi di metodiche fisiche

aggiuntive come Mesoterapia, Laserterapia, Tens).

Page 65: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

61

Figura 20: Algoritmo del low back pain da facet syndrome dalle linee guida dell’ICSI

Page 66: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

62

3.1.1 Tecnologia A: Trattamento Farmacologico

Il trattamento farmacologico del low back pain riconosce una terapia

dell’attacco acuto ed una terapia profilattica. Questa distinzione è

basata sul fatto che l’episodio acuto di lombalgia verrà trattato in

maniera aspecifica con una o più classi di analgesici, senza conoscere

ancora il meccanismo patogenetico del dolore e quindi la sua causa

anatomica. Successivamente quando questi dati saranno chiariti si

potranno riconoscere e quindi trattare nella terapia profilattica le

varie componenti del dolore (nocicettiva/neuropatica). La terapia

dell’attacco acuto si basa principalmente sulla somministrazione di

farmaci antinfiammatori o di corticosteroidi. Molto spesso i primi

(FANS,NSAIDs) vengono assunti in regime di auto

somministrazione, talvolta anche non rispettando una corretta

posologia ed essendo questi farmaci gravati da importanti effetti

collaterali, ciò può determinare un aggravamento delle condizioni

generali. E’ molto importante che il paziente con ripetuti episodi

acuti si rivolga poi al medico per stabilire mediante un’attenta

valutazione clinica e strumentale la natura del dolore: questo

rappresenta il punto di partenza per stilare poi un protocollo di

terapia profilattica. Quest’ultima in base alle linee guida della Società

Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva

(SIAARTI) si avvale di farmaci attivi sulla componente nocicettiva

del dolore e su quella neuropatica, in considerazione del fatto che in

ogni dolore cronico i meccanismi neuronali sottesi non sono più solo

quelli fisiologici (del dolore acuto) ma anche quelli derivanti da una

funzionalità neuronale aberrante, con fenomeni di sensibilizzazione

del nervo legati ad alterazioni dei canali ionici presenti sulla

Page 67: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

63

superficie delle cellule e responsabili della generazione dei potenziali

d’azione. La presenza di stimoli ripetuti e protratti determina la

sensibilizzazione periferica. Questo meccanismo, legato alla

liberazione dei mediatori dell’infiammazione, abbassa la soglia di

risposta dei nocicettori dando luogo ad un aumento della sensibilità

allo stimolo nocicettivo nella sede del danno tissutale indotto da

modificazioni della cinetica dei canali ionici, ma anche ad un

aumento delle afferenze sensitive ai neuroni spinali. Tutto ciò

determina l’insorgenza di iperalgesia ed una sensibilizzazione

centrale, rappresentata da un aumento della eccitabilità del secondo

neurone sensoriale per stimoli ripetuti o protratti, mediata da

modificazioni strutturali del recettore glutammatergico NMDA (long

term potentiation). Gli effetti consistono in un incremento della

frequenza di scarica, a parità di stimolo, con abbassamento della

soglia di eccitazione del secondo neurone, in un allargamento dei

“campi recettivi” e nel reclutamento di neuroni normalmente deputati

ad altri tipi di sensibilità. Ciò clinicamente è responsabile di una

progressiva intensificazione del dolore. Inoltre si determina

l’estensione dell’area dolente con possibile diffusione controlaterale

e sviluppo di allodinia (dolore per stimoli tattili o in assenza di

stimoli). In ogni caso lo scopo principale della terapia profilattica è

proprio quello di diminuire sia la frequenza che l’intensità degli

attacchi acuti, cercando di riportare alla normalità la funzione delle

vie neuronali del dolore. Le classi farmacologiche di riferimento sono

quelle degli antiepilettici, antidepressivi, oppioidi a lento rilascio e

corticosteroidi a cui va aggiunta la somministrazione di sostanze

gastroprotettrici necessarie per la cronicità della terapia.

Page 68: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

64

In base alle attuali conoscenze derivanti soprattutto dall’ Evidence

Based Medicine (EBM) l’antiepilettico maggiormente efficace nel

dolore cronico con componente neuropatica è il Pregabalin attivo

sulla ipereccitabilità di un particolare sottotipo dei canali del calcio

coinvolto proprio nei meccanismi di cronicizzazione e

sensibilizzazione; l’antidepressivo maggiormente efficace, anche se

gravato da alcuni effetti collaterali, è l’Amitriptilina; il

corticosteroide sintetico preso come riferimento è il Prednisone;

l’Ossicodone è un oppioide agonista che funge da analgesico; come

farmaco antinfiammatorio non steroideo ha largo impiego

l’Ibuprofene; infine come protezione per lo stomaco si preferisce il

Rabeprazolo.

3.1.2 Tecnologia B: RF “Pulse Dose”

La Tecnologia B consiste nell’applicazione di RF Pulse Dose nei

pazienti in cui la Tecnologia A non aveva sortito gli effetti desiderati

in termini di analgesia e/o mancanza di effetti collaterali.

L’azienda che produce e che ha brevettato gli apparecchi per RF

Pulse Dose è la TSS Medical e lo strumento predisposto per tale

procedura è il Neurotherm NT1000 che è provvisto di due modalità

per la RF pulsata:

1) RF pulsata classica

2) RF Pulse Dose

La RF pulsata, come già detto, irradia nel tessuto gli impulsi che

immediatamente provocano l’innalzamento della temperatura

circostante, tale da superare il valore massimo consentito di 42°C.

Come conseguenza, il sistema di radiofrequenza (della NT1000), va a

Page 69: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

65

modificare i parametri di emissione del segnale in modo tale da

ridurre l’innalzamento della temperatura in eccesso. Il parametro sul

quale agisce per ridurre l’effetto della temperatura è l’ampiezza del

segnale. Infatti, i sistemi classici in questo caso riducono il valori di

ampiezza portando gli impulsi successivi, ad esempio, a 30 o 25 V,

fino a quando la temperatura rientra nei limiti imposti di 42°C. Di

conseguenza ci si trova a non sapere che tipo di trattamento è stata

somministrata e quindi non è possibile creare uno standard

terapeutico se alla base viene somministrata una terapia non costante.

Si ricorda che l’assioma della RF pulsata nasce dal presupposto di

fornire un valore efficace di impulso di 45 V e durata 20 ms.

L’azienda, per ovviare a questi problemi propone la RF Pulse Dose il

cui principio di funzionamento si base nel fornire impulsi efficaci e

costanti nel tempo a 45 V e 20 ms. Anche in tale trattamento i primi

impulsi emessi innalzano la temperatura del tessuto circostante con

raggiungimento immediato del limite (42°C), ma il sistema pulse

dose blocca l’impulso successivo sino a quando la temperatura non

rientra nei valori di norma. Quindi, a differenza della RF pulsata, tale

procedura è in grado di fornire esattamente una corretta “dose” senza

che l’effetto degli impulsi sia ridotto dai circuiti che limitano la

temperatura con un aumento del 70% dell’efficacia procedurale. Solo

quando la temperatura rientra nei limiti il software farà partire gli

impulsi successivi a 45 V e 20 ms. L’NT1000 è in grado di contare

ogni impulso e solo quando ha somministrato quanto programmato si

spegne automaticamente, per ogni procedura sono programmabili da

120 a 2400 dosi. Nella nostra procedura la fibra è stimolata da 1200

dosi. L’utilizzo della Pulse Dose prevede quindi che la terapia

Page 70: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

66

erogata si misurerà non più con il tempo di applicazione, come

avviene in RF pulsata classica, ma con il numero di “dosi” emesse.

E’ quindi possibile sapere con esattezza la quantità di terapia erogata

al paziente la quale, oltretutto, risulta costante nel tempo. Possiamo

evidenziare la differenza procedurale tra le due terapie, che la

NT1000 propone, attraverso le Figure 21a e 21b, raffiguranti il

comportamento della RF pulsata classica: nella 21a è presente una

variazione di ampiezza degli impulsi, nella 21b una variazione della

durata degli impulsi. Queste variazioni si hanno in seguito al

raggiungimento della temperatura soglia (42°C).

Figura 21a : RF pulsata classica (da TSS medical)

Page 71: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

67

Figura 21b : RF pulsata classica (da TSS medical)

Possiamo notare come inizialmente gli impulsi erogati rispettano il

valore di 45 V e 20 ms, quando poi la temperatura massima

raggiunge il valore limite dei 42°C gli impulsi successivi si

modificano nel valore dei Volt applicati, inficiando la terapia. Come

rappresentato graficamente in Figura 22 nella Pulse Dose quando la

temperatura limite supera il valore di 42°C l’impulso successivo

viene bloccato dal software e partirà nuovamente solo quando la

temperatura nel tessuto rientrerà nei valori limite.

Page 72: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

68

Figura 22: RF pulse dose (da TSS Medical)

Inoltre lo strumento, NT1000, è dotato di:

- Un software evoluto: permette di gestire la metodica con passaggi

immediati come la lettura dell’impedenza e la stimolazione fino alla

trasmissione di Radiofrequenza.

- Il Monitor Touch Screen: visualizza in tempo reale l’evoluzione

della procedura e permette di impostare i parametri di configurazione

metodica.

- Programmazione: risulta semplice ed intuitiva tramite una selezione

passo passo di tutti i parametri quali: impedenza, stimolazione,

frequenza sensoriale e frequenza motoria, RF continua, RF pulsata e

pulse dose.

- Sicurezza nella metodica: NT1000 è dotata di un sistema di

controllo della temperatura in tempo reale, nel caso in cui la

temperatura di lavoro supera quella impostata, il generatore “taglia”

Page 73: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

69

l’erogazione della corrente mantenendo i valori nei range di

sicurezza.

- Memorizzazione dei dati: NT1000 ha la possibilità di memorizzare

tutti i dati della meiotica associandoli al paziente.

Il kit che si utilizza durante gli interventi è totalmente monouso, il

che garantisce l’abbattimento delle infezioni ospedaliere; esso è

comprensivo di cannule e di elettrodo termocoppia monouso. Le

termocoppie lavorano indipendentemente l’una dall’altra (con tre

generatori RF) e sul monitor sono visualizzati i singoli parametri per

ciascuna di esse quali impedenza, stimolazione e temperatura di

esercizio, emissione delle radiofrequenza. In particolare poi il

generatore NT1000 è aperto all’utilizzo di vari tipi di elettrodi

termocoppia:

elettrodo standard

doppio elettrodo

triplo elettrodo

elettrodo bipolare

elettrodo senza lettura di temperatura (no termocoppia)

Per garantire infine il corretto funzionamento della termocoppia

senza rinunciare alla sterilità c’è lo stimolation kit con il quale basta

appoggiare la termocoppia alla piastra di stimolazione per avere il

controllo del corretto funzionamento. Di seguito è presentata la

scheda tecnica (Figura16) relativa all’NT1000.

Page 74: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

70

MONITOR TEMPERATURA

DISPLAY da 30° fino a

100°

LETTORE

DI

TEMPERATURA

Tutti i modelli

di elettrodi

Termocoppia

MONITOR IMPEDENZA

DISPLAY

DIGITALE

Lettura dell’impedenza

biologica in ogni tipo

di procedura

RANGE

da 50 a 2000

Ohms (passi da

1 Ohm)

SELF TEST Resistenza Interna di

500 Ohm SUONI

Monitoraggio

impedenza udibile

STIMOLAZIONE

FORMA

D’ONDA

Bifasica bilanciata con

impulso negativo di

carico

AMPIEZZA

IMPULSO

0,1 – 0,2 – 0,5

– 1,0 mSec.

FREQUENZE di

STIMOLAZIONE

10‐20‐50‐75‐100‐150‐180‐200 Hz per fibre sensoriali ‐

2 ‐ 5 Hz per fibre motorie

Fibre sensoriali e fibre motorie sono indipendenti tra

loro.

AMPIEZZA VOLTAGGIO

COSTANTE

0 – 5,0 V

0 – 3,0 V

0 – 0,5 V

CORRENTE

COSTANTE

0 – 10 mAmp

0 – 6 mAmp

0 – 1 mAmp

POTENZA RADIOFREQUENZA PULSATA

USCITA AMPIEZZA

IMPULSI:

5‐10‐20‐50

mSec.

IMPULSI

FREQUENZA

1‐2‐5‐10

Hz (solo 1

‐2 Hz) con

uso di più

elettrodi

AMPIEZZA VOLTAGGIO

COSTANTE

30 – 70

Volts (RMS)

CORRENTE

COSTANTE

50 – 350

mAmps

(RMS)

SELEZIONE

TEMPERATURA

MASSIMA

42 – 90 °C SELEZIONE

TEMPO

0:30 – 20:00

minuti

PULSE DOSETM

AMPIEZZA

IMPULSI: Massima

AMPIEZZA

FREQUENZA: Massima

NUMERO DI

PULSATE:

Impostato all’inizio della procedura Da 120 a 2400

pulsate.

Page 75: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

71

RADIOFREQUENZA CONTINUA

POTENZA RF

D’USCITA

da 0 a 30 Watts con

200 Ohm di carico

FREQUENZA DI

LAVORO 480 Khz

DISPLAY

VOLT

da 0 a 99 Volts

(RMS)

DISPLAY

CORRENTE

da 0 a 999

mAmps

(RMS)

IMPEDENZA 50‐2000 Ohms TEMPERATURA

visualizzabile

mediante

grafico

dinamico

30-100 °C

TEMPO

Selezionabile 0:30 – 10:00 . Il timer parte automaticamente

intorno a 5°C rispetto alla temperatura impostata.

Premendo AUTO START la temperatura aumenta di 8°C

al secondo sino al raggiungimento della temperatura

impostata.

SETTAGGIO

MASSIMO

TEMPERATURA

Selezionabile 50° ‐ 90°C in passi da 1° o 5°C . La

potenza di RF viene automaticamente corretta per non

superare la temperatura. P1- P2- P3 non sono temperature

fisse ma seguono il profilo lesione IDET.

Tale profilo può essere modificato.

IDET

Possibilità di avere programmi pre ‐ settati P1; P2 e P3

totalmente personalizzabili secondo il tipo di elettrodo per

il disco. Tutti i parametri quali temperatura, tempo,

innalzamento della temperatura sono totalmente automatici.

ELETTRODI MULTIPLI

PUO’ ESSERE UTILIZZATO CON 1 – 2 O 3 ELETTRODI

CONTEMPORANEAMENTE IN RF PULSATA – IN RF CONTINUA –

IN PULSE DOSE.

SICUREZZA

OPERAZIONI

STERILI

Possibilità di

effettuare prova

elettrodo intra –

operatoria

(testing Kit)

EMISSIONE

STIMOLAZIONE

RF LESIONE

Blocco

automatico se non

viene riportata la

manopola a zero

TEMPERATURA

MASSIMA

In RF continua la

temperatura è limitata

a 90°C. Blocco

automatico in caso di

superamento della

temperatura di 95°C

TERMO

COPPIE

Blocco sistema

se la

termocoppia non

è correttamente

collegata allo

strumento

Page 76: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

72

OPERAZIONI

Tutti i parametri sono impostati tramite monitor touch screen mentre si

utilizzano le manopole per effettuare la procedura.

Il touch screen visualizzerà il suo andamento.

IMPOSTAZIONE DATI

Possibilità di impostare più di dodici (12) diversi profili di settaggio

macchina.

Dettagli Paziente: I DATI PAZIENTE POSSONO ESSERE

MEMORIZZATI ALL’INTERNO DELLA MACCHINA

ACQUISIZIONE DATI

Tutti i dettagli della procedura possono essere esportati a Microsoft Excel

al termine della procedura

STANDARD

EN 60601‐1 :1997 / IEC 60601 – 1 – 2 : 1983 / IEC 60601 – 2 – 2 :

1998 / Marchio CE MDD 93/42EEC Classe di appartenenza : II tipo BF

ACCESSORI

SCHEDA DI

MEMORIA

USB

Permette il trasferimento dei dati relativi alle procedure

direttamente al PC.

MONITOR

AGGIUNTIVO Permette di visualizzare quanto riportato sul display.

STAMPANTE

BLUETOOTH

Collegata attraverso la connessione BluetoothTM

permette

di stampare nell’immediato i dettagli delle procedure.

DATI PREIMPOSTATI

STIMOLAZIONE

SENSORIALE

50 Hz – 1,0 mSec –

0 ‐ 3 V

STIMOLAZIONE

MOTORIA

2 Hz – 1,0

mSec – 0 ‐ 3 V

RF CONTINUA

80°C – 1:00 min RF PULSATA

20 mSec – 2

Hz – 42°C –

45 V – 2:00

min

PULSE DOSE 20 mSec – 2 Hz – 42°C – 45 V – 240 pulsate

Figura 23: scheda tecnica generatori di radiofrequenza serie NT1000 ( da TSS Medical)

Page 77: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

73

Prima di sottoporre il paziente alla RF Pulse Dose si inizia la

diminuzione posologica progressiva della precedente terapia

farmacologica (Tecnologia A). Nel descrivere la procedura con la

quale viene trattato il paziente da sottoporre a RF pulse-dose, farò

riferimento alla mia esperienza presso il Centro di Terapia del

Dolore della “Federico II” che ha eseguito l’intervento in

collaborazione con il Dipartimento di Neurochirurgia. Secondo il

protocollo il paziente veniva dapprima sottoposto, in regime

ambulatoriale, a blocco diagnostico con anestetico locale delle

faccette articolari interessate e, solo nei pazienti che avevano tratto

beneficio del blocco anestetico abbiamo eseguito in regime di “day

surgery” la denervazione percutanea delle branche mediali in

radiofrequenza pulse-dose. La procedura è stata sempre eseguita con

il paziente in posizione prona sotto visione fluoroscopica; la

visualizzazione fluoroscopica è stata eseguita in proiezione A-P, e

quindi in obliqua, per ottenere l’immagine più corretta per la

procedura che quindi prevede l’utilizzo dell’amplificatore di

brillanza. Quest’ultimo è l’unica guida del chirurgo per posizionare

l’elettrodo. Il follow up è stato eseguito attraverso la valutazione

della sintomatologia dolorosa prima del trattamento, una settimana

dopo il blocco diagnostico ed ogni mese dopo la denervazione in

radiofrequenza pulse-dose. A tutti i pazienti circa dopo 8 giorni, la

terapia farmacologica, già ridotta gradualmente dopo il blocco

anestetico, veniva del tutto interrotta e tutti sono stati valutati

mediamente per 15 mesi dopo la procedura. I pazienti da noi trattati

lamentavano un dolore alla schiena con irradiazione al gluteo,

all’anca ed alla coscia che non scendeva mai al di sotto del

Page 78: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

74

ginocchio; il dolore era riferito sordo, profondo e che peggiorava con

i movimenti di estensione e rotazione del rachide lombosacrale.

L’assenza di parestesie e/o altri disturbi di sensibilità escludeva la

presenza di dolore radicolare.

3.2 Analisi dei costi

Per l’analisi dei costi si è fatto riferimento ad un paziente “tipo” così

da poter calcolare la spesa mensile dei farmaci (come suggerito da

Linee Guida) alle posologie utilizzate nel Low back pain da sindrome

delle faccette. Inoltre si è considerato che, come riportato in

letteratura e come ho constatato nella mia esperienza presso il

Centro di Terapia del Dolore del Dipartimento di Anestesia della

Facoltà di Medicina della Federico II di Napoli, nel 60% dei casi che

ricorrono al trattamento con RF, la terapia seguita era “solo”

farmacologica, mentre il restante 40% si sottoponeva anche a terapie

fisiche (come magnetoterapia, laserterapia ed elettroanalgesia

transcutanea o TENS) a carico del Servizio Sanitario Nazionale

(69,70). Quindi, se per i farmaci i costi della terapia mensile, ai

dosaggi previsti, sono di 210 € (Figura 24) per le terapie fisiche tali

costi (per 15 sedute mensili) sono di 205 € da aggiungere alla terapia

farmacologica. Di tali cifre per la break even analysis si è calcolata la

media ponderata che ha rappresentato il costo evitato (Tecnologia A)

e quindi i ricavi ottenuti nel ricorso alla RF pulse-dose.

MEDIA PONDERATA: Tecnologia A = 0,6 * A1 + 0,4 * A2

dove con A1 abbiamo considerato i prezzi della sola terapia farmacologica

e con A2 i prezzi della terapia farmacologica più quelli della terapia fisica

aggiuntiva.

Page 79: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

75

3.2.1 Costi Tecnologia A1 e A2

I costi relativi dei farmaci sono stati controllati su “L’Informatore

Farmaceutico” edito da Elsevier Masson nel 2011 (71), nel quale

vengono riportati, in conformità a quanto prescritto dall’Agenzia

Italiana del Farmaco (AIFA) :

LYRICA

115 €

TARGIN

28 €

DELTACORTENE

5 €

BRUFEN

8 €

PARIET

19 €

LAROXYL

35€

COSTO TOTALE

DELLA 210 €

TECNOLOGIA A1

Figura 24: Tabella terapia farmacologica mensile (Tecnologia A1) di un paziente “tipo” a

dosaggio pieno.

I costi relativi alle terapie fisiche aggiuntive quali : elettroanalgesia

transcutanea (TENS), laserterapia e magnetoterapia sono quelli

erogati dal Sistema Sanitario della Regione Campania come previsti

dal Bollettino Ufficiale n.64 del 10 Ottobre 2011 (72). Per la break

even analysis abbiamo calcolato una media aritmetica tra le tre

terapie trattate prendendo in considerazione una cura che prevede una

volta ogni tre mesi 15 sedute:

Page 80: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

76

- tens: 10€ a seduta per una spesa di 150€ al mese

- magnetoterapia: 13€ a seduta per una spesa di 195€ al mese

- laserterapia: 18€ a seduta per una spesa di 270€ al mese

MEDIA ARITMETICA:

Tecnologia A2 = (150 + 195 + 270) / 3 = 615 / 3 = 205€

3.2.2 Costi Tecnologia B

Per il calcolo del costo della Tecnologia B (RF Pulse Dose) si è

considerata l’entità del DRG (Diagnosis Related Group) ovvero il

prezzo erogato dal Sistema Sanitario della Regione Campania per

l’effettuazione complessiva della procedura, così previsto dalla

Normativa Regionale Campania Deliberazione N.102 del 09/01/2009

che equivale a 2.620,33 € (73).

Per la break even analysis, da noi effettuata, sono stati inoltre

calcolati i prezzi relativi ai farmaci gradatamente ridotti nel dosaggio

del paziente dopo la risposta positiva al blocco anestetico di prova,

considerando rispetto al protocollo basale una diminuzione

posologica del 50% per 14 giorni prima della RF e del 90% per 8-10

giorni dopo la RF, fino a sospensione.

Il totale, dato dal DRG + i prezzi dei farmaci ridotti ha rappresentato

nella nostra break even analysis il costo totale della Tecnologia B,

equiparabile al solo costo fisso poiché non prefissi costi variabili.

Page 81: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

77

CAPITOLO 4 : RISULTATI

4.1 Valutazione Economica

La metodica della RF pulse-dose è di recentissima introduzione e

quindi i dati presenti in letteratura con le caratteristiche scientifiche

richieste dalla EBM (Evidence Based Medicine) per questa procedura

sono attualmente molto scarsi. Inoltre tali dati fanno riferimento per

lo più alla RF pulsata, essendo la Rf pulse-dose in definitiva una

variante di RF pulsata più sicura nel dosaggio. Secondo la metanalisi

di Van Boxem, su 50 RCT di medicina interventistica,15 riguardano

l’uso della RF pulsata in diverse sindromi dolorose croniche (74,75);

in essi la valutazione dell’efficacia analgesica della RF è stata

effettuata mediante misurazione dell’intensità dolorosa

monodimensionali (VAS= Scala Analogica Visiva) e questionari

multidimensionali sulla percezione di benessere (SF36) e di impatto

del dolore sulle attività quotidiane (Brief Pain Inventory). In altri

studi riguardanti specificamente la PRF sono stati considerati gli

stessi scores di misurazione; questi stessi studi hanno considerato

tempi di follow up da un minimo di 3 mesi ad un massimo di 12 mesi

(76,77,78,79,80), essendo la procedura non lesiva e quindi ripetibile

nel tempo. Dimostrare l’efficacia analgesica relativamente a questa

terapia è importante per definire anche l’efficienza della procedura.

Per questo motivo la break even analysis da me effettuata è relativa

ad un range temporale di 12 mesi. Come precedentemente detto nello

studio del break even point sono stati presi in considerazione i costi

fissi, che riguardano tutte le spese correlate alla procedura e che non

Page 82: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

78

variano rispetto al tempo ed i costi evitati, pari alla media ponderata

delle tecnologie A1 e A2 considerate nel 60% e 40% dei pazienti fino

a 12 mesi di terapia. Di seguito sono rappresentati schematicamente

il calcolo dei due costi: i costi evitati e quelli fissi.

4.2 Analisi dei costi

4.2.1 Calcolo dei costi della tecnologia A

Ho calcolato il costo della tecnologia A effettuando una media

ponderata mensile tra le tecnologie A1 e A2 prese in considerazione

nel 60 % e 40 %, quindi, come mostrato in Figura 25a e 25b la

Tecnologia A è pari a :

Tecnologia A = 0,6 * A1 + 0,4 * A2

MESI A1 A2 A

1 210 € 415 € 292 €

2 420 € 625 € 502 €

3 630 € 835 € 712 €

4 840 € 1250 € 1004 €

5 1050 € 1460 € 1214 €

6 1260 € 1670 € 1424 €

7 1470 € 2085 € 1716 €

8 1680 € 2295 € 1926 €

9 1890 € 2505 € 2136 €

10 2100 € 2920 € 2428 €

11 2310 € 3130 € 2638 €

12 2520 € 3340 € 2848 €

Figura 25a : Tabella del costo totale della Tecnologia A.

Page 83: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

79

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

Mesi

Co

sti tecnologia A

Figura 25b : Diagramma del costo totale della Tecnologia A.

4.2.2 Calcolo dei costi della tecnologia B

In Figura 26 sono riportati schematicamente i costi totali della

tecnologia B:

COSTI TECNOLOGIA B

DRG Regione Campania

2.620,33 €

Terapia Farmacologica

preintervento 95 € (1/2 dose) 14gg

Terapia Farmacologica

postintervento 19 € (1/10 dose) 8-10gg

COSTO TOTALE

DELLA 2.734,33 €

TECNOLOGIA B

Figura 26: Tabella del costo totale della Tecnologia B.

Page 84: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

80

4.3 Break Even Analysis

Dai risultati ottenuti dalla break even analysis, rappresentati in Figura

27a e 27b, si evince che il Break even point tra i costi della RF pulse-

dose e quelli evitati della terapia farmacologica è di 11 mesi e 14

giorni.

Mesi Costi x RF Costi Evitati

1 2734,33 € 292 €

2 2734,33 € 502 €

3 2734,33 € 712 €

4 2734,33 € 1004 €

5 2734,33 € 1214 €

6 2734,33 € 1424 €

7 2734,33 € 1716 €

8 2734,33 € 1926 €

9 2734,33 € 2136 €

10 2734,33 € 2428 €

11 2734,33 € 2638 €

12 2734,33 € 2848 €

Figura 27a : Tabella del costi fissi e dei costi evitati rispetto ad ogni mese di trattamento

Break even analysis

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

Mesi

Mesi

Co

sti

Costi per la Radiofrequenza

Costi evitati per la terapia

farmacologica

Figura 27b : grafico relativo al Break even point rispetto a 12 mesi di trattamento.

Quindi la RF Pulse Dose risulta economicamente vantaggiosa per il

Servizio Sanitario Regionale della Campania rispetto ai farmaci solo

nel caso in cui l’efficacia analgesica ha una durata ≥ a 12 mesi.

Page 85: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

81

CAPITOLO 5 : DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

L'obiettivo principale della terapia del dolore è quello di assicurare al

paziente una dignitosa qualità della vita, quale che sia il suo stato

patologico. In presenza di dolore abbiamo visto che la

somministrazione di farmaci con potenza analgesica, rapportata

all'intensità del dolore, è una delle diverse metodologie che vengono

applicate. La terapia farmacologica ha però dei limiti quali:

risulta essere un metodo valido sicuramente nel dolore acuto,

mentre nel dolore cronico risente dei meccanismi patogenetici

alla base delle sintomatologie che, nel tempo, possono variare.

induce effetti collaterali a volte insopportabili.

Per questo motivo negli ultimi decenni, soprattutto nel dolore cronico

non oncologico, al fianco di terapie farmacologiche sempre più

mirate ai meccanismi d’azione del dolore, si sono affermate

molteplici procedure invasive. Tra queste sicuramente la RF ha

mostrato una buona efficacia, in particolare la PRF; infatti gli studi

presenti in letteratura (81,82,83) ne indicano una buona efficacia

analgesica in diverse condizioni dolorose con un follow up che si

estende dai 3 ai 12 mesi. Naturalmente la procedura invasiva deve

essere efficiente e garantire al paziente un miglioramento funzionale,

il ripristino o il mantenimento della capacità lavorativa e infine, ma

non ultimo, il minor onere possibile sulle risorse sanitarie, infatti

anche nella terapia del dolore il problema dei costi assume un ruolo

importante. Affinché una terapia invasiva risulti efficiente bisogna

Page 86: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

82

tener presente la variazione indotta sull’intensità del dolore per ciò

che concerne il beneficio e la quantizzazione dei prezzi per ciò che

riguarda il costo. Un’analisi economica “semplice”, come quella da

me effettuata, con la ricerca del Break even point, confronta i costi

evitati (della terapia farmacologica) con i costi fissi sostenuti (con le

RF). In realtà un’analisi corretta dei costi includerebbe, nella

valutazione dei risultati ottenuti con una determinata terapia, il

raggiungimento di quei target che sono considerati costi indiretti:

- Quanto è diminuito il dolore del paziente (VAS) ?

- Quanto è migliorata la sua sensazione di salute (SF-36) ?

- Quanto è migliorata la sua qualità di vita (SF-36) ?

- La diminuzione del dolore ha permesso lo svolgimento di attività

lavorative e ricreative prima negate (BPI) ?

- Quanto “costa” la ripresa del lavoro?

La risposta a queste domande indicherebbe il “peso” dei costi

indiretti ma non riuscirebbe comunque a quantizzarli. Infatti da un

lato i test (84,85) utilizzati per misurare i diversi item sono soggettivi

ed il loro risultato è espresso da un numero indice di tale soggettività;

dall’altro non esiste al momento la possibilità di convertire i risultati

di questi punteggi in termini economici. Infine benché sia

fondamentale considerare il benessere complessivo del paziente, lo

studio di tale aspetto mediante la somministrazione dei suddetti test

avrà significatività statistica solo se il campione è numeroso ed

omogeneo. Avendo maturato un’esperienza per necessità limitata nel

tempo il mio studio è stato condotto solo sui costi diretti totali (costi

fissi) e su quelli evitati, considerando la situazione di un paziente

“tipo” e non i dati dei pazienti che, durante la mia esperienza presso

Page 87: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

83

il Centro di Terapia del Dolore, sono stati sottoposti a RF pulse dose

per Facet Syndrome. Per quanto riguarda quest’ultimi vorrei

comunque riportare che nei 12 mesi in cui ho frequentato il Centro di

Terapia del Dolore della Facoltà di Medicina della “Federico II” ho

avuto modo di assistere a 32 interventi di applicazione RF pulse-dose

sul ramo mediale per trattare la sindrome delle faccette articolari. In

tutti i casi l’intervento non ha superato la durata di 60 minuti

complessivi ed è stato ben tollerato dai pazienti. Ho avuto poi modo

di seguire nel tempo 35 pazienti di questi ho effettuato il follow up ad

1 mese ed a 3 mesi di 6 pazienti; ad 1 mese, 3 mesi ed a 6 mesi di 10

pazienti; ad 1 mese, 3 mesi, 6 mesi ed a 9 mesi di 11 pazienti e fino a

12 mesi per i rimanenti 14: in 26 pazienti la tecnica ha dimostrato

ottima efficacia analgesica (VAS 0-2) fino a 6 mesi; nel follow up a 9

mesi (11 pazienti) 9 pazienti riportavano ancora un buon controllo

del dolore (VAS 1-3) mentre nei rimanenti era comparsa una

sintomatologia dolorosa di moderata entità (VAS 4-5); a 12 mesi solo

3 pazienti riportavano dolore di intensità moderata/forte (VAS 6-7) e

richiedevano una supplementazione farmacologica (Figura 28,29).

1 MESE

3 MESI

6 MESI

9 MESI

12 MESI

4 pazienti

6 pazienti

10 pazienti

11 pazienti

14 pazienti

Figura 28 : Popolazione seguita in 12 mesi di esperienza presso il Centro di Terapia del

Dolore.

Page 88: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

84

VAS 0-2

VAS 1-3

VAS 4-5

VAS 6-7

3 MESI

Tutti i 35 pazienti

6 MESI

Tutti i 35 pazienti

9 MESI

9 pazienti

2 pazienti

12 MESI

3 pazienti

Figura 29 : Efficacia analgesica dimostrata dalla RF pulse-dose ai differenti follow up.

Da quanto esposto la RF pulse-dose nel trattamento della sindrome

da faccette articolari sembrerebbe essere una tecnica sicura ed

efficace, ma come già detto in precedenza per affermare che essa è

anche efficiente sarebbero necessari sia un numero più elevato di

pazienti sia un controllo più lungo nel tempo.

L’esperienza condotta ha comunque portato a considerare che, nel

caso di una procedura invasiva ma non lesiva, come la RF pulse-

dose, per valutarne la reale efficacia, anche in termini di costo-

beneficio, è importante conoscere qual è il periodo necessario per

ammortizzare i costi evitati (della Tecnologia A) utilizzando la

Tecnologia B (con i suoi costi totali diretti).

Nonostante non tenga in considerazione gli elementi relativi alla

qualità di vita dl paziente e quindi ai costi indiretti, la break even

analysis da me effettuata in questo studio permette di affermare che

tale “pareggio” si ottiene in 11 mesi e 14 giorni: nella pratica ciò

significa che, se si vorranno condurre degli studi che dimostrino

Page 89: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

85

un’efficacia provata della RF pulse dose, sarà necessario valutare i

pazienti per almeno 12 mesi dopo l’esecuzione della procedura, la

quale, per essere ritenuta “vantaggiosa” economicamente, dovrà

sortire in questo periodo buona efficacia analgesica. La prospettiva

futura è quella di valutare nel periodo indicato anche la qualità di vita

del paziente sia in termini soggettivi (come oggi è già possibile

mediante i test indicati) sia in termini economici: ciò permetterebbe

una valutazione dell’efficienza sicuramente più completa e corretta.

Page 90: Rachele Pusateri Ingengeria Biomedica

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